XVIII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Mercoledì 12 giugno 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Lorefice Marialucia , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI FONDI INTEGRATIVI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

Audizione di Alberto Brambilla, presidente del Centro studi e ricerche itinerari previdenziali.
Lorefice Marialucia , Presidente ... 3 
Brambilla Alberto , presidente del Centro studi e ricerche itinerari previdenziali ... 3 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 5 
D'Arrando Celeste (M5S)  ... 5 
Bond Dario (FI)  ... 6 
Novelli Roberto (FI)  ... 6 
Boldi Rossana (LEGA)  ... 6 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 6 
Brambilla Alberto , presidente del Centro studi e ricerche itinerari previdenziali ... 6 
D'Arrando Celeste (M5S)  ... 8 
Brambilla Alberto , presidente del Centro studi e ricerche itinerari previdenziali ... 8 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 8 

Audizione di Guerino Massimo Oscar Fares, professore di diritto pubblico dell'Università Roma Tre:
Lorefice Marialucia , Presidente ... 9 
Fares Guerino Massimo Oscar , professore di diritto pubblico dell'Università Roma Tre ... 9 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 11 
Bond Dario (FI)  ... 11 
Fares Guerino Massimo Oscar , professore di diritto pubblico dell'Università Roma Tre ... 11 
Bond Dario (FI)  ... 11 
Fares Guerino Massimo Oscar , professore di diritto pubblico dell'Università Roma Tre ... 11 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 11 
Bond Dario (FI)  ... 11 
De Filippo Vito (PD)  ... 12 
Fares Guerino Massimo Oscar , professore di diritto pubblico dell'Università Roma Tre ... 12 
De Filippo Vito (PD)  ... 12 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 12 
Fares Guerino Massimo Oscar , professore di diritto pubblico dell'Università Roma Tre ... 12 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 12 

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale dentisti italiani (ANDI):
Lorefice Marialucia , Presidente ... 12 
Ghirlanda Carlo , presidente nazionale dell'Associazione nazionale dentisti italiani ... 12 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 16 
D'Arrando Celeste (M5S)  ... 16 
Cecconi Andrea (Misto-MAIE)  ... 16 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 17 
Ghirlanda Carlo , presidente nazionale dell'Associazione nazionale dentisti italiani ... 17 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 17 

Audizione di rappresentanti del Fondo assistenza sanitaria dirigenti aziende commerciali (FASDAC), del Fondo sanitario lavoratori metalmeccanici (MétaSalute), di Conprofessioni e della Cassa di assistenza sanitaria integrativa per i lavoratori degli studi professionali (C.A.DI.PROF. Confprofessioni):
Lorefice Marialucia , Presidente ... 18 
Pulcinelli Fabrizio , presidente del Fondo assistenza sanitaria dirigenti aziende commerciali (FASDAC) ... 18 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 20 
Spera Michela , vicepresidente del Fondo sanitario lavoratori metalmeccanici (MètaSalute) ... 20 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 21 
Stella Gaetano , presidente di Confprofessioni e di Cadiprof ... 21 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 25 
D'Arrando Celeste (M5S)  ... 25 
Cecconi Andrea (Misto-MAIE)  ... 25 
Novelli Roberto (FI)  ... 27 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 28 
Pulcinelli Fabrizio , presidente del Fondo assistenza sanitaria dirigenti aziende commerciali (FASDAC) ... 28 
Spera Michela , vicepresidente del Fondo sanitario lavoratori metalmeccanici (MètaSalute) ... 29 
Stella Gaetano , presidente di Confprofessioni e di Cadiprof ... 30 
De Gregorio Luca , direttore generale di Cadiprof ... 31 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 31 

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA):
Lorefice Marialucia , Presidente ... 31 
Farina Maria Bianca , presidente dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici ... 32 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 33 
Farina Maria Bianca , presidente dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici ... 33 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 33 
Farina Maria Bianca , presidente dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici ... 33 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 36 
Cecconi Andrea (Misto-MAIE)  ... 36 
Farina Maria Bianca , presidente dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici ... 36 
Cecconi Andrea (Misto-MAIE)  ... 36 
Sutto Mauro (LEGA)  ... 37 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 37 
Farina Maria Bianca , presidente dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici ... 37 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 39 

ALLEGATO: Presentazione informatica illustrata da Alberto Brambilla ... 40

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Sogno Italia - 10 Volte Meglio: Misto-SI-10VM.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARIALUCIA LOREFICE

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati, nonché la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Alberto Brambilla, presidente del Centro studi e ricerche itinerari previdenziali.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale, l'audizione di Alberto Brambilla, presidente del Centro studi e ricerche itinerari previdenziali.
  Saluto il nostro ospite e lo ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione a partecipare all'audizione odierna. Pregherei il nostro ospite di contenere il proprio intervento entro i dieci minuti, per dare modo ai deputati di porre delle domande, cui seguirà la sua replica. La documentazione depositata o fatta pervenire successivamente sarà resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera e pubblicata sul sito internet della Camera dei deputati.
  Do la parola al presidente Alberto Brambilla.

  ALBERTO BRAMBILLA, presidente del Centro studi e ricerche itinerari previdenziali. Buon pomeriggio a tutti.
  Faccio una breve premessa, che è anche in sé un po’ la conclusione. Il programma dell'indagine, come si evince dalle prime righe della premessa, quindi pagina 118 del vostro documento, mette in evidenza che i fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale, come previsto dall'articolo 9 del decreto legislativo n. 502 del dicembre 1992, non devono sostituirsi al primo pilastro, quindi fornire le stesse prestazioni. Tali fondi devono, quindi, offrire solo prestazioni extra LEA (Livelli essenziali di assistenza). Il vostro testo, però, prosegue evidenziando che i fondi sanitari che non hanno i requisiti di cui al citato articolo 9 sono generalmente identificati come enti, fondi, casse, società di mutuo soccorso, aventi fini esclusivamente assistenziali, che possono erogare anche prestazioni sanitarie sostitutive dei LEA. Il vostro documento lo concludete dicendo che i cosiddetti «fondi integrativi» e le polizze assicurative non dovrebbero sostituirsi al primo pilastro, anche se poi aggiungete che si sta con il tempo rivelando come queste siano le uniche forme risolutive del problema dell'inaccessibilità delle cure. Adesso abbiamo poco tempo, quindi non riusciamo a entrare nel discorso sull'inaccessibilità delle cure.
  La prima osservazione è la seguente: i fondi sono stati istituiti, intanto, da una legge piuttosto vecchia, ossia la legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale. Questi fondi, esattamente come è successo per i fondi pensione (io ho contribuito alla stesura della legge quadro sulla previdenza complementare), si sono costituiti un po’ per conto proprio, nel senso che hanno preso il combinato disposto della legge del 1978, la n. 833 (la mutualità è libera e volontaria), hanno preso un pezzo del DPR n. 917 del 1986 per la parte fiscale, hanno Pag. 4preso un po’ del codice civile e, tutto sommato, sono nati questi fondi. Il punto è che dopo ventisei anni dall'articolo 9 del 1992 i fondi completamente integrativi del Servizio sanitario nazionale sono soltanto nove e, peraltro, associano solo 11.000 persone su un totale di 10,6 milioni di iscritti. Qui c'è già una prima considerazione da fare. Abbiamo messo da parte un grosso patrimonio. Lasciare 10,6 milioni di persone senza questo tipo di assistenza potrebbe costituire un problema.
  Rispetto alle vostre finalità – cerco di essere rapido; pensavo di avere a disposizione più di dieci minuti, ma ci conteniamo – c'è una considerazione da fare. Noi dobbiamo valutare un riordino della sanità integrativa. La sanità integrativa è l'unico soggetto che non ha assolutamente una norma quadro, non ha una vigilanza. L'anagrafe dei fondi sanitari non funziona. Quindi, noi ci troviamo ad avere oggi – vi do gli ultimi dati – più di 340 fondi, tra fondi di categoria A e di categoria B, che tuttavia sono soltanto censiti dall'anagrafe. L'anagrafe non ha fatto una vigilanza, non valuta i bilanci e – caso più unico che raro nel panorama europeo – i fondi si devono iscrivere ogni anno, mentre normalmente un fondo si iscrive e poi ogni anno si manda il tutto.
  È corretto che ci sia assolutamente una visione di insieme, quindi una possibilità di sviluppare una legge quadro anche in materia di sanità integrativa. È positiva la vostra indagine quando dice che dobbiamo rafforzare la vigilanza a tutela degli iscritti. Oggi noi abbiamo 10,6 milioni di iscritti che ritengono di essere sicuri perché i fondi sono stati attestati, non sapendo che «attestato» significa semplicemente che ho ricevuto la documentazione e registrato il tutto.
  Poco comprensibili sono, invece, i divieti che furono posti nel lontano 1978 e che vorrebbero avere questi fondi come totalmente integrativi. È un po’ riduttiva anche l'esigenza di ridurre i vantaggi fiscali.
  Avete le slide, quindi potete vedere la relazione. Sostanzialmente, noi abbiamo due punti. Primo: abbiamo una situazione demografica di altissimo invecchiamento della popolazione. Secondo: la popolazione che ha più di 65 anni oggi è il 25 per cento; nel 2045 (che è domani, perché demograficamente tutto quello che doveva accadere è già accaduto, i nati sono nati) arriveremo ad avere un terzo della popolazione. Tutto questo avrà una grossa incidenza sulla spesa sanitaria pubblica. Questo è lo scenario centrale del Ministero dell'economia, ma dovete immaginare che la spesa è destinata già intorno al 2025 a superare il 7,5 per cento del PIL (Prodotto interno lordo). Ancora di più ci sarà un problema relativo alla spesa per la non autosufficienza. Qui vedete la proiezione: 2,5 punti di PIL significa come minimo metterci 50 miliardi (vedi slide n. 7).
  In più avete un'ultima variabile, che è quella del bilancio. Questo è il bilancio che noi presentiamo alle istituzioni internazionali e di solito a febbraio alla Camera dei deputati, al Governo e alle Commissioni parlamentari (vedi slide n. 8). La slide è lunga e la si può vedere come si vuole, ma quello che importa in questo momento è che il 54 per cento di tutta la spesa o, meglio, il 57 per cento di tutte le entrate è destinato a welfare. Due anni fa abbiamo avuto un rapporto spesa sociale su Prodotto interno lordo o - chiamatela così - totale della spesa pubblica sul totale della spesa per welfare che ha superato la Svezia. Oggi siamo al 57 per cento sulle entrate e al 31 per cento sul prodotto.
  L'altro punto di snodo fondamentale che deve essere presente alla Commissione è come si finanzia questa spesa (vedi slide n. 9). Per finanziare questa spesa occorrono tutte le entrate contributive, e questo è normale, ma occorrono tutte le imposte dirette, quindi occorre l'IRPEF (imposta sul reddito delle persone fisiche) ordinaria, le addizionali territoriali, l'IRES (imposta sul reddito delle società), l'imposta sostitutiva, l'IRAP (imposta regionale sulle attività produttive). Praticamente, per finanziare la macchina pubblica restano solo a disposizione IVA (imposta sul valore aggiunto) e accise, e qualche volta occorre anche prelevare qualcosa su queste spese.
  L'altro punto fondamentale è chi finanzia tutto quanto (vedi slide n. 10). Dalle Pag. 5analisi che presentiamo al MEF (Ministero dell'economia e delle finanze) scopriamo che circa il 45 per cento dei cittadini versa soltanto il 2,82 per cento del totale dell'IRPEF, quindi c'è un forte disassamento. Cosa abbiamo visto, quindi? Popolazione che invecchia, spesa sanitaria che aumenta, spesa per assistenza ai non autosufficienti che aumenta, spesa totale sul welfare che non si può più espandere, anzi si dovrebbe comprimere, e infine una spesa sanitaria che, nonostante quello che abbiamo detto finora (che dovrebbe aumentare, perché più aumenta la popolazione anziana più aumentano queste esigenze), è compressa. Come vedete, negli ultimi anni, dal 2013, la spesa per il personale è rimasta tale, anzi è diminuita un pochettino (vedi slide n. 11). Comunque, la spesa in questi ultimi sei anni non è neanche stata al passo dell'inflazione.
  Questa scheda vi dice a livello nazionale a quanto ammonta la spesa pro capite per l'assistenza sanitaria (vedi slide n. 12). Parliamo di 1.867 euro a testa. Vedete, però, un grosso scompenso tra le regioni. Le regioni che esportano di più nei periodi di necessità sono quelle che hanno anche un costo più alto.
  Le ultime due slide (vedi slide nn. 13 e 14) – dopodiché lascerò spazio a voi per le domande – sono relative alla spesa sanitaria, pubblica e privata, regionalizzata. Se voi trascurate le province autonome di Trento e Bolzano e la Valle d'Aosta, vedete che la sanità integrativa opera prevalentemente nelle regioni del nord e meno nelle regioni del sud. Vediamo a quanto ammonta tutta questa spesa. Andate soltanto a vedere la terza riga, la spesa per sanità out of pocket, cioè quella pagata direttamente dalle famiglie. Oggi – dati di consuntivo 2018 – parliamo di circa 40 miliardi.
  La spesa intermediata dai fondi sanitari è di circa 4 miliardi. Quindi, abbiamo poco meno del 10 per cento. Il problema qual è? Tutto ciò che è intermediato da fondi di assistenza sanitaria produce al sistema pubblico dei vantaggi, perché genera più occupazione delle macchine, maggiori ammortamenti eccetera, ma genera anche un forte vantaggio per le famiglie. Pensiamo a una visita medica specialistica in uno dei centri di eccellenza della cardiochirurgia di Milano o dell'Istituto tumori di Milano. Una visita specialistica a un privato costa mediamente 250 euro, e non sempre riceve dagli specialisti, se non in clinica, una regolare ricevuta. Una visita dello stesso primario intermediata da un fondo sanitario costa meno del 50 per cento, intorno al 40 per cento, ed è tutto dichiarato.
  Qui vi ho lasciato una slide che rappresenta un'elaborazione che abbiamo fatto con l'OCSE sul rapporto tra la spesa sanitaria intermediata e la spesa complessiva (vedi slide n. 16), come vedete nella targhetta più chiara, e la spesa out of pocket sulla spesa complessiva (quella riga più scura). Noi ci dovremmo attestare su Paesi come l'Austria, il Belgio, la Danimarca, la Francia, la stessa Germania e non su altri Paesi. Questo è il quadro.
  Infine, come abbiamo già fatto prima, parliamo del totale degli iscritti. Non so se avete avuto un'audizione con il Ministero della salute, che si occupa dell'attestazione dei fondi. Siamo quasi a 12,9 milioni di iscritti. Parliamo di un patrimonio piuttosto consistente e di una iscrizione a quelli che dovevano essere – con la riforma Bindi – i fondi portanti del sistema che, di fatto, associa poco meno di 11.000 persone con una spesa modesta. Rispetto ai 2-3 miliardi di spesa di sistema, è veramente molto poco.
  Io finirei qui, così se ci sono domande me le potete rivolgere.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  CELESTE D'ARRANDO. Inerente a questo discorso, nel cd. decreto Crescita – non so se ha avuto modo di leggerlo – all'articolo 14 c'è una norma che parla di fondi sanitari integrativi, nello specifico di quelli di contrattazione collettiva, e che prevede una sorta di ritorno alla situazione preesistente alla riforma del Terzo settore. Vorrei sapere da lei se quel tipo di norma è in linea con le esigenze dei fondi sanitari Pag. 6integrativi, soprattutto di contrattazione collettiva, o meno.
  Inoltre, le chiedo un chiarimento in merito a un'altra questione, perché non so se ho capito bene. Rispetto ai fondi sanitari integrativi, che hanno la funzione specifica di essere integrativi, quindi di integrare laddove il Servizio sanitario nazionale non riesce a coprire, per le motivazioni che comunque sappiamo, ho capito bene che lei tenderebbe o, comunque, ha l'idea di farli diventare sostitutivi, proprio per la stessa motivazione di aumento della spesa sanitaria, quindi di un certo collasso del sistema sanitario stesso? Vorrei solo chiedere questa specifica, perché non ho capito bene.

  DARIO BOND. Faccio una considerazione sulle regioni «commissariate» o, comunque, dove la sanità non funziona tanto bene. I fondi sanitari integrativi, secondo lei, possono essere – per le famiglie, chiaramente, ma anche per il Sistema sanitario nazionale e per il sistema regionale – un valido aiuto laddove, fondamentalmente, la sanità non funziona o funziona proprio male? Questa è la prima domanda.
  Passo alla seconda domanda. Nelle regioni in cui c'è attrazione (penso al Veneto, alla Lombardia e anche alla stessa Emilia-Romagna), dove c'è un buon rapporto tra sanità privata e sanità pubblica, il sistema dei fondi sanitari integrativi è utile per le famiglie? Giustamente, lei faceva osservazioni sui fondi sanitari integrativi. C'è una migliore accessibilità a un servizio di gamma alta spendendo meno, c'è un servizio migliore per le famiglie o c'è anche un'integrazione migliore con il sistema dei servizi pubblici e privati? In qualche maniera, quel fondo aiuta a stimolare di più la crescita sia nel pubblico che nel privato?
  Queste sono le due domande che volevo rivolgerle.

  ROBERTO NOVELLI. Anche io vorrei rivolgere un paio di domande.
  Il dottor Brambilla ci ha ricordato che ci sono circa 340 fondi – parliamo di una massa veramente importante di fondi che si dedicano alla salute dei cittadini – e che c'è bisogno di un riordino di questa sanità integrativa. Mi pare di aver capito, però, che la sanità integrativa, nella sua necessità di essere reintegrata, comporterà grosse difficoltà, perché si mette mano su un sistema anche normativo, legislativo che un po’ si è sedimentato, si è accavallato ed è stato anche molto frammentato nel corso di questi anni.
  Fatta questa considerazione, lei prima ha ricordato che ci sono solo nove fondi completamente integrativi, se non ho capito male. Vorrei che chiarisse un punto a me e, magari, anche a qualche commissario che, come me, forse non ha ancora completamente messo a fuoco alcune differenze sostanziali. Nove fondi completamente integrativi su 340: secondo lei, andrebbe potenziato questo numero, che è molto esiguo rispetto alla massa dei 340 fondi? In caso di risposta affermativa, quali sono i motivi?

  ROSSANA BOLDI. Mi riallaccio un po’ a quanto diceva l'onorevole Novelli.
  Mi pare che lei abbia parlato della necessità di un riordino, quindi di una rivisitazione globale della legge che presiede all'attività di questi fondi. Questo, naturalmente, dovrebbe comportare anche una revisione globale dei vantaggi che vengono fiscalmente attribuiti a questi fondi a seconda delle caratteristiche che hanno. Intendeva una revisione totale anche di questo?

