XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 2 di Giovedì 18 giugno 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Grande Marta , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE EVENTUALI INTERFERENZE STRANIERE SUL SISTEMA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI DELLA REPUBBLICA ITALIANA

Audizione di Maurizio Caprara, editorialista del Corriere della Sera .
Grande Marta , Presidente ... 3 
Caprara Maurizio  ... 3 
Grande Marta , Presidente ... 10 
Romano Andrea (PD)  ... 10 
Cabras Pino (M5S)  ... 10 
Valentini Valentino (FI)  ... 11 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 11 
Caprara Maurizio , editorialista del ... 11 
Grande Marta , Presidente ... 14

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare: Misto-PP-AP.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARTA GRANDE

  La seduta comincia alle 17.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Maurizio Caprara, editorialista del Corriere della Sera .

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle eventuali interferenze straniere sul sistema delle relazioni internazionali della Repubblica Italiana, del dottor Maurizio Caprara, editorialista del Corriere della Sera.
  A nome di tutta la Commissione do il benvenuto al dottor Caprara, che ringrazio per la disponibilità a contribuire ai nostri lavori.
  Il dottor Caprara – firma a tutti molto nota del Corriere della Sera – è editorialista di politica internazionale e analista di consolidata esperienza nel campo delle relazioni internazionali.
  Dal 1979 scrive sul Corriere, per il quale è stato per più di quattordici anni corrispondente diplomatico, con servizi da oltre sessanta Paesi.
  Oggi è curatore e consulente di programmi per tv e radio ed è anche componente del Consiglio direttivo ed esecutivo dell'Istituto affari internazionali, nonché del Comitato scientifico del Centro studi di politica internazionale (Cespi) e docente della Scuola di giornalismo della LUISS.
  Mi fa anche piacere ricordare ai colleghi che il dottor Caprara è stato consigliere del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e ha diretto l'Ufficio per la stampa e la comunicazione del Quirinale. Il suo contributo ci permetterà di inquadrare efficacemente la materia oggetto dell'indagine conoscitiva, anche in una retrospettiva storica, consentendo di ben analizzare le linee di fondo del posizionamento geopolitico del nostro Paese.
  Ciò premesso, do la parola al nostro ospite affinché svolga il Suo intervento.

  MAURIZIO CAPRARA. Grazie alla presidente e agli onorevoli deputati che sono qui e a quelli che sono collegati da remoto. Il mio non è un ringraziamento formale perché sono convinto che, malgrado la diversità dei ruoli, sia chi fa il giornalista sia chi rappresenta il popolo in Parlamento debbano avere a cuore il bene dell'Italia. In particolare, apprezzo molto il ricorso alle indagini conoscitive: per me è un onore potervi contribuire con quanto dirò a titolo esclusivamente personale.
  Ritengo utile essere consapevoli di qualcosa che nel nostro dibattito politico e in molta della nostra informazione troppo spesso sfugge, cioè che in un mondo che non ha trovato e non troverà presto un assetto stabile – dopo la fine del mondo diviso in due blocchi, uno influenzato dall'Unione Sovietica e uno dagli Stati Uniti – sarebbe ingenuo pensare che soggetti esterni non cerchino di intervenire nelle vicende politiche italiane per orientare in loro favore la nostra politica internazionale. Nella vostra indagine avrete modo di approfondire gli aspetti attuali della materia.
  Senza la presunzione di offrire un quadro aggiornato e completo, in questo intervento Pag. 4 mi atterrò ad una convinzione, e cioè che per capire il presente documenti e ricostruzioni del passato possono avere una funzione preziosa: aiutano a comprendere le dinamiche generali con le quali, in circostanze diverse, possono verificarsi alcuni fenomeni, seppure non in maniera identica.
  Documenti e ricostruzioni del passato sono utili per comprendere alcuni modi di fare che possono essere ricorrenti in tipologie di soggetti che compiono interferenze, o ingerenze, ricordando naturalmente che sono soggetti che non sempre sono riconoscibili in ogni fase della lavorazione del loro prodotto.
  Quando era Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga era abbastanza seccato di trovare di fronte a sé degli interlocutori che a suo giudizio erano molto meno preparati di lui su questioni di sicurezza; questo lo indusse a buttar giù un fascicolo, che regalava ad alcuni dei suoi ospiti, e che poi trasformò in un volumetto «Abecedario per principianti, politici e militari, civili e gente comune». L'occhiello era «I servizi e le attività di informazione e di controinformazione». Sulla copertina di questo libretto, edito da Rubbettino, vezzosamente l'ex capo dello Stato, si qualificò così: «Francesco Cossiga, dilettante.» Se mai servisse conferma dell'importanza dell'oggetto della vostra indagine conoscitiva, lo si trova nelle prime pagine di questo libro. Cossiga osservava che nell'attività di spionaggio all'interno del Paese, il problema della commisurazione della legalità – o illegalità – alla legittimità sostanziale è palese, e individuava due categorie di azioni: «Compiere azioni di intrusione elettronica e fisica in edificio, infrastrutture mobili di ambasciate, o consolati e altre istituzioni estere coperte da immunità diplomatica – rectius: esenzione dalla giurisdizione – è atto illecito internazionalmente, e in alcuni casi sanzionato anche dal diritto penale interno.» Cossiga individuava in una serie di atti la possibilità di essere sanzionati anche dal diritto penale interno. Il problema più delicato, metteva in evidenza Cossiga, «è quello del contrasto di attività minacciose o pericolose per la vita democratica del Paese, o per il benessere economico e sociale della comunità internazionale.» Proseguiva così: «L'acquisto in forma indiretta, od occulta, da parte di un Governo estero, di stazioni radio, televisive, quotidiani o periodici nazionali – ad esempio nel caso di privatizzazione della Rai o di alienazione di Mediaset –, è azione pericolosa per lo Stato quanto una classica azione di spionaggio – o anche molto di più –, attesa l'acquisizione che ne deriva da parte di un Governo estero del potere occulto di influenzare il processo di formazione dell'opinione pubblica.»
