XVIII Legislatura

IV Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Mercoledì 25 settembre 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Rizzo Gianluca , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE CONDIZIONI DEL PERSONALE MILITARE IMPIEGATO NELL'OPERAZIONE «STRADE SICURE»

Audizione di rappresentanti del COCER-Sezione Esercito.
Rizzo Gianluca , Presidente ... 2 
Ceravolo Francesco Maria , presidente della Sezione Esercito del COCER ... 2 
Rizzo Gianluca , Presidente ... 6 
Miccichè Salvatore , rappresentante della Sezione Esercito del COCER ... 6 
Galantuomo Gennaro , rappresentante della Sezione Esercito del COCER ... 7 
Minissale Fabio , rappresentante della Sezione Esercito del COCER ... 8 
Rizzo Gianluca , Presidente ... 9 
Tripodi Maria (FI)  ... 9 
Deidda Salvatore (FDI)  ... 10 
Russo Giovanni (M5S)  ... 10 
Del Monaco Antonio (M5S)  ... 11 
Pagani Alberto (PD)  ... 11 
Carè Nicola (IV)  ... 13 
Rizzo Gianluca , Presidente ... 14 
Ceravolo Francesco Maria , Presidente della Sezione Esercito del COCER ... 14 
Boniardi Fabio Massimo (LEGA)  ... 16 
Rizzo Gianluca , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Cambiamo!-10 Volte Meglio: Misto-C10VM;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANLUCA RIZZO

  La seduta comincia alle 14.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare e la diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti del COCER-Sezione Esercito.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle condizioni del personale militare impiegato nell'operazione «Strade Sicure», l'audizione di rappresentanti del COCER-Sezione Esercito.
  Do il benvenuto ai rappresentanti della sezione Esercito del COCER presenti, in particolare al presidente della Sezione, Generale di brigata Francesco Maria Ceravolo, al luogotenente Salvatore Miccichè, al sergente Gennaro Galantuomo e al caporale Fabio Minissale.
  Ricordo che dopo l'intervento dei nostri ospiti darò la parola ai colleghi che intendano porre domande o svolgere osservazioni, alle quali gli auditi potranno rispondere. A tal proposito chiedo ai colleghi di far pervenire fin da ora al banco della Presidenza la propria iscrizione a parlare.
  Do, quindi, la parola al Generale Ceravolo.

