XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati

Resoconto stenografico



Seduta n. 157 di Giovedì 14 aprile 2022

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori.
Vignaroli Stefano , Presidente ... 2 

Audizione di Francesco Fatone, ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche, sul tema dei flussi paralleli illeciti di rifiuti (l'audito interviene da remoto) :
Vignaroli Stefano , Presidente ... 2 
Fatone Francesco , ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche ... 2 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 8 
Fatone Francesco , ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche ... 9 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 9 
Fatone Francesco , ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche ... 9 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 9 
Fatone Francesco , ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche ... 9 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 10 
Fatone Francesco , ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche ... 10 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 10 
Fatone Francesco , ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche ... 10 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 10 
Fatone Francesco , ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche ... 10 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 10 
Fatone Francesco , ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche ... 11 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 12 
Fatone Francesco , ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche ... 12 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 13 
Fatone Francesco , ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche ... 13 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 14 
Fatone Francesco , ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche ... 14 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 14 
Fatone Francesco , ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche ... 14 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 15 
Fatone Francesco , ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche ... 15 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 15 
Fatone Francesco , ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche ... 15 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 15 
Fatone Francesco , ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche ... 15 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
STEFANO VIGNAROLI

  La seduta comincia alle 13.35

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione degli impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione streaming sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Francesco Fatone, ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche, sul tema dei flussi paralleli illeciti di rifiuti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione in videoconferenza del professor Francesco Fatone, ordinario di ingegneria chimica ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche sul tema dei flussi paralleli illeciti di rifiuti. In particolare, la Commissione è interessata ad acquisire dati ed elementi informativi sull'utilizzo dei fanghi come fertilizzanti in agricoltura, anche con riferimento alle maggiori criticità ed eventuali esigenze normative. Comunico che l'audito ha preso visione della disciplina relativa al regime di pubblicità del resoconto stenografico della seduta. La invito ad illustrarci il tema in oggetto, in particolare per quanto riguarda il tema dei fanghi, del recupero di un po' tutti i materiali, in particolare anche del fosforo. È anche collegato l'onorevole Zolezzi, è anche merito suo se al Ministero è stata fatta questa piattaforma sul fosforo. Volevamo approfondire nella maniera più tecnica possibile questo sistema e tutte le varie sfaccettature connesse. Poi eventualmente le faremo qualche ulteriore domanda. Prego.

