XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati

Resoconto stenografico



Seduta n. 167 di Mercoledì 22 giugno 2022
Bozza non corretta

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 2 

Audizioni sul tema dell'applicazione della legge n. 68 del 2015 in materia di delitti contro l'ambiente (gli auditi saranno in videoconferenza, tranne il dottor Fimiani che sarà in presenza) :
Vignaroli Stefano , Presidente ... 2 
Fimiani Pasquale , Avvocato generale della Procura generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione – Rete delle Procure generali nella materia ambientale ... 3 
Rossi Roberto , Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari ... 3 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 10 
Fimiani Pasquale , Avvocato generale della Procura generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione – Rete delle Procure generali nella materia ambientale ... 11 
Paone Vincenzo , Procuratore Aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Asti ... 11 
Fimiani Pasquale , Avvocato generale della Procura generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione – Rete delle Procure generali nella materia ambientale ... 18 
Affinito Rosalia , Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 18 
Fimiani Pasquale , Avvocato generale della Procura generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione – Rete delle Procure generali nella materia ambientale ... 22 
Mantini Anna Rita , Procuratore Aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Pescara ... 22 
Fimiani Pasquale , Avvocato generale della Procura generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione – Rete delle Procure generali nella materia ambientale ... 29 
Rossi Roberto , Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari ... 30 
Paone Vincenzo , Procuratore Aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Asti ... 30 
Affinito Rosalia , Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 33 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 34 
Fimiani Pasquale , Avvocato generale della Procura generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione – Rete delle Procure generali nella materia ambientale ... 35 
Mantini Anna Rita , Procuratore Aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Pescara ... 35 
Molino Pietro , Sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione ... 36 
Fimiani Pasquale , Avvocato generale della Procura generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione – Rete delle Procure generali nella materia ambientale ... 39 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 40

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
STEFANO VIGNAROLI

  La seduta comincia alle 13.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione degli impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione streaming sulla web-tv della Camera dei deputati.
  Comunico che gli auditi hanno preso visione della disciplina relativa al regime di pubblicità del resoconto stenografico della seduta.

  (Così rimane stabilito).

Audizioni sul tema dell'applicazione della legge n. 68 del 2015 in materia di delitti contro l'ambiente.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca le audizioni sul tema dell'applicazione della legge n. 68 del 2015 in materia di delitti contro l'ambiente.
  Ricordo che, ai sensi della legge istitutiva, la Commissione è tenuta a verificare l'applicazione della legge del 22 maggio 2015, numero 68, recante disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente. In tale ambito attraverso la collaborazione con la procura generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, in particolare dell'avvocato generale Pasquale Fimiani, la Commissione ha occasione di ascoltare il contributo di diversi magistrati delle relative procure.
  L'audizione di oggi ha a oggetto i temi dell'efficacia del sistema delle prescrizioni, di cui all'articolo 6-bis del decreto legislativo numero 152 del 2006, in relazione a concreti problemiPag. 3 applicativi e la valutazione degli esiti processuali effettivi della legge.
  Ringrazio per la loro disponibilità Anna Rita Mantini, procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Pescara, il dottor Roberto Rossi, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari, il dottor Vincenzo Paone, procuratore aggiunto della Repubblica per sul tribunale di Asti e la dottoressa Rosalia Affinito, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Partecipano all'audizione il dottor Luigi Giordano e il dottor Pietro Molino, sostituti procuratori generali della Corte di cassazione. Ringrazio, infine, il dottor Pasquale Fimiani, avvocato generale della procura generale della Repubblica presso la Corte di cassazione – Rete delle procure generali nella materia ambientale, a cui cedo la parola per gestire questa seduta. Grazie.

  PASQUALE FIMIANI, Avvocato generale della Procura generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione – Rete delle Procure generali nella materia ambientale. Grazie, presidente. Facciamo seguito all'incontro che c'è stato l'8 di giugno essenzialmente sul tema del coordinamento e oggi, oltre al tema delle prescrizioni, secondo gli accordi presi a suo tempo, esamineremo anche il tema della confisca e il tema del ripristino.
  Io partirei subito dal tema della confisca, perché poi il tema delle prescrizioni e del ripristino possono in qualche modo tra loro integrarsi, e darei la parola al procuratore di Bari, Roberto Rossi. Indicativamente ciascuno farà un intervento di 15 minuti e poi faremo un secondo giro di integrazione con le eventuali domande. Ringrazio veramente tutti per la disponibilità e do la parola al collega Rossi. Grazie.