  FRANCESCO MARIA CERAVOLO, presidente della Sezione Esercito del COCER. Buongiorno. Signor presidente, onorevoli deputati, il COCER-Esercito ringrazia per l'odierna audizione sull'operazione «Strade Sicure».
  Darò lettura di alcune parti di un documento che vi è stato consegnato, perché è il pensiero condiviso all'unanimità da tutto il COCER-Esercito. Ogni tanto mi fermerò proprio perché vorremmo farvi passare il nostro punto di vista sull'operazione «Strade Sicure». Sappiamo cosa ha detto il Capo di stato maggiore della Forza armata, il nostro Comandante delle Forze operative, quindi, pur vedendo la stessa operazione, cerchiamo di darvi la visione dell'operazione dal punto di vista del personale e dell'impatto anche morale che l'operazione ha su noi militari e riferirvi come la viviamo.
  Nel tempo a disposizione cercherò, quindi, di spiegare le criticità emerse nel corso degli anni nell'espletamento di tale operazione, alle quali è necessario porre rimedio nel più breve tempo possibile.
  Il COCER-Esercito vuole sottoporre alla vostra attenzione l'annosa problematica legata all'impiego del personale nell'operazione «Strade Sicure», che ad oggi vede impiegati circa 7.500 militari dell'Esercito italiano per ogni turno semestrale; quindi, 15.000 unità sono effettivamente impiegate ogni anno, alle quali vanno aggiunte altri 7.000 che si stanno approntando per i turni successivi. Ogni anno, quindi, 22.000 militari dell'Esercito italiano, tra servizio diretto e approntamento per l'operazione, sono coinvolti; quindi, 22.000 su 97.000 (mi soffermerò più avanti sull'impatto che ha sul personale questo massiccio impiego).
  È opportuno precisare che il 98 per cento di detto personale è dell'Esercito, il rimanente 2 per cento della Marina e dell'Aeronautica, dislocato soprattutto in alcune sedi dove ci sono reparti dell'Aeronautica Pag. 3 e della Marina. Pertanto è di palmare evidenza che le problematiche riguardano essenzialmente le tre Forze armate. Infatti, se per le Forze di polizia è compito istituzionale effettuare l'ordine pubblico, per noi è un compito di concorso.
  Il COCER è conscio dell'importanza di questa operazione, che su mandato del Parlamento garantisce al Paese, in questo momento storico di stabilità internazionale, una cornice di sicurezza per i cittadini sia per quanto attiene il contrasto alle attività terroristiche di varia natura, sia per ciò che concerne l'ordine pubblico in generale.
  Tale operazione, in atto dal 2008, mostra delle criticità che non possono più essere sottaciute e che necessitano di una risoluzione urgente e radicale. La natura di straordinarietà con la quale tale operazione fu istituita, ha lasciato il posto a un'operazione strutturata e continuativa, che i vertici politici nel corso degli anni hanno sempre fortemente voluto sia per la sicurezza che è stata garantita al Paese, sia per la crescente minaccia terroristica che non è mai diminuita nel tempo.
  Qui mi permetto di fare una delle prime divagazioni. Operazione continuativa: finché l'Esercito interviene one shot, noi siamo addestrati per fare questo, siamo gli uomini dell'emergenza, e allora possiamo dormire anche per terra, non abbiamo bisogno di nulla, perché siamo addestrati per farlo; ma non per dieci anni, perché vuol dire che allora è un impiego strutturale e non più emergenziale.
  Questo è uno dei messaggi che vorremmo far passare alla Commissione, perché i militari non vogliono vivere comodi. Sappiamo qual è il nostro compito nelle emergenze; interveniamo e siamo addestrati e formati per farlo, però dopo dieci anni di impiego non ci sentiamo più di dire che sia un'emergenza: è un impiego strutturale e ci dovrebbero essere delle conseguenze a un impiego strutturale delle Forze armate. Non siamo l'unico Paese; anche in Francia, ormai, è strutturale l'impiego delle Forze armate in compiti di ordine pubblico.
  L'attuale impiego dei militari nell'operazione «Strade Sicure», le cui modalità sono determinate dalle competenti autorità di polizia, prefetti e questori, svilisce la professionalità del militare, relegando spesso i soldati al ruolo di vigilantes, mentre si assiste alla creazione nell'ambito delle Forze di polizia di unità addestrate con tecniche militari ed equipaggiate con armi da guerra. La cosa ci lascia perplessi visto che, se il livello della minaccia è tale, forse toccherebbe ai militari affrontarla. Equipaggiare i civili (ricordo che alcune delle Forze di polizia sono formate da civili) con armi da guerra ci lascia alquanto perplessi, tanto più se per svolgere attività che alle unità dell'Esercito potrebbero essere assegnate proficuamente per la loro naturale connotazione di Forza militare.
  Tale impiego, così protratto nel tempo, purtroppo sta snaturando il ruolo militare delle unità impiegate nell'operazione, che hanno sempre meno tempo per addestrarsi per l'assolvimento dei compiti istituzionali. Mi permetto di ricordare, avendo avuto l'onore e la fortuna di comandare tanti uomini in missione, che non è così semplice adattarsi ai diversi compiti. Fare ordine pubblico in Italia, quindi avere a che fare con i nostri cittadini, non è la stessa cosa che prestare servizio in Afghanistan o in Iraq. Non basta girare un interruttore o schiacciare un pulsante e cambiare la modalità di impiego, perché ci sono dei rischi di iper-reazione in Italia o di bassa reazione, perché siamo uomini, non macchine programmate.
  Cerco di trasmettervi anche l'enfasi, perché è quello che sento dagli uomini che, come presidente del COCER, sono onorato di rappresentare. Quello che vi vogliamo trasmettere è questo sentire.
  È opportuno evidenziare inoltre che, nonostante gli impegni di ordine pubblico, i militari dell'Esercito sono comunque chiamati a svolgere impegni precipui del loro status, quindi a svolgere operazioni militari dentro e fuori i confini nazionali, per le quali devono poter proseguire lo specifico addestramento, che garantisca la corretta esecuzione delle attività operative da svolgere. Pag. 4
  Tali impegni internazionali assunti dal Governo, con l'avallo del Parlamento in ambito ONU e NATO, devono essere onorati mediante l'approntamento di contingenti con elevatissimi standard operativi, per poter far fronte ad ogni tipo di minaccia, e pertanto necessitano di uno specifico periodo di addestramento non comprimibile, che porta i militari ad accumulare moltissime ore di straordinario spesso non retribuito e non recuperabile, a causa degli incalzanti impegni, delle carenze organiche, dell'indisponibilità di un'aliquota crescente di personale che usufruisce di leggi speciali.
  È giusto aiutare il nostro personale (legge n. 104, congedo parentale e via dicendo), però ciò determina nei reparti un ulteriore peso. Molti di questi non possono partecipare alle operazioni sul territorio nazionale o all'estero.
  È necessario evidenziare che il nostro personale è altamente qualificato. Mi è stato chiesto da tutti, specialmente dalla categoria della truppa, di far passare questo concetto, ossia che i soldati sono preparati per impiegare sistemi d'arma complessi e costosi (costano milioni di euro), addestrati ad operare in condizioni estreme nei settori più svariati, dai campi di battaglia convenzionali alla cyber security, alle comunicazioni, alla guerra elettronica, in operazioni che spaziano dall'ambiente montano a quello anfibio.
  Ho comandato per anni uomini di leva che erano eccezionali, però avevano un anno di tempo per prepararsi, mentre gli uomini di oggi seguono corsi costosissimi per lungo periodo.
  Mi permetto di farvi un esempio: ho avuto l'onore di comandare la brigata Intelligence dell'Esercito; avevo degli operatori delle informazioni che parlavano correntemente tre lingue e che erano impiegati a fare la guardia davanti a qualche obiettivo. Erano veramente sotto impiegati.
  Anche l'operazione «Strade Sicure» necessita di un adeguato periodo di addestramento (circa due mesi), sempre per il concetto che vi ho detto, perché se cambiamo missione dobbiamo spiegarlo chiaramente agli uomini. Questo vuol dire un impegno ad andare fuori dalla propria sede per addestrarsi.
  Successivamente le unità operative vengono impiegate con un mandato di sei mesi in località del territorio nazionale che, nella maggior parte dei casi, sono lontane dalla sede di effettivo impiego: spesso diverse centinaia di chilometri. Ciò dipende dal fatto che le esigenze di impiego non coincidono con le sedi dove gli enti sono dislocati, come ad esempio accade nella sede di Roma, dove i militari dell'Esercito impiegati sono circa 2.800, mentre i militari operativi disponibili per tale impiego in loco sono circa 1.200; ma è impensabile che i 1.200 di Roma siano costantemente impiegati in «Strade Sicure», quindi il numero è maggiore perché ogni tanto il cambio bisogna darlo anche a quelli che stanno su Roma.
  Dunque, i reggimenti vengono inviati a diverse centinaia di chilometri di distanza e il personale viene alloggiato in caserme, che non sempre riescono ad accogliere in maniera adeguata i militari. Questo è un altro problema, perché si prendono caserme che magari erano in disuso da tempo e vengono riadattate. Non è che la nostra Forza armata non voglia trattarci bene, ma, dovendoci spostare, impiega locali che magari non erano usati da anni e si cerca di metterli a posto. Se si tratta di un'emergenza, come dicevo all'inizio, va bene; ma non è possibile che questa duri dieci anni!
  Trattasi di camerate di 10-20 persone con bagni in comune, dove non è possibile garantire adeguati standard qualitativi di vita a causa delle condizioni di vetustà delle infrastrutture, nonostante la Forza armata stia cercando di migliorare, con i pochissimi fondi a disposizione e con tempistiche necessariamente protratte nel tempo (tutti conosciamo le lungaggini dei contratti). Questo non permette al personale di vivere in un ambiente idoneo al recupero psicofisico, né è pensabile utilizzare le ore libere dal servizio per vivere decentemente, perché viene tristezza a passare del tempo libero in questi locali. Quindi, se si pensa di dare più tempo libero – ma sono a 600 chilometri da casa e mi fanno fare il turno in sesta – avrò meno ore da recuperare quando Pag. 5torno, ma non ho risolto il mio problema; risolviamo il problema dell'organizzazione, ma non il problema del singolo.
  A tale criticità è necessario aggiungere le difficoltà nell'espletamento dei vari turni di lavoro che il personale è chiamato a svolgere su ogni sito, attesa la necessità di tempi lunghi di percorrenza dalle caserme dove sono alloggiati i militari. Questo soprattutto nelle grandi città, dove i tempi di percorrenza si allungano a causa delle difficoltà di trasporto, senza dimenticare l'adempimento di tutte le procedure tecnico-militari proprie del servizio. Il poliziotto o il carabiniere ha la pistola al seguito. Va e monta anche partendo direttamente da casa. Noi dobbiamo andare prima a ritirare le armi dalla caserma. Quindi, un servizio che teoricamente dura sei ore e quaranta, uguale identico sulla carta a quello delle Forze di polizia, a Roma si protrae almeno per 9-10 ore.
  Bisogna saperlo, perché, con tutto il rispetto, è diverso da quello che fanno le Forze di polizia. Tutto questo comporta un prolungamento dell'orario, quantificato per tutta l'operazione «Strade Sicure» (penso che questi dati ve li abbia forniti anche lo stato maggiore) in circa 4 milioni e 300.000 ore di straordinario all'anno, di cui solo 1 milione e 300.000 remunerate (un terzo), mentre i rimanenti 3 milioni dovrebbero essere recuperati dal personale, ma nella maggioranza dei casi ciò non è possibile a causa dei concomitanti impegni operativi di varie unità dell'Esercito. Quindi, tale diritto è di fatto negato.
  È inutile prendersela poi, come è successo in alcuni casi, con i comandanti che dicono che dobbiamo ripartire, e il militare non può dire che non va. Stiamo creando grosse frizioni all'interno delle unità tra i comandanti che ricevono degli ordini che devono eseguire e il militare che si chiede quando potrà riposare.
  Un concetto che vorrei sottolineare è che la remunerazione è importante e chiederemo al Parlamento di incrementarla se sarà possibile, ma c'è un concetto che tecnicamente si chiama «optempo», cioè la capacità di un'unità di essere impiegata oltre la quale non si può andare. In tutti gli Eserciti della NATO questo optempo è 1 a 4, cioè 6 mesi d'impiego e 18 mesi tra recupero, ricondizionamento e riavvio del ciclo: noi siamo arrivati ad un impiego (ho chiesto i dati al nostro Comando operativo) per cui su 97 reggimenti a disposizione della Forza armata 67 vengono impiegati con grossi numeri ogni anno. Se aggiungiamo l'impiego all'estero, praticamente ogni 18 mesi i nostri militari fanno 6 mesi di impiego, cosa sostenibile per brevissimi periodi di tempo, non per lunghi periodi, a meno che non si voglia far decadere le capacità delle nostre unità.
  I nostri uomini con tutta la forza e la volontà che mettono nel fare il servizio cominciano a essere stanchi; cresce il numero dei divorzi. Dal punto di vista del personale vi sto dicendo qual è l'impatto del compito che questi uomini meritoriamente svolgono al servizio della nazione, pagandone tutte le conseguenze.
  Questa criticità si evidenzia soprattutto nella diversità di espletamento del servizio rispetto alle Forze di polizia ad ordinamento sia militare che civile, atteso che questi ultimi nell'espletamento dei compiti di ordine pubblico svolgono principalmente delle attività nella sede dove prestano servizio e nei casi in cui effettuano ordine pubblico fuori sede fanno pochi giorni, massimo una settimana, utilizzando alloggi per lo più idonei, ovvero vengono autorizzati ad alloggiare in strutture alberghiere che sono scarsamente compatibili con il nostro sistema (noi abbiamo le armerie e mandarci in albergo allungherebbe i tempi di cui parlavamo prima, perché l'organizzazione è diversa).
  Appare evidente che il servizio svolto meritoriamente dal personale delle Forze di polizia non è sovrapponibile o comparabile con quello svolto dal personale dell'Esercito. In sintesi, «Strade Sicure» è un'operazione militare nel senso stretto del termine, che prevede un impiego operativo prolungato nel tempo e, quindi, una fase di addestramento, un'amalgama, una condotta, una fase di ripiegamento e ricondizionamento.
  In tale contesto l'impegno della singola unità operativa è protratto per circa 9 Pag. 6mesi, nel corso dei quali, come in un'operazione all'estero, il personale lontano da casa lavora con turni massacranti, in condizioni disagevoli, ed è costretto ad alloggiare in strutture poco più che campali (molti mi dicono di stare meglio all'estero che in Italia). Ripeto: non è un attacco alla mia Forza armata, ma è la realtà, perché questi contingenti vengono mandati in locali riadattati, perché avrebbero dovuto essere temporanei.
  È opportuno, dunque, rivedere l'impiego delle unità militari dell'Esercito, che dovrebbero svolgere compiti più attinenti alla loro naturale specificità, quali attività mobili di pattugliamento del territorio, come già chiesto dal nostro Capo di stato maggiore dell'Esercito in una precedente audizione, e non essere quindi sotto impiegati rispetto all'alta professionalità che ho tentato di descrivere. È sentire comune di tutti i militari voler fare attività connaturate al nostro addestramento, alla nostra preparazione, alla nostra forma mentis, o di pronto impiego in caso di attacco terroristico.
  Signori onorevoli, per risolvere questo annoso problema è necessario poter disporre di adeguati stanziamenti per riuscire a pagare le ore di straordinario eccedenti le 14,5 ore previste dall'attuale decreto, incrementando tale limite pro capite di ulteriori 40 ore al mese ed evitando, così, l'accumulo di centinaia di ore di recupero pro capite inesigibili da parte del personale per le citate ineludibili esigenze operative e addestrative per prepararsi alla missione successiva.
  È inoltre necessario uno stanziamento straordinario, spendibile in tempi brevi e con procedure magari di urgenza, per rendere accettabili gli standard abitativi di questi luoghi in cui i militari risiedono, se l'operazione deve continuare e chissà per quanti anni ancora.
  Un militare che presta servizio in una caserma con gravi difficoltà mi ha mandato le foto. Gli ho detto che non è colpa del suo comandante, perché da ufficiale conosco i problemi che ha quel comandante, però di fronte aveva un carcere appena consegnato e riteneva che quelli stessero meglio di lui, che per il morale delle Forze armate non è una cosa positiva (con questo non dico di togliere i soldi lì, però si arriva a fare questi confronti tra i gradi più bassi, ma lo dico anch'io che sono un generale, perché alcune cose sono inaccettabili).
  In conclusione, anche il recente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che alloca per un solo semestre 4,5 milioni di euro, è assolutamente irricevibile, in quanto si tratta di una mera rimodulazione dei capitoli di bilancio della Difesa (non voglio fare commenti, ma hanno preso dei soldi che avremmo preso comunque sul FESI e ce li hanno messi sugli straordinari di «Strade Sicure»), e comunque si tratterebbe di sole 6 ore pro capite, pari a 50 euro mensili, che non risolverebbero in alcun modo rispetto alle 40 ore il problema prospettato.
  Se il Parlamento continua a ritenere indispensabile l'impiego dell'Esercito a supporto delle Forze di polizia per garantire la sicurezza dei cittadini e contestualmente rispettare la dignità dei militari, questo Consiglio centrale di rappresentanza chiede che il dispositivo di «Strade Sicure» venga adeguato alle effettive capacità delle unità militari, non svilendole in impieghi che con le unità militari hanno poco a che fare, non impiegandole in compiti residui propri di società di sicurezza privata. Chiede, inoltre, che vengano reperite risorse economiche per compensare i sacrifici e il disagio di migliaia di soldati e delle loro famiglie (spero di essere stato in grado di rappresentare la situazione dei nostri soldati che partecipano a queste operazioni) che ne subiscono le conseguenze. Grazie per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, Generale. Do ora la parola agli altri rappresentanti della Sezione Esercito del COCER che intendano intervenire.

