XVIII Legislatura

VIII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 10 di Martedì 29 ottobre 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Benvenuto Alessandro Manuel , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA NORMATIVA CHE REGOLA LA CESSAZIONE DELLA QUALIFICA DI RIFIUTO ( END OF WASTE)

Audizione di rappresentanti di FATER spa.
Benvenuto Alessandro Manuel , Presidente ... 3 
Teodori Fabbri Giovanni , direttore generale di FATER spa ... 3 
Benvenuto Alessandro Manuel , Presidente ... 6 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 6 
Maraia Generoso (M5S)  ... 6 
Muroni Rossella (LeU)  ... 6 
Benvenuto Alessandro Manuel , Presidente ... 7 
Teodori Fabbri Giovanni , direttore generale di FATER spa ... 7 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 8 
Teodori Fabbri Giovanni , direttore generale di FATER Spa ... 8 
Benvenuto Alessandro Manuel , Presidente ... 8 

Audizione di rappresentanti dell'Associazione tessile riciclato italiana (ASTRI):
Benvenuto Alessandro Manuel , Presidente ... 9 
Tesi Fabrizio , presidente dell'Associazione tessile riciclato italiana (ASTRI) ... 9 
Benvenuto Alessandro Manuel , Presidente ... 14 
Buratti Umberto (PD)  ... 14 
Maraia Generoso (M5S)  ... 14 
Benvenuto Alessandro Manuel , Presidente ... 14 
Tesi Fabrizio , presidente dell'Associazione tessile riciclato italiana (ASTRI) ... 14 
Maraia Generoso (M5S)  ... 15 
Tesi Fabrizio , presidente dell'Associazione tessile riciclato italiana (ASTRI) ... 15 
Maraia Generoso (M5S)  ... 15 
Tesi Fabrizio , presidente dell'Associazione tessile riciclato italiana (ASTRI) ... 15 
Maraia Generoso (M5S)  ... 15 
Tesi Fabrizio , presidente dell'Associazione tessile riciclato italiana (ASTRI) ... 15 
Benvenuto Alessandro Manuel , Presidente ... 15 

Audizione di rappresentanti della Confederazione imprese servizi ambiente (CISAMBIENTE Confindustria):
Benvenuto Alessandro Manuel , Presidente ... 15 
Sassone Stefano , direttore dell'area tecnica della Confederazione imprese servizi ambiente (CISAMBIENTE Confindustria) ... 16 
Benvenuto Alessandro Manuel , Presidente ... 18 
Maraia Generoso (M5S)  ... 18 
Patassini Tullio (LEGA)  ... 19 
Benvenuto Alessandro Manuel , Presidente ... 19 
Bagnari Cesare , presidente area normativa ambientale di CISAMBIENTE Confindustria ... 19 
Benvenuto Alessandro Manuel , Presidente ... 20 

Allegato 1: Documentazione depositata da FATER spa ... 21 

Allegato 2: Documentazione depositata dall'Associazione tessile riciclato italiana (ASTRI) ... 33 

Allegato 3: Documentazione depositata dalla Confederazione imprese servizi ambiente (CISAMBIENTE Confindustria) ... 81

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Cambiamo!-10 Volte Meglio: Misto-C10VM;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ALESSANDRO MANUEL BENVENUTO

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di FATER spa.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti di FATER spa, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla normativa che regola la cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste).
  Ringrazio i rappresentanti di FATER spa e cedo la parola a Giovanni Teodori Fabbri, direttore generale di FATER spa, per lo svolgimento della relazione.

