XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 31 di Mercoledì 16 giugno 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 

Audizione, in videoconferenza, della Ministra per il Sud e la coesione territoriale, Maria Rosaria Carfagna, sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 
Carfagna Maria Rosaria (FI) , Ministra per il Sud e la coesione territoriale ... 4 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 9 
Cattaneo Alessandro (FI)  ... 9 
Ruggiero Francesca Anna (M5S)  ... 10 
Osnato Marco (FDI)  ... 10 
Turri Roberto (LEGA)  ... 11 
De Menech Roger (PD)  ... 11 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 12 
Perosino Marco  ... 12 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 13 
Carfagna Maria Rosaria (FI) , Ministra per il Sud e la coesione territoriale ... 13 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CRISTIAN INVERNIZZI

  La seduta comincia alle 8,30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, della Ministra per il Sud e la coesione territoriale, Maria Rosaria Carfagna, sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera, l'audizione, in videoconferenza, della Ministra per il Sud e la coesione territoriale, on. Maria Rosaria Carfagna, sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
  L'audizione odierna, come quelle che hanno già avuto luogo sullo stesso argomento, ha lo scopo di mettere a disposizione della Commissione utili elementi di valutazione circa l'assetto e l'evoluzione dei rapporti finanziari tra lo Stato e il sistema delle autonomie territoriali, nonché in merito al percorso di piena attuazione della legge n. 42 del 2009 nella cornice delineata dalla Carta costituzionale.
  A tale proposito, faccio presente che, secondo quanto convenuto nella riunione odierna dell'Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi, il ciclo di audizioni che la Commissione ha avviato sul tema proseguirà nei mesi di giugno e luglio 2021. In particolare, il 30 giugno prossimo, è previsto il seguito dell'audizione della Viceministra dell'economia e delle finanze, Laura Castelli, mentre per le sedute del 7 e del 21 luglio 2021 sono programmate, rispettivamente, l'audizione del Ministro della salute, Roberto Speranza (già fissata per il 23 giugno), e l'audizione della Ministra dell'interno, Luciana Lamorgese.
  La Commissione ha inoltre in previsione di audire - ove possibile, già nel corso del prossimo mese di luglio - il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, nonché i rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome, dell'Upi e dell'Anci. Dopo la pausa estiva dei lavori parlamentari, infine, potranno essere auditi altri soggetti istituzionali, enti di ricerca, tecnici ed esperti in modo da disporre di un quadro conoscitivo il più possibile completo ed esaustivo.
  Desidero rimarcare che il lavoro di approfondimento in ordine alla compiuta affermazione dei principi di autonomia finanziaria degli enti territoriali riguarda molteplici e delicati aspetti, anche in considerazione delle riforme e degli interventi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.
  Nella prospettiva di un ulteriore avanzamento nella direzione del federalismo fiscale, un particolare rilievo acquistano, con specifico riferimento all'audizione di questa mattina, le questioni attinenti all'integrale copertura finanziaria delle funzioni Pag. 4fondamentali delle autonomie territoriali, alla previsione di adeguati strumenti perequativi e al perseguimento degli obiettivi di coesione e di solidarietà, in funzione della necessità di evitare squilibri socio-economici.
  Alla luce di queste finalità e dell'esigenza di promuovere e favorire lo sviluppo del Paese, rivestono inevitabile interesse le dinamiche connesse alla destinazione di risorse aggiuntive e all'effettuazione di interventi speciali ai sensi dell'articolo 119, quinto comma, della Costituzione. In tale contesto, è importante prestare attenzione alle peculiarità e alle istanze delle comunità e dei territori, incluse le aree interne e montane e tutte quelle svantaggiate.
  Ricordo che i componenti della Commissione, in virtù di quanto stabilito dalla Giunta per il Regolamento della Camera nella riunione del 4 novembre 2020, possono partecipare alla seduta odierna anche da remoto. Al fine di assicurare un ordinamento svolgimento dei lavori, avverto che è intenzione della Presidenza organizzare il dibattito nel seguente modo: dopo la relazione della Ministra Carfagna sarà data la parola a un componente della Commissione per ciascun gruppo, a cui seguirà la replica della Ministra e poi, se il tempo a disposizione lo consentirà, potranno avere luogo eventuali ulteriori interventi. Invito i rappresentanti dei gruppi a comunicare alla Presidenza l'iscrizione a parlare. Raccomando in ogni caso ai colleghi di contenere la durata degli interventi.
  A questo punto cedo la parola alla Ministra Carfagna, che ringrazio a nome di tutta la Commissione per aver accettato l'invito. Prego, Ministra.

  MARIA ROSARIA CARFAGNA, Ministra per il Sud e la coesione territoriale. Grazie a lei presidente, e a tutti i colleghi deputati e senatori, per questa opportunità. Considero questa audizione un'occasione importante per inquadrare il processo di attuazione del federalismo fiscale, tenendo presente la cornice all'interno della quale, a mio avviso, il federalismo fiscale deve operare, ovvero quella della coesione territoriale e della convergenza economica e sociale.
  Per completare il processo di attuazione del federalismo fiscale avviato con legge n. 42 del 2009, e per raggiungere degli obiettivi apprezzabili, contribuendo al processo di crescita e consolidamento dell'economia italiana del dopo COVID-19, occorre una visione del federalismo fiscale che sia equilibrata e pragmatica.
  Parlo da cittadina del Sud prima ancora che da Ministro del Sud. Al Mezzogiorno, come per l'Italia intera, occorre un modello di federalismo fiscale che sappia rendere gli enti territoriali sempre più responsabili delle proprie scelte nei confronti dei propri cittadini, dotandoli contemporaneamente degli strumenti e delle risorse umane, economiche e finanziarie adeguate a garantire a tutti i cittadini, ovunque essi risiedano, i servizi e i diritti fondamentali.
