XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (Commissione speciale per l'esame di atti del Governo della Camera dei deputati e Commissione speciale per l'esame degli atti urgenti presentati dal Governo del Senato della Repubblica)

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 2 di Martedì 8 maggio 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Molteni Nicola , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Molteni Nicola , Presidente ... 3 
Buscema Angelo , presidente della Corte dei conti ... 3 
Molteni Nicola , Presidente ... 12 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 12 
Mandelli Andrea (FI)  ... 12 
Marattin Luigi (PD)  ... 13 
Cioffi Andrea  ... 13 
Villarosa Alessio Mattia (M5S)  ... 13 
Molteni Nicola , Presidente ... 13 
Buscema Angelo , presidente della Corte dei conti ... 14 
Molteni Nicola , Presidente ... 14 
Flaccadoro Enrico , consigliere della Corte dei conti ... 14 
Molteni Nicola , Presidente ... 16 
Marattin Luigi (PD)  ... 16 
Molteni Nicola , Presidente ... 16 
Angiola Nunzio (M5S)  ... 16 
Molteni Nicola , Presidente ... 17 
Errani Vasco  ... 17 
Molteni Nicola , Presidente ... 17 
Mandelli Andrea (FI)  ... 17 
Molteni Nicola , Presidente ... 17 
Buscema Angelo , presidente della Corte dei conti ... 17 
Molteni Nicola , Presidente ... 17 

Audizione di rappresentanti del CNEL (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Molteni Nicola , Presidente ... 18 
Treu Tiziano , presidente del CNEL ... 18 
Molteni Nicola , Presidente ... 24 
Polverini Renata (FI)  ... 24 
Angiola Nunzio (M5S)  ... 25 
Galli Dario (LEGA)  ... 26 
Fregolent Silvia (PD)  ... 27 
Turco Mario  ... 28 
Mandelli Andrea (FI)  ... 28 
Adelizzi Cosimo (M5S)  ... 28 
Molteni Nicola , Presidente ... 29 
Treu Tiziano , presidente del CNEL ... 29 
Molteni Nicola , Presidente ... 32

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia: Misto-NcI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA COMMISSIONE SPECIALE PER L'ESAME DI ATTI DEL GOVERNO DELLA CAMERA DEI DEPUTATI NICOLA MOLTENI

  La seduta comincia alle 18.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti della Corte dei conti.
  Ringrazio il presidente Crimi e i componenti della Commissione speciale del Senato. Ringrazio il presidente della Corte dei conti, Angelo Buscema, a cui poi cederò la parola.
  Sono presenti anche il dottor Ermanno Granelli, presidente di coordinamento delle Sezioni riunite in sede di controllo, il consigliere Enrico Flaccadoro, il consigliere Vincenzo Chiorazzo, il presidente di sezione onorario Maurizio Pala e il funzionario dell'ufficio stampa Roberto Marletta.
  Noi abbiamo circa un'ora, per cui senza perdere ulteriore tempo cedo immediatamente la parola al presidente della Corte dei conti, che ringrazio di nuovo per la presenza e per la disponibilità.

