XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Giovedì 14 febbraio 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Grande Marta , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA POLITICA ESTERA ENERGETICA DELL'ITALIA TRA CRISI REGIONALI E ROTTE TRANSCONTINENTALI

Audizione del direttore per le relazioni internazionali di ENI, Lapo Pistelli.
Grande Marta , Presidente ... 3 
Pistelli Lapo , direttore per le relazioni internazionali di ENI ... 3 
Grande Marta , Presidente ... 11 
Lupi Maurizio (Misto-NcI-USEI)  ... 12 
Pistelli Lapo , direttore per le relazioni internazionali di ENI ... 12 
Coin Dimitri (LEGA)  ... 15 
Pistelli Lapo , direttore per le relazioni internazionali di ENI ... 15 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 16 
Pistelli Lapo , direttore per le relazioni internazionali di ENI ... 16 
Billi Simone (LEGA)  ... 17 
Pistelli Lapo , direttore per le relazioni internazionali di ENI ... 18 
Grande Marta , Presidente ... 18 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal direttore per le relazioni internazionali di ENI, Lapo Pistelli ... 19

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero-Sogno Italia: Misto-MAIE-SI;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARTA GRANDE

  La seduta comincia alle 8.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, nonché la trasmissione sul canale della web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del direttore per le relazioni internazionali di ENI, Lapo Pistelli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla politica estera energetica dell'Italia tra crisi regionali e rotte transcontinentali, l'audizione del dottor Lapo Pistelli, direttore per le relazioni internazionali di ENI.
  Saluto e ringrazio il dottor Lapo Pistelli per la sua disponibilità a prendere parte ai nostri lavori, accompagnato dal dottor Stefano Meloni, senior vice president, responsabile delle relazioni istituzionali Italia; Sabina Manca, manager office del direttore delle relazioni internazionali; Alessandro Sabini, dell'ufficio rapporti istituzionali centrali; Marcellina Blasco, direzione comunicazione esterna.
  Ricordo che il dottor Pistelli è stato deputato dal 1996 al 2004 e dal 2008 al 2015 in questa Commissione e deputato europeo dal 2004 al 2008. Da maggio 2013 a giugno 2015 è stato viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Attualmente ricopre anche l'incarico di vicepresidente dell’Observatoire Mediterranéen de l'Energie (OME) ed è membro della Global Commission on the Geopolitics of Energy Transformation di IRENA (International Renewable Energy Agency).
  Questa audizione nasce dalla consapevolezza del ruolo centrale che tale azienda esercita nelle strategie di approvvigionamento energetico del nostro Paese, con evidenti riflessi anche sulla politica estera del medesimo Paese. Attualmente ENI opera, infatti, in settantuno Paesi e si pone come una delle supermajor globali del settore Oil & Gas.
  Da diversi anni, inoltre, ENI è impegnata a contrastare il cambiamento climatico, non solo attraverso un modello di business sostenibile e l'istituzione di best practices condivise, ma anche instaurando rapporti virtuosi con le organizzazioni internazionali. A settembre 2018, infatti, ENI ha firmato un accordo con il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) ed è stata riconosciuta come Global Compact LEAD dall'iniziativa delle Nazioni Unite per la sostenibilità di impresa.
  Sono lieta, ora, di dare la parola al dottor Pistelli affinché svolga il suo intervento.

  LAPO PISTELLI, direttore per le relazioni internazionali di ENI. La ringrazio, presidente, anche per questa bella presentazione. Ringrazio i membri della Commissione venuti stamattina.
