XVIII Legislatura

XIII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Mercoledì 3 ottobre 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Gallinella Filippo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'EMERGENZA LEGATA ALLA DIFFUSIONE DELLA XYLELLA FASTIDIOSA NELLA REGIONE PUGLIA

Audizione del dottor Bruno Caio Faraglia, funzionario responsabile del Servizio fitosanitario centrale presso il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo e del dottor Giusto Giovannetti, direttore del Centro colture sperimentali Aosta (CCS).
Gallinella Filippo , Presidente ... 3 
Giovannetti Giusto , direttore del Centro colture sperimentali Aosta (CCS) ... 3 
Gallinella Filippo , Presidente ... 6 
Faraglia Bruno Caio , funzionario responsabile del Servizio fitosanitario centrale presso il MIPAAFT ... 7 
Gallinella Filippo , Presidente ... 9 
L'Abbate Giuseppe (M5S)  ... 9 
Cunial Sara (M5S)  ... 9 
Gallinella Filippo , Presidente ... 10 
Giovannetti Giusto , direttore del centro colture sperimentali Aosta (CCS) ... 10 
Faraglia Bruno Caio , funzionario responsabile del Servizio fitosanitario centrale presso il MIPAAFT ... 11 
Gallinella Filippo , Presidente ... 13 

Allegato 1: Nota di precisazione inviata dal professor Pierfederico La Notte, audito nella seduta del 13 settembre 2018 ... 14 

Allegato 2: Documentazione consegnata dal dottor Giusto Giovannetti ... 19

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia: Misto-NcI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FILIPPO GALLINELLA

  La seduta comincia alle 14.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del dottor Bruno Caio Faraglia, funzionario responsabile del Servizio fitosanitario centrale presso il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo e del dottor Giusto Giovannetti, direttore del Centro colture sperimentali Aosta (CCS).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Bruno Caio Faraglia, funzionario responsabile del Servizio fitosanitario centrale presso il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, e del dottor Giusto Giovannetti, che è qui presente – il dottor Faraglia sta arrivando – ed è direttore del Centro colture sperimentali di Aosta, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'emergenza legata alla diffusione della Xylella fastidiosa nella regione Puglia.
  Prima di cedere la parola ai nostri ospiti, comunico che, lo scorso lunedì, il professore La Notte, ricercatore presso l'Istituto per la Protezione sostenibile delle piante del CNR, ha inviato una nota di precisazione – volta a chiarire la portata delle dichiarazioni rese nella seduta del 13 settembre scorso – che dovreste avere già in formato digitale e che dispongo sia pubblicata in allegato al resoconto della seduta odierna (vedi allegato 1).
  Ringrazio il professore Giovannetti, cui chiedo di illustrare la sua relazione in tempi che consentano lo svolgimento dell'altra audizione e le domande dei miei colleghi. Credo che dieci minuti sia un tempo adeguato, quindi cedo la parola al professore.

