XVIII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Giovedì 27 settembre 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Lorefice Marialucia , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ATTUAZIONE DELLA LEGGE 15 MARZO 2010, N. 38, IN MATERIA DI ACCESSO ALLE CURE PALLIATIVE E ALLA TERAPIA DEL DOLORE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'AMBITO PEDIATRICO

Audizione di rappresentanti della Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI) e della Società italiana di cure palliative (SICP).
Lorefice Marialucia , Presidente ... 3 
Penco Italo , presidente della Società italiana di cure palliative (SICP) ... 3 
Petrini Flavia , presidente designato della Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI) ... 6 
Giannini Alberto , membro del gruppo di studio di bioetica della SIAARTI ... 6 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 10 
D'Arrando Celeste (M5S)  ... 10 
Locatelli Alessandra (LEGA)  ... 10 
Trizzino Giorgio (M5S)  ... 11 
De Filippo Vito (PD)  ... 12 
Carnevali Elena (PD)  ... 13 
Menga Rosa (M5S)  ... 14 
Siani Paolo (PD)  ... 14 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 15 
Bordin Francesca , consigliere SICP Macro-Area Centro ... 15 
Penco Italo , presidente della Società italiana di cure palliative (SICP) ... 16 
De Filippo Vito (PD)  ... 16 
Penco Italo , presidente della Società italiana di cure palliative (SICP) ... 16 
Petrini Flavia , presidente designato della Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI) ... 17 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 17 
Carnevali Elena (PD)  ... 17 
Giannini Alberto , membro del gruppo di studio di bioetica della SIAARTI ... 17 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 19

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia: Misto-NcI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARIALUCIA LOREFICE

  La seduta comincia alle 14.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati, nonché la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI) e della Società italiana di cure palliative (SICP).

  PRESIDENTE. La Commissione inizia oggi le audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione della legge 15 marzo 2010, n. 38, in materia di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore con particolare riferimento all'ambito pediatrico, deliberata il 19 settembre scorso.
  È prevista l'audizione di rappresentanti della Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva e della Società italiana di cure palliative. Sono presenti: per la Società italiana di cure palliative Italo Penco, presidente, e Francesca Bordin, consigliere Macro area Centro; per la Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva Flavia Petrini, presidente designato, e Alberto Giannini, membro del gruppo di studio di bioetica.
  Agli interventi dei soggetti auditi potranno seguire eventuali domande da parte dei deputati, quindi le repliche degli stessi auditi. Ricordo inoltre che ciascun soggetto audito può consegnare un documento scritto alla segreteria della Commissione o farlo pervenire successivamente. Tali documenti, man mano che verranno acquisiti, saranno resi disponibili ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera.
  Do la parola al presidente Società italiana di cure palliative Italo Penco.

  ITALO PENCO, presidente della Società italiana di cure palliative (SICP). Innanzitutto grazie dell'invito e per averci dato la possibilità di ribadire l'importanza delle cure palliative in Italia.
  Qualche parola di introduzione. Le cure palliative sono ormai nate ufficialmente nel nostro Paese nel 1999 con una prima legge e successivamente, com'è stato appunto menzionato, c'è stata la legge n. 38. Si tratta di una legge del 2010 che veramente ha previsto e ha inquadrato il problema nel miglior modo possibile, ma lo ha anche strutturato in maniera tale che i malati, sia adulti che pediatrici, possano avere poi un'assistenza ottimale in tutto il percorso.
  Che cosa è successo in questi anni? Innanzitutto i dati epidemiologici ci dicono cosa accadrà in futuro: ci sarà un incremento dei bisogni in termini quantitativi rispetto alla popolazione, che sta invecchiando notevolmente. In Italia, tra l'altro, i tempi di sopravvivenza sono più alti rispetto alla media degli altri Paesi europei, però c'è un dato: gli anziani, pur sopravvivendo di più, in realtà sono più fragili e sono affetti da pluripatologie, quindi diventano dei malati complessi.
  Da qui, il concetto che le cure palliative non devono essere interpretate solo come cure di fine vita, ma devono essere interpretate come cura di un malato inguaribile e complesso. Questo il cambiamento fondamentale che si sta evidenziando: la complessità. Pag. 4 Questa complessità è ben visibile non soltanto negli adulti, ma anche nei bambini e, anzi, forse soprattutto nei bambini perché qui la tecnologia ha dato un input tale per cui anche i malati non oncologici inguaribili hanno la possibilità di sopravvivere di più, quindi sono malati che hanno bisogno di ancora più attenzione.
  Quali sono i bisogni nel nostro Paese e che cosa facciamo a fronte di questi bisogni? Secondo quanto ha definito l'Organizzazione mondiale della sanità e confermato da recenti stime internazionali, nell'adulto il dato stimato è di circa 300.000-400.000 persone che ogni anno muoiono con bisogno di cure palliative durante l'ultimo periodo della vita. Si è calcolato che sono circa 560 persone ogni 100.000 adulti residenti, in una percentuale che va dal 70 all'85 per cento di tutti i morti dell'anno, quindi un numero importante. All'interno di questa percentuale il 40 per cento è affetto da patologia neoplastica, ma il 60 per cento da patologia non oncologica.
  Vi ricordo che cure palliative sono nate soprattutto per la patologia oncologica e, a oggi, l'assistenza verso i malati non oncologici è ancora molto ridotta. Sembrerebbe che circa un 15 per cento riesca ad avere un'assistenza adeguata in cure palliative attraverso le strutture o l'assistenza domiciliare.
  Su questo numero poi c'è anche un'altra distinzione che si può fare, cioè che questi pazienti non devono essere assistiti necessariamente con cure palliative specialistiche, cioè cure palliative effettuate da personale sanitario che ha una competenza specifica e specialistica in quest'ambito, ma possono essere assistiti precocemente anche da personale che conosce un po’ quello che dovrebbe essere l'approccio palliativo. Questi, comunque, sono due principi fondamentali per riuscire a dare assistenza di qualità ai malati.
  Qual è il bisogno, invece, di cure palliative nel bambino? Nel bambino le caratteristiche, come abbiamo detto, sono diverse perché i bambini hanno tempi di sopravvivenza complessi più lunghi, per cui si stima che circa 30.000 bambini all'anno hanno bisogno e necessità di cure palliative.
  Lo stato attuale qual è? Dopo la legge del 1999, che ha dato dei finanziamenti per costruire gli hospice, e successivamente con la legge 38 oggi in Italia siamo arrivati ad avere 239 hospice, con più di 2.600 posti letto, però due italiani su tre ancora non sanno di avere il diritto di poter accedere alle cure palliative e questo è un dato da sottolineare.
  Anche nell'ambito pediatrico vediamo che, in realtà, tutti i dati che rileva il ministero relativamente al numero di strutture, al numero di diritti attivi eccetera non sono così attendibili perché, con verifiche fatte direttamente a livello regionale o attraverso le società scientifiche, vediamo che in realtà i dati sono molto inferiori a quelli che sono stati evidenziati dal rapporto ministeriale.
  Vediamo un attimo dei dati per capire dove si può agire. L'Istat nel 2018 ha reso noto i seguenti dati riguardo ai luoghi di fine vita. Dove muoiono le persone e dove dovrebbero morire? Le persone muoiono nel 42,6 per cento dei casi in ospedale e solo il 5,7 in hospice e il 9,2 per cento nelle RSA. Poi, c'è il restante 2 per cento che muore per strada (attraverso incidenti o in luoghi di lavoro), mentre il 39 per cento dei decessi avviene a domicilio. Ora, se andiamo ad analizzare i deceduti con patologia oncologica nei reparti per acuti, vediamo che nel 52 per cento dei casi – secondo i dati di un rapporto del ministero del 2015 – i malati muoiono nei reparti di medicina interna e (se sbaglio, mi correggeranno eventualmente i colleghi anestesisti) il 4,7 per cento muore ancora nelle terapie intensive.
  Questo dato ci deve far pensare: gli studi dimostrano che l'1 per cento dei residenti assorbe il 20 per cento della spesa sanitaria e la quasi totalità di questo 1 per cento si trova nell'ultimo anno di vita. I costi di quest'ultimo anno di vita sono da ricondurre all'assistenza ospedaliera, il che vuol dire che le persone consumano tante risorse nell'ultimo anno di vita, morendo in ospedale; stiamo sbagliando il luogo del fine vita perché il luogo del fine vita dovrebbe Pag. 5 essere il domicilio. Questo discorso vale moltissimo per i bambini, ma anche per gli adulti perché credo che ciascuno di noi, nel momento in cui è consapevole di essere arrivato nel fine vita, voglia percorrere questo fine della vita nel proprio ambito familiare vicino ai propri cari.
  Ci sono, quindi, due problemi; c'è un problema di tipo clinico, ma anche un problema di organizzazione sanitaria e di allocazione delle risorse, visto che siamo in tempi un po’ ristretti da questo punto di vista. Allora, la domanda è: possiamo fare qualcosa? La legge n. 38 ci ha detto che possiamo fare qualcosa rispetto a questo? Sì, ce lo ha detto, anche perché era previsto l'accreditamento delle reti locali di cure palliative, ai sensi dell'intesa in sede di Conferenza Stato-regioni del 19 febbraio 2015, ma questo accreditamento ancora non c'è.
  In realtà, già dopo la legge sono stati ben descritti quelli che devono essere i requisiti minimi per l'accreditamento delle reti, quindi sappiamo bene come devono funzionare le reti. Inoltre, le reti sono anche ben strutturate perché sono descritti tutti i nodi: il domicilio, l’hospice, l'ospedale, l'ambulatorio e l'RSA. Effettivamente i nodi ci sono, ma perché questa rete non funziona? Innanzitutto perché gli assessorati dovrebbero comunque mettere a disposizione un po’ di risorse per farle funzionare e lo ritengo un investimento e non finanziamento. Si tratta di un investimento perché, se le reti funzionassero bene, gli ospedali risparmierebbero parecchi soldi e i malati ne beneficerebbero moltissimo, quindi questo è un punto importante.
  L'altro punto importante che tengo a sottolineare è che la legge n. 38 aveva stabilito di uniformare le tariffe in maniera omogenea per finanziare le cure palliative. Ancora stiamo attendendo queste tariffe e questo è un fatto importante perché, se noi vogliamo rendere omogenea l'assistenza in tutte le regioni, è opportuno che tutte le regioni abbiano le risorse necessarie per far funzionare queste reti. Ci troviamo, invece, ad avere un'assistenza in regioni del sud che è minima e che non è poi sufficiente a dare effettivamente tutte quelle garanzie a un malato che rimane a casa e che ha bisogno magari di una reperibilità anche notturna e quant'altro. Le altre regioni che hanno più fondi riescono ad andare avanti.
  Questa disomogeneità è una criticità che secondo noi deve essere assolutamente risolta, ma tutto questo deve avvenire attraverso una campagna informativa di tipo sociale. Lo dico perché i cittadini non conoscono assolutamente questa legge e non sono informati, ma devo dire che anche gli operatori sanitari non conoscono molto bene questa legge.
  Tra gli specialisti, come abbiamo visto attraverso dei sondaggi, soltanto il 15 per cento conosce approfonditamente questa legge, quindi riteniamo importante portare avanti una campagna informativa. Non è soltanto un problema italiano perché anche in un recente congresso internazionale di Paesi europei avanzati da questo punto di vista si era concordato e condiviso che bisognava portare avanti, per far conoscere le cure palliative, una campagna informativa forte, come è stata forte la campagna contro il fumo. Parlo di campagne che possono veramente sensibilizzare la popolazione.
  Anche se formiamo le reti e che l'informazione arriva anche all'operatore sanitario, c'è un problema fondamentale, che è forse il più importante di tutti: la formazione accademica in tema di cure palliative. Le persone, gli operatori, i medici, gli infermieri e gli psicologi escono dalle università senza aver mai sentito parlare di cure palliative.
  Ora, bisogna dire a onor del vero che in quest'ambito si sono da poco conclusi i lavori del tavolo tecnico sulle cure palliative e la terapia del dolore pediatriche istituito presso il Ministero della salute e si è riusciti così a spingere anche la conferenza dei presidi delle facoltà di medicina a raccomandare l'inserimento di crediti formativi obbligatori nelle università, sia nei corsi di laurea che nelle specialità.
  Questo è un primo passo, ma noi abbiamo bisogno di voi perché questo è un primo passo sulla carta e dobbiamo assolutamente spingere affinché questo avvenga. Pag. 6 Lo dico perché, altrimenti, i malati che aumentano e vengono sensibilizzati chiedono questi servizi, ma poi i medici non ci sono. Tanto è vero che abbiamo grosse carenze di medici palliativisti e questo è un altro tema sul quale dobbiamo batterci per far sì che i servizi poi possano garantire effettivamente l'assistenza. Quello della formazione è, quindi, un tema su cui dobbiamo assolutamente batterci.
  Vorrei dire poche parole soltanto e poi lascio spazio agli altri colleghi. Le cure palliative sono nate con il volontariato e tuttora il volontariato rappresenta una forte forza nazionale. Ora, però anche in quest'ambito bisogna regolarizzare la situazione e bisogna organizzarla al meglio. La legge n. 38 lo aveva previsto attraverso un decreto relativo alla formazione del volontariato, però ancora questo non è avvenuto, così come non è avvenuto l'accreditamento istituzionale delle strutture del Terzo settore per consentire anche a loro, che rappresentano un'importante importante nel territorio nazionale, di partecipare alle reti locali di cure palliative, rispettando naturalmente degli standard qualitativi che sono necessari per poter dare uniformità al sistema.