  FRANCESCO FATONE, ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche. Grazie. Inizierò con l'illustrazione di quali sono le principali tematiche a livello europeo e a livello nazionale e quali sono le soluzioni tecnologiche. Grazie di questo invito che ho accolto con molto piacere. Oltre a essere un accademico, rivesto ruoli in piattaforme europee, in particolare coordinò il cluster Circular Water, ovvero la gestione circolare dell'acqua nell'ambito della piattaforma Water Europe e nell'International Water Association sono segretario generale del cluster Resource Recovery from Water, quindi il recupero di risorse dalle acque. In quest'ottica, oltre a sviluppare soluzioni a livello di ricerca e innovazione, coordiniamo gruppi di portatori di interessi che vedono l'acqua e le acque reflue in particolare, come un valore da recuperare e utilizzare. Ho anche coordinato una grossa azione di innovazione europea Horizon2020 che si occupava proprio di soluzioni tecnologiche per recuperare risorse, ad esempio fosforo e azoto, cellulosa più polimeri e decarbonizzare, ovvero diminuire l'impronta di carbonio, l'impronta energetica degli impianti di depurazione. Questa azione di innovazione iniziata nel 2016 e finita nel 2020 è stata anche premiata come miglior progetto d'innovazione nell'ambito di Horizon2020 e anticipava quali sono le tematiche adesso prioritarie nell'ambito del Green Deal. Sono stato anche nel gruppo di lavoro del Ministero dell'ambiente che ha esteso la bozza di decreto fanghi, disponibile dal giugno 2019, come esperto tecnico. Fatto questo background iniziamo dal tema di Pag. 3recupero di risorse. Sicuramente gli impianti di depurazione che producono i fanghi di depurazione sono sempre stati visti come un sistema che deve restituire all'ambiente delle acque che abbiano una qualità tale da essere compatibili col corpo d'acqua che le riceve. In realtà, le stesse acque reflue sono fonti di risorse il fosforo, probabilmente tra tutti è una delle più importanti perché è anche la materia prima critica. Ad oggi il recupero di fosforo è applicato soprattutto in nord Europa, in Germania, in Olanda, in Belgio, nel Regno Unito, in Nord America, in Giappone, ma meno in Cina con oltre 100 impianti che sono in piena scala operativi. Dopo arriverò a parlare di più nello specifico della tecnologia. Questa lista è disponibile presso la Piattaforma europea del Fosforo, c'è già una versione aggiornata all'ottobre del 2021, la prossima sarà aggiornata al gennaio 2022. Sempre sulla Piattaforma europea del Fosforo è disponibile un catalogo aggiornato riguardo alle tecnologie. Quando si parla di recupero fosforo, possiamo avere due sistemi. I sistemi integrati degli impianti di depurazione sono quei sistemi che producono soprattutto struvite, ma anche idrossiapatite e questi verosimilmente possono recuperare dal 10 al 50 per cento, tipicamente il 20 per cento del fosforo influente. Come dicevamo, gli impianti di depurazione municipali sono circa 50 nel mondo. Questi sistemi sono stati scelti perché vedono la loro sostenibilità, anche economica, non tanto nella vendita della materia che viene recuperata – che purtroppo sconta ancora il prezzo non competitivo rispetto alla materia prima fossile, la materia prima da miniera – ma sul vantaggio che questa porta della minore manutenzione e anche nella maggiore disidratabilità di fanghi. Grazie a questi minori costi di gestione dell'impianto è stata scelta per moltissime soluzioni. D'altra parte ci sono Paesi europei, come ad esempio la Germania, la Svizzera, che hanno legiferato in materia di recupero di fosforo. Ad esempio, la Germania ha legiferato su una obbligatorietà del recupero fosforo per impianti che hanno una taglia medio-grande sopra i 50 mila abitanti e per contenuto di fosforo all'interno dei fanghi che supera il due per cento. Per raggiungere queste soglie, è probabilmente necessario implementare soluzioni che vadano a recuperare maggiore percentuale rispetto al fosforo che entra negli impianti e su questo Paesi come la Germania si stanno muovendo sul recupero di fosforo da ceneri. Con queste soluzioni si è in grado di recuperare circa l'80 per cento – qualche produttore dice fino al 90 – del fosforo influente sotto forma di acido fosforico, calcio fosfato, super fosfato. Di questi impianti in piena scala, oggi pienamente operativi ancora non ce ne sono. Ne sono stati realizzati, sono in fase di avviamento, io sono aggiornato fino a questa settimana, grazie alla piattaforma europea di cui ero partner con il progetto che ho coordinato. Ma è importante sottolineare che per quanto riguarda questi impianti, la taglia che si è considerata sostenibile da un punto di vista tecnico-economico è una taglia che prevede circa 20 mila tonnellate di ceneri all'anno. Se noi facciamo una stima di quanto questo può corrispondere, si tratta di un bacino di sei, sette milioni di abitanti. Anche in Germania per coprire l'intero scenario nazionale si è pensato a una pianificazione che preveda cinque dieci impianti. Le taglie presuppongono non interventi nel singolo impianto di depurazione, ma aggregazione e hub di raccolta che possono permettere questa estrazione. Parliamo di aspetti che sono molto diversi, ovvero implementazione del recupero fosforo da sistemi integrati, che però ha un'economia di scala molto più bassa, può essere implementata verosimilmente in due, tre, quattro anni perché bisogna intervenire anche sulla linea di trattamento acque. Mentre l'implementazione di sistemi di recupero fosforo da ceneri, ovviamente, presuppone il sistema di incenerimento prima di tutto e anche questa più grande economia di scala, quindi sono sistemi che verosimilmente possono vedere la luce in orizzonti che non sono inferiori a cinque-dieci anni. Nello scenario italiano, io sono stato molto contento di parlare – anche nella fase di creazione – della Piattaforma italiana del Fosforo quando ancora non esisteva, perchéPag. 4 una delle mie prime attività di ricerca è stata l'avviamento dell'impianto di recupero struvite di Treviso. Questo impianto è stato avviato oltre vent'anni fa ormai, era l'inizio del 2000 ed era un'attività pionieristica, in realtà eravamo tra i primi in Europa a implementare in piena scala un sistema di recupero fosforo presso il depuratore di Treviso Sant'Antonino. Pensate che l'immagine di quell'impianto è sulla copertina del manuale di recupero fosforo dell'International Water Association, quindi è un impianto noto in tutto il mondo. La barriera che ha frenato l'applicazione, ma anche l'esercizio di quell'impianto era il fatto che quella struvite che veniva prodotta – quindi il fosforo che veniva recuperato – pur avendo delle buone performance impiantistiche, era considerato un rifiuto. Questo vincolo normativo di fatto ha frenato ulteriore interesse anche dei gestori in questa soluzione. Se pensiamo allo scenario italiano, in Italia abbiamo un impianto in piena scala che recupera struvite, ma non da depuratori municipali. Il tema di questa audizione sono i fanghi di depurazione civili. Abbiamo un impianto nell'azienda Pizzoli che recupera struvite in quantità che vengono già oggi recuperate e riutilizzate in un'azienda di fertilizzanti, ma impianti in piena scala che recuperano fosforo non sono operativi. C'è un tema non soltanto normativo, ma è anche un tema del contenuto di fosforo nelle nostre acque reflue urbane. Mediamente le acque reflue urbane in Italia sono meno cariche di fosforo. Se in Europa ogni persona scarica in fognatura 1,5-2 grammi di fosforo al giorno, in Italia ne scarichiamo 1-1,3. In realtà, perché siamo stati virtuosi, fin dagli anni Ottanta abbiamo regolamentato l'utilizzo di fosforo nei detergenti e questa nostra operazione sostenibile antesignana in realtà ha portato a un minore contenuto di fosforo, da cui deriva un minore contenuto di fosforo nei fanghi. Da qui è centrale non pensare che una soluzione applicata in Germania dove i contenuti fosforo nelle acque possono essere anche il doppio di quelle italiane, può essere replicata tout court anche in Italia. È cruciale considerare in Italia da un lato i flussi di massa reali, qual è l'assetto impiantistico esistente. I nostri impianti seppur possono sembrare molto simili a quelli nordeuropei, in realtà applicano processi, ad esempio non c'è la rimozione biologica del fosforo. Molti dei nostri impianti trattano acque che sono meno cariche, quindi ad oggi una fattibilità del recupero fosforo dagli impianti anche medio-grandi sarebbe necessaria per poter pensare ad una pianificazione. Tant'è vero che anche quando abbiamo lavorato come esperti tecnici alla bozza del decreto fanghi, abbiamo pensato proprio a questo, quantificare i flussi di fosforo recuperabile, ma oggettivamente facendo misure e non stimando da modelli, prendendo letteratura che, tra l'altro, molto spesso non è neanche italiana. Molti limiti individuati per il recupero di fosforo sono relativi all'economia di scala e senza questa economia di scala la materia recuperata difficilmente trova un mercato stabile. È importante considerare l'aspetto impiantistico e in questo momento storico – come sappiamo – è in fase di revisione la direttiva europea sui fanghi di depurazione, in fase di revisione la direttiva sul trattamento acque reflue urbane, la 91/271, il recupero di fosforo è stato inserito nell'ambito della tassonomia europea della finanza sostenibile. Sembrano esserci delle circostanze che possano favorire queste azioni circolari che però, ripeto, devono essere ancora quantificate probabilmente a livello nazionale. Tutto questo per sottolineare che gli ostacoli non sono tecnologici, ma sono normativi, sono gli asset probabilmente, ma non secondari e probabilmente sono anche relativi al costo del fosforo recuperato. Ancora oggi i costi di recupero – se parliamo di struvite, del fosforo recuperato da ceneri – possono andare dai due, tre euro al chilo, fino ai cinque, dieci euro al chilo. Il fosforo che deriva da estrazione da miniera è mediamente 1-1,5 euro al chilo, anche più basso. Questi sono costi variabili che anche io vado a studiare volta per volta, sono un ingegnere di formazione, quindi mi occupo di trattamenti. Tutto ciò rende questo sistema circolare economicamente molto spesso difficile da essere interessante per un'ampia scala. D'altra parte, i valori aggiuntiPag. 5 che il recupero fosforo può portare quando si parla di struvite – prima parlavo di minore manutenzione, minore produzione fanghi legata alla maggiore di disidratabilità – possono rendere caso per caso interessante questa soluzione. Dove abbiamo avuto un grande impulso al recupero di fosforo – ad esempio in Germania – ciò è legato a dettami normativi, dove abbiamo avuto un'ordinanza nazionale che obbliga al recupero di questa materia prima critica. Però stiamo molto attenti, perché andando a fissare un limite di recupero – il 50 per cento – io sto di fatto implicando molto spesso soluzioni che indicano una strada di gestione fanghi legata a processi di incenerimento, quindi il recupero che può superare il 50 per cento, perché altre soluzioni integrate negli impianti difficilmente possono arrivare a quella taglia. Anche sull'effetto indotto di porre delle soglie si devono fare delle valutazioni quantitative. D'altra parte dai fanghi di depurazione possiamo ricavare non solo fosforo, ma materiale di alto valore. Il progetto che ho coordinato riguardava 27 partner, 20 aziende da molto piccole a molto grandi, e solo sette università e centri di ricerca. Come tante azioni di innovazione, sono azioni in cui circa il 70 per cento del totale dell'attività è fatta aziende, è tutt'altro che ricerca di laboratorio. Noi abbiamo dimostrato come si può recuperare cellulosa da fanghi di depurazione, la carta igienica utilizzata di fatto. Abbiamo dimostrato come si possono recuperare più biopolimeri polisaccaridi, sono dei biopolimeri biodegradabili, quindi molto legati alla bioeconomia e l'abbiamo dimostrato in scala. Ci sono dimostratori che hanno replicato questa esperienza in Italia, in provincia di Milano e a Milano in particolare (area periurbana di Milano). Sono soluzioni che oltre a vedere il recupero di materia, hanno il valore aggiunto che questa materia – come la cellulosa che è meno biodegradabile nei depuratori – poi non va a produrre più fanghi. Anche in questo caso, la scelta è legata a ulteriore valore aggiunto di minore produzione di fanghi e minori costi che vanno a bilanciare l'investimento iniziale. Il valore della materia recuperata è molto legato al potenziale mercato. Proprio in questi giorni, nell'ambito dei miei ruoli europei, soprattutto, mi sono interfacciato con la Piattaforma europea del Fosforo e con altri colleghi internazionali. Ho saputo e anche studiato l'ultimo documento del Joint Research Center nell'ambito della revisione della direttiva sui fanghi, ma nella volontà di individuare tra i rifiuti prodotti quelli che sono prioritari per poter facilitare dei processi end of waste anche a livello europeo. Il Joint Research Center ha svolto un'azione di coinvolgimento dei portatori di interesse e nel marzo ha pubblicato il report che ha individuato nella priority list, la lista di priorità nei candidati iniziali su cui lavorare, materie che non sono legate ai fanghi di depurazione. Questo da persona che lavora nel settore del ciclo idrico integrato e molto nelle acque reflue, ancora una volta fa capire come purtroppo il flusso dei fanghi di depurazione rappresenta probabilmente la Cenerentola del settore rifiuti, ovvero qualcosa che in termini di quantità del recuperabile è minore rispetto ad altri flussi, rifiuti plastici, rifiuti di demolizione e altri flussi di rifiuti. Quindi, essendo le quantità non interessanti per una grossa economia di scala, vengono considerate non prioritarie. Si parla tanto di economia circolare dell'acqua, di bioraffinerie come evoluzione dell'impianto di depurazione, ma questo documento recentissimo – ripeto, è stato pubblicato il mese scorso – ha ancora una volta individuato delle potenzialità, dice che le tecnologie ci sono, ma gli Stati membri non hanno considerato queste come qualcosa su cui lavorare in prima istanza. Questi gli ultimi sviluppi, su questo si andrà a lavorare anche nell'ambito della revisione della direttiva europea. D'altra parte, dobbiamo dire che in Italia oltre ad aver coordinato con delle azioni di innovazione più importanti a livello europeo sul recupero di materia da fanghi di depurazione – ripeto, questo progetto è stato elaborato nel 2015, avviato nel 2016, siamo stati pionieri in Europa e questo ci è riconosciuto, è anche uno dei motivi per cui un italiano ha questi ruoli che prima citavo di coordinamento in Europa. L'impianto di recupero Pag. 6biopolimeri che noi abbiamo dimostrato su scala pilota nell'impianto di Carbonera in provincia di Treviso adesso è in fase di ulteriore skill up, fino a potenzialità che potevano recuperare circa 100 tonnellate di biopolimeri all'anno. L'impianto sarà localizzato nell'ambito di un altro progetto Flagship che si chiama Circolar Biocarbon nel comune di Sesto San Giovanni. La parte di validazione tecnologica che sta comunque procedendo, ma ripeto, quando si analizzano i fanghi del contesto dei rifiuti in generale, puntualmente le priorità diventano altri flussi più quantitativamente importanti. Se la domanda fosse: «Volendo spingere il recupero fosforo anche in Italia, volendo recuperare tutto il fosforo dai fanghi di depurazione, quanto riusciremmo a renderci indipendenti a livello nazionale?» Consideriamo che noi di fatto – ma non siamo solo noi, in realtà quasi tutta Europa – siamo quasi completamente dipendenti dall'estero, moltissimo da Paesi africani per l'importazione di fosforo, la materia prima per i fertilizzanti, come sappiamo, quindi materia prima legata alla sicurezza alimentare di cui dobbiamo essere sempre molto attenti. Se noi recuperassimo tutto il fosforo dai fanghi di depurazione, sicuramente una fonte importante, ma considerando i consumi attuali, andremo a coprire a seconda delle tecnologie 3-5-10 per cento, a livello europeo sono state fatte stime fino al 15 per cento. Quindi, la politica di recupero fosforo è sicuramente un qualcosa da studiare quantitativamente, è una quantità comunque importante, non stiamo parlando dello 0,5 per cento, ma è un qualcosa che va affiancato a maggiore efficienza e al recupero anche da altre fonti di fosforo, oltre ai fanghi di depurazione che sono una fonte sicuramente rilevante. Questo fa il quadro nazionale che quindi permette di inquadrare temi che sono tecnici, temi che sono legati alla sostenibilità e al Green Deal, ma anche temi che sono legati al legame che c'è tra cibo e gestione delle acque reflue. Quando parliamo di recupero fosforo, parliamo di economia circolare dell'acqua e puntualmente quando poi si parla con i cittadini – io ho la fortuna di farlo molto spesso con gran piacere, tra l'altro – dicono «l'acqua è circolare per natura». Adesso abbiamo il nuovo Piano d'azione per l'economia circolare. Se considero l'ultimo Piano di azione circolare, il secondo del marzo 2020, anche qui in realtà è probabilmente ancora marginale, ovvero è stata considerata con un impulso di riutilizzo delle acque trattate, è stato messo nero su bianco che bisogna rivedere la direttiva europea sull'utilizzo agricolo dei fanghi di depurazione, è stata chiaramente citata la necessità di fare dei piani di gestione integrata dei nutrienti in modo da avere dei bilanci di nutrienti a livello territoriale che ottimizzino la loro biodisponibilità al loro utilizzo agricolo, minimizzando la perdita di questi nutrienti che quando vanno a finire in ambiente come il fosforo causano invece problemi come l'atrofizzazione. Ma d'altra parte anche nel nuovo Piano d'azione per l'economia circolare non c'è nessuna spinta all'utilizzo di materia recuperata, non c'è nessuna spinta alla valorizzazione delle risorse che sono presenti nei fanghi di depurazione. Probabilmente anche qui il Piano d'azione per l'economia circolare riguarda una serie di settori dove i fanghi di depurazione sono minori in termini di quantità recuperabile rispetto alle plastiche, ancora una volta quelle che citavo prima. L'acqua è trasversale, è citata, ma non è probabilmente centrale. È un tema molto dibattuto, ma purtroppo raramente è nelle priorità di azione. Quando parliamo di materia recuperata – questo vale per i fanghi di depurazione, ma anche per la materia recuperata da rifiuti – bisogna focalizzare molto non solo sulla qualità di questa materia, perché deve essere tecnicamente comparabile alla materia prima tradizionale, quella del regime miniero o fossile, ma devo anche pensare alla stabilità di quello che produco. Avendo un flusso iniziale – un flusso di rifiuti fanghi di depurazione in questo caso – che non è stabile, non è costante e quello che produco potrebbe variare nel tempo e l'industria utilizzatrice, ovviamente, non può cambiare cicli produttivi avendo una grossa variabilità a monte. Però in questo contesto bisogna non fare di tutta l'erba un fascio, ma è bene considerare che Pag. 7il fosforo che deriva da fanghi di depurazione – parlo della struvite, quindi gli impianti integrati –, in realtà ha un contenuto di metalli che molto spesso è anche inferiore a quello delle rocce fosfatiche, è ben in linea con quello che è il nuovo regolamento fertilizzanti. La purezza di quel fosforo recuperato, ovviamente deriva dal tipo di processo, ma si è visto che in molti casi – per esempio cito il caso di Berlino – dove il fosforo che viene recuperato nell'impianto di depurazione di Berlino viene poi direttamente collocato dall'Authority stessa come fertilizzante che si utilizza in mercati di nicchia, mercati di giardinaggio o altro perché le quantità che recupero non sono grandi, né interessanti per l'industria dei fertilizzanti che ha bisogno di più grandi quantità. Quindi, la qualità, il suo potere economico è sicuramente interessante, ma ancora una volta l'economia di scala è quella che rende difficile il collegamento con altri settori industriali. Diverso è il discorso che si potrebbe fare se si creano hub di quegli impianti centralizzati di recupero fosforo, ma ripeto, i primi casi sono in disegno esecutivo, in avviamento, quindi avremo numeri da qui a breve, soprattutto in Germania, dove potremmo vedere se effettivamente quest'economia circolare intersettoriale riesce a stare in piedi senza importanti forme incentivanti che, però, come per molti settori commercio circolari, per avviare potrebbero essere cruciali. Quindi, il tema è sicuramente importante. Se pensiamo a come agire a livello nazionale – io sono stato molto contento quando abbiamo elaborato la bozza di decreto fanghi, anche per l'interlocuzione che si è avuta con i diversi stakeholder – al momento a livello europeo si sta rivedendo la direttiva. I lavori stanno procedendo, non so quanto speditamente, ma non mi sembra che a brevissimo ci si aspetti la nuova revisione della direttiva. Quindi a livello nazionale italiano è sicuramente una priorità regolamentare con regole certe questo settore, per evitare che ci siano eventi che possono a portare a difficoltà oggettive per il ciclo idrico integrato intero. Però dobbiamo monitorare quanto poi sarà recepito a livello europeo dalle nuove direttive, in modo da essere allineati fin da subito con quanto si sta discutendo in Europa. Questa probabilmente è una difficoltà oggettiva iniziale, infatti quando mi viene chiesto della bozza a cui anche io avevo contribuito come esperto dico: «Sì, è lì e stanno lavorando anche in Europa.». Vuol dire che dobbiamo vedere che direzione sta prendendo e parallelamente pensare al nostro scenario nazionale, al fine di evitare di ripensare il nostro lavoro subito dopo. Parlando di fosforo recuperato e del suo potere economico, anche questa domanda molto spesso mi è stata fatta. Io non sono un chimico del suolo, quindi riporto quanto viene discusso e quanto ho ascoltato. Sicuramente il fosforo ha diverse biodisponibilità in funzione della forma. Nei nostri impianti molto spesso il fosforo viene rimosso dai flussi di acque reflue, quindi va a finire nei fanghi di depurazione sia per via biologica, ma anche per via chimica, precipitazioni con sale di ferro e di alluminio. A seconda di quanto il fosforo è solubile in acqua e di quanto questo viene integrato con altri sistemi di fertilizzazione, questo può avere diverse biodisponibilità, ma può anche influire sulla ritenzione che il suolo ne può fare. Quindi, parlando di piani di gestione integrata dei nutrienti, parlando di fosforo nei fanghi, non si può fare di tutta l'erba un fascio, perché diversi metodi che io ho in un impianto per rimuovere il fosforo incidono sulla sua recuperabilità, ma anche sulla sua biodisponibilità. In Italia sistemi di rimozione biologica del fosforo ne abbiamo veramente pochi, questo incide sul suo recupero. Anche in questo caso, i dati sono molto discordanti. Spesso quando si parla della biodisponibilità del fosforo dei fanghi di depurazione anche dopo compostaggio al suolo, abbiamo dati che sono difficili da interpretare, proprio perché le forme del fosforo sono diverse. A questo punto è probabilmente importante approfondire questi scenari, focalizzare prima di tutto sui grossi impianti. In Germania hanno deciso di lavorare prima di tutto sugli impianti sopra i 50 mila abitanti e probabilmente è importante avere i flussi di massa, una fattibilità tecnica, economica ed ambientalePag. 8 degli impianti più grandi e da lì quantificare se veramente andiamo a incidere sulla sostenibilità del ciclo del fosforo implementando soluzioni di recupero. Fatto questo è bene pianificare a livello territoriale, perché uno dei limiti, ripeto, è stato molto spesso l'economia di scala. Senza una corretta pianificazione a scala regionale o anche sovraregionale, corro il rischio di fare impianti a spot, magari tecnologicamente performanti, ma che poi non vanno ad incidere sulla sostenibilità territoriale. Infine – poi spero potremo dialogare con numerose domande che possono venire – il legame tra quanto stiamo parlando e le attuali sfide del Green Deal. È centrale pensare alla gestione dei fanghi di depurazione in termini di legame con le diverse strategie del Green Deal, perché la gestione dei fanghi è sicuramente legata alla strategia Farm to Fork, è legata alle azioni di decarbonizzazione. È centrale pensare a come chiudere opportunamente il ciclo del carbonio per ridurre l'impronta di carbonio del servizio di depurazione. È centrale pensare ai contaminanti emergenti che possono essere solo rimossi dalle acque reflue e quindi sono poi accumulate nei fanghi, più o meno degradate a seconda del tipo di contaminante e vedere qual è il destino di queste sostanze una volta che i fanghi vengono utilizzati in ambiente. Sarà centrale che in questo momento storico – quando stiamo rivedendo a livello europeo le direttive più importanti che ci sono state sulle acque reflue e quella sui fanghi – considerare non solo l'utilizzo dei fanghi in agricoltura, ma considerare i fanghi come flusso centrale nel Green Deal, in una strategia che possa prevedere il recupero di tutto il recuperabile, che focalizzi l'attenzione sul recupero di acidi grassi volatili, di nutrienti, di biopolimeri di cellulosa, vuol dire che devo considerare quanto costa in termini non solo economici, ma anche di consumi energetici di impronta di carbonio. Il fango residuo, a seconda della qualità che ho, a seconda del suolo dove i miei impianti si trovano, può essere destinato – dopo opportuno trattamento – ad agricoltura quando ha una qualità adeguata, sicuramente non a discarica, ma a incenerimento quando la qualità non è adeguata e a quel punto pensare a quanta quantità di fanghi che sono utilizzabili o meno in agricoltura dopo trattamento e quanto nei residui per poter finalmente pianificare una strategia nazionale. Senza mai trascurare – ripeto ancora – il ciclo del carbonio e senza trascurare che oggi abbiamo la possibilità di avere supporto digitale che può favorire oggettivamente la tracciabilità dell'utilizzo di questi fanghi. Con questo supporto digitale io posso arrivare a monitorare l'intera catena del valore, dare la responsabilità estesa del produttore e far sì che la gestione fanghi rientri pienamente nella gestione del ciclo idrico integrato, non sia terziarizzata senza una chiara tracciabilità del destino ultimo in termini di quantità e di qualità e di impronta ambientale. Io ho fatto un quadro complessivo che spero possa stimolare anche domande specifiche.