  GIOVANNI TEODORI FABBRI, direttore generale di FATER spa. Grazie, Presidente. Vi ringrazio dell'invito e dell'attenzione. FATER è una società che ha una storia ormai sessantennale: è stata fondata nel 1958 da Francesco Angelini, ed è stata la prima azienda ad avere introdotto in Italia i pannolini usa e getta per bambini e gli assorbenti igienici femminili negli anni Sessanta. È leader di mercato in Italia nella produzione e distribuzione di questi prodotti con marchi come Pampers, Lines e Tampax e, dal 1992, è una joint-venture paritetica fra il gruppo Angelini e Procter & Gamble, la multinazionale americana. Abbiamo circa 1.600 dipendenti e un fatturato di 1 miliardo di euro, cinque stabilimenti produttivi a Pescara, a Campochiaro, in Portogallo, Marocco e Turchia. Con il marchio ACE da ormai quattro anni non siamo più presenti solo in Italia, ma serviamo anche altri quaranta Paesi circa in Europa, Medio Oriente e Africa.
  Investiamo circa il 4 per cento del nostro fatturato in ricerca e sviluppo. Questo dato è importante, perché da ormai dieci anni una parte significativa di questo investimento in ricerca e sviluppo è dedicata al progetto di riciclo dei prodotti assorbenti per la persona, quindi io sono qui per parlarvi di un progetto forse più unico che raro, dell'azienda leader di mercato nella produzione di un prodotto che ha fama di essere particolarmente aggressivo nei confronti dell'ambiente come il pannolino; un'azienda che ha deciso, in piena sintonia con i principi dell'economia circolare, di prendersi cura del fine vita del proprio prodotto e di dimostrarne la riciclabilità. È un progetto che abbiamo iniziato più di dieci anni fa, nel 2008, che abbiamo portato prima a scala dimostrativa nel 2015; dal 2017 abbiamo inaugurato in Italia il primo impianto al mondo in grado di riciclare su scala industriale i pannolini. Quindi i pannolini, che attualmente finiscono in discarica o vengono inceneriti, grazie alla nostra tecnologia possono essere riciclati su scala industriale e ritrasformati nelle materie prime che li compongono. Quindi il pannolino usato, invece di essere gettato in discarica, diventa plastica o torna a essere plastica, cellulosa e polimero super assorbente. Abbiamo dei campioni, qualora vi dovessero interessare.
  Dal 2019, grazie allo sforzo delle istituzioni, del Ministero dell'ambiente in particolare, siamo riusciti ad accompagnare all'innovazione Pag. 4 tecnologica anche l'innovazione normativa, perché l'Italia è il primo Paese al mondo non solo ad avere introdotto questa tecnologia, che è pienamente italiana, è del tutto made in Italy, ma anche il primo Paese al mondo ad avere una norma e un decreto end of waste ad hoc che regola il riciclo e la messa sul mercato delle materie prime seconde che derivano da questo processo. Un decreto che è stato emesso a livello nazionale, è stato firmato dal Ministro Costa a luglio di quest'anno.
  È un mercato – e parliamo di mercato di rifiuti PAP – che solo in Italia riguarda circa novecentomila tonnellate annue di prodotto di rifiuto, che equivalgono più o meno a due volte il Colosseo. Quindi ogni anno ci sono novecentomila tonnellate di prodotti assorbenti per la persona usati che vengono conferiti in discarica. La buona notizia è che, nonostante l'impianto per ora sia solo in provincia di Treviso presso la sede del nostro partner Contarina (un'eccellenza a livello mondiale per quanto riguarda la raccolta differenziata), ci sono già quattordici milioni di persone in Italia servite dal servizio di raccolta dedicato per i prodotti assorbenti per la persona. Quindi ci sono già più di novecento comuni che potrebbero sfruttare la tecnologia grazie a un servizio di raccolta differenziata. È un dato che tra l'altro cresce in misura significativa: solo l'anno scorso erano dodici milioni. Quindi in un anno c'è stato l'incremento di due milioni di persone in più, che adesso sono servite dal servizio di raccolta differenziata.
  È un sistema positivo per l'ambiente. Questa è la prospettiva su quello che è il life secured assessment. Nello scenario attuale, per ogni tonnellata di prodotto che viene o conferito in discarica o incenerito, vengono prodotti circa 270 chili di CO2, quindi di emissioni di anidride carbonica. Nello scenario del riciclo, quindi, qualora i prodotti assorbenti per la persona usati fossero riciclati, si risparmierebbero circa centosettanta chili di anidride carbonica emessa. Quindi, rispetto allo scenario attuale, il sistema del riciclo permette di risparmiare più di 400 chilogrammi di CO2 per tonnellata trattata. Quindi a noi piace dire che con questo sistema o qualora questo sistema fosse esteso a tutta Italia, riusciremmo a risparmiare emissioni pari a quelle prodotte ogni anno da più di centomila automobili, quindi con impatti positivi per l'ambiente.
  Solo per l'ambiente? No, perché, in piena sintonia con i principi dell'economia circolare, le nostre materie prime seconde generano valore: sono materie prime seconde ad alto valore aggiunto, dalle quali possiamo ottenere molteplici applicazioni che adesso, grazie al decreto end of waste, potranno essere rimesse sul mercato per essere rivendute. Tra l'altro è un sistema che si autosostiene, perché i ricavi derivanti dalla rivendita di materie prime seconde sono potenzialmente superiori rispetto ai costi dell'intera filiera, dalla raccolta al trattamento.
  È un sistema che è stato riconosciuto a livello nazionale ma anche a livello europeo; è un sistema per il quale abbiamo ricevuto il premio di campioni dell'economia circolare direttamente dalla Commissione europea. Peraltro il secondo livello della nostra tecnologia che punta a produrre non solo plastica, cellulosa e polimero super assorbente, ma anche chimici ad alto valore aggiunto, è finanziato al 60 per cento dall'Unione europea. Quindi una innovazione made in Italy, ma che è riconosciuta anche all'estero, che adesso stiamo puntando ad espandere anche all'estero.
  È un progetto grazie al quale – per concludere – tutti possono vincere: l'ambiente grazie alle emissioni di CO2 che si riescono ad evitare, i cittadini perché oltre al vantaggio di avere una raccolta dedicata, nei casi in cui la tariffa sui rifiuti venga pagata in maniera puntuale, quindi in base al conferito, avrebbero un vantaggio economico per i pannolini che sarebbero riciclati, ai quali quindi non si applicherebbe la tariffa; i comuni grazie alla riduzione dei costi di trattamento e al contributo che la tecnologia dà al raggiungimento dei target di riciclo e della raccolta differenziata; infine gli operatori del settore grazie a una nuova, significativa opportunità di business. Pag. 5
  L'impatto potenziale a livello di PIL per l'Italia, qualora questa tecnologia fosse estesa a tutto il territorio, sarebbe forte; aiuterebbe a creare circa mille nuovi posti di lavoro, genererebbe investimenti pari a 300 milioni di euro per la realizzazione di nuovi impianti e contribuirebbe a creare un giro d'affari di circa 1 miliardo di euro l'anno. Tra l'altro nei potenziali posti di lavoro si considerano solo gli operatori di linea, quindi non si considera tutto l'indotto che ne potrebbe derivare.
  È stato tutto così semplice? No, perché in realtà fin dall'inizio noi abbiamo avuto dei problemi autorizzativi per quanto riguarda la possibilità che ai nostri materiali fosse riconosciuto lo status di materia prima seconda e, quindi, cessasse la qualifica di rifiuto. Noi abbiamo affrontato un iter piuttosto complesso: in tutto sono passati quasi quattro anni, a partire dalla richiesta di autorizzazione sperimentale che abbiamo fatto alla regione Veneto nell'ottobre del 2015. A seguito di quella richiesta di autorizzazione, che abbiamo ottenuto e che è ancora in vigore per quanto riguarda lo stabilimento di Contarina, la Regione Veneto ci ha negato lo status end of waste circa un anno dopo (agosto 2016). Dopo questo rifiuto da parte della regione Veneto c'è stata una sentenza del TAR che ha, invece, richiesto alla regione di emettere il decreto end of waste. Questa sentenza del TAR è stata impugnata dalla regione al Consiglio di Stato, con ricorso del febbraio 2017, e il Consiglio di Stato nel febbraio 2018 ha stabilito, con la sentenza che ormai penso sia famosissima fra gli operatori del settore, la n. 1229, che invece il decreto dovesse essere emesso a livello nazionale. Per cui la palla è passata al Ministero dell'ambiente, con il quale peraltro noi avevamo già avviato una discussione e che già aveva aperto un tavolo di lavoro a marzo del 2017. Al Ministero dell'ambiente ci sono voluti circa dodici mesi per emettere lo schema del decreto, che è stato poi finalmente pubblicato in Gazzetta Ufficiale a luglio del 2019.
  Quindi un iter abbastanza complesso, in cui la difficoltà principale che abbiamo avuto e che di fatto ha assorbito la maggior parte del tempo, quasi tre anni, da parte nostra è stata riscontrare o capire quale fosse il giusto livello di governo incaricato o responsabile per l'emissione del decreto. È stato finalmente stabilito che fosse il Ministero dell'ambiente e, a quanto abbiamo capito, questo è un ambito sul quale c'è ancora dibattito, ogni volta viene discusso caso per caso.
  Quali sono le conclusioni che noi ci portiamo e che vogliamo portare a questa Commissione? Prima di tutto soddisfazione perché è un caso più unico che raro di innovazione normativa, che accompagna o che segue l'innovazione tecnologica. Quindi abbiamo il primo decreto end of waste che riguarda questo tipo di prodotti al mondo, che regolamenta una filiera unica, 100 per cento made in Italy. Anzi, made in Veneto più Abruzzo, considerando il fatto che noi abbiamo sede a Pescara e che l'impianto è a Treviso. Abbiamo riscontrato a tutti i livelli disponibilità e un ottimo livello di competenze, sia al Ministero dell'ambiente che negli istituti che ci hanno seguito (ISPRA e ISS). Quindi un livello di competenza a livello di eccellenza.
  Capiamo l'urgenza delle altre filiere, che magari saranno audite da questa Commissione, per quanto riguarda i decreti end of waste che le riguardano. Però accanto all'ottimo livello di competenza abbiamo riscontrato anche delle difficoltà da parte delle istituzioni, difficoltà più che altro legate alla disponibilità di risorse. Quindi il punto che vorremmo evidenziare è che, se vogliamo veramente dare la possibilità all'economia circolare italiana, che, per certi aspetti, è già a livelli di eccellenza, di essere veramente esecutiva o si debbono snellire le procedure che riguardano in particolare l'emissione di questi decreti, oppure si devono dotare le istituzioni preposte, sia a livello nazionale che regionale, di nuove competenze e di nuove risorse per fare fronte a tutti i decreti e a tutti gli schemi attualmente in fase di lavorazione.
  Quindi grande soddisfazione da parte nostra per un processo, che però forse avrebbe potuto essere più snello. Auspichiamo adesso, nella fase di industrializzazione, Pag. 6 di non dover più avere simili livelli di difficoltà.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ALBERTO ZOLEZZI. Intanto grazie per essere qui, Noi stiamo provando a scrivere una normativa più generale nei casi in cui manchi un regolamento europeo o un decreto ministeriale, però vorrei che raccontaste in cosa è consistito il limite tecnico, quali e se sono stati variati dei limiti di sostanze inquinanti oppure sostanze da normare presenti nei prodotti assorbenti per la persona. Perché non è un lavoro che una provincia, perché questa è l'alternativa, sarebbe riuscita a fare agevolmente ed è un po’ quello che dovremmo fare monitorando l'eventuale modifica normativa che stiamo portando nel decreto «crisi aziendali».
  Vi chiedo poi se tra i comuni che stanno apprestando una raccolta dedicata ai propri assorbenti rientra anche Roma. Vi chiedo anche quante aziende in Italia dovranno occuparsi di questo servizio, se sono aziende che stanno partendo tutte con il vostro brevetto, se ce n'è già qualcuna in Unione europea e pressappoco quante tonnellate ciascun impianto potrà riciclare, per capire un po’ la scala.

  GENEROSO MARAIA. Ho apprezzato molto la relazione, soprattutto quando ha riflettuto sulle procedure autorizzative, perché ora, come prevede il nuovo decreto end of waste, è all'interno delle stesse procedure autorizzative che vengono definiti i criteri per la cessazione, quindi potranno essere le regioni, caso per caso, a definire i criteri. Chiedo a lei se questo può determinare una disomogeneità, quindi una frammentazione tra le varie regioni e se questa procedura, paradossalmente, anziché velocizzare possa danneggiarvi, perché se la regione Veneto stabilisce dei criteri, giocate con quei criteri, se la regione Campania ne stabilisce altri, può diventare concorrenziale in modo non coerente con gli usi che si vanno a fare delle materie.
  Io ho notato che alla fine il lavoro del tavolo ministeriale per arrivare alla definizione del decreto per quanto riguarda il vostro settore è stato di dodici mesi: non credo siano tanti dodici mesi. Il tempo che si è perso è tra una sentenza e un'altra a livello del TAR e del Consiglio di Stato. Però io credo che, se non si tiene in debito conto la sentenza del Consiglio di Stato che attribuisce allo Stato la definizione dei criteri e, in subordine, lo attribuisce alle regioni, in base ai criteri stabiliti dallo Stato, rischiamo di nuovo di complicare il quadro.
  Nonostante io senta da più parti giudizi positivi sul nuovo decreto end of waste, proprio nell'emendamento, che definisce le procedure autorizzative e all'interno delle procedure autorizzative definisce i criteri, si rischia un nuovo cortocircuito, nuovi ricorsi e quindi si rischia di frenare quello che è un primato per l'Italia, che ha sottolineato anche lei: quello di riuscire ad essere i primi ad avere una normativa.
  Quindi tutta questa fretta da dove nasce, se siamo i primi al mondo a dotarci di queste normative? Proprio perché siamo i primi a dotarci di determinate tecnologie, e a voi faccio i complimenti per gli investimenti in tecnologia, che fretta c'è?
  L'ultima domanda è quali saranno invece gli investimenti relativi agli impianti da costruire, perché quello di Treviso avrà una capacità di riciclo ben determinata; aumentando il numero dei comuni, sicuramente c'è bisogno di nuovi impianti e io mi auguro che questi nuovi impianti siano realizzati anche nel Sud Italia, onde evitare poi il «turismo» dei rifiuti.

