XVIII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Martedì 6 novembre 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Lorefice Marialucia , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ATTUAZIONE DELLA LEGGE 15 MARZO 2010, N. 38, IN MATERIA DI ACCESSO ALLE CURE PALLIATIVE E ALLA TERAPIA DEL DOLORE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'AMBITO PEDIATRICO

Audizione del professor Marcello Orzalesi, membro del Comitato tecnico-scientifico della Fondazione Maruzza Lefebre d'Ovidio Onlus.
Lorefice Marialucia , Presidente ... 2 
Orzalesi Marcello , membro del Comitato tecnico-scientifico della Fondazione Maruzza Lefebre d'Ovidio Onlus ... 2 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 4 
Novelli Roberto (FI)  ... 4 
Siani Paolo (PD)  ... 5 
Trizzino Giorgio (M5S)  ... 5 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 6 
Orzalesi Marcello , membro del Comitato tecnico-scientifico della Fondazione Maruzza Lefebre d'Ovidio Onlus ... 6 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 7 

Audizione di rappresentanti di UNIAMO-Federazione italiana malattie rare, della Federazione italiana associazioni genitori oncoematologia pediatrica (FIAGOP onlus) e dell'Associazione genitori oncologia pediatrica (AGOP onlus):
Lorefice Marialucia , Presidente ... 7 
De Barros Guido , rappresentante di UNIAMO ... 7 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 8 
Biondi Danila , membro del Consiglio direttivo della FIAGOP Onlus ... 8 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 10 
Siani Paolo (PD)  ... 10 
Trizzino Giorgio (M5S)  ... 10 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 11 
Biondi Danila , membro del Consiglio direttivo della FIAGOP Onlus ... 11 
De Barros Guido , rappresentante di UNIAMO ... 11 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia: Misto-NcI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARIALUCIA LOREFICE

  La seduta comincia alle 12.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati, nonché la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del professor Marcello Orzalesi, membro del Comitato tecnico-scientifico della Fondazione Maruzza Lefebre d'Ovidio Onlus.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca le audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione della legge 15 marzo 2010, n. 38, in materia di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, con particolare riferimento all'ambito pediatrico.
  Saluto il professor Marcello Orzalesi, membro del Comitato tecnico-scientifico della Fondazione Maruzza Lefebre d'Ovidio Onlus, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione a intervenire nell'audizione odierna.
  Pregherei il nostro ospite di contenere il proprio intervento entro dieci minuti per dare modo ai deputati di porre domande, cui seguirà la replica del soggetto audito, che potrà consegnare alla segreteria della Commissione un documento scritto o farlo pervenire successivamente.
  Do la parola al professor Orzalesi.