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Brambilla per la replica.

  ALBERTO BRAMBILLA, presidente del Centro studi e ricerche itinerari previdenziali. Parto dall'ultima e dalla penultima domanda. Sia a livello di fondi contrattuali che a livello dei cosiddetti «fondi preesistenti», per esempio FASI (Fondo assistenza sanitaria integrativa), FASDAC (Fondo di assistenza sanitaria per i dirigenti di aziende commerciali), CASAGIT (Cassa autonoma di assistenza integrativa dei giornalisti italiani), che sono i vecchi fondi, oppure Fondo Est, MètaSalute, FASCHIM (Fondo nazionale di assistenza sanitaria Pag. 7 per i lavoratori dell'industria chimica), che sono i fondi di natura contrattuale, quelli un po’ più grossi, se prendiamo i primi trenta di questi fondi praticamente abbiamo fatto il 90 per cento di tutto il sistema. La maggior parte di questi fondi sono fatti soltanto per avere qualche vantaggio fiscale che, diversamente, non potrebbe essere acquisito.
  La prima necessità, quindi, è anzitutto una forma di vigilanza assolutamente efficace. Nei fatti, un fondo quest'anno si può iscrivere; l'anno dopo ha un bilancio bruttissimo, non manda nulla, non è iscritto, ma comunque nella percezione è sempre un fondo che ha il bollino; l'anno dopo, che ha fatto il bilancio buono o che sta un po’ più in piedi, lo rimanda e si iscrive. La prima cosa è che il sistema proprio non funziona, quindi non abbiamo una vigilanza. Questo avveniva anche quando sono stato chiamato da Dini nel 1994 per fare la riforma del sistema previdenziale pubblico, alla quale poi abbiamo attaccato la previdenza complementare. Anche in quel caso, non c'era una legge. Avevano preso spezzoni di leggi, da una parte e dall'altra, e avevano costituito questi fondi, salvo poi il fallimento di qualche fondo, lasciando così le persone senza il posto di lavoro e senza neanche la pensione complementare.
  La prima cosa da fare, quindi, è realizzare una legge quadro, il che – rispondo alla sua domanda – è abbastanza semplice. Basta prendere, per esempio, l'attuale normativa, la legge quadro sulla previdenza complementare, tenere tutti i punti cardine relativi alle fonti istitutive, alle norme di costituzione, alla istituzione di questi fondi, ai requisiti di onorabilità e professionalità che debbono avere gli amministratori, i requisiti patrimoniali, le regole di bilancio, i regolamenti. Certo, all'ultimo punto, uno fa pensioni, e gliele darà dopo un po’; questo fa assistenza sanitaria, e deve pagare di anno in anno. Per esempio, non sussiste l'obbligo di avere almeno un patrimonio di vigilanza. Un fondo, se ci fosse un anno di particolare malattia, di particolare incidenza della rischiosità, potrebbe rimanere anche senza nulla. Che cosa fanno, normalmente? Prendono il nomenclatore, che è quell'aggeggio che dice per ogni prestazione che cosa ti do, cosa ti passo, cosa è compreso nel fondo sanitario e cosa no. Si modifica il nomenclatore in modo tale che i conti tornino. A volte non sempre tornano. Ci sono alcuni fondi che hanno qualche problema di bilancio. È evidente che in questa norma, oltre alla vigilanza, oltre a tutta la parte giuslavoristica e normativa, va messo anche questo patrimonio di vigilanza.
  Fiscalità. La nostra disciplina fiscale in un Paese normale sarebbe forse anticostituzionale. Se io sono un lavoratore dipendente e riesco a partecipare a uno dei fondi contrattuali che hanno lo stesso beneficio fiscale che hanno i nove fondi famosi, che sono totalmente integrativi del servizio sanitario, ma operano in modo molto limitato, hanno pochissime prestazioni, ho uno sconto fiscale di 3.600 e rotti euro l'anno, quindi ho un beneficio fiscale e una deducibilità piena. Se io, viceversa, sono un autonomo, un professionista, una persona che non fa il metalmeccanico o il chimico, quindi non entro nei fondi dei metalmeccanici o dei chimici, ho la detraibilità al 19 per cento sui vecchi 2,5 milioni, quindi su circa 1.200 euro.
  Nelle conclusioni che voi trovate nel testo che vi ho lasciato, la norma è importante perché io non posso dare la deducibilità fiscale a tutte queste forme che sono, a volte, come delle foglie di fico per cercare di mettere in piedi un castello per poter avere i benefici fiscali. La do solo a chi ha determinati requisiti, una dimensione tale da garantire una funzionalità, un patrimonio di vigilanza e una redazione di bilanci conforme almeno alla normativa europea. Negli altri Paesi esiste questo tipo di situazione. Allora ha un senso.
  L'obiettivo principale nel nostro Paese si sta tentando di raggiungerlo da dieci anni. Anche sui fondi pensione sono andati avanti vent'anni prima di ottenere la prima norma sui fondi di previdenza complementare. La prima cosa da fare è avere una legge quadro che dica chi può fare una cosa e chi non la può fare, chi ha diritto al beneficio fiscale e chi no, come controllare i nomenclatori e come controllare le prestazioni. Pag. 8Nei fondi – che non sono quei nove – c'è una quota del 20 per cento riservata (ed è l'unica cosa che si controlla) alle attività di riabilitazione, di assistenza eccetera, che sono veramente complementari al Sistema sanitario nazionale.
  L'altra domanda è se ci sono vantaggi tra un settore e l'altro, cioè se ci possono essere delle sinergie positive. Dove funziona bene la sanità integrativa (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna) la sanità pubblica funziona bene. Addirittura, in alcuni ospedali del Veneto e in alcuni ospedali della Lombardia ci sono corsie preferenziali, che peraltro aiutano anche i dipendenti a non perdere ore di lavoro. Tutti gli iscritti ai fondi sanitari, per esempio nell'ospedale di Padova, ma anche in un ospedale di Milano, possono andare alle 18 di sera. Le macchine vengono utilizzate e pagate dal fondo sanitario anche nei periodi in cui rimarrebbero spente. Una PET (positron emission tomography), una TAC (tomografia assiale computerizzata), queste «diavolerie» nuove che, però, sono molto utili, vanno dai 3 milioni di euro in su. In un'azienda normale, quindi, verrebbero ammortizzate almeno su due turni di lavoro, per poter poi essere cambiate quando la tecnologia avanza.
  Ove il fondo pensione è molto operativo, il sistema ne trae vantaggio. Lo stesso ospedale pubblico ne trae vantaggio, perché ha entrate e benefici. Non dimentichiamoci che molti ospedali – ad esempio, Monzino e IEO (Istituto europeo di oncologia) – vivono dei solventi. I solventi sono prevalentemente questi, anche se la visita costa molto meno, perché sono tutte schedulate.
  Potrebbe essere così gentile da rifarmi la sua domanda? È stata la prima e non me la ricordo.

  CELESTE D'ARRANDO. Nessun problema.
  Rispetto all'articolo 14 del cd. decreto Crescita, le ho chiesto se secondo lei – in parte è anche la domanda che le ha posto il collega Novelli – è necessario incrementare i fondi integrativi e, ricollegandomi alla domanda posta dal collega, in caso positivo, per quale motivo.

  ALBERTO BRAMBILLA, presidente del Centro studi e ricerche itinerari previdenziali. Vi do soltanto un parere puramente di osservatore di quello che è successo, di uno che ha normalmente contatti con tutti i fondi di natura contrattuale. Parliamo di questi primi quaranta che contano. Le altre sono polizze camuffate.
  Oggettivamente, il fondo sanitario, che si chiama fondo di assistenza sanitaria integrativa, che da un lato integra con il 20 per cento delle prestazioni che sono riservate e dall'altro, in un certo senso, fa le stesse cose, ma in tempi diversi e con modalità diverse, è molto utile al sistema. Il fondo interamente complementare non lo sentiamo. Sono 11.000 persone disperse su 60 milioni di abitanti. Di là girano più di 4 miliardi dal punto di vista della spesa intermediata e addirittura 38 circa dal punto di vista dell’out of pocket. Qui sono poche decine di milioni. Per cui, direi che non possiamo neanche dare un giudizio. Non vanno. Sì, fanno qualche cosa, ma non tanto di più.
  Per quanto riguarda la parte contrattuale, io sono favorevole. Io mi occupo, qui a Palazzo Chigi, del nucleo tecnico della programmazione economica, quindi spingo – se possibile – a nuove forme contrattuali. Più contratti abbiamo, più il sistema funziona e più abbiamo anche persone che cominciano a razionalizzare sul fatto che il Sistema sanitario, e l'avete visto anche voi, è difficile che con la situazione di bilancio che ben conoscete possa, tra tre o quattro anni, passare a 120 miliardi di spesa. È più probabile che rimanga inchiodato ai 113. Il grosso dell'aiuto, quindi, con una popolazione che invecchia arriva proprio da quello.
  Parliamo di fondi, quindi, che però devono funzionare, devono avere una legge quadro precisa, regole fiscali precise e una vigilanza precisa. Così voi riuscite, con la vostra indagine, a razionalizzare un sistema che negli altri Paesi OCSE hanno razionalizzato e che noi stiamo ancora aspettando.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Brambilla per il suo contributo, autorizzando la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della presentazione Pag. 9 informatica da lui illustrata (vedi allegato) e dichiaro conclusa questa audizione.

Audizione di Guerino Massimo Oscar Fares, professore di diritto pubblico dell'Università Roma Tre

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale, l'audizione di Guerino Massimo Oscar Fares, professore di diritto pubblico dell'Università Roma Tre.
  Pregherei il nostro ospite di contenere il proprio intervento entro i dieci minuti per dare modo ai deputati di porre delle domande, a cui seguirà la sua replica. La documentazione depositata o fatta pervenire successivamente sarà resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera e pubblicata sul sito internet della Camera dei deputati.
  Do la parola al professor Fares per lo svolgimento della sua relazione.

  GUERINO MASSIMO OSCAR FARES, professore di diritto pubblico dell'Università Roma Tre. Grazie a tutti per avermi invitato a questa audizione. Come è stato detto nell'introduzione, sono un docente di diritto, di materie giuridiche, quindi apporterò il mio piccolo contributo al tema nella mia prospettiva disciplinare specifica.
  Considerata la ristrettezza dei tempi assegnatimi dalla presidente, limiterei il mio intervento - dando anche per scontata la conoscenza da parte vostra di molti temi coinvolti nella discussione - alle proposte di riforma e ai nodi critici che il sistema dei fondi sanitari presenta.
  Nella scaletta che trovate ho riassunto quelli che, a mio avviso, sono i punti qualificanti dell'indagine, partendo – lo ricordo en passant – dal tema dei caratteri, quindi della disciplina normativa dedicata nel nostro ordinamento, attraverso una normazione disomogenea e, comunque, stratificatasi nel tempo, attraverso atti plurilivello (normazione primaria, decreti legislativi e, successivamente, decreti ministeriali e regolamenti). Si tratta di una materia che necessita, a mio avviso, già dal punto di vista delle fonti, di un riordino e di un eventuale accorpamento e razionalizzazione, per le parti che lo consentono, in un unico o in pochi testi normativi possibilmente di carattere omogeneo e aggiornati alle evoluzioni successive rispetto agli atti che abbiamo visto succedersi nel tempo.
  I caratteri relativi alla disciplina sono noti. Penso all'evoluzione storico-normativa della materia, che parte dal decreto legislativo n. 502 del 1992, dall'articolo 9, che tuttora è il perno della disciplina. Nell'illustrazione delle finalità dell'indagine è specificato. Se si vuole ipotizzare una riforma, occorre partire dall'articolo 9 e, a cascata, eventualmente procedere con atti esecutivi, decreti e regolamenti. Il perno della disciplina è tuttora l'articolo 9, sia pure modificato nel tempo, quindi è da quello che bisogna prendere le mosse.
  Naturalmente, la disciplina si è evoluta secondo criteri nominalistici, ma anche sostanzialistici. Fondamentalmente, la novità principale è stata la duplicazione della tipologia di fondi (fondi doc e fondi non doc) nel tempo e poi l'unificazione dal punto di vista del regime fiscale, del regime delle agevolazioni, che credo rappresenti uno dei problemi fondamentali ai fini della tenuta, della sostenibilità del sistema.
  In relazione alla distinzione dei fondi, ho sviluppato un ulteriore aspetto relativo alla mission dei fondi, a quella che, a mio avviso, dovrebbe essere la finalità istituzionale, il DNA dei fondi stessi, quindi la loro – l'espressione non è bellissima – cosiddetta «ancillarità», il carattere ancillare, cioè strumentale, complementare. Innanzitutto supererei il concetto di «fondo integrativo». A me piace più la parola «complementare», perché dà l'idea di un qualcosa che si aggiunge, uno strumento rafforzativo, di potenziamento delle finalità precipue e prioritarie del Servizio sanitario nazionale.
  Ogni discorso riguardo il passato, il presente e il futuro di questa materia non può che partire da un presupposto di fondo, cioè dalla conquista del nostro Servizio sanitario nazionale in termini di universalità, equità di accesso, solidarietà, copertura Pag. 10 universale tendenzialmente gratuita, fondamento sui LEA. Il caposaldo del sistema è rappresentato dalla centralità del sistema del Servizio sanitario nazionale, articolato territorialmente come sappiamo, attraverso diversi livelli di servizi su base regionale.
  Sulla base di questa premessa, occorre costruire attorno. Mi riferisco a quello che molti chiamano, con un'espressione discutibile, secondo sistema (c'è, non c'è). Teniamo conto che questa materia – come sappiamo – presenta una serie di problematiche di varia estrazione, anche disciplinare, giuridica, economica, finanziaria. Nel solo ambito giuridico occorre consultare – come ho visto che state facendo voi – tributaristi, pubblicisti, privatisti, quindi una task force, una complessità di profili da integrare tra loro, tenendo conto di come il sistema si è evoluto.
  Naturalmente i capisaldi non si toccano, ma ci sono specificità, elementi peculiari che giustificano la permanenza, a mio avviso, di questo secondo pilastro (o comunque lo si voglia chiamare) e la necessità di una correlata riforma. Innanzitutto mi riferisco al bisogno di risorse aggiuntive, collegato anche alla necessità di destinarle alle nuove scoperte tecnologiche, ai farmaci innovativi, ai nuovi orizzonti di cura, non sempre finanziabili con risorse date o invariate. Questo è un aspetto che ritengo fondamentale.
  In merito all'evoluzione dei bisogni, nel corso degli anni si è passati, per quanto riguarda le prestazioni erogabili attraverso i fondi, dall'assistenza odontoiatrica a quella riabilitativa, termale e, soprattutto, alla cosiddetta «Long term care» (LTC) che, a mio avviso, rappresenta la sfida del futuro, tenendo conto che – «invecchiamento» forse è un'espressione deteriore – la longevità della nostra popolazione, associata a una natura spesso cronico-degenerativa delle patologie di cui si è affetti, rende necessario porre a disposizione del paziente nuovi strumenti di intervento, che naturalmente hanno un costo. Tale costo necessita, là dove possibile, di un supporto in un contesto in cui il Sistema sanitario non riesce a sostenere tutto o, comunque, deve tener conto - magari dirò cose note - anche della spesa privata, che si è notevolmente sviluppata negli ultimi anni (la cosiddetta «out of pocket», che secondo alcuni rappresenta il 25 per cento, secondo altri il 20 e secondo altri ancora il 30). In ogni caso, rappresenta una parte considerevole della spesa a carico del cittadino.
  Di qui la necessità di razionalizzare questo strumento che, probabilmente, non adeguatamente controllato o verificato nelle sue evoluzioni successive, ha denotato disfunzioni. La mia posizione è la seguente: ben vengano questi fondi sanitari (io li chiamerei «complementari», ma possono anche rimanere definiti «integrativi»), purché ci si intenda su alcuni concetti di fondo. Il primo riguarda l'unificazione tra i fondi. Nella bozza del nuovo Patto per salute 2019-2021 in discussione c'è un articolo, ossia l'articolo 11, dedicato ai fondi sanitari che, tenendo conto dell'opportunità di salvaguardare questo strumento, di evitare che diventi sostitutivo rispetto al Servizio sanitario nazionale, tuttavia ritiene opportuno tenerlo in vita con alcuni accorgimenti, partendo dal presupposto che si tratta di uno strumento indispensabile, a condizione che ci sia innanzitutto una unificazione delle tipologie di fondi. Il fondo doc e il fondo non doc, se devono soggiacere allo stesso regime di agevolazioni fiscali, devono essere preordinati alla stessa funzione. Quindi, superamento della distinzione.
  Vi è, poi, il problema della soglia. Di questo si parla poco. Personalmente ritengo che la famosa soglia del 20 per cento stabilita dal decreto Sacconi del 2009 possa essere, non so se in via legislativa o con atto sub-legislativo, anche innalzata. Potrebbe essere portata dal 20 al 35, ad esempio, o al 40, tenendo conto che nella realtà, probabilmente, la destinazione delle risorse all'attività realmente integrativa è già più alta del 20 imposto dal decreto stesso.
  Vi è, poi, un problema di corrispondenza tra beneficio fiscale del fondo e prestazioni rese. «Beneficio» significa che ti do qualcosa in cambio di qualcos'altro di utile per la collettività, che mi devi adeguatamente rendicontare. Qui si apre il Pag. 11grande capitolo della trasparenza dei bilanci, cioè della verificabilità dei conti. Sappiamo che in questa normativa, così come stratificata, è stato istituito lo strumento, a mio avviso del tutto meritorio, dell'Anagrafe dei fondi presso il Ministero della salute, che però necessita di essere ulteriormente implementato, innanzitutto sul piano dei controlli, quindi su cosa il Ministero può fare per verificare non soltanto la mera iscrizione, ma anche il rispetto della destinazione dei costi LEA ed extra LEA.
  Mi rendo conto che possono sembrare sfide titaniche in un contesto caratterizzato da una atipicità di fonti istitutive e dal fatto che le modalità di gestione dell'ordinamento non sono mai state normate. Ogni fondo, in qualunque forma aperto o chiuso, utilizza sistemi di contabilità diversi dagli altri (economico-finanziario, nota integrativa, stato patrimoniale). Bisognerebbe quantomeno introdurre, oltre alla trasparenza, un minimo di princìpi comuni, relativamente alla documentazione contabile, per consentire di estrapolare nel concreto la destinazione effettiva delle risorse, cioè quanto hai speso per i LEA e quanto hai speso per le prestazioni extra LEA, magari – ripeto – rimodulando la percentuale definita dai decreti.
  Un'altra proposta di riforma – la riporto così, ma è un mio pensiero – potrebbe essere quella di produrre effetti redistributivi nell'ambito del settore pubblico prevedendo una utilizzazione prioritaria delle strutture pubbliche e, naturalmente, anche delle private accreditate per quanto riguarda l'individuazione degli erogatori. In qualche regione, se non sbaglio nella regione Veneto, si è già ipotizzata una bozza di contratto di questo tipo. Naturalmente, si tratta solo di idee. Verificarne l'estensione indiscriminata sul territorio nazionale, a livello di legislazione primaria, non è un passo semplice, ma anche questa potrebbe essere un'idea per razionalizzare un sistema nel quale Servizio sanitario pubblico e sanità integrativa privata devono convivere per la realizzazione di un unico obiettivo.
  Per quanto riguarda il Patto per la salute, l'ultimo che sviluppo nella mia presentazione, segnalo che è stato previsto un articolato abbastanza minuzioso in materia, con un cronoprogramma che sviluppa alcune mie idee che ho abbozzato in questo scritto e che potrebbe essere concretamente trasfuso in un disegno di legge, e in legge a seguito di approvazione, nel caso in cui una serie di passaggi previsti (conferenze e tavoli con le regioni) fossero utilmente adempiuti.
  Io potrei continuare a parlare, ma credo sia più utile lasciare spazio alle vostre domande.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DARIO BOND. Il professore faceva riferimento al Patto per la salute. È una bozza quella che ha in mano lei?