  ROSSELLA MURONI. Innanzitutto grazie alla FATER per essere qui con noi. Era assolutamente necessario audirli, perché la loro è una storia paradigmatica.
  Questo è un comparto tradizionalmente industriale e io credo che il grande contributo che ha portato la FATER è trovare il modo, con investimenti importanti, di risolvere il problema creato dal settore tradizionale di produzione. Quindi è, secondo me, un esempio virtuoso di quale potrebbe essere il meccanismo del nuovo sistema industriale italiano: riscontrato il dato ambientale, Pag. 7 si attiva anche su quello un processo industriale di risoluzione.
  Il paradosso in questo caso è stato che la tecnologia privata era già pronta abbondantemente prima che lo fosse lo Stato e la norma. Ricordo, solo per cronaca, che quello è un impianto che è stato inaugurato più volte e non si poteva attivare. Era un po’ paradossale vedere, da un lato, il riconoscimento trasversale del mondo della politica e, dall'altro, la difficoltà della stessa di normare. Quindi io penso che l'esperienza di FATER possa aiutare questa Commissione nell'indagine proprio per capire a mente fredda quali sono stati i problemi – e da questo punto di vista ci aiutate moltissimo – e quali potrebbero essere le prospettive, anche rispetto all'emendamento end of waste che ha sostanzialmente sbloccato una situazione creata con il decreto-legge «sblocca cantieri» e che ha dato una prima risposta a un mondo imprenditoriale che ha tempi diversi: gli investimenti devono rientrare, è proprio una logica di mercato, altrimenti l'investimento diventa economicamente insostenibile e, quindi, di per sé fallimentare, per cui la velocità della norma è necessaria.
  Nel ringraziarvi e nel ricordare a tutti noi che questo è un caso di eccellenza italiana, vorrei farvi una domanda. Io ho letto che avete fatto questa joint-venture con i Paesi Bassi; siccome so che uno dei paradossi che si è rischiato a un certo punto – lo so, perché ero all'epoca presidente nazionale di Legambiente – era che questa tecnologia migrasse, vorrei capire come funziona questo accordo e come state portando questa tecnologia in Europa, perché io penso che sia anche molto valido raccontare nei fatti in Europa quanto l'Italia sia avanti sul fronte tecnologico e dell'innovazione industriale. Fermo restando che condivido quello che dicono i colleghi: al di là della lentezza normativa, che sicuramente ha delle colpe, è davvero un settore nuovo, quindi normarlo bene non è semplicissimo e il conflitto che si è creato nell'attribuzione delle responsabilità è la punta di un iceberg naturalmente. Grazie e complimenti.

  PRESIDENTE. La parola al dottor Fabbri per la replica.

  GIOVANNI TEODORI FABBRI, direttore generale di FATER spa. Proverò a rispondere a tutte le domande. Le ho segnate e poi, qualora mancasse qualcosa, invito gli onorevoli a farmelo notare.
  Partiamo dalle domande dell'onorevole Zolezzi, così rispondo parzialmente anche alle altre domande: c'è un limite tecnico in quello che le province possono fare? Secondo me sì, nel senso che alla fine per quanto riguarda tecnologie così innovative, che poi hanno un impatto potenziale anche sulla salute, sulla sicurezza, non sempre le province o le regioni possono essere in grado di normare. Ci sono competenze tecniche di un certo tipo che possono essere disponibili solo a livello governativo, a livello nazionale, in istituti come l'ISPRA e l'Istituto superiore di sanità. Da cui – spero di rispondere anche a un'altra domanda –: non rischiamo di creare disomogeneità rispetto all'intento di velocizzare provando a normare i criteri caso per caso? Dico, da rappresentante del mondo privato, che per noi l'ideale sarebbe una normativa end of waste a livello europeo. Questo riguarda anche la joint-venture olandese. Siamo in epoca di mercato unico, perché non possiamo avere decreti end of waste, in una materia come l'economia circolare così importante a livello europeo, che siano uguali in tutti i Paesi dell'Unione europea?
  Quello che noi stiamo provando a fare adesso, presso i nostri colleghi delle nostre consociate all'estero, è di fare il possibile per riapplicare il decreto end of waste italiano anche in Olanda e negli altri Paesi dell'Unione europea dove stiamo lavorando ai piani di espansione, per evitare di dover adattare la nostra tecnologia caso per caso. Quindi, se non si può avere a livello europeo, almeno fare il possibile perché si abbiano criteri omogenei a livello nazionale, cosa che penso sarebbe funzionale sicuramente allo sviluppo della tecnologia. Con questo spero di aver risposto a due domande.
  Abbiamo riscontrato, onorevole Zolezzi, manifestazioni di interesse anche da parte del comune di Roma per quanto riguarda Pag. 8la nostra tecnologia. Si tratta di prime manifestazioni generiche di interesse, a cui stiamo aspettando di dare seguito tramite l'azienda del municipio.
  Per quanto riguarda la possibile espansione al Sud abbiamo riscontrato interessi anche da parte di regioni meridionali, in primis Puglia e Campania. Quindi abbiamo riscontrato l'interesse e c'è interesse anche da parte nostra all'introduzione della tecnologia anche al Sud. Ricordo che noi siamo un'azienda abruzzese e l'Abruzzo, almeno da un punto di vista culturale, è considerato meridione, quindi per forza di cose alla fine siamo interessati a questo.
  C'era un'altra domanda per quanto riguarda la capacità dell'impianto. Un impianto a regime è in grado di trattare circa diecimila tonnellate all'anno di prodotti assorbenti per la persona usati, che grossomodo equivalgono al consumo di un milione di persone. Quindi, se volete, un impianto è in grado di servire una provincia di buone dimensioni o, in alcuni casi, anche una regione. Però l'equivalenza è un impianto per ogni milione di persone.
  Onorevole Muroni, lei conosce (ci ha seguito da presidente di Legambiente) tutti i problemi che abbiamo avuto; abbiamo rischiato – noi siamo un'azienda al 50 per cento americana, partecipata dalla multinazionale Procter & Gamble, – quindi abbiamo rischiato più volte di portare all'estero la tecnologia, ma anche tutto il gruppo, l'azienda che la segue, a causa delle lentezze che abbiamo riscontrato nell'individuare e nel capire quale dovesse essere il giusto livello per emanare la norma. La buona notizia è che, grazie anche a questo decreto, siamo riusciti e stiamo riuscendo a mantenere tutto in Italia. Quindi la tecnologia rimane pienamente made in Italy, la proprietà intellettuale rimane in Italia, l'azienda che seguirà, non solo in Italia ma anche all'estero, lo sviluppo della tecnologia resterà italiana. L'impianto si farà in Olanda.
  Stiamo facendo un impianto non solo in Olanda ma – possiamo dirlo, perché è notizia pubblica – anche in India e abbiamo manifestazioni di interesse più o meno da tutti i grandi Paesi dell'Unione europea e da altre realtà importanti dell'Asia. Quindi c'è un piano industriale internazionale di sviluppo molto solido, molto concreto, appoggiato dai nostri azionisti, anche grazie alla velocizzazione del decreto. Una volta emanato il decreto, c'è stato finalmente il benestare a mantenere l'azienda, la tecnologia e il piano di espansione in Italia. Penso che questo sia un successo di cui non posso che dare merito al mio team.
  Chiaro è che però ci sono situazioni, anche all'interno dell'Unione europea, in cui non c'è neanche bisogno del decreto end of waste. In Gran Bretagna, ma nella stessa Olanda, non c'è bisogno di decreti ad hoc: i decreti sono impliciti. «C'è qualcuno disposto a comprare la tua materia prima seconda? Benissimo, hai l’end of waste». Perché ho bisogno di una legge ad hoc, se c'è il mercato che mi riconosce lo status di end of waste?

  ALBERTO ZOLEZZI. Scusi, magari non ho sentito: le chiedevo quali parametri si sono dovuti modificare per rendere riciclabili i prodotti assorbenti.

  GIOVANNI TEODORI FABBRI, direttore generale di FATER Spa. Mi scusi, ha ragione, mi sono perso la domanda. I criteri che dobbiamo rispettare sono soprattutto a livello di contenuto microbatteriologico e farmacologico del prodotto riciclato. Quindi noi dobbiamo dimostrare di essere in grado, tramite il processo di sterilizzazione e di trattamento dei rifiuti, di abbattere i contenuti batteriologici e di farmaci presenti nei nostri prodotti. Quindi, se volete, usando una semplificazione, il prodotto riciclato deve essere a livelli di purezza della materia vergine, anche dal punto di vista chimico. In particolare per lo zinco, che è un po’ difficile, anche perché è contenuto nel prodotto originale, è contenuto nelle creme per bambini, quindi abbatterlo è stato difficile.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi per il contributo e per il documento depositato, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta Pag. 9odierna (vedi allegato 1), e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione tessile riciclato italiana (ASTRI).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti dell'Associazione tessile riciclato italiana (ASTRI), nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla normativa che regola la cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste).
  Ringrazio i rappresentanti dell'Associazione tessile riciclato italiana (ASTRI), e cedo la parola al dottor Fabrizio Tesi, presidente dell'Associazione tessile riciclato italiana (ASTRI), per lo svolgimento della relazione.

