XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati

Resoconto stenografico



Seduta n. 84 di Giovedì 8 ottobre 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 2 

Audizione del direttore generale di Arpa Emilia Romagna, Giuseppe Bortone:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 2 
Bortone Giuseppe , direttore generale di Arpa Emilia Romagna ... 2 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 5 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 5 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 5 
Bortone Giuseppe , direttore generale di Arpa Emilia Romagna ... 6 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 6 
Bortone Giuseppe , direttore generale di Arpa Emilia Romagna ... 6 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 7 
Bortone Giuseppe , direttore generale di Arpa Emilia Romagna ... 7 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 7 
Bortone Giuseppe , direttore generale di Arpa Emilia Romagna ... 7 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 7 
Bortone Giuseppe , direttore generale di Arpa Emilia Romagna ... 7 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 8 
Bortone Giuseppe , direttore generale di Arpa Emilia Romagna ... 8 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 8

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
STEFANO VIGNAROLI

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione degli impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione streaming sulla web-tv della Camera dei deputati.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del direttore generale di Arpa Emilia Romagna, Giuseppe Bortone.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione in videoconferenza del direttore generale di Arpa Emilia Romagna, Giuseppe Bortone, che ringrazio per la presenza. Informo l'audito che alla seduta non è ammessa la partecipazione di persone estranee non autorizzate, la invito pertanto a comunicare alla Commissione eventuali ulteriori nominativi di persone presenti. L'audizione odierna rientra nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sul fenomeno dell'inquinamento da sostanze perfluoralchiliche (PFAS) sul territorio nazionale. Avverto che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico, la seduta è pubblica. Qualora l'audito dovesse riferire argomenti che richiedono un regime di segretezza, la Commissione valuterà le modalità più opportune per consentirgli di farlo in un altro momento.
  Invito il nostro ospite – che nuovamente ringrazio – a svolgere una relazione. Ovviamente noi abbiamo ricevuto la vostra documentazione e siamo un po' allarmati. Stiamo vedendo che gli sforamenti stanno aumentando, ci dirà perché. Abbiamo visto che avete analizzato le falde sotterranee anche per le acque a uso potabile, quindi se spetta a voi come giurisdizione anche controllare non solo la falda, ma anche quello che arriva nelle case per l'uso domestico. Com'è la situazione, se ci sono punti più critici, come per esempio vicino Ferrara, e se state facendo una ricerca per capire se esistono fonti di questo significative. Prego. Poi eventualmente i miei colleghi e io le porremo delle domande di approfondimento.

