XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 46 di Giovedì 11 novembre 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Presutto Vincenzo , Presidente ... 3 

Audizione, in videoconferenza, del professor Michele Belletti, ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Bologna «Alma Mater Studiorum», e del professor Dario Stevanato, ordinario di diritto tributario presso l'Università degli Studi di Trieste, sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza
Presutto Vincenzo , Presidente ... 3 
Belletti Michele , ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Bologna «Alma Mater Studiorum» ... 3 
Presutto Vincenzo , Presidente ... 6 
Stevanato Dario , ordinario di diritto tributario presso l'Università degli Studi di Trieste ... 6 
Presutto Vincenzo , Presidente ... 8 
Turri Roberto (LEGA)  ... 8 
Presutto Vincenzo , Presidente ... 8 
Belletti Michele , ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Bologna «Alma Mater Studiorum» ... 9 
Presutto Vincenzo , Presidente ... 10 
Belletti Michele , ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Bologna «Alma Mater Studiorum» ... 10 
Presutto Vincenzo , Presidente ... 10 
Stevanato Dario , ordinario di diritto tributario presso l'Università degli Studi di Trieste ... 10 
Presutto Vincenzo , Presidente ... 11 

ALLEGATO: Documentazione presentata dal professor Dario Stevanato ... 12

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
VINCENZO PRESUTTO

  La seduta comincia alle 8.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, della professor Michele Belletti, ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Bologna «Alma Mater Studiorum», e del professor Dario Stevanato, ordinario di diritto tributario presso l'Università degli Studi di Trieste, sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, l'audizione in videoconferenza del professore Michele Belletti, ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Bologna «Alma Mater Studiorum», e del professore Dario Stevanato, ordinario di diritto tributario presso l'Università degli Studi di Trieste, sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e residenza.
  L'audizione di questa mattina rappresenta una preziosa occasione di confronto con esponenti del mondo accademico che vantano un'approfondita conoscenza dell'argomento, e risponde all'esigenza della Commissione di raccogliere precisi elementi di valutazione sull'attuale configurazione del sistema delle relazioni finanziarie tra livelli di Governo, anche nell'ottica di affrontare efficacemente le incongruenze e le incertezze che rallentano il processo di piena affermazione dei principi di autonomia di cui all'articolo 119 della Costituzione, in un quadro di maggiore responsabilizzazione degli enti territoriali.
  Ricordo che i componenti della Commissione, in virtù di quanto stabilito dalla Giunta per il Regolamento della Camera nella riunione del 4 novembre 2020, possono partecipare alla seduta anche da remoto. Al fine di assicurare un ordinato svolgimento dei lavori avverto che, secondo le intese intercorse in conformità alla prassi già seguita nelle precedenti sedute di audizioni, dopo le relazioni introduttive da parte degli auditi darò la parola a un oratore per gruppo.
  Conclusa questa fase della discussione si potrà valutare, in considerazione del tempo disponibile, se procedere a un'eventuale ulteriore serie di interventi, lasciando comunque lo spazio necessario per le repliche. Invito pertanto a far pervenire alla Presidenza le richieste di iscrizione a parlare, raccomandando ai colleghi di contenere la durata degli interventi.
  A questo punto do il benvenuto ai nostri ospiti, che ringrazio a nome di tutta la Commissione per avere accettato l'invito, cedendo la parola al professore Michele Belletti.

  MICHELE BELLETTI, ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'UniversitàPag. 4 di Bologna «Alma Mater Studiorum». Grazie, presidente. Io vado subito al punto perché i tempi sono stretti. Leggo dai lavori della Commissione per l'attuazione del federalismo fiscale che a livello comunale qualche cosa si sta muovendo, registrandosi un maggior riconoscimento di risorse aggiuntive e l'attuazione di qualche misura perequativa, oltre a un primo processo di revisione dei costi standard. È evidente che dal mio punto di vista questo non è ancora federalismo fiscale, perché qua siamo ancora nell'ottica della finanza derivata. Il federalismo fiscale dal mio punto di vista è attuazione dei contenuti dell'articolo 119 della Costituzione, che contempla una finanza non più derivata ma una finanza diretta di entrata e di spesa da parte degli enti territoriali tutti, e poi con il riconoscimento dei costi standard.