  GIUSTO GIOVANNETTI, direttore del Centro colture sperimentali Aosta (CCS). Cercherò di essere molto breve nella presentazione dei dati di una sperimentazione che abbiamo condotto in Salento sulla Xylella e farò una breve introduzione su chi siamo.
  Noi ci occupiamo di bioti microbici da circa venticinque anni e siamo una ditta italiana che ha sede ad Aosta. Abbiamo un nostro bagaglio di ceppi di microbi. Produciamo un biota microbico e tutto quel che facciamo è nostro, quindi è tutto di proprietà della sperimentazione italiana.
  Il prodotto che noi facciamo e che abbiamo usato anche in Salento è composto da varie parti, ossia da una terra di cava, da ammendanti compostati verdi, dove c'è già un biota microbico, da funghi micorrizici che noi chiamiamo crude inoculum e che sono prodotti in vaso su sorgo, e da alcuni ceppi di microrganismi per noi interessanti che sono prodotti in bioreattore.
  Il prodotto è un biota microbico, quindi è composto da molti microrganismi. La logica è quella di avere un pacchetto di microrganismi che sia in grado di rivitalizzare un biota microbico complesso, come quello del suolo e come quello della pianta, quindi ha una sua complessità e una logica di avere una grande biodiversità per poter intervenire e mettere il pezzo che manca nella biodiversità o il pezzo che è saltato nella biodiversità del suolo. Questo è un Pag. 4composto tipico e un esempio di com'è fatto un nostro prodotto.
  Questi sono i microbi riprodotti in bioreattore da noi e questa è la parte dei funghi simbionti, ossia la parte che entra nelle radici e stabilisce con le radici un rapporto simbiotico. Si tratta di prodotti in vaso – lo vedete nelle serre – su piantine di sorgo. Lì c'è un'immagine rielaborata elettronicamente, in cui c'è la radice e si vedono gli arbuscoli dei funghi micorrizici che entrano nella radice.
  Per inquadrare il problema, posso dire che il suolo è densamente abitato: in un grammo di suolo agrario c'è circa un miliardo di microrganismi diversi e, all'interno di questo grammo di suolo e di questo millimetro cubo, le ife dei funghi, essendo molto sottili, possono raggiungere la lunghezza di trenta metri, quindi su un millimetro cubo ci sono trenta metri di ife. Sempre su un grammo, ci sono circa 250.000 ife fungine, per 4.000 genotipi, e c'è moltissima differenza biochimica e moltissima differenza di capacità degradative. Si tratta, quindi, di una situazione molto complessa e molto articolata, che incide in maniera molto pesante su quella che è la salute della pianta, lo sviluppo della pianta e le capacità della pianta a rispondere agli stress.
  Il problema del suolo agrario è dovuto al fatto che è stato sempre conosciuto come un suolo ricco di vitalità, che si chiamava «fertilità». Oggi, con la nuova agricoltura, questo concetto è stato un po’ abbandonato e la presenza di microrganismi e di una biodiversità microbica del suolo è passata in secondo piano, per cui noi non ci stiamo preoccupando oggi della salute del suolo.
  Il nostro prodotto è un prodotto che cerca di recuperare un probiotico del suolo: l'analogo dei probiotici che vengono usati dall'uomo per scopi medici.
  Questo è un esempio di come le piante in un suolo siano messe in collegamento dalle ife fungine. La prima slide mostra piante senza questo apparato e quella in giallo è la rete di funghi che le mette in contatto tra di loro, quindi le piante tra di loro si parlano ed è come se ci fosse un sistema internet tra le stesse; questo sistema è legato ai funghi simbionti.
  Quella che vedete è una foto particolare del suolo con gli esagoni e gli ottagoni delle micelle e le sostanze, mentre il bianco rappresenta proprio le ife dei funghi, che vanno a prendere, per la pianta, le sostanze nutritive, gli ioni.
  Questo è un esempio, invece, di una foresta, in cui hanno messo un marcante radioattivo visibile, e dà l'idea di come i funghi mettono in contatto tutte le piante tra di loro.
  I microrganismi in un suolo sono presenti nel suolo e sono presenti dentro la pianta come endofiti e sulle foglie come epifiti, quindi ci sono gli endofiti, gli epifiti e poi i microrganismi del suolo. Il tutto produce questo insieme, che è poi rappresentato per noi dalla pianta. La pianta, quindi, è un sistema complesso con molti microrganismi dentro che lavorano con lei.
  Riguardo ai microrganismi e alle piante, qui c'è un esempio di come ci sia questo rapporto: gli endofiti sono già nel seme molte volte e poi nella pianta noi abbiamo sia quelli della rizosfera sia quelli del suolo che quelli della pianta, come endofiti, e quelli sulla foglia, come epifiti, quindi tutto questo fa sistema ed è un sistema unico, per cui non è che può essere spezzettato in parti diverse.
  Noi abbiamo fatto questa sperimentazione nel Salento e avevamo tre obiettivi da realizzare. Non conoscendo la pericolosità o la virulenza del patogeno, abbiamo ipotizzato di rivitalizzare il microbioma radicale delle piante, quindi la vitalità del biota, facendo funzionare di nuovo un biota del suolo e potenziando le capacità degli endofiti, dei microbi che erano dentro le piante, e che magari erano andati perduti, ma anche il rapporto tra questi microrganismi e l'espressione genica delle piante. Questo poteva dare una risposta significativa di resilienza, una risposta di resistenza, della pianta al patogeno.
  In più, abbiamo detto: come facciamo a misurare questo? Abbiamo sperimentato delle tecniche per vedere se queste misure funzionavano, se avevano un effetto sulla pianta e se si potevano anche misurare con misurazioni a basso costo e facili da fare, in modo da identificare un sistema di misura Pag. 5 efficace per misurare l'effetto sulla malattia.
  Per questo motivo, noi abbiamo messo a punto, all'interno di questa sperimentazione, dei sistemi per valutare gli effetti, quindi abbiamo messo a punto una scala di valutazione visiva, con otto punti di riferimento: il grado di patologia, la quantità di polloni e i ricacci sulle branche o di piante precedentemente disseccate. A questo abbiamo dato un punteggio e lo abbiamo misurato su tutte le piante che erano frutto della sperimentazione.
  Poi abbiamo messo a punto e sperimentato un metodo per la valutazione del morfofisiologica della patologia, cioè abbiamo misurare il pH interno di tutte le foglie perché il pH è una variabile indipendente dal pH del suolo e indica un grado di efficienza della pianta, che è legato alla presenza o all'efficienza in genere dei funghi simbionti, del biota microbico, quindi abbiamo misurato come variava il pH delle piante trattate e delle piante non trattate.
  Poi abbiamo usato un metodo di spettroscopia Near-infrared (NIR) della foglia, quindi abbiamo misurato con il NIR le foglie degli ulivi trattati e di quelli non trattati per vedere se riconoscevamo con il NIR la differenza su queste foglie e se potevano essere marcate queste differenze.
