XVIII Legislatura

VII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 10 di Lunedì 27 giugno 2022

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fratoianni Nicola , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI INNOVAZIONE DIDATTICA ANCHE LEGATA ALL'USO DI NUOVE TECNOLOGIE

Audizione di Lorenzo Micheli, esperto di metodologie didattiche innovative, coordinatore del Programma Education presso il Commissariato generale dell'Italia a Expo Dubai 2020.
Fratoianni Nicola , Presidente ... 3 
Micheli Lorenzo , esperto di metodologie didattiche innovative, coordinatore del Programma ... 3 
Fratoianni Nicola , Presidente ... 6 
Fusacchia Alessandro (Misto-MAIE-PSI-FE)  ... 7 
Fratoianni Nicola , Presidente ... 7 

Audizione, in videoconferenza, di Antonello Giannelli, Presidente dell'ANP (Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola).
Fratoianni Nicola , Presidente ... 7 
Giannelli Antonello , Presidente dell'Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola (intervento da remoto) ... 7 
Fratoianni Nicola , Presidente ... 10 
Fusacchia Alessandro (Misto-MAIE-PSI-FE)  ... 10 
Di Giorgi Rosa Maria (PD)  ... 10 
Fratoianni Nicola , Presidente ... 10 
Giannelli Antonello , Presidente dell'Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola (intervento da remoto) ... 10 
Fratoianni Nicola , Presidente ... 11 

Audizione, in videoconferenza, di Antonio Piscopo, vice direttore e responsabile relazioni istituzionali, impatto ricerca e policy di Teach for Italy .
Fratoianni Nicola , Presidente ... 11 
Piscopo Antonio , vice direttore e responsabile relazioni istituzionali, impatto ricerca e ... 12 
Fratoianni Nicola , Presidente ... 15 

ALLEGATO: Memoria depositata da Antonio Piscopo ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Insieme per il Futuro: IPF;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Alternativa: Misto-A;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI;
Misto-MAIE-PSI-Facciamoeco: Misto-MAIE-PSI-FE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Europa Verde-Verdi Europei: Misto-EV-VE;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Manifesta, Potere al Popolo, Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea: Misto-M-PP-RCSE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
NICOLA FRATOIANNI

  La seduta comincia alle 11.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione in diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Lorenzo Micheli, esperto di metodologie didattiche innovative, coordinatore del Programma Education presso il Commissariato generale dell'Italia a Expo Dubai 2020.

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di innovazione didattica, anche legata all'uso di nuove tecnologie, di Lorenzo Micheli, esperto di metodologie didattiche innovative, coordinatore del Programma Education presso il Commissariato generale dell'Italia a Expo Dubai 2020. Saluto e ringrazio il dottor Micheli per essere intervenuto. Saluto anche i colleghi, quelli presenti e quelli che partecipano da remoto. Ricordo che, dopo l'intervento del nostro ospite, darò la parola ai colleghi che intendano porre domande o svolgere osservazioni. Successivamente il nostro audito potrà rispondere alle domande. Do quindi la parola a Lorenzo Micheli, esperto di metodologie didattiche innovative, e coordinatore del Programma Education presso il Commissariato generale dell'Italia a Expo Dubai 2020. Prego.