  Il tema del federalismo fiscale in una prima fase è stato un tema di rilevanza centrale nel dibattito costituzionalistico. Penso soprattutto agli anni 2001 e 2009-2010. Il punto di stallo si è avuto con la crisi dei debiti sovrani, che ha aperto la strada a un pervasivo ordinamento finanziario da parte del legislatore, il più delle volte legittimato dalla Corte costituzionale: quel pervasivo coordinamento finanziario, che non soltanto è andato in contrasto con l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa degli enti territoriali, ma spesso ha impattato sull'autonomia organizzativa. Pensiamo a quelle previsioni addirittura di riduzione del numero dei consiglieri regionali e degli assessori, ciò che rientra nella materia stretta «autonomia regionale».
  Anche l'approvazione della riforma sull'equilibrio di bilancio ha contribuito a bloccare l'attuazione del federalismo fiscale. A mio avviso questo è un paradosso, perché la crisi si sarebbe meglio superata applicando proprio i principi del federalismo fiscale, quindi non ricorrendo alla spesa storica ma ricorrendo ai costi standard. Lo stesso vale per il raggiungimento di obiettivi di equilibrio di bilancio. Ma sappiamo che in Italia c'è la tendenza a considerare la gestione delle crisi un affare centrale. Nella gestione delle crisi gli enti territoriali vengono considerati di intralcio e devono lasciare mano libera al decisore centrale. Anche qua potremmo parlarne a lungo. È successo così anche per la crisi pandemica e per la crisi economica che è succeduta a quella pandemica.
  Da questo punto di vista, paradossalmente la stessa riforma costituzionale sull'equilibrio di bilancio ha contribuito a fermare o rallentare il processo di attuazione del federalismo fiscale. Dal mio punto di vista è un paradosso, così come è in controtendenza rispetto all'attuazione del federalismo fiscale. Penso all'articolo 12 della legge n. 243/2012 attuativa dell'equilibrio di bilancio, che contempla un concorso delle Regioni e degli enti locali alla sostenibilità del debito pubblico e del complesso delle amministrazioni pubbliche in un contesto ove, peraltro, non si è mai affermato un sistema di finanza diretta degli enti territoriali.
  Ancor più singolare è una previsione della legge di stabilità del 2005, legittimata da una pronuncia della Corte costituzionale, la n. 205 del 2016, dove si legge che le province e le città metropolitane concorrono al contenimento della spesa pubblica attraverso la riduzione della spesa corrente e riversano ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato un ammontare di risorse pari ai predetti risparmi di spesa.
  Va bene, siamo nell'ottica della revisione organica dell'ente di area vasta. Ma qua siamo addirittura non più alla finanza derivata degli enti territoriali, bensì siamo alla finanza derivata dello Stato, gli enti territoriali che contribuiscono alla finanza statale, quindi radicalmente in contrasto con i principi del federalismo fiscale. Da dove ripartire? Bisogna ripartire da quell'importante impianto di decreti attuativi comunque scritti, comunque adottati, decreti attuativi della legge n. 42/2009. Dal mio punto di vista, soprattutto da costituzionalista, bisogna ripartire ricollegando il tema dell'autonomia e quello della responsabilità.
  Quel decreto attuativo che prevedeva la realizzazione di meccanismi sanzionatori – quindi che attivava la responsabilità correlativamente all'autonomia – è stato dichiarato in parte incostituzionale dalla Corte Pag. 5costituzionale con la sentenza n. 119/2013, ma sappiamo anche che quell'incostituzionalità non è derivata da una cattiva scrittura di quel decreto attuativo. È derivata, e ce lo ha confermato proprio quest'anno con un'altra importante sentenza la Corte costituzionale, dalla cattiva struttura legislativa, dal pessimo impianto dei piani di rientro. In sostanza la Corte costituzionale in quell'occasione ha dichiarato pervenuta l'incostituzionalità dei meccanismi sanzionatori perché coincideva nella figura del presidente della Regione, che era colui che aveva contribuito a creare il grave dissesto in materia sanitaria; la figura del presidente, che aveva creato quel dissesto, e la figura del commissario ad acta, che quel dissesto doveva risolvere. La Corte costituzionale ha detto: «Oramai vedremo come va risolta».
  Quali sono le indicazioni che ci ha dato in questi anni la Corte costituzionale per dare luogo a una soluzione organica del federalismo fiscale? Il coordinamento finanziario virtuoso. La Corte ha più volte detto che il pareggio di bilancio si ottiene non soltanto riducendo le spese, ma aumentando il PIL, quindi valorizzando e riconoscendo misure premiali – soprattutto per quanto attiene alla gestione dei servizi pubblici locali – a quelle Regioni che danno vita a un coordinamento virtuoso.