  ANGELO BUSCEMA, presidente della Corte dei conti. Grazie. Innanzitutto vorrei preannunciare che il testo che deposito è il testo che è stato approvato dalle Sezioni riunite della Corte dei conti nell'adunanza di ieri, quindi è un documento ufficiale.
  Per non appesantire la relazione, io non leggerò tutti i brani del testo scritto. Proprio per rispettare la possibilità di un'analisi e anche di un approfondimento, consentitemi di demandare al testo scritto le varie parti che non leggerò.
  La Corte è chiamata a esprimere le proprie valutazioni sul Documento di economia e finanza 2018, un documento che si distingue da quelli presentati in analoghe occasioni perché si limita a offrire uno scenario tendenziale. L'assenza di un quadro programmatico stimola a concentrare l'attenzione sullo stato del bilancio pubblico e sui fattori che oggi spontaneamente alimentano le sue dinamiche, ma non impedisce riflessioni circa i temi che la gestione dei principali comparti delle pubbliche amministrazioni porrà al legislatore.
  Nell'analisi, dopo brevi richiami allo stato e alle prospettive del quadro macroeconomico, ci si soffermerà su alcuni aspetti: l'andamento dei conti pubblici nel 2017, sul quale io esporrò una parte e rinvierò per la restante parte al testo scritto; le previsioni di finanza pubblica a legislazione vigente; i saldi strutturali, anche alla luce delle Spring Forecast della Commissione europea dello scorso 3 maggio; infine, il debito pubblico.
  Partiamo dal quadro macroeconomico. Il DEF 2018 conferma in gran parte la situazione delineata nella Nota di aggiornamento Pag. 4 al DEF 2017 approvata lo scorso autunno: un buon quadro di crescita in termini reali (viene confermato per il 2018 l'1,5 già prefigurato nei documenti programmatici dello scorso autunno); una ripresa dell'inflazione; un miglioramento del quadro occupazionale con un aumento della produttività e un tasso di disoccupazione in progressiva discesa; la conferma di un saldo positivo di bilancia dei pagamenti.
  Le componenti della domanda hanno visto una crescita dei consumi privati all'1,4 per cento nel 2017, in linea con il 2016, con una preferenza verso consumi di servizi e verso beni durevoli. Essi vengono proiettati allo stesso livello di crescita per il 2018, seguito da un ritmo meno sostenuto per gli anni a seguire.
  Dal lato degli investimenti fissi lordi, si assiste a una ripresa dopo la forte contrazione dell'inizio di questo decennio. Rinvio al testo scritto e proseguo.
  Il tasso di crescita del PIL (1,5 per cento nel 2018) diminuirebbe di un decimo di punto l'anno nel triennio 2019-2021, a significare cautela rispetto a scenari geopolitici che si sono affacciati sulla scena mondiale negli ultimi mesi, in particolare con riguardo al rallentamento degli scambi commerciali internazionali. Naturalmente le prospettive per l'economia italiana sono fortemente dipendenti dal quadro macroeconomico europeo e internazionale, che nel DEF viene discusso. In proposito, elementi di criticità possono derivare dal consolidarsi delle politiche commerciali USA annunciate (dazi, barriere all'ingresso), con il coinvolgimento dell'Unione europea e della Cina in una spirale di ritorsioni protezionistiche, dal termine della politica non convenzionale di acquisti di obbligazioni da parte della Banca centrale europea e della Fed, dall'evoluzione dei prezzi dei combustibili fossili in costante risalita dal 2016.
  Nella valutazione sullo stato e sulle prospettive della finanza pubblica italiana, occorre ricordare come, in termini di crescita reale del PIL, l'Italia abbia recuperato una parte dello svantaggio accumulato rispetto ai maggiori paesi dell'area dell'euro, a seguito della doppia recessione e della crisi, finanziaria prima e del debito sovrano poi. Il tasso di crescita resta, tuttavia, ancora quasi 0,8 punti percentuali al di sotto della media dell'area dell'euro: uno scostamento che richiama i ritardi strutturali del nostro sistema produttivo in termini di produttività e di investimenti fissi lordi, in particolare in infrastrutture materiali e immateriali e in capitale umano.
  Il PIL in termini nominali, rilevante per il calcolo degli indicatori di bilancio, dopo la crescita al 2,1 per cento nel 2017, aumenterebbe del 2,9 nel 2018, del 3,2 nel 2019, con una flessione nei due anni successivi, valori non dissimili in media da quelli delineati nella Nota di aggiornamento al DEF di settembre.
  La composizione quantità reali/prezzi del prodotto risentirà peraltro presumibilmente delle scelte che potranno essere compiute sul fronte delle imposte indirette a seguito della decisione che sarà assunta dal Parlamento in materia di clausole di salvaguardia. Rinvio al testo scritto e passo alla parte della relazione relativa ai conti pubblici del 2017.
  Nel quinquennio appena concluso si rileva una limitata ma progressiva riduzione dell'indebitamento netto. Tale risultato è ascrivibile alla riduzione della spesa per interessi sia in valore assoluto che in percentuale del PIL. L'avanzo primario si riduce, infatti, di quattro decimi di punto in rapporto al PIL; ciò a fronte di una riduzione dell'incidenza sul prodotto sia della spesa primaria che delle entrate finali; la pressione fiscale scende nel periodo dal 43,6 al 42,5 per cento.
  Tali risultati riflettono la scelta di fiscal policy di rinviare l'obiettivo del pareggio di bilancio in termini nominali: previsto per il 2014 nel DEF presentato nella primavera del 2012, è ora fissato al 2020. Ciò si riflette sul saldo in termini strutturali (al netto cioè degli effetti del ciclo e delle misure una tantum), che raggiunge un valore lievemente positivo nel 2020-21.
  Il protrarsi della crisi e la fragilità della ripresa hanno indotto il Governo ad adottare in questi anni misure di sostegno dell'economia, concordando al contempo con la Commissione europea margini di flessibilità Pag. 5 rispetto al percorso di aggiustamento verso l'obiettivo di medio termine.
  Parallelamente, a livello comunitario è emersa, con sempre maggiore evidenza, la necessità di contemperare l'esigenza della stabilità finanziaria, soprattutto nei Paesi ad alto debito come l'Italia, con quella di sostenere la ripresa, dapprima nel 2013, con la cosiddetta «matrice di flessibilità», che parametrava l'entità dell'aggiustamento richiesto alle condizioni cicliche, e poi dal 2015 con la previsione di ulteriori margini a fronte di investimenti e di misure strutturali, in grado cioè di migliorare la capacità di crescita nel medio-lungo periodo, e dei costi derivanti da eventi imprevisti, quali per l'Italia lo straordinario afflusso di immigrati e quelli connessi a eventi sismici.
  Per questa parte rinvio al testo scritto e passo al capitolo successivo, che riguarda le previsioni di finanza pubblica a legislazione vigente.
  La nota tecnica illustrativa che nello scorso autunno accompagnava la legge di bilancio per il 2018 delineava un percorso di graduale ma continuo miglioramento dei saldi rilevanti, con un avanzo primario che dal 2018 al 2020 avrebbe visto crescere il valore in termini di prodotto dal 2 al 3,3 per cento e l'indebitamento netto che a fine periodo si sarebbe sostanzialmente annullato.
  Il DEF 2018 opera un aggiornamento di tali stime alla luce di un insieme di fattori, che vanno dalla disponibilità dei consuntivi 2017 resi noti dall'ISTAT alle revisioni che lo stesso DEF apporta al quadro previsionale macroeconomico e infine alla considerazione degli effetti finanziari derivanti dai provvedimenti legislativi approvati a tutto marzo 2018.
  La revisione del quadro macroeconomico 2018-2020, nello scenario tendenziale del DEF, mostra, infatti, un profilo con qualche differenza rispetto alle previsioni della nota tecnica illustrativa. In particolare, il PIL nominale, che costituisce un aggregato di riferimento per le dinamiche sui conti pubblici, è indicato nel DEF in crescita più lenta di mezzo punto nel 2018 e di circa quattro decimi nel biennio successivo, in ragione di variazioni del deflatore più contenute.
  Nonostante tali modifiche, il percorso di avvicinamento al pareggio di bilancio subisce limitate correzioni di rotta: l'indebitamento viene rivisto in riduzione di un decimo di punto per tutto l'orizzonte di previsione rispetto alla nota tecnica. Esso si riduce rapidamente, passando dall'1,6 per cento dell'anno in corso allo 0,8 nel 2019, per raggiungere il pareggio, come si è detto, nel 2020, confermandolo nel 2021; ciò a fronte di una spesa per interessi che mantiene un'incidenza sul PIL intorno al 3,5 per cento, mentre l'avanzo primario cresce di 1,8 punti, passando dall'1,9 del 2018 al 3,7 per cento di fine periodo, grazie a una riduzione dell'incidenza sul PIL della spesa primaria e a una tenuta delle entrate finali.
  Un andamento favorevole, quindi, dei conti pubblici non privo di difficoltà e di rischi, da ricondursi, le prime, al reperimento delle risorse necessarie a coprire l'eventuale annullamento dell'aumento dell'Iva (aumento che è, invece, scontato nel tendenziale a legislazione vigente a decorrere dal 2019), a sostenere la ripresa degli investimenti pubblici e proseguire le riforme necessarie a rilanciare la crescita e la competitività del Paese, i secondi, a uno scenario macroeconomico non privo di incertezze.
  Nel valutare i principali andamenti di spese e entrate nel prossimo triennio il riferimento deve essere il quadro di finanza pubblica al netto delle modifiche dovute al trattamento delle crisi bancarie, che non hanno effetti permanenti. Anche per questa parte rinvio al testo, e proseguo.
  Per il triennio 2018-2020 si conferma, pur attenuandosi, il profilo riduttivo della spesa già evidenziato nella nota tecnica. La spesa primaria corrente scenderebbe nel 2020 al di sotto del 40 per cento del PIL, 1,4 punti sotto il livello del 2017. Quella complessiva registrerebbe una caduta di circa 2,1 punti, sia per il calo della spesa in conto capitale sia per la modifica apportata alla spesa per interessi; voce, quest'ultima, che era stata rivista al rialzo nel 2017 per effetto dell'ipotesi di aumento dei tassi di interesse, della concentrazione nel periodo Pag. 6di scadenze di diversi titoli di Stato e dell'incremento del fabbisogno di cassa imputabile principalmente agli interventi di sostegno al settore bancario.
  Il buon risultato sul fronte della spesa è tuttavia legato agli andamenti particolarmente favorevoli delle sue principali voci. La spesa per redditi, dopo il recupero degli incrementi mancati del 2017, è assunta declinare al 9,0 per cento nel 2020 per ridursi ancora nel 2021.
  La politica di riduzione della spesa di personale avrebbe dovuto, peraltro, essere accompagnata da una riforma dell'assetto retributivo e ordinamentale del pubblico impiego, finalizzata a una maggiore correlazione tra retribuzione accessoria e verificati incrementi di produttività e di efficienza dell'azione amministrativa.
  Nel certificare l'ipotesi di accordo relativa al personale dei comparti funzioni centrali e scuola, la Corte ha osservato che il contratto collettivo stenta a esplicare appieno la funzione di divenire un importante strumento di recupero della produttività del settore pubblico. Con riferimento alla tornata 2016-2018, le risorse disponibili sono state, infatti, utilizzate pressoché esclusivamente per corrispondere adeguamenti delle componenti fisse della retribuzione, nonostante la legge delega n. 15 del 2009 affidasse alla contrattazione collettiva il compito di procedere a una sostanziale ridefinizione delle componenti variabili, da destinare prevalentemente a finalità realmente incentivanti e premiali.
  Segnali negativi – ha sottolineato in quella sede la Corte – derivano, inoltre, dal mancato completamento della riforma della pubblica amministrazione, delineata dalla legge delega n. 124 del 2015, con riferimento alla complessiva riscrittura del decreto legislativo n. 165 del 2001 e all'auspicata riforma della dirigenza pubblica.
  La spesa per consumi intermedi, nonostante la crescita che ne ha portato l'incidenza sul prodotto nel 2017 all'8,2 contro l'8 per cento preventivato, è prevista scendere al 7,6 per cento nel 2021. È la spesa delle amministrazioni locali a registrare il calo di maggior rilievo, riducendosi di quattro decimi di punto nel quadriennio.
  Di particolare rilevanza su tali andamenti sono quelli relativi alla spesa sanitaria, di cui il DEF fornisce un aggiornamento. Lo slittamento del rinnovo dei contratti del settore al 2018 è alla base della crescita nell'esercizio in corso, mentre si confermano le previsioni per il successivo biennio, che scontano gli effetti attesi dalle misure correttive da ultimo disposte dalla legge di bilancio 2017. A fine periodo la spesa sanitaria è prevista al 6,3 per cento del PIL, un livello registrato a inizio anni 2000. Ometto anche questa parte e proseguo.
  In lieve riduzione sono previste le prestazioni sociali in denaro, a riflesso di differenti dinamiche delle sue componenti. In calo le prestazioni pensionistiche; in crescita nel 2018-2019 le altre prestazioni sociali, un aumento da ricollegare alle recenti misure assunte con la legge di bilancio, in particolare a quelle dirette al contrasto della povertà e alla lotta all'esclusione sociale, di cui è stato disposto un rafforzamento.
  Il fondo a ciò dedicato raggiunge una dotazione di base di oltre 2 miliardi nel 2018 e di oltre 2,7 miliardi nel 2020 (ammontari a cui possono poi aggiungersi, come è noto, risorse a valere su bilanci diversi da quello dello Stato) e si amplia la platea dei potenziali beneficiari e il trattamento massimo riconoscibile.
  Sul provvedimento la Corte ha già espresso una valutazione positiva, tenendo conto delle oggettive esigenze di intervento per contrastare la povertà, che ha registrato durante gli anni della crisi una crescita di dimensioni significative. È un passo comunque verso il progressivo superamento della categorialità degli strumenti assistenziali presenti nel nostro Paese.
  L'ipotesi adottata nel quadro tendenziale di una sostanziale strutturalità del calo delle altre uscite correnti registrato nel 2017 contribuisce nel periodo alla contrazione dell'incidenza sul prodotto della spesa primaria corrente.
  Infine, la spesa in conto capitale registra un'ulteriore flessione in termini di prodotto rispetto ai livelli del 2017, al netto delle operazioni straordinarie. Con il DEF Pag. 7è rivista in riduzione rispetto alla nota per tutto l'arco di previsione la spesa per investimenti.
  La spesa per investimenti nel 2020 è prevista ancora inferiore a quella del 2013, e ciò nonostante che negli ultimi anni il livello di attenzione prestato alla continua riduzione di tale voce, importante per la crescita del Paese, sia stato elevato e crescente. Con il superamento del Patto di stabilità interno e l'adozione del solo vincolo del pareggio si è puntato a liberare risorse già disponibili per gli investimenti. Per far ripartire le politiche di sviluppo ci si è orientati su interventi in ambiti considerati prioritari: edilizia scolastica, dissesto idrogeologico, progetti inseriti nei patti di sviluppo intergovernativi. Alle risorse del Fondo sviluppo e coesione per il ciclo di programmazione 2014-2020 si sono aggiunte risorse significative messe in campo dallo Stato e dagli stessi enti territoriali, anche procedendo a una ricognizione e riprogrammazione di precedenti finanziamenti inutilizzati.
  La consapevolezza della stringenza dei vincoli finanziari ha poi spinto a prevedere un'accurata selezione dei progetti sulla base di procedure bottom up, fondate sull'accordo tra autorità locali e nazionali, con tempi di realizzazione definiti, una chiara individuazione delle responsabilità attuative e un'attività di controllo e monitoraggio accompagnata da meccanismi sanzionatori.
  La presa d'atto della mancanza di risultati adeguati, a fronte della rilevanza degli investimenti pubblici per il recupero di livelli di crescita più sostenuti, richiede un'attenta valutazione delle misure da adottare per rendere efficace il percorso intrapreso.
  Nel complesso, il quadro tendenziale sul fronte della spesa incorpora, quindi, ipotesi di contenimento particolarmente pronunciate, che confermano la difficoltà di reperire, almeno nel breve periodo, ulteriori spazi per riduzioni.
  Le nuove stime sulle entrate evidenziano un progressivo incremento dei livelli di gettito indicati dalla nota, delineando un profilo sostanzialmente piatto della pressione fiscale, con una flessione di due decimi di punto nel solo anno finale della previsione. Le entrate tributarie, in particolare nel 2019, subiscono un aumento di oltre il 4 per cento. È sempre l'imposizione indiretta a guidare la crescita, soprattutto perché nel quadro tendenziale è necessariamente previsto che in quell'anno operi la clausola di salvaguardia per la parte non sterilizzata con la manovra per il 2018. Anche il gettito delle imposte dirette risulta rivisto al rialzo, ma conserva un profilo più moderato. Peraltro, al miglioramento delle entrate tributarie si somma l'incremento (di poco meno di 9,7 miliardi) del gettito contributivo, per effetto della graduale cessazione degli interventi di decontribuzione disposti dalle leggi di stabilità 2015 e 2016 e di una accelerazione del processo di assorbimento dei livelli di disoccupazione.
  Le previsioni per il prossimo triennio continuano a richiedere una particolare attenzione. Come già sottolineato dalla Corte, le anticipazioni di gettito implicite nelle diverse misure assunte in questi anni (maggiorazioni su ammortamenti, proroga della rideterminazione del valore di acquisto dei terreni e delle partecipazioni, rivalutazione dei beni d'impresa, riapertura dei termini per assegnazione di beni ai soci) potrebbero riflettersi negativamente su entrate di pertinenza di esercizi futuri. Un effetto analogo potrebbe derivare dall'estensione dei meccanismi di contrasto all'evasione, basati sul versamento dell'Iva all'Erario da parte del cliente-pubblica amministrazione, in luogo del fornitore (split payment, reverse charge). Anche in questo caso rinvio al testo scritto e proseguo.
  I risultati inferiori alle attese del gettito indiretto del 2017 potrebbero costituire un segnale, sotto questo profilo, preoccupante. Va poi considerato che il quadro tendenziale delle entrate sconta la piena realizzazione di impegnative misure di contrasto all'evasione assunte con la legge di bilancio per il 2018. Dall'adozione della fatturazione elettronica nei rapporti tra privati sono attesi circa 1,7 miliardi dal 2019, e dalla nuova normativa per il contrasto alle frodi nel settore degli olii minerali sono Pag. 8attesi 271 milioni nel 2018 e 434 milioni nel 2019.
  Pur considerando tali provvedimenti favorevolmente e auspicandone una tempestiva attuazione anche sul piano dell'utilizzazione dei dati relativi da parte dell'amministrazione fiscale, come sottolineato più volte dalla Corte, maggiore cautela sarebbe auspicabile, quando i proventi attesi dalle azioni di contrasto all'evasione vengono utilizzati come mezzo di copertura, considerati gli inevitabili margini di incertezza che li caratterizzano. Salto questa parte e passo all'analisi del capitolo riguardante i saldi strutturali.
  A fronte di un indebitamento netto pari a 2,3 per cento del 2017, il saldo al netto degli effetti ciclici e delle una tantum si pone pari a meno 1,1 per cento del PIL. Il quadro tendenziale a legislazione vigente conferma per il 2018 un saldo di bilancio pari a meno 1,6 per cento in termini nominali, cui corrisponde un saldo strutturale pari a meno 1 per cento. Nonostante un indebitamento nominale ancora elevato nel 2019, il DEF stima una riduzione consistente del saldo strutturale, che si colloca a meno 0,4, per azzerarsi, raggiungendo, quindi, l'Obiettivo di medio termine nel 2020, risultato che confermerebbe nel 2021.
  Il percorso verso l'Obiettivo di medio termine, spesso posposto negli anni passati, verrebbe così ripreso e rispettato dal 2019, ma ciò a condizione di mantenere, nella gestione dei suoi prossimi esercizi, l'orientamento restrittivo che caratterizza il quadro tendenziale, quindi, in primo luogo, condizionando l'eventuale eliminazione delle clausole dell'IVA all'identificazione di adeguate coperture.
  D'altronde, i risultati del 2017 e anche quelli prefigurati nel biennio successivo, sia sulla base delle valutazioni contenute nel DEF e soprattutto alla luce delle stime formulate nelle Spring Forecast, non sembrano offrire spazi di manovra ulteriori né appare realistico contare su ulteriori margini di flessibilità di dimensione significativa. Nelle previsioni della Commissione, la mancanza di miglioramenti in linea con quanto richiesto da regole europee sembra rafforzare tale condizione.
  Per quanto riguarda il 2017, infatti, il peggioramento dello 0,2 per cento circa del saldo rispetto all'esercizio precedente, a fronte del miglioramento richiesto dello 0,15 (comprensivo della flessibilità per i rifugiati e gli eventi inusuali) comporterebbe nelle valutazioni del DEF una deviazione di circa meno 0,4 punti, inferiore alla soglia annua di 0,5 per cento, che definisce lo scostamento come significativo, mentre risulterebbe rispettato l'altro pilastro del braccio preventivo, cioè la regola della spesa.
  Tali valutazioni non paiono confermate, guardando le Spring Forecast 2018 del 3 maggio scorso. Nonostante le misure correttive adottate in corso d'anno e pur concordando sulla non incidenza sui saldi strutturali delle somme per le crisi bancarie, la Commissione evidenzia un saldo strutturale pari a meno 1,7 per cento, in peggioramento di 0,3 punti rispetto all'esercizio precedente. Dato l'aggiustamento richiesto di 0,26, più elevato di quello calcolato dal DEF in ragione della diversa valutazione del output gap, ne deriva una deviazione significativa, sia nell'anno che nella media 2016-2017.
  Alla luce dei dati di consuntivo e delle proprie previsioni aggiornate, la Commissione si esprimerà al riguardo in occasione dell’opinion sul Programma di stabilità 2018 attesa per fine maggio e della proposta di raccomandazione al Consiglio.
  Va considerato, poi, che per il 2018 il quadro tendenziale del DEF conferma il valore di indebitamento nominale indicato dalla nota (1,6 per cento), cui corrisponde un saldo strutturale pari a meno 1 per cento del PIL. A fronte dell'aggiustamento richiesto dello 0,6 per cento (in ragione dell’output gap ancora negativo, ma entro condizioni cicliche normali), la variazione di un decimo di punto comporterebbe uno scostamento dello 0,5 per cento nell'anno e una deviazione significativa della media sui due anni. Inoltre, non sarebbe rispettata la regola della spesa.
  In questo caso, oltre a una valutazione solo marginalmente peggiore del saldo nominale della Commissione rispetto al DEF (l'indebitamento nominale è stimato pari all'1,7 per cento, 0,1 punti più elevato rispetto Pag. 9 al dato indicato dal Governo), il saldo strutturale si conferma sul valore dell'esercizio passato, non registrando miglioramenti e determinando, quindi, rispetto all'aggiustamento verso l'Obiettivo di medio termine richiesto di 0,6 punti una deviazione significativa nell'anno e nella media del 2017-2018. Va considerato, inoltre, che nella valutazione sul Documento la Commissione ha richiesto all'Italia di conseguire nel 2018 uno sforzo fiscale sostanziale, un aggiustamento in termini strutturali pari almeno allo 0,3 per cento, senza ulteriori margini di deviazione nell'anno. La variazione di 0,1 punti allora stimata non veniva pertanto ritenuta adeguata.
  Per quanto riguarda il 2019, il quadro tendenziale a legislazione vigente del DEF indica un indebitamento netto pari allo 0,8 per cento, cui corrisponde un dato strutturale pari a meno 0,4 per cento, in riduzione di circa 0,6 punti rispetto all'esercizio precedente. Risultano pertanto rispettati i limiti richiesti nell'anno e nella media 2018-2019. È da rilevare che sul risultato incidono, oltre che delle misure una tantum, pari al meno 0,1 in termini di maggiori spese, una componente ciclica di riduzione, ma ancora negativa e pari a meno 0,4 per cento.
  Diversa, invece, è la valutazione della Commissione, che stima un indebitamento netto pari all'1,7 per cento. Per questa parte rinvio al testo scritto e proseguo. Un indebitamento più elevato che si accompagna a una componente ciclica positiva e pari a tre decimi di punto determina un valore del saldo strutturale pari a meno 2 per cento. A fronte del miglioramento richiesto dello 0,6, il peggioramento di 0,3 punti comporta il rischio di una deviazione significativa sia nell'anno che nella media 2018-2019.
  Passo a prendere in esame la parte che concerne il debito. Nel 2017, lo stock di debito delle pubbliche amministrazioni è risultato pari a 2.263 miliardi, il 131,8 per cento del PIL (il 132 per cento nel 2016). Nell'insieme dell'area dell'euro, l'incidenza del debito sul prodotto è scesa di 2,3 punti, all'86,7 per cento.
  In Italia, la lieve flessione annua del rapporto debito-PIL di due decimi di punto segue quella di entità analoga registrata nel 2015, dopo l'uscita dalla doppia recessione: viene a disegnarsi così un quadro di sostanziale stabilizzazione della posizione debitoria del settore pubblico del nostro Paese. Il moderato calo del 2017 è frutto dell'interazione di un insieme di fattori: crescita, inflazione, avanzo primario, costo medio del debito, poste «sotto la linea». Il saldo primario ha esercitato un impulso favorevole per 1,5 punti. L'ancora calante costo medio del debito e l'accelerazione della ripresa ha fatto sì che il differenziale tra queste due variabili esercitasse una pressione al rialzo, limitata però a 1,1 punti. Hanno, infine, spinto il rapporto verso l'alto, per 0,2 punti, quelle poste che incidono direttamente sullo stock senza essere componenti dell'indebitamento. Nella relazione scritta si riportano, come esempio, operazioni finanziarie, introiti da dismissioni mobiliari, scarti di emissione, eccetera. Nel 2017 tali fattori residuali, che nel complesso dell'area dell'euro hanno contribuito a ridurre il debito per un decimo di PIL, non hanno incluso proventi da privatizzazioni e hanno scontato gli effetti delle crisi bancarie e, per altro verso, hanno beneficiato della riduzione delle disponibilità liquide del Tesoro sul conto corrente di tesoreria.
  Gli andamenti del rapporto debito-PIL prospettate dal DEF per il quadriennio 2018-2021 – anch'essi, come quelli degli altri aggregati, di natura tendenziale – sono positivi, ancorché non in linea con gli sforzi richiesti in sede europea. Nell'anno in corso si verificherebbe un ulteriore e più consistente calo e nel quadriennio la riduzione del rapporto assommerebbe a circa 10 punti di PIL, di cui quasi 12 per l'azione di consolidamento dell'avanzo primario e per oltre un punto per l'effetto di snow-ball. Una pressione al rialzo pari a circa 3 punti sarebbe, viceversa, esercitata dai fattori residuali e ciò nonostante la messa in conto di una ripresa del processo di dismissioni con proventi attesi per 0,3 punti di PIL all'anno nel triennio 2018-2020. Pag. 10
  L'andamento del rapporto debito-PIL prospettato nel quadro tendenziale, pure in discesa sull'intero quadriennio e a ritmi crescente, non è tale da rispettare la regola del debito prevista dai protocolli europei, come già nella Nota di aggiornamento del DEF e come si prende atto nello stesso DEF.
  Durante gli anni di crisi, nonostante gli sforzi volti a contenere l'aumento del deficit attraverso il conseguimento di avanzi primari che, come sottolineato nel DEF, sono stati tra i migliori dell'area dell'euro, il debito pubblico ha registrato una crescita cospicua sia in termini assoluti sia in rapporto al PIL. Con l'avvenuta stabilizzazione del quadro macroeconomico e il ritorno a ritmi di crescita del prodotto relativamente più sostenuti, appare utile valutare con attenzione le prospettive di questo cruciale indicatore, anche in relazione al necessario processo di rientro e ai ritardi che su questo fronte si sono accumulati nel decennio trascorso.
  Indipendentemente dalle scelte che saranno fatte dal nuovo Parlamento, è opportuno rimarcare qui quanto sottolineato dalla Corte in precedenti occasioni. Il triennio 2018-2020 rappresenterà un'eccezionale finestra dal punto di vista dell'opportunità offerta dal contesto macroeconomico alla riduzione del debito. Infatti, il congiunto operare della ripresa dell'inflazione e del permanere del costo medio del debito su livelli particolarmente bassi (grazie al prolungato periodo di politica monetaria marcatamente espansiva), dovrebbe garantire, in deroga a quella che è la regola dell'esperienza storica italiana e in generale dei Paesi ad alto debito, un differenziale negativo tra costo del debito e crescita economica (- 0,2 in media nel triennio). In Italia, nel periodo 1995-2017 il differenziale tra costo medio e crescita nominale è stato sempre positivo e mediamente pari a 2,5 punti. Significativo è stato pure nei principali Paesi avanzati, in Francia e in Germania, come pure in Giappone e negli Stati Uniti. Di tale situazione si dovrebbe approfittare per imprimere alla riduzione del rapporto debito-PIL una spinta maggiore di quella contenuta nel quadro tendenziale e possibilmente tale da garantire il rispetto della regola europea senza margini di rischio.
  Passo alle considerazioni conclusive. Il quadro macroeconomico e di finanza pubblica di medio periodo offerto dal DEF 2018 si limita a descrivere proiezioni meramente tendenziali, in attesa che un nuovo Governo proponga gli indirizzi programmatici da sottoporre al Parlamento. Ma anche uno scenario a legislazione vigente costituisce una base di riferimento importante e utile per definire i criteri di scelta di politica economica e, in particolare, delle politiche di bilancio dei prossimi anni.
  Si tratta, infatti, di uno scenario che contiene, allo stesso tempo, indicazioni favorevoli e rassicuranti, ma anche elementi critici che provengono sia dal quadro internazionale che dall'emergere di nuove fragilità sulle tendenze, anche di medio-lungo periodo, dei nostri conti pubblici e che si traducono, alla fine, nella necessità di programmare il futuro sulla base di scelte molto caute e di interventi di politica economica molto selettivi.
  L'evoluzione positiva della congiuntura trova conferma nelle recenti Spring Forecast della Commissione europea che hanno rivisto al rialzo le precedenti previsioni sulla crescita economica. Tuttavia, alcune incertezze non possono essere sottovalutate: il quadro macroeconomico internazionale deve far considerare come gli sviluppi della politica commerciale USA su dazi e restrizioni all'ingresso siano così incerti da non poter escludere uno scenario di rallentamento della domanda per le nostre esportazioni e di un aumento del costo delle importazioni nonché ripercussioni sul tasso di cambio a medio termine; l'esaurimento delle politiche monetarie accomodanti; gli effetti delle clausole di salvaguardia connesse all'aumento dell'imposizione indiretta.
  Con riguardo alla finanza pubblica, gli effetti degli andamenti macroeconomici e delle misure già contenute nella legislazione vigente determinerebbero secondo il DEF un deciso miglioramento dei saldi di bilancio, sia in termini nominali che strutturali, e del rapporto debito-PIL. Pur con Pag. 11differenze non irrilevanti, in buona misura imputabili ai diversi approcci metodologici (lo scenario delle Spring Forecast non è a legislazione vigente), anche nelle proiezioni della Commissione europea il profilo dei saldi e del debito risulta in miglioramento in termini nominali, mentre più netto è lo scostamento rispetto all'obiettivo del saldo strutturale.
  Rispetto a un quadro sostanzialmente positivo, sembra alla Corte necessario non lasciare in ombra i numerosi fattori di incertezza che si proiettano sul futuro prossimo e meno prossimo. Si tratta di fattori diversificati, che vanno dal verificato insuccesso che finora hanno segnato i tentativi di recuperare i livelli più adeguati di investimenti pubblici (fattore importante per sostegno della crescita economica), all'evidenza di scenari demografici che, in particolare in Italia, potrebbero comportare un crescente assorbimento di risorse pubbliche per far fronte alle esigenze connesse all'invecchiamento della popolazione.
  E ancora, la necessità di non sottovalutare la precarietà dell'assetto del nostro sistema fiscale che, in questi anni, segnati dall'esigenza di reperire nell'immediato risorse ai fini del riequilibrio dei conti pubblici, si è progressivamente allontanato dai principi di fondo cui esso dovrebbe ispirarsi.
  Oltre all'impegno finanziario che richiederebbe l'eventuale sostituzione delle clausole di salvaguardia IVA, si sconta nel quadro tendenziale un profilo della spesa in riduzione nei principali comparti dei servizi: flette ancora la quota del prodotto destinata alla sanità, si restringe lo spazio riservato alle amministrazioni locali per la spesa non sanitaria, quella destinata ai servizi più vicini ai cittadini (trasporti locali, servizi alla persona).
  Il quadro tendenziale descrive, pertanto, quanto limitati siano i margini entro i quali i cittadini possono attendersi un miglioramento nella qualità dei servizi. Ciò richiede che la revisione della spesa sia orientata verso una maggiore efficienza nella gestione delle risorse pubbliche, anche attraverso un attento screening della qualità dei servizi resi e una più penetrante capacità di misurazione dei risultati raggiunti dai diversi programmi, ma richiede anche che vengano adottate scelte selettive in assenza delle quali vi è il rischio di un graduale spostamento della spesa verso quella a carico dei cittadini.
  Tale processo, al di fuori dei meccanismi di solidarietà e perequazione, oltre ad accrescere le disuguaglianze, tende ad acuire le difficoltà di soluzione della questione del lavoro.
  Nei prossimi anni, il rapido invecchiamento della popolazione eserciterà pressioni molto significative sulla spesa pubblica in tutti i Paesi europei, inclusa l'Italia. L'intero comparto delle uscite per la protezione sociale considerata in senso lato (previdenza, sanità e assistenza) ne sarà influenzato. Il tasso di dipendenza degli anziani crescerà in misura ragguardevole. Le recenti revisioni delle stime di lungo periodo della spesa age-related, di cui il DEF dà conto, prefigurano, per molte sue componenti e in primo luogo per la spesa pensionistica, andamenti meno favorevoli di quelli stimati fino a qualche anno fa. Si tratta di novità legate soprattutto a un deterioramento del quadro macroeconomico e demografico di lungo termine, che può, però, essere contrastato con politiche a favore della natalità, con una equilibrata gestione dei flussi migratori e con una maggiore partecipazione al mercato del lavoro.
  L'obiettivo di costruire un modello di welfare in grado di assicurare: adeguati trattamenti previdenziali senza che si mette a repentaglio la sostenibilità finanziaria del sistema, politiche di assistenza che puntino all'inclusione e al contrasto alla povertà, servizio sanitario di elevato livello, richiama l'esigenza di salvaguardare alcuni degli equilibri già conseguiti in singoli comparti e gestire l'accesso alle prestazioni assistenziali in una logica di unitarietà e assicurando anche una maggiore correlazione tra i servizi resi e le condizioni economiche e sociali complessive delle famiglie che li richiedono.
  Sul fronte delle entrate, negli anni più recenti, il sistema tributario italiano ha generalmente assicurato un gettito in linea Pag. 12con gli obiettivi di riequilibrio generale dei conti pubblici, pur in un quadro nel quale l'elasticità delle entrate totali rispetto al PIL è risultata inferiore a quella registrata negli altri maggiori Paesi.
  Le modalità di prelievo che hanno caratterizzato gli ultimi anni e la politica tributaria (il recupero di base imponibile sottratta a tassazione, l'anticipazione di quote di gettito futuro e misure di attenuazione del prelievo di natura «straordinaria») sono state dettate dall'intento di riequilibrare e, ove possibile alleggerire, l'onere fiscale e di far fronte ai vincoli di bilancio senza ricorrere a effettivi inasprimenti fiscali. Tali scelte sono giustificate dalle esigenze poste dalla crisi, ma non esenti dei rischi che la Corte ha più volte sottolineato. Si tratta di modelli di intervento, inoltre, che non sostituiscono la necessità di una più strutturale rivisitazione del sistema impositivo per renderlo coerente con maggiore equità e con un più favorevole ambiente per la crescita.
  La necessità di affrettarsi a ridurre e, in prospettiva, a rimuovere, l'inevitabile pressione che un elevato debito pubblico pone sui tassi d'interesse e sulla complessiva stabilità finanziaria del Paese – dunque, in definitiva, sulla potenziale di crescita – trova motivazioni anche dal fatto che in questi anni, a fronte della mancata compliance con la regola del debito, l'apertura di una procedura di infrazione per disavanzo eccessivo è stata evitata grazie a una serie di fattori rilevanti, alcuni dei quali risultano oggi indeboliti dalle nuove proiezioni circa gli effetti di lungo periodo delle tendenze demografiche.
  In conclusione, il quadro che emerge dal DEF 2018, pur testimoniando i progressi ottenuti nell'azione di risanamento, rimane ancora complesso. Il difficile percorso che ci attende non consente cedimenti o rallentamenti, ma richiede scelte coerenti.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente Buscema.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  CLAUDIO BORGHI. In merito alla questione della contabilizzazione degli effetti sulle banche e degli interventi sulle banche, che giustamente vengono considerati come rilevanti nella sua relazione, vorrei avere una sua opinione relativa a come mai c'è stato uno scarto di valutazione da un mese all'altro, si è passati cioè all'emersione di una posta contabile così rilevante.
  Per quanto riguarda il Monte dei Paschi di Siena, chiedo se ci sia una previsione relativa alla minusvalenza latente che, in questo momento, le azioni rappresentano. Lo chiedo perché mi pare che l'intento sempre dichiarato fosse quello di vendere la partecipazione, per cui è evidente che, se la cessione della partecipazione del Monte dei Paschi poi dovesse verificarsi, a quel punto ci sarebbe una minusvalenza palese, se dovessimo basarci sui valori di mercato attuali delle azioni del Monte dei Paschi.
  Le chiedo quindi se questa minusvalenza latente è stata conteggiata e come viene in generale considerata dal punto di vista dell'affidabilità dei conti.

