XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (VI Camera e 6a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 15 di Venerdì 12 marzo 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Marattin Luigi , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA RIFORMA DELL'IMPOSTA SUL REDDITO DELLE PERSONE FISICHE E ALTRI ASPETTI DEL SISTEMA TRIBUTARIO

Audizione in videoconferenza del professor Giuseppe Corasaniti.
Marattin Luigi , Presidente ... 3 
Corasaniti Giuseppe , professore ordinario di diritto tributario presso l'Università degli studi di Brescia (intervento da remoto) ... 3 
Marattin Luigi , Presidente ... 9 
Ungaro Massimo (IV)  ... 9 
Fenu Emiliano  ... 10 
Gusmeroli Alberto Luigi (LEGA)  ... 10 
Fragomeli Gian Mario (PD)  ... 11 
Marattin Luigi , Presidente ... 11 
Corasaniti Giuseppe , professore ordinario di diritto tributario presso l'Università degli studi di Brescia (intervento da remoto) ... 12 
Marattin Luigi , Presidente ... 15 
Turco Mario  ... 15 
Corasaniti Giuseppe , professore ordinario di diritto tributario presso l'Università degli studi di Brescia (intervento da remoto) ... 15 
Marattin Luigi , Presidente ... 16 

Audizione in videoconferenza del professor Giuseppe Melis:
Marattin Luigi , Presidente ... 16 
Melis Giuseppe , professore ordinario di diritto tributario presso la Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli – LUISS (intervento da remoto) ... 16 
Marattin Luigi , Presidente ... 22 
Fenu Emiliano  ... 22 
Gusmeroli Alberto Luigi (LEGA)  ... 23 
Marattin Luigi , Presidente ... 24 
Melis Giuseppe , professore ordinario di diritto tributario presso la Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli – LUISS (intervento da remoto) ... 24 
Marattin Luigi , Presidente ... 25 

(La seduta, sospesa alle 11.50, riprende alle 12) ... 25 

Audizione in videoconferenza del professor Carlo Fiorio:
Marattin Luigi , Presidente ... 25 
Fiorio Carlo , professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli studi di Milano (intervento da remoto) ... 26 
Marattin Luigi , Presidente ... 30 
Fiorio Carlo , professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli studi di Milano (intervento da remoto) ... 30 
Marattin Luigi , Presidente ... 30 
Fiorio Carlo , professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli studi di Milano (intervento da remoto) ... 31 
Marattin Luigi , Presidente ... 31 
Fiorio Carlo , professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli studi di Milano (intervento da remoto) ... 31 
Marattin Luigi , Presidente ... 31 
Fiorio Carlo , professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli studi di Milano (intervento da remoto) ... 31 
Marattin Luigi , Presidente ... 31 
Fragomeli Gian Mario (PD)  ... 32 
Gusmeroli Alberto Luigi (LEGA)  ... 32 
Marattin Luigi , Presidente ... 32 
Fiorio Carlo , professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli studi di Milano (intervento da remoto) ... 33 
Marattin Luigi , Presidente ... 34 
Fragomeli Gian Mario (PD)  ... 34 
Fiorio Carlo , professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli studi di Milano (intervento da remoto) ... 34 
Marattin Luigi , Presidente ... 35 

Allegato 1: Documentazione depositata dal professor Corasaniti ... 36 

Allegato 2: Documentazione depositata dal professor Melis ... 177 

Allegato 3: Documentazione depositata dal professor Fiorio ... 258

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-L'Alternativa c'è: Misto-L'A.C'È;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Cambiamo!-Popolo Protagonista: Misto-C!-PP;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Facciamo Eco-Federazione dei Verdi: Misto-FE-FDV;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Europeisti-MAIE-PSI: Misto-EUR-MAIE-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA VI COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI LUIGI MARATTIN

  La seduta comincia alle 10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione in videoconferenza del professor Giuseppe Corasaniti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla riforma dell'imposta sui redditi delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario, l'audizione del professor Giuseppe Corasaniti, professore ordinario di diritto tributario presso l'Università degli studi di Brescia.
  Ricordo che l'audizione si svolgerà in videoconferenza dinnanzi alle Commissioni riunite VI (Finanze) della Camera dei deputati e 6ª (Finanze e Tesoro) del Senato della Repubblica, con la partecipazione da remoto dei deputati, dei senatori e dell'audito, conformemente alle disposizioni dettate dalla Giunta per il Regolamento della Camera dei deputati nelle riunioni del 31 marzo e del 4 novembre 2020 e dalla Giunta per il Regolamento del Senato della Repubblica nelle riunioni del 9 giugno e del 10 novembre 2020.
  Rivolgo quindi un saluto, anche a nome del presidente della 6ª Commissione Finanze e Tesoro del Senato, Luciano D'Alfonso, al professor Giuseppe Corasaniti, al quale do il benvenuto e che ringrazio per la partecipazione.
  Darei quindi la parola al professor Corasaniti, al quale chiederei di limitare se possibile il proprio intervento ad una ventina di minuti al massimo, al fine di lasciare poi adeguato spazio al successivo dibattito.