  FLAVIA PETRINI, presidente designato della Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI). Io intervengo, in realtà, dopo il quadro già ben delineato dal collega, che presiede una società multispecialistica, per farvi comprendere come la società che mi accingo a presiedere sia già molto impegnata e rappresenti degli specialisti, che sono una delle nove specialità che interagiscono sulle cure palliative.
  Purtroppo, però gli anestesisti rianimatori, proprio perché sono gli specialisti che hanno le competenze di supporto alle funzioni vitali, finiscono per essere i soli che, per tutti i pazienti che vengono ricoverati in ospedale senza trovare risposta sulle reti territoriali, forniscono una risposta, ma in fase purtroppo terminale.
  Noi interagiamo sia sull'area medica che sull'area chirurgica e, come società scientifica, rappresentiamo una popolazione piuttosto importante: intorno ai 15.000 specialisti in Italia. Siamo coinvolti anche sul territorio e negli hospice e siamo l'unica specialità che ha nel proprio curriculum formativo la possibilità di fregiarsi del titolo di terapia del dolore.
  Vogliamo intervenire e dare il nostro supporto. Già la società lo ha fatto abbondantemente – cederò poi la parola al collega Giannini – producendo documenti sull'umanizzazione delle cure perché ci rendiamo conto che ospedalizzare questi pazienti significa snaturare il concetto etico di supporto, che deve essere continuativo, fin da quando viene diagnosticata una malattia terminale, e possibilmente non sradicando le persone dal contesto familiare e dei propri affetti.
  Per questo motivo ci urta moralmente doverci impegnare in terapia intensiva, spesso soccorrendo in emergenza, quindi con manovre invasive, senza conoscere la storia della persona, per poi scoprire che si sarebbe dovuto intervenire identificando un piano di cure. Questo è ancora più atroce da tollerare psicologicamente, quando si parla dei bambini, perché è chiaro che, se fare cure palliative precoci è un dovere nei confronti di ogni cittadino, quando si parla di minori che non hanno la possibilità di scegliere il proprio percorso e di decidere sulla propria salute, allora è chiaro che noi tutti dobbiamo sentirci responsabili.
  La popolazione pediatrica non è così abbondante come quella degli anziani e dei fragili – in Italia ci stiamo avviando verso la grande anzianità – ma è una popolazione di cui, moralmente ed eticamente, dobbiamo tutti farci carico.
  Cedo la parola al dottor Giannini, che è anestesista rianimatore pediatrico e vi potrà fornire dei dati.