  PRESIDENTE. Abbiamo capito che il fosforo è importante. Però se dovesse prendere piede quel sistema di recupero del fosforo che lei ha detto essere adesso molto fragile – soprattutto a livello economico e strutturale – noi arriviamo solamente a coprire il 10 per cento del nostro fabbisogno. Quindi già questo un po' mi ha deluso, per usare un termine semplice. Però quello che mi chiedo è, oltre al fosforo è importante trattare i fanghi, perché non possiamo utilizzarli per metterli nei campi o in discarica o qualunque destinazione sia. Però per capire, questa fatica – chiamiamola così – di recuperare il fosforo che poi alla fine copre solo una piccola parte del nostro fabbisogno, che vantaggio ulteriore ho una volta che io ho trattato i fanghi in quegli impianti? Se ho capito bene – apro un'altra parentesi – noi siamo stati i primi in Italia, però per motivi normativi abbiamo abbandonato, invece in Europa alcuni Paesi tipo la Germania o l'Olanda ci hanno superato e adesso hanno degli impianti seri, a differenza nostra. Però quello che entra in questi impianti è fango, quello che esce oltre al fosforo? Do per scontato che questa lavorazione oltre a recuperare il fosforo o altre materie, non ho capito bene se questi impianti riescono a recuperare Pag. 9anche la cellulosa o altri sostanze fertilizzanti. Do per scontato che questa fatica poi viene premiata non soltanto dalla separazione del fosforo, ma anche della netta riduzione dei fanghi che poi dopo devono essere in qualche modo inceneriti o messi in discarica o non so cos'altro. Ho fotografato bene o ho fatto qualche errore?

