XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (Commissione speciale per l'esame di atti del Governo della Camera dei deputati e Commissione speciale per l'esame degli atti urgenti presentati dal Governo del Senato della Repubblica)

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Mercoledì 9 maggio 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Molteni Nicola , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Molteni Nicola , Presidente ... 3 
Alleva Giorgio , presidente dell'ISTAT ... 3 
Molteni Nicola , Presidente ... 8 
Pichetto Fratin Gilberto  ... 8 
Marattin Luigi (PD)  ... 9 
Molteni Nicola , Presidente ... 9 
Misiani Antonio  ... 9 
Urso Adolfo  ... 10 
Fazzolari Giovanbattista  ... 10 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 10 
Pesco Daniele  ... 11 
Bartolozzi Giusi (FI)  ... 11 
Benamati Gianluca (PD)  ... 11 
Molteni Nicola , Presidente ... 11 
Alleva Giorgio , presidente dell'ISTAT ... 11 
Molteni Nicola , Presidente ... 14 
Alleva Giorgio , presidente dell'ISTAT ... 14 
Molteni Nicola , Presidente ... 14 
Oneto Gian Paolo , direttore centrale per la contabilità nazionale dell'ISTAT ... 14 
Molteni Nicola , Presidente ... 15 

Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia ( Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Molteni Nicola , Presidente ... 15 
Signorini Luigi Federico , vice direttore generale della Banca d'Italia ... 15 
Molteni Nicola , Presidente ... 20 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 21 
Mandelli Andrea (FI)  ... 21 
Fazzolari Giovanbattista  ... 21 
Garavaglia Massimo (LEGA)  ... 22 
Turco Mario  ... 22 
Mallegni Massimo  ... 22 
Molteni Nicola , Presidente ... 23 
Urso Adolfo  ... 24 
Misiani Antonio  ... 24 
Pesco Daniele  ... 24 
Marattin Luigi (PD)  ... 25 
Molteni Nicola , Presidente ... 25 
Angiola Nunzio (M5S)  ... 25 
Galli Dario (LEGA)  ... 26 
Grassi Ugo  ... 26 
Bartolozzi Giusi (FI)  ... 27 
Molteni Nicola , Presidente ... 27 
Signorini Luigi Federico , vice direttore generale della Banca d'Italia ... 27 
Molteni Nicola , Presidente ... 29 
Benamati Gianluca (PD)  ... 30 
Molteni Nicola , Presidente ... 30 
Benamati Gianluca (PD)  ... 30 
Molteni Nicola , Presidente ... 30 
Benamati Gianluca (PD)  ... 30 
Molteni Nicola , Presidente ... 30 

Audizione del presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ( Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Molteni Nicola , Presidente ... 30 
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 30 
Molteni Nicola , Presidente ... 37 
Marattin Luigi (PD)  ... 37 
Turco Mario  ... 37 
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 37 
Turco Mario  ... 37 
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 38 
Turco Mario  ... 38 
Garavaglia Massimo (LEGA)  ... 38 
Pesco Daniele  ... 38 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 38 
Molteni Nicola , Presidente ... 39 
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 39 
Molteni Nicola , Presidente ... 39 
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 39 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 42 
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 42 
Molteni Nicola , Presidente ... 42 

Audizione di rappresentanti di ANCI e UPI ( Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Mandelli Andrea , Presidente ... 42 
Castelli Guido , delegato per la finanza locale di ANCI ... 42 
Mandelli Andrea , Presidente ... 45 
Guerra Mauro , presidente della Commissione finanza locale di ANCI ... 45 
Mandelli Andrea , Presidente ... 47 
Variati Achille , presidente di UPI ... 47 
Mandelli Andrea , Presidente ... 49 
Braga Chiara (PD)  ... 49 
Angiola Nunzio (M5S)  ... 49 
Mandelli Andrea , Presidente ... 50 
Castelli Guido , delegato per la finanza locale di ANCI ... 50 
Guerra Mauro , presidente della Commissione finanza locale di ANCI ... 51 
Variati Achille , presidente di UPI ... 52 
Mandelli Andrea , Presidente ... 52

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia: Misto-NcI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA COMMISSIONE SPECIALE PER L'ESAME DI ATTI DEL GOVERNO DELLA CAMERA DEI DEPUTATI NICOLA MOLTENI

  La seduta comincia alle 10.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti dell'ISTAT.
  Do quindi il benvenuto e ringrazio per la presenza il presidente Giorgio Alleva, accompagnato da Tommaso Antonucci, direttore generale, Roberto Monducci, direttore del dipartimento per la produzione statistica, Patrizia Cacioli, direttore centrale per la comunicazione, Vittoria Buratta, direttore centrale per le statistiche sociali e il censimento della popolazione, Gian Paolo Oneto, direttore centrale per la contabilità nazionale, Fabio Bacchini, dirigente del servizio per l'analisi dei dati e la ricerca economica, sociale e ambientale, Maria Elena Pontecorvo, Servizio sistema integrato lavoro, istruzione e formazione, e Matteo Lucchese, Ufficio di Presidenza.
  Do ovviamente il benvenuto al presidente Crimi e ai componenti della Commissione speciale del Senato.
  È stata trasmessa da parte dell'ISTAT una nota che è stata messa a disposizione dei componenti delle Commissioni.
  Do immediatamente la parola al presidente dell'ISTAT, Giorgio Alleva.

  GIORGIO ALLEVA, presidente dell'ISTAT. Grazie, presidente, buongiorno a tutti. L'audizione di questa mattina è la prima che l'ISTAT svolge davanti al nuovo Parlamento. Vorrei quindi porgere i miei saluti e augurare ai neoeletti senatori e deputati buon lavoro.
  Il mio intervento si concentrerà sull'evoluzione congiunturale dell'economia italiana nel contesto globale, offrendo alcuni elementi di valutazione del quadro tendenziale proposto nel DEF oggi in discussione.
  In chiusura illustrerò il quadro dei 12 indicatori sul benessere equo e sostenibile inseriti per la prima volta nel DEF, a complemento dei tradizionali indicatori sullo sviluppo economico. Si tratta di una novità che introduce nel ciclo di bilancio aspetti rilevanti della qualità della vita dei cittadini, un'innovazione che come Istituto abbiamo voluto e contribuito a realizzare.
  Nel seguito leggerò una sintesi del documento scritto che abbiamo portato in audizione. Nel testo scritto che vi è stato consegnato troverete ulteriori analisi e riferimenti, che spero troverete utili per la discussione.
  Nel 2017 la fase espansiva dell'economia internazionale si è consolidata. Il ritmo di crescita è aumentato dal 3,2 al 3,8 per cento, e l'accelerazione della ripresa ha contribuito alla risalita dei corsi delle materie prime. Secondo i dati del Central Plan Pag. 4Bureau, il volume degli scambi mondiali di beni ha segnato in media d'anno un incremento del 4,6 per cento (dall'1,5 del 2016), con una accelerazione comune ai Paesi avanzati e alle economie emergenti.
  Per il 2018 le prospettive di crescita dell'economia internazionale si mantengono favorevoli, pur con alcuni rilevanti fattori di rischio, su cui mi soffermerò in seguito.
  Nel primo trimestre, la stima preliminare del PIL dell'economia statunitense ha evidenziato una crescita congiunturale in linea con quella registrata nei tre mesi precedenti e ad aprile il tasso di disoccupazione è sceso al 3,9 per cento.
  Dopo la robusta crescita del 2017 (più 2,4 per cento il dato annuale) nell'area euro l'incremento del PIL del primo trimestre è stato pari allo 0,4 per cento, evidenziando un rallentamento rispetto allo 0,7 per cento registrato nel trimestre precedente. L’Economic sentiment indicator ha mostrato segnali di incertezza, con un peggioramento del clima di fiducia degli imprenditori nel mese di marzo. La fiducia dei consumatori ha confermato al contrario segnali positivi, sostenuta dalle prospettive sull'occupazione. Ad aprile, il tasso di cambio dell'euro rispetto al dollaro ha registrato un'ulteriore diminuzione, confermando l'interruzione della tendenza all'apprezzamento, mentre nei primi mesi del 2018 le quotazioni del petrolio sono in aumento rispetto ai livelli di fine 2017 grazie alla tenuta dell'accordo fra Paesi produttori sui tagli all'offerta.
  Le previsioni del Fondo monetario internazionale indicano una leggera accelerazione del prodotto mondiale nel 2018 (più 3,9 per cento), grazie al miglioramento delle prospettive nei Paesi emergenti. Si profilano tuttavia segnali di incertezza, legati alle tensioni commerciali fra Stati Uniti e Cina e all'evoluzione della politica monetaria nelle maggiori economie.
  A febbraio, il commercio in volume ha segnato un lieve calo dopo l'aumento di gennaio. Nonostante l'effetto negativo delle previste misure restrittive agli scambi, nelle previsioni del Fondo monetario internazionale il commercio mondiale dovrebbe mantenere un ritmo di crescita simile a quello dell'anno precedente.
  Nel 2017 la crescita dell'economia italiana si è rafforzata, il PIL è cresciuto dell'1,5 per cento, con un ritmo relativamente stabile nel corso dell'anno. Come nel 2016, a trainare la ripresa è stata la domanda interna, in particolare gli investimenti fissi lordi, che hanno accelerato rispetto al biennio precedente. Tra le componenti interne di domanda, il volume dei consumi delle famiglie è cresciuto dell'1,4 per cento, allo stesso ritmo dell'anno precedente, di poco inferiore a quello medio dell'Unione europea monetaria.
  A fronte di una dinamica quasi stabile del reddito disponibile nominale, la moderata ripresa dell'inflazione ha avuto un effetto di parziale erosione del potere d'acquisto delle famiglie, che è aumentato di appena lo 0,6 per cento (era stato un più 1,3 per cento nel 2016). Al mantenimento di una tendenza positiva dei consumi è quindi corrisposto un calo significativo, dall'8,5 al 7,8 per cento, della propensione al risparmio.
  La spesa per consumi dell'amministrazione pubblica è cresciuta dello 0,1 per cento in volume, contro l'1,2 dell'UEM, offrendo un contributo nullo alla crescita. Gli investimenti fissi lordi sono dunque risultati la componente più dinamica della domanda, con un incremento del 3,8 per cento (il 3,2 nel 2016). L'aumento è trainato dagli investimenti in mezzi di trasporto, ma ha riguardato tutte le componenti dei beni capitali ed è stato diffuso tra i settori di attività.
  Le esportazioni di beni e servizi sono cresciute in volume del 5,4 per cento, le importazioni del 5,3 per cento. Nel 2017 l'avanzo commerciale è stato in leggera diminuzione, ma è cresciuto l'avanzo della bilancia non energetica, da 76,2 a 81 miliardi di euro.
  Un elemento che ha caratterizzato la crescita dell'economia italiana nel 2017 è la progressiva diffusione della ripresa ai settori economici, seppure con intensità diverse. Con l'eccezione del comparto dell'agricoltura, silvicoltura e pesca, il valore aggiunto in volume è cresciuto in tutti i Pag. 5settori. L'aumento è stato più marcato nell'industria in senso stretto e nel solo settore manifatturiero (più 2,1 per cento in entrambi i casi), meno sostenuto nell'insieme delle attività dei servizi (più 1,5), moderato nelle costruzioni (più 0,8).
  Secondo la stima preliminare del PIL diffusa la scorsa settimana, che da quest'anno l'ISTAT anticipa a trenta giorni anziché quarantacinque dalla fine del periodo di riferimento, nel primo trimestre del 2018 l'economia italiana è cresciuta dello 0,3 per cento, in linea con la variazione congiunturale del quarto trimestre del 2017. I dati evidenziano un contenuto ridimensionamento del tasso di crescita tendenziale, che scende all'1,4 per cento rispetto al più 1,6 del trimestre precedente. La crescita è trainata dalla domanda interna al lordo delle scorte, mentre la componente estera netta ha fornito un contributo negativo. Dal lato dell'offerta è cresciuto il valore aggiunto nel settore agricolo e nei servizi; l'industria invece ha segnato una variazione pressoché nulla, interrompendo la tendenza alla crescita degli ultimi tre trimestri. La variazione acquisita per il 2018 è pari a più 0,8 per cento.
  Con il risultato del primo trimestre 2018, la durata dell'attuale ciclo di espansione dell'economia italiana si estende a 15 trimestri. Il livello del PIL risulta ancora inferiore dello 0,9 per cento rispetto al precedente picco del secondo trimestre del 2011, ma superiore del 4,4 per cento rispetto all'inizio della fase di recupero.
  Nel 2017 è proseguito l'andamento favorevole dell'occupazione. Secondo i dati della rilevazione sulle forze di lavoro, il numero di occupati è cresciuto in un anno di circa 265.000 persone (293.000 nel 2016), con un ritmo di espansione sostanzialmente in linea con quello osservato nel 2016. Per la prima volta dal 2008 il livello dell'occupazione è tornato al di sopra dei 23 milioni di occupati e il tasso di occupazione si è attestato al 58 per cento, poco al di sotto del picco pre-crisi. L'incremento occupazionale ha riguardato prevalentemente la componente femminile (più 149.000 occupate), il cui tasso di occupazione è aumentato di 0,8 punti percentuali, attestandosi al 48,9 per cento, valore più alto del massimo raggiunto prima della crisi, seppure ancora fra i più bassi in Europa.
  L'aumento ha riguardato esclusivamente i lavoratori alle dipendenze (+ 371.000), con una netta prevalenza di quelli con un contratto a tempo determinato (+ 298.000) rispetto ai + 73.000 contratti a carattere permanente.
  La crescita dello stock di occupazione è stata sostenuta principalmente dai lavoratori ultracinquantenni. Tuttavia, per il secondo anno consecutivo sono in aumento anche i giovani tra i 15 e i 34 anni. È proseguito per il settimo anno consecutivo il calo degli indipendenti (- 105.000), più intenso rispetto al 2016.
  A livello territoriale il ritmo di crescita dell'occupazione è stato simile in tutte le ripartizioni geografiche. Permangono, tuttavia, ampie differenze sul territorio. Il numero delle persone in cerca di lavoro è tornato a scendere in modo sostenuto (- 105.000 persone) nel corso del 2017, dopo il rallentamento registrato nel 2016.
  L'occupazione ha continuato a crescere, anche se in misura lieve, anche nei primi mesi del 2018. Le stime mensili relative al primo trimestre indicano un aumento medio degli occupati dello + 0,1 per cento rispetto agli ultimi tre mesi del 2017, con un risultato più positivo per la componente maschile. L'aumento ha riguardato tutte le classi di età, a eccezione dei 35-49enni. Sono cresciuti i dipendenti a termine, mentre si sono lievemente ridotti quelli permanenti e in misura più consistente gli indipendenti.
  I progressi sul mercato del lavoro si sono accompagnati nel 2017 a una dinamica salariale molto contenuta, nonostante la lieve risalita della componente contrattuale. Quest'ultima ha segnato nei primi tre mesi del 2018 una crescita della retribuzione oraria media dello 0,8 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2017.
  Nel testo scritto troverete alcune analisi approfondite sul tema del lavoro, in particolare sulle condizioni del mercato del lavoro dei giovani, che riteniamo nodo cruciale per lo sviluppo futuro del Paese. Come leggerete, permangono criticità importanti Pag. 6nel Mezzogiorno: il lavoro delle donne e appunto i giovani.
  Per quanto riguarda la dinamica recente dell'inflazione, l'economia italiana rimane caratterizzata dall'assenza di significative pressioni sui prezzi in tutte le fasi della loro formazione. Nel primo trimestre del 2018 l'inflazione continua a essere moderata e sostenuta principalmente dall'andamento dei prezzi dei beni energetici e di alcune tipologie di servizi. L'inflazione di fondo resta al di sotto del punto percentuale e inferiore alla media europea.
  Per quanto riguarda il commercio con l'estero, le esportazioni nazionali di merci hanno conseguito nel 2017 una rilevante accelerazione (+ 7,4 per cento in termini nominali sul 2016) rispetto alla crescita registrata nel 2016 (+ 1,2 per cento). L'aumento è stato più sostenuto verso i mercati extra UE.
  Nei primi due mesi del 2018 la crescita dell'export nazionale rimane sostenuta: + 6,6 per cento in valore e + 5 per cento in volume su base tendenziale nel bimestre gennaio-febbraio, con un'accelerazione tendenziale delle vendite verso i Paesi UE (+ 9,8 per cento) e una decelerazione verso quelli extra-UE (+ 2,3 per cento). I dati degli scambi di merci con i Paesi extra-UE di marzo confermano l'andamento meno vivace delle esportazioni verso tali mercati.
  Guardando alle prospettive di crescita a breve termine per l'Italia, il prossimo 22 maggio l'ISTAT diffonderà le previsioni sull'andamento dell'economia italiana per l'anno in corso. I dati relativi ai primi mesi del 2018 mostrano che la fiducia delle famiglie è in crescita, sospinta dalla componente sulla valutazione della situazione personale. Ad aprile il clima di fiducia è lievemente diminuito, mantenendosi tuttavia su livelli elevati. Nei primi mesi del 2018 l'indice composito del clima di fiducia delle imprese ha evidenziato un peggioramento, influenzato soprattutto dai giudizi negativi delle imprese del commercio. L'indice per le costruzioni è, invece, in crescita, segnando il quarto rialzo consecutivo dal dicembre scorso. A conferma del parziale rallentamento della produzione nel comparto manifatturiero, il grado di utilizzo degli impianti ha segnato nel primo trimestre un lieve calo.
  Come abbiamo detto nella nota mensile diffusa lo scorso lunedì, ad aprile l'indicatore anticipatore si mantiene su livelli elevati, pur confermando segnali di decelerazione, prospettando, dunque, uno scenario di minore intensità della crescita.
  Nel testo scritto troverete una breve descrizione del quadro tendenziale di finanza pubblica nel 2018-2021. In quel che segue vorrei, invece, soffermarmi sulla questione dell'inasprirsi delle tensioni commerciali, sulla quale avete avuto modo di discutere anche ieri.
  Allo scopo di valutare la sensitività dei risultati del quadro macroeconomico definito nel DEF al variare delle ipotesi che influenzano la dinamica delle variabili esogene, abbiamo misurato gli effetti sulla dinamica del PIL del 2018 di un rallentamento del commercio mondiale (una diminuzione del tasso di crescita pari a un punto percentuale rispetto allo scenario di base) e di un apprezzamento dell'euro sul dollaro pari all'uno per cento rispetto allo scenario base. Le analisi descritte sono state realizzate utilizzando il modello macroeconomico MEMO-It (Macro Econometric model for Italy) dell'ISTAT.
  La dinamica più contenuta degli scambi internazionali influirebbe negativamente sulla crescita complessiva del sistema economico, determinando una diminuzione del PIL di 0,3 punti percentuali rispetto allo scenario base. Le esportazioni registrerebbero un rallentamento significativo, diminuendo di 1,1 punti, le importazioni di 0,3 punti. Nel caso di un ulteriore apprezzamento della valuta europea, le esportazioni diminuirebbero, invece, di 0,1 punti percentuali, senza conseguenze significative sulla dinamica del PIL.
  I dati più recenti sul commercio estero mostrano una battuta d'arresto per le esportazioni italiane verso gli USA nei primi tre mesi del 2018. Anche le esportazioni verso la Cina hanno registrato un rallentamento analogo. Nel corso degli ultimi anni le esportazioni nazionali verso gli USA sono comunque aumentate in modo rilevante, così come il numero di esportatori verso Pag. 7questo mercato. Nel 2017 le imprese italiane che esportano negli Stati Uniti sono state quasi 41.000, in costante aumento dal 2010, anno in cui il loro numero era di poco inferiore alle 32.000 unità.
  L'eventuale inasprimento delle tensioni commerciali con gli USA avrà probabilmente un impatto differenziato sulle opportunità di crescita di queste imprese e per il sistema produttivo italiano nel suo complesso, a seconda dei settori e dei prodotti esportati.
  I settori industriali in cui le esportazioni nazionali risultano particolarmente esposte sul mercato USA sono gli autoveicoli e altri mezzi di trasporto, gli articoli farmaceutici, chimico-medicali, i prodotti per l'arredamento, gioielli e abbigliamento sportivo, i prodotti alimentari, bevande e tabacco, macchinari e apparecchi. In particolare, a livello di specifiche categorie di prodotti, una quota molto elevata di vendite sul mercato USA si riscontra nelle costruzioni metalliche e non metalliche per navi, marmo e altre pietre affini lavorate artisticamente, nei lavori in mosaico, olio di oliva e altri prodotti in ceramica.
  Per quanto riguarda la produzione di base di acciaio e ferro, la quota dell’export nazionale destinata al mercato USA è pari al 3,1 per cento, ma si incrementa in modo significativo se si considerano le lavorazioni dell'acciaio, come tubi e condotte senza saldatura e con saldatura e barre stirate a freddo, mentre è del 2,3 per cento per l'alluminio e i semilavorati.
  Anche a livello territoriale si riscontrano significative differenze nel grado di dipendenza delle esportazioni regionali dal mercato statunitense. Tra le ripartizioni territoriali, l'Italia meridionale risulta quella relativamente più esposta. Venendo alle singole regioni, Basilicata, Calabria, Friuli Venezia Giulia e Lazio sono le più dipendenti. Anche nell'ambito di regioni non troppo esposte sul mercato statunitense, sussistono potenziali rischi in specifici settori.
  Nel tempo rimasto a disposizione vorrei richiamare brevemente i dodici indicatori sul benessere equo e sostenibile inseriti per la prima volta nel DEF, provando così a integrare il quadro economico appena fornito con alcuni dati relativi alla qualità della vita dei cittadini.
  Negli ultimi mesi l'Istituto ha fornito al Ministero dell'economia e delle finanze i dati sugli indicatori aggiornati al 2017, come previsto dalla legge, disponendo di un margine di tempo non sempre compatibile con i normali processi di produzione, soprattutto quelli inerenti alle rilevazioni annuali di fenomeni complessi.
  In alcuni casi l'ISTAT ha potuto realizzare stime preliminari, migliorando la tempistica di alcuni processi di produzione, associandola all'utilizzo di dati preliminari. In altri, ha fatto ricorso all'utilizzo di modelli predittivi ad hoc.
  Per il 2017, il quadro fornito dagli indicatori di benessere mostra miglioramenti diffusi, associati, tuttavia, all'aggravamento di alcune criticità soprattutto sul fronte della disuguaglianza e della povertà assoluta.
  Quest'ultima – secondo la stima preliminare perché i dati definitivi usciranno in giugno – coinvolgerebbe nel 2017 poco meno di 1,8 milioni di famiglie, con un'incidenza del 6,9 per cento, in crescita di sei decimi di punto rispetto al 2016. Si tratta di circa 5 milioni di individui, con un'incidenza dell'8,3 per cento sul totale della popolazione.
  La ripresa dell'inflazione nel 2017 spiega circa la metà (tre decimi di punto percentuale) dell'incremento dell'incidenza della povertà assoluta. La restante parte deriva dal peggioramento della capacità di spesa di molte famiglie, che sono scese sotto la soglia di povertà.
  Dal punto di vista territoriale, i dati provvisori mostrano aumenti nel Mezzogiorno e nel Nord e una diminuzione al Centro. L'aumento complessivo, inoltre, è sintesi di una diminuzione in quelle in cui la persona di riferimento è occupata e di un aumento in quelle in altra condizione.
  Ai progressi sull'occupazione che ho richiamato in precedenza si associa un netto miglioramento del tasso di mancata partecipazione al mercato del lavoro, che comprende anche le forze di lavoro potenziali. L'indicatore nel 2017 si attesta al 20,5 per Pag. 8cento, in diminuzione per il terzo anno consecutivo.
  La situazione di espansione occupazionale non ha, però, interessato le donne con figli in età prescolare, che faticano a conciliare tempi di lavoro e di cura. Il rapporto tra il tasso di occupazione delle donne con figli in età prescolare e di quelle senza figli, dopo cinque anni di aumento, diminuisce per il secondo anno consecutivo. Si conferma, dunque, la maggiore vulnerabilità delle madri nel mercato del lavoro.
  Anche sul fronte della sicurezza, secondo le anticipazioni fornite dal Ministero dell'interno per il 2017, si segnala un miglioramento. I reati predatori (furti in abitazione, borseggi e rapine) scendono, rafforzando il trend decrescente avviatosi dopo il picco del 2013-2014. Un segnale positivo proviene dalla durata dei procedimenti civili, che scende a 445 giorni, mentre era di 460 all'anno precedente. Tale andamento può essere ascritto al calo complessivo delle iscrizioni, dei pendenti medi per ufficio e dell'arretrato ultratriennale.
  Sul piano ambientale, dopo la sensibile flessione degli anni precedenti, la stima per il 2017 prevede un incremento delle emissioni di tonnellate di CO2 e altri climalteranti per abitante, cui ha contribuito la ripresa produttiva. L'indice di abusivismo edilizio, invece, ha continuato a diminuire.
  Tra gli altri indicatori, vorrei citare quello relativo al sistema di istruzione, monitorato attraverso l'indicatore europeo di abbandono scolastico precoce, per il quale si interrompe la dinamica di costante diminuzione che aveva consentito all'Italia di raggiungere l'obiettivo nazionale per il 2020 già nel 2014, pur rimanendo ben al di sopra dell'obiettivo dell'Unione, che è il 10 per cento. Nel 2017 l'indicatore registra, infatti, un valore del 14 per cento, sostanzialmente costante rispetto all'anno precedente.
  Infine, la speranza di vita in buona salute ha registrato un sensibile aumento nel periodo 2009-2012 per poi rimanere sostanzialmente costante. Nel 2017, un nuovo nato può contare di vivere in buona salute fino a 59,6 anni, se è maschio, e 57,5 anni, se è femmina.
  Mi avvio alla conclusione. Vorrei rinnovare in questa audizione la piena disponibilità e l'impegno dell'Istituto a fornire il supporto necessario ai cittadini e ai decisori pubblici per la comprensione dell'analisi delle trasformazioni dell'economia e della società. Ricordo a tale proposito che il prossimo 16 maggio verrà presentata in Parlamento, presso la Sala della Regina della Camera dei deputati, la ventiseiesima edizione del Rapporto annuale dell'ISTAT, che quest'anno analizza le caratteristiche e le condizioni del Paese attraverso la chiave di lettura delle reti economiche e sociali, e colgo l'occasione per invitare voi tutti alla presentazione. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente dell'ISTAT per la relazione. Do la parola ai colleghi per i loro interventi e, possibilmente, per porre domande, in modo tale che, al termine, il presidente possa fare una replica generale complessiva a tutte le domande che sono state poste.

