XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati

Resoconto stenografico



Seduta n. 119 di Giovedì 10 giugno 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 2 

Audizione del professore ordinario di endocrinologia dell'Università di Padova, Carlo Foresta:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 2 
Foresta Carlo , Professore ordinario di endocrinologia dell'Università di Padova (intervento da remoto) ... 2 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 8 
Foresta Carlo , Professore ordinario di endocrinologia dell'Università di Padova (intervento da remoto) ... 8 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 9 
Foresta Carlo , Professore ordinario di endocrinologia dell'Università di Padova (intervento da remoto) ... 9 
Patassini Tullio (LEGA)  ... 9 
Foresta Carlo , Professore ordinario di endocrinologia dell'Università di Padova (intervento da remoto) ... 9 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 10 
Foresta Carlo , Professore ordinario di endocrinologia dell'Università di Padova (intervento da remoto) ... 10 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 11 
Foresta Carlo , Professore ordinario di endocrinologia dell'Università di Padova (intervento da remoto) ... 11 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 11 
Foresta Carlo , Professore ordinario di endocrinologia dell'Università di Padova (intervento da remoto) ... 12 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
STEFANO VIGNAROLI

  La seduta comincia alle 13.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione degli impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione streaming sulla web-tv della Camera dei deputati.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del professore ordinario di endocrinologia dell'Università di Padova, Carlo Foresta.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, in videoconferenza, del professore ordinario di endocrinologia dell'Università di Padova, Carlo Foresta.
  L'audizione rientra nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sul fenomeno dell'inquinamento da PFAS (sostanze perfluoroalchiliche). In particolare, la Commissione intende acquisire elementi informativi in ordine ai profili inerenti alle analisi epidemiologiche nelle aree inquinate da PFAS.
  Comunico che l'audito ha preso visione della disciplina relativa al regime di pubblicità del resoconto stenografico della seduta.
  Invito il nostro ospite a svolgere una relazione; al termine seguiranno eventuali domande o richieste di chiarimento.