  FABRIZIO TESI, presidente dell'Associazione tessile riciclato italiana (ASTRI). Grazie, Presidente. L'Associazione ASTRI è stata costituita due anni fa per la necessità di sensibilizzare i nostri decisori politici affinché si risolvesse un problema annoso dell’end of waste sul tessile.
  Noi siamo un'associazione tessile del riciclato italiana che rappresenta tutto il territorio nazionale, però vogliamo parlare di Prato, che è un'eccellenza riguardo al riciclo, quindi all'economia circolare. Ritengo in assoluto che il distretto tessile di Prato, che fa economia circolare da circa centosettant'anni, abbia la necessità di essere tutelato, perché noi sappiamo benissimo che è prossima la data del 2025, quando la differenziata sul tessile sarà obbligatoria (ce lo dicono il pacchetto sull'economia circolare e le direttive europee), quindi noi nel 2025 ci troveremo ad affrontare un problema non da poco, perché i sottoprodotti e soprattutto gli indumenti usati arrivati a fine vita dovranno essere in qualche modo gestiti.
  Noi diciamo che l'attività del riciclo deve essere sostenuta, ma con una legge chiara. Oggi la legge sull’end of waste – mi riferisco in particolare al tessile – non è chiara e in tante occasioni ha dato luogo a prese di posizione da parte degli enti di controllo nei confronti di aziende che hanno messo in difficoltà le aziende stesse e quasi le hanno messe in discussione, anche in pericolo, perché alcuni nostri colleghi sono stati accusati di traffico illecito di rifiuti. Fortunatamente i casi si sono risolti, perché il giudice ha avuto il buonsenso di assolvere la persona, perché il fatto non sussisteva.
  Il fatto è che molti attori del distretto oggi sono preoccupati (da tanti anni lo sono) e molti vogliono mollare. I giovani non si vogliono nemmeno inserire in questa attività, vista la pericolosità di fare un lavoro virtuoso come quello che stiamo facendo.
  Io deposito un documento con delle slide, però vi mostrerei anche una sequenza video che credo renda bene l'idea. Noi qui stiamo parlando del tessile come la seconda industria più inquinante del mondo. Oggi conoscete bene il fast fashion e gli effetti collaterali che porta la produzione usa e getta, quindi a maggior ragione c'è la necessità di avere un distretto che si occupa del fine vita, dell’end of waste di questo prodotto portato velocemente a fine vita. Non lo dico io, lo dice il Forum di Ginevra nel 2018 che lancia un allarme riguardo il fast fashion, perché è la seconda industria più inquinante del mondo con emissioni e consumo di acqua notevole.
  Nel documento troverete un grafico della Ellen MacArthur Foundation che ci fa vedere quante sono le risorse che noi estraiamo: risorse che il 29 luglio di quest'anno si sono concluse. Il pianeta sta perdendo cinque mesi di autosufficienza dal 1970. Le materie prime stanno rincarando notevolmente. Poi vi farò vedere un grafico relativo alla lana.
  Ma come ci vestiamo, quali sono i problemi? I problemi sono due, molto grossi: il poliestere e il cotone, con tutti gli effetti collaterali che abbiamo con queste due fibre. Considerate che il poliestere è la fibra più utilizzata oggi del mondo, perché costa pochissimo e i brand hanno dei grossi vantaggi a utilizzare questa fibra, perché hanno dei margini incredibili. Dobbiamo considerare il poliestere una fibra non del tutto sostenibile, visto che oggi per prelevare il petrolio, non più da estrazione facile, occorre molta più energia; bruciarlo, Pag. 10quando un prodotto arriva a fine vita e quindi va in termovalorizzatore, crea dei problemi. Senza considerare le cinquecentomila tonnellate di microplastiche che tutti gli anni vanno nei mari e tutte le settimane noi ci mangiamo l'equivalente di una carta di credito in microplastiche, perché, andando nel mare, i pesci mangiano le microplastiche e noi ce le mangiamo.
  Nel documento troverete una slide interessante che ci dovrebbe far aprire gli occhi. Considerato che ogni ora vanno in discarica undicimila tonnellate di prodotti tessili (questi sono dati della Ellen MacArthur Foundation), quindi tre tonnellate al secondo, la domanda spontanea che nasce è: qual è la fibra più sostenibile oggi che possiamo avere? La fibra che viene dal mondo del riciclo, perché in quella maniera non andiamo a prelevare risorse, sempre più carenti in considerazione dell'aumento della popolazione e di coloro che possono spendere, e non abbiamo neanche il problema delle discariche e della termovalorizzazione. Ci tengo a precisare che tutte le volte che un prodotto va in discarica, poiché nel poliestere (la prima fibra di cui si parla oggi nel mondo) c'è la presenza di antimonio, questo che va nelle falde acquifere ed è un metallo pesante che avvelena. Ecco perché è necessario scongiurare la destinazione di certi prodotti in discarica.
  Nelle slides trovate alcuni grafici, le fonti le leggiamo sotto: 33 per cento, 9,7 miliardi di individui e la domanda di fibre probabilmente nel 2050 arriverà dall'80 al 95 per cento.
  Noi si vive nell'impresa quotidianamente e ci rendiamo conto che ora è un momento particolare, è un momento dove c'è una crisi particolare che sta vivendo tutto il pianeta, però abbiamo visto in alcuni momenti alcune imprese che dipendono fortemente dalle materie vergini – e noi in Italia dipendiamo molto da fibre che sono importate, perché noi le fibre non le abbiamo – avere grossi problemi per soddisfare la produzione di beni.
  Questo è un riassunto che conoscete meglio di me, quindi l'Europa come obiettivo non ha a cuore tanto la differenziata, ma ha a cuore il riciclo, perché, se io differenzio e poi non so dove inviare questo prodotto, non si va da nessuna parte.
  Credo voi conosciate meglio di me la direttiva n. 815 del 2018, dove si parla di EPR (extended producer responsibility). Noi abbiamo negli ultimi mesi incontrato molti brand, i più grossi e famosi del mondo, perché hanno un problema legato alla EPR per cui dovranno farsi carico del fine vita dei loro prodotti. Però questo problema si risolve in due modi. Noi lo diciamo continuamente: con l’ecodesign, producendo prodotti che siano facilmente riparabili e quindi tutto ciò che si può comporre deve essere facilmente scomponibile; e con gli impianti, l'esistenza degli impianti, perché questi signori che siano Benetton, Zara, Primark, H&M o qualsiasi altro, nel momento in cui chiederanno a me o a Sauro «ma io dove li metto questi?», noi saremo bell'e morti.
  Purtroppo non ci hanno tenuto in considerazione, pur avendo fatto un lavoro virtuoso da anni, che è stato messo in discussione. Quindi l’ecodesign sarà un problema da gestire nei prossimi anni.
  Perché abbiamo interesse come nazione? Perché siamo il settimo Paese industrializzato del mondo e quindi dobbiamo avere questo interesse, se vogliamo competere con gli altri Paesi del mondo. Siccome siamo ad oggi ancora la prima economia circolare dell'Europa, cerchiamo di mantenere – dico io – questo primato e non facciamoci sorpassare.
  Noi che viaggiamo per il mondo ci rendiamo conto che oggi si stanno tutti attrezzando per andare in quella direzione. Noi che non abbiamo niente da inventare, non chiediamo soldi, perché non chiediamo soldi, chiediamo solamente di farci lavorare, di continuare a fare un'attività che è dal 1843 che portiamo avanti.
  Non ci dimentichiamo che l'Italia è il primo produttore di moda e di lusso al mondo, e non ha materie prime. Noi dobbiamo importare tutte le materie prime dal resto del mondo: la lana dall'Australia, dalla Nuova Zelanda, dal Sudafrica o dal Sudamerica; e tutte le altre fibre, che siano nobili, o il cachemire, dobbiamo importarle dall'Iran, dalla Cina, da tutti i Paesi dell'Estremo Pag. 11 Oriente. Quindi alla faccia dell'economia circolare! Se io devo utilizzare una nave, quindi petrolio per importare poliestere, fibre di poliestere, lana e tutto il resto, mi sembra che non siano soddisfatti requisiti di base, le colonne portanti dell'economia circolare, che prevedono l'accorciamento delle distanze fra produttore e consumatore. Ecco perché c'è la necessità.
  I sei motivi principali per cui bisogna tenere in vita un distretto tessile li ho rappresentati in una sintesi: perché lo facciamo dal 1843. È ancora il primo distretto tessile in Europa con i suoi 6 miliardi di euro di fatturato, di cui il 50 per cento destinato all'esportazione e circa 1,8 miliardi che vengono dal riciclo. 1,8 miliardi che potrebbero sicuramente crescere, se ci fossero le condizioni.
  Le condizioni sono ridare fiducia agli operatori e quindi non far chiudere le aziende, come è successo negli ultimi anni, perché negli ultimi anni hanno chiuso molte aziende per una difficoltà dovuta alle importazioni selvagge, dove non c'è reciprocità, perché è bene rendersi conto che dall'Estremo Oriente, dalla Cina sta arrivando di tutto e di più, mentre noi dobbiamo rispettare un regolamento REACH in Europa, che è uno fra i più severi che ci siano al mondo, quindi ci troviamo a esportare regole e il rispetto dei diritti umani e ci vediamo importare vergogne e prodotti a cui non dovrebbe essere assolutamente permesso l'ingresso. Su quarantadue capi importati e analizzati – non so se qualcuno di voi ha visto «Presa Diretta» – quaranta erano fuori norma, quindi immaginatevi voi.
  Siamo sempre il primo distretto tessile in Europa, ma il primo ancora nel mondo indiscusso sulle produzioni di filati e tessuti ecosostenibili. L'Italia è il primo produttore al mondo di moda e di lusso; dobbiamo importare tutte le materie prime sì, ma sempre meno e a più caro prezzo. Il 2025 è una data ormai prossima e quindi ci dovremo in qualche maniera confrontare, perché questo è. Quindi, se le aziende non resteranno in vita, i nostri bidoni dell'indifferenziata sul tessile non so dove li metteremo. Ma di questo se ne sono accorti un po’ tutti.
  Porto l'esempio di H&M – ma questi sono alcuni esempi, se ne potrebbero portare centinaia –, oggi tutti vogliono andare in quella direzione, tutti sono obbligati ad andare in quella direzione. H&M lo ha già impostato nel 2030. Ma il 2030 non è una data a caso: il 2030 sono gli obiettivi, i goals che voi conoscete benissimo, quindi molte aziende hanno fissato come data il 2030, quindi vorranno prodotti sostenibili e riciclati.
  Oviesse che comincia a prendere, ha un programma di raccolta degli indumenti usati, ma anche la stessa IKEA l'altro giorno, insieme a H&M, ha annunciato a Vancouver la volontà di implementare i prodotti riciclati. Londra il 19 febbraio 2019 ha cominciato a capire che bisogna premiare le aziende eco-friendly e bisogna cercare di punire coloro che non fanno questo in modo virtuoso.
  Prato fa storia, perché lo si fa dal 1843, perché l'economia circolare è nel nostro DNA.
  Nel documento ci sono delle sintesi. Quello che ripeto sempre è che la nostra economia circolare, anche se non è la più antica, perché la più antica è la carta che nasce nel 1100, è la più complessa economia circolare del mondo.
  Anche se siamo lanieri dall'XI secolo a Prato, noi abbiamo riciclato di tutto, siamo principalmente lanieri, perché è sostenibile oggi essere lanieri, perché c'è un grosso gap tra la materia vergine e quella riciclata. È chiaro che il poliestere, finché costerà questo prezzo qui, rimarrà questo prezzo basso, non sarà possibile riciclarlo. Quindi o si interviene con degli incentivi fiscali, quindi cominciare a incoraggiare il consumatore e il produttore in altro modo, altrimenti il produttore deve fare utile e quindi guardare la cosa più conveniente.