  ANDREA MANDELLI. Pongo qualche domanda che mi è sorta leggendo l'interessante relazione. Ho visto una previsione di una spesa sanitaria al 6,3 per cento del PIL, che mi lascia un po’ preoccupato anche alla luce delle considerazioni emerse da questa prima enunciazione che lei ha fatto.
  In particolare, siccome è evidente una certa difficoltà delle regioni a garantire efficienza e appropriatezza dei livelli essenziali, chiedo come questa mia preoccupazione può trovare riscontro nella vostra analisi, considerando che in questi anni di crisi sicuramente un servizio sanitario come quello italiano è stato – passatemi l'affermazione impropria – un buon ammortizzatore sociale, cioè ha garantito in un momento di difficoltà delle famiglie una capacità di far fronte a un bene essenziale come quello della salute.
  Mi pare quindi che ci sia un po’ di contrasto tra l'analisi che voi fate sull'aumento dell'età media, quindi sull'aumento delle necessità della popolazione, e il definanziamento della spesa sanitaria che mi pare di leggere nella vostra relazione. Pag. 13
  Da qui mi riallaccio anche all'allarme che voi lanciate sulla incapacità di finanziare le strutture locali, comuni e regioni, quindi con un complessivo peggioramento della situazione del cittadino. Questo mi pare di aver colto nelle vostre preoccupazioni.
  Un'altra preoccupazione che ho colto e di cui vorrei capire esattamente l'impatto che stimate è l'aggravio che sicuramente con lo split payment abbiamo dato a tutte le realtà produttive italiane. Visto che prevedete una negatività dall'introduzione di questa norma, perché a breve ovviamente c'è più gettito, ma poi alla fine si può avere qualche tendenza negativa da scontare, volevo capire anche in questo caso come considerate questo passaggio.
  In ultimo mi è venuta spontanea una domanda. Siccome qualche giorno fa Moscovici sulle riforme strutturali non ha avuto parole particolarmente brillanti per il nostro Governo, volevo capire se anche voi pensate che questi sforzi pari allo zero a cui si riferiva Moscovici siano davvero importanti per la nostra scarsa crescita economica in questi anni.

  LUIGI MARATTIN. Pongo molto brevemente due domande. Si tratta di due affermazioni, presidente, che sono contenute a pagina 24 della relazione che ci ha consegnato e sono anche state appena citate dal collega.
  Voi parlate nella relazione di restringimento dello spazio riservato alle amministrazioni locali per spesa non sanitaria, per spesa più vicina ai cittadini; vorrei capire esattamente quale sia la fonte di questa affermazione, perché guardando il quadro tendenziale del conto economico delle amministrazioni locali onestamente non riesco a vedere alcun restringimento di bilancio, guardando ai consumi intermedi che salgono di 6 miliardi, alle prestazioni sociali che aumentano, alle altre spese correnti che sono in relativo aumento. Volevo capire quindi quale fosse la base per affermare che ci sia un restringimento dei margini di spesa non sanitaria delle amministrazioni locali.
  La seconda domanda riguarda invece la flessione della spesa sanitaria intesa in rapporto al prodotto. Vorrei conoscere la sua opinione su un mio personale convincimento, secondo il quale, a differenza del peso del debito o della pressione fiscale che ovviamente vanno rapportati al reddito, la spesa sanitaria non debba essere rapportata al reddito, per il semplice fatto che, così come a livello individuale le necessità di spesa sanitaria non dipendono dal reddito, cioè non è che se divento più ricco devo spendere di più in sanità, non capisco perché si continui a utilizzare questo indicatore dal punto di vista macroeconomico.
  Se lo rapportiamo alla dinamica di invecchiamento della popolazione, sono perfettamente d'accordo, ma non so se lei concordi sul fatto che il rapporto spesa sanitaria/PIL non indichi affatto la sostenibilità e l'efficienza della spesa sanitaria.