  Poi abbiamo anche messo a punto un sistema per vedere l'efficacia del sistema del biota microbico nel suolo perché in ogni suolo c'è una quantità infinita di microrganismi, però il problema è se questi abbiano un'unità funzionale, cioè funzionino: non è tanto la presenza o la biodiversità, ma la capacità tra di loro di funzionare.
  Faccio un brevissimo inciso: se io ho una dissenteria, non è che io non ho microrganismi nell'intestino, ma i microrganismi che ho nell'intestino non riescono più a funzionare, quindi devo prendere un probiotico, che in genere è un Lactobacillus plantarum, per far funzionare questo meccanismo che si è inceppato. La stessa cosa capita in un suolo, ma, per misurare un suolo e per capire se questo funziona o meno, abbiamo messo a punto questo sistema di Litterbag, cioè un fieno che funziona da sonda e che, analizzato con il NIR, ci dice se è coerente o non coerente con quello che stiamo facendo.
  Poi abbiamo fatto questa sperimentazione in Salento in una zona altamente colpita dalla flavescenza, dove la malattia era molto presente. Si tratta di una delle zone più colpite. Su sette aziende, abbiamo inoculato dodici ettari, quindi sono stati trattati con il nostro inoculo, e considerato dieci ettari di controllo. Abbiamo inoculato 230 chilogrammi di Micosat, che è il nostro prodotto come inoculo microbico con probiotico, e poi siamo andati a vedere cosa succedeva tra quelli trattati e quelli non trattati.
  In totale, noi abbiamo analizzato 484 piante, sul 18 per cento e su sette aziende. Abbiamo fatto 379 determinazioni di pH grezzo fogliare, 1.516 campioni fogliari con spettri di NIR e 380 scansioni di Litterbag, cioè abbiamo fatto un pacchetto di misure per capire dove andavamo.
  Queste sono le variabili dipendenti che abbiamo osservato sulle piante delle sette aziende. Quelle segnate in verde sono quelle che hanno dato una risposta positiva, cioè è diminuita, al primo rilevamento, la malattia in maniera significativa. La penultima, insomma, non è molto significativa, ma quella in rosso, l'ultima, invece, è andata al contrario ed è aumentata. In quella indicata con la B non è successo niente. Con ciò voglio dire che, all'interno di questa situazione, noi abbiamo avuto delle risposte diverse, ma secondo noi abbastanza significative.
  Queste sono le variabili indipendenti e abbiamo poi messo insieme queste variabili per vedere se, tra di loro, indicavano una retta che potesse essere utile per interpretare tutti i dati in maniera multifunzionale. Quelli significativi per noi, cioè quelli che abbiamo visto che erano significativi in rapporto alla malattia, sono il pH della foglia, che è molto significativo, Litterbag, che danno un'idea precisa e danno un significato, e poi il NIR della foglia del micorizzato, quindi il pH, NIR e Litterbag sono quelli più significativi tra i parametri che abbiamo analizzato. Pag. 6
  Questa è la retta di regressione tra i vari valori. Il C, il D e l'A sono le aziende che rispondevano bene, quelle segnate in rosso nel diagramma che abbiamo visto prima, e che, come vedete, sono esattamente allineate. Al centro, quella che non cambia è quella che non dava risultati e sopra ci sono quelle che non hanno funzionato. La E e la G sostanzialmente sono quelle che hanno risposto in maniera diversa.
  Quali erano gli obiettivi che noi avevamo stabilito all'inizio? Si voleva rivitalizzare il microbioma radicale delle piante, riattivando le interazioni simbiotiche tra apparato radicale dell'ulivo e microrganismi nella rizosfera. Come conclusioni, noi abbiamo visto che il microbioma radicale delle piante trattate è stato, in vario grado, attivato, quindi ha risposto all'inoculo microbiologico, come dimostrato dal NIR fogliare dei Litterbag e dalla riduzione del pH fogliare, quindi, con tre parametri, noi possiamo misurare se questo ha funzionato e che questo non è solo un esempio visivo.
  In secondo luogo, l'obiettivo era quello di potenziare le capacità di resilienza delle piante di ulivo, aumentando la presenza degli endofiti perché, essendo questa una malattia che è nell'apparato vascolare della pianta, cioè dentro e non fuori, noi dobbiamo entrare dentro, cioè abbiamo più probabilità di avere un successo, se noi riusciamo a inserire dentro la pianta degli endofiti che contrastano il patogeno, quindi abbiamo lavorato anche su quello.
  Siamo andati a vedere se questo aumentava gli endofiti mediante l'attivazione e poi se cambiava – questo non lo abbiamo visto, ma dovrebbe essere il frutto di una nuova ricerca – l'espressione genica della pianta perché i microrganismi fanno cambiare l'espressione genica della pianta, cioè interagiscono con il genoma e i geni espressi cambiano, però noi non potevamo vederlo con la nostra ricerca.
  Che cosa abbiamo visto? In un sesto dei casi delle aziende viste, il risultato è negativo, cioè andava in senso opposto a quello desiderato, ma, in tre casi su sei, la resilienza si vedeva e aveva funzionato, cioè tre su sei erano andati molto bene.
  In base alla riduzione del grado di patologia è aumentata la riduzione e c'è stata una fortificazione vegetativa simbiotica. Abbiamo ipotizzato anche che questo fosse dovuto alla presenza di endofiti, in particolare a uno Streptomyces nostro, l'SA 51, che è uno Streptomyces molto veloce nell'entrare dentro le piante e che avevamo selezionato negli ulivi di Arnasco. Arnasco è in Liguria, la terra della taggiasca. Abbiamo, quindi, fatto una selezione che arrivava dall'ulivo.
  La terza finalità era sperimentare delle tecniche semplici e accessibili per la misurazione dello stato di salute delle piante di ulivo. Noi abbiamo visto che il NIR fogliare, i Litterbag e i pH sono misure semplici e in grado di monitorare lo stato di salute delle piante di ulivo.
  Che cosa dobbiamo dire oggi, a distanza di tempo, anche se la sperimentazione non è finita e aspettiamo ancora i dati finali? Dobbiamo adottare pratiche rispettose della biodiversità microbica del suolo e anche della chioma. Questo è importante, se vogliamo mantenere in vita le piante, cioè, se non rispettiamo la biodiversità microbica, probabilmente le piante sono molto più deboli e molto più attaccabili dal patogeno.
  Noi dobbiamo proseguire le osservazioni sul grado patologico nei lotti trattati per i controlli nei prossimi anni, abbinando, dov'è possibile, i sistemi di sperimentazione NIR, pH e Litterbag nel suolo, cioè continuare nella misurazione. Inoltre, bisogna proseguire anche nei trattamenti di richiamo, come si fa con un probiotico, cioè dare un trattamento di richiamo per mantenere in vita quella parte microbica.
  Infine, è necessario approfondire le conoscenze sulla presenza degli endofiti, cioè dobbiamo andare a vedere se veramente li ritroviamo dentro l'ulivo e se questi hanno un effetto rispetto all'evoluzione della malattia.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. Ora, passerei la parola al dottor Faraglia, che ringrazio di essere venuto e che è funzionario responsabile del servizio fitosanitario centrale presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo.

