XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati

Resoconto stenografico



Seduta n. 17 di Mercoledì 20 marzo 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 3 

Audizione del Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa, Roberto Vannucci:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 3 
D'Arienzo Vincenzo  ... 3 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 3 
Vannucci Roberto , Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa ... 3 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 5 
Vannucci Roberto , Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa ... 5 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 6 
Vannucci Roberto , Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa ... 6 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 6 
Benedetti Silvia (Misto)  ... 6 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 7 
Vannucci Roberto , Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa ... 7 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 7 
Vannucci Roberto , Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa ... 7 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 11 
Vannucci Roberto , Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa ... 11 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 11 
Vannucci Roberto , Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa ... 11 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 12 
Vannucci Roberto , Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa ... 12 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 12 
Vannucci Roberto , Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa ... 12 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 13 
Vannucci Roberto , Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa ... 13 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 13 
Vannucci Roberto , Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa ... 13 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 13 
Vannucci Roberto , Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa ... 13 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 13 
Vannucci Roberto , Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa ... 13 
Patassini Tullio (LEGA)  ... 13 
Vannucci Roberto , Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa ... 13 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 14 
Vannucci Roberto , Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa ... 14 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 15 

(La seduta, sospesa alle 15.40, riprende alle 16) ... 15 

Comunicazioni del Presidente:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 15

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
STEFANO VIGNAROLI

  La seduta comincia alle 14.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione streaming sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa, Roberto Vannucci.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa, Roberto Vannucci, che ringrazio per la presenza.
  Comunico che l'audito ha preso visione della disciplina relativa al regime di pubblicità del resoconto stenografico della seduta in base al quale...
  Invito il nostro ospite a svolgere una relazione sul nostro filone di inchiesta sul fenomeno degli abiti usati, cui faranno seguito eventuali domande di chiarimento da parte dei commissari.
  Il senatore D'Arienzo ha chiesto la parola sui lavori della Commissione.

  VINCENZO D'ARIENZO. Grazie, presidente. Capisco l'inusualità della richiesta, ma oggi è il caso di parlare di questo (è solo una considerazione e una richiesta).
  Come immagino saprà, questa mattina alla Camera c'è stato un incontro in occasione del venticinquesimo anniversario dell'esecuzione di due italiani, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, e nell'occasione i giornalisti, in particolare la Federazione Nazionale della Stampa, hanno chiesto anche a questa Commissione, soprattutto a questa Commissione, di richiamare l'attenzione, era una iniziativa di sensibilizzazione, su questo tema.
  Bene la decisione, già acquisita dall'Ufficio di presidenza, di riprendere il lavoro svolto nelle precedenti legislature sull'argomento. L'indagine giornalistica svolta da Ilaria Alpi si riferiva al famoso trasferimento di rifiuti dall'Italia verso la Somalia.
  A nome del PD raccogliamo l'invito di questa mattina e, visto che dell'Ufficio di presidenza della Commissione ha già preso una decisione al riguardo, chiediamo di accelerare i tempi e di dedicare un momento particolare, approfittando di questa sensibilizzazione, affinché il sacrificio di quelle due persone non sia stato vano.

  PRESIDENTE. Come ha detto, questo intervento è inusuale, perché andrebbe svolto in Ufficio di presidenza il quale, tra l'altro, ha già deliberato di occuparsi dell'argomento. Tempi e modi verranno decisi in Ufficio di presidenza.
  Do la parola al nostro ospite, ingegner Vannucci, per lo svolgimento della sua relazione.