  Vorrei svolgere questa comunicazione, con tutto il tempo disponibile per le vostre domande, concentrandomi su tre argomenti. Arriveremo sul tema delle rotte e del ruolo italiano a conclusione di un ragionamento. La domanda di partenza che interroga la politica a livello globale, le compagnie energetiche, ma – fatemi dire – i cittadini in generale è molto semplice, quanto drammatica: come riuscire a dare, da qui al 2050, a nove miliardi di persone Pag. 4un accesso stabile, sostenibile e pulito alle fonti energetiche senza, nel frattempo, cuocere il pianeta nel cambiamento climatico. Questo è un po’ il tema, la grande domanda. Tenuto conto, soprattutto, che al momento attuale – i numeri sono destinati a cambiare, ma non così drammaticamente – poco meno di un miliardo di persone non ha accesso all'energia su questo pianeta. Facciamo questo mentre siamo nel pieno corso di una transizione/rivoluzione energetica, che avviene nelle diverse parti del mondo con impatti diversi, con velocità diverse, con ricette diverse. Ciascuno, in qualche modo, è chiamato a esercitare queste responsabilità all'interno di questa sfida. Questo è il senso per poter, poi, leggere le scelte di politica estera energetica italiana all'interno della più generale strategia europea di sicurezza energetica, tenuto conto che l'Europa è soltanto un pezzo, una componente di questo mondo. Parliamo, quindi, di un mondo a diverse velocità.
  Qui ho cercato di raffigurare in modo sintetico alcuni principali gap. Questo è un mondo disuguale. Le cartine distorte a sinistra vi mostrano che la ricchezza nella popolazione è distribuita in modo ineguale. Vedete continenti che rispetto alla cartografia tradizionale sono particolarmente «grassi» e alcuni che si assottigliano fino al niente, soprattutto l'Africa e la sua ricchezza, mentre vedete che la ricchezza caratterizza oggi il continente europeo, il nord America e, in modo particolare, sta cominciando a far crescere anche il continente asiatico.
  Vedete, invece, sulla destra una cosa importante, il parametro da tenere in conto, cioè qual è l'eredità che il mondo ha contribuito a lasciare ad oggi in termini di emissioni cumulate di CO2. Il nostro orologio, che segna il tempo che ci manca alla mezzanotte, cioè ai cambiamenti irreversibili del clima, è segnato da quel carbon budget: 2.900 giga tonnellate di CO2, che è il tetto massimo che possiamo emettere in atmosfera prima di avere una modificazione irreversibile del pianeta. Ad oggi, noi siamo già al 66 per cento di questo carbon budget utilizzato. Quindi, tutte le politiche che dobbiamo mettere in atto nei prossimi anni devono evitare che quella porzione rossa della torta si esaurisca.
  Un mondo al buio. Un miliardo di persone. Al netto del fatto che tutti sappiamo c'è il Sahara, l'Amazzonia e le grandi steppe siberiane, vi rendete conto di quale sia la differenza in termini di accesso all'energia. L'Africa è un continente sostanzialmente al buio, con l'eccezione del nord Africa e di alcune parti della più sviluppata Africa australe. In tutto questo, l'Africa segna un grande paradosso, perché disporrebbe di potenziali risorse tradizionali Oil & Gas enormi; ha una perfetta geografia per tutte le risorse rinnovabili (potremmo perfino aggiungere la geotermia); contribuirà per il 67 per cento (a differenza del 22 del resto del mondo) all'aumento di quasi due miliardi della popolazione del pianeta; ma nonostante questo vedete la grande povertà energetica: il 6 per cento soltanto rispetto a quella grande torta di consumo che potete vedere.
  Qui abbiamo provato a raffigurarvi una divisione, che non è una divisione da Fondo monetario internazionale o da Banca mondiale, ma raffigura quattro possibili mondi sull'accesso all'energia. Il mondo uno è quello che o non ha accesso o utilizza biomasse e al massimo arriva a un po’ di carbone. Il secondo è quello che comincia ad avere accesso al clean cooking, quindi utilizza altre fonti che non siano biomasse. Il mondo quattro è il mondo in cui viviamo.
  Per dare un elemento di riferimento, nel mondo uno potete mettere Paesi come lo Yemen o il Bangladesh; nel secondo Paesi come l'Algeria; nel terzo potete mettere Paesi come il Messico e la Turchia; nel quarto ci mettete il Giappone, l'Europa e gli Stati Uniti.
