XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (III-XIV Camera e 3a-14a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Martedì 23 ottobre 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Battelli Sergio , Presidente ... 3 

Comunicazioni del Governo sugli esiti del Consiglio europeo del 17-18 ottobre 2018:
Battelli Sergio , Presidente ... 3 
Moavero Milanesi Enzo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 3 
Battelli Sergio , Presidente ... 7 
Urso Adolfo  ... 7 
Boldrini Laura (LeU)  ... 8 
Bonfrisco Anna Cinzia  ... 9 
De Luca Piero (PD)  ... 10 
Ianaro Angela (M5S)  ... 11 
Billi Simone (LEGA)  ... 12 
Lucidi Stefano  ... 12 
Rossini Emanuela (Misto-Min.Ling.)  ... 13 
Battelli Sergio , Presidente ... 13 
Moavero Milanesi Enzo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 13 
Fassino Piero (PD)  ... 17 
Battelli Sergio , Presidente ... 17 
Fassino Piero (PD)  ... 17 
Battelli Sergio , Presidente ... 17 
Moavero Milanesi Enzo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 17 
Battelli Sergio , Presidente ... 17 
Boldrini Laura (LeU)  ... 18 
Battelli Sergio , Presidente ... 18 
Boldrini Laura (LeU)  ... 18 
Battelli Sergio , Presidente ... 18 
Moavero Milanesi Enzo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 18 
Battelli Sergio , Presidente ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA XIV COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
SERGIO BATTELLI

  La seduta comincia alle 20.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-TV e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Comunicazioni del Governo sugli esiti del Consiglio europeo del 17-18 ottobre 2018.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca le comunicazioni del Governo sugli esiti del Consiglio europeo del 17-18 ottobre 2018.
  A nome delle Commissioni esteri e politiche europee della Camera e del Senato do il benvenuto al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, professor Enzo Moavero Milanesi.
  Ricordo che la riunione del Consiglio europeo si è incentrata principalmente su immigrazione e sicurezza interna. A margine del Consiglio europeo si è svolto un vertice euro non limitato ai Paesi dell'eurozona, ma allargato ai 27 Stati membri. In tale sede è stato esaminato lo stato di avanzamento dei negoziati sulla riforma dell'Unione economica e monetaria, che dovrebbe essere portata a compimento nella riunione del Consiglio europeo di dicembre.
  Segnalo infine che durante il pranzo di lavoro del 17 ottobre i leader dell'Unione europea a 27 hanno esaminato lo stato delle trattative per l'uscita del Regno Unito dall'Unione, rilevando che, nonostante intensi negoziati, allo stato attuale non sono stati realizzati progressi sufficienti.
  Si tratta quindi di argomenti molto rilevanti, sui quali il Ministro potrà fornirci utili elementi di valutazione. Prima di dare la parola al Ministro chiedo ai colleghi presidenti se intendano intervenire, altrimenti saluto a nome di tutti.
  Quanto allo svolgimento del dibattito, invito i colleghi che intendano intervenire a comunicarlo preventivamente al tavolo della Presidenza, al fine di organizzare i tempi, consentendo a tutti i Gruppi di intervenire.
  Do quindi la parola al Ministro Moavero Milanesi affinché svolga il suo intervento.

  ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Ringrazio i parlamentari presenti del Senato e della Camera per l'opportunità di darvi una relazione sul risultato dei lavori del Consiglio europeo che, come sapete, si è svolto a Bruxelles la scorsa settimana, il 17 sera e il 18 ottobre.
  Il primo tema che è stato toccato dei cinque su cui in sintesi vi darò atto è stato quello relativo alla cosiddetta «Brexit», che, come sapete, naviga in acque che definire complesse è usare un eufemismo, e ruota soprattutto intorno a due o tre nodi, il principale dei quali riguarda la frontiera tra la Repubblica d'Irlanda (Eire) e l'Irlanda del Nord, frontiera che con l'uscita del Regno Unito dovrebbe riproporsi, ma che per gli accordi di pace a suo tempo stipulati, che avevano posto fine alla guerra, alla guerriglia, a situazioni estremamente difficili durate tantissimo tempo, non deve esistere.
  Si parla infatti dell'inesistenza di qualsiasi tipo di confine, di barriera, quindi anche una fotocellula potrebbe rappresentare Pag. 4 un elemento di complicazione, per cui si cerca di lavorare e naturalmente si deve lavorare intorno ai concetti di ampiezza del mercato interno, di unione doganale, perché dalle frontiere con le persone passano inevitabilmente anche le merci, quindi è un problema di cui tutti capiscono la portata e la difficoltà, ma che per essere risolto richiede di lavorare all'interno delle regole relative al mercato interno unico dell'Unione europea e all'unione doganale della stessa.
  Naturalmente, quando si parla di mercato interno, si parla delle sue quattro libertà (persone, merci, servizi, capitali) e lì incominciano i numerosi distinguo per uno Stato che intende lasciare l'Unione. La situazione quindi è ancora fluida e non risolta, gli Stati, i 27 (su questo punto il Consiglio europeo si riunisce nel cosiddetto «formato articolo 50» che fa riferimento all'articolo del trattato sull'Unione europea che si applica nel caso di uscita, quindi a 27 Stati) hanno riconfermato la piena fiducia nel negoziatore, il francese Michel Barnier, incaricato dalle istituzioni, e hanno riaffermato l'impegno a restare uniti sul risultato.
  La questione era legata al tempo, perché voi sapete che a fine marzo scade il periodo previsto dal trattato, al termine del quale, secondo il trattato sull'Unione europea, o c'è l'accordo per l'uscita oppure l'uscita arriva in maniera drastica. Il non accordo, il cosiddetto «no deal» è quindi un'eventualità possibile, naturalmente è un'eventualità che si cerca di evitare da ambo le parti, ma sono quei rischi di piano inclinato in cui talvolta ci si trova, per cui non è un'eventualità che si può escludere, perché ormai la clessidra va nel senso di svuotarsi.
  C'è tuttavia ancora tempo, in particolare c'è tempo fino al Consiglio europeo, quando i leader si vedranno di nuovo nel mese di dicembre, e in vista di quel momento si lavora molto determinati per questo aspetto Irlanda del Nord, che rappresenta il nodo principale.
  Gli altri aspetti importanti riguardano i diritti dei cittadini britannici nell'Unione europea e degli Stati dell'Unione europea nel Regno Unito dopo la Brexit. Sono state date molte assicurazioni dalla Primo Ministro Theresa May, prevedendo procedure snelle e rapide, però poi bisogna vedere concretamente in cosa si traducano.
  L'obiettivo è quello di avere un quadro di certezza giuridica, però, per dirla molto francamente, in questo momento non solo non c'è la certezza giuridica, ma non c'è neanche la certezza politica di quello che può accadere. Avete visto anche i cortei nelle strade di Londra, naturalmente Londra non è il resto della Gran Bretagna, in particolare non è il resto dell'Inghilterra, però il fermento è notevole e i punti interrogativi sono molti.
  Posizione italiana. Ci sono due punti fondamentali su cui stiamo insistendo, perché sono quelli su cui vogliamo avere particolare sicurezza. Uno riguarda la posizione dei nostri concittadini che già si trovano in Gran Bretagna, in particolare di quelli che vi si trovano per motivi di studio. Le università inglesi sono una meta molto ricercata dagli studenti italiani per completare la loro formazione e per noi è molto importante che abbiano la possibilità di completare il loro iter di studi, di conseguire il loro diploma, di avere quella che con un termine impossibile si chiama l'equipollenza, che vuol dire poi l'equivalenza – però bisogna dirlo nel modo giusto –, e di conseguenza preservare i loro diritti.
  Vorremmo anche far sì (e questo sarà un problema comune di tutti i 27) che i cittadini dell'Unione europea possano continuare ad accedere alle università britanniche anche dopo la Brexit in condizioni più favorevoli rispetto al resto del mondo, e il resto del mondo è molto competitivo per accedere a queste università.
  È importantissimo per noi che ci sia piena tutela delle denominazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei nostri prodotti, in particolare i prodotti del settore agroindustriale. Rispetto a questi, ogni volta che c'è l'occasione di parlarne ribadisco che quei metodi semplicistici, chiaramente grossolani con cui vengono identificate le qualità dietetiche di certi prodotti, cosiddetti «semafori alimentari», per cui il prosciutto di Parma, il grana padano, il parmigiano, l'aceto balsamico hanno la Pag. 5luce rossa mentre qualche prodotto sintetico ce l'ha verde, ci sembrano sistemi assolutamente non di guida al consumatore, che assomigliano a barriere mascherate vuoi di origine privata (e allora bisogna interrogarsi se non siano degli accordi di cartello), vuoi pubblica (e allora c'è una responsabilità dello Stato).
  Per noi è importante tenere soprattutto su questi punti, gli altri punti ci toccano, ma al medesimo titolo con cui toccano gli altri Paesi membri.
  Secondo punto: le migrazioni. Le migrazioni erano state il punto protagonista del Consiglio europeo di giugno, i leader hanno confermato appieno le conclusioni di quel Consiglio, che erano piene di bellissime parole (condivisione, sforzo condiviso, responsabilità congiunta, chi arriva in un Paese europeo da fuori Europa arriva in Europa e non in quel Paese), ma naturalmente tra il dire, lo scrivere e il mettere in opera c'è di mezzo una certa differenza e di conseguenza abbiamo insistito (il punto è stato ribadito) sulla necessità di dare attuazione.
  Quali sono i punti chiave dell'attuazione? Il primo è la lotta ai trafficanti di esseri umani, quindi la lotta alla tratta dei migranti, perché tale purtroppo è. Il secondo, nel quale crediamo molto e vedo che crede anche un numero crescente di Stati dell'Unione, è la necessità di fare degli investimenti consistenti nei Paesi di origine dei migranti, quelli da cui partono, e nei Paesi di transito, per riuscire nei Paesi di transito a creare condizioni per il contrasto ai trafficanti di esseri umani, nei Paesi d'origine condizioni socio-economiche che evitino ai migranti economici di partire.
  Qui è anche molto importante insistere sull'azione a favore della pace e della democrazia, perché sappiamo bene che quelli tra i migranti che poi ricevono il riconoscimento dello status di rifugiato fuggono situazioni di guerra, di conflitto o di grave privazione dei diritti fondamentali di democrazia e di libertà.
  Si tratta quindi un'azione ad ampio raggio che viene portata avanti e che può essere portata avanti meglio. Parlare di investimenti in questi Paesi significa parlare di risorse, e parlare di risorse significa parlare in maniera diversa del quadro di bilancio dell'Unione europea. Questo è un negoziato che si è aperto nel mese di maggio dopo le proposte della Commissione, che come Italia consideriamo insufficienti (avevo già avuto occasione di riferirvi). È chiaro che, se non si trova modo di ampliare le risorse che l'Europa mette a disposizione degli interventi in Africa, siamo in una situazione molto difficile e c'è anche una contraddizione pesante.
  Se infatti si sommano le risorse che ciascuno degli Stati membri dell'Unione investe nella propria politica nazionale di cooperazione, siamo a cifre di svariate decine di volte superiori al bilancio che l'Unione tutta insieme mette a disposizione, con l'aggravante che gli Stati investono facendosi concorrenza fra loro – e abbiamo esempi anche abbastanza vivaci – mentre l'Unione investirebbe nell'interesse generale di tutti gli Stati. Si deve quindi discutere se, nell'impossibilità eventuale (questa è una linea che cerco di portare avanti) di aumentare le risorse europee in senso stretto, si possa quantomeno mettere a paniere comune le diverse risorse nazionali per fare un'iniziativa di impatto europeo più ampio.
  Terzo aspetto rilevante è quello che riguarda la riforma delle grandi regole: il Regolamento di Dublino che tutti abbiamo imparato a nominare, ma magari non tutti abbiamo letto con attenzione. Il Regolamento di Dublino pone gli oneri a carico del Paese di primo arrivo e noi stiamo cercando di superare queste norme del Regolamento di Dublino attraverso una maggior condivisione al momento in cui le persone arrivano, quindi la possibilità di riuscire ad avere una sorta di predistribuzione di tutti coloro che arrivano qui, non solo di coloro a cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato, che sono quelle persone a cui erano state applicate, anche un anno o due anni fa, le famose quote di attribuzione, rispetto alle quali qualche Stato europeo aveva dissentito.
  Noi vorremmo che ci fosse già una predistribuzione nel momento in cui ci sono arrivi massicci, in maniera che gli oneri che Pag. 6il Regolamento di Dublino pone a carico dello Stato di primo arrivo siano già all'arrivo e dal primo stadio condivisi. Naturalmente ci sono divisioni fra gli Stati membri dell'Unione sul tema delle migrazioni, Stati che non vogliono assolutamente sentir parlare di arrivi di nessun tipo e non sono disponibili all'accoglienza neppure dei rifugiati, Stati che viceversa pensano che si debba cercare di fare un'azione di maggior rilievo per frenare il fenomeno, ma soprattutto governarlo, perché le migrazioni sono un fenomeno dai forti effetti politici in tutti gli Stati europei.
  L'impressione che i cittadini hanno (ed è difficile francamente dar loro torto) è che il fenomeno non sia governato a livello europeo, non ci sia una politica europea delle migrazioni, che ci siano delle iniziative nazionali che possono di volta in volta piacere o non piacere, ma che non ci sia una politica europea, mentre invece è proprio una delle grandi questioni in cui la latitanza dell'Europa pesa notevolmente.
  Un altro tema è quello della sicurezza interna. Le minacce individuate sono quelle che conosciamo: c'è un problema di radicalizzazione del terrorismo, c'è l'aumento esponenziale del crimine informatico e cibernetico, quindi la rivoluzione tecnologica è cavalcata non solo da ciascuno di noi nella propria vita quotidiana, ma anche da chi ha intenzioni meno buone di quelle che può avere ciascuno di noi, quindi anche dalla criminalità organizzata.
  C'è la questione della propaganda d'odio in Rete, c'è la questione delle notizie false che circolano in Rete, tutti problemi di portata come minimo europea, probabilmente ormai globale, ma a livello europeo si cerca di adottare delle norme legislative e di attuare una migliore cooperazione tra gli organismi di polizia e fra gli organi giudiziari, in maniera tale da poter affrontare questo tema insieme.
  Qui c'è una maggior convergenza, c'è una volontà politica di convergere, tutti si rendono conto dell'interesse comune, talvolta ci sono ostacoli di tipo tecnico-legislativo che rendono il percorso più complicato. Emergono via via le nuove questioni, le cosiddette «minacce ibride», c'è un'inquietudine sempre maggiore rispetto alla possibilità, che forse ormai è anche più di una possibilità, che persone che si erano recate nei teatri di guerra del Medio Oriente possano rientrare in Europa e commettere illeciti gravi e atti di terrorismo, per cui la necessità di vigilare e di collaborare insieme fra gli Stati per non creare allarmismi fra i cittadini è molto importante.
  Anche qui si dovrà parlare di risorse finanziarie e si parla anche di un ultimo tassello, l'estensione delle competenze della figura istituzionale del procuratore europeo che, come penso sappiate, è stata istituita di recente per occuparsi delle frodi al bilancio dell'Unione europea, quindi di estendere una sua competenza agli atti di terrorismo transnazionale. È un capitolo appena aperto, la cui discussione è ancora allo stato assolutamente embrionale.
  Il quarto dei cinque temi riguarda le relazioni esterne. Si è parlato di Africa sostanzialmente nei termini che vi ho già detto, come dedicare più fondi ai Paesi dell'Africa per favorire il loro sviluppo socio-economico, la pace e la democrazia. Tra l'altro avremo a Roma, a partire da domani per tutta la giornata di giovedì, la Conferenza Italia-Africa, che è un avvenimento estremamente importante, c'è l'adesione di quasi tutti i Paesi del continente africano che vengono rappresentati ad alto livello governativo (ministri degli esteri, viceministri, sottosegretari e anche qualche ambasciatore).
  Parleremo di Africa, parleremo di quello che l'Unione europea può fare, ma anche di quello che il nostro Paese può fare per l'Africa, un'Africa in cui stanno sempre di più emergendo le democrazie, perché anche l'Africa diventa un continente in cui (me lo raccontava il Presidente dell'Unione africana) si tengono spessissimo elezioni, cambiano i Governi, si scombussolano le geometrie, ma questa dal punto di vista della democrazia e della libertà di espressione dei cittadini dei Paesi africani è un'ottima notizia, quindi occorre intervenire a favore la democrazia per consolidare la pace.
  Domani ho invitato a colazione alla Farnesina i Ministri degli esteri di Etiopia e di Pag. 7Eritrea; è un secondo incontro a colazione dopo quello che avevamo avuto a New York, a latere dell'Assemblea delle Nazioni Unite, e sapete che il Presidente del Consiglio si è recato ad Addis Abeba e ad Asmara una settimana fa. Anche rispetto a questi due Paesi nei confronti dei quali abbiamo una responsabilità storica devo darvi atto di un'ottima accoglienza. Io all'inizio ero stato prudentissimo, perché loro avevano fatto la pace da soli e firmato gli accordi di pace a Riad, quindi ho cercato di andare con cautela nel presentare l'Italia come Paese che desiderava congratularsi, felicitarsi e anche essere facilitatore. Ho visto che c'è un grandissimo interesse, tant'è vero che confermiamo questa ulteriore occasione di incontro domani.
  Il ruolo che il nostro Paese può svolgere nel continente africano in una sinergia di investimenti, di collaborazione, in una sinergia ideale di sviluppo socio-economico e anche valoriale di democrazia e libertà, è molto evidente. Di questo dobbiamo essere coscienti soprattutto nel momento in cui anche da altri continenti oltre che da quello europeo si affacciano sullo scenario africano Paesi importantissimi, a cominciare dalla Cina.
  Il secondo tema delle relazioni esterne ha riguardato i rapporti con la Lega Araba, organismo importante con cui l'Unione europea tiene relazioni regolari. Tra l'altro, la Lega Araba è invitata in quanto tale alla Conferenza per la Libia che facciamo a Palermo il 12 e il 13 di novembre, e ci sarà un vertice Unione europea-Lega Araba il 24 e 25 febbraio del prossimo anno proprio per intensificare la collaborazione. Anche qui, temi collegati alle migrazioni e alla lotta ai traffici illeciti, oltre che alla collaborazione sul piano economico ed energetico.
  Ultimo tema, che è un sempreverde delle riunioni di vertice europeo, ha riguardato l'Agenda 2030, che è il programma dell'Unione europea molto ambizioso, ma collegato all'idea di sviluppo sostenibile, sostenibile da un punto di vista economico, sociale e ambientale. Si è parlato soprattutto di ambiente e quindi di applicazione degli Accordi di Parigi, e quindi di cambiamento climatico, ai quali l'Europa tiene molto. L'idea è che questa Agenda 2030 permetta di adottare delle misure che vadano anche ad avvicinare l'Unione europea ai cittadini, che mi sembra un'idea eccellente per superare le notevoli incomprensioni.
  Questi sono stati i temi del vertice, dopodiché il giorno 18 a colazione si sono visti, però nel formato allargato come ricordava il presidente, i Paesi dell'area dell'euro, cioè si è svolto il cosiddetto «Euro summit», il vertice dei Paesi dell'area dell'euro. È stata un'occasione per scambiarsi una serie di opinioni sulla fase attuale, riconfermare l'impegno per la crescita e per l'occupazione, che certamente non è qualcosa di nuovo, hanno riconfermato la determinazione ad attuare l'unione bancaria, alla quale manca uno dei tre componenti, la garanzia europea sui depositi.
  Con riguardo alla garanzia europea sui depositi ricordo che è una garanzia che non cambierebbe nulla alla fine per il risparmiatore, perché rimborserebbe sempre depositi fino alla cifra di 100.000 euro, esattamente come accade oggi con i fondi nazionali che sono stati già armonizzati da una direttiva del 2014. Questo fondo europeo sarebbe alimentato dai fondi nazionali, che sono a loro volta alimentati dalle banche, quindi è un progresso ma non è che sia una rivoluzione o un passo particolarmente eclatante, però indubbiamente serve a dare il senso di qualcosa di maggiormente in comune.
  In questa colazione dell'Euro summit il Presidente del Consiglio ha avuto modo di anticipare ai suoi colleghi, il giorno 18, le linee della manovra economica di bilancio italiana, di cui successivamente avete e abbiamo avuto ulteriori notizie. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie al Ministro Moavero. Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni. Ho iscritti sette colleghi, quindi possiamo dare quattro minuti a testa.