  SALVATORE MICCICHÈ, rappresentante della Sezione Esercito del COCER. Buonasera, presidente, buonasera, signori onorevoli. Grazie dell'opportunità che ci state dando oggi.
  È già stato detto quasi tutto dal Generale Ceravolo, presidente del COCER, perché Pag. 7 quella che ha enunciato poco fa è l'anima del COCER. Volevo rimarcare alcuni elementi più incisivi.
  Recentemente circolano in rete dei video che riprendono un nostro collega accoltellato alle spalle, a Milano, da un soggetto non identificato. Solo la capacità operativa di un militare poteva in quel momento reagire e bloccare quel soggetto. Qualche giorno dopo, un militare è stato provocato con sorrisi e applausi in piena piazza; ha mantenuto la calma, non ha reagito, anzi il video mostra che con la mano fa cenno ai colleghi di non intervenire perché ha tutto sotto controllo.
  Questo perché i nostri colleghi hanno una preparazione non indifferente; che si tratti di graduati in servizio permanente o in ferma prefissata, tutti hanno lo stesso indottrinamento, tutti vengono addestrati allo stesso modo. Come diceva prima il Generale Ceravolo, il nostro personale non ha uno switch che gli consente di passare da una missione all'estero ad una di servizio sul territorio nazionale. Fa un certo effetto vedere il personale dell'Esercito svolgere attività che potrebbe fare una guardia giurata, o fare la sentinella, quando invece la capacità operativa di un militare è totalmente diversa.
  Nella missione «Vespri siciliani», i soldati venivano impiegati dai prefetti per fare i rastrellamenti, un'operazione prettamente militare; adesso, invece, ci ritroviamo in una situazione che non è consona al tipo di addestramento che facciamo, per non parlare della parte relativa al trattamento economico.
  Volevo farvi una domanda: secondo voi qual è la percezione del cittadino della sicurezza dello Stato? Vi lascio con questo interrogativo.