  ANDREA CIOFFI. Mentre il Presidente della Corte dei conti ci illustrava la relazione ho dato un'occhiata al riquadro relativo ai rischi delle guerre commerciali e mi è venuta in mente una domanda, che forse esula dalle sue competenze, ma mi permetto di farla lo stesso.
  Se ricordo bene, c'è stato un periodo (mi sembra nel 2007) in cui con la definizione di paradiso fiscale veniva individuato un Paese la cui tassazione era inferiore del 50 per cento rispetto al Paese di riferimento. È durato un solo anno e poi è stato definito paradiso fiscale un Paese che non fornisce informazioni. Quanto potrebbe incidere in termini di rientro di PIL riportare la definizione in tal senso, quindi creare un modo per tassare quelle risorse?

  ALESSIO MATTIA VILLAROSA. Grazie, presidente, sarò velocissimo, solo per cercare di capire se a pagina 15 della relazione scritta, quando parlate di entrate tributarie e aumento del gettito, possiamo affermare che abbiamo quest'anno un aumento di circa 29-30 miliardi di euro (4 per cento delle entrate tributarie più 9,7 miliardi di gettito contributivo)? Mi confermate che più o meno la stima di aumento è di 30 miliardi?

  PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi e altre domande, cedo la parola al Pag. 14Presidente della Corte dei conti, Angelo Buscema, per la replica.

  ANGELO BUSCEMA, presidente della Corte dei conti. Su questo chiederei poi l'intervento del consigliere Flaccadoro, perché su alcuni temi tecnici preferisco che venga data una risposta puntuale.
  Gli argomenti sono abbastanza ampi; credo che innanzitutto sia opportuno chiarire che la nostra è un'analisi sul documento, quindi le nostre evidenziazioni non sono nostre considerazioni, ma sono elementi che vengono prospettati dal Documento di economia e finanza. Il nostro quindi è un rimarcare, un attenzionare il Parlamento sui contenuti specifici del documento, sulle scelte che il documento sottolinea, quindi non sono prospettate nella nostra relazione prese di posizione della Corte, se non su alcuni profili sui quali la Corte ha richiamato l'attenzione nel corso degli anni, ivi compresi la situazione delle entrate e altri fattori che poi potrebbero ingenerare meccanismi di non virtuosità.
  Questo per chiarire che la nostra è un'analisi, sulla quale non abbiamo espresso valutazioni specifiche. Certo le domande sono tante e sicuramente vorrei rimarcare (poi, se la Commissione è d'accordo, lascerei rispondere il consigliere Flaccadoro sui profili puramente tecnici) che quello che emerge dal quadro per quanto riguarda il restringimento dei servizi ai cittadini è una conseguenza della contrazione, quindi non una nostra considerazione. Come abbiamo già avuto modo di constatare non solo in questa occasione, ma anche nelle nostre relazioni degli anni precedenti, nell'ambito delle spese riferite ai servizi ai cittadini c'è comunque una diminuzione dei servizi stessi, perché è la conseguenza del fatto che, non avendo gli enti locali la possibilità di rendere i servizi alla collettività in termini di efficienza, ovviamente questo va a scapito dei servizi stessi; si tratta di una conseguenza connessa alla gestione dei servizi degli enti locali sui quali evidentemente noi abbiamo espresso in diverse occasioni la nostra valutazione.
  La conseguenza quindi è chiaramente diversificata nell'ambito degli enti locali, sono servizi che possono essere resi in maniera diversa a seconda delle realtà locali, però nell'insieme porta queste problematiche particolari.
  Sul problema del paradiso fiscale e del tassare, si tratta di una valutazione ovviamente di politica fiscale; su questo non mi sento quindi di prendere posizione, perché è un tema sul quale si dibatte da tempo, certamente è da comprendere bene, con un'analisi ben precisa, perché richiede un approfondimento e analisi ben mirate, perché credo che i problemi di natura fiscale siano soprattutto legati al nostro sistema fiscale, che, come abbiamo detto e ribadito, necessita di una revisione.
  In quell'ambito si potrebbe pensare anche a colpire alcuni fenomeni a cui lei accennava in precedenza. Se il presidente consente, lascerei adesso la parola al consigliere Flaccadoro sui punti specifici.

  PRESIDENTE. Do la parola al consigliere Flaccadoro.

  ENRICO FLACCADORO, consigliere della Corte dei conti. Cerco di rispondere innanzitutto sulla spesa sanitaria, sulla quale sono state poste due domande. Innanzitutto, per rispondere all'onorevole Mandelli, sì, noi facciamo riferimento a questo valore, che non è ovviamente una stima nostra, ma è una lettura del quadro tendenziale del DEF, di cui sottolineiamo (e qui rispondo anche all'onorevole Marattin) un profilo ancora di riduzione della spesa sanitaria nei prossimi anni.
  Il settore sanitario è stato interessato in questi anni (l'abbiamo detto in tutti i rapporti della Corte) da un importante e significativo processo di risanamento che non va dimenticato, anche perché, guardando a prima del Patto per la salute, la situazione finanziaria di molte regioni era in notevole difficoltà, con servizi di poca qualità e squilibri finanziari forti, quindi va sottolineato che il processo compiuto da regioni e Stato insieme per risanare è stato importantissimo.
  Si deve anche tenere conto che in questi anni (è inutile negarlo) si è assistito a un incremento della quota di spesa a carico dei privati che è arrivata a 35 miliardi, Pag. 15quindi a un 25 per cento della spesa complessiva sanitaria. Ci sono ancora realtà molto diverse e c'è un fabbisogno di servizi per una popolazione sempre più anziana, che ha avuto finora condizioni rese più favorevoli da un sistema previdenziale che, tutelando le pensioni per un certo periodo in maniera più forte di quello che probabilmente avremo nel prossimo futuro in termini di pensioni basate sul sistema contributivo, ha consentito di compensare parte di ciò che non si riusciva ad avere come assistenza alle disabilità, alle cronicità dal pubblico con un intervento privato.
  Si rileva questo profilo di continua riduzione in termini di prodotto delle risorse destinate alla sanità e la continua riduzione anche delle somme destinate a investimento in sanità, nel senso che negli ultimi anni gli investimenti per strutture sanitarie stanno continuando a scendere e anche quest'anno si sono ridotte rispetto al 2016 di oltre il 5 per cento.
  La nostra non era quindi assolutamente una sottovalutazione del percorso e delle difficoltà affrontate nel risanamento del settore, ma era la sottolineatura di un profilo anche guardando ai costi age-related (fonte Ragioneria generale dello Stato), che mostrano come negli anni futuri ci sia una prospettiva di crescita dei fabbisogni per spesa sanitaria.
  Il quadro quindi che noi andiamo a esaminare oggi contiene un'ipotesi probabilmente credibile di riduzione della spesa, ma che sottolinea la difficoltà di un settore nel garantire i livelli di qualità che finora ha sempre garantito, nel senso che (sono d'accordo con l'onorevole Mandelli) in questi anni il settore della salute in Italia ha svolto un rilevante lavoro di ammortizzatore di tutte quelle che erano le criticità sociali.
  Quello che ci limitavamo a dire è di fare attenzione, nel quadro che viene presentato, che consente di arrivare a quegli obiettivi, perché indubbiamente il percorso di crescita in termini di risorse sul prodotto – e qui sono d'accordo con l'onorevole Marattin che il prodotto non è l'unico parametro –, dopo un periodo di forte contenimento della spesa, permette di guardare al profilo tendenziale nella quota di prodotto destinata a un settore e indica una prospettiva su cui le aziende sanitarie devono orientarsi e quindi la difficoltà che possono incontrare.
  Per quanto riguarda la spesa non sanitaria sono d'accordo sui valori assoluti in termini di PIL, guardando ai dati che non sono nostri, ai dati del DEF, al netto della spesa sanitaria la spesa delle amministrazioni locali nel complesso, la spesa corrente primaria al netto in termini di PIL si riduce di mezzo punto nell'orizzonte di previsione, un profilo che richiama alla necessità di non retrocedere dalle politiche di efficientamento, di riduzione degli sprechi, ma che indica indubbiamente, di fronte a un generale sentire sulle insufficienze o sui ritardi di adeguamento dei servizi, un quadro duro, difficile da affrontare.
  Abbiamo cercato di delineare come in questo quadro sia necessario operare delle scelte; già altre volte in passato avevamo indicato che la scelta di non scegliere porta ad un aumento della richiesta di spesa a carico del cittadino, fuori da meccanismi di perequazione e di solidarietà, mentre scegliere ciò che si può continuare a fornire e scegliere e usare un investimento che è stato fatto molto importante, l'ISEE per selezionare gli accessi, quindi riuscire a fare delle scelte su quello che l'apparato pubblico può dare nel limite delle risorse e degli equilibri che deve rispettare, era una segnalazione che ovviamente non spetta a noi portare avanti, ma una segnalazione positiva su quello che si è fatto e uno stimolo su quello che si deve ancora fare.
  Sul discorso dell'IVA non era nostra intenzione sottolineare un aggravio, c'era una limitata osservazione sul fatto che l'accelerazione del gettito in alcuni meccanismi possa in qualche maniera ridurre le potenzialità di emersione dall'evasione che gli si è attribuito e quindi creare dei problemi di tenuta del gettito tributario.
  A me sembra che Moscovici non si riferisse alle riforme del mercato del lavoro o alle riforme avviate, ma si riferisse al fatto che nell'ultimo esercizio l'aggiustamento dei saldi strutturali al netto del ciclo è stato zero nelle loro valutazioni, 0,1 nelle Pag. 16valutazioni del Governo, quindi richiamasse in qualche maniera gli accordi presi circa un miglioramento che non doveva deflettere dallo 0,3 per cento concordato, su cui era stata richiesta la manovra del 2017.
  Quindi, non mi sembra, o almeno io non l'ho letto come un giudizio negativo sulle riforme, l'ho letto come un richiamo all'aggiustamento dei saldi.
  Onorevole Borghi, ammetto di non saper rispondere esattamente sul discorso delle minusvalenze che potrebbero esserci dalle partecipazioni a Monte dei Paschi. Sul discorso della modifica in un mese, io credo che l'ISTAT abbia chiesto una delucidazione molto prima, quindi prima dell'estate. Questa delucidazione è arrivata nel mese di marzo e, quindi, ha comportato una modifica, probabilmente indesiderata da parte del Governo, dei saldi così come erano stati calcolati il 1° marzo. Sinceramente, che io sappia, noi della Corte non abbiamo valutazioni sulle minus o le plusvalenze.
  Sul discorso della crescita sollevato dall'onorevole Villarosa e sull'andamento del gettito di entrate e di contributi, noi ci limitiamo a leggere quello che viene riportato nel DEF in termini di previsioni tendenziali del gettito, che sono i 10 miliardi di maggior gettito contributivo nel 2018 rispetto al 2017 e i 9 miliardi di maggior gettito tributario considerato complessivamente. Naturalmente questa cifra cresce nel triennio successivo. Mi fermerei qui.

  PRESIDENTE. Perfetto. Grazie per le risposte.
  Do la parola al deputato Marattin per una breve replica.

  LUIGI MARATTIN. Grazie. Prendo atto della sua risposta sulla scelta del denominatore, il PIL. Non la condivido fino in fondo, ma prendo atto. Il problema è che per quanto riguarda gli enti locali, anche prendendo per buona la sua interpretazione, quella caduta di 0,5 dell'incidenza sul PIL è per 0,3 riferita ai redditi da lavoro e per 0,2 riferita ai consumi intermedi. Quindi, alla luce di questo, la vostra affermazione sul calo della spesa in prestazioni sociali non sanitarie comunque risulta non accurata, perché quello 0,5 è riferito ai redditi da lavoro e ai consumi intermedi e non a prestazioni sociali.

  PRESIDENTE. Do la parola per un breve intervento al deputato Angiola.

  NUNZIO ANGIOLA. Vorrei fare solamente una piccola considerazione sulla dinamica salariale e i rinnovi contrattuali per quanto riguarda il personale di tutte le pubbliche amministrazioni.
  Il costo viene stimato in 7 miliardi di euro per il 2018, basato sull'ipotesi di sottoscrizione di tutti i contratti collettivi, compresi quelli della dirigenza. A regime per tutti i dipendenti pubblici si parla di un incremento di 5,3 miliardi.
  Subito dopo nella relazione si richiamano dei temi classici riguardanti il funzionamento della pubblica amministrazione negli ultimi anni, in particolare il tema della riforma dell'assetto retributivo e ordinamentale. C'è uno spunto riguardante questo aspetto – visto che non viene approfondito, le chiedo se può precisarlo meglio – ma anche un giudizio negativo rispetto ai rinnovi contrattuali che sono già partiti, come quello della scuola e dei comparti delle amministrazioni centrali.
  Si legge nella relazione: «La Corte ha osservato che il contratto collettivo stenta a esplicare appieno la funzione di divenire un importante strumento di recupero della produttività». Sarebbe interessante capire quali sono gli elementi alla base per dire che questi contratti non dispiegano appieno gli effetti rispetto al tema della produttività, perché, se andiamo ai rinnovi, non è che dobbiamo semplicemente distribuire delle risorse, ma dobbiamo anche assicurarci che ci siano dei ritorni dal punto di vista di ciò che si ottiene.
  L'ultimo punto che resta piuttosto generico, se mi consente, presidente, è il riferimento al mancato completamento della riforma della pubblica amministrazione. Non si svolge alcuna considerazione di approfondimento. Vorrei giusto capire a quali assi della riforma della pubblica amministrazione Pag. 17 lei stava pensando nel momento in cui alludeva, più o meno esplicitamente, a un vulnus rispetto all'assetto della finanza pubblica italiana.

  PRESIDENTE. Grazie. Ha chiesto di intervenire il senatore Errani.

  VASCO ERRANI. Faccio un'osservazione e una domanda. Anch'io penso che il PIL non sia il misuratore della spesa sanitaria. Faccio tuttavia presente, onorevole, che l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ci dice che sotto i 6,5 per cento di spesa sanitaria rispetto al PIL non c'è tenuta del sistema universalistico. Noi siamo pienamente dentro a questa dinamica, che non c'entra niente né con gli sprechi né con i problemi che ha il sistema sanitario. Questo è un grandissimo problema.
  Vengo al secondo punto. Io vorrei stimolare, anche alla Corte, una riflessione. Io non riesco a capire per quale ragione questo Paese continua a considerare la spesa sanitaria esclusivamente spesa. La sanità è economia, è PIL, è occupazione. Scusatemi, ma il livello di ignoranza con cui parliamo di sanità comincia a essere veramente un problema inquietante.

  PRESIDENTE. Grazie, senatore Errani. Do la parola al deputato Mandelli per un brevissimo intervento.

  ANDREA MANDELLI. Ho solo una domanda brevissima. Il fatto, però, che noi acclariamo che il cittadino mette di tasca sua, il cosiddetto «out of pocket», 35 miliardi, vuol dire che c'è qualcosa che non quadra.
  Questo dato dell'OMS (6,5 per cento), che è una storia che va in giro, io non riesco, però, a capire dove davvero lo dice e in che ambito.

  PRESIDENTE. Do la parola per un'ulteriore replica al presidente Buscema.