  ADOLFO URSO. Grazie, presidente. Sarò molto preciso, con alcune richieste specifiche. Pag. 8
  Brexit. Nel documento che abbiamo letto, che ha dei colori diversi e che è posto a base della conclusione, le cosiddette «indicazioni geografiche» sono la parte bianca, cioè escluse dalla discussione. Noi abbiamo presentato una mozione in Parlamento, al Senato, chiedendo un impegno preciso al Governo affinché dica con chiarezza da subito che noi non siamo d'accordo a un accordo di recesso che non contenga nel suo interno in modo specifico quei princìpi che, da quanto abbiamo letto, sono oggi esclusi perché sono considerati parte bianca, cioè praticamente esclusi dalla discussione.
  Il Governo non ha dato parere favorevole alla nostra mozione. Ciò significa che non si impegna in maniera esplicita? Avete manifestato questa intenzione chiara? Perché rinviare l'argomento al successivo accordo commerciale significa perdere la protezione per le indicazioni geografiche in quello che è uno dei mercati più ricchi al mondo in questa materia.
  Cambiamento climatico. Nella Commissione esteri, quando abbiamo ricevuto il Documento di programmazione economica e finanziaria, è emerso con tutta evidenza che il Governo ha tolto gli stanziamenti per gli anni successivi al 2018, quindi dal prossimo anno, all'impegno italiano per la lotta al cambiamento climatico. Ne siete consapevoli?
  Terza domanda specifica. Riguarda quello che il Presidente del Consiglio ha ripetuto anche l'altro giorno in Parlamento in vista del Consiglio europeo, ossia questo nuovo paradigma, questo cambio di passo, in sostanza la conferenza stampa fatta quattro mesi fa, a fine giugno, in cui sembrava che l'Italia avesse cambiato l'Europa. Io ricordo i toni trionfalistici, il fatto che l'Europa aveva accolto le nostre richieste, che eravamo riusciti ad imporre un nuovo paradigma, un nuovo cambio di passo, le nostre tematiche ormai erano alla portata di tutti.
  Ora, abbiamo letto le conclusioni e tra quelle conclusioni mi chiedo e vi chiedo dove sia il cambio di paradigma, cosa sia accaduto in questi quattro mesi e quindi in questo nuovo Consiglio d'Europa, dove siano i campi di accoglienza sorvegliati, dove siano gli accordi con i Paesi per favorire rimpatri, dove siano le quote di redistribuzione, dove sia la partecipazione finanziaria di tutti i Paesi alle spese sostenute dai Paesi di arrivo.
  Le cose che erano state scritte nel vertice di quattro mesi fa, accolte come nuovo paradigma, sono state realizzate dai Paesi europei e sono state realizzate dal nostro Paese, che deve invitare gli altri a fare altrettanto? Questa è la domanda che le volevo fare.
  L'ultima domanda riguarda le sue conclusioni. Mi è sembrato paradossale che lei abbia detto in questa sede oggi che il Presidente del Consiglio ha illustrato ai vertici dell'Unione in quella sede le linee di bilancio economiche italiane di cui avete avuto ulteriori notizie. Le ulteriori notizie – lo dico in maniera sommessa – è che hanno bocciato il bilancio europeo. Non sono «ulteriori notizie» che abbiamo letto sui giornali come se fosse un particolare di secondaria importanza all'aperitivo del vertice, ma sono la bocciatura per la prima volta della manovra economica italiana, che è un fatto di inaudita gravità. Non sono «ulteriori notizie», signor Ministro degli esteri.

  LAURA BOLDRINI. Certo, l'assenza della presidente Grande fa un panel tutto maschile, si sente fortemente; speriamo si rimetta presto in sesto, perché difficilmente mi ritrovo in un Paese europeo e del G7 con questo panel, con tutto il rispetto per chi lo compone.
  Volevo chiedere al signor Ministro, che è sempre molto chiaro nelle sue esposizioni, un chiarimento circa il prolungamento della fase di transizione. Parlo di Brexit, perché abbiamo letto specialmente sui quotidiani britannici che questo è il tema all'ordine del giorno, cioè prolungare la fase di transizione o no.
  Le chiedo se il Governo abbia una posizione su questo. Quindi, per il Governo italiano prolungare la fase di transizione sarebbe un dato da cogliere positivamente, stiamo lavorando per questo, e questo che impatto avrebbe nelle elezioni europee del maggio prossimo? Si pensava che con il deal avremmo avuto una maggiore disponibilità anche di eurodeputati e dunque anche una revisione della legge elettorale. Pag. 9Mi chiedevo se questo prolungamento della fase di transizione significhi che nelle prossime elezioni europee verranno eletti anche eurodeputati britannici, e, se non è così, la nostra legge elettorale cambierà e, se cambierà, se questo sia un tema all'ordine del giorno del Governo,
  Per quanto riguarda l'immigrazione le faccio questa domanda diretta: lei ritiene ancora possibile un cambiamento, una riforma del Regolamento di Dublino? Glielo chiedo con schiettezza perché ho visto che il Presidente del Consiglio ha cambiato anche qui termini: da un'assertività di giugno è passato a una molto più cauta richiesta di cambiamento, di modifica di questo Trattato di Dublino. Nell'intervento in Aula la settimana scorsa è stato blando, anche un po’ criptico, a un certo punto ha detto (cito testualmente): «occorre infatti evitare l'illusione che regolamenti come quello di Dublino possano risolvere le forti criticità relative ai movimenti primari e alla protezione dei confini esterni».
  A giugno aveva detto un'altra roba, a giugno aveva detto «lavoreremo, ci impegneremo per cambiare il Regolamento di Dublino». Nella risoluzione di maggioranza, signor Ministro, lei ha visto che come sempre c'è una premessa e poi c'è un dispositivo. Ebbene, nella premessa si fa riferimento a Dublino e a un impegno italiano in questo senso, ma nel dispositivo no, nel dispositivo non c'è traccia. Abbiamo quindi rinunciato a modificare il Regolamento di Dublino, non è più all'ordine del giorno, perché abbiamo visto che anche i nostri partner europei, specialmente quelli del gruppo di Visegrad, sono totalmente ostili a questa ipotesi?
  Ultima domanda che trae spunto da quanto da lei detto in merito all'Egitto. Ho visto che anche sulla stampa si è parlato di un possibile vertice tra Unione europea e Lega Araba da tenersi in Egitto. Sulla stampa qualcuno arriva a dire che probabilmente si tratta di un incontro che premette a un accordo sulla falsariga di quello già fatto con la Turchia, a dire che, siccome i Paesi europei vincolati agli atti fondativi non possono fare il respingimento in mare, diamo ingenti quantità di denaro all'Egitto perché faccia quel tipo di lavoro, respingendo indietro, e creiamo in Egitto come in Turchia dei luoghi dove trattenere i migranti.
  Mi chiedo e le chiedo se questa sia una speculazione del tutto infondata o sia invece un tema possibile, e quale sia in quel caso la posizione del nostro Governo. La ringrazio, signor Ministro.