  La Corte in una seconda fase, soprattutto quando si è passati dai governi tecnici ai governi politici, ha controllato in maniera più rigorosa il coordinamento finanziario, pervenendo all'incostituzionalità di quei coordinamenti dettagliati. Ha introdotto con un'importante pronuncia del 2016 il cosiddetto «autocoordinamento», un coordinamento non più di dettaglio, ma un coordinamento per obiettivi, dove sono le Regioni che decidono come tagliare, addirittura che decidono come ripartire i tagli e i risparmi a livello con un'intesa raggiunta in sede di Conferenza permanente. Soltanto se non si raggiunge in quella conferenza, interviene il Governo con un DPCM distribuendo i tagli alle spese anche in base alla popolazione residente e in base al PIL.
  Sulla base di questo autocoordinamento è possibile tagliare laddove la Regione stessa individua una spesa improduttiva e non tagliare laddove c'è una spesa produttiva. Quali sono gli ultimi punti di approdo della Corte costituzionale? Proprio una bellissima e importante sentenza, la n. 168/2021, che riguarda l'annoso tema dei piani di rientro, riguarda la regione Calabria. Non entro nel dettaglio della sentenza, ma sostanzialmente la Corte costituzionale dice che questo sistema così non funziona. Cioè, non è possibile che la macchina amministrativa che ha provocato quel grave ammanco finanziario sia poi la macchina amministrativa che con il piano di rientro deve risolvere quel problema. Deve intervenire la macchina statale. Deve essere un vero piano di rientro, un vero intervento sostitutivo. A questo punto vengono meno i presupposti di quella sentenza del 2013 che ha dichiarato l'incostituzionalità delle misure sanzionatorie. Devo tornare a quelle misure sanzionatorie, e si deve ripristinare il meccanismo che il legislatore del 2001 voleva, autonomia e responsabilità.
  Concludo, dunque. Quali sono i punti principali dell'azione sistemica? Non più le indicazioni puntuali di vincoli alla spesa, ma l'indicazione di vincoli macro e la valorizzazione delle condotte virtuose degli enti territoriali. In linea di massima l'indicazione di questi vincoli dovrà avvenire con meccanismi di autocoordinamento nel rapporto tra Stato e Regioni, valorizzando il ruolo della Conferenza Stato-regioni.
  Devono essere completamente esclusi i vincoli di destinazione della spesa dei trasferimenti statali che rimangono. Devono essere completamente esclusi i vincoli di destinazione, che sono contrari all'autonomia di spesa. Sul versante delle entrate vanno ridotti i trasferimenti statali e aumentate le entrate dirette. Ma soprattutto deve essere assolutamente valorizzato il principio di responsabilità, posto che la piena attuazione di una reale autonomia tributaria e finanziaria di entrata di spesa non può non essere correlata a forme precettive di responsabilità, che si traducono finanche nell'incandidabilità dei responsabili di gravi dissesti in materia finanziaria.Pag. 6
  Penso che queste siano le risorse che devono essere orientate nel PNRR e penso che, qualora l'attuazione organica vada in questa direzione, non sia un problema per l'unità della Repubblica dare attuazione finalmente anche al regionalismo differenziato con questa rete di salvataggio.
  Vi ringrazio veramente. Resto a vostra disposizione. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il professore Belletti. Do ora la parola al professore Dario Stevanato per la sua relazione.

  DARIO STEVANATO, ordinario di diritto tributario presso l'Università degli Studi di Trieste. Grazie, presidente. Grazie a tutta la Commissione per l'invito. Credo di dover contenere l'intervento in dieci minuti, quindi cerco di sintetizzare il testo della relazione scritta che ho depositato.
  Mi concentrerò soprattutto sul tema dell'autonomia tributaria delle Regioni – tributaria e quindi anche finanziaria – trattando tre punti. Per quanto riguarda il primo mi riallaccio a quello che ha anche detto il professor Belletti, cioè il tema della mancata attuazione dell'articolo 119 e della legge n. 42/2009. Il secondo tema riguarda gli attuali indirizzi che sembrano prefigurati dalla legge delega sulla riforma tributaria, ovvero da un lato la trasformazione di addizionali in sovraimposte e dall'altra la graduale soppressione dell'IRAP. Il terzo punto è una breve riflessione su che cosa potrebbe accadere con l'autonomia differenziata sul versante dei suoi rapporti col federalismo.