  GILBERTO PICHETTO FRATIN. Ringrazio il presidente dell'ISTAT per l'audizione, per la comunicazione e per l'analisi che ha prospettato.
  Peraltro, emerge una situazione di chiaroscuri complessiva, sia rispetto all'analisi del passato che rispetto della contestualizzazione; parliamo del primo trimestre del 2018. C'è, però, il fatto che i dati positivi del recente passato sono meno positivi di quelli delle economie mondiali, anche solo rimanendo nell'area delle economie dell'euro. Siamo, quindi, in una condizione da fanalino di coda rispetto agli altri Paesi europei, senza allargarsi per andare a prendere in considerazione economie che viaggiano addirittura quasi sull'orlo delle doppie cifre perché quelle sono altre valutazioni, che partono dal basso, dove è più facile anche fare la doppia cifra.
  È chiaro che, però, da tutto questo emerge la creazione di una forbice, che può essere standardizzata: qualcuno è sempre più ricco e qualcuno sempre più povero. C'è, quindi, una grossa divaricazione ed è venuto meno anche quello che era il concetto di media, che ha caratterizzato questo Pag. 9 Paese per anni e che continua a non emergere – ma questa è anche una parte della domanda – rispetto a una situazione statica, dove possiamo avere lo 0,1 in più, ma lo 0,1 (e non l'1) corrisponde a 2 miliardi o 2 miliardi e mezzo, quindi una cifra irrisoria. Vorrei ricordare che in questo Paese basta che sia sabato 30 dicembre e domenica 31 dicembre e io ho spostato più dei 2 miliardi rispetto all'indicatore annuo di sistema.
  I nodi del Paese rimangono i soliti e lo noto anche nella fotografia dell'ISTAT. Certamente, mi rendo conto che la fotografia dell'ISTAT è uno stato, quindi l'Istituto di statistica dà dei risultati rispetto alle analisi, ma manca la proposta o meglio manca l'indicatore dei grandi nodi che continuiamo ad avere come Paese e che ci portano e hanno portato i vari Governi – peraltro, di una parte e dell'altra, anche perché la mia domanda non vuole essere puramente di parte – a intervenire con iniziative tampone e iniziative di emergenza. Quando in questo Paese si discute sui 29 anni o sui 32 anni per le agevolazioni alle misure del lavoro dei giovani, è un provvedimento tampone perché, probabilmente, dovrebbero essere a standardizzazione di tutti. È chiaro che, se metto a 32 anni il limite, quello di 33 anni è un penalizzato immediatamente, quindi favorisco alcuni rispetto ad altri per creare qualche condizione di tamponamento.
  Ora chiedo, rispetto a questo quadro e rispetto al raffronto fatto con le altre economie che l'ISTAT ha giustamente indicato, sia dell'area euro che dell'area extra euro, secondo quanto emerge dall'analisi dell'Istituto di statistica, quali sono i grandi nodi del Paese, al di là della contingenza dell'eventuale turbolenza politica?

  LUIGI MARATTIN. Ho solo una domanda specifica per il presidente dell'ISTAT o per i suoi collaboratori. Vorrei sapere a che punto è l'interlocuzione con Eurostat per l'eventuale mutamento del criterio di classificazione in contabilità nazionale della spesa in conto capitale, che, come sappiamo, finora è sempre stato fatto per cassa, ma, dall'introduzione della contabilità armonizzata in poi, come lei ricorderà, avevamo provato a immaginare un cambiamento di criterio verso la competenza finanziaria rafforzata. Questo per riuscire a riconciliare il divario degli ultimi anni fra impegni degli investimenti e pagamenti di cassa, ovviamente nel rispetto delle regole contabili Eurostat.
  Lo dico perché anche nell'audizione di ieri del Ministro Padoan e mi pare anche nella vostra relazione si evidenzia come la componente di domanda aggregata, che manca veramente per colmare il gap di crescita con le altre economie europee, sia quella relativa agli investimenti. Volevo capire quindi se l'interlocuzione con Eurostat sia proseguita e cosa manca per arrivare alla definizione del nuovo criterio di contabilizzazione in contabilità nazionale.

  PRESIDENTE. Grazie. Una comunicazione: ci sono tanti colleghi che hanno chiesto di intervenire, ma noi abbiamo a disposizione ancora circa un quarto d'ora, perché alle 11 è prevista l'audizione dei rappresentanti della Banca d'Italia. Faccio intervenire tutti, ma ovviamente ci deve essere un lasso di tempo per le repliche, quindi vi chiedo cortesemente di limitarvi unicamente alle domande.

  ANTONIO MISIANI. Prima domanda, clausole di salvaguardia: quale impatto presumibilmente avrebbero sull'inflazione, visto il quadro assai fiacco della dinamica dei prezzi che emerge dalla relazione?
  Seconda domanda, la povertà assoluta: apprezzamento per la stima anticipata, perché è un tema di grande importanza nel dibattito pubblico, ma ricordo che dal 2018 è entrato in vigore il reddito di inclusione (REI), che va potenziato e rafforzato, e che però inizia ad avere uno stanziamento di 2 miliardi di euro. Chiedo quindi se c'è una stima di impatto di questa misura, se sia in condizione di invertire questo trend preoccupante che riguarda il dato della povertà assoluta.
  Ultima domanda, indicatori di benessere equo e sostenibile (BES): chiedo se ritenete sufficiente il set di 12 indicatori su cui stiamo ragionando o riteniate invece opportuno un ampliamento di questi indicatori, Pag. 10 per dare un quadro ancora più utile ai decisori pubblici.

  ADOLFO URSO. Vorrei soffermarmi sui dati di fondo strutturali, quindi su quello che emerge dalla sua relazione in merito alla crescita della povertà nel nostro Paese, soprattutto delle famiglie in povertà. Per questo le vorrei chiedere se in questo campo i bonus realizzati ormai da quattro anni abbiano comportato dei benefici.
  Secondo aspetto: mi vorrei informare sull'aspetto strutturale, che è quello della demografia. Nella relazione non se ne parla, ma vorrei chiederle quali sono le prospettive sulla demografia italiana laddove nella medesima relazione emergono dati estremamente negativi, il primo dei quali riguarda la vulnerabilità delle madri nel mercato del lavoro. Vorrei chiederle un suo giudizio su quello che è stato fatto in questi anni e se abbia portato beneficio alle madri sul luogo del lavoro e quindi all'indice demografico del Paese.
  Terza domanda, o comunque terza prospettiva, è sulla produttività delle imprese e sulla dinamica degli investimenti esteri in Italia. Un rapporto che ho letto qualche mese fa dice che le imprese straniere che comprano in Italia, secondo il rapporto ISTAT, se ben ricordo a memoria, licenziano il 18 per cento dei dipendenti nel primo anno, e un secondo dato evidenzia che le imprese acquisite da capitale straniero hanno un disavanzo commerciale significativo, evidenziato dal fatto che contribuiscono al 45 per cento dell’import e solo al 26 per cento dell’export.
  Vorrei chiederle a cosa venga attribuito questo dato di divario commerciale molto ampio a fronte di un Paese invece positivo sul fronte dell’export.

  GIOVANBATTISTA FAZZOLARI. Un aspetto puramente tecnico: tutti i nostri dati statistici partono dall'età di 15 anni, in particolare il tasso di disoccupazione giovanile 15-24 è quello che desta giustamente la maggiore attenzione e la maggiore preoccupazione, ma il parametro di riferimento all'età di 15 anni appare obsoleto rispetto alle dinamiche sociali e lavorative nelle quali ci troviamo. In particolare, dal 2006 l'obbligo scolastico è stato portato a 16 anni, perché abbiamo dieci anni obbligatori, dai 6 ai 16 anni nella migliore delle ipotesi, molto spesso oltre i 16 anni.
  Al di là dei dati forse non precisi per quello che ci serve, questo rischia di falsare la fotografia sulla quale si focalizzano delle scelte politiche; in particolare personalmente reputo il tasso di disoccupazione giovanile che siamo abituati a commentare privo di ogni riferimento reale all'economia italiana.
  La domanda è quindi perché continuiamo ad avere come riferimento l'età di 15 anni (immagino che non sia una scelta dell'ISTAT, ma sia dovuta ad altre imposizioni, magari anche a livello europeo), quindi se sia possibile porre questo problema nelle sedi adeguate e, qualora non fosse possibile, chiedere all'ISTAT uno sforzo aggiuntivo per sviluppare, oltre ai dati obbligatori, anche quelli con delle fasce di età più consone a fotografare la realtà del mondo economico e del lavoro.

  CLAUDIO BORGHI. Grazie, presidente. Volevo chiederle un chiarimento in merito alle entrate fiscali. Vedo nella sua relazione che nel corso della legislatura le entrate fiscali sono aumentate di circa 32 miliardi (è utile ricordarlo, magari evidenziamolo in qualche maniera perché tanta gente continua a dire che hanno tagliato le tasse, invece ci sono 32 miliardi di entrate in più).
  Mi aiuta però a trovare un raccordo con altre indicazioni che vengono date da parte dello Stato e che con una certa fatica riesco a conciliare? Perché vedo per esempio che nel 2016 come entrate di imposte dirette e indirette vengono segnati circa 490 miliardi, ma perché il Ministro Padoan ne dichiara circa 450 (sto leggendo il commento del ministro che dice «gettito record per il fisco nel 2016, incassati oltre 450 miliardi») e perché differiscono anche dai dati Banca d'Italia, che dichiara che nel 2015 le entrate fiscali sono in aumento del 6,4 per cento mentre vedo dai suoi dati un aumento, ma non del 6,4 per cento?
  Vi ricordate la revisione piuttosto grande del 2014, quando il PIL venne assegnato come in progresso dello 0,1 per cento rispetto Pag. 11 a una recessione che era stata assegnata per tanto tempo? Lo 0,1 per cento di PIL se non ricordo male è circa 1,5 miliardi; perché a fronte di quell'incremento qui vedo una pressione fiscale in calo quando c'è un aumento delle entrate fiscali abbastanza sostenuto nel 2014 a fronte di un PIL grossomodo invariato e la pressione fiscale viene indicata in calo?

  DANIELE PESCO. Volevo solo chiedere se l'ISTAT sia disponibile a supportare il lavoro dell'Ufficio di valutazione dell'impatto delle misure economiche anche attraverso un approfondimento sui BES.

  GIUSI BARTOLOZZI. Presidente, anch'io sarò molto rapida. Apprezzo la relazione, però leggo di rilevazioni dei dati statistici che riguardano l'occupazione per ripartizione geografica, e io batto sulla questione meridionale, perché dalla rilevazione che voi fate nel Mezzogiorno ci fermiamo a Chieti, L'Aquila e Teramo. Allora, chiederei se potesse indicarci le percentuali delle principali aree metropolitane del Sud (Palermo, Oristano, Cagliari) e anche dei centri di maggiori disoccupazione al Sud come la mia provincia, che è quella di Agrigento, e anche in questo caso Oristano e Catanzaro. Mi farebbe piacere conoscerli.
  Inoltre, sempre per quanto riguarda la Sicilia, l'ISTAT a dicembre ha dimezzato il PIL della Sicilia 2015-2016, nonostante la fine del ciclo di programmazione. Vorrei sapere quali sono, a suo giudizio, le ragioni di questa sostanziale influenza dell'investimento dei fondi europei, nonostante la debolezza dell'economia.

  GIANLUCA BENAMATI. Ho tre questioni molto veloci da porre. Il documento che ci ha presentato l'ISTAT verifica e mostra, da una prima lettura da parte nostra, risultati positivi di questo periodo, con indicatori spesso in crescita o comunque in miglioramento. Certamente vi sono ancora questioni aperte, ma il tema è sul tavolo ed è facilmente leggibile.
  Io, come detto, ho tre questioni da porre. Riferendomi alla pressione fiscale, anch'io sono interessato a un'indicazione sul progresso delle entrate fiscali, che collego particolarmente all'aumento della ricchezza di questo Paese. C'è un incremento di 4,4 punti rispetto all'inizio della fase di ripresa dalla crisi. Ritengo che il dato percentuale faccia presente la possibilità di un aumento delle entrate dovuto a un aumento della ricchezza del Paese.
  La seconda questione riguarda l’export. Qui abbiamo discussioni molto forti. L’export è stato una delle colonne della tenuta del Paese in questi anni. Abbiamo un tema verso la Russia, ma soprattutto non molto evidente verso gli Stati Uniti. Mi pare di capire che il 9 per cento delle nostre esportazioni va verso quel Paese, che costituisce con 25 miliardi la metà del surplus commerciale della nostra bilancia economica.
  Io chiederei al presidente se ha qualche valutazione in merito a una possibile problematica commerciale con gli Stati Uniti, sia per le politiche che quella amministrazione sta immaginando sia per scelte della politica italiana.
  L'ultimo tema che è stato accennato, ma che è molto importante, è che all'inizio di quest'anno si sta manifestando una diminuzione della fiducia nel sistema Italia. Le famiglie hanno un indice di fiducia ancora positivo, mentre il sistema industriale sta mostrando una riduzione degli indici di fiducia nel periodo che abbiamo di fronte. Questo come può influire, visto anche che renderete un'indicazione generale tra poco, sulla ripresa costante e continua che c'è stata in questi anni della produzione industriale? Anche questo è stato un elemento di ripresa nel Paese.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola al presidente dell'ISTAT per la replica.

  GIORGIO ALLEVA, presidente dell'ISTAT. Grazie per i commenti e le domande che evidentemente abbiamo stimolato con la nostra presentazione. Proverò ad andare nell'ordine. Mi scuso se non riesco a essere esauriente su tutti gli elementi emersi. Peraltro, su qualcuno ci sarebbe bisogno di un approfondimento.
  Il senatore Pichetto Fratin affermava che l'Italia è fanalino di coda. Ricordiamo Pag. 12che l'Italia è stata colpita da questa grande crisi in maniera più profonda e più prolungata, per le debolezze strutturali su cui si è manifestata la recessione. Ricordo un andamento della produttività stagnante negli anni 1990, negli anni 2000, quindi naturalmente la crisi su elementi strutturali ha avuto un impatto importante. Questo spiega anche le difficoltà nel riuscire a riprendere agli stessi ritmi degli altri, senza essere riusciti a intervenire in profondità su alcuni di questi elementi strutturali.
  Con riferimento a questo aspetto, ricordo che certamente i nostri risultati positivi e anche molto positivi conseguiti negli ultimi anni sono dovuti essenzialmente alla ripresa degli investimenti, una ripresa importante che ha riguardato, tuttavia, in misura preminente macchinari e attrezzature, quindi il capitale fisico delle imprese. Questo è un tema naturalmente molto importante, ma il tema che può spiegare velocità diverse con l'Europa riguarda investimenti sulle componenti immateriali. Il tema sono gli investimenti in ricerca e innovazione, investimenti che facilitino l'introduzione di innovazioni nelle imprese e che prevedano, quindi, una consapevolezza dell'importanza della trasformazione digitale come elemento di competitività. Quindi, a fronte di questi investimenti in macchinari e attrezzature, c'è un'altra parte rilevante che può spiegare una dinamica della produttività che deve senz'altro migliorare, che è relativa al capitale umano, alle competenze, quelle necessarie per poi introdurre innovazioni.
  Su questo l'ISTAT, che rimane un istituto che coglie quanto successo, ha offerto analisi, per esempio nell'ultimo rapporto di competitività, su questi elementi e anche sulle debolezze del nostro sistema produttivo con riferimento alla transizione digitale.
  Dunque, certamente questo tema della produttività e competitività è un tema importante, che può consentire di ridurre il gap con le dinamiche degli altri Paesi. Si tratta di pensare a uno shift degli investimenti, non solo sul piano del capitale materiale, ma anche sul piano di quello immateriale. Questo presuppone naturalmente il sistema dell'educazione e tanti altri elementi.
  Temi centrali sono certamente i livelli di istruzione, delle conoscenze e delle competenze, la capacità delle imprese di acquisirli, investirci e modificare processi produttivi, di innovare sui prodotti. Su questo c'è da fare. Naturalmente questo riguarda le debolezze sul fronte economico, ma, se dobbiamo fare riferimento in generale a ritardi rispetto all'Europa, ricordo che anche sui temi che abbiamo presentato oggi ci sono delle differenze importanti sui tassi di partecipazione al mercato del lavoro, sulla partecipazione in particolare delle donne, il ritardo con cui i nostri giovani si inseriscono nel mercato del lavoro, come ci sono ritardi nei livelli d'istruzione di cui sopra. Dunque, il tema lavoro e educazione è naturalmente un altro tema fondamentale su cui ridurre questi divari, che naturalmente hanno un impatto importante sulla competitività del nostro sistema produttivo.
  D'altra parte, abbiamo anche divari positivi. A fronte dell'invecchiamento, abbiamo un Paese che vede ancora con continuità miglioramenti sul fronte della sopravvivenza e anche qualche miglioramento sulla sopravvivenza in buona salute.
  Sulla questione dei nodi vorrei ricordare un altro elemento che più volte abbiamo sottolineato in queste occasioni: gli interventi vanno pensati e bisogna dargli continuità, quindi una cosa importante è avere una visione delle strategie per cui gli interventi vengono perseguiti con convinzione e continuità e insieme agli interventi vanno progettate le modalità di implementazione degli interventi stessi. Questo è un tema di cui si è parlato anche ieri. A fronte di risorse stanziate, dobbiamo essere in grado di utilizzarle e, quindi, di dare operatività alle scelte politiche e agli interventi. A questo proposito è fondamentale anche disegnare dei monitoraggi di questi interventi, in modo da capire come garantire il loro successo.
  Sulla questione, sollevata dall'onorevole Marattin, dell'interlocuzione con Eurostat, chiederò a breve di intervenire al nostro direttore della contabilità nazionale. È un tema su cui abbiamo anche collaborato con Pag. 13la Presidenza del Consiglio dei ministri negli scorsi anni. D'altronde, chiederò anche a Gian Paolo Oneto qualche elemento con riferimento alla questione delle entrate fiscali e della pressione fiscale.
  Onorevole Misiani, abbiamo fatto una valutazione di quello che potrebbe essere l'impatto della mancata sterilizzazione delle clausole di salvaguardia con il nostro modello. In quel caso avremmo naturalmente un intervento che darebbe problemi al nostro tasso di crescita. Stimiamo intorno allo 0,1 per cento il minore incremento del prodotto interno lordo, risultato di una riduzione dei consumi delle famiglie dello 0,2, parzialmente controbilanciata da una riduzione dello 0,1 per cento delle importazioni.
  Su questa questione dell'inflazione poi chiederei, se il presidente lo consente, una puntualizzazione al dottor Bacchini. Abbiamo partecipato alla discussione sulle varie misure di contrasto alla povertà (il reddito di cittadinanza, il reddito minimo e il reddito di inclusione), su cui varrebbe la pena continuare la riflessione, alla luce dell'importanza che ha la valutazione dell'impatto di queste misure, in modo da disegnarle al meglio. In queste occasioni abbiamo anche valutato quali sono gli effetti sulla riduzione delle disuguaglianze, quindi tradizionalmente in quelle diverse audizioni che abbiamo avuto con le Commissioni parlamentari abbiamo anche stimato costo, dimensione delle platee e impatto stimato di quelle misure sulla misura della disuguaglianza, tipicamente l'indice di Gini.
  Come al solito ricordiamoci che tutte queste misure di contrasto alla povertà sono collegate a interventi a sostegno delle famiglie e degli individui in termini di trasferimenti monetari, ma sono accompagnate e associate in tutti questi disegni a misure sul fronte della politica attiva del lavoro, quindi ricordiamoci che poi tutti questi effetti vanno visti su due elementi del successo di queste misure: riuscire a garantire trasferimenti alle persone che sono in quelle condizioni e, nello stesso tempo, accompagnare in percorsi di inclusione quelle persone. Il monitoraggio, il disegno e il successo di queste misure devono basarsi su due gambe, quindi, anche per valutare gli effetti, bisogna sempre tenere conto di entrambi gli elementi. L'Istituto è disponibile ad approfondire questi temi anche con i modelli che ha messo in piedi per la loro valutazione.
  Siamo naturalmente soddisfatti che gli indicatori BES siano entrati in queste occasioni importanti. C'è un comitato che con parsimonia ha individuato dodici indicatori e ritiene che la parsimonia sia un valore, non solo per la solidità dell'infrastruttura, ma anche per consentire un dibattito approfondito, in modo che non sia disperso su tanti aspetti. Crediamo che, tuttavia, questa sia una valutazione che vada aggiornata nel tempo perché, da una parte, è tipico del benessere che deve essere rappresentativo della sensibilità di una collettività in un certo momento e, poi, perché anche per le possibilità offerte dal miglioramento della capacità produttiva del sistema statistico nazionale si può migliorare; quindi l'idea è comunque di dare dinamismo a questa questione, migliorandola soprattutto sul fronte delle disaggregazioni per avere elementi anche per segmenti della società dell'apparato produttivo e così via. Comunque, siamo aperti anche a valutare insieme agli altri componenti un eventuale allargamento.
  Quello della demografia è un tema grande. La demografia è una previsione facile: il presente condiziona il futuro, che si può scrivere con una certa facilità, quindi gran parte di questa riduzione della natalità che abbiamo ormai da tanti anni è dovuta semplicemente al fatto che si è assottigliato il contingente di donne in età feconda. Il risultato di questa riduzione della natalità, che insieme all'invecchiamento fa sì che si crei questo squilibrio generazionale, con impatti naturalmente sul sistema lavoro, sul welfare eccetera, è collegato con il fatto che ci sono meno donne, quindi le generazioni baby boomer si stanno spostando, via via, a età più mature, quindi stanno uscendo dalla età feconda, e che poi andranno a impattare sui tassi di invecchiamento. Noi ci aspettiamo, come abbiamo anche scritto nelle Pag. 14previsioni, che ci sarà un aumento dell'invecchiamento perché c'è questo contingente importante di popolazione che si sposta in alto.
  Allora, tre quarti della riduzione dei nati è dovuta a una questione strutturale: le classi di età delle donne in età feconda. Detto questo, abbiamo, però, un quarto su cui possiamo intervenire, che è la propensione alla genitorialità, quindi, in quel caso, vanno applicate politiche e così via.
  I tempi per avere impatti sono non immediati, ma, quando ci sono questioni strutturali che presuppongono anni di tempo, sono i più urgenti e sono quelli su cui muoversi prima, con continuità e convinzione; quindi il fatto che poi su queste questioni ci sia bisogno di tempo non vuol dire che non siano urgenti, anche perché, se guardiamo gli effetti che hanno ottenuto altri Paesi, sono effetti avuti nel corso del tempo, con politiche che, con continuità, sono andate nella stessa direzione. Certamente, questo tema va affrontato su varie questioni, di cui una è quella della partecipazione della donna al mercato del lavoro. Abbiamo tanti elementi che abbiamo offerto alla discussione su questi temi.
  Sul tasso di occupazione 15-24 anni, come ha ricordato il senatore Fazzolari, queste classi di età tipicamente sono dovute a standard internazionali. Per noi le definizioni, i concetti e le classificazioni sono delle cose fondamentali per la misurazione – e le condividiamo insieme agli altri – e sono il risultato di sensibilità, ma anche di quadri istituzionali diversi nei vari Paesi del mondo. Quelle classi di età sono quelle concordate a livello internazionale, ma questo non toglie, com'è stato ben segnalato, che poi bisogna essere capaci di utilizzare altre classificazioni al di là di quelle ordinate dal dottore, che devono essere in grado di farci leggere la realtà nazionale.
  L'ISTAT fornisce informazioni per classi di età diverse rispetto a queste, come segnala sempre che, a fronte di quegli elevati tassi di disoccupazione giovanile intorno al 30 per cento, poi la probabilità di incontrare un giovane che sia disoccupato è solo il 10 per cento perché, in realtà, quel giovane non sta cercando lavoro occupato, ma è uno studente – per fortuna, aumenta il numero di persone che proseguono gli studi – e quel tasso dal punto di vista della popolazione è assai più ridotto.
  Questo non toglie che, tuttavia, si può migliorare il quadro della narrazione nel mercato del lavoro rispetto ai giovani, considerando altre classi di età. È la direzione che ha preso l'istituto in tanti altri settori quella di classificare le cose al di là dei regolamenti internazionali.
  Su entrate fiscali e pressione fiscale, cederò rapidamente la parola a Gian Paolo Oneto.

  PRESIDENTE. Vi chiederei di sintetizzare ulteriormente perché siamo andati oltre i tempi massimi che ci siamo programmati.