Pag. 7

  BRUNO CAIO FARAGLIA, funzionario responsabile del Servizio fitosanitario centrale presso il MIPAAFT. Grazie. La Xylella ormai è un argomento piuttosto complesso e da analizzare su parecchi punti. Partiamo da un dato di fatto mondiale: la Xylella fastidiosa è un organismo da quarantena riconosciuto a livello mondiale, che, in giro per il mondo, sta creando grossi problemi, ovunque si è insediato.
  Sulla base di questo, la Xylella fastidiosa è sempre stata presente nella normativa europea. Purtroppo, non è mai stato previsto un controllo specifico a livello europeo, fino a che questa non è stata ritrovata per la prima volta in Italia, dando il via a una sensibilizzazione e a un'attenzione da parte dell'Unione europea verso quest'organismo nocivo.
  Ovviamente, per comprenderne il perché, bisogna ricordare che l'Unione europea è un sistema di difesa fitosanitaria aperto, il che vuol dire che in Europa può entrare qualsiasi prodotto, ad eccezione di quelli che sono ritenuti pericolosi per il trasporto degli organismi nocivi, quindi questi sono vietati. Tutti i Paesi che hanno un sistema fitosanitario più forte e più cautelare dell'ambiente e dei propri territori hanno dei sistemi di controllo chiusi, per cui può entrare nel territorio solo quello che, dopo le verifiche necessarie, è stato ritenuto opportuno far entrare.
  Questo ha determinato che, mentre quello per la Xylella fastidiosa, sulla base delle conoscenze, era inserito nella normativa europea come controllo per la vite, non era obbligatorio e non era inserito tra i controlli per quanto riguardava le piante ornamentali in tutti gli scambi internazionali che comportavano scambio di vegetali diverso dalle piante di vite.
  A seguito del ritrovamento in Puglia, la sensibilizzazione dell'Unione europea, quindi anche la preoccupazione collettiva, è aumentata e nel 2015 sono state introdotte delle misure di controllo specifiche, non solo per il territorio europeo, ma anche per tutte le importazioni dai Paesi terzi.
  Dal 2013 a oggi, c'è stata tutta una serie di valutazioni, scambi e modifiche della normativa per dare seguito all'applicazione delle misure di quarantena. Non faccio tutta la cronistoria, che credo sia a conoscenza della Commissione, ma posso solo dire che nel giugno di quest'anno la Commissione europea, a fronte della mancata eliminazione delle fonti di inoculo, ha deciso unilateralmente un'ulteriore modifica della normativa europea.
  Per poter capire questo, però, vorrei fare un passo indietro. Come sapete, ormai dal 2016 l'area geografica della Puglia è divisa sostanzialmente in tre parti. Una parte è stata considerata e supportata dall'opinione scientifica mondiale come parte in cui era impossibile andare verso l'eradicazione del batterio Xylella fastidiosa. Una parte che è stata considerata area di intervento da quarantena consiste in una zona di intervento infetta di venti chilometri e una zona di sicurezza (una zona cuscinetto) di dieci chilometri. In questi trenta chilometri, c'è l'area in cui deve essere concentrata l'attività da quarantena.
  Che cosa vuol dire tutto ciò? Ora, se tutto il mondo considera la Xylella fastidiosa un organismo da quarantena che, se introdotto in un territorio, provoca danni incalcolabili, come tra l'altro abbiamo avuto modo di vedere in Europa e non solo in Italia, la primaria funzione degli organismi di gestione della protezione fitosanitaria è quella di cercare di rallentare il più possibile l'introduzione di questo batterio nelle aree indenni, quindi la preoccupazione delle misure fitosanitarie che sono state adottate è stata indirizzata a rallentare, se non impedire, l'espansione e l'introduzione di questo batterio nelle aree libere del resto d'Italia e d'Europa.
  Arrivati a questo punto, dopo questo tipo di approccio, la situazione attuale si presenta con un'area in cui non è possibile fare eradicazione, un'area che serve come intervento di protezione delle aree indenni e il resto del Paese e d'Europa che è considerato area indenne.
  Ovviamente la situazione a livello europeo ora è mutata perché si sono trovati dei focolai anche in Francia e in Spagna, quindi le aree indenni del resto dell'Unione europea devono fare i conti con questi tre Pag. 8nuclei di introduzione di Xylella fastidiosa nel territorio.
  Qual è la situazione attuale? Ovviamente è necessario riuscire ad avere un nuovo approccio. Ho avuto la fortuna di sentire alcuni passaggi della presentazione del professore, che sono importantissimi per la gestione del territorio nella parte infetta, dove è assolutamente necessario riuscire a trovare tutti gli strumenti – e, da questo punto di vista, la ricerca sta mettendo in campo tutto quello che c'è a disposizione – per riuscire ad avere degli strumenti di tecniche colturali, ma anche di individuazione di varietà specifiche, che possano permettere il ritorno alla normalità di quest'area contaminata, quindi la ripresa produttiva delle piante, anche in presenza del batterio.
  Poi c'è una strategia di difesa della parte indenne del resto d'Italia e d'Europa, che è legata appunto a fare un muro, sostanzialmente, nell'espansione di questo batterio nei territori indenni. Questa è concentrata, come dicevo, nei trenta chilometri, però i mancati interventi – in questo momento non entro nel merito delle motivazioni – di eliminazione delle fonti di inoculo hanno portato l'Unione europea unilateralmente a innalzare di circa 20-25 chilometri, a giugno, l'area di intervento, quindi ad allargare l'area infetta in Italia.
  Questo ha portato ovviamente una serie di ulteriori appesantimenti, anche se ha eliminato l'obbligo di abbattere una serie di alberi contaminati che erano nella vecchia fascia di intervento, e ha portato una serie di obblighi a cui dovremmo far fronte. In particolare, il Servizio fitosanitario della Puglia dovrà gestire un monitoraggio molto intenso, per garantire che questa fascia rimanga pulita e ovviamente abbattere le fonti di inoculo rappresentate dagli alberi infetti qualora si presentino.
  Perché mantenere indenne il resto d'Italia e d'Europa? A seguito della notizia che in Italia era presente Xylella fastidiosa, tutti i Paesi del bacino del Mediterraneo hanno immediatamente bloccato l'importazione di piante di qualsiasi tipo prodotte in Italia, i danni subìti dal settore vivaistico in termini di mancati flussi commerciali in questi quattro anni sono stati calcolati in diverse centinaia di milioni di euro.
  L'esportazione delle piante in particolare ornamentali è stata bloccata da tutti i Paesi del Nordafrica, ma anche dall'Albania e da tutti i nostri principali partner commerciali, e a livello europeo si è scatenata una sorta di tiro al bersaglio verso le produzioni vivaistiche italiane considerate a rischio, perché la notizia ovviamente falsa, ma più facile da diffondere a mezzo stampa è stata che, non essendoci certezza che le piante della Puglia non possano girare per l'Italia, qualsiasi pianta in Italia è a rischio e quindi viene comprata a proprio rischio e pericolo.
  Questo è quanto si è letto negli anni scorsi sulla stampa olandese, inglese, danese e dei principali competitor europei; addirittura i francesi per giochi di questo tipo sono arrivati a fare decreti di blocco sulle nostre piante. Alcuni di questi flussi commerciali siamo riusciti a riaprirli sulla base di assicurazioni legate ai nostri sistemi di certificazione e di tracciabilità totale dei materiali, ma ho citato questo esempio, che è solo un pezzetto degli eventuali danni che potrebbero derivare da un allargamento della Xylella in Italia, solo per far capire come a livello internazionale la presenza della Xylella fastidiosa, che è un riconosciuto organo da quarantena, possa provocare danni immensi alle nostre produzioni.
  Da un punto di vista operativo sapete che il Servizio fitosanitario nazionale è basato su un'Unità di coordinamento che io dirigo presso il Ministero dell'agricoltura e un Servizio fitosanitario regionale in ogni regione d'Italia. Questa struttura così complessa è regolamentata e condivisa da un Comitato fitosanitario nazionale, che ogni mese si riunisce per discutere e condividere le problematiche fitosanitarie.
  Da questo punto di vista l'attuale normativa stabilisce bene delle competenze separate, per cui il nostro servizio come Ministero è un servizio di indirizzo e di emanazione delle norme tecniche di riferimento, l'applicazione della normativa è competenza dei Servizi fitosanitari nelle aree di propria gestione territoriale, quindi Pag. 9ognuno nella sua regione. Le misure che vengono elaborate e poi escono sotto forma di decreti sono sempre misure che hanno visto l'approvazione di tutto il Comitato fitosanitario e delle regioni interessate dai vari interventi.
  Se c'è qualche richiesta più specifica, sono a disposizione.