  ANNA CINZIA BONFRISCO. Signor Ministro, lei ha illustrato buona parte del lavoro svolto in quel vertice, anticipando anche la restante parte di lavoro, quella che si dovrà svolgere nel Consiglio di dicembre.
  Arriviamo quindi alla fine di questa Unione europea, di questa stagione che ha segnato profondi cambiamenti e che è pesata molto su alcuni Paesi, in particolare l'Italia, è pesata con le sue valutazioni che hanno di volta in volta messo il nostro Paese nelle condizioni di dover fare i conti con una realtà amara, cioè che da cofondatori, da grandi finanziatori dell'Unione europea ci siamo trovati soli, abbandonati dall'Unione europea nell'affrontare il dolorosissimo tema dell'immigrazione.
  Si tratta di un'ondata che si può risolvere solo con ingenti risorse, e lei ha fatto bene a citare prima quel quadro finanziario dove dovremmo chiaramente rivedere alcune poste di bilancio. Da poco abbiamo espresso un parere sull'accordo di vicinato, che ci ha consentito in questi anni di distribuire su tutto l'emisfero l'influenza dell'Unione europea e la sua disponibilità a sostenere processi economici di aree del mondo anche lontane da noi, quando invece quell'emergenza mette in evidenza come sia risibile l'impegno dell'Europa, al limite del ridicolo, in una parte del mondo afflitta da così tanti flagelli, quelli economici, quelli delle guerre e di tanti altri tipi.
  Sono certa che lei avrà ben rappresentato (lo comprendo dalle sue parole) come il nostro Paese, il nostro Governo non possa essere più disponibile ad accettare questo schema così rigido nei nostri confronti e così invece compiacente nei confronti di uno schema politico, di bilancio ed economico che ci vede persino assegnare le risorse ai Caraibi (ho avuto modo di dirlo in Aula la settimana scorsa al Presidente del Pag. 10Consiglio Conte) e ai territori d'oltremare, senza dedicarli invece a questo flagello che vivono quei popoli e il nostro popolo sulla linea di questa emergenza.
  È solo l'immigrazione il tema importante di questi ultimi due Consigli? No, ce ne sono molti altri ugualmente seri, dalla portata gigantesca. Il tema Brexit è senz'altro un tema importante, così come spero sia chiaro a tutti noi che nel Consiglio europeo di dicembre dovremo avere una posizione ancora più forte, ancora più seria sul fronte economico-finanziario, perché i soldi e le risorse di questo Paese e dei cittadini italiani non possono più essere allocati in questo modo. O cambia tutto questo oppure l'Europa è destinata a cambiare tragicamente non perché ci sono le elezioni, ma perché è lì che viene meno il principio fondativo dell'Europa, la solidarietà tra i Paesi.
  Sono certa che il suo lavoro sarà proprio di questo tipo, quello di attivare nel prossimo Consiglio europeo – perché è questo che ci deve interessare più di ciò che si è già svolto – una rinnovata solidarietà e rinnovate alleanze tra Paesi che si rendono conto che con questa modalità non si va lontano.
  Una domanda che tengo a farle e ho già avuto modo di porre al commissario Oettinger: i 9 miliardi di costo della burocrazia europea a fronte delle miserrime risorse allocate nel soccorso ai Paesi impegnati sul flusso migratorio come Spagna e Italia non sono invece, Ministro (come posso definirla senza essere irrispettosa nei confronti di nessuno?), un oltraggio a quelle emergenze?
  La proposta è quella di utilizzare quelle risorse e competenze direttamente su quelle aree, su quei territori, in Paesi dove sarà possibile sviluppare una vera cooperazione anche grazie alla burocrazia europea. Grazie.

  PIERO DE LUCA. Ringrazio il Ministro per la disponibilità, ma ammetto che sono un po’ deluso dalla relazione che abbiamo ascoltato. Mi pare che il tema all'ordine del giorno oggi sia completamente diverso da tutti quelli su cui lei ci ha relazionato, e si colleghi al vertice euro svolto a margine del Consiglio europeo.
  Oggi, per la prima volta nella storia, la Commissione europea ha bocciato un Documento di programmazione legato alla manovra finanziaria del nostro Paese. Io credo che lei abbia il diritto e probabilmente anche il dovere di spiegare in quest'Aula in questa occasione e di rappresentare la posizione del Governo, quali saranno le prossime mosse che il Governo intende fare sia da un punto di vista giuridico, perché avete tre settimane di tempo per rispondere alla lettera indirizzata dalla Commissione europea, sia da un punto di vista politico.
  Se l'esito degli incontri informali a colazione, a pranzo, svolti a Bruxelles è quello che abbiamo visto oggi, crediamo che sia assolutamente inutile continuare a incontrarsi. Sarebbe più utile cominciare a lavorare sul testo della manovra e immaginare di modificarlo, perché il testo attuale, come è stato riscontrato da tutti gli organismi internazionali, dal Fondo monetario internazionale, dagli organismi interni (Banca d'Italia, Corte dei conti, Ufficio parlamentare di bilancio) è una manovra i cui numeri sono falsati, è una manovra che aumenta il debito del nostro Paese e che vìola non solo il cosiddetto «braccio preventivo» delle politiche di bilancio europee, ma anche la Costituzione italiana.
  Noi abbiamo detto a più riprese durante le audizioni in Commissione che l'articolo 81 della Costituzione vieta di fare nuovo debito, salvo congiunture economiche negative o circostanze o eventi straordinari, che non ricorrono nel caso di specie. Il Governo è stato troppo leggero finora su questo tema, sta mettendo a rischio i risparmi delle famiglie e degli imprenditori italiani, e noi non possiamo tollerare ancora un atteggiamento di tale superficialità, come la lettera che abbiamo visto inviata dal Ministro Tria.
  Al riguardo credo sia opportuno anche chiarire l'ordine delle competenze al vostro interno, perché abbiamo una manovra di bilancio che viene presentata alle Camere dal Ministro Savona e non dal Ministro Tria, la partecipazione al Consiglio europeo Pag. 11per il nostro Governo fatta da lei, che è il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, perché ci sono alcuni temi legati agli esteri, ma ci sono tanti temi strettamente legati alle politiche comunitarie, che forse avrebbero visto maggiormente pertinente la presenza del Ministro Savona. Chi organizza la partecipazione e come siete organizzati dal punto vista politico al vostro interno? Noi abbiamo davvero difficoltà a capire chi decide.
  Il Ministro Tria è stato informato della manovra, gli è stato scritto da qualcuno il documento, l'ha condiviso? Savona l'ha discusso in Parlamento. Chi risponderà, chi elaborerà una nuova manovra per il Governo? Credo che il Parlamento abbia il diritto di sapere come intendete muovervi nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, perché questo è un tema centrale per il futuro della partecipazione dell'Italia al progetto di integrazione europeo.
  Voi state continuando ad assumere una posizione profondamente ambigua. Nel Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2018, al quale lei ha partecipato, il nostro Paese ha fatto dei passi indietro rispetto alla riforma di Dublino, lo abbiamo detto, lo ribadiamo ancora oggi, è bene ridirlo con grande nettezza: abbiamo confermato per iscritto la volontarietà e l'approvazione all'unanimità della modifica da parte del Consiglio mentre il Regolamento richiedeva per la modifica semplicemente la maggioranza da parte del Consiglio.
  Perché avete accettato di inserire la regola della modifica all'unanimità? Perché avete inserito la volontarietà nella redistribuzione dei 40.000 migranti richiedenti asilo, che il nostro Paese dovrebbe redistribuire, secondo le decisioni obbligatorie del 2015, fatte approvare dall'Unione europea grazie al Governo Renzi, in altri Stati europei? Perché continuate a difendere o a non rivolgere azioni anche giuridiche, per esempio sostenendo il ricorso della Commissione europea, contro l'Ungheria?
  Lei conosce bene le dinamiche europee, quindi credo sia giusto che il Governo affianchi la Commissione nel ricorso per inadempimento rivolto contro l'Ungheria per il mancato rispetto degli obblighi di relocation dei richiedenti asilo, e, invece di sequestrare persone sulle navi nei porti italiani, sarebbe opportuno probabilmente farle scendere, accogliere queste persone e rilocalizzarle negli Stati europei.
  L'ultimo tema è la riforma euro, economica e monetaria, legata anche all'immigrazione. Nella precedente legislatura avevamo avanzato una proposta che spero vogliate portare avanti, quella di sanzionare a monte, con la limitazione dell'accesso ai fondi europei, gli Stati che non rispettano gli obblighi di solidarietà e di equa ripartizione delle responsabilità nell'ambito della gestione migratoria. Siete disposti a portare avanti questa proposta? Perché non abbiamo sentito più nulla da parte vostra. Siete disposti a difendere lo Stato di diritto, sì o no, nell'Unione europea?
  Questo è un tema centrale, e anche la mozione che abbiamo presentato per l'Ungheria risulta confusa, costituisce una risposta confusa, la posizione del Governo italiano è una posizione ambigua. Allora è bene che lei, che ha una grande sensibilità al riguardo, possa esprimere una posizione chiara sull'obbligo da parte dell'Italia di far rispettare lo Stato di diritto, i diritti di democrazia, di libertà, di rispetto della libertà di stampa.
  Chiudo sulla vicenda del giornalista saudita Khashoggi, su cui non abbiamo sentito una parola da parte del Governo europeo, chiara e netta. Credo che l'Italia, il Governo italiano sia molto più debole a livello europeo ed internazionale, ed è bene che voi spieghiate al Parlamento la vostra posizione al riguardo. Grazie.