  LORENZO MICHELI, esperto di metodologie didattiche innovative, coordinatore del Programma Education presso il Commissariato generale dell'Italia a Expo Dubai 2020. Grazie. Buongiorno a tutti. Sono Lorenzo Micheli, esperto in processi, politiche e progetti di apprendimento, orientamento, internazionalizzazione; promotore di diverse community di studenti e docenti della scuola italiana e, come anticipato, da poco rientrato da Expo Dubai dove ho avuto l'onere e l'onore di coordinare il programma formazione di Padiglione Italia, in qualità di paese capofila di questa prima esposizione universale.
  Nessuna premessa vale più che un ringraziamento alla VII Commissione cultura della Camera dei deputati, ovviamente per l'invito, ma soprattutto per avere promosso un'indagine conoscitiva sulla innovazione didattica e per averlo fatto con il coinvolgimento – so di non essere né il primo, né l'ultimo – di tanti soggetti che operano con grande merito in questo campo.
  Parlare di innovazione scolastica, rintracciarne il suo significato profondo e anche collocarla nel tempo e nello spazio non è mai un'operazione banale. Quando lo si fa c'è sempre il rischio di cadere vittime dell'improvvisazione; per questo credo che dobbiamo sempre provare a collegare l'innovazione scolastica con i tempi che viviamo, perché credo profondamente che è possibile riconoscere forme, manifestazioni, strumenti, linguaggi di innovazione didattica quando toccano, nella sostanza, cinque grandi obiettivi, se non urgenze ed emergenze, dichiarate e non, della scuola italiana. Le vado brevemente a sintetizzare; sono: l'educazione a un futuro incerto, quindi il tema è l'emergenza e l'importanza dei progetti di orientamento; l'educazione a un presente globale, quindi porre l'accento Pag. 4su internazionalizzazione, mobilità e multilinguismo; l'educazione alla tecnologia, quindi a un rapporto sano tra gli studenti e le studentesse, e gli strumenti della tecnologia; l'educazione a nuovi contratti sociali, quindi i temi e le sfide di inclusione e dialogo tra le mura scolastiche; l'educazione a una ricerca di senso per cercare di superare quel senso di alienazione diffuso tra gli studenti e le studentesse anche nel nostro Paese. Credo che riuscire ad aggredire questi cinque grandi ambiti, queste cinque grandi sfide, significhi dare agli studenti e alle studentesse del nostro Paese alcuni strumenti per fare delle scelte, per imparare a scegliere che, dal mio punto di vista, è il vero obiettivo dell'innovazione scolastica, che è quella che deve nascere tra i banchi di scuola.
  Segue però, e credo che sia anche l'obiettivo di questa audizione, sempre una domanda che ci poniamo tutti: da dove si comincia e come possiamo sempre di più costruire quelle condizioni abilitanti per diffondere e moltiplicare il valore dell'innovazione a scuola? Me lo sono chiesto tante volte in questi anni e me lo sono chiesto mettendo al centro l'esperienza scolastica, cioè il valore di tutte quelle esperienze che i ragazzi e le ragazze del nostro Paese maturano fuori da quello che consideriamo il tempo strettamente curriculare. Mi sono sempre chiesto come una singola esperienza scolastica, fuori dalla dinamica strettamente curriculare, possa contribuire a cambiare la vita di una persona, come possa aiutare e migliorare la qualità del suo coinvolgimento, della sua partecipazione nella società, come possa aiutare a tracciare quella che è la mappa delle opportunità. E l'ho fatto in questi anni da un punto di vista di azione e di osservazione molto privilegiato. Ho collaborato per anni, dal 2015 al 2020, con il Ministero dell'istruzione. Ho quindi potuto contare su alcuni vantaggi competitivi, che una macchina pubblica e un'istituzione come quella può avere. La storia che ne esce, che oggi vorrei condividere, è quella di un'innovazione di metodo, innovazione metodologica che ha coinvolto vari programmi promossi dal Ministero dell'istruzione, che hanno avuto la forza poi di diffondersi e di diventare pratica comune nel campo della progettazione scolastica, quella progettazione scolastica che poi facilita alcuni processi, alcuni risultati molto concreti di quella che possiamo definire innovazione.
  Il mio primo passo in questi anni è stato quello di unire, esattamente, il significato di alcune azioni, di alcune parole apparentemente distanti, ma invece indissolubilmente legate, al vertice di questo dispositivo, che oggi ho il piacere di condividere e che è diventato linguaggio comune, norma linguaggio comune nella scuola italiana, ci sono le persone. Potrebbe sembrare molto retorico dire che le persone sono al centro, ma in questi anni, visitando quasi trecento scuole, istituzioni secondarie di primo e secondo grado, scuole primarie del nostro paese, mi sono assolutamente reso conto che l'innovazione, pratiche di innovazione sono assolutamente diffuse nel nostro Paese da nord a sud, senza alcuna distinzione, perché la differenza in questo campo della progettazione scolastica la fanno veramente le persone, la fa la volontà di una comunità scolastica di organizzarsi e di cambiare. E lo abbiamo visto, questo, soprattutto in tempi di pandemia, dove le persone, anche grazie all'utilizzo di strumenti, di tecnologie, hanno saputo resistere e hanno saputo generare connessioni e valore. Per cui è imprescindibile, quando parliamo di innovazione scolastica, inquadrare bene il nostro target, e il valore della singola persona e delle singole responsabilità.
  La seconda azione che volevo sottolineare è quella della chiamata, perché troppo spesso studenti e studentesse del nostro Paese subiscono una chiamata, e subiscono un invito, in alcuni casi diremmo tecnicamente subiscono una circolare. Allora, in questi anni, attraverso questo dispositivo vi chiedo di immaginare la forza di una comunicazione che raggiunge istantaneamente tutte le istituzioni scolastiche del nostro Paese, che non chiede un numero di studenti e studentesse per riempire una sala e partecipare a una conferenza, ma chiede a quella scuola di individuare delegazioni di Pag. 5studenti pronte a partecipare a un'attività laboratoriale dove partecipano altre scuole.
  Il terzo punto, e possiamo procedere, è quello della connessione. Siamo abituati a misurare la partecipazione studentesca sempre in termini di quantità, quanti studenti e studentesse partecipano a una determinata attività, a un determinato evento e sulla base della qualità. Qual è il livello anche di eccellenza riconosciuta e non riconosciuta, di studenti e studentesse che noi portiamo all'interno di uno stesso spazio. Allora credo che ci sia un terzo elemento, un terzo indicatore che è quello della diversità. Se noi riflettiamo bene sul contenitore scuola, ci rendiamo conto che è il più grande luogo di connessione del nostro Paese e allora, riprendendo quella chiamata che guarda l'azione, immaginate 2-300, 400, 500 studenti di tutte le regioni del nostro Paese, di diverse istituzioni scolastiche, di diversi indirizzi scolastici insieme, per fare questo esercizio di connessione paese.
  Il quarto punto, e la quarta azione è quella dell'ingaggio. Nel mondo della scuola italiana siamo ancora pieni di progetti scolastici, extra curriculari, molto generici, cioè progetti che non sono inseriti all'interno di una logica di senso complessivo, progetti difficilmente contestualizzati e soprattutto contestualizzabili, progetti non inseriti all'interno di perimetri vocazionali, progetti che non hanno una identità fisica, tematica organizzativa, temporale molto forte. Allora, sempre partendo dall'importanza dell'ingaggio, immaginate quelle scuole e quegli studenti chiamati, quelle scuole e quegli studenti connessi, essere ingaggiati per un numero di giorni rispetto a sfide molto forti e molto aggreganti della nostra società, e quindi che riconoscano il perché sono lì, perché quel «perché» è connesso ad alcune tematiche molto forti, in grado di scaldare le loro corde vocali, emotive e mentali.
  E qui arriva anche la tecnologia, che so essere un punto di attenzione per questa Commissione, e soprattutto per questa indagine. Ci domandiamo come avviciniamo i ragazzi alla tecnologia, come li educhiamo alla quarta rivoluzione industriale, come li educhiamo alla portata e al valore delle principali innovazioni tecnologiche. Questo punto dell'ingaggio è molto centrale e qui volevo portare tre casi molto veloci e molto rapidi. La prima: la rete MAB Italia. Negli ultimi due anni, dal 2020, cinquemila studenti in Italia hanno partecipato a un progetto che si chiama MAB: è un grande progetto di mappatura collaborativa e percettiva del nostro Paese. Immaginate ragazzi che mappano i loro territori attraverso strumenti di mappatura digitale, andando a unire dati di primo e di secondo livello e quindi superando il livello di distanza che si genera, e si è generato soprattutto durante questi due anni di pandemia, tra i ragazzi e il loro territorio di appartenenza. Nel girare in questi anni, come dicevo prima, quasi trecento scuole è incredibile andare in certi territori, provare a stimolare i ragazzi sulla conoscenza del loro territorio e vedere, ahimè, un livello di distanza non solo in termini di conoscenza, ma anche in termini di consapevolezza di quello che quel territorio offre. Questo progetto MAB Italia oggi è una rete che conta quasi 200 scuole ed è un'attività che risponde a queste azioni di chiamata, di connessione e di ingaggio, su come avviciniamo, attraverso strumenti di mappatura digitale, i ragazzi ai loro territori, ovviamente anche ai loro docenti.
  La seconda esperienza è il mondo del gaming, proprio come sia importante ingaggiarli su qualcosa che effettivamente scalda alcune corde vocali dei ragazzi. Immaginate come il game development è diventato un vero e proprio catalizzatore capace di accelerare la collaborazione e sprigionare la creatività dei ragazzi avvicinandoli alle discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics). Immaginate delle sfide che chiedono ai ragazzi di progettare ambientazioni per video giochi e quindi i ragazzi che mappano, ad esempio, il nostro patrimonio culturale e lo rendono il luogo all'interno del quale sono ambientate pratiche di video gaming.
  Terza e ultima storia, molto veloce e molto rapida: lo sport e data analytics. Immaginate studenti che analizzano i data set dei principali campionati di calcio italianiPag. 6 ed europei, in cui analizzano la grande mole di dati sportivi, facendo leva sui metodi dell'analisi dati dell'intelligenza artificiale. Qui volevo richiamare il fatto che studenti e studentesse possano essere chiamati a partecipare a eventi laboratoriali così complessi e che attraverso la connessione non dialoghino tra studenti della stessa classe o della stessa scuola, ma con studenti e studentesse di altre scuole del nostro Paese e che, infine, vengano ingaggiati su sfide specifiche.
  Infine, l'ultimo punto, quello dell'abilitare, che è l'ultimo limite che volevo riscontrare, se non denunciare, in un certo senso, in molte esperienze di progettualità scolastiche, che è la dimensione one shot; cioè gli studenti e le studentesse spesso partecipano a eventi che finiscono il giorno stesso, che non hanno una prospettiva, che non generano una legacy. Qui la vera scommessa in questi anni, attraverso le esperienze laboratoriali che menzionavo, ma in generale rispetto alla coerenza di questo modello, è stato quello di prevedere esercizi di premialità esperienziale. Quindi ragazzi chiamati, ragazzi connessi, ragazzi ingaggiati e poi individuare sempre più una platea di studenti e studentesse e abilitare per loro alcune esperienze di mobilità nazionale e internazionale. Accade così, che studenti che partecipano a un laboratorio sull'edilizia scolastica lavorino poi per sei mesi con un grande architetto – in questo caso l'architetto in questione è Mario Cucinella – per co-progettare insieme una scuola, e che partecipino a una design week, e che presentino quell'idea di scuola al termine di questo percorso. O, ancora, che i vincitori di un hackathon, ovvero di un laboratorio a sfide sull'inquinamento degli oceani, finiscano poi nel cuore dell'Oceano Indiano, nell'isola di Magoodhoo, nelle Maldive, per studiare l'impatto reale di quell'inquinamento legato agli oceani, e che in conseguenza di quella esperienza, Gaia (una delle studentesse che vedete) scelga di iscriversi al corso di biotecnologie dell'università Milano Bicocca. Ancora, che i partecipanti di un laboratorio sulle STEM e il futuro delle città, di nome Womest, arrivino fino in Silicon Valley e che Gaia, a seguito dell'esperienza, scelga farmacia all'università La Sapienza. E, ancora, un laboratorio sui territori alpini e appenninici e si ritrovano sull'Himalaya, dall'altra parte del mondo, per confrontarsi con altri giovani internazionali. E, ancora, in Ecuador, all'interno della foresta amazzonica, ancora attraverso simulazioni internazionali studentesche in India, in Canada, negli Stati Uniti, in Brasile. Possiamo scorrere queste immagini che trasmettono e vogliono trasmettere il senso di percorso.
  L'unione di questi puntini ha toccato in maniera radicale la vita di circa 8 mila studenti, attraverso il coinvolgimento di otto scuole, 60 attività che hanno avuto questa caratteristica di chiamata, connessione e ingaggio e abilitazione in 32 esperienze internazionali.
  Queste esperienze hanno rappresentato anche il dispositivo con cui l'Italia si è presentata all'esposizione universale di EXPO, in rappresentanza del tema Connecting mind, e creating the future. Connettere le menti e creare il futuro. L'Italia attraverso questo dispositivo di chiamata, connessione, ingaggio e abilitare, ha generato 123 attività formative in 140 giorni di esposizione universale, chiamando, connettendo, ingaggiando, e abilitando 4 mila studenti di 26 nazionalità.
  Credo che queste cinque parole che ho voluto sintetizzare rappresentino il centro dell'azione progettuale che dovremmo tutti perseguire, perché i nostri ragazzi hanno effettivamente bisogno di più chiamate di qualità, perché il tempo scuola, oltre al tempo strettamente curriculare della didattica è un gran tempo di qualità. Se misurassimo tutti il tempo che passiamo in attività collaterali alle lezioni ci rendiamo conto che è un tempo consistente in termini di quantità. Quindi chiamare i ragazzi, farli connettere, farli sentire ingaggiati e soprattutto abilitare percorsi che hanno una durata lunga credo che sia un obiettivo di tutti noi, e credo per questo che sia così importante avere momenti di confronto come questo, grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei dottor Micheli. Do la parola all'onorevole Fusacchia, che prego comunque di essere sintetico.

