XVIII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Mercoledì 13 gennaio 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Serracchiani Debora , Presidente ... 3 

Audizione della Ministra del lavoro e delle politiche sociali, Nunzia Catalfo, nell'ambito dell'esame congiunto della «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a salari minimi adeguati nell'Unione europea (COM(2020) 682 final)» e del «Documento di lavoro dei servizi della Commissione – Sintesi della relazione sulla valutazione d'impatto (SWD(2020) 246 final)» (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento) :
Serracchiani Debora , Presidente ... 3 
Catalfo Nunzia , Ministra del lavoro e delle politiche sociali ... 4 
Serracchiani Debora , Presidente ... 8 
Rizzetto Walter (FDI)  ... 8 
Serracchiani Debora , Presidente ... 9 
Murelli Elena (LEGA)  ... 9 
Serracchiani Debora , Presidente ... 9 
Viscomi Antonio (PD)  ... 9 
Serracchiani Debora , Presidente ... 11 
Zangrillo Paolo (FI)  ... 11 
Serracchiani Debora , Presidente ... 12 
Frate Flora (Misto-A-+E-RI)  ... 13 
Serracchiani Debora , Presidente ... 13 
Segneri Enrica (M5S)  ... 13 
Serracchiani Debora , Presidente ... 14 
Costanzo Jessica (M5S)  ... 14 
Serracchiani Debora , Presidente ... 15 
Catalfo Nunzia , Ministra del lavoro e delle politiche sociali ... 15 
Serracchiani Debora , Presidente ... 17

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Centro Democratico-Italiani in Europa: Misto-CD-IE;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare (AP) - Partito Socialista Italiano (PSI): Misto-PP-AP-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
DEBORA SERRACCHIANI

  La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione della Ministra del lavoro e delle politiche sociali, senatrice Nunzia Catalfo, nell'ambito dell'esame congiunto della «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a salari minimi adeguati nell'Unione europea (COM(2020) 682 final)» e del «Documento di lavoro dei servizi della Commissione – Sintesi della relazione sulla valutazione d'impatto (SWD(2020) 246 final)».

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione della Ministra del lavoro e delle politiche sociali, senatrice Nunzia Catalfo, nell'ambito dell'esame congiunto della «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a salari minimi adeguati nell'Unione europea (COM(2020) 682 final)» e del «Documento di lavoro dei servizi della Commissione – Sintesi della relazione sulla valutazione d'impatto (SWD(2020) 246 final)».
  Ricordo che l'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto, in videoconferenza, dei deputati, secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre 2020.
  Avverto altresì che la pubblicità dell'audizione sarà assicurata anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare e sulla web-tv della Camera dei deputati.
  Rammento, inoltre, che alle audizioni svolte in videoconferenza si applicano, in quanto compatibili, le medesime regole che valgono per le sedute in presenza, tra le quali richiamo alla vostra attenzione, in particolare, il divieto assoluto di effettuare e diffondere foto o riprese audiovisive, in qualunque forma e con qualunque mezzo, nonché il divieto di esporre cartelli, striscioni o altre scritte o simboli, ivi inclusi fondali recanti tali segni, ovvero non appropriati alla dignità dei lavori parlamentari.
  Sempre al fine di assicurare l'ordinato svolgimento dei lavori in videoconferenza, segnalo inoltre la necessità che i deputati che partecipano da remoto abbiano sempre cura di trovarsi in un luogo adeguatamente isolato da interferenze di terze persone.
  Faccio altresì presente, per i deputati partecipanti da remoto, la necessità che essi risultino visibili alla Presidenza, soprattutto nel momento in cui svolgono il loro eventuale intervento, il quale deve ovviamente essere udibile: la Presidenza non potrà infatti dare la parola ai deputati non visibili o i cui interventi non siano chiaramente percepibili. A tal fine, occorre dunque assicurarsi di disporre di una connessione Internet stabile, evitando, per esempio, di collegarsi da mezzi trasporto in movimento, condizione che di solito rende insufficiente la stabilità e qualità della connessione stessa.
  Nel ringraziare la Ministra per la sua disponibilità, le cedo immediatamente la parola.