  FRANCESCO FATONE, ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche. Ha fotografato benissimo. Partiamo da quel numero, il dieci per cento, che è il numero che giustamente rimane impresso. A livello europeo già si parla di 15-20, massimo 22 per cento, quindi recuperare i fanghi sembra poco, ma è una delle principali fonti. Poi dovrei concentrarmi anche su altri scarti di macerazione per poter arrivare ad una indipendenza che può arrivare fino al 50 per cento. Se non incide poi sulla maggiore efficienza dell'uso del fosforo, comunque al 90-100 per cento non ci arriverò mai. Quel dieci sembra basso, ma per le quantità che utilizziamo è una quantità rilevante ed è più basso di quello che si ha in Germania, perché da noi c'è il due per cento di fosforo in media, attorno al due nei fanghi e in altri Paesi il quattro o il cinque, quindi si fa presto ad arrivare dal dieci al 15-20 per cento. Così da chiarire quel numero che è un numero anche molto noto in letteratura. Quando io parlo di recupero risorse di alto valore, ovviamente vado ad incidere sulla minore produzione di fanghi. Ad esempio, se recupero cellulosa, posso arrivare ad una riduzione di fanghi che va dal cinque al 15 per cento. Quindi, non sto parlando di una riduzione del 90 per cento o del 50 per cento. Quando parlo di recupero biopolimeri, vado ad incidere su una riduzione fanghi anche qui che è attorno al 10 per cento.