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  ALESSANDRO FUSACCHIA. Grazie presidente. Volevo fare solo un commento essenziale su quello che ci diceva Micheli, cioè: noi facciamo già tanta attività di innovazione didattica, all'interno di quello ci mettiamo pure il digitale. Alcune cose lo sono e altre meno, molto esperienziale abbiamo capito. Il nodo che sta venendo fuori da queste audizioni è che il problema non è quello che fanno le scuole; le scuole fanno tanto, ma manca un po' di regia centrale, per cui spesso diventano un aggravio di progettificio, per dirla in maniera un po' netta, e ci sono progetti o progettini che accompagnano, ma hanno un impatto limitato rispetto a quella che può essere la sperimentazione da far fare ai ragazzi e alle ragazze delle scuole italiane, con un surplus di ricaduta, che sia sull'orientamento dei ragazzi, sulle esperienze che fanno. Credo che questo sia uno dei nodi che dovremo fare emergere con la relazione finale su questa indagine, cioè: che c'è bisogno, da un lato, di maggiore regia centrale sul monitoraggio e sull'accompagnamento per capire l'impatto dei progetti che i ragazzi fanno e, dall'altro, che questa innovazione didattica ha due finalità: una finalità strettamente pensata rispetto alla didattica in senso stretto – quindi come si insegna matematica, come si insegna italiano, come si apprende il sapere tradizionale – e l'altra è come sfruttiamo l'innovazione didattica e digitale della tecnologia per fare tutto quello che la scuola non ha fatto benissimo nei decenni e negli anni passati, che però diventa una parte funzionale dell'apprendimento dentro le scuole che è quello che diceva Micheli, rispetto all'orientamento, alle esperienze da fare extra, dove però servono una governance e una dimensione altrettanto strutturata come quella che noi abbiamo avuto come attenzione per i programmi scolastici.
  Non voglio proporre di fare programmi scolastici per la parte extra-curriculare, sarebbe un controsenso, però penso che ci sia molto bisogno di non lasciare semplicemente le scuole in balia di loro stesse e quindi alla ricerca dell'ultimo progettino interessante da fare; ma sarebbe molto più interessante promuovere delle strategie nazionali e andare a vedere se poi la ricaduta sulla singola scuola effettivamente è efficace perché si crea la dinamica che oggi c'è sui programmi scolastici, dove l'innovazione può andare a penetrare sia la parte di apprendimento dei saperi più tradizionali, sia a maggior ragione, proprio perché c'è più flessibilità, tutte queste esperienze extra che arricchiscono il bagaglio di nozioni, di apprendimento, di conoscenza di sé di cui i ragazzi e ragazze d'Italia hanno bisogno, grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a Lei Onorevole Fusacchia. Dichiaro chiusa l'audizione.