  GENNARO GALANTUOMO, rappresentante della Sezione Esercito del COCER. Sono Gennaro Galantuomo, sergente maggiore capo a qualifica speciale della specialità dei Bersaglieri dell'Esercito italiano. Sono un comandante di minori unità, comandante di plotone e comandante di squadra. Sono colui che impiega gli uomini sul terreno e che traduce in realtà gli ordini che il Parlamento emana quando si tratta di operazioni che vanno al di là dell'ordinaria amministrazione.
  La storia della mia Forza armata, l'Esercito, è contraddistinta negli anni da interventi a favore delle popolazioni in difficoltà; dal Vajont al terremoto del Friuli, all'Irpinia, arrivando fino a L'Aquila. Ho fatto anche lo spazzino, quando mi è stato chiesto di pulire Napoli. È quello il nostro impiego, non chiniamo mai la testa di fronte al problema, anzi lo affrontiamo per risolverlo quanto prima.
  Nel 2001, però, la storia per tutti noi è cambiata. Dopo le Torri Gemelle abbiamo capito che, forse, c'era bisogno di maggiore sicurezza in Europa e in Italia. Ogni tanto ci fermiamo e riflettiamo, e ci siamo chiesti perché l'Italia è l'unico Paese dell'Europa a non aver subìto quello che è successo in Francia, in Germania, in Inghilterra. Forse perché la presenza sul terreno di soldati altamente preparati, che vengono da scenari di guerra dove hanno visto cos'è la minaccia, porta questo Paese ad avere una capacità di reazione che solo una Forza armata come la mia può garantire, con tutto il rispetto per i colleghi dell'Arma dei carabinieri, della Polizia di Stato e di chi fa bene il proprio dovere?
  Come ha detto il Generale Ceravolo, noi passiamo in un attimo dall'Afghanistan alla piazza di Milano e non ci facciamo problemi nell'impiego. Risulta, però, difficile per un comandante, anche ai minimi livelli, creare quella spinta motivazionale nel personale quando gli si dice che deve andare per sei mesi a Milano partendo dall'VIII Reggimento Bersaglieri di Caserta. Qualcuno chiede perché da Caserta portiamo i militari a Milano. Perché, evidentemente, i colleghi che stanno a Milano sono impiegati all'estero; quindi bisogna garantire il numero di uomini che la prefettura ci chiede per dare sicurezza alla piazza di Milano. Così si va a Milano e si dorme tutti in una camerata, che è quella che è, e nessuno batte ciglio.
  C'è però un problema. Fare i conti non solo con la coscienza, ma anche con la dignità di un uomo che va a casa e ha moglie e figli; magari ha il grado di primo caporal maggiore (caporal maggiore scelto Pag. 8e caporal maggiore capo sono gli uomini che prioritariamente vengono impiegati). Sapete a quanto ammonta l'ora di straordinario di un primo caporal maggiore dell'Esercito italiano, al netto delle ritenute IRPEF? Ammonta a 7,26 euro all'ora. Quella di un caporal maggiore scelto è 7,49 centesimi all'ora. L'Amministrazione può pagargliene solo 14,5 al mese, che, tradotti in euro, fanno 103 euro al mese in più sullo stipendio. Tutto questo per stare 600 chilometri lontano da casa.
  Magari il mio comandante mi ha portato a Milano e mi ha dato la caserma, e io devo stare lì, perché ho l'obbligo di pernottare nella sede dove presto servizio. Non mi posso muovere perché sono un militare, non sono un poliziotto, e se mi allontano e c'è esigenza vengo punito, ed è giusto che sia così, perché devo garantire l'efficienza dell'incarico che mi è stato dato. Con quei 100 euro magari ci pago il biglietto del treno per tornare a casa quando ho qualche ora libera e il comandante me lo permette, ma se non mi firma la licenza non posso andarmene da Milano e deve stare lì, e la mia famiglia è a Caserta e tornerò fra sei mesi a casa dicendo ai miei figli che ho garantito la sicurezza dell'Italia e degli italiani a Milano e non ho guadagnato nulla in più, tranne che 240 ore di recupero in media, che significa per il mio comandante non vedermi per due mesi in caserma.
  Se per due mesi non posso vedere i miei uomini che comandante sono? Mi viene pagata l'indennità supplementare di comando per comandare personale che non c'è!
  Se si capisce il problema qual è, forse si ha contezza di dire che il COCER Esercito viene a chiedere risorse per il personale non perché siamo dei mercenari, ma perché facciamo sempre il nostro dovere e abbiamo firmato un contratto con lo Stato, che significa anche sangue e crepare, se occorre, come ha fatto il mio collega a Milano che si è preso una coltellata, come quell'altro qualche anno fa che ebbe anche un riconoscimento per meriti per essersi preso una coltellata insieme ai colleghi della Polizia.
  Questo è il nostro problema, cerchiamo di farvelo capire nel miglior modo possibile. Io devo tornare in caserma e dire al mio collega che ho contezza che i nostri rappresentanti parlamentari hanno preso a cuore la vostra situazione e fra sei mesi, quando tornerà a casa, potrà dire ai suoi figli che li porta a mangiare una pizza perché con i 103 euro che sei riuscito a mettere da parte a 600 chilometri da casa si è guadagnato una pizza!
  Ve lo dico non perché voglia chiedere la pietas di qualcuno, perché noi facciamo il nostro dovere e lo faremmo anche per niente. Siamo pagati per fare questo mestiere e abbiamo giurato fedeltà alla Repubblica di fronte alla bandiera di un Reggimento qualsiasi d'Italia, che è piena di medaglie, perché chi ci ha preceduto ha sacrificato la propria vita per rendere libero questo Paese.
  Vorremmo garantire la sicurezza nei territori dove ci impiegate, però datemi l'opportunità di guardare in faccia i miei uomini e dire che questa missione finirà; torneranno in caserma e potranno avere l'opportunità di dire ai loro figli di aver fatto il loro dovere, o quantomeno che il sacrificio di non essersi visti per sei mesi sarà valso a qualcosa. Grazie per l'attenzione.

  FABIO MINISSALE, rappresentante della Sezione Esercito del COCER. Grazie, signor presidente, grazie, signori onorevoli. Sono il caporal maggiore Fabio Minissale, rappresentante della categoria D del COCER Esercito.
  Hanno già detto tutto i miei colleghi e il presidente Ceravolo con il documento che abbiamo approvato. Vorrei arrivare a voi partendo dal punto di vista del morale del personale; vorrei arrivare ai vostri cuori per farvi capire che cosa prova il personale impiegato in «Strade Sicure».
  Personalmente ho montato sia come addetto alla vigilanza che come capo muta, perché ho fatto undici anni qui a Roma. Vorrei che voi provaste a immedesimarvi nel personale che deve fare sei ore di turno, fermo su un sito, senza poter fare nient'altro che stare fermo e osservare (perché, anche in caso di incidente o di qualsiasi Pag. 9avvenimento estraneo a quanto previsto dalle consegne, non può intervenire se non chiamare le Forze dell'ordine o i soccorsi, quando dovrebbe essere d'aiuto alla cittadinanza; e questa per noi, addestrati ad ogni tipo di evenienza, è già una limitazione).
  Aggiungiamo che non siamo Forze dell'ordine e, quindi, per poter espletare tutte le attività di ritiro e controllo armi, ritiro materiale di armamento e controllo mezzi, per poi partire per il sito, dobbiamo impiegare almeno un'ora in più di lavoro. Lo stesso vale per la consegna; quindi parliamo di un servizio che non dura più 6 ore, ma ne dura minimo 8. Anche la notte è lo stesso, perché il servizio è h-24, e bisogna tornare di notte in strutture dove non abbiamo niente, lontani da casa, andare in un'altra palazzina per fare le doccia, tornare e sapere che dopo 6 ore dovremo rimontare di nuovo.
  Questo per sei mesi, che poi, in realtà, non sono sei mesi, perché su Roma (i dati sono documentabili) il personale, quando smonta dal proprio turno di sei mesi è costretto ad andare in supporto ai reparti che danno il cambio. Quindi, il personale non riesce a smaltire le licenze maturate lontano da casa e l'indennità onnicomprensiva viene spesa per far ritorno a casa per 24 o 36 ore, perché il treno non è gratuito.
  A fine mese, quindi, ci rimane un pugno di mosche in mano, e tutto questo per mesi. Finita l'attività di «Strade Sicure» c'è l'attività in un teatro operativo estero, e magari il reparto non solo deve fare l'operazione all'estero, ma presta contemporaneamente servizio sia all'estero, sia in «Strade Sicure», come in Val Susa dove già è stato impiegato neanche un anno fa.
  La caserma però non chiude, perché non è un negozio. Le attività che si devono prestare nel reparto devono continuare e ciò significa sobbarcare di attività non solo il personale che già è in un'operazione, ma anche il personale che rimane in caserma e che dovrà coprire anche i turni per il personale impiegato in attività.
  I comandanti cercano di utilizzare il personale a rotazione. Cercano di togliere personale dall'operazione «Strade Sicure» per impiegarlo in reparto, e viceversa. Alla fine, però, quando uno torna in reparto, deve fare i servizi e, quindi, non cambia niente. Come ha detto il presidente del COCER, a volte stiamo meglio all'estero, perché partiamo, sappiamo i rischi cui andiamo incontro e che abbiamo scelto di affrontare giurando, anche a costo della nostra vita, se è il caso.
  Vorremmo veramente che ci venissero riconosciuti la nostra specificità e il lavoro che svolgiamo, invece di tagliare le risorse. Noi siamo dei militari, ma siamo gente come voi; uomini, donne, padri, madri, figli. Siamo esseri umani che hanno deciso di fare un lavoro che non tutti sono disposti a fare. Sfido chiunque a provare a fare il nostro mestiere, perché non tutti riuscirebbero a farlo.
  Abbiamo scelto di fare un lavoro che sicuramente comporta dei sacrifici, ma sono sacrifici che noi abbiamo scelto di fare, e manterremo sempre il giuramento fatto e faremo qualsiasi attività il Governo e il Parlamento ci diranno di fare. Non ci tireremo indietro dinanzi a nulla. Tuttavia capite quello che noi sopportiamo, i sacrifici a cui andiamo incontro e valutate se sia il caso di riconoscere quei sacrifici che ogni uomo e ogni donna in divisa con le stellette ogni giorno fa per il Paese, convinto di farlo. Grazie.

  PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che desiderino intervenire.

  MARIA TRIPODI. Grazie, presidente. Ringrazio il Generale Ceravolo e i rappresentanti della Sezione Esercito del COCER per questa relazione. Noi abbiamo contezza dello stato dell'arte e posso dirvi che, già nel mese di luglio, ci siamo interessati, come Forza Italia, facendo anche un'interrogazione. Credo, però, che questo sentimento sia condiviso da tutti i colleghi. Mi riferisco alla vostra tutela e al benessere nel servizio.
  All'epoca il Governo ci assicurò che i temi da noi posti sarebbero stati presi in carico. Questi temi sono le istanze che oggi avete presentato e che ha sottolineato approfonditamente il Generale Ceravolo: l'impiego Pag. 10 e la specificità del personale utilizzato nell'operazione «Strade Sicure»; la tempistica della missione, perché dieci anni sono molto lunghi e si deve rimodulare il tutto.
  Noi siamo assolutamente vicini alle istanze che presentate. Abbiamo anche provveduto a sollecitare il Governo già nel luglio scorso per agevolare la condizione dei tantissimi militari impiegati nel settore. Però se me lo consente, Generale, le vorrei porre una domanda. Lei ha elencato onori e oneri di questa operazione, ma come pensa si possa porre soluzione a situazioni che ormai si ripetono da dieci anni? Con tutta la buona volontà e la buona propensione che può avere una Commissione parlamentare, lei come crede che possa avvenire un cambiamento, a cosa ci possiamo appellare, oltre al buonsenso comune? Grazie.

  SALVATORE DEIDDA. Ringrazio il Generale Ceravolo e tutti i rappresentanti della Sezione Esercito del COCER. Innanzitutto mi scuso se tra poco dovrò allontanarmi, ma in Aula c'è il question time. Ringrazio anche il presidente, perché si farà portavoce del fatto che stiamo ancora attendendo di ascoltare il Ministro in audizione, mentre partecipa a un question time. Grazie, presidente, per il suo interessamento.
  Detto questo, condivido la vostra relazione. Una delle prime interrogazioni riguardava il susseguirsi di suicidi avvenuti a Roma, che facevano emergere in maniera drammatica e vistosa le criticità di un'operazione come «Strade Sicure» che, come avete giustamente detto, era nata per affrontare un'emergenza, ma con il tempo si è trasformata in una situazione ordinaria, tanto che ricorriamo a voi per qualunque circostanza (adesso i rifiuti tossici a Castel Volturno).
  Come abbiamo detto al Capo di stato maggiore dell'Esercito, o abbiamo i soldi per pagare gli straordinari e avere delle sistemazioni dignitose o l'operazione «Strade Sicure» va ridotta. L'operazione, infatti, reca problemi alle brigate e all'organico impiegato che, una volta svolto il servizio, poi deve partire per missioni internazionali. C'è un oggettivo problema degli uomini che devono usufruire dei riposi o prepararsi prima delle missioni a fronte di organici sempre più ridotti e con personale sempre più vecchio e con problemi familiari.
  Condivido la vostra relazione e la sposo in pieno. Vi chiedo se siate favorevoli al fatto che, come ha detto il Capo di stato maggiore, l'operazione «Strade Sicure» andrà man mano chiusa.

  GIOVANNI RUSSO. Grazie, signor presidente. Ringrazio anche tutti i rappresentanti della Sezione Esercito del COCER. Ascoltando la vostra relazione, mi è venuto in mente un episodio. Circa un anno fa, una pattuglia di militari impegnati in «Strade Sicure» si rese protagonista di un brillante intervento di immobilizzazione, con conseguente arresto di un malvivente.
  L'episodio fu filmato e trasmesso sui social media forse anche per una becera strumentalizzazione contro le Forze armate, che fino a qualche anno fa era molto frequente, mentre da un po’ di tempo, per fortuna, c'è un grande ritorno di affetto e di vicinanza a tutto il comparto delle Forze armate. Tutti quelli che visualizzarono quel filmato riconobbero unanimemente l'altissima professionalità con la quale era stata condotta e gestita l'azione, tanto da meritare il plauso dei rappresentanti istituzionali che all'epoca erano al Governo.
  Al di là del fatto che alcuni episodi di eccessiva reazione tra gli uomini impegnati in «Strade Sicure» potrebbero rientrare anche all'interno di statistiche fisiologiche, soprattutto per le parti che svolgono missioni operative così ravvicinate nel tempo, mi domando se si siano mai verificati episodi di reazione sproporzionata e se siano state fatte delle statistiche su tale fenomeno.
  La mia domanda non è finalizzata a fare polemica, ma anzi serve proprio per dimostrare ancora di più la nostra vicinanza a tutto il personale impegnato in «Strade Sicure» che, come ho già detto, dimostra ogni giorno una grande professionalità. Come capogruppo del Movimento 5 Stelle posso dire che la forza politica della quale mi onoro di far parte è sempre stata molto vicina ai militari. Ho posto Pag. 11questa domanda perché dall'analisi statistica di questi fenomeni è possibile valutare anche l'incidenza dello stress e il miglioramento psicologico degli operatori. Grazie.