  ROBERTO ROSSI, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. Intanto vi saluto tutti, saluto anche i colleghi Pag. 4e vi ringrazio per l'invito. Spero di poter offrire un contributo, partendo più che altro da esperienze personali e da quelle che sono le dinamiche di quello che sta succedendo all'interno del mio ufficio e soprattutto della distrettuale antimafia di Bari.
  Forse in maniera un po' fuori dal tema che mi è stato posto, io vorrei fare un passo indietro, nel senso che per affrontare le tematiche in relazione alla confisca e soprattutto a quello che è il punto principale nella disciplina dei rifiuti da un punto di vista investigativo e di efficacia dell'intera procedura, ovvero il recupero del profitto illecito, secondo me bisogna fare un passo indietro. Partendo dalla mia esperienza e dall'esperienza di tutto il mio ufficio, ho verificato che ci sono alcune dinamiche molto precise nelle quali nascono i profitti illeciti. Se è vero che l'efficacia dell'azione giudiziaria sta nel recupero del profitto illecito, forse l'efficacia «politica» dell'intera legislazione e quella dell'intera disciplina è di evitare che si crei un profitto illecito.
  Io partirei da una brevissima analisi su quali sono le dinamiche che abbiamo potuto osservare che sono «incentivanti» il profitto illecito. Infatti, sappiamo bene che si fa traffico illecito di rifiuti perché conviene economicamente. Vi sono dei profili, che io mi permetto qui di segnalare alla Commissione, che, proprio per come sono strutturate la normativa, l'intera disciplina e le prassi applicative della disciplina, incentivano il traffico illecito.
  Mi spiego con due punti che mi sembrano particolarmente rilevanti. Il primo è un profilo che conoscete benissimo, ovvero il problema della raccolta differenziata dei comuni. Che cosa stiamo osservando? Anche con qualche confronto con i colleghi, credo che sia un fenomeno che abbia una dimensione nazionale. Noi troviamo enormi flussi di materiale che proviene dalla raccolta differenziata dei comuni, che viene raccolta Pag. 5attraverso i consorzi e le piattaforme che sono convenzionate ai consorzi, e che poi a un certo punto diventano un triturato di materiale diverso generalmente codificato con il codice 191212, che è un codice che impedisce in qualche modo la verifica della provenienza degli stessi rifiuti. Noi abbiamo osservato che questi flussi dal porto di Bari vanno all'estero, in Albania, in Grecia o precedentemente in Cina, attraverso anche Albania e Grecia, e questi rifiuti poi venivano bruciati all'estero in cementifici eccetera oppure interrati all'estero e per niente recuperati. Da quando questo fenomeno ha trovato delle resistenze all'estero come in Cina, in Turchia eccetera, poi ha provocato – cosa che la Commissione ha già messo in evidenza diverse volte – il fenomeno degli incendi di questa tipologia di rifiuti.
  Questo dato investigativo si fonda su un dato abbastanza preciso, cioè che di fatto – ora non voglio entrare diciamo nel merito specifico di alcune questioni – la Convenzione tra CONAI (Consorzio nazionale imballaggi) e ANCI (Associazione nazionale comuni italiani) premia i comuni che raccolgono molto materiali e vengono in qualche modo finanziati proprio per la raccolta del materiale. Il sistema nella convenzione è abbastanza chiaro: il consorzio di filiera si impegna a ritirare il materiale, a garantire il successivo avvio al riciclo e si impegna a garantire il riconoscimento dei corrispettivi del materiale conferito, ma non del materiale recuperato. Questo cosa provoca in termini operativi? È vero che ci sono i controlli e che dovrebbero essere fatti i controlli da enti terzi, così come è previsto dalla disciplina e dallo stesso accordo ANCI-CONAI, ma questo provoca che, fatta la raccolta del materiale di pregio, la gran maggioranza di questo materiale raccolto male, perché il problema è quello del conferimento, e senza distinguere tra materiale proveniente effettivamente da imballaggio o da altre Pag. 6tipologie di materiali, viene poi triturato e diventa questo codice. In questo materiale 191212 non solo poi si raccolgono quelli che provengono dalla raccolta differenziata, ma purtroppo vengono anche inseriti una serie di ulteriori materiali come, ad esempio, fanghi industriali eccetera che non possono essere più riconoscibili perché entrano all'interno di questo materiale triturato.
  Sappiamo bene che questa questione è diventata poi una questione che ha interessato anche la Corte di giustizia europea con una sentenza recente che ha proprio criticato l'utilizzo di questo codice CER (Catalogo europeo dei rifiuti) 191212 che in qualche modo impedisce il riconoscimento del materiale la provenienza del materiale di rifiuti.
  La questione è che questa tipologia di sistema aiuta il traffico illecito di rifiuti e in qualche modo lo aiuta attraverso un meccanismo che permette degli utili notevoli senza però effettivamente arrivare al recupero effettivo del rifiuto.
  Un suggerimento – le scelte politiche non spettano a noi, però è un fenomeno che abbiamo osservato – è di dare la possibilità per i comuni di recuperare giustamente le somme che vengono spese per il recupero e per il conferimento e collegare questo conferimento in maniera più decisa al recupero. Da una parte questo qualificherebbe la raccolta e dall'altra imporrebbe al consorzio, o meglio al convenzionato a sua volta del consorzio, il recupero effettivo, perché in questo modo otterrebbe un risultato economico.
  Questo è un primo dato che secondo me è molto importante. Basta verificare i dati, ma la Commissione è ben a conoscenza che tra il recuperato e il raccolto le differenze sono abissali.
  All'interno di questo meccanismo si inserisce una raccolta di materiale più variegato, ma più pericoloso. In alcune indagini abbiamo verificato che abbiamo delle aziende che hanno tutte Pag. 7le autorizzazioni, ma poi trattano un quantitativo di materiale con provenienza dalla raccolta differenziata molto maggiore e inseriscono all'interno di questo materiale ad esempio rifiuti provenienti da ospedale o fanghi industriali che sono facilmente mescolabili in una triturazione. Questo è un punto che mi sembra importante e che va sottolineato.
  Un secondo profilo, che so essere già stato osservato della Commissione, ma credo che debba continuamente essere posto in evidenza, che è il problema più serio quando noi andiamo a fare le confische con la necessità delle bonifiche, è quello dell'effettività delle cauzioni poste a tutela, come la legge prevede, del recupero ambientale o dei danni ambientali. Il fatto è noto e so che la Commissione ha sentito anche l'IVASS (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni) su questo punto.
  Nelle nostre indagini verifichiamo due fenomeni. Il primo è la falsità di molte di queste cauzioni o una serie di strumenti di garanzia economia, come fideiussioni eccetera, quindi un omesso controllo assoluto da parte della pubblica amministrazione, oppure il mancato incasso di questa eventuale fideiussione, quando poi effettivamente il danno avviene.
  Sul punto credo che forse ci vorrebbe un intervento specifico che in qualche modo responsabilizzi i funzionari addetti a questo, per esempio, con una trasmissione alla Corte dei conti di queste cauzioni, fideiussioni eccetera. È chiaro che la Commissione ha già molta attenzione su questo punto, però io tengo a sottolinearlo perché francamente in tanti anni di esperienza non ne ho visto mai recuperare. Sarò stato sfortunato, ma penso che purtroppo il fenomeno è molto diffuso anche con danni ambientali rilevantissimi, in cui non vengono azionati azioni civili eccetera.
  Perché questo è importante? Che cosa succede poi? Così passo al corno del problema che mi è stato direttamente Pag. 8richiesto. Il problema del sequestro del profitto illecito, quindi il sequestro di recupero del profitto illecito, pone un problema perché normalmente queste società, quando incominciano a cogliere che vi sono dei problemi, per cui vi sono dei controlli e inizia l'indagine, immediatamente attivano delle procedure con le quali sostanzialmente cercano di andare a fallire e a entrare in bancarotta, cominciano a non pagare contributi, gli amministratori diventano delle teste di legno, non pagano le tasse, non pagano l'IVA che incassano eccetera. Quando poi arriva la procura al recupero, si ritrova già in una situazione in cui la società è già in uno stato di fallimento. Al di là del fatto che si possa anche piacevolmente dire: «Abbiamo fatto un sequestro, un provvedimento di confisca di 10 milioni di euro», poi effettivamente il recupero diventa un recupero minimale, perché la società è in una situazione di crisi. Spesso queste società sono già mantenute in uno stato di crisi, perché pronti a essere riciclati immediatamente con altre società e/o concessioni di rami di azienda.
  Questo è un punto molto delicato ed ecco perché provocatoriamente – chiedo scusa in questo senso alla Commissione – ho posto il problema di prevenire questa tipologia di fenomeno, proprio perché quando arriva la procura con la richiesta di sequestro, il provvedimento del GIP (giudice per le indagini preliminari) e poi la confisca, il dato economico diventa molto difficile nel recupero effettivo.
  Un ulteriore problema – qui chiudo, ma sono pronto ad ascoltare eventuali domande – è un problema serissimo, che è quello del calcolo del profitto. Qui mi ricollego alla Corte di cassazione che ripetutamente – non sto qui a fare lezioni – ci impone una serie di verifiche che mentre per ingiustizia di profitto, per poter determinare la sussistenza del reato, ha una visione molto larga, per cui dice che l'ingiusto profitto, in base Pag. 9al quale c'è il reato, avviene anche quando vi sono mera induzione dei costi e dei ricavi e il rafforzamento della posizione all'interno dell'azienda, quando va calcolato il profitto in senso materiale, la Corte di cassazione richiede alla procura e al giudice che deve fare il provvedimento una serie di verifiche molto complesse. Leggo: «Deve essere commisurato non già ai ricavi enormi, bensì al cresciuto volume di affari direttamente conseguente – in questo caso è un patto corruttivo collegato a una disciplina di rifiuti – oppure il valore della prestazione deve essere commisurato non solo ai posti vivi, ma deve guardare, per esempio, l'adempimento della prestazione con la controparte che si sia avvantaggiata, guardando le risultanze della contabilità, dei bilanci dell'ente, del costo di mercato» eccetera.
  Qui noi abbiamo due alternative. La prima è rivolgersi a consulenti che hanno dei costi, costi che... (inc. problema audio), quindi pongono un problema del sistema, anche perché esistono molti consulenti specializzati in questa tipologia di analisi. Con il tempo qualcuno ha fatto esperienze e c'è poi uno scambio anche all'interno degli uffici, però anche per quelli più immediati e non maggiormente rilevanti può essere anche la PG (Polizia giudiziaria) a fare questo tipo di calcolo.
  Il problema che ci ritroviamo – so che vi è stato anche segnalato da altri in altre audizioni – è quello della Polizia giudiziaria specializzata per questo tipo di materia. Credo che questo debba essere un passo importante da parte della Commissione, cioè l'invito in qualche modo alle varie forze di Polizia a costituire gruppi di lavoro specializzati su questo tipo di materia. Io non ho mai creduto all'unificazione delle forze dell'ordine e credo che quella della Forestale sia stato tecnicamente un errore, almeno sotto il nostro profilo. Al di là di questo, nel coordinamento che le procure possono e debbono Pag. 10fare occorre incentivare all'interno di ciascun corpo la creazione di gruppi specializzati che non sia solo affidata alla buona volontà. Io penso, ad esempio, alla Guardia di finanza che ha una capacità indubbia di approcciarsi ai bilanci, ma vi è la difficoltà di creare per ogni nucleo o un gruppo specializzato che sappia fare queste cose. O si crea perché il singolo sostituto ha un rapporto a volte con il singolo maresciallo o il singolo capitano e si creano specializzazioni così, ma che non sono buone per il sistema, oppure effettivamente manca questo tipo di attività. Allo stesso modo non si può dire, per esempio, che per i carabinieri solo il NOE (Nucleo operativo ecologico) è sufficiente, perché ovviamente il NOE ha dei rapporti con il Ministero, deve fare le attività di tipo amministrativo e quindi non sempre è idoneo a poter fare questo tipo di lavoro.
  Credo che la Commissione anche in questo senso possa sollecitare i comandanti delle varie forze dell'ordine nella creazione di gruppi specializzati, in particolare per il discorso del calcolo del profitto per non rimanere noi vincolati solamente a consulenti che presentano i loro problemi di spesa e di affidabilità in certe cose e che ovviamente comunque non possono essere esaustivi di questo tipo vi indagini.
  Mi sono mantenuto nei tempi, ma se c'è bisogno di altri elementi, sono pronto a rispondere alle domande o a fornire ulteriori elementi.