  GIUSEPPE BORTONE, direttore generale di Arpa Emilia Romagna. Sì, grazie, ho sentito poco perché l'audio era basso, ma credo di aver colto tutti i passaggi che ha sottolineato.
  Sì, noi abbiamo consumato una relazione un po' riassuntiva delle attività di monitoraggio e controllo che svolgiamo su questi composti, i PFAS. In realtà dal 2017, anche attraverso il Sistema nazionale di protezione ambientale, stiamo organizzando e procedendo alla caratterizzazione delle acque superficiali e sotterranee relativamente a questi composti perfluoroalchilici. Nella storia recente abbiamo portato avanti uno studio di ricognizione concentrandoci sui punti di prelievo delle acque potabili. Nel 2017 – lo potete anche ritrovare nella relazione – siamo partiti con 30 punti di monitoraggio sulle acque sotterranee e due in Po, perché sapete, è stato già accennato, la città di Ferrara sostanzialmente si approvvigiona per la fornitura di acqua potabile direttamente dal Po. È stata un'attività di ricognizione che ci ha dato già alcune indicazioni che posso anticipare. Pag. 3
  Grazie alla tipologia di acquifero, ma anche probabilmente alla tipologia di diffusione di questi composti, noi non abbiamo segnali di superamento dei valori soglia nelle acque sotterranee. Questo evidentemente – considerato che la fonte di approvvigionamento della regione proviene per il 60 per cento da acque sotterranee – evidenzia una situazione che al momento non desta preoccupazioni.
  Dal 2018 insieme al Sistema nazionale di protezione ambientale abbiamo progettato la rete di monitoraggio dei PFAS, che si andrà a integrare con la rete di monitoraggio per la qualità delle acque in relazione alle direttive comunitarie. Per dimensionare questa rete di monitoraggio abbiamo fatto uno studio esteso su tutto il territorio nazionale per quello che riguarda il sistema, ma in particolare in Regione abbiamo concentrato lo studio cercando di andare a individuare quali potessero essere le fonti di pressione. Quindi, anche sulla base delle informazioni che abbiamo su stabilimenti autorizzati (AIA) o sulle utilizzazioni uniche ambientali – che come sapete in Emilia Romagna vengono anche rilasciate dall'Agenzia regionale per la prevenzione ambientale (Arpa) –, abbiamo fatto questo studio di ricognizione delle possibili pressioni. Si sono individuate le principali aziende produttrici e i grandi utilizzatori di questi composti e abbiamo analizzato i comparti industriali esaminandone le autorizzazioni. Abbiamo poi effettuato un'attività di controllo e vigilanza sul territorio concentrandoci su aziende che producevano o utilizzavano teflon, rivestimenti vari per utensili e vasellame, industrie tessili o attività che utilizzavano schiume antincendio; infatti, sono queste le categorie che presentano un rischio più elevato in termini di contributo e di impatto potenziale sull'ambiente acquatico. Non solo, abbiamo portato a compimento una ricognizione su tutti i principali impianti di depurazione di acque reflue urbane, consci del fatto che c'è una distribuzione abbastanza diffusa di queste sostanze.
  L'utilizzo e la produzione dei fanghi di depurazione urbani e anche industriali è un altro dato su cui ci siamo basati per dimensionare la rete regionale di monitoraggio, finalizzata a comprendere l'andamento delle concentrazioni di PFAS. Abbiamo rivolto la nostra attenzione anche alla portata dei corsi d'acqua, è evidente infatti che più bassa è la portata dei corsi d'acqua, più elevato è il rischio di avere una concentrazione alta di queste sostanze. In generale queste considerazioni valgono per tutti gli inquinanti.
  Mettendo insieme queste informazioni e individuando le fonti di pressione, abbiamo dimensionato la rete di monitoraggio. Sostanzialmente questa non è una regione che si caratterizza per centri di produzione o di utilizzo di queste sostanze, le aziende che le impiegano in grandi quantità sono sostanzialmente tre. Alcune non hanno scarichi in acque superficiali perché lavorano per la produzione di vasellame, padelle, quindi lo scarico è soltanto rappresentato da acque reflue domestiche. In sintesi sono tre le aziende che andavano controllate e 45 i cicli produttivi che potevano avere delle dimensioni tali da considerare i carichi e la pressione del corso d'acqua.
  Sulla base di queste informazioni, quindi dei punti di produzione, abbiamo dimensionato la rete. Siamo partiti nel 2018 con 12 stazioni che facevano parte del sistema nazionale di monitoraggio, sei stazioni per le acque superficiali, sei per le sotterranee. In più abbiamo affiancato, già dal 2018, 41 stazioni della rete della potabile. Voi sapete che noi facciamo i controlli dei punti di approvvigionamento del sistema potabile, quindi 41 stazioni più 12 localizzate ad hoc per capire un po' le pressioni relativamente a questi composti, i PFAS. Sono stati circa 80 i campioni prelevati nel 2018 e il risultato sostanzialmente è stato quello di confermare. Consentitemi di descrivere anche l'attività del 2019, poi vi parlerò degli esiti delle due campagne di monitoraggio completo relativamente al 2018 e al 2019.
  Nel 2019 abbiamo standardizzato questa rete, integrandola pienamente alla rete di caratterizzazione delle acque. Abbiamo 42 stazioni superficiali più due stazioni lacustri. Posso anticipare – l'avevo già in qualche modo fatto raccontando l'attività Pag. 4del 2017 – che non abbiamo dei punti dedicati nel sotterraneo perché i risultati del 2018 ci hanno confermato che in relazione alle caratteristiche del nostro acquifero e ai nostri punti di pressione non abbiamo l'esigenza di concentrare l'attenzione sulle acque sotterranee. I parametri seguiti sono quelli della norma nazionale, quindi del decreto legislativo n. 172 del 2015 e del decreto ministeriale del luglio 2016 per quanto riguarda le acque sotterranee. Un brevissimo cenno sul 2020. Ci siamo dovuti fermare per il lockdown, ma stiamo recuperando. Faremo più controlli e più campionamenti sulle 42 stazioni che prima vi richiamavo per recuperare la sosta forzata. Nel 2018 avevamo le 12 stazioni del progetto nazionale per dimensionare la rete, sei superficiali e sei sotterranee, più 41 stazioni. Quindi, in estrema sintesi, secondo le norme nazionali sulle sotterranee non abbiamo mai avuto nessun superamento dello standard di qualità ambientale. Neanche per i PFOS che come sapete rappresentano la forma che ha una soglia limite più bassa rispetto alle altre. In sintesi, come vi dicevo, non abbiamo dei segnali di preoccupazione sul sotterraneo, a fronte di una rete abbastanza articolata.