  GIORGIO ALLEVA, presidente dell'ISTAT. Va bene. Allora, mi dispiace di non completare il quadro delle risposte. Abbiamo fornito dati a livello provinciale sui principali indicatori del mercato del lavoro, per cui vediamo, eccome, quali sono i problemi di Agrigento. Il 13 luglio presenteremo un grande avanzamento di informazione territoriale in Istituto: un frame territoriale che consentirà di leggere le principali variabili economiche con un dettaglio territoriale inaudito rispetto alla produzione dell'ISTAT corrente.
  Se il presidente acconsente, cederei la parola a Gian Paolo Oneto.

  PRESIDENTE. Se eventualmente ci sono alcune risposte che non è riuscito a dare, le chiedo se ci può far pervenire una nota scritta, in modo tale che i deputati interessati possano trovare riscontro rispetto alla domanda formulata.
  Cedo la parola al dottor Gian Paolo Oneto.

  GIAN PAOLO ONETO, direttore centrale per la contabilità nazionale dell'ISTAT. Riguardo alla domanda sulla questione della contabilizzazione degli investimenti, non abbiamo ancora fatto il salto alla contabilizzazione per competenza per le amministrazioni locali, in particolare comuni, regioni Pag. 15 e province, perché per il dato 2016, che è il primo basato sul nuovo piano dei conti, è naturalmente il primo anno e, per certi versi, c'è una caratteristica di provvisorietà in termini di qualità rispetto ai nuovi criteri; quindi stiamo discutendo con Eurostat quanto questo primo dato possa essere considerato adatto, però la discussione va avanti e probabilmente con i dati del 2017 riusciremo a fare questo passaggio.
  Molto brevemente sulla questione della pressione fiscale. Naturalmente ci sono definizioni diverse: se uno guarda la tavola cui si riferiva il nostro interlocutore, uno può vederla da vari punti di vista. Un conto è il totale delle entrate perché, naturalmente, nel totale delle entrate ci sono componenti che sono fiscali e componenti non fiscali, quindi le eventuali differenze, anche rispetto a dichiarazioni di Padoan e a dati della Banca d'Italia, sono essenzialmente nelle definizioni che si utilizzano. Noi usiamo una definizione di pressione fiscale che è ben documentata sui nostri comunicati stampa e che esclude alcune poste delle entrate: mette dentro imposte dirette, imposte indirette, contributi sociali, imposte in conto capitale e non altre entrate perché consideriamo che non siano pressione fiscale in senso stretto. Appunto, la definizione è scritta su ogni nostro comunicato.
  Faccio questa ultima annotazione: la variazione della pressione fiscale nel 2014 rispetto al 2013 è negativa, perché le entrate, in particolare le entrate contabilizzate nella pressione fiscale, sono cresciute un pochino, ma il PIL nominale (perché il denominatore è il PIL nominale) nel 2014 è cresciuto di oltre l'1 per cento, di quasi 20 miliardi, quindi la variazione del PIL reale è stata molto più piccola, ma la pressione fiscale si fa con il PIL nominale.
  In generale i parametri fiscali hanno come denominatore il PIL nominale, quindi ciò che conta è la dinamica del PIL nominale. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Ringrazio il presidente dell'ISTAT e tutti i suoi collaboratori per il contributo apportato a questa importante audizione.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti
della Banca d'Italia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti della Banca d'Italia.
  Ringrazio per la presenza il vice direttore generale Luigi Federico Signorini, il capo del dipartimento economia e statistica, Eugenio Gaiotti, il capo della divisione finanziaria pubblica, Stefania Zotteri, e il capo della divisione stampa, Giampaolo Bargellini.
  Do la parola al vice direttore generale della Banca d'Italia, Luigi Federico Signorini.

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, vice direttore generale della Banca d'Italia. Grazie, presidente, onorevoli deputati e senatori. Ringrazio le Commissioni riunite per aver invitato la Banca d'Italia a questa audizione nell'ambito dell'esame del Documento di economia e finanza 2018.
  Il documento di quest'anno prevede un quadro tendenziale per lo scenario macroeconomico e per i conti pubblici, ma non, come normalmente accadeva, un quadro programmatico. Prenderò in primo luogo in esame gli andamenti a legislazione vigente, come delineati dal DEF, e approfitterò per riprendere le considerazioni che ho esposto in altre occasioni nel corso degli ultimi anni, soffermandomi sugli andamenti e le prospettive del debito pubblico.
  Parto dal quadro macroeconomico. La congiuntura italiana continua ad approfittare del favorevole contesto internazionale, dell'orientamento monetario molto accomodante e di condizioni finanziarie complessivamente distese.
  Il prodotto interno lordo dell'Italia è aumentato dell'1,6 per cento nel 2017 e ha continuato a espandersi nel primo trimestre di quest'anno a un ritmo simile a quello medio della seconda metà dello scorso Pag. 16anno, grazie soprattutto al buon andamento del settore dei servizi.
  Nella prima parte dell'anno in corso si sono visti alcuni segnali di rallentamento dell'attività manifatturiera in particolare. La produzione industriale è diminuita in gennaio e febbraio, erodendo l'aumento di dicembre e tornando in prossimità dei valori dell'inizio dell'autunno.
  Sembra essersi interrotta la tendenza all'aumento degli indici di fiducia delle imprese, che rimangono tuttavia in prossimità dei livelli più elevati degli ultimi dieci anni. Anche gli indici dei responsabili degli acquisti sono recentemente diminuiti in tutti i comparti, pur rimanendo su livelli che sono compatibili con una fase di moderata espansione dell'economia.
  Questo indebolimento dell'attività industriale e dell'attività manifatturiera potrebbe essere temporaneo. Le nostre stime, che sfruttano le informazioni disponibili quasi in tempo reale su alcuni indicatori legati all'attività manifatturiera, come i consumi elettrici e come i flussi di trasporto, suggeriscono che ci possa essere stato almeno un parziale recupero della produzione industriale nel corso del mese di marzo e indicazioni analoghe provengono dai sondaggi e dalle previsioni di Confindustria.
  Nei sondaggi presso le imprese, quest'ultime continuano a esprimere giudizi positivi circa le condizioni per investire. Come è stato ricordato anche nell'audizione precedente, l'aumento degli investimenti è stata una delle caratteristiche della ripresa in atto.
  Nel mercato del lavoro, dopo una battuta d'arresto alla fine del 2017, l'occupazione ha ripreso a crescere, soprattutto nella componente giovanile.
  Nel bollettino economico che abbiamo pubblicato in gennaio prevedevamo un aumento del prodotto interno lordo per quest'anno dell'1,4 per cento e dell'1,2 per cento sia nel 2019 sia nel 2020. Continuiamo a ritenere che questo sia lo scenario più probabile, però è aumentato il rischio di una minore crescita, anche in relazione all'andamento osservato dell'economia e agli sviluppi internazionali, come sottolinea anche il DEF.
  Al di là dell'Italia, i più recenti indicatori economici sono stati per lo più deludenti nella maggior parte dei principali Paesi avanzati. L'introduzione di tariffe su alcune importazioni statunitensi sta accrescendo il timore di un'accentuazione generalizzata degli orientamenti protezionistici. L'incertezza sulle prospettive del commercio mondiale potrebbe trasmettersi ai mercati finanziari e alla fiducia delle imprese e delle famiglie, scoraggiando investimenti e consumi. Il nostro Paese, che ha una struttura produttiva assai orientata ai mercati internazionali, ne risentirebbe.
  Lo scenario macroeconomico del DEF prevede una crescita del PIL pari all'1,5 per cento quest'anno e un leggero rallentamento nel prossimo biennio. Per il 2018 si tratta di stime che sono in linea con quelle di tutti i principali previsori. Per i prossimi due anni le previsioni ufficiali si collocano in prossimità dell'estremo superiore dell'intervallo delle stime attualmente disponibili.
  Nel 2017 l'indebitamento netto è diminuito dal 2,5 al 2,3 per cento del prodotto interno lordo; al netto degli effetti temporanei connessi con i provvedimenti a sostegno del sistema bancario, il miglioramento del disavanzo sarebbe stato di circa mezzo punto percentuale. L'avanzo primario è rimasto stabile all'1,5 per cento del prodotto interno lordo. La spesa per interessi è diminuita dal 4 al 3,8 per cento, il livello più basso degli ultimi quarant'anni.
  Sia le entrate complessive sia le spese primarie si sono ridotte di tre decimi di punto percentuale del prodotto interno lordo. In termini nominali, le entrate sono aumentate dell'1,5 per cento, grazie soprattutto al buon andamento delle imposte indirette e dei contributi sociali. Le imposte dirette sono cresciute in misura inferiore.
  È proseguito in proporzione non trascurabile (5-6 per cento) il calo degli investimenti pubblici iniziato nel 2010. La loro incidenza sul PIL è stata pari al 2 per cento, valore tra i più bassi dell'area dell'euro. Le spese primarie correnti hanno continuato a crescere in misura molto contenuta, Pag. 17 nettamente inferiore alla crescita del PIL.
  La spesa per interessi è diminuita per il quinto anno consecutivo. L'effetto dell'aumento del debito è stato più che compensato da quello della riduzione del tasso d'interesse medio, che ha continuato a beneficiare del basso costo dei titoli di nuova emissione, il cui rendimento è inferiore di circa due punti all'onere medio del debito esistente. Il peso del debito sul prodotto interno lordo è diminuito di due decimi di punto, portandosi, alla fine dell'anno, al 131,8 per cento. Dopo essere aumentato in misura significativa all'inizio della crisi, esso si è stabilizzato negli ultimi tre anni, pur su valori tuttora molto elevati nel confronto con gli altri maggiori Paesi dell'area dell'euro.
  Per il triennio 2018-2020 le previsioni a legislazione vigente contenute nel DEF confermano sostanzialmente il quadro programmatico delineato nella Nota di aggiornamento dello scorso settembre.
  Nel 2018 l'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche si ridurrebbe dal 2,3 all'1,6 per cento del PIL, un valore in linea con l'obiettivo indicato in autunno. Il miglioramento deriverebbe da un'ulteriore riduzione della spesa per interessi dal 3,8 al 3,5 per cento del prodotto interno lordo, nonché dall'ampliamento dell'avanzo primario dall'1,5 all'1,9 per cento.
  Nei prossimi anni la spesa per interessi rimarrebbe costante in rapporto al prodotto interno lordo (al 3,5 per cento). Il saldo del bilancio migliorerebbe con continuità, riflettendo un crescente avanzo primario, dal 2,7 per cento del 2019 sino al 3,7 del 2021. Tra due anni il bilancio sarebbe in pareggio e nel 2021 si avrebbe un lieve avanzo.
  L'inasprimento delle imposte indirette previsto dalla legislazione vigente, le cosiddette «clausole di salvaguardia», contribuisce in misura significativa all'aumento dell'avanzo primario, per lo 0,7 per cento del PIL nel 2019 e per un punto percentuale, cioè con un ulteriore aumento dello 0,3 per cento, dal 2020.
  A meno di interventi legislativi, dal prossimo gennaio, infatti, l'aliquota intermedia dell'IVA salirà, come è noto, dal 10 all'11,5 per cento, quella ordinaria dal 22 al 24,2 per cento. La prima arriverà al 13 per cento nel 2020, la seconda al 24,9 per cento nel 2020 e al 25 per cento nel 2021.
  L'aumento dell'avanzo primario nelle stime del Governo è dovuto anche alla previsione che la spesa, così come negli ultimi anni, cresca a un tasso decisamente inferiore a quello del prodotto interno lordo. In linea con il criterio della legislazione vigente anziché delle politiche invariate, la previsione si limita a fotografare gli effetti delle norme in vigore. Non include, ad esempio, l'onere di un rinnovo del contratto dei dipendenti pubblici.
  Il debito comincerebbe a scendere nettamente in rapporto al PIL: nel 2018 esso calerebbe di un punto, al 130,8 per cento; negli anni successivi la discesa sarebbe più rapida (quasi tre punti di prodotto interno lordo all'anno in media); alla fine del 2021 l'incidenza del debito sul prodotto interno lordo si attesterebbe al 122 per cento.
  In rapporto al prodotto interno lordo, il debito pubblico italiano è elevato sia nel confronto internazionale sia rispetto al passato. Nell'area dell'euro esso è inferiore solo a quello greco. È superiore, rispettivamente, di 68, 35 e 34 punti percentuali a quello della Germania, della Francia e della Spagna e di 51 punti a quello medio del resto dell'area euro.
  Fra il 2007 e il 2014 il debito italiano è aumentato di circa 30 punti percentuali del PIL. L'incremento è stato essenzialmente determinato dalla doppia profonda recessione di quegli anni. Già prima della crisi, però, il nostro debito si collocava su livelli considerevoli. Nel 2007 era prossimo al 100 per cento, 42 punti percentuali al di sopra della media del resto dell'area euro.
  Anche se fondamentalmente solvibili, i Paesi molto indebitati sono comunque esposti al rischio di crisi di liquidità. Dato l'ingente ammontare di titoli da collocare periodicamente sul mercato, nell'ordine di 400 miliardi di euro l'anno, nel nostro Paese fluttuazioni nella fiducia degli investitori possono tradursi in sensibili variazioni dei costi di finanziamento. Basti pensare Pag. 18 ai momenti più difficili della crisi dell'euro.
  Il differenziale tra il rendimento dei titoli pubblici decennali italiani e quelli tedeschi, che nella prima metà del 2011 era ancora, in media, pari a 160 punti base, raggiunse quasi 500 punti in media nell'ultimo bimestre di quell'anno, con punte anche superiori.
  Risulta, inoltre, molto limitato il margine di bilancio per politiche di stabilizzazione macroeconomica, nel caso in cui il ciclo peggiori significativamente. Questo non è un punto solo teorico: lo abbiamo drammaticamente vissuto in quella stessa congiuntura, quando, per evitare che il rapido aumento dello spread sui titoli di Stato italiani innescasse un circolo vizioso potenzialmente destabilizzante, insieme ai provvedimenti monetari della BCE fu inevitabile, sul piano interno, adottare una politica di bilancio restrittiva in un momento di congiuntura fortemente avversa.
  Su un orizzonte più lungo, la sostenibilità del debito pubblico italiano poggia in larga misura sulle riforme pensionistiche introdotte nell'arco dei decenni, che assicurano una dinamica degli esborsi in complesso gestibile nonostante l'invecchiamento della popolazione. Questo è uno dei punti di forza della finanza pubblica italiana ed è opportuno non indebolirlo, anche alla luce del fatto che le proiezioni più aggiornate sono oggi meno favorevoli delle precedenti. Il DEF rappresenta stime dell'evoluzione temporale del rapporto tra la spesa per pensioni e il PIL che incorporano il più recente scenario macroeconomico e demografico concordato in sede europea.
  Collocare in modo credibile il debito pubblico lungo il sentiero di una duratura visibile riduzione è un obiettivo che credo sia largamente condiviso. Il momento attuale è propizio per due ragioni: la positiva fase congiunturale e il permanere di condizioni finanziarie distese.
  Può essere utile a questo punto una rapida disamina dei meccanismi di fondo che governano l'evoluzione del rapporto tra il debito e il prodotto interno lordo nel tempo. Essa è sostanzialmente riconducibile a tre fattori: il differenziale tra l'onere medio del debito e il tasso di crescita nominale dell'economia, la dimensione del saldo primario di bilancio e gli incassi derivanti da operazioni di finanza straordinaria.
  Il rapporto fra il debito e il prodotto interno lordo ha una componente inerziale: tende a aumentare a causa degli esborsi per interessi dovuti sullo stock di debito accumulato in passato, che dipendono dal livello dell'onere medio del debito, e a ridursi, se è più alto il tasso di crescita nominale del prodotto interno lordo.
  Il differenziale tra l'onere medio e il tasso di crescita dell'economia, dopo avere raggiunto livelli particolarmente elevati negli anni della crisi, anche perché il tasso di crescita dell'economia era molto basso e negativo, nell'ultimo triennio si è riportato intorno all'1 per cento, pressoché in linea con la media del decennio precedente. Oggi, grazie ai rendimenti ancora bassi all'emissione e al rafforzamento della crescita, la dinamica sta diventando più favorevole e l'elevata vita media residua del debito (superiore a sette anni) può mitigare gli effetti sull'onere medio di eventuali aumenti dei tassi all'emissione, almeno nel breve-medio termine.
  Secondo le stime del DEF, per quest'anno e per i due successivi il differenziale dovrebbe essere negativo. Questa previsione sconta un graduale aumento dei tassi d'interesse e non sarebbe, dunque, messa in discussione da un'uscita ordinata dall'attuale regime di eccezionale accomodamento monetario. Essa, però, si fonda anche sull'assenza di tensioni significative sui mercati finanziari rispetto alle quali un grande debitore come la Repubblica italiana è particolarmente vulnerabile.
  Sebbene non si possa in generale escludere che questo rischio si concretizzi, magari per motivi legati alla situazione internazionale, l'avvio di un processo credibile di riduzione del debito consente, da un lato, di minimizzare la probabilità di una crisi idiosincratica innescata da timori specifici sull'Italia e, dall'altro, di mitigare le ripercussioni di eventuali tensioni che provenissero dall'esterno. Pag. 19
  La riduzione significativa del debito presuppone il conseguimento e il mantenimento di un ampio avanzo primario di bilancio. Un recente studio della Commissione europea, che analizza 27 episodi di riduzione del debito in Paesi dell'Unione e in altre economie avanzate tra il 1980 e il 2016, mette in evidenza che, in questi casi, l'avanzo primario è stato in media pari a circa il 3 per cento del prodotto interno lordo, con valori in genere più elevati per i Paesi che partivano da un livello di debito più alto.
  Nel quadro tendenziale presentato nel DEF, l'avanzo primario sale dall'1,5 per cento dell'anno scorso, via via, fino al 3,7 per cento previsto per il 2021, grazie a due fattori, il favorevole quadro congiunturale e il miglioramento del saldo strutturale (circa un punto percentuale del PIL), che, a sua volta, dipende da due cose: la contenuta dinamica della spesa primaria e, sostanzialmente in larga misura, l'aumento delle imposte derivanti dall'attivazione delle clausole di salvaguardia.
  Quanto alla finanza straordinaria, il suo contributo, cioè il contributo della vendita di attività reali e finanziarie delle amministrazioni pubbliche alla riduzione del debito pubblico italiano, è stato abbastanza rilevante tra la seconda metà degli anni Novanta e la prima metà dello scorso decennio, con introiti stimabili in poco meno di un punto percentuale del PIL in media all'anno. Da allora, esso si è notevolmente ridotto, collocandosi in media intorno allo 0,2 per cento del PIL.
  Date le dimensioni e, se vogliamo, almeno in alcuni casi, la strategicità del portafoglio di partecipazioni detenute dallo Stato e l'eterogeneità dei soggetti proprietari del patrimonio immobiliare pubblico (prevalentemente i comuni), verosimilmente nei prossimi anni i proventi delle operazioni di finanza straordinaria rimarranno su livelli relativamente contenuti.
  In conclusione, una significativa riduzione del debito pubblico nel medio termine può essere conseguita con un adeguato avanzo primario, raggiungendo e mantenendo il livello dell'avanzo primario ipotizzato a legislazione vigente nel DEF alla fine dell'orizzonte di previsione, cioè il 3,7 per cento del PIL. Con un tasso di crescita annuo intorno all'1 per cento e con l'inflazione al 2 per cento, coerentemente con l'obiettivo della BCE, e ipotizzando che l'onere medio del debito cresca gradualmente verso i valori osservati prima della crisi, il rapporto tra il debito e il PIL impiegherebbe circa dieci anni per riportarsi intorno al 100 per cento.
  È utile, infine, riflettere sulle possibilità che esistono di realizzare, fermo restando l'aggiustamento dei conti pubblici, una ricomposizione qualitativa del bilancio pubblico che favorisca la crescita, essenziale del resto anch'essa per ridurre il peso del debito. Non va, infatti, dimenticato che la riduzione del rapporto tra debito e PIL dipende non solo dal numeratore (il debito), ma anche dal denominatore (il PIL). Un ruolo centrale per le prospettive dell'economia può essere svolto dagli investimenti pubblici, che sono, come ho già osservato, in forte calo dal 2010 e che andrebbero selezionati sulla base di rigorose analisi dei costi e dei benefici e attuati riducendo sprechi e ritardi.
  Per il loro finanziamento sarebbe necessario individuare risorse aggiuntive, anche attraverso l'eliminazione di qualche spesa meno necessaria. La recente integrazione della spending review nelle procedure del bilancio dello Stato fornisce uno strumento per agevolare la riallocazione delle risorse. Questa innovazione può essere valorizzata e può essere rafforzata anche estendendo un simile approccio ad altre amministrazioni pubbliche, non solo allo Stato.
  Il processo di revisione della spesa potrebbe condurre a una riconsiderazione periodica delle strategie perseguite e dei costi sostenuti e in questo modo limitare gli effetti recessivi, che sono, invece, tipicamente connessi con tagli lineari di spesa.
  La logica del monitoraggio e della revisione sistematica è stata recentemente estesa anche alle cosiddette «spese fiscali», cioè al complesso delle agevolazioni che non fanno parte della struttura fondamentale delle imposte. I risparmi potrebbero essere conseguiti anche in questo ambito. Pag. 20
  Per quanto riguarda le entrate, com'è ricordato anche dalle istituzioni internazionali, il reperimento di risorse mediante inasprimenti fiscali a carico dei fattori della produzione, cioè capitale e lavoro, induce sia effetti recessivi di natura congiunturale sia effetti negativi di più lungo termine sulla capacità produttiva del Paese. Di contro, si reputa in letteratura che inasprimenti nella tassazione ordinaria della proprietà e del consumo tendano normalmente ad avere effetti relativamente più limitati sull'occupazione e, soprattutto nel medio periodo, sulla crescita.
  Resta fondamentale il contrasto all'evasione fiscale: i risultati non indifferenti ottenuti negli anni passati potrebbero essere consolidati con misure adeguate, traendo profitto dalle migliori esperienze nazionali e prassi internazionali.
  Signor presidente e onorevoli deputati e senatori, per ridurre davvero il debito pubblico, occorre mantenere un avanzo primario di bilancio di dimensioni adeguate per un periodo sufficientemente lungo. Ho ricordato, per fornire un ordine di grandezza, come con un avanzo primario dell'ordine del 3 o 4 per cento del PIL il debito si potrebbe ridurre al 100 per cento del prodotto interno lordo in circa un decennio, sotto certe ipotesi sulla crescita reale, sull'inflazione e sui tassi d'interesse.
  L'Italia ha, in effetti, realizzato avanzi primari di bilancio anche ben superiori: in media nell'ordine del 4 e mezzo per cento all'anno tra il 1995 e il 2000. Essi consentirono al nostro Paese di fare calare il debito pubblico di 12 punti percentuali in condizioni finanziarie meno favorevoli di quelle attuali. Altri Paesi ad alto debito hanno percorso la stessa strada.
  Dal 2013 l'incidenza della spesa per interessi si è ridotta ogni anno. Essa è oggi al minimo degli ultimi quarant'anni. Anche al termine dell'attuale regime di elevato accomodamento monetario, il processo continuerà per qualche tempo, se non perderemo la fiducia dei mercati. Un contributo importante deriva non solo dal livello ancora eccezionalmente basso dei tassi di interesse all'emissione, ma anche dal basso livello del differenziale tra l'onere medio per interessi e il tasso di crescita nominale del prodotto.
  A legislazione vigente, secondo le previsioni del DEF, l'avanzo primario raggiungerebbe il 3,7 per cento nel 2021. Questo risultato sconta una dinamica contenuta della spesa primaria e l'aumento dell'IVA, previsto dallo scattare delle clausole di salvaguardia.
  Se invece si vuole evitare o contenere l'aumento dell'IVA e si è ugualmente determinati a imboccare la strada di una riduzione del debito visibile e significativa, bisognerà ricercare fonti alternative di aumento di entrate o di riduzione di spesa. Basta tenere a mente che l'avanzo primario di bilancio, valutato realisticamente ex ante e verificato ex post, resta la bussola che consente di mantenere fermo l'orientamento verso l'equilibrio della finanza pubblica.
  È a questo orientamento che guardano gli investitori. Se ora esitassimo o tornassimo indietro, resteremmo esposti al rischio di una crisi di fiducia, che potrebbe rendere il percorso più arduo e più costoso. Al contrario, se diventerà ancora più evidente un intento condiviso di agire sugli squilibri strutturali della finanza pubblica, lo spread potrebbe ulteriormente ridursi, facilitandoci il compito. Così avvenne nella seconda metà degli anni ’90.
  Il rapporto tra debito e prodotto interno lordo si riduce, come ho detto prima, anche agendo sul denominatore, cioè stimolando la crescita. Ogni politica che consegua un aumento non transitorio nel tasso di crescita aiuta a ridurre in prospettiva l'incidenza del debito sul PIL. Se si vuole perseguire una ricomposizione del bilancio che privilegi la crescita, sembra preferibile, a parità di entrate, contenere la pressione diretta sul reddito derivante dall'impiego dei fattori produttivi (lavoro e capitale); dal lato delle spese, continuare nel contenimento delle erogazioni primarie correnti, cercando spazi per rilanciare gli investimenti pubblici. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente, per l'intervento. Pag. 21
  Do ora la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  CLAUDIO BORGHI. Grazie, presidente, grazie, vice direttore generale. Sia nella sua relazione che nelle ultime considerazioni ha fatto spesso riferimento alla fiducia dei mercati quale elemento chiave per poter avere un collocamento del debito pubblico e tassi d'interesse favorevoli, ma a me risulta che la fiducia dei mercati sia esclusivamente dovuta a voi stessi, vale a dire all'attività di acquisto da parte della Banca centrale europea, quindi dell'eurosistema (e quindi da parte vostra), sui mercati dei nostri titoli.
  Nel momento stesso in cui la Banca centrale europea, e quindi voi di sponda, dovesse decidere che non si fa più attività di acquisto di quantitative easing, ecco che istantaneamente lo spread risalirebbe, indipendentemente dal livello del debito, perché sappiamo benissimo che il livello attuale del nostro debito è molto superiore rispetto a quello, per esempio, del 2011, quando lo spread era 500. Perché allora nelle vostre considerazioni non c'è una parola in merito agli acquisti della Banca centrale europea dei titoli di Stato e si continua invece a far credere che ci siano degli investitori che, sulla base di quello che noi facciamo, tengono il livello dei tassi a un certo livello? Grazie.