  PRESIDENTE. In questi impianti che si trovano in Germania, il fango entra in un impianto di recupero al fosforo, poi lo scarto esce e va in un impianto di recupero di cellulosa? Fanno tutto nello stesso impianto? Quindi, in questo impianto modello entra – faccio un esempio – una tonnellata di fango. Oltre a tutto il materiale buono – fosforo, cellulosa – che viene recuperato, alla fine cosa rimane che poi necessariamente deve demandare in discarica o non so dove?

  FRANCESCO FATONE, ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche. Rimane sempre fango che poi deve essere smaltito a seconda della qualità.

  PRESIDENTE. Però per capire l'ordine di grandezza.

  FRANCESCO FATONE, ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche. Per recuperare cellulosa, lavoro direttamente sulle acque reflue, quindi piuttosto che estrarre fango, estraggo cellulosa. In media in Italia ogni cittadino produce circa dieci chili di fango come sostanza secca l'anno, 10,7 sono dati dell'ISTAT. Con quei sistemi di recupero vado a incidere del 10-15 per cento. Quando parlo di cellulose e biopolimeri, quindi materia ad alto valore aggiunto che è interessante per il mercato. Se invece devo pensare a sistemi di riduzione della produzione di fanghi, probabilmente devo pensare a soluzioni di tipo termochimico, ma che può essere anche sistemi non ossidativi, quindi quando mantengo il carbonio, perché quello è centrale. Noi dobbiamo pensare all'impronta di carbonio con il carbonio valorizzato, perché è la sfida dei cambiamenti climatici. Con quei sistemi vado a ridurre significativamente la produzione fanghi anche del 40-50 per cento. Però la sfida con quei sistemi è che il biocarbone che ottengo, se oggi prendo il regolamento europeo dei fertilizzanti, quando ottengo char da sistemi termochimici, pirolisi, gassificazione – quindi sto parlando di sistemi non ossidativi, non incenerimento – non è accettato come materia prima per fertilizzanti in agricoltura. Però a livello nazionale posso avere dei regolamenti specifici, perché il regolamento europeo non è cogente a livello nazionale. Per i sistemi di riduzione fanghi o vado sull'incenerimento che a mio parere Pag. 10è una scelta quasi obbligatoria quando ho fanghi che hanno grosse contaminazioni di origine industriale, quindi quando sostanze contaminanti pericolose che sono poi residui, metalli, contaminanti organici. Ma quando i fanghi hanno una buona qualità perché le acque reflue sono soprattutto domestiche pensare all'integrazione degli impianti esistenti con unità termochimiche è qualcosa da considerare. In quel caso, ne riduco molto la quantità, però quel biocarbone devo vedere dove collocarlo. Quindi, quando si pensa ai fanghi, bisogna sempre partire dalla fine.

  PRESIDENTE. Lasciamo perdere l'incenerimento adesso, il trattamento termico. L'estrazione di questo materiale buono riduce il volume dei fanghi solo del 10 per cento?

  FRANCESCO FATONE, ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche. Sì, riduce la quantità secca.

  PRESIDENTE. Quindi, di fatto, non è una grande svolta a livello di quantitativo di fanghi da gestire. Ho capito bene?

  FRANCESCO FATONE, ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche. No, questo è un estrarre valore dai fanghi. Io estraggo tutto il possibile. Quindi, era incluso il biogas con già gli impianti convenzionali. Quella riduzione già implementata è un valore aggiunto. Però sono sistemi che vanno a incidere nell'ordine del dieci per cento, può essere 15, può essere otto, ma diciamo nell'ordine del dieci per non creare falsi miti.

  PRESIDENTE. Però, se io volessi evitare l'incenerimento, questi fanghi una volta fatto tutto questo, poterli poi trasformare in compostato anche a livello aerobico, tecnicamente si può fare? Si può utilizzare nei campi come risorsa oppure no?

  FRANCESCO FATONE, ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche. Assolutamente sì, noi abbiamo fatto studi anche di fattibilità in grossi impianti, valutando la qualità del fango residuo. Questi processi di estrazione, tutti processi biologici o fisici, ma di fatto il recupero della cellulosa si fa con una migliore separazione primaria, il recupero di biopolimeri sono processi biologici soprattutto. Alla fine rimane un fango che ha delle qualità del tutto comparabili per la sua accettabilità a compostaggio e poi ad agricoltura ai fanghi convenzionali. Non vado ad incidere sul potenziale utilizzo ultimo di questi fanghi.

  ALBERTO ZOLEZZI. Saluto e ringrazio il professore e ringrazio il presidente. Grazie perché in poco tempo il professore è riuscito a farci avere un quadro esaustivo, anche delle sfide calate sul livello nazionale. Io voglio provare a dettagliare sulla questione che ha affrontato già in maniera piuttosto esaustiva. In Italia abbiamo questa quantità di fanghi di depurazione, è dovuta a circa tre milioni di fanghi civili sparsi. Quando si vanno ad analizzare i recuperi di fosforo, si tende a dire che in Italia il fosforo non viene recuperato. In realtà, è una parte che secondo me andrebbe quantificata. Le chiedo se ritiene corretto in qualche modo andare a studiare quanto fosforo viene recuperato dagli spandimenti. Dalle mappe di ARPA si vede che tra il 2015 e 2019 le aree atrofizzate in Lombardia sono raddoppiate, in parte anche per l'indice chimico del fosforo, quindi vuol dire che il fosforo arriva in parte essendo sparso sul suolo agricolo. Immagino che in parte venga anche assorbito dalle piante e probabilmente in una forma più biodisponibile di quella che si trae in qualche modo dalle ceneri, per esempio, o da un recupero chimico di altro genere. Per cui chiedo se è uno dei punti che andrebbe studiato, perché probabilmente in Italia c'è un discorso quantitativo. Abbiamo questa legge, il decreto legislativo n. 75 del 2010 che trasforma i fanghi in gessi. Da quando c'è, è aumentato lo spandimento dei fanghi trasformati in gessi in Lombardia e abbiamo 14 Regioni che mandano i fanghi ancora adesso in Lombardia. Questo chiaramente in termini quantitativi di accumuloPag. 11 non è tollerabile dall'ecosistema, il fosforo in parte viene assorbito dalle colture, ma gran parte poi va in falda e quindi crea eutrofizzazione. Volevo sapere se c'è qualche studio della percentuale che può essere assorbita dalla pianta, se c'è qualche fase migliore per spandere il fango, come i nitrati in fase germinativa e quant'altro. L'altra domanda è se ci sono novità sul recupero biologico e anche microbiologico. Volevo capire se da ormai cinque anni a questa parte c'è stata qualche evoluzione operativa, perché mi risulta che poteva essere promettente per ulteriormente migliorare il recupero in quel caso con la biodisponibilità migliore.