  GUERINO MASSIMO OSCAR FARES, professore di diritto pubblico dell'Università Roma Tre. Sì.

  DARIO BOND. Potrebbe essere utile la prossima volta, presidente, se il professore ha una bozza, avere l'articolato complessivo. È una bozza, ma possiamo prendere degli spunti.

  GUERINO MASSIMO OSCAR FARES, professore di diritto pubblico dell'Università Roma Tre. È la versione del 27 maggio. Ve la posso inoltrare.

  PRESIDENTE. Non è un documento ufficiale.

  DARIO BOND. Le rivolgo una domanda molto breve. Lei prima faceva riferimento a una sorta di riserva del fondo integrativo, specializzandolo per materia e per realtà. È una sperimentazione che sta nascendo nella regione Veneto, ma mi pare ci siano anche altre regioni interessate, legata soprattutto a determinate specializzazioni, a determinate forniture di servizi e a determinati livelli di età. Vorrei sapere da lei se questo tipo di sperimentazione ha una ricaduta sul Sistema sanitario nazionale. Avete Pag. 12fatto dei conti per capire sui LEA quanto si può essenzialmente risparmiare come servizio pubblico?

  VITO DE FILIPPO. Solo una domanda. Leggendo questa bozza del patto che lei ha richiamato sostanzialmente, mi pare di capire, si tratta di un articolo molto cauto e di conferma.

  GUERINO MASSIMO OSCAR FARES, professore di diritto pubblico dell'Università Roma Tre. Sì.

  VITO DE FILIPPO. Noi abbiamo un programma di questa nostra indagine conoscitiva, che aveva un portato per molti aspetti, anche positivamente, molto introspettivo rispetto alla storia dei fondi, soprattutto sul versante fiscale. Secondo la sua opinione, invece, il nuovo Patto per la salute, almeno nella bozza che sta circolando, è una conferma sostanziale di quello che succede oggi, con un approfondimento sul tema della complementarità dell'universalismo. Questo è l'unico punto.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande, passo la parola al professor Fares.

  GUERINO MASSIMO OSCAR FARES, professore di diritto pubblico dell'Università Roma Tre. Per quanto riguarda la prima domanda, purtroppo non ho la risposta. Misurazioni di impatto economico, personalmente, non ne faccio. In ogni caso, si tratta di una questione cruciale. Al di là del prototipo sul piano normativo, c'è bisogno di questo aspetto.
  Mi aggancio anche all'altra domanda. Vi è una cosa che ho trovato di maggiore interesse in questa bozza preliminarissima del patto. Stiamo parlando di un qualcosa che circola sulla rete, ma che rappresenta una prima lettera di intenti, se così fosse, una prima bozza di negoziato tra lo Stato e le regioni. È utile nella misura in cui prende contezza del problema e prende atto della sua complessità, cioè di un problema che non può essere risolto con un tratto di penna e che richiede una serie di approfondimenti. Ad esempio, prima si faceva il caso dell'articolo 9, ma c'è il problema del Testo unico delle imposte sui redditi, c'è il problema della legge sul Terzo settore.
  Purtroppo, dire se sia bianco o nero non è semplice. A me sembra che il patto - come dice l'onorevole De Filippo - sia cauto. Tuttavia, si ripropone un approfondimento, anche articolato attraverso fasi e il coinvolgimento di molti attori principali, stakeholder, tale da sviscerare tutte queste componenti che, a mio avviso, dovrebbero portare a una rivisitazione seria, approfondita e complessiva del sistema.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Fares per il suo contributo e dichiaro conclusa questa audizione.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale dentisti italiani (ANDI)

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale dentisti italiani (ANDI).
  Saluto i nostri ospiti, ringraziandoli per aver accolto l'invito della Commissione a partecipare all'audizione odierna. Sono presenti per l'Associazione nazionale dentisti italiani Carlo Ghirlanda, presidente nazionale, e Corrado Bondi, segretario sindacale nazionale.
  Pregherei i nostri ospiti di contenere il proprio intervento entro i dieci minuti, per dare modo ai deputati di porre delle domande, cui seguirà la replica dei soggetti auditi. La documentazione depositata o fatta pervenire successivamente sarà resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera e pubblicata sul sito internet della Camera dei Deputati.
  Do la parola al dottor Carlo Ghirlanda per lo svolgimento della sua relazione.

  CARLO GHIRLANDA, presidente nazionale dell'Associazione nazionale dentisti italiani. Grazie, presidente. Sono Carlo Ghirlanda, presidente nazionale di ANDI. È con Pag. 13me il segretario sindacale, dottor Bondi, che lei ha già presentato.
  ANDI è il sindacato maggiormente rappresentativo della professione odontoiatrica in Italia con oltre 27.000 associati certificati nel 2019 e abbiamo chiesto di poter prendere parte a questo ciclo di audizioni per esporre alcune delle nostre considerazioni relative al sistema della sanità integrativa in Italia, in particolare nel settore dell'odontoiatria che noi rappresentiamo, con l'ambizione che questi nostri punti di vista possano concorrere a rendere questo sistema più efficace nell'insieme degli obiettivi e delle regole che disciplinano la sanità in Italia.
  Per comodità di esposizione ritengo di poter leggere velocemente un estratto di quello che vi abbiamo consegnato in termini di memoria, e cerco di essere quanto più preciso nell'esposizione di quello che vorremmo comunicarvi, fermo restando che siamo pronti a rispondere ad ogni vostra eventuale volontà di approfondimento ulteriore.
  Intanto vogliamo manifestare il nostro apprezzamento per l'impegno dello Stato nella ricerca di tutti quegli aspetti che possono far crescere il benessere della nostra popolazione. Il welfare rappresenta un modello capace di rispondere a bisogni sociali di ampio respiro, che riguardano non solo le opportunità, ma soprattutto la nuova declinazione del concetto di qualità della vita, soprattutto in un contesto di maggiore longevità.
  A fondamento dello stato di benessere devono essere tuttavia comprese fra le tante variabili l'uguaglianza nell'accesso alle cure, la definizione esatta dei bisogni di salute, nonché dei conseguenti e successivi percorsi di cura e prevenzione, il rispetto dell'autonomia decisionale del medico nella diagnosi e nella terapia, il rigore, l'equilibrio e l'uso razionale delle risorse complessive impegnate in sanità.
  In precedenti interventi in questa sede è stata già ben segnalata la specificità dell'odontoiatria, relativamente alle sue peculiari caratteristiche cliniche ed organizzative rispetto alle altre branche della medicina. Le scelte del Sistema sanitario nazionale hanno determinato che in Italia si sviluppasse un modello di assistenza odontoiatrica per lo più privato, dove il costo del trattamento è prevalentemente a carico del cittadino. Segnalo che l'Istat comunica che nel 2017 il costo complessivo delle cure odontoiatriche in Italia ha superato i 9 miliardi di euro.
  Quelle odontoiatriche sono nella gran parte dei casi prestazioni extra LEA, e, come evidenziato anche nella bozza del testo del nuovo Patto della salute 2019-2021 del Ministero della salute, i fondi sanitari integrativi, per la loro vocazione solidaristica di inclusione sociale e di patto intergenerazionale, presentano, anche attraverso il ricorso alle agevolazioni fiscali, le caratteristiche idonee per sviluppare un sostanziale ruolo di complementarità in diversi ambiti, compresi l'odontoiatria e la prevenzione in ambito odontoiatrico.
  Il ruolo dei fondi integrativi assume quindi un particolare rilievo nel sostegno e nella sostenibilità della spesa odontoiatrica in Italia, però noi riteniamo opportuna una revisione dell'impostazione, delle regole, della gestione, della disciplina, delle risorse messe a disposizione da parte di questi fondi.
  Rileviamo delle contraddizioni. Una prima contraddizione nasce dalla perdita di quella iniziale distinzione fra fondi integrativi del Sistema sanitario nazionale, i famosi fondi doc, quelli che dovevano essere potenzialmente aperti a tutti i cittadini per quanto riguarda le prestazioni integrative al Sistema sanitario nazionale oppure per rimborsare le prestazioni già ricomprese nei LEA per la sola quota a carico dell'assistito, e gli enti e le Casse sanitarie, quelle che hanno un'attività assistenziale sostitutiva, quelle che nascono dalla contrattazione nazionale locale o aziendale, avvenuta fra parti sindacali e datoriali (diverso è poi il discorso per le società di mutuo soccorso).
  La differenza fra i primi e secondi e quindi anche il loro tipo di logica di agevolazione fiscale erano legate fondamentalmente al grado di integrazione, complementarità e sostituzione rispetto al Servizio sanitario nazionale, ma, con le modifiche Pag. 14di legge successive, il ruolo distintivo fra i due fondi si è integrato almeno per quanto riguarda l'odontoiatria, ma sono rimasti problemi legati sia al diverso trattamento fiscale, sia soprattutto il fatto che c'è una condizione regolamentare che obbliga i fondi doc a rivolgersi al sistema di strutture pubbliche, private autorizzate e accreditate come condizione essenziale, mentre per i fondi legati alla contrattazione tra enti datoriali e lavoratori è sufficiente rivolgersi a strutture autorizzate.
  Questo è un elemento discriminativo, che in odontoiatria impedisce a tutti gli studi odontoiatrici di poter intervenire, perché non esiste in Italia nessun tipo di struttura accreditata, esiste solamente in qualche piccola provincia italiana e solo per poche unità di strutture, non esiste l'accreditamento in odontoiatria.
  Uno studio odontoiatrico non potrebbe quindi mai collaborare con i fondi doc e questo crea una disparità di trattamento, perché ci sono i coloro i quali fanno parte della contrattazione collettiva, che possono accedere a tutti gli studi autorizzati, e tutti i cittadini che invece volessero entrare in un fondo non di quelli doc, che non potrebbero poi usufruire delle agevolazioni fiscali, di ingresso e di terapia, perché non possono andare dal dentista perché nessun dentista è accreditato. Di fatto si blocca qualunque accesso ad una potenziale soluzione di sostenibilità della spesa odontoiatrica.
  Questo problema è ulteriormente recepito nel testo del nuovo Patto della salute, che recita all'articolo 11: «si conviene di favorire il ricorso a strutture pubbliche o private accreditate per l'erogazione delle prestazioni degli iscritti ai fondi sanitari». Questo comporta due modelli di sanità integrativa e va contro l'articolo 9 del decreto legislativo n. 502 del 1992.
  Ci siamo quindi permessi di consegnarvi un parere che abbiamo chiesto al professor Sabino Cassese, amministrativista di chiara fama, che evidenzia come questo tipo di situazione sia in qualche modo contraddittoria rispetto alla legge istitutiva, tanto da mettere in discussione l'impianto complessivo di questo tipo di percorso.
  È quindi opportuno affrontare il problema normativo esistente e intervenire per impedire di perseguire nell'errore, correggendo sin da ora l'articolo 11 della bozza del testo del nuovo Patto della salute con un atto coerente, che consenta ad ogni cittadino l'accesso a un fondo sanitario integrativo non necessariamente discendente da un fondo contrattuale, la libera scelta del medico odontoiatra curante, consentendo che l'erogazione delle cure possa avvenire per entrambe le categorie di fondi negli studi e nelle strutture odontoiatriche autorizzate anche se non accreditate, e, se possibile, lo stesso sistema di vantaggio fiscale, ripristinando l'eguaglianza sui cittadini.
  Vi è peraltro noto che, per mantenere le agevolazioni fiscali, i fondi sanitari integrativi sono oggi obbligati a destinare il 20 per cento delle risorse impegnate in prestazioni integrative rispetto a quelle incluse nei LEA, specificamente in odontoiatria e nell'LTC. Questo significa che quasi l'80 per cento delle risorse economiche disponibili della sanità integrativa, che sono circa 2 miliardi di euro, sono destinate a prestazioni sostitutive del Sistema sanitario, per di più dotandole di premialità fiscali, seppur direttamente concorrenti ad esso.
  Una rivalutazione di queste proporzioni di quote percentuali 80/20 crediamo sia indispensabile, perché lo scopo base della sanità integrativa è contribuire alla spesa per l'accesso alle cure extra LEA, e anche perché l'attuale ripartizione delle risorse di cui tale sistema dispone tende a erodere spazi e risorse al Sistema sanitario nazionale.
  Sarebbe opportuno un intervento per la definizione di regole, per la composizione degli organi di controllo dei fondi integrativi e i loro meccanismi di gestione, allo scopo di attivare sistemi di garanzia e di verifica indipendenti. In assenza di queste direttive si è sviluppato un affidamento privato, spesso unilaterale, delle risorse della sanità integrativa a soggetti intermediari, providers di servizi sanitari odontoiatrici, soggetti che, indipendentemente da comprovate e oggettive caratteristiche organizzative ed economiche, assumono un rischio Pag. 15di tipo assicurativo, una vera e propria delega ad agire con le proprie regole, per nome e per conto degli enti di mutualità integrativa affidatari.
  Tale mandato dovrebbe essere assolutamente escluso, perché alla base dei fondi di sanità integrativa sono solidarietà interna e antiselezione nell'ambito di una buona gestione delle risorse a disposizione.
  La delega che si è creata ha determinato a valle di essa lo sviluppo di un modello dipendente dalla stipula di accordi, che, in un regime di chiara asimmetria di potere contrattuale, introducono condizionamenti regolamentari unilaterali, nella gran parte dei casi impediscono al cittadino la libera scelta del medico curante e interferiscono spesso con l'autonomia di diagnosi e terapia del medico odontoiatra. Di fatto, si condiziona la gestione di un servizio tramite procedure burocratiche di tipo ostruzionistico, che tendono a disincentivare l'accesso alla cura per l'assistito piuttosto che a realizzare una modalità di ordinamento della stessa procedura, come in questi giorni evidenziato dalla rivista Altroconsumo.
  A questo spesso si aggiunge anche il mancato rispetto dei tempi di pagamento previsti per i professionisti aderenti da parte di alcuni di questi provider. C'è il caso della società Previmedical, che nel novembre 2018 ammetteva di essere in debito nei confronti dei soli medici del proprio network per oltre 6 milioni di euro, nonostante accordi e impegni contrattuali sottoscritti di gran lunga differenti.
  Il servizio di intermediazione da parte dei provider dei servizi medici odontoiatrici determina inoltre un cospicuo costo, per cui rispetto alla quota iniziale messa a disposizione dell'iscritto al fondo la quota finale è sicuramente ridotta.
  Riteniamo quindi urgente il varo di direttive che siano in grado di mantenere libera la scelta del medico, prioritario il rapporto fiduciario medico/paziente, ridurre l'abuso di presenza di provider di servizi con un rapporto di assistenza diretta, che dovrebbe essere sovrano e senza alcun condizionamento determinato da imposizioni di regolamenti di convenienza, anche perché all'interno di una sanità integrativa la presenza di una gestione assicurativa appare veramente un ossimoro da sanare.
  Il dato annuale di spesa ammonta a circa 10 miliardi di euro, di questi il 15 per cento è sostenuto da fondi e assicurazioni, ma viene gestito secondo una logica puramente finanziaria, senza una valutazione preliminare dell'effettiva, specifica necessità di terapia, senza alcuna considerazione dei criteri di appropriatezza della cura, e si occupa solamente marginalmente della prevenzione. La priorità invece a nostro avviso dovrebbe essere clinica e le cure odontoiatriche devono essere necessarie ed appropriate, e la prevenzione è il vero obiettivo del loro intervento.
  Non si può risolvere la questione della sostenibilità odontoiatria con un elenco di voci e relativi rimborsi, perché quei soldi sono solo costi puri, non prevedono interventi premiali per il miglioramento degli stili di vita, laddove lo scopo doveva invece essere quello di determinare per il paziente uno specifico di percorsi di cure e di prevenzione, coerente alle sue caratteristiche di vita e di salute, che si può impostare solamente sul concetto di vera presa in carico e di appropriatezza clinica.
  Bisogna cambiare; noi riteniamo che le risorse del secondo pilastro siano ancorate non alla singola prestazione, ma a un vero e proprio piano di cura individuale, in cui ci sia una continuità nel tempo, frutto di un rapporto di fiducia, di alleanza medico/paziente, propedeutico a qualunque attività.
  Noi dobbiamo prendere in carico il paziente e ci devono essere nuove regole e nuovi criteri, che vedano anche la professione coinvolta nell'assumere una responsabilità diretta nelle scelte di intervento dei fondi integrativi in odontoiatria, con un'attività win-win, nella quale l'impegno e gli obiettivi debbano essere quelli di rendere il paziente protagonista dei propri processi di cura e prevenzione sotto la cura del suo odontoiatra di fiducia, con meccanismi premiali proporzionati a risorse disponibili e campagne di educazione e motivazione alla prevenzione orale e controlli costanti. Pag. 16
  Anche noi ci inseriamo quindi nella lunga lista di soggetti che denunciano una difficoltà nella sanità integrativa, unitamente al contributo all'impoverimento del Sistema sanitario nazionale. Dalle regole esistenti e dal modello di intervento che da tempo si è sviluppato derivano delle iniquità e difficoltà che abbiamo cercato di esporvi, che però si riversano fondamentalmente sui cittadini pazienti, che alla fine sono l'anello debole di tutta questa catena.
  Ci sia consentito presentare dei suggerimenti: emanare delle regole che consentano la disciplina dei fondi e l'affidamento in gestione, compresi organismi e modalità di vigilanza per le prestazioni afferenti al 20 per cento, richiedere all'Osservatorio già esistente un monitoraggio del fenomeno, che vada oltre il singolo aspetto della conoscenza numerica dei fondi, promuovendo ricerche su caratteristiche degli iscritti, bisogni espressi, metodi di governance e gestione, comprendere nei fondi sanitari milioni di cittadini inattivi (atipici, disoccupati, Partite IVA, pensionati) attualmente non inclusi, recuperando anche per la sanità integrativa la caratteristica universale del Sistema sanitario nazionale.
  Definire le modalità con cui sviluppare sul territorio tipologie di mutue sanitarie integrative o fondi a cui tutti i cittadini possano accedere, con il coinvolgimento spontaneo degli stessi cittadini e delle istituzioni locali, un progetto di sanità integrativa di sostenibilità alla cura fondato su uno scambio più inclusivo, più efficace e più equo, abolire la differenziazione fra le due categorie di fondi, applicando, se possibile, le medesime regole fiscali, ma certamente superando quella risoluzione che almeno in odontoiatria stabilisce l'obbligo di rivolgersi a strutture pubbliche e private accreditate come condizione discriminativa per il mantenimento delle prerogative fiscali previste per un fondo e l'altro no, non consentire alcun condizionamento nella libera scelta del medico curante da parte del cittadino, né nel rapporto diretto di fiducia tra medico e paziente, interferendo sulla scelta terapeutica per convenienze regolamentari, raccomandare ai fondi di intervenire con iniziative e meccanismi premiali per la prevenzione odontoiatrica e valorizzare infine il ruolo delle associazioni professionali in odontoiatria.
  Vi ringraziamo per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  CELESTE D'ARRANDO. Ringrazio gli auditi, ai quali pongo alcune domande di approfondimento rispetto a quanto esposto, intanto se può gentilmente rispiegare quello che riguarda l'articolo 11 della bozza del Patto della salute, al di là del fatto che ovviamente è una bozza, quindi sicuramente modificabile, quali fossero le criticità.
  Se non ho capito male, ritenete utile far sì che anche gli studi odontoiatrici possano essere enti accreditati presso il Servizio sanitario nazionale e quindi essere coinvolti nei fondi sanitari integrativi. A vostro parere i fondi sanitari integrativi nell'erogazione di prestazioni di tipo integrativo e in alcuni casi sostitutivo sono deficitari soprattutto rispetto alle cure odontoiatriche, in quanto non c'è un'appropriatezza nell'erogazione delle prestazioni?