  PRESIDENTE. Grazie. Ci tenevo solo a fare due precisazioni sugli argomenti trattati. Per quanto riguarda le fideiussioni, come diceva lei, credo che ci siamo occupati per la prima volta di un tema così specifico in maniera abbastanza approfondita e adesso faremo una seconda relazione. Regione per regione e discarica per discarica abbiamo preso in esame le fideiussioni, ma già le avevamo analizzate nella prima relazione, tanto è vero che è stata anche letta dalla Guardia di finanza e recentemente Pag. 11c'è stato il sequestro della discarica di Albano. Possiamo tranquillamente anticipare che in questa analisi dei siti di discarica in tutta Italia la mancanza delle fideiussioni ha percentuali spaventose e non in società false o non in regola. Credo che a settembre sarà pronta un'analisi puntuale sito per sito.
  Per quanto riguarda, invece, il 191212, il discorso è giusto. Ci tengo a specificare che purtroppo in queste quantità di 191212, che spesso sono mischiate e hanno tutte le problematiche che ha detto lei prima, tanto materiale della raccolta differenziata, soprattutto dove si raggiungono alte percentuali di raccolta differenziata, purtroppo non ha una filiera industriale efficiente e attiva, quindi spesso e volentieri, soprattutto per diversi tipi di plastiche, di default vanno nel 191212 per poi essere purtroppo incenerite o magari finire in discarica. Tecnicamente sarebbero anche recuperabili, basterebbe che ci fosse la volontà di costruire una filiera dedicata. Ho visitato anche un impianto pilota che prende il 191212 e lo trasforma in materia, però quella è un'attività sperimentale che dimostra quanto ci si debba impegnare per evitare questo fenomeno in generale. Grazie.

  PASQUALE FIMIANI, Avvocato generale della Procura generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione – Rete delle Procure generali nella materia ambientale. Passiamo adesso al tema delle prescrizioni e poi passiamo alle due colleghe che potranno integrare anche i due profili di cui si è discusso. Do la parola a Vincenzo Paone, che ringrazio.

  VINCENZO PAONE, Procuratore Aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Asti. Intanto ringrazio sia il collega Fimiani che mi ha dato l'opportunità di intervenire in questa videoconferenza sia la Commissione per l'attenzione che mi vorrà accordare.Pag. 12
  Il tema sul quale io mi soffermerò riguarda questo profilo centrale: quali sono, se ci sono, le criticità nel sistema previsto dalla legge n. 68 del 2015 sulla procedura per l'estinzione delle contravvenzioni ambientali. Solo per introdurre brevemente, salvo qualche piccolissima variante, questa procedura riprende quasi testualmente il sistema che è stato già introdotto nel 1994 con il decreto n. 758 in materia di sicurezza sul lavoro.
  Io mi occupo da tantissimi anni – lo si vede dai capelli bianchi – sia di sicurezza sul lavoro sia di tutela dell'ambiente e devo dire che ho sempre apprezzato moltissimo l'efficacia e anche gli ottimi risultati sia sotto il profilo di garantire attraverso questo sistema l'effettività della tutela dell'osservanza delle norme, sia sotto il profilo sul quale negli ultimi anni secondo me si sta insistendo forse un po' troppo, ovvero quello della deflazione processuale.
  Avendo sempre apprezzato questo sistema, quando nel 2015 il legislatore ha introdotto anche nel settore ambientale lo stesso meccanismo, io ne sono stato molto contento, anche perché – cito un'altra circostanza che è sotto gli occhi di tutti – moltissime delle contravvenzioni ambientali sono destinate purtroppo alla prescrizione. Infatti, se non in primo grado, è molto frequente che si arrivi alla Cassazione con il reato già prescritto, qualche volta addirittura prima nelle more dopo la sentenza di secondo grado in ricorso e qualche volta è prescritto addirittura anche prima.
  È un meccanismo che, come dicevo prima, salva un po' queste contravvenzioni dalla morte e al tempo stesso infligge una sanzione pecuniaria pari al quarto del massimo dell'ammenda. Per il contravventore aderire a questa procedura significa avere da una parte l'estinzione del reato, avere l'archiviazione e non avere neanche conseguenze sul piano del casellario, per esempio, perché questa pronuncia non risulta sul casellario Pag. 13giudiziale, ma significa pagare una somma di denaro sensibilmente inferiore a quella edittale che dovrebbe versare se fosse condannato.
  Detto questo e messo da parte il consenso molto alto alla procedura, io individuo almeno tre molto forti profili di criticità. Uno di questi si è palesato fin dall'inizio ed è quello che riguarda la tipologia dei reati per i quali si applica questa procedura. Il tema nasce dalla disposizione del 318-bis che dice: «Le disposizioni della presente parte si applicano alle ipotesi contravvenzionali in materia ambientale previste dal presente decreto». La norma continua dicendo: «che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali», però adesso lasciamo da parte questa condizione che pone altri problemi. Se avrò tempo, magari nella seconda tornata ci potrà tornare.
  Il problema riguarda il fatto che i reati sono contravvenzionati dal presente decreto e non è ratificato se queste ipotesi sono limitate a quelle punite con la sua ammenda oppure con la pena alternativa, arresto o ammenda, o si debba ritenere – dico subito che io sono contrarissimo a questa tesi – che sono soggetti alla procedura anche i reati puniti con la pena congiunta, cioè arresto e ammenda.
  Su questo tema la Corte di cassazione non ha ancora avuto occasione di pronunciarsi, salvo un accenno che in realtà emerge dalla sentenza, perché uno dei motivi di ricorso è stato questo. In una sentenza depositata il 20 maggio il difensore in sede di ricorso per Cassazione, non avendo sollevato il tema in altri nel giudizio d'appello, aveva posto la questione invocando l'applicazione del meccanismo della legge n. 68 anche per un reato, quale era quello contestato, cioè la discarica abusiva, che è punito con la pena con giorni fa. La Cassazione non è entrata nel merito – questo è un po' mi dispiace –, ma ha ritenuto che Pag. 14il motivo fosse inammissibile perché era una questione non dedotta in appello. È stato un po' un peccato non aver preso la palla al balzo per esprimere un'opinione sul punto, perché effettivamente è una questione che dà origine a dei problemi teorici – dal punto di vista teorico torno fra un istante –, ma soprattutto dal punto di vista pratico.
  Tanto per fare un esempio, nella regione Piemonte abbiamo fatto una riunione un po' di anni fa in procura generale per verificare se c'era la possibilità di omogeneizzare l'opinione dei procuratori sulla tesi più severa e rigorosa, ma il risultato è stato deludente. Infatti, alcune procure, tra cui quella di Torino, cioè una delle principali procure, hanno espresso l'opinione che questa procedura si potesse applicare a tutti i reati, esclusi quelli puniti con la sola pena dell'arresto.
  Uno dei motivi per i quali questa tesi non può essere accolta sta proprio in quello che ho appena detto: se noi accettiamo che un reato punito con la pena congiunta, che è di gravità maggiore rispetto al reato punito con la sola pena dell'arresto, ma per il primo noi ammettiamo nella tesi più liberale la procedura di estinzione del reato e per il secondo no, evidentemente c'è qualche cosa che non quadra.
  A questo proposito aggiungo che uno degli altri motivi formali è quello del rispetto del principio di legalità della pena, perché i fautori di questa tesi in buona sostanza dicono che la pena dell'arresto scompare e non si calcola. Si dice: «Purché ci sia una pena pecuniaria, noi applichiamo il quarto del massimo», ma quella detentiva che fine fa? Viene cancellata in barba al principio di legalità. Non si può neanche sostenere che la pena detentiva possa essere convertita in pena pecuniaria, perché la legge non prevede questo meccanismo, né c'è nessun indizio che possa portare a sostenere questa tesi.Pag. 15
  Gli effetti pratici sono abbastanza importanti, perché sul territorio regionale spesso gli organi di vigilanza come le ARPA (Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente) operano sotto il controllo di due o addirittura anche tre procure della Repubblica e quando vanno a fare i controlli, devono portarsi una mappa, sapendo poi quali sono gli orientamenti dell'una e dell'altra procura. Mi sembra che questo sia già un effetto distorsivo.
  Inoltre, se una procura o un organo di Polizia giudiziaria che rientra nel controllo di una procura che aderisce alla tesi più larga impartisce la prescrizione... È capitato proprio in questi ultimi due mesi che il procedimento fosse di competenza della procura della Repubblica di Asti e ci siamo trovati adesso un po' in difficoltà, perché io ho fatto segnalare che la procedura per noi non è legittima in maniera che il contravventore non versi una somma che in teoria poi gli potrebbe essere restituita, ma crea sempre un problema.
  La seconda criticità molto più rapida è legata al fatto che nel meccanismo previsto dell'articolo 318-septies, in analogia a quello che era già previsto nella legge n. 758, si stabilisce che in caso di adempimento tardivo o con modalità diverse da quelle prescritte il contravventore possa accedere all'oblazione in sede giudiziaria, quindi con l'articolo 162-bis. Tuttavia, mentre nella legge n. 758 in questo caso, proprio perché è una situazione che vuole essere ancora di favore per il contravventore anche da un punto di vista deflazionistico, è previsto comunque che il contravventore sia ammesso a pagare ugualmente il quarto del massimo dell'ammenda, nella legge sui reati ambientali si prevede la metà del massimo.
  Io mi rendo conto che su questo problema è già intervenuta la sentenza della Corte costituzionale del 20 febbraio del 2019 che ha rigettato la questione di costituzionalità, però sollevo il Pag. 16problema e in questo senso mi rivolgo alla Commissione, se dovessero decidere in questo senso, per una rivisitazione del problema, perché la Corte costituzionale ha semplicemente detto che non è manifestamente irragionevole questa differenza di trattamento, ma ciò non toglie che la discrezionalità che la Corte costituzionale in questa sentenza ha ritenuto di non poter sindacare effettivamente, a mio parere non trova tanta giustificazione, tenendo conto che, come dice da Corte, l'obiettivo da un lato è sempre quello di ottenere l'effetto deflattivo e dall'altro ottenere l'adeguamento – leggo testualmente – «degli impianti inquinanti anche l'adempimento tardivo».
  Qui aggiungo ancora un altro particolare: questa norma, anche se testualmente non è scritto secondo me per motivi logici e sistematici, è applicabile anche al caso di chi abbia adempiuto nei tempi, tempestivamente, conformandosi alle prescrizioni, ma che per motivi suoi non abbia effettuato il pagamento in forma ridotta in sede amministrativa, nel momento in cui l'organo di vigilanza manda l'avviso che il contravventore può effettuare il pagamento. In un caso come questo, per un pagamento non effettuato oppure addirittura effettuato tardivamente, perché qui è l'unico termine della procedura che secondo la Corte di cassazione è perentorio, ritardare di un giorno equivale a non effettuare il pagamento.
  Io ho sempre dato l'interpretazione, che credo possa essere condivisa, secondo cui, anche se la legge testualmente non lo dice, sarebbe assurdo applicare il disposto in un caso che è più grave di quello che non è regolato. Il caso non regolato è di chi ha adempiuto tempestivamente e regolarmente, ma è costretto a pagare in sede di oblazione la metà del massimo dell'ammenda, quando, se avesse effettuato il pagamento tempestivamente, come avviene nel settore della sicurezza del lavoro, avrebbe potuto avere il quarto del massimo.Pag. 17
  L'ultimo tema è quello della condizione di procedibilità. C'è un orientamento che ormai è consolidato, anche se secondo me andrebbe rivisitato non per bocciarlo, ma per integrarlo e metterlo meglio a punto, in cui si dice che l'organo vigilanza può anche non impartire la prescrizione. Questa mancata indicazione – l'ultima sentenza è stata depositata il 19 maggio del 2022, quindi un mese fa – non è causa di improcedibilità dell'azione penale.
  Il problema qual è? È che la Corte di cassazione forse dovrebbe approfondire più alcuni aspetti che sono quelli procedurali. La procedura costruita dal legislatore è tutta tarata in senso fisiologico su un sistema che vede indicazione della prescrizione, adempimento, pagamento e constatazione dell'avvenuto adempimento e dell'avvenuto pagamento, comunicazione al PM (pubblico ministero). Il PM a questo punto archivia e si comincia a dire che la prescrizione non è obbligatoria senza dire quali sono i reali casi in cui questa si può effettivamente omettere, dimenticandosi che si può non dare la prescrizione perché non c'è nulla da regolarizzare, ma si deve comunque annettere al pagamento. Questo lo dice sia la Corte costituzionale con una sentenza del 1998 sia la Corte di cassazione con una sentenza del 2019, che ha ribadito che anche nei casi di cosiddetta «condotta esaurita», cioè quando non c'è più nulla da regolarizzare e quando è impossibile provvedere alla regolarizzazione, il contravventore ha comunque diritto ad accedere al meccanismo estintivo di pagamento ora per allora.
  Introdurre queste varianti di una prescrizione che si può non fare senza specificare bene in quali casi introduce dei problemi a livello pratico e operativo che possono diventare abbastanza grossi, perché a questo punto la stessa Cassazione dice: «Sì, ma il contravventore, anche se non ha ricevuto la prescrizione, perché non ha diritto a riceverla, può rivolgersi lo Pag. 18stesso all'organo di vigilanza per attivarsi, per esempio – lo aggiungo, ma lo dice anche la Corte suprema – nei casi in cui ha adempiuto spontaneamente». Dato che la legge n. 68 e gli articoli della legge n. 152 nulla prevedono su questo punto specifico dal punto di vista procedurale, a me sembra che forse fare anche qui un'opera di chiarezza sul punto sarebbe quanto mai opportuno.
  Mi ripromettevo di trattare questi argomenti, ma ce ne potrebbe essere un altro e, se è possibile, ci torno dopo.