  Ci sono alcuni dati che parlano di settemila imprese e quarantamila addetti, quindi una frammentazione incredibile perché, se si dividono quarantamila addetti su settemila aziende, si capisce bene la difficoltà di un distretto, soprattutto degli operatori del settore a dover ottemperare a Pag. 12quella che è la burocrazia oggi esistente in Italia. Quindi ci troviamo di fronte a un decreto ministeriale n. 264 che voleva in qualche maniera dare una risposta a una risoluzione dei sottoprodotti, ma non mi sembra abbia avuto un risultato interessante, anche perché è molto farraginoso, molto complesso da attuare, quindi molti degli attori del distretto oggi stanno pensando di mollare, perché, se devono acquistare un automezzo autorizzato al trasporto dei rifiuti piuttosto che altro, ti danno le chiavi e «ci si arrende». Si scoraggeranno alcune figure che sono importanti.
  La mia azienda o l'azienda di Sauro lo potrebbe fare, ma noi siamo qui a parlare e a rappresentare tante piccole realtà, perché questi sono numeri che ci dimostrano quanto sono piccole le realtà del distretto tessile di Prato.
  Questi sono i dati: 142 mila tonnellate, il 43 per cento destinato al riuso e quindi a quella parte più nobile dell'economia circolare, perché nei primi impianti di trattamento tessile tutto ciò che può andare nel mercatino dell'usato lo immettiamo in quel canale, dove l'impatto ambientale è bassissimo, perché non c'è bisogno di fare niente. Quello che non è idoneo lo ricicliamo e lo portiamo in fibra. Quindi un business della moda da 1.700 miliardi di euro e, come ci dice la Ellen MacArthur Foundation, solo l'1 per cento nel mondo è riciclato. Pensate che delle novantotto milioni di tonnellate prelevate di risorse, Prato, nonostante il ridimensionamento degli ultimi anni, ancora oggi riesce, a livello planetario, a riciclare il 15 per cento.
  Nel documento troverete una slide che mostra quante sono le convenienze a livello ambientale in termini di CO2, di consumo di acqua. Abbiamo visto che l'industria del fast fashion utilizza il 20 per cento delle acque di scarico.
  Ci sono delle foto di quello che noi produciamo. Però, se me lo permettete, io in borsa ho quattro o cinque bandiere – come le chiamiamo –, dei campioni per farvi vedere i tessuti che realizziamo per giacche, cappotti, da quella montagna di rifiuti, che per altri sono rifiuti, per noi sono sempre stati una miniera, perché rifiuto diventa se lo si mette in condizione di esserlo. Noi non lo abbiamo mai visto con quegli occhi.
  In una slide troverete un esempio dell'andamento del costo della lana negli ultimi quindici anni, dal 2003 al 2018. Ci siamo riferiti agli ultimi quindici anni, con alti e bassi, perché il mercato oggi lo fa la Cina che compra il 70 per cento della lana mondiale; ci si sta accorgendo che la lana soprattutto è fortemente sostenibile sotto tanti aspetti e probabilmente noi ci ritroveremo fra qualche anno – spero di no – a non avere più lana. A maggior ragione noi dovremmo fare la lana senza pecore, come facciamo noi.
  Noi acquistiamo maglie usate e rifacciamo la lana. Al termine della relazione vi avrei fatto un invito, ma lo faccio ora, perché ho paura di dimenticarmelo: di venire a vedere la nostra realtà, che negli ultimi due anni, vi posso garantire, dalla nascita di questa associazione, è stata visitata da persone che venivano da tante parti del mondo. Ci siamo accorti che stiamo facendo un lavoro che a tutti interessa; che oggi tutti stanno parlando di economia circolare, perché noi abbiamo due strade con la prospettiva futura: o la decrescita o l'economia circolare. Non ce ne sono altre, perché le fibre che abbiamo a disposizione fra qualche anno non ci saranno più. Noi si vive tra le fibre dalla mattina alla sera e ve lo posso garantire. Quindi il mio invito è per prendere visione di quello che facciamo. Abbiamo invitato tanta gente, si è resa conto di quello che facciamo ed è rimasta affascinata nel vedere come riusciamo, in un percorso, a fare quello che facciamo.
  Vi riporto un articolo dalla stampa di Biella (fonte Eastern Market): «il 4 aprile 2019 la lana è arrivata a 2 mila centesimi di dollari australiani al chilo». Mai arrivata nella storia.
  Vi mostro una slide purtroppo molto triste, una delle tante. Riguarda un mio amico che è stato assolto – qui c'è l'assoluzione – che però purtroppo ha dovuto chiudere la sua azienda, Stefano Carraro di Empoli. Ha dovuto chiudere la sua azienda, Pag. 13perché è piccolino, si è dovuto difendere dall'accusa di traffico illecito di rifiuti, perché è arrivato un ente di controllo che, vista la legge poco chiara, lo ha accusato di traffico illecito di rifiuti. È stato assolto troppo tardi e ha dovuto chiudere. Questa situazione si è verificata in tanti altri casi.
  In un'altra slide ci sono le diciotto ragioni che richiamano quello che ho detto fino ad ora, però quattro sono fondamentali. Avete le slide, potete anche leggerle dopo con calma. Quindi dal cassonetto dove noi preleviamo il nostro materiale, viene trasportato da ditte autorizzate, perché in tutto questo c'è dell'illecito in Italia? Sì. Ci sono aziende che hanno fatto dell'illecito nella raccolta degli indumenti usati: alziamo le pene per quelli che fanno l'illecito. Ma quelli che compiono illeciti non possono gettare fango sulla stragrande maggioranza che fa un lavoro virtuoso. Quindi aziende autorizzate vanno a prelevare dalle campane, aziende autorizzate, i primi impianti sono tutte aziende autorizzate a ricevere questo rifiuto, perché a tutti gli effetti è un rifiuto, cosa chiediamo noi in sintesi? Una cosa molto semplice. La selezione avviene nei primi impianti, quindi si fanno essenzialmente tre cose: un primo gruppo (il 60 per cento) destinato al «second hand»; un secondo gruppo (il 37 per cento) è indirizzato al riciclo; il restante (2 o 3 per cento) alla discarica. Oggi noi con DDT, con un semplice documento, possiamo inviare il materiale ai mercatini dell'usato, quel 37 per cento. L'ARPAT, gli enti di controllo ci dicono che la presenza di un bottone e di una cerniera non fanno cessare la qualifica di rifiuto, e gli organi di controllo ci dicono che il primo impianto deve togliere i bottoni, le fibbie, le cerniere o gli accessori. Ma non è il suo lavoro! Fanno un lavoro di selezione, negli step successivi vengono fatti interventi ad arte per rendere il materiale pronto per essere riciclato.
  C'è questa linea immaginaria che a noi compromette purtroppo la vita. Noi diciamo che dopo un controllo visivo, dopo una igienizzazione, che facciamo solamente noi e la Tanzania nel mondo, dopo una selezione, il materiale deve essere a tutti gli effetti una materia prima, perché c'è un'azienda che va lì, la acquista, produce dei documenti, produce una fattura come prima del 1998, prima del decreto Ronchi. Questo vuol dire non tanto facilitare la vita di Fabrizio Tesi o di Sauro Guerri: vuol dire facilitare la vita di centinaia di imprese necessarie affinché Prato resti ancora il primo distretto tessile in Europa. È un'eccellenza italiana che, secondo il nostro punto di vista, deve essere tutelata e salvaguardata. In prospettiva anche di quello che sappiamo tutti.
  Io vi mostro, in chiusura, delle slide. Dal cittadino che decide di liberarsi dell'indumento, questo viene trasportato ai primi impianti che fanno la prima selezione dove l'Africa è il nostro più grosso acquirente, però ci sono altri Paesi (Albania, Italia stessa, Germania). Questi sacchi delle raccolte vengono da tutta Europa, non solo dall'Italia: dalla Germania, dalla Svizzera, dall'Austria. Dopo che il materiale è stato destinato al riciclo, viene trasportato agli impianti che si occupano del riciclo vero e proprio. Quindi, tramite una lunga classificazione, perché ci sono circa cinquecento articoli come suddivisione, si fa la divisione. Qui non si parla della bottiglia di plastica, della bottiglia di vetro o del cartone: si tratta di una filiera lunghissima dove l'esperienza che hanno oggi queste persone è maturata nel tempo, non ci si improvvisa dalla mattina alla sera. Quindi una selezione molto attenta dove a certi indumenti viene tolta la fodera, alcuni accessori e poi comincia la suddivisione vera e propria. Perché noi siamo virtuosi? Perché non utilizziamo coloranti chimici ausiliari, andiamo a recuperare il colore originale del vestito. Se il vestito era nero, noi riprodurremo la lana nera. Quindi noi produciamo la lana, senza pecore, già tinta, e ve lo facciamo vedere.
  Il 9 novembre ci sarà «Linea Verde Life» che farà vedere uno spaccato di Prato. Due settimane fa c'era il «National Geographic», perché si stanno rendendo conto oggi dell'importanza di un distretto come questo. Noi siamo nati due anni fa, perché volevamo dare la visibilità giusta, perché fino a due anni fa conoscevano il distretto Pag. 14di Prato solamente per i cinesi, e noi ci siamo rotti le scatole e abbiamo detto «è l'ora di finirla, raccontiamo veramente quello che fa il distretto!». Due settimane fa c'era la televisione tedesca, il 6 novembre andrà in onda in Olanda, Germania, Austria, Svizzera e in Lussemburgo uno spaccato di Prato, che vi potrò far avere perché me lo invieranno.
  Quindi una selezione attenta. In una slide vedete l'unica macchina – lo dico con orgoglio – l'unica nel mondo salvata dalla mia famiglia; è una macchina con l'acido cloridrico che elimina tutte le parti di cellulosa e non crea problemi per gli step successivi. Dopo aver carbonizzato questo prodotto viene controllato, prima di essere immesso nella lavastracci. Anche di queste ce ne sono tre nel mondo: una è di mia proprietà. Nel mondo ci sono solamente le sfilacciature, le macchine a secco e non ad acqua. Per fare un chilo di lana occorrono 8,7 litri di acqua contro diecimila litri di acqua di un cotone. Lo dice l'ONU. Con i pesticidi e gli insetticidi che ci sono per produrre un chilo di cotone.
  Vi faccio vedere ora velocemente quello che facciamo, poi io spero che veniate a trovarci. Asciughiamo il nostro prodotto, dopo che è stato stracciato, quindi abbiamo tutta una selezione di colori. Come vedete, i colori hanno un senso in questo caso. Poi c'è la costruzione del feltrino, la simulazione. Noi andiamo a fare il nostro colore, che poi andrà a produrre il filato negli impianti di filatura che abbiamo: anche questi, per la loro tipicità, sono unici al mondo. Anche se da 485 del 1985 siamo a sessantacinque e per questo bisogna salvaguardare tutto quello che c'è rimasto.
  Abbiamo impianti di filatura, di tessitura, abbiamo tutta la filiera al completo: una filiera che magari è articolata in più edifici, ma che comunque funziona, perché qualcuno credeva che il nostro modello così frammentato non fosse valido, invece ci fa essere ancora oggi il primo distretto tessile d'Europa. La parte finale è il finissaggio per rendere il tessuto piacevole al tocco, alla mano e quindi gli ultimi controlli che comunque potremo farvi vedere.
  Io vi ringrazio di avermi ascoltato e spero di essere stato chiaro.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni. Onorevole Buratti, prego.