  Io cito queste righe per evidenziare quanto la valutazione di un uomo di Stato, dal profilo originale, oggetto di critiche, ma di sicuro di un uomo di Stato – quale Cossiga è stato –, sono valutazioni che riguardano un alto grado di pericolosità di acquisizione indiretta e occulta di mezzi di informazione, in apparenza distanti da attività offensive (lo spionaggio). Cossiga scriveva questo quando la proliferazione delle fonti informative attraverso internet era poca cosa rispetto ad oggi. Nel 2019, secondo l'Istituto nazionale di statistica, abbiamo avuto in Italia il 67,9 per cento della popolazione in età superiore ai sei anni che ha usato internet. Ricordo che il senatore ragionava su quegli appunti da parecchio tempo – me li fece vedere quando erano un fascicolo –, la stesura finale fu pubblicata nel 2002. Ecco, consideriamo quanto diciannove anni fa anche la possibilità di intrusione elettronica fosse molto minore rispetto a quella che noi possiamo subire oggi.
  Tra le attività di intelligence non ordinaria – considerando per ordinaria quella di raccolta ed elaborazione delle notizie – nel suo «Abecedario», l'ex Ministro degli Interni ne segnalava una branca sviluppatasi ulteriormente dopo la seconda guerra mondiale: l'influenza (siamo nell'oggetto della vostra indagine conoscitiva). L'influenza era definita da Cossiga in questa maniera: «attraverso agenti d'influenza, reclutati tra i quadri dirigenti di un Paese, o aiutati a salire ad alti livelli della vita politica, burocratica, scientifica, finanziaria, bancaria, o attraverso individui di particolare Pag. 5 autorevolezza personale, culturale e morale, si cerca di determinare a proprio vantaggio la politica di un certo Paese, in particolare il processo decisionale; sembra certo che ciò sia avvenuto in Francia, durante la Presidenza di De Gaulle, nel cuore dello stesso Eliseo, in cui fu piazzato dai sovietici un'agente di influenza.» Altra branca della stessa categoria di intelligence non ordinaria, secondo Cossiga, era quella di ingerenza – l'altra parte della vostra indagine –, e lui la riassumeva così: «a mezzo di posizioni importanti, ad esempio radiotelevisive, possesso dei mezzi di informazione, centrali finanziarie o singole attività finanziarie acquisite occultamente o anche apertamente, si cerca di determinare la vita politica, economica e finanziaria di un Paese.» Cossiga teneva queste forme distinte da altre forme di attività coperte (destabilizzazione, sabotaggio, sovversione, terrorismo).
  Sarà capitato a molti di voi di leggerla, ma io ne raccomando la lettura ogni anno. In febbraio, il sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica dà al Parlamento una relazione, nella quale uno dei capitoli più interessanti è quello che riguarda le minacce al sistema Paese, i pericoli ai quali sono esposti non solo la formazione di idee nel nostro Paese, ma anche aziende. Ecco, non è che quelle pagine portano il lettore a conoscenza dei segreti, però possiamo immaginare che le attività di ricerca, di acquisizione – non proprio fraterna – di parti di aziende italiane, è indubbiamente un problema consistente. La figura degli agenti d'influenza è una di quelle sulle quali mi permetto di richiamare la vostra attenzione, perché è una tra le più scivolose, insidiose e meritevoli di considerazione: è un ruolo che può avere efficacia. Si tratta di una categoria variegata, della quale possono servirsi non soltanto potenze o Stati di notevoli dimensioni, ma anche Paesi distanti, in apparenza irrilevanti, anche innocui. Le righe di Cossiga ci indicano una cosa: come ci insegna tanta letteratura in materia, possono passare anni per infiltrare in ambienti di Stati degli agenti sotto copertura, e anche nel caso degli agenti di influenza, il lavoro può richiedere parecchio tempo. In termini tecnici, in quei casi si tratta di infiltrare; se è di acquisizione, si tratta di coltivazione.
  Negli anni Novanta, io raccoglievo dei documenti per scrivere un libro sulle attività segrete del Partito comunista; andai, tra gli altri, dal senatore a vita Paolo Emilio Taviani, un democristiano che era stato uno dei principali artefici della rete segreta anti-sovietica Stay behind, altrimenti detta Gladio. Tra un testo e l'altro, Taviani mi mostrò molto velocemente un documento di decenni precedenti: era un'informativa su controlli che erano stati eseguiti su fonti di finanziamento di gruppi maoisti, provenienti dall'estero; non riguardava il tema che io stavo seguendo, e quei fogli se li tenne il senatore Taviani (nell'Archivio di Stato non mancherà probabilmente materiale di quel genere). Sottolineo questo: quei «gruppuscoli» non sono mai entrati in Parlamento, e non sono andati al Governo, però è innegabile che, per quanto minoritari, hanno avuto un ruolo nell'ondata di protesta degli anni Settanta che influenzò la politica italiana, e sarebbe fuorviante attribuire a fattori del tutto esterni l'ubriacatura maoista che in quegli anni ci fu in settori ampi dell'opinione pubblica e della politica italiana. Anche se lo stile retorico allora era inadeguato, quelle operazioni c'erano, e dobbiamo considerare che oggi c'è stato il ricambio generazionale, che si occupa di queste cose in altri Paesi, e rende le possibilità di propaganda molto più efficaci. Non sono orientato a prendere per veritiero e fondato qualunque documento provenga da un archivio dei servizi segreti, perché bisogna sempre valutare caso per caso e inserire nel contesto.