  ANDREA CECCONI. Ho una domanda che esula dalla vostra relazione. Sicuramente voi avete dei dati in proposito, qual è in percentuale la quota del mediato rispetto all’out of pocket dei cittadini che vanno dal proprio odontoiatra? C'è una predominanza rispetto ai Fondi integrativi o al terzo pilastro, quindi alle assicurazioni private generali?
  Visto che nella vostra relazione denunciate il fatto che alcuni tipi di assicurati accedono e altri tipi di assicurati non accedono, perché non esistono nel territorio studi odontoiatrici accreditati, cosa anche normale perché la maggior parte delle prestazioni odontoiatriche non sono nei LEA, quindi l'accreditamento è una pratica abbastanza inutile per voi, perché richiede ovviamente una serie di strutture e di organizzazioni, quanta gente stiamo escludendo dalla possibilità di accedere ai vostri studi mantenendo la normativa attuale, o Pag. 17viceversa, cambiando la normativa, quante persone vi avrebbero accesso in più rispetto ad oggi?

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre richieste d'intervento, lascio la parola al dottor Ghirlanda per la replica.

  CARLO GHIRLANDA, presidente nazionale dell'Associazione nazionale dentisti italiani. Purtroppo il tempo è sempre tiranno, quindi abbiamo cercato di sintetizzare e mi rendo conto che posso essere stato non sufficientemente in grado di spiegare.
  Oggi, in odontoiatria per esercitare la nostra professione abbiamo bisogno di essere autorizzati dalle singole regioni, peraltro non in tutte. L'autorizzazione è un cosiddetto «requisito minimo», che si basa su caratteristiche strutturali, tecnologiche e organizzative dello studio, che vengono verificate dagli organi di amministrativi di vigilanza, e vengono poi rilasciate le cosiddette «autorizzazioni all'esercizio professionale».
  L'accreditamento significa requisiti ulteriori, che in base alle singole regioni hanno caratteristiche particolari come le case di cura, in grado di avere una correlazione con il Sistema sanitario nazionale da cui possa discendere eventualmente anche un accordo contrattuale successivo.
  Di fatto, quindi, l'accreditamento è semplicemente una patente ulteriore, un requisito ulteriore. Oggi, però, in odontoiatria siamo fermi al livello delle autorizzazioni, cioè al livello base, quindi c'è la verifica del mantenimento delle qualità delle strutture, ma non c'è il requisito ulteriore. Questo nell'attuale stesura del Patto della salute impedisce l'accesso a coloro i quali non fanno parte di un fondo sanitario «datoriale», e ne fanno parte circa 15 milioni di cittadini attualmente, quindi gran parte dei cittadini ne è esclusa, ma se sul territorio per qualunque motivo si volesse creare un fondo ad adesione collettiva individuale che non discende da questo tipo di percorsi, questo fondo poi non potrebbe garantire la defiscalizzazione dell'accesso alla quota di iscrizione, perché non si può sviluppare nell'odontoiatria la terapia nelle strutture che siano semplicemente autorizzate, ma devono essere autorizzate e accreditate.
  Oggi sarebbe sufficiente scrivere che per quanto riguarda l'odontoiatria, stante la non complessità della nostra attività, sia sufficiente, così come già avviene per i fondi cosiddetti «datoriali», quelli già esistenti, lavorare nel sistema dei cosiddetti «autorizzati», per consentire a tutti i cittadini lo stesso tipo di situazioni liberamente, senza chiedere ulteriori cose sull'accreditamento degli studi odontoiatrici, che non è necessario perché non esiste uno studio ulteriore accreditato con caratteristiche migliori dello studio autorizzato, perché non sono situazioni particolarmente diverse.
  Il costo attualmente ipotizzato per quanto riguarda la sanità integrativa in odontoiatria è di circa 7-800 milioni di euro l'anno. L'intermediazione da parte di questi provider di reti dipende dal contratto che viene sviluppato, ma spesso supera una quota parte che può andare addirittura fino al 25 per cento della somma iniziale, quindi se io oggi vado a fare un contratto collettivo per cui metto 100 euro a disposizione del lavoratore e poi ne arrivano 75 a casa, i 25 sono passati in un contenitore diverso, che non consente al lavoratore di godere della quota parte inizialmente destinata nella contrattazione collettiva.
  Questo è un onere molto importante, per cui proponiamo una valutazione diversa, cioè quella di coinvolgere direttamente le associazioni professionali nel cercare una soluzione alla disintermediazione di questo tipo di rapporto, perché l'affidamento può essere anche valutato in maniera diretta, direttamente fatto con situazioni diverse, che già esistono e che potrebbero essere funzionali ad ottenere una riduzione del costo di intermediazione e anche di tutta questa regolamentazione, che spesso disincentiva la prestazione, la ritarda o addirittura la delude per molti versi.

  PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti dell'ANDI per il loro contributo e dichiaro conclusa l'audizione.

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Audizione di rappresentanti del Fondo assistenza sanitaria dirigenti aziende commerciali (FASDAC), del Fondo sanitario lavoratori metalmeccanici (MètaSalute), di Conprofessioni e della Cassa di assistenza sanitaria integrativa per i lavoratori degli studi professionali (C.A.DI.PROF.)

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale, l'audizione di rappresentanti del Fondo assistenza sanitaria dirigenti aziende commerciali (FASDAC), del Fondo sanitario lavoratori metalmeccanici (MètaSalute), di Conprofessioni e della Cassa di assistenza sanitaria integrativa per i lavoratori degli studi professionali (C.A.DI.PROF.).
  Saluto i nostri ospiti ringraziandoli per aver accolto l'invito della Commissione a partecipare all'audizione odierna. Sono presenti per FASDAC Fabrizio Pulcinelli, presidente, Bernardino Petrucci, vicepresidente; per MètaSalute Michela Spera, vicepresidente, e Tiziana Riggio, direttore, per Conprofessioni e Cadiprof, Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni e di Cadiprof, Luca De Gregorio, direttore generale di Cadiprof, Lucilla De Leo, consulente per i rapporti istituzionali di Confprofessioni. Pregherei ciascuno dei nostri ospiti di contenere il proprio intervento entro dieci minuti, per dare modo ai deputati di porre delle domande, cui seguirà la replica dei soggetti auditi.
  La documentazione depositata o fatta pervenire successivamente sarà resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera e pubblicata sul sito internet della Camera dei deputati.
  Do la parola al presidente del FASDAC, Fabrizio Pulcinelli, per lo svolgimento della sua relazione.

  FABRIZIO PULCINELLI, presidente del Fondo assistenza sanitaria dirigenti aziende commerciali (FASDAC). Grazie, presidente, per questo invito.
  Sono presidente del FASDAC, che è il primo Fondo integrativo sanitario di derivazione contrattuale, fu pensato nel 1948 fra Confcommercio e FENDAC, l'allora Associazione dei dirigenti del commercio, che insieme decisero di destinare una parte della retribuzione ad una forma di tutela.
  Fu la prima forma di tutela, quella del Fondo sanitario, negli anni integrata da un Fondo integrativo pensionistico, da un centro di formazione e da un terzo pilastro, all'interno del quale oggi abbiamo la LTC, quindi un sistema completo di tutele.
  Successivamente, nel 1953 ai due partner fondatori si unì Confetra, la Confederazione generale dei trasporti italiani, quindi ad oggi FASDAC assiste i dirigenti del settore del commercio, della logistica, dei trasporti, di quello che in generale si chiama terziario. È un'associazione non riconosciuta, quindi non è una società commerciale, è iscritta all'Anagrafe dei fondi e raggiunge tutti gli anni la quota di risorse vincolate con le prestazioni odontoiatriche e con le prestazioni di rilevanza sociale per la lungodegenza. Superiamo quindi tranquillamente quel 20 per cento che è stato posto come limite per le agevolazioni fiscali.
  A proposito di agevolazioni fiscali, visto se ne parla proprio in questi giorni, noi riteniamo che siano una componente fondamentale per lo sviluppo dei fondi, che costituiscono il fulcro intorno al quale si articola questo mondo della sanità integrativa. Abbiamo saputo che certe cifre che sono circolate anche in questa Commissione fornite dall'Agenzia delle entrate si sono poi rivelate differenti, meno drammatiche, e questo ci consola, perché l'Anagrafe dei fondi, che è un po’ il nostro ente regolatore, ci dava delle informazioni differenti.
  La nostra posizione è assolutamente favorevole al mantenimento delle agevolazioni, proprio per consentire uno sviluppo del settore e alleggerire il carico sul Sistema sanitario nazionale.
  In settant'anni di vita il FASDAC non ha modificato i suoi valori fondanti, quindi pur essendo un fondo chiuso, legato al contratto di lavoro, nel tempo si è evoluto; oggi non assistiamo soltanto i dirigenti contrattualizzati, ma assistiamo anche i pensionati Pag. 19 e i cosiddetti «volontari», cioè dirigenti già in servizio, già dipendenti, che hanno perso il posto di lavoro e che però vogliono continuare a beneficiare, facendosene carico diretto, del fondo stesso.
  La platea quindi nel tempo si è allargata anche ai familiari, quindi sono assistiti il coniuge, il convivente more uxorio e l'unione di fatto, quindi assistiamo comunque il compagno del dirigente in ogni forma, assistiamo i figli fino al ventiseiesimo anno di età, purché siano ancora studenti o disoccupati, assistiamo finanche i genitori del dirigente qualora siano a carico del dirigente stesso. Questo perché la caratteristica di mutualità e di solidarietà è rimasta nel tempo nel fondo.
  I valori fondanti sono prima di tutto l'assenza di fini di lucro, perché siamo un ente non commerciale e quello che avanza dalla gestione costituisce una riserva per il futuro, per coprire necessità magari improvvise diverse, non facciamo alcun tipo di selezione di rischio, quindi si diventa assistiti FASDAC solo per il fatto che si è nominati dirigenti, non ci sono riserve per stato di salute o per età, il meccanismo di selezione del rischio non vale nemmeno per i coniugi e per i figli. Non esiste facoltà di recesso, quindi qualunque motivo (età, mobilità, saldo negativo fra versamenti e spese) non comporta mai il recesso, non ci sono periodi di comporto; il familiare o il suo nucleo familiare sono coperti immediatamente.
  Esiste anche una solidarietà ulteriore intergenerazionale, laddove prevediamo delle quote differenziate a seconda della categoria, quindi il dirigente in servizio paga più del pensionato, che paga più del coniuge superstite. Oltre a questo, esiste un contributo specifico che i dirigenti in servizio versano a favore dei loro colleghi pensionati e superstiti.
  Se vogliamo sintetizzare il FASDAC in un motto, il FASDAC non lascia mai indietro nessuno, si rimane nel FASDAC per tutta la vita. È un fondo autogestito, e questa è una scelta ben precisa fin dall'inizio, perché riteniamo che solo con un'autogestione si possa offrire un servizio personalizzato, secondo quelle che sono le necessità e le richieste dei nostri associati. L'autogestione si attua attraverso una rete di convenzioni piuttosto ampia di circa 4.500 strutture fra dentisti, case di cura, istituti diagnostici. Abbiamo convenzionato anche le attività ambulatoriali in intramoenia.
  Il convenzionamento verso il pubblico ad oggi è limitato soltanto alle attività intramoenia e alle attività dell'ASL di Padova e del Gemelli di Roma. Purtroppo questa è una difficoltà che incontriamo, vorremmo avere convenzioni con più strutture di eccellenza del Servizio pubblico, non abbiamo alcun tipo di preclusione a questo, però spesso ci troviamo di fronte a tariffari professionali molto elevati, più di quelli delle case di cura di alto livello, e questo rende obiettivamente difficile il convenzionamento, unitamente a procedure molto più complesse di quelle nostre, quindi rende difficile l'interfaccia.
  Sottolineo anche che il nostro fondo si muove in termini di appropriatezza medico-sanitaria, cioè l'accesso avviene attraverso prescrizioni mediche, attraverso un controllo di un'apposita commissione medica interna, quindi evitiamo nel modo più assoluto gli abusi del fondo, noi stessi siamo degli erogatori e quindi dobbiamo controllare l'appropriatezza delle prestazioni che andiamo a pagare. In questo senso abbiamo una logica molto simile a quella del Servizio sanitario nazionale.
  Due numeri per capire l'entità del fondo. Oggi abbiamo circa 36.000 iscritti, dei quali circa 23.500 sono dirigenti in servizio, circa 10.000 sono pensionati e circa 3.000 i dirigenti volontari. Sommando a questi i familiari di qualunque tipo e i superstiti, arriviamo a una platea di assistiti di circa 100.000 persone.
  Sempre per dare un'idea dei numeri in gioco, gestiamo circa 340.000 pratiche all'anno, il 60 per cento delle quali sono in forma diretta, quindi attraverso un accesso diretto con le strutture convenzionate, cosa che ovviamente rende molto più semplice e spedito l'accesso dei nostri assistiti. Il fondo comunque si muove sempre su una logica di un tariffario, che riprende i princìpi e le modalità del nomenclatore del Servizio sanitario Pag. 20 nazionale, quindi anche in questo c'è una logica di integrazione, ci ritroviamo sul nomenclatore, sui nomi, sulle attività.
  Analogamente al Sistema sanitario promuoviamo la prevenzione su sette moduli principali, seguendo le indicazioni del Ministero della sanità per ciò che riguarda tipologia di esami e periodicità dei controlli.
  Concludo segnalando due punti qualificanti. Il fondo è gestito dalle parti costituenti e si avvale di un bilancio tecnico attuariale, che ci consente di avere una visibilità prospettica nel futuro, consentendoci di gestire con tranquillità al meglio il bilanciamento fra erogazioni e contributi. Ad oggi, si prospetta una situazione sufficientemente tranquilla, una situazione sotto controllo, anche perché in questi anni il fondo è riuscito ad accumulare delle riserve, coerentemente con il programma che le parti costituenti hanno affidato al fondo di giungere ad avere un fondo di riserva che coprisse un'annualità di erogazioni.
  Oggi il fondo ha raggiunto questo livello di equilibrio anche con una certa abbondanza e questo ci consente di guardare avanti almeno per un anno con estrema tranquillità.
  Questa in sintesi è la nostra situazione e quindi vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Do la parola alla vicepresidente di MètaSalute, Michela Spera.