  PASQUALE FIMIANI, Avvocato generale della Procura generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione – Rete delle Procure generali nella materia ambientale. Grazie, Vincenzo. Do la parola alla collega Affinito. So che lei e Anna Rita Mantini potreste chiedere la secretazione, ma non è possibile in videoconferenza. Diamo la parola alla collega Affinito. Grazie.

  ROSALIA AFFINITO, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Il tema che mi è stato assegnato e di cui cercherò di parlare sulla base di quella che esperienza anche concreta di questi anni nel gruppo ambiente della procura di Roma è quello che riguarda la bonifica dei siti, le rimessioni in pristino e l'esperienza pratica che in questi anni ho verificato.
  A mio parere il tema va affrontato diversamente a seconda delle situazioni in cui ci troviamo. Vi è il discorso delle discariche abusive, cioè quelle in cui ci si imbatte l'organo di vigilanza o quelle che vengono rilevate e che sono l'effetto di un accumulo progressivo nel corso degli anni da parte di soggetti che poi non vengono identificati. In questi casi siamo di fronte a ipotesi in cui è l'organo pubblico che si fa carico delle spese della rimessione in pristino di queste aree, anche perché c'è una giurisprudenza amministrativa che si è consolidata nel tempo e che ha sostanzialmente annullato le ordinanze che i sindaci Pag. 19emettevano in danno dei proprietari di queste aree, laddove non è dimostrato alcun tipo di responsabilità, neanche per colpa o per omessa vigilanza, da parte dei privati.
  Quando siamo di fronte a queste discariche su terreni di privati che, ad esempio, vivono in altri contesti, all'estero o in altre città e che non hanno la possibilità di effettuare un controllo, su questo, l'organo pubblico, che è il comune, si deve far carico quelli che sono poi gli obblighi successivi di rimessione in pristino.
  Un altro discorso, invece, è quando siamo di fronte a delle attività autorizzate che vengono svolte illecitamente e che possono poi comportare delle violazioni, delle contestazioni di reati quali il traffico illecito di rifiuti oppure una discarica abusiva. Si pensi, ad esempio, a tutte le cave dismesse che con il pretesto del ripristino ambientale vengono sostanzialmente riempite di rifiuti. Quello che deve essere un ripristino in realtà diventa un inquinamento, perché diventano sostanzialmente delle discariche a cielo aperto.
  Qui il discorso è diverso perché si tratta di affrontare il tema dell'efficacia degli strumenti penali che noi abbiamo a disposizione per poter imporre al privato l'obbligo di rimessione in pristino e successivamente bonifica. Questi obblighi sono previsti dalla legge, perché nel 2015 l'articolo 452-duodecies prevede che alla condanna anche in caso di patteggiamento per questi reati consegue la condanna da parte del giudice all'obbligo di rimessione in pristino e nel caso in cui ciò non venga effettuato, scatta un ulteriore reato di omessa bonifica, il 452-terdecies.
  Il punto è l'efficacia di questi strumenti. Considerate che il 452-terdecies è un delitto punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da 20 mila a 80 mila euro, quindi il punto è rendere efficaci questi strumenti.Pag. 20
  Da quella che è la mia esperienza, io ho potuto costatare che la strada più efficace per ottenere in questi casi che il privato ponga mano al suo portafoglio e proceda a effettuare la bonifica – considerate che sono interventi che richiedono impegni economici importanti – è quella di subordinare questa attività alla sospensione condizionale della pena nei casi in cui ciò sia possibile, perché in questo caso il privato è stimolato fortemente e interessato a poter ottenere il beneficio, la sospensione condizionale della pena e a procedere a questa bonifica o rimessione in pristino.
  Questo è un altro tema critico, perché i tempi di queste di queste attività sono tempi molto lunghi perché il privato deve poi procedere a una caratterizzazione dei rifiuti, deve presentare un programma, un progetto di bonifica che deve essere vagliato dall'organo di vigilanza – in genere lo facciamo valutare dall'ARPA – e deve ottenere le autorizzazioni a poter procedere a questa attività di ripristino. Quindi, i tempi sono molto lunghi.
  Faccio solo l'esempio di un procedimento penale trattato lo scorso anno che riguardava una discarica a Ferentino in provincia di Frosinone con indagati e imputati condannati per traffico illecito dei rifiuti e per discarica abusiva e con patteggiamento in cui la pena sospesa è condizionata a questa rimessione in pristino delle aree. È passato un anno e siamo ancora nella fase in cui l'attività è ancora in corso, proprio perché i tempi anche di autorizzazione da parte dell'organo amministrativo sono piuttosto lunghi.
  Già c'è stato questo passo avanti importante con la legge del 2015 che ha introdotto comunque un delitto, cioè quello del 452-terdecies, perché prima di questa fattispecie avevamo completamente le armi spuntate, atteso che il TUA (testo unico Pag. 21ambientale) prevedeva una semplice contravvenzione all'articolo 257 di difficile applicazione concreta.
  La terza ipotesi che dall'esperienza ho potuto rilevare è quella in cui quest'obbligo di bonifica di rimessione in pristino scatta quando si verifica un evento improvviso che possa provocare un possibile inquinamento. Questo perché il testo unico ambientale prevede che al verificarsi di un evento potenzialmente inquinante, il privato deve darne immediatamente comunicazione all'autorità amministrativa e deve procedere immediatamente a porre in essere quelle che sono tutte le attività necessarie di messa in sicurezza.
  Che succede se non fa questa comunicazione? In questo caso anche qui la sanzione penale è veramente una sanzione minimale, perché l'articolo 257 prevede una contravvenzione di scarsissima rilevanza e in questo senso il privato potrebbe non essere assolutamente incentivato a dare comunicazione di questo evento potenzialmente inquinante.
  Vi posso fare un esempio senza entrare poi nel dettaglio. È capitato qui di recente che in un impianto che gestiva depositi di benzina e carburante si siano rotte delle cisterne. Infatti, a queste cisterne sono state fatte delle modifiche e la cisterna si è rotta. A un certo punto il proprietario del terreno accanto, che gestiva un canile, ha visto affiorare proprio dal terreno questi idrocarburi senza che il titolare dell'impianto avesse fatto alcuna comunicazione.
  È chiaro che il privato che fa la comunicazione è obbligato a fare una procedura di lei verifica del superamento delle CSC (concentrazione soglia di contaminazione), delle cosiddette «soglie di contaminazione», a fare il progetto per verificare il superamento di eventuali soglie di rischio, quindi di procedure che sono lunghe e costose, e ha un interesse economico a cercare di occultare l'evento, a gestirlo in economia senza darne Pag. 22quindi comunicazione e senza porre rimedio effettivo al fenomeno potenzialmente inquinante.
  In questi casi occorrerebbe incentivare il privato, eventualmente sanzionando in maniera più severa l'eventuale omessa comunicazione di questi eventi che possono essere effettivamente gravi. Se non si verifica nell'immediato se effettivamente vi è stato un inquinamento o un pericolo di inquinamento, la situazione si scopre a distanza di anni, quando è assolutamente irreparabile.
  Tornando a quello che forse è uno dei principi fondamentali del testo unico ambientale, per cui chi inquina paga, ma se ripara, paga meno, allora dovremmo probabilmente cercare di trovare degli strumenti per incentivare il privato ad adottare queste procedure che per quanto costose, possono trovare un modo per poter poi consentirgli di avere dei vantaggi nella scelta di questa strada piuttosto che quella di non portare la luce queste problematiche e tenerle occulte.