Audizione, in videoconferenza, di Antonello Giannelli, Presidente dell'ANP (Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, in videoconferenza, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di innovazione didattica, anche legata all'uso di nuove tecnologie, di Antonello Giannelli, Presidente dell'ANP (Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola). Saluto e ringrazio il dottor Giannelli per essere intervenuto. Ricordo che, dopo l'intervento del nostro ospite, darò la parola ai colleghi che intendano porre domande o svolgere osservazioni. Successivamente il nostro audito potrà rispondere alle domande. Do quindi la parola ad Antonello Giannelli, presidente dell'Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola.

  ANTONELLO GIANNELLI, Presidente dell'Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola (intervento da remoto). Grazie signor presidente, buongiorno a lei e a tutti gli onorevoli deputati. Segnalo preliminarmente che l'indagine per cui oggi siamo in audizione è stata avviata in realtà nel 2019, ben prima che la pandemia da Covid alterasse le nostre vite e sconvolgesse un po' tutta l'organizzazione del genere umano. E quindi credo che sia necessario tenerne conto nelle riflessioni che andremo a fare.Pag. 8
  L'innovazione didattica a mio avviso è una urgenza assoluta per il nostro Paese per varie ragioni, che ritengo opportuno ricordare. Innanzitutto, abbiamo una situazione che giudico insoddisfacente, per quanto riguarda gli esiti formativi del nostro sistema scolastico. Ovviamente abbiamo eccellenze, ma questo è vero sempre, ma dobbiamo occuparci di quelle cose che non vanno anche con quegli indici medi a livello nazionale, che ci dicono cosa c'è da migliorare e possibilmente dove migliorare.
  Allora, ricordo tre situazioni essenzialmente: innanzitutto, abbiamo un elevato tasso di dispersione scolastica. La dispersione scolastica può essere definita sia in forma esplicita, che implicita. La forma esplicita è semplice: si tratta degli alunni che abbandonano gli studi prima della loro conclusione. E quindi o vanno a lavorare, oppure si disperdono, oppure né lavorano e né sono in formazione, il famoso fenomeno dei NEET (Not in education, employment or training). Come Paese siamo tristemente ai vertici delle classifiche internazionali in questo. Poi abbiamo la cosiddetta dispersione implicita: la dispersione implicita è un concetto elaborato dall'Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione) che riguarda quegli alunni, mi pare il 7 per cento, che si diplomano, e quindi riescono a ottenere un titolo di studio che, però, è svuotato di competenza; cioè, sulla carta hanno conseguito un titolo di studio, però, poi, in realtà non hanno le competenze previste dal profilo di studi che hanno frequentato. Quindi questo è il primo problema, un elevato tasso di dispersione scolastica.
  Secondo. Abbiamo un basso livello medio di apprendimento a livello nazionale. I nostri giovani fra 18 e 25 anni hanno un livello di competenze più basso di quello di tanti Paesi occidentali, quelli con i quali ci confrontiamo in genere. Questo ha le conseguenze su cui dirò tra un attimo.
  La terza problematica, secondo me molto grave, forse ancora più grave delle altre, è quella dei divari di apprendimento. Abbiamo forti divari, forti disparità di apprendimento, tra varie aree geografiche del Paese e questo ce lo attenderemmo anche, non lo voglio giustificare, però la storia patria purtroppo vive di questione meridionale da quando è stata fondata la nazione unita, quindi sembra quasi accettabile; ma, ovviamente non lo è. Tuttavia, non è soltanto questo: abbiamo divari molto importanti, veramente a macchia di leopardo e, addirittura, abbiamo all'interno di una stessa scuola, spesso, grosse discrepanze tra gli apprendimenti di una classe e della classe accanto. Questo è veramente inaccettabile perché significa che c'è qualcosa che non va nell'organizzazione del sistema, che crea questa disparità. Mentre sappiamo bene che ci sono differenti ricchezze tra varie aree del Paese, differenti livelli di organizzazione, non possiamo accettare che all'interno di una stessa scuola la prima A abbia un esito e la prima B un esito anche molto diverso.
  Questi tre fenomeni, dispersione, basso livello medio di apprendimento e divario di apprendimento, hanno conseguenze molto gravi. La dispersione crea insuccesso e mancanza di realizzazione personale e questo, riguardante le singole persone, fa venire meno un principio etico sul quale la nostra scuola si deve basare, cioè quello delle pari opportunità per tutti. Quindi crea dei forti disagi sociali: disoccupazione, devianza minorile, fenomeno delle dipendenze. In alcune regioni, in alcune aree geografiche, questa dispersione e questa devianza minorile forniscono linfa alla criminalità organizzata e quindi sarebbe da combattere, non fosse altro che per questa ragione.
  Oltre a queste ragioni di insoddisfazione per i singoli, che noi dobbiamo assolutamente combattere, ripeto, su base etica, ce n'è una, più cinica se vogliamo: il pregiudizio alla nostra capacità di produrre reddito. È ben noto che il PIL pro-capite prodotto nel nostro Paese è piuttosto basso rispetto a quello di tantissimi Paesi occidentali e dobbiamo chiederci perché. Ci sono innumerevoli studi econometrici che dimostrano come la capacità di produrre reddito sia dipendente dal livello di studi compiuti, e quindi ogni anno di studi completato, e sostanziato da risultati effettivi, comporta un incremento significativo della Pag. 9capacità di produrre ricchezza e quindi PIL. Questo è essenziale perché permette, appunto, di poter disporre, poi, di ricchezze maggiori da distribuire tra tutti quanti. È di interesse per tutta la collettività.
  L'esistenza di consistenti divari di apprendimento, come è di per sé evidente, comporta una violazione del diritto costituzionale al pari trattamento, è inaccettabile e quindi, per quanto riguarda tutto quello che ho detto finora, ci sono dati oggettivi che lo dimostrano, però questi non esauriscono il set di evidenze che abbiamo. Noi registriamo una crescente disaffezione dei ragazzi per la scuola e per quello che si studia. Durante il Covid, abbiamo visto quanto i ragazzi tengano ad andare a scuola, a confrontarsi con i loro coetanei, perché la scuola non è un luogo dove si va a imparare e basta, si va a imparare insieme agli altri, si cresce insieme agli altri, e si deve introiettare cultura per avere il più pieno sviluppo della propria personalità e delle proprie possibilità di influire sull'ambiente circostante. Dobbiamo chiederci perché questo avvenga. Ritengo che la matrice essenziale di questa insoddisfazione sia da ricercare nell'origine gentiliana del nostro sistema di studi. La riforma Gentile risale essenzialmente a un secolo fa e, pur avendo avuto grossi meriti al momento della sua emanazione, era pensata per un tipo di società in cui sostanzialmente la scuola selezionava la classe dirigente. Questo oggi non è più ammissibile, non abbiamo più quelle esigenze sociali: abbiamo uno Stato completamente diverso e abbiamo l'esigenza che tutti i nostri cittadini remino insieme a noi in una direzione, che è quella del benessere collettivo, materiale e immateriale naturalmente. Quel tipo di scuola, quel tipo di modello didattico non va bene, perché genera dispersione che, come dicevo, è la prima delle conseguenze che noi dobbiamo combattere. Allora che cosa serve? Serve una innovazione didattica che superi il momento di scuola trasmissivo, che è quello in cui essenzialmente il docente tiene una lezione in classe, tiene conferenze, gli alunni vanno a casa, studiano e poi il giorno dopo, quando capita, in sede di interrogazione devono in qualche modo ripetere quello che gli è stato detto. Questo modello non funziona più. Ripeto: poteva funzionare cento anni fa, funzionava anche cinquanta anni fa, oggi non funziona più non solo nel nostro Paese, ma in tutto l'occidente. Le società democratiche, le società sempre più libertarie, in qualche modo rifiutano questo modo di procedere e quindi noi dobbiamo comprenderlo e dobbiamo andare avanti. Come? Imparando che si devono convincere gli studenti della significatività di quello che studiano. Questo si può fare. Lo hanno fatto i sistemi scolastici che hanno i risultati migliori, e cito tra tutti la Finlandia. In Finlandia le bocciature sono abolite da tempo, i voti negativi sono aboliti da tempo e non c'è dispersione. La dispersione finlandese è zero sostanzialmente, con esiti di apprendimento invidiabili; questo significa che non si tratta di dare sei politici, non si tratta di essere buonisti, sono tutte definizioni che trovo insulse. Dobbiamo invece formare e aggiornare la classe docente; vado sul propositivo: è necessario un piano di formazione e di aggiornamento massivo.
  Ricordo che abbiamo circa 800 mila docenti, non possiamo continuare a limitarci, come spesso si è fatto, a sperimentazioni che quando va bene coinvolgono l'1, il 2 per cento, fosse anche il 10 per cento dei docenti. Dobbiamo fare in modo che tutti i nostri docenti siano in grado di interrelazionarsi con i discenti non sulla base di un principio di autorità «io dico quello che devi studiare e se non studi ti boccio», ma sul fatto che devono essere in grado di convincerli. Lo ritengo essenziale. Così come ritengo essenziale cambiare alcune modalità organizzative delle nostre scuole che sono caratterizzate da una eccessiva rigidità e che non tengono presente quelle che possono essere difficoltà personali. Se un alunno vuole cambiare idea sull'indirizzo di studi, oggi, una volta entrato in un indirizzo, è difficilissimo farlo.
  Concludo queste brevi riflessioni portando all'attenzione una volta di più quella che deve essere la modalità di assunzione dei docenti. Noi continuiamo a assumere Pag. 10docenti mediante forme concorsuali che hanno dimostrato tutto il loro fallimento, cioè mediante concorsi centralizzati. Lo stesso decreto-legge n. 36, di recente convertito in legge, non innova da questo punto di vista. La chiave di volta è il conferimento alle scuole dei poteri assunzionali, come si fa in tutte le realtà di successo: è soltanto così che potremo superare la piaga del precariato. È soltanto così che potremo avere docenti effettivamente valutati sulle competenze che servono per insegnare in quella specifica scuola, e non docenti valutati sulle nozioni che possiedono, come in fondo si fa anche a scuola, dove il nozionismo continua a imperare, e non si punta sulla capacità di sviluppo di giudizio critico e di pensiero critico. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei dottor Giannelli, chiedo se ci sono domande e interventi da parte dei colleghi e delle colleghe. Onorevole Fusacchia.

