XVIII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 12 di Mercoledì 19 febbraio 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Zoffili Eugenio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEL FENOMENO MIGRATORIO NELL'AREA SCHENGEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'ATTUALITÀ DELL'ACCORDO DI SCHENGEN, NONCHÉ AL CONTROLLO E ALLA PREVENZIONE DELLE ATTIVITÀ TRANSNAZIONALI LEGATE AL TRAFFICO DI MIGRANTI E ALLA TRATTA DI PERSONE

Audizione del dottor Stefano Castellani, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino, e del dottor Fabrizio Lotito, commissario della polizia locale di Torino presso la procura della Repubblica, su mafia nigeriana.
Zoffili Eugenio , Presidente ... 3 
Castellani Stefano , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino ... 3 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 6 
Lotito Fabrizio , commissario della polizia locale di Torino presso la procura della Repubblica ... 6 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 7 
Pacifico Marinella  ... 7 
Silli Giorgio (Misto-NI-USEI-C!-AC)  ... 8 
Iwobi Tony Chike  ... 8 
Galizia Francesca (M5S)  ... 8 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 9 
Zuliani Cristiano  ... 9 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 9 
Castellani Stefano , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino ... 9 
Pacifico Marinella  ... 10 
Castellani Stefano , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino ... 10 
Iwobi Tony Chike  ... 11 
Castellani Stefano , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino ... 11 
Iwobi Tony Chike  ... 12 
Castellani Stefano , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino ... 12 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 13 
Castellani Stefano , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino ... 13 
Galizia Francesca (M5S)  ... 13 
Castellani Stefano , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino ... 13 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 15 
Silli Giorgio (Misto-NI-USEI-C!-AC)  ... 15 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 15 
Lotito Fabrizio , commissario della polizia locale di Torino presso la procura della Repubblica ... 15 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
EUGENIO ZOFFILI

  La seduta comincia alle 14.20.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianto audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione in diretta streaming con modalità sperimentale sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del dottor Stefano Castellani, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino, e del dottor Fabrizio Lotito, commissario della polizia locale di Torino presso la procura della Repubblica, su mafia nigeriana.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Stefano Castellani, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino, e del dottor Fabrizio Lotito, commissario della polizia locale di Torino presso la procura Repubblica, in tema di mafia nigeriana. Desidero ricordare che tale audizione si svolge nell'ambito dell'indagine conoscitiva di questo Comitato «gestione del fenomeno migratorio nell'area Schengen, con particolare riferimento all'attualità dell'accordo di Schengen, nonché al controllo e alla prevenzione delle attività transnazionali legate al traffico di migranti e alla tratta di persone» per un approfondimento sul tema della mafia nigeriana. Diamo quindi il benvenuto al dottor Castellani e al dottor Lotito, protagonisti, con le loro squadre e i loro uomini, di brillanti operazioni di contrasto al fenomeno della mafia nigeriana nel nostro Paese. Iniziamo col dare la parola al dottor Castellani, poi interverrà il dottor Lotito e a seguire gli interventi e le domande dei colleghi deputati e senatori.