  PASQUALE FIMIANI, Avvocato generale della Procura generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione – Rete delle Procure generali nella materia ambientale. Molto bene, grazie anche per il rispetto dei tempi. Passiamo adesso al procuratore aggiunto di Pescara, Anna Rita Mantini, che penso ci vorrà anche parlare, così come le ho chiesto, delle problematiche emerse nella gestione delle indagini e anche nella fase successiva relativa alla famosa o famigerata discarica di Bussi, che penso sia una delle bombe ecologiche del nostro Paese. Grazie.

  ANNA RITA MANTINI, Procuratore Aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Pescara. Buonasera a tutti. Grazie all'avvocato Pasquale Fimiani e grazie alla Commissione. Spero di poter dare un piccolo contributo esperienziale a quella che è soprattutto l'osservazione conseguente a una vicenda giudiziariaPag. 23 che purtroppo è tristemente nota come quella della discarica di Bussi, del SIN (sito di interesse nazionale) abruzzese disgraziatamente portato alle cronache per i fenomeni di accertata contaminazione delle acque potabili di falda e di disastro derivanti da inquinamento storico di un notissimo gruppo industriale monopolista nell'ambito della chimica.
  Volevo ricollegarmi a quanto aveva molto efficacemente e ampiamente rappresentato la collega Affinito pochi secondi fa, ovvero al tema dell'efficacia, ma io aggiungerei anche il tema del tempo del diritto ambientale.
  Mi rivolgo in particolar modo al legislatore che oggi qui ascolta le nostre audizioni. Io credo che il legislatore italiano è un legislatore che nella materia ambientale, soprattutto negli ultimi anni, ha fatto molto bene. Per esempio, la normativa 68 del 2015 al 68 è un'ottima normativa, come ci diceva il procuratore aggiunto Paone. Può essere una corretta, ma è un'ottima normativa. A mio avviso dobbiamo chiedere al legislatore verso quale diritto penale vogliamo andare: se verso un diritto penale ambientale reale, quindi dell'efficacia, anche in ordine ai tempi e ai risultati, oppure se vogliamo rimanere, come fanno anche altri Paesi all'avanguardia, verso una normazione che sia di mera affermazione valoriale, magari particolarmente elegante, ma non attenta ai risultati.
  Dico questo non in un'ottica polemica, perché chi tutti i giorni lavora con queste tematiche si rende conto che se dobbiamo affrontare i grandi fenomeni di comprensione dell'ambiente, gli strumenti spesso sono del tutto inefficaci, soprattutto per il giudice penale e prima ancora per il pubblico ministero, che deve provare ad accertare quei fatti, dovendo verificare se inquadrarli nelle fattispecie criminose tipizzate e se quei fatti possono essere oggetto di un'aggressione da parte Pag. 24dell'attività investigativa prima e poi dell'accertamento giudiziale dopo.
  Gli inquinamenti storici pongono un grandissimo problema secondo il mio punto di vista, innanzitutto quello del fattore tempo. Voi immaginate che dove, come nel caso della vicenda di Bussi, il soggetto inquinatore è un inquinatore che ha agito a partire dai primi del Novecento, per poi arrivare a un accertamento delle sue condotte di inquinamento continuate – non diciamo «permanenti», perché altrimenti la Cassazione ci censura – fino agli anni Novanta, ebbero quel caso di specie a realizzare quello che è pacificamente ricostruito come un fenomeno di gravissima compromissione di tutte le matrici ambientali, quindi non soltanto quelle aeree o nel terreno, ma falda superficiale e le falde profondissime, quindi le falde acquifere.
  In questa vicenda giudiziale che si è conclusa con passaggi ingiudicati in tutte le sentenze nel 2018 – primo grado nel 2014, secondo grado nel 2017 e accertamento definitivo nel 2018 –, il problema del giudice che da sempre ha osservato e monitorato il tema del ripristino... Mi piace questa parola più che «bonifica», perché io vorrei accedere alla definizione che dà l'articolo 209 del TUA, cioè una visione più ampia di quella di mera bonifica, quindi proprio un'attenzione verso una riqualificazione dei grossi siti inquinati come in questo caso. Nonostante si sia giunti a un'affermazione pacifica di grande compromissione dell'ambiente con gravissimo pericolo anche per la salute, a quel punto la procedura amministrativa che in questo caso implicava la necessità di individuare il soggetto inquinatore, nonostante il passaggio ingiudicato di una sentenza che è stato oggetto di un travaglio processuale, come potete immaginare e come accade nei grandi processi, questa vicenda amministrativaPag. 25 si è sovrapposta e ha gravemente ritardato quello che attualmente forse è l'avvio della fase di bonifica/ripristino.
  Mi chiedo e mi interrogo con il legislatore e con tutti voi: in questi casi, dove c'è stata una vicenda processuale così importante e anche complessa, si è giunti ad un accertamento di un fatto, è davvero necessario dover attendere l'indicazione in questo caso da parte della provincia e poi il recepimento da parte del Ministero dell'ambiente del soggetto inquinatore, cioè di colui che, come diceva bene la collega Affinito, deve adempiere all'obbligo della direttiva del 2004 del proprio inquinamento?
  Dico questo in maniera provocatoria, perché la risposta a questa domanda retorica era sì, almeno per il giudice amministrativo, ma questo ha implicato un «rallentamento» dell'avvio in concreto delle fasi di bonifica di almeno due anni. Voi mi direte: «Cosa sono due anni nell'ambito di un percorso senatorio complesso?». Un biennio comincia a diventare un periodo rilevante, soprattutto nei casi come questo, in cui abbiamo quella che giustamente il dottor Pasquale Fimiani chiamava una «bomba ecologica», cioè una situazione derivante dall'insistenza di discariche con sostanze altamente pregiudizievoli per la salute, con il materiale che rimane ancora in situ, con le MIPRE (misure di prevenzione) e le MISE (misure di messa in sicurezza d'emergenza) – uso questo termine purtroppo alternativamente perché c'è stata anche qui grande confusione sotto il cielo da parte delle autorità –, l'unica misura veramente ripristinatoria in questa realtà è stata quella della rimozione integrale del materiale inquinante che ancora oggi continua a percolare, nonostante la creazione di un capping superficiale che in realtà purtroppo con il passare del tempo veniva a deteriorarsi e nonostante l'esistenza di alcune misure di MISE, che in questo caso sono consistite nella creazione di serbatoi di Pag. 26emungimento delle acque, che provavano a contenere proprio questa questo rilevamento di clorurati che continuano ancora oggi a creare un pericolo per la salute dell'ambiente, ma noi riteniamo anche per la collettività, certamente quella che insiste in quell'area, ma anche tutta la collettività, se riteniamo che l'ambiente è un sistema dinamico.
  Di fronte a questo problema, in realtà a mio parere abbiamo assistito in questa vicenda processuale a un non felice parallelismo della vicenda amministrativa e dell'efficacia nell'attività in concreto del ripristino. Questo è sicuramente stato individuato come un SIN rispetto al quale il Ministero dell'ambiente aveva preso in carico su di sé la fase di gestione largamente detta. La bonifica inizialmente era stata è stata prevista e avviata nelle forme semplificate dell'articolo 242-bis del TUA da parte di un iniziale commissario governativo, Goio, il quale pensò bene di appaltare la bonifica di un sito proprio perché sussistevano queste problematiche anche di «individuazione» paradossale del soggetto inquinatore e la avviò in fase semplificata, quindi in urgenza. Purtroppo quello che era un appalto aggiudicato nel 2018 venne in autotutela messo nel nulla dallo stesso soggetto gestore del sito, cioè il Ministero dell'ambiente, il quale motivò in autotutela questo provvedimento di revoca del bando proprio sulla base di due fattori. A molti questa è parsa una situazione davvero paradossale, proprio perché, come potete immaginare, questa scelta del Ministero più o meno opinabile è stata a sua volta oggetto di impugnazioni al TAR (tribunale amministrativo regionale), al Consiglio di Stato, nell'adunanza plenaria e alla Cassazione. Questa vicenda amministrativa si è chiusa con la riaffermazione che quella gara era legittima e adesso si poteva dare corso. Qual è il risultato temporale? Che la bonifica in senso proprio non è ancora Pag. 27avviata, perché la consegna dei lavori è prevista nell'ottobre 2022 e la fine dei lavori ragionevolmente nel 2024.