  FRANCESCO FATONE, ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche. Grazie molte per questa domanda, è un piacere rivederti dopo quel convegno sul lancio della Piattaforma italiana del Fosforo. Inizio dal primo che sicuramente è un grande tema. Io non sono un chimico del suolo, quindi non sono un impiantista e parlo molto spesso per quello che sento dire da persone autorevoli, tra cui i colleghi internazionali della Piattaforma europea del Fosforo. Il modo in cui rimuoviamo il fosforo dalle acque è biologico, ma poi è rimosso per sintesi cellulare o è chimico con sale di ferro o di alluminio. Oppure è biologico, ovvero il fosforo viene accumulato nelle cellule sotto forma di polifosfati. Queste tre forme hanno una diversa solubilità in acqua. Se noi utilizziamo il sale di ferro o alluminio per toglierli dall'acqua, è ovvio che è poco solubile in acqua, quindi quando lo vado a mettere rimane poco solubile. Questo è un tema, quindi le forme di fosforo in flussi di rifiuto. Riguarda i fanghi di depurazione, ma anche altri altri flussi di rifiuto. È il tema che mescolati ad aspetti di biofertilizzazione, perché i fanghi specialmente quando compostati poi hanno una percentuale importante di sostanze chimiche che sono anche biostimolanti, quindi da qui deriva il fatto che la biodisponibilità sembra avere dati che sono molto diversi da caso a caso, perché ho effetti di biostimolazione da parte della sostanza organica. Però credo che per evitare perdite di fosforo che – come giustamente si diceva – creano problemi ambientali e di risorse, perché se fossero applicate e poi il 30-40-50 per cento va a finire nei corpi d'acqua superficiali, non ho fatto bene all'agricoltura né all'ambiente. I piani di gestione integrata dei nutrienti che è quanto previsto dal nuovo Piano di azione per l'economia circolare, potrebbero essere un punto di svolta. Nel senso che questi piani di gestione integrata sono attività che devono essere condotte a scala territoriale e devono tenere in considerazione tutte le fonti di nutrienti che vengono applicate, il tipo di suolo. Questa chiara pianificazione non lascia spazio a situazioni legate soltanto al mercato. Esperienze di questo tipo attualmente sono in fase di elaborazione, perché questo lo prevede il Piano di azione per l'economia circolare del marzo 2020, quindi è necessario farle. Cito un caso in Finlandia molto interessante, i Paesi scandinavi hanno ovviamente un impatto importante, sono dei corpi d'acqua più sensibili che il Mar Baltico per l'atrofizzazione. Loro hanno visto gli effetti di una combinazione di fertilizzazione e soluzioni che aumentano la ritenzione del suolo, ma che sono poi risultati un minore rilascio, perdita di questi nutrienti verso i corpi d'acqua. Adesso a memoria non lo ricordo, ma è un caso in Finlandia di cui tanto si parla. Credo che pensare ai piani di gestione dei nutrienti – che sarà necessario fare perché nel Piano di azione – in ottica di ritenzione e resilienza anche dei suoli agricoli sia la possibile soluzione. Per quanto riguarda la biodisponibilità del fosforo contenuto nei fanghi, quando parlo di sali di ferro ed alluminio questi vanno a incidere ovviamente sulla minore biodisponibilità, perché i sali sono meno solubili in acqua. Pensare a migliorare la rimozione biologica del fosforo nei nostri impianti tramite sistemi BNR (Sistemi di rimozione biologica di nutrienti) che non sono quei sistemi innovativi di cui si parlava in Svizzera, ma sono sistemi che possono essere implementati quando lavoro meglio i fanghi primari – ora non vado troppo nel tecnico – o portare ad un fango che ha maggiore contenuto in polifosfati che è quella forma di Pag. 12fosforo che verosimilmente è più disponibile. Dove sta andando l'Europa? L'Europa nell'ambito del Farm to Fork e di Horizon Europe sta finanziando numerosi progetti che sono tesi a creare quelli che sono chiamati Bio-based fertilizers (BBF), ovvero fertilizzanti di origine biologica, dove i fanghi sono uno dei potenziali candidati alla loro produzione che combinati con i colleghi che ci lavorano le chiamano Tailoring fertilizer, fanno una sistema fertilizzante che adeguato allo specifico suolo anche ottimizza la ritenzione per l'utilizzo dell'agricoltura. Questo è quanto sento dire ovviamente da colleghi che se ne occupano. Per rispondere alla seconda domanda, quei sistemi di cui avete sentito parlare, in realtà se ne occupano dei colleghi che conosco molto bene. Purtroppo sono ancora ad uno stadio neanche pilota e sono sistemi che lavorano su ceppi specifici che quando messi in un impianto di depurazione che tratta un influente molto variabile, difficilmente riescono a produrre in maniera quantitativamente interessante. Dal punto di vista tecnologico, in realtà, molto si sta lavorando sull'aumentare l'efficienza del recupero struvite, rispetto a quanto dicevamo in Svizzera in uno degli ultimi convegni della piattaforma europea. Perché la Germania ha messo questo limite al 50 e per superare questo limite di recupero a 50 fino a poco tempo fa dovevi necessariamente pensare al recupero delle ceneri. Recuperare struvite accoppiata a sistemi che con alte pressioni, alte temperature – ma, ripeto, parliamo di sistemi non ossidativi – utilizzano meglio il fango, può arrivare a superare questo limite del 50. Quei sistemi integrati che recuperavano praticamente il 20-25 per cento, oggi sono proposti per recuperare anche più del 50 per cento. Questo è un effetto della legge tedesca, quindi forse è qualcosa da monitorare con attenzione e vedere fino a che punto possiamo andare in quella direzione.

  ALBERTO ZOLEZZI. La piattaforma è ancora attiva, è anche stata rifinanziata, per cui interloquirà con la Commissione anche per avere spunti e per capire a livello nazionale cosa può essere studiato, cosa è più utile fare. Sarà utile anche per la relazione di questa Commissione ecomafie.
  Volevo fare ancora alcune domande. Per quanto riguarda gli impianti integrati e non integrati, all'inizio ha parlato, e questo era in ottica di mercato, di bilanci economici e di investimenti. Non ho capito bene la differenza tra gli impianti integrati e non integrati. Quando parlava delle ceneri da incenerimento non ho capito se si riferiva all'incenerimento puro dei fanghi, oppure anche ad altri tipi di incenerimento, ad altri tipi di materiali come magari anche rifiuti di altro genere. Per quanto riguarda la direttiva e la normativa italiana che si rifà alla direttiva che tutti abbiamo detto, che ormai è vecchia e che sta cambiando, le chiedo se ha qualche spunto e come considera gli eventuali cambiamenti futuri.