  GIUSEPPE CORASANITI, professore ordinario di diritto tributario presso l'Università degli studi di Brescia (intervento da remoto). Buongiorno. Grazie, presidente Marattin. Buongiorno al presidente D'Alfonso e a tutti i componenti, deputati e senatori, delle Commissioni Finanze della Camera e del Senato. Sono davvero onorato per questo invito.
  Ho trasmesso ieri questo contributo, questa relazione sull'indagine conoscitiva sulla riforma dell'IRPEF, cercando in primo luogo di inquadrare il contesto. La grande riforma tributaria degli anni Settanta è avvenuta in un momento storico in cui anche il contesto economico e sociale era profondamente diverso da quello attuale: la finanza e l'industria erano su piani separati, gran parte delle imprese erano sotto il controllo pubblico, le multinazionali erano agli albori e l'economia digitale non era esistente.
  Oggi il contesto è profondamente e significativamente mutato e anche il legislatore è intervenuto negli ultimi anni con la ricerca di ulteriori presupposti impositivi, perché la globalizzazione e l'economia digitale inevitabilmente imporranno nuove sfide e metteranno a rischio la sovranità fiscale degli Stati nazionali con l'erosione di importanti fette di base imponibile, con il rischio che gli Stati nazionali saranno costretti a intervenire sull'imponibilità di Pag. 4quelle risorse, di quei fattori produttivi che sono scarsamente mobili, ovvero il lavoro, le rendite immobiliari e i consumi.
  La vera innovazione che tutti stiamo sperando da questa importante riforma fiscale – a mio avviso non soltanto limitata all'IRPEF, ma relativa all'intero sistema tributario, come è stato giustamente ricordato anche dal Presidente Draghi in occasione del suo primo discorso al Senato – è quella di individuare anche i nuovi presupposti impositivi che non siano limitati al reddito e al patrimonio, ma siano riferiti ad altri elementi di ricchezza, che anche l'economia digitale sta manifestando e che in qualche modo inducano il legislatore a selezionare adeguati indici di capacità contributiva, tenendo conto anche del contesto europeo, perché dagli anni Settanta ad oggi anche l'appartenenza all'Unione europea si è ulteriormente rafforzata e integrata. Infatti, ci sono i trattati, come il Trattato di Lisbona e il Trattato di Nizza, e il rispetto dei limiti del Patto di stabilità. Questi contesti sono estremamente significativi. Persino la nostra Costituzione è cambiata dagli anni Settanta ad oggi, basti pensare all'importante intervento della riforma del Titolo V. Anche il contesto istituzionale, il rapporto tra Stato, regioni ed enti locali necessariamente implicano un'attenzione sulla riforma di carattere tributario e sulla scelta degli indici di capacità contributiva.
  Ho segnalato importanti e reiterati orientamenti della Corte costituzionale sulla discrezionalità che ha il legislatore ordinario di individuare selettivamente indici di capacità contributiva. La stessa Corte più volte ha ritenuto che non è imposto dalla Costituzione tassare in maniera uniforme tutte le ricchezze, ma che l'importante è individuare criteri selettivi per giustificare anche trattamenti differenziati. E già lo vediamo oggi nell'ambito dell'imposizione diretta, per esempio nel mondo delle imprese. Il legislatore ha discrezionalmente e selettivamente maggiorato l'aliquota dell'imposta sulle società per le banche, gli intermediari finanziari e in certi casi, per le imprese operanti nel settore energetico e petrolifero. Quindi vi è una grande discrezionalità del legislatore, ma bisogna fare attenzione che queste scelte siano razionali e coerenti e che il principio di capacità contributiva sia comunque sempre rispettoso dell'articolo 3, il principio di uguaglianza, che la Corte costituzionale ha sempre valorizzato con una lettura di razionalità e coerenza nelle scelte impositive.
  Arrivando al tema dell'IRPEF, quali sono le criticità che, a mio avviso, oggi questo tributo manifesta? L'auspicio degli anni Settanta di un'imposta personale sul reddito complessivo non si è certamente realizzato. Per quale motivo? Perché già all'indomani dell'introduzione dell'IRPEF, il legislatore aveva sottratto dalla base imponibile complessiva del reddito ai fini IRPEF la componente dei redditi di capitale, dei redditi finanziari, per la convinzione che per i redditi da risparmio, soprattutto in un momento storico in cui i titoli erano al portatore, fosse più opportuno affidare agli intermediari finanziari l'applicazione delle ritenute alla fonte a titolo di imposta e quindi sottrarre dalla base imponibile complessiva i redditi da capitale, che normalmente derivano da attività finanziarie che possono liberamente circolare all'interno di più Paesi. Quindi la mobilità del fattore capitale ha indotto il legislatore a preferire il modello della ritenuta e della cedolare secca.
  Il problema dell'IRPEF in qualche modo è fondamentale, perché se lo spirito originale della grande riforma tributaria era quello di superare l'imposizione cedolare dell'imposta di ricchezza mobile e aggregare in maniera unitaria e complessiva tutte le varie categorie di reddito, ci si è scontrati però con delle difficoltà tecniche. Negli anni Settanta non vi era una definizione di reddito e si richiamavano le categorie e qualsiasi altra ricchezza derivante da altre fonti non indicate espressamente nel decreto del Presidente della Repubblica n. 597 del 1973.
  Si arriva al 1986 con il Testo unico delle imposte sui redditi – TUIR, in cui si vuole sistematizzare la materia, ma si adotta un approccio casistico e quindi si preferisce rinunciare a qualsiasi definizione di reddito e rinviare alle categorie reddituali indicate nell'articolo 6 del TUIR.Pag. 5
  Qual è l'elemento di contraddizione, di irrazionalità che oggi già esiste? Che in realtà, in assenza di una definizione di reddito, il nostro legislatore ha rinunciato a tassare soltanto il reddito prodotto, che è la classica manifestazione di reddito che proviene da una fonte produttiva, e si è spostato gradualmente ad abbracciare un'idea di reddito-entrata. Perché faccio questa affermazione? Perché con il reddito-entrata diventano fiscalmente rilevanti tutti gli incrementi di valore, anche quelli realizzati da persone fisiche, quindi da privati e non da soggetti imprenditori. Pensiamo a tutte le plusvalenze rivenienti dall'alienazione di immobili piuttosto che di attività finanziarie. Storicamente il nostro legislatore è stato riluttante a tassare gli incrementi di valore, proprio per l'aleatorietà, per l'incertezza della manifestazione del reddito e anche per evitare la progressività, perché magari si tratta di redditi a formazione pluriennale che nell'anno in cui vengono realizzati concorrono a formare la base imponibile IRPEF.
  Da un'idea di reddito complessivo, dato dalla sommatoria dei redditi risultanti dalle singole categorie reddituali, si è giunti a una frammentazione del reddito e all'erosione della base imponibile, che consiste nel sottrarre dalla formazione del reddito complessivo gran parte delle singole categorie reddituali. È fuori di dubbio che oggi l'IRPEF rappresenti un'imposta che grava sostanzialmente sul reddito da lavoro dipendente, sul reddito da lavoro autonomo, laddove non si applichi il regime forfettario, e sui redditi da pensioni. Per le ragioni che sto per illustrare, altri redditi sono stati sottratti da questa progressività per entrare nel mondo delle imposte sostitutive, delle cedolari secche e, quindi, di regimi sostitutivi.
  Nella relazione ho cercato di evidenziare quali possono essere le criticità nella scelta seguita dal legislatore negli ultimi 15 anni. Quello che è emerso è che all'interno delle singole categorie ci sono elementi di contraddizione: in alcune categorie prevale il reddito al momento della percezione; in altre il reddito al momento dell'imputazione; in altre ancora al momento della maturazione o della competenza. Quindi princìpi come il principio di cassa, il principio di competenza, il principio di trasparenza, adattati alle singole categorie, portano inevitabilmente delle incoerenze, per non parlare poi del reddito al lordo o al netto delle spese inerenti alla sua produzione.
  Mi sono permesso di segnalare alcune criticità, ad esempio, sui redditi immobiliari. Fermo restando che si parla da tanti anni del tema della revisione del catasto e forse questo è il momento più inappropriato per intervenire sulla revisione del catasto, dal momento che la pandemia ha determinato in molte realtà e in molti comuni un deprezzamento dei valori degli immobili – a parte il contesto delle grandi città metropolitane – ma certamente la revisione del catasto in un arco temporale adeguato è necessaria, anche perché le rendite risultanti dal catasto sono utilizzate per determinare le basi imponibili di vari tributi, non soltanto erariali, ma anche dei tributi locali.
  Sulle rendite immobiliari, sui redditi fondiari, però, è inevitabile che ci sia qualche anomalia. A parte il tema delle rendite che concorrono a formare la base imponibile anche quando non sono percepite in caso di morosità o di sfratto – e nel decreto-legge n. 34 del 2019 si è cercato di attenuare questo problema – sicuramente l'ultimo intervento normativo riguardante i canoni di locazioni brevi si presta a qualche criticità, perché considerare reddito di impresa i contratti di locazioni brevi, quando si superano più di quattro unità immobiliari, probabilmente potrebbe essere considerato di dubbia legittimità costituzionale, in assenza di elementi organizzativi che normalmente connotano un'attività di impresa. Quindi, sui redditi immobiliari ci sono delle criticità.
  Dal 2011, con l'opzione della cedolare secca, gran parte di questi redditi sono sottratti all'IRPEF e preferiscono l'assoggettamento alle ritenute del 21 o del 10 per cento a seconda del canone concordato o meno. Anche su questo è opportuna una riflessione in merito all'imposta sostitutiva, perché nel nostro ordinamento siamo pieni Pag. 6di regimi sostitutivi con aliquote differenziate: del 10 per cento, del 21 per cento, del 7 per cento, del 15 per cento, del 12,5 per cento. Quindi, sarà necessario individuare un'aliquota unica per tutti i regimi sostitutivi. La razionalizzazione non dovrà riguardare soltanto l'IRPEF – che a mio avviso, non può che viaggiare sul sistema duale, progressività da un lato e regimi sostitutivi dall'altro per talune categorie di reddito – ma ci deve essere uniformità di aliquote o quantomeno un'aliquota generalizzata per tutte le categorie di redditi che sono sottratti alla progressività. Perché sono sottratti alla progressività? Per ragioni di concorrenza, come per i redditi finanziari, o per ragioni di contrasto all'evasione o al sommerso fiscale, come nel campo nel settore immobiliare.
  Mi soffermo brevemente sulle rendite finanziarie. Sono un convinto sostenitore – lo sostengo da tempo anche in varie pubblicazioni – della necessità di andare oltre l'importantissima riforma del 1997, quella che ha determinato una rivisitazione straordinaria dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria. Oggi sui redditi da risparmio abbiamo da un lato interessi, dividendi e proventi, che sono redditi di capitale tassati sempre alla fonte – normalmente al 26 per cento o al 12,5 per cento, se si tratta di titoli di Stato – e poi redditi diversi di natura finanziaria, ovvero plusvalenze e minusvalenze, anche questi tassati con cedolari secche e imposte sostitutive. Il risparmio non può essere visto ai fini reddituali con questa logica dicotomica che ci trasciniamo dal 1865 e che è rimasta confermata anche con la riforma tributaria, perché il risparmiatore è interessato a valutare dall'inizio alla fine dell'anno il rendimento del suo risparmio, quanto ha guadagnato e quanto ha perso, e se ha investito in determinati strumenti finanziari, anche in una logica di coerenza con capacità contributiva e principio di cassa, si va a tassare la somma algebrica degli interessi, dei dividendi, delle plusvalenze e delle minusvalenze. A questo è interessato il risparmiatore. Se l'imposta sul reddito è un'imposta periodica, la periodicità deve essere valutata su base annuale, invece oggi il risparmiatore se investe su un titolo di Stato, su un titolo privato, azionario od obbligazionario, subisce la cedolare secca al momento della produzione del reddito, interessi e dividendi, o della plusvalenza. Che succede se poi questo contribuente, soprattutto in periodi di crisi finanziaria, subisce delle perdite? Queste perdite come si compensano? Vi è un tema delicato sul trattamento delle perdite, perché le perdite derivanti da investimenti finanziari si possono soltanto compensare con plusvalenze finanziarie e non con altri redditi sempre di capitale.
  La proposta che abbiamo formulato, anche come studiosi all'interno dell'Associazione italiana dei professori e degli studiosi di diritto tributario, è quella di immaginare un'unificazione delle categorie di reddito, i redditi di capitale e i redditi diversi di natura finanziaria, inseriti in un'unica categoria, ovvero quella dei redditi finanziari – abbiamo preparato una proposta di articolato normativo – perché in questo modo si superano anche i comportamenti elusivi, così da andare verso una nozione di reddito-entrata e si considerano redditi finanziari, percepiti o realizzati, facendo una somma algebrica degli interessi, dei dividendi, delle plusvalenze e delle minusvalenze nel corso dell'anno.
  A nostro avviso, questo sarebbe molto più coerente e rispettoso del principio di capacità contributiva, abbandonando definitivamente il principio della maturazione, che aveva caratterizzato la riforma degli anni Novanta, del 1997, che poi nel tempo è stata superata dagli eventi, perché oggi anche gli organismi di investimento collettivo del risparmio non sono più tassati sul risultato maturato di gestione, ma sarà tassato il partecipante quando riscatta la quota dell'investimento.
  Nel 2009 in Germania sono state unificate le due categorie di reddito, proprio quando è stata introdotta la ritenuta alla fonte del 25 per cento. Quindi, mutuando l'esperienza comparata, possiamo avvicinarci a quel modello. Inoltre, secondo me questo è un principio di giustizia tributaria, tenuto conto che in Italia il risparmio è una fonte fondamentale. Secondo le ultime statistichePag. 7 ci sono 1.700 miliardi di euro sui depositi bancari ed è una fetta importante del risparmio. Sappiamo che il risparmio investito in titoli di Stato è tassato al 12,5 per cento, proprio per cercare di favorire anche un collocamento del debito pubblico.
  Il tema che pongo è che, oltre alla riunificazione dei redditi finanziari, dobbiamo ragionare anche sulla razionalizzazione dei redditi diversi. Nelle audizioni pregresse si è molto parlato del lavoro, della tassazione del reddito di lavoro dipendente e del reddito di lavoro autonomo, ma forse non si è data la giusta attenzione alla tassazione del risparmio. Il risparmio può essere investito in immobili, in attività finanziarie e in opere d'arte. Quali sono le forme di tassazione di queste modalità di risparmio? Tra di loro sono estremamente differenziate. Perché? Perché se investo in immobili, al di là dei canoni immobiliari, posso realizzare delle plusvalenze. Queste plusvalenze derivanti dall'alienazione degli immobili come sono tassate? Dipende. Dipende: se sono le seconde case, allora si considera il quinquennio dalla data di acquisto alla data di vendita, dopo il quinquennio la plusvalenza immobiliare non è rilevante; se si tratta di terreni edificabili o di terreni agricoli, la plusvalenza è sempre rilevante, però possiamo optare per la cedolare secca, che dall'anno scorso è al 26 per cento, o l'affrancamento, che dal 2001 in avanti viene costantemente prorogato. Infatti, pagando un'imposta sostitutiva dell'11 per cento, oggi si possono affrancare i valori dei terreni e delle partecipazioni e quindi di fatto neutralizzare l'imposta sulle plusvalenze.
  Proprio in questi giorni sono andato a rivedere i lavori del Senato e della Camera del 2001, quando fu introdotta per la prima volta questa normativa sull'affrancamento degli immobili e delle partecipazioni, perché mi sono domandato: «Come mai da 20 anni ogni anno puntualmente questa legge sull'affrancamento viene prorogata?» Nei lavori parlamentari ho scoperto che la ragione storica aveva un suo fondamento. Stavamo entrando nell'euro. Nel 2002 venne introdotto l'euro e giustamente il Parlamento si rese conto della necessità di adeguare il valore degli immobili e delle partecipazioni in società non quotate al valore di mercato, per consentire a tutti gli operatori economici di poter valutare adeguatamente questi cespiti. Quella rivalutazione aveva un fondamento storico, che non era soltanto riferito ai beni di impresa, ma anche a cespiti detenuti dai privati. Ebbe un successo straordinario. All'epoca l'imposta sostitutiva era del 2 o del 4 per cento, mentre oggi è del 12 per cento. Questa misura transitoria, che è stata prorogata per 20 anni, è davvero una misura transitoria o è diventata una misura di sistema, che rappresenta un'alternativa al regime sostitutivo?
  Per quanto riguarda le plusvalenze finanziarie, la plusvalenza è sempre rilevante, a prescindere dal possesso temporale. Sul risparmio investito in opere d'arte c'è grande incertezza, perché non c'è una norma come quella degli anni Settanta che considerava speculativa la vendita entro due anni dalla cessione di opere d'arte.
  Una proposta che ho voluto formulare in questo lavoro è quella di provare a immaginare un regime di imponibilità delle plusvalenze, ovvero dei guadagni, per tutte le tipologie di investimento da parte dei privati in beni immobili, attività finanziarie e opere d'arte. Si potrebbe immaginare un periodo rilevante di cinque anni – in Germania, ad esempio, il periodo per le plusvalenze immobiliari è di dieci anni – e per questo periodo immaginare un'imposta sostitutiva omogenea per tutti del 26 per cento. Trascorso questo periodo, possiamo decidere di non dare più rilevanza a queste forme di plusvalenza sotto il profilo fiscale oppure, proprio perché si sono manifestate dopo un notevole lasso temporale, potremmo immaginare un'imposta sostitutiva molto più attenuata, analoga a quella dei titoli di Stato al 12,50 per cento. In questo modo si farebbe molta chiarezza, si renderebbero certe le regole di tassazione e si eviterebbero molte incertezze che oggi caratterizzano la tassazione di alcune plusvalenze nell'ambito per esempio delle opere d'arte, piuttosto che di affrancamenti previsti per le società non quotate e per gli Pag. 8immobili. Questo è un tema che riguarda in generale la tassazione del risparmio.
  Sulla tassazione del lavoro, certamente sono inevitabili le irrazionalità e le incoerenze che oggi ci sono per il reddito di lavoro dipendente e per quello di lavoro autonomo. Abbiamo già visto come sono differenziate le diverse curve di progressività a seconda della categoria dei redditi.
  Per i redditi di lavoro dipendente ci sono le detrazioni decrescenti all'aumentare del reddito, il bonus IRPEF importante di 100 euro e quindi le aliquote marginali. È di tutta evidenza che tra le aliquote legali e quelle effettive ci sono delle forti incongruenze. Leggendo i testi delle audizioni, anche quelle dell'Ufficio parlamentare del bilancio, sono emerse queste inevitabili incongruenze, l'erraticità dell'aliquota media sui redditi dai 28.000 ai 35.000 euro per i lavoratori dipendenti, che dai 35.000 ai 40.000 euro può andare addirittura a livelli molto elevati di tassazione effettiva. Così come per i lavoratori autonomi la scelta del regime forfettario è importante. Probabilmente è importante per l'accesso al lavoro professionale. Secondo me, sarebbe importante garantire questa modalità di introduzione al lavoro nel mondo professionale con aliquote agevolate, ma oltre una certa soglia di età probabilmente potrebbe apparire forse non proprio congruo e coerente in termini di razionalità della scelta.
  Ho affrontato il tema della progressività, l'ho affrontato con la comparazione con il mondo tedesco, perché in passato ho avuto l'occasione di fare dei soggiorni di studio in Germania. Nel 1994, quando il professor Uckmar, il mio maestro, fu incaricato dall'allora Ministro Goria – si chiamava progetto «Fisco ordinato» – fui inviato in Germania per capire come sono tassati i lavoratori autonomi e le imprese minori in Germania. Noi vivevamo l'epoca della minimum tax e dei coefficienti presuntivi di reddito. Andai in Germania e giustamente mi dissero che la realtà del mondo del lavoro autonomo, o comunque delle imprese minori, non era così rilevante come in Italia, perché in Germania avevano l'80 per cento della grande distribuzione e in Italia era esattamente il contrario. Sotto un certo profilo il sistema fiscale tedesco non si preoccupava tantissimo delle piccole realtà che, invece, è sempre stato il problema italiano della corretta tassazione dei redditi delle imprese minori o delle imprese in contabilità semplificata. È per questo motivo che siamo stati costretti a introdurre questi criteri di forfettizzazione del reddito, perché la contabilità va bene per le grandi imprese, per le imprese medie, ma per le imprese minori o per i lavoratori autonomi questi adempimenti di tenuta delle scritture contabili probabilmente non sono appropriati per identificare puntualmente la capacità contributiva.
  Tuttavia, i sistemi forfettari hanno una loro coerenza all'interno di certi contesti di razionalità, ovvero per l'avvio dei giovani nel mondo professionale. So che cosa significhi oggi svolgere un'attività, perché faccio l'accademico, ma sono anche commercialista e avvocato, quindi ho una formazione giuridica e aziendale e mi rendo conto della complessità di incentivare i giovani nel mondo del lavoro autonomo, e probabilmente sarà sempre più importante, anche se le modalità di lavoro che stiamo vivendo oggi con la pandemia saranno notevolmente cambiate rispetto al passato e anche il tipo di lavoro, dipendente e autonomo, sarà molto diverso rispetto al passato, perché certe attività routinarie potranno essere tranquillamente sostituite dagli algoritmi. Il lavoro richiederà sempre maggiore valore aggiunto e maggiore capacità di studio, di approfondimento e di formazione.
  Cerco di avviarmi alla conclusione. Qual è la proposta che ho in mente sulla progressività? Il modello della progressività lineare tedesca, che ho esposto nella relazione, mi sembra decisamente convincente. Mi rendo conto che magari non è praticabile nel breve, ma in Germania lo hanno ideato negli anni Novanta ed è una progressività che determina un incremento marginale medio e lineare rispetto all'aumento del reddito. Alla prova dei fatti, fino a 28.000 euro per un italiano dipendente e single conviene il sistema italiano, ma dai 28.000 ai 200.000 euro – per i dati che ho Pag. 9ricostruito – conviene il sistema tedesco, soprattutto perché si evita sul terzo scaglione di reddito che abbiamo in Italia, quello dai 28.000 ai 55.000 euro, quell'importante salto di aliquota al 38 per cento, che è davvero devastante. Invece, con la progressività lineare questo salto, questo scalone si attenua fortemente. Peraltro, in Germania ci sono sei categorie di contribuenti, è una progressività lineare che si accompagna con una classificazione dei lavoratori a seconda dello status familiare.
  Un'ulteriore considerazione riguarda anche il regime di tassazione all'interno delle famiglie. Sappiamo che quando fu istituita l'IRPEF si adottò il modello del cumulo familiare, che poi fu ritenuto incostituzionale – correttamente – nel 1976 dalla Corte costituzionale. Il sistema di tassazione individuale porta con sé delle distorsioni, perché nel momento in cui vi è una famiglia monoreddito, a parità di reddito complessivo rispetto a una famiglia bireddito, la famiglia monoreddito è sottoposta alla progressività dell'IRPEF, sicuramente più penalizzante e più gravosa. Come risolverlo? Secondo me attraverso un correttivo che ho indicato, ovvero quello dello splitting rettificato, che permette di attenuare la tassazione del secondo lavoratore.
  Mi avvio rapidamente alla conclusione, dicendo che, oltre all'IRPEF, un intervento coerente potrebbe riguardare anche l'imposta sulle successioni e donazioni, perché vi sono delle incoerenze, delle irrazionalità che ho segnalato. Vi è stata un'importante sentenza della Consulta dell'anno scorso sul passaggio generazionale dell'impresa, che probabilmente è un incentivo estremamente favorevole.
  Inoltre, qualsiasi riforma del diritto tributario sostanziale non può prescindere da una riforma di sistema ordinamentale con un codice tributario. Il CNEL nel 2013, con un gruppo di lavoro coordinato dal mio maestro, professor Uckmar, dopo cinque anni di intensi studi, aveva formulato delle proposte: c'era stato un disegno di legge delega. Anche nel 2014 c'è stata la legge delega sull'istituzione di un codice tributario per organizzare tutte le norme, le fonti, i principi dello Statuto del contribuente, l'attuazione, le riscossioni, le sanzioni e un codice della giustizia tributaria.
  Queste sono le proposte che ho voluto formulare in questa relazione. Secondo me ci sono spazi di intervento sia sull'IRPEF sia sulla progressività o quantomeno sul terzo scaglione di reddito, ma non trascuriamo la disciplina formale del diritto tributario, che è a costo zero, ma ai fini della chiarezza di rapporto reale tra contribuente e amministrazione finanziaria è fondamentale, perché è espressione di qualsiasi ordinamento di civiltà giuridica nel nostro settore tributario.
  Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professore.
  Cedo la parola ai colleghi che vogliono intervenire per commenti, domande o considerazioni, ricordando cortesemente il tempo di due o tre minuti per poi consentire la replica al professore.

  MASSIMO UNGARO(intervento da remoto). Buongiorno. Ringrazio il professor Corasaniti per la sua relazione. Devo dire che quello da lei usato è un argomento molto convincente per spiegare la necessità di unificare i redditi di capitale e i redditi diversi di natura finanziaria, di cui molti hanno parlato.
  Le faccio una domanda puntuale sul lato della progressività e della riforma dell'IRPEF. Volevo chiedere la sua opinione sull'introduzione in Italia di un'imposta negativa a favore dei redditi bassi, alla luce dell'esperienza di alcuni Paesi che hanno introdotto degli strumenti making work pay come il Belgio, il Regno Unito, la Francia, ma soprattutto gli Stati Uniti con l'earned income tax credit, di cui altri auditi hanno parlato nelle precedenti audizioni. In Italia sono stati fatti interventi con il bonus Renzi a favore dei redditi medi, che è stato poi ampliato negli ultimi due anni, e con il reddito di cittadinanza, su cui sono stati fatti degli interventi per gli incapienti fino ai 9.000 euro. Credo che per la fascia tra i 9.000 e i 15.000 euro, quindi la fascia dei redditi molto bassi, ma sempre redditi da lavoro, potrebbe essere interessante un intervento che da una parte favorisca l'emersionePag. 10 del lavoro nero – che in questo Paese è una piaga – e dall'altra incentivi l'offerta di lavoro, soprattutto se questa è un'imposta negativa crescente con il reddito e non decrescente. Volevo sapere cosa ne pensa dal suo punto di vista di professore di diritto tributario.

  EMILIANO FENU(intervento da remoto). Ringrazio il professor Corasaniti per la relazione molto utile. All'inizio della relazione parlava della necessità di scovare – utilizzo questo termine – o di ricercare altri elementi di ricchezza e di capacità contributiva, soprattutto alla luce di quella che è la nuova economia che sta diventando l'economia predominante.
  A questo proposito le volevo chiedere se, tra questi elementi di capacità contributiva da trovare, si riferiva ad esempio ai dati digitali, che vengono in qualche modo raccolti dai cosiddetti colossi del digitale, e che vengono trattati come materia prima a tutti gli effetti, attraverso la profilazione, e poi vengono rivenduti in tutto il mondo. Ritiene che questo sia uno di questi elementi? Come potrebbe essere utilizzato dall'Agenzia delle entrate – forse dico una banalità – anche ai fini di accertamenti induttivi che ristabiliscano un po' una parità di trattamento anche nei confronti dei piccoli imprenditori italiani?
  A questo proposito ho un'altra domanda. Lei ha parlato di forfettizzazione e ha detto che secondo lei un sistema forfettario è più utile soprattutto per le start-up, per i giovani che vogliono inserirsi nel mercato del lavoro autonomo e delle professioni. Allo stesso tempo, però, lei ha parlato anche della differenza tra l'imprenditoria commerciale tedesca e quella italiana, evidenziando che negli altri Paesi c'è più una grande distribuzione e una grande impresa. Crede che noi dovremmo trasformarci e diventare come loro, oppure bisogna salvaguardare questa nostra peculiarità, la piccola e micro impresa? Inoltre, il sistema fiscale dovrebbe essere adattato a questa nostra peculiarità e dovrebbe prevedere dei sistemi tributari differenziati tra microimpresa e grande impresa?