  Riguardo agli esiti sulle acque superficiali per il 2018 abbiamo solo il PFOS, il perfluoroottansulfonico, che ha uno standard di qualità ambientale molto basso sulle acque superficiali, perché sulla base dei dati tossicologici è stato posto un limite di qualità di 0,65 nanogrammi/litro. Qui abbiamo una certa ricorrenza di sforamenti rispetto a quel valore. Si va dall'1,2 al 9,7 rispetto allo 0,65 che dovrebbe essere la soglia dello standard di qualità ambientale. Con alcuni valori più alti, in alcuni punti precisi come il Po di Volano e qualche segnale di concentrazioni un po' più elevate nella zona di Colorno. In entrambi i casi, sia a Po di Volano che a Colorno, a valle degli impianti di depurazione delle acque reflue urbane.
  Nel 2019, rete standardizzata ormai a regime, 42-43 stazioni e punti di campionamento e due stazioni lacustri. Nel 2019 sei stazioni dell'intera rete regionale hanno segnalato valori più alti rispetto allo standard di qualità ambientale: parliamo di superficiali, dove abbiamo riscontrato il problema dello sforamento del PFOS rispetto allo standard di qualità. Nella relazione c'è scritto «otto», ma è un errore di battitura. Sono sei stazioni su un totale di 43 complessive, in tutti gli altri casi non si superano mai i cosiddetti LOQ (limiti di quantificazione).
  Nel 2020 abbiamo fatto un unico campionamento, recupereremo in autunno-inverno per arrivare al numero di campionamenti previsto dalle direttive comunitarie, ma le indicazioni sono sostanzialmente sintetizzabili nella maniera in cui ho sintetizzato i dati precedenti.
  Quindi cerco di riassumere un po' la situazione. Nessun problema sulle acque sotterranee in termini di qualità, sforamenti da parte del reticolo superficiale esclusivamente riconducibili ai PFOS, questo determinato composto che fa parte dei PFAS. La sorgente maggiormente riconducibile, richiamando i casi del Po di Volano e di Colorno nel parmense, punti a valle degli impianti di depurazione di una certa consistenza delle acque reflue urbane.
  Nel territorio regionale non abbiamo evidenze di hotspot, problematiche di concentrazioni elevate di queste sostanze. Come ho più volte richiamato, abbiamo la questione del PFOS che in questo momento va controllata e monitorata, ma per quello che riguarda l'approvvigionamento potabile al momento non ci sono problemi. Riguardo alla potabilizzazione la competenza è della sanità, noi come agenzia facciamo tutto il monitoraggio e le analisi finalizzate alla valutazione della qualità dell'acqua potabile. Come dicevo prima il 60 per cento dell'acqua potabile arriva dal sotterraneo che, come ho più volte richiamato, è abbastanza protetto – anche per conformazione idrogeologica – dalle possibili pressioni di diverse sostanze tra cui i PFAS. Quindi, non rappresenta al momento un problema per la parte potabile.
  Stiamo seguendo la questione della potabilizzazione dell'acqua superficiale. In particolare, ci sono molte attività condotte dalla sanità, ma anche dal gestore del servizio idrico integrato. Sostanzialmente si Pag. 5parla del potabilizzatore di Pontelagoscuro, che prelevando l'acqua dal Po fornisce il 90 per cento dell'acqua potabile. Le attività di caratterizzazione relativamente all'uso potabile sono partite nel ferrarese. Nella storia della distribuzione dell'acqua potabile non si è mai avuto un superamento, addirittura si parla di valori inferiori a quel LOQ, il limite di quantificazione che prima richiamavo, che si aggirano intorno ai 10 nanogrammi/litro. Quindi è una situazione controllata che al momento – date anche le concentrazioni rilevate nel Po – non ha delle conseguenze a livello di distribuzione di acqua potabile. Vorrei anche ricordare che l'impianto di potabilizzazione di Ferrara ha un treno di trattamenti, nel senso che alterna diversi trattamenti, tra cui anche il carbone attivo. Quindi, questo rappresenta una sicurezza importante ai fini del mantenimento della qualità delle acque. Anche in relazione agli attuali limiti proposti e applicati in Veneto per quello che riguarda la potabilizzazione o i limiti che verranno introdotti dalla nuova direttiva delle acque potabili, siamo con un assetto tecnologico e una condizione ambientale di concentrazioni tali per cui, ripeto, evidentemente abbiamo necessità di continuare l'attività di monitoraggio, ma sicuramente i segnali non sono di preoccupazione, né tantomeno di emergenza. Ripeto e sottolineo che nel territorio regionale non abbiamo problematiche relative a hotspot, anche perché non ci sono dei siti che producono questa tipologia di sostanze.
  Attualmente, mi fa piacere segnalarlo con malcelato orgoglio, siamo impegnati in un progetto importante finanziato dal consorzio di ricerca scientifico della regione Veneto con partner importanti come la London School of Hygiene and Tropical Medicine, la Medical University di Innsbruck, l'Università di Bologna e di Modena. Noi siamo i capofila assieme all'Arpa Veneto. Il progetto si chiama PaMPER e ha l'obiettivo di cercare di identificare i meccanismi d'azione e le dosi soglia di questi composti della famiglia dei PFAS e di valutare ed elaborare il modello di distribuzione e di accumulo negli organi e nei tessuti. È fondamentale per la tossicologia avere idea della distribuzione di questi composti all'interno dei diversi organi e tessuti. Il progetto è molto interessante, sta andando avanti e credo che per la fine dell'anno produrrà risultati importanti anche a livello internazionale.