  STEFANO CASTELLANI, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino. Grazie presidente per l'invito. È un onore e un piacere per me essere qui a portare l'esperienza personale, ma soprattutto del mio ufficio in materia di lotta alla criminalità organizzata di tipo mafioso e in particolare di lotta alla criminalità mafiosa di origine nigeriana. L'ufficio che rappresento, la procura di Torino, svolse già nel 2006-2007 la prima inchiesta su gruppi di tipo mafioso di nazionalità nigeriana che operavano terminalmente, compiendo delitti anche particolarmente efferati e violenti come aggressioni, tentati omicidi, lesioni personali sul territorio torinese e della provincia di Torino. In quell'occasione i miei colleghi indagarono e istruirono un processo a carico di un 35-40 imputati, appartenenti a due gruppi diversi di origine nigeriana, uno denominato «Black Axe» e l'altro denominato «Eiye». A carico degli appartenenti a questi due gruppi fu contestato in quella vicenda il reato di associazione di tipo mafioso, di cui all'articolo 416-bis del codice penale, oltre a tutti i reati commessi che erano stati accertati, quindi aggressioni, tentati omicidi, estorsioni, prostituzione eccetera. Fu la prima volta nella storia giudiziaria del nostro Paese in cui questo reato venne contestato a gruppi di origine nigeriana, ai cosiddetti cult nigeriani. La costruzione giuridica e l'impianto accusatorio ha retto, tant'è che con vicende e vicissitudini un po’ complesse da ricostruire (quando ci sono così tanti Pag. 4imputati il nostro sistema processuale consente scelte diverse, riti diversi) il processo si è dipanato in rivoli diversi, ma si è arrivati poi nel giro di quattro o cinque anni o poco più a sentenze definitive che hanno riconosciuto la natura mafiosa di questi gruppi. Forti e memori di questa esperienza, nel 2013 abbiamo iniziato un'altra attività di indagine alla procura di Torino, indagando per reati in materia di sfruttamento della prostituzione, quindi con un'ipotesi investigativa diversa da quella che poi invece è stata contestata al termine delle indagini. Durante un'attività investigativa intercettammo una conversazione tra uno degli indagati e altri soggetti che non avevamo ancora identificato e che sono stati identificati successivamente, durante la quale si parlava di un rito di affiliazione, dell'ingresso e del desiderio di entrare e delle modalità con cui sarebbe entrata questa persona da noi indagata in un gruppo organizzato. Memori della precedente esperienza, iniziammo a indagare anche per il reato di associazione di tipo mafioso. Eravamo convinti che l'indagato fosse un appartenente al gruppo degli Eiye, cioè uno dei due gruppi già oggetto di processo e di sentenze nel frattempo divenute irrevocabili. Aggiornammo quindi il registro delle iscrizioni delle notizie di reato e facemmo un salto di qualità dal punto di vista investigativo, contestando questo reato. Ci accorgemmo di lì a breve che in realtà non si trattava dello stesso gruppo degli Eiye che già conoscevamo, perché c'era stato un progresso investigativo e giudiziario, ma di un nuovo gruppo di cui inizialmente non avevamo neppure compreso la denominazione, ma che man mano che le indagini si sono dipanate, abbiamo poi identificato. Questo gruppo si chiama «Maphite». Attraverso la consultazione di fonti aperte come siti Internet e siti nigeriani, individuammo effettivamente qualche notizia sull'esistenza di questo gruppo come un cult nigeriano e proseguimmo la nostra attività di indagine. Al termine delle indagini ricostruimmo la presenza sul territorio piemontese di due gruppi: uno, i Maphite e nuovamente il gruppo degli Eiye, che nel frattempo abbiamo intercettato e individuato, perché erano entrati in conflitto con il gruppo dei Maphite sul territorio torinese per il controllo delle zone dello spaccio. Formulammo una richiesta di misura cautelare al giudice per le indagini preliminari, avente per oggetto 44 indagati e il giudice ha emesso l'ordinanza di custodia cautelare e in sede, riconoscendo la natura mafiosa non solo del gruppo che già si conosceva, ma anche di questo nuovo gruppo, perché la difficoltà è stata dimostrare che anche questo nuovo gruppo di cui ignoravamo l'esistenza, che non era mai stato oggetto di un'indagine e di un processo, fosse un gruppo di tipo mafioso, avesse le caratteristiche dell'associazione di tipo mafioso. Il giudice ha riconosciuto questa impostazione. Su 44 misure cautelari ne abbiamo eseguite in prima battuta poco più di venti, perché gli altri indagati nel frattempo non erano più sul territorio nazionale e il processo a carico di questi primi venti indagati dovrebbe ormai essere alle battute finali con il ricorso in Cassazione. Sia in primo che in secondo grado sono stati tutti condannati per il reato di associazione mafiosa sia gli appartenenti al vecchio gruppo degli Eiye sia gli appartenenti al gruppo dei Maphite. Nel corso dell'attività di indagine abbiamo avuto anche la fortuna di avere a che fare con un indagato che decise di collaborare e quindi attivammo la procedura prevista dalla legge sui collaboratori di giustizia per gestire questa collaborazione. Non è stato semplice, perché ci si scontrava anche con una certa diffidenza iniziale dello stesso collaboratore. Le questioni logistiche, pratiche, operative rispetto a un cittadino di nazionalità nigeriana con un radicamento meno solido sul territorio sono state difficili da gestire, ma siamo riusciti a gestire anche questa attività e devo dire che, grazie alle dichiarazioni di questo collaboratore di giustizia, abbiamo ottenuto una ricostruzione molto dettagliata della struttura e delle modalità operative del gruppo dei Maphite, ma anche di altri gruppi presenti sul territorio nazionale. L'avevamo già ricostruita con le nostre indagini, ma il contributo apportato dal collaboratore di giustizia ha dato certamente un impulso ulteriore, consentendo Pag. 5di riempire quei vuoti che erano rimasti, quelle tessere del mosaico mancanti a seguito dell'attività di indagine. L'importanza di questa indagine è stata quella di apportare un ulteriore contributo di conoscenza investigativa e storica al fenomeno delle mafie nigeriane. Quando si parla di mafia nigeriana si dovrebbe declinare al plurale, perché non esiste un unico gruppo di tipo mafioso, almeno sul territorio italiano, ma esistono più gruppi che presentano caratteristiche tipiche dell'associazione di tipo mafioso. L'origine storica – il senatore Iwobi mi correggerà, se dirò cose inesatte – di questi gruppi è un'origine che risale all'epoca postcoloniale e ha un'origine e degli intenti assolutamente lodevoli e nobili: l'assistenza e l'aiuto agli studenti universitari con meno mezzi e con meno opportunità, perché non discendenti della borghesia che aveva avuto rapporti in epoca coloniale. Gli studenti universitari meno facoltosi o con meno opportunità hanno iniziato a fondare confraternite studentesche che vengono chiamate «cults». La prima, mi pare che fosse quella dei Pirates, poi i Buccaneers e tanti altri gruppi, tra cui quelli che abbiamo individuato durante l'attività di indagine. Nascono, quindi, con scopi e finalità lecite, solidaristiche e di aiuto agli studenti e alle famiglie degli studenti. Sono diventate in Nigeria, col passare del tempo, delle vere e proprie gang criminali che esercitano il potere e il controllo all'interno delle università, ma non solo, anche nelle competizioni politiche, con forme di violenza particolarmente efferata. Poi, con i fenomeni migratori e com'è capitato anche per le nostre mafie, una parte degli appartenenti a questi gruppi sono immigrati in Europa e hanno riprodotto quelle stesse modalità e quelle stesse forme di aggregazione delinquenziale illecita con cui hanno iniziato a commettere reati sul territorio nazionale e si sono dati la medesima organizzazione che avevano in Nigeria, mantenendo i collegamenti e i contatti con quella che noi definiamo «la casa madre», in questo caso la casa madre nigeriana. Quindi in realtà non è una sola mafia, ma sono più gruppi. La difficoltà giudiziaria consiste in questo: per ogni singolo gruppo, non essendo una struttura unitaria, ma essendo una struttura parcellizzata con diversi gruppi, bisogna dimostrare e verificare se c'è nella realtà, raccogliere le prove e portarle davanti al giudice, al tribunale. Bisogna dimostrare le caratteristiche della norma incriminatrice dell'articolo 416-bis, quindi l'esistenza del metodo intimidatorio. Questa è la grossa difficoltà, a meno che non si inizi un'attività di indagine su un gruppo che è già stato riconosciuto come gruppo mafioso e allora la difficoltà probatoria si semplifica, cioè il livello probatorio si semplifica, nel senso che sarà sufficiente dimostrare che si tratta dello stesso gruppo, con le stesse caratteristiche e questo gruppo mutuerà, proprio perché ha le stesse caratteristiche, la natura di gruppo di tipo mafioso. Se invece il gruppo è nuovo, come è capitato a noi qualche anno fa col gruppo dei Maphite, bisogna ripartire da zero, o meglio non si parte da zero, perché si ha una conoscenza investigativa e storica del fenomeno e anche un'esperienza su come impostare le indagini e quali sono le difficoltà che si incontrano nell'attività di indagine, ma certamente la strada da percorrere è più articolata e complessa. Non voglio portar via troppo tempo in questa prima panoramica sul fenomeno e sulle attività di indagine dell'ufficio che rappresento, ma vorrei fare soltanto un breve flash sulle difficoltà che abbiamo incontrato nel corso di quest'attività di indagine, se può essere utile anche per la natura dei vostri compiti e per la sede istituzionale in cui ci troviamo. Sicuramente uno degli aspetti più difficili, quando si affronta un'attività di indagine di questo tipo, è quello degli interpreti: trovare interpreti in grado di comprendere e tradurre in un italiano comprensibile, sufficientemente corretto, non solo il broken english, ma anche i dialetti che vengono parlati. Questo è un problema, ma è un dato oggettivo che sia difficile trovare gli interpreti. Mi permetto di sottolineare un altro problema, non so se questa sia la sede corretta, ma, dovreste condividere la fondatezza di questo spunto, potreste farvi magari portavoce: la tutela degli interpreti. Molte volte non solo non si trovano, perché non ci sono persone che Pag. 6conoscono quel dialetto, che sono in grado di tradurre, alle volte si trovano, ma gli interpreti chiedono delle garanzie di anonimato e di protezione che il nostro ordinamento ancora non consente di dare in modo così netto. Poi si ricorre all'escamotage, però prima o poi il nome dell'interprete in qualche verbale bisogna scriverlo. Non possiamo non scriverlo e questo causa difficoltà non tanto nelle grandi città come Torino, ma in realtà territoriali e in uffici della procura della Repubblica di medie dimensioni o di piccole dimensioni dalle quali un'indagine può partire. Poi è certo che se assume caratteristiche e connotazioni come quelle che ho descritto, passerà alla competenza della direzione distrettuale, ma molto spesso le indagini partono dal basso e se non si intercetta dal basso questo fenomeno – intendo anche da uffici che non sono necessariamente gli uffici della direzione distrettuale antimafia competente per territorio, quindi uffici di provincia, procure della Repubblica di piccole e medie di dimensioni – non sempre si riesce ad arrivare poi a un'attività di indagine con le caratteristiche analoghe a quelle che ho descritto. In quei contesti trovare degli interpreti è più difficile anche per una difficoltà dovuta all'impianto del sistema normativo vigente che non consente di proteggere esplicitamente con un meccanismo previsto e sancito a livello legislativo l'identità degli interpreti. Io mi fermerei qui come prima carrellata sull'esperienza.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Castellani. È stato sintetico e chiarissimo. Mi ha colpito la questione che riguarda gli interpreti. La questione dei dialetti c'era stata sottoposta. Per la tutela degli interpreti credo che con i miei colleghi possiamo farci promotori di proposte nella sedi più opportune e competenti per una tutela di queste persone che contribuiscono attivamente alla buona riuscita delle vostre indagini e operazioni e che meritano assolutamente di essere protette e tutelate nelle forme più opportune. Dottor Fabrizio Lotito, prego.