  Il federalismo fiscale è sano quando è affermazione del principio di sussidiarietà, competizione virtuosa delle buone pratiche, irrobustimento della capacità di intervento e di scelta degli enti territoriali, mentre diventa dannoso per l'intero Paese, se viene interpretato come egoismo localistico gli uni contro gli altri e come cristallizzazione di quelle che ho sempre definito discriminazioni per residenze. Nessun processo di riforma fiscale in senso federale può prescindere dall'affermazione di un principio semplice, ma violato sistematicamente: l'uniformità dei diritti e l'uguaglianza di tutti i cittadini, ovunque essi risiedano sul territorio nazionale.
  Come sappiamo, la nostra Costituzione affronta e fissa in modo chiaro questo principio, quando impone all'articolo 117, lettera m, di garantire in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale il rispetto dei LEP (livelli essenziali di prestazione) e delle funzioni fondamentali concernenti i diritti civili e sociali. In sostanza, l'articolo 117 impone di garantire e riconoscere a tutti i cittadini le principali prerogative connesse al diritto di cittadinanza, come il diritto a ricevere un'istruzione e un'educazione sin dalla prima infanzia, il diritto a ricevere cure, assistenze sociali per le persone fragili o il diritto alla mobilità.
  La mancata definizione per legge, dopo tanti anni, di queste disposizioni costituzionali Pag. 5 ha indebolito il principio di uguaglianza e ha anche vanificato le potenzialità virtuose di un processo di federalismo fiscale. È sotto gli occhi di tutti che in Italia le persone non godono degli stessi diritti e, dunque, delle stesse prospettive per il futuro, che invece sono fortemente condizionate dal luogo di nascita o dal luogo di residenza. Nascere al Sud è diventato una sorta di peccato originale, che viene scontato attraverso un minore accesso a diritti fondamentali come l'istruzione, la sanità o la mobilità.
  Dare un contenuto ai LEP e stabilirne il livello minimo di funzione sul territorio nazionale avrebbe invece permesso e permetterà – perché ci lavoreremo – di far emergere quali Comuni non sono in grado di assicurare i livelli essenziali delle prestazioni, consentendo di ripartire le risorse, laddove è necessario investirle. Questa è una strada obbligata per superare le diseguaglianze che sono diventate insopportabili tra Nord e Sud del Paese e rendere anche possibile, efficiente e sostenibile il federalismo fiscale.
  Non declinare la disposizione costituzionale in termini attuativi è una grave mancanza, un vulnus che ha impedito di elaborare un sistema di finanziamento statale degli enti territoriali, basato sulla reale necessità dei servizi di quel territorio e non sull'iniquo e illogico principio della spesa storica formalmente superato, ma che in concreto è ancora presente nelle maglie di quegli algoritmi che, come sappiamo, segnano i trasferimenti statali agli enti territoriali.
  La Corte dei conti ha spesso evidenziato questa criticità, ribadendo lo stesso concetto negli ultimi due rapporti sul coordinamento della finanza pubblica nel 2020 e nel 2021, stigmatizzando nei fatti la grave ricaduta sui cittadini della mancata definizione dei LEP. Infatti, non possiamo negare che oggi il calcolo dei fabbisogni standard dei Comuni altro non fa che ricalcare il vecchio principio della spesa storica a danno in primis dei Comuni del Mezzogiorno.
  Nel sistema concepito dal legislatore nel 2009 i fabbisogni standard rappresentano le reali necessità finanziarie dell'ente locale, in base alle sue caratteristiche territoriali e agli aspetti sociodemografici della popolazione residente. Tuttavia, questi fabbisogni non possono essere ricavati – così come è stato fatto e con le conseguenze che ho ricordato – dalla mera ricognizione dei livelli delle prestazioni già garantiti dagli enti territoriali, altrimenti l'effetto è quello che abbiamo sotto gli occhi di tutti, ovvero perpetrare le differenze territoriali esistenti: chi ha di più continuerà ad avere di più, chi non ha speso apparirà incredibilmente privo di fabbisogno. Questo è un paradosso di fronte al quale la politica non può continuare a voltarsi dall'altra parte, pena il fallimento, quanto ai risultati tangibili per tutti i cittadini, del percorso federalistico che invece siamo impegnati a compiere. La dignità della stessa politica non può più far finta di nulla, se si trova dinanzi due bambini, di cui uno può espletare il diritto di frequentare l'asilo nido e l'altro no, semplicemente perché il primo vive e risiede al Nord e il secondo vive e risiede al Sud.
  Ricordo bene le parole pronunciate nel 2009 dal Presidente Draghi, quando il federalismo fiscale ha avuto la sua prima elaborazione. La legge fotografava un Paese segnato da profonde disuguaglianze, ma a distanza di 15 anni queste differenze non sono state superate. Nel 2009 il Presidente Draghi ebbe a dire: «Le analisi rivelano scatti allarmanti di qualità tra Centro-nord e Mezzogiorno nell'istruzione, nella giustizia civile, nella sanità, negli asili, nell'assistenza sociale, nel trasporto locale, nella gestione dei rifiuti, nella distribuzione idrica».
  Oggi i numeri del divario e della sua cristallizzazione non sono diversi da quelli che il Presidente Draghi nel 2009 definiva allarmanti, anzi sono peggiorati. La ragione sta – lo sappiamo – nel fatto che i Comuni che hanno spese nulle o limitate per i servizi si vedono riconosciuti i fabbisogni bassi, come se non avere un asilo nido o una linea di trasporto pubblico urbano comporti che un Comune non ne abbia bisogno. È forse vero il contrario: il bisogno è maggiore proprio laddove il servizio non viene fornito. È certo comprensibile che vi Pag. 6siano Comuni che grazie alla maggiore ricchezza di cui dispongono, o alla maggiore efficienza nei servizi erogati, garantiscano standard più elevati e gratificanti per i residenti, ma quando parliamo di LEP non parliamo di una concessione, bensì ci riferiamo a una linea minima di demarcazione tra una vita dignitosa e una deprivata da ogni protezione del sistema sociale pubblico di riferimento. È una linea minima che ha trovato consacrazione nella Costituzione e che anche per questo, oltre che per ragioni di giustizia sostanziale, non può continuare a rimanere sulla carta.