  ALESSANDRO FUSACCHIA. Grazie presidente. Volevo ringraziare il presidente Giannelli e chiedergli una cosa molto concreta. In che misura si può rafforzare la capacità dei singoli dirigenti scolastici di essere più protagonisti nel rapporto con i docenti rispetto a una filiera che è molto verticale e gerarchica con il Ministero, per potere aumentare il tasso di innovazione della didattica nelle scuole? Grazie.

  ROSA MARIA DI GIORGI. Intanto la saluto, presidente, e la ringrazio per la sua disponibilità e per il contributo che dà a questo momento storico relativamente ai cambiamenti nella nostra scuola. Lei è sempre presente e noi, con i nostri provvedimenti, abbiamo un'interlocuzione con i dirigenti scolastici e con tutto il mondo della scuola che francamente ci serve molto. Abbiamo in questo momento appunto in aula alla Camera il decreto-legge n. 36 sul PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e abbiamo parlato di ciò che implica, appunto, la formazione degli insegnanti, come lei ci ha ricordato in questa fase. È vero, c'è bisogno di insegnanti in grado di rispondere alle sollecitazioni di questo nuovo mondo, e di questi nuovi ragazzi, perché sono molto diversi i ragazzi che abbiamo nelle nostre classi.
  Anche in aula abbiamo avuto modo, questa mattina, di dire quanto sia importante l'attenzione alla formazione degli insegnanti, proprio perché riescano a dare innovazione didattica e a rispondere a quelle esigenze di cui anche lei adesso parlava. Condivido l'impostazione che lei ha dato e auguro a lei, e a noi anche, buon lavoro, perché abbiamo da fare queste riforme, dobbiamo introdurre e garantire risorse a questo mondo. Credo che senza un impegno reale, una convinzione sincera da parte di tutti gli esponenti del Governo, e mi riferisco ovviamente al Ministero dell'economia, mi riferisco anche alla Presidenza del Consiglio. Senza l'impegno forte per dare continuità e per garantire certezza al mondo della scuola, senza un impegno reale che vada oltre le risorse del PNRR, certamente la nostra scuola non avrà benefici. Allora, su questo, deve essere importante l'impegno del Parlamento; quindi è evidente che concordiamo con l'impostazione che lei ci ha dato questa mattina, grazie.