  ALBERTO LUIGI GUSMEROLI(intervento da remoto). Fatta la premessa che il sistema fiscale italiano è tra i più complicati al mondo e, entro certi limiti, tra i più caotici, volevo fare queste domande: cosa ne pensa del sistema proposto per cassa? Le fornisco una nostra idea. Tendenzialmente sono contrario al sistema per cassa proposto, perché equivale o a un sistema forfettario come quello attuale, dove si fanno delle finzioni di sistema per cassa, oppure, se si vuole fare un buon sistema per cassa, bisogna per forza far fare la contabilità ordinaria e appesantire ancora di più un sistema che è già abbastanza complicato, soprattutto per piccole e medie imprese. In realtà noi abbiamo proposto di ottenere lo stesso risultato rateizzando saldi e acconti di imposta – primo e secondo saldo – andando addirittura all'anno successivo, mantenendo il sistema previsionale e gli attuali calcoli; a quel punto cesserebbe l'interesse ad avere la ritenuta d'acconto.
  La seconda domanda riguarda il catasto. Alla fine secondo il suo giudizio, qual è il problema del catasto? Il catasto tutto sommato attualmente funziona. Ha delle disfunzioni per cui ci sono delle classificazioni non a posto, ma a quel punto non si potrebbe cercare di migliorare le disfunzioni piuttosto che rifare il catasto? Lo dico perché una cosa che si sottovaluta è il fatto che il catasto è la base della determinazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente – ISEE. Siccome è più facile intervenire male e intervenire aumentando la tassazione, però, al di là della tassazione – che è una delle criticità – vi è anche il problema degli aspetti sociali di una riforma del catasto, perché incide poi sul welfare e sugli aiuti, ancora più importanti in questo momento, che vengono dati alle fasce deboli della popolazione. Quindi alla fine una riforma del catasto rischia anche di diminuire l'assistenza alle persone e alle famiglie in difficoltà.
  Passo alla terza domanda. Se guardiamo il sistema dal punto di vista dell'equità, il discorso di un'imposta negativa è più equo. Ma dal punto di vista della semplicità, una no tax area prende atto di una situazione esistente, ovvero che ci sono 10 Pag. 11milioni di contribuenti che sono nella no tax area. In una fantomatica riforma dell'IRPEF, si potrebbe prevedere una no tax area che da un lato non riconosce l'imposta negativa, ma dall'altro, con la semplificazione di non dover fare alcun adempimento, in qualche modo permette di retrocedere le spese che stanno dietro a una dichiarazione dei redditi, come quelle del commercialista o delle associazioni, eccetera. Volevo capire se alla fine non è meglio, per semplificare, una no tax area rispetto a un'imposta negativa. Queste sono le domande.

  GIAN MARIO FRAGOMELI(intervento da remoto). Condivido molto la relazione del professor Corasaniti sia sul tema dell'impostazione sulla rivisitazione dei redditi diversi e quindi sostanzialmente su una modifica dell'imposizione sul risparmio, sia sulle impostazioni che ci ha dato oggi anche sui redditi da lavoro e sull'approccio al sistema tedesco. Proprio dall'intervento da lei fatto e quindi dalla criticità che avremmo per i redditi medio bassi con un sistema progressivo alla tedesca, secondo lei c'è qualche altro correttivo che potrebbe mitigare questi effetti o dovremmo fondamentalmente riparametrare tali effetti solo attraverso la spesa?
  L'altra questione – che non vuole essere una provocazione, però è chiaro che è uno dei temi che abbiamo affrontato in molte di queste audizioni – è il tema della cosiddetta equità orizzontale, quindi di un rapporto molto diversificato delle imposte e quindi del prelievo tributario tra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti. Qui c'è una possibilità di studiare, al netto della grandissima criticità dell'evasione fiscale, se ci possa essere anche qualche correttivo da fare sui fattori endogeni, quindi una rimodulazione delle detrazioni. C'è qualcosa nella definizione del reddito netto che ci può aiutare per riordinare una forte sperequazione del prelievo tributario? Perché non voglio che tutto sia concentrato sull'evasione, ma vorrei capire se ci sono altre modalità di intervento che riequilibrino gli effetti dell'equità orizzontale.
  In ultimo, condivido molto la sua impostazione anche sulle imposte sostitutive a tempo, perché è una cosa che ho già sollevato in altri interventi e avevo aggiunto anche delle imposte sostitutive che abbiano anche un carattere più socio-economico, legate a realtà territoriali e non solo a un aspetto generazionale. Anche su questo, vorrei capire cosa ne pensa.

  PRESIDENTE. Non ho altri iscritti a parlare, ma aggiungo una domanda, prima di lasciare la parola al professore per la replica. La mia domanda è unica, però rubo dieci secondi, perché lo scopo di queste audizioni – e lo sarà sempre di più in futuro – è un minimo di dibattito fra di noi.
  In riferimento a quanto diceva il collega Gusmeroli, io onestamente non vedo lo strumento dell'imposta negativa come alternativo rispetto a quella che lei chiamava no tax area. Noi stiamo ragionando più su un minimo esente che, a differenza della no tax area, è una maxi deduzione che si applica su tutta la distribuzione dei redditi. Secondo me, sono strumenti complementari, perché evidentemente il minimo esente si incarica di stabilire un'area all'interno della quale non vi è tassazione, ma è anche una sottrazione di reddito rispetto a un reddito lordo superiore a quello minimo e, quindi, il principio secondo cui un certo ammontare di reddito non è mai soggetto a tassazione. L'imposta negativa si occupa di innalzare il reddito da lavoro di coloro il cui reddito è significativamente sotto a quello del minimo esente. Quindi, in realtà, sono due strumenti che vanno bene in maniera complementare e non a caso li abbiamo inquadrati così nel nostro programma di lavoro.
  La domanda, professore, è la seguente. Nella sua relazione lei parla dell'IRAP, su cui anche noi stiamo ragionando. Lei dice di abolire l'IRAP, o meglio di riflettere sulla possibilità di abolirla – noi tutti stiamo ragionando su questo punto a parità di gettito – e propone di non sostituire quel gettito di circa 14 miliardi di euro con una addizionale IRES, bensì con un nuovo strumento fiscale, la cui base imponibile sia il reddito-entrata, molto esteso e quindi con un'aliquota bassa. Le devo dire la verità: su questo ho qualche perplessità, perché, nel Pag. 12momento in cui noi andiamo ad abolire l'IRAP, se invece di farla confluire in uno strumento già esistente, dobbiamo creare un ulteriore strumento fiscale, ho qualche problema.
  Vedo due problemi sulla sostituzione dell'IRAP con l'IRES. La base imponibile è in realtà molto simile e quindi non lo vedo come problema, o meglio lo è diventato da quando nel 2015 abbiamo abolito l'indeducibilità del costo del lavoro a tempo indeterminato e adesso ci sono componenti che tutto sommato sono residuali, quindi quello non è un problema. Tuttavia, la platea dei soggetti passivi è un problema, perché attualmente l'IRAP la pagano i professionisti e le società di persone che invece non pagano l'IRES e qualcuno nelle audizioni precedenti ci diceva che ci sono circa 3 miliardi di euro che ballano da questo punto di vista. Questo è il primo problema che, però, nell'ambito di una riforma fiscale complessiva potrebbe essere assorbito, perché è evidente che se si va ad agire anche sulla stessa aliquota IRES o se la riforma dell'IRPEF impatta sui lavoratori autonomi e le società persone, il conto si fa alla fine. Questo passaggio di carico fiscale potrebbe benissimo essere assorbito nel conto finale.
  Il secondo problema, che anche lei evidenzia, è quello del finanziamento della sanità. Questa è un'argomentazione molto autorevolmente sostenuta, ovvero quella di non toccare l'IRAP, perché finanzia la sanità. Le dico la verità – e parlo in totale libertà, come dobbiamo fare in questa fase – io non sono più sicuro che il finanziamento del Servizio sanitario nazionale debba procedere nello stesso modo in cui ha proceduto finora. Se noi dicessimo semplicemente che il Servizio sanitario nazionale va finanziato con risorse centrali, che cosa osterebbe? In modo che si toglie questa ambiguità, secondo la quale ci sono le imposte regionali che poi vanno allo Stato e che tornano al finanziamento delle regioni e di cui nessuno capisce più nulla. Ed evitiamo inoltre di prorogare da dieci anni l'entrata in vigore dell'articolo del decreto legislativo n. 68 del 2011 che riguarda la compartecipazione IVA – una delle cose più imbarazzanti, perché proroghiamo, proroghiamo, ma evidentemente non lo sapremo fare mai. Perché non tagliamo la testa al toro e diciamo che i 115 miliardi di euro – o quelli che sono – del Servizio sanitario nazionale a carico dello Stato sono a carico della fiscalità generale? Secondo me, così facendo viene meno la seconda obiezione a un inglobamento dell'IRAP nell'IRES. Volevo la sua opinione su questo.
  Le lascio la parola, professore. Purtroppo io stesso le ho rubato tempo e me ne scuso, le chiedo cortesemente di restare in circa dieci minuti, se è possibile. La ringrazio.
  Le ricordo che, anche per ovviare a questi tempi stretti, abbiamo istituzionalizzato una prassi secondo cui lo scambio può continuare fra noi e lei per iscritto, centralizzando le domande e le risposte che sono poi messe a disposizione di tutti i commissari. Quindi, qualora non le basti il tempo o voglia approfondire qualcosa, c'è anche questa opzione. Prego, professore.

  GIUSEPPE CORASANITI, professore ordinario di diritto tributario presso l'Università degli studi di Brescia (intervento da remoto). Partiamo dalla questione dell'IRAP, che è un tributo che ho particolarmente studiato anche nella tesi di dottorato. Nasce dalla necessità di riordinare anche i rapporti tra Stato e regioni, è un tributo regionale derivato per finanziare la spesa regionale. Se ci pensiamo, nel settore pubblico l'IRAP è esattamente il contributo sanitario dell'8,5 per cento applicato sul costo del lavoro, quindi l'IRAP potrebbe anche rimanere nel settore pubblico perché non cambierebbe nulla: la base di commisurazione è il costo del lavoro. Il tema riguarda tutta l'altra platea; io non sono così convinto sulle addizionali, sono d'accordo con lei. Perché ho pensato a un contributo generale? Perché è il sistema francese. Perché oggi il rentier, che vive soltanto di redditi finanziari e di redditi immobiliari, di fatto con le ritenute non contribuisce né con l'IRAP né con altro alla copertura della spesa regionale. Prevedere un contributo di solidarietà estremamente basso su tutte le categorie di reddito in Pag. 13questo momento storico può avere anche una sua giustificazione per la copertura delle spese sanitarie. Poi sono d'accordo sul fatto che se vogliamo risistemare i rapporti tra Stato e regioni sulla spesa sanitaria, è chiaro che questa è materia del legislatore, il famoso riparto delle competenze del Titolo V, eccetera. Però su quello dobbiamo fare una valutazione di carattere complessivo.
  Certamente le spese sanitarie sono a beneficio delle persone fisiche, ecco il perché dei correttivi sulla logica distributiva. L'IRAP ha perso la sua razionalità quando fu concepita storicamente come un'imposta che andava a colpire una manifestazione di ricchezza: il valore della produzione netta. Questa ratio è venuta meno. Si parlava di dominio sui fattori della produzione, tutte tesi giustamente anche condivisibili, ma oggi non è più così: allora probabilmente dobbiamo allontanarci da questo modello. L'IRAP potrebbe rimanere per il settore pubblico così com'è, perché tanto ha l'aliquota tipica del contributo al Servizio sanitario nazionale. Il modello francese è stato un punto di ispirazione, sul quale magari possiamo riflettere ulteriormente.
  Le altre considerazioni: il tema degli incapienti e dell'imposta negativa l'ho segnalata nel paragrafo 15 della mia relazione in termini anche favorevoli. Il problema dell'imposta negativa di sostegno ai redditi bassissimi dipende proprio dal fatto che gli incapienti avrebbero anche difficoltà a vedersi riconoscere le detrazioni. Per esempio, perché è stata una scelta coerente del legislatore quella relativa a un'agevolazione importante come quella del superbonus del 110 per cento? Perché quel credito, quella detrazione, può trasformarsi in un credito cedibile, anche alle banche – o lo sconto in fattura o la cedibilità – quello è fondamentale, perché l'incapiente di una detrazione non se ne fa nulla, se non la vede poi monetizzare come un rimborso o con la cedibilità. L'imposta negativa come sostegno, la earned income tax credit a livello statunitense o l'esperienza francese, l'ho voluta riportare anche nella mia relazione e io non vedo il sostegno come alternativo alla no tax area. Si tratta di riconoscere la rimborsabilità di una detrazione, di un credito, anche a coloro che non pagherebbero imposte e questo sicuramente è uno strumento, a mio avviso, da proporre significativamente nell'ambito delle correzioni dei redditi medio bassi.
  Se non ricordo male, c'era il tema della tassazione per cassa. Ho indicato anche questo nella relazione con un approccio un po' critico, avendo fatto parte anche del gruppo di lavoro all'interno del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti coordinato da Cottarelli, abbiamo segnalato delle criticità sul metodo di tassazione per cassa, che apparentemente può andare bene in un periodo di crisi, con la deducibilità delle spese e degli investimenti, però aumentano gli adempimenti con le liquidazioni, magari mensili. C'è l'idea di passare alla proposta – che poi mi sembra quella del presidente Marattin e del vicepresidente Gusmeroli – di cambiare la liquidazione delle imposte sostituendo gli acconti e i saldi con una periodicità su base annuale, piuttosto che concentrarle tra giugno, luglio e novembre. A me questo sembra più convincente, però attiene alla modalità di liquidazione, che sicuramente va rivista. Quindi non sono particolarmente entusiasta della proposta della tassazione per cassa perché attualmente abbiamo un sistema ibrido per le imprese minori e per i lavoratori autonomi, che è una cassa un po' ibrida perché ammette in deduzione l'ammortamento degli investimenti.
  Sul tema di garantire una maggiore equità orizzontale tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi, domandiamoci come intervenire sulla deduzione. In Germania riconoscono una deduzione forfettaria di mille euro ai dipendenti, noi abbiamo le detrazioni decrescenti come spese di produzione reddito. Secondo me è preferibile andare verso la deduzione. Racconto un piccolo episodio. Nel 1991 andai in Germania come studente Erasmus e affittai un appartamento a Colonia: nella determinazione del reddito di lavoro ammisero in detrazione le spese di viaggio – il treno da Milano a Colonia – e le spese di affitto. Quando un lavoratore deve raggiungere la Pag. 14sede di lavoro, a certe condizioni si possono ammettere in deduzione le spese specifiche che riguardano il vitto, l'alloggio o il trasporto, quindi davvero c'è un'attenzione alla corretta determinazione della base imponibile. Sul lavoro autonomo abbiamo delle situazioni paradossali. Perché un lavoratore autonomo se acquista un immobile a uso professionale non può ammortizzare il costo dell'investimento? Questo è stato consentito per un certo periodo di tempo, poi questa deducibilità è stata negata. Per contrastare finalità abusive, elusive? Va bene, ci saranno le modalità di contrasto. Sulla determinazione delle basi imponibili all'interno delle singole categorie – reddito di lavoro dipendente, reddito di lavoro autonomo – secondo me c'è molto da fare, anche vedendo l'esperienza comparata.
  Il modello delle microimprese: non saremo mai come la Germania, d'accordo, ma credo che il nostro sistema produttivo tenderà sempre di più a forme più evolute. Come hanno reagito oggi le piccole imprese a questa pandemia? Con il commercio a distanza, con il commercio online: quindi anche le modalità distributive stanno significativamente cambiando. Ecco perché la tassazione deve essere adattata a questi nuovi modelli. Noi abbiamo introdotto l'imposta sui servizi digitali, ma è una misura transitoria che colpisce 43 imprese, di cui la metà sono statunitensi. Il problema dell'economia digitale va affrontato a livello internazionale. La nostra è una misura, come quella francese, transitoria, vedremo nel 2021 cosa decideranno l'OCSE e l'Unione europea. Sicuramente la creazione di ricchezza, come per esempio la fornitura gratuita dei dati, è uno dei temi che sarà oggetto d'attenzione perché queste imprese che operano nel settore – è inutile fare i nomi, le conosciamo benissimo – producono una ricchezza impressionante e dichiarano redditi molto marginali. Che fa l'Agenzia delle entrate? Contesta la stabile organizzazione occulta, cerca di attirare delle royalties in Italia, per tassarle con le ritenute e quindi adotta approcci di accertamento. Dobbiamo tornare a un approccio normativo, ma deve essere condiviso a livello internazionale. Se gli Stati Uniti trovano un accordo con l'Unione europea su questa forma di tassazione, che tiene conto di una presenza digitale significativa, benissimo; altrimenti l'Unione europea sta già pensando nel 2024 di istituire una digital tax. Non trascuriamo il rapporto con l'Unione europea, perché il finanziamento dei fondi che ci arriveranno dall'Europa avverrà con titoli, ma anche, probabilmente, con nuove imposte europee: imposte ambientali, imposte digitali e imposta sui sovrapprofitti delle multinazionali. Questo è l'orientamento che stanno pensando a livello europeo. Dobbiamo coordinarci sempre di più tra Stati nazionali e Unione europea, perché non possiamo trascurare il contesto europeo nemmeno nell'ambito della fiscalità.
  Un'ultimissima considerazione sul catasto, per replicare all'onorevole Gusmeroli. Secondo me il catasto richiede almeno cinque anni di impegno per una revisione adeguata. Però l'unico criterio che deve essere adottato per una revisione seria è di cambiare la classificazione per vani e passarla a superfici, perché probabilmente quello è un criterio oggettivamente valutabile economicamente. Questo è fuori di dubbio. Pensate a cosa è successo quando il legislatore finalmente ha deciso di adottare il metodo valore-prezzo. Io vendo un appartamento al prezzo vero e, ai fini dell'imposta di registro, l'acquirente applica l'imposta sul valore catastale. Vedete che differenza c'è tra il valore di mercato e il valore catastale. Però si è contrastata in misura efficace la simulazione del prezzo. Il catasto va rivisto in tempi ragionevoli – non oggi perché ora le quotazioni sono molto deprezzate – in un lasso di tempo adeguato e ragionando sul parametro superfici e non per vani, perché altrimenti ci sono delle decisioni irrazionali.
  Riguardo alle microimprese, sicuramente una fiscalità di vantaggio e di sviluppo deve essere introdotta. Io ho chiuso la relazione con le zone economiche speciali – ZES, perché secondo me anche in quelle realtà, soprattutto del Sud Italia, le microimprese possono essere di aiuto e di sostegno e favorire l'imprenditoria e quindi è giusto che la fiscalità sia di vantaggio, per Pag. 15incentivare le start-up e questo nuovo mondo di attività di imprese, l'importante è che sia accompagnato da un incremento della forza lavoro.