  UMBERTO BURATTI. Grazie, Presidente. Solo per complimentarmi e ringraziare per questa illustrazione. Del resto questo distretto di Prato ormai – come diceva lei – è conosciuto non solo in Italia ma nel mondo.
  Effettivamente il lavoro che avete fatto, che ormai è proprio una tradizione, a me fa piacere da toscano perché questa attività è veramente un'attività che – oggi che si parla di economia circolare – qua si attua da anni. Quindi credo che noi come Parlamento dobbiamo prenderne atto e dare tutto il sostegno necessario proprio per confermare questa bellissima realtà.

  GENEROSO MARAIA. Io ho un unico dubbio per quanto riguarda i tessuti che lei ha descritto: ha detto che la maggior parte sono in poliestere, che è un materiale con un prezzo basso e che non conviene, è impossibile riciclarlo, quindi voi come fate a dividere i due materiali?

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Tesi per la replica.

  FABRIZIO TESI, presidente dell'Associazione tessile riciclato italiana (ASTRI). Non è impossibile. Oggi non si fa perché non c'è una convenienza, non è sostenibile economicamente, ma noi negli anni abbiamo riciclato moltissimo poliestere. Ho detto che il poliestere oggi è la fibra più utilizzata nel mondo (il 53 per cento), insieme alle altre fibre sintetiche. È possibile, certamente, bisogna creare una domanda dal mercato, bisogna cominciare a rendere il consumatore sensibile a un acquisto responsabile, che quindi venga dal mondo del riciclo, e questo lo possiamo fare. Già le nuove generazioni, nonostante la loro bulimia all'acquisto (oggi con un clic abbiamo a casa qualsiasi prodotto di Amazon il giorno Pag. 15dopo) generino quantità di rifiuti, sono oggi sensibili al tema ambientale, quindi bisogna sfruttare questo fatto e bisogna educare i cittadini ad andare in quella direzione.

  GENEROSO MARAIA. Mi scusi, forse non sono stato io chiaro. Vorrei capire quanta percentuale dal processo di riciclo derivava da fibra di poliestere.

  FABRIZIO TESI, presidente dell'Associazione tessile riciclato italiana (ASTRI). Tutto quello che va nel riuso è quasi tutto poliestere, perché, se il 53 per cento delle fibre sono di poliestere, di quello che va al mercatino dell'usato il 60 per cento è poliestere.

  GENEROSO MARAIA. Quello va bene, scartate soprattutto i capi che sono in poliestere, quindi resistenti, ma rispetto a questi capi di lana che comunque contengono un 30, 40 o 50 per cento di poliestere nel processo di riciclo, separate le due fibre e poi commercializzate entrambe o solo la lana e l'altra, il poliestere, viene destinato alla discarica o alla termovalorizzazione? Io questo vorrei capire.

  FABRIZIO TESI, presidente dell'Associazione tessile riciclato italiana (ASTRI). No, no. Le fibre non si possono dividere una volta che sono nel tessuto, quindi vanno trattate in un certo modo, ma noi a Prato oggi, per esempio, cominciamo ad utilizzare le fibre di poliestere che vengono riciclate dal PET o il nylon che viene dalle reti da pesca. Quindi stiamo già cominciando a riutilizzare prodotti che hanno una loro origine.
  Noi possiamo riciclare qualsiasi cosa, l'importante è trovare una convenienza, perché, se nel mercato ho una fibra di poliestere che costa meno, la vergine costa meno di quella riciclata, è chiaro che un'impresa non lo fa. Ma, se si creano quelle condizioni dove il mercato comincia a richiedere, e i prezzi salgono, io credo che lì si possano creare le condizioni.
  Non c'è difficoltà per riciclare nessun tipo di fibra. Le posso dire che abbiamo riciclato palline da tennis, cappelli, calze... qualsiasi cosa.

  GENEROSO MARAIA. Ma il problema della cessazione di qualifica del rifiuto sta proprio nel fatto che comunque bisogna tenere alta l'attenzione anche rispetto alla destinazione d'uso di quella fibra, perché, se lei mi ricicla reti da pesca dove ci sono determinati metalli pesanti e poi li destiniamo a un indumento per bambino, non è adatto.