  MARCELLO ORZALESI, membro del Comitato tecnico-scientifico della Fondazione Maruzza Lefebre d'Ovidio Onlus. Presidente, lei mi ha ringraziato, ma sono io che ringrazio voi. Mi consola vedere tante signore a questo tavolo, perché è stato un argomento molto sensibile.
  Ho preparato una relazione scritta di due paginette. Ve la leggo, ma poi la lascio a vostra disposizione.
  La legge n. 38 la conoscete benissimo. Vorrei, però, ricordare l'articolo 5, comma 2, che si riferisce proprio all'età pediatrica. Questo articolo tiene conto di un documento precedente del Ministero della salute, che voi conoscete, che è stato approvato in sede di Conferenza Stato-Regioni, del 2008, che riguarda le cure palliative rivolte al neonato, al bambino e all'adolescente. Tutte le indicazioni di quel documento sono contenute nella legge o precisate meglio in norme successive. Va tenuto presente questo documento, quindi, perché nella legge si fa riferimento ad altri aspetti, che sono citati sporadicamente.
  In estrema sintesi, che cosa prevede questo documento, quindi la legge, le norme successive? Primo punto: nell'età pediatrica, a differenza dell'adulto, c'è un'unica rete per il dolore e le cure palliative, non due reti. Gli elementi fondamentali obbligatori di questa rete sono il centro, l’équipe multidisciplinare di riferimento, l’hospice pediatrico, il pediatra di famiglia, gli ospedali e, ovviamente, le strutture e le professionalità sociosanitarie presenti sul territorio. Prevede anche la divulgazione a livello pubblico della natura e dell'importanza delle cure palliative, in particolare delle cure palliative pediatriche. Prevede la formazione del personale. Prevede l'introduzione nelle scuole di specializzazione in pediatria di un modulo didattico elettivo biennale. Prevede l'attivazione di master di primo e di secondo livello e l'obbligo di riportare la Pag. 3rilevazione e il controllo del dolore nella cartella clinica.
  Che cosa è successo? Per quanto riguarda l'età pediatrica, la legge n. 38 è fortemente inapplicata. Solo quindici Regioni hanno deliberato l'istituzione di una rete pediatrica. Come l'hanno deliberata? L'hanno deliberata in modo incompleto e non rispettano i requisiti indicati nella legge per quello che riguarda il centro di riferimento, l’équipe dedicata, l'assistenza domiciliare e l’hospice, soprattutto. Solo in Veneto e del tutto recentemente in Liguria esiste una rete di cure palliative pediatriche con l’hospice e con tutti gli altri requisiti dettati dalla legge. In altre regioni cosa succede? C'è un hospice in Sicilia con due posti letto, uno in Piemonte con tre, uno in Campania con due e poi si ci sono iniziative sparse, tra cui la Basilicata e la Lombardia, che stanno cercando di attivare l’hospice, non necessariamente la rete.
  L'opera di divulgazione è del tutto inefficiente. La Fondazione Maruzza ha effettuato alcune indagini, ma la gente non ha alcuna idea delle cure palliative pediatriche, che vengono confuse con l'eutanasia e con l'abbandono terapeutico. Inoltre, è ancora diffusa l'opinione che il dolore non viene percepito al di sotto di una certa età oppure che il bambino se ne dimentica e non ha conseguenze deleterie.
  Anche la formazione degli operatori è insufficiente, eppure ci sono gli strumenti. Il Ministero della salute ha pubblicato un manuale sul dolore del bambino. La Società italiana di neonatologia (SIN) ha pubblicato un manuale per quello che riguarda il dolore nel neonato. Inoltre, c'è un curriculum pubblicato dalla Società italiana di cure palliative (SICP), di cui si terrà un congresso tra una settimana, curriculum che riguarda la formazione del medico, dell'infermiera e dello psicologo.
  Inoltre, il Ministero della salute, insieme alla Società italiana di pediatria e alle società scientifiche pertinenti, ha lanciato e effettuato un progetto che si chiama «NienteMale Junior», fornendo anche il relativo materiale didattico, che si proponeva di dare una formazione di base e formare dei formatori. Sono stati formati centocinquanta formatori che avrebbero avuto l'obbligo (o il dovere) di formare i pediatri nella loro regione. Solo in tre regioni questo è stato applicato, nonostante i formatori siano presenti in tutte le regioni italiane.
  Riguardo alla formazione universitaria, un'indagine recente ha rilevato che nel corso di laurea in medicina il tempo medio dedicato alla formazione in cure palliative in generale e in particolare in cure palliative pediatriche è stato di quattro ore in sei anni. Quaranta minuti di lezione all'anno. Uno studente di medicina su quattro non ha mai avuto alcuna formazione su questi argomenti. Il modulo didattico è stato attivato solamente in due terzi delle scuole di specializzazione. Le altre non ce l'hanno. Hanno, però, destinato un numero insufficiente di ore di insegnamento e nessuna scuola ha attivato questo indirizzo biennale in cure palliative pediatriche.
  C'è stata un'indagine nel 2015 dell'Associazione culturale pediatri (ACP) e della Federazione dei medici pediatri (FIMP) che ha rilevato che più dell'80 per cento dei pediatri non conosceva o aveva solo una vaga idea della legge n. 38. Un recentissimo studio, appena comparso su una rivista internazionale, ha dimostrato che il dolore è stato rilevato all'ingresso, nell'ambito del triage, solamente in un quarto dei casi, nei pronto soccorso. Un protocollo scritto per la valutazione e il controllo del dolore era presente in meno della metà dei casi. Il trattamento del dolore è stato adeguato solamente in un terzo dei casi. In particolare – questo è abbastanza scandaloso – i farmaci più utilizzati, come il paracetamolo (tanto per intenderci, la Tachipirina) e l'ibuprofene, rispettivamente nel 78 per cento e nel 60 per cento dei casi, sono stati somministrati in un dosaggio insufficiente. Altri studi hanno dimostrato che gli oppioidi nel dolore severo sono sottoutilizzati.
  Naturalmente, vi lascio queste due paginette. Ci sono tutti i dati e anche i riferimenti bibliografici. Ho preparato un certo numero di copie, quindi potete averle tutti.
  Come sapete, in Italia i bambini bisognosi di cure palliative pediatriche sono circa trentamila. Probabilmente anche di Pag. 4più. Ve lo avranno detto altre persone che sono state ascoltate. Meno del 10 per cento – addirittura, penso io, meno del 5 per cento – hanno accesso alle cure palliative pediatriche. Ne abbiamo più di trentamila che ne hanno bisogno e meno di tremila che ne possono usufruire. Di questi, circa duemila sono bambini morenti, in fase terminale. Questi bambini presentano alcune peculiarità. Potete immaginare quello che succede in una famiglia quando il bambino è giunto alla fine della sua traiettoria di vita. Spesso i diritti del bambino non vengono rispettati, magari in buona fede, perché c'è ansia. La Fondazione ha pubblicato una Carta dei diritti del bambino morente, la Carta di Trieste, che adesso è tradotta e accettata in sei lingue: tedesco, francese, spagnolo, portoghese, inglese, ovviamente, e recentemente in arabo. La potete trovare nel riferimento bibliografico che ho lasciato.
  È una situazione intollerabile, che cozza contro i diritti e i princìpi contenuti nei principali documenti internazionali, che sono stati fatti propri dal nostro Paese, ma anche nei nostri documenti, come la nostra Costituzione e il Codice di deontologia medica.
  Inoltre, siamo fortemente inadempienti rispetto a quanto recentemente raccomandato dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS). È appena uscito un documento dell'Organizzazione mondiale della sanità – ne lascio una copia, insieme all'indicazione del sito in cui trovarlo – che si occupa delle cure palliative pediatriche e della terapia del dolore in età pediatrica. Si tratta di un documento fondamentale. L'Organizzazione mondiale della sanità ha ritenuto necessario entrare nel merito dopo alcuni anni dalla pubblicazione di un precedente documento. È una guida per i pianificatori della salute e per i manager per implementare le cure palliative pediatriche.
  A questo punto, posso rispondere alle vostre domande. Permettetemi una piccola puntualizzazione. A mio parere, uno degli elementi fondamentali di questa triste situazione è rappresentato proprio dalla mancanza di persone formate. Ovviamente, se non hai persone formate, non puoi mettere in atto il piano. Questo discorso vale sia per quelli che debbono lavorare nelle cure palliative pediatriche, nell’hospice, sia per quelli che dovrebbero insegnare agli altri a farlo. Sono pochissimi.
  La nostra Fondazione ha una scuola di formazione in cure palliative pediatriche e terapia del dolore, di cui io sono il direttore, che ha messo in atto alcuni corsi nel tentativo di colmare questa lacuna, sia corsi di base sia corsi avanzati. Inizialmente abbiamo avuto una frequenza ottima e anche un lusinghiero successo, nel senso che sono stati valutati molto bene. A un certo punto, la cosa si è esaurita. Non c'è da parte delle istituzioni, delle ASL, degli ospedali, degli assessorati una spinta affinché queste persone si possano formare. In ogni caso, vi lascerò alcuni cenni su come è fatta questa scuola di specializzazione.
  Vi ringrazio per l'ascolto.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professor Orzalesi. Ovviamente, tutto quello che ci lascerà lo metteremo a disposizione dei colleghi della Commissione.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROBERTO NOVELLI. Buongiorno, professore. La relazione che ci ha appena illustrato è una delle tante che pone l'accento su un problema serio, che lei ha riassunto in due parole: è una situazione intollerabile. Quanto ascoltato oggi da lei mi ha colpito particolarmente per alcuni aspetti. L'ha detto in modo rude, ruvido se vogliamo.
  Lei ha concluso la sua relazione dicendo che il problema è centrato sulla mancanza di formatori. Prima, se non ho compreso male, perché non sentivo molto bene, ha parlato anche di un progetto del Ministero della salute nel cui ambito erano stati formati centocinquanta formatori che, a loro volta, a cascata, avrebbero dovuto intervenire nella formazione ai vari livelli, ma il processo si è arenato, si è bloccato.
  Individuato il problema principale, è evidente che la soluzione sembrerebbe sufficientemente Pag. 5 semplice. Se lo Stato, il Governo deve centrare l'attenzione sulla formazione su un tema così importante e serio, che coinvolge migliaia di bambini e famiglie in situazioni estreme e gravissime, dovremo concentrare la nostra attenzione su questo.
  La domanda che volevo porle credo di averla già rivolta a qualche suo collega. È un problema di finanziamenti o principalmente può essere un problema di sensibilità delle direzioni regionali, degli assessorati, che mettono in secondo piano, forse per scarsa conoscenza o per insensibilità, l'attivazione della rete delle cure pediatriche palliative? Perché il Veneto e la Liguria hanno una rete di cure pediatriche palliative e le altre regioni, in alcuni casi, non hanno nemmeno un hospice? Non può essere tutto riconducibile soltanto a una mancanza di sostegno finanziario. Probabilmente, c'è una deresponsabilizzazione o una distanza intellettuale dal problema.
  Vorrei chiederle se questa è una visione nel cui ambito, in qualche modo, possiamo fare da raccordo e cercare di creare un filo d'unione per riuscire a muovere un sistema che sembrerebbe, da quello che lei ci ha raccontato, arenato.