Pag. 4

  NUNZIA CATALFO, Ministra del lavoro e delle politiche sociali. Grazie, presidente. Grazie, onorevoli deputati. Questa audizione rappresenta una preziosa occasione per parlare di un argomento a me particolarmente caro. L'introduzione di una disciplina sul salario minimo, infatti, non solo rientra tra i punti elencati nel programma di questo Governo, ma io stessa mi sono fatta promotrice di uno dei disegni di legge depositati in Parlamento. Inoltre, dal momento in cui mi sono insediata presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, mi sono adoperata per accelerare il dibattito parlamentare sul tema, avviando il necessario confronto con le parti sociali e le diverse forze politiche.
  L'introduzione di una disciplina legale sul salario minimo contribuirebbe, quale ulteriore e indispensabile tassello, al raggiungimento degli obiettivi ispiratori dei progetti da me presentati nell'àmbito del Recovery Plan: la garanzia di una retribuzione dignitosa e adeguata per tutti i lavoratori favorirebbe senz'altro la realizzazione di un mercato del lavoro più inclusivo, più equo e paritario, abbattendo le disuguaglianze, anche in termine di gender pay gap. Per tale motivo, ritengo importante riprendere il confronto già avviato con le parti sociali e le altre forze di maggioranza al fine di definire un provvedimento legislativo in materia di salario minimo collegato alla legge di bilancio, già annunciato nella nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (DEF) e che completerebbe il piano di azione predisposto con il Recovery Plan.
  Per tali ragioni, ritengo di grande rilevanza l'iniziativa della Commissione europea volta a presentare la proposta legislativa di cui oggi discutiamo, che mira a sostenere gli Stati membri nella creazione di un quadro per i salari minimi. Del resto, già prima che venisse elaborata la proposta legislativa della Commissione, ho fortemente sostenuto la necessità di adottare una direttiva sui salari minimi, sia avviando un proficuo dialogo con il Commissario europeo per il lavoro e diritti sociali, Nicolas Smith, sia sostenendo, nelle varie riunioni del Consiglio dei ministri del lavoro europei (EPSCO), la necessità di arrivare all'adozione di una direttiva. Inoltre, ho contribuito alla creazione di una rete di Stati membri, insieme alla Ministra spagnola Yolanda Díaz e al Ministro tedesco Hubertus Heil, favorevoli all'adozione della direttiva. Nel recente vertice italo-spagnolo, svoltosi a Palma de Maiorca, è stato rappresentato il pieno apprezzamento alla proposta di direttiva presentata dalla Commissione, riconoscendo che essa potrà contribuire all'avanzamento nell'attuazione del Pilastro europeo dei diritti sociali. Nella dichiarazione finale, al termine, è stato sottoscritto un memorandum di intesa in merito a forme di cooperazione in tema di economia sociale e salario minimo. Nella dichiarazione finale è stata ribadita la necessità di garantire a tutti i lavoratori una retribuzione adeguata e compatibile con una vita dignitosa, nel rispetto delle prerogative delle parti sociali sui meccanismi di fissazione dei salari. La necessità di un intervento a livello europeo è avvertita con maggiore urgenza anche alla luce della crisi prodotta dall'emergenza epidemiologica in atto, che ha colpito in modo particolare proprio i settori caratterizzati da un'elevata percentuale di lavoratori a basso salario, quali, a titolo esemplificativo, quello agricolo, quello del commercio al dettaglio, quello dei servizi e del turismo.
  La proposta di direttiva giunge a valle di un percorso articolato, derivante anche da talune perplessità con riferimento alla sua base giuridica. Alcune parti hanno ritenuto che l'intervento dell'Unione europea sarebbe illegittimo, poiché avrebbe ad oggetto una materia, quella retributiva, rientrante nella competenza esclusiva dei singoli Stati. A ben vedere, la proposta contiene regole volte a rendere più efficaci i sistemi adottati dai Paesi dell'Unione europea, perseguendo l'obiettivo comune di migliorare l'adeguatezza dei salari e rendere accessibile a tutti i lavoratori la tutela di un trattamento salariale minimo, rafforzando ed estendendo la copertura della contrattazione collettiva, nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà e proporzionalità.
  La base giuridica, dunque, deve essere rintracciata nell'articolo 153, paragrafo 2, Pag. 5lettera b), del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), in combinato disposto con l'articolo 153, paragrafo 1, lettera b), dello stesso Trattato, che legittima l'adozione di prescrizioni minime che sostengono e completano l'azione degli Stati membri circa le condizioni di lavoro, cioè l'accesso ai sistemi efficienti di garanzia di un salario minimo.
  La proposta di direttiva non ha invece un'incidenza diretta sul livello delle retribuzioni. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto da alcuni Paesi dell'Unione europea, non può ritenersi violato il limite imposto dall'articolo 153, paragrafo 5, del suddetto Trattato, che vieta l'adozione di direttive proprio in tema di retribuzioni nonché di sciopero o di diritti di associazione sindacale, vincoli che, in una prospettiva di rafforzamento dell'Europa sociale, dovrebbero essere comunque superati. La ratio della direttiva proposta è quindi del tutto legittima alla luce dei trattati ed è quella di garantire il pieno accesso dei lavoratori, secondo una nozione ampia che ricomprende le attività precarie, formative e anche il lavoro autonomo non genuino, a un salario dignitoso.
  Il provvedimento di cui si discute, inoltre, non interferisce con la tradizione e le specificità di ciascun Paese, lasciando intatta la potestà del legislatore nazionale di scegliere se demandare la determinazione del salario minimo a norme di legge o alla contrattazione collettiva, pur nel rispetto dell'obiettivo comune di garantire un livello del salario minimo non inferiore agli indicatori adottati a livello internazionale, quali il 60 per cento del salario lordo mediano o il 50 per cento del salario lordo medio. Infatti, secondo le stime effettuate dalla Commissione, assicurando un salario minimo non al di sotto del 60 per cento del salario mediano lordo si otterrebbe un miglioramento dell'adeguatezza dei salari minimi in circa la metà degli Stati membri, con beneficio per un numero di lavoratori compreso tra 10 e 20 milioni. Inoltre, si raggiungerebbero risultati importanti sotto il profilo del contrasto alla povertà lavorativa, con una riduzione di oltre il 10 per cento, e alle disuguaglianze salariali, anche di genere, tenuto conto che le donne rappresentano la maggioranza dei lavoratori che percepiscono una retribuzione inferiore alla richiamata soglia, circa il 60 per cento nell'Unione europea. Oltre agli effetti descritti, la previsione di un salario minimo adeguato in ambito europeo comporterebbe vantaggi non trascurabili anche in termini di competitività nel mercato interno. Più precisamente, la definizione di un quadro regolatorio comune assicurerebbe una maggiore omogeneità dei risultati conseguiti dai singoli Paesi, scoraggiando il pericoloso fenomeno del dumping salariale, che rappresenta una delle principali cause delle delocalizzazioni che da anni il nostro Paese si trova costretto a subire. Si innescherebbe quindi un processo di convergenza sociale verso l'alto, a beneficio dell'economia dell'Unione europea nel suo complesso, attivando un virtuoso meccanismo di concorrenza leale basata su innovazione e produttività, in osservanza di standard sociali comuni adeguati in campo europeo.
  Sebbene l'osservanza di un minimo salariale potrebbe comportare, almeno in una prima fase, un incremento dei costi del lavoro per le imprese, specialmente per quelle rientranti nei settori in cui attualmente si applica un trattamento retributivo non adeguato, i rischi connessi sembrano tuttavia contenuti. In base agli studi condotti dalla Commissione europea, l'aumento dei costi del lavoro verrebbe infatti in gran parte compensato da un incremento dei consumi da parte dei lavoratori a basso salario, così da sostenere la domanda interna. Inoltre, sempre in base alle richiamate stime dell'Unione europea, l'eventuale impatto negativo sull'occupazione sarebbe di scarso rilievo. In definitiva, i benefici di un intervento normativo supererebbero decisamente gli svantaggi e tali benefici sono raggiungibili solo attraverso un atto di regolazione sovranazionale.
  Passando al merito della proposta di direttiva, essa valorizza innanzitutto il peso assegnato alla contrattazione collettiva, che deve essere sostenuta e promossa dagli Stati nella determinazione dei salari o valorizzata attraverso negoziati diretti tra parti Pag. 6sociali. Inoltre, nei Paesi con una copertura della contrattazione collettiva inferiore al 70 per cento, devono essere realizzati interventi volti a favorirne una significativa diffusione, ciò in quanto il rafforzamento e l'aumento della copertura della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari andranno a vantaggio dei lavoratori, favorendo la crescita dei salari in tutti gli Stati membri.
  Ancora, nei 21 Stati in cui il salario minimo è definito dalla legge, si prescrive l'adozione delle misure necessarie per determinare e aggiornare il livello dei minimi salariali sulla base di criteri definiti in modo stabile e trasparente, garantendo nel tempo il canone dell'adeguatezza. A conferma del ruolo centrale assegnato alla contrattazione collettiva, le parti sociali devono essere altresì coinvolte nel processo di determinazione e nell'aggiornamento dei minimi salariali.
  La previsione di una spinta a livello europeo appare più che opportuna, tenuto conto dei preoccupanti dati che emergono dall'analisi dei livelli salariali nei vari Paesi dell'Unione europea. Nella maggior parte degli Stati in cui il salario minimo è fissato dalla legge risulta che il trattamento retributivo minimo è insufficiente a garantire un'esistenza dignitosa. Gli importi sono invece elevati negli Stati con un'alta percentuale di copertura della contrattazione collettiva, ma negli ordinamenti in cui il salario minimo è appannaggio esclusivamente della contrattazione collettiva residua comunque un apprezzabile numero di lavoratori che rimane privo di una tutela salariale adeguata. In particolare, la quota dei lavoratori esclusi si aggira tra il 10 e il 20 per cento in quattro Paesi e sale al 55 in un quinto Paese.
  L'Italia rientra appieno in questa statistica: nonostante nel nostro Paese si registri una copertura quasi totale della contrattazione collettiva, che si attesta al 98 per cento della forza lavoro impiegata nel settore privato e riguarda oltre il 99 per cento delle aziende private, purtroppo un consistente numero di lavoratori percepisce salari non dignitosi. Ciò è quanto emerge anche dall'ultimo rapporto annuale dell'INPS che, ipotizzando diversi importi del salario minimo regolato dalla legge, individua: 2.596.201 lavoratori «sotto soglia», se si considera un salario minimo tabellare e un importo minimo pari ad 8 euro; 2.840.893, se si includono nella nozione di salario minimo anche le mensilità aggiuntive e un importo minimo pari a 9 euro.
  L'insufficienza dei salari percepiti dai lavoratori italiani risulta confermata anche dalle stime relative al numero di soggetti che, pur essendo titolari di rapporto di lavoro, percepiscono misure di sostegno al reddito, come il Reddito di cittadinanza. Più precisamente, in base alle informazioni in mio possesso, sono 365.436 i beneficiari della misura che, alla data dell'8 gennaio 2021, risultano titolari di un rapporto di lavoro attivo, il 75 per cento dei quali nel settore dei servizi. Ciò significa che almeno 365.436 individui, pur lavorando, non riescono ad avere una vita dignitosa.
  Da una verifica dei dati disponibili sui minimi contrattuali applicati in concreto emerge come sia certamente necessario definire dei criteri affidabili per individuare soggetti collettivi abilitati a fissarli, fondati su trasparenti riscontri in termine di rappresentatività e, al tempo stesso, per offrire orientamenti agli stessi agenti negoziali sui limiti che in ogni caso si devono garantire.
  In alcuni settori, infatti, i minimi salariali fissati contrattualmente non sembrano adeguati e sufficienti alla luce delle disposizioni costituzionali e degli indicatori internazionali. In alcuni casi la retribuzione prevista nei nostri contratti scende al di sotto della soglia dei 7 euro, mi riferisco in particolare ai servizi socio-assistenziali delle imprese di pulizia, servizi integrati e multiservizi, il cui contratto non è rinnovato da sette anni, e al settore della vigilanza e servizi fiduciari, il cui contratto, non rinnovato dal 2015, prevede un minimo salariale di soli 4,60 euro all'ora per il comparto dei servizi fiduciari.
  Molteplici sono le ragioni che ostacolano l'effettività del diritto a percepire una giusta retribuzione. Tra di esse, particolare rilievo deve certamente riconoscersi al proliferare dei cosiddetti contratti collettivi «pirata», ossia quei contratti collettivi, diffusi Pag. 7 soprattutto in alcuni settori, stipulati da soggetti dotati di scarsa o inesistente forza rappresentativa, finalizzati a fissare condizioni normative ed economiche peggiorative per i lavoratori rispetto a quanto previsto dai contratti collettivi stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, dando vita a dannosi fenomeni di distorsione della concorrenza. Quali concause possono inoltre individuarsi: la frammentazione dei settori prevalentemente collegata ai mutamenti economici, organizzativi e tecnologici; la proliferazione di forme di lavoro atipico, che sfuggono all'immediato inquadramento nell'ambito del lavoro autonomo subordinato; il massiccio ricorso delle aziende all'esternalizzazione.
  Dal quadro sopra delineato si può agevolmente concludere che l'attuale assetto della contrattazione collettiva necessita di essere sostenuto e promosso dall'ordinamento statuale al fine di garantire a tutti i lavoratori italiani l'applicazione dei trattamenti retributivi dignitosi.
  In questa direzione si muove la proposta di direttiva esaminata e nello stesso senso dovrà orientarsi anche il provvedimento sul salario minimo preannunciato nella Nota di aggiornamento al DEF (NADEF), nell'àmbito del quale la contrattazione collettiva dovrà conservare la sua centralità quale fonte principale di determinazione del trattamento economico dei lavoratori.
  L'introduzione di una disciplina sul salario minimo che valorizzi il ruolo della contrattazione collettiva deve tener conto di alcune peculiarità del nostro ordinamento. Infatti, in Italia i contratti collettivi non sono dotati di un'efficacia erga omnes, attesa la mancata attuazione dei commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 39 della Costituzione, ma la giurisprudenza utilizza, nella stragrande maggioranza dei casi, i trattamenti minimi fissati dal contratto collettivo quale parametro per l'individuazione della retribuzione sufficiente ai sensi dell'articolo 36 della Costituzione. Tuttavia, proprio in virtù del pluralismo sindacale che caratterizza il nostro sistema, attualmente si contano nel nostro ordinamento ben 935 contratti collettivi nazionali vigenti, di cui 856 per il solo settore privato, contro gli 868 del 2017 e i 549 del 2012.
  Pertanto, nella piena consapevolezza della massiccia presenza dei contratti cosiddetti «al ribasso», vanno individuate le soluzioni più idonee a circoscrivere la cerchia dei contratti collettivi che possono fungere da parametro per la determinazione del salario minimo, valorizzando, in particolare, i contratti collettivi leader, ossia quelli siglati dai soggetti comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale, che presentino una maggiore connessione, in senso qualitativo, con l'attività esercitata dal datore di lavoro. È importante definire anche specifici criteri atti a misurare la rappresentatività delle parti stipulanti, demandando a quelle più rappresentative la fissazione del trattamento minimo complessivo di riferimento (Tem).
  Ferma restando l'applicazione generalizzata del Contratto collettivo nazionale (CCNL) a ulteriore garanzia del riconoscimento di una giusta retribuzione, si ritiene opportuno introdurre una sorta di prova di resistenza o di test di dignità, una soglia minima inderogabile, ad esempio orientandosi verso una misura che si avvicina a quella, prima citata, indicata dalla Commissione europea nella proposta di direttiva, ovvero il 60 per cento del salario lordo mediano. L'applicabilità di questa soglia sarebbe quindi del tutto eventuale e riguarderebbe solo i minimi retributivi ai fini del raggiungimento del parametro dell'adeguatezza e della sufficienza della retribuzione alla luce dell'articolo 36 della Costituzione. I contratti collettivi sarebbero in tal modo rafforzati, in quanto la soglia opererebbe solo sulle clausole relative ai minimi, ove inferiori alla soglia individuata, lasciando al contratto collettivo la regolazione delle altre voci retributive. Inoltre, conformemente a quanto previsto anche nella proposta di direttiva, andrebbero introdotte specifiche procedure per l'aggiornamento e il controllo dell'osservanza del trattamento economico proporzionato e sufficiente, così da garantire effettivamente ai lavoratori una giusta retribuzione che si conservi tale nel tempo. Allo stesso tempo andrebbe individuata un'apposita procedura giudiziale, Pag. 8di matrice collettiva, che garantisca l'effettività del diritto dei lavoratori a percepire un trattamento economico dignitoso.
  In definitiva, un recepimento della direttiva nei termini indicati sarebbe pienamente rispettoso dell'assetto tradizionale delle relazioni industriali, garantendo al tempo stesso un limite minimo retributivo di dignità per tutti i lavoratori.
  Anche per mitigare l'impatto dell'introduzione del salario minimo sul costo del lavoro in taluni settori, sarebbe a mio avviso opportuno adottare ulteriori misure che incentivino la contrattazione collettiva a fissare salari dignitosi e fungano da sostegno per le imprese. Si potrebbe pensare, ad esempio, alla detassazione, per un certo periodo, degli incrementi retributivi derivanti dai rinnovi dei contratti collettivi nazionali, così da determinare un progressivo allineamento dei minimi retributivi all'importo del salario minimo. In tal modo, si introdurrebbe una valida misura di sostegno per le imprese, garantendo, al contempo, un miglioramento delle condizioni dei lavoratori, accrescendo la dignità e il valore del lavoro prestato ed eliminando i fenomeni di dumping salariale e di concorrenza sleale tra le imprese. Sarebbe, comunque, auspicabile che nei programmi europei si sostenesse l'adozione di strumenti di tal genere, anche per agevolare gli Stati membri nel recepimento delle prescrizioni contenute nella proposta di direttiva.
  È mia intenzione proseguire gli incontri con le parti sociali e con le forze politiche per raggiungere quanto prima un testo condiviso, che anticipi, in sostanza, l'attuazione degli obiettivi che verranno indicati con la direttiva dal legislatore europeo. Grazie, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie, Ministra. Chiedo ai deputati presenti e a quelli collegati da remoto se desiderano intervenire. Prego, onorevole Rizzetto.