  Il giudice penale osserva questa vicenda – sarebbero tantissime le questioni da affrontare anche sulle MIPRE e sulle MISE, perché ovviamente qui c'è stato anche un soggetto proprietario non inquinatore e anche un comune intervenuto in questa vicenda – e, come correttamente diceva la collega, oggi deve porsi il problema della sussistenza di un'omessa bonifica, ai sensi dell'articolo 453-terdecies, delitto che è punibile a titolo di dolo e non di colpa – io credo che le colpe forse possono essere possono essere rintracciate in questa vicenda, ma è difficile sussumere il dolo da parte del giudice penale – e prima ancora il pubblico ministero osserva questo iter, cerca anche di porre dei punti fermi e di relazionarsi con l'ARPA e trova questo ingombrante presenza della macchina amministrativa anche pubblica che pare parli una lingua diversa. Penso che il legislatore, soprattutto per in grandi fenomeni di inquinamento come questo, dovrebbe porsi un problema derogatorio rispetto al sistema generale e alla disciplina prevista su impulso comunitario e pensata forse per le forme più contenute di inquinamento e di bonifica.
  In questi casi, invece, nonostante ci siano delle procure attente come sinceramente ritengo quella che rappresento con ottimi colleghi, pronti fin da subito a verificare che le pene venissero attuate, penso che il legislatore abbia strumenti spuntati sotto il profilo dell'efficacia.
  Tra l'altro, i soggetti sono tanti e tutti hanno contribuito in qualche modo a portare a casa un risultato anche di tipo temporale, cioè pagare tutti tardi e forse pagare meno. Qui abbiamo anche un proprietario non inquinatore, che era il soggetto gestore che il processo aveva accertato essere colui che in qualche modo era subentrato già in un sito pesantemente Pag. 28inquinato e che con una caratterizzazione fatta con dei parametri nel 2004 aveva concorso a portare a conoscenza quello che la procura contestò come avvelenamento delle acque potabili.
  Il soggetto inquinatore si trovò a questo punto onerato degli obblighi di MIPRE fino a quando rimaneva proprietario del sito. Dopodiché questo sito è stato dismesso con una strana vicenda – anche qui non posso entrare nel merito, perché c'è un processo in corso – e dismesso da un comune di quel comune di insistenza delle discariche che, acquistando non una a una le discariche poste a nord del SIN, ovviamente non aveva la disponibilità economica per far fronte nemmeno alle MIPRE previste, anche perché in quel famoso accordo di programma che legittimò l'acquisto una delle condizioni definitorie era che la fase del bando di gara pubblico avviato dal Ministero con l'aggiudicazione del 2018 doveva essere doveva essere portata avanti, perché un comune piccolissimo come quello di Bussi non ha risorse, se non per una gestione corrente. Il comune in questo caso non ottempera neanche alle MIPRE prima avviate dal proprietario non inquinatore, resta due anni senza MISE operative, con fenomeni di inquinamento che continuano e con il giudice penale che ancora una volta ha pochi strumenti per poter ascrivere anche in punto di dolo l'omessa bonifica il soggetto pubblico, questa volta il comune.
  Mi direte che ci sono altri delitti come, per esempio, l'inquinamento o il disastro. Il legislatore penale e anche il giurista sanno che quando c'è un pronunciamento definitivo, un giudicato che ha accertato il fenomeno, valutato sulla base di reati di evento con effetti permanenti, occorre dimostrare un aggravamento della situazione di rischio per la salute, una aggravamento del deturpamento dell'ambiente eccetera, aggravamento che non è facile riscontrare quando c'è un fenomeno continuo, Pag. 29come in questo caso, ma anche quando non c'è una storicizzazione dei valori più inquinanti con sostanze cancerogene che comunque perdurano nel loro spargimento nell'ambiente.
  Oggi colgo questa occasione preziosa per dire all'attenta Commissione, che credo anche nel passato si occupò del sito di Bussi, di riuscire in qualche modo a farsi carico di queste problematiche proprio per poter tendere a un diritto penale ambientale reale, come ci hanno insegnato i giuristi che auspicavano a un diritto penale anche dell'incriminazione che si ponesse alla ricerca di un pericolo in concreto. Auspico semplicemente non una mera affermazione di principi o di valori, ma una disciplina che consenta anche a un attento giudice penale di poter ottenere dei risultati in termini di efficacia. Io forse ho sforato nei tempi, ma sono pronta alle domande.

  PASQUALE FIMIANI, Avvocato generale della Procura generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione – Rete delle Procure generali nella materia ambientale. Grazie Anna Rita per questa testimonianza. Volevo rappresentare alla Commissione un problema che sta emergendo anche dalla lettura della recente giurisprudenza amministrativa, in cui mi sembra che molto frequentemente si stia ponendo il tema delle contaminazioni storiche. Non so se la Commissione ha fatto un focus su come il processo penale, il processo amministrativo e il procedimento amministrativo siano tre insiemi che tra loro non parlano e che a volte entrano anche in contraddizione.
  Vorrei ricordare che in materia di lottizzazione abusiva esiste una norma che consente al giudice penale, anche se la prescrizione interviene nel corso del giudizio di primo grado, purché si siano accertati tutti gli elementi della lottizzazione, di disporre la confisca dell'area. Perché non pensare a una stessa possibilità per il giudice penale che accerti per le contaminazioni storiche pienamente gli estremi di un reato, pur rilevando Pag. 30la prescrizione perché il fatto ormai è risalente? O per questa via o per un maggior coordinamento occorre trovare una soluzione al problema delle contaminazioni storiche, sul quale la giurisprudenza amministrativa ormai è chiarissima – anche il Consiglio di Stato l'ha detto più volte – nel senso di attribuire la responsabilità anche se il fatto di contaminazione sia ormai esaurito. Andrebbe approfondito il tema del rapporto tra questi tre insiemi per trovare una soluzione che consenta l'effettività del ripristino, perché altrimenti si può arrivare alle condanne, si possono avviare i procedimenti, ma mi sembra che le soluzioni non si trovino.
  Questa testimonianza sulla discarica di Bussi, che vorrei ricordare essere inserita proprio in un'area naturalistica alla confluenza di tre fiumi che alimentano un'ampia zona molto urbanizzata della regione Abruzzo, avendo anche un'incidenza anche sulla salute pubblica, richiederebbe un focus particolare che le indagini penali stanno manifestando come urgente.
  Io farei un altro giro di integrazioni, perché so che alcuni argomenti sono stati non esaminati. Poi se ci sono domande, possiamo chiudere. Ricominciamo da Roberto Rossi, prego.