  PAOLO SIANI. La ringrazio, professor Orzalesi. La domanda che le rivolgo è semplice, quindi può anche non prendere appunti.
  La ringrazio perché ha ribadito e ci ha ancora di più convinti, come diceva il mio collega Novelli, che questa nostra indagine è necessaria. È stato ricordato che l'80 per cento dei pediatri non conosce la legge, che solo in un quarto dei casi al triage viene misurato il dolore, che l'uso dei farmaci è insufficiente e inappropriato, soprattutto. Usiamo i farmaci, quindi, ma usiamo un dosaggio non terapeutico per il dolore.
  Ci ha ricordato che, su trentamila bambini che hanno bisogno, solo tremila vanno negli hospice e che di questi duemila sono i morenti, ma mille li dobbiamo seguire per molto tempo. La domanda la ribadisco anche io: è una questione di finanziamenti nelle regioni o anche di sensibilità dei medici? In ospedale, se vige una legge, la devo far rispettare. Se non metto nella cartella clinica le scale del dolore e non lo misuro, sono inadempiente.
  La domanda che pongo è la seguente: dobbiamo continuare, come società scientifiche, a investire sulla formazione degli operatori e dei pediatri su tutto il territorio nazionale, quindi andare anche nei piccoli e nei grandi centri a ribadire l'importanza di questo sistema, o dobbiamo fare una scelta diversa? Penso, ad esempio, alla possibilità di prevedere delle sanzioni per le regole non rispettate. Se dalla cartella clinica non si evince la scala del dolore, chi non vi avrà provveduto otterrà un DRG, per esempio, meno remunerato rispetto a chi avrà rispettato la regola.

  GIORGIO TRIZZINO. Grazie, professore. La Fondazione Lefebre ha sempre avuto quale obiettivo prioritario le cure palliative pediatriche. Che lei sappia, in età neonatale (abbiamo ascoltato molti esperti in questi giorni che ci hanno riportato i dati, quasi tutti bene o male sovrapponibili) è pensabile applicare le cure palliative? La risposta, più o meno, la conosco. So che anche dal primo giorno di vita si comincia a sentire il dolore ed è possibile fare un percorso di assistenza; forse anche prima, quando si accerta la malformazione o la patologia nell'utero materno.
  Le rivolgo questa domanda perché il percorso delle cure palliative si incardina in un sistema molto più complesso rispetto a quello che noi immaginiamo. È veramente un modello, una filosofia assistenziale che dovrebbe cambiare il senso della nostra medicina.
  Se la presidente mi consente, vorrei approfittare di questa occasione – lo dico con profonda difficoltà e stanchezza fisica – per ricordare uno di noi, un medico che è morto qualche giorno fa per compiere il proprio dovere di medico e di uomo. In questo momento, Giuseppe è sotto il fango. Non abbiamo più alcuna speranza. Non l'avevamo neanche ieri. È al freddo e si trova lì. Probabilmente sarà difficile trovarlo, viste le condizioni del territorio. Soltanto per far rilevare che ieri i mezzi di informazione nazionale, la RAI, non hanno ritenuto di dare notizie o aggiornamenti in merito alle ricerche di questo povero corpo. Pag. 6Io l'ho stigmatizzato in varie maniere. Voglio farlo anche in questa sede oggi, perché lo ritengo il luogo più idoneo.
  Se sarà possibile, più tardi cercherò di ricordare Giuseppe in Aula. Giuseppe è lì ed è un esempio, è un eroe del nostro tempo, come ha detto il Presidente del Consiglio. Di questi eroi noi abbiamo bisogno. Eroi soltanto per aver fatto il proprio dovere.