  ANGELA IANARO. Grazie, Ministro, per la sua presenza qui stasera. Ormai ci stiamo abituando a questi appuntamenti serali con il Ministro Moavero Milanesi.
  Anche io farò una domanda relativamente alla Brexit, perché è un argomento di grande importanza che ci turba. In particolare, le mie preoccupazioni sono rivolte ai cittadini e agli studenti italiani che dovranno successivamente recarsi nel Regno Unito piuttosto che a quelli già presenti, i cui diritti pare saranno tutelati. Pag. 12
  Mi riferisco in particolare agli studenti, ai giovani laureati, a tutti coloro che vorranno seguire dei corsi di perfezionamento post laurea nel Regno Unito, perché le dichiarazioni della May rilasciate poco tempo fa erano relative ad un nuovo sistema di regolamentazione per l'accesso nel Regno Unito dei cittadini europei, che dovrebbero essere trattati senza alcun privilegio, come tutti i cittadini provenienti dagli altri Paesi del mondo.
  Il nuovo sistema sarebbe basato quindi su una concessione di visti relativamente alle competenze e alle qualifiche dei richiedenti il visto, a prescindere dalla provenienza, quindi un sistema basato esclusivamente su una richiesta interna e non dando più alcuno spazio.
  Conosciamo bene le idee della May quando era Ministro degli Interni relativamente a queste tematiche e le chiedo se secondo lei queste nuove regole, questo nuovo sistema che è stato approvato dal Governo britannico possa essere semplicemente uno strumento negoziale o, in caso di no deal, tramutarsi in legge. Grazie.

  SIMONE BILLI. Innanzitutto la ringrazio, Ministro Moavero Milanesi, per la sua disponibilità e per l'ottimo lavoro svolto dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Come Lega, ancora una volta chiediamo particolare attenzione su alcuni temi molto importanti per noi, innanzitutto il rispetto della decisione presa dal popolo inglese con il referendum sulla Brexit. Al contempo chiediamo massima tutela per i 700 mila italiani residenti in Gran Bretagna.
  Per quanto riguarda la frontiera con l'Irlanda, chiediamo che si garantisca che non si pongano dogane in questa frontiera. Siamo soddisfatti del riferimento nella sua relazione alla difesa del nostro sistema agroalimentare, che è un'importante tutela per le nostre esportazioni. Grazie mille.

  STEFANO LUCIDI. Grazie, presidente, grazie, signor Ministro, per la sua continua disponibilità a venire a riferirci sulle attività del Governo, come aveva promesso all'inizio del suo mandato e come noi ovviamente siamo ben disponibili nel coadiuvare anche l'azione del Governo.
  Faccio una leggerissima nota iniziale e saluto anch'io la nostra presidente Marta Grande, che spero torni presto fra noi; ma non sono preoccupato per il panel maschile, perché in realtà in questa legislatura c'è stato un grosso miglioramento e possiamo vantare, rispetto alla scorsa legislatura, sei donne presidenti di Commissione (Esteri, Lavoro, Giustizia, Ambiente, Finanze e Affari sociali), cosa che non accadeva nella scorsa legislatura, quando voi avevate messo Casini, Cicchitto, Chiti, Bordo, un panel completamente maschile, e non mi sembra di ricordare grossi attacchi contro quel panel.
  Vengo alla domanda, che è molto breve ed è su Brexit e sui trattati internazionali. Da tempo sto segnalando l'esigenza di porre un'attenzione quanto più stringente sul fatto che, a prescindere da quello che avverrà nei prossimi mesi, potremmo ritrovarci tra qualche mese appunto con un Paese non più nella nostra Unione europea con il quale però non abbiamo dei trattati internazionali in vigore.
  Questo non è un problema soltanto sotto il punto di vista commerciale e fiscale. Non è neanche un problema soltanto – importante, ovviamente – per la tutela dei nostri cittadini in quel Paese, per i nostri studenti, che abbiamo segnalato molto spesso. È molto importante anche per tutti quei trattati di cooperazione giudiziaria, di cooperazione di polizia. Oggi, in Senato, abbiamo iniziato la discussione sulla modifica del 416-ter.
  Purtroppo, c'è tutta una giurisprudenza, tutta italiana, che vedrebbe un Paese e Londra, e sappiamo bene quali risvolti a livello fiscale possono esserci, totalmente scoperto. Questo è stato segnalato qualche semestre fa anche dal procuratore Gratteri di Catanzaro.
  La domanda, quindi, è questa: se possiamo, noi parlamentari, ma anche a livello di dibattito europeo, porre l'attenzione su quest'aspetto, che, avvicinandoci sempre di più alla data fatidica della Brexit, pone qualche interrogativo. Grazie.

Pag. 13

  EMANUELA ROSSINI. Ministro, con la bocciatura della manovra giunta oggi, quali sono gli scenari che si aprono adesso?
  Inoltre, ci vuole rivelare dietro le quinte che aspettativa c'è verso il nostro Paese?

  PRESIDENTE. Non ho altri iscritti a parlare, quindi cedo la parola al Ministro Moavero per la replica.

  ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Ringrazio tutti gli intervenuti per le domande. Cercherò di prenderle per gruppi di materia. Allora, inizierei dalle domande sul tema Brexit, che è anche quello che io avevo preso per primo.
  Per quanto riguarda le denominazioni geografiche – domanda del senatore Urso – il nostro impegno è chiaro, quanto meno nella sua natura di impegno, di obiettivo e anche di punto che intendiamo far rispettare. Teniamo conto che, ai termini dell'articolo 50, si deve essere tutti d'accordo dal lato dei 27 per chiudere un trattato sia in uscita sia quello successivo con la Gran Bretagna. E noi ripetiamo come un delenda Carthago, per chi ama gli studi classici, o come un ritornello, per chi ha altro genere di passioni, che le denominazioni d'origine e le denominazioni geografiche devono essere compiutamente disciplinate nel quadro della futura relazione col Regno Unito.
  Stessa cosa diciamo per quanto riguarda la situazione dei nostri concittadini che si trovano nel Regno Unito, per i quali auspichiamo, come peraltro auspicano anche i vari altri Paesi dell'Unione europea per i loro, che ci siano anche pratiche molto snelle per mantenere lo status di residenti, così come a parole promesso nelle assicurazioni che abbiamo ricevuto dalla Primo Ministro inglese.
  Come ho accennato anch'io nell'intervento introduttivo, sono anch'io attento a quello che poi potrà accadere non solo a chi è già lì, ma a chi desidera andare nel Regno Unito a studiare. Questo implica l'accesso all'università, le condizioni, le tasse di iscrizione, le eventuali quote, l'accesso alle borse di studio. Questi elementi sono tutti presenti.
  Io credo che ragionevolmente dobbiamo pensare che sugli aspetti del comparto industria agroalimentare, denominazioni d'origine e denominazioni geografiche incluse, e sullo status dei già residenti dovremmo avere soddisfazioni – metto un condizionale di prudenza generica, ma sarei piuttosto fiducioso. Come si svolgerà in futuro il rapporto dovremmo poi negoziarlo nell'ambito del secondo trattato. Qui c'è, come sapete, il trattato di uscita e poi c'è il trattato sulla futura relazione. L'impostazione che è stata data dal negoziatore Barnier è di tenere i due separati. Poi c'è stata un'apertura, per cui, nel negoziare il trattato di uscita, si è detto: si comincia a intravedere lo schema politico generale della futura relazione. L'idea è che, però, prima si negozia sul trattato l'uscita, in relazione al quale ci sono i nodi, anche da voi ripresi, delle frontiere con l'Irlanda, che è l'aspetto principale, e di una serie di altri elementi.
  Parliamo, quindi, di determinazione a difendere i due snodi di cui abbiamo parlato (denominazioni d'origine e denominazioni geografiche), per quanto riguarda la situazione del nostro comparto alimentare, condivido pienamente – ho letto anch'io le statistiche – che sia uno dei mercati più importanti per la nostra industria esportatrice. Nello stesso tempo, parliamo di piena tutela dei connazionali.
  Ora, che cosa succede relativamente a quest'idea della fase di transizione? Voi sapete che la fase di transizione non è disciplinata dal pur meticoloso articolo 50 del Trattato sull'Unione europea. In realtà, l'articolo 50 prevede la possibilità che ci sia l'accordo di uscita, il non accordo e un'eventuale decisione del Consiglio europeo dei 27 che si pronunci all'unanimità per continuare il negoziato. Siccome poi i giuristi, i negoziatori, gli istituzionalisti, hanno sempre una mente fertile di immaginazione, è venuta fuori quest'idea della transizione.
  Sostanzialmente, la transizione – lo dico in maniera molto semplicistica – è un'uscita del Regno Unito, che però continua a mantenere la sua appartenenza, una sua integrazione nel sistema europeo, anche se senza più avere diritto di voto nelle istituzioni Pag. 14 europee, e quindi non partecipando più alle decisioni legislative, alle decisioni esecutive e simili.
  Ci sono due grandi punti interrogativi principali e una serie di secondari. Uno è quello che veniva sollevato dalla Presidente Boldrini: effettivamente, che succede, se siamo nel periodo di transizione, nel momento in cui si apre la fase delle elezioni del Parlamento europeo?
  Non ci ho fatto su delle grandi riflessioni, ma sarei abbastanza sicuro nella risposta che sto dando: direi che non ha un impatto su di noi né di cambiamento di legge elettorale né di altro. La questione da comprendere è se si debba comunque eleggere il numero dei parlamentari europei previsti.
  Non ho ancora visto delle risposte sicure. Dovendo fare un ragionamento, ma è un ragionamento veramente impostato a voce alta, si potrebbe pensare che non sia particolarmente utile eleggere dei parlamentari che poi, essendo in periodo di transizione, non sarebbero partecipi al processo naturale di qualunque membro del Parlamento, vale a dire il voto delle proposte legislative. È, però, una reazione del tutto estemporanea, un ragionamento a voce alta e prendetelo come tale.
  Naturalmente, questo lascerebbe impregiudicata l'eventuale redistribuzione degli attuali seggi del Regno Unito in misura proporzionale tra gli altri Paesi. Se si deduce che non si devono eleggere i parlamentari britannici, ci sarebbe questa redistribuzione, in quanto l'idea di un'elezione di parlamentari transnazionali, che pure in altre stagioni aveva interessato le nostre discussioni anche in quest'aula, non sarebbe di attualità. Ci sarebbe, quindi, una redistribuzione che più o meno potrebbe essere il punto a cui si arriva, a meno che – ma sto sempre ragionando senza rete a voce alta – l'idea del periodo transitorio non significhi che si congelano questi seggi in attesa di sviluppi. Potrebbe essere, ma ripeto che ci addentriamo in terra incognita. Potremmo stare per ore a immaginare. Per ora, non è stata presa ancora un'opzione chiara, a mia conoscenza.
  L'idea della transizione, invece, significa quello che vi ho detto poc'anzi: è diversa dall'idea del prolungare il periodo negoziale, perché quella invece avrebbe lasciato il Regno Unito come membro a pieno titolo.
  È ovvio che nella scelta anche britannica per la transizione c'è probabilmente il punto politico di voler sancire un punto di non ritorno, un punto di rottura del legame con l'Unione europea. Credo che questo comprenda le varie questioni che erano state sollevate per Brexit.
  Quanto alla questione relativa ai migranti, sulle migrazioni ci sono state molte domande. Sui punti che tornano in molte questioni che avete posto io non penso che si possa dire che le conclusioni faticosamente adottate alle 5.30 del mattino nel mese di giugno siano state rimangiate o che si sia tornati indietro su questo. Al contrario, le conclusioni del Consiglio europeo della settimana scorsa dicono nella prima riga dedicata alle migrazioni, che i leader confermano totalmente le loro conclusioni del mese di giugno.
  Naturalmente, le conclusioni del mese di giugno comportavano due grossi filoni di elementi. Il primo era una serie di affermazioni di principio: lo sforzo condiviso, l'elemento di una copartecipazione e così via. Questi princìpi restano. Naturalmente, devono essere tradotti nel secondo dei filoni, ossia le varie proposte legislative, tra cui la modifica del Regolamento di Dublino, che ricordo riguarda le modalità attraverso le quali si individuano gli aventi diritto di asilo.
  Noi lo presentiamo sempre come se fosse la costituzione della politica migratoria europea. È un di cui importantissimo, perché riguarda gli aventi diritto d'asilo, ma è un di cui. Il Regolamento di Dublino da solo non permette, che sia scritto in un modo o che sia scritto in un altro, di affrontare la politica migratoria.
  Più importanti sono altri elementi a cui anche alcuni di voi hanno fatto riferimento, vale a dire la questione dei rimpatri, dei campi sorvegliati, e delle risorse necessarie a far funzionare quel sistema. Pag. 15
  Su questi punti, effettivamente, per fotografare la realtà, si sono fatti dei progressi di cui vi dico tra un istante, ma non si sono ancora raggiunti i risultati. Non è la prima volta che accade. Abbiamo avuto Consigli europei in passato che annunciavano cose per una volta, due volte, tre volte, finché poi finalmente arrivavano e alcune non sono neanche mai arrivate. Fa parte della dinamica complessa, anche francamente farraginosa, a volte sconcertante. È largamente comprensibile che il cittadino spesso non capisca perché dagli annunci si passi poi a tempi molto lunghi per le realizzazioni.
  Qui, però, stiamo parlando di annunci del Consiglio europeo messi nero su bianco nelle sue conclusioni del mese di giugno, non di annunci unilaterali del Governo italiano. Poi si può ritenere che la lettura data dal Governo italiano nel mese di giugno fosse più positiva, mentre si può tendere a dare una lettura più negativa, ma le conclusioni sono pubbliche e tutti le possono leggere e leggono quello che c'è scritto dentro. Quando abbiamo detto che per la prima volta si parlava di sforzo condiviso, per la prima volta si scriveva nero su bianco che chi arriva in un'isola greca, in un'isola italiana, su una costa spagnola o da un'altra parte, arriva in Europa, abbiamo detto la verità.
  Quella che resta adesso da vedere e su cui si sta lavorando è l'attuazione delle varie intenzioni.
  Lì ci sono due filoni di cantieri, per darvi l'idea precisa dei lavori in corso. Il primo è legislativo. Ci sono delle proposte della Commissione per la revisione del Regolamento di Dublino. Il Parlamento europeo ha anche adottato una serie di emendamenti che rendono più elastici alcuni dei suoi snodi. Ci sono delle proposte della Commissione per rafforzare l'agenzia europea Frontex.
  Attiro la vostra attenzione come tutori dei bilanci nazionali, quantomeno del nostro bilancio nazionale, sull'idea di reclutare, assumere 10 mila funzionari per l'agenzia Frontex, che, per quanto riguarda la posizione del Governo, vorremmo prima di tutto capire esattamente che cosa saranno chiamati a fare, per discutere magari dopo su quanti effettivamente ne servano.
  Ci sono altre proposte che riguardano, ad esempio, l'impegno collettivo degli Stati europei attraverso la Commissione come negoziatore a negoziare gli accordi di rimpatrio.
  Tenete conto che il termine rimpatrio ricorre come risolutivo in molti dei documenti europei, dei dibattiti e delle discussioni europee. Detto così, appare un termine risolutivo. In realtà, il rimpatrio è un'operazione estremamente complessa, perché richiede alla base, per essere semplicissimi, un accordo con lo Stato di origine; l'identificazione di queste persone come originarie del Paese con cui si ha l'accordo di rimpatrio, identificazione poi verificata naturalmente anche dal Paese di origine.
  E se si tratta di persone che, per esempio, ai termini del Regolamento di Dublino, arrivate in uno Stato europeo, hanno fatto una domanda d'asilo e questa domanda d'asilo è stata respinta, hanno poi diritto, visto che viviamo anche in Europa, in Stati di diritto, a delle vie di ricorso. Non è che arrivino la mattina e li si rimpatri la sera perché si è visto che vengono da un certo Paese. Si richiede una serie di passaggi, direi anche conformi alla complessità dell'operazione – credo sia evidente a chiunque – e alla possibilità, per quelli direttamente toccati dall'arrivo e dall'eventuale rimpatrio, di poter fare ricorsi.
  Questo passaggio, per esempio, di una normativa europea più precisa, più stringente e più efficace in materia di rimpatri è complesso, tant'è vero che se ne parla molto, ma finora i testi sul tavolo non sono ancora arrivati in maniera organica.
  Parallelamente a questo lavoro legislativo, c'è un lavoro negoziale, nel quale come Governo italiano siamo particolarmente attivi.
  Vi ho fatto cenno prima, ma lo dico con due parole in più di dettaglio, che l'obiettivo è quello di riuscire a trovare un accordo tra Paesi dell'Unione europea disponibili a creare questi campi sorvegliati, nei quali verrebbero raccolti in numeri non eccessivi – obiettivo primario sarebbe di evitare sovraffollamenti in pochi campi o in Pag. 16un unico Paese – e lì si svolgerebbero tutte le verifiche.
  Sostanzialmente, è un modello, che dovrebbe però essere ben strutturato consentendo anche gli sbarchi in tempi rapidi, che è stato utilizzato quando abbiamo avuto a che fare con delle navi anche nei mesi scorsi, le persone imbarcate sulle quali sono state poi prese in carico, distribuite in diversi Paesi europei prima di aver fatto le verifiche.
  Se si riuscisse ad arrivare a questo, e come potete facilmente intuire bisogna sistemare bene una serie di passaggi normativi e di accordo tra gli Stati, forse la stessa riforma del Regolamento di Dublino potrebbe non essere indispensabile, perché avremmo una distribuzione delle persone in numeri più gestibili nei diversi Paesi a monte di quella attribuzione di oneri che il Regolamento di Dublino opera.
  Un'alternativa parallela è, naturalmente, quella di riformare il Regolamento di Dublino in una maniera tale che possa portare a una maggiore condivisione degli oneri.
  Dove sono le difficoltà? Le difficoltà, che credo siano intuibili, ma comunque chiamiamole con il loro nome, sono di carattere politico, collegate all'obiettiva complessità che ha ciascun Paese a spiegare l'arrivo di queste persone.
  Purtroppo, qui c'è una vera e propria lacuna del funzionamento dell'Europa, in cui finisce con l'essere la geografia, o peggio ancora le rotte decise dai trafficanti di persone, a stabilire i punti di arrivo e, in conseguenza di questo, l'immediata applicazione delle normative europee attualmente vigenti.
  L'onorevole De Luca diceva che prima avevamo dei sistemi a maggioranza, dei sistemi vincolanti, dei sistemi di quote. Non sono sicuro di essere d'accordo. Il sistema che riguarda l'applicazione delle norme attualmente vigente non prevede quote o possibilità di imporre quote obbligatorie per la distribuzione dei migranti che arrivano. È un sistema che permette di applicare delle quote alle persone a cui è stato riconosciuto il diritto d'asilo, che è, anche qui, un numero inferiore. Il numero che mi è stato dato dal Viminale sugli arrivi in Italia è che, fatti 100 gli arrivi, circa il 7-8 per cento ha poi un effettivo diritto d'asilo; il 92-93 per cento, invece, non lo ha.
  Su questo, sulla possibilità di distribuire coloro a cui è stato riconosciuto il diritto d'asilo, non si sono fatti dei passi indietro formali, salvo il fatto che alcuni Paesi europei, che sono sotto procedura di infrazione di fronte alla Corte di giustizia, hanno rifiutato di accogliere anche i rifugiati, ma noi cerchiamo di affrontare il problema delle persone migranti nel loro insieme, per quanto riguarda sia la valutazione di un'eventuale possibilità di entrata per motivi economici sia la possibilità di organizzare in maniera organica i rimpatri.
  Lasciatemi dire, però, che se continuiamo a guardare, e questa è una mia opinione, ma di cui sono piuttosto convinto – la questione dei flussi migratori prevalentemente alla foce dei medesimi, cioè all'arrivo sulle nostre coste, all'arrivo nel nostro continente, per via terra, per via mare, spesso in condizioni drammatiche, vediamo una parte del problema, mentre non vediamo tutta la parte retrostante.
  Noi dobbiamo affrontare il problema alla sorgente. Dobbiamo affrontare il problema nei Paesi da cui le persone migranti partono. E questo apre il discorso delle politiche di investimento, questo apre il discorso di una presenza europea molto più efficace sui terreni dove ci sono le guerre, sui terreni dove c'è la necessità di favorire sistemi e regimi di tipo più democratico, perché tale è il sistema che dà poi la volontà ai popoli di decidere.
  Dobbiamo, quindi, essere coscienti che, se l'Europa non assume insieme e in accordo, non in concorrenza taluni Stati contro gli altri, un vero ruolo di partenariato con i Paesi da cui partono i migranti, continueremo ad avere dei problemi, che potremo risolvere di volta in volta, col volontarismo, con le quote obbligatorie, con tutti gli alti e bassi che la situazione politica o la situazione normativa consentono, ma saremo sempre unicamente schiacciati nell'angolo reattivo, mentre dobbiamo cercare di passare a quello più proattivo.
  L'Africa avrà, nel 2030, 2,5 miliardi di abitanti, l'Europa ne avrà 700 milioni: la Pag. 17storia insegna che cosa succede in questi casi. Dobbiamo cercare, ed è quello che ci domandano anche i Paesi africani, di fare molto di più e molto più onestamente per loro quello che è necessario fare anziché trovarci unicamente al momento dell'arrivo a vedere se e in che modo possiamo riuscire ad affrontarlo, per di più tra grandi divergenze.
  Questo è, infatti, un tema estremamente divisivo. Questo è un tema su cui gli Stati alla fine si trincerano nella loro sfera nazionale e lo affrontano nella loro ottica nazionale. Qui siamo di fronte a un punto di vero e proprio triste fallimento del processo di integrazione europea, mentre dobbiamo cercare di andare avanti.