  ANDREA MANDELLI. Grazie, vice direttore generale, per la relazione. Parto da una considerazione, che è quella finale, in cui dite che «bisogna ricercare fonti alternative di aumento di entrata o di riduzione della spesa».
  Ricollegandomi a questo ragionamento e partendo dal presupposto che, come diceva l'onorevole Borghi, bisogna capire esattamente che impatto avrà ancora il quantitative easing, che futuro avrà, come sarà regolato, ma anche calcolando che al punto 4 della relazione voi notate, come è logico e come vediamo anche noi, un forte calo degli investimenti pubblici, mi chiedo, con riferimento a quanto da voi detto in tema di finanza straordinaria, come valutate l'atteggiamento un po’ timido di questi anni sulle privatizzazioni.
  Se dobbiamo far scendere il debito e non riusciamo a farlo, purtroppo non abbiamo molte alternative, perché, secondo me, aumentare la pressione fiscale è praticamente impossibile, perché abbiamo dei livelli sostanzialmente insostenibili, che non ci danno molti spazi. Volevo pertanto capire se alla vostra definizione di finanza straordinaria non sia riconducibile un programma di privatizzazioni, che in questi anni sicuramente è stato assente. Grazie.

  GIOVANBATTISTA FAZZOLARI. Due considerazioni puntuali. Alle pagine 4 e 5 della relazione viene detto che abbiamo avuto un miglioramento delle imposte indirette, in particolare dovuto a maggiori entrate del gettito IVA, e, viene poi specificato, anche a misure di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale introdotte nel 2017.
  Se qui, come immagino, si fa riferimento all'introduzione dello split payment, cioè della trattenuta alla fonte dell'IVA di società e liberi professionisti che lavorano con il pubblico o con aziende pubbliche – per cui nel caso di un'impresa che lavora con la regione in ambito sanitario, la regione non paga più all'impresa l'IVA, la trattiene, perché tanto è lei che la verserà direttamente allo Stato –, io segnalo che si tratta di un errore contabile.
  Per lungo tempo ho lavorato con un'impresa mia come libero professionista e segnalo che, rispettando pienamente la legge, non ho mai pagato l'IVA nell'anno in corso, perché la legge mi consente di pagare l'IVA in sede di presentazione della dichiarazione annuale, quindi l'anno successivo, con le dovute maggiorazioni previste dalla legge e facendo il dovuto calcolo. Se l'imprenditore considera conveniente la tassazione aggiuntiva al versamento dell'IVA in sede di presentazione del bilancio rispetto al ricorso alla liquidità concessa dalla banca, non sta facendo nulla di illegale, sta semplicemente gestendo la cassa IVA in modo legale.
  Se invece con la procedura dello split payment che toglie liquidità al privato, incamerando l'IVA nelle casse dello Stato, Pag. 22diciamo che abbiamo avuto un miglioramento del gettito delle imposte indirette, segnalo che, se questa è la lettura, è un errore, visto che, come viene specificato, si tratta di «misure che contrastano l'elusione fiscale» e non quindi l'evasione.
  Seconda considerazione. Sempre a pagina 5 della relazione viene segnalata una situazione, che lei giustamente ha definito preoccupante, ossia che dal 2010 ad oggi abbiamo avuto una costante riduzione degli investimenti pubblici. Fotografando la situazione, nel 2010 avevamo un debito pubblico del 118 per cento, adesso siamo oltre il 130 per cento, quindi il 13 per cento in più di debito pubblico a fronte di una riduzione costante degli investimenti pubblici. Ciò vuol dire che, da quando siamo amministrati da Governi «responsabili», che dovevano mettere i conti a posto, l'indebitamento è cresciuto fortemente, non per costruire strade, autostrade, aeroporti, porti, infrastrutture, ma magari per pagare il «bonus diciottenni» per mandare la gente ai concerti.
  Se questo indebitamento aggiuntivo del 13 per cento dal 2010 al 2017 lo avessimo speso prevalentemente in spese di investimento oggi la fotografia del Paese sarebbe diversa?

  MASSIMO GARAVAGLIA. Notiamo una scarsa enfasi sulla crescita del PIL e ci si dice sostanzialmente che bisognerebbe migliorare il rapporto debito/PIL prevalentemente agendo sull'avanzo primario. Ciò detto, posto che la pressione fiscale è a livelli già eccessivi, quindi la leva fiscale non è attivabile, resta la riduzione della spesa.
  Il rapporto del commissario alla revisione della spesa, Gutgeld, ci dice che la spesa aggredibile è di circa 327-330 miliardi di euro e, di questi, 164 miliardi sono riconducibili alla spesa per il personale. Posto che per il personale, a causa dei rinnovi contrattuali, la spesa non può che aumentare e non ridursi, resta la componente beni e servizi per circa 136 miliardi di euro.
  La domanda: è possibile secondo lei ridurre del 10 per cento in un anno la spesa di beni e servizi, ad esempio, per eliminare le clausole di salvaguardia, laddove negli ultimi anni a livello centrale la spesa di beni e servizi è aumentata, mentre è diminuita solo per gli enti locali? Può l'amministrazione centrale ridurre del 10 per cento questa spesa?

  MARIO TURCO. Il mio intervento riguarda la ricomposizione qualitativa del bilancio. Il framework che è stato delineato riguarda proprio la ricomposizione degli investimenti pubblici. Con riferimento a questa riqualificazione, è necessario privilegiare gli investimenti altamente produttivi.
  Vengono individuate tre linee di copertura finanziaria: la riallocazione delle risorse, la revisione delle agevolazioni fiscali (si evita il ricorso all'inasprimento fiscale, per gli effetti negativi che ha prodotto in questi anni), e poi, come ultimo strumento individuato, la lotta all'evasione fiscale.
  Vorrei chiedere se un maggior debito pubblico per aumentare gli investimenti produttivi, che non viene individuato quale ulteriore strumento per realizzare questo framework, può essere una strada da percorrere.
  Sono d'accordo sull'introduzione di una logica sistemica nel monitoraggio degli investimenti, in modo tale da creare la possibilità di revisionare continuamente l'investimento pubblico in diverse aree di investimento.

  MASSIMO MALLEGNI. Vorrei segnalare alcuni aspetti e capire il punto di vista della Banca d'Italia su quanto sto per chiedere.
  Nell'ultima pagina alla fine della relazione c'è un passaggio, secondo me, essenziale: «cercando spazi per rilanciare gli investimenti pubblici». Nella relazione si è parlato ampiamente di avanzo primario e della necessità di avere un avanzo primario superiore al 3,2 per cento per arrivare, quindi, nel 2021 quantomeno al rapporto debito/PIL pari al 100 per cento. Si afferma a pagina 9, per quanto riguarda l'alienazione e cartolarizzazione del patrimonio dello Stato, che tutto è in capo, in particolare, ai comuni e, di conseguenza, è difficile Pag. 23 arrivare a una soluzione che possa essere vantaggiosa per il bilancio.
  Vorrei segnalare alcuni passaggi, presenti sia nella relazione dell'ISTAT che in quella della Banca d'Italia – dall'ISTAT i dati vengono fotografati, quindi vengono fissati come elementi conosciuti –, riguardo alla questione degli avanzi, alla questione della gestione del debito e alla questione della gestione del debito da parte degli enti locali.
  Noi in Italia abbiamo 8.000 comuni, che potrebbero in qualche modo essere il motore dello sviluppo degli investimenti, come lo sono stati negli anni passati, ma che dal 2011 in avanti hanno avuto enormi, gravi e costanti difficoltà a spendere. Nonostante avessero bilanci virtuosi, sostenuti da entrate fiscali derivanti da una tassazione difficilmente sostenibile per i cittadini ma che ha portato nelle loro casse enormi quantità di denaro, di fatto, sono stati oggettivamente incapaci di spenderle. Infatti, sia a causa dell'imputazione temporale dell'incasso, sia a causa delle norme che, a livello nazionale, sono state imposte alla pubblica amministrazione locale, i comuni virtuosi si sono trovati nell'impossibilità di spendere nell'esercizio successivo l'ingente incasso della tassazione locale.
  Mi spiego meglio: alla fine dell'esercizio finanziario, la pubblica amministrazione registra l'incasso di una tassa locale, ma, di fatto, è impossibilitata a spenderlo. Si produce quindi il cosiddetto «avanzo di amministrazione», che oggi è totalmente non spendibile dal comune che lo ha prodotto. Ciò crea un'incredibile (e assurda, direi) impossibilità di investire sul territorio il denaro che il cittadino paga e, quindi, l'impossibilità di fare investimenti.
  Vi è un'altra questione fondamentale. Per quanto riguarda l'alienazione dei beni di proprietà degli enti locali, questi talvolta sarebbero ben lieti di alienarli. Lo dico per segnalare tale aspetto anche a chi ha redatto la relazione della Banca d'Italia, perché talvolta, a mio avviso, questo passaggio sfugge.
  Una delle questioni più significative riguardanti gli enti locali, in particolare negli ultimi quindici anni, è la gestione dei cosiddetti «residui attivi e residui passivi» della pubblica amministrazione. Fino al 2011 vi era la possibilità, in funzione dell'alienazione del patrimonio comunale, di destinare le risorse rinvenienti dalla vendita del patrimonio comunale all'annullamento dei cosiddetti «residui attivi», che non sono un reale debito, perché alla fine non è denaro, ma che, però, hanno un peso all'interno del bilancio della pubblica amministrazione, non soltanto nel contesto del singolo comune, ma anche a livello nazionale... Questo è uno dei temi che l'ANCI, ogni volta che si parla di costruzione del Documento di economia e finanza, del bilancio dello Stato e di Legge di stabilità, segnala agli organi di governo, perché la reale impossibilità di allocare quelle risorse in quella voce oggi blocca di fatto gli investimenti sul territorio.
  Pensiamo che, su 8.000 comuni, nessuno o quasi dal 2011 può oggi effettuare investimenti significativi sul proprio territorio in funzione delle proprie dimensioni. Questo è un blocco oggettivo allo sviluppo del territorio.
  Dunque, a mio avviso, anche da questo punto di vista, la Banca d'Italia, essendo la sintesi dei vari istituti sul territorio, che ne effettua il controllo e la verifica e via dicendo, può senza dubbio rilevare anche un allontanamento dalla ricerca del credito e degli investimenti da parte degli enti locali, che, invece, nel decennio precedente, facevano ricorso ai finanziamenti degli istituti sul territorio, che permettevano uno sviluppo oggettivo dell'economia territoriale e, di conseguenza, dello Stato, in maniera strutturata e seria.
  Segnalo questi elementi e gradirei conoscere il punto di vista del vice direttore generale della Banca d'Italia, perché lo ritengo significativo.

  PRESIDENTE. Chiedo ai colleghi la cortesia di contenere il tempo degli interventi, a causa della ristrettezza dei tempi a nostra disposizione. La settimana prossima ci sarà la discussione generale sul DEF, con l'opportunità di fare tutte le considerazioni del caso. Vi chiedo di attenervi esclusivamente e strettamente alle domande, altrimenti non Pag. 24ci sarà la possibilità di avere le risposte nel corso di questa audizione.

  ADOLFO URSO. Lei ha parlato di due elementi (debito e PIL), ma poi in realtà si è concentrato sul debito. Perché non si concentra anche sulla crescita del PIL? In questo contesto, lei ha affermato: «se si vuole ridurre davvero il debito pubblico». In quel «davvero» c'è un elemento di critica, cioè, secondo lei, non lo si sta facendo.
  In effetti, il dato che lei ha citato è inquietante. Mi riferisco al fatto che è aumentato il divario tra l'Italia e il resto dell'Unione europea e il resto dei Paesi dell'area euro in relazione al livello del debito pubblico. Se ben ricordo, lei ha parlato di un divario rispetto alla media europea che è passato da 42 a 51 punti percentuali in più. Gli altri Paesi hanno ridotto davvero il debito pubblico, mentre l'Italia non lo ha ridotto davvero. Questo aumenta il divario con gli altri Paesi.
  In questo contesto, sulla mancata riduzione del debito, le voglio chiedere se sono state fatte davvero operazioni per ridurre il debito pubblico con riguardo a due elementi. Si sono ridotti gli investimenti pubblici, ma si è ridotta davvero la spesa pubblica? È stata fatta una revisione strutturale della spesa pubblica, che ha portato a una riduzione della spesa pubblica, o si sono solo ridotti gli investimenti pubblici, con un'incidenza fortemente negativa per quanto riguarda il prodotto interno lordo e la crescita del Paese?
  Insomma, si poteva fare di più negli anni in cui, come lei stesso ha detto, abbiamo avuto un favorevole contesto internazionale – riporto – «con eccezionale accomodamento monetario» («eccezionale» significa che è un'eccezione), a fronte di quella che è, invece, la prospettiva futura? Negli anni in cui abbiamo avuto un favore del contesto internazionale con eccezionale accomodamento monetario, è stato fatto qualcosa per ridurre davvero il debito pubblico ed è stato fatto qualcosa per ridurre davvero la spesa in maniera strutturale o quello che è stato fatto non ha fatto, invece, altro che ridurre la crescita potenziale del Paese?

  ANTONIO MISIANI. Ho poche domande. La prima domanda: a pagina 7 della relazione, viene ricordato che la sostenibilità del debito pubblico italiano poggia in larga misura sulle riforme pensionistiche introdotte nell'arco degli ultimi decenni. L'abolizione della legge Fornero, che più volte riecheggia nel dibattito pubblico, quanto impatterebbe sui conti pubblici e, soprattutto, sulla sostenibilità di lungo periodo del debito pubblico?
  Seconda domanda: quello degli investimenti pubblici è un problema di risorse aggiuntive, com'è stato detto nella relazione, o di accelerazione delle procedure di semplificazione della normativa, come ci ricordava il ministro Padoan nella sua relazione di ieri? Lo chiedo perché vorrei ricordare che le ultime due leggi di bilancio hanno stanziato risorse molto significative per favorire la ripartenza degli investimenti, però rimane un lag temporale molto significativo, che forse spiega anche il rallentamento degli investimenti, che, concordo, devono ripartire per consolidare la ripresa.
  La terza e ultima domanda è sull'impatto delle clausole di salvaguardia sull'inflazione perché la risposta dall'ISTAT, alla fine, non è arrivata, se non sbaglio.

  DANIELE PESCO. Ho due domande velocissime. Vorrei chiedere se per la Banca d'Italia non sarebbe utile subordinare le privatizzazioni a una vera analisi costi-benefici sul lungo periodo. Lo chiedo perché spesso una privatizzazione può sembrare conveniente nel breve, ma, guardando gli utili che magari l’asset produce regolarmente, la sua vendita potrebbe essere appunto non positiva per il bilancio. Quindi voglio chiedere se la Banca d'Italia sarebbe disposta a sostenere l'opportunità di una effettiva analisi costi-benefici prima delle vendite del patrimonio immobiliare o di asset strategici.
  La seconda domanda, invece, è riferita al peso dei derivati. Non trovo nelle tavole allegate alla relazione un riferimento all'incidenza dei derivati sulle spese per interessi o su altre voci di spesa. Vorrei sapere se ne avete contezza con riferimento al biennio 2017-2018. Grazie.

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  LUIGI MARATTIN. Presidente, oltre ai venti secondi della domanda, le chiedo venti secondi aggiuntivi per replicare brevemente a un paio di considerazioni che ho sentito. Alla considerazione dal collega Garavaglia, rispondo che i consumi intermedi degli enti locali non sono diminuiti in questi anni (come risulta alla pagina 9, allegato 2 del DEF) e passano da 108,4 miliardi di euro del 2015 a 112,9 miliardi di euro del 2017.
  La seconda replica riguarda la considerazione – oggettivamente difficile – fatta dal senatore Mallegni poco fa sul fatto che, dal 2011, agli enti locali sarebbe vietato spendere l'avanzo. Il patto di stabilità interno, che conteneva oggettive e pesanti limitazioni alla capacità di pagamento (fra l'altro, non di impegno degli enti locali), è stato abolito nel 2015. Da allora, agli enti locali sono stati consentiti l'utilizzo pieno degli avanzi già impegnati (attraverso il fondo pluriennale vincolato) e, attraverso strumenti paralleli, l'utilizzo quasi completo degli avanzi di amministrazione liberi. La prova che questo non è riuscito a tradursi in capacità effettiva di spesa per gli enti locali sta nel fatto che, nel 2016, gli enti locali hanno lasciato inutilizzati 6,4 miliardi di euro di avanzi (il cosiddetto overshooting sulla regola fiscale) e, nel 2017, 4 miliardi. Vi era, quindi, spazio di impiego degli avanzi di amministrazione, che, tuttavia, non è stato possibile utilizzare da parte degli enti locali per le rigidità reali di cui parlava il collega Misiani poco fa e di cui abbiamo discusso con il Ministro Padoan l'anno scorso. Questo è lo stato della situazione sulla regola fiscale degli enti locali.
  Farò le due domande al dottor Signorini molto velocemente. Io sono rimasto colpito dal fatto che lei, quando parlava di ricomposizione del bilancio pubblico, ha posto molta attenzione sulla riduzione del carico fiscale su lavoro e capitale e ha sottolineato che un incremento – in linea con la letteratura, che lei cita correttamente – del carico fiscale su proprietà o consumo ha effetti solo modesti su crescita e occupazione. Quindi le chiedo, da un punto di vista unicamente teorico, se le clausole di salvaguardia non fossero disinnescate e se il gettito aggiuntivo fosse interamente destinato a una riduzione del carico fiscale sul lavoro, questa, secondo lei, sarebbe una manovra di politica economica giusta e in linea con quanto suggerisce nella relazione?
  Seconda e ultima domanda: lei non ha citato il quadro delle regole fiscali europee, ma io le chiedo una valutazione a nome della Banca d'Italia o, se ritiene, una sua personale, a quattro o cinque anni dall'introduzione di regole fiscali corrette per il ciclo, quindi strutturali, per sapere se non sia venuto il tempo di fare una valutazione costi-benefici riguardante, da un lato, i benefici di avere regole fiscali corrette per il ciclo basate su una metodologia così fragile come quella dell’output gap, e, dall'altro lato, i costi derivanti, appunto, da questa fragilità di misurazione. Non è tempo secondo lei che l'Unione europea, che il 28 giugno affronta un Consiglio europeo anche destinato a questi temi, archivi le regole fiscali basate sul ciclo e torni a regole fiscali esclusivamente basate su target nominali, per quanto severe possano essere? Lei crede che sia ora di affrontare la valutazione costi-benefici di aver introdotto regole corrette per il ciclo e come? Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Ovviamente riserviamo le repliche e il dibattito tra le posizioni che vengono assunte durante gli interventi alle sedute previste nella settimana prossima.

  NUNZIO ANGIOLA. La relazione della Banca d'Italia è sempre molto interessante e di altissimo livello.
  Il prodotto interno lordo cresce dell'1,6 per cento nel 2017 ed è sostenuto in buona parte dalla crescita degli investimenti fissi lordi, quindi dalla domanda interna. La crescita degli investimenti nel 2017 è stata indotta fondamentalmente dal superammortamento, dall'iperammortamento, dal credito d'imposta per le spese di ricerca e sviluppo. Questi investimenti, come dicono le statistiche, si concentrano per il 40 per cento sull'aumento della capacità produttiva delle imprese – si tratta di una percentuale Pag. 26 altissima – e per il 25 per cento sulla sostituzione degli impianti obsoleti.
  A questo punto, le volevo chiedere, visto che queste politiche del Governo hanno stimolato molto gli investimenti, tanto da indurre un incremento significativo del prodotto interno lordo, come mai, per quanto riguarda le annualità successive, la previsione di crescita del PIL è solo dell'1,4 per cento nel 2018 e, poi, dell'1,2 per cento nel 2019 e nel 2020, come si legge nella relazione, che fa riferimento, a sua volta, al Bollettino economico pubblicato dalla Banca d'Italia a gennaio. Ecco, come mai queste previsioni non sono sintonizzate e non sono allineate con le politiche di investimento delle imprese? Io noto che c'è uno scollamento, quindi mi domando e le domando: sono le imprese che hanno deciso male di fare gli investimenti oppure, visto che il Governo prevede un prodotto interno lordo in decrescita, sono state sbagliate le politiche di stimolo e di incentivazione? Non so se ho reso l'idea.
  Abbiamo un incremento degli investimenti che ha determinato l'aumento del PIL nel 2017 e questo incremento degli investimenti si focalizza per la gran parte sull'incremento della capacità produttiva delle imprese e sulla sostituzione degli impianti obsoleti. Non ritengo compatibile questo incremento del 40 per cento con le previsioni di crescita futura dell'economia. Quindi mi domando se sono le imprese che non hanno deciso bene come investire oppure sono sbagliate le politiche di incentivazione del Governo. Grazie.

  DARIO GALLI. Molto velocemente, rimandando appunto alla settimana prossima le considerazioni, soprattutto sul funzionamento in Italia degli enti locali, che non è esattamente com'è stato riportato in questa sede, ed entrando nel merito, credo che, dagli interventi nelle audizioni di questi giorni, alla fine, quello che risulta evidente, anche perché è chiaro che lo abbiamo ben chiaro tutti, è che bisogna trovare risorse finanziarie significative o per far ripartire in qualche modo gli investimenti o per ridurre il debito pubblico.
  Allora, ripetendo le cose ovvie, che devono essere, però, ben chiare, sul fronte della tassazione si deve cercare di fare esattamente il contrario e si deve cercare di intervenire sulla spesa in senso generale. Ecco, se facciamo qualunque tipo di raffronto, vediamo che, rispetto ad altri Paesi, soprattutto quelli che funzionano meglio – uno su tutti la piccola vicina Svizzera, che è un esempio dell'amministrazione pubblica dal punto di vista dell'efficienza e dell'efficacia – il problema nostro principale è che il grosso della spesa pubblica, invece che andare in investimenti infrastrutturali, va sostanzialmente in manodopera, cioè in stipendi.
  Allora, da studi non solo fatti da noi, ma anche da enti terzi, dal più basso al più alto, risulta stimabile da 30 a 70 miliardi di euro il possibile risparmio su scala nazionale, se i costi di produzione del servizio unitario del benchmark delle migliori regioni italiane fosse applicato a tutte le altre. Allora, senza pensare di fare il 100 per cento del rendimento e mettendoci pure la metà della metà, probabilmente 15, 20 o 30 miliardi di euro potrebbero essere risparmiati, non dalla sera alla mattina, ma nell'arco di qualche anno, partendo in maniera decisa su questa strada, solo su questo fronte, quindi non togliendo nulla ai servizi ai cittadini, ma semplicemente intervenendo sull'efficienza di una serie di enti pubblici nel loro complesso.
  La domanda è: perché in tutte le relazioni che abbiamo ascoltato in questi giorni, compresa la vostra di oggi, la voce «recupero dell'efficienza» o, detto in altra maniera, l'applicazione «feroce» dei costi standard alla pubblica amministrazione non viene mai citata?

  UGO GRASSI. La relazione è molto chiara e comprensibile anche da un giurista, quindi non un economista, quale sono io. Sono colpito dal passaggio di pagina 6 della relazione: «il quadro che ci viene riferito procede dall'assunto che la legislazione attualmente vigente non sia in alcun modo modificata».
  Dunque, il mio quesito è il seguente: è stato mai fatto uno studio attento sui vantaggi economici che si conseguirebbero all'esito di una seria, profonda e organica riforma della pubblica amministrazione? Pag. 27Mi riferisco a una riflessione che non faccia soltanto riferimento alla pubblica amministrazione, al diritto amministrativo, così come noi lo conosciamo, che spesso vede gli amministrativisti fin troppo compiaciuti, ma mi riferisco a uno studio che, per esempio, ipotizzi (come parametro di riferimento) l'importazione di modelli osservati in Paesi ben più efficienti rispetto al nostro.
  In questo modo, noi potremmo, ad esempio, ipotizzare una diminuzione della spesa pubblica, senza che ciò comporti un calo dei servizi erogati ai cittadini. Mi riferisco in particolare, tra l'altro, alle conseguenze che il Sud sta pagando in ragione di questi tagli, i quali in gran parte sono scaricati sulle regioni meridionali. Grazie.

  GIUSI BARTOLOZZI. Mi ero distratta, non ho visto chi parlava, ma ho apprezzato l'intervento, anche se non so chi l'ha fatto.
  Io ritorno sempre sul Sud. Il Sud e, in particolare, le isole, in ragione delle condizioni di insularità che sono riconosciute dall'ordinamento europeo, possono uscire da questa disastrosa situazione economica solo attraverso la fiscalità di sviluppo. Allora, mi chiedo e le chiedo se ritenete che il rafforzamento delle timide previsioni della legislazione vigente sul Sud possano in qualche modo arrestarne il declino. Grazie.

  PRESIDENTE. A questo punto, cedo la parola per le repliche.