  PRESIDENTE. Do la parola al professor Orzalesi per la replica.

  MARCELLO ORZALESI, membro del Comitato tecnico-scientifico della Fondazione Maruzza Lefebre d'Ovidio Onlus. Ringrazio per questi interventi, tutti molto pertinenti.
  Parto dal primo intervento. È vero, sono stati formati dei formatori, però solo sulla terapia del dolore, non sulle cure palliative. Come è stato detto e come ha detto lei stesso, le cure palliative pediatriche sono una rete di cui il dolore è una componente. Sapete benissimo, però, che ci sono moltissime altre cose molto più complesse. Perché, poi, si è interrotto? Se qui ci trovassimo a discutere in merito alle vaccinazioni ci porremmo la stessa domanda. Perché in certe regioni si vaccina e in altre no? Perché a due chilometri di distanza, in un paese un bambino è vaccinato e nell'altro comune no? L'attuazione di tutto questo dipende dall'intervento della regione. Quindi, il fatto che ci sia una indolenza, una scarsa sensibilità, un mancato riconoscimento delle priorità, secondo me, più che un'ipotesi, è una certezza.
  Per l'adulto è stato fatto, anche perché molto tempo fa, ai tempi della legge Bindi, sono stati fatti gli hospice, che funzionano bene. Prima riguardavano solamente gli ammalati di cancro, adesso anche per malattie rare. Il bambino nell'immaginario collettivo non muore. Infatti, l'Italia ha uno dei più bassi tassi di mortalità infantile pediatrica. Se non muore, non soffre. È un aspetto completamente scotomizzato, sia a livello pubblico, di cittadini, sia a livello amministrativo e politico.
  In realtà, rispetto all'adulto che ha bisogno di cure palliative, i bambini sono molti di meno, sono meno del 10 per cento, però coinvolgono la famiglia in modo drammatico. Un bambino con queste patologie coinvolge circa trecento persone intorno a sé, per quello che riguarda l'accudimento sotto vari aspetti.
  Per quanto riguarda i costi, si tratta di un falso problema. A parte il fatto che il ministero all'inizio ha fornito alle regioni alcuni strumenti finanziari, resta un falso problema. Recenti studi nell'adulto, e uno anche nel bambino, hanno dimostrato che quando la rete è attiva e funziona bene si riducono drammaticamente i ricoveri in terapia intensiva, terapia intensiva pediatrica e terapia intensiva neonatale, che – come sapete – sono molto costosi. Con l'utilizzo appropriato della rete, dell’hospice e del pediatra di famiglia, questi ricoveri non sono necessari. Questo rappresenta un risparmio che può essere riversato per finanziare le cure palliative pediatriche.
  L'onorevole Siani propone di applicare delle sanzioni. Credo lo si possa fare. Le sanzioni, però, vanno applicate non solamente rispetto a quello che fanno i nostri colleghi negli ospedali, ma forse anche a livello regionale. Nello studio che ho citato, che è stato appena pubblicato sugli Acta Paediatrica Scandinavica, dei diciassette pronto soccorso oggetto dell'indagine, tredici erano ospedali pediatrici. Eppure non applicavano in modo corretto la terapia del dolore.
  Per quanto riguarda l'età neonatale, negli ultimi due anni c'è stato un movimento a livello internazionale, ma anche nazionale, che ha identificato nel periodo perinatale, cioè anche prima della nascita, e certamente neonatale una peculiarità per l'applicazione delle cure palliative pediatriche e della terapia del dolore. Sono stati sviluppati dei protocolli, dei pathways, dei percorsi (di cui uno recentemente presentato a cura dei colleghi di Padova) tra ginecologi, neonatologi, pediatri, palliativisti e via di seguito che mettono in luce le specificità e i bisogni di questo periodo. Nel periodo neonatale, quando un bambino nasce con una grave malformazione o una patologia molto grave, ed è destinato a una Pag. 7morte precoce, le cure palliative non vengono applicate nell’hospice, nel territorio, ma vengono applicate nella terapia intensiva neonatale, quindi in un ambiente diverso da quello in cui comunemente si cerca di accudire il bambino, che preferibilmente dovrebbe essere a domicilio.
  Certamente, quindi, devono essere applicate. C'è un movimento internazionale che raccoglie un gruppo di esperti che sta proprio sviluppando le modalità con cui devono essere effettuate, anche perché, contrariamente all'adulto, la malattia che porta a questa necessità non è il cancro. Il cancro rappresenta solo il 20 per cento delle malattie. Spesso si tratta di malattie congenite, malattie rare, malformazioni che si manifestano prima o subito dopo la nascita.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il nostro ospite, il professor Orzalesi, per essere intervenuto.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di UNIAMO-Federazione italiana malattie rare, della Federazione italiana associazioni genitori oncoematologia pediatrica (FIAGOP onlus) e dell'Associazione genitori oncologia pediatrica (AGOP onlus).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti di UNIAMO-Federazione italiana malattie rare Onlus, della Federazione italiana associazioni genitori oncoematologia pediatrica (FIAGOP onlus) e dell'Associazione genitori oncologia pediatrica (AGOP onlus). Sono presenti Guido De Barros, presidente dell'associazione Voa Voa Onlus, affiliata alla Federazione UNIAMO, e per la Federazione italiana associazioni genitori oncoematologia pediatrica Danila Biondi, membro del consiglio direttivo della Federazione, mentre i rappresentanti di AGOP hanno comunicato di non riuscire ad arrivare in tempo per l'audizione per eventi non imputabili alla loro volontà.
  Pregherei ciascuno dei nostri ospiti di contenere il proprio intervento entro sette minuti, in modo da dare ai deputati la possibilità di porre domande, cui seguiranno le repliche dei soggetti auditi, che potranno consegnare alla segreteria della Commissione un documento scritto o farlo pervenire successivamente.