  ANGELO BUSCEMA, presidente della Corte dei conti. Per quanto riguarda la parte della pubblica amministrazione, noi abbiamo certificato due contratti, che vengono citati. Nel citare questi contratti, nel nostro rapporto di certificazione che abbiamo inviato al Parlamento, abbiamo constatato che, nonostante l'indicazione della contrattazione fosse quella di privilegiare l'aspetto del recupero della produttività, erano date retribuzioni a pioggia.
  Pur comprendendo le motivazioni, anche di carattere sociale, ovvero che i pubblici dipendenti erano stati in qualche modo penalizzati dal fatto che queste remunerazioni non avvenivano da anni, tuttavia abbiamo rimarcato che è un'occasione persa. In questi contratti abbiamo constatato questo elemento.
  Poiché, come lei sa, stanno arrivando anche altri contratti e noi abbiamo altre due scadenze nei prossimi giorni, noi auspicavamo che fosse colta l'occasione per dare una piena applicazione a questo recupero di produttività, che era una delle condizioni di questi contratti.
  Quando si fa riferimento alla riforma della pubblica amministrazione, di riforma della pubblica amministrazione si parla da tempo, ma si parla di riforma della dirigenza pubblica. Era l'occasione per recuperare in parte un efficientamento della pubblica amministrazione, quindi si faceva riferimento soprattutto alla riforma della dirigenza in questo senso. Viene richiamato anche nella relazione.
  Questo riguarda la parte su cui posso rispondere. Su altri profili non credo che ci fossero ulteriori considerazioni. Ovviamente nelle prossime settimane noi avremo i nuovi rapporti di certificazione. In quell'occasione noi ci esprimeremo in questo senso, stimolando proprio l'esigenza di dare spazio a una riforma della pubblica amministrazione verso l'efficientamento: adeguare finalmente la pubblica amministrazione al modello che era stato creato nel momento in cui è stata ripresa la contrattazione.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente della Corte dei conti per la relazione e per l'importante contributo apportato al dibattito, i suoi collaboratori e i colleghi intervenuti. Pag. 18
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti del CNEL.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti del CNEL.
  Ringraziamo il presidente Tiziano Treu, che è un piacere e un onore incontrare in questa occasione, il vicepresidente Gian Paolo Gualaccini, il segretario generale Paolo Peluffo e la dirigente Larissa Venturi.
  Cedo immediatamente la parola al presidente Tiziano Treu.