  ROBERTO VANNUCCI, Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa. Grazie, presidente, buon pomeriggio a tutti. Mi chiamo Roberto Vannucci e sono responsabile dell'area ricerca e innovazione multisettoriale del centro tessile cotoniero e abbigliamento di Busto Arsizio, il cui nickname è Centrocot. Pag. 4
  Cercherò di illustrare brevemente prima chi siamo, con due slide di appoggio e qualche parola di presentazione del Centro e dell'attività che svolgiamo, poi in base alle richieste che mi sono state fatte, ho predisposto alcune informazioni sull'industria tessile e abbigliamento europea ed italiana in termini di numeri, di collocamento economico quantitativo, una presentazione – sempre sintetica, quasi per titoli, ma in qualsiasi momento potete farmi delle domande, se ci sono richieste di chiarimento di aspetti che non avrò spiegato bene – del settore, della filiera tessile e abbigliamento, quella che produce l'abito nuovo, e dal punto di vista tecnico lo stato dell'arte sull'attività di recupero e riciclo degli abiti usati e dei materiali.
  Siamo un centro abbastanza grosso per l'Italia, siamo più di 90 persone (questi sono dati 2018, siamo già diventati 95 o 96 dipendenti), siamo il più grande in Italia anche se in Europa ci confrontiamo con centri analoghi al nostro che hanno 150 o 250 dipendenti, tanto per darvi un'idea della complessità (sarà interessante vedere i dati paragonati) del nostro mestiere e delle imprese del tessile e abbigliamento. In Germania, dove io incontro abbastanza sistematicamente gruppi di lavoro, a volte come competitor, a volte come collaboratori, tre centri tecnologici tedeschi fanno 1.600 dipendenti. Questo vi dà un'idea della differenza e disparità di forze con cui ci confrontiamo, e nonostante tutto l'Italia è il Paese principale per il tessile e abbigliamento in Europa.
  I nostri servizi sono variegati, siamo un centro di prove, certificazione e anche ricerca, però principalmente testiamo i materiali, dall'inizio della materia prima fino all'abito confezionato o ai sistemi tessili complessi, come li chiamo io, perché una divisa dei vigili del fuoco è un abito, ma in realtà è un sistema complesso, perché è multistrato, multimateriale, multifunzioni, adesso ci stanno inserendo i GPS, i rilevatori di parametri fisiologici (temperatura, sudore), quindi devono ovviamente rispondere a certe norme di sicurezza. Noi siamo ente notificato per la marcatura CE di questi dispositivi di protezione individuale.
  In più, siamo uno dei centri associati nell'associazione OEKO-TEX, che è un marchio privato, ma di fatto è uno standard internazionale, avendo più di 150.000 certificati emessi in tutto il mondo di assenza di sostanze nocive nei materiali tessili.
  La nostra attività principale di test e certificazione rappresenta il 70 per cento del nostro fatturato, il restante 30 per cento è suddiviso fra ricerca e innovazione, non facciamo ricerca di base ma ricerca applicata. La ricerca di base viene fatta dalle università, con le quali collaboriamo in tutta Italia non solo in Lombardia, dove siamo localizzati, e in collaborazione con le aziende svolgiamo l'innovazione e lo sviluppo di nuovi prodotti, nuove applicazioni, nuovi processi, più un'attività di formazione di tecnici sia già occupati che giovani disoccupati o di perfezionamento vario.
  Questa slide non è bellissima, ma indica la complessità dei temi che stanno dietro un'industria, che è una delle più antiche dell'uomo, dopo quella alimentare. Nonostante si possa ritenere un'industria obsoleta, in realtà è un'industria molto attiva e innovativa, non compare sulle pagine dei giornali o nei media vari come l’innovation technology, l'Industria 4.0 o l'intelligenza artificiale, ma sicuramente usa anche queste tecnologie.
  Questa è la complessità della filiera tecnica e anche di ambiti di applicazione dell'industria tessile e abbigliamento. Parliamo di tessile e abbigliamento, ma ci sono anche applicazioni non abbigliamento, cosiddette «tecniche», che si stanno fra l'altro sviluppando sempre più, nelle auto la presenza di materiale che si può definire tessile per esempio è maggiore del 70-80 per cento nella componentistica, e non solo nella selleria e nelle tappezzerie interne dell'abitacolo, ma anche come materiali compositi e altri materiali tecnici.
  In Italia siamo molto forti nella filiera tessile e abbigliamento, anche se vi sono sempre più – fortunatamente da un certo punto di vista – industrie di tipo tessile per l'applicazione tecnica.
  Purtroppo i dati non si vedono, ma il numero che può interessare è il fatturato Pag. 52017, il turnover delle imprese del settore tessile abbigliamento europee che è di 181 miliardi nel 2017, abbastanza suddiviso in diverse applicazioni, compresa anche quella tecnica, se non vado errato quella di sinistra più ampia, in azzurrino, è riferita all'abbigliamento.
  Per quanto riguarda le specializzazioni dei vari Paesi il 42 per cento dell'abbigliamento europeo è prodotto in Italia, ovviamente prodotto non vuol dire letteralmente fabbricato, ma vuol dire che è un prodotto che nasce o da concezione o da realizzazione di tipo italiano e quindi transita dal nostro territorio. In Germania hanno un 25 per cento della produzione europea di tessili tecnici, mentre la Romania ha una forte presenza di manodopera, quindi di industria dell'abbigliamento.
  Parte della delocalizzazione che è avvenuta negli anni 2000 in Cina è, quindi, ritornata nei Paesi dell'est. Ovviamente è difficile che ritorni in Italia per i motivi che per cui è andata via. Anche il Nord Africa, Tunisia e Marocco, che qui non sono segnate, sono sedi di delocalizzazione delle imprese italiane, in quanto tutto sommato la vicinanza e quindi la possibilità di fornire un servizio in piccoli lotti e in tempo ristretto ai clienti è stata premiante per questa rilocalizzazione delle industrie.
  Il Regno Unito è indicato perché è una fonte Euratex, l'unione delle associazioni tessili nazionali di tutta Europa. L'Inghilterra negli ultimi 5-10 anni ha visto una rinascita dell'industria tessile, è stata uno dei primi Paesi in cui l'industria è sparita e 2-3 anni fa è stata rimessa in funzione una filatura, che è una delle operazioni sparite per prime da tutta Europa. C'è un ulteriore revamping dell'industria.
  Questi sono i dati italiani. Se vi ricordate, il turnover dell'Europa è 181 milioni, di cui 54 dell'Italia; quindi un terzo del fatturato europeo dell'industria tessile e abbigliamento è generato dall'Italia, così come il numero di imprese, 176, poco meno di un terzo. In termini sia di fatturato che di industria che di occupati l'Italia pesa all'incirca per un terzo dell'industria europea.
  Un altro dato positivo è che, dopo gli ultimi 20-30 anni in cui c'è stato un continuo decremento di aziende (è ancora meno 560 nel 2017) e di occupati, per il primo anno sia a livello europeo che a livello italiano si è notato un più qualcosa, più 0,15 per cento. Su 400.000 addetti, 600 possono sembrare un'inezia, ma dopo 30 anni di numeri negativi avere un numero positivo è assolutamente interessante.
  Come accenno sulle problematiche dell'industria, è previsto da studi Confindustria che nei prossimi cinque anni, da adesso al 2025, per il solo ricambio generazionale, quindi operai e impiegati che vanno in pensione, ci sarà la necessità di 40-50.000 nuovi addetti, ma non ci sono università specialistiche in Italia sul tessile, le scuole tessili non sono in grado di formare questo numero, per cui molto è lasciato ad enti di formazione come il nostro, che operano cercando di riallineare o riqualificare lauree anche non tecniche in partenza (pensiamo a Scienze delle comunicazioni o a Lettere e filosofia) in funzioni dove possano essere utili anche nell'ambito dell'industria tessile e abbigliamento. Peraltro i nostri corsi sono molto tecnici, quindi se uno volesse iniziare da zero potrebbe farlo.
  Questa vista è riferita alla specifica filiera tessile e abbigliamento, in quella sorta di nuvola deformata si vedono anche altri settori. Qui entra solo il chimico nella fornitura di sostanze chimiche per le diverse attività, ovviamente c'è il meccanotessile e tutta una serie di altri settori di supporto.
  Il processo è abbastanza lungo e questo dà una complessità notevole nell'eventuale riciclo e recupero di questi materiali...

  PRESIDENTE. A proposito di prodotti chimici, noi ci siamo occupati del problema dei PFAS che servono all'impermeabilizzazione dei tessuti principalmente, quindi quali sono le vostre considerazioni al riguardo?