  MICHELA SPERA, vicepresidente del Fondo sanitario lavoratori metalmeccanici (MètaSalute). Buongiorno e grazie per l'invito.
  MètaSalute è il fondo nazionale di categoria che eroga prestazioni sanitarie e fornisce l'assistenza sanitaria integrativa per i lavoratori del settore metalmeccanico e dell'installazione di impianti ed è stato costituito nel novembre del 2011 su base volontaria, ma nel novembre del 2016 con la sottoscrizione del contratto nazionale diventa un fondo che coinvolge tutti i lavoratori del comparto, a decorrere dal 1° ottobre 2017.
  Possono iscriversi a MètaSalute anche le imprese e i lavoratori del comparto orafo e argentiero, quindi è un fondo di natura contrattuale; le parti istitutive sono Federmeccanica e ASSISTAL per la parte datoriale, e FIM CISL, FIOM CGIL e UIL UILM per la parte sindacale. È un'associazione senza fini di lucro e tutti i lavoratori metalmeccanici sono iscritti, in ossequio al principio che non viene applicata la selezione del rischio, quindi accoglie tutti i lavoratori e i loro familiari, indipendentemente dal loro stato di salute.
  Ovviamente si avvale (è stato uno dei temi del rinnovo contrattuale) delle facilitazioni, del sostegno degli incentivi fiscali che il Testo unico delle imposte sui redditi prevede. È iscritto all'Anagrafe dei Fondi sanitari e risponde alle necessità sanitarie di circa 1 milione e 200.000 lavoratori dipendenti in servizio, a cui si aggiungono i 570.000 familiari che sono inclusi gratuitamente nella copertura del lavoratore dipendente, quindi il fondo ha complessivamente circa 1 milione e 700.000 aderenti.
  La possibilità di adesione al nucleo familiare del lavoratore dipendente è completamente gratuita per il coniuge, per i conviventi di fatto e per i figli fiscalmente a carico, quindi la famiglia di un lavoratore o di una lavoratrice metalmeccanica riesce ad avere, attraverso il Piano sanitario previsto, la copertura delle necessità sanitarie. La contribuzione per ogni singolo lavoratore è totalmente a carico dell'impresa, la quota è pari a circa 13 euro mensili per il piano base per le dodici mensilità, quindi una contribuzione complessiva di 156 euro all'anno. Di questi 156 euro all'anno vengono destinate alle prestazioni 142 euro, quindi la quasi totalità della contribuzione va in prestazioni sanitarie.
  Le imprese che aderiscono sono 36.000, oltre a quanto previsto dal contratto nazionale hanno la facoltà di poter prevedere per i propri dipendenti piani sanitari aggiuntivi rispetto al piano del contratto nazionale, perché magari c'è una platea di lavoratori con alcune caratteristiche rispetto ad altre. La contribuzione massima, a partire dai 156 euro previsti dal contratto nazionale, attraverso i sei piani sanitari aggiuntivi, ammonta a 804 euro. Pag. 21
  Aggiungo per informazione della Commissione che la stragrande maggioranza dei lavoratori è iscritta al piano base ed è residuale la popolazione di metalmeccanici iscritta ai piani integrativi.
  La governance del fondo. Quando con il contratto nazionale abbiamo istituito Mètasalute, nel definire la governance abbiamo fatto riferimento in particolare all'esperienza che abbiamo nel settore, riferita alla previdenza complementare, quindi sia lo Statuto che il Regolamento, ovviamente con gli opportuni adeguamenti, fa riferimento all'esperienza che abbiamo nella previdenza complementare.
  Abbiamo un'Assemblea, che è composta per metà da rappresentanti delle imprese e per metà da rappresentanti dei lavoratori, che è eletta dai lavoratori per la parte dei lavoratori ed eletta dalle imprese per la parte delle imprese, siamo appena andati al rinnovo e si è insediata una nuova Assemblea a gennaio 2019. Abbiamo un Consiglio di amministrazione espressione delle parti istitutive e abbiamo una struttura molto agile di 11 persone, compreso il direttore. I soci sono lavoratori e aziende iscritte che eleggono i propri delegati.
  Abbiamo poi un Collegio dei sindaci e le figure di rappresentanza, tra cui presidenza e vicepresidenza. Il fondo MètaSalute opera secondo il principio di mutualità, è un finanziamento a ripartizione, quindi le adesioni sono molto consistenti, e questo permette di erogare prestazioni sanitarie molto apprezzate dai lavoratori. È un fondo molto giovane e in questi primi anni di attività abbiamo scelto di avvalerci di una compagnia di assicurazione per l'erogazione delle prestazioni sanitarie, ma non escludiamo di acquisire nel tempo la conoscenza necessaria sui modelli di consumo dei lavoratori metalmeccanici per erogare eventualmente in autonomia in un'evoluzione futura le prestazioni in prima persona, scelta che il fondo oggi non ha ancora fatto per la storia recentissima e per la complessità della platea.
  L'offerta sanitaria è molto incentrata sull'odontoiatria, che nel 2018 ha superato il 30 per cento per i lavoratori e le lavoratrici metalmeccaniche. A questa prestazione, che è stata sicuramente la più importante per i lavoratori, si aggiungono quelle legate alla prevenzione e tutta l'area delle prestazioni extra ospedaliere, che hanno registrato un livello di consumo molto elevato soprattutto in alcune regioni del nostro Paese, che sono anche regioni dove l'insediamento dell'industria metalmeccanica è significativo.
  Il bilancio che tiriamo come parti istitutive, come Fondo, è quello di aver messo a disposizione dei lavoratori metalmeccanici una concreta accessibilità alle cure, sia quelle previste dal Sistema sanitario nazionale, sia quelle legate alla prevenzione e sicuramente anche in parte quelle extra ospedaliere, accorciando le liste di attesa. Non è il nostro lavoro, però abbiamo imparato molto in questi dodici mesi che abbiamo alle spalle del 2018 e 3 mesi del 2017 e anche dal rapporto con la platea dei lavoratori attraverso i nostri delegati sulle difficoltà e sulla diversità nell'accesso al Sistema sanitario nazionale per un lavoratore metalmeccanico di alcune regioni d'Italia rispetto ad altre.
  Ci siamo ispirati anche alla governance della previdenza complementare, il Consiglio di amministrazione ha fatto alcune scelte recenti, quindi redige già da quest'anno, dal primo anno di piena operatività del fondo, un bilancio tecnico, si avvale del lavoro, oltre che del Collegio dei sindaci, di una società di revisione nella certificazione del bilancio, stiamo decidendo come redigere anche un bilancio sociale, e ci siamo anche avvalsi di competenze e, a partire dalla creazione di un Comitato scientifico che supporta le scelte del Consiglio di amministrazione, c'è una nostra consulenza attuariale che ci aiuta nella valutazione tecnica dei dati e li verifica incrociandoli con quanto dichiarato all'Agenzia delle entrate, dati che l'assicurazione a cui ci rivolgiamo ci fornisce.

  PRESIDENTE. Do la parola a Gaetano Stella per lo svolgimento della sua relazione.

  GAETANO STELLA, presidente di Confprofessioni e di Cadiprof. Onorevole Pag. 22presidente, onorevoli deputati, nella mia veste di presidente di Confprofessioni, confederazione che per prima in Italia ha avvertito l'esigenza di introdurre nell'ambito del contratto collettivo strumenti di assistenza sanitaria integrativa per tutti i lavoratori, desidero rivolgervi un doveroso ringraziamento per l'invito a contribuire a questa indagine conoscitiva, che si occupa di un tema di cruciale importanza per il Paese e per il comparto libero professionale in particolare.
  I dati presentati da ISTAT e IVASS (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni) nelle loro audizioni nell'ambito di questa indagine illustrano un trend che deve far riflettere, per le significative ricadute sulla tenuta del nostro sistema di sanità pubblica e sul benessere della collettività. Negli ultimi vent'anni, la spesa pubblica della sanità è cresciuta a ritmo costante, con incrementi superiori alla crescita del PIL, nonostante la parallela implementazione del metodo dei costi standard in sanità. Allo stesso tempo, si è registrato un aumento della spesa per la sanità da parte delle famiglie, spesa sempre più incanalata verso la sanità privata piuttosto che verso quella pubblica.
  È di tutta evidenza che, nonostante il costo sempre più incisivo della sanità pubblica per le casse dello Stato, le famiglie tendono progressivamente a rivolgersi alle strutture private, con costi maggiori a loro carico e nonostante la stagnazione dei redditi. Sono numeri che non possono essere sopportati nel medio-lungo termine né dalla finanza pubblica, né tantomeno delle famiglie, e sui quali è necessario intervenire con scelte politiche guidate da una strategia di ampio respiro, prendendo a modello i Paesi europei che hanno conseguito i migliori risultati nel rapporto tra qualità dei servizi sanitari e costi.
  In questo scenario, dove a ogni piè sospinto si rincorrono ipotesi di vincolare le risorse da destinare al Fondo sanitario nazionale agli obiettivi di finanza pubblica e alle variazioni del quadro macro economico, riteniamo essenziale sostenere la crescita dei fondi integrativi sanitari, innanzitutto perché la quota di spesa sanitaria intermediata dai fondi integrativi e dalle altre forme di cooperazione nella sanità vede l'Italia fanalino di coda rispetto agli altri grandi Paesi europei, ma soprattutto perché, in ragione della loro efficienza e qualità, i fondi integrativi sanitari possono rappresentare una delle componenti essenziali di una strategia di complessivo ripensamento del welfare e dell'assistenza socio-sanitaria in Italia.
  Siamo convinti che il sostegno dei fondi integrativi sanitari, sempre all'interno di una sinergia tra i diversi pilastri del welfare, implichi per lo Stato e la società positivi effetti di sistema. Con i fondi integrativi si snellisce infatti il carico di lavoro e la complessità organizzativa delle strutture della sanità pubblica, che sono attualmente oberate e difficili da gestire in condizioni di efficienza, nonostante le ingenti risorse destinate, si amplia la libertà di scelta delle cure e dei servizi grazie alla profilazione delle prestazioni rispetto al gruppo di riferimento e al rapporto con le strutture private che i fondi stabiliscono, aumenta lo spazio per gli investimenti imprenditoriali della sanità privata, che rappresenta comunque un settore di interesse strategico per l'economia italiana, in particolare per la ricerca scientifica e tecnologica legata alla medicina, che è possibile associare alle strutture di sanità privata.
  Cresce l'emersione del sommerso delle spese sanitarie, in virtù della tracciabilità di tutti i costi sostenuti nell'ambito delle prestazioni intermediate dei Fondi, si tutelano i più deboli evitando discriminazioni. I fondi integrativi costituiti nell'ambito dei sistemi contrattuali sono senza fini di lucro e pienamente mutualistici, dunque garantiscono un accesso generalizzato, a prescindere dalla storia medica e dalle condizioni personali degli individui, e arrivano a coprire anche in caso di malattie gravi.
  Migliora la salute dei cittadini, aumentando la tempestività, la frequenza e la qualità delle prestazioni sanitarie, con vantaggi permanenti nel lungo periodo anche sui costi a carico della finanza pubblica. Da ultimo, ma non meno importante per questioni di finanza pubblica, le spese sanitarie rimborsate o erogate per il tramite dei Pag. 23Fondi sanitari integrativi non rientrano tra quelle per le quali è possibile fruire della detrazione d'imposta.
  Si tratta, come si vede, di vantaggi rilevantissimi in tema di efficienza dei servizi pubblici, buona amministrazione e salute della collettività.
  Perché dicevo prima che questa indagine è cruciale anche per il mondo libero-professionale? Innanzitutto per un problema di cultura politica, dove vige un principio di sussidiarietà. Nel dar vita al fondo integrativo contrattuale, le associazioni di liberi professionisti che Confprofessioni raccoglie al suo interno, i sindacati, i lavoratori dipendenti, gli studi professionali hanno avvertito la responsabilità di un accresciuto sostegno socio-sanitario ai lavoratori quale interesse condiviso di un gruppo sociale da tutelare attraverso le forme della loro autonomia organizzativa.
  Riteniamo che il legislatore debba acquisire consapevolezza della spontaneità che ha animato lo sviluppo dei Fondi istituiti all'interno dei sistemi contrattuali e debba sostenere e integrare progressivamente questa organizzazione nella prestazione dei servizi di interesse pubblico.
  Il sistema contrattuale definito dal contratto collettivo nazionale dei dipendenti degli studi professionali stipulato da Confprofessioni e dai sindacati del settore ha istituito alcuni enti bilaterali, funzionali alle diverse esigenze di tutela e valorizzazione del lavoro in questo settore economico e sociale. Tra questi enti di matrice contrattuale vi è Cadiprof, la Cassa di assistenza sanitaria integrativa per i lavoratori di studi professionali, che ha cominciato la sua attività nel lontano 2004.
  Nel panorama nazionale dei fondi integrativi si tratta della prima esperienza di mutualità e assistenza trasversale, realizzata nell'ambito di un contratto collettivo di lavoro, poi recepita in quasi tutti gli altri settori economici, un modello che prevede una contribuzione relativamente contenuta a carico del datore di lavoro, frutto della corresponsione ai lavoratori in forma di assistenza sanitaria integrativa di aumenti retributivi, che sarebbero stati altrimenti riconosciuti.
  Per comprendere fino in fondo il valore sociale di quella scelta orientata al welfare, occorre però calarsi nel contesto tradizionale del lavoro dipendente degli studi professionali. Nonostante gli sforzi della nostra Confederazione per l'espansione organizzativa degli studi, i professionisti italiani erano e restano tuttora ancorati a modelli organizzativi prevalentemente di dimensioni ridotte, spesso individuali.
  In questa realtà, i dipendenti degli studi professionali sono principalmente soggetti con titoli di studio non universitari, raggiungono redditi mediamente bassi e hanno carichi di famiglia. Vi è un'assoluta prevalenza di donne (l'86 per cento) con un'alta concentrazione di lavoratrici in età prossima alla maternità. In questo settore fino a 15 anni fa le donne erano costrette a lasciare il posto di lavoro a causa della maternità ed è proprio in questo contesto socio-economico che, unitamente agli sforzi per lo sviluppo dimensionale degli studi, il CCNL degli studi professionali ha introdotto nel 2004 il fondo sanitario integrativo, riscuotendo una soddisfazione altissimo non solo tra i dipendenti cui le tutele si rivolgono, ma anche tra i professionisti datori di lavoro.
  Oggi Cadiprof ha raggiunto oltre 500.000 iscrizioni con una costante crescita nel corso degli anni, e oggi la popolazione degli iscritti attivi si attesta a 210.000 unità. L'età media della popolazione è passata dai 38 anni iniziali ai circa 43 anni nel dicembre 2018, e dal 2005 ad oggi ha erogato alle lavoratrici e ai lavoratori circa 160 milioni di euro, in massima parte nell'ambito del piano sanitario, che prevede tutta una serie di prestazioni sanitarie (visite, accertamenti, gravidanza, odontoiatria) effettuabili in regime di gratuità o di rimborso, e in quota minore attraverso un insieme di prestazioni sociosanitarie a gestione diretta, a sostegno della famiglia, della maternità, del lavoro, a favore del lavoratore e di specifiche categorie di familiari (figli in età pediatrica, familiari non autosufficienti).
  Queste prestazioni, oltre ai continui aggiornamenti e potenziamento delle garanzie intervenuti nel tempo, dimostrano la capacità della Cassa di orientare la propria Pag. 24offerta di prestazioni e servizi alle specifiche esigenze della popolazione assistita, assecondando il mutato contesto economico e sociale del Paese con interventi fortemente mirati al sostegno della famiglia nella quotidianità, legata ad una nascita o alla cura del neonato, alla condizione di non autosufficienza dei genitori e in generale alla promozione della conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro.
  A dimostrazione dell'efficacia degli interventi eseguiti, il valore delle prestazioni rimborsate dalla Cassa dal 2005 al 2018 mostra una costante crescita, raggiungendo il suo picco massimo nel 2018, quando nel solo piano sanitario si sono superati i 18 milioni di euro. Va aggiunto che i valori dei rimborsi hanno in molti casi un impatto economico elevato sul potere di acquisto di un dipendente degli studi professionali, per esempio nel caso del rimborso delle spese sociosanitarie per familiari non autosufficienti, per cui prevediamo un importo di 1.200 euro l'anno, il dipendente vede aumentare la propria capacità reddituale annua di circa l'8 per cento.
  Tanto il trend generale dei flussi della spesa pubblica e privata in sanità quanto le esperienze maturate sul campo dai fondi integrativi sanitari, molti dei quali illustrati in questa indagine, confermano che occorre valorizzare la presenza di questo pilastro all'interno di una rinnovata strategia integrata.
  I fondi sanitari integrativi di matrice contrattuale avrebbero bisogno di una maggiore considerazione da parte del sistema pubblico, superando l'attuale sistema dell'Anagrafe dei fondi cui ovviamente siamo iscritti anche noi, con relativo controllo formale sul rispetto delle soglie individuate dal Decreto Sacconi, prevedendo piuttosto una Conferenza di partenariato pubblico/privato, con i poteri di indirizzo delle attività dei fondi nella direzione delle esigenze di sostegno e integrazione con il Servizio sanitario nazionale.
  Da diversi anni Cadiprof collabora con strutture sanitarie pubbliche, finanziando l'erogazione alla popolazione sana di prestazioni di prevenzione cardiovascolare e oncologica, per l'individuazione precoce di stati patologici sommersi e la conseguente presa in carico del Servizio sanitario nazionale.
  In questa prospettiva di maggiore sinergia pubblico-privato, anche la rendicontazione della gestione dei fondi potrebbe essere sottoposta a criteri standard e a regole di pubblicità e trasparenza, anche se non attraverso regole imposte dall'alto e uniformi, quanto piuttosto attraverso un'autoregolamentazione la cui compliance sia volontaria e premiale per i fondi.
  Vorrei, infine, richiamare l'attenzione di questa Commissione su un tema che pure è stato oggetto di segnalazione nell'ambito di quest'indagine conoscitiva. Mi riferisco all'accesso dei lavoratori autonomi e liberi professionisti alle forme di assistenza integrativa.
  Il settore degli studi professionali è, infatti, particolarmente adatto per osservare e misurare la differenza che esiste oggi in Italia tra sostegno e supporto della sanità integrativa a favore dei lavoratori dipendenti rispetto ai lavoratori autonomi quali i liberi professionisti.
  La disparità di trattamento tra i lavoratori dipendenti e quelli autonomi e i liberi professionisti risulta del tutto incoerente con un settore come quello delle libere professioni, nel quale il datore di lavoro è nella massima parte dei casi un singolo professionista, il cui reddito personale si colloca su fasce medie rispetto alla curva di redditi in Italia, e che dunque condivide con i propri dipendenti condizioni economiche ed esigenze di tutela.
  Il paradosso è ancora più evidente se si pone attenzione ai dati dell'andamento del lavoro autonomo in Italia, che abbiamo fotografato nel nostro osservatorio delle libere professioni, che fanno registrare una crescita notevole e costante del numero degli occupati nel settore professionale e una contestuale riduzione del reddito pro capite.
  Sono numeri che, al di là dell'ottimismo per la perdurante attrattività del settore, implicano anche un'urgenza, in parte inedita alla luce della realtà esistente fino a pochi anni fa, di politiche di welfare per questi lavoratori e per le loro famiglie. Pag. 25
  Confprofessioni, attraverso l'Ente bilaterale nazionale per gli studi professionali (Ebipro), ha attivato recentemente una serie di coperture di assistenza sanitaria, chiamata gestione professionisti, rivolta ai datori di lavoro e a coloro che iscrivono i loro dipendenti a Ebipro e Cadiprof.
  In conclusione, crediamo pertanto che la ricerca e l'individuazione di una modalità di sostegno dell'accesso dei liberi professionisti e lavoratori autonomi all'assistenza sanitaria integrativa offerta da fondi, casse previdenziali, enti bilaterali e casse mutue sia di massima urgenza, come più volte rappresentato anche attraverso specifiche proposte emendative da Confprofessioni, e debba rappresentare uno degli obiettivi di quest'indagine conoscitiva al fine di prospettare una strategia da perseguire da parte del legislatore nell'immediato futuro.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  CELESTE D'ARRANDO. Ringrazio gli auditi per essere venuti a illustrarci le attività come fondi.
  Formulerò una domanda soprattutto in relazione alle prime due audizioni che ho sentito. È stata fatta una sorta di corollario delle attività che svolgete a livello di fondo, come vi siete costituiti e le caratteristiche del fondo che rappresentate. La domanda che vi faccio è inerente agli obiettivi inserite nel programma dell'indagine conoscitiva: quali sono le criticità nell'attuale scenario dei fondi sanitari integrativi? Voi siete, tra l'altro, di contrattazione collettiva. Non esiste solo questo tipo di fondo sanitario, ma l'indagine conoscitiva è volta anche a capire come eventualmente riformare e quali sono le criticità attualmente presenti nello scenario.
  Per quanto riguarda il dottor Gaetano Stella, relativamente alla presenza dei fondi sanitari integrativi che possono essere utili a far emergere il nero, ritengo che il nero, soprattutto nell'ambito della libera professione, sia dovuto anche a una pressione fiscale. Credo che bisognerebbe lavorare, e lo stiamo facendo come Governo, sulla pressione fiscale per i liberi professionisti, ma anche per le aziende e per le piccole e medie imprese, affinché ci sia meno nero, in modo che i liberi professionisti emettano fattura nel momento in cui erogano una prestazione.
  Purtroppo, si verifica da anni che si fa una cura odontoiatrica, una prestazione sanitaria privatamente, e per pagare di meno, sia tu sia il libero professionista, non si emette la fattura. Il fondo sanitario integrativo, o comunque la sanità integrativa non credo possa rispondere a quest'esigenza.
  Secondo voi, in che modo il legislatore, in questo caso noi, può sostenere e integrare i fondi sanitari integrativi? Vorrei anche che specificaste che cosa intendete per partenariato pubblico-privato, concetto che molto spesso si applica a livello locale per quello che riguarda l'edilizia sanitaria locale e la realizzazione in quell'ambito. Nell'ambito dei fondi sanitari integrativi, vorrei capire come si può coniugare e attuare un tipo di partenariato pubblico-privato.