  WALTER RIZZETTO (intervento da remoto). Grazie, presidente. Ministra, io la ringrazio per quest'ampia relazione su quelle che, di fatto, sono le linee guida in Europa sul tema, oggi all'ordine del giorno, del salario minimo. Il mio intervento sarà molto breve.
  Sono sufficientemente d'accordo con quello che lei ha detto rispetto alle sopracitate linee guida. Le ricordo, però, un paio di cose e chiudo con una domanda.
  Per quanto ci riguarda, noi siamo d'accordo sull'applicazione di un salario minimo, rivendicando anche il fatto che molto spesso abbiamo urlato una verità che spesso non viene detta nel nostro Paese. Quando lei cita i contratti collettivi, diciamo chiaramente che ci sono, anche tra i contratti collettivi sottoscritti dalle principali sigle sindacali ad oggi in Italia, dei contratti collettivi che parlano di 2,5 euro o 3 euro all'ora per i lavoratori. Quindi, secondo me, prima di decidere sul cosiddetto «salario minimo», dovremmo anche tentare di capire quello che succede rispetto ai contratti collettivi, rispetto alle gare con il massimo ribasso e il minimo prezzo e via dicendo. Questo è il primo punto.
  La seconda cosa che volevo dirle è che, secondo me, bisogna fare molta attenzione, nel prosieguo dei lavori, che la politica vada a individuare una cifra esatta rispetto al salario orario minimo. Un partito che attualmente fa parte della maggioranza ha presentato, se non ricordo male, una risoluzione o addirittura una proposta di legge che parla di 9 euro lordi all'ora per quanto riguarda i nostri lavoratori, quando invece, secondo i dati dell'ISTAT, il salario minimo degli occupati, ad oggi in Italia, è di 11 euro. Quindi non vorrei che, con una decisione legislativa in questo senso, si andasse addirittura a fare peggio. Bisogna stare molto attenti, chiamando eventualmente in audizione su tale tema i soggetti che sono sul campo.
  Non ultimo, questa è una domanda che le rivolgo, è da capire su chi ricade il gap tra il salario minimo e l'effettivo salario del lavoratore. Ripeto che noi siamo d'accordo sul salario minimo, che è da introdurre, perché i lavoratori non se ne fanno nulla di una paga di 3 euro all'ora e, purtroppo, non è neanche dignitoso per un Paese civile, però la nostra unica preoccupazione è che il gap tra salario minimo e un salario Pag. 9dignitoso non debba essere fatto ricadere, ad esempio, sulle spalle di un'azienda, soprattutto dopo questa drammatica fase. Quindi la mia domanda è: se lei dovesse iniziare un percorso rispetto al salario minimo ad oggi in Italia, come farebbe? Noi non saremmo d'accordo, ad esempio, sul caricare le aziende di questo gap di cui le parlavo prima. Le aziende in questo momento hanno bisogno di tutto tranne che di un aumento dei costi dei loro dipendenti, anzi dovremmo fare esattamente il contrario. Quindi chiedo se il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia qualche idea in questo senso, ad esempio il ricorso a un fondo, piuttosto che a un finanziamento europeo. La ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie. È iscritta l'onorevole Murelli.