  ROBERTO ROSSI, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. Da aggiungere non ho molto. Credo che questo discorso della prescrizione sia uno degli elementi che vanno valutati anche per quanto riguarda la possibilità del profitto. C'è già la giurisprudenza dove è già stata individuata la sussistenza degli elementi di fatto per la condanna e poi c'è la prescrizione, ma per quanto riguarda il profitto, la giurisprudenza lo permette. Un intervento legislativo che chiarisca tutti questi vari elementi e permetta sempre la confisca del profitto in questo campo sarebbe molto utile.

  VINCENZO PAONE, Procuratore Aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Asti. Mi stavo facendo un appuntino, Pag. 31perché non è il tema sulle delle prescrizioni quello che ho trattato io, però approfitto per dire anche io una sola parola su questo tema trattato da ultimo dalla collega di Pescara. Bisognerebbe pensare, se il legislatore è disponibile, a dei meccanismi che colpiscano realmente la società. L'inquinatore, il soggetto fisico, la persona fisica va e viene. Oggi, quando ha commesso il reato, era amministratore della società, ma se poi non lo è più, faccio un po' fatica a vedere ancora quella persona fisica come destinataria di tutti gli ordini di bonifica e anche della stessa condizionale subordinata. Una misura potrebbe essere l'ordine demolizione in campo urbanistico.
  Come ha detto anche Pasquale Fimiani, in caso di lottizzazione è previsto che si possa applicare la confisca anche quando c'è la prescrizione del reato, mentre la demolizione in materia edilizia non è applicabile quando c'è la prescrizione del reato. Bisognerebbe introdurre misure come la confisca degli immobili, dei beni e delle aree inquinate, e l'ordine di bonifica, introdurle come misure accessorie indipendenti dalla condanna, quindi anche in caso di prescrizione, ma direttamente gravanti sulla società.
  Scusate se sono intervenuto in un settore che non era quello strettamente a me riservato, ma sul mio tema volevo ancora aggiungere un'altra piccola criticità, perché per la verità alla fine mi sembra che anche la Cassazione in una sentenza di poco tempo fa, depositata a luglio del 2021, abbia poi detto un po' la sua su questo tema. All'inizio ho detto che il 318-bis ha introdotto la condizione come requisito negativo che non si può impartire la prescrizione se il reato, se la violazione ha cagionato un danno o un pericolo concreto e attuale di danno per le risorse ambientali.
  È stato sollevato ed è stato oggetto di una sentenza della Corte di cassazione il tema da parte dell'imputato che questa Pag. 32clausola andrebbe interpretata alla luce dell'articolo 300 della legge n. 152, che stabilisce come danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto di una risorsa naturale o dell'utilità assicurata a quest'ultima.
  L'azione del danno ambientale dell'articolo 300 si avvicina di più a fattispecie introdotte nel codice penale con il 452-bis e il disastro ambientale, mentre in campo contravvenzionale direi che il reato o è un reato formale ed è pericolo presunto oppure il danno dovrebbe essere veramente minimo.
  Qui arriviamo a quella che io ho detto prima essere un po' la criticità, cioè affidare all'organo di vigilanza... Apro una parentesi: la legge non prevede neanche formalmente alcun meccanismo di interlocuzione preventiva o successiva tra l'organo di vigilanza e il pubblico ministero. Al di là del fatto che nulla impedisce che la PG possa contattare il PM, però qui si bisognerebbe introdurre dei protocolli o fare dei moduli organizzativi, ma se la legge prevedesse un meccanismo almeno nei casi dubbi di interlocuzione, sarebbe molto meglio, perché si affida all'organo di vigilanza la valutazione sul campo di questo requisito, cioè danno o pericolo concreto e attuale di danno, che non è quel danno grave che integra l'elemento materiale del delitto di inquinamento ambientale, però neanche si può dire che non ci deve essere nulla, perché, come ho scritto anche in un mio articolo, aprire uno scarico non autorizzato è comunque una modificazione della realtà, perché lo scarico prima non c'era e adesso c'è, però lo scarico potrebbe essere non inquinante o con una portata molto ridotta. In un caso come questo noi potremmo avere un reato che è effettivamente sussistente e che provoca una modificazione della realtà, ma non provoca quel danno o quel pericolo concreto attuale di danno che osta all'emanazione della prescrizione.Pag. 33
  In questo caso sinceramente non saprei dare un suggerimento operativo, poiché non so fino a che punto è possibile in via normativa integrare o correggere, ma segnalo che questo potrebbe essere un problema, perché dipende molto dalla sensibilità, oltre che dalla competenza e dall'esperienza dell'organo di vigilanza, ampliare o ridurre la portata applicativa di questa clausola. Vi ringrazio.

  ROSALIA AFFINITO, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Io faccio solo due precisazioni. La prima precisazione riguarda questo tema delle prescrizioni, poiché anche noi a Roma abbiamo diversi problemi. Uno riguarda il problema del concorso di persone nel reato, perché anche su questo probabilmente il legislatore potrebbe chiarire, nel senso che non tutta quella che è la disciplina prevista dalla normativa in materia di infortuni sul lavoro è stata trasposta delle contravvenzioni ambientali. Ad esempio, il problema di concorso di persone nel reato, cioè se il pagamento di uno solo dei soggetti a cui viene contestato il reato possa avere benefici anche per gli altri e possa portare all'estinzione del reato anche quegli altri, non è espressamente nella normativa e forse andrebbe chiarito. Fondamentalmente noi ci regoliamo distinguendo se vi è concorso formale o concorso materiale.
  L'altra questione riguarda la possibilità di applicare in questi casi la cosiddetta «continuazione». Mentre nella materia sugli infortuni sul lavoro è previsto un meccanismo che è uguale a quello penale dell'articolo 81 alla continuazione in caso di violazione della medesima norma, che comporta un aumento della sanzione fino al triplo, in questa materia non è prevista e può portare all'applicazione della mera somma delle varie sanzioni amministrative senza avere un meccanismo mitigatorio. Questa potrebbe essere un'altra modifica che potrebbe in Pag. 34questo senso agevolare o comunque incentivare il pagamento di queste sanzioni.
  Tornando a quello che era il mio tema, ovvero il problema delle bonifiche, che non ho trattato, non essendo la seduta secretata, il vero problema è quello che si pone nel momento in cui le discariche vengono chiuse – lo avete affrontato all'inizio – e quindi non ci sono i soldi per poter procedere a tutta quella che la fase del capping e poi della successiva fase post mortem. Non solo vi è la mancanza non solo delle fideiussioni, ma in un noto caso romano la tariffa già prevedeva che una quota parte doveva essere destinata al capping e al post mortem e poi quando è stata sequestrata la società, questi soldi in realtà non c'erano, anzi la società era priva di fondi con il risultato che adesso lo Stato si farà carico con i soldi del PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) di procedere al capping e alla bonifica.
  Bisogna trovare uno strumento per consentire al privato, che svolge un'attività molto remunerativa e che lo fa anche per trent'anni, perché ha delle autorizzazioni molto lunghe nel tempo, che nel corso degli anni accumuli fisicamente le somme e verosimilmente neanche le garanzie fideiussorie. Bisognerebbe trovare un meccanismo per cui venga trattenuta proprio dal pagamento sulla tariffa a monte dallo Stato quella che è la quota parte destinata al post mortem e non lasciare al privato la possibilità di poterlo gestire o di poterlo garantire con fideiussioni che a distanza di anni si rivelano farlocche, perché anche le stesse società poi falliscono o quant'altro. Grazie.

  PRESIDENTE. Se posso rispondere alla dottoressa, innanzitutto ci sono stati dei buchi audio che hanno un po' compromesso l'intelligibilità, ma spero che nel resoconto stenografico tutto quadri e tutto torni. Ci siamo occupati della questione e continueremo ad occuparci, anche sul tema delle fideiussioni, Pag. 35ma abbiamo anche analizzato il caso di Malagrotta ed effettivamente si sente la mancanza di tutele di questo tipo.
  Per quanto riguarda la questione della segretezza – se lei vuole, a noi fa molto piacere –, la invito a mandarci una nota riservata in modo tale che noi la possiamo analizzare e la possiamo comunque utilizzare. Grazie.