  PRESIDENTE. Professore, avevo colpevolmente omesso l'intervento del senatore Turco, al quale do la parola per un'ultima breve domanda e poi ovviamente a lei per la replica.

  MARIO TURCO(intervento da remoto). Ringrazio il professor Corasaniti. La mia sarà una domanda molto breve. Noi abbiamo una riforma da realizzare per sostenere la ripresa economica. C'è una tassazione che colpisce gli scambi nel mercato dell'economia reale, dove vi è una tassazione sul reddito e una tassazione sul lavoro, ma non dobbiamo dimenticare che esiste anche ed è presente un altro mercato, che peraltro è anche concorrente al mercato dell'economia reale. Questo mercato, che è concorrente all'economia reale, è il mercato finanziario. Nel recente passato abbiamo avuto una tassazione che è anche di particolare vantaggio per gli scambi finanziari, soprattutto di natura speculativa, e il mercato finanziario negli ultimi decenni ha drenato molto risparmio accumulato, che invece di andare ad alimentare l'economia reale, ha alimentato l'economia dei mercati finanziari.
  Abbiamo una riforma da scrivere: parliamo di tassazione del mercato dell'economia reale, molto meno invece si parla di una riforma della tassazione del mercato finanziario. La mia domanda è questa: secondo lei a livello italiano, ma anche a livello europeo, è giunto il momento di rivedere anche la tassazione sugli scambi e sulle transazioni finanziarie? Dicevo che questo mercato è in concorrenza con il mercato dell'economia reale e in questi ultimi anni ha drenato non poche risorse finanziarie, quindi dobbiamo rivedere la tassazione delle transazioni finanziarie?

  GIUSEPPE CORASANITI, professore ordinario di diritto tributario presso l'Università degli studi di Brescia (intervento da remoto). Grazie, senatore Turco. Mi piace molto la fiscalità finanziaria, ho anche realizzato una rivista Strumenti finanziari e fiscalità su questi temi. Io ho auspicato addirittura un testo unico della fiscalità finanziaria, perché è un mondo effettivamente importante che va adeguatamente regolamentato, sotto il profilo del risparmio quindi da parte degli investitori. La domanda che pone lei riguarda gli scambi finanziari. Noi abbiamo le imposte sulle transazioni finanziarie, siamo uno dei pochi Paesi a livello di Unione europea, insieme con la Francia, che nel 2011 ha avuto il coraggio di introdurre l'imposta sulle transazioni finanziarie per colpire le operazioni speculative, i derivati e così via. Però in realtà poi abbiamo previsto tante esenzioni o comunque abbiamo ridotto l'area di applicazione di questa imposta. Sta di fatto che oggi per un investitore che interviene e acquista azioni di società residenti, tra imposta di bollo per le comunicazioni finanziarie, imposta sostitutiva al 26 per cento e imposta sulle transazioni finanziarie, si può arrivare fino al 46 per cento di tassazione – audizione di Banca d'Italia.
  Quando ci muoviamo su questo comparto – l'imposta sugli scambi – dobbiamo ragionare a livello coordinato internazionale, altrimenti accade che le operazioni sul mercato italiano non si realizzano, perché si finisce per fare i derivati sul mercato di Londra o di Francoforte e di non avere rapporti con il mercato italiano. Bisogna stare attenti a intervenire unilateralmente perché c'è il rischio dovuto al fatto che noi abbiamo un mercato di borsa tutto sommato molto contenuto rispetto all'esperienza di altri Paesi e se applichiamo delle imposte particolarmente gravose, rischiamo di scoraggiare quell'investimento nei settori produttivi. Questo è il tema, ma condivido la necessità di una cooperazione rafforzata. C'era stato un tentativo nel 2011 e nel 2012 e anche la Germania ha voluto seguire questo modello per tante ragioni. Però il mondo della finanza giustamente va regolamentato in maniera adeguata.
  Se dipendesse da me istituzionalizzerei per legge, un sostituto di imposta a livello centralizzato. Noi abbiamo l'euro e non è Pag. 16possibile che se io investo in un'azione tedesca, devo pagare il doppio delle imposte rispetto a un'azione italiana. Se siamo all'interno dell'Unione europea, ci deve essere neutralità fiscale nella scelta dell'investimento, mentre oggi se io investo su un'azione tedesca, pago il 25 per cento in Germania e poi appena arriva in Italia il dividendo, un altro 26 per cento sul dividendo netto. C'è una pacifica doppia imposizione ineliminabile perché l'Unione europea si è preoccupata di eliminare la doppia imposizione per le società e i gruppi e non per i risparmiatori. A livello europeo dobbiamo far sentire molto la nostra voce: secondo me in un modello ideale di Stati membri, che appartengono all'Unione europea e che adottano l'euro, la fiscalità sugli investimenti deve essere soltanto nello Stato di residenza dell'investitore, perché lo Stato della fonte è già stato soddisfatto con il prelievo dell'imposta sulle società. Di questo sono convinto sostenitore. Riguardo al risparmio credo che l'occasione della riforma dell'IRPEF sia preziosissima per giungere a questi auspicabili interventi a tutela del risparmio – articolo 47 della Costituzione. Chiedo scusa per la mia veemenza nel sostenere questa tesi.

  PRESIDENTE. No, anzi, è molto apprezzata, professore. La ringrazio molto, anche a nome del collega presidente D'Alfonso, per la sua memoria molto precisa e la sua relazione, nonché per le risposte che ha dato alle nostre domande. Come le dicevo c'è la possibilità che nei prossimi giorni qualche commissario prosegua l'interlocuzione per iscritto in modo da arricchire ulteriormente la sua già ricca partecipazione a questa indagine conoscitiva. La ringrazio, la saluto e le do appuntamento magari in una prossima occasione.
  Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal professor Corasaniti (vedi allegato 1) e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione in videoconferenza del professor Giuseppe Melis.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla riforma dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario, l'audizione del professor Giuseppe Melis, professore ordinario di diritto tributario presso la Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli – LUISS di Roma.
  Ricordo che l'audizione si svolgerà in videoconferenza dinnanzi alle Commissioni riunite VI (Finanze) della Camera dei deputati e 6ª (Finanze e Tesoro) del Senato della Repubblica, con la partecipazione da remoto dei deputati, dei senatori e dell'audito, conformemente alle disposizioni dettate dalla Giunta per il Regolamento della Camera dei deputati nelle riunioni del 31 marzo e del 4 novembre 2020 e dalla Giunta per il Regolamento del Senato della Repubblica nelle riunioni del 9 giugno e del 10 novembre 2020.
  Rivolgo quindi un saluto, anche a nome del presidente della 6ª Commissione Finanze e Tesoro del Senato, Luciano D'Alfonso, al professor Giuseppe Melis, al quale do il benvenuto e che ringrazio per la partecipazione.
  Darei quindi la parola al professor Melis, al quale chiederei di limitare se possibile il proprio intervento ad una ventina di minuti al massimo, al fine di lasciare poi adeguato spazio al successivo dibattito.