  ELENA MURELLI (intervento da remoto). Grazie, presidente. Ringrazio la Ministra Catalfo per questa audizione. Abbiamo letto questa proposta di direttiva con interesse, anche perché viene proposto un salario minimo a livello europeo. È un argomento sicuramente importante, perché, come dice il documento, si va direttamente a toccare un tema molto importante, che è il dumping salariale, contro cui tutti ci stiamo battendo, però non si va a toccare un altro argomento, che è il dumping fiscale. Quindi ritengo che dal punto di vista del salario, si può parlare di salario minimo a livello europeo se tutti gli Stati membri rispettano le stesse regole e gli stessi princìpi di questa proposta di direttiva, ma, d'altro canto, non si può tralasciare il dumping fiscale, perché, nel momento in cui io stabilisco che il mio salario minimo è, per esempio, un costo orario oppure un costo mensile di 800 euro, e non dico cifre certe, ma è solo un esempio tanto per fare un ragionamento, nel momento in cui ho un ampio dumping fiscale tra Paese e Paese, anche il salario netto che spetta al dipendente è sicuramente diverso. Quindi non si possono separare i due argomenti e trattarli in modo diverso. Si può perseguire una riforma del salario minimo solo nel momento in cui andiamo ad avere equità tra i Paesi anche dal punto di vista fiscale.
  Dall'altro canto, come Movimento 5 Stelle avete provato a portare avanti una proposta di legge sul salario minimo, sulla quale però sono stati espressi commenti negativi anche dagli stessi sindacati, perché una sorta di salario minimo al 30 per cento c'è già in Italia. La proposta europea fa riferimento al salario minimo già istituito, sia dalla legge sia dai contratti collettivi in diversi Paesi, ma non viene specificato in quale di questi Paesi. Nel momento in cui si va a applicare un salario minimo europeo deve esserci una base, uno standard uguale per tutti.
  Ritorno anche sulla questione del dumping fiscale, proprio per sapere qual è la prospettiva del Ministero per affrontare i due temi in modo collegato, in modo tale che, come diceva anche il collega Rizzetto, il peso del salario minimo non gravi sulle stesse aziende che decidono di investire sul loro livello occupazionale, specialmente in questa crisi pandemica. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Prego, onorevole Viscomi.