  FABRIZIO TESI, presidente dell'Associazione tessile riciclato italiana (ASTRI). Come lei sa, noi abbiamo il regolamento REACH da rispettare: tutte le volte che produciamo un tessuto, dobbiamo rispettare quel regolamento, che è il più stringente nel mondo. In America, in Cina non ce l'hanno. Quando vendiamo ai nostri brand, firmiamo dei capitolati. Quando io vendo un tessuto, il brand mi chiede «questo io lo faccio per bambino». «No, per bambino no! Te lo do per adulto, e te lo do per adulto a certe condizioni». È chiaro che non è free da tutto, perché è un prodotto che viene dal riciclo e quindi noi ricicliamo anche un prodotto che ha dieci o vent'anni, ma lo diluiamo e quindi lo rendiamo vendibile, perché noi firmiamo grossi capitolati e lì non si scherza! Specialmente sulle ammine aromatiche c'è il penale.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi per il contributo e per il documento depositato, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 2), e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti della Confederazione Imprese Servizi Ambiente (CISAMBIENTE Confindustria).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti della Confederazione imprese servizi ambiente (CISAMBIENTE Confindustria), nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla normativa che regola la cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste). Pag. 16
  Ringrazio i rappresentanti della Confederazione imprese servizi ambiente (CISAMBIENTE Confindustria), e cedo la parola al dottor Stefano Sassone, direttore dell'area tecnica della Confederazione imprese servizi ambiente, per lo svolgimento della relazione.

  STEFANO SASSONE, direttore dell'area tecnica della Confederazione imprese servizi ambiente (CISAMBIENTE Confindustria). Grazie, Presidente. Vorremmo intrattenervi in un approfondimento che riguarda le nostre valutazioni come Confindustria CISAMBIENTE sulla normativa presente, passata e futura per quello che si sta approssimando riguardo alla disciplina dell’end of waste.
  In una delle slide del documento, che depositiamo, c'è l'elenco dei punti che vorremmo affrontare in questa breve audizione. Innanzitutto, come Confindustria CISAMBIENTE, vorremmo sottolineare che, così come probabilmente avranno fatto altri portatori di interesse, il quadro normativo sulla disciplina primaria riguardante la cessazione di qualifica di rifiuto risulta essere senza dubbio perfettibile, migliorabile e dovrebbe essere più efficace per poter agevolare lo stato di salute del settore del recupero dei rifiuti.
  Vogliamo ricordare a questa Commissione, al fine di spiegare qual è la nostra posizione in merito alla normativa primaria che riguarda la cessazione di qualifica di rifiuti, quali sono i passaggi che ci hanno condotto fino alla situazione attuale. Ci sono dei problemi – l'abbiamo detto –, occorrerebbe una normativa più efficace, ma probabilmente il peccato originario secondo noi risiede in una non corretta formulazione nelle prescrizioni riportate all'interno dell'articolo 6 della direttiva quadro del 2008, n. 98, per cui tra gli operatori, ma soprattutto tra gli enti periferici che sono preposti al rilascio delle autorizzazioni per lo svolgimento delle attività di recupero qualificate come end of waste, si è generata nel corso del tempo, in particolare tra il 2010 e il 2016, una notevole confusione.
  Confusione tra gli enti che dovevano rilasciare l'autorizzazione in quanto non avevano dei riferimenti chiari e precisi; confusione tra gli operatori che non avevano la certezza, a valle delle operazioni di recupero condotte all'interno degli impianti, se effettivamente quello che usciva dagli stessi potesse essere classificato come un rifiuto o avesse cessato la qualità di rifiuto. Probabilmente questa confusione è stata accentuata da una nota del 2016 del Ministero dell'ambiente, con la quale, in maniera legale, con il placet quindi del dicastero, si realizzava la situazione per cui gli enti periferici, le pubbliche amministrazioni competenti a livello regionale (e provinciale a cascata) potessero disciplinare secondo il cosiddetto criterio del «caso per caso», a prescindere dall'assenza di un riferimento normativo o di natura comunitaria oppure di natura interna, emanato dallo stesso Ministero dell'ambiente.
  Saltando al giorno d'oggi, evitando tutti i passaggi che hanno condotto all'attuale formulazione della disciplina normativa sull’end of waste proposta da un articolo del Testo unico ambientale, il 184-ter, semplicemente vi vogliamo mettere al corrente delle difficoltà che gli operatori oggi devono affrontare nel settore del recupero, per poter condurre con successo a termine un'operazione di tipo end of waste.
  Secondo l'attuale formulazione (quella data dal decreto-legge cosiddetto «sblocca cantieri»), purtroppo alle aziende che operano nel settore del recupero si presentano limiti tecnici allo svolgimento delle stesse operazioni; ci sono incertezze da parte dei richiamati enti periferici, i livelli della pubblica amministrazione che sono competenti o al rilascio ex novo delle autorizzazioni oppure al rinnovo delle stesse. Di conseguenza, non avendo la possibilità di espletare le operazioni di recupero, le aziende classificano come rifiuto, anziché come un qualche cosa che ha cessato la qualità di rifiuto, quello che entra all'interno degli impianti. Abbiamo quindi più rifiuti all'interno degli impianti di chiusura del ciclo di vita dei rifiuti stessi, quindi degli impianti di smaltimento, meno prodotti che possono essere reinseriti nel circuito economico e più oggetti o sostanze che vengono classificati come rifiuto. Pag. 17
  La nostra associazione si è battuta al fine di avere una normativa primaria che potesse condurre a questo tipo di situazioni, che potesse presentare quindi le criticità che oggi vi abbiamo esposto fin qui brevemente. Abbiamo realizzato, congiuntamente al sistema Confindustria, un appello lo scorso 25 luglio che inducesse le autorità competenti (il Parlamento) a recepire immediatamente il contenuto della direttiva n. 851, che fa parte del pacchetto circular economy, che all'articolo 6 consente lo svolgimento del rilascio delle autorizzazioni «caso per caso» oppure lo stesso rinnovo «caso per caso».
  Questo è per noi un punto assolutamente dirimente, perché, in assenza di una regolamentazione certa relativa a ciascun flusso di rifiuto che può entrare in questi impianti di recupero, abbiamo la necessità, per non bloccare il settore recupero e le attività svolte all'interno degli impianti, che gli enti periferici effettivamente consentano l'autorizzazione «caso per caso».
  Tanto per citarvi alcuni fatti che riguardano la situazione attuale, che la descrivono a nostro avviso come una situazione emergenziale, dal 2013 fino ad oggi sono stati emanati soltanto due regolamenti end of waste, quindi, in autonomia, possono essere rilasciate, secondo un tracciato normativo ben definito, soltanto le autorizzazioni per gli impianti che riguardano il recupero del cosiddetto «fresato d'asfalto» e recentemente, proprio nel 2019, dei prodotti assorbenti.
  Vogliamo sottolineare un aspetto fondamentale, importantissimo per noi: che, se volessimo seguire la via maestra e realizzare dei regolamenti end of waste che togliessero dall'impaccio le competenti autorità per il rilascio delle autorizzazioni, troppi e molti (e soprattutto lunghi) sarebbero i tempi per la realizzazione dei regolamenti stessi. Ve li cito, perché noi li abbiamo vissuti sulla nostra pelle andando a richiedere l'avvio dell'istruttoria per determinati flussi.
  Innanzitutto, per portare a termine il regolamento end of waste, occorre bussare alle porte del Ministero dell'ambiente, avviare un'istruttoria; dopo di che entra in gioco l'ISPRA, attraverso la richiesta di un parere formale che deve essere positivo; dopo di che vi deve essere l'analisi da parte dell'Ufficio legislativo del Ministero dell'ambiente; dopo di che ci deve essere un passaggio al Consiglio di Stato; infine vi deve essere un parere, ovviamente positivo, del Dipartimento degli affari giuridici e legislativi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri; e infine la valutazione positiva della Corte dei Conti. Sono sette passaggi che comportano parecchio tempo per essere espletati, e noi vorremmo proporre di contingentare i tempi di ciascun passaggio, perché non esiste, secondo la nostra ricognizione, una normativa che indichi tempi ben precisi per lo svolgimento di ciascuna delle fasi di questo processo.
  Così come ad esempio accade, in forza di disposizioni presenti nel nostro ordinamento, per i tempi di rilascio nell'ambito delle procedure autorizzative ambientali, che sono effettivamente contingentati, noi vorremmo proporre che ciò avvenisse anche per questa materia, altrimenti gli operatori corrono il rischio di avviare e fare degli investimenti su processi produttivi di recupero e di vedere magari vanificati i loro investimenti per il fatto che i regolamenti end of waste giungono a conclusione, quindi sono pubblicati ed entrano in vigore, quando magari determinati processi tecnici, svolti all'interno dei nostri impianti di recupero delle aziende di CISAMBIENTE, e anche di altre aziende, sono ormai superati e obsoleti.
  Quindi occorre restringere i tempi di tutte queste fasi (ben sette), che possono vanificare gli investimenti da parte di chi nel settore recupero investe.
  Senza dubbio il fatto di procedere all'emanazione di regolamenti end of waste per noi sembra una soluzione da prediligere, in quanto le autorità competenti al rilascio delle autorizzazioni hanno dei punti fermi per quanto riguarda le indicazioni sulle modalità con cui concedere il rilascio oppure il rinnovo delle autorizzazioni stesse. Quindi apprezziamo il fatto che ciò avvenga e che il Ministero dell'ambiente proceda alla realizzazione di questi regolamenti. Pag. 18
  Ricordato che fondamentalmente questi sono pochi e dovrebbero interessare più flussi di rifiuti – ce ne sono tanti, la normativa vigente ne contempla tantissimi, ma i regolamenti end of waste in realtà sono pochi e in numero limitato –, noi richiediamo, e passiamo quindi alle conclusioni, che vengano ridotti i tempi per quanto riguarda il rilascio dei regolamenti end of waste da parte del Ministero e richiediamo che vengano risolti una serie di problemi che sono sullo sfondo e che richiedono un'attenzione da parte della Commissione ambiente, per i quali manifestiamo una disponibilità ad essere auditi.
  Facciamo innanzitutto riferimento alle problematiche che riguardano la gestione del cosiddetto codice CER 191212. Le nostre aziende di recupero, quelle che consentono di assicurare, a monte della filiera della gestione del rifiuto, il servizio pubblico di raccolta all'interno delle nostre città, nello svolgimento delle attività di recupero producono un codice CER, un rifiuto che, loro malgrado, ha un'unica destinazione: lo smaltimento (191212). In una situazione in cui in Italia purtroppo non abbiamo un quadro impiantistico adeguato sia sotto il profilo della quantità che sotto il profilo della qualità, svolgere le operazioni di recupero per le nostre aziende è divenuto particolarmente complesso per il fatto che i costi di conferimento negli impianti di chiusura del ciclo – e faccio riferimento a quelli di smaltimento – è diventato eccessivo. Di conseguenza le stesse operazioni di recupero non diventano economicamente convenienti.
  Quindi questo è il secondo punto: riuscire a delineare all'interno del nostro territorio una situazione, sotto il profilo impiantistico, adeguata allo sviluppo del settore del recupero, per evitare il discorso dell'accumularsi all'interno degli impianti di questo scarto indesiderato delle attività di recupero.
  Infine faccio un'ultima osservazione: se vogliamo fare dei regolamenti end of waste, quindi dare certezza agli operatori che quello che fanno all'interno degli impianti di recupero poi consente di ottenere in uscita effettivamente dei prodotti che vadano sul mercato e possono essere venduti e che alimentino questo ciclo virtuoso, occorre incentivare questo mercato. Quindi facciamo riferimento alla necessità di creare dei criteri ambientali minimi da applicare all'interno dei bandi di gara, svolti dalle pubbliche amministrazioni, che contemplino ad esempio elevate quote di acquisti verdi basati sull'acquisto di materiale riciclato.
  Facciamo l’end of waste, facciamolo in tempi brevi secondo le nostre proposte, quindi contingentando i tempi di ciascuna fase che porta alla regolamentazione dei singoli flussi di rifiuti, creiamo anche un mercato per i prodotti che sono riciclati, in vigenza di una normativa chiara ed efficiente per gli operatori, e facciamo attivare anche le pubbliche amministrazioni con criteri ambientali minimi all'interno dei bandi di gara che consentano lo sviluppo di questo mercato.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GENEROSO MARAIA. Ho apprezzato la relazione, soprattutto quando ha richiamato l'articolo 6 della direttiva europea e la possibilità di questo articolo 6 di consentire il rilascio delle autorizzazioni «caso per caso». Su questo punto, però – ho sottolineato più volte nelle audizioni anche con altri operatori –, si fa confusione tra il rilascio delle autorizzazioni e le decisioni in merito ai criteri di cessazione del prodotto o del potenziale rifiuto da portare a riciclo; nel comma che voi avete proposto, nell'emendamento che avete proposto e recepito dal Governo, si unisce nella procedura autorizzativa anche la definizione dei criteri, quindi stiamo attenti perché è possibile creare un nuovo tour di ricorsi, di contenziosi e, quindi, ritornare al Consiglio di Stato, quindi al passaggio n. 6, a quello che è stato il vero blocco di tutte le procedure. Guardando la procedura della filiera degli stracci, su cui si è testé tenuta l'audizione, per scrivere il regolamento ci sono voluti dodici mesi, non un'eternità: i quattro/cinque anni che si sono persi, si Pag. 19sono persi fra TAR, Consiglio di Stato, autorizzazione regionale.
  Immaginiamo poi – quello che chiedo a lei – se questo emendamento, così come è scritto, possa creare una frammentarietà, una disomogeneità fra le regioni e quindi anche il proliferare di ricorsi e quindi di tutta una giurisprudenza molto variegata sul territorio nazionale che, anziché andare ad agevolare, così come si è fatto con il decreto-legge «sblocca cantieri», con cui si pensava di andare ad agevolare, si rischia che – facendo finta che lo Stato è debole, non ce la fa, che l’iter è troppo lungo, soprattutto il Ministero impiega tempi troppo lunghi per fare i regolamenti, demandando tutto alle province e alle regioni – non si risolva granché. Vedremo quando partiranno i primi ricorsi.
  Il problema è capire chi fa cosa e quindi quello che ho apprezzato di più è la sua proposta nel dire «creiamo una procedura snella», perché è compito del Ministero definire i criteri: che cosa può uscire da un codice CER e che cosa deve rimanere nel codice CER. Per cui non possiamo far finta che il Ministero non debba svolgere un proprio ruolo, che non è solo quello di controllo – come abbiamo previsto all'interno dell'emendamento – ma è proprio quello di scrivere i regolamenti. Quindi quello che mi auguro è che nel prossimo futuro si abbia un'attenzione in merito a questo emendamento e si apportino anche le modifiche necessarie affinché l'ISPRA, il Ministero, tutti gli organi deputati centrali facciano la loro parte e vengano incontro alle innovazioni tecnologiche in atto attualmente.