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, vice direttore generale della Banca d'Italia. Grazie. Il numero delle domande o delle richieste è ampio e molto impegnativo e non so se riuscirò a rispondere in modo esauriente a tutto. Cominciamo, però, dalla questione della politica monetaria.
  La politica monetaria ultra espansiva, cioè la politica di eccezionale accomodamento monetario degli ultimi anni, è stata, come ben sapete, determinata da una situazione straordinaria, particolare e eccezionale delle economie dei mercati e da una doppia recessione in Europa, che è stata senza paragoni, almeno dall'ultima guerra mondiale.
  Per l'Italia, come sapete, la recessione è stata ancora più profonda, quindi anche più profonda della Grande depressione degli anni Trenta. In altre parole, l'Italia ha fronteggiato, con strumenti non convenzionali o, come si dice, «inusitati», una situazione inusitata. Per definizione, questa situazione non può andare avanti all'infinito e, naturalmente, il Consiglio direttivo della Banca centrale europea ha più volte confermato l'andare avanti per un certo periodo e che le decisioni vengono prese tenendo conto dell'evoluzione della situazione. Però dobbiamo renderci conto che, un giorno o l'altro, ciò che è eccezionale necessariamente avrà termine.
  C'è chi pensa che questa sarà una condizione particolarmente difficile per i Paesi fortemente indebitati, come l'Italia. Ora, non dico che non vi siano problemi, però io credo che questa convinzione sia notevolmente esagerata. Perché? Ci sono due dati che, secondo me, sono molto importanti.
  Nel corso di questi anni la durata del debito pubblico si è accresciuta e lo ha fatto abbastanza significativamente, superando i sette anni in questo momento, come primo punto. Secondo punto: come ho sottolineato nella mia relazione, dato che parte del debito ovviamente deriva da titoli emessi in anni passati, tuttora il costo medio del debito della Repubblica italiana è considerevolmente superiore ai tassi all'emissione. In altre parole, noi ci troviamo in una situazione sufficientemente favorevole e non c'è un rischio imminente. Qualcuno pensa che ci sia un rischio imminente dalla fine del QE (quantitative easing) per un Paese come l'Italia, ma non è così. Lo spazio c'è: se ci sarà l'aumento graduale, che, un giorno o l'altro, dobbiamo immaginare che ci sia, dei tassi d'interesse, questa di per sé è una cosa che può essere perfettamente gestita da un Paese come l'Italia.
  L'Italia, però, è un Paese che, pur sempre, per quanto riguarda il suo debito pubblico, si rivolge ai mercati – l'entità del debito è di 2.000 miliardi di euro – e che, ogni anno, come sottolineavo nella mia relazione, deve presentarsi ai mercati rinnovando 400 miliardi di debito. È chiaro Pag. 28che, in una situazione di questo genere, non si può non tener conto dell'atteggiamento, della disponibilità e della capacità di assorbimento dei mercati. I mercati, peraltro, non sono delle entità metafisiche, ma sono investitori, quindi fondi pensione e fondi di investimento, e sono gli stessi che, in parte, per esempio, investono i nostri stessi risparmi, se ne abbiamo, e che hanno bisogno di investirli in una maniera il più possibile redditizia e sicura.
  Questa è una cosa naturale ed è una cosa che fa parte dell'ambiente normale per come funziona l'economia di mercato. Quindi la fiducia dei mercati resta importante. Sarà che forse siamo stati tutti quanti e, certamente, noi nella Banca centrale in misura ancora maggiore, scottati e impressionati dalla situazione che si venne a determinare al momento della crisi dei debiti sovrani, con l'impennata, che ho ricordato poco fa, dello spread e con il rapido accrescimento del costo di finanziarsi, per il fatto che si poteva temere, da un giorno all'altro, che diventasse difficile l'accesso ai mercati. Tutto questo significa che una gestione prudente e lungimirante del proprio debito è, per un debitore così grande come la Repubblica italiana, sicuramente estremamente importante.
  Diversi intervenuti si sono soffermati su una questione che nella mia relazione è trattata molto in breve, cioè quella della finanza straordinaria. L'onorevole Mandelli, se non sbaglio, ha detto «atteggiamento timido» nei confronti delle privatizzazioni e altri componenti delle Commissioni sono ritornati sulla possibilità che si faccia di più dal punto di vista delle privatizzazioni e, più in generale, delle alienazioni di attività finanziarie e reali della pubblica amministrazione.
  Io vorrei essere chiaro: non è che dal punto di vista che io rappresento ci sia un atteggiamento negativo nei confronti di privatizzazioni, nei confronti della finanza straordinaria, nel senso che ho precisato.
  È una constatazione di fatto, cioè che, dopo il periodo di privatizzazioni abbastanza intense che ci sono state alcuni anni fa, nonostante i programmi di privatizzazione ci fossero e fossero regolarmente inseriti nei Documenti di economia e finanza, dal punto di vista concreto si è rivelato difficile attuarli. Ma, se si riesce ad attuarli, ben venga, naturalmente può essere uno degli elementi che contribuisce al riequilibrio della finanza pubblica.
  Quello che desideravo fare era dare un ordine di grandezza ed evitare che si immaginasse che da questo lato possano venire in un periodo breve risorse ingenti. Non è molto realistico immaginarlo. Naturalmente, più risorse vengono da questo lato e meglio è, anche se io apprezzo quello che è stato detto da un deputato o senatore di cui purtroppo non ho inteso il nome, cioè che, nel momento in cui si deve procedere a privatizzazioni, non è solamente il puro incasso quello che conta, ma contano considerazioni di costi/benefici. Però, mi si consenta di aggiungere che la gestione di investimenti, di beni, di aziende da parte del settore pubblico, al di là del fatto che possa esserci un ritorno economico più o meno elevato, non so se spesso, ma certamente a volte, sarebbe più efficiente dal lato privato.
  La privatizzazione non è solamente fare cassa, la privatizzazione è anche cercare di migliorare l'allocazione delle risorse più in generale.
  Un altro senatore di cui non ho inteso il nome ha fatto un'osservazione molto puntuale, e credo anche valida, sulla questione dello split payment. Allora, come la vedo io, non essendo, strettamente parlando, un esperto dei dettagli dei meccanismi tributari, è chiaro che esiste un problema di spostamento nel tempo delle risorse, è chiaro che l'incremento di entrate IVA che si è avuto in relazione allo split payment non è totalmente dovuto a riduzioni dell'evasione e dell'elusione fiscale, ma anche a spostamenti nel tempo.
  Ho chiesto ai miei colleghi più esperti di me di queste cose di valutare questo aspetto e la risposta è stata che sì, certamente questi slittamenti di pagamenti hanno giocato un ruolo, ma che effettivamente, cercando di fare un calcolo e una valutazione sufficientemente accurata dei risultati complessivi, c'è anche stato un effettivo recupero di evasione o di elusione. Pag. 29
  Alcuni degli intervenuti hanno detto che nella mia relazione c'è scarsa enfasi sulla crescita del PIL; se così è risultato, non era certamente la mia intenzione. È chiaro che, come credo di avere detto e ripetuto, quando si parla di rapporto fra debito e PIL, si devono guardare entrambi i lati di questo rapporto, tanto il numeratore quanto il denominatore. Quello che però mi preme sottolineare è che, se si guarda in una prospettiva strutturale, in una prospettiva di lungo periodo, non a quello che succede nel prossimo trimestre o nel prossimo anno, ma se si guarda lontano, quello che si può fare per irrobustire la crescita del PIL è (naturalmente adesso non ci sarebbe il tempo di entrare nell'amplissimo argomento delle riforme strutturali), dal punto di vista del bilancio pubblico, certamente quella cosa che poi è ritornata anche in molti degli interventi, cioè la ricomposizione del bilancio tra le spese per investimento e le spese correnti.
  Le spese correnti, a onor del vero, negli ultimi anni sono state abbastanza contenute. Se guardate i dati, sono cresciute complessivamente meno del PIL, quindi la loro incidenza sul PIL si è ridotta. Però è pur vero che, come abbiamo messo in rilievo, l'incidenza degli investimenti pubblici sul PIL si è ridotta in misura anche maggiore.
  Che si può fare dal punto di vista di questa ricomposizione? Diversi intervenuti hanno osservato che si può cercare di rendere più efficiente la spesa, si può cercare di confrontarsi, per esempio utilizzando i benchmark, e non andando necessariamente a cercare gli esempi fuori dal Paese, ma anche all'interno dell'Italia si vede che, con le stesse leggi, con le stesse strutture, con lo stesso schema di finanziamento, ci sono amministrazioni locali o anche amministrazioni decentrate dello Stato (un altro esempio che mi viene in mente è quello del tutto atipico, ma illustrativo, del funzionamento della giustizia), ci sono posti dove le cose funzionano meglio, si riescono a fare più in fretta, con meno risorse, con un'efficienza e un'efficacia maggiori.
  Questa è la grande sfida e credo che tutte le procedure di revisione della spesa, tutte le procedure di efficientamento del funzionamento della macchina amministrativa e, più in generale, della macchina dello Stato siano benvenute, perché sono un modo per recuperare risorse, per consentire sia una riduzione del disavanzo o un aumento dell'avanzo primario, sia una ricomposizione del bilancio a favore degli investimenti che, credo sia opinione comune, sarebbe effettivamente auspicabile.
  Non so se l'espressione «ridurre davvero» dovesse avere un significato così importante, ma quello che volevo dire è che il debito, come abbiamo argomentato in altre occasioni e come anche il Governatore ha detto nelle sue considerazioni finali, essendo cresciuto molto nel corso degli anni della crisi per l'eccezionale riduzione del denominatore del rapporto debito/PIL (ricordiamoci che la doppia crisi degli anni scorsi è stata in Italia così profonda da avere portato a una riduzione del PIL non proprio del 10 per cento, ma di oltre il 9 per cento, cosa che in Italia non si era verificata nemmeno durante la Grande Depressione degli anni Trenta, uno sconvolgimento economico senza paragoni in tempo di pace), da qualche anno si è stabilizzato (due decimi di punto in più o due decimi di punto in meno, ma da qualche anno il debito si è stabilizzato).
  Il messaggio principale che la mia relazione voleva dare era che, se si pensa che sia ora di dargli un colpo visibile, forte verso la riduzione, questo è un momento che ce lo consente, perché i tassi di interesse sono bassi, perché la congiuntura, per il momento (incrociando le dita perché non possiamo mai sapere come sarà la congiuntura in futuro), è favorevole e c'è tutta una serie di circostanze che consentono in questo momento di fare un'azione di questo genere.
  Temo di non aver risposto a tutti esaurientemente.

  PRESIDENTE, Eventualmente, se su qualche domanda vuole farci pervenire delle risposte per iscritto, in modo tale che tutte le domande dei colleghi intervenuti possano essere soddisfatte...

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  GIANLUCA BENAMATI. Non abbiamo avuto alcune risposte, presidente. C'era un tema sulla Fornero, c'erano altri temi.
  Erano state poste alcune questioni che non hanno trovato risposta. Se poi perverrà una risposta scritta, noi non ci formalizzeremo. Le chiederei, presidente, per le prossime audizioni, poiché tutti i partiti hanno il diritto e il dovere di intervenire se lo ritengono, magari di partire con un intervento per ogni gruppo e poi tutti gli altri.

  PRESIDENTE. Se questa è la disponibilità e me lo chiede il Partito Democratico, ci mancherebbe altro. Io ho tentato di dare la massima disponibilità a tutte le forze politiche. Se mi chiedete di restringere e di contenere, in maniera anche abbastanza severa, gli interventi, lo faccio con spirito di assoluta collaborazione. Se me lo chiedete, io applico perfettamente alla lettera il regolamento, mantenendo i tempi consentiti, visto che le audizioni hanno una funzione, che lei ben conosce.
  Dunque, ringrazio il dottor Signorini. Le chiedo di farci pervenire eventualmente delle risposte scritte.

  GIANLUCA BENAMATI. Presidente, è colpa mia che non mi sono spiegato.

  PRESIDENTE. No, è stato chiarissimo. Però, se le risposte non sono soddisfacenti, non posso...

  GIANLUCA BENAMATI. No, presidente, non è così. Io vorrei che rimanesse agli atti che io ho chiesto di iniziare con un rappresentante per ogni gruppo e dopo di proseguire con tutti coloro che vogliono partecipare. Non ho chiesto di limitare gli interventi a uno per ogni gruppo.

  PRESIDENTE. No, l'abbiamo fatto in occasione dell'audizione del Ministro dell'economia e delle finanze. Dopodiché gli interventi sono stati più o meno tutti equilibrati. In questo caso specifico si è sforato, perché, anziché le domande, spesso e volentieri gli interventi si sono tramutati in comizi.
  Credo che la disponibilità mia sia quella di dare la parola a tutti. Se gli interventi sono contenuti e limitati esclusivamente alle domande, tutti possono parlare ed, evidentemente, anche chi deve intervenire e replicare lo potrà fare accontentando più o meno tutti quelli che hanno posto domande.
  Ringrazio Banca d'Italia, il dottor Signorini e i collaboratori. Le chiedo se eventualmente ci fa pervenire su alcune domande delle risposte scritte, in modo tale da poter accontentare tutti coloro i quali sono intervenuti.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, del presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio.
  Ringraziamo il presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, professor Giuseppe Pisauro, cui cedo immediatamente la parola.