  GIUSEPPE MELIS, professore ordinario di diritto tributario presso la Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli – LUISS (intervento da remoto). Grazie, presidente. Grazie al presidente D'Alfonso e grazie alle Commissioni tutte per questo invito, che ovviamente mi onora. Io ho diviso la mia relazione in tre parti: la prima relativa al contesto e alle questioni generali, la seconda sulle questioni specifiche delle categorie reddituali, la terza è un ragionamento sulle fonti di finanziamento. Ovviamente per motivi di tempo mi soffermerò soltanto sulla prima parte.
  In premessa volevo evidenziare come confrontando la posizione dell'Italia rispettoPag. 17 agli altri Stati europei sugli indicatori sensibili rispetto al tema di questa audizione, noi siamo fondamentalmente in linea, con l'eccezione del livello di tassazione sul reddito da lavoro dipendente, dove abbiamo quasi cinque punti di gap, e del livello dell'imposizione sul capitale, dove siamo un paio di punti sopra. Sul consumo siamo sostanzialmente in linea. La quota IVA è più bassa, ma dobbiamo anche tenere conto – nell'ottica del riequilibrio di cui si è parlato – che noi invece siamo ai primi posti sulle imposte sulla produzione, quindi destinate a essere traslate sul consumatore. Il gap rispetto al lavoro dipendente era molto più alto in passato, eravamo oltre i nove punti percentuali, ed è stato recuperato in gran parte grazie alle note misure del 2014 e del 2015.
  A me pare che debba essere sottolineato un aspetto. Siamo in presenza di un sistema quasi inestricabile in cui le componenti assistenziale, previdenziale e di accesso ai servizi pubblici essenziali finiscono per interagire con quella fiscale e quindi concorrono tutte quante a realizzare la cosiddetta redistribuzione della ricchezza e la stessa progressività del sistema di cui tanto si è parlato. Faccio diversi esempi nel testo su come questa elevata redistribuzione si realizza. Fatto sta che lo stesso sistema IRPEF in sé è fortemente redistributivo. Abbiamo visto che il 32 per cento dei contribuenti non versa nulla e che poco più del 2 per cento dei contribuenti, che sono situati sopra i 75.000 euro, contribuisce al 27 per cento del gettito.
  Dalle varie osservazioni di fondo che ho fatto, sono giunto a una serie di prime affermazioni. La prima è che diventa sempre più problematico giustificare con il welfare State la progressività del tributo, perché c'è sicuramente un fenomeno di progressivo allargamento tra chi concorre alla spesa pubblica e chi fruisce dei benefici. A mio avviso questo dovrebbe evitare di dare seguito a qualche proposta avanzata di innalzare ulteriormente le aliquote massime. Secondo, tutto il sistema fiscale, previdenziale, di accesso ai servizi pubblici essenziali e assistenziali è fortemente interconnesso. Per questo risulta veramente difficile immaginare – e talune audizioni lo hanno evidenziato – un intervento sull'IRPEF che possa prescindere da una considerazione complessiva di tutti questi fattori. Terzo aspetto, l'IRPEF non ha, come emerso anche in varie audizioni, un problema di scarsa progressività nel suo complesso. Questo dovrebbe, anzi, evidenziare la non necessità di procedere a ulteriori forme di redistribuzione, ad esempio tramite ulteriori imposte – penso alle proposte di aumento dell'imposta sulle successioni. Quarto aspetto: la stessa progressività non può essere valutata solamente a livello di IRPEF, ma deve essere anche valutata con riferimento all'intero sistema dei tributi, dei trasferimenti e dell'accesso ai servizi pubblici. Infine, la funzione di redistribuzione dell'IRPEF non deve essere neanche enfatizzata oltre misura: come avviene del resto nella gran parte dei Paesi OCSE, la redistribuzione dovrebbe avvenire essenzialmente con la spesa pubblica.
  Per quanto riguarda più specificamente la determinazione dell'IRPEF, noi sappiamo che c'è un sistema di scaglioni e aliquote, di deduzioni e di detrazioni. Il sistema di scaglioni e aliquote prevede, come è noto, un forte salto di aliquota dal secondo al terzo scaglione, ma dobbiamo anche evidenziare che le nostre aliquote nominali massime sono in realtà molto elevate. Dal documento sui Taxation trends della Commissione europea del 2020, risulta che l'Italia ha circa un 47,2 per cento di aliquota nominale, perché evidentemente si è sommato all'aliquota IRPEF anche un valore medio delle addizionali regionali e comunali. Questo 47,2 per cento sta a fronte di un valore medio dell'Europa a 19 Stati del 42,9, e addirittura del 38,8 dell'Europa a 27. Sulle aliquote siamo alti, con questo problema del secondo, terzo scaglione.
  Sulle deduzioni il numero è molto esiguo e rispondente per lo più a finalità di carattere strutturale con qualche eccezione di tipo erogativo. I problemi si pongono sul fronte delle detrazioni. Abbiamo questo sistema generalizzato di detrazioni inversamente proporzionali al reddito, quasi tutte poi con azzeramento oltre un certo ammontare,Pag. 18 compreso l'ultimo intervento per i redditi oltre i 240.000 euro. Questo sistema da un lato ha numerose criticità intrinseche, quindi una presenza di molte detrazioni non strutturali che attengono più al momento dell'erogazione del reddito che alla struttura in sé di un'imposta personale. Inoltre c'è tutta una serie di elementi come per esempio il limite inadeguato per considerare un familiare a carico e via discorrendo. C'è poi il problema degli incapienti, su cui tornerò a breve, e soprattutto l'assenza di una no tax area, che sappiamo che è soltanto indirettamente realizzata attraverso questo sistema di detrazioni. Per noi giuristi, per noi tributaristi, l'esenzione del minimo vitale deve valere per tutti i contribuenti, perché significa assenza di capacità contributiva.
  Questo design attuale determina una serie di effetti come noto indesiderati: il forte salto di aliquota, le detrazioni decrescenti, l'applicazione delle addizionali locali su tutto il reddito una volta che sia stata superata la fascia di esenzione IRPEF e la perdita del diritto ai trasferimenti – ad esempio gli assegni familiari – oltre un determinato reddito. Questo determina l'ormai più volte evidenziato andamento erratico delle aliquote, una crescita accentuata delle aliquote effettive nella fascia media e medio-bassa, un disincentivo all'offerta di lavoro e una scarsa trasparenza dell'imposta. A ciò si aggiunga che si assiste a una discriminazione tra gli stessi redditi di lavoro, sia per la curva di progressività, sia per il reddito di riferimento, sia per il bonus dei 100 euro, con l'ulteriore variabile di una contribuzione previdenziale differenziata. Qui le ipotesi formulate sono state moltissime, compresa la progressività continua, anche se non ho visto vedute univoche tra gli economisti auditi, che sono gli unici che hanno gli strumenti tecnici per pronunciarsi con piena parola su questi argomenti.
  A me pare che, alla luce di questo sistema inestricabile, noi comunque dobbiamo avere un modello che sia in grado di gestire quante più possibili variabili, tra cui l'assegno unico e la somma aggiuntiva e la detrazione di cui al decreto-legge n. 3 del 2020. Non possiamo guardare semplicemente a una modifica delle aliquote o della curva o a un modello tecnico. Dobbiamo avere una visione complessiva del sistema, perché tutti questi elementi sono anche interconnessi tra loro: le pensioni con i versamenti, il reddito di cittadinanza con il reddito dichiarato e via discorrendo.
  Quali dovrebbero essere gli altri punti fermi di una riforma, come se dovessimo fissare i punti di una legge delega? Primo, dovremmo distinguere il piano della capacità contributiva del singolo contribuente da quello delle condizioni di necessità, che è una cosa diversa che deve porsi sul piano dei trasferimenti e fare riferimento ad altri indicatori. Secondo, il piano della capacità contributiva deve essere sempre ricostruito nella sua dimensione personale. Tutte quelle deduzioni e detrazioni che sono connesse a oneri di carattere inevitabile e necessitato, che quindi diminuiscono la disponibilità economica utilizzabile per il concorso alle spese pubbliche, devono essere riconosciute a tutti i contribuenti e cioè indipendentemente dal livello di reddito. Terzo, deve essere considerata attentamente la funzione delle deduzioni e delle detrazioni come modalità per determinato il reddito al netto dei costi di produzione e questo sussiste a ogni livello di reddito. Inoltre dal punto di vista strettamente tributario non si può contribuire in negativo, cioè al più si può non contribuire affatto e ciò nonostante beneficiare della spesa pubblica: quindi a me sembrerebbe che il problema degli incapienti vada risolto più con i trasferimenti che con il rimborso dall'incapienza. Ci sono queste nuove misure, come il 110 per cento, che prevedono forme alternative, ma non sono spese attinenti alla struttura del tributo. Si tratta di forme di erogazione del reddito delle quali giustamente si consente a questo punto di fruire a tutti indipendentemente dalla capienza.
  Riguardo alla base imponibile, noi conosciamo le alternative: modello comprensivo, modello duale o modello ibrido com'è attualmente. Quello che sicuramente è irrealizzabile è un sistema duale puro – pensiamo alla tassazione degli immobili Pag. 19come viene evidenziata dalla relazione del professor Arachi – perché si andrebbe a determinare un livello di complessità sostanzialmente ingestibile e incompatibile anche con i princìpi di sistematicità e certezza del diritto, che devono informare un ordinamento competitivo. A questo punto le questioni secondo me sono due e la prima è questa: ci sono delle valutazioni meritevoli di considerazione per mantenere le attuali tassazioni cedolari? La seconda è questa: ci sono elementi ostativi particolarmente rilevanti ai fini dell'inclusione nel reddito complessivo di determinati redditi? Su questo secondo punto mi pare che moltissimi convergano sull'opportunità di mantenere l'attuale esclusione dei redditi di natura finanziaria dal reddito complessivo. La posizione della Banca d'Italia sul punto è chiarissima e non richiede particolari commenti. Invece si pone il tema se per immobili, attività finanziarie e tassazione forfettaria del reddito di lavoro autonomo ci siano valide ragioni per mantenere l'attuale sistema proporzionale. Segnalo queste tre perché sono le tre categorie che assorbono la quasi totalità del gettito delle tassazioni cedolari.
  A me pare che per immobili e attività finanziarie si debba fare un ragionamento, che ho visto poco fatto: imposizione patrimoniale e imposizione reddituale devono necessariamente essere considerate congiuntamente. Questo ce lo spiega benissimo la Corte Costituzionale tedesca, ma è anche il frutto dell'esperienza francese dell'impôt de solidarité sur la fortune. Partiamo da due dati contenuti nel rapporto del Ministero dell'economia e delle finanze sugli immobili in Italia del 2019 per cui i canoni di locazione sono mediamente superiori di otto volte le rendite catastali e i valori di mercato sono mediamente superiori di due volte il valore imponibile IMU. Sviluppando un sistemino molto banale – che trovate riportato nel testo della relazione – emerge che siamo in presenza di un rendimento lordo medio di un investimento in immobili di poco più del 2 per cento e questo rendimento del 2,3 per cento è assorbito per un quarto dall'IMU. Se noi non avessimo la cedolare, ipotizzando un'aliquota del 38 per cento, noi avremmo che il 61 per cento – che diventerebbe 71 con l'aliquota marginale massima – verrebbe assorbito dal tributo. Attenzione, questo su un reddito fondamentalmente lordo, perché sappiamo tutti che la deduzione del 5 per cento è una carezza rispetto ai costi reali di gestione di un bene immobile. Con la cedolare del 21 per cento l'incidenza scende al 45.
  Secondo me non possiamo domandarci se diminuisce l'evasione, si incentiva l'emersione o aumentano i contratti. Noi dobbiamo chiederci, nell'ottica di un investitore che vuole comprare un immobile, qual è il carico fiscale massimo che questo soggetto intenderebbe sopportare. Il 71 per cento? Non credo. Questo è il motivo principale per il quale la cedolare secca va mantenuta. Se noi dobbiamo ragionare in termini di investimenti immobiliare, dobbiamo anche ripristinare la cedolare per gli immobili a uso non abitativo, che è stata in vigore solo per il 2019. Aggiungo, se tutto poi dipende dal sistema in cui imposte patrimoniali e reddituali vanno a compenetrarsi – le imposte sul patrimonio si pagano sul reddito, noi non abbiamo l'idea dell'imposta patrimoniale secca, pura – non diventa neanche così indispensabile allineare le aliquote, perché ciascuna ha un suo contesto di riferimento. Ricordiamo tra l'altro che sto parlando di rendimenti che non considerano né l'imposta di registro – in Italia è pesantissima, è il 9 per cento all'atto dell'acquisto – né l'imposta sulle successioni. Variazioni di queste imposte diminuirebbero ulteriormente anche gli investimenti di carattere immobiliare.
  Lo stesso discorso, mutatis mutandis, vale per i redditi finanziari. Sappiamo dell'inasprimento delle aliquote della ritenuta, sappiamo dell'introduzione della Tobin Tax, sappiamo dell'introduzione dell'imposta patrimoniale, denominata imposta di bollo. Questo fa sì che per rendimenti dell'1 per cento oggi la tassazione sia del 46 per cento sugli interessi – è stato sottolineato in varie audizioni, da ultimo dal collega che mi ha preceduto – e diventa del 56 per cento sui dividendi azionari e, se noi consideriamo anche l'imposta pagata a monte dalla società, diventa il 67 per cento. Quindi queste Pag. 20cedolari hanno una loro funzione nel senso di ripristinare un livello, non dico neanche accettabile, perché parliamo comunque di aliquote molto elevate, ma di tassazione complessiva sugli investimenti.
  La flat tax per autonomi e imprese. Flat tax è un termine errato, evidentemente dobbiamo parlare di un meccanismo forfettario e proprio perché è un meccanismo forfettario non possiamo assumere dichiarazioni o assunzioni generalizzanti sulla sua convenienza o fare confronti. Ricordiamo che per un professionista è riconosciuto per esempio il 22 per cento di deduzione forfettaria. Un professionista che guadagna 5.000 euro al mese di compensi, ha dei costi riconosciuti di 1.000 euro al mese. Questo comporta grosso modo che l'incidenza dell'imposta finisca per essere circa il 10 per cento dei compensi lordi; tra imposte e contributi arriviamo al 30 per cento dei compensi lordi e questa normale sottostima – salvo ipotesi in cui il reddito di lavoro autonomo sia un finto reddito di lavoro autonomo – si ripercuote anche sui contributi previdenziali. Il soggetto perde deduzioni e detrazioni, non può compensare le perdite, l'IVA sugli acquisti è indetraibile. Questa non è una misura che si presta a osservazioni generalizzanti, andrebbe visto in concreto. Tant'è che – anche chiacchierando con qualche collega – molte scelte vengono fatte su questo regime non tanto per la tassazione, ma per la semplificazione che questo regime comporta.
  Come prima conclusione io direi che non è possibile fare ritorno alla comprehensive income tax perché sono veramente mutati i presupposti di fondo. Oggi occorre un sistema tributario in un certo senso flessibile, idoneo ad adattarsi alle nuove esigenze che vengono imposte dalla concorrenza fiscale e dalla globalizzazione. Guardiamo ai regimi fiscali attrattivi: se noi dovessimo valutarli alla luce degli strumenti di cui noi oggi discutiamo, dovremmo dire che sono sistemi che andrebbero abrogati domani mattina, perché collidono frontalmente con il principio di capacità contributiva. Eppure li abbiamo ammessi perché dobbiamo seguire e contrastare con lo stesso mezzo delle policies, che poi vengono regolarmente attuate in altri Stati membri.
  Il punto diventa come ragionare sulla progressività dei redditi di lavoro. Consideriamo la categoria reddituale del reddito da lavoro dipendente. Quando questa fu concepita nel 1997, si disse che si adottava un principio di onnicomprensività, ma dall'altro lato si prevedeva un sistema molto ampio di benefici, che avrebbe consentito di ottenere, a una serie di soggetti, un numero crescente di utilità, senza che queste incidessero sulla base imponibile. Questo sistema è stato rafforzato nel 2015 e nel 2016 con una serie di ulteriori ampliamenti, quindi è un sistema che ha degli aspetti anche molto positivi. Dov'è il maggior vulnus? Sicuramente nel regime delle detrazioni decrescenti, perché, come detto prima, non tiene conto dei costi di produzione del reddito di lavoro dipendente, che pure deve essere tassato al netto. Forse non si può arrivare al livello dalla Germania, che è stata antesignana dalla tassazione al netto, ma dobbiamo in qualche modo tenerne conto, senza limiti di reddito, per valutare i costi sostenuti anche dal lavoro dipendente.
  Sul lavoro autonomo oltre i 65.000 euro c'è il problema del gradino. La difficoltà di armonizzazione con quello forfettario purtroppo è un problema sotto certi profili irrisolvibile, perché il sistema fino a 65.000 euro è completamente avulso e a sé, quindi diventa di fatto non armonizzabile. C'è poi il tema della reintroduzione dell'imposta sul reddito delle imprese – IRI, avanzato pure in diverse audizioni. Naturalmente è un sistema con una sua totale coerenza, ma finora non c'è riuscito ancora nessuno. Siamo al quarto tentativo perché tecnicamente è molto difficile, quindi in qualche modo occorrerebbe pensare a qualche meccanismo semplificativo. Distinguere per una persona fisica quella che è la sua sfera individuale e quella che è la sfera patrimoniale, ancora più in tutti quei meccanismi ipertecnici che caratterizzano l'IRI, naturalmente non è facile.
  Riguardo alle tax expenditures ne parliamo almeno dal 1990 senza grandi risultati.Pag. 21 Talvolta sono strutturali, quindi ne dobbiamo tenere necessariamente conto; molte volte sono collegate alla mera erogazione del reddito. Anche qui dobbiamo stare molto attenti a tagli traversali o altro. Ricordo – ho fatto anche una nota su questo punto, perché è stato un profilo approfondito dalla Fondazione Bruno Visentini – il taglio sui beni storici, che ha prodotto effetti devastanti sulla conservazione del patrimonio immobiliare per pochi milioni di euro. Il problema non è giuridico: è un problema essenzialmente politico e un problema connesso alla valutazione di costi-benefici. È solo in quest'ottica che questo problema evidentemente va affrontato, ma non con criteri traversali e naturalmente non facendo tagli in ragione dell'entità del reddito del contribuente, perché tutti coloro che entrano in dichiarazione hanno diritto a deduzioni e detrazioni.
  Sulla famiglia mi pare che le questioni siano due. La prima è quella dei nuclei bireddito e monoreddito. Qui mi sembra molto chiaro, come visto in diverse audizioni, che il problema dei nuclei monoreddito sia molto serio. Un intervento deve necessariamente farsi carico di questo problema rispetto a una questione che la Corte Costituzionale ormai evidenzia da tempo, almeno dalla nota sentenza sull'incostituzionalità del cumulo. Rispetto alla presenza di figli sappiamo com'è la struttura e conosciamo anche le recentissime evoluzioni sul fronte dell'assegno unico. Tutti noi giuristi evidenziamo che viene a mancare un pezzo, a livello IRPEF, del sistema personale. Dovremmo vedere come questo assegno unico si andrà a disegnare, ma, anche qui, tenere conto dei figli deve essere riconosciuto a tutti, non può essere segregato all'interno di un assegno unico, eventualmente aggiungendo una deduzione o una detrazione. Dalle audizioni è emerso che ci sono alcuni ordinamenti in cui, in aggiunta all'assegno unico, è prevista anche una deduzione o una detrazione per la famiglia.
  Riguardo all'abitazione principale le questioni sono due, rendita figurativa e IMU. La rendita figurativa è esentata da imposte in quasi tutti gli altri Paesi. Per noi giuristi è inconcepibile che sia sottoposto a imposizione un reddito solo potenziale, nella certezza dell'assenza di qualsiasi incremento patrimoniale. Quando leggo che noi dovremmo mettere nel nostro reddito personale l'affitto che noi pagheremmo per stare nella nostra casa, io onestamente ho qualche perplessità. Un bene immobile non produce naturaliter frutti e anche l'argomento del risparmio di spesa dal punto di vista giuridico non regge, perché non è ricchezza nuova, né è a questa equiparabile.
  Sull'IMU tutte le audizioni in qualche modo criticano l'assenza di qualsivoglia partecipazione, naturalmente a eccezione della tassa sui rifiuti solidi urbani, che pare comporti entrate tra otto e dieci miliardi di euro e quindi non è irrilevante. Faccio solo notare che questa è tutta una disciplina strana, perché anche le stesse esclusioni dall'esenzione sono concepite male. Oggi il proprietario di un castelletto, che è accatastabile in A/9, paga l'IMU, quando quello di un meraviglioso appartamento in A/2 di interesse storico invece non la paga. La stessa categoria A/1 oggi paradossalmente è priva di riferimenti normativi, perché la Cassazione ci dice che non si applicano le norme sulle case di lusso. Oggi ci troviamo con Genova, che non ha un mercato immobiliare florido, che ha quasi il 15 per cento degli immobili A/1 in Italia; quindi anche queste esclusioni vanno in qualche modo ripensate, se si ritiene di mantenere quell'esenzione.
  Riguardo al catasto personalmente penso che una riforma complessiva sia tecnicamente irrealizzabile: e d'altronde anche le esperienze straniere richiamate nelle audizioni, che fanno riferimento a revisioni estremamente risalenti nel tempo, lo dimostrano. Noi abbiamo perseguito la strada, nella metà degli anni 2000, di una revisione puntuale tramite una serie di interventi che io richiamo nel testo della relazione: dall'intervento di massa del famoso articolo 1, comma 335, della legge n. 311 del 2004, fino alle variazioni puntuali nel caso di immobili non dichiarati, situazioni di fatto non più coerenti, la planimetria catastale Pag. 22da aggiornare quando si va dal notaio. Abbiamo un sistema che ha proceduto a far evolvere una situazione, che non è più grave come venti anni fa.
  Oggi dove ci sono dei punti critici? Sicuramente sugli immobili di periferia ed è giustissimo quello che viene evidenziato nelle audizioni. Io faccio l'esempio di Roma. Oggi abbiamo delle rendite catastali nelle periferie che sono molto elevate, ma noi dobbiamo cercare di intervenire puntualmente. L'altro aspetto è questo. Il citato comma 335 ha livellato a livello di comuni... Pensiamo a Roma, dove l'intervento su 17 microzone era un intervento totalmente illegittimo, ma se lo è sentito dire soltanto chi ha avuto la pazienza di arrivare in Cassazione. Quindi 198.000 accertamenti su 200.000 sono diventati definitivi e oggi a Roma abbiamo un livello di rendite molto elevato. Dove c'è invece il problema? Può esserci rispetto a singoli comuni in cui non c'erano le microzone. Magari oggi abbiamo case in località particolarmente importanti con valori al metro quadrato altissimi e magari un valore catastale bassissimo. Magari si può pensare un livellamento che va un po' oltre il comma 335, ma non una revisione generale.
  Riguardo all'evasione direi che molte cause sono insite nel sistema qui esaminato. Superati determinati livelli di reddito viene meno, fino a scomparire, il sistema assistenziale, la gratuità dell'accesso ai servizi pubblici, le detrazioni per oneri. C'è poi la sempre più marcata non corrispondenza tra chi contribuisce al sistema e chi ne beneficia e da ultimo un eccesso sanzionatorio che non serve a nulla, se non forse a rendere il nostro sistema sempre meno appetibile. Io credo che noi dobbiamo recuperare – questo dobbiamo porcelo tutti come obiettivo – un livello adeguato di percezione della legittimazione del tributo. Se noi riusciamo in questo grande miracolo, noi faremo veramente tanto, sarà un piacere pagare il tributo.
  In conclusione il sistema tributario è un sistema estremamente complesso che deve adattarsi a plurime esigenze e istanze, anche di natura efficientista, fino al limite di regimi derogatori attrattivi che collidono frontalmente con il principio di capacità contributiva. Non vedo la necessità di una riforma totale dell'IRPEF, ma di una serie di passaggi mirati e non necessariamente privi di complessità e di incisività. Preferisco un intervento mirato, anche perché le riforme radicali, non soltanto sono complesse, ma richiedono tempi di assorbimento molto lunghi e aumentano il livello di incertezza del sistema.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professor Melis. Ora apriamo il dibattito. Ricordo ai colleghi cortesemente di limitare l'intervento in due o tre minuti, andando diritto alla considerazione della domanda, per poi dare al professor Melis lo spazio per replicare.