  Sulla figura degli agenti di influenza, si è molto trattato nel cosiddetto Dossier Mitrokhin. Con quanto dico non intendo affermare che tutte le persone indicate come agenti d'influenza nel Dossier Mitrokhin lo siano stati, perché in alcuni casi le schede indicano dei tentativi di coltivazione, che non sono neanche andati a buon fine – e poi non sempre c'è una circostanza di riscontro –, però delle dinamiche si possono capire. Per chi non ne fosse al corrente, Vasilij Mitrokhin era stato un agente Pag. 6e archivista del servizio sovietico KGB tra il 1948 e il 1984, che nel 1992 espatriò in Russia. Stando alla versione ufficiale britannica, si doveva a lui l'acquisizione – addirittura copiandoli a mano – di numerosissimi documenti, e tra questi ce n'erano parecchi sull'Italia. Non entro sulla figura di Mitrokhin, però non può proprio averle sbagliate tutte, perché alcuni riscontri su altre cose sono stati trovati. Questo dossier è stato oggetto di una Commissione d'inchiesta del Parlamento, tra il 2002 e il 2004. Secondo questa fonte del 1977, almeno sette dei tredici agenti più pagati della residenza del KGB a Roma erano giornalisti (questo si ricava pubblicamente da un libro della Rizzoli, L'archivio Mitrokhin. Le attività segrete del KGB in Occidente). Nel 1976, le statistiche annuali della residenza di Roma sulle misure attive di disinformazione messe in atto, comprendevano: articoli piazzati sulla stampa (sessantatré); conversazioni di influenza (sei); appelli fatti (nove); quelli su cui si raccolgono le firme di personalità; lettere anonime e distribuite (due); interrogazioni parlamentari (due), interrogazioni al Senato (una). Di tutti gli articoli di stampa, ventotto avevano lo scopo di screditare gli Stati Uniti; ventuno sostenevano che la CIA interferiva negli affari italiani; quattro misure attive avevano lo scopo di screditare il maoismo come tendenza anti-socialista. Stando alla ricostruzione di Gordievskij, il Servizio A, che nel KGB era addetto alle misure attive, nel 1985 si stava concentrando su tre temi base: materiali elaborati per screditare tutti gli aspetti della politica americana; una campagna per promuovere la conflittualità tra gli Stati Uniti e gli alleati della NATO; il supporto ai movimenti pacifisti occidentali. Di recente negli Stati Uniti, consultando archivi statali, ho trovato riscontri di parte statunitense, su un filone che Gordievskij e Andrew riportano nel loro libro: lo cito perché ci dà l'idea del tipo di campagna e di influenza, e quando sentite parlare di internet, noteremo che è il mezzo che cambia, le forme non necessariamente.
  Forse la misura attiva più riuscita nel terzo mondo, all'inizio della gestione Gorbaciov, promossa da un misto di aperta propaganda e azione clandestina del Servizio A, fu il tentativo di addebitare l'AIDS alla guerra biologica americana. La versione falsa, secondo la quale il virus sarebbe stato creato con esperimenti a Fort Detrick, nel Maryland, era stata affidata nel 1983 a una testata indiana, The Patriot, dopodiché era stata rilanciata nel 1985 da Literaturnaya Gazeta, in Unione Sovietica. Poi è stata rinvigorita da una asserita relazione scientifica, che era stata fatta girare a supporto di questa tesi, e poi era rimbalzata sul giornale britannico conservatore Sunday Express, e poi sulle testate di quaranta Paesi del terzo mondo (successivamente Gorbaciov fece lasciar perdere, perché politicamente questa cosa andava a collidere con la sua strategia).
  Secondo me, è opportuno tenere presente che bisogna distinguere tra ingerenze straniere di Paesi non alleati, o anche schierati in politica internazionale – una parte contrapposta a quella delle nostre alleanze –, e quelle ingerenze – non per questo più gradevoli, però di tipo diverso – messe in atto dagli Stati dei quali non possiamo fare a meno per la sicurezza nostra e del nostro popolo. Considero Cossiga un personaggio molto interessante non solo a causa dell'esperienza che ebbe sulla sicurezza. Ricordo che Cossiga entrò in Commissione Difesa all'età di trentadue anni, e lui usava dire: «C'è a chi piace il giardinaggio, e a chi piacciono le spie. A me piacciono le spie»; e non solo per questo merita attenzione, ma anche perché Cossiga ha un'ardita franchezza nella descrizione di fenomeni, su verità ufficialmente negate per decenni, che non c'erano in altre personalità (anche perché queste attività in linea di principio erano inaccettabili dal punto di vista strettamente del diritto). In un libro, che ha un titolo che non rende merito alle qualità del testo, scritto con Andrea Cangini – oggi senatore di Forza Italia – editore Aliberti, intitolato Fotti il potere, Cossiga raccontò che quando l'Inghilterra si apprestava a entrare nel mercato comune europeo, il servizio segreto militare britannico riempì di microspie le ambasciate di Germania, Francia e Italia. Cito Cossiga: «Intercettarono Pag. 7 ogni conversazione, ogni telegramma, ogni telefonata, spaccarono i cifrari, e misero così il loro Governo nelle condizioni di conoscere nel dettaglio la posizione negoziale degli altri Paesi.» Non oso immaginare che cosa oggi, almeno in linea teorica, sia possibile fare con le comunicazioni via internet, e non solo attraverso reti criptate.
  Le ingerenze di influenza in Italia sono state numerose. Il colonnello Mu'Ammar Gheddafi nel 1973 fece chiedere a Gianni Agnelli di licenziare il direttore de La Stampa, Arrigo Levi, un eccellente e prestigioso giornalista italiano, uomo laico di religione ebraica. Era stato pubblicato dalla La Stampa un articolo, una rubrica di Fruttero e Lucentini, che era irriguardosa nei confronti di Gheddafi. L'avvocato Gianni Agnelli disse: «Venne a Roma il maggiore Jalloud, plenipotenziario di Gheddafi, e disse che voleva che io licenziassi Levi, perché sennò avrebbero boicottato gli acquisti FIAT.» L'avvocato disse: «È ovvio che non ci pensavo nemmeno lontanamente a licenziare Levi, ma fu un momento tempestoso con Gheddafi.» E lo definì un fenomeno grave, perché si trattò del blocco delle forniture di camion. La Libia, seppure di minoranza, acquistò azioni della FIAT, che tenne per alcuni anni. Nelle cronache dei decenni scorsi, si possono trovare riferimenti a rimbalzi italiani, dei proventi di vendita del petrolio dell'Iraq di Saddam Hussein – non esattamente un nostro alleato –, ai tempi della risoluzione delle Nazioni Unite cosiddetta «Oil-for-food», che metteva dei limiti al commercio del petrolio di quel Paese.