  ANTONIO VISCOMI. Grazie, Ministra, per il suo intervento. Mi consenta di sottolineare la prima parte, quella sul fondamento giuridico della direttiva, perché credo che sia il punto più interessante che consente al nostro Paese di giocare una partita in Europa molto significativa, perché collegare questa direttiva all'articolo 153, comma 2, lettera b), sulle condizioni di lavoro e sulla tutela delle condizioni di lavoro, bypassando in qualche misura il comma 5, che vieta interventi di questo genere sulla retribuzione, consente veramente di riportare all'attenzione comune di tutti i Paesi l'importanza della regolazione dei rapporti di lavoro e non soltanto l'affidamento alle classiche leggi di mercato nella determinazione delle retribuzioni. Credo che questo sia un punto da valorizzare e un punto su cui l'Italia può giocare una partita in sede europea, riproponendosi alla guida di quel fronte di Paesi che sente il bisogno di mettere mano alla regolazione dei rapporti di lavoro nei confronti di quell'altro gruppo di Paesi che Pag. 10invece sta ponendo una serie di ostacoli all'applicazione di questa direttiva.
  Mi permetto solo di sottolineare l'importanza dell'articolo 152, comma 2, lettera b), sulla tutela delle condizioni delle piccole e medie imprese, perché questi interventi possono essere legittimati a condizione che non creino, se ricordo bene, degli ostacoli alla creazione e allo sviluppo delle piccole e medie imprese. Questo è un punto estremamente delicato, che si lega in modo stringente alle caratteristiche specifiche del tessuto imprenditoriale del nostro Paese, che è caratterizzato da piccole e medie imprese.
  La seconda osservazione che vorrei fare riguarda la contrattazione collettiva. Probabilmente questa direttiva in qualche misura dovrebbe essere intitolata in modo differente. Non è una direttiva sul salario minimo adeguato, ma è una direttiva sul sistema contrattuale per tutelare le condizioni di lavoro relativo al salario minimo adeguato nei vari Paesi, perché altrimenti non ci ritroviamo. Il problema reale è che, secondo il Considerando 13 della direttiva, tutto nasce dall'indebolimento dei sistemi della contrattazione collettiva. Mi fa piacere sottolineare come si parli, nel Considerando 13, dei sistemi di contrattazione collettiva di categoria di settore o intersettoriale, che vuol dire riportare l'attenzione sul contratto collettivo nazionale di lavoro e sulla funzione del contratto collettivo nazionale di lavoro dopo anni in cui invece stiamo focalizzando giustamente l'attenzione, forse per alcuni versanti, soltanto sulla contrattazione decentrata fino all'estensione dei contratti di prossimità e così via. Quindi il vero problema non è la determinazione del salario in questo momento. Il vero problema è come garantiamo l'efficacia della contrattazione collettiva, perché, a voler estremizzare il discorso, la direttiva non riguarda il nostro Paese, perché il nostro Paese ha una copertura sindacale, come estensione, molto ampia, mentre la direttiva dovrebbe riguardare in modo particolare i Paesi che hanno un'estensione di coperture sindacali è un po' più ristretta. Forse il problema non è neanche quel 70 per cento, cioè l'estensione. Il problema è l'intensità della copertura e non l'estensione della copertura contrattuale, cioè l'efficacia reale che pone l'attenzione sul problema reale, che è quello dell'efficacia della contrattazione collettiva, sul quale però, in qualche misura, siamo bloccati o congelati in una situazione di stallo. Quindi la direttiva è forse l'occasione più opportuna per riprendere in mano una riflessione sul sistema di contrattazione collettiva nel nostro Paese, adeguandola alla specificità. Non ho mai ritenuto plausibile, e credo che nessuno possa ritenere plausibile, un unico sistema di contrattazione collettiva, perché non c'è un unico comparto produttivo o un'unica filiera, ma ormai abbiamo una pluralità di sistemi e abbiamo bisogno di una riflessione da questo punto di vista. Credo che la funzione del Ministero sia di sollecitare le parti sociali, non di sostituirsi ad esse, nel ripensamento di questo sistema di contrattazione collettiva che ha portato ai 900 contratti che citava, registrati dal Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL), che sono sicuramente il segno di una frammentazione organizzativa interna anche degli stessi sindacati. Non è utile neppure per l'organizzazione sindacale e ancora meno lo è per la rappresentanza dei lavoratori.
  C'è un terzo punto sul quale mi permetto di richiamare l'attenzione, che riguarda la determinazione del salario minimo adeguato, perché leggendo la direttiva, mi ritornano in mente le parole della Corte di Cassazione, per esempio, sulla possibilità di differenziare le retribuzioni su base territoriale. Parlo da meridionale, da questo punto di vista, e sono molto preoccupato, perché nella direttiva si parla di adeguatezza rispetto alla capacità di acquisto. Mi è capitato di dire che forse in Calabria, la mia regione, possiamo pagare meno alcune cose e quindi i salari potrebbero essere più bassi dal punto di vista della capacità di acquisto dei beni di sopravvivenza, ma paghiamo molto di più in termini di servizi pubblici mancanti, di mobilità mancante, di servizi sanitari mancanti. Per cui questi elementi, su cui occorre ragionare e pensare, sono estremamente delicati. La determinazione dei criteri Pag. 11 nella proposta di direttiva, per forza di cose, non può che essere un po' evanescente, vista la sua struttura, che non è un intervento sul salario minimo legale, ma sulla contrattazione collettiva chiamata a prefissare il minimo salariale, rimanendo, necessariamente, così vaga. Da questo punto di vista, mi permetto di ribadire conclusivamente che ci deve essere un grande impegno dell'Italia, del nostro Paese, nel guidare i Paesi europei sul fronte della tutela delle condizioni di lavoro, perché quel fondamento va ribadito e rafforzato.
  Vi prego di avere un'attenzione specifica ai sistemi di contrattazione collettiva senza farvi prendere la mano dalla quantificazione del salario minimo. Ho visto che qualche giorno fa il presidente dell'INPS cercava di fare una quantificazione del flusso finanziario, che è determinato da un incremento salariale. Mi rendo conto che è importante, ma questo è il punto finale e non quello di partenza.
  La terza questione è quindi fare attenzione alla quantificazione, perché la quantificazione con elementi generici, come quelli indicati dalla proposta di direttiva, potrebbe portare ad effetti perversi, non auspicati da nessuno di noi. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Onorevole Zangrillo, prego.