  Fornisco alcuni dati. Rispetto alla spesa sociale i dati del fabbisogno evidenziano l'inaccettabilità del criterio e delle sue ricadute pratiche. Sono dati noti che conosciamo tutti. Secondo questi dati i fabbisogni riconosciuti risultano più bassi proprio in quei Comuni dove l'indice di deprivazione economica è più alto come, per esempio, i Comuni della Calabria, 60 euro pro capite, e della Campania con 73 euro pro capite. Parliamo di cifre che rappresentano la metà del fabbisogno per spesa sociale riconosciuto nelle regioni più ricche: l'Emilia Romagna ha il 119 euro pro capite, la Lombardia ha 102 euro pro capite.
  I plurimi indici per temperare il criterio della spesa storica elaborati dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard costituiscono un tentativo che certamente sta mitigando alcune situazioni di grave carenza. La legislazione a risorse invariate non può però supplire a ciò che la politica ha il compito di indicare, ossia il livello minimo qualitativo e quantitativo del servizio che deve essere garantito uniformemente su tutto il territorio dello Stato, con le relative risorse per farvi fronte.
  L'obiettivo si pone in linea con quanto auspicato anche al Vertice Sociale di Porto dalle istituzioni dell'Unione europea lo scorso 7 e 8 maggio, ovvero quello di rafforzare la coesione sociale e territoriale con il coinvolgimento multilivello delle istituzione, dal livello europeo al livello locale, mettendo a fuoco le misure necessarie per intervenire tra i gruppi sociali e i territori che presentano le più profonde e persistenti condizioni di criticità sociale nell'Unione europea, attraverso il rinforzo dei servizi essenziali, oltre che delle infrastrutture e – aggiungo, riprendendo l'obiettivo guida dell'Agenda 2030 – senza lasciare indietro nessuno.
  Un caso su tutti che considero paradigmatico e quello degli asili nido. È inutile negare che la cura dei figli in tenera età grava soprattutto sulle donne, ed è noto che vi sia uno stretto legame tra il servizio asilo nido e il tasso di occupazione femminile. Vi sono aree del nostro Paese in cui il servizio nido non è affatto erogato oppure è erogato a livello assolutamente insoddisfacente. Il risultato è che in questi casi le famiglie, in particolare le donne, sono costrette a rinunciare al lavoro oppure a gravarsi di ingenti spese per fruire di servizi privati che incidono pesantemente sui bilanci familiari.
  Ricordo il caso del Comune di Giugliano, grande città non capoluogo provincia del Mezzogiorno con oltre 120 mila abitanti. È un caso eclatante, poiché fino a due anni fa non vi era nemmeno un asilo nido pubblico. Solo recentemente, grazie a una importante mobilitazione di tanti amministratori locali e anche grazie alla maggiore sensibilità al tema da parte dell'opinione pubblica, è stata possibile l'apertura di una prima struttura. A Giugliano, come nel resto del Mezzogiorno, siamo ancora molto lontani dal livello di minimamente accettabile. Eppure già nel 2002 il Consiglio europeo riunitosi a Barcellona ha stabilito che gli Stati membri devono impegnarsi a offrire per la prima infanzia servizi ad almeno il 33 per cento di bambini al di sotto di 3 anni.
  Il legislatore nazionale con il decreto legislativo 65 del 2017, la cosiddetta «Buona scuola», ha assunto questo impegno. Cito testuale: «Alle bambine e ai bambini dalla nascita fino a 6 anni per sviluppare potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento in un adeguato contesto affettivo, ludico e cognitivo sono garantite varie opportunità di educazione e di istruzione, di cultura, di relazione e di gioco, superando disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, tecniche e culturali». Pag. 7Tuttavia ciò è stato declinato solo a livello tendenziale, senza stabilire in modo precettivo quale sia il livello minimo di questo servizio pubblico, trascurando di considerare e trovare adeguato rimedio alle diseguaglianze sostanziali nell'offerta di servizi rilevabili a livello regionale e ancora di più a livello comunale.
  È arrivato il momento di sanare questa frattura. Occorre quindi cambiare approccio e avere il coraggio di dare alla cifra del 33 per cento una valenza precettiva e una dimensione diffusa seconda la ratio dell'essenzialità e dell'uniformità. Lo chiede il Parlamento attraverso una mozione approvata alla Camera lo scorso 13 aprile, lo chiedono le famiglie del Sud e soprattutto ce lo chiedono le donne, alle quali troppe volte è stata posta l'alternativa tra mettere al mondo un figlio oppure lavorare. Non nascondo che si tratti un obiettivo difficile, ma se non riusciamo a perseguirlo adesso rischiamo di non riuscirci mai più.
  Perché dico questo? Perché l'Europa sta per consegnarci ingenti risorse a fondo perduto per realizzare le infrastrutture sociali, e noi abbiamo opportunamente programmato di sfruttare queste risorse attraverso il PNRR per finanziare un piano importante da 4 miliardi e 600 milioni per asili nido e scuole materne. Naturalmente saremo vigili affinché queste risorse siano destinate ai territori che ne hanno bisogno per colmare un divario e che più ne necessitano secondo una logica di perequazione e infrastrutture.
  Se non vogliamo che gli uffici restino soltanto dei mattoni o piccole cattedrali nel deserto con oneri manutentivi che gravano sulle già esigue casse comunali, occorre al più presto porsi normativamente obiettivi minimi quantitativi e qualitativi per questo servizio così essenziale per la vita delle famiglie e in particolare delle donne. Occorre, infatti, assicurare la capienza dei fondi nazionali per far fronte alle spese di gestione di quegli edifici e garantirne la fruizione come servizio concreto alla collettività a partire dai primi anni dell'infanzia dei nostri cittadini.