  ROBERTO VANNUCCI, Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa. Noi testiamo queste materie, la base di riferimento è il Regolamento europeo REACH, che vieta l'utilizzo di certe sostanze. Pag. 6
  Ancor prima il certificato OEKO-TEX, che è stato definito nel 1992-1993, aveva identificato una serie di sostanze pericolose, viene aggiornato ogni anno, in alcuni casi è più restrittivo rispetto alle richieste del REACH, così come è più restrittivo di campagne o azioni promosse da associazioni come Greenpeace. Avrete sentito nominare DETOX o ZDHC, Zero Discharge of Hazardous Chemicals, che sono iniziative volontarie e private; grazie alla pressione che associazioni come Greenpeace, che non è l'unica ma è la più nota da questo punto di vista, hanno iniziato a esercitare da 10-15 anni a questa parte sulle grandi marche che stavano inquinando i fiumi della Cina, dove c'è la maggior parte della produzione, e anche attraverso campagne ai consumatori e al pubblico, noi cerchiamo di acquistare capi e materiali che non abbiano queste sostanze.
  Con questa pressione alcune aziende (ogni giorno se ne aggiunge una) hanno dato vita a DETOX, che è sostanzialmente un commitment, un impegno a ridurre le sostanze, non solo quelle REACH e quelle vietate formalmente, ma anche altre, fino ad arrivare a ZDHC, che è un altro standard, quindi una sorta di certificazione sulle aziende che non utilizzano determinate sostanze. L'obiettivo è zero discarica in ambiente, non è così fattibile tecnicamente, però questo è l'obiettivo.

  PRESIDENTE. Mi domandavo se l'inquinamento da PFAS abbia cambiato l'approccio dell'impermeabilizzazione dei tessuti oppure nulla sia cambiato.

  ROBERTO VANNUCCI, Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa. È cambiato, lo possiamo testimoniare anche noi come centro di ricerca. Queste sostanze sono caratterizzate da catene denominate genericamente C4, C6, C8 in funzione della lunghezza della catena, è stato eliminato il C8, che è quello più persistente nell'ambiente, con possibilità di entrare nella catena alimentare proprio perché degrada con estrema difficoltà.
  Le aziende stanno quindi lavorando sul C6 e anche sul C4; chiaramente il problema è duplice, da un lato è tecnico, per ottenere le stesse prestazioni. Qui è un problema di bisticcio all'interno della filiera, nel senso che se faccio un k-way o una giacca da usare per lo sci in ambienti freddi o comunque uso materiale impermeabile voglio la prestazione massima, quindi la parte a valle, i confezionisti, la grande distribuzione, i brand vogliono queste prestazioni. Usare processi meno efficienti, perché usare un materiale caratterizzato da C6 o C4 dà prestazioni meno persistenti o meno funzionali, richiede l'impegno di entrambi. In questo senso la catena a valle è spinta da associazioni come Greenpeace.
  C'è un miglioramento da questo punto di vista, certamente occorre considerare che alcune prestazioni allo stato dell'arte non possono essere garantite. Il problema si pone nei dispositivi di protezione individuale, perché, se per un abbigliamento sportswear posso anche pensare di rinunciare ad una prestazione di un certo tipo, anche se poi ci abituiamo male e appena ci danno qualcosa in più tornare indietro è difficile, dove ci sono problemi di sicurezza per l'operatore questo diventa ancora più difficile.
  Stiamo realizzando degli studi e partecipando ad un progetto insieme ad un'azienda per eliminare la DMF, il dimetilformammide, una sostanza usata per produrre dei nastri, degli accessori di abbigliamento in poliuretano, quindi stiamo studiando altri metodi per non utilizzare questo solvente che è nella lista ristretta del REACH e quindi prossimo all'uscita forse nel 2020, ma comunque è sicuramente monitorato. In questo caso con un'azienda e un partenariato con l'Università di Milano e altre due o tre aziende stiamo studiando vari approcci per eliminare questa sostanza.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SILVIA BENEDETTI. Lei ha parlato di sostanze utilizzate nella lavorazione, ma mi domando se nel settore tessile ci sia una riflessione sui tessuti in sé, quindi sul fatto Pag. 7che ci siano poliammide, poliestere, tutti materiali che, a quanto so, non sono riciclabili, e che, come avevo già evidenziato nella scorsa legislatura, presentano una problematica di lavaggio. Quando il consumatore porta a casa uno di questi prodotti, lavandoli, delle microfibre finiscono nelle acque di scarico delle lavatrici e diventa molto difficile controllare che non finiscano in ambiente.
  Vorrei capire se da parte dell'industria e da parte vostra ci sia un'attenzione maggiore a come viene realizzato il tessuto in sé, al di là dei prodotti chimici che vengono utilizzati nella lavorazione.

  PRESIDENTE. Non so se abbia altro da aggiungere sulla filiera, che è interessante in generale, anche perché, come lei diceva, l'industria tessile italiana è una delle più potenti al mondo...

  ROBERTO VANNUCCI, Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa. La più potente è la Cina, noi abbiamo parlato di Europa, le capacità produttive della Cina...

  PRESIDENTE. Se ci fa un'analisi di quali materiali sono facilmente riciclabili, riutilizzabili, del grado di durevolezza dei tessuti, quali sono invece i tessuti che non conviene recuperare o riciclare, ma conviene invece smaltire, insomma se ci parla della gestione dei rifiuti tessili...