  Quando fu destituito e ammazzato nel 1989 il dittatore rumeno Nicolae Ceausescu, io mi occupai proprio qui a Montecitorio – in quel caso, nei corridoi – di ricostruire i viaggi che erano stati offerti dalla Romania a diversi politici italiani, con l'idea di sperimentare il cosiddetto «Gerovital, l'elisir di lunga vita»: vi posso assicurare che non erano solo comunisti, anzi, in gran parte non lo erano per niente. Possiamo ritenere che quei viaggi non fossero fatti con uno scopo di promozione da pro loco, ma con l'intenzione di conquistare benevolenza e consenso per una linea politica.
  Non voglio sottrarre del tempo a voi deputati della Commissione Affari esteri, per dire quanto il mondo sia in una fase di cambiamento, di ridefinizione dell'ordine mondiale, perché ce lo certificano vari documenti: dalla National Defence Strategy 2018 del generale James Mattis, che era allora Segretario di Stato degli Stati Uniti, ai propositi della Cina di diventare, entro il 2030, il Paese leader nell'innovazione tecnologica a livello mondiale. Ce lo dimostra l'influenza turca che si estende sulla Libia, mentre anche altri Paesi che non sono geograficamente vicini alla Libia hanno attività molto intense all'interno. Secondo me, una delle potenziali insidie alle quali il nostro Paese dedica un'attenzione insufficiente è quella delle cosiddette «minacce ibride». Si tratta di combinazioni di azioni militari e non militari, di atti convenzionali e non convenzionali, che sono volti a destabilizzare, o influenzare, Stati, che si servono anche di offensive cibernetiche, di campagne disinformative (alcune di queste cose si sono viste in Georgia nel 2008, in Ucraina prima dell'annessione della Crimea nel 2014). Nell'analizzare i metodi russi in materia, c'è un volume del NATO Defence College, «NATO's Response to Hybrid Threats», che osserva: «Nessuna delle singole componenti è nuova. È la combinazione e l'orchestrazione delle differenti azioni, che raggiunge un effetto sorpresa e crea ambiguità, rendendo estremamente difficile una reazione adeguata, specialmente per organizzazioni multinazionali che operano in base al principio del consenso.»
  Malgrado i nostri legami storici con la Russia, malgrado la necessità di mantenere un dialogo costruttivo con la Russia, noi sbaglieremmo se ignorassimo che cosa ha teorizzato nel 2013 il capo di Stato maggiore delle forze armate della Federazione Russa, il generale Valerij Gerasimov. Sono parole sue: «Le stesse regole di guerra sono cambiate in modo significativo. L'uso di metodi non militari per raggiungere obiettivi politici e strategici in alcuni casi si è dimostrato molto più efficace dell'uso della forza. I mezzi asimmetrici ampiamente usati Pag. 8possono aiutare a neutralizzare la superiorità militare del nemico, ciò include l'uso di forze operative speciali e l'opposizione interna alla creazione di un fronte permanente in tutto lo Stato nemico, nonché l'impatto di strumenti, forme e metodi di propaganda, che vengono costantemente migliorati.»
  Una delle prospettive che dovrebbe preoccuparci di più è ogni azione che tende alla disarticolazione della nostra coesione sociale e della nostra fiducia nei sistemi di cura, alla divisione dell'Italia – non una divisione dialettica e critica, che può rientrare nella legittimità, ma una contrapposizione aspra, ardua, grezza – con i nostri partner europei e con i nostri partner dell'Alleanza Atlantica. Cossiga constatava che «noi italiani non siamo mai riusciti a darci una cultura dell'intelligence e della security: concetti, questi, per i quali nella nostra lingua è perfino difficile trovare una traduzione». Il senatore forniva una spiegazione a questo: «Credo che dipenda dal fatto che siamo uno Stato giovane, e che per tutta la durata della guerra fredda i nostri servizi sono stati fortemente condizionati dalla CIA, mantenendo qualche spazio di manovra prevalentemente nel quadro della politica interna.»
  Sono stati compiuti notevoli passi avanti da allora, però non sono stati compiuti nella percezione, da parte dell'opinione pubblica, delle sfide che noi abbiamo di fronte. Consideriamo che l'Italia era collocata in Occidente – geograficamente – e in base alla Conferenza di Jalta doveva restare sotto l'influenza degli Stati Uniti, ma era allo stesso tempo il Paese con il più grande partito comunista d'Occidente. Nella cosiddetta fase della «prima Repubblica», l'Italia ne ha conosciute di ingerenze e di interferenze, però si è trovata a vivere proficuamente un paradosso, con i soldi dati degli americani per il Piano Marshall per la ricostruzione. La classe dirigente politica di allora – che non era l'età dell'oro – aveva i suoi difetti e i suoi limiti, però riuscì a fare una cosa straordinaria. Noi siamo dotati di uno stato sociale migliore di quello dei cittadini degli Stati Uniti, lo vediamo anche in questo periodo di COVID-19, con tutto quello che è successo. Questo è stato possibile per l'esistenza di un rapporto conflittuale, per altri versi collaborativo, della Democrazia cristiana con il Partito comunista, ma anche con il Partito socialista e con le forze laiche, però non è stato un andamento lineare. Ci sono responsabilità differenti: il prodotto finale, storico, di questi scontri è stato, nei limiti del possibile, una difesa degli interessi nazionali, che sono stati tutelati molto più di quello che potevano essere, se consideriamo i presupposti. Il convergere, in questa difesa, è aumentato via via che si è estesa la base degli italiani disposta a riconoscere i valori di libertà del progetto europeo e dell'Occidente.