  I miei uffici stanno lavorando con quelli dei Ministri Bianchi, Bonetti e Gelmini a un progetto normativo che declini innanzitutto il LEP relativo agli asili nido nella sua dimensione percentuale di qualità su tutto il territorio nazionale. Il secondo step è che gradualmente, ma con certezza, si raggiungano obiettivi di servizio annuali sempre più elevati e che, operando in parallelo al piano per l'edilizia scolastica in atto, finalmente consentano il raggiungimento della soglia del 33 per cento, passando per una fase di tendenziale recupero del divario storico.
  L'approccio che ritengo più idoneo è quello già seguito dalla legge di bilancio del 2021 attraverso l'iniezione di risorse nel Fondo di solidarietà comunale che però a differenza del generale meccanismo creativo perequativo operino verticalmente con destinazione specifica e vincolata in direzione del recupero del divario rispetto al LEP prefissato dal legislatore statale, senza penalizzazione alcuna per i Comuni che oggi ricevono risorse.
  Inoltre, serve prevedere strumenti di monitoraggio e i vincoli di destinazione per il corretto impiego delle risorse pubbliche e per il raggiungimento doveroso degli obiettivi posti.
  Conto sul fatto che questa iniziativa normativa assolutamente innovativa rispetto ad anni di inerzia su questo ambito consentirà di mettere la parola fine all'ingiusta e odiosa zavorra d'ombra della spesa storica, almeno per quello che riguarda il servizio degli asili nido. Siamo consapevoli che questa iniziativa non sarà sufficiente nel più ampio complesso di divario che il Mezzogiorno e le aree più svantaggiate paese subiscono tutt'oggi.
  Un percorso analogo di definizione dei LEP va portato avanti con riguardo ai servizi sociali, in particolare sulle disabilità e sulle fragilità, anche conseguenti all'invecchiamento della popolazione, ambiti in cui il confronto della spesa pro capite tra le Regioni del Nord e quelle del Sud rende davvero superfluo ogni tipo di commento.
  In base ai dati Istat più recenti che abbiamo a disposizione, l'offerta di servizi socio-assistenziali presenta evidenti differenze territoriali: si passa dai 22 euro pro capite della Calabria ai 540 della Provincia Pag. 8autonoma di Bolzano. È una differenza che, come ho detto più volte, è indegna di un Paese civile.
  La spesa sociale del Sud è molto più bassa che nel resto d'Italia: 58 euro annui pro capite contro una media nazionale di 124 euro. Le isole, trainate dalla Sardegna, toccano i 122 euro pro capite, il Nord-ovest si attesta a 133, il Centro a 137 e il Nord-est a 177. Come ho detto prima, evidenzio il dato del Sud a 58.
  Le risultanze non mutano rispetto alle risorse impiegate per i servizi di supporto ai disabili: in termini pro capite i valori oscillano tra i 5509 euro del Nord-est e i 1017 euro del Sud: 5509 contro 1017.
  Su questo campo credo occorra, lavorando con il Ministro Orlando e il Ministro Stefani, innanzitutto stabilire normativamente i LEP. Penso al numero di assistenti sociali per abitanti imponendo senza ulteriori specificazioni, come avvenuto per esempio con legge di bilancio del 2021, l'obiettivo di un assistente sociale ogni 5 mila abitanti. Contestualmente penso anche a mettere a sistema tutte le risorse disponibili reperibili in diversi fondi istituti per finalità di politiche sociali nonché nel Fondo di solidarietà comunale. Penso, inoltre, a garantire ai Comuni adeguata copertura finanziaria che dia possibilità di derogare vincoli assunzionali per rispettare i LEP, prevedendo anche in questo caso un costante monitoraggio e condizionando l'erogazione dei finanziamenti al raggiungimento standard normativo che ci si è posti.
  Passando a un altro tema diverso, ma naturalmente connesso, ovvero quello della perequazione infrastrutturale, sappiamo che le risorse disponibili sono davvero molto ingenti e, se efficacemente guidate in sinergia con i fondi strutturali e l'FSC (Fondo di sviluppo e coesione), potranno certamente contribuire a colmare il gap delle Regioni meridionali.
  La criticità rilevante nell'immediato è quella della semplificazione dei procedimenti e della celere progettazione e realizzazione delle opere. Il decreto-legge n. 77/2021, il cosiddetto «decreto Semplificazioni», appena approvato lo scorso 31 maggio, ha fatto davvero molti passi avanti in questa direzione.
  Per quanto qui rileva, ho insistito affinché il procedimento di perequazione infrastrutturale previsto dall'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 fosse drasticamente semplificato in modo da giungere in tempi brevi e soprattutto prevedibili a risultati concreti in termini di interventi perequativi secondo una logica di complementarietà rispetto agli interventi previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza.
  Siamo intervenuti sulla norma approvata dal precedente Governo. Vi era un obbligo di ricognizione delle infrastrutture entro il 30 giugno, ma l'iter per realizzare questa ricognizione era così farraginoso, complicato e complesso da lasciare quella norma inattuabile, un semplice manifesto che sarebbe diventata lettera morta. La modifica normativa che abbiamo approvato rende possibile quella ricognizione in tempi certi, entro il 30 novembre di quest'anno. Il lavoro di ricognizione porterà subito dopo a programmare interventi di riequilibrio infrastrutturale dell'entità di 4 miliardi per strade, ferrovie locali, scuole e ospedali.
  Queste risorse si sommano a quelle del Fondo di sviluppo e coesione su cui mi preme condividere, con voi e con il Parlamento, una riflessione e una considerazione. Così come le politiche di coesione europee hanno lo scopo di accompagnare nel mercato unico continentale – con strumenti di correzione degli squilibri strutturali – le aree più arretrate d'Europa, così il Fondo di sviluppo e coesione ha lo scopo di ridurre i divari infrastrutturali, economici e sociali delle zone meno prospere d'Italia. Proprio in un impianto di federalismo fiscale gli strumenti correttivi di coesione trovano la loro maggiore utilità. Il Fondo di sviluppo e coesione è utile quando è strumento addizionale e compensativo, quando risponde a una strategia organica e coerente di coesione e non quando diviene un fondo cassa sostitutivo, o utile in modo estemporaneo per spese che non trovano altre fonti di copertura.