  Cosa vorrei far notare dall'analisi di questi dati? I consumi di energia, cioè il differenziale pazzesco fra il mondo nostro e il primo mondo. Parliamo di un consumo pro-capite quasi undici volte superiore a quello del mondo uno. Guardate come, invece, in termini di «contributo» all'emissione di CO2 la differenza non sia la stessa: mentre nel mondo quattro noi abbiamo avviato politiche formidabili di efficienza energetica, di pulizia, il mondo uno è quello Pag. 5che va a biomasse. Quindi, bruciando biomasse, emette moltissima CO2. Il riscontro lo avete nell'ultima parte. Il mondo uno non ha accesso al clean cooking, quindi si riscalda e cucina bruciando sterpaglia o quello che trova e non ha accesso all'elettricità; invece il mondo quattro, da questo punto di vista, ha già praticamente risolto il problema.
  Questo mondo cresce sostanzialmente nei Paesi non OCSE e resta piatto nei Paesi OCSE: dal 19 per cento nel 2000 fino al 16 per cento nel 2030, mentre il resto del mondo cresce fino ad arrivare all'84 per cento. La crescita si sviluppa lì e si sviluppa tendenzialmente nelle zone urbane. C'è una tendenza a concentrare la popolazione nelle zone urbane, il che sarà molto importante quando parleremo di accesso all'energia. Non è la stessa cosa dare accesso all'energia in un villaggio remoto dell'Africa o in una megalopoli. Gli strumenti che dobbiamo mettere in campo sono evidentemente diversi.
  Seconda parte. L'energia del mondo di domani. Cerchiamo di farci un'idea. È sulla base di come cambia la torta dei consumi energetici che si stabiliscono le politiche possibili di riferimento. Questo è cosa consuma e dove consuma l'energia il mondo di domani. Vorrei farvi notare una cosa. Non siamo contenti di questo, ma è un dato di fatto. Nonostante le grandi trasformazioni, vedete che le fonti fossili continueranno ad avere per vent'anni un enorme rilievo. Alla fine, cambiano di poco le percentuali, ma siamo oltre il 70 per cento. In questa componente di fonti fossili, gli idrocarburi continueranno a coprire grossomodo più del 50 per cento dei consumi mondiali. Cala, per fortuna, perché in termini di emissione è il nemico pubblico numero uno, il carbone. Vedete che resta stabile, nonostante sia tecnicamente una rinnovabile, l'energia nucleare e c'è una crescita significativa delle rinnovabili.
  Complessivamente, la nuova domanda energetica verrà, dunque, coperta dall'aumento del gas e delle rinnovabili. Dove questa domanda crescerà? Parallelamente alla popolazione, crescerà nei Paesi non OCSE. Tendenzialmente, addirittura, i Paesi OCSE hanno una riduzione della propria domanda energetica (economia di servizi, maggiore efficienza eccetera). La maggiore domanda, evidentemente, avviene laddove avremo i nuovi due miliardi di abitanti di questo pianeta.
  Qui abbiamo esemplificato quali sono i cinque drivers principali della transizione in questo momento. Li vediamo uno per uno. Il primo è quello della lotta al climate change. Abbiamo riepilogato quali sono i principali impegni presi dai Paesi, compresi quelli all'interno della strategia europea. Ci siamo limitati a mettere quella della riduzione delle emissioni da qui al 2030, ma sapete che è stata appena proposta da parte della Commissione europea la strategia al 2050, ancora più aggressiva, che verrà approvata nel vertice del Consiglio europeo di maggio.
  Avete i diversi impegni dei tre principali players (Stati Uniti, Cina e India) che evidentemente sono grandi emettitori, dunque possono essere anche quelli che fanno la differenza nella eventuale lotta al cambiamento climatico.