  Ci sono due elementi emblematici, che possono spiegarci la relativa autonomia delle principali forze politiche italiane di allora: uno, quando nel 1950 Stalin chiese a Palmiro Togliatti – allora Segretario Generale del Partito comunista – di trasferirsi ad est per prendere la guida del Cominform, cioè la struttura erede dell'Internazionale comunista. Togliatti si guardò bene e preferì mantenere la guida del PCI e non tornare lì. Il secondo è un altro. Tra il 1954 e il 1955 Taviani, che era allora Ministro della Difesa, ricevette dal servizio segreto SIFAR la documentazione precisa del finanziamento di circa due miliardi di lire del tempo attraverso Zurigo, che erano destinati al PCI. Fu Taviani, mentre era senatore a vita, a raccontarmelo e io ne riferii in quel libro sulle attività segrete del Partito comunista, lavoro riservato ai cassetti segreti del PCI. Il senatore mi spiegò che ne aveva parlato in una riunione con il Presidente del Consiglio Mario Scelba e con il Ministro degli Esteri Antonio Martino, e sottolineò: «Noi abbiamo sempre detto che il PCI era pagato da Mosca, ma dare pubblicità alle carte di quel finanziamento avrebbe significato fare ciò che avrebbe voluto Clare Luce – parlava dell'ambasciatrice americana Clare Boothe Luce –, avrebbe significato e comportato necessariamente mettere al bando il PCI, e dunque la guerra civile.» Questo era proprio quello che De Gasperi, con la collaborazione di Scelba e Togliatti, con la collaborazione di Pag. 9Longo e con quella di Secchia, hanno evitato. Aggiunse Taviani: «Il Paese era diviso in due. Sarebbe stata davvero la guerra civile. Nei comizi lo si diceva che il PCI prendeva i soldi da Mosca, ma se tiravamo fuori il documento come si faceva a fare marcia indietro? Che cosa si faceva? Si mettevano in prigione Togliatti e Longo?» Taviani, inoltre, mi disse che dal 1952 la DC riceveva finanziamenti dagli Stati Uniti. Lui diceva che in precedenza non c'erano stati. Comunque la DC su quei soldi sovietici chiuse un occhio. Nel 1997 Taviani fu ascoltato dalla Commissione stragi su questo e confermò integralmente quello che mi aveva detto.
  Lo dico perché è chiaro che i fondi stranieri influenzavano le politiche del Partito Comunista della Democrazia cristiana, ma non avremmo un quadro esatto se non tenessimo conto del fatto che la Democrazia cristiana ha sempre agito nell'ambito delle alleanze internazionali che erano state accettate dalla maggioranza del Parlamento, che l'Unione Sovietica era una dittatura e che il Partito comunista ha avuto una maturazione europeistica che lo ha portato al di fuori di quegli orizzonti, per quanto lentamente, e che è stata una motivazione che è stata oggetto di travaglio, scontro, battaglia politica molto marcata.
  Ci sono anche degli altri elementi che secondo me vanno tenuti in considerazione per avere un'idea della differenza tra il passato e il presente. Togliatti era stato un comunista che era stato a Mosca negli anni della feroce dittatura di Stalin, spinto ad andare lì dall'esilio oggettivamente imposto dal fascismo. Taviani aveva rappresentato la Democrazia cristiana nel Comitato di Liberazione nazionale della Liguria e aveva avuto un ruolo importante nella liberazione di Genova. Ora, qualunque opinione si abbia sulla figura storica di queste personalità e qualunque opinione si abbia sulle figure di Cossiga e della sua generazione, la preparazione nei rapporti internazionali, in questioni di sicurezza, della classe politica di allora era notevolmente inferiore a quella attuale a causa di brutalità, non a causa di scuole online; però è un dato di fatto.
  Oggi, secondo me, noi dobbiamo considerare che chi oggi è nelle istituzioni è chiamato a compiere progressi nell'acquisizione di preparazione per far fronte alle sfide del nostro tempo. L'alternativa non può che essere una: che le scelte politiche che richiedono legittimazione democratica verranno affidate a tecnici, perché, se non ci sarà chi è all'altezza di gestirle politicamente, da qualche parte qualcosa andrà fatto e verrà fatto da chi lo fa per mestiere, da chi ha grandi capacità e sicuramente grandi risorse di esperienza dal punto di vista della tecnica, ma non ha la legittimazione democratica.
  Non è un problema di poco conto. Noi ci troviamo in una condizione nella quale, nel settantesimo anniversario dell'Alleanza Atlantica, celebrato l'anno scorso, il Presidente degli Stati Uniti non ha dimostrato di avere la lungimiranza e l'attenzione nell'impiegare energie per proteggere la difesa della sostanza delle democrazie al di là dei propri confini, quanto invece le avevano la classe dirigente americana del dopoguerra. Noi non possiamo illuderci che se ci sarà un Presidente democratico invece le cose andranno molto diversamente, perché una tendenza degli Stati Uniti a investire di meno all'esterno del proprio Paese per la sicurezza, o comunque ad affidare molto più alla tecnica che alla presenza fisica di militari la protezione di determinate zone, è in atto e c'è.
  Allora dobbiamo domandarci, in questo quadro, quanto ingannevoli, subdoli, assai meno riconoscibili di prima, di un mondo rude ma tutto sommato più ordinato, possano essere alcuni tentativi di influenzare la politica italiana facendo leva sulle sue vulnerabilità, in un momento di frammentazione e in un momento sicuramente di mancanza di un orizzonte strategico di lungo periodo che invece servirebbe. Il nostro Paese corre il rischio di essere diventato, a causa di crescita scarsa, di recessione... Guardate, qui davvero si potrebbe stare ore al tavolo a individuare le colpe e le responsabilità, ma è un problema di cui dobbiamo riconoscere nazionalmente l'esistenza. A causa di questo andamento dell'economia noi siamo diventati un Paese Pag. 10low cost per delle acquisizioni di aziende importanti che possono determinare degli effetti sulla nostra vita nazionale e credo che la prima preoccupazione debba essere quella di mantenere la compattezza necessaria affinché l'Italia possa avere una voce in capitolo efficace nell'Unione europea, per esempio, mentre si profilano investimenti di grandissima consistenza per gli effetti del COVID-19.