  FRANCESCO FATONE, ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche. Grazie per queste domande. Prima parlavo di impianti integrati e impianti downstream, quindi a valle. Gli impianti integrati tipicamente integrano i fanghi di un impianto di depurazione convenzionale, lavorano su uno di questi flussi. L'affluente liquido ritorna all'impianto convenzionale, mentre la parte recuperata è processata poi per il suo utilizzo soprattutto come fertilizzante. Gli impianti downstream sono impianti che lavorano sui fanghi disidratati e quindi su quello che oggi va a compostaggio, discarica, incenerimento, quello che viene smaltito in operazioni DOR. Soprattutto quando si parla di recupero fosforo parlo di recupero da ceneri di monoincenerimento, quindi di incenerimento di soltanto fanghi di depurazione. Quando si va a fare il coincenerimento in realtà incide in maniera negativa sulla potenzialità di recupero fosforo. Io citavo i tagli su cui si sta lavorando, ovvero qui parliamo di impianti chimici più complessi di quello che è un depuratore. Questi impianti devono necessariamente essere più centralizzati, devono avere un bacino di 6-7 milioni di persone almeno. Vuol dire che anche le più grosse utility italiane dovrebbero consorziarsi per rendere sostenibile questo sistema. La differenza è che gli impianti integrati sono Pag. 13piccole unità che in realtà, però, recuperano piccole quantità, che sono interessanti per mercati di nicchia. Prima facevo l'esempio di Berlino. Berlino è un impianto da diverse centinaia di migliaia di abitanti, quindi un grande impianto per lo scenario europeo e anche italiano. Quello che recupera, in realtà, lo vende. Inizialmente distribuiva agli utenti per giardinaggio. Non è qualcosa che va a incidere a livello industriale, mentre impianti da cenere che recuperano acido fosforico, ad esempio, sono in dialogo con industrie di fertilizzanti, perché si suppongono interessanti per quell'economia di scala.
  Parlava della direttiva. Francamente ero molto fiducioso fino a una settimana fa perché ho collaborato con il mio ruolo nella piattaforma europea per proporre attenzione sui materiali recuperabili dai fanghi di depurazione. C'è un impianto che recupera un materiale utilizzabile per biocomposti di edilizia, sempre in Olanda. E da tutte queste proposte il GRS il mese scorso non ne ha inclusa neanche una, dopo aver consultato gli stakeholder ovviamente degli Stati membri; quindi è frutto di una consultazione nella top list. Vuol dire che vedremo cosa succede, ma il focus sarà moltissimo su aspetti di rischio legati all'utilizzo dei fanghi in agricoltura. Questo forse è un tema importante che prima avevo toccato. Questo sarà un allegato al regolamento europeo e probabilmente verrà finalmente l'input perché questa pratica diventi – pensiamo alla siccità che stiamo vivendo adesso – quanto più diffusa possibile. Pensare a una migliore gestione del rischio riguardo a un utilizzo e valorizzazione finale dei fanghi è qualcosa che dovremmo provare a regolamentare a livello europeo e a livello nazionale. Dovremmo lavorare per avere quantomeno dei protocolli e delle buone pratiche diffuse. La direttiva europea probabilmente non sta focalizzando tantissimo sul recupero di materia. Mentre la direttiva acque reflue focalizzerà sul recupero di fosforo, senza probabilmente cambiare il mercato, su quella dei fanghi ci aspettiamo un grosso focus ancora una volta sull'agricoltura e forse meno sul recupero di materia, vedremo. I tempi però non mi aspetto che siano così rapidi. Si parla di 2023-2024, vedremo. Io ho informazioni che sono disponibili a tutti dai portali vari. Sarà centrale sicuramente – essendo legata a questa revisione, al piano di azione come circolare, quindi al Green Deal – vedere qual è l'impatto su impronta di carbonio. Da qui l'utilizzo dei fanghi di buona qualità, dopo adeguato compostaggio e adeguati trattamenti in agricoltura, può avere un effetto positivo sull'impronta di carbonio del servizio idrico, ovviamente salvaguardando il rischio ambientale e sanitario.

  PRESIDENTE. Che cosa pensa dell'uso dei fanghi in agricoltura normati ormai dal vecchio decreto nel 1992?

  FRANCESCO FATONE, ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche. Sicuramente è un decreto ormai obsoleto. Ha a una lista di sostanze non esaustive per la conoscenza che oggi abbiamo della qualità dei fanghi e dei possibili rischi associati. Sicuramente è necessario un aggiornamento della qualità, di quanto è accettabile, ed è necessaria un'integrazione dell'utilizzo dei fanghi con utilizzo di altri nutrienti. I fanghi devono avere un chiaro ruolo quantificato in questi piani di gestione integrata e oggi questo è fattibilissimo. Pensare a una revisione della nostra normativa nazionale e di quella europea, che si è distaccata da questi piani di gestione integrata, è probabilmente un errore. Dobbiamo prendere questa occasione per poter fare finalmente questo salto. A fronte di questo, molti dei nostri suoli d'Italia sono carenti in sostanza organica. I fanghi di depurazione possono essere un'importante fonte, quando ovviamente la qualità è adeguata sulla base delle correnti conoscenze. Distinguere diversa qualità dei fanghi e diverso utilizzo anche in agricoltura secondo me non è sbagliato. Ancora una volta, quando sento parlare di scelte drastiche, probabilmente è un errore. Vediamo qualità dei fanghi, impianti più o meno grandi. Noi abbiamo migliaia di impianti molto piccoli in Italia, che sono Pag. 14collegati soprattutto a utenze domestiche, dove ci aspettiamo che la qualità dei fanghi sia molto buona, perché non ho utenze industriali o grossi pacchi industriali che potevano contaminare. Mi aspetto che questi fanghi abbiano una qualità del tutto compatibile, dopo adeguato trattamento con l'agricoltura. Sicuramente è una normativa da rivedere, ma questo è un tema che ormai è stato detto e ridetto. In questo momento storico dobbiamo fare molta attenzione a essere allineati con quello che è lo scenario europeo, che purtroppo è in divenire.

  PRESIDENTE. E del fatto che l'Europa dica: «Ti do il marchio CE per i fertilizzanti non di derivazione da questo materiale di recupero, però poi voi intanto potete fare come volete»?

  FRANCESCO FATONE, ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche. Sì, questo vale per tutto il regolamento dei fertilizzanti. Noi lavoriamo tantissimo per arrivare ad armonizzare il mondo scientifico in Europa. Dopodiché, a livello nazionale, parlando anche con colleghi, mi rendo conto che lo scenario, per esempio, dei fanghi è completamente diverso. Da noi è un tema anche economico: quanto costa smaltire, valorizzare una tonnellata di fanghi? Se mi muovo in Spagna o Portogallo non è un tema, perché sono a un ordine di grandezza in meno. Da noi incide molto sull'economia Paese, mentre in altri Paesi europei non incide. Quindi, non mi sorprendo che sia stata fatta questa scelta di lasciare libertà ai Paesi membri. È importante a livello nazionale avere standard di qualità se vogliamo avere il nostro marchio italiano di qualità, che possano includere temi che riguardano molto i contaminanti emergenti, perché quello scetticismo riguardo ai fanghi derivava soprattutto da alcune sostanze che si ritenevano non completamente degradate e potenzialmente pericolose per l'ambiente e per l'agricoltura. A livello nazionale, se vogliamo agire diversamente dal regolamento europeo, dobbiamo essere molto attenti ad avere un protocollo molto chiaro sulla qualità e sull'effetto, cosa non facile.

  PRESIDENTE. Sbaglio o si vuole in Italia un po' la botte piena e la moglie ubriaca, nel senso che non ci sono impianti per separare il fosforo, per trattare? Fortunatamente è un paradosso. La depurazione delle acque la facciamo poco e male, altrimenti avremmo dovuto gestire quantità di fanghi nettamente superiori. Quella che non gestiamo va direttamente in mare; siamo in procedura di infrazione. Quella che invece riusciamo a gestire – poi però ci sono grandi quantità e non riusciamo a recuperare come si dovrebbe – poi alla fine magari viene buttata nei campi e si creano i gessi mischiando questi fanghi per non farli più essere trattati come un rifiuto. Si fa anche fatica a capire la storia e la filiera di questo gesso. E poi, come abbiamo visto – ne abbiamo trattato tanto anche noi, anche Report – spesso viene buttato nei terreni un po' a caso. Mi sembra che c'è tanto da lavorare e non è neanche semplice, perché poi ogni soluzione ha sempre dei lati negativi dal punto di vista tecnologico, ma soprattutto anche dal punto di vista normativo e di impiantistica. Questo poi aggirare con questo eccessivo uso di questi gessi per non farli più essere rifiuti, come lo vede lei?