  TULLIO PATASSINI. Grazie, Presidente. Ringrazio per l'intervento, perché la questione end of waste è fondamentale per l'economia italiana; è fondamentale per un sistema di sviluppo sostenibile, come abbiamo visto prima.
  Sull'emendamento in questione è evidente che, a fronte dei continui silenzi del Ministero, il mondo produttivo imprenditoriale è bene che vada avanti, perché i tempi della burocrazia sono diversi dai tempi dell'industria. Questo ovviamente nel rispetto delle regole e nel rispetto della salute pubblica. Ciò nonostante la sentenza del Consiglio di Stato è stata faticosa, ma il Ministero purtroppo è ancora in incredibile ritardo.
  È evidente che noi sosteniamo il «caso per caso» e vorrei avere conferma da voi se ritornare al «caso per caso» su materie e in argomenti ormai codificati sia veramente la soluzione per le aziende che si sono trovate all'improvviso con gli impianti fermi.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Bagnari per la replica, prego.

  CESARE BAGNARI, presidente area normativa ambientale di CISAMBIENTE Confindustria. Grazie, Presidente. Per quanto riguarda il primo intervento, l'osservazione è pertinente e noi come Associazione ci siamo fatti parte diligente promuovendo presso il Ministero l'approvazione dei decreti. Quella è la strada maestra che deve essere seguita per poter definire tutti i criteri per arrivare a un vero end of waste. Va tanto di moda riempirsi la bocca con l'economia circolare, poi è chiaro che, se non si chiude il cerchio con l’end of waste, rimangono tutte chiacchiere.
  È altresì vero, ahimè, che le autorizzazioni, con il tempo che passa, scadono e quindi mettono in difficoltà la prosecuzione anche dell'attività ordinaria, al di là di quella che è – ed è il secondo aspetto – l'evoluzione tecnologica che porta ad avere la possibilità di recuperare materiali che, in vigenza della vecchia normativa, non erano neanche ipotizzabili come recuperabili. Quindi anche in questo emendamento, per quanto riguarda le autorizzazioni in regime semplificato – adesso non vorrei entrare troppo nello specifico – si fa ancora riferimento alla vecchia normativa che fa capo al decreto ministeriale del febbraio 1998, mentre per quanto riguarda quelli in regime ordinario c'è la possibilità di andare sul «caso per caso».
  Quindi, per concludere e non annoiarvi oltre misura, la strada maestra è, e rimane, quella dell'approvazione dei decreti con la definizione di tutti i criteri per arrivare all’end of waste. Sappiamo che sul tavolo Pag. 20del Ministero ce ne sono quindici o sedici, dal 2013 ne sono stati approvati solamente due: quello relativo ai conglomerati bituminosi e quello relativo agli ausili alla persona (assorbenti e pannolini); di conseguenza, ci aspettiamo anche noi ricorsi, e questo, siccome se lo aspettano anche gli enti periferici, sta già diffondendo un po’ di timore tra chi si troverà ad essere chiamato a poter rilasciare autorizzazioni «caso per caso», a poter rinnovare autorizzazioni che erano già in vigore, proprio in virtù del fatto che sono provvedimenti attaccabili. Questo rischia di non essere risolutivo del problema, perché poi ovviamente, quando ci sono responsabilità che non vengono assunte, per motivi vari, a livello periferico, il problema non si sblocca.
  Quindi vi invito di nuovo – e noi ovviamente saremo, se chiamati a dare il nostro contributo, molto disponibili – a sollecitare da una parte l'incremento della produzione di decreti e, dall'altra, la definizione di un contingentamento dei tempi, anche perché il tessuto produttivo non può essere appeso a tempistiche non certe.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi per il contributo e per il documento depositato, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 3), e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.40.

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ALLEGATO 3

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