  ALBERTO GIANNINI, membro del gruppo di studio di bioetica della SIAARTI. Buongiorno a tutti. Utilizzo qualche diapositiva per garantire un'informazione il più possibile completa.
  La vostra Commissione nel programma d'indagine sull'attuazione della legge n. 38 del 2010 chiede una specifica valutazione dei temi riguardanti le cure palliative pediatriche e la terapia del dolore in ambito Pag. 7pediatrico nel nostro Paese. Di che cosa stiamo parlando? Per cercare di aiutare, quando parliamo di cure palliative pediatriche, parliamo innanzitutto – e uso le parole di un collega ematoncologo molto apprezzato nel nostro Paese, che è Momcilo Jankovic – di cure che non sono cure di terminalità. Questa è una cosa fondamentale.
  Spesso nell'opinione pubblica le cure palliative rappresentano la cura dell'ultimo miglio, l'ultimo pezzo di strada. Non è così in generale e non è così in modo particolare per il mondo pediatrico. Le cure palliative riguardano l'assistenza precoce all'inguaribilità. In ambito pediatrico questo spesso significa anni. Abbiamo di fronte un tempo di anni e anche il legislatore lo deve comprendere, nel pensare e nell'organizzare l'assistenza sanitaria.
  Si tratta, quindi, non di una medicina dell'ultimo miglio, ma di una medicina che guarda su tempi medio-lunghi e al tipo di pazienti che vengono presi in carico. Vengono prese in carico quattro categorie. Questi sono orientamenti condivisi in giro per il mondo e non c'è nulla di nuovo che abbiamo creato in Italia. Ci sono bambini che hanno malattie per le quali c'è un trattamento specifico, ma che può fallire. Pensate ai tumori. Ci sono bambini che hanno una malattia in cui la morte è precoce e inevitabile e si tratta di tante malattie. Ci sono bambini che hanno una malattia progressiva e per i quali i trattamenti curativi, nel senso che modificano e cambiano la traiettoria, non esistono, quindi ci sono soltanto cure palliative. Infine, ci sono bambini con malattie irreversibili, ma non progressive, che generano disabilità importante. Ci sono, ad esempio, i danni cerebrali.
  Per questa popolazione il professor Penco faceva riferimento a un numero che è estrapolato dai dati di letteratura. Noi oggi diciamo che in Italia abbiamo una popolazione di circa 30.000 soggetti in età pediatrica che sono eleggibili per cure palliative. Perché così tanti? Questo è un dato tipico del mondo occidentale per molti motivi: noi vediamo l'onda lunga delle terapie intensive neonatali e siamo diventati bravi a mantenere in vita pazienti che hanno malattie di per sé non guaribili. Noi riusciamo a mantenerli in vita, ma non riusciamo a cambiare la loro traiettoria, restituendo loro salute e integrità di vita.
  Nei Paesi occidentali, quindi, questa è la realtà in cui ci muoviamo e questi sono i numeri che dobbiamo tenere presenti. Dove siamo in Italia per quanto riguarda questo tema? Ho provato a esprimerlo così: "Houston abbiamo un problema", ma l'abbiamo veramente grande. Perché? Innanzitutto il nostro è un Paese che non ama ragionare e pensare a tutto ciò che riguarda la morte. Culturalmente abbiamo un grande gap ancora da colmare. Noi siamo arrivati alla legge sulle direttive anticipate, tanto per fare un riferimento, soltanto adesso.
  Al di là dei contenuti, dimenticate gli aspetti di carattere ideologico e guardiamo all'aspetto di carattere culturale e storico: noi arriviamo in ritardo di vent'anni rispetto ad altri Paesi, anzi venticinque anni. Parlare di queste cose non va bene, non se ne parla e, aggiungerei, anche tra i colleghi; la professoressa Petrini ha fatto riferimento al fatto che non si parla di medicina palliativa nelle nostre università e nelle nostre facoltà di medicina. Io non so quanti tra voi sono medici. Probabilmente gran parte di voi fa altri lavori, ma sappiate che nelle facoltà di medicina non si parla di morte. Per assurdo che sia, oggi la morte non è mai nominata e il tempo del morire non è presente nei nostri percorsi formativi. Nessuno ci insegna questo.
  Eppure la morte esiste: tutti vanno incontro alla morte. E, se volete un numero brutale per esprimere questo, posso dire che, nelle terapie intensive italiane, la mortalità è del 17 per cento: quasi due persone su dieci tra quelle che entrano in una rianimazione muoiono. Eppure non siamo preparati a questo e non esiste alcuna solida e seria riflessione che riguardi questo ambito.
  Quali sono i temi che, per quanto riguarda la legge, creano il problema di cui vi ho detto? In primo luogo il tema dell'educazione e dell'informazione della comunità in cui viviamo. Questo era presente nella legge, ma è stato profondamente disatteso. Pag. 8Poi, c'è il tema della formazione pre e post laurea. Adesso cercherò di dare qualche numero. L'identificazione di pazienti eleggibili per cure palliative pediatriche e la loro presa in carico è quasi assente nella maggior parte delle regioni. La mancata attuazione dell'accordo Stato-regioni del luglio 2012: noi abbiamo una buona legge perché la n. 38 del 2010 è una buona legge, ma l'accordo Stato-regioni attuativo è disatteso e anche su questo adesso cercherò di offrirvi qualche numero.
  Mancano le reti di assistenza e manca integrazione tra i soggetti di queste reti, cioè fondamentalmente ospedale-territorio-hospice. Sapete quanti hospice pediatrici ci sono in Italia? Scusate, so che in un'aula del Parlamento non si fanno queste domande. Ce ne sono quattro o cinque in Italia. Ce n'è uno progettato in più a Roma, quindi abbiamo quelli di Torino, Genova e Padova, che è quello più importante e storico, e se ne sta preparando una a Bologna. Inoltre, c'è un progetto per Roma, ce n'è uno pronto, ma non aperto, a Lagonegro e c'è un letto a Napoli. C'è una disparità territoriale terribile. C'è una disparità territoriale nell'accesso alle cure e nelle reti di assistenza, ma ci si ammala ovunque, in tutto il nostro Paese.
  Gli hospice pediatrici sono una rarità e tenete presente che, come dicevo e a maggior ragione in questo caso, la medicina palliativa non è una medicina dell'ultimo miglio. L’hospice pediatrico è un luogo dove si entra, ma anche dove si esce, e non è un luogo della fase terminale della vita. L’hospice pediatrico è un luogo dove, ad esempio, si fanno dei ricoveri cosiddetti «di sollievo». Lo dico perché la realtà della malattia cronica pesante nel bambino è una realtà che grava fondamentalmente sulle famiglie. I veri caregiver sono i familiari, che si schiantano sotto il peso della malattia e nel frequente abbandono. Gli hospice offrono anche la possibilità di un luogo di tenerezza per un tempo definito, che dà sollievo alle famiglie, quindi si tratta di una realtà molto diversa rispetto agli hospice degli adulti. I centri di terapia del dolore pediatrico sono quasi inesistenti, ma, al di là delle cure palliative, esiste il dolore anche nel bambino.
  Per far riferimento a una patologia non oncologica, pensate al dolore delle malattie reumatiche: ci sono delle situazioni estremamente importanti e mancano centri di riferimento perché non sono stati costituiti, anche se erano stati previsti dalla legge dell'accordo Stato-regioni del 2012.
  Riguardo al monitoraggio e alla disponibilità dei dati, ci sono pochissimi dati ed è più facile che all'interno delle nostre società vengano rilevati i dati, vengono messi in circolazione e vengono presentati i congressi, ma mancano delle sorgenti ufficiali il più delle volte. La ricerca è limitata e il sostegno alle famiglie è estremamente limitato.
  Per dire che cosa accade ai bambini oggi nei Paesi occidentali, pensate che – ovviamente nei Paesi non occidentali il problema è affrontato e per necessità vissuto in modo completamente diverso – attualmente l'84 per cento dei bambini è in ospedale nel tempo della morte, quindi la quasi totalità. Dove muoiono i bambini, se muoiono in ospedale? I bambini muoiono in terapia intensiva e questo trend è in costante aumento.
  Questo è il modo peggiore di morire. Io faccio il rianimatore pediatrico e sono il primario di un servizio di anestesia e rianimazione pediatrica del più grosso ospedale lombardo, ma vi posso assicurare che questo è il modo sbagliato di morire.
  Vorrei riportare ancora qualche numero che non riguarda il mondo pediatrico, ma il mondo rianimatorio italiano: la gran parte dei rianimatori italiani dice che non può contare sull'aiuto di un'unità di cure palliative. Non abbiamo consulenti di cure palliative nei nostri ospedali e la maggior parte dei rianimatori delle nostre terapie intensive dice di non aver avuto una formazione per quanto riguarda le cure palliative.
  Sembra proprio che non conosciamo la dimensione del limite. Come vi dicevo prima, la facoltà prepara guerrieri perché sembra che il medico nella nostra formazione debba essere chiamato soltanto a tirar fuori l'alabarda spaziale di Goldrake e che non ci Pag. 9sia altra cosa da fare, ma non è sempre così: il limite esiste e governa la nostra realtà, che ci piaccia o non ci piaccia.
  Tornando al tema della formazione, questo è l'unico dato che abbiamo riguardo a chi, tra i medici, fa sedazione palliativa profonda, cioè accompagna i pazienti nel tempo finale della vita con una situazione palliativa. Di questa tabella, guardate soltanto questo numero: più della metà non ha una formazione in medicina palliativa, cioè le stesse persone che si prendono cura dei pazienti in fase terminale e che fanno sedazione palliativa non hanno una formazione specifica. Questo è un bisogno enorme che abbiamo.
  Riguardo ai bambini, perché abbiamo 30.000 bambini di cui dovremmo prenderci cura? La tecnologia ci ha consentito di tenere in vita i pazienti, siamo molto bravi e abbiamo fatto deflagrare alcune realtà. Pensate che in Inghilterra dal 1999 al 2011 sono aumentati del 700 per cento – e non è un errore di stampa – i bambini che sono a casa ventilati, cioè attaccati a un ventilatore. Questa è la realtà che dobbiamo considerare.
  Noi stiamo curando sempre di più, anche in terapia intensiva, bambini con patologia cronica. Il 45 per cento – questi sono i dati della rete italiana delle terapie intensive – dei pazienti nelle terapie intensive pediatriche ha comorbilità severe. Con ciò non intendo il diabete o l'asma, ma una malattia neurologica degenerativa, una malattia genetica o sindromica. La popolazione si è modificata e, dopo le cure in una terapia intensiva in fase acuta, spesso c'è il nulla.
  Anche la terapia intensiva neonatale deve pensare alla medicina palliativa. In Inghilterra è stato, ad esempio, prodotto un testo molto bello ed equilibrato di raccomandazioni di medicina palliativa nelle terapie intensive neonatali. Vi assicuro – non so quanti di voi conoscono il mondo delle terapie intensive neonatali – che per noi è una rarità. Negli Stati Uniti circa il 60 per cento degli ospedali ha un programma di cure palliative pediatrico.
  Avere una consulenza di medicina palliativa cambia la storia. Perché? Che cosa succede nelle terapie intensive pediatriche che possono contare su una consulenza di medicina palliativa? Si riducono gli interventi invasivi, si riduce la degenza in ospedale e si riducono le morti in terapia intensiva, senza aumentare la mortalità; tenete presente questo.
  Bene, aggiungo due informazioni e poi due note di proposte, se ho a disposizione due minuti, ma anche meno. Come vi dicevo, noi abbiamo delle caratteristiche peculiari nella medicina palliativa pediatrica per la durata, che è molto protratta rispetto a quella della medicina dell'adulto e che non è una cura del fine vita semplicemente. Abbiamo una prevalenza di patologie non oncologiche: più di due terzi delle patologie pediatriche che vengono prese in carico dalla medicina palliativa non sono oncologiche e sono, invece, neurologiche, con malattie degenerative, genetiche, quadri sindromici, patologia respiratoria, cardiaca e renale. C'è un elevato carico per i familiari che diventano i veri e propri caregiver.
  La situazione italiana presenta pochissimi hospice pediatrici con un'enorme irregolarità di distribuzione: il centro-sud è quasi del tutto scoperto. Abbiamo, dal punto di vista della formazione, solo due master in cure palliative pediatriche: uno, a Padova, curato dalla dottoressa Benini, che è la figura di maggior rilievo in questo ambito nel nostro Paese, uno a Bologna.
  C'è la necessità di creare connessione e integrazione tra le tre punte del triangolo: l'ospedale, che deve avere un ruolo limitato, la rete di cura e l’hospice. Tutto questo manca e, come vi ho detto, sono stati disattesi gli accordi Stato-regioni del 2012. Mancano i centri di terapia del dolore cronico e noi dobbiamo veramente riuscire a fare cultura, a fare formazione, a dare informazione alla comunità in cui viviamo e a fare ricerca.
  Quale tipo di proposte possiamo noi, come medici e come società scientifiche, fare a voi che siete il legislatore? Dobbiamo in questo ambito mantenere una specificità pediatrica nei percorsi di cure palliative e di terapia del dolore. C'è una specificità che va riconosciuta, mantenuta e Pag. 10accresciuta. Dal punto di vista della programmazione sanitaria dobbiamo pensare all'attuazione delle normative, che, come vi ho detto, sono state disattese. La legge è ottima e l'accordo Stato-regioni è estremamente buono, ma le normative vanno attuate.
  Dobbiamo realizzare dei servizi specialistici, che abbiano valenza regionale o sovraregionale. Mettiamo da parte il campanilismo: possiamo pensare a certe strutture per territori più ampi e diversi rispetto a quelli regionali. Dobbiamo avere risorse professionali dedicate: medici, infermieri e assistenti sanitari. C'è anche una parte di tipo educativo e scolastico che andrebbe considerata come molto importante.
  Dobbiamo fare un focus e dobbiamo avere informazioni. Queste ci mancano perché in periferia non arrivano informazioni dal centro che riguardano i dati regionali, i flussi ministeriali e il monitoraggio degli indicatori. Tutto questo è quasi assente.
  Dobbiamo, quindi, integrare i servizi ospedalieri specialistici e le realtà territoriali e dobbiamo fare formazione pre e post laurea, favorendo in ogni modo la ricerca.
  Nella nota che la nostra società scientifica produrrà, io vorrei inserire la tabella che vi ho risparmiato e che racconta che cosa era stato pensato e stabilito dalle leggi e dall'accordo Stato-regioni e che cosa è stato fatto. I numeri fanno impressione e la norma della legge e l'accordo sono stati disattesi, quindi la mia preghiera, che vi ho riassunto dicendo che bisogna fare formazione, bisogna fare informazione e bisogna fare ricerca per voi che siete il legislatore, si associa anche al fatto che le leggi nel nostro Paese ci sono e spesso sono molto buone come queste, ma vanno attuate. Grazie della pazienza.