  FRANCESCO FATONE, ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche. Grazie per questa domanda. Voglio partire dalla premessa, cioè che in Italia le acque le trattiamo poco e male. In realtà, in Italia abbiamo dei casi che sono eccellenti a livello europeo. Abbiamo un devide anche nel settore idrico, perché io ho portato personalmente in giro dei colleghi olandesi – l'Olanda anche per motivi storici, di geografia, su quella che è la ricerca sull'acqua ha sempre guidato lo sciame europeo – che si sono stupiti di quanto avanzati sono alcuni dei nostri impianti. Abbiamo una situazione molto eterogenea, ma abbiamo impianti veramente in alcuni casi all'avanguardia. Su questo dobbiamo fare molta attenzione, perché con l'obiettivo di Pag. 15colmare il gap corriamo il rischio a volte di non premiare i front runner. C'è sempre questo tema. Si dice: «Ma io sono bravo e l'attenzione è sempre su chi deve fare i compiti a casa». Noi abbiamo situazioni che sono veramente di avanguardia a livello europeo, dove si sta pensando a recuperare fosforo, a recuperare cellulosa. Stanno implementando impianti dimostratori, però poi l'attenzione del regolatore è sempre al caso specifico, non a pensare a come quel caso può essere poi replicato a livello territoriale. Molti dei nostri impianti sono già pronti per fare questi sistemi avanzati. Non avere un focus su questi è probabilmente un qualcosa su cui riflettere, perché poi il front runner si stufa di essere sempre il primo della classe e si adegua alla media. Riguardo al tema della tracciabilità, in quella mia esperienza molto costruttiva ho avuto un gruppo di lavoro che ha steso la bozza relativa al decreto fanghi. Ho ascoltato casi che mi sono sembrati molto ben organizzati. Ricordo che una volta abbiamo avuto un incontro con rappresentanti della Regione Emilia Romagna che ci hanno spiegato il loro sistema di tracciabilità. Francamente mi hanno impressionato positivamente. Oggi abbiamo, oltre a quello, possibilità di accedere a sistemi digitali che ti permettono effettivamente di ottenere la tracciabilità a livello di particella addirittura. Abbiamo possibilità di monitorare molto meglio la quantità di nutrienti che viene utilizzata. Io vedo fare queste cose in progetti di innovazione. Li vedo fare in campi prova. Quanto siano distanti dal mercato di grossa scala c'è da valutarlo. Credo che vedere queste buone pratiche anche a livello europeo sulla tracciabilità e pensare a una pianificazione della gestione del servizio idrico che arrivi fino alla fine della catena del valore dei fanghi possa responsabilizzare le moltissime aziende che si stanno digitalizzando moltissimo per trattamento acque reflue, anche nella chiusura della catena della parte solida, quindi dei fanghi. Abbiamo dei casi interessanti in Italia; ne abbiamo anche in Europa. Questo distacco che c'è tra la catena delle acque e la catena dei rifiuti, perché i fanghi sono rifiuto, porta a una discontinuità che forse potrebbe essere colmata lavorando proprio su questo. L'attuale responsabilità è estesa; già oggi di fatto lo è, ma non a livello di gestione ordinaria. Digitalizziamo il sistema fino alla fine e vediamo come riusciamo a migliorare creando una condizione migliore tra il gestore dei fanghi e il gestore del servizio idrico. Prima l'onorevole Zolezzi parlava della Lombardia, ma non è l'unico dei casi di dove e perché vengono applicati alcuni fanghi.

  PRESIDENTE. Lei conosce la tecnologia e l'impianto di Acea situato a Tuscania?

  FRANCESCO FATONE, ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche. No.

  PRESIDENTE. Si dovrebbe occupare del recupero del fosforo.

  FRANCESCO FATONE, ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche. No, sapevo di iniziative di Acea in Toscana, che però non sono state implementate, che riguardavano la carbonizzazione termale.

  PRESIDENTE. Sempre per quanto riguarda invece il recupero del fosforo o di altri materiali, secondo lei qual è l'impianto, visto che ogni Paese magari ha una retta diversa, che secondo lei in Europa è all'avanguardia per il recupero e il trattamento di questi fanghi? E magari qual è quello, se è diverso da quello migliore, che invece potrebbe più che altro essere consono alla realtà italiana?

  FRANCESCO FATONE, ordinario di ingegneria chimica ed ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche. Grazie ancora una volta per la domanda. Distinguiamo la qualità dei fanghi nel momento in cui ho una qualità di fanghi che deriva da un grosso centro urbano, che quindi presuppone fanghi che abbiano qualità da non poter essere poi gestiti in agricoltura. Io credo che le filiere che erano state pensate, o per l'impianto attualmente in Pag. 16progettazione esecutiva a Sesto San Giovanni o per l'impianto di Castelfranco Veneto che andrà a trattare i fanghi della provincia di Treviso, siano filiere molto interessanti e adeguate al territorio italiano. Questi sono attualmente in fase di progettazione avanzata; nei prossimi anni dovrebbero vedere la loro realizzazione e costruzione. A livello europeo, sicuramente abbiamo tutto il blocco Nord europeo che prevede essiccamento, perché loro hanno deciso di andare a monoincenerimento. È una scelta tedesca, è una scelta olandese. Quegli impianti, in realtà, non sono tanto diversi dai nostri impianti italiani. Loro vedono una valorizzazione della sostanza organica quanto più possibile in linea fanghi; ovvero a questi fanghi applicano processi ad alta temperatura e ad alta pressione molto spesso per migliorare il recupero di biogas, dove in alcuni casi si fa ancor più a metano quando sostenibile. Quei fanghi poi li essiccano e dall'essiccamento, avendo deciso di non andare in agricoltura, vanno in incenerimento e da lì recupero fosforo. Quando invece i fanghi possono andare in agricoltura, comunque è bene ottimizzare anche l'impronta energetica, perché ottimizzo la sostenibilità anche dell'impronta del nesso che c'è tra acqua, energia e impronta di carbonio. Pretratto questi fanghi per ottimizzare il recupero di biogas degli impianti già esistenti. Non dimentichiamo che gestori anaerobici in Italia già ci sono. Integrarli nei fanghi per migliorare l'efficienza in questo processo, che è un processo biologico, è probabilmente da perseguire. Successivamente, se sono impianti medio-piccoli, devo pensare a ridurre il contenuto d'acqua di questi fanghi per evitare di trasportare acqua comunque, e poi mandarli negli impianti di compostaggio, ad esempio, per l'utilizzo in agricoltura. Quando gli impianti invece sono medio-grandi, probabilmente la soluzione di essiccamento può essere diversa, quella più efficiente, e posso pensare all'integrazione con soluzioni anche termochimiche. Ho visto un grosso interesse all'estero. Mi ha stupito l'Australia come sta tanto focalizzando su pirolisi e gassificazione. In Europa mi ha molto colpito l'impianto di Berlino, che ho visitato, per la stazione recupero fosforo ostruite. Mi hanno colpito gli impianti in Olanda, perché stanno monitorando anche molto bene l'impronta di carbonio.

  PRESIDENTE. La ringrazio per il suo apporto tecnico che sarà molto utile ai nostri lavori. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.