  Vorrei farvi notare, per dire quanto è drammatica la corsa che l'umanità ha davanti a sé, il grafico in basso a destra. Qui noi vediamo ciò che succederà con politiche inerziali, cioè se semplicemente andremo avanti con le politiche seguite fino ad oggi, ossia la curva grigia in alto. Abbiamo quella più significativa, quella gialla, ossia ciò che l'umanità ha in animo di fare mettendo concretamente in pratica gli impegni che ha assunto nella Conferenza di Parigi. Alcuni sono quasi obbligatori, altri sono soltanto eventuali, qualora quei Paesi siano aiutati finanziariamente a raggiungerli. In realtà, la linea veramente importante sarebbe l'ultima, quella che in realtà ancora non c'è. Se vogliamo essere compliant con uno scenario sotto i due gradi, il famoso obiettivo di Parigi, dobbiamo mettere in atto politiche molto più aggressive per raggiungere quell'obiettivo.
  Questa è una delle cose principali del trend che sta accadendo, cioè il miglioramento dell'efficienza energetica. Tendenzialmente, le economie vanno verso uno scenario in cui stiamo cercando di migliorare Pag. 6 il limite di intensità di CO2 per ogni dollaro di PIL prodotto. Ovviamente, un'efficienza degli usi civili, degli elettrodomestici, dell'industria. Vedete – tema che trovo molto significativo, perché ritornerà in seguito – l'incredibile storia cinese, cioè un'economia ad altissima inefficienza energetica che sta, con una discesa repentina, allineandosi ai trend delle economie più sviluppate e anche più efficienti.
  Questo è il terzo dato, la crescita delle rinnovabili. È interessante, dal punto di vista di una compagnia energetica, rilevare che negli ultimi quindici anni si sta profilando una realtà, di fatto, molto più veloce delle previsioni. Questi sono i principali scenari che erano stati fatti sulla crescita dell'energia eolica e solare e quella che è stata la crescita effettiva rispetto a quelle previsioni. Evidentemente, ciò che guida questa crescita delle rinnovabili oltre le aspettative è, da un lato, il supporto dell'opinione pubblica e, dall'altro, il calo molto significativo dei costi. Pensate che dal 2010 – quindi negli ultimi sette anni – il costo delle batterie è calato dell'80 per cento; quello delle tecnologie del solare del 73 per cento; quello dell'eolico del 22 per cento. Se otto anni fa le aste per l'energia elettrica prodotta da rinnovabili si aggiudicavano a circa 30 centesimi di dollaro per chilowatt, adesso siamo, talvolta, a 5-6 centesimi.
  Quindi, cominciamo – non dappertutto, perché non sta avvenendo nello stesso modo in tutte le parti del mondo – a vedere una stagione in cui le rinnovabili possono contribuire a una parte dei consumi, cioè quelli elettrici, anche uscendo dalla stagione dei sussidi, quindi con una parità di costi effettivi rispetto al mercato delle altre fonti di energia.
  Questo lo riprenderemo. È fondamentale per comprendere la sfida energetica. Tante volte tendiamo a confondere i consumi primari di un Paese con l'elettrificazione. L'elettricità non è una fonte di energia, ma uno strumento di energia. Non esiste l'elettricità in natura. È un vettore. Per cui, ciò che dobbiamo vedere sono le fonti energetiche per il consumo, che è quel 100 per cento, e quante di queste vengono trasformate in energia. Lo si può fare con l'idroelettrico, bruciando gas, bruciando carbone, eccetera. Oggi questa cifra è pari al 38 per cento nel mondo. Il resto è rappresentato da consumi che non passano attraverso una trasformazione elettrica. La cosa interessante, perché è una grande sfida, è vedere questi usi finali dell'elettricità come incidono nel mondo a seconda dei settori. Come vedete, evidentemente c'è una grande aspettativa di aumento di usi elettrici nel residenziale. Sempre di più ci si potrà riscaldare o rinfrescare le abitazioni attraverso l'elettricità (32 per cento oggi, ma 58 nel 2040). Cresce, ma non tantissimo, l'uso dell'elettrificazione nell'industria, perché ci sono attività che hanno bisogno di una densità e di una potenza energetica che l'elettricità da sola non è in grado di garantire.