  ROBERTO VANNUCCI, Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa. Scorro velocemente e poi rispondo, perché sono comunque slide presenti e il tema è quello.
  Questo per dare un'idea delle prestazioni richieste anche di tipo tecnico non solo professionale, per esempio tessuti schermanti alle radiazioni ultraviolette e alle onde elettromagnetiche. Ci sono Paesi come l'Australia e la Nuova Zelanda che hanno emesso norme stringenti per la protezione che i tessuti devono dare dalle radiazioni ultravioletti; in Europa questo non c'è.
  Sono tutti aspetti innovativi, chiaramente ognuno di questi può essere ottenuto in modi diversi, quindi dà una varietà enorme di fibre e sostanze chimiche necessarie per ottenere queste prestazioni.
  Per iniziare a rispondere, i filati sono i più svariati, ma il consumo mondiale è prevalentemente incentrato sul cotone (30 cento) e sul poliestere (70 per cento), le altre sono nicchie. La lana non è mai diminuita come quantità consumata nel mondo dal 1900 ad oggi, però diminuisce percentualmente come quantità di fibra presente, perché aumentano a dismisura le altre, in particolare quelle man made di cui il poliestere è la più nota.
  In parte il poliestere è comunque riciclabile (ci sono degli studi europei), ovviamente con dei processi di tipo chimico, comunque non è solo da bruciare o da buttare via. Un problema lo rappresentano le multifibre, che sono difficili da riciclare. Se avessimo un abito solo di poliestere o solo di lana, sarebbe tutto un altro discorso. È uno dei temi di una delle slide finali.
  Esistono, anche se a livello aneddotico, alcune piccole nicchie locali anche italiane: in Calabria, per esempio, ci sono diverse iniziative sulla ginestra, una pianta da cui si può estrarre una fibra. Queste, però, sono nicchie di nicchie, sono dei palliativi rispetto alle necessità che possono esserci.
  Avevo letto anni fa (non è una cosa su cui possa fornirvi dati precisi, se me li chiedete) dei coloranti naturali. Se uno dovesse tingere in rosso porpora, come facevano i fenici prima e i romani dopo, non avremmo la quantità necessaria di coccinelle da cui veniva estratto questo porpora. Non riusciremmo a farlo.
  Non è che io sia a favore dell'artificiale, ma sul naturale bisogna fare delle attenzioni, si parla dei gas serra e pare che la seconda causa sia l'allevamento dei ruminanti che ne emettono in enorme quantità.
  Fibre tessili. Rispetto ad altri Paesi o continenti nostri competitor come la Cina, dove ci sono molte più caratteristiche obbligatorie da verificare e leggi da rispettare a parte il REACH, l'unico Regolamento europeo specifico per l'industria tessile è quello sulla composizione, quindi il consumatore nel capo deve poter trovare un'etichetta Pag. 8 in cui sia detto qual è la composizione, quanto di cotone e quanto di lana, se è pura lana o 100 per cento poliestere, con tutta una serie di regole, perché la complessità è tale che se metto più materiali e anche gli accessori (nastrini e altre cose) non posso fare un'etichetta lunga dieci metri perché riporta tutti questi materiali, quindi ovviamente metto in funzione della percentuale della composizione.
  Classificazione, naturali e chimiche – e questo ci fa pensare a vegetali, minerali, per esempio anche la lana di vetro piuttosto che la lana di roccia – hanno delle caratteristiche tali che possono essere trattate con dei processi che rientrano nel concetto di industria tessile.
  Questi sono i differenti passaggi del ciclo di filatura cotoniera, dalla raccolta del cotone fino al filato, sono tre paralleli, nel senso che sono tre tecnologie differenti, permettono di lavorare fibre differenti, per esempio le fibre da riciclo sicuramente non hanno delle caratteristiche tali da poter andare nel ciclo centrale, quello pettinato, principale, vanno nel ciclo cardato, open end, perché il riciclo di una fibra degrada perde qualità, non è come il vetro che nell'insieme delle perdite o degli scarti dovuti al riciclo alla fine è sempre lo stesso materiale, la fibra tessile è sempre lo stesso materiale ma ha delle caratteristiche completamente differenti. Questo vale sia nelle fibre naturali che in quelle artificiali.
  Il laniero è meno complesso, si potrebbe biforcare dopo la cardatura in filato pettinato e filato cardato. Sono anche tecnologie differenti, perché le fibre sono completamente differenti, il cotone è lungo 2-3 centimetri, il pelo della pecora può arrivare anche a 9-10 centimetri, quindi chiaramente sono anche tecnologie differenti delle macchine per trattare questo tipo di materiale.
  Ci sono poi quelle chimiche: anche qui le tecnologie sono differenti a seconda che lavori a secco, a umido, che utilizzi dei solventi oppure no. Questo per dare un'idea della complessità del materiale che ci troviamo di fronte, ed è facile comprendere che più il materiale che produciamo è complesso e più è difficile poi cercare di recuperarlo in qualche modo.
  Questo è il rapporto fra il peso e la lunghezza necessaria o viceversa, ma non entro nel merito. I diversi sistemi sono dati dalla storia; il fatto che sia un'industria in forma industriale da 300 anni, dalla metà del 1700 ad oggi, dà l'idea della complessità di armonizzare approcci e storie che ci sono dietro.
  Tessuti. Anche questo è interessante per il tema del riciclo: ci sono i tessuti ortogonali – questo è un tipico telaio a ratiera – con una serie di fili paralleli, orditi, che vengano intrecciati con dei filati di trama, e la complessità è tale che sia i fili in ordito possono essere differenti, sia il filo di trama può essere differente, cioè trame alternate di tipo differente, sia come colore per dare un effetto estetico, sia in termini di tipo di filato.
  Quando voglio riutilizzare o recuperare questo tessuto, mi trovo un tessuto come uno qualunque di quelli che indossiamo intimamente intrecciato come fili di materiale differente; se poi pensiamo che anche il filato può essere filato con materiale differente – in mischia intima come diciamo noi – quindi nello stesso filato trovo due fibre differenti, avete un'idea delle problematiche nel riciclare questo materiale.
  Una delle soluzioni è fare capi con un'unica fibra, dove anche il filato cucirino, che è differente in genere, è di quella fibra, dove anche i bottoni sono realizzati con quella fibra, quindi chiaramente stiamo parlando di una fibra man made. C'è un gruppo nazionale localizzato in Lombardia che ha fatto un capo di questo genere, però siamo disposti ad indossare tutti un unico materiale? Questo è il problema che si scontra o si incontra con il tema della moda, delle nostre esigenze, dell'estetica, senza parlare poi della moda fast fashion, la moda «usa e getta» che produce e consuma, che dà prodotti forse (bisogna valutarli uno per uno) di minore qualità, ma sicuramente prodotti complessi, a poco utilizzo.
  Questa è un'altra tecnologia, il telaio jacquard dà un'altra possibilità tecnologica per realizzare i tessuti. Questi invece sono Pag. 9vari tipi di maglie, una simula quelle della nonna, ma le altre sono tecnologie di produzione. In senso generale, un telaio a maglia, in quanto sicuramente più soffice e più largo, è più facilmente riciclabile di un tessuto battuto come questo, però ha altre funzioni e, se questo mi protegge dal vento in un certo modo, la maglia mi protegge di meno dal vento, quindi anche questo va bilanciato ad esigenze e caratteristiche.
  Qui siamo ancora nella parte tessile più meccanica; se poi andiamo a vedere i vari processi di finissaggio, complichiamo ulteriormente la cosa. La nobilitazione serve per dare effetti funzionali come l'impermeabilità, l'antibattericità, l'antisporco, l'oleorepellenza più che l'idrorepellenza, serve a dare colorazione, ci sono trattamenti che servono a rendere più soffice e più piacevole al tatto.
  Cosa stiamo facendo? In questo caso per esempio stiamo sperimentando (lo abbiamo acquistato, non l'abbiamo fatto noi) un macchinario, fabric touch tester, che dovrebbe con un'unica prova fornire una serie di parametri in grado di definire in maniera oggettiva e non umana la mano del tessuto, sono stati fatti diversi tentativi e questo forse c'è.