  FABRIZIO LOTITO, commissario della polizia locale di Torino presso la procura della Repubblica. Il dottor Castellani è stato molto esauriente. Parto dall'ultima considerazione. Oltre all'aspetto di tutela dell'interprete, io mi faccio anche portavoce di alcuni interpreti che hanno rappresentato anche il loro poco guadagno nell'attività di trascrizione delle telefonate. Percepiscono davvero delle cifre irrisorie: mi sembra che ammontino circa a 4 euro l'ora, pertanto questo aspetto andrebbe valutato, perché si tratta di un lavoro fondamentale. Se la trascrizione non è ben fatta, quando si arriva a dibattimento la prima cosa che gli avvocati fanno è chiedere la ritrascrizione della telefonata. Inoltre ritengo che sia doveroso agli interpreti un riconoscimento economico che rispetti e tenga conto dell'importanza del lavoro svolto. Il dottore ha esordito sottolineando l'importanza della conoscenza investigativa e storica. La conoscenza investigativa e storica è fondamentale in questo settore specialmente per quanto riguarda la mafia nigeriana. Un precursore è stato il dottor Caselli che nel 2011 ha voluto creare una squadra investigativa dedicata a questo fenomeno, squadra investigativa che da dieci anni svolge attività investigative finalizzate proprio alla tratta di esseri umani e alla mafia nigeriana. È opportuno, secondo me, che il fenomeno delle mafie nigeriane venga seguito nel tempo, perché, come tutte le mafie, si evolvono, cambiano, perciò un blackout, una interruzione da un'indagine all'altra ci potrebbe impedire di seguirne le evoluzioni. È importante perciò focalizzarsi e continuare a lavorare e a specializzarsi in quel settore. Detto questo, noi abbiamo lavorato l'indagine Atheneum quattro anni e – come ha detto il dottor Castellani – abbiamo ottenuto dei risultati eccellenti, perché riuscire a dimostrare effettivamente l'associazione di stampo mafioso anche per gli investigatori è un successo, di conseguenza si è apprezzati dalla magistratura che deve sostenere nelle aule giudiziarie i reati che sono stati contestati. In questa indagine sono state intercettate mezzo milione di telefonate, più tutte le intercettazioni ambientali. Si è trattato di un lavoro immane, perché, come ha detto il dottor Castellani, è stato necessario rivederle Pag. 7 e risentirle fino allo sfinimento, perché per una telefonata mal trascritta può saltare tutto il procedimento. Gli avvocati potrebbero prendere spunto proprio da una telefonata considerata non fondamentale. È importante la conoscenza e stare molto attenti allo svolgimento delle attività investigative. Questa indagine ci ha aperto veramente un mondo. In fase preliminare avevamo già accertato alcuni aspetti, però quanto ci ha raccontato il collaboratore di giustizia ci ha lasciato meravigliati per come i secret cult sono strutturati in Italia. Nello specifico il secret cult dei Maphite, che è quello che è stato più attenzionato insieme agli Eiye, in Italia è composto da quattro «famiglie» che si sono suddivise i territori della nostra nazione. Per essere riconosciuta una «famiglia» deve avere mille affiliati, perciò numericamente quattro «famiglie» corrispondono a 4 mila affiliati. All'interno delle «famiglie» ci sono i forum che sono delle sottosezioni più locali. Per essere riconosciuto tale il forum deve avere 250 affiliati, soltanto il cult dei Maphite può contare in Italia sicuramente più di 5 mila affiliati, radicati sul nostro territorio specialmente al centro-nord, dove è meno presente la nostra mafia autoctona. È vero che in Piemonte ci sono delle basi di ’ndrangheta molto importanti, però sul territorio i nigeriani hanno più possibilità di portare avanti i loro traffici illeciti specialmente nelle zone più periferiche delle nostre città. Come diceva giustamente il dottor Castellani, non c'è soltanto una mafia nigeriana. La mafia nigeriana è composta da più secret cult. Quelli più radicati in Italia sono i Maphite, gli Eiye, i Black Axe e i Vikings. Oltre all'inchiesta «Atheneum», sono state redatte tre informative alla procura di Roma, di Palermo e di Bologna. Il 19 luglio del 2019 abbiamo concluso con la Polizia di Stato e la procura di Bologna una seconda operazione: la «Atheneum Return», nell'ambito della quale sono stati nuovamente arrestati una trentina di affiliati al cult di Maphite. I reati perpetrati da queste associazioni criminali sono principalmente la tratta di esseri umani, lo sfruttamento della prostituzione e il traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Nella seconda attività di indagine si è accertato anche l'esistenza della mafia nigeriana nei confronti di chi chiede l'elemosina fuori dalle chiese o anche davanti ai supermercati. È stato solo un aspetto investigativo che dovrà essere poi confermato in sede di processo. I secret cult sono veramente radicati nel nostro territorio e hanno dalla loro sempre i numeri, perché è una popolazione che conta 200 milioni di abitanti che, per effetto della globalizzazione, sono ormai presenti in tutto il mondo. Ci si è rapportati anche con altre forze di polizia europee che, nonostante una legislazione diversa, hanno contezza della presenza dei secret cult anche in altre nazioni: Germania, Olanda, Belgio, Svezia. Due anni fa da una delegazione finlandese abbiamo saputo che nel quasi giro di circa un anno i nigeriani presenti nel loro Paese sono triplicati anche a causa della globalizzazione. Abituati a occuparci delle nostre mafie autoctone forse per alcuni anni abbiamo sottovalutato il propagarsi delle mafie straniere, specialmente la mafia nigeriana.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Lotito. Senatrice Pacifico, prego.

  MARINELLA PACIFICO. Grazie per la vostra presenza, perché sono testimonianze veramente fondamentali, perché operative con dei risultati eccezionali, quindi io faccio i complimenti per il lavoro che avete svolto. La procura di Torino è l'unica nella quale è presente la squadra antitratta (SAT), alla polizia locale va il merito del successo delle indagini e dei risultati. Detto questo, volevo chiarire alcuni aspetti: avete parlato dell'organizzazione della mafia nigeriana, ma volevo una risposta precisa a una domanda precisa. Possiamo fare paragoni con la cupola mafiosa, ossia con un'organizzazione di tipo verticistico, oppure si tratta di gruppi singoli e autonomi collegati tra di loro, che ci riportano all'organizzazione delle ’ndrine o della camorra? Inoltre, gli affiliati alla mafia nigeriana quale percorso effettuano? Quello tradizionale, cioè percorrono il deserto, arrivano sulle coste e poi da lì, insieme ad altri disperati, raggiungono l'Italia oppure ci sono dei percorsi Pag. 8 alternativi? Le vostre dichiarazioni sono ormai una fonte importante per capire il fenomeno, visto che siete ormai degli esperti su questo tipo di mafia, di associazione criminale e mafiosa transnazionale. Vorrei sapere, infine, per capire la dimensione del fenomeno, se all'interno dell'organizzazione gli affiliati sono solo di nazionalità nigeriana oppure ci sono persone che hanno una nazionalità diversa e perché questo ancora non è chiaro?