  Vi è, poi, un tema molto sfidante, di cui si parla tantissimo, ma dobbiamo metterci le mani dentro con più attenzione, ossia quello dei trasporti. Tutti noi abbiamo in mente i trasporti leggeri, le auto elettriche, ma il mondo dei trasporti è fatto di heavy trucks, cargo, marittimi, aerei. La percentuale complessiva dell'elettrificazione, che oggi è all'1 per cento, crescerà significativamente al 10 per cento. Bisognerà, quindi, fare riferimento ancora a fonti fossili per parecchio tempo.
  Passo ai miei due «nota bene», giusto per ricordarci la vastità e la complessità del mondo in cui viviamo. Il petrolio, gli idrocarburi non sono soltanto benzina, kerosene e nafta. Noi viviamo in un mondo in cui le scarpe da ginnastica che portiamo, gli pneumatici delle gomme e tanti altri oggetti sono tutti fili della catena dell'idrocarburo, che diventa una materia prima per fare molti oggetti di vita quotidiana.
  Il secondo «nota bene» riguarda il modo in cui sono fatti i trasporti. Vedete come il trasporto su strada ad oggi conti per il 75 per cento dei trasporti mondiali. Tanta roba. La metà è quella che vediamo noi, quella leggera (le moto, le macchine), ma il 50 per cento è fatto di vettori molto più pesanti, quindi molto più difficili da elettrificare. Vedete – io dico anche «ahimè» – quanto per gestire questo settore le fonti tradizionali continueranno a essere importanti. Pag. 7 Manca, forse, un dato, che non potevamo inventarci. Se c'è una pista di lavoro della ricerca su cui si sta molto lavorando nell'industria per il trasporto pesante è, semmai, quella di passare all'idrogeno come fonte di alimentazione, che potrebbe, invece, avere quelle caratteristiche di potenza e di densità capaci di poter sostituire i tradizionali carburanti.
  Questa è, ad oggi, la situazione. Quella pallina rossa è quanto contano oggi concretamente le vendite di auto elettriche più ibrido, nella palla gialla, che sono il parco auto circolante. Ancora una volta voglio, però, farvi una segnalazione. È veramente un interlocutore da tenere sotto doppia attenzione. Mi riferisco al ruolo che sta giocando la Cina. Se voi vedete l'aumento pazzesco delle vendite di auto elettriche o ibride in Cina, vedete uno dei temi geopolitici più rilevanti. La Cina oggi è il principale emettitore di CO2. Da sola emette più di quanto emettono Stati Uniti e Unione europea messi insieme. È il Paese che ha ancora un consumo di carbone pari al 58 per cento dei suoi consumi primari. È il Paese che ha la più alta intensità di emissioni pro-capite per intensità di dollaro di PIL, ma è anche il Paese che, da solo, nell'ultimo anno ha installato impianti di rinnovabili quanto gli Stati Uniti hanno installato in tutta la loro storia. Quindi, è un Paese che, a seconda della strada che prende, della consistenza delle politiche che avrà, può effettivamente fare la differenza da qui ai prossimi venticinque anni.
  Questi sono i breakthrough tecnologici. Permettetemi di aprire la prima – non saranno tante – parentesi di advertising su ENI. C'è un po’ l'idea che l'industria dell'energia sia un'industria tradizionale e, in quanto tradizionale, se volete, poco tecnologica. Non c'è niente di più sbagliato. Tra l'altro, una delle forze di questa azienda italiana è di essere una delle aziende con il maggior numero di brevetti, che evidentemente sono patrimonio italiano, di ricerca, che sono anche oggetto di mercato. Questi brevetti vengono anche venduti all'estero e si muovono in tutte le direzioni, dalla riduzione delle emissioni alle rinnovabili, alla chimica verde. Altissima tecnologia.