  PRESIDENTE. Ci sono altre richieste? Non mi pare. Allora darei di nuovo la parola al dottor Giannelli per una replica.

  ANTONELLO GIANNELLI, Presidente dell'Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola (intervento da remoto). Grazie presidente. Vorrei partire, prima, dalle riflessioni dell'onorevole Di Giorgi. Il PNRR consiste in una iniezione di risorse una tantum, questo è evidente. Ora, con le risorse una tantum si possono fare tante cose, naturalmente: essenzialmente è stato destinato all'edilizia scolastica, che meriterebbe parecchie audizioni soltanto su questo tema. Sicuramente un'iniziativa una tantum può essere quella della formazione, nel senso che può servire come una sorta di shock al sistema per partire e avviarsi su una certa strada; tuttavia, è evidente che noi dobbiamo fare sì che lo Stato impegni permanentemente, ogni anno, delle risorse. Ho criticato molto Pag. 11severamente la decisione inserita nell'ultimo DEF (Documento di economia e finanza) di riportare al 3,5 per cento del PIL il finanziamento all'istruzione. Ora sembra che ci siano delle voci che non compaiono in questa quantificazione, per cui sembra che alla fine l'istruzione riceva più risorse; allora deve essere chiaro, deve esserci un indicatore quantitativo di quanto spendiamo per la nostra scuola. Io credo che spendiamo troppo poco. Cito semplicemente due indicatori: il primo riguarda gli stipendi del personale: non è che raddoppiando lo stipendio a tutti la qualità del lavoro migliori di colpo, però sicuramente dobbiamo avviarci su una strada di incentivi che devono essere collegati ai risultati che si ottengono. Se non si fa così non trarremo mai un ragno dal buco. In secondo luogo, servono risorse affinché ogni scuola possa attivare quegli interventi didattici che di volta in volta ritiene più necessari. È inutile che vi ricordi che le nostre scuole sono spesso alla sopravvivenza; per fortuna non abbiamo più i problemi di acquisto della carta igienica, però molto di più della carta igienica non riusciamo a comprare e invece servirebbe davvero tanto di più. Quindi è necessario che il legislatore, e in questo la VII Commissione credo che abbia un ruolo propulsore unico e insostituibile, faccia comprendere a tutta la classe politica che la scuola è un investimento per il futuro, non è una spesa. Chiaramente è un investimento per un futuro lontano, perché gli effetti di quello che facciamo oggi si potranno avere tra dieci, quindici, venti anni. Ricordo che la Finlandia ci ha messo venti anni per rinnovare il proprio sistema, e quindi è chiaro che se noi ci basiamo su quello che può essere il ritorno da parte dell'opinione pubblica entro sei mesi, entro un anno, con la scuola non funziona così.
  Rispondo alla domanda dell'onorevole Fusacchia. In tantissime occasioni, anche davanti a questa Commissione, ho ribadito che è necessario rivedere le norme che dettano il funzionamento degli organi collegiali che risalgono a cinquanta anni fa. Abbiamo una scuola il cui paradigma culturale è quello della scuola gentiliana di cento anni fa e abbiamo organi collegiali la cui organizzazione risale a 50 anni fa. Credo che questi due parametri temporali la dicano lunga su come si deve porre mano. Quindi si devono attribuire al dirigente scolastico, assolutamente, quelle risorse, quegli strumenti di intervento, quei poteri gestionali che sono pacificamente attribuiti a qualunque capo di istituto in tutti i Paesi esteri; un dirigente deve potere formare le classi, deve potere assegnare a esse docenti con la massima libertà. Io ritengo addirittura che debba potere assumere le persone, pensate un po'! Ma tutto questo, spesso, è visto nel nostro Paese con diffidenza, perché sembra che un dirigente che abbia le mani libere ne approfitti subito per fare interessi suoi personali o degli amici più stretti. Quello che si dimentica è che la scuola e il dirigente hanno un'esposizione sociale enorme. Se io mettessi in una classe a insegnare una persona inadeguata se ne accorgerebbero tutti dopo due giorni e se sono troppo piccoli gli alunni per accorgersene, se ne accorgono i loro genitori. Questa è una protezione tale da questo incremento dei poteri del dirigente, che non capisco perché ci sia tanta titubanza a procedere lungo questa strada. Abbiamo presentato infiniti progetti di riforma del testo unico e della governance degli organi collegiali e quindi credo che sia questa la strada lungo la quale andare per rispondere alla domanda dell'onorevole Fusacchia.

  PRESIDENTE. Grazie ancora al dottor Giannelli, a questo punto dichiaro conclusa la sua audizione.

Audizione, in videoconferenza, di Antonio Piscopo, vice direttore e responsabile relazioni istituzionali, impatto ricerca e policy di Teach for Italy .

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, in videoconferenza, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di innovazione didattica, anche legata all'uso di nuove tecnologie, di Antonio Piscopo, vice direttore e responsabile relazioni istituzionali, impatto ricerca e policy di Teach for Pag. 12Italy. Saluto e ringrazio il dottor Piscopo per essere intervenuto. Ricordo che, dopo l'intervento del nostro ospite, darò la parola ai colleghi che intendano porre domande o svolgere osservazioni. Successivamente il nostro audito potrà rispondere alle domande. Do quindi la parola ad Antonio Piscopo, vice direttore e responsabile relazioni istituzionali, impatto ricerca e policy di Teach for Italy.