  PRESIDENTE. Grazie a voi. Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  CELESTE D'ARRANDO. Grazie, presidente. Ringrazio le persone che sono intervenute oggi perché io non sono un medico, ma sono un operatore sociosanitario e ho lavorato spesso nel volontariato, e sentire quanto l'Italia sia indietro su questi argomenti fa riflettere. Quindi io vi ringrazio per avere condiviso quello che voi conoscete.
  Rispetto al tema, la cosa che più mi ha colpito di quanto ha detto il dottor Giannini, che ringrazio perché il suo intervento è stato davvero molto stimolante, riguarda i caregiver familiari. Si tratta di una realtà che a oggi non è completamente riconosciuta e non è supportata e che sicuramente ha necessità di essere supportata. Lei diceva – poi mi corregga, se sbaglio – che esistono appunto gli hospice, che possono essere un supporto ai caregiver familiari, soprattutto quando il paziente è un bambino. Questo non è conosciuto ed è un servizio che le persone non conoscono e per il quale, però, si sentono abbandonati.
  Quello che io vi chiedo è: come possiamo noi, in quanto legislatori, anche sul territorio perché siamo anche cittadini, oltre a essere parlamentari, aiutare i caregiver familiari a conoscere questi servizi e riuscire, almeno a livello territoriale, a creare una rete di supporto?

  ALESSANDRA LOCATELLI. Grazie, dottor Giannini. Ringrazio di questo intervento perché è un cambio culturale quello che stiamo proponendo, che parte dalla legge n. 38, ma adesso, nell'approfondire questo tema, ci fa capire quanto nel passato non ci fosse la possibilità di fare rete, rete con le famiglie, con i medici, con le strutture.
  Sicuramente è un percorso difficile da strutturare e tutte le proposte che sono state fatte mi sembrano assolutamente valide, a partire dalla ricerca, senza la quale non si può fare nulla, dalla lettura dei dati, per avere una chiara lettura dei bisogni, e dall'importanza di considerare le specificità, naturalmente quella pediatrica, e, tenendo conto di questa specificità, anche in generale per i più fragili.
  Nel corso degli anni mi sono occupata molto di ospedalizzazione di persone fragili non in grado di comunicare, non in grado di dire al medico quali segnali stavano vivendo sia nel fine vita, sia nel corso di una malattia, quindi mi rendo perfettamente conto della necessità di approfondire Pag. 11 questo tema soprattutto nella cronicità e nelle malattie degenerative.
  Mi sono trovata spesso in ospedale davanti a medici che hanno dei limiti rispetto alla privacy e alla gestione del paziente, perché soprattutto nel caso di pazienti fragili si fa fatica a dar lettura dei bisogni interpretati dai familiari o dal caregiver. È una situazione molto particolare, per cui le famiglie o il caregiver che hanno in carico la persona conoscono bene quello che sta cercando di manifestare, ma spesso la lettura del medico non corrisponde.
  Bisogna quindi irrobustire la fiducia di questa rete che si va a creare con le famiglie, come diceva anche la collega, ovviamente anche con più strutture sul territorio che possano occuparsi e dare sollievo alla situazione di grave peso che hanno le famiglie nel corso di queste malattie. L'orientamento che stiamo portando avanti è fondamentale per avere una cura più dignitosa delle persone, che sia una cura a 360 gradi e non settoriale, una cura integrata e di valore per le persone che soffrono, in collaborazione con tutte le parti.
  Mi chiedo comunque se all'interno degli ospedali nel rapporto con il medico ci sia qualche aspetto da considerare e da mettere in risalto per poter avere un giusto riscontro anche per le famiglie.