  PRESIDENTE. Prego, onorevole Zolezzi.

  ALBERTO ZOLEZZI. Ringrazio il presidente di Arpa Emilia Romagna. Nella recente audizione con Arpa Lombardia ci è stato detto che in questa regione non stanno più arrivando alcuni rifiuti particolarmente critici per contenuto di PFAS, cioè i fanghi del depuratore di Trissino e i percolati delle discariche limitrofe alla zona rossa del Veneto. Entrambi questi rifiuti critici arrivavano alla discarica in provincia di Mantova e in un depuratore, sempre in provincia di Mantova, a Castiglione delle Stiviere. Lì non arrivano più da tre o quattro anni, volevo capire se per caso sta arrivando qualcosa in Emilia Romagna. È vero che la normativa non è chiara sugli scarichi, ma c'è una normativa più generale sulla tutela della salute che impone cautele se ci si trova a trattare sostanze contenenti PFAS, oltretutto con contenuti così elevati. Nei percolati sono stati trovati 100-120.000 nanogrammi di PFAS, sono contenuti piuttosto impegnativi. Visto che le Arpa sono in rete con ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e con SNPA (Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente), volevo sapere riguardo al contenuto dei PFAS nel Po se state conducendo qualche studio particolare sui PFAS cosiddetti di nuova generazione (GenX, ciclo C6O4) che alcune aziende, in particolare in Piemonte (Spinetta Marengo), chiedono di produrre in quantità ancora maggiori. Buona parte dei PFAS che trovate nel Po in Emilia Romagna derivano da queste produzioni. State portando avanti qualche studio su queste specifiche sostanze che, secondo quanto riferito dal professor Foresta in Commissione, sono molto pericolose per la nostra salute? Infine, sembra che Arpa Piemonte stia dando il benestare all'aumento della loro produzione.