  PRESIDENTE. Grazie. Lascio quindi la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIUSEPPE L'ABBATE. Grazie, presidente. Ringrazio gli auditi e vorrei fare un paio di domande al professor Giovannetti. Vorrei sapere qual è la probabilità che le micorrize riescano ad attecchire su piante monumentali, quindi piante adulte, perché di questo parliamo nell'area della zona infetta, dove si tratta principalmente di grandi piante centenarie e con un apparato radicale molto grande, quindi vorrei capire se sia possibile comprendere tutto l'apparato radicale per entrare dentro le piante con il meccanismo che ci ha spiegato.
  Vorrei sapere se alla fine le piante (mi pare che stiate ancora completando la sperimentazione) vadano a morte oppure riescano a sopravvivere, perché altrimenti rischiamo di allungare soltanto l'agonia provocando un danno all'agricoltore che attende e spende per fare una serie di trattamenti e poi la pianta, invece di morire in un anno, muore in due. C'è una certezza su questo?
  Al direttore Faraglia vorrei porre alcuni quesiti in merito alle azioni fatte all'inizio, quando è stata individuata la Xylella fastidiosa in Puglia. Perché quando è stato individuato il primo focolaio a Li Sauli le piante non sono state subito estirpate e non è stata applicata la legislazione di quarantena allora vigente? Nel focolaio di Trepuzzi furono eliminate soltanto le piante infette o fu attuata la norma dei 100 metri? Se non è stato fatto, quali sono i motivi per cui si è deciso di non applicarla?
  Sulla base di quali considerazioni è stato scelto di dichiarare anche l'Università di Foggia sede idonea per il monitoraggio di primo livello, è stato considerato il rischio di un eventuale trasporto accidentale del vettore?
  Tra le sostanze autorizzate per il contenimento della Sputacchina l'Osservatorio ha autorizzato l'impiego del PREV-AM, un prodotto a base di oli essenziali di agrumi consentito in agricoltura biologica. Su quali basi e quali dati è stato consentito l'impiego di questo prodotto, dato che pubblicazioni scientifiche di ricercatori di istituti di ricerca pugliesi ne hanno dimostrato l'inefficacia?
  Vorrei chiedere inoltre se siano previste misure da concordare con tutti i vivai che oggi con l'ampliamento delle fasce di contenimento della zona infetta si ritrovano esposti a un grosso rischio economico perché non possono più commercializzare le proprie piante (parliamo anche di Brassicaceae) con danni economici enormi e danni anche nel resto d'Italia perché molte delle piantine prodotte in quella zona della Puglia vengono vendute in tutta Italia.
  Dato che all'interno dei vivai fino ad oggi non è stata trovata una pianta infetta perché già i vivai stessi adottano misure per il contenimento che evitano al vettore di entrare e diffondere il batterio, c'è un modo per riuscire a salvare questa economia? Grazie.