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Grazie, presidente. Questa è la nostra prima audizione presso un organo del nuovo Parlamento, quindi vorrei anzitutto salutare gli onorevoli deputati e senatori.
  Nella mia relazione mi concentrerò soprattutto, considerati i limiti di tempo sia dell'esame del Documento sia dell'audizione, sui compiti specifici dell'Ufficio parlamentare di bilancio, che può essere utile richiamare, dal momento che si tratta della nostra prima audizione presso un organo del nuovo Parlamento.
  Comincerò dall'esame del quadro macroeconomico e delle previsioni macroeconomiche contenute nel Documento di economia e finanza 2018, ricordando che rispetto a queste previsioni l'Ufficio parlamentare Pag. 31 di bilancio esercita un compito fondamentale. Secondo la normativa europea, infatti, le previsioni macroeconomiche utilizzate nei documenti programmatici di finanza pubblica devono essere prodotte direttamente da un organismo indipendente ovvero validate da quest'ultimo. Nel caso italiano si è scelto di seguire la seconda strada, quindi le previsioni macroeconomiche sono prodotte dal Ministero dell'economia e delle finanze, ma prima di essere pubblicate ricevono la validazione dell'Ufficio parlamentare di bilancio.
  Nel caso specifico del Documento presentato quest'anno, si registra qualche elemento di diversità. Innanzitutto, il quadro macroeconomico è soltanto tendenziale, giacché il Documento non contiene anche il quadro macroeconomico programmatico. Il secondo elemento è rappresentato invece dai tempi di presentazione del Documento medesimo.
  Tengo a precisare che la nostra validazione è avvenuta sulla base di un calendario che è contenuto in un protocollo d'intesa stipulato con il Ministero dell'economia e delle finanze, che siglammo fin dal nostro esordio nel 2014, e pertanto il quadro macroeconomico che trovate nel DEF 2018 è quello validato dall'Ufficio parlamentare di bilancio all'inizio di aprile, vale a dire circa un mese fa.
  Forse vale la pena ricordare rapidamente le modalità attraverso cui è avvenuta la validazione. Noi abbiamo ricevuto il 6 marzo dal Ministero dell'economia e delle finanze una prima versione provvisoria del quadro macroeconomico, che abbiamo quindi valutato inviando al predetto Ministero alcuni rilievi. Il Ministero ha risposto con un nuovo quadro il 21 marzo, che è stato validato il 29 marzo. Successivamente, il 4 aprile il Ministero dell'economia e delle finanze ha trasmesso all'Ufficio parlamentare di bilancio un aggiornamento sulla base dei nuovi dati ISTAT e il 5 aprile abbiamo chiuso il processo di validazione.
  Ho tenuto ad esporre il calendario perché, alla luce di quanto testé ricordato, il quadro macroeconomico in esame è stato definito circa un mese fa. Innanzitutto vorrei esporre i motivi che ci hanno portato alla validazione nonché raccontare, ribadito che per noi si tratta di un esordio in questa legislatura, come procediamo per valutare e validare il quadro presentato dal Ministero dell'economia e delle finanze, mentre alla fine dirò qualcosa su cosa è cambiato, a nostro avviso, nel mese appena trascorso.
  La procedura che seguiamo è la seguente: confrontiamo la previsione ufficiale con quattro previsioni indipendenti. Una di queste previsioni indipendenti è quella elaborata dallo stesso Ufficio parlamentare di bilancio; vi sono poi altre tre previsioni che vengono appositamente elaborate per questo esercizio, predisposte dai tre istituti di ricerca italiani indipendenti e di previsione, vale a dire Prometeia, REF ricerche e CER (Centro Europa ricerche).
  Perché usiamo quattro previsioni? Questa è una scelta che abbiamo fatto all'inizio. Naturalmente l'area delle previsioni macroeconomiche è caratterizzata da un ampio spettro di incertezza. Confrontare due previsioni secche, quella del Ministero dell'economia e delle finanze e quella nostra, non ci avrebbe dato agio di giungere ad una valutazione affidabile. Confrontare invece quella del Ministero dell'economia e delle finanze con una sorta di consenso, vale a dire con quattro previsioni diverse ma costruite sulle stesse ipotesi utilizzate dal Ministero dell'economia e delle finanze, come ad esempio quelle relative al quadro internazionale, ci consente di fare un'operazione per noi più affidabile, trattandosi per l'appunto di previsioni comunque strettamente comparabili.
  Senza dilungarmi troppo, per illustrare che cosa facciamo, a pagina 70 del documento redatto dall'Ufficio parlamentare di bilancio che vi è stato distribuito trovate un grafico relativo al PIL reale e al PIL nominale per gli anni dal 2018 al 2021 contenente diverse forme geometriche.
  In particolare, i cerchi rappresentano le previsioni dei tre istituti indipendenti, il rombo rappresenta la nostra previsione, mentre il quadrato indica la previsione che trovate nel DEF, ossia la previsione del Governo. Naturalmente, noi facciamo questo esercizio su tutte le variabili e poi Pag. 32facciamo anche un ragionamento di coerenza del quadro. Questa è soltanto, se permettete, un'esposizione illustrativa in senso evocativo del lavoro che noi svolgiamo.
  Potete osservare che per l'anno 2018 il valore relativo al PIL reale stimato dal nostro panel, cioè dai nostri previsori, un mese fa variava tra l'1,4 e l'1,6 per cento, la previsione dell'Ufficio parlamentare di bilancio era invece dell'1,5 per cento mentre la previsione del Governo è stata dell'1,5 per cento. Come potete osservare, nel 2019 e 2020 la previsione ufficiale del Governo si colloca, per un decimo di punto, leggermente al di fuori dell'intervallo delle nostre previsioni, mentre nel 2021 ricade all'interno dell'intervallo.
  Perché dunque abbiamo validato? Innanzitutto perché lo scarto dall'intervallo è molto modesto, equivalente – come detto – ad un decimo di punto, ma soprattutto per un'altra considerazione. A noi interessa fare questo esercizio per evitare che previsioni macroeconomiche eccessivamente e sistematicamente ottimistiche producano in modo fittizio uno spazio nel bilancio, perché, se io sono ottimista sul futuro dell'economia, nelle previsioni di bilancio ciò si tradurrà in entrate commisurate a quella previsione ottimistica dell'economia e, quindi, in spazi per ulteriori misure di bilancio.
  Da questo punto di vista, la variabile fondamentale non è costituita tanto dal PIL reale quanto dal PIL nominale, che trovate nel secondo grafico di pagina 70. Qui potete vedere che nel 2019 e 2020 il PIL nominale stimato dal Governo si allinea con il nostro intervallo. Questo succede perché naturalmente la componente prezzi nel DEF è più elevata rispetto a quella che risulta al nostro set di previsori.
  È inutile precisare che tutta questa previsione è costruita sull'ipotesi che nel 2019 e nel 2020 aumenti l'IVA. L'aumento dell'IVA ha un effetto sui prezzi, che produce questo risultato.
  Qui mi sarei fermato se avessimo svolto l'audizione il 10 o il 12 aprile scorso, se questo quadro fosse cioè stato prodotto secondo i consueti termini di calendario.
  Quali sono oggi, alla luce di quanto è accaduto nell'ultimo mese, i rischi di questa previsione? Essenzialmente, ci sono due elementi di rischio. Il primo è quello più immediato e riguarda le incertezze che la congiuntura italiana ed europea mostra nelle ultime settimane. Sono infatti emerse, rispetto ad un mese fa, indicazioni di indebolimento dell'evoluzione congiunturale, che nel nostro documento trovate esaminate e illustrate. Ovviamente, adesso non abbiamo il tempo per entrare nel dettaglio di tale aspetto che in particolare riguarda i dati della produzione industriale nonché gli indicatori di fiducia delle imprese, che sembrano segnalare non tanto un arresto della crescita, dal momento che la crescita proseguirebbe sì, ma, almeno per tutta questa prima metà del 2018, secondo lo stesso ritmo registrato nell'ultima parte del 2017. Ciò comporta, rispetto alle previsioni elaborate un mese fa, una leggera revisione.
  Vi è poi, naturalmente, un secondo elemento di rischio che nessuno però è in grado ad oggi di valutare, sebbene dopo vi presenterò rapidamente i risultati di un esercizio che ha a che fare proprio con le tensioni geopolitiche e con i rischi di guerre commerciali, quindi di una riduzione del commercio mondiale.
  Per darvi un'idea ancora più precisa, abbiamo rifatto solo la nostra previsione, aggiornandola ai dati ad oggi disponibili, e ve la illustriamo rapidamente, da pagina 16 a pagina 18 del nostro documento. Per essere molto sintetici, la nuova previsione si basa essenzialmente sugli elementi di cui parlavo prima mentre, dal punto di vista del quadro internazionale, se ad oggi vi sono elementi di cambiamento, questi ultimi vanno piuttosto nel senso di un miglioramento. Per citare un solo esempio, le previsioni del Fondo monetario internazionale sono difatti leggermente migliori di quelle contenute nel DEF. L'unico elemento che invece, rispetto a un mese fa, può essere considerato un driver di peggioramento è l'andamento del prezzo del petrolio.
  Naturalmente abbiamo incorporato anche tutti gli elementi che una previsione di breve periodo ci porterebbe a fare oggi sul Pag. 332018. Insomma, per dirla in estrema sintesi, il cambiamento non è fondamentale né rilevante e la nostra previsione di un mese fa si riduce di circa un decimo di punto lungo tutto l'arco previsivo, attestandosi, per quanto riguarda ad esempio il PIL reale del 2018, all'1,4 per cento.
  In tale quadro, vorrei sottoporre alla vostra attenzione un ultimo elemento, che emerge dal grafico collocato a pagina 71 del nostro documento. Prima avevamo visto, anno per anno, gli intervalli delle varie previsioni mentre qui vedete un altro modo di guardare a questa stessa storia, sebbene in riferimento al solo PIL reale, attraverso le storie che raccontano i diversi previsori. L'elemento di differenza della previsione ufficiale del Governo, che per noi può costituire un elemento di rischio, è che il rallentamento nel 2019 e nel 2020, rispetto alla previsione per il 2018, è quello meno accentuato. Qualcuno un mese fa ipotizzava anche un PIL all'1,6 per cento nel 2018, però tutti i previsori raccontano una storia in cui l'effetto dell'introduzione dell'IVA, assieme a tanti altri effetti, comporta nel 2019 e nel 2020 un rallentamento più intenso. C'è un rallentamento anche nella stima ufficiale, ma è un rallentamento meno intenso.
  Questo è il quadro che abbiamo davanti. Da cosa dipende tutto questo? Essenzialmente, la crescita del 2017, così come le previsioni di crescita per il 2018, hanno come elemento cruciale l'andamento della domanda interna e la domanda interna rappresenta il principale fattore di crescita in questa fase. Quell'1,5 per cento di crescita nel 2018 era composto – vado a memoria – da un 1,3 per cento di contributo della domanda interna e da uno 0,1-0,2 per cento di contributo delle esportazioni nette.
  Le storie diverse raccontate in questo grafico hanno a che fare, quindi, con un'idea di rallentamento maggiore della domanda interna. L'effetto delle misure previste per il 2019 e il 2020 sarebbe essenzialmente quello di produrre un rallentamento della domanda interna maggiore rispetto a quello che viene ipotizzato nel quadro ufficiale: si registrerebbe ancora una crescita della domanda interna, ma essa sarebbe comunque minore rispetto alle attese.
  Per essere onesti dal punto di vista professionale, direi che il quadro attuale presentato dal Governo rimane ancora un quadro caratterizzato da sufficienti elementi di realismo. Questa è la morale finale di questa storia, però è bene avere chiaro che il quadro reca comunque elementi di rischio. Inoltre, vi sono i rischi di tipo geopolitico cui accennavo prima.
  A tale proposito, abbiamo prodotto un esercizio su che cosa accadrebbe con uno shock protezionistico, che trovate alle pagine 19-22 del nostro documento, per quanto anche nel DEF c'è un esercizio di questo tipo. In termini molto sintetici, per quanto riguarda l'impatto sulla crescita reale siamo grosso modo su una valutazione analoga, pari a circa lo 0,5 per cento in meno. Dal nostro punto di vista, è rilevante sottolineare anche l'effetto sul PIL nominale.
  Come dicevo, l'effetto sul PIL nominale è sostanzialmente doppio, e quindi, con uno shock protezionistico come quello illustrato nel documento che vi abbiamo distribuito, si avrebbe, alla fine del periodo, circa un punto percentuale in meno di crescita del PIL nominale. Questo significherebbe che tutti gli indicatori che noi guardiamo – rapporto debito/PIL, disavanzo/PIL e via dicendo – peggiorerebbero in misura rilevante.
  La seconda parte della mia relazione, invece, ha a che fare con un altro compito dell'Ufficio parlamentare di bilancio, che è quello di fornire una valutazione indipendente degli andamenti di finanza pubblica e del rispetto delle regole fiscali.
  Per quanto riguarda il quadro tendenziale di finanza pubblica, al di là di alcuni dettagli e dubbi che abbiamo ma che sono davvero di rilievo modesto, noi riteniamo che il quadro sia nel suo complesso realistico, quindi da questo punto di vista mi limiterò a mettere in evidenza quelli che, secondo la nostra valutazione, sono gli elementi più importanti di quel quadro.
  In questa sede probabilmente ripeterò qualche cifra che già avrete sentito nelle precedenti audizioni. Partendo dal disavanzo Pag. 34 in termini nominali in rapporto al PIL, esso nel 2017 è diminuito di 0,2 punti percentuali, passando dal 2,5 al 2,3. La diminuzione sarebbe stata maggiore se nel disavanzo del 2017 non fosse intervenuta la revisione dei criteri di contabilizzazione di alcune poste legate all'operazione relativa alle banche venete, che ha inciso per lo 0,4 per cento, ma l'aspetto importante, al di là di questo, è che il saldo primario è rimasto stabile all'1,5 per cento tra il 2016 e il 2017, quindi tutta la diminuzione del disavanzo è dovuta a una diminuzione della spesa per interessi in rapporto al PIL, in misura pari allo 0,2 per cento. Questo è il primo elemento che ci sembra di dover sottolineare.
  Per quanto riguarda la previsione tendenziale, quella futura, rammento ancora – non lo ripeterò ogni volta, ma naturalmente è un elemento cruciale – che questa è una previsione a legislazione vigente, quindi non è una previsione a politiche invariate. Secondo quanto evidenzia il DEF, una previsione a politiche invariate evidenzierebbe maggiori spese, che nel 2019 sarebbero pari a 3,6 miliardi di euro, nel 2020 a 6,9 miliardi di euro e nel 2021 a 10,2 miliardi di euro.
  Il deficit tendenziale dovrebbe, secondo questa proiezione a legislazione vigente, ridursi progressivamente, sia in valore assoluto in miliardi di euro sia in percentuale del PIL, collocandosi, a partire dal 2,3 per cento nel 2017, all'1,6 per cento nel 2018 e allo 0,8 per cento nel 2019, fino a conseguire il pareggio nel 2020 e un surplus nel 2021.
  Abbiamo visto prima che il 2017 migliora rispetto al 2016 per effetto della spesa per interessi. In questo caso, invece, il miglioramento è guidato dall'avanzo primario e il miglioramento dell'avanzo primario, a sua volta, è guidato dall'aumento dell'IVA. Questo è il punto che occorre tener presente. Nelle audizioni svolte nella passata legislatura, noi abbiamo sempre messo in evidenza come l'aumento dell'IVA fosse un elemento che rendeva di difficile lettura la programmazione di finanza pubblica di medio termine, questo è l'elemento cruciale.
  C'è un altro aspetto che forse non appare a prima vista: si incorpora, come detto, l'aumento dell'IVA ma, incorporando questo aumento, come vanno le poste di entrata e di spesa? Lo dico sempre in termini molto sintetici giacché, per chi fosse interessato, il nostro documento, composto di oltre cinquanta pagine più trenta di grafici, consentirà di meglio approfondire tali questioni.
  L'incidenza delle entrate sul PIL nel periodo di previsione scende dal 46,6 per cento nel 2017 al 46,2 nel 2021. Si registra dunque una discesa delle entrate sul PIL di quasi lo 0,5 per cento, nonostante l'aumento dell'IVA, il che vuol dire che il resto diminuisce di più. E questo come mai? Vi sono diminuzioni in tutte le principali componenti, in particolare quella delle imposte dirette. In tal caso, gioca un ruolo l'introduzione del regime favorevole di tassazione opzionale dell'imposta sul reddito imprenditoriale nonché le detrazioni sull'IRPEF operate in base alla legge di bilancio per il 2018; in sostanza, ci sono una serie di elementi introdotti dall'ultima legge di bilancio e in quella precedente che, di per sé, inducono una diminuzione della pressione fiscale.
  Le uscite primarie, invece, calano in percentuale al PIL di 2,7 punti, dal 45,1 al 42,4, rispecchiando le riduzioni di tutte le componenti delle uscite. L'unica componente che rimane grosso modo stabile in termini di quota del PIL è quella degli investimenti, ma a tale riguardo occorre fare un'annotazione. Nel nostro documento trovate confronti non solo nel tempo, ma anche tra le varie previsioni, e un confronto ovvio è quello di paragonare questa previsione con l'ultima previsione che incorporava gli effetti della legge di bilancio per il 2018, vale a dire la previsione contenuta nella nota tecnico-illustrativa presentata dal Ministero dell'economia e delle finanze a gennaio scorso, in cui viene incorporato l'effetto della legge di bilancio appena approvata nel quadro di previsione della finanza pubblica.
  Rispetto al quadro di gennaio, questa previsione per gli investimenti sconta una diminuzione di 2 miliardi di euro l'anno sia Pag. 35nel 2017, a consuntivo, sia nel 2018 e nel 2019. Questa è l'indicazione di una difficoltà, anche perché nel frattempo non è cambiata nessuna norma e non sono stati tagliati gli stanziamenti. A legislazione vigente, a gennaio si prevedeva pertanto una determinata cifra per gli investimenti nel 2018 e nel 2019 mentre oggi si prevedono 2 miliardi di euro in meno all'anno. Questa è una rappresentazione plastica di quello che ormai tutti dicono in questi mesi e forse da anni: vi è cioè una difficoltà oggettiva della pubblica amministrazione italiana a realizzare investimenti nei termini che qui osserviamo, quindi quella voce è ancora molto debole.
  Svolta questa rapida descrizione del quadro della finanza pubblica, ho ora invece bisogno di un ponte per parlare delle regole e il ponte mi è dato dal fatto che le regole non sono costruite, se non quella del famoso 3 per cento, sulla base dei saldi di cui abbiamo parlato sin qui, come il saldo in euro diviso il PIL, ma sono costruite sulla base del saldo strutturale. Che cos'è il saldo strutturale? Come sapete, si tratta del saldo nominale rivisto sulla base sostanzialmente di due elementi di correzione.
  Un elemento consiste nel depurare l'effetto del ciclo, nel senso che, se le cose vanno molto bene, avrò più imposte del solito, ossia un gettito fiscale maggiore del solito, quindi, già di per sé e solo per effetto di questo, il saldo migliora. Pertanto, si tratta di scomputare dal saldo tale effetto chiedendosi invece quali sarebbero le imposte se il mondo fosse nella normalità e non fosse in una fase di espansione ciclica. Viceversa, un discorso analogo vale in presenza di una fase di recessione. Qualcosa del genere vale anche per le spese, anche se in misura minore. Pensate a tutti i trattamenti di disoccupazione: in una fase di recessione la spesa è più alta, quindi il disavanzo peggiora.
  Quale elemento ulteriore, il disavanzo viene inoltre depurato da tutti gli elementi temporanei, ossia dalle cosiddette misure una tantum.
  Il risultato di queste due correzioni porta al saldo strutturale, che è quello su cui si concentrano le regole fiscali, sia quelle italiane, in qualche misura, sia quelle europee.
  Naturalmente, il meccanismo che ho testé descritto è una storia facile a raccontarsi e molto difficile ed incerta a farsi: valutare soprattutto l'effetto del ciclo sul saldo, come potete immaginare, può dare risultati molto diversi, a seconda del metodo che viene utilizzato. La Commissione europea ha adottato un suo metodo; il metodo adottato dal Ministero dell'economia e delle finanze rientra in quella categoria di metodi, però, come vi accennerò a breve, i risultati che si ottengono sono abbastanza diversi.
  Fatta tutta questa lunga premessa, il saldo strutturale ha fatto registrare un peggioramento di 0,2 punti percentuali nel 2017, un miglioramento di 0,1 punti percentuali nel 2018 e significativi miglioramenti nel 2019 e nel 2020, pari rispettivamente a 0,6 punti percentuali e a 0,5 punti percentuali. I motivi sono gli stessi che ho detto prima, quando ho accennato al saldo nominale: il miglioramento del 2019 e del 2020 ci riporta sempre all'elemento che tutti conosciamo.
  Il peggioramento nel 2017 corrisponde in larga misura agli spazi di flessibilità accordati dalla Commissione europea. Il peggioramento, come dicevo, era di 0,4 punti percentuali mentre gli spazi di flessibilità sono stati pari a 0,35 punti percentuali. Questo è il quadro.
  Le valutazioni della Commissione europea sono diverse: essa stima infatti un saldo strutturale, per effetto solo di quell'elemento di correzione dato dalla componente ciclica, peggiore di 0,6 punti percentuali l'anno, quindi la valutazione della Commissione europea degli effetti del ciclo sul saldo – ma questo è un dato permanente – è diversa da quella ufficiale dei documenti programmatici del Governo. Ciò crea naturalmente un problema che ha a che fare con la difficoltà tecnica intrinseca a questo tipo di calcoli.
  Fatta questa premessa, passerei ad una rapida carrellata sul rispetto delle regole, che ritrovate da pagina 52 in avanti del nostro documento. Pag. 36
  Per quanto riguarda l'Italia, essa si trova nel braccio preventivo, cioè non è in una procedura per disavanzo eccessivo e non ha superato il 3 per cento nel rapporto deficit/PIL, il che comporterebbe una storia diversa da raccontare. Ricordo che la parte preventiva del Patto di stabilità e crescita riguarda essenzialmente il rispetto del percorso di avvicinamento all'Obiettivo di medio termine (OMT), che per l'Italia è costituito dal pareggio di bilancio strutturale che, come abbiamo visto, secondo la proiezione a legislazione vigente verrebbe conseguito nel 2020.
  In relazione ad una eventuale deviazione dal percorso di avvicinamento, ricordo che quest'ultimo è inserito nel framework delle regole europee ed è sintetizzato da una matrice che, a seconda del punto del ciclo in cui ti trovi, ti dice se quest'anno devi fare uno sforzo più o meno elevato per avvicinarti a quell'Obiettivo, mentre quello che poi viene valutato dalla Commissione europea è la distanza tra quello sforzo che dovresti fare, che è richiesto, e quello che effettivamente fai. Se c'è una differenza, c'è però un margine di tolleranza, che è pari allo 0,5 per cento su base annuale – per cui se lo sforzo richiesto fosse di migliorare il saldo strutturale di 0,6 punti percentuali, mi basta fare anche lo 0,1 per cento e sto comunque all'interno del margine di tolleranza –, mentre su base biennale il margine di tolleranza è non superiore allo 0,25 per cento, quindi non posso fare lo 0,5 per cento l'anno di deviazione, posso fare al massimo lo 0,5 per cento in due anni. Questo è, in sintesi, il meccanismo.
  Ciò conduce a tutti quei discorsi che avete ascoltato anche in precedenza sulla deviazione significativa o non significativa: può esserci una deviazione dal percorso, ma questa è significativa solo se supera le soglie di cui vi parlavo prima, cioè lo 0,5 per cento su base annuale e lo 0,25 per cento su base biennale. Nel caso italiano, nel 2017 la soglia su base biennale viene superata, e questo è un dato a consuntivo.
  Qui viene introdotto un altro elemento: nel caso in cui vi siano scostamenti rispetto all'obiettivo programmatico strutturale, a consuntivo, può scattare un meccanismo di correzione, vale a dire devo recuperare il terreno che non ho colmato in quell'anno. Il meccanismo di correzione ti deve riportare l'anno successivo sul sentiero che avevi concordato. In questo caso dovrebbe riportare sul sentiero che avevamo concordato nel 2019, considerato che ora siamo nel 2018, che ha fatto seguito alla deviazione significativa del 2017, quindi nel 2019 dobbiamo ritornare sul sentiero che avevamo concordato.
  La proiezione a legislazione vigente ci riporta già sul sentiero che avevamo concordato, quindi la proiezione di cui abbiamo parlato prima, che produce un disavanzo strutturale che è esattamente quello che era stato concordato nell'ultimo piano approvato dalla Commissione europea, da questo punto di vista non comporterebbe l'attivazione del meccanismo di correzione.
  Mi sono dilungato su questo aspetto perché la legge rinforzata n. 243 del 2012 attribuisce all'Ufficio parlamentare di bilancio il compito di effettuare valutazioni circa l'attivazione del meccanismo di correzione previsto dall'articolo 8 della medesima legge n. 243. Questo è il quadro.
  Questa è una regola, poi ce n'è un'altra che riguarda la spesa e che prevede un tasso di crescita della spesa – detto in estrema sintesi – tale per cui la parte permanente della spesa, al netto di interventi discrezionali sulle entrate, giacché se aumento le entrate posso aumentare la spesa, non sia tale da modificare la quota della spesa sul PIL. Nel 2017 questa regola è stata rispettata, mentre invece trovate rischi di deviazione significativa sia nel 2018, su base biennale, sia nel 2019, ai limiti della significatività.
  Un'ultima regola è quella che riguarda il debito. Nessuno dei vari criteri che vengono utilizzati per quella regola viene rispettato. Ricordo che la regola del debito è quella che richiede, con vari modi di vedere la cosa in avanti (forward-looking) o indietro (backward-looking), un ventesimo di riduzione del rapporto tra debito e PIL rispetto alla soglia del 60 per cento, ma questa non viene rispettata e non viene Pag. 37rispettata lungo tutto l'arco di previsione, da qui fino al 2021.
  Termino qui, fermo restando che su qualche elemento ulteriore si potrà ritornare. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio molto il presidente Pisauro per la sua relazione.
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LUIGI MARATTIN. Presidente Pisauro, le formulo rapidamente quattro quesiti. In primo luogo: mi può fare cortesemente una valutazione dei costi e dei benefici legati allo scatto delle clausole di salvaguardia? Perché lei è stato molto chiaro sul fatto che le previsioni del quadro tendenziale relative all'inflazione implicano lo scatto delle clausole, cui peraltro è riconducibile anche l'effetto recessivo sui consumi e sul PIL. Siamo in grado di quantificare entrambi gli effetti? In altre parole, se le clausole scattassero cosa succederebbe in termini di costo per quanto riguarda l'impatto recessivo sulla quantità del prodotto e in termini di beneficio per quanto riguarda l'inflazione e la conseguente sostenibilità del debito?
  In secondo luogo, la sua relazione contiene un'analisi di sensitività sullo shock protezionistico globale, ma in essa lei è molto chiaro anche sullo shock, che in parte abbiamo già registrato nel primo trimestre del 2018, relativo al venir meno della fiducia nell'economia italiana. Siamo in grado di quantificare, qualora le condizioni anche politiche del nostro Paese dovessero favorire un venir meno del clima di fiducia, come questo impatterebbe sullo scenario dei prossimi anni?
  In terzo luogo, devo approfittare per farle i complimenti, perché le note dell'Ufficio parlamentare di bilancio sulla questione dell’output gap, che lei ha citato anche nella sua relazione, sono le più chiare che personalmente abbia mai visto, però nella precedente audizione i rappresentanti della Banca d'Italia non mi hanno risposto e quindi ora devo essere cattivo con lei. Lei è in grado di dirmi – anche personalmente, se vuole – se non ritiene che fra i benefici di avere regole fiscali strutturali, quindi aggiustate per il ciclo, vale a dire che comportino una stabilizzazione macroeconomica piena, e i costi incredibili – laddove «incredibili» è una mia annotazione personale – che derivano dall'estrema complessità del calcolo, che voi meglio di altri avete sottolineato, i costi abbiano ormai superato i benefici e sia il momento di tornare a regole fiscali esclusivamente nominali, per quanto severe possano essere?
  Per quanto concerne la quarta ed ultima domanda, lei concorda sul fatto che, dato lo scenario che ha prospettato e stante una pressione fiscale invariata, lo spazio fiscale nell'orizzonte di previsione per aumentare la spesa corrente primaria nei prossimi anni è davvero molto ridotto?

  MARIO TURCO. Vorrei porre l'attenzione sulle entrate discrezionali e, in particolar modo, sugli effetti dell'aumento delle imposte indirette, quindi IVA e accise.
  Mi sembra di capire che le previsioni del Governo risultano troppo ottimistiche rispetto alle risultanze della Commissione europea, soprattutto con riferimento agli anni 2018 e 2019, per i quali si registra, rispettivamente, un differenziale negativo di 3 miliardi e di oltre 8 miliardi di euro. Questo significa che le misure di salvaguardia individuate dal Governo non sono efficaci?
  In merito a questi differenziali mi sembra di capire che non è possibile individuare i fattori di questa valutazione non coincidente tra le previsioni del Governo e quelle della Commissione europea, e in particolare viene lamentata in proposito una carenza di informazioni. Da cosa dipende questa carenza di informazioni e come è possibile invertire questa tendenza?

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Lei ha citato delle cifre che però non riesco a ritrovare.

  MARIO TURCO. Si trovano a pagina 35 del vostro documento, nel paragrafo relativo alle entrate discrezionali. La mia domanda Pag. 38 riguarda gli effetti legati all'aumento delle imposte indirette, quindi IVA e accise. Mi sembra di capire che vi è una discrasia tra quanto previsto dal Governo in termini di salvaguardia e quanto preventivato, invece, dalla Commissione europea, laddove vengono riportati questi differenziali.

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Non è così, poi le risponderò.

  MARIO TURCO. Mi sembrava di aver letto ed interpretato in questa maniera. Dopodiché, soprattutto sulla lamentata carenza di informazioni, che penso possa inficiare questa discrasia nella valutazione, le chiedo cosa si possa fare per invertire questa tendenza nella carenza di informazioni, che peraltro non permette all'Ufficio parlamentare di bilancio di giungere poi a delle valutazioni esaustive.

  MASSIMO GARAVAGLIA. Ho tre domande veloci. Riguardo alla prima, la legge in materia di contabilità pubblica prevede che venga redatto un documento che indica il contributo recato dai diversi sottosettori, tra cui le amministrazioni centrali e quelle locali, al risanamento della finanza pubblica. Da anni, però, noi non disponiamo di questo report. Voi ce lo potete dare, in modo da avere un resoconto degli ultimi cinque anni in ordine a quanto i singoli sottosettori hanno contribuito, ciascuno per la propria parte, al risanamento della finanza pubblica?
  In secondo luogo, nel vostro documento c'è un interessante report sui rischi protezionistici. Non ritenete di dover fare anche un report sulla concorrenza fiscale – tra cui è possibile annoverare, a titolo di esempio, le misure americane sulla riduzione delle imposte – e l'impatto che essa può avere sulla nostra economia? Lo chiedo anche perché proprio in quella direzione si sta andando: noi continuiamo a guardare il nostro ombelico, ma il resto del mondo si muove in quella direzione, quindi anche noi dovremmo andare in quella direzione. Pertanto, sarebbe interessante avere un'analisi sui costi e i benefici derivanti dall'adozione o meno di tali politiche in ambito fiscale.
  In terzo luogo, richiamo l'attenzione sugli investimenti, privati e pubblici, che rappresentano il problema principale di questo Paese. Sugli investimenti privati, nel documento curato dalla Banca d'Italia c'è addirittura un auspicio quasi imbarazzante per la patrimoniale. Dato il peso del settore delle costruzioni nel nostro Paese, avete un'analisi di quali effetti l'introduzione di una ulteriore patrimoniale, rispetto alle già elevate imposizioni esistenti sulle abitazioni, potrebbe avere sulla nostra già fragile economia? Lo chiedo anche perché si inizia a sentire questa ipotesi di patrimoniale come fosse una soluzione semplice, mentre noi riteniamo che possa avere degli effetti pesantemente recessivi.
  Infine, sugli investimenti pubblici, vi chiedo se avete un'analisi, riferita agli ultimi cinque anni, sull'impatto delle diverse normative quali il codice degli appalti, le regole di finanza pubblica, l'armonizzazione e il pareggio di bilancio, che vale però solo per gli enti locali mentre l'amministrazione centrale ne rinvia il conseguimento di anno in anno, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale che ha, in buona parte, messo in crisi la legge rinforzata n. 243 del 2012.

  DANIELE PESCO. Nella tabella 2.9 a pagina 67 del vostro documento, è riportata la voce: «altre forme di copertura». Si tratta di derivati? In tal caso, secondo voi nel DEF è espressa in modo palese la quota di derivati che lo Stato sta pagando? Nel caso si trattasse di derivati, nella citata tabella 2.9 non vedo però nulla in riferimento agli anni 2018-2020: avete contezza di quanto potremo andare a pagare? So che l'Ufficio parlamentare di bilancio è molto sensibile a tale questione.

  CLAUDIO BORGHI. Innanzitutto, spendo due secondi per rivolgere i miei complimenti al presidente Pisauro, perché oggettivamente constato una sapienza nel destreggiarsi tra regole assolutamente assurde, che penso un Paese normale non Pag. 39debba vedersi inflitte e che, invece, a noi toccano perché ci ritroviamo dentro questa strana realtà in cui le regole prevalgono sulla sostanza. Rinnovo dunque i miei complimenti al presidente Pisauro per la sua capacità di riuscire a destreggiarsi in questa maniera.
  Vorrei fare due domande. La prima è relativa agli interventi sulle banche. Io ho provato anche ieri con scarso successo ad avere qualche informazione, ma magari lei mi può aiutare. Nello specifico, sul Monte dei Paschi di Siena vedo che, a pagina 33 del vostro documento, correttamente si fa riferimento alla cifra di 1,6 miliardi di euro, dati dalla differenza fra il prezzo di acquisto delle obbligazioni in termini di azioni e il prezzo di mercato, ma, poiché la posta di possesso del Monte dei Paschi di Siena, almeno a Governo vigente, è stata in tutti i modi considerata transitoria, come penso purtroppo la voglia considerare anche l'Unione europea, l'aspetto del mark to market, vale a dire la perdita potenziale derivante dal prezzo di mercato rispetto al prezzo d'acquisto, per quanto concerne il Monte dei Paschi di Siena, è stata evidenziata da qualche parte oppure non c'è? In caso affermativo, a quanto ammonterebbe, perlomeno a prezzi attuali?
  Vi è poi un'altra questione che le sottopongo da economista, proprio per la stima che ho di lei. Dal momento che ieri nella sua audizione il Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, non mi ha saputo dire quali siano, a suo avviso, al momento i moltiplicatori sia della spesa che fiscali per il nostro Paese, tenuto presente che buona parte delle condizioni che normalmente la letteratura riporta – come, per esempio, la presenza di tassi d'interesse a zero e similari – indicherebbe alti moltiplicatori, mi piacerebbe sapere che cosa ne pensa lei.

  PRESIDENTE. Cedo ora la parola al presidente Pisauro per la replica.

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Ho davvero bisogno di conoscere il vincolo temporale, perché le domande sono numerose.

  PRESIDENTE. Presidente Pisauro, lei ha a disposizione circa quindici minuti.