  Da questo punto di vista io voglio dire che il mio rispetto per la vostra indagine non è formale, ma è davvero convinto, per quello che vale la mia opinione. Io credo che questo possa essere uno dei contributi alla costruzione di una maggiore consapevolezza all'interno della nostra classe politica e della classe dirigente. Non è solo un problema della classe politica, ma è un problema della classe dirigente del Paese anche fuori dalla politica, e credo che sia di interesse comune aumentare questa consapevolezza rispetto ai rischi e questa preparazione su come affrontarli. È una consapevolezza che non è interesse di una parte o dell'altra; questo è un interesse del Paese. Per questo io sono a disposizione per le vostre domande e vi faccio i miei auguri.

  PRESIDENTE. Grazie. Passiamo agli interventi da parte dei colleghi. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Romano.

  ANDREA ROMANO. Grazie. Volevo ringraziare davvero il dottor Caprara per questa esposizione e anche per la sua impostazione storica, che credo sia particolarmente preziosa, soprattutto in sede di avvio di questo nostro lavoro. Lei ci ha spiegato con lucidità che il tema non nasce nel deserto, non è un'invenzione degli ultimi mesi, ma si colloca in una prospettiva storica che è bene conoscere con consapevolezza. La nostra preoccupazione è valutare la consistenza delle eventuali interferenze nella politica italiana e soprattutto, visto che questa è la nostra funzione, suggerire delle soluzioni.
  Seguendo la sua prospettiva, vengo a una domanda specifica che avevo già in mente, ma mi è stata consolidata da un ultimo spunto. Lei adesso ha parlato con un'immagine molto efficace del rischio di un Paese low cost, di un Paese che io interpreto dalle sue parole come particolarmente permeabile a operazioni di questo tipo. Allora, ragionando anche sul passato, Lei ha fatto riferimento agli anni Settanta, forse un'altra delle fasi storiche in cui l'Italia si è trovata a essere un Paese low cost – anche se il termine non era ancora utilizzato – però era un Paese diviso, un Paese fragile, un Paese in crisi, in crisi nazionale per ragioni diverse. Allora la domanda è questa, forse la risposta me l'ha già data, ma gliela faccio lo stesso: vede una ricorrenza tra la facilità con la quale l'Italia può essere oggetto di campagne di disinformazione e di ingerenza e la fragilità del sistema nazionale italiano? Non Le chiedo naturalmente un'opinione politica; ci mancherebbe altro. Le chiedo un'opinione da analista, da commentatore quale Ella è. Dunque, Le chiedo se si possa rintracciare un parallelismo tra gli anni Settanta e il periodo attuale in termini di permeabilità.
  L'altra è una domanda che ricorrerà varie volte nei nostri incontri: vede Lei un salto di qualità politico, tecnologico? La tecnologia naturalmente non è l'oggetto specifico di questo nostro incontro di oggi, però si vede un salto di qualità rispetto al passato, no? Cosa avrebbe detto Cossiga adesso se avesse dovuto commentare? Avrebbe detto con il suo sarcasmo: «Sì, ma è sempre la solita cosa»?

  PINO CABRAS. Sono stati molto centrali nell'esposizione del dottor Caprara il ruolo e la visione di Francesco Cossiga. Mi ha colpito la cosa, perché volevo citare il caso di un giornalista che ha scritto molto su interferenze straniere in Italia, Giovanni Fasanella, che ha messo proprio in apertura del suo libro – Colonia Italia – una citazione di Francesco Cossiga, che mi verrebbe anche facile imitare come accento. Io non mi meraviglierei se un giorno si scoprisse che anche spezzoni di servizi alleati avrebbero potuto avere interesse a mantenere alta la tensione in Italia e quindi a tenere basso il profilo geopolitico del nostro Paese. Questa cosa viene messa in apertura di un libro che con documenti Pag. 11declassificati ufficiali dimostra una profondissima e lunga – ultradecennale – influenza della Gran Bretagna nelle vicende giornalistiche italiane, nel dare il tono, nell'influenzare una lettura dei fatti in funzione di interessi britannici; perché comunque è un alleato storico giunto a fondare nuove istituzioni insieme con l'Italia, ma anche un concorrente, un Paese che aveva anche interessi confliggenti rispetto al nostro Paese.
  Questo è un tema che all'interno di questa indagine io vorrei tenere vivo. L'indagine conoscitiva deve indirizzarsi rispetto ad avversari strategici, al fatto che noi siamo inseriti in un sistema di alleanze. Quindi dobbiamo guardarci rispetto a una posizione anche militarmente più aggressiva da parte di potenziali avversari, però il tema si pone anche dal punto di vista degli alleati, perché ci sono influenze che poi sono oggettive, per forza soverchianti di strumenti, in un momento in cui i principali strumenti di organizzazione della vita social nel pianeta sono in mano a strutture statunitensi che hanno alcune porte girevoli dal punto di vista dei loro dirigenti rispetto a strutture dello Stato e anche dei servizi statunitensi; ma poi, oggettivamente, c'è la totalità delle informazioni, la totalità di tutte le e-mail che io posso aver spedito o di tutti i messaggi Facebook che Lei ha digitato nella sua vita o che tutti quanti noi abbiamo fatto, che sono all'interno della pancia immensa del sistema della National Security Agency. Immagino che altri sistemi abbiano caratteristiche simili; quindi noi dobbiamo valutare le interferenze possibili in un gioco complesso, in cui dobbiamo guardarci un po' anche da amici che saranno amici anche per i prossimi cento anni.