  PRESIDENTE. Prego direttore.

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  GIUSEPPE BORTONE, direttore generale di Arpa Emilia Romagna. Il nostro approccio metodologico è stato quello di andare a valutare tutti i punti potenziali di pressione, tra cui anche la produzione e il trattamento dei percolati di discarica. Rispondo alla prima domanda dicendo che non abbiamo segnali evidenti di criticità rispetto alle pressioni rappresentate da acque reflue urbane di depurazione, impianti di trattamento chimico-fisici per i percolati, utilizzo dei fanghi in agricoltura. Tuttavia, come sottolineavo, la rete di monitoraggio è operativa e serve per andare a individuare il trend eventuale di questi contaminanti. Dopodiché, essendo quello dei rifiuti speciali un libero mercato, al momento io non ho indicazioni di criticità di uscita di rifiuti speciali che arrivano dal Veneto o da altre regioni. Posso solo riportare un dato continuo di controllo dei punti di pressione che non ci segnalano degli incrementi, dei trend. Ovviamente necessitano monitoraggi per poter fare le valutazioni.
  L'altra questione sono i nuovi PFAS, in particolare il C6O4. Insieme al Sistema nazionale di protezione ambientale ci siamo attivati. All'interno del sistema è stato attivato un osservatorio PFAS che cerca di mettere insieme le esperienze fatte dalle 21 agenzie distribuite sul territorio regionale. In quel contesto si stanno mettendo a punto le metodiche analitiche e le strumentazioni per la determinazione analitica di quel composto, in particolare il C6O4. Al momento non c'è una metodologia standard ufficiale per la determinazione, né esistono dei limiti di legge e dal punto di vista tecnico c'è ancora più difficoltà perché fino ad ora è stato reperito soltanto un fornitore dello standard puro del C6O4. Lo standard è fondamentale per mettere a punto la metodologia analitica, per avere la possibilità di definire il limite di quantificazione e la precisione del metodo. A livello foto di sistema stiamo lavorando per mettere a punto metodiche, strumentazione, per acquisire lo standard ufficiale del C6O4.
  Sul territorio c'è una fornitura di acqua potabile verso Rovigo da parte del gestore del servizio idrico di Ferrara. La regione Veneto ha dato disposizioni relativamente alla presenza del C6O4, di conseguenza il gestore che garantisce la fornitura d'acqua per la provincia di Rovigo assicura le analisi utilizzando metodiche mutuate su altri composti e il reagente, che come sapete ha una dimensione al 40 per cento, non corrisponde allo standard ufficiale che prima richiamavo. Il gestore non segnala concentrazioni di C6O4 nell'acqua trattata potabile che superano i valori applicati anche dalla Regione Veneto, ovvero il limite della quantificazione pari a 40 nanogrammi/litro.
  Nell'ambito dell'osservatorio del NSPA si sta anche cercando di valutare quali sono le migliori tecnologie da applicare, quali i possibili limiti allo scarico, perché se ci sono dei punti di maggiore immissione e pressione di queste sostanze attraverso scarichi puntuali, il sistema ritiene che sia importante arrivare a una definizione del limite legale allo scarico. Ovviamente siamo d'accordo tutti che questo limite dovrebbe tendere allo zero vista la natura e gli effetti di questi composti. Quindi, stiamo cercando di acquisire le informazioni, i metodi, gli strumenti per supportare il legislatore qualora intervenga nella definizione dei limiti dello scarico del C6O4.
  Sul C6O4, anche a livello tossicologico, non ci sono dati di evidenza di impatto, quindi c'è anche questo aspetto da tenere in considerazione e su cui lavorare per definirne la tossicità.