  TIZIANO TREU, presidente del CNEL. Grazie, presidente. Buonasera a tutti. Grazie per l'invito in questa bella sala, che io frequentavo in altra veste. Mi fa piacere essere qui.
  Io farò una relazione piuttosto breve, ma è a disposizione dei commissari un documento più articolato.
  Le considerazioni che svolgiamo questa sera sono riferite alla situazione congiunturale e al Documento di economia e finanza (DEF) ora in discussione, però si vogliono estendere anche alle prospettive di cui si dovranno occupare in futuro il Documento medesimo e il Piano nazionale di riforma (PNR). Queste considerazioni si basano sulle analisi da tempo sviluppate dal CNEL e presentate anche nell'ultimo periodo, in cui, come forse si sa, il Consiglio si è trovato in una fase di transizione difficile, che, però, ora è terminata con la nomina da parte del Presidente della Repubblica del nuovo Consiglio, che comincerà a pieno ritmo la sua attività. Quindi noi possiamo e vogliamo riprendere ad esercitare la funzione di analisi e di proposta sui grandi temi sociali e politici che riguardano il Paese; cominciamo in questa autorevole sede.
  La situazione attuale, con le tensioni che conosciamo tutti, richiede un supplemento di riflessione e di responsabilità e conferma anche l'importanza di un'istituzione come il CNEL, che è un'istituzione di proposta e di analisi aperta a tutte le organizzazioni rappresentative della società, quindi – crediamo – utile ad affrontare i problemi che abbiamo davanti.
  L'attuale incertezza anche istituzionale permette al CNEL di essere e offrirsi come una sede di dibattito anche ai parlamentari e ai partiti, in modo da facilitare un confronto per avvicinare le posizioni o chiarirle, se non per favorire soluzioni condivise, che pur sempre sono auspicabili.
  In questa sede, noi facciamo osservazioni parziali, in parte a causa della fase transitoria in cui si trova il CNEL, ma in parte perché si fa riferimento a un Documento, quello del Governo, che si limita a fornire il quadro tendenziale a legislazione vigente, alla luce della legge di bilancio approvata lo scorso anno, su cui il CNEL fece delle osservazioni, che sono agli atti.
  Noi ci riserviamo di sviluppare rilievi più articolati e argomentati, quando saremo chiamati a considerare gli orientamenti del futuro Governo, che, auspichiamo, non tardi troppo ad insediarsi.
  La prima osservazione – è ovvia, ma va fatta – è che il Documento presentato dal Governo segnala che la ripresa economica in Italia ha cominciato a manifestarsi più tardi e presenta uno sviluppo più debole che negli altri Paesi europei. La crescita dell'anno scorso è stata sostenuta, ma le informazioni più recenti danno indicazioni contrastanti, in parte ancora positive, ma con segni di rallentamento, comuni all'area dell'euro ma in Italia più netti e, da ultimo, accresciuti non solo dalla situazione internazionale, ma anche dall'incertezza politica che pesa sulle nostre vicende.
  Noi riteniamo che questi segnali non debbano essere sottovalutati, proprio per il quadro complessivo in cui si collocano, e ci permettiamo di sottolineare che le scelte del prossimo Governo, in questo quadro, dovranno più che mai muoversi in quel sentiero stretto – da tempo richiamato – tra l'esigenza, da una parte, di mantenere il controllo dei conti, non solo non aumentando il debito pubblico, ma anzi riducendolo Pag. 19 secondo una dinamica il più possibile sostenuta, e, dall'altra parte, la necessità di sostenere la crescita. Non sarà mai abbastanza sottolineato che la crescita è necessaria per mantenere e per attivare quegli interventi sociali che il Paese aspetta e che noi riteniamo siano necessari per superare le quattro emergenze sociali che sono al centro del nostro documento: la povertà, l'occupazione, dei giovani in particolare, il Mezzogiorno e la famiglia.
  La relativa calma manifestata finora dai mercati finanziari è anche incoraggiata da un indice di fiducia delle imprese, che recentemente ha raggiunto valori positivi. Questi sono elementi che ci rassicurano, ma che hanno una durata non garantita e potrebbero mutare bruscamente, soprattutto se lo stallo politico si protraesse ancora a lungo, cosa che tutti non auspichiamo, e se l'azione di Governo non attuasse scelte condivise e – lo sottolineo – realistiche.
  Nello scenario offerto dal Documento del Governo si sottolinea appunto la necessità, da noi condivisa, di procedere con scelte di politiche economiche e sociali selettive e bilanciate. Sono parole simili a quelle che ho sentito pronunciare nella precedente audizione anche dal presidente della Corte dei conti, Buscema.
  L'impegno più importante da affrontare nell'immediato è, com'è noto, la neutralizzazione degli aumenti dell'IVA, previsti dall'ultima legge di bilancio, in relazione alla quale, alla luce delle compatibilità di finanza pubblica ben note, ci sembra difficile forzare ulteriormente gli spazi di flessibilità concessi dall'Unione europea che già il nostro Paese ha utilizzato. Quali coperture trovare per la sterilizzazione dell'IVA è una scelta delle forze politiche delicata, in cui il bilanciamento tra le varie esigenze di cui parlavo prima è particolarmente necessario.
  Noi riteniamo che sia da evitare un aumento del deficit, che sarebbe pericoloso, e che si dovrà pertanto valutare – lo ripeto – con realismo possibili tagli alla spesa pubblica, ma anche una migliore distribuzione della spesa.
  Da tempo, avendo seguito questi problemi, noto che si parla sempre di redistribuire la spesa per usarla meglio e, purtroppo, questo non è fatto a sufficienza, quando, invece, più che mai, questo è il momento per andare in questa direzione.
  Il giudizio europeo sullo stato di salute dei nostri conti, atteso a fine maggio, è un appuntamento urgente: anche le scelte del Governo sono urgenti, perché da esse dipenderà la possibilità di evitare una procedura di infrazione, che sarebbe pericolosa. Quindi, ancora una volta, sottolineiamo la necessità di trovare l'equilibrio tra questa esigenza e la necessità di operare sul denominatore del rapporto debito-PIL, consolidando una crescita che è stata relativamente buona lo scorso anno, ma che – lo ripeto – va irrobustita.
  Venendo più specificamente al Documento e alle proposte riguardanti l'area che compete più direttamente al CNEL, noi richiamiamo l'attenzione del futuro Governo e del Parlamento su quattro emergenze, prioritarie tra i tanti problemi del Paese, che sono, come dicevo prima, l'emergenza povertà, l'emergenza Mezzogiorno, l'emergenza lavoro giovanile e l'emergenza famiglia.
  Si tratta di problemi risalenti nel tempo – anche se spesso vengono affrontati come se si trattasse di fatti episodici – perché hanno radici profonde nella nostra storia e nella nostra politica. Sono tutti elementi strutturali che durano da tempo. Lo dico non perché si sappia, ma perché la conseguenza è che, se si devono affrontare con urgenza, come da tempo si dice, non possono essere affrontati con soluzioni improvvisate e con azioni di riforma non coerenti e discontinue. Purtroppo, spesso si rimane ancorati alla contingenza ma questi problemi non si affrontano con provvedimenti contingenti.
  La linea di fondo da seguire, con provvedimenti coerenti, è il sostegno di una crescita durevole e inclusiva, che si deve basare sui fattori fondamentali del nostro sistema, che, come in tutti i sistemi moderni, sono quelli economici, che si riassumono nella competitività del sistema, e quello, fondamentale, della coesione sociale, Pag. 20 che è un altro dei pilastri sulla base dei quali il Paese può crescere in modo continuo e inclusivo.
  Noi, come CNEL, abbiamo elaborato analisi e proposte su molti temi riconducibili a queste quattro emergenze, allegati alla documentazione agli atti delle Commissioni.
  Mi limito a sottolineare alcuni punti principali. Innanzitutto il problema della povertà, che è la manifestazione più acuta di un problema più ampio, quello delle diseguaglianze. Si tratta di fenomeni crescenti in molti Paesi del mondo, che, come rilevano tutti gli indicatori, si è accentuato anche in Italia, in passato meglio posizionata rispetto ad altri Paesi.
  Ci riferiamo agli indicatori del benessere equo e sostenibile (BES), elaborati dal CNEL e dall'Istat, collegati, in base alla legge n. 163 del 2016, al ciclo di programmazione economica e di bilancio. Noi apprezziamo questo collegamento e vorremmo che fosse effettivo, perché non basta elaborarli, non basta neanche prevederli in una legge, ma occorre verificarne l'applicazione attraverso il monitoraggio, attività nella quale il nostro Paese non è sempre stato all'altezza.
  Noi riteniamo (mi scuso di ripeterlo, ma credo sia importante) che diseguaglianza e povertà vadano combattute non solo per motivi di giustizia e di etica, ma anche per ragioni economiche e politiche, perché entrambe, diseguaglianza e povertà, erodono la coesione della comunità e minano la fiducia nel futuro. Si tratta di elementi fondamentali, ritenuti importanti anche dagli economisti, che riducono la spinta a crescere e costituiscono uno spreco di risorse umane e materiali, pesando sul dinamismo del Paese. Noi dobbiamo adottare interventi di medio-lungo periodo per correggere tali dinamiche.
  Recentemente ci sono stati interventi legislativi su questi temi, in particolare sulla povertà, che sono confluiti nel cosiddetto «reddito di inclusione» (REI), che, a nostro avviso, costituisce un primo passo nel contrasto alla povertà in linea con quanto si sta facendo in altri Paesi europei, anche se in ritardo. Questo è un passo da tutti ritenuto insufficiente, sia per la platea di soggetti coperti, ancora ridotta a fronte di un istituto tendenzialmente universale, sia per la scarsa consistenza delle risorse finanziarie a disposizione.
  Inoltre, ci sono problemi specifici riguardanti la qualità dell'intervento, perché spesso le misure di welfare in Italia, oltre a non essere universaliste, hanno il difetto di non intercettare veramente il bisogno, indirizzandosi anche a famiglie non propriamente povere.
  Segnaliamo quindi l'urgenza di migliorare questi punti e ci permettiamo di fare appello a tutte le forze politiche parlamentari e ai partiti perché si ricerchi insieme una soluzione condivisa, come dimostrano sia le numerose proposte di legge su questo argomento presentate da quasi tutte le parti e molto diverse tra loro, sia linee comuni. Quindi noi riteniamo che, nell'ambito del CNEL, si potrebbe fare uno sforzo comune per avvicinare le proposte e, se è possibile, trovare linee condivise. Sarebbe un buon inizio di legislatura, mai disperare!
  Richiamiamo l'attenzione su alcuni punti critici ancora da definire, perché, al di là della linea di massima, le condizioni specifiche sono importanti. Si tratta, in particolare, delle condizioni di fruizione dei sostegni alle diverse famiglie, che non sono del tutto equilibrate; della graduazione dei bisogni, in modo da correlare i bisogni agli interventi necessari, anche perché i tempi dell'implementazione di questi interventi, se vogliamo essere realistici, non potranno che essere graduati nel tempo; dell'armonizzazione degli interventi sul territorio, perché l'Italia presenta difformità, tra cui la distribuzione della gravità delle diseguaglianze e della povertà; e, infine, dei servizi di accompagnamento al lavoro e di sostegno alle persone, che devono sempre integrare i trasferimenti monetari anche in questo campo.
  Credo che, come dicevo prima, su questo punto in particolare sarà da valutare insieme quante risorse aggiuntive siano necessarie per sostenere meglio il sistema e portarlo a regime e quante risorse siano reperibili attraverso un riordino e una semplificazione degli istituti assistenziali già Pag. 21presenti nel nostro ordinamento, che sono molteplici e spesso sovrapposti.
  In ogni caso, il principio di inclusione attiva, che dà il nome all'istituto anche in altri Paesi, implica che si superino approcci semplicemente assistenzialistici, perché i trasferimenti economici ai poveri assumono valore, oltre che economico, a nostro avviso, anche etico, in quanto siano accompagnati da servizi di vario genere, sociali, sanitari, educativi e per l'impiego, che sostengano e promuovano l'autonomia dei destinatari.
  La seconda emergenza che noi vogliamo sottolineare è l'emergenza, che, come è sotto gli occhi di tutti da anni, affligge il Mezzogiorno ed è riflessa anche negli indicatori rilevati nel DEF all'esame. Si tratta di una situazione di tale gravità che, a nostro avviso, segna una vera e propria divaricazione nelle condizioni di vita delle persone e di sviluppo del Paese.
  È necessario sottolineare queste idee, perché non basta ripeterle, ma occorre trarne le conseguenze. Noi abbiamo di recente registrato alcuni segnali positivi dall'economia meridionale, come risulta dalla documentazione che lasceremo agli atti, ma anche dai rapporti recenti della Svimez e di altri istituti. Si tratta però di miglioramenti non sufficienti per il livello assoluto delle condizioni di vita e di lavoro e per la distribuzione dei fenomeni tra le varie aree, perché anche all'interno del Mezzogiorno ci sono disomogeneità gravi per aree e per fasce di popolazione.
  I livelli di povertà sono arrivati a livelli assolutamente inaccettabili, come anche altri indicatori, in particolare la disoccupazione giovanile, un indicatore purtroppo ben noto, e le diseguaglianze territoriali. Dai dati internazionali risulta che le distanze tra Paesi si stanno riducendo anche in Europa, ma non possiamo accettare che all'interno del nostro Paese aumentino le distanze territoriali. Per questo noi diciamo e ripetiamo che la ripresa del Paese passa necessariamente per la ripresa del Mezzogiorno, una ripresa che superi queste divaricazioni.
  Naturalmente più che mai nel Mezzogiorno occorre che siano privilegiate misure per l'accelerazione del tasso di crescita, anche se nell'ultimo anno in realtà il tasso di crescita del Mezzogiorno si è avvicinato dopo molti anni è quello del Centro-nord. È per questo infatti che la missione di «riprendere per i capelli» l'economia del Mezzogiorno non è impossibile, essendoci segnali di capacità produttiva e di reazione da parte di molte regioni del Sud, in particolare Puglia e Campania, e in diversi settori (l'industria, le esportazioni e il turismo).
  Un segnale che voglio sottolineare è la reattività che il Mezzogiorno ha manifestato allo stimolo degli investimenti pubblici, quelli nazionali e quelli finanziati con i fondi europei tradizionalmente poco utilizzati. Gli ultimi dati indicano infatti che gli interventi pubblici effettivamente attivati sono molto cresciuti: dal rapporto presentato alla fine del 2017 dal Ministero per la coesione territoriale e il Mezzogiorno risultano essere stati attivati, non scritti sulla carta, 28,7 miliardi di euro. Si tratta di una notizia incoraggiante.
  Voglio sottolineare a proposito dell'occupazione che, non solo negli ultimi mesi il consistente numero di NEET, Not engaged in education, employment or training, si è ridotto di 100.000 unità, ma che, nell'ambito del progetto «Resto al Sud», lanciato da poco, è previsto un prestito d'onore rafforzato (il primo prestito d'onore fu nel 1997, solo 21 anni fa) che ha incontrato un notevole favore da parte dei giovani, che, in migliaia, si sono già iscritti, quindi mi auguro che funzioni.
  Queste doti del Mezzogiorno, che mostrano reattività positiva, devono essere sostenute da politiche nazionali nel settore industriale, con investimenti strategici che migliorino il modello di specializzazione, soprattutto del Sud. Questo significa rafforzare alcuni dei provvedimenti che sono già stati presi, e ne cito tre o quattro, che dovranno essere tenuti sotto osservazione: non solo i contratti di sviluppo, ma anche i crediti di imposta alle imprese, in particolare alla nuova imprenditoria giovanile, le zone economiche speciali, due delle quali sono già state avviate attorno ai porti di Salerno e di Gioia Tauro, che, insieme agli Pag. 22interporti, sono potenziali moltiplicatori di crescita, fino agli interventi del Piano Industria 4.0, di cui deve essere meglio tarata la strumentazione, perché si registra la difficoltà delle piccole imprese, in particolare di quelle meridionali, a fruirne.
  Ricordo infine che per far funzionare queste politiche, anche quelle bene orientate, sono indispensabili infrastrutture sia sociali, sia materiali. Recentemente è stato pubblicato, a cura della Commissione europea, l'impegnativo rapporto «Boosting Investment in Social Infrastructure in Europe» sulle infrastrutture sociali in Europa, di cui dovremmo essere i principali fruitori. Su questo bisogna lavorare, perché la mancanza di efficienti infrastrutture amministrative riduce la capacità di implementare politiche decise. Ricordo, per esempio, che la fruibilità degli investimenti per molti anni è stata ridotta per incapacità progettuali, e i segnali di velocizzazione sembrano positivi.
  La debolezza delle strutture dedicate ai servizi sociali e dell'impiego, che è un tema a noi molto vicino, rende deboli anche le politiche approvate in sede nazionale e regionale, con uno spreco di potenzialità, e ciò spiega anche perché molte politiche di welfare siano poco efficienti nei confronti dei poveri.
  Terzo punto, l'emergenza del lavoro giovanile. I dati sono noti, quindi non li ripeto, e ricordo che anche i dati dell'occupazione e della disoccupazione sono molto differenziati nelle varie aree del Paese: nel Nord, in particolare (vedevo recentemente i dati dei mercati del lavoro regionali), siamo in media con le aree più avanzate dell'Europa, mentre invece abbiamo un décalage progressivo via via che scendiamo nel Mezzogiorno.
  Sottolineo un dato strutturale che il CNEL ha evidenziato anche nel commento al disegno di legge di bilancio 2018, nel novembre scorso: non basta richiamare l'impatto della crisi degli ultimi anni, non basta dire che c'è stata la crisi che quindi abbiamo subìto, anche se è vero che l'abbiamo subìta più di altri, ma, in realtà, la gravità della situazione non si spiega solo con la crisi, in quanto alla base ci sono contraddizioni strutturali e debolezze del sistema, che vanno affrontate con riforme di sistema.
  Le ultime rilevazioni dell'Istat sono positive, ma non bastano ad invertire la tendenza. Sottolineo una cosa che mi è particolarmente cara: l'aumento degli occupati è in concomitanza con la riduzione delle ore lavorate, il che significa che aumenta il part-time involontario. Questo è un fenomeno che non ci può lasciare indifferenti.
  Sono cresciuti poco i lavori a tempo indeterminato e di più i lavori a termine, anche se (questo è un problema comune) in realtà lo stock dei lavori a termine italiano non è molto diverso da quello medio europeo. Questo ci pone un problema in prospettiva, perché i lavori a termine sono anche un segno, al di là dei provvedimenti che possiamo adottare, di un'economia che sta diventando sempre più saltuaria. Dobbiamo intervenire su questo se non vogliamo rovinare un'intera generazione, quella dei giovani, mentre le persone anziane se la sono cavata relativamente meglio dal punto di vista dell'occupazione.
  Credo (anche qui un appello che mi permetto di fare a nome dei colleghi) che bisogna affrontare questi problemi superando posizioni ideologiche e di parte, che nella materia del lavoro ci hanno spesso appesantito e impedito di vedere chiaramente le scelte positive. La politica di decontribuzione che abbiamo seguito negli ultimi anni ha aiutato temporaneamente, ma non è stata sufficiente a sostenere la crescita durevole. In realtà, provvedimenti temporanei non sono sufficienti, la scelta ultima di intervenire con decontribuzione selettiva per i giovani e per le aree deboli è migliore, anche perché è stabile, però, in realtà, tutte le esperienze, anche internazionali, dicono che gli strumenti incentivanti sono utili, ma vanno accompagnati con interventi strutturali di sostegno, perché i lavori si incentivano se ci sono e se il sistema economico li produce.
  Qui (ripeto cose che credo abbiate sentito altre volte) occorre decidere quali sono i settori strategici in cui gli investimenti hanno più potenzialità di produrre lavoro, da una parte settori molto innovativi e di Pag. 23avanguardia, come la green economy oppure le tecnologie digitali di cui tutti parliamo, ma, dall'altra, non sottovalutiamo lavori di tipo più comune, come i lavori di manutenzione dell'ambiente e di cura delle persone, che sono job's rich, ricchi di occupazione e anche di benessere.
  Ma, come evidenziato anche dal CNEL, siccome il sentiero è stretto e ci sono varie possibilità, occorre fare un'analisi seria di costi e benefici, per individuare quante risorse destinare ad incentivi, quante a investimenti strategici. L'analisi dei costi/benefici si fa ex ante, ma poi va monitorata con attività di analisi e di monitoraggio, che sono molto deboli.
  Noi, in quanto CNEL, che siamo per legge tenuti a fare un'operazione di valutazione delle politiche pubbliche, in questo caso di quelle economiche e di sostegno, e che vogliamo continuare a farlo, chiediamo la collaborazione di tutti e, a questo proposito, come ho già detto lo scorso novembre, come CNEL ci siamo candidati ad ospitare il National Competitiveness Board. Si tratta di un board sull'analisi di competitività di sistema, che l'Europa chiede a tutti i Paesi di attivare, perché il problema della competitività è serio in quasi tutti i Paesi europei e da noi particolarmente. Quello italiano non è stato ancora istituito per legge, cosa che dovrebbe essere, ma si può prendere l'iniziativa, e noi ci proponiamo, non solo noi, ma vorremmo coinvolgere tutte le istituzioni competenti in materia economica per organizzare le intelligenze e le capacità su questo tema assolutamente cruciale e anche per monitorare gli effetti delle politiche adottate ora e in futuro.
  Due ultimi punti su questi argomenti. Non possiamo non sottolineare l'importanza del rafforzamento dei servizi all'impiego, che si ritrova in molte proposte dei partiti, perché se le politiche di creazione del lavoro, veri e propri investimenti strategici, sono sicuramente il primo pilastro, il rafforzamento dei servizi all'impiego, per combinare meglio le opportunità di lavoro e per facilitare le transizioni da un lavoro all'altro, è necessario.
  Dai dati più recenti risulta che sono quasi 100.000 le richieste del mercato del lavoro che non trovano corrispondenza nelle competenze dei giovani, quindi occorre che si adottino politiche di orientamento o politiche attive per allinearle e, naturalmente, politiche di formazione più mirate al futuro. Abbiamo davanti a noi una sfida enorme, simile a quella che 60-70 anni fu l'alfabetizzazione e la scolarizzazione media. Adesso, se il digital divide non viene affrontato con un livello di formazione all'altezza, si rischia di creare uno stacco anche nell'economia, oltre che nella vita delle persone.
  Si tratta quindi di una sfida, di cui si è occupata anche l'OCSE. Noi pubblichiamo ogni anno un rapporto sul mercato del lavoro. Quest'anno lo faremo in autunno e, in quell'occasione, vorremmo fare delle proposte precise, sia per quanto riguarda le competenze digitali, che sono da rafforzare, sia per quanto riguarda le tutele, che devono essere garantite ai lavoratori digitali. Avete visto i dati che riguardano Uber e Foodora, pubblicati su tutti i giornali. Questa è una delle priorità da considerare.
  L'ultima emergenza è l'emergenza famiglia. Il CNEL se ne è occupato molto. Ci siamo occupati molto tutti, in varie sedi, delle politiche della famiglia, ma esse sono state, di fatto, poco considerate. Non lo dico solo in assoluto, lo dico anche in relazione a quanto fatto da Paesi vicini, che hanno capito da tempo che le politiche per le famiglie sono essenziali, oltre che per motivi etici, anche per motivi economici fondamentali. Infatti, poiché il problema dell'invecchiamento e della denatalità, combinati male, sono una condanna per il Paese, le politiche per la famiglia sono una parte fondamentale dell'economia politica e del sostegno del futuro del Paese medesimo.
  Noi abbiamo individuato almeno due strumenti essenziali riconducibili al tema «politiche della famiglia». Uno, naturalmente, sono le misure fiscali, misure fiscali non «a pezzi e bocconi», ma misure fiscali tagliate sulla famiglia: c'è il quoziente famiglia, c'è il fattore famiglia, ci sono diverse proposte alla cui elaborazione anch'io, Pag. 24 a suo tempo, avevo partecipato. Cerchiamo di metterle assieme per ricavarci qualcosa di attuabile. Dall'altra parte, c'è lo sviluppo dei servizi. Le due cose vanno insieme, com'è noto. Anche su questo occorrerà bilanciare tempi e combinazioni.
  Quindi, le due proposte sono «di tendenza»: non solo ridurre la quantità delle imposte sulla famiglia, ma tararla sui bisogni della famiglia, che sono diversi a seconda del tipo di famiglia. Dall'altra parte, c'è l'erogazione dei servizi essenziali, che sono carenti e che concorrono alla ricchezza complessiva della vita delle persone. Il welfare, di tutti i tipi, è notoriamente un fattore di ricchezza anche economica.
  Noi abbiamo proposto di affidare al Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri l'importante compito di razionalizzare e coordinare tutti questi interventi, che sono sparsi, per cercare di migliorarli, ma anche di farli conoscere ai cittadini interessati, perché, siccome sono erogati da diversi enti pubblici locali, nella giungla di queste realtà ci si perde, anche se esperti. Quindi, la nostra proposta ci sembra molto realistica.
  Infine, come ho già detto all'inizio, dato che tutti dicono che questi argomenti sono prioritari e tutti hanno avanzato proposte, noi vorremmo che veniste da noi a discutere su come possiamo aiutare a trovare soluzioni condivise. Grazie dell'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie di cuore, presidente Treu. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  RENATA POLVERINI. Grazie, presidente. Leggendo e ascoltando le parole del presidente del CNEL, istituzione che io, con pochissimi altri, ho difeso, vorrei fare una considerazione politica, prima ancora di accennare brevemente al contenuto. Per quanto riguarda l'attività messa in campo dai precedenti Governi, almeno quelli che si sono succeduti nell'ultima legislatura, il CNEL sostanzialmente dà un giudizio positivo del REI. Tutto il resto mi pare che, in qualche modo, sia considerato insufficiente a dare una risposta alle emergenze individuate per gli strumenti che poi comunque sono stati adottati.
  Vorrei anche dire che, avendo il presidente Treu e il CNEL una grande esperienza, come alcuni di noi in vari settori, scattano una fotografia del Paese che ci trasciniamo ormai da tanti anni. Stamattina si parlava di un processo di desertificazione industriale al quale le istituzioni, a cominciare dai Governi, hanno assistito. Allo stesso modo, io colgo nell'accenno alle banche nel capitolo relativo all'emergenza Mezzogiorno che anche alla destrutturazione del sistema bancario del Mezzogiorno si è assistito sostanzialmente inerti, anzi forse si è permesso che banche del Nord acquisissero istituti creditizi, mantenendo magari il nome, per, in qualche modo, consentire una pubblicità ingannevole, per poi continuare a investire con le risorse raccolte nel Mezzogiorno d'Italia al Nord del Paese.
  Io considero questo intervento un po’ come la sintesi di tutte le criticità alle quali abbiamo guardato negli ultimi anni e delle quali, probabilmente, siamo colpevoli tutti senza avere saputo trovare delle soluzioni.
  Quello che riscontro, in particolare per l'emergenza del lavoro giovanile – io aggiungerei anche femminile, se considerata poi anche nel capitolo che riguarda il Mezzogiorno – è che, evidentemente, le risposte che sono state date dal cosiddetto Jobs Act non sono state sufficienti.
  Mi fa piacere trovare per la prima volta su un documento scritto la risposta a una mia domanda. Io ho sempre detto, dal primo giorno del primo contratto a tutele crescenti, che avrei voluto vivere almeno altri tre anni per vedere se quel contratto poteva essere o doveva essere rinnovato. Invece, questo documento dice che in gran parte dei casi, come era ovvio...
  Io non ce l'ho con gli imprenditori, perché capisco che un imprenditore, se deve vincolarsi nuovamente ad un lavoratore in maniera stabile, preferisce ricominciare da capo con un nuovo lavoratore. Ma l'obiettivo di stabilizzare il lavoro non è stato centrato, pure a fronte delle ingenti risorse che sono state messe a disposizione. Forse con quei 18 miliardi di euro una Pag. 25misura strutturale diversa poteva portare dei risultati sicuramente più significativi.
  Quello che, però, vorrei dire, legando un po’ tutti i temi toccati, partendo dalla povertà, passando per il Mezzogiorno, per l'emergenza giovanile del lavoro, è che, forse – io lo dico da ex sindacalista –, noi non possiamo continuare a dare risposte antiche a problemi nuovi.
  Per esempio, il presidente parlava di Foodora, che è uno dei problemi con i quali ci dobbiamo confrontare, perché è indubbio che ci troviamo di fronte a un tipo di lavoro diverso. Probabilmente, cercare in qualche modo di stabilizzarlo con un contratto a tempo indeterminato tradizionale non può e non deve essere la risposta giusta. Allo stesso modo, forse fare una battaglia ideologica sui cosiddetti «voucher» poi porta all'ampliarsi di nuovo del lavoro sommerso, in particolare in alcuni settori.
  Legando tali questioni e arrivando fino all'emergenza famiglia, io mi domando, al di là di apprezzare che la questione della famiglia sia affrontata all'interno della politica tributaria, se non c'è un altro strumento attraverso il quale si possa dare comunque un aggio diverso alle famiglie, magari legandolo al numero dei componenti.
  Penso che noi ci troviamo di fronte a una grande sfida che prima o poi dovremo affrontare. Noi abbiamo un sistema di welfare – io nel welfare ci metto dalla sanità al lavoro, attraverso tutti gli strumenti che sostengono il lavoro – che non è più a misura del cambiamento che la società negli ultimi decenni ha subìto.
  Ha ragione il presidente. Io inviterei i colleghi a passare una giornata in un patronato o in un CAF, facendo finta di essere degli utenti, per vedere quante persone entrano nell'assoluta inconsapevolezza di quali sono gli istituti ai quali possono accedere. Non lo sanno, perché il sistema è talmente complesso, talmente complicato, talmente fatto a misura dell'esigenza del momento, che è una giungla, proprio come è stata definita, dalla quale non si esce.
  Penso anche che noi dovremmo rimettere in discussione tanto, dal momento che abbiamo dei parametri relativi, per esempio, ai servizi per l'impiego così diversi non soltanto tra il nord e il sud dell'Italia, ma anche al confronto di Paesi che ci «somigliano», come la Germania. Lo dico perché bisogna anche cominciare a guardare ai Paesi che ci somigliano sia in termini di tradizione e di cultura sia in termini numerici. Ecco, so perfettamente che nei servizi all'impiego c'è altro. Ci sono competenze che noi abbiamo, per esempio, nell'INPS o, per esempio, in altre istituzioni, come il Ministero e via dicendo. È necessario, quindi, fare una vera riforma di sistema perché, altrimenti, io sono sicura che ci ritroveremo qui fra un anno di nuovo a dirci più o meno le stesse cose, che altro non sono che l'analisi dei problemi con i quali ci confrontiamo quotidianamente, ma ai quali non possiamo dare una risposta.
  Voglio soltanto fare una domanda al presidente: dal momento che lei parla, per esempio, del reddito di inclusione, del reddito di cittadinanza e del reddito di dignità, strumenti simili, ma anche diversi, le chiedo se c'è, secondo lei, uno strumento migliore di un altro per rispondere a queste esigenze.