  PAOLO ZANGRILLO. Grazie, presidente. Intanto voglio ringraziare la Ministra per la sua relazione. Io volevo fare qualche breve riflessione sia sulla proposta di direttiva europea sia sul rapporto, sulla relazione che c'è tra la proposta europea e la situazione del nostro Paese.
  È evidente che noi stiamo parlando di un tema, di un problema che ha una rilevanza sociale significativa, perché stiamo parlando di povertà lavorativa. Stiamo parlando quindi della necessità di garantire a lavoratori e a nuclei familiari una condizione che sia quantomeno adeguata rispetto a quanto prevede l'articolo 36 della nostra Costituzione, che richiama alla necessità di garantire ai nostri lavoratori delle retribuzioni proporzionate alla quantità e alla qualità del loro lavoro e comunque, in ogni caso, che siano sufficienti a garantire una vita dignitosa alle persone. Peraltro, la determinazione dei salari nel nostro sistema è demandata alla libera negoziazione tra le parti sociali. È evidente che non sta nelle competenze dell'Unione europea definire il salario minimo dei Paesi che la compongono. Questo è chiaro. È evidente che questa è una prerogativa di ciascuno Stato membro. Oggi esiste nel contesto europeo una situazione abbastanza definita: ci sono 21 Paesi che hanno un salario minimo; ci sono altri Paesi, tra cui l'Italia, dove la definizione dei salari è demandata alla contrattazione collettiva. Tra l'altro, tra i Paesi dell'Unione europea, il nostro Paese è quello che ha un livello di diffusione della contrattazione collettiva più elevato, intorno al 90 per cento. Quindi è opportuno che sia chiaro che la proposta di direttiva europea invita in qualche modo gli Stati alla promozione della contrattazione collettiva e, in quanto direttiva, gli Stati dovranno poi dimostrare che hanno raggiunto dei risultati su questo tema, perché in realtà la direttiva europea dice questo. La proposta di direttiva europea non stabilisce un salario minimo, ma, sostanzialmente, in qualche modo invita alla definizione di un percorso di definizione di uno strumento che è finalizzato alla promozione della contrattazione collettiva e, quindi, mira in qualche modo a creare un ambiente, un framework, un sistema per aumentare la copertura degli accordi collettivi. Io penso che questo sia sicuramente un tema rilevante e fondamentale, soprattutto in un momento come questo, in cui il nostro Paese sta attraversando una profonda crisi economica e quindi il tema della povertà è sempre più all'ordine del giorno, però penso che, allo tempo stesso, sia opportuno affrontare questo tema senza dimenticare che la soluzione non sta semplicemente nella definizione di un salario minimo. Credo che questa questione debba essere affrontata in un quadro molto più ampio, che afferisce alle politiche di crescita e di competitività del nostro Paese. Noi possiamo ben stabilire un salario minimo nel nostro Paese, ma se poi non c'è lavoro, i lavoratori non percepiscono il Pag. 12salario minimo semplicemente perché non hanno lavoro. Quindi noi dobbiamo occuparci di questo tema del salario minimo, ma lo dobbiamo fare in un contesto più ampio, più articolato e probabilmente molto più complesso, che è quello che afferisce agli interventi che sono intesi a favorire le politiche industriali, a rivedere le politiche fiscali, le politiche di education e di welfare del nostro Paese. Teniamo conto che, quando noi parliamo delle condizioni dei nostri lavoratori, non parliamo soltanto di salario, ma parliamo anche di tutto quel sistema di welfare che, fortunatamente, anche nel nostro Paese si sta sviluppando e che in qualche modo contribuisce alla condizione dei lavoratori.
  La cosa che a me preoccupa nella lettura del documento dell'Unione europea è la definizione che l'Unione europea dà di contrattazione collettiva. La richiamo brevemente. Si parla dell'insieme di negoziazioni che avvengono tra un datore di lavoro, un gruppo di datori di lavoro o più organizzazioni dei datori di lavoro, da un lato, e, dall'altro, un'organizzazione di lavoratori. Sono definizioni, come peraltro ha richiamato anche Confindustria nell'audizione che abbiamo fatto su questo tema, che effettivamente costituiscono un evidente arretramento rispetto alla situazione del nostro Paese. Nel nostro Paese il tema della contrattazione collettiva va ben oltre la definizione che ne dà l'Unione europea. Con questo faccio riferimento al tema della rappresentatività, perché quando noi parliamo di contratti collettivi, parliamo di contratti collettivi stipulati con le organizzazioni maggiormente rappresentative. Questo è uno dei punti cruciali che ci aiuta anche ad affrontare il tema del dumping contrattuale, perché, se noi accettiamo tout court la definizione che dà l'Unione europea di contrattazione collettiva, non facciamo altro che favorire il dumping contrattuale, che è invece il fenomeno che noi dobbiamo combattere. Quindi credo che uno dei temi da affrontare sia quello di come garantire, come diceva anche l'onorevole Viscomi, non soltanto la dimensione della contrattazione collettiva, ma anche la sua intensità e quindi garantire dei meccanismi che favoriscano la contrattazione collettiva, realizzata dalle organizzazioni maggiormente rappresentative, e poi garantire dei meccanismi che ne possano favorire l'intensità.
  Per cui, francamente, devo dire che quando parlo di un salario minimo, sicuramente condivido l'idea che esista un meccanismo inteso a favorire le condizioni affinché tutti i nostri lavoratori possano avere un salario che, come dicevo, soddisfi quanto la nostra Costituzione prevede all'articolo 36. Che poi tutto questo si debba tradurre nella definizione legale di un salario minimo, piuttosto che invece nel cercare di migliorare e di implementare un sistema di contrattazione collettiva che già oggi è estremamente articolato e diffuso nel nostro Paese, credo che ci si debba ragionare attentamente, anche perché la definizione di un salario minimo tout court credo che sia pericolosa anche dal punto di vista della configurazione del nostro sistema Paese, perché oggi, a parità di salario, dobbiamo poi rapportare l'entità di quel salario con il suo potere d'acquisto. Quindi banalmente, a parità di salario, in alcune regioni e alcune aree dell'Italia il potere d'acquisto è sicuramente superiore rispetto ad altre. Non è che andando a definire per legge un salario minimo tout court uguale per tutti, abbiamo risolto il problema, perché rischiamo invece di creare una situazione che comporta un aumento dei costi del lavoro per le aziende e tutto questo poi si riflette di nuovo negativamente sull'opportunità di avere un sistema economico che favorisce la creazione di posti di lavoro, piuttosto che invece ridurla.
  Sicuramente la proposta di direttiva dell'Unione europea ha un suo fondamento dal punto di vista della finalità e della volontà di rendere sensibili gli Stati membri su un tema che è assolutamente prioritario per le nostre popolazioni. Stiamo soltanto attenti però a non illuderci che la definizione di un salario minimo legale per il nostro Paese sia effettivamente la soluzione da perseguire.

  PRESIDENTE. Grazie. Sono iscritte l'onorevole Frate e poi l'onorevole Segneri.

Pag. 13

  FLORA FRATE (intervento da remoto). Grazie, presidente. Ringrazio la Ministra per l'audizione molto puntuale sul tema. Noi siamo sempre stati a favore del salario minimo e chiaramente questa direttiva europea è importante, però dobbiamo capire come attuarla, soprattutto nel nostro Paese, in Italia, perché, se è vero che noi abbiamo una contrattazione collettiva che stabilisce i minimi salariali, è anche vero che abbiamo la necessità di andare incontro alle imprese, garantendo il giusto equilibrio tra la contrattazione collettiva, da un lato, e, dall'altro, la giusta flessibilità per le imprese. Quindi è molto importante capire come questa direttiva europea può essere effettivamente recepita. Vorrei dire questo giusto per aprire una riflessione. Molto spesso noi abbiamo difficoltà a recepire le normative europee che in qualche modo devono essere adattate alle nostre condizioni, alle condizioni del nostro Paese. La sfida è proprio questa, ovvero capire come effettivamente questa direttiva può essere attuata nel nostro Paese, tenendo conto di due aspetti, in primo luogo quello della flessibilità, perché siamo in un momento drammatico, quindi non so se in toto aumentare il salario minimo e garantire i minimi salariali sia una politica che possa garantire la ripresa del Paese in una situazione così drammatica, visto che, dall'altro lato, ci sono le politiche sociali, come ad esempio il Reddito di cittadinanza; però noi dobbiamo scongiurare che sia l'ennesimo intervento a pioggia. Quello che voglio dire è che, accanto a queste misure, che dobbiamo sempre capire come debbano essere attuate – questo è un punto fondamentale –, dobbiamo capire anche come attuare le politiche attive del lavoro, perché il Reddito di cittadinanza è stato una misura importante per il contrasto alla povertà, però dobbiamo anche dire che ha funzionato sul versante delle politiche sociali ma non è stata attuata per la parte riguardante le politiche attive. Bisogna fare un discorso a 360 gradi, perché, ripeto, siamo in una situazione drammatica e quindi va bene recepire la direttiva europea, però dobbiamo studiare bene come effettivamente applicarla in relazione alla disoccupazione che c'è nel nostro Paese e in relazione al fatto che non tutti hanno un lavoro o un reddito e quindi è necessario capire effettivamente come questo strumento si possa integrare con le politiche attive del lavoro. La direttiva europea è molto importante e personalmente la trovo molto interessante. Nella direttiva ci si pone l'obiettivo di dirci come orientarci, come se fosse un atto di indirizzo, però lasciando la discrezionalità ai Paesi su come organizzarsi su questo tema, ma, tuttavia, non si tiene conto dei contesti sociali di riferimento. Il nostro Paese è un contesto che sicuramente ha delle caratteristiche un po' diverse rispetto agli altri Paesi europei.
  Quindi effettivamente sta a noi capire poi come tradurre in pratica le indicazioni europee. Secondo noi è importante questa traduzione e, quindi, vorrei quindi capire come attuarla. Sollecito la Ministra e sollecito il Governo a fare un'ulteriore riflessione su questo, tenendo conto di tutti gli aspetti, come quello della povertà e della necessità di attuare le politiche attive del lavoro. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Onorevole Segneri, prego.