  CARLO FORESTA, Professore ordinario di endocrinologia dell'Università di Padova (intervento da remoto). Grazie, presidente. Grazie a tutti per l'invito. Spero di potere essere in grado di illustrare con chiarezza la tematica non semplice che mette in relazione le manifestazioni cliniche associate all'inquinamento da parte di queste sostanze chimiche, i PFAS.
  Che ci sia una relazione tra i PFAS e gli aspetti sanitari è qualcosa di risaputo e le diverse agenzie ambientali sia europee che statunitensi hanno creato già uno stato di alert. Stiamo parlando di sostanze chimiche che hanno una struttura che si può ripetere in vario modo a seconda della diversa lunghezza della composizione dei PFAS. Ci sono 4700 diverse formulazioni, ma tutte quante hanno la stessa caratteristica: sono composti organici formati da unità di carbonio con del fluoro agganciato al carbonio e un gruppo funzionale che si vede verso la fine.
  In questa immagine risulta molto chiaro che uno dei più importanti e noti PFAS – il PFOA (acido perfluorootanoico) – ha la caratteristica struttura che somiglia molto a quella di un acido grasso, soltanto che nell'acido grasso il carbonio è fortemente legato all'idrogeno, mentre qui abbiamo il fluoro.
  Queste sostanze sono ovunque, però esistono varie forme d'inquinamento: esiste un inquinamento industriale, poiché le industrie che producono queste sostanze sono diffuse in tutto il mondo, soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in Cina, in Europa e soprattutto e in Italia – il Veneto e il Piemonte risultano essere particolarmente interessate a questo argomento –, ma esistono anche delle forme di inquinamento generale. Infatti, poiché queste sostanze sono ovunque ciascuno di noi nella vita quotidiana viene a contatto con queste sostanze. La concentrazione delle stesse nel Pag. 3sangue varia molto a seconda che si tratti di: una popolazione esposta professionalmente, dove arriviamo anche a 12 mila nanogrammi per millilitro; una popolazione residente in zone contaminate, dove si va al massimo a 540 nanogrammi per millilitro; una popolazione generale che assume queste sostanze vivendo una vita normale e venendo a contatto con l'utilizzo di qualsiasi sostanza oggetto che possa contenere i PFAS e si è nell'ordine dei 3,6 nanogrammi per millilitro. Teniamo in conto queste diverse concentrazioni che ci torneranno utili durante lo svolgimento della relazione.
  Queste sostanze hanno una caratteristica molto importante che dobbiamo considerare: hanno una lunga emivita. Le concentrazioni durano a lungo nel sangue e vi è una diversità di genere tra uomo e donna. Infatti, nell'uomo l'emivita è quasi il doppio rispetto alla donna: la media è di 4,5 anni, mentre la media nella donna è di 2,8 anni, perché queste sostanze si accumulano in alcuni organi e quindi vengono rilasciate lentamente. Inoltre, anche l'eliminazione renale nell'uomo è meno importante rispetto a quella della donna.
  L'accumulo nei diversi organi ormai è documentato. Si è visto che si accumulano nel polmone, nel cervello, nell'osso, nel rene, nel fegato. Inoltre, si è visto un fatto molto importante: quando sono state considerate le popolazioni a rischio, perché vivevano in zone particolarmente inquinate, è stata notata da una maggiore frequenza di alcune patologie come i tumori del rene e del testicolo, le patologie cardio e cerebrovascolari, le coliti ulcerative, la risposta immune e le patologie della tiroide. Queste informazioni venivano già dal 2013, quando sono state analizzate quelle popolazioni che vivevano nei pressi delle industrie dell'Ohio.
  Le stesse cose si sono viste in Italia, nel Veneto, soprattutto nella popolazione che è esposta nella zona rossa alle più alte concentrazioni. Vi è stato un aumento del colesterolo ben documentato, una maggiore prevalenza di condizioni morbose come l'ipertensione, il diabete, le cardiopatie ischemiche, le malattie cardiovascolari e ancora alterazioni materne e neonatali come la preeclampsia, nati con basso peso alla nascita, anomalie del sistema nervoso eccetera. Tutto questo è stato documentato nelle zone rosse del Veneto.
  Tuttavia, in questi anni numerose sono state le segnalazioni internazionali che davano un alert ancora più grave. Queste documentazioni dicevano: «Non bisogna per forza vivere accanto alle industrie, perché chiunque di noi può essere in qualche modo interessato all'inquinamento da queste sostanze», riferendosi alla popolazione generale, quella che ha una media di quasi 4 nanogrammi millilitro. Si è visto che tanto più PFAS è presente nel sangue nella popolazione generale, tanto è più frequente l'osteoporosi, la disfunzione tiroidea, il rischio cardiovascolare eccetera.
  Il problema che noi stiamo affrontando non riguarda soltanto – per quanto numerose – ben limitate popolazioni, ma riguarda tutti quanti in assoluto. Abbiamo sottolineato con molta forza questo tema, perché dobbiamo assolutamente considerare il rischio di salute per tutti quanti, oltre che – con grande importanza – coloro che in qualche modo sono a contatto con concentrazione molto più elevate.
  Noi stiamo studiando le situazioni cliniche associate ai PFAS ormai da cinque o sei anni e il primo studio è stato sulla fertilità. Cosa abbiamo visto noi per quanto riguarda la fertilità e i PFAS? Intanto abbiamo visto che nei giovani che vivono in zone esposte – stiamo parlando di zone rosse e di zone nei pressi delle industrie che lo producono – è presente, a concentrazioni significative, il PFAS nel liquido seminale. Questo è un dato molto chiaro già pubblicato.
  Se noi andiamo a valutare l'effetto dei PFAS sulla qualità degli spermatozoi vedete chiaramente che si determina una riduzione significativa della motilità degli spermatozoi. Questo può giustificare il perché si fa più fatica a diventare padri in quelle zone. Tuttavia, c'è un altro dato che ci ha molto preoccupato: nei giovani di 20 anni, se andiamo ad analizzare bene il liquido seminale, notiamo che c'è una riduzione della conta spermatica e della qualità. Pag. 4 Abbiamo interpretato questo dato come espressione non soltanto dell'inquinamento dei giovani a 20 anni, ma delle conseguenze che questi giovani hanno avuto, quando ancora embrioni sono stati a contatto con queste sostanze, perché è giusto ricordare che queste sostanze passano attraverso il cordone ombelicale, la placenta, arrivano all'embrione e possono indurre modificazioni funzionali nell'organogenesi dell'embrione stesso.
  Abbiamo visto che queste sostanze si legano in modo veramente molto evidente nello stesso sito che occupa il testosterone quando deve attivare il suo recettore. Significa che il testosterone viene in qualche modo mitigato nella sua attività e nelle sue azioni e, siccome lo sviluppo del testicolo è proprio testosterone-dipendente, questa riduzione di spermatozoi che abbiamo visto nei giovani di 20 anni può essere proprio una conseguenza in fase embrionale dello sviluppo degli organi maschili. Qui vi dimostro chiaramente come in laboratorio il PFAS riduce del 40 per cento l'attività del testosterone.
  Un altro dato che ci indica come questa influenza si sviluppi già nell'embrione ci viene dalla misurazione della distanza anogenitale. La distanza anogenitale è testosterone dipendente e si sviluppa durante le fasi embrionali. Le donne che non hanno il testosterone hanno una distanza anogenitale molto limitata. I ragazzi che adesso hanno 20 anni, ma che sono stati concepiti e hanno vissuto la loro vita nelle zone rosse, hanno una riduzione della distanza anogenitale. Questo significa che durante lo sviluppo embrionale i PFAS hanno già lanciato un'influenza antitestosterone che è evidente in questo parametro.
  Un altro capitolo che abbiamo affrontato è l'osso. Si sapeva che nell'osso vi era un accumulo di queste sostanze e noi abbiamo studiato sempre i giovani di 20 anni. Abbiamo visto come questi giovani presentavano già nel 31 per cento dei casi delle manifestazioni di osteoporosi e di osteopenia. I nostri studi ci hanno permesso di verificare per quale motivo si sviluppa questa osteoporosi e questa osteopenia, perché i PFAS impediscono alla vitamina D di esercitare il suo effetto sul suo recettore.
  Se la vitamina D non funziona o è assente, si ha un minore assorbimento di calcio intestinale, perché la vitamina D serve ad assumere il calcio a livello di intestino. Il minore assorbimento di calcio intestinale fa sì che l'organismo mantenga l'equilibrio del calcio, andando a prenderlo dall'osso, dallo scheletro. Ecco perché vi è l'osteoporosi e l'osteopenia in questi soggetti, nei quali la vitamina D funziona molto meno.
  In laboratorio abbiamo dimostrato che se noi in vitro stimoliamo l'osteoblasto con la vitamina D, induciamo la mineralizzazione dell'osso – questa zona violacea –, mentre se mettiamo insieme alla vitamina D i PFOA, vedete che la mineralizzazione viene ridotta. Questa è la dimostrazione in vitro dell'effetto del PFAS sulla vitamina D.
  Andando ancora avanti sulle altre manifestazioni cliniche, la regione Veneto ha messo in evidenza che vi è una maggiore prevalenza di demenze e del morbo di Alzheimer. Questi sono gli ultimi dati che abbiamo prodotto e sono veramente molto interessanti. Già in passato qualcuno ha detto di prestare attenzione, perché nel cervello si possono accumulare i PFAS. Noi abbiamo voluto affrontare proprio questo tema, cercando di capire in quali aree, in quali zone del cervello ci fosse l'accumulo dei PFAS. Utilizzando un programma di donazione del corpo alla scienza, abbiamo potuto studiare le aree del cervello dei soggetti che vivevano proprio nelle aree rosse.
  La concentrazione plasmatica dei PFOA in questi soggetti era di 108, mentre in due perfluoroalchilici a catena corta era un po' più bassa. Quando siamo andati a vedere dove si accumulano, abbiamo trovato il maggiore accumulo nell'ipotalamo. L'ipotalamo è una sede centrale delle aree celebrali che è fortemente innervata da neuroni dopaminergici. La dopamina è un neurotrasmettitore.
  Cosa abbiamo fatto? In primo luogo, siamo andati a vedere in letteratura dove, guardando delle rane che hanno un sistema dopaminergico che può in qualche Pag. 5modo ricordare quello umano, avevano visto che i PFAS riducono il rilascio di dopamina a livello delle connessioni interneuronali. In vitro in laboratorio siamo partiti dalle cellule staminali – quello che avviene durante lo sviluppo embrionale – e abbiamo indirizzato la maturazione di queste cellule staminali pluripotenti verso neuroni dopaminergici attraverso le varie fasi di maturazione. Queste sono le caratteristiche strutturali dei neuroni durante le fasi di maturazione.
  Cosa abbiamo visto? Abbiamo visto che normalmente la maturazione della cellula neuronale verso il neurone dopaminergico comporta una modificazione della struttura della membrana, che diventa più solida. Tanto più è specializzata la cellula, tanto più la membrana diventa solida e s'infarcisce di colesterolo. Abbiamo utilizzato una sostanza per capire cosa significa questa solidità e attraverso una tecnica che adesso non sto qui a illustrarvi, abbiamo visto che la membrana delle cellule più specializzate ha una minore fluidità. La membrana diventa meno fluida, tanto più la cellula si specializza.