  NUNZIO ANGIOLA. Presidente, leggo nella sua relazione in maniera veramente ricorrente il riferimento al benessere equo e sostenibile. Voi avete realizzato questo progetto con l'Istat. Si tratta di indicatori di una straordinaria rilevanza. In via sperimentale si parte con quattro indicatori e nell'attuale Documento di economia e finanza arriviamo, triplicandoli, a dodici indicatori.
  Ecco, è del tutto evidente che i nostri documenti di programmazione economico-finanziaria insistono sui vincoli di bilancio, sui saldi di finanza pubblica, sul debito e così via dicendo, però finiscono, spesso e volentieri, per trascurare gli aspetti più nobili dell'agire politico, cioè gli impatti delle politiche pubbliche.
  Gli indicatori selezionati nell'ambito del progetto CNEL-Istat sono addirittura 120 e non voglio nemmeno citare quelli che, invece, sono individuati nello studio della Pag. 26Commissione statistica dell'ONU, in cui si arriva addirittura a 234.
  Ecco, mi domando, presidente, se non sarebbe stato il caso di essere, viste le attribuzioni del CNEL, più incisivi da questo punto di vista. Lo chiedo perché mi preoccupa molto il fatto che si proceda in questa direzione con un ritardo che è atavico e con una lentezza che mi sembra veramente paralizzante. Quando riusciremo a raccogliere i frutti di una sterzata e di una virata nella direzione della verifica dell'impatto delle politiche pubbliche? Credo che, se, in tutto, gli indicatori sono 120, passeranno decine e decine di anni.

  DARIO GALLI. Ovviamente gli argomenti che abbiamo trattato oggi e che stiamo trattando sono particolarmente importanti perché riguardano il cuore di quello che il Paese si aspetta che si faccia, non tanto nei prossimi anni, ma dai prossimi giorni in avanti.
  Devo dire, però, che la giornata di oggi è stata veramente singolare. Abbiamo audito il Ministro Padoan. Adesso stiamo audendo i rappresentanti del CNEL e prima abbiamo audito i rappresentanti dell'Istat. Nel cuore del potere decisionale del Paese arrivano persone che dicono cose completamente diverse. Già noi nel tempo abbiamo espresso alcuni dubbi sui dati relativi, per esempio, al PIL perché, negli ultimi anni, lo si è calcolato in maniera diversa, quindi anche l'effettivo aumento o meno è tutto poi da verificare nella realtà. Lei mi insegna che fino all'1 o all'1,5 per cento di aumento del PIL, in situazioni standard normali, non c'è, di fatto, un aumento di occupazione, mentre il Ministro Padoan ci ha parlato di un milione di posti in più di lavoro, che ricorda un altro milione di qualche anno fa, dicendo oltretutto una cosa diversa rispetto a quello che ha detto lei, con cui sono d'accordo.
  Il Ministro ha detto che è aumentata l'occupazione ed è aumentato anche il numero di ore lavorate ma a me risulta che sia esattamente l'opposto. Lei ha detto due minuti fa che le ore lavorate, di fatto, non sono aumentate. Alla fine, sono aumentate le persone che hanno in qualche modo un'occupazione, però, se consideriamo le unità di occupati equivalenti, cioè la persona che lavora almeno 40 ore alla settimana, non mi pare che in questo ultimo periodo ci sia stato un aumento significativo.
  Al di là di quest'aspetto, mi sembra che queste istituzioni, che sono comunque importanti e alcune anche previste dalla Costituzione, si stiano trasformando sostanzialmente, come si fa nel calcio, in tanti commissari tecnici. Tutti gli italiani, quando vanno al bar, hanno in mente la nazionale, però parlano di una cosa che fa qualcun altro. Anche in questo caso, mi sembra che si continua a fare il mestiere degli altri, nel senso che la politica si aspetterebbe da queste istituzioni dei suggerimenti o delle iniziative operative nel merito e non tanto una critica, per quanto assolutamente professionale, adeguata e utile per certi aspetti, come, per esempio in questo caso, sul Documento di economia e finanza presentato dal Governo.
  Si può dire che, ovviamente, se si fosse un po’ più ricchi si starebbe meglio rispetto a se si fosse un po’ più poveri e credo che siamo d'accordo tutti, però il problema è come facciamo a diventare un po’ più ricchi. Su questo, mi pare che di idee non ne saltino fuori tante.
  Personalmente, arrivo da esperienze amministrative e politiche e anche di lavoro in un territorio dove le cose si fanno in maniera forse un po’ grossolana, ma semplice. Alla fine, se le fabbriche restano aperte e le famiglie riescono a portare a casa stipendi da dipendenti delle fabbriche o da servizi adeguati alle fabbriche, anche tutto il resto dell'economia «gira» in un certo modo ed è più facile per tutti fare qualunque cosa. È più facile per gli ospedali avere qualche risorsa in più e dare servizi migliori ed è più facile per i comuni asfaltare meglio le strade o aiutare meglio le famiglie in difficoltà e tutte le altre banalità che di seguito potrei elencare.
  Mi pare che si stia parlando di tutto meno che del cuore del problema. Un Paese come il nostro ha sicuramente tradizioni di cultura e di storia, quindi anche di arte e via dicendo, assolutamente straordinarie e – dico una banalità – uniche al Pag. 27mondo, ma non ha risorse economiche particolarmente rilevanti e tutta la ricchezza che ha creato, soprattutto negli ultimi 60-70 anni, è stata basata sostanzialmente sul lavoro e sull'intelligenza delle persone.
  Oggi, però, mi pare che chi lavora sia ultimo in classifica nella considerazione delle autorità pubbliche del Paese e, per esempio, si stia più attenti alle aliquote fiscali da applicare o al modo di «beccare» uno che ha traslocato in Svizzera perché paga la metà delle tasse piuttosto che a capire perché, per esempio, anche in Italia non si riesca a fare lo stesso e magari far venire qualcuno dalla Svizzera in Italia.
  Per non farla tanto lunga, la questione è questa: mi pare che gli organismi che dovrebbero verificare l'andamento economico del Paese dovrebbero, da una parte, essere un po’ più obiettivi e critici e, dall'altra, un po’ più propositivi. Quindi dal CNEL ci si aspetterebbe, oltre alle cose che avete fatto e che sicuramente fate, un aiuto – lo chiedo in maniera assolutamente costruttiva e propositiva – nel merito.
  Lei ha detto delle cose assolutamente condivisibili, sui settori strategici e su altre cose, però bisogna poi tirare le somme e parlarne.
  La settimana scorsa al Senato in un'altra audizione si è parlato, per esempio, dell'importanza dell'impatto ambientale, delle energie alternative e via dicendo. Per esempio, si è detto che dallo sviluppo della nuova generazione di batterie, che al cittadino normale dice poco, ma probabilmente fra dieci anni farà la differenza tra i Paesi di serie A e Paesi di serie B, l'Italia è totalmente fuori, se non per poche iniziative di pochi imprenditori, che sono lasciati da soli allo sbando a cercare di fare qualcosa.
  Per esempio, un'altra cosa che non è stata esplicitata, però rappresenta lo stesso concetto di mentalità da contabilità industriale: abbiamo appena audito i rappresentanti dell'Istat sulla questione, per esempio, dei costi dei servizi: non si può continuare a parlare solo di costo medio italiano, perché il primo intervento che si dovrebbe fare, cioè il primo risparmio vero è quello di colpire chi ha costi standard di produzione di servizi decisamente più alti.
  Dico questo con intento assolutamente costruttivo, però in questa sede non è stata detta una parola sui costi standard e sul fatto che in quest'ultimo ciclo politico, che è partito dal Governo Monti, il primo atto politico è stato quello di eliminare l'introduzione dei costi standard, che da soli in questi anni probabilmente avrebbero prodotto più ricchezze a disposizione dei cittadini di quanto abbiano prodotto tutti gli altri provvedimenti adottati.
  Per chiudere, professore, siccome in lei, che è il presidente, e negli altri membri del CNEL sicuramente la competenza e l'esperienza non mancano, da parlamentare «transitorio» vorrei veramente che metteste a disposizione tutta questa vostra esperienza e capacità, ma non solo come controllori, per quanto iperqualificati, di quello che si fa, ma come ispiratori di iniziative che poi la politica potrà portare avanti in maniera adeguata. Grazie.

  SILVIA FREGOLENT. Ringrazio anch'io per la relazione e, anche se, a differenza della presidente Polverini, ero favorevole alla soppressione del CNEL, sono ugualmente felice di ritrovare il professor Treu, che stimo e apprezzo. Due domande. In primo luogo ritengo che il Jobs Act sia stato un tentativo di invertire la rotta nel contrasto alla disoccupazione, e i dati di questi anni ci danno ragione, ma, visto che, invece, vedo nella vostra relazione un elemento di criticità, vorrei capire quale sia la proposta del CNEL, per il ruolo che riveste, per cambiare la situazione.
  In secondo luogo, mi fa molto piacere la sua sottolineatura delle nuove politiche economiche che l'Italia dovrebbe attuare, in particolare Industria 4.0, programma che, sia pure in ritardo rispetto agli altri Paesi europei, ha cercato di rendere più competitive le imprese italiane in alcuni settori, che lei giustamente ha ricordato, in particolare quello della digitalizzazione.
  Temo che ci sia ancora molto da fare e da investire, perché l'Italia è veramente arrivata ultima da questo punto di vista e, probabilmente, la crisi è diventata più complicata per il nostro Paese proprio per una Pag. 28certa arretratezza in alcuni settori, «a macchia di leopardo», in particolare per quanto riguarda il Sud.
  Vengo all'ultima domanda per quanto riguarda l'emergenza famiglia. Noi abbiamo previsto degli sgravi fiscali, ma quando lei parla di politiche cosa intende e in che direzione bisogna andare? Ovviamente, avendo una coperta cortissima in termini di risorse finanziarie, in questi anni si è preferito fare politiche attraverso strumenti tipo i bonus, che non sono strutturali e quindi non risolvono completamente il problema, ma sono una prima risposta (penso ad esempio al «bonus bebè» per cercare di incentivare le nascite).
  Visto che lei parla di un'emergenza famiglie, volevo capire come, viste le condizioni economiche date, si possano trovare degli incentivi o delle soluzioni migliori di quelle che abbiamo trovato noi. Grazie.

  MARIO TURCO. Io volevo soffermarmi sull'emergenza meridionale, quindi sul Mezzogiorno. Dal momento che nella sua relazione viene evidenziata una serie di indicatori negativi sia economici che sociali, vorrei sapere se la recente riforma universitaria abbia contribuito a questo scenario negativo, dato che tutti gli atenei meridionali sono allo stremo, e soprattutto, con riferimento a quanto sostiene evidenziando come non esista praticamente più un sistema bancario radicato sul territorio del Mezzogiorno, se secondo lei la riforma delle banche di credito cooperativo abbia contribuito a questa desertificazione bancaria e a questo scollamento tra le banche e il territorio.

  ANDREA MANDELLI. Sarò velocissimo, quindi andrò subito alla domanda. Ho visto con stupore l'attacco molto pesante al Jobs Act nella relazione del Presidente Treu, ma nel ragionamento sviluppato sul lavoro giovanile non avete mai pensato che uno dei grandi problemi sia anche la mancanza di una adeguata politica di formazione di questi ragazzi?
  Anche rispetto a Industria 4.0, non c'è possibilità di fare innovazione industriale se manca la capacità di far crescere le persone che devono far funzionare questa innovazione. Quindi in questa analisi delle emergenze del Paese, laddove ne evidenziate quattro, che condivido e che per brevità non posso analizzare, il punto che secondo me manca è che uno dei grandi temi che in Italia è veramente carente è la formazione, perché non è vero che, in assoluto (adesso non voglio essere frainteso), in Italia il lavoro non c'è, in quanto spesso non siamo in grado con gli istituti tecnici e scientifici di dare una risposta reale alle esigenze delle aziende.
  Io vengo dal profondo Nord e vedo spesso l'incapacità di soddisfare la richiesta dell'azienda. Allora tra le emergenze del Paese una diversa formazione dei nostri giovani, quindi una diversa capacità di dare formazione, è un punto che, secondo me, manca nella vostra analisi e che invece è una delle vere emergenze del Paese, proprio per dare una risposta complessiva a tutto il sistema. Grazie.