  GIORGIO TRIZZINO. Per me è veramente un'emozione oggi accogliere questi amici, il presidente Penco e il dottor Giannini, che ci hanno fatto un quadro che io ben conosco sulla questione delle cure palliative.
  Lo conosco da trent'anni, so quanta difficoltà c'è stata in questo Paese per accettare il concetto che della morte si può parlare, però mi chiedo e vi chiedo come si possa vincere l'indifferenza, perché il vero male rimane legato all'indifferenza che c'è tra la gente, tra i professionisti, tra noi stessi ad accettare un confronto su questi temi.
  È facile fuggire dal tema della fine della vita, direi che è fisiologico, dobbiamo capire come se ne debba parlare ancora per riuscire a comprendere perché questo Paese non è abbastanza egoista da pensare al come morire bene.
  In fondo noi abbiamo forse la legge migliore di tutti i Paesi europei sulle cure palliative, abbiamo realizzato un vero capolavoro legislativo. In 20 anni, dal 1998-1999 con la legge Bindi, che ha istituito gli hospice, il cammino è stato lungo, e noi oggi abbiamo questi numeri. Abbiamo 239 hospice, come il presidente Penco ci ha ricordato, con 2.600 posti letto. Abbiamo delle reti domiciliari, bene o male diffuse sul territorio nazionale. Ma quello che manca è il dialogo all'interno di queste reti, quello che manca è una programmazione reale, vera all'interno dei progetti regionali.
  Fondi ne abbiamo anche avuti, se ci riflettiamo, abbiamo avuto tanti fondi per realizzare gli hospice, abbiamo oggi nelle regioni notevoli fondi per realizzare le reti domiciliari. Penso ad esempio ai progetti di Piano sanitario nazionale, che da alcuni anni possono essere utilizzati e sono vincolati allo sviluppo delle cure palliative.
  Allora la domanda è sempre questa: perché non riusciamo a realizzare un sistema di rete accreditato, funzionante, che copra veramente tutto il territorio nazionale? Perché dimentichiamo fasce di popolazione così ampie? Voi avete citato naturalmente i bambini, ma io ricordo a me e a voi che abbiamo altre fasce di popolazione che sono totalmente scoperte. Penso al futuro vero delle cure palliative che riguarda la psichiatria, i grandi problemi legati alla psichiatria.
  Ci chiediamo dove muoiono queste persone nel nostro Paese, come muoiono queste persone, dove muoiono? Nelle case di riposo, abbandonati a loro stessi. Cos'hanno di diverso queste persone rispetto agli altri? Ritorno sempre sulla domanda iniziale, come si può vincere questa indifferenza, presidente Penco?
  In questo Paese abbiamo fatto anche una grande campagna informativa, finanziata dal Ministero della salute, campagna che non ha funzionato o ha funzionato poco. È stata fatta male? Probabilmente sì, bisognava toccare corde diverse della popolazione, bisognava farla meglio. Ci mancano indubbiamente le tariffe, che sono uno stimolo perché il sistema funzioni, ma noi abbiamo anche un vincolo, che è quello Pag. 12di illustrare al Parlamento ogni anno lo stato di attuazione di questa rete, perché da tre anni il Parlamento non riceve queste notizie?
  Qui siamo responsabili noi politici, e stranamente, perché sono sempre stato dall'altra parte della barricata, oggi mi trovo in questa posizione e quindi debbo usare un altro modo di affrontare il tema.
  Ad esempio i flussi non funzionano, ce lo dice il ministero, le regioni non sanno mandare i dati che riguardano le cure palliative, ma in genere anche quelli dell'ambito territoriale domiciliare, non arrivano i dati dagli hospice. Cerchiamo quindi di individuare le vere questioni, siamo qui per questo, per aiutarci e farci aiutare da voi, per chiedere a noi cosa fare ed essere concreti.
  Ringrazio vivamente anche chi ha voluto oggi questa audizione, che ha stimolato questo dibattito, questo confronto, perché ci servirà tantissimo per sviluppare ulteriormente questi aspetti. I temi sono veramente tanti e le proposte possono essere notevoli, ma la domanda che posso porre a voi per non lasciare vuoto l'intervento è con quali medici possiamo fare questa attività, cosa possiamo fare noi nell'immediato per convincere intanto i medici a diventare palliativisti, ad occuparsi del morire, come possiamo utilizzare al meglio quelli che già operano nelle reti, come possiamo incrementarne il numero, perché altrimenti abbiamo reti vuote, non ci sono medici sufficienti. La regione Lombardia ha immaginato una soluzione, che ritengo sia la più percorribile e di cui dobbiamo riconoscere la validità, quella di stabilire una percentuale, individuata nel 30 per cento per la regione Lombardia, di medici che vengono tutorati da coloro che già operano all'interno delle reti di cure palliative.
  Non esiste infatti la specializzazione, non esiste un percorso formativo universitario, allora dobbiamo arrangiarci, un po’ come è stato per l'oncologia tantissimi anni fa, quando non esisteva la figura dell'oncologo, perché cinquant'anni fa non c'erano i reparti di oncologia, non esisteva la figura dello specialista oncologo, era il medico di medicina interna che faceva un po’ anche l'oncologo. Lentamente le reti oncologiche si sono formate e attrezzate, e noi dobbiamo avere la forza di farlo adesso per le cure palliative.
  Credo che i presupposti ci siano tutti, insieme dobbiamo ricostruire questa base, che è franata in questi trent'anni, quindi, presidente Penco, quale indicazione per far presto sulla formazione dei medici, come possiamo ovviare?

  VITO DE FILIPPO. Quando come Gruppo abbiamo proposto questa indagine conoscitiva, come vi diranno anche i colleghi che interverranno dopo di me, eravamo consapevoli che in questo caso c'è una sorta di spread rispetto a un'impostazione che mi è sembrato di capire (qui stanno anche la riflessione e la domanda) in termini di norma viene molto apprezzata ancora oggi; non solo la legge n. 38 ma, come riferiva il collega, ma anche i precedenti interventi in termini di programmazione e di obbligo di riserva finanziaria soprattutto sugli investimenti nelle strutture, negli hospice.
  Anche in quel caso i meccanismi che furono previsti (ricordo perfettamente perché in quella fase facevo un'altra esperienza a livello regionale) nella Conferenza delle regioni furono variamente attuati, ci sono state regioni che hanno considerato questa articolazione della rete dei servizi assolutamente importante e rilevante e si sono quindi predisposte a realizzarle.
  Non dimentico come nella scorsa legislatura, anche in termini di personale furono avviati interventi normativi per garantire alcuni operatori e alcuni medici che lavoravano nelle strutture che si occupavano di cure palliative; ho questa esperienza nella scorsa legislatura sul tema della mancanza di specializzazione e una norma consentì a questi medici di continuare ad operare virtuosamente e positivamente in queste strutture.
  Noi eravamo quindi consapevoli dell'esistenza di questo spread tra un'impostazione che consideriamo sicuramente adeguata, che è quella delle reti, degli hospice, del rapporto tra ospedali e territorio. Sappiamo che l'esperienza di Scaccabarozzi va proprio in questa direzione, Il tavolo tecnico Pag. 13 istituito presso il Ministero della salute ci darà – spero – dati più aggiornati; siamo consapevoli che alcuni elementi di informazione potranno essere molto utili.
  Se questa impostazione è sicuramente positiva, e l'indagine conoscitiva è collocata proprio nella direzione di sensibilizzare tutti i livelli che ascolteremo (regioni e organismi scientifici), c'è bisogno di fare interventi più perentori, se non addirittura con meccanismi sanzionatori che possiamo valutare, nei confronti di chi ha queste responsabilità?
  Vorrei dire al collega Trizzino che penso che le relazioni al Parlamento il Ministero della salute le ha trasmesse tutti gli anni e ci sono stati anni anche in cui abbiamo fatto dibattiti su quelle relazioni, ma ci siamo resi conto che anche lo strumento di una relazione di aggiornamento non ha prodotto quell'effetto plateale e decisivo che consentisse alle strutture e alle regioni di attuare un impianto normativo che voi reputate ancora oggi attuale e sicuramente adeguato.
  Noi speriamo quindi negli esiti di questa indagine conoscitiva, che ci serve non soltanto per un appagamento ricognitivo, informativo, intellettuale, ma anche per poter capire quali sono gli strumenti e le indicazioni che il Parlamento e il Governo dovranno assumere per rendere decisiva e fruttuosa questa nostra attività di ricognizione.