  Quando noi abbiamo incubato le cellule neurali con i PFAS in vitro, abbiamo visto che il PFAS viene catturato dalle cellule più immature – quelle che hanno la membrana più fluida – e meno dalle cellule più specializzate. Vi ricordo che questa fase maturazione avviene nell'embrione e che nell'embrione è possibile trovare i PFAS. Quindi, si ipotizza la possibilità di un intervento di queste sostanze proprio a livello dello sviluppo neuronale. Andando ancora avanti, abbiamo visto che più il PFAS si localizza nelle cellule neuronali, più modifica la funzione della membrana stessa.
  Per concludere vi mostro queste bellissime immagini che mostrano come in presenza di PFAS l'enzima che produce la dopamina viene modificato in senso negativo e anche il trasportatore della dopamina viene inibito in senso negativo. Questa è una cosa molto importante, perché se si tiene conto che nell'analisi degli esiti materni e neonatali dei bambini nati proprio nelle zone particolarmente colpite da questo inquinamento, sono state riportate anomalie congenite al sistema nervoso, si capisce come l'interferenza di queste sostanze con le cellule neuronali può avere degli esiti importanti da seguire con molta attenzione.
  D'altra parte, vi ricordo che adesso stiamo parlando di popolazione generale, cioè quella popolazione che ha un inquinamento che possono avere tutti quanti. Infatti, ciascuno di noi può avere questo inquinamento. Tanto più è alto l'inquinamento nella popolazione generale, tanto più è frequente l'autismo, tanto più è frequente lo sviluppo cognitivo, tanto più è frequente il deficit di attenzione e d'iperattività. L'influenza dei PFAS a livello del sistema nervoso è veramente qualcosa di molto importante che deve essere valutato con molta attenzione.
  Vi ricordo che nel sistema nervoso centrale durante lo sviluppo embrionale ci sono delle zone che sono regolate dall'impregnazione androgenica nel maschio. Se è vero che questi PFAS agiscono anche sull'androgeno, quale può essere la conseguenza di tutto questo? Questo può essere una conseguenza anche sullo sviluppo di alcune caratteristiche che distinguono l'uomo dalla donna.
  Questo è l'ultimo studio neuronale. Abbiamo eseguito degli studi per capire se esiste una particolare attività dei PFAS sul sistema cardiovascolare. Nell'Ohio nel 2013 e nella regione Veneto ancora più recentemente è stato riportato un incremento di patologie cardiovascolari e cerebrovascolari vascolari.
  Quale può essere il meccanismo? Vi ricordo che le piastrine che sono frammenti cellulari del megalocito – una cellula del sangue – hanno il compito di regolare la fluidità del sangue e partecipano nella formazione dei trombi e dei coaguli. Siamo andati a vedere nei soggetti esposti ai PFAS – con concentrazione plasmatica molto alta – se le piastrine fossero interessate a questo tipo di presenza nel sangue e abbiamo trovato delle piastrine con concentrazioni elevate di PFAS. Ci siamo chiesti dove fosse questo PFAS nelle piastrine e lo abbiamo trovato nelle membrane. Le membrane di queste cellule sono infarcite da PFAS e questo ci ha molto preoccupato. Siamo Pag. 6andati a capire come mai. Queste sono le membrane normalmente che sono formate da fosfolipidi che si appaiano e all'interno di questi fosfolipidi può intercalare il colesterolo. Il PFOA, che somiglia molto al colesterolo, può intercalare al posto del colesterolo e rendere meno stabile la membrana stessa. Infatti, vedete come cambia di stabilità la membrana cellulare, quando viene incubata con PFAS. Questa minore stabilità di membrana viene subito evidenziata con una maggiore fluidità. Il dato molto importante è relativo al fatto che la fluidità della membrana si sposta e questo spostamento di fluidità di membrana delle piastrine si associa immediatamente con un segnale molto chiaro di attivazione piastrinica. L'attivazione piastrinica rende una condizione clinica chiamata «protrombotica»: le piastrine possono con molta facilità formale trombi. Infatti, vedete questo parametro, la selectina – che è espressione dell'attivazione piastrinica – e come in vitro il PFAS è in grado di determinare dei trombi e questo come questo possono essere delle condizioni che facilitano la formazione di trombi a livello cardiaco-celebrale ed essere alla base di manifestazioni cardiovascolari e cerebrovascolari.
  Vi sono altre forme di perfluoroalchilici. È stata proposta una sostanza nuova, il C6O4. Vi ho messo insieme a confronto le due molecole: il C6O4 è formato da sei atomi di carbonio anziché otto, ha una forma ciclica che rende la sostanza più acida e più solubile in acqua.
  Guardiamo le differenze d'interazione tra il PFOA che ha otto atomi di carbonio e il C6O4 con le membrane. Abbiamo detto che normalmente nelle membrane può intercalare il colesterolo che dà stabilità alla membrana, abbiamo visto come il PFOA può sostituire il colesterolo e legarsi – anche se con un'energia meno importante – al PFOA e il C6O4 può legarsi lo stesso alla fosfolipide di membrana con un'energia un po' più bassa, ma con la caratteristica di esprimere una carica elettrostatica esterna che modifica proprio l'aumento della carica negativa della membrana, assumendo un elemento di diversità e di disfunzione sulla membrana stessa.
  Cosa abbiamo fatto? Abbiamo saggiato, come per il PFOA, anche per il C6O4 lo studio sull'aggregazione piastrinica utilizzando anche un modello di microfluidica che è molto moderno e specifico che riproduce la similitudine delle condizioni esistenti in vivo con la circolazione sanguigna. Questo è il lavoro che è stato appena pubblicato. Abbiamo visto che come per il PFOA anche il C6O4 si lega alle membrane piastriniche. Queste sono le membrane, queste sono le strutture delle membrane e questo il legame del C6O4 e si vede chiaramente dove aggrega a livello della membrana stessa. Quando siamo andati a vedere il cambiamento della fluidità della membrana, abbiamo notato un cambiamento di fluidità significativo. Poiché non abbiamo avuto l'opportunità di lavorare su soggetti che avevano nel sangue il C6O4, questi sono soltanto studi sperimentali. I laboratori hanno dovuto utilizzare quelle concentrazioni che in qualche modo – come per il PFOA – potevano essere presenti nel sangue, ma in realtà noi non abbiamo da nessuna parte degli elementi chiari e indicativi di quali sono le concentrazioni del C6O4 nel sangue delle persone esposte, nel sangue delle persone generali e nel sangue delle popolazioni che abitano vicino alle zone in cui si costruisce questo sistema.
  Qui faccio vedere come il C6O4 della membrana modifica la fluidità con una capacità di modificarla del 30 per cento rispetto al 40 per cento visto dal PFOA a parità di condizioni. Questo 30 per cento va visto con un po' di cautela, perché non abbiamo potuto utilizzare le concentrazioni che normalmente si trovano nei soggetti esposti, perché di questa sostanza non conosciamo l'emivita e perché per questa sostanza non conosciamo se esistono possibilità di bioaccumulo o meno. Noi abbiamo dovuto fare un esperimento che avesse come riferimento quello precedente del PFOA, per quanto tutti quanti questi buchi neri debbano essere considerati con cautela per poter fare un discorso di dose-dipendenza dell'effetto stesso.
  Gli unici dati che noi abbiamo di concentrazione di C6O4 sono quelle riportate dalla Miteni nel 2013-2017 e vedete come Pag. 7sono molto varie le concentrazioni che sono state trovate in un numero di campioni veramente molto esiguo.
  Come per il PFOA, anche l'attivazione protombrotica delle piastrine è in grado di essere eliminata in presenza dell'acido acetilsalicilico. Questo è quello che avviene normalmente, questo è quello che avviene con la stimolazione del C6O4 e questo è quello che avviene con l'acetilsalicilico. Questo è un fatto molto importante, perché sia per il PFOA che per il C6O4 l'attivazione piastrinica, documentata in presenza di elevate concentrazioni di queste sostanze nel sangue, dovrebbe prevedere un'attività profilattica dell'acetilsalicilico per inibire proprio questa attività protombrotica, soprattutto nelle condizioni in cui un'attività protombrotica viene in qualche modo indotta da patologie a rischio come l'obesità, la sindrome metabolica, il diabete e l'ipertensione. In quei casi l'attività protombrotica che viene già considerata essere presente grazie a queste patologie viene a essere moltiplicata dalla presenza di questa sostanza chimica che agisce nello stesso senso sulle piastrine.
  Questa è la microfluidica e questo è lo scorrere degli elementi del sangue. In presenza di PFOA crescente, guardate come cambia la microfluidica e come scompare in presenza di acetilsalicilico. Questo è molto importante.
  Esiste ancora un altro dato che noi abbiamo cercato in laboratorio, che è quello della formazione di microvescicole: le piastrine una volta che si attivano formano microvescicole che vengono liberate nella sede di evasione ed emanano segnali protombrotici e proinfiammatori. Quando noi siamo andati a vedere la liberazione di queste microvescicole in presenza di PFOA e del C6O4, abbiamo visto un incremento notevole anche di queste microvescicole.
  Qual è la conclusione? Che sicuramente le condizioni che portano a eventi cardiovascolari e cerebrovascolari sono fortemente influenzate dall'attività di queste sostanze chimiche a livello delle piastrine.
  Veniamo adesso a un tema di grande attualità. Qual è la relazione tra PFAS e COVID-19? Da una parte è noto che i PFAS avrebbero un'attività immunosoppressiva a livello del sistema immunologico. Già nel 2020 in Svezia avevano chiaramente dimostrato che tanto più sono alti i PFAS nel sangue, tanto più può essere grave la manifestazione da COVID-19 in presenza di PFAS. Questi sono i lavori che già a suo tempo avevano ipotizzato una riduzione dell'attività del sistema immunologico, ma sono lavori in corso, poiché si sta cercando di documentare meglio che cosa accade.
  Questo è quello che è stato pubblicato recentemente da colleghi – anche veneti – per quanto riguarda la percentuale di morti in zone rosse da COVID-19 rispetto alla popolazione generale. La percentuale è del 60 per cento. Questo ci ha fatto molto preoccupare, di sicuro il primo pensiero è stato quello di una deficienza immunologo PFAS correlata, ma vi dico di fare attenzione, perché stiamo parlando di effetti trombotici. Perché non considerare con tanta attenzione l'attività protombrotica delle piastrine attivate dai PFAS che sicuramente poi sono un elemento di grande valore della formazione di trombi, se si trovano in un paziente affetto da COVID-19? Infatti, tutte quante le attività infiammatorie in circolo e tutte le quante le possibilità di attivare il sistema trombotico, trovano sicuramente le piastrine pronte a essere attivate e a dare quei segnali clinici che hanno portato poi alla morte. Questo è il nostro segnale di dire: attenzione all'attività sulle piastrine dei PFAS, che può avere sicuramente un ruolo nella maggiore gravità nelle patologie e del più elevato numero di morti.
  D'altra parte, parlando di PFAS e di vitamina D ho anche detto come i PFAS bloccano i recettori della vitamina D, tanto da dare osteoporosi anche nei giovani. La vitamina D ha un ruolo molto importante per quanto riguarda le infezioni respiratorie, soprattutto perché è capace di modificare anche il sistema immunologico. Nei pazienti con COVID-19 è stato visto con chiarezza che il trattamento con vitamina D riduce il rischio di mortalità associata.
  La conclusione di questo mio lungo discorso è che la vitamina D da una parte e l'attivazione piastrinica dall'altra, possono Pag. 8avere un ruolo molto forte nel giustificare alcune manifestazioni cliniche più gravi fino alla mortalità nei pazienti che sono stati poi interessati dalle infezioni da COVID-19.