  GUIDO DE BARROS, rappresentante di UNIAMO. Ringrazio la Commissione. Quest'oggi, anche se con pochissimo preavviso, sono a rappresentare UNIAMO e la categoria dei pazienti pediatrici nell'ambito delle cure palliative. Ricordo che insieme ai pazienti pediatrici esiste anche un nucleo familiare, oggetto che spesso non viene considerato. Mi riferisco ai documenti precedentemente emanati, anche in sede di Conferenza Stato-regioni, come l'accordo n. 151 del 25 luglio 2017, in cui addirittura la famiglia non è contemplata. La famiglia è un elemento importantissimo. Secondo la definizione di «cure palliative» dell'OMS per il cancro in età pediatrica, si estendono anche alla famiglia le cure palliative a livello psicologico, in tutte le forme necessarie.
  Proseguo il mio intervento sollecitando la Commissione a ragionare anche su un equivoco che, secondo me, accompagna tanti vizi normativi e formali per quanto riguarda l'assistenza delle cure palliative. Mi riferisco al fatto che, secondo la stessa definizione dell'OMS, le cure in ambito pediatrico andrebbero iniziate alla diagnosi della patologia. È un punto fondamentale, non è assolutamente di secondo piano, perché da questo dipende tutta la presa in carico che, assecondando le attuali normative o, comunque, l'interpretazione data da ogni regione riguardo alla presa in cura pediatrica, avviene durante il fine vita. Io stesso sono stato genitore di una bambina che ha vissuto otto anni e mezzo e ha concluso la sua vita con due mesi di ricovero e il restante tempo a sua disposizione a casa. È assolutamente importante – il primo punto che ho sollecitato – l'ammissione della famiglia in forma integrante alla presa in carico per le cure palliative e il fatto che alcune regioni, come il Veneto, hanno interpretato correttamente la presa in carico palliativa alla diagnosi.
  È fondamentale perché è nato da questa mal interpretazione un equivoco o comunque la non esatta e puntuale rappresentazione Pag. 8 di questo bisogno nei documenti che sono seguiti, a partire dalla legge n. 38 del 2010, le Conferenze Stato-regioni e via di seguito, laddove si sono creati alcuni vizi. Porto l'esperienza della regione Toscana, che ha individuato come responsabile clinico il medico di famiglia, per esempio.
  Il medico di famiglia nelle patologie rare – io rappresento le patologie rare – è il parafulmine di una situazione che ha un disservizio dalla non presa in carico palliativa alla diagnosi, come invece prospettata, al fine vita, perché su di lui ricadono responsabilità che non possono essere gestite, ma che devono essere prese in carico da una cabina di regia, da un responsabile o, comunque, un ente a sé preposto, che può essere l’hospice pediatrico regionale o il centro di riferimento, che deve dall'inizio, quindi dalla diagnosi di patologia life-limiting, life-threatening, comunque ad esito infausto, inguaribile, prendere in cura.
  Penso agli stessi punti scanditi dalla Conferenza Stato-regioni, come il punto n. 4. Non esiste una gestione specialistica, non esiste un'integrazione con i percorsi diagnostico-terapeutici. Io stesso, oltre a essere presidente della mia associazione e rappresentante in questa sede di UNIAMO, sono vice presidente del forum toscano delle associazioni per le malattie rare. Siamo coinvolti all'interno del coordinamento regionale per le malattie rare alla disciplina dei nuovi PDTA (percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali). Parlo per la regione Toscana. Nei nuovi PDTA non è contemplato l'aspetto delle cure palliative. Stiamo parlando di malattie rare che, affrontate dal punto di vista della pediatria, quasi sempre sono gravissime, quindi ad esito infausto.
  Ci sono, quindi, delle non applicazioni, delle interpretazioni pericolose. Di conseguenza, ne va di mezzo la qualità dell'assistenza ai bambini e alle rispettive famiglie.
  In sette minuti è difficile completare e condensare un panorama che, di per sé, è molto complesso. Mi limito a sollecitare ad una più profonda riflessione sui due punti che ho sollevato, assolutamente importantissimi; il primo è la presa in carico del centro per le cure palliative regionale, che sia un hospice o un ente a sé preposto alla diagnosi, così come definito dalla risoluzione o, comunque, dalla definizione di cure palliative pediatriche dell'OMS e come assunto nei documenti tecnici redatti dal ministero all'indomani dell'emanazione della legge n. 38 del 2010, che parzialmente sono stati disapplicati, seppur ritenuti validi e messi a disposizione del pubblico.
  L'altro punto riguarda il contemplare fattivamente la presenza della famiglia, specie in ambito pediatrico. Il familiare caregiver, oltre ad essere vessato da una grandissima sofferenza, ossia avere un figlio con la condanna a morte appesa al collo, ha anche quella di strapparsi a una vita di lavoro, a una carriera, quindi dedicarsi h24 – ne parlo con cognizione di causa – alla gestione sociosanitaria, legale, spirituale, quindi palliativa di un bambino o di una bambina che dalla diagnosi, conoscendo a monte la patologia che ha, dovrebbe essere attivata. Quindi, non dovrebbe essere un onere della famiglia, che in questo caso fa da cuscinetto, ma del sistema sociosanitario.
  Concludo invitando questa Commissione a riflettere fortemente semplicemente su questi due punti. Questo è il contributo più importante che si possa dare. Presenterò, se mi sarà concesso, non adesso, una memoria su altri punti altrettanto importanti. Per il momento, mi limito a enunciare questi due punti.
  Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie a lei.
  Do la parola a Danila Biondi, membro del consiglio direttivo della Federazione italiana associazioni genitori oncoematologia pediatrica. Anche per lei sette minuti a disposizione.