  ANDREA CECCONI. Ho tre domande da fare a tutti e tre.
  Qualcuno dei fondi è nato prima del 1978, ma i fondi sono nati a seguito dell'istituzione del Servizio sanitario nazionale per trovare una forma complementare e integrativa a quello che è il Servizio sanitario nazionale non riusciva a svolgere e a dare a tutti i cittadini.
  Nel tempo, questa complementarietà è in parte rimasta, al 20 per cento obbligatoria. Tutto il resto è diventato sostitutivo. Dite apertamente che è sostitutivo. In tutto questo vostro giro di audizioni lo dite in maniera lampante. I vostri fondi sono diventati sostanzialmente sostitutivi, e in minima parte integrativi al Servizio sanitario nazionale.
  È chiaro che voi vivete anche molto, come è stato detto all'inizio di quest'audizione, delle detrazioni fiscali in capo al lavoratore o al datore di lavoro. Vivete, quindi, di una fiscalità generale che riguarda sia i vostri lavoratori, i vostri imprenditori, ma anche tutti gli altri. Quei Pag. 26soldi potrebbero andare in altri servizi dello Stato, e invece vanno a sostenere questo tipo di attività.
  Se si dovesse dal punto di vista legislativo aumentare la quota obbligatoria di integrativo dall'attuale 20 per cento al 40 o al 50 per cento, una quota importante, i fondi riuscirebbero a sostenere una modifica legislativa così proposta o sarebbe per voi economicamente o strutturalmente impossibile gestire effettivamente un'integrazione o una sostituzione al Servizio sanitario nazionale?
  In secondo luogo, è noto, nonostante in quest'audizione l'abbia detto soltanto una confederazione, che molti dei vostri fondi sono affiancati anche a compagnie assicurative nella loro gestione, alcuni sì, alcuni no, ma molti sì.
  Ovviamente, le assicurazioni non sono certamente associazioni senza fini di lucro. Sono assicurazioni e lucrano, perché è la loro attività.
  Dai conti a spanne fatti e anche dai dati che avete portato oggi, per esempio i metalmeccanici raccolgono, e poi mi potrete smentire, circa 200 milioni di premio all'anno da parte dei datori di lavoro e ne restituiscono circa 170 milioni in prestazioni effettive. Se sono 156 euro all'anno i premi e 142 le prestazioni, è vero che è quasi tutto, ma siccome i numeri sono tanti, ballano 30 milioni di euro tra quanto si incassa e quanto si restituisce in prestazioni.
  Quei 30 milioni di euro, visto che fanno parte anche di un discorso di fiscalità generale, personalmente – non lo dico soltanto a voi, ma parlo di tanti altri fondi integrativi che hanno questa differenza tra quanto è incassato e quanto è restituito – li trovo poco opportuni. Se fossero 200 milioni e 198, 195 milioni restituiti, è chiaro che comprenderei quei milioni nella gestione amministrativa, nella gestione dei soldi, nella ricerca di convenzioni. Lo capirei, ma 30 milioni che ballano sui 200 milioni mi sembra effettivamente troppo. E questo vale per tanti altri fondi. Sono veramente tanti soldi che vanno in mano a qualcun altro. Francamente, non lo accetterei.
  Che cosa succederebbe se una modifica normativa dicesse che non potete appoggiarvi a enti che, invece, nella gestione di questi soldi lucrano, e lucrano eccome? Voi siete associazioni senza fini di lucro non riconosciute, che comunque non hanno un lucro, hanno un loro statuto e una serie di norme. Questa modifica normativa vi permetterebbe comunque di lavorare?
  L'ultima domanda riguarda la fiscalità generale, e quindi la detassazione.
  È effettivamente tema di questi giorni, anzi di una relazione, tra l'altro fatta nella giornata di ieri da un'associazione importante che tutti gli anni la fa, e che tutti gli anni lo ripete: quest'associazione non ritiene opportuno utilizzare la fiscalità generale per mantenere questi fondi.
  Ora, esistono molti servizi sanitari nei Paesi occidentali. Di servizi sanitari totalmente pubblici ne esistono soltanto due nei Paesi occidentali, cioè il nostro e quello della Gran Bretagna, e nessun altro. Era sopravvissuta fino all'ultimo momento la Spagna, per poi cedere pochi anni fa. Tutti gli altri vanno tra regime mezzi pubblici e mezzi privati o totalmente privati. Esiste già un paese che ha una contrattualistica e una gestione della sanità molto forte, che si chiama Argentina, dove i sindacati fanno sanità vera, e io non vorrei veder ripetere l'esperienza sanitaria argentina in Italia, perché non funziona.
  Non credo, però, neanche alla favoletta per cui possiamo tenere il piede in due scarpe: o teniamo il Servizio sanitario pubblico e, siccome viviamo in un momento di estrema difficoltà su tutto, non solo sulla sanità, ma su tante cose, e il reperimento di fondi è molto complicato, se ci sono fondi bisogna raccoglierli per salvare quello che si vuole salvare oppure decidiamo che non vogliamo più il Servizio sanitario pubblico e vogliamo un servizio sanitario diverso, con una piccola quota pubblica per gli indigenti e la maggior parte della quota privata per chi può permetterselo. A quel punto, ritengo che sia giusto prevedere un'altra forma.
  Se si dovessero ridurre fortemente o eliminare totalmente tutti i benefici fiscali nei confronti delle mutue o di tutte le Pag. 27forme contrattuali integrative sanitarie, quale sarebbe l'impatto nei confronti dei vostri fondi? Ci sarebbe veramente un decadimento dei premi o, secondo voi, i premi continuerebbero ad arrivare, vista la modesta entità? E questo a prescindere dal fatto che sono cose contrattuali, ma i contratti si possono cambiare, esattamente come le leggi, non sono un dogma. Una volta, mi è stato risposto che, siccome c'è il contratto, allora non si può prevedere questa cosa, ma non è proprio così. I fondi riuscirebbero a operare, a lavorare, magari in maniera un po’ più ridotta, ma a lavorare comunque?

  ROBERTO NOVELLI. Ci sono anche da parte mia alcune considerazioni.
  Premetto – ho già avuto modo di dirlo – che io credo che l'offerta di salute ai cittadini possa trovare in un sistema pubblico equilibrato con il sistema privato la giusta risposta. A volte, tendiamo a eccedere un po’, o almeno così la penso io, nei ragionamenti con delle iperboli, per esempio pensando che rafforzare il sistema privato, sia ben chiaro entro certi limiti, depotenzi il sistema pubblico. A questo io non credo.
  Io credo che i due binari debbano viaggiare paralleli e che il pubblico debba pensare a fare il pubblico e a potenziare quello che c'è da potenziare, soprattutto per quanto riguarda le offerte di eccellenza, e il privato possa essere un ottimo partner che compensa quello che il pubblico non riesce a erogare in termini di servizi con la giusta tempestività ed efficacia. Questo non significa uno smantellamento e un depotenziamento del pubblico in rapporto a un rafforzamento del privato.
  Credo che nessuno voglia mettere in discussione l'universalità delle cure e il sistema pubblico dell'offerta sanitaria in Italia, ma credo anche che alla fine sia arrivato un momento di maturità anche da parte delle istituzioni, che, è vero, devono guardare anche a quello che norma questo equilibrio, questo sistema, come ci è stato detto prima, magari pensando a un testo unico, a una riorganizzazione normativa, ma senza rischiare di eccedere nel pensiero che depotenziando il privato o l'offerta che può erogare il privato si possa automaticamente o in qualche modo trarre beneficio dal pubblico.
  Io credo che i fondi sanitari certamente debbano essere controllati, verificati, che debbano essere messi nelle condizioni davvero di far sì che il cittadino si possa fidare di loro e possa ricevere delle risposte.
  In particolare, il dottor Pulcinelli ha illustrato le caratteristiche del fondo dei dirigenti. Non c'è selezione del rischio, non esiste facoltà di recesso, non ha periodi di comporto. Rappresenta, sostanzialmente, l'essenza dell'universalità: arrivi, ti iscrivi perché appartieni a una certa categoria, e automaticamente io non ti faccio le analisi del sangue per capire a che cosa avrai diritto. Questa è un'offerta universalistica, certo all'interno di un sistema chiuso in quanto è un sistema creato e realizzato per un determinato gruppo sociale, per un determinato gruppo di persone.
  Quello che in effetti mi domandavo, ma poi c'è stata quasi una risposta implicita, era come, nel gestire questo fondo che ha caratteristiche sostanzialmente universalistiche, riuscivate a trovare anche un equilibrio finanziario nel momento in cui un'offerta così aperta, massiva poteva indurre il rischio ripetutamente portato all'attenzione di chi parla di queste cose di una sovrabbondanza di richiesta in rapporto alle necessità di cura o di diagnosi del cittadino. Mi avete automaticamente detto che fate selezione, che fate delle verifiche. Questo è uno schema che dal piccolo potrebbe essere applicato anche a sistemi che hanno capienze diverse.
  Vorrei, però, farvi una domanda precisa. Scusate questa lunga premessa, ma le posizioni sono anche politiche all'interno di questa Commissione.
  Il vostro fondo ha circa 100.000 utenti con queste caratteristiche, quindi va dal nord al sud: avete notato che, dove la sanità è più carente, il vostro fondo è più utilizzato, o l'offerta è equilibrata in tutte le aree del nostro Paese? Sarebbe curioso se fosse così. Ci sarebbe quasi una sorta di responsabilizzazione da parte dei partecipanti al fondo, che, indipendentemente da dove si trovino collocati, quindi con un'offerta pubblica Pag. 28 diversificata, hanno lo stesso tipo di atteggiamento. Sto semplicemente dicendo che la sanità pubblica è più carente, quindi io col fondo erogo più prestazioni.

  PRESIDENTE. Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.

  FABRIZIO PULCINELLI, presidente del Fondo assistenza sanitaria dirigenti aziende commerciali (FASDAC). Parto dall'onorevole Novelli, che poi si rivolge direttamente a me.
  In effetti, non vediamo questa grande differenza regionale, certamente in termini pro capite, quantomeno. È ovvio che i nostri dirigenti seguono le concentrazioni industriali, commerciali, quindi ne abbiamo molte di più al nord. In Lombardia c'è quasi la metà dei nostri dirigenti, e quindi lì la spesa è più concentrata, ma non riscontriamo un utilizzo difforme tra le varie zone d'Italia.
  Cerco di riassumere, sperando di aver capito bene.
  Certamente, la maggiore criticità, quello che chiedeva l'onorevole D'Arrando, ci viene dalla crisi, dalle difficoltà del Sistema sanitario nazionale. Laddove questo è meno presente, meno puntuale, c'è un maggior ricorso al FASDAC, quindi la nostra spesa cresce alla fin fine. Questa è forse la maggior crisi che vediamo in questo momento, che peraltro potrebbe essere in parte razionalizzata, mitigata da un convenzionamento, da una maggiore integrazione.
  Ho detto anche nel mio intervento che siamo assolutamente disponibili a integrarci col Sistema sanitario nazionale. Ci proviamo soprattutto dove ci sono quelle numerose eccellenze, quelle numerose realtà importanti. Vedremmo con grande favore anche un aiuto istituzionale. Abbiamo partecipato al ministero ad alcuni incontri in questo senso proprio per giungere a un sistema di convenzionamento più ampio e più diffuso. Questo porterebbe un beneficio indubbio anche allo stesso Sistema sanitario, che potrebbe raccogliere delle risorse, le nostre risorse, per sue attività specifiche. Contribuiremmo direttamente al mantenimento del sistema.
  Quanto all'aspetto dell'evasione fiscale, incidentalmente, le nostre prestazioni sono tutte tracciate. Quelle centinaia di milioni di spesa sono tutte spese assolutamente tracciabili dall'inizio alla fine. Questo credo sia un merito dei fondi sanitari.
  L'onorevole Cecconi accennava alla crescita della quota Sacconi.
  Certamente, questo ci crea delle criticità, non c'è dubbio, ci costringerebbe a riorientare completamente il nostro attuale modello rimborsuale. Sicuramente, non siamo felici di una cosa di questo genere. Non lo nascondiamo, perché è evidente che andiamo anche a fare delle prestazioni sostitutive del sistema sanitario. Questo è indubbio, è innegabile. Andiamo, però, forse a colmare soprattutto quelle lacune che il sistema sanitario ha in termini di liste d'attesa, di risposte veloci a certe esigenze, a certe diagnosi che necessitano di integrazioni, di un approccio multidisciplinare. Per quel che mi riguarda, per quello che riguarda il fondo, siamo contrari, per quella che può essere la nostra opinione, a una crescita della quota.
  Quanto al discorso del rapporto tra gli incassi e quanto viene poi ristornato in termini di rimborsi, per quel che riguarda il nostro fondo, abbiamo delle spese gestionali intorno al 6 per cento, che riteniamo essere un ottimo livello. Abbiamo un 12 per cento delle quote incassate che vanno in riserva. Vuol dire che ristorniamo direttamente l'80 per cento. L'80 per cento dell'incassato finisce in rimborsi di pratiche. Un ulteriore 12 per cento finisce in riserva, cioè in futuri rimborsi. Direi, quindi, che è il 92 per cento.
  Quanto alla fiscalità, la fine del sistema degli incentivi fiscali per noi comporterebbe in prima battuta sicuramente un incremento del costo del lavoro qualora si volesse mantenere gli attuali livelli di contribuzione. Come ricordavo all'inizio, il fondo nasce da una conversione di aumenti di stipendio, di aumenti salariali, in tutele. Dovendo in parte diminuire quest'apporto, i lavoratori dovrebbero richiedere un intervento del datore di lavoro. Francamente, non è certo un momento buono per questo. Diversamente, questo comporterebbe una Pag. 29minore capacità rimborsuale del fondo stesso.
  Quanto alle assicurazioni, il nostro fondo non utilizza forme di copertura assicurativa e non le ha mai utilizzate in passato.

  MICHELA SPERA, vicepresidente del Fondo sanitario lavoratori metalmeccanici (MètaSalute). Relativamente alla domanda sulle criticità nella situazione di oggi, noi auspicheremmo l'emanazione di una normativa specifica che disciplini l'attività dei fondi.
  Ovviamente, nella nostra situazione abbiamo fatto riferimento a un'esperienza contrattuale che come parti istitutive abbiamo fatto, ed è riferita alla previdenza complementare, dove c'è un organo di vigilanza competente in materia. Sicuramente, dal nostro punto di vista, questo sarebbe un intervento importante, ma la normativa dovrebbe tener conto del fatto che il nostro fondo è di origine contrattuale, con delle parti istitutive dentro un rinnovo contrattuale.
  Il terzo aspetto è quello che riguarda il rapporto con le strutture pubbliche.
  Abbiamo avuto come fondo anche un incontro al Ministero della salute. Non è semplice la convenzione con le strutture sanitarie pubbliche, perché c'è una questione di costi, di adeguatezza delle strutture, di criteri con cui individuare i centri di eccellenza, di sapere che su tutto il territorio nazionale ci sono intere zone dove queste strutture sono carenti. Da questo punto di vista, un intervento ministeriale che facilitasse questa possibilità... Il ragionamento che i metalmeccanici hanno fatto – lo dico con parole semplici – è che noi avremmo interesse che tutto questo insieme di risorse rientrasse nel pubblico per qualificare il pubblico. È chiaro che, però, questo è un processo che va accompagnato anche attraverso linee di indirizzo che aiutino i fondi a percorrere questa strada.
  Vorrei riprendere alcune considerazioni in modo molto sintetico, ma sicuramente un intervento legislativo e di linee di indirizzo che aiuti i fondi a svolgere bene un ruolo di sanità integrativa aiuterebbe le scelte che abbiamo fatto dal punto di vista contrattuale.
  Riprendo poi alcune questioni relative alle prestazioni integrative o sostitutive.
  Il direttore mi dava adesso alcuni dati: complessivamente, le prestazioni integrative di MètaSalute sono pari al 55 per cento delle prestazioni fatte. Di queste, il 30 per cento è legato all'odontoiatria, ma le altre sono comunque quelle che la norma attuale individua come prestazioni integrative. Sono in grado, però, di dare alcuni dati.
  Dicevo nel primo intervento che ci siamo avvalsi di una nostra consulenza attuariale e abbiamo lavorato. È vero che abbiamo pochi mesi alle spalle, poco più di un anno, ma abbiamo una platea molto ampia di iscritti e di situazioni. Abbiamo lavorato anche su quali sono state le prestazioni richieste.
  Pur avendo la stragrande maggioranza dell'industria metalmeccanica insediata nei territori del centro-nord, e del nord in particolare, nel nord-est, abbiamo modelli di consumo totalmente diversi, molto più elevati in zone quali la Puglia, la Campania e il Lazio, rispetto a Lombardia, Veneto, Emilia e Piemonte, probabilmente perché si fa i conti con una risposta della sanità pubblica in termini di liste di attesa – non dico niente di nuovo, credo, in questo luogo – di difficoltà più in generale. Se penso ai lavoratori dell'Hitachi di Reggio Calabria, qualche difficoltà ce l'hanno. Sicuramente, MètaSalute ha rappresentato da questo punto di vista una risorsa per i lavoratori metalmeccanici e per i loro familiari.
  Aggiungo che, proprio perché prevede la copertura del piano sanitario anche per i familiari a carico, personalmente – lavoro molto su queste cose – mi sono resa conto che, mentre i familiari a carico in alcune zone sono in un rapporto di un familiare a carico ogni tre lavoratori dipendenti, in altre zone il rapporto è di un familiare a carico per ogni lavoratore dipendente. Anche questo aiuta a dire che è integrativo e più universale in alcuni territori che in altri, ma non sono i territori più ricchi quelli in cui è più universale. È più universale Pag. 30 nei territori dove ci sono più difficoltà dal punto di vista delle prestazioni.
  Non so quale sia la fonte dell'onorevole Cecconi, ma conosco i conti dei premi entrati, che sono stati pari a 187 milioni di euro, mentre i premi spese sono stati pari a 175, con un delta di 12 milioni, di cui 3 messi a riserva per poter un domani forse, se riusciamo ad avere l'esperienza e la patrimonializzazione, in modo da poterci prendere il rischio sulle nostre spalle, fornire prestazioni in prima persona invece che scaricare il rischio su una compagnia assicurativa. Non avendo alcuni di noi – lo abbiamo dichiarato – per svolgere il ruolo, alcun conflitto di interesse nel consiglio di amministrazione, stiamo solo ragionando in termini concreti su quello che si può fare e quello che non si può fare.
  Aggiungo, sulla questione di eventuali diversi equilibri tra l'integrazione e la sostitutività delle prestazioni, che la convinzione profonda di chi ha istituito il fondo MètaSalute e di chi ha responsabilità nella governance del suo fondo è che c'è un sistema sanitario pubblico, che fa le sue scelte, deve funzionare.
  Essendo noi una sanità integrativa, in funzione di questo adeguiamo le scelte del fondo per essere integrativi a quello che fa il Sistema sanitario pubblico. Se si accorciano le liste di attesa e si alzano le percentuali di prestazioni integrative, le cose vanno bene. Se si alzano solo le percentuali di prestazioni integrative e rimane sostanzialmente un sistema che dal punto di vista delle liste di attesa o della risposta in alcuni territori, e su questo non dico niente di nuovo... Non sarebbe una scelta di sanità universale quella fatta già dal punto di vista generale.
  L'ultimissima cosa riguarda la questione degli sgravi fiscali.
  Il lavoro dipendente quanto copre in termini di IRPEF? Il 90? Mi sembra che il lavoro dipendente contribuisca in modo consistente alla fiscalità generale. Sono 156 euro, su cui ci sono le agevolazioni fiscali. Sicuramente, è una forma molto apprezzata dai lavoratori per poter avere una risposta in termini di servizi che fa un po’ di giustizia fiscale.