  Sulle microplastiche non esiste un metodo per misurare quantitativamente e qualitativamente le microplastiche, anche se possono essere misurate in termini quantitativi e qualitativi. Quando dico che non esiste un metodo, intendo che non esiste un metodo che non solo fa Centrocot, ma qualsiasi altro laboratorio in tutto il mondo può fare ripetendolo analogamente e trovare gli stessi risultati, oppure può verificare se i nostri risultati o i risultati di un altro sono corretti, quindi è la comunità scientifica che valuta se quel metodo è adeguato ed è ripetibile per «n» volte, ottenendo sempre gli stessi risultati in una certa tolleranza.
  Per fare questo stiamo mettendo a punto (me ne occupo con i miei collaboratori nell'area ricerca e innovazione e non i colleghi che fanno le prove di stabilità dimensionale, che sono quelle attinenti al lavaggio dei tessuti) sia l'apparecchiatura che le modalità di analisi delle microfibre che rimangono dopo il lavaggio e stiamo partecipando a due differenti gruppi di lavoro europei, in due contesti differenti, non con le stesse persone, alla definizione e messa a punto di un metodo in grado di definire quantitativamente il peso, la quantità di microfibre che durante un lavaggio vengono rilasciate, sia qualitativamente, cioè le dimensioni, la forma e anche di quale microfibra si tratta, specie se è un capo con più materiali.
  Bisogna, inoltre, definire i cicli di lavaggio standard, quali detersivi utilizzare, perché è dimostrato tecnicamente che i detersivi in polvere graffiano di più dei detersivi liquidi e quindi rischiano di generare più microfibre.
  Cosa fanno le imprese? In questo momento non li stiamo testando per valutare se un capo rilasci fibre. Alla messa a punto di questo metodo partecipano le imprese che producono filati, facendo delle maglie fittizie per valutare quali filati che loro producono e in quali condizioni producano più o meno microfibre.
  Riprendendo il processo di nobilitazione, queste sono tutti i possibili stati del materiale in cui possono essere fatti dei processi di finitura, a partire dal polimero (parliamo evidentemente di fibre man made sintetiche e artificiali) al fiocco, quelle naturali, tutte le varie forme di filati (nastro, nastro cardato, stoppino, matassa, rocco, subbio, che cambiano per dimensioni, caratteristiche e sistema d'appoggio), sui tessuti con tecnologie differenti in largo e in corda, e poi sui capi confezionati, non solo su calze, magliette e pantaloni, ma ovunque.
  L'effetto di tintura, quindi la solidità del colore, quando laviamo il capo e si stinge significa che probabilmente hanno lavorato male, ma sicuramente se lo faccio in fiocco è molto più solido che se lo faccio sul capo finito, quindi un tessuto che arriva con il filato colorato in fiocco con un bel colore giallo o rosso o anche scuri, che sono i più difficili, quelli che perdono di più, nero e blu, resiste molto di più di una maglietta degli stessi colori colorata direttamente in capo. Pag. 10
  La confezione è la fase finale dove esce il capo. La foto in basso a destra non so bene da dove arrivi, potrebbe essere India, Cina, Pakistan o anche Turchia, mentre quella di sinistra è un atelier italiano, quindi in Italia la confezione di media qualità, per non dire alta qualità rimane, però certamente non con i numeri che... vent'anni fa in Italia c'erano 3-4 volte tanto, adesso c'è ancora qualcosa ma certamente non con quelle dimensioni.
  Qui è dove si producono meno problemi sul trattamento tecnico dei materiali; certamente il capo confezionato (questo è un altro problema in termini di riciclo) è composto da più materiali, la mia giacca ha una fodera di viscosa, che è un materiale differente da questa lana, che fra l'altro è lana misto cashmere, per dire la complessità, non per sfoggiare la lana, però lavoro a Busto Arsizio ma vivo a Biella, nel tessile...
  Come faccio a riciclarlo? Dovrei separare prima, altrimenti mischio due materiali, viscosa e lana, che non hanno niente a che fare.
  Questi prodotti sono sicuri? Noi nasciamo come centro tessile cotoniero, ma testiamo di tutto, abbigliamento ma anche scarpe, anche nel caso di dispositivi di protezione individuale, monili, cerniere, bottoni, quindi anche in quelli bisogna verificare l'assenza di metalli pesanti che potrebbero esserci (piombo per esempio) o il cuoio, trattamenti sui pellami di vario genere, per verificare l'assenza di sostanze vietate o considerate nocive.
  Anche lì la complessità è che noi cerchiamo con l'OEKO-TEX di essere abbastanza aggiornati, di coprire tutte le richieste che possono venire dal mondo, però dobbiamo andare dietro ai clienti. Siamo riconosciuti ad esempio dal Governo americano per verificare nei prodotti per bambini l'assenza di accessori, in genere paillettes, piccoli Swarovski o simili, che possano contenere piombo, perché nella loro legislazione è importantissimo verificare l'assenza di queste sostanze, che negli Swarovski, nei cristalli o simili potrebbero esserci.
  I miei colleghi che nascono come tessili (il Centrocot è stato fondato nel 1987) rompono di tutto (zip, bottoni, accessori vari), e i metodi chimici ecologici per testarli sono gli stessi, perché sono delle estrazioni e si vanno a fare delle rilevazioni di vario genere.
  I requisiti di immissione sul mercato possono essere cogenti (REACH), derivanti da norme tecniche o anche capitolati di natura privata, quindi è un servizio che negli ultimi cinque anni si è sviluppato notevolmente da parte nostra grazie alle segreterie commerciali che raccolgono le richieste di prove da parte dei clienti, nell'indirizzare sui controlli adeguati.
  Arrivano a chiederci cosa debbano rispettare per esportare in Corea, alcuni miei colleghi non sanno quale sia la normativa tecnica nei 170 Paesi al mondo, però, a fronte della richiesta di un'azienda, vanno ad indagare quale norma tecnica debba essere rispettata per poter esportare in quel Paese.
  Mi viene sempre da pensare che due anni fa, quasi a fine luglio, abbiamo organizzato un workshop sulle regole tecniche per esporci a esportare in Etiopia ed Eritrea (immagino che pensiate come me che siano due dei Paesi più sperduti, per non dire più disagiati del mondo, quindi cosa vai a esportare il tessile, probabilmente sono porte d'ingresso per gli Emirati, per l'Arabia) e abbiamo avuto a fine luglio più di 30 tecnici che sono venuti a sentire quali fossero le normative tecniche da rispettare per esportare in quei Paesi, e questo mi ha colpito.
  Lo abbiamo fatto anche per la Russia, ma per la Russia o il mondo ex sovietico posso immaginare che ci sia un interesse ad esportare, perché hanno possibilità, mentre mi ha colpito vedere quasi 30 persone a sentire quali fossero gli standard tecnici applicati nel Corno d'Africa.
  Qui sono indicate le leggi applicabili al tessile, dalla direttiva generale sulla sicurezza dei prodotti che si applica anche al tessile, ci sono norme tecniche volontarie, l'unica usata frequentemente è quella in fondo, la norma internazionale UNI EN ISO per l'etichetta di manutenzione, che non è obbligatoria, cioè se deve essere lavata a 30 gradi, stirata o non stirata non Pag. 11è obbligatoria, ma nel momento in cui la metto però devo seguire quella norma.
  Esiste uno standard privato, quello dove le aziende pagano una royalty per poter utilizzare che sono quelle prevalentemente viste, quindi il triangolo, il tondo, la bacinella con l'acqua e i gradi per lavaggio a mano e i gradi a cui deve essere l'acqua.
  Le sostanze chimiche di cui principalmente si occupa il REACH, che è obbligatorio per coloro che producano o vogliano importare in Europa, devono essere autorizzate. Sono vietate le sostanze nei diversi allegati, in particolare il 15 e il 17.
  Greenpeace è riuscita a lanciare questa campagna DETOX e poi ZDHC, che è una dimostrazione; quindi le aziende mettono a punto i processi per poter rientrare nel capitolato definito da ZDHC. Poi ci sono i capitolati dei singoli committenti, quindi la grande distribuzione piuttosto che il grande brand chiede ai fornitori di filati, tessuti, capi, di rispondere a certi capitolati tecnici, e anche questo è un servizio che si è incrementato negli anni.
  Questo è l'andamento dei consumi, o meglio il numero di volte che viene indossato un capo; quindi vedete che dal 2000 al 2015 ha perso da 200 a 170, quindi un buon 15 per cento, e sta continuando, e contemporaneamente l'incremento dei capi in termini di unità sempre dal 2000 al 2015.