  ANTONIO PISCOPO, vice direttore e responsabile relazioni istituzionali, impatto ricerca e policy di Teach for Italy (intervento da remoto). Grazie presidente. È veramente un onore essere qui con voi, grazie per l'invito. Lei mi ha già gentilmente presentato; adesso, brevemente, andremo a dare una scorsa a quello che Teach for Italy sta facendo sul fronte della didattica, in particolare sul contrasto alla povertà educativa nelle scuole italiane che sono in contesti più svantaggiati.
  Teach for Italy fa questo con i propri insegnanti, che noi chiamiamo docenti fellow, in Italia da due anni, ma Teach for Italy è parte di un network globale in 61 Paesi, che si chiama Teach for All. Ogni organizzazione nazionale, sostanzialmente, in modo indipendente l'una dall'altra prova a fare la stessa cosa, cioè a dare un contributo alle scuole pubbliche nei contesti più svantaggiati per dare più opportunità a bambini e studenti che vengono da contesti possiamo dire sociali, geograficamente, o anche da biografie o anche da contesti geografici più svantaggiati. Come sappiamo, il contesto di provenienza, sia esso biografico, sia esso geografico, sociale, purtroppo ha un'influenza massiccia sul destino di ognuno di noi, e noi cerchiamo di dare il nostro contributo, perché questo destino quasi presegnato di molte biografie, invece sia più aperto alla possibilità, dando anche ai Paesi dove interveniamo la possibilità di intervenire su uno dei fattori che in Italia, per esempio, ha tenuto il Paese un po' bloccato. La mobilità sociale in Italia, come sappiamo, da un po' di anni non è più così fluida, non è più così dinamica come lo era fino agli anni sessanta, o all'inizio degli anni settanta. Nell'ultimo rapporto del Global economic forum, in particolare nel 2020, è stato fatto per la prima volta uno studio globale cercando di paragonare 80 economie, 80 Paesi del mondo: l'Italia, purtroppo, anche mettendo insieme diversi indicatori, non è tra i Paesi in cui la dinamica, la mobilità sociale è più fluida. In testa ci sono Paesi europei, ma scandinavi, e questo è molto interessante perché si dibatte molto sul rapporto, sull'influenza della scuola, dei sistemi scolastici proprio sul livello anche strategico di un Paese e, soprattutto, sulla capacità di quel Paese di generare anche innovazione, di generare quella dinamica sociale che appunto è poi la fonte della creatività collettiva.
  Sostanzialmente, sulla prima slide, non ho molto da raccontare. Conoscete il contesto italiano meglio di me: era appunto il riferimento che facevo poc'anzi alla bassa mobilità sociale che caratterizza l'Italia. Sappiamo che in Italia abbiamo un paio di criticità molto particolari, soprattutto sul fronte dei NEET, abbiamo purtroppo tra le percentuali più alte dei paesi dell'OCSE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa): abbiamo un basso numero di laureati, se comparati agli altri Paesi europei; le scuole sono praticamente dei silos sociali, nel senso che all'interno delle scuole si aggregano fattori sociali simili e questo non aiuta la mobilità o la trasmissione di competenze tra esperienze differenti. Ma sono silos anche dal punto di vista delle informazioni, perché da quello che raccontano i presidi, le scuole, gli ordini di scuole tra di loro, non comunicano molto bene, a parte i voti, che si trasmettono da una scuola a un'altra, ma le informazioni acquisite nella scuola elementare, ad esempio, non vengono trasmesse alla scuola media, eccetera. Inoltre, abbiamo un problema con cui abbiamo cominciato a fare i conti, ma non abbiamo risolto le conseguenze: la perdita degli apprendimenti causata dalla crisi Covid che ha investito tutti quanti, anche in Italia. Vedremo, tra qualche settimana, se Invalsi ci dirà se quest'anno siamo riusciti, come sistema scuola, a fare un paio di passi in avanti rispetto alla situazione che lo scorso anno veniva disegnata come molto critica e molto drammatica.Pag. 13
  Questo è il contesto di riferimento in cui ci muoviamo. Questo è, sostanzialmente, quello per cui Teach for Italy cerca di dare un contributo in termini di impatto, per fare in modo che questi problemi possano essere risolti o sviluppati in modo positivo. La nostra missione è quindi di attrarre i migliori talenti italiani a scegliere l'insegnamento delle scuole più svantaggiate, accompagnandole affinché facciano la differenza nel futuro dei loro studenti, sostanzialmente per essere anch'essi, soprattutto percepirsi, sì come insegnanti, ma come agenti della trasformazione del sistema scolastico e, a partire da quello, anche per il Paese.
  Nella nostra visione ci immaginiamo un Paese in cui ogni bambino o bambina, qualsiasi sia la condizione sociale di partenza, abbia le stesse opportunità educative e possa sognare in grande; che, sostanzialmente tradotto, sarebbe l'articolo 3 della nostra bellissima Costituzione. Questo in breve il nostro modello, come accennavo già nella descrizione della nostra mission. Reclutiamo e selezioniamo persone che intendano dedicare almeno due anni della loro vita alla scuola pubblica italiana nei contesti più svantaggiati. Abbiamo alcune partnership con scuole proprio in quei contesti, sui diversi livelli; prepariamo queste persone, che selezioniamo in quella che noi chiamiamo appunto la nostra fellowship di due anni, con una formazione molto intensiva prima che entrino a scuola, e li accompagniamo per due anni in modo molto regolare, molto costante, e sostanzialmente anche attraverso il loro lavoro, anche attraverso la condivisione di buone pratiche internazionali continuiamo a coltivare innovazione. Lo facciamo cercando di capire che cosa succede oltre l'Italia; ma, soprattutto, cerchiamo di mettere a sistema le ottime pratiche che già sul territorio italiano sono diffuse, cercando di diffonderle ancora di più.
  Come dicevo all'inizio, siamo inseriti in un contesto globale di 61 Paesi, di 61 organizzazioni nazionali, che continuamente si scambiano buone pratiche tra di loro, cercando di trovare soluzioni e dare contributi che sono tagliati per i Paesi in cui si opera. Questo è Teach for All, dove sono coinvolti 14 mila insegnanti su scala planetaria; abbiamo 60 mila alunni e alunne che sono stati parte del nostro programma di fellowship e che adesso continuano a essere presenti nell'ecosistema educativo dei loro rispettivi Paesi nei ruoli più diversi; ma più della metà normalmente continuano a essere insegnanti. Molti di loro diventano dirigenti scolastici; comunque, continuano ad essere attivi nell'ecosistema educativo dei loro propri paesi.