  EMILIANO FENU(intervento da remoto). Ringrazio tantissimo il professor Melis per l'esposizione, anche perché su alcune cose mi ha confortato, nel senso che sono perplessità o considerazioni che ho sempre espresso e che derivavano in qualche modo dalla mia vita professionale. Sono un commercialista di provincia, quindi ho vissuto alcune situazioni sulla mia pelle. Faccio solo due esempi. Non è vero che si sceglie il sistema forfettario per una questione di convenienza economica, anzi. Molti clienti e molti piccoli imprenditori e lavoratori autonomi non hanno una convenienza monetaria nella scelta, ma lo scelgono esclusivamente per motivi di semplicità e di semplificazione. Si evitano una serie di adempimenti di burocrazia tributaria, a partire dalle liquidazioni IVA periodiche o dalla semplice raccolta della documentazione, che a fine anno consente di chiudere il bilancino. Condivido anche la perplessità che aveva espresso per quanto riguarda l'IRI, sulla complessità della sua applicazione. Il principio è molto condivisibile, però come fa un piccolo imprenditore o un lavoratore autonomo, che attinge le risorse da un unico conto corrente bancario – che siano relative alla sua vita personale o alla sua vita imprenditoriale – a scindere questi due mondi?
  Metto da parte queste considerazioni, ma mi fa piacere avere avuto questi confortiPag. 23 e la mia domanda è questa. Noi adesso stiamo parlando della riscrittura delle regole, in particolare sull'IRPEF. Sto maturando il pensiero che forse nell'epoca in cui viviamo lo strumento – in questo caso lo strumento tecnologico e digitale – è diventato importante quanto le regole, nel senso che lo strumento tecnologico ti consente di affrontare e di gestire con semplicità regole che possono essere anche molto complesse. Le chiedo quanto per lei è importante – nella gestione della liquidazione, della riscossione o della tax compliance e quindi del principio di collaborazione in buona fede tra contribuente e amministrazione finanziaria – lo sviluppo e l'utilizzo di uno strumento, ovviamente in senso molto avanzato. Il modello rimane sempre quello dei colossi del digitale che realizzano degli strumenti attraverso i quali si gestiscono sistemi estremamente complessi, ma con un'estrema semplicità e che possono essere quasi gestiti anche da un bambino. Questo è quello a cui dovremmo tendere.
  Una mia domanda è questa e la seconda domanda è sempre legata a questo. Pensa che in un'epoca come questa il legislatore debba iniziare a scrivere le regole, quindi le norme, anche tenendo conto della tecnologia da utilizzare? In realtà già lo sta facendo, nel senso che Sogei S.p.A. in audizione questa settimana ci ha detto che il nuovo decreto-legge cosiddetto Sostegni, per la parte che riguarda i ristori, lo stanno scrivendo insieme la stessa Sogei e il Ministero dell'economia e delle finanze. C'è la necessità di erogare ristori in tempi brevissimi, quindi la norma deve essere immediatamente attuabile e convertibile in tecnologia, perché serve immediatezza, serve tempo reale. Pensa che questo principio debba essere esteso a tutto il campo tributario? Dovremo iniziare a scrivere norme standardizzate, dove c'è una norma base, madre, che sia modulabile come in un software? Questo ci eviterebbe, ogni volta che c'è una misura nuova come una rottamazione o una detrazione, di riscrivere le cose in modo originale e nuovo, creando difficoltà anche a quegli attori – penso a Sogei S.p.A. e all'Agenzia delle entrate – che poi devono tradurre queste norme in tecnologia. Il legislatore deve scrivere la riforma IRPEF pensando anche a come questa sarà declinata nella tecnologia?

  ALBERTO LUIGI GUSMEROLI(intervento da remoto). Grazie, professore Melis, condivido buona parte dei suoi interventi. Volevo dirle questo, anche riferendomi a quanto ha detto il collega che mi ha preceduto: non le sembra che la tecnologia alla fine sia andata a detrimento della semplicità di un sistema? Anni fa si facevano le contabilità e le dichiarazioni dei redditi a mano e il sistema in qualche modo reggeva, poi sono arrivati i computer, che invece di aiutarci ci hanno complicato la vita. Dal punto di vista fiscale, invece di diventare un ausilio, sono diventati un modo per chiedere sempre più adempimenti e alla fine in sostanza questo sistema – non solo dell'IRPEF, ma in generale del fisco – è diventato complicato proprio grazie anche – aggiungerei un anche – ai computer. Per questo in qualche modo si deve cambiare l'approccio. Il computer deve permetterci di impiegare poco tempo, perché le norme devono diventare il più semplici possibile; si deve spostare l'attenzione dal punto di vista dello Stato che cerca risorse, a quello del contribuente che non deve essere penalizzato, ma deve essere aiutato in qualche modo.
  Questa riforma – o dell'intero sistema fiscale o dell'IRPEF – manca di un tassello costituito dalle risorse. Le risorse del bilancio dello Stato per la riforma attualmente sono tre miliardi e con questo si fa veramente poco, ma si può fare tanta semplificazione, se si vuole fare. Su questo punto volevo capire il suo approccio, perché della sua relazione condivido molti aspetti. Il discorso della contabilità per cassa, così come posto nelle proposte che circolano, non diventa proprio un ulteriore tassello per cui si usa il computer per complicare la vita ai contribuenti e quindi si chiedono fantomatici bilanci mensili per cassa che, se vengono fatti veramente per cassa, vuol dire fare la contabilità ordinaria? Sostanzialmente appesantiamo ancora di più. Non dobbiamo utilizzare questa riforma per cambiare l'approccio anche banalmente nell'uso del computer, che deve Pag. 24essere un ausilio e non un appesantimento dell'attività delle imprese e dei professionisti?

  PRESIDENTE. Cedo la parola al professor Melis per una risposta a queste due domande.

  GIUSEPPE MELIS, professore ordinario di diritto tributario presso la Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli – LUISS (intervento da remoto). Grazie, presidente. Parliamo della tecnologia. Se non ricordo male, noi abbiamo avuto il primo impatto psicologico con questo fenomeno nel 1998, quando furono introdotte le dichiarazioni telematiche. Fino ad allora c'erano i cartacei, si spedivano le raccomandate, i centri di servizi elaboravano e imputavano nei computer Olivetti, che tiravano fuori i dati, che uscivano fuori un giorno prima della scadenza. Già all'epoca noi lo percepimmo non positivamente da un punto di vista giuridico, perché fu fatto con un decreto del Presidente della Repubblica, quelle erano vere e proprie prestazioni personali imposte, tant'è che furono costretti a leggificarlo perché se ne resero conto. A distanza di venti anni è diventato naturale mandare una dichiarazione telematica, ha risolto molti problemi, tra cui quello degli errori che venivano ripetuti nel tempo e adesso non vengono ripetuti. I calcoli relativi all'IRPEF vengono fatti dal computer: se fa un errore, se ne accorgono subito perché i tempi sono velocizzati e via dicendo, ma ovviamente è stato un lavoro terribile.
  Sicuramente questa informatizzazione può avere dei vantaggi; che cosa è successo però? Nel tempo questa informatizzazione si è sempre più rivolta al commercialista come ausiliario del fisco. L'Agenzia delle entrate ha sempre più rafforzato la propria attività di controllo avvalendosi di una serie di dati, che a questo punto il commercialista può trasmettere, perché ne ha gli strumenti e deve velocizzare sempre di più i tempi. Questo ha costretto tutti all'affanno: anche gli studi professionali sono in continuo affanno e anche la professione dei consulenti è stata un po' snaturata. Però al tempo stesso questo meccanismo si è andato intensificando fino, da ultimo, alla fatturazione elettronica. Evidentemente anche questo è un adempimento in più, ma al tempo stesso per il fisco è vantaggioso e consente di verificare subito gli incroci tra fatture che da una parte ci sono, dall'altra parte non ci sono, quindi consente di agire più velocemente sulle frodi.
  Quindi possiamo dire che l'informatica ha dei vantaggi e degli svantaggi. Gli svantaggi derivano dal fatto che richiede un notevolissimo sforzo e un notevolissimo impegno e soprattutto che questo avviene a spese di contribuenti e consulenti. L'ultima cosa che abbiamo visto è la periodicità della trasmissione dei dati al Sistema Tessera Sanitaria. Prima era annuale, adesso sta sempre più accorciandosi e questo complica notevolmente la vita delle imprese, la vita dei professionisti che devono trasmettere questi dati con elevati livelli sanzionatori. Ricordo quando entrò in vigore il sistema sanzionatorio, con la Guardia di finanza che facevo il giro di tutte le strutture sanitarie a sanzionarle per il mancato invio di un giorno, due giorni o per la mancanza di un dato, con multe anche importantissime. La tecnologia da un lato è uno strumento formidabile per il fisco, perché consente di accorciare notevolmente i tempi di verifica; lo è anche per il contribuente perché consente di non ripetere errori o che non venga contestata l'assenza di firma sulla dichiarazione. Però al tempo stesso si è tradotto in una moltiplicazione degli adempimenti di cui in qualche modo lo Stato deve farsi carico, anche economicamente. Io personalmente non trovo giusto che si sia spostata la funzionalità dell'accertamento tributario sugli adempimenti del contribuente e per esso naturalmente del suo consulente. Ogni qualvolta intervengono questi nuovi adempimenti devono esserci anche degli adeguati finanziamenti per aiutare il fisco a svolgere attività di accertamento, perché questo poi naturalmente va a carico di tutti.
  Gli adempimenti poi devono essere sempre improntati a un principio di semplicità. Ricordiamo che noi siamo sempre negli ultimi posti al mondo per numero degli Pag. 25adempimenti. Il sistema per cassa di cui parlava l'onorevole Gusmeroli, per esempio, creerà enormi complicazioni. Riuscire a seguire puntualmente, addirittura con cadenza mensile, il pagamento di una fattura in entrata o in uscita è impegnativo. Si dovrebbe smettere di lavorare e seguire solo i movimenti di quando si incassano le fatture e di quando si pagano le altre. Inoltre il meccanismo di cassa ha mille declinazioni, perché si va dalla cassa come noi la intendiamo oggi per le imprese minori fino alla cash flow tax che è un'altra cosa, quindi bisogna capire cosa noi intendiamo per cassa. C'è un grande vantaggio, perché ovviamente si paga quando si incassa, mentre oggi abbiamo un sistema per competenza, di cui tanti si lamentano perché devono pagare le imposte su qualcosa che non hanno incassato. Ha un vantaggio anche come incentivo ai pagamenti, perché il debitore, finché non paga il suo fornitore, non può dedurre. Ha degli effetti sicuramente apprezzabili, però riuscire addirittura a incasellarlo in una periodicità mensile a me fa un po' tremare, prima di tutto da contribuente; inoltre immaginare che un consulente possa seguire una periodicità mensile di un incasso, di un pagamento, diventa molto difficile.
  La tecnologia dovrebbe essere un grande ausilio nella lotta all'evasione e un ausilio anche al contribuente, ma dovrebbe mantenere un livello di semplicità e soprattutto lo Stato deve farsi carico dei costi di adeguamento informatico o di trasmissione di un dato, che è un favore che gli viene fatto. Se io trasmetto i dati del Sistema Tessera Sanitaria allo Stato affinché faccia le dichiarazioni di reddito precompilate, io ho diritto a vedere remunerato questo, anche in maniera simbolica. Non è possibile che il contribuente si veda periodicamente addossato di oneri che lo allontanano sempre di più da una percezione di fisco amico. Non dobbiamo essere gli ausiliari del fisco, questo mi sembra essere un principio di civiltà, però dal 1998 ad oggi abbiamo sempre subìto.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Melis. Grazie per la sua esauriente relazione e per avere risposto in maniera precisa alle due domande che le sono giunte. Ricordo anche a lei che noi abbiamo inaugurato un sistema di scambio dinamico, nel senso che alcuni commissari potrebbero – studiando la sua memoria che ci ha già consegnato ieri o sulla base della sua audizione – avere desiderio di inviarle ulteriori domande o richieste di approfondimento in forma scritta. Noi consentiamo questo scambio tramite le segreterie delle Commissioni e poi le sue risposte verrebbero diffuse a tutti i commissari: è una sorta di terzo tempo dell'audizione. La ringraziamo anche per la disponibilità su questo. La saluto anche a nome del collega D'Alfonso e spero di rivederla in un'altra occasione. Arrivederci.
  Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal professor Melis (vedi allegato 2) e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 11.50, riprende alle 12.

Audizione in videoconferenza del professor Carlo Fiorio.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla riforma dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario, l'audizione del professor Carlo Fiorio, professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli studi di Milano. Ricordo che l'audizione si svolgerà in videoconferenza dinnanzi alle Commissioni riunite VI (Finanze) della Camera dei deputati e 6ª (Finanze e Tesoro) del Senato della Repubblica, con la partecipazione da remoto dei deputati, dei senatori e dell'audito, conformemente alle disposizioni dettate dalla Giunta per il Regolamento della Camera dei deputati nelle riunioni del 31 marzo e del 4 novembre 2020 e dalla Giunta per il Regolamento del Senato della Repubblica nelle riunioni del 9 giugno e del 10 novembre 2020.
  Rivolgo quindi un saluto, anche a nome del presidente della 6ª Commissione Finanze e Tesoro del Senato, Luciano D'Alfonso, al professor Carlo Fiorio, al quale do Pag. 26il benvenuto e che ringrazio per la partecipazione.
  Darei quindi la parola al professor Fiorio, al quale chiederei di limitare se possibile il proprio intervento ad una ventina di minuti al massimo, al fine di lasciare poi adeguato spazio al successivo dibattito.