  DANILA BIONDI, membro del Consiglio direttivo della FIAGOP Onlus. Sono Danila Biondi e sono un genitore, come il signore che ha appena parlato. Faccio parte della Federazione italiana associazioni genitori oncoematologia pediatrica.
  Anche noi ci siamo posti il problema dell'approccio terapeutico alle cure palliative. Pag. 9 Insieme all'associazione italiana di ematologi e oncologi pediatri, l'AIEOP, abbiamo istituito una Commissione per conoscere lo stato dell'arte delle cure palliative. Abbiamo somministrato un questionario ai medici e uno ai genitori o comunque alle associazioni che si trovano nelle divisioni pediatriche. I dati emersi non sono buoni, purtroppo. Ho riassunto il tutto per potervi fornire alcuni numeri.
  Abbiamo espresso la volontà di delineare questo stato dell'arte. Analizzando questi questionari emergono elementi utili a comprendere a che punto siamo rispetto alle cure palliative pediatriche in Italia. Nella visione dei genitori, i fattori su cui è importante lavorare per migliorare la relazione sono l’équipe di cura, cioè lavorare in gruppo con pari dignità e linguaggio comune, la comunicazione ai genitori e la relazione, i tempi e i luoghi di cura.
  Secondo i risultati di questo questionario svolto da AIEOP e dalle associazioni dei medici, solo il 25 per cento dei centri in Italia, quindi undici su quarantaquattro, ha la presa in carico del paziente, quindi coinvolge nell’équipe anche personale formato in cure palliative pediatriche specialistiche. Il 57 per cento dei centri, invece, non prevede affatto questo coinvolgimento e il restante 18 per cento si avvale di personale non specializzato. Questi sono numeri che purtroppo allarmano molto noi genitori.
  Il palliativista, invece, dovrebbe essere presente in tutte le équipe sin dalla diagnosi e per tutte le fasi del trattamento, quindi non un medico che arriva al momento della terminalità, ma un membro che guida l’équipe nell'ottica palliativistica da subito.
  Da questi dati emerge, quindi, quanto l'interesse per le cure palliative e pediatriche vada coltivato e sviluppato per far sì che esse non riguardino solo la terminalità, appunto, ma l'intero percorso clinico.
  La cura della malattia grave e potenzialmente mortale – lo sappiamo – è un lungo percorso, che inizia dalla diagnosi, ma dai dati di questo documento AIEOP emerge che solo 27 medici su 65, quindi il 41 per cento, hanno una formazione specifica sulle cure palliative di alto livello. Inoltre, bisogna tener conto che, per quanto riguarda il personale infermieristico, 21 operatori su 96 sono formati sempre ad altri livelli. Naturalmente, ci preoccupa la percentuale dei centri che ritengono adeguata per i medici una formazione sul campo, che sono pari al 25 per cento delle strutture totali, dato anch'esso preoccupante in quanto manca una formazione specifica.
  Nella cultura del prendersi cura, quindi, è di grande importanza, oltre al benessere del paziente, il benessere dell'operatore, che non può prescindere da una preparazione alla relazione di cura. Quindi, nel lavoro di accoglienza e di assistenza che portiamo avanti abbiamo imparato l'importanza di formarsi alla relazione per superare il disagio emotivo, tipico di tutte le relazioni di aiuto che ci vengono date. Di conseguenza, la nostra esperienza di genitori e operatori è che, nella nostra formazione culturale, professionale e personale, impariamo a dar senso al dolore e alla morte e alla commozione che provocano in noi, senza però essere coinvolti o stravolti. Quindi, è importante che questa comunicazione venga fatta sin dall'inizio, come ci siamo detti diverse volte. Noi genitori che veniamo a contatto con queste malattie dobbiamo sentirci dire che esiste sempre una cura, solo la morte mette fine alla cura e il medico curerà sempre il paziente.
  Elemento da non tralasciare, inoltre, è il posto, il dove, e purtroppo sul nostro territorio non ci sono strutture in grado di accogliere il bambino nello stato terminale. Abbiamo un hospice forse soltanto a Torino e a Genova, e basta. Mio figlio è deceduto in terapia intensiva, che è l'ultimo posto dove un genitore vorrebbe far morire suo figlio. Ecco, noi siamo la dimostrazione che, invece, avviene tutt'altro, ragion per cui lottiamo proprio per questo.
  Se si è costretti a stare in ospedale, si deve fare in modo che nell'ospedale ci siano tutte le specializzazioni che possono accogliere il dolore e la malattia. C'è anche chi sceglie il domicilio, ma anche per restare a casa le famiglie dovrebbero trovare sul territorio una rete di supporto domiciliare, in sinergia con la struttura che ha avuto in cura il bambino, e mai lasciate Pag. 10sole. Purtroppo anche questo non sempre avviene. Ci preoccupa che solo nel 41 per cento dei casi l'assistenza domiciliare sia in grado di rispondere alle necessità palliative dei bambini, stabilite dalla legge n. 38 del 2010.
  L’hospice, come accennavo, e la residenza assistita hanno l'indubbio vantaggio rappresentato dal poter gestire con competenza più pazienti, ma è contestualmente indubbio che siano necessari ambienti adatti al bambino e, in conseguenza, anche alla famiglia che lo assiste. Quindi, occorre un contesto di equilibri che bilanci la necessità di ricreare un ambiente accogliente per loro, un ambiente familiare, con la necessità di ricevere le cure adeguate del caso.
  Noi genitori, quindi, chiediamo di poter scegliere con consapevolezza, insieme all'intera équipe che ha seguito il bambino, il luogo e l'approccio più consono alle esigenze di ciascun bambino o ragazzo, conciliando i bisogni delle famiglie e le necessità assistenziali.
  Viene fuori, ancora, una generale impreparazione al tema della terminalità e della morte, argomenti difficili da affrontare da molti punti di vista, un momento complesso e doloroso a cui ogni attore in questo percorso, sia paziente, familiare od operatore, ancora spesso da solo deve far fronte, consapevole di non essere in grado di gestirlo nella sua interezza.
  Da questi questionari, che poi vi consegnerò, emerge la carenza di un percorso anche psicologico e ben strutturato, che fin dall'inizio un genitore vorrebbe per la sua famiglia, che purtroppo manca all'accoglienza. Quindi, noi genitori siamo profondamente grati a tutti i medici, gli infermieri e gli psicologi che si prodigano per la cura dei nostri figli.
  La nostra federazione è stata istituita ben trent'anni fa, quindi cerchiamo e crediamo ancora di poter fare molto. Riteniamo sia un nostro dovere continuare a esprimerci e a pungolare i cambiamenti culturali e umani nell'approccio alla malattia dei piccoli pazienti oncologici, sempre nell'ottica propositiva del raggiungimento di un obiettivo comune.
  Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie a voi.
  Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  PAOLO SIANI. Grazie molte, signora Biondi. Grazie del suo impegno e della sua testimonianza.
  Lei ha compiuto un'analisi dolorosissima per me, in quanto medico, delle cose che mancano e che, ahimè, conosco bene, di cui, se posso, le chiedo scusa a nome di tutti noi operatori che siamo carenti su tanti fronti. Però, le voglio fare una domanda, a cui solo lei può dare una risposta per me soddisfacente. Non mi interessa, al riguardo, sentire esperti o professori in materia. Io pongo a lei mamma questa domanda: qual è il luogo dove lei vorrebbe che un bambino venisse assistito nella sua fase terminale, l’hospice o il domicilio?
  Io sono d'accordo con lei, la rianimazione è sicuramente l'ultimo posto dove deve morire un bambino ammalato di una malattia oncoematologica. Quindi, secondo lei, secondo la sua esperienza, secondo quello che lei vive con gli altri familiari qual è la strada giusta? Noi puntiamo molto ancorché si arrivi alla domiciliazione delle cure e, quindi, a far sì che le cure avvengano all'interno del proprio domicilio. Tuttavia, lei ci ha chiesto, come ovviamente ogni mamma continua a chiederci, di non lasciarvi soli. Pertanto, secondo lei, è la strada giusta quella della domiciliazione? E se è questa la strada giusta, che cosa chiedono i genitori che vi sia in casa perché questo sistema funzioni bene e non vi sentiate, invece, abbandonati?