  ANTONIO DEL MONACO. Grazie, presidente. Posso anche dire grazie ai colleghi, perché mi sento ancora le stellette cucite sulla pelle.
  L'operazione «Strade Sicure» ormai non è più di natura emergenziale, visto che dura da dieci anni. Questo è stato detto in maniera chiara e forte anche nelle precedenti audizioni. Se si vuole mantenere questa operazione bisogna mettere il personale in condizione di vivere nel migliore dei modi, perché più si va avanti nelle condizioni attuali e più si logorano sia negli uomini, sia i mezzi e le strutture; pertanto, l'operatività non può che diminuire.
  Vorrei soffermarmi su alcuni punti. In particolare, vista la questione dei tempi per cui 6 ore e 40 minuti diventano 9-10 ore, vorrei sapere se si sia mai pensato di intervenire dove c'è il sito affinché si possano razionalizzare i tempi e magari accorciare le tre ore e oltre di passaggio da una parte all'altra.
  In secondo luogo, in merito ai 2.800 impegnati su Roma di cui 1.200 sono romani, è vero che spesso non si raggiunge il numero perché molti sono in missione e, quindi, occorre il supporto delle altre regioni, ma è anche vero che bisogna tendere ad avere un bacino che possa avvicinarsi alle 2.800 unità che occorrono, e questa potrebbe essere un'altra indicazione.
  Voi avete fatto un ottimo lavoro in questi dieci anni, perché ciò che si chiedeva alle Forze armate e in particolare all'Esercito che fornisce il 98 per cento degli uomini, è stato sempre portato a termine e non ci si è mai tirati indietro anche di fronte alla difficoltà di non farsi una doccia.
  Vorrei inoltre chiedervi se, come rappresentanza, avete fatto un'indagine interna per rendervi conto di quali sono le strutture e i disagi. Se così fosse, potete darci la possibilità di leggere questi dati per poter definire perché utilizziamo quelle caserme e non altre più idonee, oppure se quelle caserme possono essere messe a posto per fare in modo che i militari che tornano da un servizio abbiamo quantomeno la possibilità di avere un piccolo angolo dove farsi la doccia e poter dormire e godere del meritato riposo?
  Sono convinto che in un'operazione come «Strade Sicure» si vive un maggiore disagio rispetto a quello che si può vivere in operazioni all'estero. Infatti, nell'operazione «Strade Sicure» lo stress è maggiore, perché il riposo non è eustress, come dicono gli psicologi, ma distress, quindi disagio. E questo sicuramente creerà problemi. Ecco che ci rendiamo conto di quello che succede, dell'aggressività, della risposta emotiva del militare in alcuni casi o magari del suicidio.
  Io vorrei fermarmi qui, chiedendo se c'è stato da parte dello stato maggiore della Difesa o degli stati maggiori di Forza armata la capacità di definire dei criteri per assorbire quei tempi morti e se è in atto un programma di messa in sicurezza e di maggiore vivibilità delle strutture dove alloggiano questi ragazzi.
  Sicuramente – lo dico a me e lo dico a tutti i colleghi – se proprio vogliamo mantenere e fare un'operazione che è un bene per l'Italia, una sicurezza per la Nazione, dobbiamo realmente attivarci per risolvere i problemi. Questa è una questione che riguarda noi.
  Ho dimenticato di chiedere un'ultima cosa. Abbiamo fatto tantissime audizioni e abbiamo sempre posto la questione della mobilità e della staticità, e tutti ci hanno detto che sono i prefetti a determinare l'impiego. Vorrei avere una risposta anche da voi.

  ALBERTO PAGANI. Ringrazio i rappresentanti della Sezione Esercito del COCER per le informazioni molto utili alla comprensione delle problematiche su cui stiamo lavorando.
  Naturalmente, non siamo qui per esprimervi la nostra solidarietà. Quello lo fanno tutti i cittadini. Noi siamo qui per ascoltare quello che ci dite; se ne siamo capaci, per comprenderlo e per assumere degli orientamenti politici e dare risposte alle questioni che avete posto. Mi perdonerete se non utilizzo espressioni retoriche. Mi sembrano Pag. 12 inutili. Proviamo a stare sulla sostanza delle problematiche che avete messo sul tavolo.
  Ormai sono trascorsi molti anni da quando è stata avviata l'operazione, ma a me è stato insegnato che ogni dispositivo di sicurezza va predisposto commisurandolo e adeguandolo alla minaccia. Non credo che negli anni questi aspetti dottrinari siano stati modificati. Pare che sia ancora attuale come ragionamento.
  Ora, lo stesso nome dell'operazione «Strade Sicure» è ambiguo. Nacque, come giustamente diceva il Generale Ceravolo, in una situazione di emergenza. L'emergenza dura un anno, dura due anni. Dopo dieci anni, non è più emergenza, è attività ordinaria, ed è un'attività ordinaria che contiene fin dal suo titolo un'ambiguità.
  «Strade Sicure» rispetto a quale minaccia? La sicurezza della strada è garantita anche dalla polizia municipale, dalla polizia stradale, dai Vigili del fuoco, da tanti altri operatori che fanno altri mestieri. Il dispositivo militare ha un senso se si valuta che vi sia una minaccia che richiede una risposta di tipo militare, cioè con un addestramento, un equipaggiamento, una dotazione, degli strumenti di carattere militare.
  Ragiono tra me e me e penso che ci siano alcune potenziali minacce che possono effettivamente richiedere l'impiego di Forze armate.
  In particolare, a mio avviso, quella terroristica è una minaccia che può richiederlo. Il fatto che non abbiamo subìto attentati non vuol dire che non ci sia la minaccia. Vuol dire che c'è stato un insieme di misure adeguate a prevenire e a contrastare la minaccia che sinora – facciamo le corna, speriamo anche in futuro – hanno dato un buon esito. Non si è manifestata, quindi, alcuna disgrazia, ma questo non toglie che la minaccia vi sia.
  Bisogna capire se il dispositivo adottato con «Strade Sicure», che impiega 7.000 uomini, ma ne impegna 22.000, sia tutto necessario per contrastare quella che a mio parere è la vera minaccia che richiede l'impiego delle Forze armate. Altri pericoli che ci sono sulla strada non sono pericoli che richiedono a mio parere la risposta che le Forze armate e l'Esercito sono in grado di dare. Forse potrebbero richiedere la risposta da parte delle Forze di polizia a ordinamento militare.
  Immagino una situazione tragica di minaccia estrema, di un attentato terroristico, e cito gli esempi di Parigi, con Charlie Hebdo o Bataclan. Queste sono azioni di guerra in un ambito urbano, preparate, pianificate e organizzate con individui ben addestrati, armati con armi da guerra, con una preparazione militare. È evidente che per quel tipo di minaccia una risposta tempestiva e adeguata è più efficace che non quella del vigile di quartiere.
  Cito l'esempio della minaccia terroristica più approssimativa, quella dei terroristi che si sono radicalizzati, e hanno compiuti attentati ai mercatini di Berlino, alla Rambla di Barcellona o al Lungomare di Nizza: anche queste in parte (meno, ma in parte) sono una minaccia rispetto alla quale le Forze armate perlomeno dispongono di un mezzo blindato pesante che possono mettere in mezzo alla strada. È una capacità di intervento, per esempio, adeguata.
  Quando vedo, invece, i dati che segnalano, come è successo, il sequestro di non so quanti chilogrammi di stupefacenti o altri tipi di minacce, a me pare che... Per ammazzare le mosche, non si usa il bazooka. E non è la funzione principale delle Forze armate sequestrare gli stupefacenti sul territorio nazionale.
  Muovendomi per Roma, cammino a piedi e utilizzo la metropolitana, quando posso, e vedo all'opera i ragazzi impegnati nell'operazione «Strade Sicure»: non in tutti i casi mi pare che possa essere quello un presidio. Se il compito è trasmettere sicurezza ai cittadini, forse sì, un compito estetico. Se il compito è garantire la sicurezza rispetto a una potenziale minaccia, non sempre sono nelle condizioni più opportune.
  Voi sapete meglio di me che due militari dentro una fermata della metropolitana frequentata da moltissime persone che si muovono in continuazione, che hanno sì un giubbotto di protezione, sì un armamento pesante, perché hanno un'arma automatica Pag. 13da guerra, se si trovano aggrediti da un aggressore ben addestrato con un'arma bianca, vengono neutralizzati in meno di un minuto.
  Se si trovano nella necessità di agire, quell'arma che hanno non la possono utilizzare, perché un'arma automatica spara un proiettile con un tiro utile di 1.200 metri. Quante volte rimbalza e dentro quale corpo va a finire quel proiettile in una stazione della metropolitana? È un tipo di dispositivo che a mio parere non è quello ottimale per prevenire un determinato tipo di minacce che ci può essere. Forse, un agente in borghese può avere una funzione più efficace perché non si vede. Se c'è lo spacciatore della droga, almeno lo arresta più facilmente.
  Sono stato un po’ lungo, ma arrivo a un punto di domanda. Non tutti i problemi si risolvono aumentando le risorse. A volte, le risorse che ci sono bisogna spenderle bene e adeguare gli strumenti alle necessità.
  La domanda è questa: dato che, in quanto COCER, conoscete nel dettaglio meglio di me l'impiego e i punti, valutate che vi sia da parte delle prefetture un utilizzo improprio, una richiesta impropria per obiettivi che andrebbero protetti in altri modi rispetto alle strumento «Strade Sicure»? Non credete che sarebbe opportuno valutare con i prefetti – non dipende dalle Forze armate decidere come vengono impiegate queste risorse, ma dal Ministero dell'interno e dai prefetti – se con una diversa modulazione dell'impiego per obiettivi sensibili che richiedono un contrasto alla minaccia adeguata allo strumento militare si potrebbero liberare risorse?
  In questo modo, si ridurrebbe l'impegno dell'Esercito su «Strade Sicure» e si permetterebbe di avere risorse per risolvere i problemi che giustamente avete indicato; gli straordinari non pagati, l'adeguato addestramento, l'utilizzo corretto di personale. Parliamo di personale che, quando è impiegato fuori area, deve essere messo dove probabilmente il rischio è più alto rispetto alla fermata della metro Colosseo di Roma; quando è impiegato fuori area, deve essere messo nelle condizioni di addestramento più adeguate possibili.
  È possibile ridimensionare l'impegno di «Strade Sicure», rimodularlo, ripensarlo in un modo diverso, non per spendere meno, ma per utilizzare meglio le risorse che ci sono e qualificare, addestrare, formare meglio il personale per l'impegno principale, che a mio parere non è sul suolo italiano, ma nelle missioni estere? È un tema sul quale penso che la politica debba fare una riflessione e, eventualmente, dare un'indicazione.