  GIORGIO SILLI. Abbiamo parlato più volte di mafie straniere in quest'aula, grazie al presidente che indubbiamente sta creando un percorso di ascolto che ci apre molto la mente. Sentite dal mio accento che sono toscano e spesso e volentieri io tengo molto a «pratesizzare» la discussione sulla mafia cinese. La domanda mia è: vi sono dei luoghi dove le mafie nigeriane attecchiscono meglio rispetto ad altri, cioè vi sono dei luoghi che questa tipologia di mafia preferisce: distretti manifatturieri, laddove c'è una grande incidenza del gioco d'azzardo, della prostituzione, laddove c'è uno sfruttamento di manodopera clandestina? Vorrei capire se ci sono realmente degli accentramenti o dei luoghi o delle aree che si prestano di più a questa tipologia di agire mafioso. Mi immagino che sia molto legato agli obiettivi che questa tipologia di mafia si prefigge.

  TONY CHIKE IWOBI. Grazie per la vostra relazione abbastanza esaustiva. Ho preparato una serie di domande a cui però avete già in parte risposto. Viste la complessità, l'importanza e la pericolosità della mafia nigeriana, chiedo a che livello operi, considerando la possibile o probabile convivenza con la mafia locale. Che rischio sussiste di infiltrazioni nelle istituzioni locali? Esiste questo rischio in questo momento, visto che si è ramificata molto in questi ultimi anni? Conosce le metodologie di adesione di tali realtà criminali in Italia? Oggi ormai sappiamo come vengono affiliati nella patria di origine, vorrei sapere se l'affiliazione avviene già nel Paese di origine o durante il percorso per giungere in Italia o quando gli immigrati sono già qui e in caso quali sono le diverse percentuali. Sappiamo che arrivano anche attraverso il Mediterraneo, visto che le loro attività principali è la tratta di esseri umani, la prostituzione. È possibile sapere se la gran parte sono immigrati provenienti dal salvataggio tramite tratta di esseri umani, tramite quello che io definisco «il tunnel della morte»? Esiste la possibilità che il percorso premiale dei pentiti possa avere una qualche valenza anche con tale tipologia di mafia? Qual è il livello di accettazione di tale realtà tra i connazionali che vivono in Italia e che sono regolari e integrati? Ritengo interessante capire se sono soltanto coloro che sono entrati nel Paese illegalmente, cioè i cosiddetti clandestini, oppure anche quelli già integrati da tempo nella realtà sociale italiana. I reati satellite di tale tipo di mafia sono lo spaccio di droga, lo sfruttamento della prostituzione e il racket dell'elemosina. Ritiene che un inasprimento delle pene di tale reato potrebbe servire a contrastare o limitare il fenomeno, visto che in Senato un po’ di mesi fa abbiamo ratificato una collaborazione con la Nigeria per quanto riguarda gli scambi dei detenuti? Sarebbe opportuno inserire questo tipo di reato all'interno di trattati, poiché è indispensabile collaborare con le autorità nigeriane per poter almeno contenere questo tipo di fenomeno? Infine l'ultima domanda: ritiene utile per i giudici inserire tra le varie mafie indicate nel comma terzo dell'articolo 416-bis del codice penale anche la mafia nigeriana? È indispensabile questa possibilità, per entrare nel merito dell'indagine che riguarda questo fenomeno?

  FRANCESCA GALIZIA. Il collega ha sollevato molti punti importanti che condivido. Volevo ringraziarvi per la vostra presenza qui oggi, perché io tenevo particolarmente alla vostra audizione. La vostra indagine è diventata di dominio pubblico grazie a una pubblicazione dello scrittore Sergio Nazzaro; mi sono avvicinata al tema della mafia nigeriana anche attraverso questa pubblicazione che ho ritenuto utile per approfondirlo. Io penso che un passo importante per poter affrontare le problematiche legate alla mafia nigeriana sia proprio Pag. 9la conoscenza del tema, sapere di cosa si sta parlando, quindi ben vengano le occasioni divulgative e gli incontri di scambio di informazioni. Leggendo questo libro non ho potuto fare a meno di sollevare alcune perplessità che ci avete portato anche qui oggi. Una in particolare: la necessità di avere un archivio nazionale delle indagini, poiché ci sono tante indagini scollegate tra loro. Sarebbe il caso di creare un archivio che possa raccogliere tutte le indagini per avere così del materiale informativo su cui poter lavorare, sempre disponibile per tutte le forze di polizia e per chi lavora in questo settore? Al dottor Lotito rivolgo una domanda specifica: lei fa parte della SAT, come si pone la polizia locale della SAT nei confronti delle altre forze dell'ordine? Siete coordinati, come lavorate? Secondo lei questo modello di polizia così specifica che riguarda la tratta può essere un modello esportabile in altri luoghi d'Italia, ad esempio a Palermo, dove ci sono state diverse indagini sulla mafia nigeriana, ma anche a Bari da cui io provengo e dove recentemente ci sono stati 32 arresti per operazioni di contrasto alla mafia nigeriana? Sarebbe un modello utile oppure si può continuare a lavorare con la Polizia di Stato, i Carabinieri? Quanto è importante avere una specificità per poter affrontare al meglio questo tipo di problematica? Qual è la situazione attuale? Recentemente abbiamo avuto in audizione il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Federico Cafiero de Raho, che ci ha detto che, nonostante si stia combattendo la mafia nigeriana su tutti i fronti, questa continua a radicarsi nel nostro territorio e non in una sola regione, ma è presente in tutta Italia. Quanta emergenza c'è su questo tema? Quanto è necessario continuare a tenere alto l'allarme sulla mafia nigeriana? Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie onorevole Galizia, la ringrazio per aver proposto questa audizione in ufficio di presidenza.

  CRISTIANO ZULIANI. Volevo sapere se siete in possesso di dati per quel che riguarda le sostanze stupefacenti sulla percentuale di import da parte della mafia nigeriana rispetto ad altri canali che arrivano dall'estero. Già in Comitato abbiamo parlato (mi sembra proprio con il Procuratore Cafiero de Raho) del fatto che gli individui nigeriani portano la droga con la modalità a grappolo, cioè non in grandi quantità, ma ciascun individuo ne porta poca. Siete a conoscenza di quali tipi di droga vengono importati dalla mafia nigeriana: se tutte o alcuni tipi (eroina, cocaina, eccetera)?

  PRESIDENTE. Restituisco la parola al dottor Castellani e al dottor Lotito. Vi chiedo, nel rispondere, di dirci veramente come possiamo essere utili per supportare il vostro lavoro, sia sul fronte della magistratura che sul fronte delle forze dell'ordine e della polizia locale, nel nostro ruolo di parlamentari, per agevolarlo e per contribuire alla lotta alla criminalità. Rappresentiamo i cittadini italiani, entriamo nelle aule, scriviamo leggi e le votiamo. Se volete trasmetterci vostre note, appunti, proposte, suggerimenti, siamo a disposizione e sono sicuro di interpretare il pensiero di ogni gruppo politico qui rappresentato, di ogni collega. Prego, dottore.