  Naturalmente è nella piena libertà del Parlamento di disporre delle risorse fiscali Pag. 9come meglio si ritiene. È cruciale – qui rinnovo l'appello che già avevo rivolto al Parlamento –, se non si vuole vanificare l'obiettivo della coesione che l'FSC non sia distorto dalla sua destinazione naturale. Senza uno strumento organico e ordinato la solidarietà nazionale si lacera e la prospettiva del federalismo fiscale fallisce.
  Proprio l'appassionata discussione sulla quota di Fondo di sviluppo e coesione nel PNRR – e poi reintegrata con il decreto-legge istitutivo del fondo complementare – deve suggerirci che è tempo di non fare del Fondo di sviluppo e coesione un tesoretto, un bancomat per scelte estemporanee legittime e spesso anche condivisibili, ma estemporanee. Occorre invece che esso, proprio in analogia con i fondi strutturali europei e con lo stesso PNRR sia oggetto di una programmazione pluriennale attenta, dettagliata e coerente, a cui si accompagni la capacità dello Stato e delle Regioni di investirlo in efficacia e nei tempi previsti.
  Il giorno stesso in cui invieremo a Bruxelles – a breve – l'accordo di partenariato sul ciclo di programmazione dei fondi strutturali ed europei 2021-2027, l'impegno prioritario degli uffici sarà quello di offrire in tempi rapidi al Governo e al Parlamento, ma anche alle Regioni e agli enti locali, una programmazione 2021-2027 del Fondo di sviluppo e coesione coerente con gli obiettivi per cui il Fondo esiste e le sue risorse sono stanziate.
  In conclusione, voglio richiamare la vostra attenzione sul significato concreto di questi dati e anche di questi impegni. Si tratta di dati, numeri e percentuali dietro cui è in gioco la vita quotidiana di quasi 20 milioni di italiani che abitano nel Sud, spesso condannati dalla loro residenza a nascere, a vivere e a lavorare senza godere dei diritti fondamentali garantiti a ogni altro cittadino. Lo so che è un vecchio problema, ma personalmente non intendo rassegnarmi allo sguardo dell'abitudine.
  La spesa sociale – per ricordare i dati che ho già citato – che offre 55 euro l'anno a chi nasce a Reggio Calabria e 117 a chi nasce a Verona, non può essere giudicata semplicemente come un vecchio problema a cui ci si può anche abituare. È uno sfregio alla democrazia e ai princìpi costituzionali che celebriamo in ogni pubblico discorso e in ogni ricorrenza civile. Questo deve indignarci e non può più abituarci.
  Sanare questo sfregio è il compito su cui si misurerà tutta l'attuale classe dirigente, dai vertici del Governo al sindaco del più piccolo dei Comuni meridionali. Abbiamo le risorse, abbiamo finalmente la solidarietà europea e avremo a breve un complesso di riforme che ci consentirà di agire con rapidità.
  Conseguire i risultati che il Sud e che tutta Italia attendono non è più una mera opportunità, ma un obbligo democratico e dobbiamo sentirlo come tale. Naturalmente farò la mia parte e spero di poter contare sull'aiuto di tutti quelli che hanno una responsabilità pubblica.
  Vi ringrazio, e resto naturalmente a disposizione per eventuali domande e chiarimenti.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, Ministra. Si sono già prenotati quattro parlamentari che vorranno porle delle domande o delle riflessioni. Cominciamo con l'onorevole Cattaneo.

  ALESSANDRO CATTANEO. Buongiorno. Sarò breve per lasciare poi la parola agli altri colleghi e – se i tempi lo permetteranno e gli altri gruppi acconsentono – anche al senatore Perosino del nostro gruppo, che voleva intervenire.
  La ringrazio, Ministra, per la relazione che, soprattutto nella parte iniziale, ha espresso il convincimento che il percorso di federalismo fiscale possa essere un'occasione per fare un patto di sviluppo del Sud e non un momento di divisione, vedendo questa Commissione e l'occasione del federalismo fiscale come un terreno di dialogo da cui fare conseguire anche quel passo in avanti del nostro Paese, in cui attraverso il federalismo fiscale possano affermarsi princìpi come la meritocrazia amministrativa, la sussidiarietà e con il quale si possa contribuire a un percorso virtuoso di crescita all'interno di un quadro di autonomia e di responsabilità.
  Ministra, le chiedo questo, guardando avanti. Io sono commissario anche in Commissione Pag. 10 finanze, dove stiamo provando ad arrivare a una riforma fiscale. Se saremo in grado in quell'ambito di elaborare una proposta – cosa che io auspico –, avremo dato un contributo al Governo che poi tirerà le somme di questo lavoro, poiché sappiamo che la normativa fiscale è un'altra degli architravi del Governo Draghi. In qualche modo approderemo a una riforma.
  La mia domanda è come sarà possibile agganciare la riforma fiscale che si sta portando avanti a un percorso di federalismo fiscale e di autonomia a sostegno del Paese e anche del Mezzogiorno, come evidenziato dalla sua relazione che ho ascoltato con attenzione e che approvo nei contenuti e nei valori che ha espresso. Grazie.

  FRANCESCA ANNA RUGGIERO. Signora Ministra, facciamo il punto della situazione, perché l'individuazione dei livelli non è direttamente proporzionale all'effettiva erogazione dei servizi, altrimenti a oggi non avremmo un divario nella sanità, visto che c'è l'individuazione dei LEA (livelli essenziali di assistenza), per cui è necessario trovare innanzitutto le risorse finanziarie e quantificarle, ovvero sapere quanti soldi servono per arrivare ad applicare il livello degli enti locali più virtuosi – come abbiamo già fatto per quanto riguarda il fabbisogno degli asili nido e dei servizi sociali – e capire in quanti anni riusciamo a raggiungere l'obiettivo.