  CARLO FIORIO, professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli studi di Milano (intervento da remoto). Grazie per l'invito, grazie al presidente Marattin e al presidente D'Alfonso. Io colgo la sfida di parlare dopo un'intensa mattinata e a questo riguardo cerco di farlo facendomi aiutare da una presentazione, che spero vediate. Arrivo anche dopo una lunga serie di audizioni; il timore di ripetermi c'era e quindi ho cercato di sintetizzare, di concentrarmi – insieme al collega Francesco Figari, con cui ho preparato questo intervento – su alcuni temi, che a nostro modo di vedere sono particolarmente rilevanti per quanto riguarda le problematiche dell'IRPEF attuale. In particolare, dal nostro punto di vista, i principali limiti dell'IRPEF riguardano l'elevata complessità di calcolo che ne rendono difficile anche una dichiarazione precompilata, oltre a una limitata comprensione da parte dei contribuenti. Un altro elemento è la forte progressività della tassazione fino ai 40.000 euro circa, che ha un preoccupante effetto di scoraggiamento dell'offerta di lavoro, in particolare per i redditi bassi. Inoltre abbiamo il fenomeno dell'erosione della base imponibile per l'inclusione di regimi sostitutivi, che sono andati via via crescendo negli ultimi anni e infine, a nostro modo di vedere, l'altro grosso problema dell'IRPEF riguarda l'evasione.
  Avete visto più volte questo grafico o una derivazione di questo grafico (Figura 1). Questa è l'aliquota marginale effettiva dell'IRPEF: questa figura è abbastanza chiara nel mostrare che ci sono tante, troppe variazioni. Ho dovuto addirittura tagliare il grafico, perché altrimenti avremmo avuto scale eccessivamente lunghe e si sarebbe visto poco. Abbiamo un'imposta negativa quando inizia il bonus; abbiamo le addizionali IRPEF, che alzano molto l'aliquota marginale; quando il bonus di 80 euro diminuisce, di nuovo l'aliquota cresce di quasi cinquanta punti; c'è la decrescita delle detrazioni familiari.
  Un primo punto su cui ci siamo interrogati – e che ho sentito anche nelle audizioni – è se copiare da altri Paesi. Si è fatto riferimento alla Francia e si è fatto riferimento alla Germania. Ultimamente è in voga, anche grazie agli spunti dati dal Presidente del Consiglio Mario Draghi, la tassazione danese. Non dirò nulla della Francia. La moda della tassazione alla francese, sulla base del quoziente familiare, mi sembra un po' meno in voga e ci sono diverse, a mio modo di vedere, buone ragioni per lasciare da parte la tassazione francese. Per quanto riguarda la Germania ho qualche riserva. Sono perplesso sul fatto che sia più trasparente, non a caso alcuni tra quelli che più fortemente la consigliano richiedono o suggeriscono l'utilizzo di simulatori di imposta. Inoltre faccio parte di un network europeo di ricercatori in questo ambito – Francesco Figari e io siamo coordinatori per Italia di EUROMOD, che è un modello di microsimulazione fiscale per l'Unione europea – e abbiamo fatto delle chiacchierate con i nostri colleghi e partner tedeschi, che ci confermano – hanno dato anche dei riferimenti bibliografici, che ho inserito nella mia memoria – che l'imposta in Germania non è semplice: ci sono oltre 500 deduzioni e anche lì sono frutto di stratificazioni, come da noi.
  Andiamo però adesso a guardare meglio alla tassazione della Danimarca. Quello che faremo è utilizzare dati e modulo di EUROMOD. Come accennato prima, io e Francesco siamo gli sviluppatori per quanto riguarda il modulo italiano, ma questo EUROMOD è uno strumento utilizzato dall'Unione europea, finanziato e sviluppato dall'Unione europea per quanto riguarda la fiscalità di tutti i Paesi dell'Unione europea. Incidentalmente EUROMOD è uno strumento accessibile anche a voi parlamentari: in particolare un paio di anni fa Francesco e io abbiamo fatto un corso di formazione al Servizio bilancio dello Stato alla Camera dei deputati, per cui questo potrebbe essere utile anche a qualcuno di voi parlamentari. Vediamo nei dettagli la Pag. 27tassazione danese, che prima di tutto definisce il reddito come onnicomprensivo. L'unica eccezione, quello che non entra nella base imponibile, sono solamente i redditi da dividendi e da plusvalenza azionaria. Non ci sono detrazioni, ci sono solo deduzioni. L'imposta è piuttosto semplice. C'è un'imposta nazionale costituita da due scaglioni. C'è un primo scaglione fino a 531.000 corone (circa 71.000 euro) e ha un'aliquota del 12,11 per cento; poi l'aliquota passa al 27,11 per cento. A questo si aggiunge un'altra imposta, che è l'imposta municipale, che ha una leggera variabilità tra municipalità e mediamente è il 25 per cento. L'aliquota massima sui redditi tuttavia non può superare il 52,5 per cento. Inoltre i redditi da dividendi e plusvalenze nazionali – notate la particolarità che ci può far riflettere guardando il caso danese – sono tassati con un'aliquota del 28 per cento, mentre la nostra è del 26 per cento, ma solo fino a 6.000 euro di redditi finanziari, dopodiché passa al 43 per cento per redditi superiori.
  Questo è un grafico (Figura 2) che mostra la riforma citata recentemente, che fa vedere un leggero calo della progressività a livello di reddito alto; però mostra anche che pur essendo il caso danese molto interessante, bisogna comunque guardarlo con attenzione. Questo picco è un chiaro esempio di trappola della povertà: pagando un reddito minimo garantito imponibile elevato, si rischia di spingere alcuni individui a non uscire dalla condizione di basso reddito. Un altro aspetto interessante è questo, costruito guardando la popolazione e i dati reali e confrontando Italia e Danimarca. Questo grafico (Figura 3) fa capire che da un punto di fiscale siamo due Paesi molto diversi e lo si vede da una serie di cose. Qui sotto vedete dei numeri: da 0 a 100 misurano i percentili della distribuzione, i numeri sotto riguardano i valori in euro. Vedete innanzitutto che l'ottantesimo percentile danese sono circa 62.000 euro mentre per l'Italia sono 31.000 euro, ma questo è effetto del fatto che la base imponibile dell'IRPEF è stata fortemente erosa. Questo grafico mostra anche una forte differenza in termini di aliquota media, perché in Nord Europa è frequente mantenere una netta distinzione tra il prelievo fiscale e il sostegno alle famiglie, il sostegno alle persone bisognose o altri tipi di strumenti. Questo peraltro garantisce un ampio miglioramento in termini di trasparenza e consente, nonostante un'aliquota media piuttosto elevata, di avere un livello di redistribuzione complessiva del sistema che è estremamente elevato.
  Oltre a riflettere sugli spunti che ci può dare un sistema straniero e in particolare il sistema danese, oggi volevo concentrarmi su un paio di temi che ci stanno particolarmente a cuore – anche perché ci lavoriamo e cerchiamo di farci ricerca – prima di raccontarvi di una possibile riforma. Il primo è quello dell'evasione fiscale, che sappiamo tutti come sia un problema sia per il sostenimento delle finanze pubbliche sia per questioni di redistribuzione. Il punto rilevante è che l'evasione fiscale si conosce poco e quel poco che si conosce spesso lo si conosce male, distorto da percezioni soggettive. La misura dell'evasione è per definizione complessa perché l'evasore fa di tutto per tenere nascosta la propria attività, ma, come suggerito da Slemrod e Weber, si può essere creativi. Rispetto a questo negli ultimi anni abbiamo collaborato in maniera molto proficua con il Ministero dell'economia e delle finanze, il quale sta lavorando per costituire dati amministrativi interessanti, che consentono di valutare l'impatto di alcune politiche e in particolare di misurare anche l'entità e la rilevanza di fenomeni importanti, quali quelli dell'evasione fiscale. In questo caso la metodologia adottata è quella di cercare tracce di evasione e come cercare tracce di evasione? Ve lo racconto, cercando di essere più comprensibile possibile.
  Questa metodologia parte dal considerare che famiglie che hanno lo stesso livello reddituale e le stesse caratteristiche di composizione di famiglia abbiano uno stesso livello di consumo di cibo. Nel momento in cui diverse categorie, in particolare lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti, a parità di consumo di cibo, mostrano un livello di reddito diverso, questo è evidenza del fatto che ci possano essere delle componentiPag. 28 reddituali nascoste. Questo è un grafico descrittivo (Figura 5) che mostra che, a parità di consumo di cibo e di tutte le altre caratteristiche, il lavoratore dipendente dichiara un livello di reddito – che leggiamo invece nell'asse orizzontale, in ascissa – decisamente superiore. Questa analisi peraltro è stata inserita anche nella relazione Giovannini, che fa parte dell'attività del Ministero dell'economia e delle finanze per la stima dell'evasione fiscale, che utilizza prevalentemente un approccio top-down. Questo approccio bottom-up utilizzato in questa analisi è coerente con altre metodologie di stima dell'evasione fiscale e peraltro, nel momento in cui è uno strumento microeconomico, consente anche di evidenziare le forti iniquità che genera il sistema fiscale, di nuovo utilizzando come strumento EUROMOD.
  Abbiamo mostrato come il reddito perduto causa evasione, finisca in gran parte nei decili più alti, questa è la distribuzione, dove i numeri sull'asse orizzontale rappresentano i gruppi della popolazione per reddito equivalente familiare crescente. Quindi anche se l'evasione è relativamente alta a livelli bassi di reddito, in questo caso la perdita in termini di gettito è limitata, perché chi è a livello di reddito basso paga poche imposte. Da questo punto di vista è interessante riflettere sul fatto che dobbiamo stare attenti a generalizzazioni, le quali ci dicono che, per esempio, gli autonomi evadono di più dei dipendenti. Non è una questione di lavoratori dipendenti o autonomi, ma, coerentemente anche con la letteratura moderna di scienze delle finanze, è quello che potremmo tradurre in questi termini: è l'occasione che fa l'uomo – non il lavoratore autonomo – ladro. Il modo per ridurre l'evasione fiscale, se la si volesse ridurre, è proprio eliminare le opportunità di dichiarare il falso, introdurre il più possibile il sostituto d'imposta. Agire, se anche questa fosse una politica desiderabile, per cercare di operare su quella che è la struttura produttiva del Paese. In alcuni casi siamo riusciti a ridurre l'evasione, come con la tassazione dei redditi di capitale e delle transazioni immobiliari, ma non sempre. Ci vuole una volontà politica da questo punto di vista.
  Un altro aspetto importante riguarda il peso fiscale, il peso della tassazione sul costo del lavoro. Questo grafico mostra che l'Italia è il terzo Paese col più alto costo del lavoro in Europa, ma in realtà per quanto riguarda l'IRPEF il ruolo non è il più forte. Esiste evidenza del fatto che non c'è una relazione tra progressività e crescita e prodotto interno lordo, mentre esiste una correlazione significativa tra il grado di progressività e la disuguaglianza. Quindi ridurre la tassazione, in particolare ridurre la tassazione sui redditi più alti, aumenta la disuguaglianza.
  Quello che abbiamo fatto, di nuovo in collaborazione con il Ministero dell'economia e delle finanze, è stato andare a fare una valutazione sulla cedolare secca, è una valutazione importante. Si è spesso discusso di cedolare secca, ma guardando poco i dati. Inoltre è importante perché affronta il tema della progressività, che è un tema più ampio, che riguarda anche la riforma stessa dell'IRPEF. La cedolare secca è una forma di flat tax, che consente l'applicazione di una tassazione sostitutiva proporzionale al 21 per cento, che può diventare addirittura del 10 nel caso di affitti concordati in comuni ad alta densità abitativa. Il risparmio di imposta è potenzialmente enorme, si può risparmiare fino ai tre quarti della tassazione, se il contribuente ha l'aliquota dell'ultimo scaglione, appunto il 43 per cento. La finalità è stata ridurre l'evasione fiscale e incentivare la registrazione dei contratti, aumentare l'emersione. Andiamo a vedere se è effettivamente così.
  Innanzitutto questo grafico (Figura 13) mostra che la cedolare secca piace molto. Nel corso degli anni è aumentato moltissimo l'utilizzo della cedolare secca, in alcune province – qui, per esempio, abbiamo Forlì-Cesena – è tra il 60 e il 70 per cento. Ma un altro aspetto interessante di questi dati è che ci mostra come ci siano anche difformità, disuguaglianze tra generazioni. Qui, nel periodo considerato 2007/2015, abbiamo il gruppo dei trentenni, qui abbiamo gli over ottantenni. Il numero di Pag. 29proprietà degli over ottantenni, ma anche di quelli non così anziani, ma abbastanza anziani cresce, mentre tra i giovani è evidente che il trend è completamente diverso. La concentrazione degli immobili, la curva blu, è estremamente maggiore. Andiamo a vedere i risultati. Cosa possiamo dire? La cedolare secca aumenta l'offerta di immobili? Aumenta il numero di immobili affittati nel mercato? La risposta è sì. Mediamente li accresce del 3,3 per cento. Qualcuno dirà che non è un granché, sicuramente lo dico io, ma la cosa più interessante è che questo incremento decresce al crescere del reddito del contribuente. Più aumenta il reddito del contribuente, più si riduce la probabilità di affittare l'immobile. La cedolare si autofinanzia? Altra domanda importante. No. La risposta è secca, non ha aumentato l'imponibile dichiarato. Ha ridotto il reddito dichiarato tra i percettori con reddito che ricade nel terzo scaglione o superiore. Usando le parole di economisti, possiamo dire che l'effetto reddito prevale sull'effetto di sostituzione. Provando a essere un po' più comprensivo, tra i più ricchi, se aumenta il reddito disponibile per il taglio della tassazione, ossia l'effetto di reddito, si è più ricchi, si ha più reddito disponibile e minore è l'urgenza di mettere a reddito il prossimo immobile che dovesse rimanere sfitto, appunto l'effetto sostituzione. Dove va il gettito perduto della cedolare secca? Anche questo è interessante. Mediamente il risparmio della cedolare secca va ai percettori di reddito che hanno un imponibile maggiore di 75.000 euro. Mediamente questi contribuenti guadagnano 5.000 euro.
  In conclusione incremento degli immobili in affitto, dovuto a un incremento di immobili affittati tra i percettori di reddito con imponibile totale inferiore a 28.000 euro, ma nessun incremento dell'emersione. Abbiamo una significativa perdita di gettito complessiva, nel 2014 era di circa 2 miliardi, forti effetti distributivi. Estendere la cedolare secca agli immobili commerciali – cosa che ha fatto la legge di bilancio per il 2019 per le categorie C1 – è esclusivamente erosione della base imponibile, non ha alcuna motivazione economica, né di recupero dell'evasione.
  Ultimi minuti, spero di essere rapido. Abbiamo provato a fare un esercizio in qualche modo con l'utilizzo di EUROMOD. Abbiamo ipotizzato una riforma dove alcuni elementi cruciali sono sintetizzati qui. La prima è fare una riforma che sia il più semplice possibile, in modo tale da massimizzare la comprensione e la trasparenza. La seconda è ridurre la variabilità tra aliquote marginali e il loro livello assoluto a redditi medio-bassi, per incentivare chi ha redditi più bassi a entrare nel mondo del lavoro o a lavorare di più. Aumentare il grado di progressività, per compensare la perdita di gettito che otteniamo abbassando la tassazione sui redditi medio-bassi. Poi scorporare dall'IRPEF tutte le funzioni di supporto dei lavoratori e delle famiglie, dei disabili e le esigenze di efficientamento del patrimonio immobiliare, eccetera. Tutti questi strumenti sono esterni. Togliere dall'IRPEF il sostegno economico alla famiglia in ogni sua forma è in qualche modo un qualcosa di cui si sta già discutendo con l'assegno unico e da questo punto di vista è una strada su cui si sta già riflettendo.
  Come sarebbe la proposta? Prendetela veramente come un primissimo spunto di riflessione. Una prima aliquota di imposta pari al 20 per cento per i primi due scaglioni IRPEF, che diventa al 40 per gli attuali terzo e quarto. Poi abbiamo la deduzione, non più detrazione, ma deduzione dal reddito, che è pari a 5.000 euro per tutti, con un'aggiuntiva per 7.000 euro per i dipendenti. Qual è il senso di questa aggiuntiva per i dipendenti? È quello che il collega precedentemente audito suggeriva come riconoscimento forfettario dei costi di produzione del reddito, circa 120 euro al mese, se teniamo conto anche dell'aliquota del 20 per cento. Le deduzioni sono piene fino a 30.000 euro, dopodiché decrescono e diventano zero oltre i 100.000 euro. Per mantenere una coerenza di aliquote, l'aliquota oltre i 100.000 euro di imponibile passa al 47 per cento. Com'è la struttura in questo caso? La struttura è quella rossa che disegniamo (Figura 15) contrastandola con l'attuale, che invece è l'IRPEF al giugno Pag. 30del 2020. Vedete che rispetto all'IRPEF del giugno del 2020 abbiamo ridotto molte delle variazioni e qui abbiamo escluso alcune politiche, come l'addizionale regionale, su cui non interveniamo, e che genera altre variazioni. Però quello che vedete chiaramente è che c'è una differenza significativa in termini di aliquota marginale, in alcuni casi addirittura superiore ai 25 punti percentuali e una differenziazione di oltre 10 punti percentuali per i contribuenti sotto i 28.000 euro. È una quota enorme della nostra popolazione di contribuenti, per lo meno dei contribuenti alla base imponibile IRPEF. Questo grafico (Figura 16) rappresenta – di nuovo nel caso di un contribuente ipotetico – il guadagno in termini di aliquota media. Come vedete tutti i lavoratori dipendenti che stanno sotto i 58.000-60.000 euro guadagnano. Qui no, c'è una perdita, ma questo è il problema dell'imposta negativa generata dal bonus Renzi di 80 euro, ma ci sono altri strumenti che possono essere utilizzati per ridurre questa perdita localizzata. Questa è l'analisi complessiva relativa a chi ci guadagna e chi ci perde guardando la popolazione.
  Ultimissima slide e poi mi taccio e ascolto con piacere le vostre osservazioni. Quale potrebbe essere il costo stimato di questa riforma? EUROMOD ci consente di stimarlo in circa 14 miliardi di euro, dove però noi abbiamo tenuto conto dell'abolizione della cedolare secca, alla luce della nostra analisi effettuata di valutazione della cedolare secca insieme ai colleghi del Ministero dell'economia e delle finanze. Abbiamo ipotizzato anche il recupero della base imponibile alla quale si applicano altre aliquote sostitutive. Ora se volessimo imitare i danesi, potremmo recuperare anche progressività, parte di questo gettito, dalla tassazione sui redditi da capitale, in particolare sui dividendi e le plusvalenze azionarie. Vi ricordo che sopra i 6.000 euro, loro le tassano al 43 per cento. Questo è possibile oggi, anche stante l'accresciuto tracciamento degli stessi e le limitate possibilità di mobilità dei capitali fuori dai confini nazionali, anche per il diffondersi di trattati internazionali a questo riguardo. Altra possibilità potrebbe essere rivalutare l'imposta sulla ricchezza o altre ancora ovviamente. In questo caso abbiamo fatto un esercizio solo come spunto di riflessione. Le soluzioni tecniche possibili sono molteplici, non è questo il momento e l'occasione per discuterne e per ragionarci. È chiaro che qualsiasi soluzione tecnica deve avere come precondizione l'esistenza di una volontà politica e di una direzione chiara di dove si voglia arrivare.
  Con questo io ho concluso e sono tutte orecchie per i vostri commenti.

  PRESIDENTE. Grazie mille, professore.
  Io apro il dibattito, ma mi permetto, contrariamente alla prassi, di fare io subito una piccola richiesta di chiarimento perché è proprio un follow-up su quello che ha appena finito di dire e che a me interessa particolarmente. In realtà questa indagine sta volgendo verso la fine e quindi dobbiamo prestare sempre più attenzione alle proposte concrete di modifica strutturale, quale quella che lei ci ha presentato e la ringrazio per averlo fatto. Il costo di 14 miliardi è comprensivo del riassorbimento, dell'abolizione del bonus IRPEF o no? Mi pare di capire che lei non comprenda i 3 miliardi del decreto-legge n. 3 del 2020, quindi l'estensione più recente del bonus. Lei nella sua ipotesi lascia in essere i 10 miliardi del bonus 80 euro, come nel 2015. È corretto quanto dico?

  CARLO FIORIO, professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli studi di Milano (intervento da remoto). No, o meglio lo riassorbiamo, in questo caso stiamo togliendo il bonus IRPEF, l'ex bonus 80 euro, adesso bonus 100 euro. L'idea è di toglierlo e di avere una struttura semplificata che non consideri più il bonus IRPEF, con l'idea che quel supporto importante, destinato ai lavoratori dipendenti, possa essere inserito in un'altra misura.

  PRESIDENTE. Sì, quindi mi corregga se sbaglio, quando lei dice: «Il costo stimato è di circa 14 miliardi di euro anche tenendo conto dell'abolizione della cedolare secca e di un recupero della base imponibile», Pag. 31andrebbe aggiunto «e tenendo conto dell'abolizione del bonus 100 euro».

  CARLO FIORIO, professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli studi di Milano (intervento da remoto). Ha ragione.