  PRESIDENTE. Lei ha parlato di tre impianti principali che utilizzano queste sostanze. Una non ha scarico, se ho capito bene. Quindi, che fine potrebbero fare queste sostanze? Per le altre due com'è la situazione delle analisi degli scarichi? Sono state fatte?

  GIUSEPPE BORTONE, direttore generale di Arpa Emilia Romagna. Sì, perché erano tra i punti di pressione su cui è stata dimensionata la rete. Non hanno dato delle indicazioni di pressioni significative sul corso d'acqua. Invece per la prima considerazione era proprio il ciclo di lavorazione di quella attività che non prevedeva l'immissione Pag. 7 di PFAS in scarichi idrici. Ci si è concentrati anche sulle eventuali emissioni e potenziali ricadute. Però lì è stato fatto un monitoraggio dedicato – parliamo di qualche anno fa – che non ha evidenziato emissioni in atmosfera. Quindi, non c'erano scarichi idrici perché non previsti nel ciclo produttivo a secco.

  PRESIDENTE. Se ho capito bene la questione legata al C6O4 e GenX non viene da voi analizzata perché ancora non ci sono standard. Però la regione Veneto sta monitorando e analizzando il C6O4 e il GenX, perché non collaborate con loro per conoscere i loro standard e replicarli?

  GIUSEPPE BORTONE, direttore generale di Arpa Emilia Romagna. No, stiamo collaborando. Relativamente alla rete, al sistema delle agenzie, Arpa Veneto fa un po' da capofila rispetto alle tematiche legate ai PFAS e ancor più al C6O4, per cui c'è un continuo scambio. Anzi, quello studio di ricognizione fatto per progettare la rete di monitoraggio ha visto proprio i laboratori dell'Arpa Veneto eseguire le analisi per conto di quelle agenzie che non disponevano degli strumenti, delle metodiche appropriate. Per il discorso del C6O4 noi ci stiamo concentrando per riuscire a elaborare la metodica ufficiale, ripetibile e standardizzata. È fondamentale avere lo standard puro per avere la sufficiente precisione di ripetibilità della metodica. Quindi lo scambio con l'Arpa Veneto è continuo. Adesso noi stiamo cercando di portare a termine insieme con Arpa Veneto la definizione formale e standard della procedura.

  PRESIDENTE. Che tempistiche prevedete, perché ci vuole tutto questo tempo?

  GIUSEPPE BORTONE, direttore generale di Arpa Emilia Romagna. In questi casi il primo passaggio è avere lo standard in purezza per aumentare il livello di attendibilità della misura del metodo che si mette in atto. Evidentemente lavorando a quelle concentrazioni con, ripeto, limiti di quantificazione molto bassi, perché parliamo di 40 nanogrammi litro, è necessario fare questi passaggi. Lo standard è stato acquisito, io credo che nei prossimi mesi saremo pronti con la metodica da poter applicare su scala nazionale.

  PRESIDENTE. Quindi, sicuramente ci aggiorneremo. Invece, se ho capito bene, la zona di Ferrara è l'unica che utilizza per l'acqua potabile la falda superficiale del Po. Mi chiedo perché, ovviamente ci sarà un motivo idrogeologico. Visto che le acque superficiali sono più a rischio mi chiedo se questo è un problema, oppure nelle acque di quella zona non si riscontrano significativi sforamenti grazie alla depurazione, ai carboni attivi, insomma a una metodologia usata per trasformare l'acqua superficiale in potabile.