  SARA CUNIAL. Ringrazio gli auditi ai quali vorrei porre due domande. All'Osservatorio fitosanitario volevo chiedere un chiarimento. Secondo il decreto ministeriale del 13 febbraio 2018, che riguarda le misure di emergenza per la prevenzione, il controllo e l'eradicazione di Xylella nel territorio della Repubblica italiana, l'eventuale presenza del batterio in una pianta deve essere verificata mediante un'analisi molecolare, e, in caso positivo, deve essere individuata anche un'altra analisi molecolare positiva, conforme alle norme internazionali.
  Tali analisi per legge dovrebbero essere indicate nella banca dati della Commissione delle analisi per l'individuazione dell'organismo specificato e della sua sottospecie, sul sito deputato della Regione Puglia compaiono però solo alcune migliaia di dati. Pag. 10
  Volevo sapere quindi, visto che si è parlato di un milione di piante infette, se ci siano e dove si trovino i 2 milioni di prove di laboratorio fatte per accertare la presenza del batterio e se sia possibile vederle, come prevede il suddetto decreto. Qualora questi dati non fossero disponibili vorrei sapere in base a quale dato scientifico siano state diffuse le notizie di milioni di piante infette.
  In merito sempre alla questione dei test, per fugare ogni dubbio, volevo anche sapere se siate a conoscenza del protocollo usato dal Centro Basile Caramia di Locorotondo, se si tratti di una procedura validata e se si sia ottemperato alla richiesta degli ispettori della DG Sante, la società responsabile delle politiche della Commissione europea in materia di salute e sicurezza alimentare, che si sono recati a Brindisi nel maggio del 2018 e avevano fatto richiesta di verificare la procedura dei ring test.
  Al professor Giovannetti, che ringrazio di avere così ben spiegato il ruolo che svolge il biota microbico per la salute delle piante, volevo chiedere un consiglio e capire quali siano le azioni che in questa sede potremmo fare per agevolare questo tipo di approccio e questo tipo di agricoltura che abbia carattere non solo curativo, ma anche preventivo.

  PRESIDENTE. Lascio la parola agli auditi per la replica.

  GIUSTO GIOVANNETTI, direttore del centro colture sperimentali Aosta (CCS). Inizio dalla prima domanda. La distribuzione e l'occupazione della nicchia dell'apparato radicale della radichette secondarie su una pianta secolare è una pratica agronomica, cioè dobbiamo farla. Noi l'abbiamo fatta in questo caso con un assolcatore, una specie di potatura della radichette secondarie e nel punto di taglio inseriamo l'inoculo. Questo perché nel terreno, nelle radici ci sono già i microbi, cioè non sono totalmente sterili, c'è già un'occupazione di nicchia, e noi dobbiamo in pratica lavorare per sostituire quello in parte o in toto con i nostri, e favorire una funzionalità del biota microbico.
  È più facile per noi occupare una nicchia di una nuova radichetta che occupare la nicchia di una vecchia radichetta, per cui procediamo con un taglio e l'inoculo. Questo ci permette di intervenire su piante secolari come sono quelle su cui abbiamo lavorato. L'abbiamo fatto su piante molto vecchie, non giovani, quindi i risultati sono su piante secolari.
  Alla seconda domanda non siamo in grado di rispondere in questo momento, ma per alcune patologie molto gravi come la Batteriosi del pero, che ha colpito l'Emilia-Romagna anni addietro e che aveva un andamento simile a quello della Xylella, si è poi arrivati ad avere una fase di contenimento. Si convive quindi con la Batteriosi del pero, e non a caso i peri che vengono piantati in Emilia-Romagna sono quasi tutti inoculati per avere una maggiore resilienza al problema, che esiste ancora.
  Come si può intervenire su questo? I microbi sono stati «sottovalutati», ma sono stati ignorati da una normale legislazione sia europea che nazionale. Voi sapete che il letame, che gli agricoltori utilizzano da 20.000 anni o più, è un biota microbico, cioè funziona perché mettiamo dei microbi nel suolo, prima di metterli li trattiamo perché il letame è lavorato, quando esce come letame ha microrganismi anaerobi che sarebbero dannosi per l'agricoltura, viene areato molte volte, girato, quindi popolato da una popolazione aerobica di microbi, e a quel punto viene distribuito nel terreno.
  Questo biota fa molto bene all'agricoltura ed è stato sempre usato, però quando è iscritto nel registro dei fertilizzanti non viene citata la presenza dei microbi, nell'elenco e nel Regolamento non sono previsti e non puoi scrivere che ci sono microbi nel letame. Questo porta al paradosso oggettivo per cui, siccome i microbi sono iscritti oggi nei fitofarmaci, c'è un'invasione di campo di quelli che si occupano di fitofarmaci e tu non puoi usare un microbo che è presente, iscritto nei fitofarmaci nel letame.
  C'è un errore in questa interpretazione, nei fitofarmaci è iscritto un ceppo, dove sono stati visti anche tutti i metaboliti Pag. 11secondari, non è iscritto genericamente il bacillus subtilis, viene iscritto un ceppo particolare. Nel letame abbiamo migliaia di questi bacilli, nessuno di questi classificato, quindi sono due cose differenti, però io faccio confusione perché da una parte c'è scritto e dall'altra non c'è scritto.
  Chiudo con la mia esperienza personale. Ho avuto due volte i NAS da me che sono venuti a dirmi: «tu fai un fitofarmaco illegale perché c'è scritto bacillus subtilis», ma io faccio un'altra cosa.