  Le chiedo se lei ha quantificato la spesa, perché è chiaro che abbiamo dimostrato che non è possibile raggiungere dei livelli ottimali in tutta Italia a invarianza finanziaria, né tantomeno togliendo risorse da alcuni Comuni per darli ad altri.
  Bisogna anche superare il localismo e offrire gli stessi servizi anche nei Comuni in cui non abbiamo nessun interesse personale legato alla rielezione.
  Proprio questa mattina la Commissione tecnica per i fabbisogni standard – che è la Commissione che individua dietro proposta politica i costi, delinea gli obiettivi di servizio e approva la nota tecnica, a cui consegue poi il piano di distribuzione – ha approvato il nuovo riparto per la funzione sociale. Proprio in questi minuti stanno approvando un passaggio per Reggio Calabria da 78,92 euro pro capite a 102,83, mentre Reggio Emilia è a 101,67, e Giugliano in Campania avrà 2 milioni in più e passerà da 59 euro a 95 euro pro capite.
  Visto che la Commissione tecnica per i fabbisogni standard approva le metodologie e il Ministero dell'economia individua le risorse, le chiedo se può interfacciarsi con gli organi che in questi due anni hanno fatto sì che si iniziasse a superare la spesa storica e che si iniziasse a parlare in maniera diversa di federalismo fiscale, considerato che dall'approvazione della legge del 2009 siamo rimasti fermi 10 anni sulla cristallizzazione della spesa storica a svantaggio del Sud.
  Ho un'altra domanda. Ci sono le risorse del Fondo di sviluppo e coesione e del Recovery che, come lei ha detto, devono essere addizionali e compensative e non possono finanziare spesa corrente. È necessario, quindi, che una quota veramente molto ingente sia blindata per le Regioni del Mezzogiorno affinché questa sia veramente una spinta per recuperare quel divario. La domanda che le faccio è se non ritiene che sia il caso di creare una centrale di committenza al Sud in modo tale che i bandi che i Ministeri faranno prettamente per le regioni del Mezzogiorno siano partecipate da imprese del Sud, in modo che i fondi che arriveranno servano per il divario infrastrutturale e diano lavoro alle imprese del Sud. Altrimenti quello che potrebbe accadere è che le imprese del Nord vincano i bandi di lavori da fare al Sud, avendo così uno spostamento di ricchezze e di capacità fiscale dei Comuni, delle Province e delle Regioni, per cui non ne verremo mai a capo. Grazie.

  MARCO OSNATO. Ringrazio la Ministra per la disponibilità, e anche per la dura critica e analisi che ha fatto rispetto alla situazione di disparità tra il Nord e il Sud della nostra Nazione. Vorrei rassicurarla che non c'è nessuna forza politica più di Fratelli d'Italia che, rispetto al tema dell'unità nazionale, ha a cuore questa problematica. Riteniamo che nel concetto di unità nazionale ci sia anche l'eliminazione di queste disparità e di queste ingiustizie sociali, economiche, infrastrutturali e tutte Pag. 11quelle che ha ben citato. Sono anche contento che abbia delineato il fallimento del concetto di spesa storica.
  Tuttavia, a valle di tutto questo, vorrei capire meglio quali sono le proposte che non solo lei, Ministra – la sua competenza riguarda il Sud Italia –, ma anche il Governo ha in mente rispetto a un tema più ampio che è quello del federalismo fiscale, del decentramento e dell'autonomia.
  In questa Commissione abbiamo avuto modo in questi anni di affrontare svariate tematiche e prospettive. Oggi vorrei capire, anche a fronte di una maggioranza così ampia e così variegata, quali sono i pilastri sui quali si ritiene di costruire un architrave istituzionale diverso.
  Mi sembra di intuire che la Ministra non veda il concetto di autonomia come quello più salvifico per questa soluzione delle disparità sociali ed economiche. Se è così, ne prendo atto, però ci sono molte Regioni che anche al Sud hanno chiesto una situazione più afferente al concetto di autonomia. Sono un po' perplesso su quello che è il futuro.
  Mi permetto di fare alcuni brevi rilievi su quanto detto dalla collega precedente. Credo che sia un po' difficile oggi immaginare di poter fare dei bandi di gara che possano favorire in senso nobile le imprese di un certo tipo di territorio, e credo che l'Unione europea lo abbia vietato diversi anni fa. Credo, invece, che bisogna aiutare con incentivi, con normative, con infrastrutture e con tutto il resto, il fatto che le imprese del Sud Italia, come di altre realtà più svantaggiate, possano essere competitive sul mercato come quelle del Nord. Grazie.

  ROBERTO TURRI. Ringrazio la Ministra per la disponibilità e per la relazione che ha fatto questa mattina. Dalle considerazioni che faceva all'inizio, mi sembra di capire che la Ministra condizioni l'avvio o la definizione dell'autonomia differenziata chiesta dalle Regioni alla definizione dei LEP. In tal senso, volevo capire cosa risponde la Ministra a quei presidenti di Regione che nel lavoro fatto all'inizio con la Ministra Stefani avevano proposto che si desse avvio al percorso dell'autonomia differenziata con la spesa storica – stante poi il superamento della stessa – e che non si condizionasse l'avvio dell'autonomia differenziata alla definizione di LEP, ma che si potesse iniziare in ogni caso.
  Volevo quindi capire questo punto: se la Ministra condiziona l'avvio dell'autonomia differenziata alla definizione dei LEP, oppure se vi è la possibilità che vi si possa dare avvio anche prima.
  Mi sembra che prima la Ministra abbia affermato che, per quanto riguarda la spesa storica, gli enti territoriali più penalizzati sono quelli del Sud. Da sindaco di un Comune del Nord devo dire che ho provato sulla mia pelle, invece, che dalla spesa storica i Comuni più penalizzati sono quelli del Nord e non quelli del Sud, proprio perché negli anni i Comuni del Nord sono stati attenti nella gestione delle spese e i trasferimenti che venivano concessi a questi Comuni erano ridotti rispetto ad altri comuni del Sud di pari dimensioni. Ho potuto verificare questo sulla mia pelle e, quindi, su questo punto non mi trovo d'accordo con le considerazioni della Ministra. Grazie.