  GIORGIO TRIZZINO. Desidero aggiungere una domanda. Voi genitori ritenete che i bambini e i ragazzi debbano essere ascoltati nelle loro scelte, anche individuando i luoghi, i metodi, le modalità? A volte avochiamo a noi adulti le decisioni finali, quelle più importanti, ma nella mia esperienza – ho diretto un hospice per cinque anni – ho visto ragazzi di 12-13 anni che, dissentendo dalla volontà dei propri genitori, hanno chiesto di essere trattenuti in quella struttura, perché sapevano Pag. 11 che in quel luogo il loro dolore veniva sedato, e noi li abbiamo ascoltati. Non abbiamo ascoltato i genitori.

  PRESIDENTE. Non essendovi altre domande, cedo la parola agli auditi per la replica.

  DANILA BIONDI, membro del Consiglio direttivo della FIAGOP Onlus. Indubbiamente questi bambini sono abituati a stare nelle case d'accoglienza lungo il percorso della loro malattia, quindi sicuramente non sceglierebbero di stare a casa. Ma neanch'io, come genitore, sceglierei di stare a casa. Quindi, l’hospice, come lei diceva poc'anzi, viene visto come un luogo più idoneo da un ragazzo, che però ha già un'età adeguata per compiere una scelta di questa natura. Sicuramente in un hospice un genitore si sente più protetto, anche avendo tutte le cure possibili stando al proprio domicilio. Tuttavia, gli hospice devono essere i luoghi dove poter stare fino alla fine, perché quello è un percorso che già conoscono e a cui sono abituati, considerato che vivono anni in queste case di accoglienza, dove vivono tutti insieme, dove hanno meno paure, più certezze e più assistenza. Quindi, per loro sarebbe un continuare.
  Io, quindi, sono favorevole alla creazione di hospice, ovviamente realizzati in maniera adeguata, perché rappresentano un prolungamento dell'accoglienza che ricevono. Noi associazioni abbiamo queste case dove li accogliamo da subito e per loro non ci sarebbero cambiamenti. Quindi, per me gli hospice sono i luoghi migliori dove stare, anche se «migliori» non è certamente la parola più indicata in questa situazione.