  Per la prima questione posso essere molto sintetico, perché è un tema esploratissimo dalla Commissione che ha fatto molte audizioni, più o meno. In tutte queste audizioni si è lamentata la scarsa o la mancata attuazione dei principi del federalismo fiscale. A me pare che ci siano delle ragioni strutturali legate anche al modo in cui sono stati via via posti dei paletti all'autonomia delle Regioni in campo finanziario e tributario. Dall'altra credo che ci sia anche un tema culturale. La difficoltà che si intravede nel nostro Paese è quella di voltare pagina, di passare da un sistema di finanza derivata a un sistema che metta al centro, invece, le autonomie locali, gli enti decentrati, nelle decisioni di entrata e di spesa.
  Quali sono questi limiti? Questi limiti li ho riassunti nella relazione. Nonostante l'articolo 119 della Costituzione attribuisca dei tributi propri alle Regioni, per una serie di vincoli posti dalla Corte, e poi perché lo stesso legislatore con la legge n. 42 ha posto un limite – ha messo una sorta di riserva di presupposto a favore dello Stato – resta il fatto che le Regioni, che sulla carta hanno il potere di introdurre tributi propri, di fatto non ce l'hanno o ce l'hanno in misura assai limitata. Visto che lo Stato tassa praticamente in tutte le direzioni, rimane pochissimo spazio per le regioni.
  Va anche poi detto, ad onor del vero, che gli stessi enti regionali non sono particolarmente ansiosi di introdurre nuove forme tributarie, perché è chiaro che ne deriverebbe una negativa ricaduta sul piano elettorale. Laddove io ho notato in tutti questi anni che le Regioni hanno invece interesse a intervenire è, guarda caso, proprio sul tema della fiscalità di vantaggio, cioè laddove l'intervento va a favore dei propri cittadini e delle proprie imprese. È chiaro che il tema dei limiti strutturali si saldi anche a quel problema culturale di cui parlavo.
  L'altra questione che citerei è che purtroppo, nonostante sempre l'articolo 119 preveda il principio di territorialità dei tributi, cioè compartecipazione al gettito, che dovrebbero andare alle Regioni riferite al gettito maturato sui territori, queste sono ad oggi sempre state concepite in un modo che io definirei contrario al loro spirito. Si tratta in realtà di somme predeterminate dallo Stato, che lo Stato trasferisce alle Regioni, mascherandole da compartecipazione. L'aliquota viene determinata all'esito di un processo in cui è lo Stato a determinare l'entità delle risorse. Accade che le partecipazioni vengano concepite secondo meccanismi di tipo perequativo anziché in base al principio di territorialità. È evidente che già questo pone dei severi limiti all'esercizio dell'autonomia tributaria.Pag. 7
  Il secondo tema che volevo toccare era l'impatto del progetto di legge di riforma del sistema fiscale. Uno dei due punti salienti è la trasformazione delle addizionali Irpef regionali e comunali in sovraimposte. Qui c'è una problematica di tipo terminologico, perché in realtà la sovraimposta è tale quando si traduce in un tributo autonomo rispetto al tributo base. Parrebbe a prima vista che la legge delega vada verso una maggiore autonomia tributaria delle Regioni.
  In realtà, se si leggono le indicazioni contenute nella relazione finale prodotta dalle Commissioni riunite, che hanno fatto un ciclo di audizioni e quindi redatto e concepito l'impianto della legge delega che poi è stato emanato, si capisce che invece l'intento è diverso. A mio avviso c'è un improprio utilizzo del termine «sovraimposta», quando invece l'intenzione pare essere quella di introdurre un'addizionale in senso proprio.
  Qual è il punto? Le attuali addizionali Irpef in realtà sono maggiorazioni di aliquota, perché intervengono sulla base imponibile Irpef con un'aliquota ad hoc. Al contrario, le addizionali in senso proprio sono proprio quelle che intervengono sul gettito del tributo base e lo maggiorano di una certa percentuale ed è questo l'intento che traspare nei redattori della legge delega. Vi è un cattivo utilizzo dell'uso di «sovraimposta», quando invece si vuole introdurre un'addizionale in senso proprio.
  Tuttavia, l'addizionale in senso proprio non va più nella direzione di una maggiore autonomia degli enti decentrati, ma semmai la riduce. Del resto, l'intento sembra proprio quello. Infatti, pare che l'intenzione sia quella di eliminare le possibilità che le Regioni oggi hanno di modulare l'andamento dell'addizionale anche in funzione degli scaglioni Irpef, creando una progressività che, pur ricalcando quella dell'imposta statale, se ne può differenziare. Ancora una volta mi sembra che l'intento sia quello dell'uniformità rispetto a quello dell'autonomia. Fa premio in questa intenzione del legislatore l'esigenza di avere un trattamento uniforme su tutto il territorio nazionale a scapito dei princìpi dell'autonomia.