  VALENTINO VALENTINI. Ringrazio anch'io e saluto l'amico, il dottor Maurizio Caprara, per avere dato uno spessore storico e di inquadramento a questo nostro dibattito. È bene, come diceva il collega, che sia avvenuto anche all'inizio di questa nostra riflessione, di questo cammino che dobbiamo intraprendere, perché altrimenti c'era il rischio di rimanere presi dai fenomeni ultimi, dagli elementi tecnologici, senza dare la prospettiva e senza dare realmente una visione strategica di inquadramento di ciò che sta accadendo. In questo contesto, vorrei con Lei fare alcune riflessioni.
  Sicuramente non potremo fare nessuna domanda, ma vorrei inquadrare con Lei alcune direzioni di approfondimento. Il dottore Voerzio, intervenuto nell'audizione precedente, ci ha fatto un'analisi, direi, più tecnica e schematizzata delle modalità attraverso le quali opererete; diceva: «Siamo sotto attacco.» La mia domanda è stata: «Da chi siamo sotto attacco?» Un attacco presuppone una strategia, un attacco presuppone un obiettivo. È facile dire: «Siamo sotto attacco.» Alla fine del suo intervento, quando abbiamo cominciato a parlare dell'Italia low cost, abbiamo visto uno degli elementi, ma io credo che ci siano delle costanti, come il fatto che l'Italia comunque debba mantenere una strategia di tensione e quindi, come tale, non debba dispiegare tutta la sua potenzialità economica e strategica.
  Ci sono alcuni elementi sui quali forse potremmo lavorare insieme e, se ci riusciremo, in un momento nel quale la strategia della tensione mira proprio alla divisione, mira all'emotività come chiave del confronto e non alla ricerca di orizzonti comuni, potremmo vedere magari quelle che sono le linee di approfondimento di questa nostra Commissione. Quindi Le chiederei con un quadro più generale, secondo Lei, partendo dalle nostre posizioni storiche, dalla geografia che non muta, dai dati che rimangono pur sempre gli stessi, quali sono gli ambiti principali nei quali possiamo vedere queste minacce.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Ringrazio anch'io Maurizio Caprara per l'inquadramento storico. La domanda è molto semplice. Sembra non cambiare mai nulla: cioè, cambiano gli strumenti, ma gli attori in campo, gli obiettivi, la percezione della politica interna e delle conseguenze estere di questo tipo di operazioni restano molto simili. Che cosa è cambiato in realtà?

  MAURIZIO CAPRARA, editorialista del Corriere della Sera. Intanto ringrazio tutti Pag. 12voi per le domande. Per quello che vale la mia opinione, sono davvero contento di vedere oggi pomeriggio un'opportunità di intesa generazionale che vada anche al di là degli schieramenti per cercare di difendere, non retoricamente, gli interessi del Paese. Credo che da questo punto di vista le nostre generazioni, anche se sono in parte diverse, hanno una responsabilità che non viene avvertita quanto bisognerebbe. L'onorevole Andrea Romano chiedeva un paragone con gli anni Settanta. Una delle differenze rispetto ad oggi negli anni Settanta era la violenza, sia di piazza sia terroristica, ma nessuno può escludere che in una situazione infiammata socialmente l'Italia non ritorni a condizioni di violenza. Ci vorrà del tempo, necessario – se si andrà in quella direzione – per far sì che una serie di persone adotti una capacità o – come si direbbe abusando di un forestierismo – del know how per farlo, ma non ci vuole nemmeno tantissimo.
  Abbiamo visto in Francia i gilet gialli. In genere i fattori sui quali gli agenti esterni lavorano sono già esistenti, ma vengono concimati, incentivati, nella loro esacerbazione, nella loro esplosione. Qui mi ricollego alla domanda che faceva l'onorevole Quartapelle Procopio, che ringrazio anche. «Qual è la differenza?» Una delle differenze è la debolezza dei nostri corpi sociali. Mi capitò da ragazzo di essere in questo palazzo il 16 marzo del 1978 per assistere alla seduta della Camera in cui doveva nascere il Governo Andreotti. Fu una seduta di attenzione estrema, particolare. Roma si bloccò, ma ci furono le manifestazioni, ci fu una mobilitazione, esisteva una rete di corpi sociali, che andava dai partiti politici al movimento sindacale, che si contrappose al terrorismo. Non c'era solo terrorismo. C'erano poi zone di promiscuità, però esisteva una consistente rete. Oggi, se noi guardiamo, il nostro Paese ha il mondo cattolico, che è rimasto una risorsa molto utile, come anche il mondo di altre comunità religiose, però non abbiamo ancora trovato nel nostro tempo una formula – in particolare non l'abbiamo trovata in Italia – che sostituisca. Non si può ritornare al passato, al partito di massa di una volta. Non ci può bastare solo il Comitato elettorale online. Su questo c'è da inventare, c'è da sperimentare. Non è che tutti gli altri Paesi siano messi meglio di noi, però alcuni in Europa sì. Su questo, la mancanza di questi anticorpi, che prima consisteva in reti sociali non virtuali, più solide, può lasciare spazio a interventi esterni, perché oggi, se vogliamo propagandare la sensazione che qualcosa è pericoloso e magari non lo è, a cominciare dai vaccini, certo allora ci sarebbe voluto un po' più di... Non che non ci siano state bizzarrie e follie ideologiche in passato, per carità! Però magari la possibilità di propagarsi così velocemente e di reagire a botta calda su dei fenomeni, magari distanti, che possono determinare ripercussioni, era diversa. Io direi che c'è un salto di qualità verso il basso delle nostre difese.