  GUIDO DE BARROS, rappresentante di UNIAMO. Nel mio caso specifico, ma condiviso anche da altre famiglie che hanno una diagnosi life-limiting di patologia neurodegenerativa, per esempio una leucodistrofia che è ad esito infausto sin dall'inizio della diagnosi, vorrei riallacciarmi a quanto affermava la dottoressa per dire, invece, che per quanto mi riguarda il luogo elettivo e migliore per il trapasso di mia figlia Sofia sarebbe stato proprio il domicilio.
  È vero che ci sono bambini affetti da patologie ad esito infausto e, quindi, che si avviano verso la morte che sviluppano capacità cognitive e, dunque, sono assolutamente in grado di intendere e di volere, ma è altrettanto vero che ci sono bambini il cui processo degenerativo causato da una patologia metabolica li rende parzialmente abili in tutti i sensi, anche a livello cognitivo, e lo spostamento anche d'urgenza, quindi l'accesso a un hospice o, ancora peggio, come poi è capitato alla fine con Sofia, a un pronto soccorso, quindi un accesso in ospedale, decreta il fallimento della presa in cura della rete palliativa, proprio come mi aveva detto in una riunione lo stesso responsabile, vale a dire che le cure palliative falliscono laddove c'è un accesso d'urgenza al pronto soccorso.
  Mia figlia è deceduta in una sala assolutamente fredda e impersonale di terapia intensiva, pur essendo all'interno di un ospedale che vanta di avere un hospice e pur avendo fatto anche un accesso, attraverso una riunione d’équipe, non più tardi di un mese prima del decesso, per la presa in carico di cure palliative.
  Io, quindi, a differenza della dottoressa, per casi specifici in cui non c'è una gradualità, ma una lenta morte fino alla fine, con l'aggravarsi di sintomi, personalmente avrei preferito restare a casa. Lo spostamento in ospedale in ambulanza è stata una delle cose più tragiche che abbia mai vissuto. Anche successivamente il decesso in un luogo assolutamente impersonale, freddo, come la stanza di terapia intensiva, è stato proprio il compimento di un fallimento dall'inizio alla fine di una presa in carico della rete di cure palliative che era formalmente avvenuta.
  Noi siamo qui per rappresentare tutte le casistiche, quindi non voglio dilungarmi sulla mia esperienza personale, purtuttavia è un'esperienza da tenere in considerazione.
  Voglio aggiungere anche un altro aspetto per dare ancora più importanza alla presa in carico psicologica anche della famiglia, sin dall'inizio. Malgrado noi genitori sapessimo Pag. 12 il destino di Sofia... I genitori non sono mai pronti; possono anche esserne convinti, ma non lo sono. Mia figlia, quindi, ha fatto un accesso al pronto soccorso in urgenza, perché pensavamo, nella nostra «ignoranza» del momento del trapasso o dei momenti finali... Qual è – invito i signori qui presenti – il momento della morte? Il momento della morte non si conosce, e non si conosce neanche se si è avuta una diagnosi che prospetta la morte stessa. Non si sa quale sarà il momento stesso. Fino all'ultimo, e senza eccedere in accanimento terapeutico, proprio perché non formati al momento topico, pensavamo di poter tornare a casa con Sofia.
  Questo non è avvenuto perché ciò che era sotto i nostri occhi, che sembrava un altro problema, l'aggravamento di un problema, ma risolvibile, non si è dimostrato tale, e corrispondeva allo stadio finale della patologia.
  In un'altra situazione, se fossimo stati formati a questo momento, ma gradualmente, per non creare poi l'effetto opposto, che è quello di non accettazione, saremmo arrivati a non portarla in ospedale, a richiedere una rete veramente efficace. Tra l'altro, una rete – almeno, io parlo sempre per la Toscana, ma comunque è condivisa da molte regioni – che si affianca o comunque si appoggia alla rete dell'adulto. Non esistono pediatri palliativisti extra moenia, ovvero pediatri in grado di agire oltre le mura dell'ospedale, che è accentratore di cure, quindi aspetta (come si dice nella medicina d'urgenza, anzi nella medicina d'attesa) che il paziente si rechi in ospedale.
  Questo è il fallimento di una presa in carico territoriale, è il fallimento di una presa in carico palliativa, che denuncia le gravi lacune dell'intero sistema; lacune soprattutto culturali, perché – ripeto – se non si prepara la famiglia, che nell'alleanza terapeutica è l'alleato più importante, in quanto sono coloro che staranno col malato per tutti i giorni, fino alla fine, non si avrà neanche la possibilità di assecondare un percorso di presa in carico, come dovrebbe essere.
  Anche in questo caso, è necessario espandere il bacino di offerta del servizio sanitario a questi bambini, che secondo alcuni sono pochi. In Toscana si parla di 64 casi di bambini eleggibili alle cure della terminalità, che non sono le cure palliative, sono le cure di fine vita. Così come ho chiesto alla Commissione di meditare sul momento dell'inizio delle cure, che deve essere la diagnosi, vorrei invitarla a riflettere anche su questo aspetto: il fatto che le cure palliative, benché convivano in una stessa legge, la n. 38 del 2010, non vanno confuse con la terapia del dolore. Sono due cose distinte. Questa non distinzione ha creato notevoli equivoci e misunderstanding, fraintendimenti alla legge stessa.
  Questi sono punti assolutamente importanti, da valutare, da prendere assolutamente in considerazione, insieme anche alla richiesta di una rete più dedicata al bambino che, sfruttando, come dicono i decreti, le reti esistenti, e richiedendo che le cure siano date al bambino nel luogo più vicino alla sua vita, quindi il luogo elettivo è la stessa residenza, fornisca questo genere di intervento.

  PRESIDENTE. Vi ringraziamo per il vostro contributo.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.25.