  PASQUALE FIMIANI, Avvocato generale della Procura generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione – Rete delle Procure generali nella materia ambientale. La collega Mantini, prego.

  ANNA RITA MANTINI, Procuratore Aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Pescara. Volevo dirvi una cosa. Sempre in tema di ripristino andrebbe forse verificato bene l'ampliamento della 231, laddove vediamo che ci sia un difetto di coordinamento tra l'ipotesi contravvenzionale del TUA e il nuovo delitto, il 453-terdecies, visto che, come diceva il procuratore Rossi, la molla che ti porta ad agire per il ripristino è certamente il risparmio di spesa. Secondo i pubblici ministeri questo è un fattore da incentivare per poter arrivare a una prevenzione ambientale, prima che a un diritto penale della condanna o comunque del ripristino.
  Mi permettevo di segnalare una non facile interpretazione ad opera anche delle autorità amministrative, quindi forse anche dei tecnici del Ministero, delle diversissime nozioni di MIPRE e di MISE, spesso e volentieri utilizzate come sinonimi o comunque con delle funzioni assimilabili, ma sappiamo tutti che, invece, non è così. La disciplina che pone le loro definizioni e i loro scopi è assolutamente diversa. Se di MIPRE possiamo parlare anche per il soggetto che volontariamente si fa carico del ripristino, quindi il gestore, il proprietario non inquinatore, di MISE possiamo parlare sicuramente solo per il soggetto Pag. 36inquinatore con un diverso carico sia del peso dell'attività e della sopportazione degli oneri economici.
  Nella prassi riscontriamo questa netta diversificazione anche ideologica e concettuale, che mi pare spesso manchi e che determina anche delle conseguenze in ordine a questi fenomeni di confusione amministrativi che riverberano necessariamente anche sull'efficacia della tutela del ripristino.
  Solo per concludere, ricollegandomi alle parole dell'avvocato generale, del collega Pasquale Fimiani, oggi mi sento di dire che le tematiche della tutela ambientale, che determina ancora un perdurante rischio per la salute e per l'ambiente, non può essere affrontata con una visione burocratica. Il tema del dialogo diventa centrale.
  Nel caso di specie di Bussi non è possibile pensare che gli organi tecnici, come l'ARPA e l'ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ancora nel 2021 e nel 2022 segnalano al Ministero dell'ambiente delle situazioni gravissime – in assenza di secretazione non possiamo entrare nel merito – che riguardano anche l'alimentazione umana e che ciò determini un rimpallo di responsabilità – non voglio essere polemica – e di un confronto di chi deve fare cosa senza che ci sia un soggetto attuatore del ripristino in senso ampio di questa situazione che comunque si prenda carico dell'urgenza. Io credo che questa sia una lacuna da colmare da parte del legislatore, perché in campo ci sono dei valori fondamentali costituzionalmente rilevanti come l'articolo 32 della nostra Costituzione sulla salute della collettività. Grazie.

  PIETRO MOLINO, Sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione. Sì, faccio due piccole considerazioni. Sul tema delle prescrizioni le principali criticità, quelle di più interesse per quanto riguarda anche il lavoro della Commissione, riguardano evidentemente la necessità di chiarire definitivamente Pag. 37alcuni aspetti che devono favorire e migliorare il sistema delle prescrizioni.
  Il punto principale, che è quello della tipologia delle prescrizioni ai reati applicabili, è un punto non secondario, perché determina una disparità di trattamento all'interno del territorio nazionale e non favorisce neanche quel rapporto di omogeneità e di professionalizzazione del lavoro anche da parte delle agenzie regionali chiamate a effettuare l'attività di verifica, di controllo e di successiva individuazione ed elaborazione della prescrizione.
  Il secondo punto sottolineato dal procuratore Paone, che è altrettanto importante, riguarda la necessità di chiarire una volta per tutte se si tratti di una condizione di procedibilità e cosa succede se questa prescrizione non viene impartita. Questo tema incrocia anche la necessità di chiarire anche il ruolo e l'interlocuzione tra la Polizia giudiziaria, quindi anche tra l'organo accertatore, e il pubblico ministero, che necessariamente per dettato costituzionale non può essere esautorato dal momento finale di verifica della congruità della compiutezza e dell'adeguatezza della prescrizione rispetto a quella che è stata la violazione accertata.
  Un punto che non è stato sottolineato, ma che mi sembra altrettanto importante ai fini di una implementazione del meccanismo delle prescrizioni, è quello della destinazione delle somme, dell'individuazione esatta e precisa da parte dell'articolato normativo di quale sia il soggetto che deve riscuotere la somma a titolo di oblazione e l'utilizzo stesso e immediato delle somme che vengono percepite.
  Sul lato, invece, della bonifica e del ripristino, i due temi che sono stati intercettati nell'audizione odierna e che mi paiono totalmente centrali sono quelli relativi all'individuazione di risorse oggi e subito adeguate a sopportare eventuali costi di Pag. 38bonifica. Questo è un tema complessivo che intreccia anche la tematica dell'urbanistica e del paesaggio, sul quale probabilmente il legislatore interno non ha abbastanza riflettuto, nel senso che serve a poco attuare cauzioni, fideiussioni eccetera, quando poi il danno è stato fatto, se vi è stata mutazione o una modifica impattante dell'assetto territoriale e paesaggistico dell'ambiente e delle matrici ambientali, sulle quali poi è difficilissimo intervenire, vuoi perché le fideiussioni e le cauzioni sono false o comunque inadeguate, vuoi perché, come ricordavano i colleghi, spesso e volentieri il soggetto fisico non è neanche più quello.
  Occorre pensare a meccanismi preventivi di accumulo stratificato ma costante nel tempo di somme che siano in grado di garantire la possibilità di effettuare operazioni di ripristino, generalmente considerate probabilmente a carico dello Stato, perché qui poi si tratterà di pensare se effettivamente il recupero di tutte queste matrici o il recupero del territorio sia un'operazione che vogliamo sempre consegnare al privato che spesso e volentieri è il responsabile di queste violazioni, il quale evidentemente ha una controspinta e un interesse antagonista a effettuare queste operazioni di recupero, di ripristino, di demolizione e di quant'altro o se, invece, fare in modo che questo meccanismo sia assunto dalla collettività, ma sulla base di un patrimonio, sulla base di una dotazione finanziaria di cui ci siamo dotati.
  L'ultimo punto è quello relativo al reato di omessa bonifica. Qui la collega sottolineava la difficoltà di immaginare una ulteriore incriminazione per omessa bonifica a fronte di un procedimento di bonifica che è rimesso all'autorità amministrativa, che consegue a un precedente accertamento giudiziale rispetto al quale magari si è data la sospensione condizionale subordinata. Qui la tematica è amplissima e potrebbe essere Pag. 39oggetto di riconsiderazione e di analisi un po' più ampia da parte della Commissione, perché i punti di criticità della scelta di individuare come ulteriore fattispecie penale una condotta che non è quella di inquinamento, ma è quella di inadempimento dell'obbligo di bonifica pone non pochi problemi anche con il rischio che vi possa essere una doppia incriminazione, una doppia punizione da parte di un soggetto che prima viene punito per aver inquinato e una seconda volta viene punito per non aver bonificato.
  Le tematiche sono importanti e mi sembra che queste siano le criticità più evidenti emerse della discussione odierna.

  PASQUALE FIMIANI, Avvocato generale della Procura generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione – Rete delle Procure generali nella materia ambientale. Visto che non ci sono interventi, ringraziamo tutti e mi limito a una considerazione finale. Questo è il terzo presidente con cui noi abbiamo a che fare come procura generale e fin dall'inizio di questo rapporto di collaborazione che nel tempo si è consolidato e subito dopo la legge n. 68 sono emerse molte delle criticità che oggi sono state confermate. Mi pare che i tentativi di intervento di maquillage sul 68 si sono fermati di fronte al rischio di una sostanziale arretramento della tutela, però piccoli aggiustamenti sul versante delle prescrizioni e sul versante del coordinamento tra la contravvenzione di omessa bonifica e il delitto di omessa bonifica potrebbero essere pensati, così come un ritocco alla responsabilità degli enti, come era stato sottolineato in precedenza, proprio per valorizzare la responsabilità della società rispetto alla persona fisica amministratrice, che molto spesso è solo una testa di legno.
  Noi vi ringraziamo. Faremo un nostro report che poi si confronterà il rapporto stenografico e dopo l'estate faremo il punto. Grazie.

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  PRESIDENTE. Anch'io ringrazio tutti per il vostro prezioso contributo in attesa dell'eventuale nota riservata di cui parlavamo prima. Cercheremo di tradurre tutti questi spunti e tutte queste considerazioni in una relazione finale. Grazie a tutti.

  La seduta termina alle 15.25.