  Mi sembra che questo sia un punto su cui riflettere, perché ci dobbiamo davvero chiedere se nella prospettiva del PNRR – ovvero attuare il federalismo entro il 2026 – sia il caso di andare in una direzione che pare opposta a quella dei principi del federalismo.
  Mi sembra che lo stesso possa essere detto anche per la questione dell'IRAP. L'IRAP in fondo è la vera e unica leva tributaria che oggi hanno le Regioni. Infatti, le Regioni possono ridurre l'aliquota IRAP fino ad azzerarla, possono introdurre deduzioni e detrazioni e possono esercitare forme di fiscalità di vantaggio. La soppressione dell'IRAP evidentemente avverrebbe individuando un altro cespite. Non credo che lo Stato possa permettersi di rinunciare al gettito derivante dall'IRAP, nemmeno la parte che arriva dal settore privato.
  Le ipotesi che sembrano esserci sul campo al momento sono quelle di un'addizionale all'Ires. L'addizionale all'Ires da un lato porrebbe un tema di diversa ripartizione dei carichi fiscali, perché l'Ires non la pagano tutte le imprese, ma solo quelle in forma di società di capitali. Dall'altro lato – questo tema si lega più strettamente a quello del federalismo – un'addizionale, che sia un senso proprio o che sia maggiorazione di aliquota, ridurrebbe gli spazi di autonomia e la manovrabilità che, invece, oggi le Regioni hanno con l'IRAP. Anche su questo mi sembra che ci sia da fare una riflessione nel momento in cui il Parlamento dovrà soffermarsi sui contenuti della legge delega.
  La terza parte – e con questo vado a concludere – riguarda le prospettive dell'autonomia differenziata. Senza dilungarmi, le nuove competenze e funzioni che andrebbero alle Regioni che hanno richiesto l'autonomia differenziata, se questa prima o poi davvero si farà, dovranno essere finanziate – mi pare riconosciuto da tutti – con delle compartecipazioni al gettito di qualche tributo erariale, probabilmente l'Irpef o forse l'Ires o altri tributi ancora, ma il novero è quello.Pag. 8
  A questo punto nella sede del dibattito sull'autonomia differenziata si stanno riproponendo i limiti di cui parlavo. Vi è una tensione tra la volontà delle Regioni che chiedono maggiori autonomie e di avere dei cespiti su cui esercitare una qualche forma di esercizio dell'autonomia e della responsabilità e vi è una visione Stato-centrica delle compartecipazioni tesa a trasformarle ancora una volta in trasferimenti.
  Il punto di frattura lo si vede laddove il dibattito alla fine è caduto sul seguente quesito: che cosa succederebbe nel caso di un aumento del PIL (prodotto interno lordo) regionale, magari indotto anche dalle maggiori competenze attribuite all'ente decentrato, quindi conseguentemente a una maggior gettito della compartecipazione?
  Lì non si vede che in realtà vi sarebbe un beneficio anche per lo Stato, perché se aumenta il PIL della Regione, aumenta la quota compartecipata, ma aumenta anche la quota che residua allo Stato e che lo Stato può destinare in compartecipazione.
  Nonostante questo, una visione oppositiva a questo progetto vorrebbe che il maggior gettito derivante dalla compartecipazione venga interamente o in parte riservato e ritornare allo Stato. Di nuovo, il rischio è di concepire la compartecipazione come un trasferimento e non come una vera forma, per quanto limitata dalla sua struttura, di autonomia tributaria.
  Mi sembra che questo possa diventare un ulteriore banco di prova per vedere se alla fine questo Paese vuole davvero andare verso la strada del federalismo, dell'autonomia e della responsabilità o, invece, rimanere ancorato a una visione dello Stato in cui alla fine è quest'ultimo che assume tutte le decisioni, non attuando l'articolo 119, per come lo stesso è scritto, e la legge 42 del 2009. Vi ringrazio e mi fermo con questa riflessione finale.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Stevanato, per il suo intervento. Passiamo ora agli interventi dei colleghi che intendono porre quesiti o formulare osservazioni. Do subito la parola all'onorevole Turri. Prego.