  ROGER DE MENECH. Grazie, Ministra, per la relazione, ma soprattutto per la presenza. Credo che noi dobbiamo ricostruire un'articolazione complessiva dello Stato. Lei ha parlato, giustamente, come al centro del processo autonomistico ci siano i LEP, i livelli essenziali. Questo era un punto di svolta anche della legge quadro che con il Governo precedente insieme al Ministro Boccia stavamo cercando di portare avanti con grande fatica.
  Oggi noi dobbiamo passare da una nota di indirizzo a fare concretamente e mettere in campo i livelli essenziali delle prestazioni. Tuttavia, oggi è sufficiente per riorganizzare l'istituzione puntare tutto sui livelli essenziali? È sicuramente necessario, ma non è sufficiente, perché dall'altra parte – l'ho detto anche nella precedente audizione della Ministra Gelmini e della sottosegretaria Castelli – noi abbiamo anche la necessità di definire e riarticolare i costi e i fabbisogni standard, perché nell'impianto della pubblica amministrazione c'è il costo del servizio, sicuramente importante – lei Pag. 12ha citato alcune cifre –, ma dall'altra parte c'è anche il costo di funzionamento di quell'ente. Dentro questi due macrocosti noi abbiamo l'equilibrio e possiamo avere una vera panoramica di come stanno i Comuni in Italia e le articolazioni dello Stato, fatte da Regioni, Province e Comuni.
  Credo che noi dobbiamo lavorare in questo senso, perché come sappiamo, ci sono diverse velocità anche rispetto a come nel corso della storia i Comuni si sono organizzati nei territori. Non vorrei fare esempi banali, ma ci sono uffici tecnici di Comuni di 5 mila abitanti al Centro, al Nord e al Sud che hanno dimensioni di personale completamente diverse. Questi sono i numeri dell'ANCI.
  Da una parte la garanzia del servizio a tutti i cittadini italiani è un punto fondamentale, dall'altra vi è il fatto che le organizzazioni devono essere congrue rispetto a quel servizio, perché altrimenti rischiamo veramente di creare due velocità.
  Come sa, per estrazione territoriale, ci sono delle differenze fra Nord e Sud, ma non possiamo nasconderci che ci sono delle enormi differenze fra il centro e la periferia, fra le grandi metropoli e la provincia italiana e le cosiddette «aree interne» che sono oggetto del suo Ministero. In questo senso gli indici di abbandono e di spopolamento sono la cartina al tornasole di quei territori. Nei territori marginali – così come venivano definite nella vecchia normativa –, oggi definite «aree interne», ovvero le zone di montagna, le valli appenniniche e alpine, la gente se ne sta andando. In quel senso riportare a un equilibrio le differenze del nostro Paese prevede il grande macrotema delle differenze fra Nord e Sud – su questo, come hanno detto coloro che mi hanno preceduto, siamo tutti assolutamente d'accordo –, ma prevede anche un riequilibro fra il centro e la periferia, fra i modelli di sviluppo che ci sono nelle grandi aree metropolitane e tutta la provincia italiana.
  Faccio un unico esempio di un ultimo provvedimento che abbiamo fatto assieme, che è un provvedimento che ha un merito. Abbiamo finanziato in queste ore il restyling e la verifica strutturale dei ponti e l'abbiamo fatto soprattutto per le Regioni e le Province. Tuttavia, anche il Comune da 3 mila abitanti ha dei ponti che magari sono in pericolo strutturale. Per questo motivo dobbiamo passare da un sistema di distribuzione delle risorse che guarda all'ente a un sistema che guarda al fine unico. Qualunque ponte in Italia merita di essere riqualificato, a prescindere che sia del Comune di Milano o di Roma e del Comune più piccolo d'Italia.
  Sono fortemente convinto che l'autonomia dentro questi ragionamenti può essere uno straordinario elemento di riequilibrio, ma ci vuole una mentalità per cui noi diminuiamo le differenze su tutto il territorio nazionale. Se facciamo questo, facciamo un servizio per tutti i cittadini, forse consentendogli di scegliere liberamente dove vivere e lavorare. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. È esaurito lo svolgimento degli interventi per gruppo, ma in via del tutto eccezionale concediamo di intervenire al senatore Perosino, a cui raccomando di contenere il proprio intervento nel minor tempo possibile. Prego.

  MARCO PEROSINO. Ministra, c'è un disegno di legge in Senato che è fermo in Commissione finanze sull'istituzione delle zone franche per le aree interne della Sicilia del costo 300 milioni all'anno. La proposta è anche interessante e la definisco «simpatica», ma ci sono anche le aree interne della Calabria, piuttosto che quelle del Piemonte. Volevo sapere se lei era stata coinvolta, se conosce la proposta e cosa ne pensa.
  Per quanto riguarda i dati riportati dai colleghi prima, noi abbiamo parlato di LEP e ci siamo arrovellati vari mesi per cercare di capire come fissarli, ma faccio un esempio di che cosa vuole anche dire parlare di LEP. Se una siringa al Nord costa un euro e al Sud costa 3 euro, o se un caffè al Nord costa 1,20 euro e al Sud 0,80 euro, vuol dire che non abbiamo ancora capito che probabilmente bisogna ragionare – come ha detto il collega che mi ha preceduto – nei termini di un cambiamento che sia traversale; cambiamento che, secondo me, sta Pag. 13partendo al Sud dai piccoli Comuni, che sono più in linea sia con le spese sia con il sistema di gestione. Vorrei fare riferimento benevolmente al Comune di Napoli e ai suoi debiti. Avrei altre domande, ma per correttezza mi fermo qui. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, senatore. Do quindi la parola alla Ministra Carfagna per la replica. Prego.

  MARIA ROSARIA CARFAGNA, Ministra per il Sud e la coesione territoriale. Grazie, presidente. Grazie a tutti i colleghi per le sollecitazioni estremamente interessanti che sono state avanzate.