  GAETANO STELLA, presidente di Confprofessioni e di Cadiprof. Darò io alcune risposte e altre ne darà il dottor De Gregorio.
  Innanzitutto, e mi rivolgo all'onorevole D'Arrando, per quanto riguarda il partenariato. Potrebbe esserci un tavolo presso il Ministero della salute con la partecipazione delle parti sociali o potrebbe essere anche con l'intervento dei fondi integrativi, in modo da confrontarsi su che cosa fa il pubblico e che cosa fa il privato. In questo modo, si potrebbe programmare una politica di indirizzo e si potrebbero evitare le cosiddette sovrapposizioni, oggi chiamate sostituzioni.
  Credo che di sostituzioni non ce ne siano molte. Io parlo ancora di sanità integrativa da parte dei fondi sanitari. Se il pubblico talvolta non eroga prestazioni che dovrebbe erogare, ma che non è in grado di erogare, e le eroga il privato, fortuna che ci sono i fondi integrativi che coprono questa mancanza. Il più delle volte noi eroghiamo prestazioni di tipo integrativo.
  Si poneva prima la domanda se potremmo elevare la percentuale di quello che oggi prevede il decreto Sacconi del 20 per cento portandolo a un livello superiore. Bisogna vedere che cosa inseriamo dentro. Non è che ci preoccupi questo. Fin dall'inizio, per esempio, visto che abbiamo detto che abbiamo il 90 per cento di donne e una media dell'età degli iscritti molto bassa, inferiore ai quarant'anni, abbiamo cercato di puntare molto sulla prevenzione, prevenzione non ricompresa nel Decreto Sacconi, che prevede altre tipologie di intervento.
  In questo caso, invece, è molto apprezzata da parte dei giovani, e credo che ci sia anche un avvicinarsi alla prevenzione non coperta dal Servizio sanitario nazionale, salvo non ci sia l'insorgere di particolari patologie.
  Noi abbiamo avuto anche delle sinergie col pubblico, e ci siamo riusciti perché abbiamo avuto la possibilità di dialogare con direttori di ASL particolarmente attenti. Abbiamo inserito un percorso di prevenzione anche cardiovascolare e oncologica proprio per far emergere eventuali Pag. 31problematiche e intervenire in tempo su casi particolari, peraltro anche emersi.
  Credo che si possa gestire meglio l'intero apparato confrontando meglio il pubblico col privato, ma anche il pubblico deve potersi confrontare. Spesso, le regioni non sono sensibili a confrontarsi con il privato, anche se il privato è un fondo sanitario integrativo.
  Per quanto riguarda la questione delle assicurazioni, noi siamo un sistema misto, abbiamo il livello assicurativo con prestazioni dirette. Noi consideriamo, però, le assicurazioni come prestatori che svolgono dei servizi e possono garantire delle economie di scala. Evidentemente, quando abbiamo centinaia di migliaia di soggetti, difficilmente possiamo gestirli con una centrale operativa nostra, per cui ci avvaliamo di quella centrale operativa che ha l'assicurazione.
  I grandi rischi sicuramente sono di tipo assicurativo e anche nella gestione di quest'operazione. Tutto il resto, invece, viene gestito direttamente. Credo, quindi, che ci debba essere un sostanziale equilibrio tra le prestazioni dirette e le prestazioni indirette.
  Abbiamo poi un bilancio come cassa di assistenza sanitaria, e quanto alla differenza che si richiamava tra prestazioni e premi assicurativi pagati, nel bilancio che facciamo con spese di gestione molto basse abbiamo accantonato riserve delle somme che poi abbiamo utilizzato anno dopo anno per far fronte a interventi di tipo diretto, quelli che noi chiamiamo interventi di tipo socio sanitario. Può trattarsi, appunto, di rimborsi per non autosufficienza, asili nido, spese pediatriche, procreazione medica assistita. C'è una serie di altri interventi che abbiamo fatto noi direttamente come cassa senza ricorrere alle assicurazioni.

  LUCA DE GREGORIO, direttore generale di Cadiprof. Mi sembra che il presidente abbia risposto quasi su tutto.
  Aggiungo, onorevole Novelli, sulla differenza di offerta sul territorio, che la Cadiprof ha un piano sanitario nazionale e un intervento a livello uniforme su tutto il territorio nazionale. Su alcune realtà locali siamo intervenuti con accordi a livello contrattuale, ovviamente di secondo livello, che hanno previsto per i lavoratori e per i datori di lavoro la possibilità di scegliere delle forme di assistenza che possano essere più adatte alle realtà di quel territorio. Uno tra questi è l'Alto Adige, dove abbiamo fatto degli accordi con le mutue locali. Il Servizio sanitario ha livelli differenti in Alto Adige rispetto al resto del territorio nazionale. Abbiamo valutato queste differenze e dato un'offerta di servizi molto differenziata.
  Lo stesso presidente accennava al discorso del rapporto pubblico-privato. Dove sul territorio nazionale abbiamo trovato delle eccellenze, da questo punto di vista, siamo riusciti anche a fare degli accordi.
  Direi, avendola vissuta in prima persona, che la difficoltà non è stata tanto nell'individuazione delle prestazioni o dei livelli di qualità del servizio, che più o meno possono essere rintracciati su tutto il territorio nazionale, quanto piuttosto nell'organizzazione dei centri pubblici, delle strutture di assistenza pubblica, dove ovviamente il rapporto col privato non è all'ordine del giorno, se non con il discorso dei paganti, e dove quindi possono essere realizzati degli accordi di gestione comune di alcune parti di prevenzione (cardiovascolare, oncologico) solo se c'è un'efficienza amministrativa adeguata. Il Veneto, in particolare, è uno dei territori in cui abbiamo riscontrato questa efficienza.

  PRESIDENTE. Ringraziamo i nostri ospiti per il contributo.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA)

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA).
  Saluto i nostri ospiti, ringraziandoli per aver accolto l'invito della Commissione a partecipare all'audizione odierna. Sono presenti, per l'ANIA, Maria Bianca Farina, presidente, Luigi Di Falco, dirigente responsabile Pag. 32 direzione protezione, guida e welfare, e Antonella Azzaroni, direttore relazioni istituzionali.
  Pregherei i nostri ospiti di contenere il proprio intervento entro i dieci minuti per dare modo ai deputati di porre delle domande, cui seguirà poi la replica.
  La documentazione depositata o fatta pervenire successivamente sarà resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera e pubblicata sul sito Internet della Camera dei deputati.
  Do la parola alla presidente Maria Bianca Farina per lo svolgimento della sua relazione.

  MARIA BIANCA FARINA, presidente dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici. Signor presidente, onorevoli deputati, desidero innanzitutto ringraziarvi per aver concesso ad ANIA quest'opportunità di poter fornire il proprio contributo sull'indagine conoscitiva che state effettuando sui fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale.
  Come ben sapete, l'articolo 32, primo comma, della nostra Costituzione recita che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti.
  Proprio la nostra Carta costituzionale, quindi, pone l'accento sulla centralità di questo bene salute nell'ambito della tutela della persona e, allo stesso tempo, pone l'accento sulla rilevanza del Sistema sanitario nell'ambito dell'organizzazione complessiva del sistema di sicurezza sociale.
  In quest'ottica, riteniamo che sia un dovere del settore assicurativo fornire un contributo al dibattito in corso, non solo da un punto di vista economico, ma anche in una prospettiva sociale in considerazione – vorrei sottolinearlo – della mission di protezione dei principali beni della vita delle persone, che rappresenta la ragione più profonda della nostra professione.
  Gli attuali studi e le proiezioni di spesa in ambito sanitario mostrano come le dinamiche evolutive della popolazione italiana, che ben conoscete, e l'adeguamento alle innovazioni scientifiche e tecnologiche, le aspettative dei cittadini in termini di qualità del servizio e di tempi di erogazione dei servizi, determinino un costante e generale innalzamento dei costi di assistenza.
  L'Italia è, infatti, tra i Paesi più longevi d'Europa e del mondo, si colloca al secondo posto dopo la Svezia, per la più elevata speranza di vita alla nascita per gli uomini, di 80,3 anni, e al terzo posto, dopo Francia e Spagna, per le donne, 84,9 anni, rispetto a una media europea, rispettivamente di 77,9 anni per gli uomini e 83,3 per le donne.
  Tuttavia, come osservato dal nostro Istituto superiore di sanità, vivere a lungo non vuol dire necessariamente vivere bene. Esaminando, infatti, la speranza di vita senza limitazioni dovute a problemi di salute, l'Italia si colloca in quindicesima posizione, al di sotto della media europea. In particolare, è in crescita il numero degli italiani con limitazioni fisiche, che non sono in grado quindi di svolgere da soli attività quotidiane semplici, come telefonare o preparare i pasti. Queste persone hanno evidenziato una crescita del 4,6 per cento tra il 2015 e il 2016.
  Il fenomeno della cronicità è in costante e progressivo aumento. Secondo dati del 2013, il 38 per cento dei residenti in Italia dichiarava di essere affetto da almeno una delle principali patologie croniche. Nel 2016, la percentuale sale al 39,1 per cento. Tutto ciò, ovviamente, porta come conseguenza la necessità di ulteriori risorse sanitarie, economiche e sociali.
  Tende a incrementarsi, inoltre, la compresenza in un medesimo paziente di più di una di queste malattie. La prevalenza di pazienti con multicronicità risulta in crescita dal 2012 (22,4 per cento) al 2016 (25,1 per cento). Questa prevalenza è più elevata nel genere femminile rispetto a quello maschile. Nel 2016 è pari, rispettivamente, al 28,7 per le donne e al 21,3 per gli uomini.
  La spesa sanitaria privata dei cittadini italiani risponde in grandissima parte a quest'universo in espansione, e in particolare connota i Paesi più longevi del continente europeo, e per questo motivo che la messa a punto di regole adeguate per la gestione della spesa sanitaria privata dei cittadini e la valorizzazione del possibile Pag. 33contributo che può essere garantito in questo campo dalla sanità integrativa, rappresenta un obiettivo di assoluto rilievo nel dibattito attualmente in corso sulla tutela della salute dei nostri cittadini.
  Nel 2018, la spesa sanitaria privata degli italiani ha raggiunto sostanzialmente quota 40 miliardi (39,7, per la precisione), confermando un trend di crescita ormai consolidato nell'ultimo decennio e che, secondo le stime più accreditate, nell'ultimo anno ha riguardato più di due italiani su tre. Stiamo parlando, quindi, di 44 milioni di persone.
  La spesa sanitaria privata si presenta, quindi, come una componente strutturale nei percorsi di cura degli italiani, che si estende in modo omogeneo da nord a sud e che non riguarda solo i redditi più elevati, ma anzi colpisce soprattutto i cittadini con minori disponibilità economiche e più fragili dal punto di vista sanitario.
  Si tratta, infatti, di un fenomeno caratterizzato da un'evidente regressività, passando da un'incidenza di oltre il 3 per cento per i cittadini con reddito più basso a meno dell'1 per cento per i redditi più elevati.
  La necessità di ricorrere alla spesa sanitaria privata, peraltro, aumenta al crescere dei bisogni di cura. Il 58 per cento delle cure acquistate privatamente riguarda i cronici, il 15 per cento le persone con patologie acute e per oltre il 12 per cento i non autosufficienti inabili, per i quali peraltro è molto rilevante anche il contributo della cosiddetta assistenza informale garantita dalle famiglie e dalle badanti.
  Il costo medio pro capite sostenuto dagli anziani (1.356 euro annui), generalmente penalizzati da situazioni reddituali meno favorevoli, è più che doppio rispetto a quello registrato per tutti i cittadini. Sarebbe, perciò, un errore pensare che i cittadini paghino le cure di tasca propria solo nelle regioni in piano di rientro o dove comunque il Servizio sanitario nazionale presenta maggiori difficoltà a garantire i LEA.

  PRESIDENTE. Presidente Farina, mi scusi se la interrompo, ma le chiederei, se possibile, la cortesia di concentrarsi sulle parti che ritenete essenziali.

  MARIA BIANCA FARINA, presidente dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici. Credevo fosse utile per la Commissione darvi degli elementi numerici.

  PRESIDENTE. Sicuramente, ma purtroppo facciamo i conti anche con i tempi che vi ho fatto presente.