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Cercherò di seguire l'ordine degli interventi.
  Rispondo quindi anzitutto all'onorevole Marattin sulla questione dei costi e dei benefici. Posso dare una valutazione sulla base del nostro modello di previsione, però devo premettere com'è costruito il nostro modello rispetto ad altre valutazioni. Io devo insistere molto su un aspetto: in questa materia non esistono certezze e tutte le valutazioni che facciamo sono soggette a un grande margine di incertezza. Il nostro modello, rispetto all'effetto di un aumento dell'IVA, ha – poi risponderò in modo più preciso e più completo – un moltiplicatore relativamente basso, all'incirca intorno allo 0,2-0,3 per cento. Altri previsori, inclusi quelli appartenenti al nostro panel, hanno valutazioni diverse, per cui il moltiplicatore è per alcuni più basso e per altri più alto.
  Comunque, la nostra valutazione è che l'impatto sul 2019 di una disattivazione della clausola, vale a dire di un mancato aumento dell'IVA, consisterebbe in una maggiore crescita del PIL reale di uno 0,1 per cento, ma questo sarebbe più che compensato da una minore crescita del deflatore del PIL di uno 0,6 per cento, quindi l'effetto sul PIL nominale sarebbe una diminuzione rispetto a quanto vediamo indicato in questo quadro. Questa è solo una risposta fattuale, senza alcuna considerazione di tipo valutativo.
  Per quanto concerne l'impatto sul 2020, dovremmo invece considerare sia gli effetti ritardati della rimozione dell'IVA nel 2019 sia l'effetto di un'ulteriore rimozione dell'IVA nel 2020, per cui avremmo nel 2020 un altro aumento dello 0,1 per cento dei consumi. Naturalmente, l'effetto sul deflatore si spegne e non è più pari a un meno 0,6 per cento, ma è di un terzo, pari dunque a un meno 0,2 per cento, perché l'effetto sui prezzi ha poi un effetto sulla componente import-export che in qualche misura lo compensa. Questa è la nostra valutazione. Ciò posto, lascio a voi valutare quali siano i costi e quali i benefici, perché questo sarebbe un discorso lungo. Pag. 40
  Tali argomenti, però, non vanno considerati, se posso permettermi, in un'ottica isolata. Per quanto riguarda la mancata attivazione della clausola IVA, il racconto che vi ho fatto è quello di una mancata attivazione in disavanzo, nel senso che, fermo restando tutto il resto, io non tocco l'IVA, per cui, se non tocco l'IVA e la compenso con qualcos'altro, naturalmente i risultati sarebbero diversi.
  Per quanto riguarda una simulazione delle condizioni politiche sulla fiducia, non sono in grado di fornirla, specialmente, come mi chiedeva lei, in rapporto al medio termine. A maggior ragione, non sono in grado di fornirla all'impronta, quindi su questo aspetto al momento devo dichiararmi incompetente a rispondere.
  Passo quindi alla questione delle regole strutturali, in termini di benefici e costi, che in qualche modo contiene una parte di risposta all'interrogativo posto dall'onorevole Borghi.
  L'Ufficio parlamentare di bilancio ha tra i suoi compiti quello di valutare il rispetto di quelle regole, quindi deve fare un esame di quelle regole, ma non può, proprio per la sua posizione, discutere quelle regole, tuttavia, se volete una valutazione di tipo personale, posso dire che io sono d'accordo con l'onorevole Marattin.
  Il problema è la base analitica delle regole e ciò discende dal voler rendere intelligenti delle regole che, come ricorderete, qualcuno definì stupide – in particolare, mi riferisco ad una famosa intervista di Prodi a Le Monde di una decina d'anni fa o forse anche più, nella quale affermava che le regole fiscali erano stupide perché c'era il vincolo del 3 per cento, a prescindere da quale fosse il contesto. Per renderle più intelligenti, dobbiamo tener conto del contesto, vale a dire se, ad esempio, ci troviamo in una fase di ciclo positivo ovvero in una fase di ciclo negativo.
  Tener conto del contesto anno per anno, in modo preciso, dando un valore cogente a quella valutazione, porta a questo tipo di situazione, ossia alla difficoltà di comprendere il significato di quelle regole.
  Per esaminare quest'aspetto non c'è ora tempo, però richiamerei l'attenzione su un tentativo – a questo punto, probabilmente, in sostanza abortito – della Commissione europea dello scorso dicembre, attraverso la presentazione di una proposta di direttiva che prevedeva l'incorporazione del fiscal compact nell'ordinamento vigente. Quella non era però un'incorporazione sic et simpliciter perché c'era un tentativo di andare oltre questo tipo di approccio. Per dirla in termini estremamente sintetici, si trattava di un programma di legislatura di cinque anni in cui il punto d'arrivo era fissato, tenuto conto di elementi strutturali, e poi il monitoraggio annuale era condotto su variabili nominali. Ecco, ciò renderebbe la vita più semplice e sarebbe anche più facile spiegarlo all'esterno perché mi rendo conto che, ogni volta che devo raccontare questo quadro, è estremamente confondente, anche per chi lo deve raccontare.
  In merito ad uno spazio per aumenti della spesa a legislazione vigente, se dobbiamo stare nel quadro dei vincoli di cui parlavamo prima, a disavanzo dato gli spazi non ci sono, come, tra l'altro, avevamo già posto in evidenza in un nostro studio effettuato prima delle elezioni e all'inizio della campagna elettorale, in cui mettevamo appunto in evidenza come sulla spesa pubblica nei prossimi anni ci saranno pressioni endogene, sia dal lato della demografia sia da quello – mi viene in mente, soltanto per fare un esempio, il solito discorso degli investimenti – della spesa pubblica in ricerca e sviluppo.
  La spesa pubblica in ricerca e sviluppo si è ridotta negli ultimi dieci anni – vado a memoria – di circa un terzo, quindi ci sono pressioni. È possibile fare operazioni di revisione della spesa, ma il dubbio che esprimevamo in quel lavoro era che eventuali spazi rivenienti da operazioni di revisione della spesa probabilmente dovranno servire a rispondere a tutta una serie di esigenze, che possono essere il welfare, la sanità, l'istruzione e via elencando. Spazi per un aumento dei livelli di spesa qui previsti, se dobbiamo stare all'interno di quei vincoli, onestamente non ci sono.
  Passo alla domanda del senatore Turco. Forse qui viene descritta male, ma la questione è la seguente: la Commissione europea Pag. 41 non considera l'aumento dell'IVA e, per così dire, non si fida, nel senso che la Commissione assume un quadro a politiche invariate.
  Dal punto di vista, se volete, semantico, noi abbiamo un quadro a legislazione vigente e l'aumento dell'IVA è nella legislazione vigente, perché c'è una legge che dice che dal 1° gennaio 2019 le aliquote dell'IVA aumentano. In un quadro a politiche invariate, si può sostenere che l'aumento dell'IVA non c'è perché non è nelle attuali politiche, quindi in tutti i documenti e in tutte le previsioni della Commissione europea non c'è l'aumento dell'IVA. Questo è uno degli elementi che, se andiamo oltre il 2018 e concentriamo l'attenzione sul 2019 e sul 2020, fa sì che ci sia quella divergenza cui accennavo prima tra le valutazioni della Commissione europea e le valutazioni ufficiali italiane.
  Per quanto riguarda la carenza di informazioni sulle misure discrezionali di entrata, dobbiamo invece fare un discorso a parte. Comunque, un problema di carenza di informazioni e di difficoltà di accesso alle medesime da parte dell'Ufficio parlamentare di bilancio esiste, tuttavia – adesso siamo al quarto anno della nostra esperienza – il quadro lentamente migliora. Adesso, però, non ho tempo di approfondire questo specifico aspetto.
  Per rispondere all'onorevole Garavaglia in merito ad un report sul contributo dei vari sottosettori al risanamento della finanza pubblica, posso dire che la difficoltà di fare queste operazioni ha essenzialmente a che vedere con un elemento per cui – considerando che il sottosettore afferente agli istituti previdenziali sta insieme con l'amministrazione centrale, ed immagino quale sia il punto di interesse – i sottosettori, se io guardo i saldi, non hanno un gran significato perché le entrate sono, al di là del nome, in buona parte, nella loro sostanza economica, trasferimenti dal centro. La cosa che può essere più interessante – altre volte l'abbiamo fatto, ma possiamo ripetere l'esercizio – è, a prescindere da chi vengano le entrate, misurare il contributo al risanamento della finanza pubblica in termini di dinamiche della spesa, quindi prendiamo la spesa al netto e guardiamo com'è andata per i vari sottosettori. L'impatto della riforma fiscale americana è invece in cantiere, come tipo di ragionamento.
  Per quanto concerne gli effetti di una reintroduzione dell'IMU, onorevole Garavaglia, lei stava in pratica facendo riferimento ad una patrimoniale sulla casa. Anche in questo caso, la risposta è telegrafica: se l'alternativa è non fare niente, l'effetto è negativo, ma, se si tratta di introdurre una patrimoniale contro qualcos'altro, non lo so. Queste cose da sole hanno un segno ovvio, ma vanno considerate all'interno di un bilancio: se aumento le imposte sulla casa, diminuisco qualcos'altro e così via.
  Quanto agli investimenti pubblici e all'impatto delle normative, certamente c'è una produzione e noi stiamo lavorando a un paper su quest'aspetto. Oltre ai vincoli che derivano dalla disciplina in materia di finanza pubblica e dal codice degli appalti, segnalo che un altro elemento che sembra importante è la capacità tecnica di progettazione. A tale riguardo, occorrerebbe aprire un capitolo su cosa è successo ai corpi tecnici delle amministrazioni pubbliche negli ultimi decenni per capire, ad esempio, se sono come prima o se si sono ridotti di numero.
  Per quanto riguarda i derivati, il tema viene affrontato alle pagine 39 e 40 del nostro documento, come parte degli interessi nell'aggiustamento stock-flussi. C'è scritto e lo raccontiamo. Dovremmo richiamarne tanti altri, anche perché le voci possibili da introdurre sono un centinaio. Dunque, i derivati sono messi in evidenza.
  Per quanto riguarda gli interventi nelle banche e la storia della minusvalenza – ultima risposta e, poi, una battuta sui moltiplicatori – l'onorevole Borghi, se ho ben compreso il suo ragionamento, sostanzialmente dice che c'è una minusvalenza sul Monte dei Paschi di Siena. Le do un'altra notizia sorprendente: nella contabilità pubblica questa minusvalenza ai prezzi di mercato non si vede, giacché essa compare nello stato patrimoniale, ma lo stato patrimoniale è un documento il cui contenuto è oscuro ai più. Dal punto di vista sostanziale, Pag. 42 però, naturalmente quella minusvalenza, nel momento in cui si manifestasse, si vedrebbe e non c'è nessun vincolo per il Ministero dell'economia e delle finanze a realizzare quella minusvalenza. Qual è il vincolo? Può farlo anche fra quattro anni, no?

  CLAUDIO BORGHI. Insomma, in teoria mi hanno detto che vogliono farlo in fretta.

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Comunque, nel conto che noi valutiamo ai fini dei saldi la minusvalenza non c'è, ma impatterebbe sul debito nel momento in cui venisse realizzata, detto in sintesi.
  Per quanto riguarda la questione dei moltiplicatori, mi si chiede quanto siano i moltiplicatori adesso. Allora, in termini estremamente generali, io ho l'impressione che siano ancora più alti rispetto ad una fase normale. Sicuramente i moltiplicatori erano più alti nel pieno della recessione e si è sviluppata tutta una discussione, anche accademica e di autocritica da parte di alcuni organismi internazionali, sul fatto che, usando – ricordo in proposito l'articolo di Blanchard e Leigh – i moltiplicatori tradizionali, l'effetto recessivo di manovre di correzione del disavanzo veniva in qualche misura reso di entità trascurabile. Oggi, cos'è cambiato? Non siamo più in una fase di recessione acuta, ma siamo in una fase di ripresa. Rispetto a quello che dice lei, onorevole Borghi, sarei portato a concordare sul fatto che, avendo ancora interessi a tasso zero, probabilmente i moltiplicatori sono ancora alti, però questo è un discorso più lungo. Bisognerebbe comunque ragionare sul fatto che questo non significa che un aumento del disavanzo produce in modo permanente una riduzione del rapporto debito/PIL.
  Mi sembra, più o meno, di avere risposto a tutti i quesiti. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Pisauro per il suo intervento nonché l'intero Consiglio dell'Ufficio parlamentare di bilancio e dichiaro conclusa l'audizione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
DELLA COMMISSIONE SPECIALE PER L'ESAME DI ATTI DEL GOVERNO DELLA CAMERA DEI DEPUTATI ANDREA MANDELLI

Audizione di rappresentanti
di ANCI e UPI.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti di ANCI e UPI.
  La delegazione di ANCI è composta da Guido Castelli, sindaco di Ascoli Piceno e delegato per la finanza locale, Mauro Guerra, sindaco di Tremezzina e presidente della Commissione finanza locale, Veronica Nicotra, segretario generale, Fabrizio Fazioli e Giuseppe Ferraina, del Dipartimento finanza locale, Danilo Moriero, capo ufficio stampa, ed Emiliano Falconio, capo servizio area stampa.
  La delegazione di UPI è composta da Achille Variati, presidente, Piero Antonelli, direttore generale, Luisa Gottardi, funzionario, e Barbara Pierluigi, responsabile dell'ufficio stampa.
  Do la parola al sindaco Castelli.

  GUIDO CASTELLI, delegato per la finanza locale di ANCI. Grazie, presidente, rivolgo un saluto a tutti i membri delle Commissioni. Abbiamo predisposto della documentazione, che credo sia stata già trasmessa e che illustreremo con il collega Guerra, presidente della Commissione finanza locale.
  Il DEF in realtà non affronta in maniera significativa la questione dei comuni, credo che sia invece opportuno evidenziare preliminarmente il contributo che i comuni hanno dato negli ultimi anni al risanamento della nostra finanza pubblica, per poi fare delle proposte operative che speriamo possano essere accolte nell'ambito di Pag. 43un documento che non può trascurare la grande questione comunale.
  L'unico elemento che il DEF contiene e suggerisce in riferimento all'attività dei comuni è quello che riguarda la ripresa degli investimenti. La ripresa in realtà è ancora modesta e sconta quello che è stato lo scenario di anni, che qualcuno ha definito disciplinati da una legislazione di guerra.
  L'Ufficio parlamentare di bilancio, nel 2017, rispetto al miglioramento dei saldi di finanza pubblica, che proprio secondo il professor Pisauro ammontano a 25 miliardi di euro, ha indicato che 12 di questi 25 miliardi sono stati frutto di tagli e contributi garantiti dalle autonomie locali, in particolare 9 miliardi dai comuni a 3 dalle province.
  Parliamo quindi di una situazione che via via ha logorato sia la spesa corrente, sia la capacità di investimento nel corso di questi anni. Pensate che la spesa dei comuni, che nel 2010 era pari a poco più dell'8 per cento della spesa pubblica in Italia, attualmente non arriva al 7 per cento, proprio per effetto di questa riduzione di spesa, di questa gelata, che è stata importante e significativa.
  Non è però solo di tagli che parliamo nel nostro documento, parliamo anche del concomitante effetto di una serie di situazioni che hanno progressivamente eroso il concetto stesso di autonomia, che pure, secondo la legge n. 42 del 2009, doveva tracciare una pista fondamentale e significativa dello sviluppo del nostro Paese. Tra questi altri elementi, che pure hanno prodotto questo irrigidimento ulteriore e di fatto anestetizzato l'azione positiva, teorica, che i comuni possono e hanno potuto fornire al sistema, c'è innanzitutto la nuova contabilità.
  Se ne parla poco, ma la nuova contabilità armonizzata ha determinato situazioni tali per cui oggi circa 4 miliardi di euro vengono trattenuti e sterilizzati nei nostri bilanci per effetto degli obblighi di accantonamento riguardanti il Fondo crediti di dubbia esigibilità. Misura giusta, necessaria, salvifica, un'operazione verità alla quale i comuni si sono prestati convintamente, ma che obiettivamente ha determinato questa situazione.
  Tra l'altro, quei 4 miliardi sono sostanzialmente concentrati in un numero esiguo di comuni, quasi 1.200 comuni pagano in particolare questo tipo di accantonamento, di Fondo svalutazione crediti, ma vi lascio immaginare qual è l'effetto progressivo, perché la contabilità questo prevede: un aumento percentuale negli anni degli obblighi di accantonamento, che hanno determinato un ulteriore fattore di irrigidimento.
  Passo ora alla questione del congelamento della leva fiscale. Al di là delle valutazioni politiche e ideologiche rispetto alla tassazione comunale, la questione del congelamento della leva fiscale non può prescindere da una considerazione. In questa curiosa vicenda che abbiamo messo alle spalle, si spera, abbiamo registrato uno strano paradosso, perché teoricamente è aumentata l'imposizione locale, ma sono diminuite le risorse disponibili nei nostri bilanci, più tasse locali per il cittadino, o imputate localmente, meno disponibilità di bilancio Un paradosso che meriterebbe valutazioni aristoteliche, che vi risparmio, per arrivare a un altro fattore, che – ripeto – non ha la crudezza e l'evidenza del taglio tout court che pure c'è stato, come detto 9 miliardi di euro in 5 anni, ed è l'effetto della perequazione.
  Voi sapete che le perequazioni fra capacità fiscali nel nostro Paese vengono operate attraverso un fondo alimentato unicamente dai comuni. La perequazione in Italia tra comuni del Centro, del Sud e del Nord viene garantita attraverso un meccanismo che assume caratteri ulteriormente paradossali se si considera che, come dicevo, la leva fiscale è limitata e chiusa, non è più utilizzabile, quindi il combinato disposto di una leva fiscale ferma, con un sistema chiuso, che annualmente va adattato per garantire ad Agrigento la stessa possibilità di esercizio delle proprie funzioni istituzionali che si gode a Courmayeur, produce un effetto ampiamente distorsivo, rispetto al quale de iure condendo il DEF deve poter dire e immaginare qualcosa. Pag. 44
  Un'ultima considerazione prima di passare la parola a Mauro Guerra, che entrerà in una serie di indicazioni operative che auspichiamo possano essere introdotte nel documento o comunque tenute in considerazione nella legislatura incipiente, riguarda la necessità di una semplificazione che sta diventando un fattore stesso di sostenibilità amministrativa del nostro sistema comunale.
  Voi sapete che tra il 2015 e il 2017, dopo la stagione del Patto di stabilità, faccio l'esempio della spesa in conto capitale, la situazione in termini di disponibilità di risorse, in termini di spazi finanziari è obiettivamente migliorata, eppure nonostante questi sforzi importanti, creati dal sistema centrale per assegnare disponibilità e risorse, noi abbiamo estrema difficoltà a spendere le risorse.
  Abbiamo difficoltà perché abbiamo poco personale, invecchiato, che oggi, dopo cinque anni, registra un meno 14 per cento che incide sulla possibilità per le nostre stazioni appaltanti di avviare i lavori, abbiamo le strettoie di un Codice degli appalti e delle sue continue e rutilanti modifiche che obiettivamente non hanno favorito la capacità di agire bene e presto rispetto all'obbligo di contribuire in termini di investimento al rilancio del Paese.
  Ormai la pubblica amministrazione locale, anche per gli obblighi di adempimento che vengono via via a sommarsi in capo ai nostri ragionieri, è quasi più concentrata ad adempiere che a funzionare. L'articolo 97 della Costituzione sul buon andamento può sembrare un'affermazione filosofica, ma non lo è, e sta lì a indicarci come dobbiamo recuperare quella cultura del risultato che nel corso degli anni Novanta era diventata quasi il mantra per sollecitare l'efficienza e l'efficacia dell'azione amministrativa locale. Oggi – e non è un piagnisteo – siamo nelle condizioni di doverci arrendere di fronte a quello che molti dei nostri funzionari pubblici chiamano il conflitto di disinteresse, perché l'esagerazione del profluvio torrenziale di norme, quesiti e richieste, diventa un limite all'esercizio della nostra attività amministrativa.
  Concludo parlando dell'esigenza di una riforma della finanza locale. Dopo tanti anni questa – mi si permetta l'espressione colorita – maionese impazzita della tassazione immobiliare merita di essere riordinata, in maniera tale che, convenientemente e razionalmente, si possano fissare quelle che sono le funzioni fondamentali che ogni comune deve assicurare ai propri cittadini, garantendo una ragionevole disponibilità di risorse, niente di più di quanto è necessario, sul principio dei fabbisogni standard, per poter erogare questi servizi.
  Oggi questo è ampiamente legato a una situazione che, proprio con il blocco delle aliquote, fa sì che a trovarsi in una condizione di minorità siano proprio coloro che le aliquote le avevano azionate meno nel periodo in cui era possibile farlo. In questa fissità complessiva noi ci troviamo in una situazione resa tanto più originale da due grandi questioni, che per terminare metto sul tavolo e che la presente legislatura comunque non può eludere.
  La prima è la grande questione del catasto. Tutta la tassazione immobiliare in Italia si fonda sulla grande ipocrisia che è quella di un sistema che, salvo alcuni aspetti e alcuni casi felici, produce distorsioni alla radice, quindi dobbiamo fare in modo che questo gap venga risolto, bisogna fare in modo che non produca un'iperproliferazione di tasse. Come è noto era la delega della scorsa legislatura: garantire che non si accompagnasse un eccesso fiscale a questo riordino, ma è un riordino che non può non essere messo al centro dell'agenda della presente legislatura.
  La seconda questione è quella della riscossione. Il problema della riscossione in Italia è un problema serio. Chi vi parla, che affida il proprio sistema di riscossione ad Equitalia, quindi ça va sans dire soggetto pubblico, è sindaco di un comune che tra il 2000 e il 2017 ha assegnato ad Equitalia 17 milioni di euro di crediti. Equitalia in questi ultimi 17 anni ha garantito al comune liquidità per 700 mila euro.
  Equitalia mostra una particolare cedevolezza nella riscossione delle piccole pezzature che corrispondono al tributo comunale, parliamo di multe da 50-100 euro, Pag. 45tassazione minore per cui viene ritenuto spesso non conveniente procedere alla riscossione. Al di là di quella che è la descrizione di Equitalia nella sua parte più aggressiva, qui c'è un problema di riscossione che è dietro sicuramente alla stragrande maggioranza dei casi di dissesto o pre-dissesto che si verificano in Italia, perché con la contabilità armonizzata noi abbiamo l'obbligo di sterilizzare fondi e risorse corrispondenti ai crediti obsoleti o che non mostrano un certo grado di attendibile possibilità di esazione, ma – attenzione – se la riscossione non funziona, quel fondo cresce.
  A questo punto si rischia un irrigidimento dovuto a un principio che deve necessariamente essere affrontato con l'aumento della compliance fiscale, non aumentare le tasse, ma fare in modo che chi le deve pagare le paghi, dando ai comuni, senza alcun intento aggressivo, la possibilità di stringere un accordo fiscale con i propri cittadini, che poi si lamentano delle buche, ma se non pagano le tasse, mi dispiace ma le buche restano lì a far bella mostra di sé.
  Chi non fa ricorso a società esterne o a Equitalia deve far ricorso all'ingiunzione fiscale, ma ricordo ai legislatori che ho davanti che la normativa sull'ingiunzione fiscale risale al 1910. Noi dobbiamo applicare norme del 1910 qualora – e siamo in tanti – volessimo affrontare i perigliosi mari della riscossione autonoma, lo vogliamo fare ma è chiaro che con la nuova contabilità il problema della riscossione non è solo una questione di cash, è una questione di equilibri di bilancio, e da questo punto di vista quindi una riforma globale, una nuova legge n. 42 del 2009 si impone, e l'augurio è che questo Parlamento possa conseguire l'obiettivo.

  PRESIDENTE. Ringrazio il sindaco Castelli anche per il garbo istituzionale con cui ci ha fatto sentire il suo grido di dolore.
  Do la parola a Mauro Guerra, sindaco di Tremezzina e presidente della Commissione finanza locale.