  ALBERTO ZOLEZZI. Ringrazio il professor Foresta per questi dati davvero importanti. Provo a uscire dal discorso che ha fatto il professore per provare anche a capire se vi siete occupati di un altro punto che per noi è dirimente.
  Voi state conducendo questi studi, ma volevo capire se vi risulta qualcosa sugli studi che hanno portato alla commercializzazione del C6O4. Apparentemente questi studi prodotti all'Agenzia europea per le sostanze chimiche, l'ECHA (European Chemicals Agency) sembrano piuttosto deboli e addirittura c'è lo studio sull'accumulo di un solo topo. L'articolo 5 del regolamento REACH (Registration, evaluation, authorisation and restriction of chemicals) ai sensi del regolamento CE 1097/2006 prevede la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione, e la restrizione delle sostanze chimiche. Inoltre, se gli studi non sono sufficienti il prodotto non sarebbe neanche commercializzabile.
  Apparentemente voi state tentando di fare questi studi, ma andando a vedere gli studi presentati prima del 2013 sembrerebbe – usiamo pure il condizionale – che i documenti non siano completi, mentre poi questa sostanza è stata commercializzata ed è stata prodotta. Mentre noi parliamo ad Alessandria – la provincia, l'ARPA (Agenzia regionale per la protezione ambientale) e ci sarà un consiglio comunale la settimana prossima –, stanno valutando se autorizzare una produzione di 60 tonnellate di questa sostanza. L'effetto sul bacino del Po su 25 milioni di persone è un effetto assolutamente non stimabile, quando – premetto che alcuni sono ancora in corso, ma orientano per una serie di preoccupazioni e di gravi pericoli – gli studi aziendali apparentemente sembrano davvero poveri. La prima domanda che le faccio è se siete a conoscenza solo di questa procedura autorizzativa dei dati presenti nel fascicolo notificato all'Agenzia ECHA e se ritenete completi e corretti questi dati.
  Sulla membrana piastrinica lei ci ha detto già qualcosa, ma volevo capire se il fatto che i PFAS sono su queste membrane e il fatto che magari non trovo più il C6O4 nel plasma può voler dire che il C6O4 c'è, ma magari è nella membrana e quindi non lo trovo? Forse non lo trovo perché il C6O4, essendo più piccolo, si deposita meglio negli organi e quindi nel plasma? Come faccio a determinarlo? Con delle biopsie? Dico questo perché adesso lei giustamente diceva: «Cerchiamo di capire qual è la concentrazione media delle persone lavorativamente esposte, di quelle esposte dal punto di vista ambientale e delle popolazioni in generale», ma forse, essendo più piccoli, hanno problemi diversi e non si trovano, ma bisogna cercarli con le biopsie.
  Lei ha citato gli studi sul COVID-19, ma mi risulta che gli studi danesi mostrano la correlazione tra gli PFAS a catena corta e l'aumento di mortalità. In Italia non ho visto se hanno differenziato le esposizioni di diverse catene, ma in Danimarca ho visto che sono i PFAS a catena corta a essere correlati all'aumento di mortalità.