  ELENA CARNEVALI. Ringrazio molto di questa audizione, peraltro ringrazio del contributo di molti di voi anche quando abbiamo predisposto la legge sulle disposizioni anticipate di trattamento, dove, non con l'approfondimento di indagine che abbiamo iniziato oggi per ragioni di completezza, sono emerse molte cose che ci sono servite nell'affrontare la predisposizione di quel testo.
  Seguo la scia e andando per gradi mi prendo qualche minuto, cercando di essere sintetica, però l'occasione è troppo ghiotta per interloquire. Il primo punto sul quale avete tutti centrato l'attenzione riguarda la formazione pre laurea e post laurea, ma, se posso dire, anche la formazione di chi già è operatore. Da questo punto di vista, per la mia esperienza sia personale sia come professionista direi che abbiamo molto da lavorare (non me ne vogliano i colleghi) sui medici di medicina generale.
  Dico questo perché la legge n. 38, come sappiamo bene, ma lo ricordo, reca «Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore», ma nella maggior parte dei casi, quando ci approcciamo, si ricorda la prima parte ma non la seconda. La sedazione profonda, soprattutto nel paziente non oncologico, anche in un territorio come il mio, lombardo, purtroppo è ancora un oggetto misterioso, perché la maggior parte dei medici o qualche medico purtroppo ritiene ancora che mettere in campo una sedazione profonda sia quasi intervenire.... Lo dico con empatia e dolore, perché l'ho provato sulla mia pelle; la risposta è stata: «io non faccio uccidere nessuno».
  Credo quindi che sul bisogno culturale e formativo ci sia veramente ancora molto da fare, e qui credo che possano aiutarci anche gli ordini professionali, la formazione obbligatoria che va messa in campo e questo rapporto virtuoso, che lo dovrebbe diventare sempre di più, tra ospedale, hospice e territorio.
  Qui mi allaccio al secondo punto. Il primo è se riteniate opportuno (penso che al termine di questa indagine adotteremo una risoluzione condivisa) mettere anche un impegno in modo che la formazione pre e post laurea sia garantita anche rispetto ai contenuti di cui abbiamo parlato, quindi chiedere un impegno formale perché ciò avvenga non per una buona volontà dimostrata da alcune facoltà, ma diventi parte della nostra formazione obbligatoria.
  Il secondo è stato toccato quando si diceva dei caregiver che alla fine schiantano sul pavimento del dolore.
  Alla fine della scorsa legislatura nell'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, abbiamo previsto la possibilità di un incremento delle cure palliative domiciliari anche con forme di ospedalizzazione, quindi di cure palliative H24, con un riferimento specifico non solo alle cure domiciliari, ma alle cure palliative. Pag. 14
  Visto che la ministra ci ha appena annunciato il nuovo gruppo di lavoro sull'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, visto che ci aspettiamo davvero che si possa dare l'avvio totale all'approvazione dei livelli essenziali e all'aggiornamento, ciò può essere l'occasione per vedere se sulla parte delle cure domiciliari, visto che stiamo parlando di cure domiciliari riconoscendo la specifica pediatrica, cosa che, come il professore ricordava, non deve essere mai dimenticata, si possa introdurre questo elemento nella nostra risoluzione.
  Il terzo punto, che è stato toccato dal collega De Filippo con le cui osservazioni mi trovo d'accordo, riguarda il tema della programmazione. Avete preso parte al lavoro che si è concluso, spero che presto il ministero renda pubblico il lavoro che è stato fatto dal tavolo ministeriale, perché di alcune cose conosciamo solo i titoli e dei contenuti abbiamo visto solo la slide finale, che dice dove muoiono i malati non oncologici; i contenuti dei vari step che questo tavolo ha predisposto saranno di grande supporto per il lavoro che stiamo facendo, quindi per completare l'audizione sarà fondamentale avere questo rapporto.
  Da questo punto di vista rispetto alla programmazione, soprattutto nella specificità degli hospice pediatrici, al netto del fatto che abbiamo le regioni in piano di rientro e la necessità di un recupero di alcune inefficienze, possiamo dare un indirizzo perché venga garantita (penso soprattutto ai territori del centro e del sud, che sono praticamente scoperti da questo punto di vista) la possibilità di realizzarli, magari facendo un maggior lavoro di monitoraggio rispetto ad alcune grandi eccellenze che abbiamo? Mi riferisco a tutto il dibattito che c'è stato su quante neurochirurgie e quante cardioterapie, quindi all'esigenza di capire che c'è una parte fondamentale che ci manca.
  L'ultima cosa è se ritenete che si possano individuare, al di là delle reti, gli standard territoriali, quale sarebbe (uso un termine improprio) il livello essenziale che dobbiamo garantire perché ci sia l'attuazione piena della legge n. 38.

  ROSA MENGA. Ringrazio anche i colleghi che sono intervenuti finora, perché hanno consentito di aprire il dibattito sull'aspetto che adesso mi permetto di evidenziare. Più che altro avrei una domanda per il dottor Giannini sul tema della formazione e dell'informazione, che considero fondante per le ulteriori riflessioni su questo argomento, perché senza l'adeguata formazione offerta ai medici e agli operatori della sanità non si potrebbe consentire l'erogazione stessa del servizio nelle cure palliative. Ho colto in particolare la sua proposta di formazione specifica, di mantenimento della specificità (lei ha utilizzato questo termine) per quanto riguarda il master delle cure palliative in ambito pediatrico.
  Lei ha anche offerto una spiegazione, sottolineando come i due terzi dei pazienti pediatrici abbiano patologie non neoplastiche (credo che quindi ci sia un'inversione nelle percentuali rispetto al resto della popolazione adulta).
  Mi chiedevo però se potesse darci maggiori informazioni anche sul versante dell'assistenza e del palliativismo offerto alla popolazione adulta, perché ancora molto ci sarebbe da fare nell'implementazione di corsi di formazione post laurea, di master o (in questo chiedo anche il vostro parere) di vere scuole di specializzazione dedicate a questo aspetto. Vorrei sapere se e in che modo riteniate opportuno intervenire nell'ambito della formazione sulle cure palliative, anche rispetto alla popolazione adulta.
  Prendendo spunto dalla sua considerazione sulla necessità di una rete che abbini all'assistenza ospedaliera, all'accesso agli hospice, la possibilità concreta di un'assistenza sul territorio e a domicilio, parallelamente alla formazione offerta al sorgere di nuove figure specialistiche si può ipotizzare anche una preparazione e uno strumento adeguati di approccio a queste problematiche per i medici di medicina generale, per i medici in formazione, che io peraltro rappresento perché seguo tuttora il corso? La ringrazio.

  PAOLO SIANI. Grazie ai colleghi per questa audizione molto interessante, grazie alla Commissione che ha accettato di fare Pag. 15questa indagine, però vi devo chiedere, colleghi, uno sforzo in più, perché abbiamo l'elenco di ciò che manca, che già conosco perché fino a pochi mesi fa sono stato pediatra al Santobono, ma devo chiedere come possiamo fare per sanare questi gap, cioè quanti hospice ci servono, dove dobbiamo metterli, come e chi fa la formazione.
  Ricordo che la professoressa Benini ha fatto un lavoro straordinario per formare i pediatri e non solo in Italia, ma ciononostante (sentivo il dolore della collega Carnevali) in pronto soccorso il medico lo mette all'ultimo posto delle cose che deve fare quando arriva un bambino.
  Vi chiedo quindi uno sforzo in più, so che mi rendo antipatico perché fate un lavoro per cui non dovremmo chiedervi ulteriori sforzi, però aiutateci a dire cosa ci serve, cioè cosa questa Commissione può proporre di fare. Noi sappiamo tutto questo e dobbiamo fare un elenco al legislatore, dobbiamo fare la formazione, ma come, chi, quando, con quali soldi? Gli hospice sono soltanto quattro o cinque, quanti ne servono, dove? Vi chiedo quindi questo sforzo per aiutarci a fare qualcosa di concreto e a non l'ennesima richiesta di cose che poi nessuno fa, perché nessuno sa cosa fare.
  Non basta dire che dobbiamo fare ricerca: chi la fa, dove si fa, che facciamo? La professoressa Petrini ha toccato un tema da me molto sentito, l'umanizzazione delle cure, che è collegato a questo ma è molto carente negli ospedali, ancor più in quelli pediatrici, perché non basta tinteggiare le pareti di rosso o metterci Topolino, è tutta un'altra cosa.
  Anche su questo vi chiedo uno sforzo in più, farci avere una o due pagine, anche concordate fra le società scientifiche, di cose che noi possiamo fare, con la priorità di cosa serve prima e cosa serve dopo, altrimenti non faremo molti passi avanti, e anche se ritenete che un gruppo di lavoro come quello previsto dalla legge n. 38 e che scade quest'anno debba rimettersi al lavoro e proporre miglioramenti.
  Grazie per il tempo che ci avete dedicato.

  PRESIDENTE. Grazie. Lascio la parola agli auditi per la replica.