  Il nostro programma, in breve, in Italia: dopo la selezione che dicevo poco fa, e su cui darò qualche cenno ancora tra qualche istante, questi nostri docenti fellow vengono formati in modo molto attivo in quello che è il programma studi formazione. Poi, il primo anno vengono accompagnati, orientati ad andare come insegnanti supplenti nelle scuole contrassegnate da contesti ad alto tasso di svantaggio. Tra il primo e il secondo anno di fellowship li accompagniamo, cerchiamo di fare in modo che facciano un'esperienza sia in Italia, presso organizzazioni, altre NGO (Non-governmental organization), che si occupano anch'esse di contrasto alla povertà educativa, o anche presso alcune istituzioni con cui abbiamo delle cooperazioni. Alcuni di loro, invece, decidono di fare un'esperienza all'estero, in alcune associazioni partner nostre, proprio per ampliare gli orizzonti e ampliare il proprio bacino di esperienza e capire che cosa si fa in altri Paesi. Al secondo anno, invece, ci si concentra di più sull'aspetto ancora più trasformativo; quindi, insieme ai loro studenti e ai loro contesti, ai loro colleghi, alle loro colleghe, fanno progetti trasformativi che riguardano la scuola. Al termine, dopo il secondo anno, vanno in quella che noi chiamiamo la fase della comunità degli alunni di Teach for Italy, o dei Teach for All, cioè continuano a impegnarsi in qualsiasi postazione essi si ritrovano a essere per contrastare la povertà educativa e le diseguaglianze che partano appunto dal sistema scuola.
  Questi sono i nostri primi fellow. Come dicevo, Teach for Italy è un'organizzazione giovane: è il secondo anno, ci avviamo ad aprire il terzo. Questi sono i fellow che Pag. 14abbiamo selezionato, che abbiamo formato, accompagnato nel corso dei primi due anni, nel frattempo, ne abbiamo 63, abbastanza piccolini. Cerchiamo di dare un contributo notevole alle scuole presso le quali noi siamo.
  Questa è un po' la cornice di riferimento con un'immagine: sostanzialmente crediamo che bisogna passare da quella che è una forma di eguaglianza strumentale, cioè dare gli stessi strumenti a tutti quanti, a prescindere dalle caratteristiche di ognuno. Noi pensiamo che bisogna fare in modo che gli studenti, per dirla con un premio Nobel dell'economia indiano, bisogna abilitarli a diventare essi stessi agenti del cambiamento. Questo sistema, questo procedimento, questo percorso di abilitazione non è facile, ma è proprio lì che si concentra la nostra innovazione dentro al contesto didattico.
  Come dicevo, l'innovazione, per noi, parte da prima di arrivare in classe e soprattutto Teach for Italy fa in modo che attraverso un sistema di selezione, che è basato su undici competenze chiave che sono poi centrate su motivazione, su competenze che hanno a che fare con l'abilità di empatia, con la capacità di avere un'intelligenza emotiva sviluppata, attraverso sette prove di selezione sostanzialmente in tre stage selettivi. Teach for Italy cerca di individuare i talenti che possono essere i migliori abilitatori di studenti che possano poi, essere essi stessi agenti del cambiamento.
  La selezione quindi è la prima gamba da cui si comincia a fare innovazione, secondo noi, e la formazione ovviamente, poi, lo strumento fondamentale, perché i nostri docenti fellow si impossessino degli strumenti, ma anche del minds, mi permetto di dire, cioè dell'atteggiamento mentale della prospettiva, degli occhiali: si mettano gli occhiali giusti, perché si percepiscano loro stessi come agenti del cambiamento, ma che abbiano anche gli strumenti sia didattici, parlo degli strumenti della competenza tecnologica che è la base, ma soprattutto l'agilità didattica, l'agilità metodologica che gli consenta di intervenire in modo molto puntuale, soprattutto anche differenziato all'interno delle classi e dei contesti in cui si ritrovano. Quindi, la formazione prima di arrivare in servizio e, poi, ovviamente, in classe.
  In classe si va a fare ciò che noi diciamo «mettere al centro lo studente». Ogni docente fellow parte da una visione che sviluppa sulla base di alcune analisi degli studenti che fa nelle proprie classi. Ognuno dei nostri docenti fellow sviluppa una visione per i propri studenti: quali sono gli obiettivi alla fine dell'anno, incrociandoli con gli obiettivi curriculari; ma anche quali sono gli obiettivi di crescita personale in termini di competenze trasversali, le famose soft skills, che possono essere anche funzionali al successo scolastico per quegli studenti, e a partire da quella visione, a ritroso, si fissano obiettivi che vanno a una definizione anche settimanale delle attività di programma, ma anche extra-didattiche. La chiave per noi importantissima è che i nostri insegnanti lavorino tantissimo su quello che si chiama metacognizione, sapete ovviamente benissimo di che cosa sto parlando: significa far riflettere gli studenti soprattutto su loro stessi come apprendenti, cioè farli rendere consapevoli se i loro propri approcci allo studio, all'apprendimento, sono o meno funzionali alle loro caratteristiche: a volte non c'è questa consapevolezza presso gli studenti. Quando scatta questa consapevolezza noi notiamo un incremento su tutti i livelli, sia didattici, che extra-didattici, degli studenti. Al tempo stesso, facciamo in modo che in classe gli studenti riflettano su loro stessi, non solo sul livello della metacognizione, ma sul loro benessere dentro alle classi e dentro alla scuola. I nostri docenti fellow chiedono un feedback, ogni due mesi e mezzo circa, ai loro studenti: i risultati di quei feedback sulla didattica, sul benessere in classe, sull'apprendimento in generale della classe, vengono poi sempre restituiti agli studenti. Significa che, in sessioni dedicate, vengono interpretati i dati aggregati e viene da lì creata ulteriore trasformazione che aiuta i nostri docenti a continuare a fare innovazione didattica perché l'innovazione didattica, appunto, comincia prima della classe; poi si materializza dentro la classe, ma ha bisogno anche dell'ecosistema educativo, cioè Pag. 15i nostri docenti fellow cercano continuamente alleati intorno alla classe per il progetto educativo. Lo fanno in diversi modi: lo fanno attraverso quella che è la relazione normale analisi di contesto, ma lo fanno anche attraverso un sistema di monitoraggio e valutazione per l'apprendimento che coinvolge sia gli studenti, come dicevo poc'anzi, ma raggiunge e coinvolge anche i loro genitori.
  Si dibatte molto in Italia recentemente, ma non solo in Italia, anche nel dibattito europeo più ampio, sulle cosiddette voci, the voice. Ci sono state alcune recenti pubblicazioni in Italia di alcuni studiosi esperti su questo ambito che parlano molto della voice, della capacità, il capitale umano famoso, che nella scuola pubblica italiana, specie nei contesti più svantaggiati, andrebbe aiutato a trovare la propria voce, a provare ad esprimere la propria voce.
  Come facciamo noi? Già da un paio di anni abbiamo pilotato alcuni strumenti. Per noi, valutazione significa dare gli strumenti decentrati, cioè agli studenti, agli insegnanti e ai loro genitori per riflettere insieme come comunità educante e, sulla base di queste informazioni, di questi dati che vengono raccolti e interpretati insieme, si creano le basi per innovare continuamente, ma, soprattutto, per cementare un'alleanza tra genitori, studenti e insegnanti che non sono e non si percepiscono più appartenenti a squadre differenti, ma parte dello stesso team che mette al centro gli interessi educativi dello studente. Io avrei finito con la mia presentazione.

  PRESIDENTE. Grazie dottor Piscopo. Non essendoci colleghi o colleghe che intendono intervenire, dichiaro conclusa questa audizione. Ringrazio il dottor Piscopo per il contributo che ci ha dato e per i materiali inviati che naturalmente consentiranno un ulteriore approfondimento di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto della seduta (vedi allegato). Dichiaro conclusa questa seduta.

  La seduta termina alle 12.45.

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