  MAURO GUERRA, presidente della Commissione finanza locale di ANCI. Grazie, presidente. Intervengo molto rapidamente, anche per non ripetere cose essenziali già richiamate dal sindaco Castelli. Solo una considerazione di carattere generale.
  Con il garbo da lei ricordato che ha portato qui Castelli, con altrettanto garbo mi sentirei di dire che oggi, in questa situazione istituzionale particolare in cui siamo, all'inizio di una nuova legislatura – in cui non c'è ancora un nuovo Governo ma c'è il Parlamento – le Commissioni speciali e il Parlamento in questa fase di esame del Documento di economia e finanza hanno la possibilità di svolgere un ruolo importante di indirizzo, forse ancora più importante di come normalmente si svolge l'esercizio dell'indirizzo con la risoluzione sul DEF in periodi ordinari, nei quali c'è un Governo che ha già messo mano a manovre, a interventi.
  Qui siamo all'avvio di una fase, un Governo ancora deve nascere, quindi mi permetto di dire che ci sono tutte le condizioni per cui il Parlamento svolga fino in fondo – sono certo che lo farà – il suo lavoro.
  Lo farà intervenendo su un DEF che, per le oggettive condizioni nelle quali nasce, non ha dentro molto di prospettiva da questo punto di vista, e nello stesso tempo – lo ricordava Castelli prima – interviene sulla partita e sulla vicenda degli enti locali e delle autonomie locali più per richiamare alcune questioni, relative al contributo che il comparto ha dato in questi anni al risanamento della finanza pubblica, che non per delineare una prospettiva complessiva, che è quella del superamento definitivo di una fase di emergenza di finanza pubblica, che ha inciso molto sull'assetto delle autonomie locali, anche in controtendenza, lo ricordava Castelli, con tutta la normativa precedente sul federalismo fiscale, tendente a far crescere l'autonomia impositiva e finanziaria degli enti locali.
  Oggi ci troviamo in una situazione in cui si sono superate alcune asperità e rigidità della fase dell'emergenza con il superamento del Patto di stabilità e la disposizione di spazi finanziari e con alcuni elementi di innovazione, ma permane ancora una serie di contraddizioni che richiedono un intervento di carattere generale. Pag. 46
  Per non contraddirmi e non ripetere quanto dicevo prima, i temi sui quali noi chiederemmo al Parlamento di intervenire con la risoluzione sono quelli della ricostruzione di un margine di autonomia politico-amministrativa che, attraverso una revisione dell'impatto della legge di contabilità sulla progressione della crescita del Fondo crediti di dubbia esigibilità e su altri elementi di rigidità, tenga conto del fatto che veniamo da una condizione nella quale c'è stato il congelamento delle aliquote e sostanzialmente si è sottratta la leva fiscale alla disponibilità dei comuni.
  Un pronunciamento in questa direzione sarebbe importante, così come sarebbe altrettanto importante ragionare sul fatto che con il venir meno dal 2019 degli effetti della riduzione di risorse prevista dal decreto-legge n. 66 del 2014 vi sono risorse che si renderanno disponibili e che potrebbero essere utilmente indirizzate a ricostruire un minimo di compartecipazione al sistema di perequazione, che oggi è del tutto orizzontale: comuni che danno e comuni che ricevono senza alcun intervento perequativo da parte dello Stato, anche con qualche problema di costituzionalità da questo punto di vista.
  Con queste risorse che si libereranno nel 2019 si potrebbe iniziare a ricostruire un minimo di compartecipazione alla perequazione in senso verticale, quindi un contributo da parte dello Stato che sarebbe utilissimo anche a raggiungere un altro risultato, cioè ricostruire meglio un principio di responsabilità fiscale. Oggi abbiamo enti che introitano imposte, introitano gettito da destinare ad altri enti per sostenere la solidarietà e la perequazione, senza un intervento da parte dello Stato, e qualche problema da questo punto di vista comincia a esserci sul territorio nazionale.
  Un'altra grande questione, oltre a queste della fiscalità e della flessibilizzazione delle regole della contabilità per consentire di superare alcune rigidità, come quella del Fondo crediti di dubbia esigibilità, è quella che ha visto anche l'interesse e l'inizio di un lavoro nella scorsa legislatura: il peso del debito degli enti locali. Il debito complessivo del comparto degli enti locali e dei comuni in particolare è molto basso, complessivamente siamo attorno ai 40 miliardi di euro, meno del 2 per cento sul debito complessivo del nostro Paese, però su questo debito, pur così contenuto rispetto al dato complessivo, gli enti locali pagano interessi e oneri che non sono più compatibili o non hanno più un riferimento effettivo ai tassi di mercato.
  Gli enti locali non hanno usufruito in questi anni del vantaggio sui tassi di cui si è usufruito a livello statale, con una serie di interventi e di misure che hanno consentito di ridurre il peso degli oneri del debito da parte dello Stato, mentre invece la stessa cosa non è accaduta per i comuni. Si è intervenuti sul debito delle regioni; da questo punto di vista sarebbe opportuno ragionare con forza su strumenti analoghi a quelli immaginati per le regioni, anche per quello che riguarda i comuni.
  L'altro campo di intervento sul quale chiederemmo un'attenzione da parte del legislatore in questa fase di risoluzione sul DEF, riguarda il sostegno alla ripresa degli investimenti, con un'attenzione particolare rivolta alla vicenda degli avanzi di amministrazione, anche perché qui abbiamo una sentenza, la n. 247 del 2017 della Corte costituzionale, che dice che gli avanzi di amministrazione sono risorse degli enti e presenta criticità, dal punto di vista della compatibilità con i princìpi costituzionali, il fatto che l'utilizzo di queste risorse, che sono degli enti, debba passare attraverso una serie di meccanismi come quelli del Patto di stabilità interno. Non si tratta di buttare all'aria il Patto, ma si tratta sicuramente di ripensare e di rendere più agevole la possibilità da parte degli enti di ricorrere all'utilizzo di queste risorse che sono loro sostanzialmente.
  L'altra grande questione è quella della semplificazione. Qui faccio solo una considerazione: per diversi aspetti su questo versante i comuni, gli enti locali, pagano una normativa che abbiamo costruito negli anni per combattere alcune patologie, nel settore degli appalti e in tutta una serie di altri settori dell'attività della pubblica amministrazione, ma oggi rendiamo patologica la normalità, cioè usiamo strumenti Pag. 47che dovrebbero servire a intervenire sulle patologie per l'attività ordinaria e questo determina complessità, inefficienza, difficoltà a far funzionare la macchina amministrativa.
  Vi sono poi alcune questioni che sottoponiamo all'attenzione delle Commissioni speciali, anche queste per essere considerate nella risoluzione, che hanno un carattere di urgenza e sarebbe importante fossero recepite nell'eventualità in cui il Governo presente o futuro dovesse mettere mano a un qualche provvedimento urgente su altre materie, che dovrebbero però riguardare anche gli enti locali.
  Noi abbiamo un meccanismo per il quale molti termini che interessano l'organizzazione della finanza locale sono legificati, e anche questo è un tema generale. Forse se riflettessimo sulla possibilità di delegificare molti dei passaggi, dei meccanismi e dei procedimenti che riguardano la finanza locale, sarebbe utile.
  Quest'anno, per le ragioni che tutti conosciamo, non abbiamo avuto un decreto-legge che è intervenuto con urgenza sui termini e abbiamo necessità di alcuni interventi, che sono tutti richiamati nel documento. Ne richiamo uno in particolare, che riguarda le difficoltà che attengono all'avvio della contabilità economico-patrimoniale, che deve essere attivata dai comuni in corrispondenza con l'approvazione dei rendiconti. Ci sono stati problemi anche da parte delle software house, problemi nell'implementazione dei sistemi informatici, ci sono problemi da parte dei comuni di minori e medie dimensioni ad adeguarsi alle norme della contabilità economico-patrimoniale, sarebbe urgente un intervento che evitasse di inchiodare l'approvazione dei rendiconti – ormai siamo a sanatoria, perché il termine era il 30 aprile – e che prevedesse un termine diverso per l'approvazione della contabilità economico-patrimoniale dei comuni, definendo un quadro generale da questo punto di vista.
  Vi è poi una serie di questioni – leggo solo i titoli e concludo – che riguardano la proroga dei termini di deliberazione della rimodulazione o riformulazione del Piano di riequilibrio pluriennale per il bilancio 2018, la disapplicazione delle sanzioni per sforamenti del saldo di competenza 2016 o del Patto di stabilità accertati definitivamente dopo il 31 dicembre 2017 e la necessità o l'opportunità di disapplicare sanzioni del 2016 a carico dei comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti, che in quell'anno per la prima volta si sono trovati a gestire le regole del Patto di stabilità. Si tratta di pochi comuni, di poche realtà di pochissimo rilievo finanziario, però costituisce un problema drammatico, perché rischiano di chiudere se non si interviene.
  C'è il tema dell'applicabilità degli avanzi di amministrazione alle previsioni 2018 per le città metropolitane e le province, ma su questo lascio la parola a chi mi succederà in rappresentanza dell'UPI e intervengo per le città metropolitane. Si tratta di consentire per queste e per le province l'indicazione delle somme dovute a titolo di fondo di riequilibrio per il 2018. Infine alcune misure sull'imposta sulla pubblicità.
  Tutto questo è contenuto nel documento a cui mi rifaccio, mi premeva sottolineare l'opportunità nella quale si trovano queste Commissioni e questo Parlamento in questa fase e la richiesta con garbo istituzionale che di questo ci sia traccia, e ci sia possibilmente una traccia determinata, all'interno della risoluzione parlamentare che vorrete adottare.

  PRESIDENTE. Grazie al sindaco Guerra. Procediamo con l'audizione di UPI.
  Do la parola al presidente Achille Variati.

  ACHILLE VARIATI, presidente di UPI. Onorevole presidente, senatrici, senatori, onorevoli, cercherò di essere molto sintetico, data l'ora. Penso sia già stato consegnato il documento, che è più dettagliato. In vista della vostra risoluzione di valutazione del DEF volevo dare qualche pennellata sulla situazione attuale delle 76 province italiane.
  Come è ben noto, il referendum sulla riforma costituzionale ha confermato i tre livelli costituzionali e a guidare quelle pagine, peraltro brevi, che vi abbiamo consegnato, sono sostanzialmente i princìpi di Pag. 48autonomia e di responsabilità recati dagli articoli 5, 114, 118 e 119 della Costituzione.
  Divido questo breve intervento in due parti, la parte istituzionale e la parte finanziaria.
  Cari deputati e senatori, le province, come loro certamente sapranno, dopo la riforma della legge n. 56 del 2014 sono profondamente cambiate e sono state messe nelle mani dei sindaci, e onore, consentitemi questa parola, responsabilità, rigore e sobrietà hanno contraddistinto il lavoro dei sindaci nelle province, peraltro lavoro che viene fatto a titolo completamente gratuito, affrontando i temi dell'area vasta e avendo anche raggiunto obiettivi che sembravano quasi impossibili. Dei 24.000 dipendenti delle province ante riforma, 12.000 dipendenti sono stati spostati ad altre realtà facenti capo a enti pubblici.
  Ora, però, la legge n. 56 del 2014, come abbiamo detto anche nella precedente legislatura, ha necessità obiettiva di essere rivista sia dal punto di vista del sistema elettorale, sia dal punto di vista degli organi, sia dal punto di vista delle funzioni. Le funzioni fondamentali delle aree vaste sono funzioni inerenti questioni di sicurezza dei cittadini. Parlo dei 130.000 chilometri di strade provinciali, che sono indispensabili per lo sviluppo economico dei territori delle aree interne – questo è evidente – e parlo di 5.100 scuole superiori dove studiano 2,5 milioni di studenti medi del Paese.
  Sarebbe un errore anche costituzionale, lo ridiciamo all'inizio di questa legislatura, se le funzioni amministrative fossero attribuite alle regioni, perché questo sarebbe in contraddizione con il principio sacrosanto della sussidiarietà. Quindi il potere amministrativo deve essere il più possibile gestito a livello degli enti locali, comuni in primis e ente intermedio qual è la provincia.
  Ci sono anche funzioni ambientali importanti, sulle quali bisogna fare un po’ di riordino, perché c'è confusione, e la confusione nell'ambito dell'area ambientale può essere molto pericolosa per un territorio fragile come è il nostro Paese. C'è la pianificazione strategica dello sviluppo locale e poi ci sono le funzioni di assistenza ai comuni.
  Sappiano, signori deputati e senatori, che oggi, su 76 province, 50 hanno attivato le stazioni uniche appaltanti, coinvolgendo il 40 per cento dei comuni di rispettiva competenza. Questo è importante, perché a tutti i livelli le 30.000 stazioni appaltanti del Paese sono un errore, dobbiamo cercare di concentrarle e, se non le concentriamo in particolare nell'ente intermedio Casa dei Comuni, noi non capiremo. Tengano presente che da un anno all'altro abbiamo un incremento del volume delle gare delle stazioni uniche appaltanti di circa il 30 per cento, quindi vuol dire che il meccanismo sta funzionando.
  Poi c'è il grande tema della semplificazione degli enti intermedi. Che senso hanno tutti quegli ATO – ambiti territoriali ottimali, bacini di trasporto, bacini idrici, ambiti rifiuti, enti di governo del trasporto pubblico, questa pletora di enti intermedi che confondono e complicano? Tutto questo deve essere asciugato dal buon legislatore in un ente intermedio presente in tutti i Paesi europei, che da noi si chiama provincia.
  Vi è poi l'aspetto finanziario. La legge di bilancio per il 2018 obiettivamente – non saremmo onesti se non lo dicessimo – ha rappresentato un'inversione di tendenza rispetto all'articolo 1, comma 418, della legge n. 190 del 2014, legge di bilancio per il 2015, quella che fece i tagli. Ricordo ai parlamentari che le province vivono di fondi propri: l'imposta sulle assicurazioni RC auto e la tassa di trascrizione al pubblico registro automobilistico, che non sono trasferimenti da parte dello Stato, ma semmai è il contrario, cioè lo Stato ha ritenuto di mettere mano e «portare via» parte di questi introiti provenienti dagli automobilisti italiani.
  La legge di bilancio per il 2018 ha avuto un'inversione di tendenza in particolare con la previsione di 1,6 miliardi di euro di investimenti nel quinquennio 2018-2023 sulle strade, ma sulla spesa corrente il delta per riportare in equilibrio il sistema non è raggiunto; dai nostri calcoli il delta è ancora negativo di circa 280 milioni di euro. Pag. 49Tengano presente, e mi avvio alla conclusione, che attualmente, su 76 province, tre sono in dissesto, dieci hanno deliberato un piano di riequilibrio e purtroppo alcune – ci stiamo lavorando – non riusciranno a predisporre il bilancio di previsione per il 2018.
  Cosa chiediamo al buon legislatore? Chiediamo – e ci piacerebbe che loro potessero cogliere qualcuna di queste pennellate che ho ritenuto di dare in un'ottica assolutamente collaborativa tra enti pubblici e Parlamento – che la distribuzione delle quote che spettano alle province per la spesa corrente avvenga secondo i fabbisogni standard da definire e i livelli essenziali delle prestazioni.
  Questo è l'unico parametro severo, perché quando si ragiona sui fabbisogni standard dal Sud al Nord del Paese nessuno deve scappare, perché qualche sacca di inefficienza esiste, non sarei onesto se dicessi che non esiste, ma per poterla combattere, come è giusto fare in nome del principio sacrosanto che i quattrini pubblici dei cittadini vanno spesi solo nell'ottica dell'efficacia e dell'efficienza, dobbiamo ancorare la spesa ai livelli essenziali delle prestazioni e quindi ai fabbisogni standard, altrimenti continueremo a produrre disequilibrio nel Paese, che vede purtroppo aree pericolosamente sotto il minimo e altre che potrebbero avere qualche elemento in più del necessario.
  Questo è quello che noi chiediamo al nuovo Parlamento e gli elementi più di dettaglio sono consegnati in quel punto. Questo piccolo ma importante motore dell'Unione delle province italiane, che lavora in collaborazione con la più grande associazione dei comuni italiani, è a disposizione per ogni collaborazione che il Parlamento ritenesse, attraverso le sue Commissioni, di poter ottenere.

  PRESIDENTE. Grazie anche al presidente Variati.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  CHIARA BRAGA. Io volevo ringraziare ANCI e UPI per il contributo dato a questa intensa mattinata di audizioni. Le note sono esaustive e quindi mi limito soltanto a porre una questione che ho ritrovato indicata nella nota che ci ha consegnato ANCI e che riguarda la ripresa degli investimenti, tema su cui abbiamo discusso anche con gli altri soggetti auditi.
  È evidente che in questi anni è stato fatto uno sforzo importante anche a livello centrale per migliorare la capacità di programmazione della spesa delle risorse da destinare alla ripresa anche degli investimenti locali e sono state messe in cantiere alcune riforme rilevanti, che hanno avuto impatto sulla modalità di attuazione della realizzazione delle opere pubbliche – penso al tema che ha riguardato il Codice degli appalti.
  Su questo aspetto della ripresa degli investimenti, due questioni che ho ritrovato e sulle quali chiedo una conferma o un'indicazione. Da un lato la possibilità di valutare che ci sia un criterio di priorità nella destinazione delle risorse sul tema della messa in sicurezza degli edifici scolastici, della messa in sicurezza del territorio, quindi se questa questione trovi condivisione anche da parte delle rappresentanze degli enti locali e se sia un filone sul quale vale la pena proseguire.
  L'altro aspetto riguarda invece la capacità di progettazione degli enti locali. Ci sono alcune criticità, che conosciamo e che ci sono state rappresentate, di carattere tecnico-procedurale, di svolgimento delle procedure, ma la domanda è se esista anche un tema di risorse da destinare specificamente alla progettazione e se nell'ambito della piena attuazione delle nuove regole per la realizzazione e la progettazione delle opere pubbliche questo sia un tema che vale la pena di affrontare e provare a risolvere anche sulla base di vostre indicazioni.

  NUNZIO ANGIOLA. Io ho letto con attenzione la relazione del sindaco di Ascoli Piceno, delegato per la finanza locale di ANCI, relazione in cui ci sono tante cose condivisibili e che si sofferma con una certa enfasi sui temi dell'armonizzazione contabile. Pag. 50
  I temi dell'armonizzazione contabile vengono da lontano, già nella seconda metà degli anni Novanta i decreti Bassanini introducevano un nuovo punto di vista rispetto all'introduzione di criteri di gestione aziendale nell'ambito dei comuni, il decreto legislativo n. 267 del 2000 va a sistematizzare una serie di interventi, prevedendo l'obbligo di redazione dello stato patrimoniale e del conto economico. In seguito è arrivato il decreto legislativo n. 118 del 2011, che ha fatto definitiva chiarezza su questi temi nelle sue successive modificazioni e aggiornamenti.
  Il tema che si pone all'attenzione delle Commissioni speciali oggi, nell'ambito della discussione sul Documento di economia e finanza, è un tema che riguarda la riapertura di questioni storiche concernenti i comuni, questioni storiche che probabilmente si devono leggere alla luce di una difficoltà che i comuni hanno da sempre manifestato rispetto all'introduzione di progetti di superamento della contabilità finanziaria basata sul principio autorizzatorio, quindi entrate e uscite, previsioni iniziali, consuntivazioni, avanzo di gestione e di amministrazione e disavanzo.
  Di quale sia l'entità di questa difficoltà possiamo avere contezza pensando semplicemente al fatto che ancora oggi numerosissimi comuni italiani non hanno redatto l'inventario. La mancata redazione dell'inventario determina a cascata la sanzionata incompletezza del rendiconto di esercizio, perché non redigere l'inventario costituisce una grave irregolarità per la Corte dei conti e viene sanzionata a carico degli amministratori e probabilmente anche del Collegio dei revisori dei conti. Mi domando quindi perché ci siano tutte queste difficoltà nel recepimento di questi nuovi strumenti di comunicazione esterna, come mai un documento rilevantissimo e di elementare introduzione come l'inventario non venga redatto e ci siano enormi ritardi.
  Si può comprendere tutto, l'armonizzazione contabile ormai viene da lontano, ci sono stati periodi lunghi di sperimentazione e ci sono state deroghe per quanto riguarda i comuni minori, ma qual è il motivo per adottare la contabilità economico-patrimoniale? La volontà del legislatore di un cambiamento di passo rispetto alla tradizionale modalità di gestione degli enti locali, che non deve essere ispirata semplicemente all'analisi di dinamiche finanziarie, ma deve proiettarsi nell'analisi gestionale secondo criteri economici.
  Strumenti fondamentali sono quindi la contabilità economico-patrimoniale, la contabilità analitica, il conto consolidato e il Documento unico di programmazione. Penso anche alle difficoltà e criticità da voi manifestate oggi, perché leggo un riferimento al Documento unico di programmazione e mi vengono in mente le difficoltà da sempre manifestate da ANCI nei confronti della relazione previsionale e programmatica, che è stata poi assorbita dal Documento unico di programmazione. Il tema rispolvera i massimi sistemi della pianificazione e della programmazione dell'attività dei comuni, temi che non possono essere sottovalutati, ma al contrario devono essere rivalutati, perché non esiste nessuna corretta gestione senza una corretta pianificazione.
  Per questo vorrei chiedere quale sia il punto di vista di ANCI rispetto a questo passaggio dalla logica finanziaria della gestione del bilancio a una logica economico-patrimoniale, perché da qui discende la questione se serva una semplice accondiscendenza rispetto ai ritardi oppure se venga messa in discussione una riforma sancita da una legge dello Stato che viene veramente da lontano.

  PRESIDENTE. Lascio la parola ai rappresentanti di ANCI e UPI per la replica.

  GUIDO CASTELLI, delegato per la finanza locale di ANCI. Inizio dall'ultima considerazione. In realtà, i comuni, come dicevo prima, hanno convintamente aderito all'idea di proporre e applicare l'armonizzazione contabile, tanto è vero che l'armonizzazione nasce da una sperimentazione, e anche il mio comune era tra quelli che coraggiosamente avevano aderito a un sistema, rispetto al quale nessuno di noi ha dubbi in ordine alla congruità e alla necessità di applicarlo.
  L'armonizzazione contabile però è come se fosse una sorta di prova da sforzo per un Pag. 51cardiopatico, ovvero fa affiorare le debolezze e le difficoltà di un comparto, che è l'unico comparto della pubblica amministrazione che ha applicato l'armonizzazione contabile, perché i comuni lo hanno fatto, diversamente da altri elementi e pezzi del sistema pubblico, ma lo hanno fatto dovendo poi pagare contestualmente tutta una serie di disallineamenti, che sono quelli che avevo provato a descrivere, ovvero nulla quaestio sulla necessità dell'armonizzazione, cerchiamo di governare le reazioni dell'organismo dei comuni, perché l'armonizzazione contabile stressa l'organismo in una maniera originale e inedita.
  I comuni fra l'altro – l'ho detto prima, ma è sempre bene ricordarlo – non sono un comparto omogeneo, perché ci sono i comuni del Sud e i comuni del Nord, ci sono comuni dove la compliance fiscale determina, in punto di Fondo crediti di dubbia esigibilità, cifre e obblighi di accantonamento modesti e gestibili, altri invece, penso ad alcune zone del Mezzogiorno d'Italia, dove vicissitudini secolari fanno sì ad esempio che la TARI venga pagata dal 3 per cento di coloro i quali hanno l'obbligo di farlo, e via discorrendo.
  La risposta è quindi che non abbiamo nessun dubbio, chiediamo gradualità e soprattutto la possibilità di far corrispondere i nostri sforzi alla gestione di altre vicende, che non possono simultaneamente determinare ulteriori stress.
  Sul tema più generale dei comuni e del rigore imposto loro dall'ultima serie di interventi anche costituzionali – mi riferisco al pareggio di bilancio, alla legge n. 243 del 2012, e a tutto quello che è venuto ad accadere – mi permetto di dire che la forza e gli effetti di questi provvedimenti costituzionali hanno profondamente modificato anche la configurazione generale con cui, costituzionalmente, nel 1948, si era descritto il sistema di un pluralismo, che doveva avere le caratteristiche proprie descritte nell'articolo 5 della Costituzione.
  Come diceva Mauro Guerra, cominciano a emergere sentenze che opinano sulla legittimità di una acquisizione da parte del sistema centrale degli avanzi prodotti dal comune, qualcuno dubita che sia costituzionale porre a beneficio dei saldi di finanza del sistema Stato i nostri avanzi. C'è un'altra sentenza particolare, la n. 275 del 2016, sollevata nel corso di un procedimento vertente tra regione Abruzzo e provincia di Pescara, che addirittura teorizza e descrive come incostituzionale l'atteggiamento di quella regione, che produce una compressione di diritti incomprimibili – si parlava in quel caso di diritto al trasporto dei ragazzi disabili – per vincoli di bilancio.
  Il tema del rigore rischia quindi, se non governato, di produrre effetti che anche la Corte costituzionale ritiene contraddittori rispetto all'obbligo costituzionale che presidia alcuni settori sensibili nella nostra vita associata. Questo per dire come probabilmente la corda è stata tirata fino al massimo costituzionalmente lecito.
  Il nostro approccio è questo. Quindi non siamo qui a lamentarci, ma a chiedere una riforma organica che renda la questione comunale uno dei temi centrali della vicenda legislativa. I comuni non sono l'Arcadia dove tutto funziona, sia chiaro, e nessuno di noi vuole azzardarsi in un simile giudizio, ma non c'è modernizzazione che non passi nel nostro Paese da questi terminali come in un sistema cardiocircolatorio: ci vuole l'omino dell'anagrafe per fare la carta d'identità elettronica, ci vuole comunque la ragioniera brava per far sì che la fatturazione elettronica non sia solo una fotocopia di una mail, che assolve il principio, però impedisce che il sistema della fatturazione elettronica ci possa dire oggi – e non è così – a quanto ammontino i debiti della pubblica amministrazione verso i fornitori.
  La modernizzazione in Italia richiede anche che i comuni siano un telaio messo in condizioni di poter operare. Questo è il senso.

  MAURO GUERRA, presidente della Commissione finanza locale di ANCI. Un minuto rapidissimo, presidente. Su questa questione si usa dire «il combinato disposto», cioè l'armonizzazione contabile con il blocco della leva fiscale, l'avvio e l'implementazione di sistemi di perequazione solo di tipo orizzontale e il Fondo crediti di dubbia esigibilità hanno messo sotto stress un sistema nel quale ci sono anche tantissimi piccoli comuni, che hanno anche esigenza Pag. 52di essere accompagnati, oltre che di avere dei termini entro i quali adempiere. Porsi il problema di come aiutarli a mettersi nelle condizioni, anche tecniche e di professionalità, per adempiere è una questione.
  Vorrei dire due cose sulle questioni sollevate dall'onorevole Braga. Per quanto riguarda la progettazione, sicuramente sono stati fatti dei passi avanti negli ultimi anni nel considerare come importante la fase della progettazione ai fini di un maggior impulso alla ripresa degli investimenti pubblici e degli investimenti degli enti locali.
  Alla domanda se sia anche una questione di risorse da mettere a disposizione dei comuni rispondo sì, è anche una questione di risorse. È stato istituito un Fondo a sostegno della progettazione che è in corso di erogazione, però ha dimensioni limitate: sono 12 milioni di euro che arrivano ai comuni, quindi ulteriori risorse sarebbero molto gradite.
  L'altra questione: nella legge di bilancio per il 2018 è stato inserito un Fondo per contributi diretti in conto capitale agli investimenti di messa in sicurezza degli edifici e del territorio, un fondo che per il 2018 reca risorse per 150 milioni di euro, ma poi aumenta a 300 milioni nel 2019 e a 400 milioni nel 2020, quindi diventa importante.
  Lì c'è un problema di revisione dei criteri di accesso al Fondo e di limiti della distribuzione, nel senso che si prevedono soglie massime di erogazione abbastanza alte, che potrebbero essere più contenute, e criteri di accesso che consentono l'accesso soltanto agli enti più disastrati. Per dare un numero, i 150 milioni di quest'anno sono stati assegnati solo a 54 comuni in tutto il Paese, sui 4.000 che hanno fatto richiesta di accedere, per cui, soprattutto in vista del 2019, quando la disponibilità delle risorse sarà raddoppiata, una revisione dei criteri sarebbe importante, ed è anche urgente perché le domande devono essere presentate entro settembre 2018.

  ACHILLE VARIATI, presidente di UPI. All'onorevole Braga che chiedeva, a proposito delle scuole medie e superiori del Paese, se questa fosse una priorità rispondo ovviamente sì. È da tener presente, onorevole, che purtroppo in particolare, non oso dire per l'adeguamento sismico, ma almeno per il miglioramento sismico, cioè fare in modo che gli edifici, in caso di terremoto di livello corrispondente alla zona sismica di appartenenza, possano avere ingenti danni, ma non crollare, garantendo la sicurezza e la vita di studenti e insegnanti, questa materia avrebbe bisogno di ben oltre quel piano triennale di 1,7 miliardi di euro complessivi per tutto il sistema scolastico italiano.
  E ancora però è importante quella riforma organica di cui parlavo prima, almeno per il settore delle province, perché se non si mettono a disposizione risorse proporzionate alle responsabilità rischiamo che paradossalmente, anche se ci fossero quattrini, che pur non ci sono a sufficienza, per gli investimenti, senza un meccanismo di spesa corrente di supporto, non si riesca a fare nulla.
  Signor presidente, richiamo anche una questione sollevata il 18 ottobre scorso dal Congresso dei poteri regionali e locali, organismo del Consiglio d'Europa, che fece una raccomandazione all'Italia sul sistema delle province, alle quali vanno garantite risorse sufficienti e proporzionate alle responsabilità. Questo resta un tema importante nei lavori della vostra agenda.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e i senatori e gli onorevoli che sono intervenuti.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.30.