  NICOLA CARÈ. Ringrazio il Generale Ceravolo e tutti i rappresentanti della Sezione Esercito del COCER. Io vorrei esprimervi la mia piena solidarietà. Effettivamente, vi siete espressi in maniera limpida e molto intensa, che viene dal profondo. Veramente sentite tutte le esigenze dei vostri uomini, soprattutto quelle che riguardano la necessità per le persone per vivere una vita non ottima, ma adeguata a soddisfare in pieno i loro bisogni.
  Non mi dilungherò molto. Chiedo velocemente, sull'adeguatezza di questo progetto, se vale la pena, e concordo con il collega Pagani rivedere qualche aspetto dell'operazione per liberare risorse.
  Naturalmente, non possiamo accettare che gli uomini, da un turno di sei ore, facciano tutto quello che stanno facendo adesso. Arrivano in questi siti che sono stati eretti in maniera emergenziale e che adesso sono diventati strutturali, dove non sono soddisfatte le esigenze minime. Come giustamente ha detto il caporal maggiore Fabio Minissale, loro sono pronti a tutto, perché hanno fatto un giuramento verso questa Repubblica, ma nello stesso tempo siamo noi che dobbiamo capire che cosa possiamo fare per far sì che queste esigenze vengano rispettate.
  È per questo motivo che chiedo a lei, Generale, e a tutti voi rappresentanti, se è possibile trovare degli accorgimenti per l'adeguatezza del progetto. Naturalmente, voi starete già operando per cercare di minimizzare tutte queste problematiche dell'operazione. Potete darci dei suggerimenti? In questo modo, sapremo e potremo valutare sempre meglio e poi prendere indirizzi politici ben precisi.

Pag. 14

  PRESIDENTE. Do adesso la parola al Generale Ceravolo per la replica.