  PRESIDENTE. Che metodo si usa per calcolare il numero di volte medio che un tessuto viene...?

  ROBERTO VANNUCCI, Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa. Non lo so. Questa è una ricerca fatta dalla Ellen MacArthur Foundation.
  Questo è un trend statistico, quindi avranno fatte delle indagini campionarie, dei questionari, non lo so. A livello tecnico, in funzione della destinazione d'uso non ci sono degli obblighi, salvo che non siano dispositivi di protezione individuali, ma sono emessi o nei capitolati, nei terms of reference dei clienti, oppure da standard accettati di fatto.
  Per la divisa dei vigili del fuoco noi dobbiamo testare le caratteristiche tal quale, quindi quando viene fornita nuova, e anche dopo 50 lavaggi, il che vuol dire che noi facciamo 50 cicli di lavaggio misurando anche in fasi intermedie, quindi vengono lavate, asciugate, misurate non ad ogni ciclo, ma ogni x, per verificare che arrivino a 50. Così anche per il capo d'abbigliamento sportivo, quindi i vari Decathlon piuttosto che Moncler, che sono quasi tutti nostri clienti che sui loro prodotti definiscono il numero di lavaggi a cui devono sottostare i capi.
  Quella delle microplastiche è anche una valutazione fatta con le aziende produttrici dei filati (in realtà non è solo il filato, è coinvolto anche il tessuto e ovviamente il finissaggio nella propensione a degradare microplastiche del capo), però intanto a partire dall'azienda produttrice si sta studiando quali sono i limiti del materiale da loro prodotto, quindi a quanti lavaggi può resistere.
  Questa è un'attività di test che facciamo nello sviluppo dei prodotti insieme ai clienti; loro stanno sviluppando nuovi prodotti, nuovi processi, abbiamo parlato prima di passare dal C6 al C4 e chiaramente per garantire le caratteristiche minime da capitolato o le esigenze dei clienti loro mettono a punto dei processi di finissaggio differenti, che non usano più il C8 o il C6, ma devono sincerarsi che le caratteristiche e le prestazioni del capo siano, se non le stesse, almeno...

  ALBERTO ZOLEZZI. Dove viene prodotto adesso il C4, visto che la Miteni ha chiuso?

  ROBERTO VANNUCCI, Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa. Non lo so, mi scuso ma non è una conoscenza che ho.
  Per dare un'idea dei marchi, quello in basso a destra è l'OEKO-TEX cui accennavo, il CPSIA americano, anche la Cina ha degli standard e poi ci sono altri di tipo privato, l'associazione americana dei confezionisti, il GOZ è sul cotone biologico. Pag. 12
  Il lavaggio può comportare non solo l'emissione di microplastiche, certamente non come durante la produzione che è il maggiore inquinamento dovuto alla produzione di materiali tessili, ma anche durante il lavaggio possono essere rilasciate sostanze, quindi anche quelle vanno monitorate. Abbiamo collaborazioni con le aziende produttrici di detersivi, per verificare quanto producano... Questo è sempre lo stesso ciclo, ma iniziamo a vedere alle frecce che ritornano per le diverse possibilità di riutilizzo dei materiali. Finché siamo nella filiera è chiaro che è un riciclo interno, quindi sono cascami di vario genere che possono essere riutilizzati all'interno della stessa filiera, quando andiamo sul consumatore, a quel punto abbiamo il riuso di abiti usati o il riciclo.
  Questo sempre dalla Ellen McArthur Foundation è il bilancio percentuale di massa del materiale tessile, quindi vedete che più del 70 per cento finisce interrato o incenerito.
  Qui inizia l'ultima parte, quella sul riuso/riciclo dal punto di vista ovviamente tecnico. Quando un capo arriva a fine vita, i problemi sono, data la complessità, di riconoscerlo, selezionarlo e quindi riciclarlo, e questa sembra una cosa banale, però è assolutamente...
  Se trovo che il capo è ancora buono, lo posso riutilizzare e va a finire nei negozi di beneficenza; c'è qualche percentuale che va anche in meccanismi più commerciali tradizionali, in realtà più sugli stock di invenduti di collezioni degli anni precedenti, che quindi sono un usato relativamente perché non sono usati, mentre, una volta che viene dismesso o tramite invio alla Caritas piuttosto che i cassonetti delle associazioni, a quel punto c'è una cernita, devono essere riconosciuti, valutati buoni, cioè ancora utilizzabili e quindi dirottati in quella strada.
  Il problema della selezione c'è, perché comunque anche sul capo buono bisogna capire una serie di cose, ad esempio le tecnologie principali. Da studio londinese del 2015 (di più recenti non ne ho visti, però ci sono sicuramente) le problematiche sono comunque queste elencate nella selezione manuale, che ci troviamo di fronte quando vogliamo selezionare per colore, per tipo di tessuto, per qualità (usato, danneggiato, riparato), per stile, per marca (il denim è abbastanza riconoscibile, c'è effettivamente una linea di riuso e di riciclo per ottenere del materiale omogeneo), sono tessili complessi (tessile è anche l'arredamento, quindi le tende e le tappezzerie, quindi quando si va a smantellare un albergo o un teatro le quantità di tessuto da riciclare sono enormi).
  Questo nel manuale, poi vi sono alcune metodologie, l'FTR...