  CARLO FORESTA, Professore ordinario di endocrinologia dell'Università di Padova (intervento da remoto). Grazie per le domande, onorevole. Come ricercatori ci atteniamo a tutte le pubblicazioni scientifiche alle quali possiamo attingere. Quelle che lei citava non sono per noi di facile reperimento, né possono essere citate come tali, perché non fanno parte della letteratura internazionale. Per questo nella mia chiacchierata ho sottolineato come potrebbe essere utile capire bene tutta la dinamica di assorbimento di queste sostanze e tutta la dinamica dell'eliminazione dell'emivita e del bioaccumulo, perché senza queste informazioni concrete non si può naturalmente pensare a nulla.
  Ho appena sottolineato che per avere un quadro di comparabilità ci siamo attenuti ai dosaggi che abbiamo utilizzato per il PFOA, una sostanza che è molto più nota dal punto di vista cinetico, tossicologico e Pag. 9anche di concentrazioni di bioaccumulo. Noi ci siamo attenuti a quella per potere fare un confronto, anche se tutto il resto che porta poi a quelle concentrazioni è completamente diverso tra le due molecole.
  Le do completamente ragione: è necessario che ci sia una chiarezza su questi passaggi, anche perché a mio avviso le conseguenze tra le diverse molecole possano essere veramente diseguali. Bisogna essere chiari nel dare un giudizio di conseguenza clinica a seconda della molecola di cui stiamo parlando.
  Per quanto riguarda la seconda domanda che mi ha fatto, non mi ricordo più cosa mi chiedeva.