  FRANCESCO MARIA CERAVOLO, Presidente della Sezione Esercito del COCER. Provo a dare una risposta complessiva, poi controllerò le vostre domande per vedere se sarò riuscito a rispondere.
  Parto da un presupposto: ricordo che noi siamo la rappresentanza militare. Oggi, abbiamo parlato di attività operative perché ci serviva per farvi capire l'impatto sul personale. La risposta che darò adesso è, quindi, assolutamente personale. Poi, forse, i colleghi vorranno integrare, e non può essere la risposta delle Forze armate, perché mi hanno addestrato a non dare risposte se non hai tutti gli elementi del problema. E io con la mia posizione non ho tutti gli elementi del problema.
  Le risposte che darò dipenderanno, quindi, dalla mia esperienza. Può darsi che domani arrivi qui, come è giusto che sia perché è sua competenza, lo stato maggiore a dare risposte diverse. E non sbaglierebbe. Sto sbagliando io, probabilmente, ma non perché mi voglia, se così si può dire, «parare». Ho sempre odiato nella mia carriera quando si parla senza sapere. È facile. Ormai, siamo tutti allenatori della nazionale senza mai aver giocato a calcio.
  A carattere generale, io sono contento da cittadino italiano che ha giurato fedeltà a questa Repubblica che non siano i militari a decidere l'impiego dei militari stessi. Lo decide l'autorità civile, l'autorità politica, per fortuna. Su questo si basa la nostra Repubblica.
  Il problema è che vorremmo che, dopo che ci hanno detto di volerci impiegare, non ci dicessero anche il come. Quello è il nostro mestiere. Ultimamente, invece, non solo ci si dice «fatelo», ma pure come.
  In altre operazioni – tipo «Vespri siciliani» – i prefetti ci dicevano: dovete garantire la sicurezza. Noi, da bravi militari, ci mettevamo, studiavamo il problema e davamo la soluzione adatta. Adesso, invece, ci viene imposto: due uomini là, tre uomini qua. Due uomini là; perché?
  Noi militari siamo molto critici su questo dispositivo, perché non è un dispositivo militare. Le nostre funzioni di comando e controllo saltano tutte e si vanno a unire a problematiche diverse. La nostra forza sta nel gruppo. Le Forze di polizia fanno un altro lavoro. Per quello che devono fare, agiscono per piccoli gruppi. La nostra forza sta nel gruppo. L'aspetto psicologico non è da sottovalutare.
  Io ho parlato con comandanti che hanno avuto militari che si sono suicidati, e si rammaricavano, dicevano: io non lo vedevo praticamente da sei mesi, quel ragazzo; se stavo nel mio normale impiego, forse mi sarei accorto di qualcosa. Non è l'operazione «Strade Sicure» che porta a suicidarsi. Può essere la goccia che fa traboccare il vaso. Ve lo dico dopo quarant'anni di comando. Queste cose, però, si vanno tutte a intrecciare. Passo adesso a dare qualche risposta trasversale.
  La mia paura è che i comandanti, proprio per evitare la reazione eccessiva, per evitare che i nostri soldati ammazzino per sbaglio un cittadino italiano, gli dicono: abbassa il livello della reazione. Così, però, li esponiamo ancora di più.
  Si citava il Bataclan. Quando comandavo la mia brigata, dicevo loro: vedete l'arma lunga che avete? Facevo vedere il filmato del Bataclan e dicevo: la usate solo se vedete un caso come quello del Bataclan; a quel punto, se prendiamo qualcuno dei nostri, è il danno minore. È vero, l'abbiamo visto, il poliziotto francese è andato via, scappava. È umano. Probabilmente, il militare sarebbe corso verso l'attentatore. È una questione di mentalità.
  Anche noi abbiamo chiesto che si valutasse che fossimo impiegati – non sta a noi – per il nostro mestiere, e invece vediamo unità delle Forze di polizia armate fino ai denti. Se sono dei civili, perché hanno le nostre armi?
  Come ha detto l'onorevole Pagani, se quella è la minaccia, c'è l'Esercito. È solo per quel tipo di minaccia. Se la minaccia è di livello più basso, non dovrebbe essere l'Esercito ad affrontarla. Io penso che se in un caso come quello del Bataclan il militare spara e ammazza il terrorista e nello scontro a fuoco muore un civile, è accettabile, perché l'alternativa è farne morire cinquanta. In un'operazione di Polizia questo Pag. 15 è inaccettabile. Bisogna essere consapevoli che sono proprio due mondi diversi.
  Noi stiamo costringendo il nostro militare a pensare come un poliziotto. Dicevo che non si può cambiare modalità da un momento all'altro; se si passa dall'impiego nell'operazione e poi, magari, si va in Afghanistan e arriva il kamikaze, il militare non può tentennare un attimino.
  Dobbiamo riconoscere l'autorità, che è quella dei prefetti. La legge n. 121 del 1981 stabilisce che le autorità di Polizia in Italia sono i prefetti e i questori, non l'autorità militare.
  Verifichiamo iper-reazioni? No, proprio perché c'è un'azione di comando attiva, però è come dire: sacrificatevi voi e, piuttosto che avere un'iperreazione, «prendete le botte». Dal punto di vista del militare, però, è frustrante. Vedere quel militare preso in giro in quel modo, è come se lo Stato venisse preso in giro. Il cittadino dice: se pure lui deve stare zitto, chi difende me? Se il massimo dell'uso della forza dello Stato è costretto a stare fermo... Forse, se si usassero i militari solo per certi aspetti, ma questa è una mia opinione, si potrebbe trovare un bilanciamento.
  I tempi sono stati razionalizzati? In città come Roma, che facciamo, portiamo un reggimento di carristi? In pianta stabile i carri armati dove si mettono? Che facciamo, gli facciamo fare l'addestramento nel centro di Roma? Roma non è adatta per un reggimento di carristi o di artiglieria. La vedo difficile.
  Quelle che usiamo sono strutture che magari risalgono ai tempi della leva e che avevamo quasi dismesso, perché dovevano essere temporanee. Se devono essere permanenti, almeno per quella parte permanente a mio avviso servirebbe – lo abbiamo chiesto – un piano straordinario per rimetterle nelle condizioni di accogliere decentemente.
  Un mio ex bersagliere – io vengo dai Bersaglieri, comandavo il reggimento di Cosenza – mi ha fatto una battuta: prima, monto sei ore al Colosseo più tre di trasloco, poi esco fuori e mi rivado a guardare il Colosseo da turista, perché i soldi per tornare a casa non ce li ho; quei pochi soldi, dopo la prima e la seconda sera che mangio a mensa, li vado a spendere per pagarmi una pizza, quindi non porto niente a casa.
  L'impiego, ripeto, è dei prefetti. So che gli stati maggiori, ma è una loro competenza, stanno parlando. Io capisco anche i prefetti, parliamoci chiaro: chi ha il coraggio, oggi, di togliere il dispositivo? È un dato di fatto. Incrociando le dita, fino adesso il sistema ha funzionato. Bisogna tener conto anche di tutto questo.
  C'è un altro tema importante. Proprio perché facciamo un impiego diverso da quello delle Forze di polizia, abbiamo un'indennità che ci copre a tutto tondo: è difficile tornare allo straordinario a singola ora, che non si riuscirà mai a fare.
  Per quello che facciamo in altre missioni non addestrative, operative, c'è il compenso forfettario. Vi assicuro che, specialmente per i gradi bassi, è più facilmente calcolabile, evita contenzioso e, chi lo fa, sa qual è la cifra certa che porterà a casa. Anche per chi fa i bilanci, è facile controllare.
  Del dispositivo adeguato alla minaccia abbiamo parlato. Abbiamo chiesto di essere impiegati da militari. Ci fa specie vedere nascere unità di Forze di polizia sia militari sia civili armate di tutto punto con armi da guerra. Da una parte, dite che siete civili, e poi vi armate di tutto punto come noi militari? Fatelo fare a noi, se è un'azione militare, ma è una mia visione personale. Spesso, però, in Italia tutti vogliamo fare tutto.
  Quanto alla razionalizzazione dei tempi, si è provato in tutti i modi. Quando, però – le caserme di Roma sono in tre quattro punti sparpagliati – ti trovi nel traffico del lungotevere, qual è il tempo di percorrenza? Che Dio ce la mandi buona, non lo sai. Si tratta di ore.
  Siamo favorevoli alla chiusura dell'operazione? Non si tratta di essere favorevoli o meno. Il punto è se serva o meno. La nazione si può permettere... Chi se ne assume la responsabilità? Se domani succede qualcosa, si potrà sempre dire: finché c'era l'Esercito... Comunque, ha un effetto deterrente. Per fortuna, non sta a noi militari Pag. 16prendere questa decisione, ma capisco che è una decisione pesante da prendere, sia politicamente sia per chi ha la responsabilità.
  Quanto alla logistica, devo ammettere che il Capo di stato maggiore ci sta portando a visitare le infrastrutture; ci ha chiesto di accompagnarlo come rappresentanti per avere coscienza. La nostra Forza armata sta facendo veramente i salti mortali per cercare di farci star meglio, però il bilancio della Difesa lo conoscete meglio di me, è una coperta corta.
  Ho risposto in altre occasioni all'obiezione che l'80 per cento del bilancio va sul personale: sì, ma non è troppo per il personale; è il bilancio in assoluto a essere piccolo. È stato un salvadanaio negli ultimi dieci anni... Basta vedere da dove si è attinto per altre risorse. Si fa un anno, si fa due, si fa dieci, poi le caserme stanno andando giù. C'è poco da fare, se non ci sono i soldi.
  Molte volte, poi, proprio per questioni di finanza pubblica, ma lo sapete, per i finanziamenti si trovano le risorse a ottobre. Per come funziona il codice degli appalti, praticamente sono soldi che sappiamo bene che nel 90 per cento dei casi non c'è il tempo tecnico di spendere. Si dovrebbe intervenire... Non so, qui si entra in tecnicismi che veramente non sono il mio campo. Magari, a volte i soldi arrivano, ma arrivando a ottobre-novembre, con le leggi sul bilancio, non si riescono a spendere, e quindi vengono risparmiati. Forse ad altri ministeri, a quello dell'Economia, fanno comodo, perché poi i conti tornano meglio.

  FABIO MASSIMO BONIARDI. Mio malgrado, sono un utilizzatore dei vostri servizi, in quanto per cinque anni sono stato assessore alla sicurezza in una città in provincia di Milano, 40.000 abitanti, prima cerchia.
  È vero, i prefetti Tronca, Lamorgese e Saccone attualmente utilizzano questo servizio su richiesta dei comuni per sistemare alcune situazioni. Logicamente, tra tagli e altre misure prese per gli enti locali, la polizia locale è sempre in diminuzione, quindi purtroppo viene utilizzato questo servizio in soccorso; tra l'altro, per quel che riguarda la mia esperienza, in abbinamento ai Carabinieri, che coordinano loro i servizi di «Strade Sicure».
  Sicuramente, solo la presenza è un fattore deterrente e di sicurezza, perché la cittadinanza avverte anche soltanto la presenza fisica del mezzo o quella degli uomini. Sotto questo punto di vista, è stata sicuramente una cosa positiva. Mi rendo conto che si è creata una serie di problematiche all'Esercito. Mi auguro che si possa trovare una soluzione per andare verso le vostre richieste.

  PRESIDENTE. Ringrazio tutti gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.55.