  PRESIDENTE. Chi fa questa selezione manuale e come avviene?

  ROBERTO VANNUCCI, Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa. Per quel che mi risulta, in questo momento la soluzione manuale viene fatta da chi raccoglie questi abiti, quindi le organizzazioni non governative.

  PRESIDENTE. Voi non vi occupate della filiera del rifiuto dell'abito usato, giusto?

  ROBERTO VANNUCCI, Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa. In quanto abiti no, anche se frequentiamo questi operatori per progetti di ricerca. Noi siamo molto coinvolti anche con questi operatori, perché l'abito che viene conferito dal cittadino può essere buono o può non esserlo, magari mancano due bottoni e non conviene, dato il valore, attaccarli, oppure può essere abbastanza usurato per cui lo mando al riciclo, e a quel punto il valore è assolutamente basso, quindi l'unica alternativa se non viene interrato è quella di bruciarlo.
  Nei nostri studi (abbiamo diversi progetti in atto) mirano a capire come riciclare, quindi riutilizzare il materiale componente, eventualmente con alcune sue caratteristiche, perché abbiamo speso per dargli un valore in tutta la catena precedente, e qui è un problema tecnologico di vario genere. Pag. 13
  Faccio un esempio di un progetto che stiamo avviando in questi giorni, finanziato dall'Unione europea: noi abbiamo proposto, d'accordo con un'azienda produttrice di tende per esterni in acrilico, di studiare come recuperare il materiale tessile, la tenda, dopo che è stata per anni installata, per recuperare l'acrilico in quanto tale, separando le sostanze chimiche che vi sono state inserite sopra, perché magari dovevano essere tende antifiamma, perché altrimenti andrebbero ad inquinare l'ambiente se messe in discarica, cercando di recuperare e trattare ulteriormente queste sostanze chimiche.
  Questi sono i tipi di progetti nei quali siamo coinvolti nella filiera del riciclo, cioè come riciclare e riutilizzare mantenendo il più possibile un valore, perché costa fare il filato o il tessuto, dargli una tinta, una proprietà antifiamma, anti-UV, come fare a mantenerla o comunque a recuperare parte di questo valore.

  PRESIDENTE. È in grado di stabilire che percentuale riuscite a recuperare?

  ROBERTO VANNUCCI, Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa. In che senso? Questo è un progetto di ricerca che sta iniziando, quindi le potrò rispondere cosa riusciamo a fare fra 2 o 3 anni, ma in senso generale...

  PRESIDENTE. Attualmente quanto di quel materiale che sta all'interno della filiera del tessile viene riciclato, per riutilizzarlo nel processo produttivo?

  ROBERTO VANNUCCI, Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa. Non ho dei numeri in questi termini; posso dire che questa è una cosa che vediamo anche su altri aspetti.
  Il materiale al momento riciclato o che può essere riciclato è comunque di una qualità decisamente inferiore a quello vergine, costa di più peraltro del processo vergine, quindi solo per motivi di obbligo, per esempio i Criteri Ambientali Minimi (CAM) nel GPP impongono l'utilizzo di percentuali che sono anche al massimo, cioè mettere un 10, 20, 30 per cento di materiale riciclato con il complemento a 100 di materiale vergine non mi degrada più di tanto le caratteristiche.

  PRESIDENTE. Voi rispettate questi CAM?

  ROBERTO VANNUCCI, Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa. Non noi, le aziende, sì, se vogliono partecipare alle gare. Il problema, se posso dirlo, è che l'Italia è l'unico Paese che ha l'obbligo del GPP, in tutti gli altri 27 o 26 Paesi europei c'è la direttiva, ma non hanno l'obbligo di utilizzarlo nelle gare d'appalto; l'Italia ce l'ha...

  PRESIDENTE. Però nessuno li controlla.

  ROBERTO VANNUCCI, Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa. Gli aspetti sono due: 1) è che se io faccio una gara dove (adesso esagero e butto dei numeri a caso) il 90 per cento pesa il prezzo, il valore di massimo ribasso; e 2) nessuno li controlla.

  TULLIO PATASSINI. Quando lei utilizza il materiale riutilizzato, in poche parole ci sta dicendo che costa di più, la qualità è inferiore e non riesce a mantenere gli standard qualitativi minimi, che potrebbero servire in determinati ambiti?

  ROBERTO VANNUCCI, Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa. Sì, il nostro problema come centro di ricerca è trovare anche degli utilizzi alternativi. Faccio un esempio, scusate se vado sempre sugli abiti tecnici, ma sono quelli che hanno necessità di approfondimento.
  Per fare i tessuti dei pompieri o le divise dei giubbetti antiproiettile piuttosto che altre divise o anche abiti da lavoro, in alcuni casi uso per esempio delle fibre di Pag. 14carbonio, e quando le ricicli queste non sono più continue, sono delle fibre discontinue, quindi ho necessità di filarle, e hanno comunque un punto di rottura maggiore della fibra continua e, se devo tenere la stessa resistenza, devo metterne di più e quindi ho un diametro maggiore, quindi posso non arrivare a fare certe prestazioni di spessore che in alcuni casi possono essere richieste.
  È un dato di fatto, il materiale riciclato (su altri non lo so dire, posso immaginare che potrebbe essere anche su altri)... perché l'economia circolare è ottimizzata da sempre, da 3.000 anni, l'utilizzo della materia prima e il suo trattamento per ottenere il prodotto finale probabilmente è molto più efficiente, però questo è da valutare. Sicuramente le caratteristiche dei materiali tessili quando rientrano vanno valutate attentamente.