  MARIA BIANCA FARINA, presidente dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici. Vorrei soltanto farvi presente la connotazione della spesa sanitaria, come si articola rispetto al reddito.
  Abbiamo visto che ha un'incidenza sostanzialmente uguale rispetto ai tipi di malattie e rispetto anche alla regione in cui si vive.
  Altra cosa importantissima è che, fatta cento la spesa sanitaria privata, solo poco più del 10 per cento di questa è intermediata, e cioè affidata a strumenti che utilizzano la mutualità. Per il resto, è tutta connotata da esborsi diretti dei cittadini che attingono al reddito o al risparmio, fin quando c'è. Nel momento in cui reddito e risparmio non ci fossero, potrebbero mettere la persona addirittura nelle condizioni di non poter accedere alle cure.
  Prendiamo atto che oggi la spesa privata delle famiglie è alta, è strutturale e, ripeto, soltanto per una piccola parte è intermediata. Le forme sanitarie integrative finanziano, infatti, poco meno di 5 miliardi di euro di spesa privata, per cui, di quei 40, soltanto 5 sono intermediati.
  L'attuale impianto della sanità integrativa risale a oltre venticinque anni fa. Tutti i fondi sanitari, a prescindere dalla propria fonte istitutiva, sono enti che non possono perseguire scopi di lucro. Gli stessi fondi sanitari istituiti dagli attori di natura collettiva si avvalgono – è opportuno sottolinearlo – nella maggior parte dei casi delle imprese assicurative per garantire la sostenibilità economica dei propri piani sanitari, attesa la natura inflattiva della spesa sanitaria privata e la naturale crescita dei costi assistenziali collegati al progressivo invecchiamento degli assistiti.
  Per quanto concerne la dicotomia tra forme sanitarie collettive e forme sanitarie Pag. 34individuali, mi sembra importante sottolineare che le polizze sanitarie individuali operano al di fuori del settore dei fondi sanitari, e quindi della disciplina del decreto legislativo n. 502, ma non perché si tratti di prodotti deregolamentati, bensì perché assoggettati da una normativa diversa e – permettetemi di dirlo – ben più strutturata di quella attualmente prevista per i fondi sanitari così come definita dal codice delle assicurazioni.
  Faccio un veloce cenno al regime fiscale attualmente goduto o soggetto per la sanità integrativa. Dal punto di vista tributario, i fondi si distinguono tra quelli esclusivamente integrativi e quelli per i quali è previsto l'obbligo di destinazione di almeno il 20 per cento delle proprie prestazioni a cure odontoiatriche o a coperture assistenziali. Entrambi i fondi, quindi sia quelli totalmente integrativi sia quelli che integrano per il 20 per cento, godono di vantaggi di deducibilità fino a 3.615,20 euro ogni anno.
  È opportuno tener conto che, come ribadito a fine 2014 dall'Agenzia delle entrate, il beneficio fiscale per i contributi versati a enti e casse è riservato solo ai percettori di reddito dipendente che abbiano aderito al fondo stesso per via di un accordo collettivo, anche aziendale, o in base a un regolamento aziendale. Pertanto, ai lavoratori autonomi o ai percettori di altri redditi che vogliano iscriversi su base individuale a enti e casse è precluso qualsiasi beneficio fiscale.
  Proprio questa situazione fa sì che la quota di lavoratori dipendenti che beneficiano già di una forma di sanità integrativa sia pari al 50 per cento del totale, mentre la quota di soggetti assistiti sul totale della popolazione italiana si riduce al 20 per cento. Paradossalmente, quindi, quest'impianto normativo che penalizza fiscalmente tutti i cittadini che non beneficiano delle tutele e della contrattazione collettiva, taglia fuori proprio quelle persone che più degli altri avrebbero bisogno di sanità integrativa. Questo mi pare un punto importante di cui tener conto.
  Vorrei focalizzare adesso il ruolo del settore assicurativo nella sanità integrativa.
  Dico subito che nel nostro Paese le polizze sanitarie vengono assicurate da imprese autorizzate dal nostro istituto vigilanza, l'IVASS. Nell'esercizio 2018, i premi contabilizzati dalle imprese sono stati pari a 2,9 miliardi, in crescita del 7 per cento – questo è il primo anno in cui si è vista un po’ di crescita – rispetto all'anno precedente, ma questa crescita è ascrivibile al segmento delle polizze collettive.
  Tenete conto di questo: oggi, oltre il 58 per cento delle risorse raccolte dal settore della sanità integrativa è gestito attraverso imprese di assicurazione, quindi i fondi acquisiscono, ma poi i rischi passano alle imprese di assicurazione. Oltretutto, l'85 per cento dei fondi sanitari di origine contrattuale assicura le prestazioni comprese nei propri piani sanitari con le imprese proprio per garantirne la sostenibilità nel tempo. Questo mi sembra un punto di cui tener conto.
  Il 74 per cento della raccolta premi del ramo salute afferisce, quindi, a polizze collettive, a quei prodotti utilizzati da fondi sanitari integrativi, aziende pubbliche, enti previdenziali, per assicurare i propri piani sanitari. L'acquisizione da parte delle imprese avviene attraverso gare o selezioni privata a seconda del soggetto che poi vede questa forma di assicurazione.
  Quanto al segmento delle polizze individuali, di quei 2,9 miliardi, soltanto il 25 per cento si riferisce a polizze individuali. Questo segmento si caratterizza per piani sanitari che presentano un maggior livello di standardizzazione e per il coinvolgimento nella distribuzione del prodotto delle reti agenziali e, in misura ancora contenuta, delle reti bancarie, che consentono ai cittadini la possibilità di accedere su tutto il territorio nazionale a questi strumenti ed anche a consulenza su una materia molto complessa.
  Qui ho dei dati sulle polizze che forse potete leggere. Ve ne risparmio la lettura in questo momento. Mi pare, invece, importante sottolineare che la funzione economica e sociale svolta dalla sanità integrativa richiede un'adeguata considerazione delle tematiche relative alla stabilità e alla sostenibilità dei piani sanitari messi a disposizione Pag. 35 delle forme sanitarie integrative. La certezza e l'effettiva esigibilità dei livelli assistenziali offerti agli assistiti rappresentano, infatti, elementi fondamentali per poter qualificare il ruolo delle forme sanitarie integrative nell'ambito del sistema di sicurezza sociale del nostro Paese.
  In quest'ottica, i fondi sanitari hanno bisogno di dotarsi, non solo di mezzi patrimoniali adeguati in relazione al complesso degli impegni assunti, ma di attività patrimoniali supplementari per poter fronteggiare nel tempo i costi del finanziamento delle prestazioni oggetto dei propri piani.
  Di fronte a queste esigenze, il settore assicurativo si pone da sempre come interlocutore professionale di riferimento, mettendo a disposizione la propria capacità tecnico-attuariale e la propria forza finanziaria per garantire la solvibilità delle forme sanitarie integrative, e in particolare dei fondi sanitari contrattuali.
  Al di là del supporto economico che può essere messo a disposizione delle forme di sanità integrativa, di particolare rilevanza strategica può essere anche l'apporto delle imprese assicurative nella governance della spesa sanitaria. Questo è un tema da non sottovalutare.
  Il settore assicurativo, infatti, può fornire un contributo fondamentale nell'organizzazione della domanda dei cittadini di cure non erogate dal Sistema sanitario nazionale, nell'acquisto mediante modelli di negoziazione accentrata delle prestazioni sanitarie erogate dalle strutture private, nell'indirizzamento e nel governo dei flussi di spesa per garantire maggiore appropriatezza di quella spesa privata.
  Nella prospettiva di un auspicabile ampliamento del ruolo della sanità integrativa nel nostro Paese, è importante quindi tener presente che non esiste nei fatti alcuna contrapposizione o alternatività tra imprese assicurative e fondi integrativi. Proprio lo sviluppo delle polizze collettive, che condividono in tutto e per tutto lo stesso impianto assuntivo dei fondi sanitari, è infatti la miglior garanzia per la sostenibilità degli stessi.
  Il settore assicurativo, inoltre, come già avvenuto nel campo della previdenza complementare, può svolgere un importante ruolo di completamento del sistema mettendo a disposizione, attraverso i fondi sanitari aperti alle polizze sanitarie individuali, una risposta adeguata per tutti quei cittadini che non abbiano la possibilità di aderire a forme sanitarie integrative collegate alla propria attività professionale.
  Troviamo – fatemi dire che è abbastanza scontato – che la previdenza integrativa è più diffusa nelle zone del nord che in quelle del centro e del sud. Questo si spiega col fatto che è molto connessa al lavoro dipendente, e quindi con una maggiore presenza industriale nelle zone del nord piuttosto che del sud.
  Abbiamo detto, quindi, che la spesa privata è una realtà, peraltro non solo italiana, ma di tutti i Paesi occidentali, molto alta, ma quello che connota la nostra spesa privata, quella italiana, è che è poco mutualizzata.
  Che cosa proponiamo? Che si acceda di più alla mutualità e che si pensi a un sistema multipilastro della sanità, abbastanza simile a quello del sistema pensionistico, nel quale trovino spazio, ovviamente alle condizioni stabilite, i fondi sanitari chiusi, come sono quelli di categoria, i fondi sanitari aperti, ai quali possono accedere tutte le persone che non hanno una categoria cui fare riferimento, e le polizze individuali, a condizione che abbiano le caratteristiche che la sanità integrativa richiede.
  Si tratta, quindi, di pensare, e questa è la nostra proposta, a un sistema sanitario multipilastro, che non è un modello nel quale tutti i cittadini ricevono cure privatamente, ma un sistema di finanziamento aggiuntivo, rispetto al quale intermediare la spesa sanitaria per le prestazioni erogate al di fuori del Sistema sanitario nazionale. Quest'impostazione darebbe, a nostro parere, molti vantaggi.
  In conclusione vorrei dire che in una prospettiva di intermediazione della spesa privata attraverso un sistema multipilastro aperto a tutti, come già avvenuto – lo dicevo – in campo pensionistico, potremmo istituzionalizzare l'integrazione delle tutele già garantite dal sistema pubblico secondo Pag. 36un modello coerente con i princìpi e con i valori del nostro sistema di sicurezza sociale.
  Attraverso la disponibilità per tutti i cittadini – mi sembra utile sottolinearlo – si potrebbe realizzare un sistema caratterizzato da una vigilanza pubblica e una gestione privata in grado di assicurare una maggiore efficienza delle relazioni tra erogatori di prestazioni e cosiddetti terzi paganti, destinando risparmi per migliorare la tutela della salute dei cittadini. Quest'impianto consentirebbe di rendere disponibili risorse aggiuntive nelle aree del Paese con livelli assistenziali meno elevati.
  Siamo profondamente convinti che una spesa sanitaria privata intermediata attraverso un sistema multipilastro, non solo sia più equa rispetto a una spesa sanitaria privata individuale, come è oggi, ma anche più sostenibile ed efficiente. La salute è da sempre uno dei beni di maggiore importanza per tutti i cittadini.
  In quest'ottica – mi preme dichiararlo – il settore assicurativo, che da sempre si caratterizza per una vocazione di protezione delle persone, è pronto a cooperare con le migliori forze del Paese, mettendo a disposizione la propria capacità di investimento, la propria solidità finanziaria, le proprie capacità tecniche per garantire oggi e alle future generazioni un sistema sanitario sano, equo e sostenibile.
  Signor presidente, onorevoli tutti, il nostro settore è a vostra totale disposizione per ogni eventuale richiesta di approfondimenti che potranno essere utili a quest'indagine e anche per collaborare al fine della costituzione di un'eventuale partnership pubblico-privato in sanità, partnership che potrebbe trovare un primo ambito di applicazione nell'aggiornamento del patto per la salute attualmente in corso.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANDREA CECCONI. Parto dalla spesa out of pocket, quella che fanno direttamente i cittadini.
  È una spesa che esiste, in alcuni aspetti anche problematica, e forse bisogna trovare una soluzione, ma dentro c'è veramente tutto, anche quello che non è appropriato, integratori alimentari, erboristeria, omeopatia. In quei 40 miliardi c'è una fetta molto ampia. I cittadini sono liberi di spendere i loro soldi in quella che non è neanche una prestazione, ma in farmaceutica, o di ricevere prestazioni che nessuno gli ha prescritto, ma che sono liberi di fare, ma questo non deve riguardare né la fiscalità generale né tanto meno il Servizio sanitario nazionale. Diciamo che è un problema culturale importante da affrontare in un'altra sede.
  Ora, quella parte di out of pocket è mediata in una piccola percentuale nel nostro Paese, voi dite 5 miliardi su 40. Voi, che ovviamente fate assicurazione, dite «purtroppo», qualcun altro dirà «per fortuna».

  MARIA BIANCA FARINA, presidente dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici. Poi mi deve spiegare perché «per fortuna». Faccio fatica.

  ANDREA CECCONI. Adesso, le spiego la mia posizione.
  Non c'ero prima del 1978, quindi ho potuto leggere soltanto dai libri di storia e dai resoconti quello che c'era prima, perché è fallito quello che c'era prima, perché quelli che stavano seduti a questo posto molto prima di me hanno deciso di sopperire agli errori del passato creando il Servizio sanitario nazionale.
  Noi avevamo già nel nostro Paese un sistema mutualistico. Tutti erano con le mutue. Ogni categoria professionale aveva la sua mutua. Le categorie professionali più ricche avevano prestazioni più onerose, quelle più povere meno onerose. Erano carrozzoni che disperdevano molte risorse in organizzazione. Alla fine, si è arrivati al punto in cui, siccome le mutue non coprivano tutti, siccome erano molto onerose, molte delle mutue erano sul lastrico, avevano debiti insostenibili per una domanda di salute aumentata da parte della popolazione, si è pensato, giustamente dal mio punto di vista, di creare l'assicurazione più Pag. 37grande al mondo, il Servizio sanitario nazionale, durato quarant'anni nel nostro Paese, che tuttora è l'assicurazione sanitaria più grande al mondo.
  Ora, voi sostenete che è adeguato ripristinare il vecchio sistema mutualistico, che è quello che c'è, e anzi chiedete che il sistema venga allargato a tutti i cittadini, cioè che non soltanto i metalmeccanici perché hanno un contratto collettivo, i dirigenti perché hanno un contratto collettivo, possano accedere a queste assicurazioni che funzionano come delle mutue, ma che sia allargato a tutti i cittadini.
  Se devo allargare la cosa a tutti i cittadini, ho già l'assicurazione per i cittadini. Se devo trovare le risorse per permettere a chiunque un'agevolazione fiscale, per chi non ha risorse mettere le risorse pubbliche, per permettere a tutti di aderire a un sistema assicurativo di tipo mutualistico e privato, allora uso quelle risorse per far aderire a quello a cui i cittadini sono già aderenti, ossia il mio Servizio sanitario nazionale. Uso quelle risorse per migliorare un servizio che già ho e che in qualche parte è carente.
  Il concetto di base che contesto, non a voi, ma in generale, in tutta la discussione, è che secondo il vostro punto di vista, anche giustificato sotto un certo profilo, il sistema privato in alcuni casi è più efficiente, rende meglio, mentre il sistema pubblico è meno efficiente e disperde di più da un'altra parte.
  Francamente, sono personalmente convinto che chi ha risorse economiche possa accedere a qualsiasi tipo di assicurazione. Così è sempre stato. Chi non ha risorse economiche e non può, accede a quello a cui può accedere.
  Se fosse istituito un sistema in cui il pubblico interviene con la fiscalità generale o con una contribuzione diretta da parte del pubblico a supporto di chi non può, con un sistema assicurativo per tutti i servizi che il Servizio sanitario nazionale non eroga (long term care, odontoiatria o altri servizi che si possono identificare) perché troppo onerosi, troppo di settore, troppo particolari, e che facciamo erogare in regime privatistico; dicevo, se si dovesse istituire un sistema del genere, allargando a tutto il privato che si vuole, ma in cui il privato gestisce tutta l'assicurazione privata e le mutue gestiscono tutto quello che il Servizio sanitario non tocca, ma per quello che il Servizio sanitario tocca non c'è nessun tipo di agevolazione da parte del pubblico, questo sarebbe un sistema sostenibile economicamente per voi?
  Riuscireste, tra premi versati e prestazioni da erogare, a sostenere il sistema, a prescindere dalle necessità economiche e di ampliamento di impresa legittime che un privato ha? Se vi fosse preclusa tutta la parte che è pubblica e viene erogata dal pubblico, riuscirebbe il sistema delle assicurazioni a reggere a questo switch, anche fiscale da questo punto di vista, senza avere più la possibilità di erogare, se non in tariffe, i premi versati privatamente dai cittadini, e a garantire a tutti i cittadini le prestazioni attualmente gestite ed erogate dal Servizio sanitario nazionale?

  MAURO SUTTO. Vedo il fenomeno della criticità della cronicità in costante e progressivo aumento con due determinati periodi: il 2013, che fa riferimento a un 38 per cento dei residenti in Italia, che dichiarava appunto di essere affetto da almeno una delle principali patologie croniche; poi prendiamo come campione il 2016, con una quota che si alza di circa un punto, con conseguente necessità di ulteriori risorse sanitarie, economiche e sociali.
  Dottoressa, capisco che il periodo è preso a campione in modo triennale, se non erro, ma conosciamo la tendenza di quello che è successo in questi anni.

  PRESIDENTE. Do la parola alla presidente Farina per la replica.

  MARIA BIANCA FARINA, presidente dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici. Debbo dire che la prima domanda tocca così tanti punti di cui sarebbe bello poter discutere con più tempo.
  In ogni caso, vorrei dire innanzitutto che il nostro Sistema sanitario nazionale a mio giudizio è veramente prezioso per i cittadini. Dell'utilità e del grande valore di Pag. 38quel servizio nemmeno a parlarne, perché appunto cerca di dare tutto a tutti e, per chi non ha...
  Detto questo, però, il punto è un altro, e parliamo della spesa privata.
  La spesa privata, e poi vediamo perché vale la pena mutualizzarla, non è un fenomeno italiano. È un fenomeno, abbiamo visto, di tutti i Paesi occidentali, anche di quelli che hanno un sistema universale. Quello che, però, sembra del tutto inefficace e inefficiente, a proposito del fatto che c'è l'omeopatia – ha ragione su molte di queste cose; non ho sottomano i dati, ma glieli farò avere – è che la gran parte della spesa privata è tutta prescritta dai medici. Teniamone conto. Non è così larga. C'è, e ha ragione, come peraltro c'è in chi fruisce del sistema pubblico, con spese esagerate. Quel fenomeno c'è, ma non è così ampio, a mio giudizio.
  Vedendo, quindi, la spesa privata, noi dobbiamo stare con i piedi per terra e dire: la gente spende questi 40 miliardi, e non credo che li spenda per buttarli, cioè per fare un dispetto a qualcun altro. Li spende perché ha necessità di spenderli.
  Detto questo, perché non dotare tutti i cittadini – è in questo senso la nostra richiesta – e non solo i lavoratori dipendenti, di strumenti integrativi, così come ci sono per i dipendenti? Perché i dipendenti sì e tutti gli altri no?
  In questo senso, la spesa privata, così come definita oggi, sembra iniqua, perché mette proprio in difficoltà le persone che hanno meno risorse, e che quindi non possono permettersi la spesa privata e rinunciano alle cure.
  La spesa privata è, quindi, un dato di fatto, e non solo italiano.
  In secondo luogo, che sia fatta di tasca propria è un non senso. Altro è dire, inoltre, «eliminiamo la spesa privata», ma nel momento in cui la spesa privata c'è, e c'è per motivi che conosciamo, a questo punto che la gente paghi di tasca propria è quanto di più iniquo si possa accettare. Perché non dare a queste persone, a tutti i cittadini, la possibilità di accedere a forme integrative? Mi sembra che non ci sia motivo di penalizzare quelli che non sono dipendenti a favore dei dipendenti.
  Lei mi parlava poi della sostenibilità per le assicurazioni. Attenzione, i benefici non sono dati agli assicuratori. I benefici sono per chi accede alla sanità integrativa, nel presupposto del legislatore che ha promosso queste norme che agire sulla mutualità sia più efficiente che non andare sulla spesa privata cosiddetta out of pocket.
  L'incentivo fiscale serve a far sì che i cittadini, anziché spendere di tasca propria cifre importanti, che magari nemmeno riescono a coprire le loro esigenze di quel momento, accedano a forme mutualistiche attraverso le quali spendono di meno e hanno più garanzia di essere coperti.
  Altra notazione, quello assicurativo è un servizio a valore. Non è che le assicurazioni eroghino servizi che non servono o non ci mettano del proprio. Quello assicurativo è un contratto che in qualche modo trasferisce sull'assicuratore il rischio dell'assicurato. L'assicuratore rischia, mette capitale, ci mette la propria conoscenza, la competenza attuariale, e non, di cui dispone, e cerca di rendersi utile nella gestione dei rischi. È un mestiere che ha fatto da sempre, e cerca di farlo in maniera molto seria e concreta.
  Non so se ho risposto a tutte le sue domande, ma le compagnie di assicurazione ovviamente camperebbero allo stesso modo se si tagliasse diversamente la spesa pubblica sulla sanità, se si lasciasse alla mutualità, che possono essere fondi sanitari, assicurazioni, chiunque agisca in modo però controllato, sostenibile. Se raccolgo risorse e poi non sono in grado di assicurare nel lungo termine, questo davvero è un problema serio, che per le assicurazioni a mia memoria non è mai esistito.
  Spero di aver risposto un po’ a tutte le sue interessantissime domande.
  Per quanto riguarda la cronicità, è un fenomeno assolutamente in aumento. Non ho qui la curva, ma ve la faccio avere. Comunque, è direttamente correlato all'invecchiamento della popolazione. Ormai, viviamo per fortuna molto di più, ma, come dicevo, non sempre l'ultima parte della nostra vita è in salute. Quelle dell'invecchiamento Pag. 39 sono molto spesso malattie croniche, che quindi richiedono interventi pesanti di assistenza e di cura.
  Su queste bisognerebbe ancora di più focalizzare la nostra attenzione; anche qui, far capire che bisogna risparmiare per non arrivare a quella fase della vita in maniera troppo complicata; di nuovo, secondo me pensare a soluzioni di mutualità, e sempre alla soluzione migliore, ripeto, di una mutualità competente, solida, che dà poi quello che promette.

  PRESIDENTE. La ringraziamo per il suo contributo.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 17.20.

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