  ALBERTO ZOLEZZI. Lei ha citato la presenza del PFAS nelle membrane, in particolare il C6O4. Volevo capire se, quando lo cerco nel plasma, riesco a conteggiare anche quelli che sono nelle membrane cellulari o se, invece, non lo trovo, così come i PFAS più piccoli che potrebbero, invece, accumularsi negli organi, arrivando così a pensare che non ci siano, ma in realtà sono da un'altra parte.

  CARLO FORESTA, Professore ordinario di endocrinologia dell'Università di Padova (intervento da remoto). L'interazione con le membrane non è solo una conseguenza della dimensione della sostanza chimica, ma della forza elettrostatica ed elettronica di attrazione. Noi abbiamo visto che, per quanto riguarda il C6O4, il fatto che sia una struttura ciclica e che abbia poi una caratteristica particolare, non consente un'integrazione molto forte, ma è un po' più debole rispetto a quello del PFOA, anche se poi alla fine esprime un cambiamento di forza elettrostatica a livello della membrana, perché esprime una serie di cariche negative. Non possiamo basarci soltanto sulla dimensione, bensì occorre che ci sia una documentata interazione che consente di eliminare e di accumulare queste sostanze nelle membrane.
  Ad esempio, abbiamo visto che, per quanto riguarda il PFOA, le membrane degli spermatozoi e le membrane delle piastrine sono in grado di accumulare concentrazioni molto elevate di PFOA. La stessa cosa avviene per il C6O4, perché l'abbiamo provata nelle piastrine. Quindi, direi che non può essere un diverso accumulo sulle membrane, mentre una cosa diversa è l'accumulo degli organi, perché negli organi c'è bisogno di una particolare propensione all'accumulo sulle caratteristiche delle cellule di qualsiasi organo diverse da organo a organo, sulla caratteristica delle interferenze dei lipidi e di altre componenti cellulari. Come lei sa, il fegato è l'organo in cui si accumulano di più, ma ha visto anche come nel cervello si accumulano tante di queste sostanze. Occorre che ci sia uno studio particolareggiato di dosaggio di queste sostanze nei diversi organi.