  BRUNO CAIO FARAGLIA, funzionario responsabile del Servizio fitosanitario centrale presso il MIPAAFT. Cercherò di dare risposte brevi a tutto quello che è stato sottolineato. Perché non si è intervenuti subito nell'eliminazione delle piante? Il ritrovamento comunicato dall'Osservatorio fitosanitario della Regione Puglia nell'estate del 2013 è stato subito analizzato, è stato oggetto di indicazioni specifiche e quindi di misure fitosanitarie dal Comitato fitosanitario nel novembre del 2013.
  È evidente che, come ho detto prima, la normativa italiana, quindi il decreto legislativo n° 214 del 2005, prevede che l'intervento sul territorio sia di competenza del Servizio fitosanitario regionale competente, e devo anche annunciare che, alla luce del nuovo Regolamento europeo del 2016 (stiamo dandogli attuazione perché entrerà in vigore alla fine del 2019), è previsto che ogni Paese membro si doti di una struttura di intervento emergenziale in caso di emergenze fitosanitarie e ritrovamento di focolai di questa natura.
  È quindi probabile che in prospettiva avremo una normativa nazionale che, in applicazione di questo Regolamento, darà maggiore forza di intervento nell'applicazione delle misure di quarantena.
  Nel 2013, l'applicazione della normativa attualmente in vigore, con tutti i limiti che ha dimostrato, non ha messo il Servizio fitosanitario della Puglia in condizioni di effettuare tutte le misure che il Comitato fitosanitario aveva indicato. Queste ovviamente sono misure di quarantena che avevano un certo impatto sul territorio (è inutile dirlo), perché bloccare l'espansione di un focolaio di un batterio significa fargli intorno una cintura di protezione, che ovviamente richiede l'isolamento dal resto del territorio.
  A Trepuzzi ormai si era già conosciuto l'impatto del batterio sugli alberi d'ulivo, la Commissione europea, supportata dai pareri dell'EFSA, chiese di intervenire con l'eliminazione delle piante infette, in quel caso non furono testate le piante intorno alle 190 piante tagliate e furono abbattute solo le piante infette.
  Ci rendiamo conto a posteriori che a tutt'oggi non conosciamo ancora i tempi di latenza dell'infezione di Xylella fastidiosa prima che si manifestino i sintomi, e questo è uno dei motivi fondamentali per cui l'Unione europea chiede l'abbattimento dei 100 metri intorno alla pianta infetta per riuscire a fermare il più possibile l'espansione del batterio.
  Non conoscendo il tempo di latenza e quindi di sviluppo del batterio nella pianta prima della manifestazione dei sintomi, non c'è la certezza che andando a fare l'analisi di quella pianta si prenda una porzione di pianta in cui l'analisi non lo rileva, ma il batterio è già all'interno della pianta.
  Questo è uno dei grandi punti interrogativi cui la ricerca sta ancora cercando di dare risposta, ma che precauzionalmente richiede che, se c'è una pianta infetta e c'è un vettore che nutrendosi di quella pianta contagia le piante intorno, si debba fare un'eliminazione intorno alla pianta infetta, in maniera da evitare ogni trasmissione.
  Questo a Trepuzzi non fu fatto, quindi l'abbattimento delle sole piante infette non ha garantito che il batterio non si distribuisse ulteriormente.
  Per quanto riguarda l'Università di Foggia non è un grosso problema, tutti i campioni per prassi fitosanitaria consolidata non vanno in giro o vengono movimentati e aperti casualmente, ma vengono sigillati in doppio sacchetto di tenuta all'interno di contenitori sigillati, portati da personale specializzato, quindi non c'è alcun rischio di contaminazione, anche perché in caso di altri organismi nocivi in cui il materiale infetto passi da un Paese all'altro o da un continente all'altro saremmo degli untori. I campioni che vengono spostati ovunque Pag. 12vadano sono sempre sotto totale sigillo, quindi non c'è pericolo di contaminazione.
  I laboratori abilitati ovviamente hanno delle strutture per gestire organismi di quarantena, per cui nelle loro procedure non vi è alcuna possibilità di diffondere il batterio o l'organismo nocivo di cui trattasi, anzi hanno tutti procedure di intervento in caso di emergenza.
  Per quanto riguarda il discorso degli oli essenziali di agrumi, come tutta la Commissione sa nel corso di questi cinque anni si è letto sulla stampa, su internet su qualsiasi mezzo di comunicazione tutto e il contrario di tutto, nel senso che c'è stata una proliferazione di informazioni molto ampia, non tutte corrette, molte in contrapposizione l'una con l'altra, che hanno richiesto anche la necessità di interpretare quello che stava succedendo.