  COSIMO ADELIZZI. Grazie, professor Treu. Io mi atterrò al paragrafo della sua relazione che riguarda l'emergenza Mezzogiorno. Mi hanno colpito in particolare l'apertura e la chiusura del paragrafo. Inizio dall'apertura: «sul Mezzogiorno non esiste alcun indicatore economico-sociale che veda una situazione positiva», e questo è purtroppo un dato di fatto.
  Poi però, giustamente, lei elenca alcune iniziative, una parte delle quali definite bene impostate. Ne cito una, «Resto al Sud», cui ha fatto richiamo. Ha poi sostenuto giustamente che senza il miglioramento delle infrastrutture alcune misure bene impostate rischiano comunque di essere inefficaci, di non produrre gli effetti desiderati.
  Alla luce di tutto questo, la domanda è la seguente: come CNEL avete mai analizzato i vantaggi che potrebbero derivare dall'affiancare a dette misure bene impostate una seria legge anticorruzione? Se sì, ci può dare qualche dato?
  Le chiedo questo (e qui vengo alla parte finale del paragrafo) perché la chiusura è la seguente: «non ci potrà mai essere vera ripresa nel nostro Paese senza una reale ripresa dell'economia del Meridione». Concordo Pag. 29 ovviamente anche su questo, quindi ritengo doveroso fare in modo che questo Parlamento si adoperi affinché siano attuate tutte le misure che possano andare in questa direzione, ovvero nella direzione di una ripresa dell'economia del Meridione. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola al Presidente Treu per le repliche.

  TIZIANO TREU, presidente del CNEL. Grazie veramente perché sono state sollevate molte questioni serie, qualcuna su cui non sono in grado di rispondere, perché i professori non dovrebbero essere «tuttologi» e neanche il CNEL.
  Cominciamo da uno dei pochi sostenitori – dice – del CNEL, la deputata Polverini. Vorrei però che rileggeste attentamente il documento, se avete voglia, perché non vorrei che ci si attribuissero dei giudizi che non ci sono, in quanto il senso generale che noi abbiamo voluto dare – lo ribadisco e riguarda tutti – è che in Italia ci sono problemi storici, che si accumulano e su cui, quindi, non si può improvvisare, cosa che invece capita nei dibattiti, e che le misure che abbiamo elencato hanno prodotto dei miglioramenti, che, purtroppo non sono sufficienti.
  Adesso comincio dal Jobs Act, che ho seguito anche personalmente e che, quindi, ho abbastanza ampiamente analizzato. Non è che non ci sono stati risultati, per esempio i 900.000 posti di lavoro ci sono, però è anche vero che un incentivo temporaneo non poteva che avere effetti temporanei. Quindi, ora che è stato corretto, è una misura giusta.
  Questo però non vuol dire che gli incentivi non vanno bene. Essi vanno adeguati. Tutti i Paesi introducono incentivi, però nella relazione viene detto che se non ci sono misure del genere che anche qui è stato ricordato, ovvero gli investimenti strategici, è chiaro che qualunque incentivo anche stabile e ben tarato non basta. L'onorevole Polverini ha detto: «avete salvato solo il Sud», ma non è vero perché, per esempio, in materia di politica industriale io credo che Industria 4.0 sia effettivamente una cosa di grande importanza. È europea e da noi è stata applicata bene.
  Siccome non vogliamo fare i trionfalisti e non è il caso in questo momento storico, ho anche detto che ci sono gli aspetti critici e, per esempio, proprio Industria 4.0 fa fatica a raggiungere le piccole imprese in generale e nel sud in particolare, e mi sembra ragionevole che un istituto come il CNEL cerchi di dare dei giudizi equilibrati.
  A proposito di Industria 4.0 mi ha «provocato» lei, perché sulla formazione «mi invitate a nozze». Sono infatti convinto che il fondamento della crescita del futuro e anche del welfare futuro sia la formazione, non c'è il minimo dubbio, cinquant'anni fa no forse, i fondamenti erano le materie prime, erano altre cose. Quindi mi trovo perfettamente d'accordo, sono stato forse un po’ sommario, però una delle cose importanti di Industria 4.0 è che tanti investimenti in macchinari hanno però accompagnato investimenti in skills.
  Ci sono i soldi, bisogna spenderli bene. Tra l'altro erano state avanzate molte proposte: aumentiamo gli Istituti tecnici superiori (ITS), aumentiamo l'educazione terziaria non accademica, che non abbiamo, ma per fare questo occorrerebbe un'infrastruttura specifica, che non abbiamo, perché noi abbiamo costruito sessant'anni fa un'infrastruttura, la scuola media, universale, fondamentale, nonché qualche specializzazione professionale, ma adesso dobbiamo fare la stessa cosa a livello di educazione terziaria non accademica, perché non abbiamo bisogno di altri avvocati e neanche di altri letterati, ed è soprattutto di educazione digitale che abbiamo bisogno (ho detto del «salto digitale» e su questo siamo perfettamente d'accordo).
  In verità, se dobbiamo dire, il nostro principale limite è la competitività. Guardate, la competitività di sistema è fatta di tutti questi elementi, non basta avere delle eccellenze. Il 30 per cento delle aziende italiane sono schegge, vanno in giro per il mondo, esportano anche nel sud, ma il 30 per cento non è la media, e la competitività di sistema è fiacca da vent'anni. Per questo noi vogliamo condurre un'analisi in sede di Pag. 30board sulla competitività, che anche l'Europa ci chiede.
  A proposito del Jobs Act, uno dei suoi punti veramente deboli sono le politiche attive. Io sono stato Ministro del lavoro 21 anni fa e già allora l'Europa ci diceva «certo, avete bisogno di un po’ di flessibilità, ma avete bisogno soprattutto di fare questo». Perché a proposito di cosa fare, onorevole Polverini, i lavori temporanei saranno sempre più frequenti, perché questa è un'economia che si sta miniaturizzando.
  Qual è il problema? Che uno non resti incastrato tutta la vita nel lavoro a termine. Infatti in altri Paesi la percentuale dei lavori a termine dei giovani è uguale alla nostra, l'80 per cento, però nel giro di due o tre anni i lavoratori si rimettono in gioco e, in ogni caso, le politiche del lavoro futuro saranno sempre politiche di sostegno alla transizione. Infatti, se ci sono tanti lavori brevi ma che si susseguono, tanto è vero che io a un certo punto scrivo «la continuità dell'occupazione non si sostiene con la difesa del posto di lavoro», lasciate stare l'articolo 18, 19, 20 o quello che volete, perché il lavoro si sostiene appunto con l'aiuto nelle fasi di transizione.
  Questo è il vero punto debole anche del Jobs Act, mentre invece (sempre l'onorevole Polverini mi provoca anche su questo) noi abbiamo una storia del welfare frammentata e corporativa (corporativa non in senso storico, ma in senso strutturale), da cui abbiamo fatto fatica a tirarci fuori. L'abbiamo fatto nella sanità, pur con i problemi di efficienza che sapete, l'abbiamo fatto un po’ con le pensioni e lo abbiamo fatto nel campo degli ammortizzatori sociali. Qui rivendico un merito del Jobs Act, perché per la prima volta abbiamo Cassa integrazione e indennità di disoccupazione (NASpI) che non fanno figli e figliastri, perché uno ha la Cassa integrazione per vent'anni e uno non ce l'ha, ma ormai sia la Cassa integrazione sia la Naspi sono strumenti universali.
  Questo è un passo avanti, naturalmente i livelli delle indennità sono quelli che sono e quindi non siamo tutti ricchi.
  Noi siamo molto favorevoli al BES, è vero che potevamo fare di più, ma in realtà abbiamo avuto difficoltà. Io sono per semplificare gli indicatori. C'è una lunga querelle perché, certamente, con 124 indicatori o peggio ancora non va bene, in quanto, soprattutto in fase di prima sperimentazione e di monitoraggio, occorre concentrarsi solo su alcuni, siano quattro o dodici. Qualcuno dice addirittura di ridurli ancora, probabilmente meglio di no, abbiamo discusso a lungo. Però non diamoci sempre le bacchettate sulle dita da soli, visto che noi siamo tra i primi sviluppatori del BES, la cui idea è nata in altri Paesi, ma poi l'abbiamo affinata noi con l'Istat e gli indicatori sono stati inseriti negli ultimi due Documenti di programmazione economica e finanziaria, mentre in altri Paesi non è stato fatto questo collegamento.
  Il vero problema è che adesso che facciamo sul serio, vediamo se servono effettivamente. Per questo noi ci siamo candidati ad effettuare il monitoraggio e diamoci tutti una mano. Ma questo è un problema e noi abbiamo poca cultura dell'implementazione degli istituti e del monitoraggio, che vuol dire: «vediamo che errori abbiamo fatto».
  Ricordo che trent'anni fa andavo a studiare negli Stati Uniti e già c'erano interi settori di analisi sull'implementazione e sul monitoraggio degli effetti, e il CNEL deve fare monitoraggio degli effetti, ma è un'opera enorme che dovrebbe coinvolgere tutti.
  Vengo al deputato Galli, che conosco da tempo e a cui ho già in parte risposto. Non confondiamo: i posti di lavoro sono effettivamente aumentati, che serva l'1,4 o l'1,5 per cento di crescita per creare posti di lavoro è un discorso che in astratto è difficile fare perché dipende molto dai settori: in certi neanche con il 2 per cento di crescita si creano posti di lavoro, e in altri, quali quello della cura alla persona, basta anche meno per farli, però non confondiamo.
  Anche il fatto che sia aumentato il part-time involontario è un segno da considerare, perché 950.000 posti in più con un aumento del 3 per cento del part-time sono un brutto segno, ma non tale da nullificare l'aumento. È mia convinzione che il futuro del digitale avrà sicuramente un duro impatto Pag. 31 sulla quantità dei posti di lavoro, ma non siamo catastrofici, domani mattina non sarà abolita la metà dei posti di lavoro, ma sicuramente ci sarà una forte riduzione, oltre al cambiamento della qualità del lavoro.
  L'ultimo contratto dei metalmeccanici tedesco è stato impressionante. Hanno ridotto l'orario di lavoro a 28 ore, il che vuol dire che stiamo andando verso il part-time. In Olanda metà della popolazione è in part-time e non sono solo le donne.
  Questo è un problema molto serio. Comunque, accetto l'invito di essere propositivo. Ci invitate a incentivarvi. Sperando che voi siate reattivi, noi cercheremo di incentivarvi.
  Sui costi standard sono completamente d'accordo. I costi standard sono un segno di serietà del welfare, perché, se non si hanno i costi standard, si buttano soldi oppure non si fronteggiano i bisogni reali. Li abbiamo individuati in parte nel settore della sanità, abbiamo fatto fatica a individuarli nel settore dell'assistenza, sull'impiego mi dispiace dire che non ci sono ancora, quindi aiutateci. Siamo completamente d'accordo.
  A un'altra domanda ho in parte risposto. La rotta è stata invertita. Noi quattro anni fa eravamo «nella buca». L'altro giorno vedevo i dati sulla cassa integrazione. Noi quattro anni fa avevamo autorizzato più di un miliardo di ore di cassa integrazione. Vi rendete conto? Questo era un buco, una voragine. Ci siamo tirati fuori dal buco e la rotta è stata invertita, anche col Jobs act, però i limiti sono quelli che ho detto, perché il futuro chiederà ancora di più: come ho detto, politiche attive e investimenti tipo Industria 4.0.
  A proposito della coperta corta, guardate che in materia di tasse... Io non sono un fiscalista ma, sono circondato da fiscalisti. Anche loro sono un po’ confusi e hanno idee molto diverse. Guardate che le tax expenditure – avete visto gli ultimi dati – sono una giungla assolutamente impressionante, sono accumulate nel tempo e sono frutto dei nostri – non dico «inciuci», perché è una parola troppo abusata – compromessi al ribasso e di pasticci. Allora, è lì che bisogna intervenire.
  Anche quando noi facciamo proposte sulla famiglia, non diciamo semplicemente «diamo un altro tozzo di pane ai bambini». Peraltro, io ho parlato delle tasse, ma anche l'assegno universale ai figli è una misura usata in tutto il mondo. In quest'ambito occorre creare una nuova formula. Quando si parlava di quoziente familiare versione francese o fattore famiglia versione un po’ diversa, si voleva dire proprio questo. Bisogna avere il coraggio anche di togliere qualcosa, se volete riformulare il sistema.
  Sulla riforma universitaria, nonostante io sia un professore universitario ormai anziano e nonostante io sappia che c'è un grosso problema, non sono in grado di dire come esattamente questa abbia impatto sul Sud. Tuttavia, so benissimo – anche miei amici colleghi me lo dicono – che si sono aggravate le difficoltà, che già c'erano, nelle università del Mezzogiorno. Non sono in grado di dire di più, però è vero.
  Sulle banche di credito cooperativo sono un po’ più preparato, perché io conosco quelle che si trovano al nord. Le banche di credito cooperativo, se sono sane e se sono in numero minore, grazie alle loro aggregazioni, possono fecondare il territorio, come si dice, ma se sono un «poltronificio», come sono state, no.
  Anche su questo io non ho una risposta precisa, ma certamente il Mezzogiorno ha bisogno anche di una politica del credito nazionale. Qualcuno ha parlato della Banca per il Sud. Non sono in grado di decidere se quella è l'unica soluzione, però è vero che non possiamo usare il territorio del Mezzogiorno come un luogo da cui cavare risorse. Questo mi sembra evidente.
  Ho già risposto al deputato Mandelli sulla questione degli skill. L'ultima domanda è sul Sud. Ripeto che noi abbiamo voluto dare almeno un segnale della gravità della situazione storica, ma anche fare presenti i veri segnali di reattività.
  Io sono stato colpito dagli ultimi indicatori. Per esempio, io ho citato l'effettivo aumento di investimenti pubblici. Erano anni che le risorse per gli investimenti pubblici venivano stanziate ma si faceva fatica a spenderle. Questo meccanismo si è Pag. 32messo in moto. Hanno mobilitato investimenti privati, conseguenza che pure è importante. Non basta che Pantalone ci metta i soldi, dovrebbero arrivare anche dall'altra parte. Dagli ultimi dati pubblicati, ci sono 4,5 miliardi di euro investiti dai privati lo scorso anno per il Mezzogiorno. Anche questo è un buon segno.
  La legge anticorruzione certamente serve. Noi al CNEL abbiamo un osservatorio sulla corruzione, che storicamente ha funzionato. Mi propongo di riattivarlo e magari vi invito a darci una mano.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Treu, i suoi collaboratori e i colleghi intervenuti.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 20.30.