  GIUSEPPE BORTONE, direttore generale di Arpa Emilia Romagna. Sì, a Ferrara la fonte di approvvigionamento per il potabile è il Po. La città di Ferrara per il 90 per cento è seguita dal potabilizzatore di Pontelagoscuro, la fonte di approvvigionamento è legata alle caratteristiche orografiche e geografiche di Ferrara. Quindi storicamente c'è sempre stato un utilizzo delle acque come presa dal fiume Po. Il sistema dell'Emilia Romagna comporta circa 505 milioni di metri cubi di acqua all'anno per l'uso potabile, il 55-60 per cento dei quali deriva dal sotterraneo, il resto dal superficiale. Non solo Ferrara, anche il sistema della Romagna attinge da acque superficiali attraverso il sistema della diga di Ridracoli e una parte del bolognese con il sistema Brasimone Suviana attinge da acque appenniniche. Come dicevo, sul sotterraneo non abbiamo indicatori che ci danno segnali di preoccupazione, per conformazione dello stesso sistema idrogeologico.
  Sulle acque superficiali, come richiamavo, in tutte le campagne di monitoraggio fatte, il problema attuale in termini di superamento dello standard di qualità ambientale è per i PFOS. Il PFOS ha dei valori che possono superare lo standard di qualità ambientale medio annuo. Questo non dà preoccupazioni all'impianto di potabilizzazione di Ferrara perché è presente un Pag. 8sistema di trattamenti che consente di avere la massima sicurezza nella qualità delle acque. Comunque parliamo di valori che sono nell'ordine del nanogrammo. A fronte di uno standard di qualità ambientale medio richiesto dalla norma di 0,65, andiamo tra gli uno e i nove nanogrammi come media annuale. Per esempio, la norma dà anche uno standard di qualità che non può essere superato molto più elevato, di diverso ordine di grandezza rispetto al valore medio annuale. Dopodiché, ripeto, c'è un sistema di trattamento che è in grado di garantire con grande sicurezza la qualità dell'acqua alla distribuzione.

  PRESIDENTE. Gli sforamenti aumentati nel 2020 – fino a settembre, probabilmente aumenteranno ancora di più – sono dovuti semplicemente a un aumento delle misurazioni dei campionamenti o state effettivamente verificando che sta peggiorando? Ovviamente sono previsioni difficili da fare, ma cosa vi aspettate nei prossimi anni?

  GIUSEPPE BORTONE, direttore generale di Arpa Emilia Romagna. Per il 2020 abbiamo preferito inviarvi l'unica giornata di monitoraggio. Per ottenere la caratterizzazione delle acque superficiali c'è bisogno di fare prelievi durante tutto l'anno, fino a quattro e in alcuni casi anche sei campioni. Per il 2020 potremmo dire la classificazione di quelle acque quando avremo completato i campionamenti previsti dalla direttiva. Se volete, ho un campione puntuale. Da quel numero non possiamo desumere un trend. Per direttiva comunitaria (direttiva quadro sulle acque) al 2027 dobbiamo garantire il mantenimento dello standard di qualità ambientale che prima ho più volte richiamato. Quindi, ripeto, qui parliamo di sforamenti che sono sostanzialmente riconducibili a poche unità di nanogrammo per litro. Adesso con i dati a disposizione è difficile andare a intravedere un trend, però è sicuramente vero che parliamo di scostamenti minimi rispetto allo standard di qualità ambientale, ma che tuttavia potrebbero portare a una classificazione ambientale delle acque non sufficiente. Nel 2027 avremo la tappa fondamentale per definire la classificazione delle acque anche relativamente a questi composti.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre questioni da parte dei miei colleghi, la ringrazio e dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.50.