  ROBERTO TURRI. Grazie, presidente. Ringrazio il professor Belletti e il professor Stevanato per l'intervento. Mi spiace che oggi il tempo sia ridotto, poiché l'Aula della Camera comincia alle 9, e rispetto a ieri abbiamo meno tempo.
  Mi riallaccio anche all'intervento di ieri della professoressa Cerniglia, che ho anche contestato, la quale sosteneva che la crisi 2008-2010 e la crisi COVID-19 hanno dimostrato un'inversione di tendenza rispetto al decentramento, e a suo avviso si doveva ritornare all'accentramento. Mi sembrava che prima anche il professor Belletti sostenesse il contrario.
  Tuttavia, a parte ciò – non voglio disquisire su questo –, volevo riallacciarmi alla sentenza che ha richiamato sempre il professor Belletti, la 168 del 2021. Mi chiedevo se, stante il principio che esce da questa sentenza, forse non sia il caso di fare dei distinguo delle amministrazioni che hanno dimostrato di essere efficienti e che meritano di avere maggiore autonomia e di altre realtà che al contrario hanno dimostrato di essere inefficienti che hanno bisogno di un maggiore sostegno da parte dello Stato. Lo Stato deve intervenire maggiormente rispetto a quelle che sono le competenze delle Regioni. Secondo me occorrerebbe fare anche questi distinguo e procedere nelle Regioni che sono più efficienti.
  Peraltro, sempre sulla questione del PNRR, io sono convinto che dare maggiore attuazione all'articolo 116, comma 3, potrebbe essere utile per riuscire a realizzare maggiormente gli investimenti previsti dal PNRR. Volevo capire cosa ne pensavano i professori di queste due questioni. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie all'onorevole Turri. Ne approfitto anche io per fare delle considerazioni con il professore Belletti e il professore Stevanato. Devo dire che vi ringrazio per aver toccato due temi assolutamente molto delicati: nel caso del professore Belletti quello del piano di rientro in modo specifico; nel caso del professore Stevanato quello della riforma del fisco, che è stata trattata proprio in queste ultime giornate presso il Senato.
  Per quanto riguarda il professore Belletti la domanda è questa. Alla luce delle sue considerazioni, per la poca rispondenzaPag. 9 del piano di rientro rispetto alle finalità che vengono collegate al piano di rientro – in pratica parliamo di situazioni di un ente locale che si trova in una condizione di squilibrio finanziario –, il piano di rientro, per come lei giustamente ha evidenziato, sembrerebbe non proprio rispondere alla necessità di assolvere a quella precisa finalità.
  La domanda che le pongo è se sia opportuno rivedere le logiche di funzionamento del pre-dissesto e anche del dissesto a questo punto, anche se il dissesto rappresenta per gli enti locali – parliamo dei comuni in modo particolare – una chiusura di un ciclo che porta a una situazione di squilibrio irrecuperabile. La domanda è se sia quindi opportuno o meno rivedere le norme che regolamentano la crisi degli enti locali.
  Per quanto riguarda il professore Stevanato, lei ha toccato un altro tema altrettanto delicato, quello della parte fiscale, e le chiedo quanto possa essere importante a questo punto andare anche a rimodulare la gestione del prelievo fiscale e del trattenimento delle risorse a livello territoriale. Effettivamente con l'IRAP, che rappresenta l'imposta gestita direttamente dalle Regioni, e con le addizionali Irpef, che transitano direttamente attraverso lo Stato, quanto questo elemento possa effettivamente impattare non in positivo ma in negativo anche rispetto a una maggiore responsabilizzazione degli enti regionali a un discorso di piena efficienza?
  La domanda è l'impatto in tale direzione e quanto possa essere – questo vale per entrambi – importante avere delle strutture organizzative della pubblica amministrazione più efficienti a livello di enti locali.
  Faccio una considerazione. Sicuramente conoscerete la figura dell'OIV, l'Organismo indipendente di valutazione, che dovrebbe garantire una performance, una figura che è stata prevista dalla legge Madia e che poi è rimasta sostanzialmente inevasa; è chiaro che avrebbe un impatto non di poco conto sulla capacità degli enti locali di rispondere alle esigenze territoriali sia a livello regionale che a livello di comuni. Se resa operativa, questa figura potrebbe impattare sia sull'efficace efficienza del piano di rientro, sia sulla gestione ottimale delle risorse finanziarie all'interno di un'organizzazione sicuramente più attenta alle esigenze dei cittadini. Vi ringrazio e, essendo esauriti gli interventi, do quindi la parola prima al professore Belletti per la replica.