  PRESIDENTE. No, era solo per mia chiarezza. In seguito saremo sicuramente interessati a maggiori dettagli su questa proposta di riforma.
  Apro al dibattito, chiedo ai colleghi di prenotarsi e ovviamente di contenere al solito le loro domande in un paio di minuti in modo da consentire al professore Fiorio una replica adeguata.
  Quello della cedolare secca è un argomento che dovremmo approfondire in maniera specifica, perché abbiamo alternativamente auditi che dimostrano quello che diceva lei e altri che dimostrano il contrario. Dovremo prenderci un po' di tempo per fare uno studio comparato di queste stime per capire chi ha ragione, perché è un punto cruciale.

  CARLO FIORIO, professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli studi di Milano (intervento da remoto). Volentieri.

  PRESIDENTE. Nel frattempo una domanda al volo. Relativamente al sistema forfettario per gli autonomi, nella sua proposta viene lasciato intatto o viene anch'esso riassorbito?

  CARLO FIORIO, professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli studi di Milano (intervento da remoto). No, in questo ci siamo fatti molto ispirare dal sistema danese. Tutti i redditi imponibili entrano in una base onnicomprensiva. Eventualmente l'unica cosa che sta fuori, come in Danimarca, sono i redditi da dividendi e plusvalenze azionarie, ma tutto il resto sta all'interno della stessa base imponibile onnicomprensiva.

  PRESIDENTE. D'accordo, c'è tutto. È chiaro. Va bene. Da questo punto di vista la mia domanda è questa. La sua proposta, se capisco bene, è una comprehensive income tax, ma con una struttura per scaglioni. Tra le ipotesi che stiamo esaminando, e che sempre più nei prossimi giorni faremo con dati alla mano, c'è invece un sistema duale, in cui la prima aliquota progressiva sul lavoro viene utilizzata per tutto ciò che è sottratto alla progressività. Quindi un modello duale più o meno puro. Nel qual caso una delle questioni su cui ci interroghiamo è che fine farebbero e come potrebbero essere traslati nel nuovo sistema gli attuali regimi sottratti alla progressività.
  Su questo la mia domanda è, qualora l'orientamento fosse questo – che tra l'altro non è del tutto alternativo alla sua proposta, ma potrebbe benissimo essere complementare – a quel punto la prima aliquota IRPEF è quella che viene adottata anche per la cedolare secca, ad esempio, e per la tassazione dei redditi finanziari, sperabilmente unificando le categorie attuali, i redditi da capitale e i redditi diversi. Per quanto concerne il forfettario, se questa prima aliquota IRPEF fosse significativamente diversa dal 15 per cento attuale, ed è probabile che lo sia – a maggior ragione se adottiamo il minimo esente che lei ha fissato in 5.000 euro, se non ricordo male, come deduzione per tutti, perché più è ampia la soglia del minimo esente, maggiore sarà il livello della prima aliquota – applicare al regime degli autonomi forfettari quell'aliquota, significherebbe un aggravio di imposta. Qualora si ritenesse opportuno non avallare un aggravio di imposta, secondo lei che spazi ci sono per agire sui coefficienti di redditività? Il contribuente forfettario oggi paga il 15 per cento con un coefficiente di redditività, differenziato per categoria professionale. Se si volesse far rientrare il regime forfettario all'interno di una organizzazione duale, quindi più ordinata, e se quell'aliquota fosse superiore al 15 per cento, come è probabile quando c'è un minimo esente, è fattibile fare questa operazione – e aumentare i coefficienti di redditività di uno scalare uguale per tutti – così da consentire un'equivalenza di fatto di debito di imposta fra il vecchio regime forfettario e il nuovo Pag. 32regime forfettario, in cui si rientra in una schematicità complessiva del sistema fiscale, ma senza aggravare, da un anno all'altro nel passaggio, i contribuenti forfettari? L'ho fatta lunga e complicata, ma spero di essermi spiegato.
  Cedo la parola ai colleghi.

  GIAN MARIO FRAGOMELI(intervento da remoto). Innanzitutto finalmente, nella nostra voglia di comprendere le diverse modalità di riforma fiscale, oggi è veramente la prima audizione nella quale si parla di comprehensive income tax-CIT non solo di dual tax e quindi c'è uno sviluppo che ci mancava, a prescindere poi dalla posizione che ogni singola forza politica può avere su un sistema rispetto a un altro. Però lei ci ha dato sicuramente una visione diversa e approfondita di un altro sistema di definizione della base imponibile. Quindi, grazie per questo, perché oggettivamente un po' ci mancava in modo così articolato.
  Sulla questione che lei ha proposto, molto interessante, degli esempi scandinavi, in particolare l'esempio danese, io ho fatto un po' più fatica a seguire, perché, non avendola letta prima, il tasso di tecnicità della sua relazione era notevole, quindi alcuni aspetti devo approfondirli sicuramente. Volevo approfondire il tema, che ho posto anche nella precedente audizione, dell'equità orizzontale, quindi il tema della tassazione e del prelievo tributario sui redditi dei lavoratori autonomi. Lei ha posto anche una diversità di tessuto industriale, chiaramente sappiamo non esserci la stessa realtà. Però volevo capire come noi possiamo intervenire per migliorare quegli aspetti del contrasto all'evasione, pur sapendo di una diversa presenza di sostituti d'imposta. È chiaro a tutti, ma come possiamo migliorare gli interventi per riequilibrare la tassazione, le entrate e la tassazione sul lavoro autonomo rispetto a quello del lavoro dipendente? Cosa potremmo fare da un punto di vista tecnico?
  Molto interessante la questione che ha posto rispetto all'aspetto di deducibilità anche per la produzione del reddito per i lavoratori dipendenti. Anche questo mi sembra un tema che dovremo prima o poi approfondire, anche in un sistema dual, perché qualcosa dovremo pensare anche su questo aspetto.
  In ultimo, cosa che io non ho sentito da lei, ma non avendola letta prima magari è all'interno della relazione: la tassazione familiare. Io volevo capire se c'è qualche aspetto nella sua visione o se invece rimaniamo esclusivamente senza alcuna tipologia di tassazione di ordine familiare e riconsegniamo tutto alla spesa per quello che è il riequilibrio. Questo aspetto non l'ho colto, nel senso che magari c'è all'interno della relazione, ma non l'ho colto.

  ALBERTO LUIGI GUSMEROLI(intervento da remoto). Mi scuso anch'io perché non ho letto la relazione. Penso che la dotazione che abbiamo per questa riforma IRPEF o riforma fiscale potrebbe essere più ampia e poi, cambiando le norme, è più facile tassare di più che tassare di meno.
  Insieme ai colleghi Garavaglia e Bitonci ho partecipato un po' alla nascita del regime forfettario, anche se in realtà non è neanche una nascita, è l'eredità addirittura di Visentini del 1985, perché è stato lui a fare il primo forfettario. Volevo capire se un processo di semplificazione che tocchi il regime forfettario non voglia dire fare probabilmente esattamente il contrario, cioè complicare un sistema che tutto sommato, almeno per il regime forfettario, funziona. Non è che complichiamo la vita e alla fine tassiamo di più? Anche già solo complicare la vita, alla fine è non svolgere una buona funzione per i cittadini. Andare a toccare il forfettario vuol dire andare al contrario rispetto al bisogno del cittadino, perché ha avuto e ha un grandissimo appeal. Lo diceva forse l'audito precedente, il grandissimo appeal non è dovuto tanto ai benefici economici, perché se uno ha tanta IVA che non scarica, ha tanti costi, eccetera, e non è detto che poi alla fine risparmi. Il grande beneficio è la semplicità. Forse la riforma fiscale non deve, in assenza di grandi cifre da spendere per abbassare le tasse, almeno cercare di rendere un po' più semplice questo sistema, che è complicatissimo?

  PRESIDENTE. Se non c'è nessun altro, come mi pare non ci sia, cedo la parola al professor Fiorio per la sua replica.

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  CARLO FIORIO, professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli studi di Milano (intervento da remoto). Parto proprio da quest'ultimo intervento dell'onorevole Gusmeroli. Toccare il regime forfettario vale la pena oppure no? Il punto è molto semplice. È chiaro che i regimi forfettari, così come una tassazione proporzionale, abbiano grande appeal, ve l'ho mostrato con i grafici relativi alla cedolare secca. Quel grafico in cui c'era il territorio nazionale, vi mostrava chiaramente come la cedolare secca piaccia in misura crescente, e ci siamo fermati solamente al 2015. L'altra questione è se i regimi forfettari sono quello che ci serve. Se l'obiettivo è fare un'imposta che piaccia – per quanto il collega di prima, il professor Melis parlasse del piacere di pagare il tributo – lasciatemi essere provocatorio: il piacere massimo è pagare il tributo minimo. Ho capito, però dobbiamo anche renderci conto che fare le nozze con i fichi secchi non è una cosa fattibile. Oltre a questo si deve tenere conto anche del fatto che l'appeal dei regimi forfettari, così come di tutte le flat tax, è tanto, ma è fortemente iniquo. Vi ho mostrato a chi va il vantaggio dei regimi flat che ho considerato.
  Sono ben felice di cogliere lo spunto del presidente Marattin e di confrontarmi sulla valutazione della cedolare secca, anche perché ci stiamo facendo un lavoro di ricerca, quindi – così come è in accademia – più ci si confronta, più si cerca di vedere eventuali problemi, più si comprende. Alla fine il nostro obiettivo è quello di comprendere. Quello che di fatto è anche, se volete, un effetto collaterale di quel lavoro sulla cedolare secca, è un risultato che ormai è evidente nella letteratura. Negli ultimi 40 anni abbiamo drasticamente ridotto la tassazione sui redditi più alti, ricorrendo la questione della semplicità, ricorrendo la questione del fatto che abbassando la tassazione sui più ricchi riusciamo ad avere uno spillover, un effetto a ricaduta sul resto della popolazione, sul fatto che i più ricchi sono i più produttivi e possono produrre di più. Ma questa è una storia che è molto riconsiderata. Noi ancora la stiamo seguendo, ma in realtà è molto in discussione.
  Mantenere regimi forfettari vuol dire anche mantenere una forte eterogeneità del sistema, quindi dal mio punto di vista avere tanti regimi forfettari vuol dire avere tanti criteri, valutare, per esempio, diversi criteri di redditività e quant'altro, come accennava prima il presidente Marattin. Le soluzioni tecniche si possono trovare, ma se l'obiettivo è avere una tassazione che sia il più possibile trasparente, semplice, che non abbia difficoltà a essere compresa dalla cittadinanza, è una questione da affrontare più estesamente rispetto ai pochi minuti che abbiamo adesso, tanto più prima di pranzo. Rimango personalmente fortemente perplesso di fronte a questo proliferare di regimi forfettari che francamente, a mio modo di vedere, non hanno molte volte una ragione economica. Ho fatto l'esempio dell'estensione della cedolare secca agli immobili commerciali. Perdonatemi, ma quello è solo e soltanto – dal mio punto di vista – l'effetto di una, lecita, pressione di una parte dei proprietari di immobili. Perché l'estendere alla cedolare secca – credendo io ai risultati della mia ricerca – ha come unico effetto quello di abbassare la tassazione sui proprietari, con effetti distributivi molto significativi, ma non ha recupero di gettito e l'impatto sugli immobili c'è ma è limitato solamente ai redditi più bassi. Nel caso di immobili commerciali non ha proprio senso, perché affittare un negozio in nero, diciamolo chiaramente, è una cosa che non so chi faccia. L'affitto di un locale, di un'attività commerciale, in nero, è un evento assolutamente poco frequente.
  Provo a rispondere anche agli altri spunti. Sulla questione della tassazione familiare, io non credo che la tassazione familiare, o meglio il passaggio a una tassazione con unità familiare come, si fa in Francia, e come si fa peraltro in Germania o negli Stati Uniti, sia risolutiva dei problemi di supporto alla famiglia. Supportare la famiglia è possibile, sottolineo anche doveroso, così come supportare anche le esigenze di chi è in necessità a livelli di reddito più bassi. Una cosa è l'approccio alla danese, se volete scandinavo, in cui all'IRPEF si chiede Pag. 34di raccogliere risorse, che vengono condivise per finalità pubbliche e con altri strumenti – in particolare con la spesa pubblica – si forniscono il supporto alle famiglie, ai lavoratori poveri e ai lavoratori dipendenti, per esempio, che adesso ottengono il trasferimento del bonus IRPEF, ora bonus 100 euro. Quindi la possibilità di supportare la famiglia sì, mentre passare all'unità familiare come unità di tassazione è pericoloso, perché questo alza l'aliquota marginale del coniuge con il più basso reddito. Invece il coniuge a più basso reddito ha anche l'elasticità di lavoro più elevata e sarebbe opportuno stimolarlo a partecipare al mercato del lavoro, cosa che la proposta di riforma che facciamo, con una aliquota bassa al 20 per cento, è, come abbiamo visto, fortemente probabile che possa fare.
  La riflessione sul modello duale oppure modello comprehensive: ci sono molte diverse declinazioni di questo modello duale comprehensive; il modello danese – nel momento in cui distingue la tassazione di una parte di reddito per quanto riguarda i redditi da dividendi e da plusvalenze azionarie, lo distingue dalla base imponibile di tutti gli altri redditi – è una forma di dualità. Dualità non vuol dire necessariamente avere proporzionalità di una delle due tipologie.
  Spero di avere risposto alle vostre domande, ma allo stesso tempo rimango disponibile, visto che questi sono temi di ricerca, di interesse, temi che mi appassionano. Rimango disponibile a interagire con voi, come diceva il presidente Marattin in precedenza, nel caso lo desideraste e magari in un orario più consono.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professor Fiorio. Noi abbiamo questa procedura – come forse dicevo prima, lo dicevo sicuramente agli altri auditi – per cui nei giorni immediatamente successivi alle audizioni, tramite le segreterie, i commissari possono inviarle ulteriori domande o richieste di approfondimento.
  Onorevole Fragomeli, prego.

  GIAN MARIO FRAGOMELI(intervento da remoto). Non ho sentito la risposta relativa agli interventi sui lavoratori autonomi, cioè quello che chiedevo rispetto al sistema danese, che mi rendo conto ha una conformazione diversa. Però volevo sapere se c'è qualche accorgimento che possiamo implementare rispetto alla rimodulazione della tassazione sugli autonomi. Anch'io personalmente non vedo come soluzione l'ipotesi flat, quindi volevo capire quali altri strumenti sono ipotizzabili per riequilibrare la tassazione tra autonomi e dipendenti.

  CARLO FIORIO, professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli studi di Milano (intervento da remoto). Francamente quello è da vedere nel dettaglio e valutarlo. Direi che è opportuno ragionarci con più calma, adesso non riesco a dare una risposta immediata. Le dico solo quello che si fa in Danimarca, cioè inserire il reddito effettivo in base imponibile anche per quanto riguarda gli autonomi. Dopodiché ci possono essere strumenti di supporto all'attività imprenditoriale che, per esempio, portano ad annullare o addirittura a trasferire risorse superiori al debito di imposta. Un punto fondamentale che secondo me è un grande merito di una struttura di imposta quale quella danese – che, confesso, conoscevo molto poco. I nostri amici danesi nel gruppo di EUROMOD li conoscevo bene, ma non avevo mai studiato nel dettaglio la loro imposizione dei redditi. Questa audizione mi ha spinto a studiarmela un pochino – è il fatto di avere una netta distinzione tra quella che è la funzione del prelievo e quella che è la funzione distributiva attraverso la spesa, che credo sia un elemento di forte incentivo alla trasparenza. Quindi si può anche pensare di avere una aliquota al 20 per cento per i lavoratori autonomi, che peraltro possono utilizzare anche una riduzione, e però mantenere degli strumenti di supporto, che passino attraverso la spesa pubblica, per questi stessi lavoratori autonomi. Quindi adottare con la spesa pubblica strumenti che possono andare a ridurre l'impatto dell'onere fiscale e aiutare, come è opportuno che sia, chi è all'inizio di un'attività imprenditoriale e deve essere supportato per svilupparla adeguatamente.

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  PRESIDENTE. Questo è uno dei temi principali delle nostre riflessioni, cioè spostare l'aspetto redistributivo più sul lato della spesa che non su quello dell'entrata. Comunque la precisazione del collega Fragomeli mi è utile per ricordare che proprio su questo punto, onorevole Fragomeli, se vuole far pervenire un'ulteriore richiesta di approfondimento in forma scritta, poi il professor Fiorio potrà, se lo desidera, rispondere. Ovviamente mettiamo a disposizione di tutti i commissari questo ulteriore approfondimento. Vale per lei e per tutti gli altri.
  Ringrazio il professor Carlo Fiorio, professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli studi di Milano. Spero di avere modo di incontrarla ancora in futuro se, come speriamo, questo cammino di iniziativa legislativa uscirà dalla fase dell'approfondimento e arriverà alla fase di predisposizione di una vera e propria riforma. Grazie ancora per essere stato con noi.
  Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal professor Fiorio (vedi allegato 3) e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle ore 12.50.

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