  STEFANO CASTELLANI, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino. Grazie, presidente. Ho fatto bene a contenere il mio primo intervento, perché nel rispondere alle vostre domande, parlerò altrettanto a lungo. Grazie per le domande: molto interessanti, precise e puntuali. Senatore Pacifico, prima domanda sull'organizzazione, cioè se sia parcellizzata o se abbia una struttura apicale questo tipo di mafia: al momento per quello che abbiamo potuto constatare con le attività di indagine, non solo quella che abbiamo condotto a Torino, ma anche con quelle condotte in altre parti d'Italia, anche coi colleghi ci siamo confrontati e abbiamo scambiato informazioni, esperienze investigative. Da quello che abbiamo appreso, al momento sono gruppi autonomi, parcellizzati che hanno una struttura di coordinamento di recente instaurazione. Queste sono tutte notizie che si possono comunicare, Pag. 10perché sono dichiarazioni ormai depositate nei processi, quindi non c'è più il segreto investigativo. Sono notizie apprese da un collaboratore di giustizia che ha parlato dell'esistenza di una struttura di coordinamento dei vari cults presenti in Italia che viene denominata «Rainbow Club» all'interno del quale vi sarebbero, secondo le dichiarazioni del collaboratore, rappresentanti dei vari cults e il cui compito è proprio quello di coordinare l'attività e soprattutto di mediare e prevenire i conflitti tra di loro. Poiché dal punto di vista investigativo non abbiamo ancora riscontrato questa dichiarazione, non si può ancora affermare che esista una struttura verticistica. Non abbiamo motivo di dubitare della fondatezza della veridicità di queste dichiarazioni, ma ancora manca la prova concreta, investigativa dell'esistenza di questa struttura, però è una struttura di coordinamento. Per fare un parallelo, un paragone con l'esperienza giudiziaria di una mafia nostrana, della ’ndrangheta, siamo ancora nell'epoca pre-operazione «Crimine», quindi prima della dimostrazione di una certa centralità e struttura verticistica della ’ndrangheta. Siamo ancora al livello, per quello che sappiamo oggi, di tante ’ndrine che operano sul territorio che si coordinano tra di loro. Al posto di indagine sostituite il termine «cult» e ci mettete il nome del singolo gruppo che sia gli Eiye, i Maphite o i Black Axe, ma sono ancora gruppi autonomi e separati che tra di loro entrano in relazione, in conflitto, ma anche in mediazione e coordinamento attraverso queste strutture. Siamo ancora in questa fase, almeno dalla fotografia degli ultimi quattro anni, poi, come tutti i fenomeni, sono in evoluzione. Magari tra qualche anno parleremo di una cupola che coordina a livello centrale in Italia l'attività di tutti. Come arrivano in Italia? Anche qui dall'esperienza concreta della nostra attività di indagine, il principale canale è quello dell'immigrazione clandestina, ma non solo; arrivano attraverso i flussi migratori tradizionali che conosciamo dalla Libia, dall'Africa. Alcuni arrivano, invece, con modalità legali, soprattutto quelli che possono contare sull'appoggio di qualche parente, familiare o amico; familiari più che altro, presenti regolarmente sul territorio nazionale. Magari arrivano con un visto turistico e poi diventano clandestini successivamente.

  MARINELLA PACIFICO. Posso fare un piccolo inciso? Quindi, al momento dell'arresto, che status giuridico rilevate?

  STEFANO CASTELLANI, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino. In molti casi sono regolari, perché nel frattempo alcuni degli indagati erano presenti sul territorio italiano da dieci o quindici anni, quindi in alcuni casi si erano regolarizzati parecchio tempo fa beneficiando di sanatorie oppure facendo il percorso di emersione dalla clandestinità. Per quel che riguarda gli indagati e poi imputati dell'attività di indagine abbiamo grosso modo due terzi clandestini e un terzo regolari. Gli apicali hanno questa strategia – me lo ricordava il commissario Lotito, giustamente – chi ha ruoli di coordinamento tende ad avere una posizione di regolarità sul territorio per evitare di esporsi al rischio di espulsione o comunque di intervento da parte delle autorità nazionali. Riguardo la domanda sulla nazionalità: se son tutti nigeriani, al momento, abbiamo constatato che sono tutti nigeriani quelli appartenenti a questi casi; non abbiamo avuto contezza della presenza di affiliati di altre nazionalità. Nessuno ha parlato espressamente di una regola ostativa all'ingresso di appartenenti di altre nazionalità, quindi non abbiamo prova che vi sia una regola interna data dall'organizzazione che la impedisca. Certo è che il dato oggettivo concreto, l'esperienza giudiziaria e investigativa dimostrano che al momento sono tutti di nazionalità nigeriana. Passo alle domande dell'onorevole Silli: se esista un territorio, come l'esperienza del distretto di Prato insegna, di elezione o dove con maggiore facilità si insediano questi gruppi. Tendenzialmente le direi che, non avendo una vocazione commerciale netta e univoca o predominante, come può essere per la comunità cinese, che si è insediata nella provincia di Pag. 11Prato, in Toscana in generale, la risposta è: no, non c'è un territorio che per le caratteristiche produttive o socioeconomiche sia potenzialmente più appetibile di altri. È un «no, ma», cioè un no con alcune condizioni. Essendo gruppi dediti ad attività illecite come lo sono la prostituzione e lo spaccio, i grandi centri urbani e le periferie dei centri urbani tendenzialmente sono i luoghi dove queste attività sono più facilmente avviabili e possono essere anche più redditizie. Non hanno un distretto di elezione; vanno dove c'è domanda per le attività illecite, che tendenzialmente sono lo scopo appannaggio di queste associazioni, di questi gruppi di tipo mafioso. Per quel che riguarda le domande poste dal senatore Iwobi, a che livello operano le mafie nigeriane e se vi sono rischi di infiltrazione, al momento, una delle caratteristiche della mafia nigeriana che le differenzia dalle mafie tradizionali è che il loro radicamento sul territorio italiano è meno strutturato. Si muovono con maggiore facilità, un po’ come capita spesso ai gruppi di migranti che si insediano su un nuovo territorio e in un nuovo Paese. Non hanno ancora quel livello di radicamento tale che può consentire loro anche solo di iniziare un'attività di condizionamento, di infiltrazione dell'attività amministrativa politica o economica locale. Questo è un tratto che le distingue e le differenzia dalle mafie tradizionali ed è anche un tratto che per certi aspetti rende più difficile dimostrare la natura mafiosa, perché una delle caratteristiche tipiche dell'articolo 416-bis è proprio l'esistenza di quella zona grigia tra l'attività illecita, l'esercizio del metodo intimidatorio e l'azione amministrativa, politica, economica del territorio di riferimento. Questa zona grigia ancora non è stata occupata da questi gruppi perché, per le loro caratteristiche, sono tendenzialmente autoreferenziali rispetto alla comunità nigeriana presente sul territorio.