  ENRICA SEGNERI. Grazie, presidente. Volevo ringraziare ovviamente la Ministra per la relazione dettagliata e molto puntuale sulla proposta di direttiva sul salario minimo legale. Volevo anche cogliere l'occasione per esprimere la mia soddisfazione, ma credo di poter parlare anche per i colleghi della Commissione del Movimento 5 Stelle, per il grande lavoro che sta facendo per il Recovery Fund, in quanto abbiamo appreso con grande soddisfazione degli oltre 7 miliardi che saranno destinati alle politiche attive del lavoro. Questo ci proietta subito su quella che è la visione che ha il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e quindi va sicuramente a inserirsi fra le misure future che il Ministero del lavoro vuole adottare in tema di occupazione, cercando di contrastare fortemente la disoccupazione che si sta creando e che si potrebbe sicuramente creare con la pandemia; ma questo evidenzia anche Pag. 14 una visione che rimane nel solco, come diceva lei, anche di quello che è sempre stato il pensiero del Movimento 5 Stelle, ovvero cercare di adottare le misure per incentivare l'occupazione. Questo per riferirmi anche a quello che è stato detto dai colleghi che mi hanno preceduta, cioè che, ovviamente, la misura del salario minimo va a inserirsi in un quadro più ampio, ma lo ha detto chiaramente anche lei parlando, per esempio, della proposta di legge sulla rappresentanza sindacale, che sicuramente deve essere approvata, perché ci troviamo dinanzi a un quadro fortemente critico su questo. Come evidenziato dalla relazione e come lei ha ricordato, nonostante siamo uno dei Paesi con la più diffusa contrattazione collettiva, lo dice anche la proposta di direttiva, ci ritroviamo però con delle condizioni che molto spesso sono peggiori che altrove. Questa contrattazione al ribasso a volte evidenzia modalità preoccupanti di attuazione di quella che è l'attività sindacale. Mi riferisco anche a quello che ha detto il collega Viscomi: sicuramente bisogna incidere anche sulle modalità delle contrattazioni sindacali e quindi cercare di entrare in un merito più specifico e cercare di agire anche in quello.
  È chiaro che il salario minimo legale è una misura che noi appoggiamo con forza e in cui crediamo fermamente, proprio perché lei ha evidenziato che ci troviamo davanti una situazione preoccupante, per la presenza di addirittura 365 mila cosiddetti «working poor», i lavoratori che vivono sotto la soglia di povertà e, quindi, sotto la soglia di dignità. Non è accettabile che una persona presti il suo lavoro, ma del suo lavoro non possa vivere. Ad oggi non c'è assolutamente nessun motivo che possa giustificare una situazione del genere. È evidente che la contrattazione collettiva è importante. Lei ha evidenziato che la direttiva europea non va ovviamente a imporre nulla, ma si pone nell'ottica di salvaguardare, se vogliamo, quelle che sono le normative presenti in Italia, come in altri Paesi. È chiaro però che, come anche evidenziato dall'ex presidente dell'INPS, Boeri, è necessaria una complementarità. È importante rivedere i minimi tabellari, come lei ha giustamente sottolineato, e promuovere una contrattazione al rialzo. Questo perché si deve garantire una vita dignitosa ai lavoratori, secondo l'articolo 36 della Costituzione, che è stato citato praticamente da tutti i colleghi che mi hanno preceduta. Quindi noi ci aspettiamo che si continui su una strada che cerchi di preservare il più possibile la condizione lavorativa e che promuova il più possibile anche un adeguamento salariale quanto più idoneo possibile al raggiungimento degli standard europei. Non è più possibile che ci siano persone che lavorino per 3 o 4 euro all'ora e che non possono vivere dignitosamente.
  Esprimo soddisfazione per la sua relazione e porteremo avanti sicuramente un'azione per far sì che ci sia una convergenza il più possibile ampia sull'obiettivo di introdurre il salario minimo legale. La ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie. Onorevole Costanzo, prego.

  JESSICA COSTANZO. Grazie, presidente. Volevo ringraziare la Ministra, perché oggi stiamo toccando un tema importantissimo, perché quando si parla di salario minimo orario vengono in mente i minimi contrattuali, che lei ha ricordato bene, di alcune categorie di lavoratori che nel 2021 sono vergognose, a prescindere dalla pandemia. Nella sua relazione ha ben ricordato tali categorie di lavoratori, sono quelle dei servizi socioassistenziali, piuttosto che quelli della pulizia e dei multiservizi, quelli della vigilanza e dei servizi fiduciari, i cui salari orari arrivano a 4,60 euro. Alcuni di tali lavoratori hanno i contratti collettivi nazionali scaduti da anni, alcuni da molti anni e non arrivano ai 7 euro l'ora. Certo, i problemi sono molti e lei li ha ricordati: c'è una proliferazione del lavoro atipico; aumentano sempre di più le esternalizzazioni e quindi, di conseguenza, anche il dumping contrattuale; manca anche la misurazione della rappresentatività delle parti; c'è in Italia un grado di copertura elevata della contrattazione collettiva, ma rendiamoci conto che questo grado di Pag. 15copertura sta man mano scendendo, proprio perché viene contrastato da quella che è la contrattazione pirata. Quindi bisognerebbe discutere del salario minimo orario in parallelo con il tema della contrattazione collettiva e del contrasto alla contrattazione pirata.
  Ricordiamo che il salario minimo orario era un punto nevralgico del programma con cui ci siamo presentati al Paese, prima ancora di essere dei portavoce. Faceva parte anche del primo contratto di Governo e fa ancora parte adesso del programma di questo Governo. Ha ricordato bene anche tutti gli impegni che ha portato avanti nella passata legislatura e in questa legislatura con la sua proposta di legge, che è un punto focale che, a nostro avviso, deve andare avanti a prescindere dalla direttiva europea, perché sappiamo benissimo che non ci sarà mai un salario minimo europeo, è stato ricordato anche prima. Questo è un obiettivo ben lontano dall'essere raggiunto. Sappiamo anche che il salario minimo in Italia è un mezzo con cui noi possiamo cercare di aiutare chi è rimasto indietro ed è una politica da difendere a prescindere, perché non solo abbatte le disuguaglianze, ma soprattutto le discriminazioni, sia nei confronti dei lavoratori sia nei confronti delle imprese, che subiscono la concorrenza sleale anche in piena pandemia, perché bisogna ricordare ovviamente anche il contesto particolare in cui ci troviamo.
  Quindi volevo chiederle quali saranno le prossime azioni che porteranno, speriamo il più presto possibile, a un testo condiviso anche con la maggioranza, perché sappiamo che sono le azioni che fanno capire chi siamo. Le parole muovono le intenzioni, ma noi dobbiamo basarci appunto sulle azioni. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Non ho altri iscritti a parlare, quindi invito la Ministra a replicare. Prego.