  In quale direzione va questa tecnologia? Sostanzialmente, nella parte alta, va su ciò che l'industria dell'energia può fare per migliorare se stessa. Voi vedete tre indici tipici. Il primo è come levare le emissioni di CO2, ad esempio, bruciando il gas. Il simbolo classico dell'ENI, che tutti gli italiani conoscono, è quello del cane a sei zampe con la testa all'indietro, che emette la fiamma. È un simbolo oggi politicamente scorretto, nel senso che nessuno di noi oggi pensa che si possa bruciare il gas. Tutti i progetti sono di recuperare il gas, perché altrimenti si emette CO2.
  C'è un impegno pazzesco di tutte le compagnie, fra le quali ENI, di tagliare il flaring del gas, la famosa fiamma, fino a zero da qui ai prossimi anni, così come controllare le fuggitive di metano dalle condutture e, invece, nell'altra circostanza, come usare la tecnologia per avere carburanti nuovi, ma da fonti assolutamente sostenibili: i biocarburanti da biomasse (i biofuel), biodiesel e la nuova frontiera che è la FORSU (frazione organica del rifiuto solido urbano), cioè ottenere biocarburanti dall'utilizzo dei rifiuti. Ovviamente, sono ancora tecnologie pilota. L'Italia ha già importanti progetti pilota in ENI, a Gela, però questo rappresenta un modo di entrare dentro quell'economia circolare che rappresenta un po’ la nuova frontiera dell'impegno di ENI: un'economia sostenibile dove niente è mai rifiuto definitivo, ma tutto può diventare riutilizzabile all'interno di un ciclo virtuoso.
  Invece, il tema tecnologico che dobbiamo in qualche modo affrontare evidentemente tutti è quello sotto. Vi sembra tecnico, ma ha in realtà una sua importanza per capire le fonti. Il primo tema è quello della densità di energia, cioè quantità di energia per unità di peso. Vedete quanto la potenza dell'idrocarburo è ancora assolutamente pazzesca rispetto sia alle biomasse sia alle fonti rinnovabili per unità di peso: 0,46 megajoule per chilo una batteria, 56 megajoule il gas. La capacità, quindi, di alimentare i consumi pesanti.
  L'altro tema è quello dell'unità di spazio. Dicevo prima quanto le rinnovabili possono essere importanti per accendere il Pag. 8mondo che non ha accesso all'energia. Guardiamo, però, il consumo di suolo. Una delle caratteristiche importanti delle rinnovabili è che possono essere installate ad ogni livello di scala (anche il pannello solare sul tetto), quindi è molto importante che, ad esempio, si possa accendere un villaggio remoto dell'Africa con una installazione solare off-grid; ma se io dovessi, con lo stesso consumo di spazio, dare la possibilità di avere accesso all'energia ad Abuja, avrei bisogno di mezzo Sahara di pannelli solari, perché l'utilizzo di spazio è molto grande. A quel punto servono fonti energetiche che consumano meno spazio e danno accesso all'energia.
  Adesso vediamo come noi siamo collocati all'interno di questa sfida. Questa slide sinteticamente vi racconta, con tanta semplificazione, un po’ qual è il ruolo che le aree del mondo sono candidate a giocare nei prossimi anni. Vedete due grandi aree del mondo, che sono sostanzialmente importatori di energia e quattro aree che dal punto di vista di grandi saldi sono complessivamente esportatori.
  In questa slide abbiamo mezzo insieme Oil & Gas. Volendo le possiamo anche spacchettare. Sono due geografie lievemente diverse. Cosa emerge? Innanzitutto salta all'occhio il ruolo ancora marginale, in termini di quantità, di America latina e Africa. Eppure dell'Africa vi ho detto quanto sarebbe la disponibilità potenziale di risorse. Emerge un nord America che da grande consumatore è diventato un esportatore. È uno dei temi geopolitici che, se volete, poi affrontiamo nel dibattito. Con la rivoluzione dello shale ha cambiato il proprio ruolo nella competizione globale. C'è il classico ruolo del Medio Oriente, grande esportatore, grande produttore. Emergono due destini diversi per noi e per l'Asia-Pacifico. L'Europa è un continente che ovviamente consuma di meno sia per ragioni di popolazione che per ragioni di efficienza energetica, ma è destinato in questo momento e continuerà, ahimè, a importare larghissima parte delle fonti per le proprie necessità. Vedete invece con numeri molto diversi il ruolo dell'Asia-Pacifico: grande importatore perché grande gigante energivoro, con un grande bisogno di alimentare la propria macchina.