  TULLIO PATASSINI. Grazie, professore per la relazione che avevamo già avuto modo in passato di ascoltare e che lei ha oggi integrato. Vorrei riferirmi all'inizio della sua relazione quando fa un excursus generale sulla questione dei PFAS, del PFOA e di tutti i composti chimici similari, perché è evidente che la situazione del Veneto è ben nota, chiara da tempo e conosciuta e, purtroppo, è anche evidente la causa della presenza dei PFAS sul territorio.
  All'inizio della sua relazione ci ha fatto vedere una cartina in cui vi sono altre zone d'Italia che teoricamente potrebbero essere soggetto d'interesse di questa analisi, come il Po, l'Arno e il Tevere. È chiaro che i diritti degli altri cittadini sono gli stessi diritti che hanno i cittadini veneti, in qualunque parte d'Italia essi siano. Volevo chiedere se per gli studi che ha fatto, lei è a conoscenza o ha contezza se la regione, l'Arpa Veneto, Ministero della sanità, Ministero dell'ambiente, singoli ricercatori e università abbiano avviato degli studi su questi territori e, se sono stati avviati, se è a conoscenza degli esiti degli stessi?

  CARLO FORESTA, Professore ordinario di endocrinologia dell'Università di Padova (intervento da remoto). No, non mi risulta che ci siano degli studi di tipo clinico-sanitario. Dal punto di vista ambientalistico Pag. 10 mi risulta che ci siano dei dosaggi di queste sostanze nelle acque del Po e di altri fiumi in Piemonte, in Emilia Romagna e in Lombardia, ma sono soltanto studi di tipo ambientalistico e non di tipo sanitario. Non mi risulta che siano stati fatti degli studi sulla popolazione.
  D'altra parte devo dire, però, che se noi teniamo in considerazione ormai i numerosi studi internazionali che hanno considerato le concentrazioni nel sangue della popolazione generale – che non deve necessariamente vivere a contatto con le fonti d'inquinamento – possiamo dedurre che in realtà è proprio necessario capire quali sono le zone in cui può esserci un minimo incremento di pericolosità di accumulo di queste sostanze e in quelle zone sarebbe giusto che ci fosse anche un osservatorio sanitario per capire se è vero che queste sostanze aggravano alcune condizioni cliniche.

  ALBERTO ZOLEZZI. Rispondendo a una mia interpellanza, 40 giorni fa in Aula, il Ministero della salute ha detto che in Veneto lo studio di coorte residenziale non si farà qui. In questa Commissione nel luglio 2019 la dottoressa Dogliotti ci disse che era stato deliberato dalla regione Veneto di fare uno studio di coorte residenziale che avrebbe potuto già oggi darci una letteratura scientifica importante a livello mondiale sui PFAS e che la regione Veneto non collaborava e lo studio non stava procedendo. Invece, 40 giorni fa poi è stato confermato che questo studio non si fa. Le chiedo se secondo lei in generale non sarebbe invece utile fare studi epidemiologici di questo genere, visto che purtroppo le popolazioni esposte ai PFAS vecchi e nuovi ci sono, per comprendere gli effetti tossicologici anche del C6O4 sull'uomo.
  La seconda domanda è se può commentare gli studi svolti in particolare dal CNR (Consiglio nazionale delle ricerche) e dall'IRSA (Istituto di ricerca sulle acque) anche sul C6O4? Uno studio che si intitola Report di analisi per indagare potenziali impatti della nuova molecole ciclo C6O4 del marzo 2020 assimila per rischi ambientali e sanitari il ciclo C6O4 al PFOA. Si conferma un'analoga mobilità, tossicità, persistenza e bioaccumulo del C6O4 che si comporta come il PFOA. Inoltre, sempre lo stesso ente ha trovato sulle rive del Bormida in vicinanza di Spinetta Marengo il PFOA a ciclo C6O4 nelle uova di storni e cince. Mentre stanno discutendo se implementare la produzione del ciclo C6O4, quest'ultimo è già nelle uova e, quindi, nel futuro di varie specie della biodiversità di quei territori. Le chiedo se vuole fare un commento sull'argomento.