  All'onorevole Cattaneo – che ringrazio per aver sottolineato lo spirito delle mie riflessioni, ovvero la necessità di intendere la spinta del federalismo come un processo che possa valorizzare lo sviluppo dei territori, la responsabilizzazione delle amministrazioni locali e non come un'occasione di divisione – riguardo alla riforma fiscale, rispondo che la riforma fiscale è una delle riforme agganciate al PNRR in gestazione, su cui stanno lavorando Palazzo Chigi, il MEF (Ministero dell'economia e delle finanze) e gli altri Ministri che sono stati coinvolti. Mi riserverei – eventualmente successivamente, se vorrete – di dare una risposta all'onorevole Cattaneo una volta che questa riforma sarà approvata o quantomeno quando ci sarà un testo definitivo, così da parlare con un testo davanti. In questo momento stiamo parlando di un lavoro in fase avanzata di elaborazione, però comunque è un lavoro in gestazione.
  Per ciò che riguarda, invece, le considerazioni dell'onorevole Ruggiero, nella definizione dei LEP – l'ho detto nel corso del mio intervento, quando ho fatto riferimento a un intervento che sarà di tipo verticale e non orizzontale –, non vi sarà l'invarianza di spesa e non si toglierà nulla a nessuno, per dirla in maniera semplificata. Lei chiede se posso interfacciarmi con la Commissione tecnica per i fabbisogni standard e con il Ministero dell'economia, ma lo stiamo facendo quotidianamente ormai da tre mesi. Ringrazio in particolare la Vice Ministra Laura Castelli per la disponibilità e la collaborazione proficua messa in campo.
  La stima delle risorse ammonta a circa 800 milioni di euro a regime. Come ho accennato nel corso della mia relazione introduttiva, parliamo di un percorso graduale che porterà alla definizione dei LEP. Noi immaginiamo nel quinquennio, ma è possibile che ci voglia forse qualche anno in più, forse 5 o 7 anni. A regime la spesa si attesterà intorno agli 800 milioni di euro. Questi dati sono relativi ai LEP per gli asili nido.
  Quando lei dice «Facciamo in modo tale che l'FSC abbia una quota ingente blindata per il Sud» questo accade già per legge, perché l'FSC deve essere erogato sulla base del principio 20-80: 20 per cento alle regioni del Centro-nord e 80 per cento alle regioni del Sud.
  Tra l'altro, molti di voi hanno giustamente richiesto che l'FSC, anticipato nel PNRR, venisse reintegrato e anche io l'ho chiesto con insistenza e l'ho ottenuto, ragione per cui ho rivolto a voi poco prima quell'appello a evitare che l'FSC diventi un fondo cui attingere ogni qualvolta c'è bisogno di trovare copertura per interventi anche condivisibili e legittimi, ma assolutamente estemporanei.
  Per quanto riguarda la necessità di far partecipare esclusivamente le imprese del Sud, credo che su questo vada fatto un approfondimento, perché so che vi è una normativa europea che ha come obiettivo quello di assicurare la concorrenza, ma ci sarebbe lo stesso problema magari per le regioni del Nord, dove operano molte imprese del Sud. Anche qui farei attenzione ad aprire fonti di conflittualità di cui non abbiamo bisogno. La cosa di cui abbiamo bisogno, invece, è rafforzare la capacità progettuale delle pubbliche amministrazioni del Mezzogiorno e su questo stiamo lavorando.
  Rispondendo al collega Osnato, ma anche ai colleghi Turri e De Menech – metto insieme un po' di riflessioni – credo che il processo di federalismo fiscale vada attuato e completato non in una logica di egoismi localistici, ma in una logica di solidarietà nazionale. Non sono contraria né al federalismo Pag. 14 fiscale né all'autonomia differenziata, a patto che questo non significhi penalizzare le aree più deboli del Paese che non sono soltanto le Regioni del Mezzogiorno, ma anche – come diceva bene il collega De Menech – le aree interne, così come le aree di montagna e le aree di confine.
  Ricordo che questo Ministero non è soltanto il Ministero del Sud, ma è anche il Ministero della coesione territoriale e quindi ogni divario territoriale, economico e sociale esistente è e sarà oggetto della nostra attenzione e dei nostri interventi. Non ho nulla in contrario rispetto al federalismo fiscale e rispetto all'autonomia differenziata, a patto che a pagare l'una e l'altra non siano le Regioni meno ricche del Paese che, avendo minore capacità fiscale, fanno scontare ai cittadini questa situazione attraverso una minore erogazione di servizi fondamentali.
  Tutto questo deve avvenire sempre in una logica di efficienza. Sono d'accordo anche qui con l'onorevole De Menech, poiché è chiaro che il principio dell'efficienza, della trasparenza, della responsabilizzazione delle amministrazioni locali deve essere un principio guida, al pari del principio che deve portarci a garantire i servizi fondamentali a tutti i cittadini. Direi che questi sono i pilastri su cui deve poggiarsi il processo di attuazione e di completamento del federalismo fiscale.
  All'onorevole Turri che mi chiede «Lei pensa che l'autonomia differenziata debba essere condizionata ai LEP?», rispondo in maniera secca di sì, deve essere condizionata ai LEP e anche al rispetto del principio di efficienza. La cornice fatta dai diritti e dall'efficienza deve essere la cornice all'interno della quale completare il processo di autonomia differenziata.
  Al senatore Perosino che mi chiedeva dei disegni di legge riguardanti l'istituzione delle zone franche nelle aree interne della Calabria, della Sicilia eccetera, mi riservo un approfondimento per poter poi esprimere una valutazione compiuta.

  PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente la Ministra Carfagna per la sua esauriente relazione. Ministra, rimaniamo d'accordo che, nell'evoluzione del federalismo fiscale e dell'autonomia differenziata, magari ci sarà ancora l'opportunità di confrontarsi con lei. Per ora la ringrazio, e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9,30.