  TONY CHIKE IWOBI. Questa è una sottovalutazione del problema. Non aspettiamo per agire in questo ambito, bisogna almeno cercare di anticiparle a priori.

  STEFANO CASTELLANI, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino. Mi ha fermato; stavo per dire che questa è la situazione attuale. Ovviamente il fenomeno è in evoluzione, quindi il rischio è quello di assistere poi, se non si interviene per tempo con un'azione sia preventiva sia repressiva, a un'occupazione anche da parte di queste mafie di quel territorio tipico – territorio in senso anche lato, fisicamente parlando – delle mafie, cioè il rapporto con il potere in tutte le sue accezioni e declinazioni che possiamo immaginare nella società moderna. Altro punto, altra domanda: quando vengono affiliati e come vengono affiliati? Ogni gruppo e ogni sua articolazione ha la sua storia. Il gruppo dei Maphite inizialmente si è insediato sul territorio italiano, proprio nella zona di Torino, poi da lì si è diramato in tutto il Paese con appartenenti al gruppo stesso già affiliati in Nigeria. Dopo poco sono iniziate le affiliazioni in Italia; anzi, negli ultimi cinque o sei anni – stiamo parlando dal 2010 fino al 2015 grosso modo (il lasso di tempo coperto dalla nostra attività di indagine, forse anche un po’ oltre) – sono sorte tensioni tra gli affiliati italiani e gli affiliati dalla Nigeria, perché i primi non riconoscevano i secondi e viceversa. Si sono create tensioni legate proprio alle diverse modalità e ai tempi dell'affiliazione. I puristi (chi ha aveva subìto e fatto il rito di affiliazione in Nigeria) non riconoscevano gli affiliati spuri, che sono stati invece avvicinati e inseriti nell'associazione in Italia. Oggi direi che le affiliazioni vengono fatte, nella stragrande maggioranza dei casi, in Italia, perché sono gruppi presenti sul territorio da più di dieci anni e quindi il loro radicamento comincia a essere sufficientemente solido e strutturato per condizionare anche poi le modalità di affiliazione che avvengono in Italia. Direi che il rapporto della percentuale si sia invertito. Adesso non sono in grado di darvi una percentuale precisa, però potremmo dire: due terzi ormai sono affiliati in Italia e un terzo invece è ancora la vecchia guardia, che mantiene quel marchio più puro di origine che deriva dall'essere stati affiliati nel Paese di provenienza. C'era una domanda, Pag. 12 mi pare, più o meno analoga a quella sui percorsi migratori a cui ho già risposto. I percorsi migratori sono quelli tendenzialmente tradizionali dell'immigrazione dall'Africa alla Libia, salvo qualche rara eccezione di percorsi legali o quasi legali.

  TONY CHIKE IWOBI. Recentemente ci sono stati alcuni arresti in Emilia Romagna, un arresto condotto dalle nostre forze dell'ordine italiane e con Europol, forze dell'ordine tedesche e francesi; quindi presumo che in quest'ambito esiste un archivio unico per tutti e per la realtà che riguarda il fenomeno.

  STEFANO CASTELLANI, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino. Le rispondo rispondendo alla domanda sull'archivio unico, che mi pare sia stata fatta dall'onorevole Galizia, così seguo il filo delle vostre domande. L'importanza dei collaboratori di giustizia per questi fenomeni è assolutamente rilevantissima, non solo a Torino. Mi pare che anche la procura di Palermo abbia gestito un collaboratore di giustizia di un altro gruppo. La legge sui collaboratori di giustizia è sufficientemente rodata sia nella parte che riguarda le competenze della magistratura sia nella parte attuativa ed esecutiva del Servizio centrale di protezione. È un'ottima legge; funziona bene ed è adeguata anche alle esigenze della collaborazione in questo ambito, in questo contesto. Ovviamente le difficoltà operative sono maggiori, perché è più difficile, intanto, entrare in sintonia in un rapporto di reciproca fiducia, soprattutto da parte della persona che intende collaborare, alla quale non è sempre così facile spiegare quali sono le caratteristiche e i passaggi procedurali, cosa succederà eccetera; e poi anche per le caratteristiche del radicamento sul territorio, che è diverso. Queste sono però difficoltà pratiche e operative che nessuna legge può eliminare. Poi sta agli interpreti, agli operatori, quindi ai magistrati, alla polizia e al Servizio centrale di protezione adeguare alle esigenze dei singoli collaboratori le caratteristiche e i meccanismi operativi della legge. Se le mafie sono accettate; qual è il rapporto tra la mafia nigeriana e la comunità locale? Certamente, il rapporto, il manifestarsi e l'efficacia del metodo intimidatorio è evidente sulla comunità illegale, cioè sulla comunità nigeriana presente sul territorio in situazioni di illegalità o clandestinità, perché in questi contesti è molto più facile da parte dell'organizzazione esercitare la forza di intimidazione. Non abbiamo ancora assistito – però forse capiterà anche questo – a denunce che abbiano avviato attività di indagine che siano partite da cittadini nigeriani presenti regolarmente sul nostro territorio. Questo non è ancora successo. Probabilmente capiterà e sarà anche questione di maggiore fiducia, che spero si stia anche instaurando rispetto alle attività che lo Stato, attraverso le sue istituzioni, la magistratura, la polizia, sta facendo; però, certamente, tanto maggiore è il livello di illegalità e clandestinità e altrettanto maggiore è l'esplicarsi della forza di intimidazione di questi gruppi. Siamo riusciti a impostare alcune attività di indagine anche grazie alle dichiarazioni di alcuni cittadini nigeriani che hanno avuto il coraggio di denunciare e di spiegarci che cosa sono, dal loro punto di vista (di chi proviene da quel Paese e conosce quindi quella realtà), effettivamente questi gruppi. Ci è stato di grande aiuto. Quelle dichiarazioni le abbiamo usate in tutti i processi che vi ho citato. Erano, in alcuni casi, indagati per altri reati; in altri erano testimoni che abbiamo individuato, coinvolti come vittime di azioni repressive di questi gruppi, che hanno avuto il coraggio di spiegarci cosa sono e perché fanno paura. Mi ha colpito che molti di loro dicevano: per noi i cult sono come la mafia. Usavano proprio la stessa espressione e la stessa terminologia. I reati che commettono sono per lo più quelli che citava lei, senatore, quindi prostituzione, droga, estorsioni, ai danni però di cittadini nigeriani presenti illegalmente sul territorio. Al momento, nonostante abbiamo già individuato dei contatti con le mafie tradizionali, il loro ambito di operatività è tendenzialmente circoscritto alla comunità nigeriana. Naturalmente, se parliamo Pag. 13 di droga e prostituzione, l'offerta è per tutto il mercato. Aggiungerei anche che, tra i reati che commettono, cominciano a essere molto presenti sia il fenomeno della clonazione delle carte di credito, e quindi truffe e frodi, sia il fenomeno non ancora legato ai gruppi. Non abbiamo ancora trovato in attività di indagine il collegamento con i gruppi – ma penso che sia solo questione di tempo – con le truffe informatiche, le frodi informatiche; milionarie forse no, ma di decine di miliardi di euro, di truffe definite «man in the middle». C'è anche questo aspetto su cui i nigeriani, chi delinque, sono abbastanza forti ed esperti. Se sia necessario un inasprimento delle pene e se sia necessario modificare l'ultimo comma del 416-bis è una scelta politica sulla quale io, come magistrato, non voglio entrare, anche perché il trattamento sanzionatorio è comunque un trattamento di tutto rispetto. Non credo che cambierebbe; sono già pene sufficientemente alte per consentire ai magistrati di utilizzare gli strumenti della legislazione di quel binario cosiddetto «speciale» sulle intercettazioni, il trojan. Adesso vedremo la conversione del decreto-legge sulle intercettazioni, quel binario speciale per le indagini in materia di criminalità organizzata di tipo mafioso. Poi, se si aumenta di qualche anno, io non so quanto potrebbe avere un'efficacia deterrente sui destinatari. Francamente dico che non è questa la priorità, forse. Se vuole un'indicazione da parte mia, sommessamente, perché ho il massimo rispetto del ruolo e dei compiti di...