  PIERO FASSINO. Mi consenta solo di dire una cosa. Quello che lei sta dicendo è assolutamente vero, il che però vuol dire che bisogna smetterla – non lo dico a lei – di continuare a usare la frase: «l'Europa ci lascia soli». Non si capisce chi in Europa.
  Se, come dice lei, la Commissione ha predisposto un piano di redistribuzione, il Parlamento europeo ha predisposto una modifica al Regolamento di Dublino, chi ci lascia soli in Europa non sono le istituzioni europee, ma le capitali degli Stati europei. Non è Bruxelles, ma è Budapest che ci lascia soli, vorrei che fosse chiaro. Diversamente, si alimenta un equivoco. Scusi l'interruzione.

  PRESIDENTE. Presidente, scusi, non interrompa il Ministro. Non apriamo un dibattito. Lasciamo finire il ministro.

  PIERO FASSINO. Dico solo che usiamo un'espressione ambigua.

  PRESIDENTE. Stava intervenendo il Ministro, scusi, lo lasci finire. La fase del dibattito era prima.

  ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Giusto per completare su questo spunto e stimolo, c'è una grossa divisione tra le capitali, tra gli Stati, e lo vediamo quotidianamente, e c'è anche una non capacità nelle istituzioni europee, di cui sono sempre protagonisti anche gli Stati. Il Consiglio europeo sono i Capi di Stato e di Governo, il Consiglio sono i ministri, non è che i Governi scompaiano nelle istituzioni. Qui, purtroppo, il male, le travi, e probabilmente anche le proverbiali pagliuzze, si distribuiscono equamente.
  Se non troviamo la via – questa sarebbe la mia chiosa – di un'azione unita su questo tipo di questione, sulle migrazioni, effettivamente l'Unione europea può trovarsi e si trova già in serie difficoltà, anche per la delusione delle attese del cittadino, che vorrebbe vedere un problema come questo affrontato e risolto a livello che ritiene a giusto titolo più appropriato.
  Quanto alla questione dei rapporti con la Lega Araba, per andare a quel punto specifico della domanda sempre della Presidente Boldrini, non ho conoscenza che questo diventi un tema centrale della discussione con la Lega Araba. Farà parte dei temi, come accennavo prima. Sarà premura cercare di capire in che misura questo si vuole tradurre in un'operazione, come ipotizzava lei, come quella della Turchia.
  C'è da dire che attualmente, comunque, dalla costa dei Paesi arabi le partenze sono notevolmente diminuite. Restano, seppur ridotte, molto presenti dalla costa della Libia, che, per la geografia a cui facevo riferimento prima, è proprio quella di fronte a noi, da cui anche il nostro impegno per cercare un'opportuna stabilizzazione.
  Spero di aver risposto sulle migrazioni ai vari elementi.
  Onorevole De Luca – altrimenti tra giuristi rischiamo di avere code di dibattito – non è che siamo in dissenso radicale, ma bisogna chiamare un po’ le cose col loro nome: se parliamo delle quote obbligatorie, parliamo degli aventi diritto d'asilo; se parliamo del volontarismo, non possiamo trasformarlo addirittura in unanimità. Capisco la relazione, ma colgo magari anche un po’ di forzatura politica nell'intervento.

  (interruzione della deputata Boldrini)

  PRESIDENTE. No. Presidente Boldrini, il dibattito era prima. Facciamo finire il Ministro.

Pag. 18

  LAURA BOLDRINI. Solo per capire se parliamo di relocation...

  PRESIDENTE. No, il dibattito era prima. Questa è la fase di replica. Lasciamo finire il Ministro.

  LAURA BOLDRINI. Non stiamo insultando. È per capire se la relocation è per i richiedenti asilo.

  PRESIDENTE. È una questione di rispetto. Presidente Boldrini, lei sa benissimo che siamo in una fase di replica, e quindi lasciamo finire il Ministro. Dovrebbe saperlo anche lei.

  ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Mi mancherebbero solo due argomenti. Il penultimo dei due riguarda il quadro finanziario pluriennale, ripreso in vari interventi.
  Per evitare equivoci, non ha fatto parte delle discussioni al Consiglio europeo; ci sarà forse una discussione sul tema nel mese di dicembre. Tuttavia, in filigrana è stato molto presente. Se parliamo di risorse per l'Africa, se parliamo di risorse per una migliore gestione degli arrivi migratori da noi, se parliamo di ristrutturazioni di certe agenzie, come Frontex o altro, se parliamo anche di certi aspetti che devono accompagnare la stessa Brexit – l'uscita della Gran Bretagna, che era il terzo contributore netto del bilancio dell'Unione europea, evidentemente crea un buco non indifferente che va colmato – il quadro finanziario in filigrana era presente. Vi dico, però, due parole, perché il tema è estremamente importante.
  Sul quadro finanziario l'auspicio della Commissione europea sarebbe di chiudere il negoziato in termini di accordo politico prima delle elezioni. Sembra un percorso estremamente ottimistico, perché le esperienze anche precedenti, senza farla troppo complicata col quadro attuale, hanno dimostrato che i negoziati durano di più.
  Il nostro punto centrale come Governo, e anche per come la vedo io come Ministro degli affari esteri, riguarda un problema molto semplice. La coperta è corta: se ragioniamo di voler fare tantissime cose, anche la difesa europea e altro, con poco più dell'1,1 per cento del reddito interno lordo, che è una specie di PIL, dei Paesi europei, non andiamo molto lontano.
  Per aumentare le risorse e fare più cose, soprattutto per agire in particolare meglio per l'Africa, se rimaniamo nel sistema attuale, bisogna chiedere più soldi agli Stati. Sostanzialmente, nessun Governo, per tornare alla questione dei Governi, muore dalla voglia di dare più risorse alla gestione europea, perché tutto sommato pensano: visto che le risorse si ottengono facendo pagare le tasse ai cittadini, preferiamo fare anche qualcosa di auspicabilmente buono direttamente per i cittadini e non farlo fare in compromesso chissà con chi dall'Unione europea. Dobbiamo ragionare, quindi, in termini di nuove risorse proprie per l'Unione europea.
  Lì ci sono due soli filoni immaginabili, come per qualsiasi Stato: o l'Unione europea supera il tabù dell'emissione di titoli europei, non tanto per condividere i debiti pubblici – figuriamoci – ma per fare dei progetti di investimento consistenti, cosa che già fa indirettamente attraverso la Banca europea degli investimenti, ma potrebbero farlo su scala maggiore; oppure l'Unione europea, come accadde negli Stati Uniti agli inizi dell'Ottocento, quando si resero più federali, deve istituire delle tasse federali.
  Anche qui, pur essendo «tasse» un termine che non necessariamente suscita gli applausi, sappiamo che a livello di Unione europea la diversità tra i sistemi tributari dei vari Paesi permette ad alcuni soggetti, che non sono i cittadini normali, come noi, o anche coloro che pagano regolarmente tutte le tasse nel proprio Paese, ma soggetti che operano a livello transnazionale in situazioni particolari, di fare quello che io chiamo alla fine lo slalom tra i sistemi tributari. E abbiamo avuto dei casi eclatanti.
  Sappiamo che ci sono Stati che fanno politiche tributarie molto basse, e soprattutto le fanno basse per certi contribuenti. La causa aperta dalla Commissione europea Pag. 19 contro la Apple per aiuti di Stato è stata aperta perché in Irlanda, dove già le tasse sono basse, Apple aveva fatto l'accordo di pagarle ancora più basse.
  Secondo noi, su questo ci vuole un grande dibattito. Ci vuole un grande dibattito, dobbiamo porci un problema, sennò continuiamo a vivere con un meccanismo che alla fine non avrà mai le risorse per fare tutto ciò che nel libro delle intenzioni si vuole cercare di fare.
  Ci sono i grandi soggetti dell'economia digitale, ci sono le questioni legate alle speculazioni finanziarie, c'è una serie di elementi sui quali non dico che si debba prendere una decisione in quattro e quattr'otto, ma ci vorrebbe un grande dibattito. Ve lo anticipo perché poi bisognerà a un certo punto averlo anche qui in chiave nazionale.
  Arrivo all'ultimo punto, che è quello relativo alla manovra economica. La manovra economica del Governo, il cosiddetto Documento programmatico di bilancio, è stato giudicato negativamente dalla Commissione europea. Lo abbiamo letto nella lettera arrivata venerdì, che chiedeva delle informazioni. Lo abbiamo letto ulteriormente nell'opinione arrivata oggi. La Commissione solleva, effettivamente per la prima volta, le espressioni che le regole europee riservano ai dubbi e alle preoccupazioni maggiori, quelle che in un linguaggio che comprendo, ma che è un po’ tranciante, possono essere definite di bocciatura.
  Che cosa succede adesso? Adesso ci sono delle cose che succedono, delle cose che possono succedere, delle cose che possono anche non succedere.
  Quello che succede è che ci sono tre settimane di tempo per l'Italia, per il Governo italiano, per rispondere. La Commissione ha chiesto – questa è l'espressione che usano le regole, che quindi usa la Commissione nella sua lettera, che è molto puntualmente in giuridichese sotto questo profilo – di presentare un nuovo Documento programmatico di bilancio, e quindi di presentare un nuovo progetto di legge. Attualmente, il Governo ha escluso quest'eventualità. Questa è la posizione del Governo.
  La Commissione fa una serie di rilievi che riguardano sia l'ammontare totale dell'indebitamento annuale, cioè del cosiddetto deficit, sia l'ammontare totale del debito pubblico, che, come credo sia noto a chiunque, ci tiriamo dietro comunque con solerzia dai quasi lontani anni ’80, che magari non tutti ricordano, ma che qualcheduno inevitabilmente ha anche vissuto. Fa dei rilievi circa le previsioni di crescita. Fa dei rilievi circa la riduzione del debito pubblico.
  Secondo i calcoli fatti dal Governo, la previsione di crescita dovrebbe consentire una curva consistente di riduzione del debito pubblico. Secondo i calcoli che fa la Commissione, la curva di riduzione del debito pubblico sarebbe meno consistente, in quanto viene giudicata meno consistente la crescita.
  Ricordo, per quanto riguarda la riduzione del debito pubblico, che abbiamo avuto per la prima volta quest'anno una lieve flessione, ma in tutti gli anni scorsi, pur nell'adempimento delle regole sul deficit e degli altri elementi di obiettivo a medio termine europeo, il debito pubblico non scendeva. Abbiamo indubbiamente, quindi, un'economia del Paese che, se raffrontata alle varie leggi di bilancio che si sono susseguite in questi ultimi anni, non ha ricevuto quell'analoga spinta alla ripresa che hanno avuto economie di altri Paesi, e di questo dobbiamo tenere conto.
  La dinamica della Commissione, pressoché inevitabile sotto il profilo anche del suo ruolo di guardiano dell'applicazione delle regole, è quella di un'applicazione puntuale delle regole, ma – lo dico ai rappresentanti del Parlamento – le regole europee lasciano alla fine la parola sovrana sul bilancio nazionale ai Parlamenti nazionali.
  Naturalmente, la Commissione, a valle dell'adozione di una legge di bilancio che giudica non conforme alle regole europee, può valutare – così dice anche la normativa – se aprire una procedura per disavanzo eccessivo. Lo può fare la Commissione, così come possono essere degli Stati dell'Unione europea – questo accade anche Pag. 20in tante altre materie – a dire: «Commissione, perché non procedi?».
  Questa è la dinamica istituzionale che si dipana di qui a dicembre, quando il Parlamento dovrà pronunciarsi sulla legge di bilancio nella sua sovranità.
  Parallelamente, c'è una dinamica di altre tappe. Ve ne ricordo solo due: una è a inizio novembre, quando ci sono le cosiddette valutazioni che riguardano le banche; un'altra è una settimana dopo, più o meno, quando la Commissione pubblica per tutti gli Stati dell'Unione europea le cosiddette previsioni di inverno, in cui scrive che cosa prevede per il deficit, che cosa prevede per la crescita, che cosa prevede per il debito di ciascuno. Questi elementi saranno sul tavolo.
  Evidentemente, sugli elementi della posizione presa dalla Commissione, delle ulteriori valutazioni numeriche, della posizione del Governo, si pronuncia il convitato di pietra più importante di tutte le vicende che riguardano i bilanci degli Stati: i famosi, credo oramai per tutti, mercati. Essendo noi un Paese con un'esposizione di debito pubblico, evidentemente abbiamo a che fare ogni x mesi, ma più volte l'anno, con i mercati, a cui dobbiamo vendere i nostri titoli di debito pubblico.
  Parallelamente, però, abbiamo anche a che fare con i nostri cittadini, che chiedono degli interventi che possano essere di maggiore giustizia sociale e di maggior stimolo. È un dato di fatto che il modo con cui l'Unione europea è uscita dalla crisi economica globale che l'ha flagellata insieme al resto del mondo è stato un ampliamento delle diseguaglianze, diseguaglianze tra Stati, tra regioni all'interno degli Stati, tra persone all'interno delle regioni, degli Stati e dell'Europa.
  Purtroppo, anche per i problemi legati al modo in cui è fatto il bilancio dell'Unione europea, i cosiddetti «ammortizzatori» di queste diseguaglianze sociali a livello europeo non ci sono, per cui abbiamo – scusate se semplifico molto – dei vincoli molto chiari e molto netti, ma non abbiamo gli strumenti che permettono di compensare laddove i vincoli creano delle situazioni di ampio disagio e di ampia diseguaglianza. Questo si è verificato in tutti i Paesi, tant'è vero che lo vediamo anche negli orientamenti che poi i cittadini assumono nell'ambito della loro presenza politica nella vita democratica dello Stato.
  Abbiamo delle tappe istituzionali davanti. Si faranno le discussioni in sede di Governo e in sede di Parlamento; alla fine la parola sarà al Parlamento sovrano italiano, così come lo sarà ai Parlamenti sovrani degli altri Paesi per le loro rispettive leggi di bilancio. Così funziona la democrazia.
  Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie al Ministro Moavero per le sue esaustive risposte e grazie ai colleghi che hanno partecipato. Dichiaro conclusa l'audizione.
  Grazie a tutti.

  La seduta termina alle 21.50.