  CARLO FORESTA, Professore ordinario di endocrinologia dell'Università di Padova (intervento da remoto). Io non posso dare risposte del perché la regione Veneto non sta portando avanti quello studio di osservazione clinica. Tuttavia, sono convinto che sia necessario portarlo avanti e più che altro sono convinto di esaminare tutto quanto quello che si è visto alla luce delle novità scientifiche e di tipo sanitario che sono emerse in questi ultimi anni. Lo dimostra, per esempio, il fatto che i pazienti che hanno vissuto in regioni molto esposte hanno avuto delle conseguenze più negative a livello di COVID-19. Già questo ci dice come sia necessario rivedere il tutto di volta in volta, perché le scoperte che si fanno man mano possono essere di aiuto anche nel prevenire alcune conseguenze. Noi sollecitiamo molto il discorso della prevenzione.
  Per esempio un'altra prevenzione che potrebbe essere fatta è quella delle maternità, perché la possibilità che il progesterone non funzioni in modo adeguato a livello della posa uterina e dello sviluppo dell'embrione, fa sì che possa essere giustificato con questo meccanismo il fatto che nascano bambini di basso peso alla nascita e che ci sia una poliabortività. Questo caso è probabile e possibile, ma bisogna che ci si metta d'accordo e si cominci a fare prevenzione in queste donne, somministrando il progesterone già nelle prime fasi della gravidanza.
  Le conoscenze che si accumulano man mano devono essere in grado di dare sempre più giustificazioni fisiopatologiche a quello che si è visto con questo osservatorio clinico e la rivalutazione di questo ogni volta può essere di grande importanza per la comprensione dei fenomeni. Pag. 11
  Questa è la mia posizione. Credo che non ci sia un grande disaccordo con la regione. Non so rispondere, perché non è di mia competenza, però so che molto è stato fatto per comprendere quali sono le manifestazioni cliniche associate ai PFAS.
  Per quanto riguarda la seconda domanda che mi ha fatto, sono d'accordo con lei: è necessario che ci sia una convergenza d'intenti per capire di cosa stiamo parlando e la convergenza va fatta proprio rendendo chiari gli elementi che possono essere utili alla comprensione di quello che può succedere, qualora queste sostanze fossero pericolose e inquinanti.
  È giusto che ci sia un'analisi di tipo chimico, farmacologico, farmacodinamico, medico eccetera. Sono d'accordo con lei. È necessario che ci sia questo e che ci sia un passaggio d'informazioni molto rapido, perché le informazioni hanno valore se riescono a integrarsi, mentre la singola informazione non porta a nulla e può portare addirittura a confusione.
  Il fatto che si comportino allo stesso modo – come ha detto lei – mi lascia un po' perplesso, perché già queste strutture sono diverse, sono più piccole e si comportano in modo diverso rispetto agli acidi, rispetto alle situazioni idrofiliche e rispetto alle interazioni con le membrane. Occorre che ci sia un'analisi dettagliata, perché se noi le guardiamo così grossolanamente possiamo incorrere in errori madornali molto importanti. Bisogna che ci sia uno studio, una concordanza, una condivisione e un rapido passaggio delle informazioni.

  PRESIDENTE. Io vorrei avere qualche chiarimento sulla vicenda di Spinetta Marengo con il C6O4. In genere quando si registra o si produce una sostanza nuova, si deve fare la registrazione al REACH e questo prevede delle informazioni sanitarie e ambientali che dimostrino con dei dati che il prodotto non arrechi danno, se commercializzato. In questo caso quali sono i dati che sono stati mandati per dimostrare che in realtà non facciano nessun danno? Avete questi dati?

  CARLO FORESTA, Professore ordinario di endocrinologia dell'Università di Padova (intervento da remoto). Nella letteratura scientifica non c'è nulla. Non ci sono grandi lavori sul C6O4 e sugli aspetti sulla salute e sulle alterazioni funzionali dei vari organi e tessuti. Non so risponderle, perché non c'è nulla. Bisogna cercarli, bisogna produrli più che cercarli. Non c'è un'attività di ricerca su questa molecola e per questo è necessario che ci sia un impegno molto forte.
  Quello che voi avete letto – mi sembra che il deputato che l'ha preceduta mi ha parlato di documenti che sono stati presentati in non so quale tavolo – non sono a disposizione della letteratura internazionale. D'altra parte, quello che viene presentato in quei tavoli non ha lo stesso significato di un lavoro scientifico, perché il lavoro scientifico, prima di essere pubblicato deve superare il vaglio di numerose valutazioni da parte di esperti che pesano il risultato che viene proposto, che controllano le metodologie e tutta quanta la filiera scientifica per averli ottenuti e che danno un significato utile per la pubblicazione stessa.
  Non so a cosa si riferisse il deputato che ha parlato prima relativamente a dei risultati su un unico topo, ma un lavoro scientifico con un unico topo non sarebbe stato mai pubblicato in nessuna rivista al mondo. Occorre avere la chiarezza e la capacità di dimostrare quello che si dice su riviste specifiche e nelle sedi opportune, dove si può discutere del lavoro sperimentale.

  ALBERTO ZOLEZZI. Mi risulta che siano non studi pubblicati, ma studi utilizzati a livello aziendale per chiedere la commercializzazione. Credo che sia anche un limite di questi regolamenti, perché se poi adesso ne parlo in maniera informale, sarebbe utile che questi materiali fossero resi pubblici, visto che poi portano alla commercializzazione e portano gli enti locali e i ministeri a discutere per mesi se autorizzare o meno, quando a volte basterebbe sapere con precisione cosa c'è scritto nei documenti che l'azienda ha utilizzato per chiedere l'autorizzazione per comprendere che la sicurezza su quel prodotto non esisteva. Questi sono i dati che arrivano informalmente però, se l'azienda non ha niente Pag. 12da nascondere, potrebbe pubblicarli anche lei.

  CARLO FORESTA, Professore ordinario di endocrinologia dell'Università di Padova (intervento da remoto). Grazie a lei. Mi scusi, ma era necessario chiarire questo punto, perché se non c'è una validazione scientifica di quello che viene proposto, si fa fatica poi a dare valore proprio a quello che viene proposto.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre richieste d'intervento, La ringrazio e dichiaro conclusa la seduta.

  La seduta termina alle 14.