  PRESIDENTE. Io credo che il nodo sia la certezza della pena. Lo dico io.

  STEFANO CASTELLANI, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino. Credo che siamo tutti d'accordo. Se sia necessario modificare, introdurre, è già previsto dall'ultimo comma del 416-bis, anzi nella rubrica del 416-bis«Associazione di tipo mafioso e mafie straniere». Peraltro, l'introduzione della norma, mi pare nel 2014, con la quale venne inserita l'espressa menzione della ’ndrangheta e della camorra, noi che l'abbiamo applicata nelle aule di giustizia ci siamo resi conto che in realtà quell'intervento, per quanto chiarificatore e utile, in realtà aveva un valore ricognitivo, perché la norma è già scritta in modo tale da poter comprendere tutti i gruppi di tipo mafioso presenti e futuri. L'importante è che ci siano quelle caratteristiche. È un intervento che avrebbe sicuramente un valore simbolico forte, però non cambierebbe la possibilità di applicare questa norma ai gruppi di tipo mafioso nigeriani e non solo. Archivio nazionale e banca dati: in questa attività di indagine, noi abbiamo, come nostro dovere istituzionale, condiviso la nostra esperienza investigativa con la Direzione nazionale antimafia. Ricordo una riunione fatta in DNA proprio col Procuratore nazionale Cafiero de Raho; quindi esiste già una banca dati giudiziaria, la banca dati della SIDNA. In quella banca dati l'attività investigativa già confluisce, quindi dovrebbe essere già sufficientemente completa come banca dati. Naturalmente, tutti gli operatori (procure e investigatori) la devono alimentare correttamente. Credo che lo strumento debba essere questo, secondo me. Io non so, onorevole, se lei immaginava uno strumento forse più a disposizione delle forze di polizia che della magistratura.

  FRANCESCA GALIZIA. Volevo sapere se in realtà esista una buona raccolta dei dati, se vi sia uno scambio tra tutte le forze, in modo tale che ci potesse essere condivisione. Sapevo di questo strumento, però volevo chiedere se era sufficiente o se c'era necessità di avere qualcosa di più specifico legato proprio all'aspetto della mafia nigeriana.

  STEFANO CASTELLANI, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino. Io credo che questo strumento sia sufficiente. Naturalmente va utilizzato al pieno delle sue potenzialità e della sua efficacia. Non so se un richiamo possa essere in qualche modo utile, non so sotto in che forme, però devo dire che questo è lo strumento: la banca dati SIDNA Pag. 14funziona bene ed è utile. Bisogna continuare a utilizzarla, ad alimentarla, a implementarne il contenuto e l'utilizzo. Onorevole, lei ha citato il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Io non posso che concordare con quello che diceva il Procuratore Cafiero de Raho. Continua a radicarsi sul territorio questa mafia, queste mafie. L'azione di contrasto, secondo me, ha già maturato, poi non è mai sufficiente; l'attenzione non va mai abbassata; non bisogna mai sedersi sui risultati, che siano allori o meno, ma comunque sui risultati ottenuti; però devo dire che la conoscenza del fenomeno è abbastanza solida, al momento. C'è condivisione. In Direzione nazionale antimafia abbiamo fatto più riunioni su questo tema, abbiamo scambiato le reciproche informazioni, ci siamo coordinati. Poi io sono tendenzialmente un ottimista e mi sembra che fino adesso sia stato fatto, da tutti gli attori intervenuti, un buon lavoro. Certo, bisogna tenere alta l'attenzione e proseguire su questo cammino positivo e proficuo che è stato avviato. Senatore Zuliani, la domanda sugli stupefacenti: io non le so dare un dato attendibile, anche perché il mio osservatorio è un osservatorio sì importante, ma circoscritto e limitato; quindi sulla percentuale rispetto al fiume di stupefacenti che arriva in Italia, su quanto incida l'importazione della condotta coordinata e riferibile e riconducibile alla mafia nigeriana non le so dare dei dati precisi, però le posso dare dei dati precisi sulla tipologia di sostanze stupefacenti. La cocaina: abbiamo avuto solo informazioni, in questa attività di indagine, di importazioni di cocaina gestite da appartenenti a questi gruppi, con quelle modalità che lei ben descriveva, senatore, cioè singoli corrieri che portano quantitativi non particolarmente ingenti, ma con una frequenza maggiore, in modo parcellizzato, rendendo più difficili i controlli, destando meno attenzione, meno allarme. Alla fine, sommando le varie importazioni, si arriva a quantitativi che non hanno nulla da invidiare a quelli che importavano e continuano a importare gli albanesi o altri gruppi delinquenziali. Sulla marijuana, nella nostra attività di indagine abbiamo registrato contatti tra i nigeriani e gli albanesi proprio nella zona di Roma e del Lazio per l'approvvigionamento di questo tipo di sostanza stupefacente. Loro non sono in grado di attingere direttamente dai Paesi produttori o comunque da fornitori; hanno bisogno di appoggiarsi ad altri gruppi, ed è questa la ragione per cui, almeno in questa esperienza investigativa, abbiamo riscontrato collegamenti e contatti con gli albanesi, così come abbiamo riscontrato collegamenti e contatti anche con la ’ndrangheta, anche se non li abbiamo dimostrati, per l'acquisto di armi da spedire in Nigeria. Queste sono circostanze riferite dal collaboratore di giustizia. Mi riallaccio alla sua domanda e sottolineatura sul radicamento e sull'attività che continua a dispiegarsi da parte di questi gruppi. Questo purtroppo è un indice, un dato che conferma questa valutazione. Infine, raccolgo la sollecitazione e i suggerimenti del presidente: degli interpreti abbiamo già parlato. Quello che a noi come autorità giudiziaria, magistrati e inquirenti, è mancato è la collaborazione con le autorità giudiziarie nigeriane. So di un recente protocollo di intesa tra la Direzione nazionale antimafia e la Nigeria per la presenza (mi pare per un anno o due) di un magistrato di collegamento nigeriano che sicuramente ha già portato un contributo utilissimo. Anche per raccogliere lo spunto del senatore Iwobi, è importante potenziare la cooperazione, gli accordi e le intese con la Nigeria, sotto il profilo della cooperazione di polizia e giudiziaria: questo per noi sarebbe fondamentale. Devo dire, quasi paradossalmente, che noi siamo riusciti a dimostrare l'esistenza di un 416-bis che ha origine in Nigeria senza avere alcun contributo giudiziario dalla Nigeria per la ricostruzione, in parte perché la legislazione è diversa. Ci sono tutta una serie di ragioni giuridiche e storico-culturali che sono ineludibili, ma sicuramente una maggiore cooperazione sarebbe auspicabile. Per esempio, a noi sarebbe tornato molto utile anche solo avere notizie di processi contro alcuni appartenenti ai cult, quale che sia il reato, la contestazione. Noi siamo consapevoli che c'è una differenza. Anche a livello ordinamentale il Pag. 15reato associativo non è previsto, tanto meno quello di tipo mafioso, ma anche solo sapere di un processo a carico di appartenenti a questi cult per rapina, per importazione e detenzione di armi, per noi sarebbe stato importante. Non siamo neanche riusciti a capire a chi potessimo chiederlo, un po’ forse anche per errore o incapacità nostra, ma certamente mancava un interlocutore affidabile e riconoscibile al quale rivolgersi. Questo per noi sarebbe fondamentale.