  Per quanto riguarda l'olio essenziale di agrumi, è stata attestata proprio dalla Regione Puglia una capacità di rafforzo sulla pianta, per cui nell'ambito delle aziende biologiche, in cui non si hanno a disposizione altri metodi di trattamento, è stato autorizzato dal Ministero della salute questo tipo di trattamento per dare il «sollievo» richiesto dalle aziende biologiche. Ovviamente non è un prodotto risolutivo, quindi non ha portato a grandi risultati. Questo fa parte di un insieme di tecniche colturali e di prodotti che possono contribuire a rafforzare – magari per un periodo temporaneo – la pianta, quindi comunque riteniamo utile che vengano utilizzati, ma a tutt'oggi in tutto il mondo è assodato che non c'è cura per la Xylella fastidiosa.
  Vengo ora alla domanda sui vivai in zona cuscinetto. Quando ho detto che l'innalzamento della zona infetta ha causato danni ai nostri territori, mi riferivo proprio a questo, dalle zone infette non può uscire materiale che può ospitare l'organismo nocivo, il che vuol dire che tutte le strutture produttive che ricadono nella zona infetta e nella zona cuscinetto non possono movimentare il loro materiale. I vivai che sono venuti a trovarsi nella zona cuscinetto con l'innalzamento della zona decretato dall'Unione europea vedono quindi le loro produzioni bloccate e non commercializzate.
  Qual è la possibilità di intervento? I materiali prodotti da questi vivai possono circolare all'interno della zona infetta, è vietato portarli all'esterno, dopodiché i vivai possono essere riconosciuti dal Servizio fitosanitario competente per territorio come siti di produzione indenni, ovviamente devono dotarsi delle strutture necessarie a garantire che la produzione, ancorché effettuata in zona infetta, rimanga comunque indenne e garantita da ogni eventuale infezione, quindi oltre alle strutture devono essere adeguate anche tutte le procedure operative.
  Questo è realizzabile e può esserci anche un intervento territoriale di sostegno delle strutture attraverso le scelte di gestione del territorio. Il famoso milione di piante infette l'ho letto tantissime volte sulle rassegne stampa, sui giornali, l'ho sentito dire tante volte, ovviamente nessuno li ha mai contati, sono sempre stati riferiti alla quantificazione dell'area infetta. Una volta che da Gallipoli l'estensione della batteriosi è arrivata a Lecce, è evidente che in quell'area fu dichiarata dall'Unione europea una zona di contenimento su richiesta della Regione Puglia, proprio perché si era ormai dimostrato impossibile eradicare il batterio.
  Sull'area che a quell'epoca era inclusa nella zona infetta stime degli ordinamenti colturali e quindi dei sesti di impianto degli oliveti portavano alla famosa cifra che oscillava da 1 a 2 milioni di alberi, quindi ogni volta che uno parlava magari anche a livello territoriale dell'area infetta parlava del famoso milione di piante infette. Che a me risulti, non sono mai state analizzate, perché i monitoraggi che la regione Puglia ha sviluppato nel corso del tempo sono sempre stati monitoraggi rendicontati al nostro ufficio e hanno sempre interessato le aree di intervento delle misure di quarantena. A parte il primo monitoraggio, che era generalizzato, per capire la localizzazione e la quantificazione del fenomeno, i monitoraggi erano mirati alla ricerca specifica del patogeno e quindi non sono stati più effettuati nell'area in cui si sapeva che il patogeno era già presente. Questo è quello che a noi risulta. Pag. 13
  Per quanto riguarda Basile Caramia, ovviamente il discorso della gestione territoriale, come ho già detto, è in capo alla struttura regionale competente, ma, da quello che so e da quello che la regione Puglia ha relazionato al nostro Ufficio di coordinamento, Basile Caramia è stato certificato con la normativa ISO 9000 come laboratorio per l'effettuazione di analisi da quarantena.
  Il discorso delle ispezioni del vecchio Food and Veterinary Office (FVO), quindi della struttura ispettiva dell'Unione europea, da quello che a me risulta era legato alle procedure di verifica e contro verifica all'interno dei laboratori, quindi dei ring test, ma da documenti dell'FVO risulta che la raccomandazione è stata soddisfatta. Queste purtroppo sono le relazioni che arrivano sul nostro Ufficio di coordinamento e quindi magari maggiori dettagli possono essere forniti direttamente dalla regione Puglia.

  PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal dottor Giusto Giovannetti (vedi allegato 2). Nel ringraziare i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.35.

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ALLEGATO 1

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ALLEGATO 2

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