  Per rispondere all'onorevole Cabras, che ringrazio anche, io non a caso ho citato quanto Cossiga diceva sui microfoni britannici in luoghi e in uffici di Paesi futuri partner, perché questa è una tradizione. È una tradizione che i servizi segreti si spiino tra loro. Cossiga stesso diceva che si dipingevano come oggetto di particolari attenzioni da parte del servizio segreto militare, però questo è nella natura delle cose. Non lo dico per trascurarlo. Io ho voluto mettere quella parte nella relazione proprio perché nell'insieme bisogna tener conto anche di questo. C'era un'attenzione spiccata dell'intelligence britannica sulle attività comuniste italiane dopo la guerra. Bisogna, secondo me, considerare quale può essere la portata dell'offensiva di un Paese alleato. Strategicamente un Paese alleato vuole guadagnare influenza, ma non mira necessariamente ad annientare o a compromettere in maniera gravissima le capacità di un Paese che fa parte della stessa alleanza di corrispondere le proprie necessità di sicurezza. Quindi queste cose esistono. Non sono apprezzabili, però possono avere una portata diversa. Mi fermo qui perché su quello che potrebbe interessare la Gran Bretagna esiste un'altra Commissione parlamentare in questo momento che sta lavorando su alcune cose che la Gran Bretagna avrebbe potuto fare meglio. Quindi Pag. 13mi fermo su questa vicenda, perché in realtà è molto triste.
  «Sembra non cambiare nulla.» All'onorevole Quartapelle Procopio mi viene da dire che cambiano la velocità, le forme, anche la difficoltà di riconoscere. È tradizione, in attività di intelligence, che spesso ci si serva delle persone meno ricollegabili a sé stessi, per cui lo Stato di sinistra usa l'estremista di destra, l'estremista di destra usa il provocatore di sinistra. Oggi c'è talmente più nebbia che forse è più facile di prima agire in una situazione con confini geografici meno definiti. Non a caso c'è uno studio molto interessante, che forse in parte potrebbe essere oggetto della vostra attenzione, che ha fatto la Commissione Difesa presieduta da Francesco Garofani nella scorsa legislatura, che riguarda la parte informatica, dove viene evocato un concetto di autori che è quello della cosiddetta «liquefazione della geopolitica». Adesso, a parte questa parentesi riguardante il fatto che il COVID-19 ha rimesso le frontiere che non ci aspettavamo, nei tempi nostri, quando questa parentesi sarà – speriamo il prima possibile – finita, i confini geografici valgono molto di meno e oggi è possibile dall'Estremo Oriente, per via informatica, influenzare un'opinione pubblica di un Paese lontano, mentre prima servivano il volumetto, l'opuscolo, il volantino, i viaggi.
  Da chi siamo sotto attacco? Noi eravamo, allora, in una posizione di frontiera tra Occidente e Oriente, tra Est e Ovest, tra due blocchi. È una posizione che ci ha dato per la verità grandi vantaggi, oltre chiaramente a dei dolori in certi casi, ma nel complesso ci ha dato dei vantaggi, perché abbiamo campato molto meglio di come si poteva campare nella Spagna di Franco, nella Grecia dei colonnelli, nel Portogallo di Salazar, nella Romania di Ceauşescu, nella Cecoslovacchia della Primavera di Praga repressa nel sangue o nell'Ungheria di Budapest invasa. Quindi ci è andata bene. È che adesso possiamo essere sotto attacco per più motivi da più fonti: primo, perché la nostra posizione rimane strategicamente molto importante; secondo, perché veniamo visti all'interno dell'Unione europea come uno dei potenziali anelli deboli sui quali agire per disarticolare l'Unione europea stessa; e poi perché ci troviamo intorno parti di mondo meno soggette a equilibri stabili quanto poteva essere in precedenza. Lo vediamo con il Maghreb. Non sappiamo cosa succederà nell'Algeria all'indomani della lunga stagione di Bouteflika. Vediamo com'è messa la Libia e vediamo cosa è diventata nel giro di poco tempo, in poco più di un anno. Era molto diversa dalla Siria, dove esisteva una guerra per procura, con tante mani di Stati dentro, più lunga della seconda guerra mondiale. Adesso la Libia, che non era così, ha un tasso di sangue minore, ma è drammatico dover fare questa distinzione, perché poi la gente che muore c'è, però è un posto dove hai dentro dagli Emirati all'Arabia Saudita, alla Russia, alla Turchia.
  Noi abbiamo, secondo me, la necessità di ripensare la nostra politica estera. Questo è uno dei temi, secondo me, molto importanti per la vostra Commissione, perché un conto era quello che potevamo fare in Libia quando avevamo una condizione nella quale esistevano dei margini ampi di negoziato con bande, tribù e spazio per le Nazioni Unite, ma quando noi ci troviamo – giustamente – senza poter violare l'embargo nella vendita delle armi stabilito dalle Nazioni Unite nel 2011 o anche successivamente, quando ci troviamo a dover non mandare militari di terra – altra scelta opportuna –, le nostre armi di influenza politica però vanno veramente rimeditate, ristudiate. Dobbiamo capire economicamente come abbiamo possibilità di intervenire e con quali alleati.
  La potenzialità di attacco è anche diversa. In questo momento i Balcani, anche grazie alla presenza dei nostri militari – per fortuna non solo per quello, però anche grazie alla presenza dei nostri militari in Kosovo e in altri punti –, hanno una condizione di tranquillità, ma c'è una notevolissima penetrazione turca, cinese e russa nei Balcani. Non sono presenze casuali se aumentano i voli (a parte adesso il periodo del coronavirus), le presenze nella società, le presenze nei mezzi di informazione. Sono influenze straniere che ci arrivano alle porte di casa. Sarebbe strano se non provassero Pag. 14ad avere voce in capitolo nelle nostre vicende. Sarebbe, direi, anche anormale. Da questo punto di vista credo che ci siano davvero molti spunti di riflessione. Se ci sono altre domande rispondo volentieri e comunque per tutto quello in cui vi posso essere utile... È un buon raggio di luce in una difficoltà avere comunicazione e un rapporto costruttivo tra le forze politiche sulla politica internazionale, che è una mancanza alla quale bisogna rimediare al più presto, perché non conviene a nessuno, a nessuno che voglia bene all'Italia.

  PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente il dottor Caprara per la sua partecipazione ai nostri lavori, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 18.