  FRANCESCA BORDIN, consigliere SICP Macro-Area Centro. Intanto grazie di questa opportunità. Ci sono delle risposte sicuramente molto articolate che lascerò al presidente Penco, però volevo sottolineare alcune cose che sono entrate a latere nella discussione, ma che invece considero molto importanti.
  Abbiamo parlato molto di informazione e formazione, ricordiamoci che la legge n. 38 include l'informazione fra le priorità assolute, per cui credo che sia molto importante. Per quanto riguarda le cure palliative e pediatriche in particolare, un lavoro realizzato dalla dottoressa Benini insieme all'Istituto superiore di sanità sottolineava come, prendendo un campione rappresentativo della popolazione italiana, meno del 7 per cento fosse a conoscenza di cosa sono le cure palliative, e, di questo 7 per cento, meno del 7 per cento riteneva che potessero essere adatte alla popolazione pediatrica.
  Sempre in questo lavoro è stato sottolineato come la maggior parte delle informazioni fossero pervenute alla popolazione dai mass media, in particolare dalla televisione. Sembrano quisquilie, ma questa è un'arma potentissima che abbiamo per far arrivare l'informazione alle famiglie, che sono quelle che devono sapere di poter richiedere l'assistenza e l'intervento delle cure palliative.
  La popolazione non conosce le cure palliative e non le conoscono neanche i medici; per quanto riguarda le cure palliative pediatriche il 18 per cento dei pediatri conosce le cure palliative e sa cosa siano, quindi c'è moltissimo da fare.

  Per quanto riguarda la formazione, avevo soltanto da rilevare un piccolo aspetto, che viene dall'esperienza di un'anziana – professionalmente parlando – palliativista per adulti, che è arrivata come autodidatta, perché, iniziando 25 anni fa, non c'erano percorsi stabiliti, io ero oncologa e ho dovuto fare un percorso particolare.

  È molto importante la formazione universitaria pre laurea e post laurea, ma Pag. 16credo sia molto importante anche la formazione extra universitaria, perché le cure palliative sono nate fuori dall'università, e nell'ambito dell'università ci siano poche grosse professionalità in grado di insegnare le cure palliative. Questo è molto importante, al di là del credito formativo pre laurea o del master professionalizzante, perché le professionalità che insegnano le cure palliative devono essere quelle che le hanno vissute in maniera pragmatica.
  Vorrei riportare l'attenzione anche sulla necessità di avere dei dati, perché non si può fare una programmazione sanitaria senza dati, che non abbiamo perché i flussi non funzionano. Su questo vorrei però che intervenisse il presidente Penco a spiegare meglio.

  ITALO PENCO, presidente della Società italiana di cure palliative (SICP). Colgo l'occasione anche per rispondere all'onorevole Siani che chiedeva «diteci cosa dobbiamo fare». Come società scientifiche senz'altro potremmo produrre delle proposte, però mi sento di farne subito una: istituite subito l'ufficio ministeriale, perché è decaduto e quindi siamo tutti fermi.
  Credo che questa possa essere la prima mossa da fare per dare risposte...

  VITO DE FILIPPO. Mi scusi, non si è sentito...

  ITALO PENCO, presidente della Società italiana di cure palliative (SICP). L'ufficio ministeriale per le cure palliative è decaduto, quindi in questo momento non abbiamo riferimenti, e sarebbe opportuno istituirlo nuovamente. Credo infatti che un ufficio specializzato in quest'ambito, che possa affrontare tematiche di questo tipo, un ufficio dedicato alle cure palliative in grado di prendere in mano tutte queste iniziative e portarle a termine possa essere una proposta da fare.
  Qualcuno diceva che i numeri governano il mondo ed è proprio così, se non abbiamo i numeri non possiamo programmare. Le cure palliative specialistiche sono uscite nei LEA, però usufruiscono di un sistema informativo che è quello dell'Assistenza domiciliare integrata, non abbiamo informazioni sull'assistenza domiciliare e quindi alla domanda su quanta attività facciamo in assistenza domiciliare non siamo in grado di rispondere.
  Se poi ci chiedete quanti pazienti abbiano dolore e quanti farmaci utilizziamo, non siamo in grado di dirlo, perché possiamo soltanto dire che ha fatto assistenza in cure palliative, ma con i sistemi informatici dell'assistenza domiciliare integrata (ADI), che è un'altra cosa. Queste sono cose fondamentali.
  Vorrei cogliere l'occasione anche per dire qualcosa sulla formazione del medico di medicina generale. Come società scientifica abbiamo proposto insieme alla Società Italiana di medicina generale (SIMG) un pacchetto formativo per i medici, la cui formazione non avviene all'interno dell'università, ma dipende dalle regioni, quindi ciascuna regione organizza corsi formativi per i medici di medicina generale. In quest'ambito stiamo cercando di produrre pacchetti che possano andar bene a tutte le regioni e quindi iniziare una formazione specifica, però se abbiamo il sostegno della Commissione affinché si spinga in questo senso, ben venga.
  Il medico di medicina generale rappresenta il fulcro dell'assistenza, soprattutto dell'approccio palliativo, è il medico di medicina generale che deve intercettare il malato nel momento più opportuno per indirizzarlo eventualmente nelle cure palliative specialistiche. Oggi intercettare il malato forse è la cosa più importante per dargli un'assistenza adeguata. I malati arrivano nelle cure palliative specialistiche troppo tardi e quindi il lavoro diventa sempre più impegnativo.
  È stato chiesto come si fa ad avere il tempo da dedicare... La legge n. 219 del 2017 in questo ci aiuta, perché all'articolo 1, comma 8, dice che «il tempo della comunicazione deve essere tempo di cura», ma per dare tempo agli operatori bisogna mettere le risorse per far sì che possano accompagnare il malato, e negli ospedali quanti psicologi ci sono che possano dare supporto ad un medico che può avere difficoltà nel concordare con il malato quale Pag. 17proporzione dare alle cure che lui desidera?
  Queste problematiche non si risolvono soltanto a parole, bisogna farlo anche nei fatti, quindi le risorse vanno investite, perché altrimenti si rimane fermi.

  FLAVIA PETRINI, presidente designato della Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI). Come professore universitario voglio cogliere alcuni messaggi e fare alcune considerazioni molto banali.
  Abbiamo detto che la maggior parte della popolazione viene informata dalla televisione e dai giornali, ed è vero, questa è la drammatica realtà contro la quale lottano le società scientifiche che non hanno dubbi rispetto al fatto di essere comunque di riferimento per i propri professionisti.
  C'è una popolazione di specialisti che chiedono formazione e ai quali la stiamo fornendo formazione nelle scuole di specialità (la stiamo facendo nelle nostre discipline e per tutte le discipline che compongono questa rete), ma non è sufficiente; lo stiamo facendo come professori universitari e questi frutti si coglieranno probabilmente nel tempo, perché stiamo introducendo programmi nel pre laurea – anche per tranquillizzare la giovane collega – in formazione.
  Abbiamo bisogno però di qualcosa che funzioni oggi, perché da qui a quando produrremo specialisti, medici, infermieri e psicologi più competenti, la popolazione non sarà stata curata. Allora io drammaticamente vi ricordo che, come è successo per la rete della donazione organi e trapianti dopo che uscì la legge, quando alcuni messaggi cinematografici e televisivi furono rivelatori di un concetto di vicinanza a chi ha bisogno di cure e di assistenza, ai caregiver, alla popolazione, adesso bisogna trovare il modo per far arrivare questi messaggi alla popolazione e far sentire i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta in dovere di informarsi su quali sono i punti di riferimento e dove indirizzare i propri pazienti.
  Non può essere che colpisca il messaggio della Marina Lante della Rovere che fa scoprire che l'assistenza esiste, che la terapia del dolore esiste anche in cure terminali, e non si fosse sentito il bisogno di far arrivare questo messaggio prima. Cercate quindi anche dei testimonial che possano essere utili a diffondere questo messaggio.
  Per quanto riguarda i lavori della Commissione, le nostre società sono a disposizione ovviamente anche per tutto quello che riguarda la ricerca. Il collega si riferiva alla ricerca universitaria, ma anche quella che attinge dati dall'epidemiologia e, come diceva il professore, se non abbiamo dati non possiamo trovare i correttivi. Credo che più di quanto stiamo facendo non possiamo fare.
  Le regioni devono essere messe di fronte alle loro responsabilità, non so se ci sia la possibilità di interventi sanzionatori, ma comincio a sentirne davvero il bisogno.

  PRESIDENTE. Grazie, professoressa Petrini. Lascio la parola alla collega Carnevali che desidera fare una precisazione.