  MICHELE BELLETTI, ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Bologna «Alma Mater Studiorum». Grazie, presidente, e grazie anche per gli stimoli che sono arrivati dagli interventi e dalla relazione del professor Stevanato, che condivido interamente in ogni passaggio, poiché è proprio la cultura dell'autonomia che manca in questo Paese.
  Vorrei proprio partire da questo e in parte rispondo inizialmente con una premessa a tutte e due le domande, con un'immagine che usa il grande studioso del diritto regionale, il professor D'Atena, il quale nel suo manuale dice: «Il regionalismo differenziato spagnolo è come il piatto dei formaggi, dove ognuno prende quello che vuole.», e definisce il regionalismo italiano come «caffè per tutti». Siamo tutti uguali, il caffè è uguale per tutti. Tuttavia, io ho scritto che basta entrare in un bar e il caffè non è uguale per tutti: qualcuno lo vuole macchiato, qualcun altro ristretto eccetera.
  Qual è il tema? Il tema è proprio quello che si riduce a uniformità una situazione di omogeneità che invece non esiste in natura. Le Regioni non sono tutte uguali e non devono essere trattate tutte in maniera uguale.
  Un'altra sentenza che non ho avuto tempo di citare, la n. 319 del 2019 – magari sbaglio gli estremi – è la sentenza con la quale la Corte costituzionale dice al legislatore: «Non avete ancora fatto una legge organica sulle funzioni fondamentali degli enti locali» e nell'ultimo passaggio dice una cosa fondamentale. Leggo testualmente: «L'ambito naturale dove anche considerare i limiti da tempo rilevati dell'ordinamento su base locale per cui le stesse funzioni fondamentali, nonostante l'articolo 118 della Costituzione prevede i princìpi di differenziazione, di adeguatezza e sussidiarietà, risultano assegnate al più piccoloPag. 10 comune italiano con popolazione di poche decine di abitanti come alla più grande città del nostro ordinamento, con il risultato paradossale di non riuscire, proprio per effetto dell'uniformità, a garantire l'eguale godimento dei servizi che non è certo il medesimo tra chi risiede nei primi e nei secondi.».
  In certi casi mi viene da considerare che paradossalmente è la differenziazione, e non certo l'uniformità, a garantire il pieno godimento dei servizi e dunque dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti gli specifici diritti. Anche qui è la Costituzione che ce lo chiede, l'articolo 118. Bisogna dare attuazione al principio di differenziazione.
  Vengo nello specifico alle domande, alle quali ho già in parte risposto. Per quanto riguarda il tema della ricentralizzazione e della crisi, certamente è più semplice ricentralizzare quando c'è una crisi, ma vi posso assicurare che è più virtuoso, invece, cercare di garantire un intervento degli enti territoriali per una ragione molto semplice: per quale ragione il principio di sussidiarietà è stato messo in Costituzione, e ancor prima di essere messo in Costituzione lo troviamo nei trattati dell'Unione europea? Perché la sussidiarietà vuol dire che la gestione a livello di prossimità di un determinato servizio è una gestione tendenzialmente più efficiente.
  Qui vengo anche a quello che ha detto il professor Stevanato. L'attuazione, per quelle Regioni virtuose, del regionalismo differenziato porterebbe a un maggior residuo fiscale e quindi a un vantaggio anche per quelle Regioni che godono di quel residuo fiscale. Non dimentichiamo che se guardiamo le classifiche del residuo fiscale, le tre Regioni che per prime hanno chiesto l'attuazione del regionalismo differenziato sono quelle che contribuiscono maggiormente. Le crisi gestite con criteri di sussidiarietà funzionano meglio.
  Bisogna fare dei distinguo tra le amministrazioni? Assolutamente sì, non certo limitando i diritti dei cittadini in quelle amministrazioni che non hanno gestito in maniera virtuosa le loro risorse, ma cercando di rendere funzionali anche quelle amministrazioni.
  Qualche cosa già si era mosso in passato proprio dal punto di vista tributario, poiché era stato consentito alle Regioni di pervenire a delle riduzioni, delle agevolazioni sul bollo auto. Per questo il maggior gettito che deriverebbe dalla differenziazione potrebbe essere trattenuto nei territori che hanno dimostrato di essere virtuosi, altrimenti va bene la perequazione, però con quei minori gettiti quel territorio può ridurre le tasse e riducendo le tasse aumenta il PIL di quella Regione e aumenta il PIL nazionale.