  NUNZIA CATALFO, Ministra del lavoro e delle politiche sociali. Grazie, presidente. Ringrazio tutti gli onorevoli deputati presenti e tutti coloro che sono intervenuti, anche offrendo degli spunti e delle osservazioni importanti, anche con riferimento agli onorevoli Viscomi e Zangrillo, che hanno fatto delle osservazioni che possono essere anche portate in Europa, come anche il parere che voi esprimerete sulla proposta di direttiva. Questa è una fase molto importante per la direttiva.
  Come ho fatto sin dall'inizio, continuerò a sostenere la proposta di direttiva insieme a tutti gli altri Paesi sia in modo formale sia in modo informale, a volte anche con dei documenti mediatici insieme agli altri Ministri di altri Paesi europei, che sostengono la direttiva, e all'interno del Consiglio Occupazione, politica sociale, salute e consumatori (EPSCO) e dei consigli formali che terremo in questo frattempo.
  Sicuramente la direttiva vuole offrire un «pavimento» per tutti i Paesi, proprio per incidere sui salari minimi, lasciando la libertà ai Paesi di intervenire rafforzando la contrattazione collettiva o rafforzando i salari minimi legali, che già sono stati previsti nell'ordinamento di taluni Paesi europei.
  Anche per rispondere alle domande e alle richieste degli onorevoli deputati intervenuti, sicuramente in Italia noi potremmo adottare un provvedimento che anticipi la direttiva e che tenga conto della peculiarità italiana, che, come già avete giustamente sottolineato, ha una fortissima presenza della contrattazione collettiva, ma contemporaneamente ha un fortissimo dumping contrattuale e salariale, contraddistinto dai 900 contratti depositati, di cui noi conosciamo le problematicità. Stabilire dei criteri per l'individuazione dei cosiddetti «contratti leader», rafforzare la contrattazione collettiva e rafforzare le relazioni industriali potrebbero essere degli obiettivi importanti da perseguire in un provvedimento, collegato al salario minimo, da introdurre nel nostro Paese.
  Vi è un tema, sottolineato da alcuni di voi, che riguarda, seppur all'interno della contrattazione collettiva, salari eccessivamente bassi. Parliamo di trattamento economico minimo, in taluni casi anche sottolineato nella mia relazione e molto ben sottolineato, devo dire, nel rapporto dell'osservatorio sul lavoro del CNEL presentato Pag. 16 ieri, che fa un'analisi puntuale dei contratti. Vi sono dei contratti che prevedono una retribuzione davvero bassissima, parliamo di 4,60 euro lordi per la vigilanza e il settore fiduciario. Non sono contratti dignitosi che consentono un livello di vita dignitosa. È certo che si deve agire su questo fronte. Individuando una soglia o la soglia più giusta? Questo è un dibattito che credo sia il caso che noi intraprendiamo, anche perché dobbiamo ricordare che la situazione di questi lavoratori già era complessa, difficoltosa e ai limiti della povertà lavorativa, ma ovviamente con la pandemia è peggiorata, in quanto in molti casi tali lavoratori sono stati beneficiari delle misure di sostegno al reddito, quali la cassa integrazione, ma ricordiamoci che la cassa integrazione non dà al lavoratore l'intero importo della retribuzione, ma c'è un massimale e quindi la retribuzione viene in parte decurtata. Quindi al salario già basso si aggiunge un periodo abbastanza lungo, prolungato purtroppo dalla pandemia, di situazioni reddituali difficili e ancora più basse. Si tratta di quei lavoratori già svantaggiati e questa situazione colpisce anche i giovani e le donne. Infatti, nello studio e nell'analisi della Commissione europea si è notato che sono le donne e i giovani a essere i più colpiti dai salari bassi. Introdurre anche in Italia una misura come il salario minimo inciderebbe positivamente anche sul lavoro femminile, sulla precarietà e sul lavoro a basso salario soprattutto dei giovani, con un'influenza positiva anche sull'economia e sulla domanda interna. Certamente è un momento difficile – questo per rispondere all'onorevole Rizzetto –, ma ne avevo già parlato nella mia relazione. Certamente è un momento difficile per tutti, è un momento difficile per i lavoratori e lo è anche per le imprese. Quindi percorrere delle strade che consentano, anche temporaneamente, alle imprese di sostenere un aumento della retribuzione dei propri lavoratori potrebbe essere un intervento importante da fare. Introducendo la detassazione dei rinnovi contrattuali per la parte di rinnovo e la decontribuzione agganciata per un periodo di tempo? Questo potrebbe essere un intervento. Certamente, sia per contrastare il dumping contrattuale e salariale, sia per far sì che ci siano dei lavoratori non più in povertà nel nostro Paese, sia per influire positivamente sulla domanda interna – perché avere milioni di lavoratori poveri o a basso salario, certamente non influisce positivamente sulla domanda interna –, sia per influire positivamente e rafforzare la contrattazione collettiva nazionale ed evitare quel fenomeno, che conosciamo, del proliferare di contratti, credo che sia il caso di prendere provvedimenti. Inoltre, credo che sia importante, come stiamo facendo, come ho fatto da Ministra del lavoro e come credo che farete voi – lo deciderete voi, alla fine delle audizioni, quando invierete il vostro documento in Europa –, sostenere e rafforzare questo «pavimento» che l'Europa propone e che comunque è risolutivo anche per il dumping contrattuale, che c'è anche tra i diversi Paesi europei. È un primo «pavimento» e una prima base che io ritengo molto utile e importante e bisogna continuare a sostenerlo, come vi dicevo prima.
  L'onorevole Murelli parlava anche di dumping fiscale. In generale in Italia comunque se ne parla e l'Europa ci invita anche a fare una riforma fiscale. Ovviamente tutto è collegato. Credo che il Ministro dell'economia e delle finanze, Gualtieri, abbia più volte ribadito l'intenzione di varare una riforma fiscale.
  Credo di aver risposto un po' a tutte le domande. Qualcuno ha parlato di politiche attive del lavoro. Certamente è tutto collegato. Dare un salario e quindi incidere sulla povertà lavorativa, rafforzare le competenze dei lavoratori e delle lavoratrici attraverso le politiche attive del lavoro e fare una formazione che sia coerente con le richieste dei settori produttivi vuol dire agire all'interno di un disegno integrato che porterebbe il nostro Paese, non solo a livelli salariali più alti, ma anche a livelli di competenza e, quindi, di competitività delle imprese migliore in termini di impatto.
  Presidente, io la ringrazio. Non so se ci sono altri interventi. Lascerò agli atti della Commissione il testo della mia relazione in Pag. 17modo tale da renderlo fruibile a tutti. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, Ministra. Abbiamo già caricato il testo su GeoCamera, quindi è possibile vederlo già alla fine di questo incontro. Ringrazio la Ministra per la disponibilità e anche per la sua disponibilità a intervenire in presenza. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.10.