  ELENA CARNEVALI. Grazie, presidente. Più che una precisazione, ho bisogno di porre una domanda di cui mi ero dimenticata. Intercettare il malato e accesso alle cure, perché una delle esigenze che verifichiamo (non so se sia solo una preoccupazione personale o la verifichiate anche voi) sono le modalità di accesso, soprattutto di malati non oncologici, alle cure palliative e alla terapia del dolore.
  Uno dei problemi sta proprio qui, nei casi in cui, come nel sistema lombardo, si prevede l'accesso tramite ADI al sistema dei «pattanti», che di norma avviene attraverso il medico di medicina generale o attraverso il pediatra, di solito il paziente oncologico ha un oncologo oppure un palliativista che lo può seguire, quando invece il paziente è cronico quasi terminale il problema è chi richiede l'accesso alle cure. In alcuni casi viene fatto direttamente dai parenti.
  Il tema quindi del come accedere, da che parte si inizia, come incrociare l'esigenza di intercettare il malato con le modalità di accesso.

  ALBERTO GIANNINI, membro del gruppo di studio di bioetica della SIAARTI.Pag. 18Avete sollevato tante domande, alcune quasi di carattere esistenziale a cui ovviamente non posso dare risposta; benché il rianimatore abbia la tendenza a credersi Dio, non possiedo queste risposte.
  Procedo a zig-zag, cominciando dall'ultima domanda dell'onorevole Carnevali, come avviene l'accesso alle cure. Questo è un problema enorme, che si pongono tanto i colleghi palliativisti pediatrici quanto chi lavora sul paziente – pediatrico nel mio caso – da un altro punto di vista.
  Il mio è l'ospedale più grande della Lombardia, può sembrare assurdo ma non sappiamo quanti sono i pazienti pediatrici eleggibili per cure palliative, non ne abbiamo idea. Perché? Perché il meccanismo della medicina come è strutturata e organizzata oggi offre delle cose di notevole qualità, ma ha delle perversioni.
  Per il paziente pediatrico che accede a un ospedale di terzo livello, dove c'è un Centro di immunologia pediatrica, il trapianto di midollo, l'oncologia pediatrica, la neuropsichiatria, si riesce a fare una diagnosi, attribuendo una corretta etichetta e dando, quando ci si riesce, un nome alla malattia, ma non si riesce ad andare oltre, una volta raggiunta la consapevolezza della non curabilità, nel senso della incapacità di modificare la traiettoria della sua storia di malattia.
  Questi pazienti si perdono, fondamentalmente si perdono, cioè tornano nelle famiglie, tornano a casa.
  Cosa ci siamo messi a fare? È insolito che lo faccia un gruppo di anestesisti e rianimatori pediatrici, ma noi ne abbiamo avvertito la necessità, per il fatto che, come vi accennavo prima, ormai in terapia intensiva un paziente su due ha una patologia cronica di rilievo, cioè ha comorbilità; noi curiamo acuto su cronico, cioè evento acuto su patologia cronica grave. Abbiamo cominciato a testare questi pazienti attraverso una o due scale che consentono di capire se quel paziente in quel tempo della sua storia di malattia abbia l'indicazione per cure palliative.
  Abbiamo cominciato a raccogliere dati, ci metteremo parecchio tempo ma stiamo analizzando la nostra popolazione. Come valutiamo alcuni dati di laboratorio quando il paziente arriva alla nostra valutazione, che sia per un intervento chirurgico, che sia nell'ambulatorio di anestesia, che sia per una procedura diagnostica in anestesia o in sedazione noi facciamo lo screening in questo modo e tra un po’ di tempo sapremo.
  Questo è un modo di lavoro che deve diventare sistematico e che deve appartenere a tutte le discipline. Perché in una medicina interna dell'adulto non si ragiona in questi termini? Questa è una cosa importante.
  Alcune risposte a zig-zag, sapendo di non poter dare risposte piene e significative a tutti. Alla domanda pratica da cosa cominciamo, cosa dobbiamo fare, quali hospice, dove metterli, come fare formazione in realtà le risposte ad alcune di queste domande c'è già. La Conferenza Stato-regioni del 2012 per quanto riguarda il bambino le ha già stabilite, sono cose disattese, cioè noi sapremmo dove metterli, quanti farne, adesso probabilmente dovremmo modificare qualcosa, ma in realtà c'è già una trama ben tessuta su cui costruire, non dobbiamo partire da zero. C'è il tema delle risorse perché tutto questo costa, c'è il tema delle competenze, se tiriamo su muri chi ci mettiamo dentro? Si torna a bomba.
  Nel percorso di formazione in medicina il fatto che non esista nessuna introduzione alla medicina palliativa per me è incomprensibile, ma non solo per me, anche per tanti colleghi che lavorano all'estero e che questo vedono e sperimentano nella normalità del loro percorso di formazione. Credo sia maturo il tempo perché esista una scuola di specializzazione in medicina palliativa, ne abbiamo assolutamente bisogno, credo che la formazione non debba essere soltanto universitaria, ad esempio in ambito pediatrico tutto ciò che riguarda la medicina palliativa pediatrica, la terapia del dolore pediatrico attualmente è fatto nel nostro Paese al di fuori dell'università.
  Viene fatta nei grandi centri, e abbiamo nominato Padova con la dottoressa Benini, il Gaslini, il dottor Manfredini, c'è Torino, c'è il gruppo di Milano e qualcosa in altri Pag. 19centri come Roma, ma sono tutti centri non universitari da riconoscere, c'è una competenza che va valorizzata e utilizzata nel modo migliore possibile.
  Sicuramente anche il medico di medicina generale come compagno di cammino che nel tempo della cura si affianca soprattutto nella capacità di fare screening, di selezionare e individuare i pazienti che hanno questo genere di bisogno, è estremamente importante. Diceva l'onorevole Trizzino come generare interesse, come poter pensare che il tema della medicina palliativa e ancora di più il tema della morte possa diventare un tema che stia sotto lo sguardo.
  Qui c'è un aspetto di carattere culturale che richiede tempi lunghi, e noi dobbiamo lavorare all'interno dell'Università perché, come vi dicevo, la morte non è nominata, nessuno è formato ad accompagnare una persona che ha una malattia incurabile, ma le malattie non sono mica tutte curabili, questo è contro ogni evidenza, contro ogni buonsenso, purtroppo come uomini e donne siamo una realtà dominata dal limite, può piacerci o non piacerci, ma è così, quindi perché non parlarne nei contesti giusti? I corsi di formazione dei medici e degli infermieri, i corsi di aggiornamento per chi è già medico o infermiere.
  Certo, dobbiamo ripensare ad alcuni aspetti, penso che la Lombardia, la mia regione, abbia più cardiochirurgie di tutta la Francia, in compenso non abbiamo l’hospice, quindi c'è qualcosa che non va e ci sono anche delle responsabilità, perché tutto questo è stato fortemente spinto da meccanismi fondamentalmente economici, perché la Lombardia non ha più cardiopatici di tutta la Francia, negli anni qualcosa non ha funzionato, eppure la medicina palliativa langue.
  Il tema molto importante dell'umanizzazione dell'ospedale è emerso in due o tre interventi, in realtà non è una parola che amo molto, però la utilizziamo in questo contesto e credo che ci capiamo. Possiamo fare molto su questo fronte, le nostre società scientifiche lo hanno fatto, penso al lavoro che è rientrato nella legge sulle direttive anticipate, a tutto il lavoro sulla fine della vita, temi che possono avere un forte impatto sul tema dell'umanizzazione.
  Penso al fatto che in quest'aula (purtroppo la chiusura della legislatura ne ha impedito l'approvazione) avete discusso un progetto di legge sulla terapia intensiva aperta, che è stato un grande lavoro; sono stato uno dei «colpevoli», nel senso che ero uno dei ghost writer di questa brevissima legge, ma nella nostra società scientifica ne abbiamo parlato a lungo.
  Siamo un Paese che deve aprire le porte delle terapie intensive non perché vogliamo essere buoni, ma per fare buona medicina, perché aprire le terapie intensive significa fare buona medicina, perché nella letteratura scientifica abbiamo la misura degli effetti benefici sui pazienti, degli effetti benefici sui familiari.
  Sono poco favorevole all'intervento del legislatore in materia sanitaria, ma in certe circostanze ci vuole, quando la comunità ha maturato degli standard deve anche poter dire alla comunità, in questo caso agli ospedali, che se non accetta questo livello, se non punta ad avere l'ospedale senza dolore, è fuori dal giro. In questo caso il legislatore, entrando in modo delicato ma mirato, ha un compito e una responsabilità.
  Sarei felice di trovarmi con voi tra non molto a discutere del progetto di legge sulla terapia intensiva aperta.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti a nome di tutta la Commissione per il loro grande contributo e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.10.