  Con il criterio della spesa storica guadagnano tutte le Regioni. Il criterio della spesa standard non svantaggia le amministrazioni virtuose, svantaggia le amministrazioni...

  PRESIDENTE. Professor Belletti, mi scusi. Rispettando il suo intervento, le chiedo cortesemente se può andare alle conclusioni, per le esigenze di tempo legate ai lavori di Aula della Camera. Grazie.

  MICHELE BELLETTI, ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Bologna «Alma Mater Studiorum». Concludo quindi, riferendomi al suo intervento, dicendo che è assolutamente così. Proprio sulla base di quello che abbiamo detto, paradossalmente l'articolo 120 della Costituzione, che attiva i meccanismi sostitutivi proprio per garantire i diritti in ultima istanza e i livelli essenziali, non viene realizzato.
  Tuttavia, tanto dipende dalla sensibilità dei giudici della Corte costituzionale. Abbiamo avuto pochi giudici alla Corte costituzionale con una reale mentalità autonomista; adesso queste sentenze sono collegiali, ma l'indirizzo proviene da un giudice – non faccio il nome – che ha una forte sensibilità autonomista. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Belletti. Do ora la parola al professore Stevanato per la sua replica.

  DARIO STEVANATO, ordinario di diritto tributario presso l'Università degli Studi Pag. 11di Trieste. La ringrazio e ringrazio anch'io per le domande. Sarò veramente sintetico, anche perché mi posso associare e condividere quello che ha appena detto il professor Belletti.
  Aggiungo solo due flash. Il primo è sulla questione dell'articolo 116, comma 3, come strumento di migliore attuazione del PNRR, che mi sembra effettivamente un'ottima riflessione. Ancora una volta si tratterebbe di evitare di calare dall'alto delle riforme e di coinvolgere maggiormente gli enti decentrati. Attribuendo alle Regioni che hanno dimostrato in buona misura di poter svolgere maggiori competenze e funzioni anche in queste nuove attribuzioni, io credo che sarebbe un miglioramento non solo per le Regioni in questione, ma per gli interessi di tutto il Paese.
  La seconda domanda riguardava la rimodulazione del prelievo fiscale, e se questo possa o meno incidere sul tema del federalismo. Direi assolutamente di sì, come avevo già detto nella relazione. A mio avviso, occorre grande attenzione nel momento in cui verrà sottoposta al vaglio del Parlamento la riforma fiscale, perché è passato un po' sottotraccia all'interno di questa riforma complessiva un forte impatto, al di là delle apparenze, sul tema dei rapporti tra Stato ed enti decentrati e sul tema dell'autonomia tributaria. La trasformazione delle attuali addizionali e la soppressione dell'IRAP di fatto in qualche modo sconvolgerebbero gli attuali assetti e mi pare che la direzione che si intravede non sia quella di una maggiore autonomia, ma, al contrario, una riduzione di spazi di autonomia in nome di un'esigenza di uniformità.
  Penso che la legge delega su questi punti debba avere maggiori riflessioni e spunti di dibattito nella propria sede, quella parlamentare, e che questa potrebbe anche essere l'occasione per fare una sorta di tagliando alla legge n. 42 del 2009, e vedere se tutti i suoi princìpi sono effettivamente da mantenere o da modificare.
  Do solo due spunti. Il primo è chiedersi se abbia senso continuare nella riserva di presupposto o se, invece, non valga la pena adottare criteri che già hanno adottato altri Paesi – come la Svizzera od altri Paesi ad impianto federalista – dove ci sono gli enti decentrati che hanno la possibilità di gestire in proprio delle porzioni rilevanti di tributi. Penso, ad esempio, a un Irpef erariale e a un'Irpef regionale, tanto per intenderci.
  L'altro tema è se, sempre con la legge delega di riforma tributaria, non si possano introdurre altri princìpi o nuovi princìpi di coordinamento tra finanza statale e finanza degli altri enti pubblici, aggiornando i contenuti della legge n. 42 del 2009. Credo che in questo scorcio finale di legislatura ci sia l'occasione per dare un impulso e spostare un po' anche la direzione che mi pare stia andando dall'altra parte, non verso una maggiore autonomia ma verso il suo contrario, ovvero un maggiore accentramento presso lo Stato.

  PRESIDENTE. Grazie. Ringrazio nuovamente il professor Belletti e il professore Stevanato per essere stati nei tempi e per le loro esaurienti relazioni. Dispongo che la documentazione prodotta sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.

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