  PRESIDENTE. Grazie. Sarà ed è nostro impegno rappresentare al Parlamento e al Governo soprattutto queste ultime esigenze che sono state manifestate. Io personalmente ho incontrato due volte l'ambasciatore nigeriano in Italia e anche dei parlamentari nigeriani. Abbiamo ricevuto un invito per una missione in Nigeria. Per quanto riguarda una maggiore collaborazione con le autorità giudiziarie chiederemo magari un'audizione dell'ambasciatore in Comitato e sottoporremo questa esigenza che ci è stata manifestata. Volevo aggiungere che la Nigeria, riguardo al senatore Iwobi, non è solo questo, fortunatamente. Aggiungo una ovvia considerazione: tutti teniamo veramente a un legame d'amicizia tra i due Paesi. Come ho detto, il rapporto con l'ambasciatore è forte e sono sicuro che i tanti nigeriani per bene che sono presenti sul nostro suolo italiano con noi vinceranno insieme questa battaglia contro – non uso termini inappropriati per queste stanze – questi «criminali». Penso a quando dall'aeroporto di Linate percorro la sera o di notte alcune strade per arrivare a casa mia e rivolgo un pensiero a delle donne che vedo per strada. Ascoltando i racconti del Procuratore antimafia, ascoltando anche i vostri, le testimonianze, penso a queste donne costrette a prostituirsi e a realtà che ho scoperto nel mio ruolo di deputato: nei loro Paesi d'origine sono minacciate, ricattate attraverso i loro familiari. Queste donne sono costrette a prostituirsi e sono oggetto di tratta di esseri umani e di sfruttamento. Per tutto questo, noi lottiamo con i fratelli nigeriani per bene che vivono nel nostro Paese.

  GIORGIO SILLI. Il Ministero della giustizia è il Ministero addetto alle cosiddette «tariffe dei CTU», dei quali fanno parte i traduttori. Ve lo dico perché è la mia professione: io mi occupo di ben altre cose, ma le tariffe sono le stesse. Sono ferme veramente agli anni Settanta/Ottanta. Nessuno rischia la propria incolumità per svolgere una perizia giurata in un processo penale per 4 euro all'ora. Per questo, presidente, secondo me, potrebbero essere utili due righe del presidente del Comitato supportate anche – perché no? – da un lavoro trasversale del nostro Comitato. Si potrebbe quanto meno dare una sorta di abbrivio positivo a una revisione di queste tariffe. Un conto è fare una perizia in un fallimento di un'azienda, come nel mio caso in cui il rischio è poco, un conto è se con la traduzione giurata si manda in galera un capomafia.

  PRESIDENTE. Diamo l'incarico agli uffici e tratteremo la questione in ufficio di presidenza. Valutiamo il testo e poi lo trasmettiamo al Ministero della giustizia. Prego.

  FABRIZIO LOTITO, commissario della polizia locale di Torino presso la procura della Repubblica. Solo due precisazioni proprio sul discorso della poca collaborazione che c'è tra le forze di polizia italiane con quelle nigeriane: è vero che esiste l'Agenzia nazionale per il divieto della tratta degli esseri umani, National Agency for the Prohibition of Trafficking in Persons (NAPTIP), nata nel 2003 in Nigeria. Personalmente, ho provato più volte a prendere contatto, ma non ho mai avuto alcun tipo di risposta, tranne una volta. Questo è significativo. Lo dico come esempio per far capire degli aspetti un po’ particolari: indagando su un omicidio commesso ai danni del fratello di una ragazza vittima di tratta, la ragazza ci ha spiegato che il fratello era stato ammazzato a Benin City. Sul cadavere avevano lasciato un biglietto con un messaggio vergato a mano, sapevamo il nome del ragazzo ucciso, sapevamo la città, sapevamo tutto quello che ci poteva servire. Ho scritto personalmente a NAPTIP. Caso strano, per la prima volta risponde dopo tre o quattro Pag. 16giorni, facendomi presente che per dar seguito alla mia richiesta, aveva bisogno delle generalità della ragazza che aveva denunciato l'episodio. Io ho risposto che i dati in loro possesso erano più che sufficienti per darci quello che avevamo chiesto e da lì non ho ricevuto più alcuna risposta. Questo forse è anche significativo. La polizia locale di Torino è un fiore all'occhiello della città, ed è da sempre impegnata a supportare e collaborare con le forze di polizia nazionali. Dal 1990 mi occupo di sfruttamento della prostituzione; ho indagato praticamente su tutte le etnie, dalle albanesi alle rumeni, alle cinesi, alle brasiliane, eccetera. Poi, nel 2011 il procuratore Caselli ha voluto credere in questa realtà e ha costituito la squadra antitratta. Del nostro lavoro adesso dovranno rispondere i magistrati con cui abbiamo lavorato, ma pensiamo di aver fatto un ottimo lavoro e continuiamo a fare un ottimo lavoro. Il modello vincente, in teoria, dovrebbe avere la possibilità di essere esportato, però questo dipende principalmente dai vari capi delle procure. Sicuramente, dal mio punto di vista, è una realtà che potrebbe essere esportata e potrebbe tornare utile, perché la professionalità, proprio su quella determinata materia, può essere utilizzata anche per altre realtà. Mi ricordo sempre le parole del dottor Caselli. Lui credeva molto nella specificità, cioè nel fatto che più si affronta un problema, più lo si conosce, più si è in grado di affrontarlo e risolverlo, perciò sarebbe un modello sicuramente da esportare. Con le altre forze di polizia si è sempre andati d'accordo, perché comunque dietro a una divisa c'è sempre una persona. L'intelligenza sta nel dialogare e nel trovare gli accordi. Esiste massima collaborazione sia con l'Arma dei carabinieri che con la Polizia di Stato, secondo me, tutte le esperienze positive possono essere esportate in altri contesti. Per quanto mi riguarda, è sicuramente un'esperienza positiva.

  PRESIDENTE. Ringrazio anche tutti gli agenti. Noi dovremmo risentire in audizione il Procuratore nazionale antimafia. Restiamo a vostra disposizione tutti i giorni. Valuteremo in ufficio di presidenza un aggiornamento di quest'audizione, magari prima dell'estate. Grazie e buon lavoro. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.40.