  PRESIDENTE. I maglioni fatti in pile fatti con materiale totalmente riciclato resistono, quindi non credo che sia per tutti i materiali, giusto?

  ROBERTO VANNUCCI, Responsabile ricerche e innovazione del Centro tessile cotoniero e abbigliamento Centrocot Spa. Io mi riferivo al tessile, confrontando tessile su tessile, in questo caso il pile viene da chip tratti dalle bottiglie di plastica. Anche qui c'è complessità, perché ci sono bottiglie bianche, verdi o colorate. Comunque questo è un caso di riciclo da un settore su un altro settore, infatti quello che noi stiamo cercando di fare con i materiali tessili è di promuovere l'utilizzo del materiale tessile non in discarica, ma neanche come recupero energetico, ma anche in altri settori a maggior valore.
  Si tratta quindi di fare degli studi e di trovare che le caratteristiche inferiori, magari delle fibre di carbonio discontinue riciclate non vanno più bene per fare magari il giubbetto antiproiettile del poliziotto, ma possono andare bene per fare un'altra applicazione, magari in un settore non abbigliamento, quindi non tessile tradizionale, ma agricoltura. C'è un'azienda del bergamasco che (sono stati fatti anche dei progetti europei) sta applicando alcune derivazioni su come utilizzare questi tessuti di taglio tecnico come base per semilavorati per l'intonacatura sia interna che esterna delle case; in Israele sono stati usati dei sistemi rinforzati che, in caso di deflagrazione di una bomba, non frantumassero i muri, ma avessero ancora una certa consistenza grazie alla presenza di materiale tessile con certe caratteristiche all'interno, che permetteva di resistere.
  Anni fa abbiamo studiato la sostituzione delle reti metalliche per le frane da montagna con una rete tessile – ci sono dei materiali tessili che sono più resistenti dell'acciaio e più leggeri – quindi abbiamo studiato una rete a base tessile che andava a sostituire quelle reti ad anelli che vediamo nelle montagne. Anche lì bisogna valutare i costi, però si tratta di trovare altre applicazioni in questo senso.
  Queste sono tutte le diverse modalità di riciclo del materiale tessile. Volevo aggiungere due cose che non sono emerse, sono quelle due indicate in rosso, l'eredità chimica e i fattori inquinanti. L'eredità chimica: rimaniamo a quelle di adesso, valide dal 2015, come sostanze ristrette nel REACH, se io vado a riciclare dei materiali immessi sul mercato prima del 2015, questi materiali avranno queste sostanze, perché allora erano permesse, se le vado a riciclare devo controllare che non ci siano, ma dobbiamo avere idea di che percentuali possano essere ammissibili e dobbiamo valutarlo.
  Fattori inquinanti. È un problema che ci siamo posti prima per le tende. Adesso faccio una mezza battuta, ma recuperare delle tende che sono state per dieci anni esposte a Cipro o a Chernobyl, hanno delle sostanze depositate su di loro completamente differenti.
  Senza andare a questi due estremi, l'azienda con cui stiamo collaborando ha in mente i suoi clienti e i mercati; se faccio un resort a Dubai e poi dopo dieci anni lo recupero, mi aspetto che sulle tende ci siano certe sostanze. Se lo faccio ad Hong Kong piuttosto che a Milano, mi aspetto che ce ne siano delle altre, e parliamo sempre di acrilico, delle stesse tende fornite dalla stessa azienda ad uno e ad un Pag. 15altro nello stesso tempo, le ritiro dieci anni dopo, devo verificare, devo fare i controlli (noi siamo qui per quello), ma devo anche stare dietro al problema di quale inquinante trovo.
  Cosa sta facendo l'industria? C'è tutto un filone di studio chiamato OEKO DESIGN, delle linee guida per i tecnici, però è chiaro che poi i tecnici si trovavano di fronte ai commerciali, al marketing e a noi che vogliamo comprare. I monomateriali si selezionano meglio dei blend, oppure devo avere dei blend standard.
  Ci sono dei progetti europei che stanno studiando come riciclare abiti in cotone poliestere che sia 30 e 70, o 70 e 30 è lo stesso, ma sciolgo il poliestere, chimicamente lo recupero, cardo in qualche maniera e recupero il cotone e ho di nuovo le due fibre un po’ degradate, almeno il cotone, ma le ho di nuovo.
  Se però faccio delle mischie strane per rispondere a certe esigenze, questo non è più fattibile o non è industrialmente fattibile perché sono piccole quantità.
  In sintesi, gli aspetti da tenere in considerazione sono tecnologici, economici e sociali. Ho visitato delle grandi società in Germania e Francia con centinaia di persone che riciclano i materiali. Utilizzano anche il sorting umano, cioè le persone che selezionano un capo o in alcuni casi anche le bottiglie e le plastiche, si vive nella puzza, per intenderci, però sono occupazioni sociali, sono persone che hanno problemi psichici o fisici, sono down, è un modo per dargli una valenza, non è che devi mandarli nella spazzatura, ma magari per loro è qualificante, cosa che invece non potrebbero fare anche semplicemente in un reparto di cucitura, come quelli che abbiamo visto.
  Scusate, credo di essermi dilungato più del dovuto.

  PRESIDENTE. Grazie per l'inquadramento di un mercato che dovremo affrontare nella legalità dello smaltimento dei rifiuti prodotti.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 15.40, riprende alle 16.

Comunicazioni del Presidente.

  PRESIDENTE. Comunico che l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella riunione appena svoltasi, ha convenuto che la missione in Umbria, già prevista dal 19 al 21 marzo 2019, abbia luogo dal 26 al 28 marzo 2019, e che si svolga una missione a Reggio di Calabria dall'8 al 10 aprile 2019. È stato altresì convenuto che abbia luogo una missione di studio in Svezia e in Danimarca dal 16 al 21 giugno 2019.

  La seduta termina alle 16.05.