  Quali sono in sintesi i fattori che influenzano nel breve e nel lungo termine l'andamento del petrolio? Fateci caso: su quella bilancia che c'è a sinistra, due su sei sono dati non strettamente politici: la finanza, la speculazione finanziaria agisce in modo bullish, aumentando il prezzo, così come la disponibilità di Tate Oil fa abbassare il prezzo. Gli altri quattro fattori sono tutti tipicamente politici. Guerre commerciali e rallentamento economico abbassano il prezzo. Crisi geopolitiche o accordi fra i grandi produttori alzano il prezzo. Queste sono le dinamiche più strettamente legate nel breve termine alla geopolitica. Evidentemente nel lungo termine ciò che conta sono i fondamentali: la domanda, l'offerta, le scorte, le scoperte.
  Questo è un sinteticissimo riepilogo, come se fosse un centone di storia delle relazioni internazionali. Ho messo un po’ dei principali eventi degli ultimi quarant'anni, giusto per far capire quanto gli eventi possono condizionare in un senso o nell'altro l'andamento del prezzo del petrolio, quanto la geopolitica condiziona. Avremmo potuto fare anche la diapositiva contraria, perché la geopolitica condiziona il prezzo del petrolio, ma scelte del prezzo del petrolio possono condizionare la geopolitica. Quando i sauditi nella metà degli anni ottanta decisero di far crollare liberamente il prezzo del petrolio questa è stata una delle vere cause che ha messo in ginocchio l'Unione Sovietica, che avendo una percentuale significativa del proprio bilancio che derivava dalle revenues petrolifere non fu in grado di seguire l'America di Reagan nella corsa al riarmo – ricorderete le cosiddette «guerre stellari» – non potendolo tecnicamente affrontare sul piano finanziario. Le due cose sono strettamente legate. Questa slide non è per questa audizione, è per l'audizione che magari si farà nel corso della XXII legislatura: quanto la transizione energetica può cambiare anche concettualmente, teoricamente, il rapporto fra geopolitica ed energia.
  Le fonti tradizionali – abbiamo identificato due o tre possibili capitoli – sono Pag. 9concentrate geograficamente, quindi hai il produttore e hai il consumatore. Le rinnovabili sono diffuse. C'è meno possibilità di esercitare l'arma del ricatto energetico essendone il proprietario. Le energie fossili tradizionali sono stock consumabili, ma sono stock, mentre le rinnovabili sono elettroni, sono flussi. Le nuove minacce hanno più a che fare con il cyber risk delle reti piuttosto che con il controllo dei punti fisici di smercio.
  Le fonti tradizionali hanno elevate economie di scala, soglie di ingresso importanti, programmabilità. Evidentemente le fonti rinnovabili, invece, vivono nell'essere discontinue, intelligenti. Non c'è più soltanto il produttore e il consumatore, ma c'è il prosumer, uno che nello stesso tempo produce e consuma e scambia con nuove tecnologie, c'è il blockchain. Sono due mondi che in questo momento convivono. Il secondo è molto, molto più piccolo del primo, ma se si, pensa ai prossimi venticinque anni, si vede che alcune matrici di relazioni internazionali sono destinate in qualche modo a cambiare.
  Dov'è oggi l'Europa? Eccoci qua. L'Europa oggi e l'Europa domani vive questa condizione. L'istogramma a sinistra ci dice una cosa simile a quella che abbiamo già visto per il resto del mondo: c'è una componente, che è il nucleare, che tendenzialmente resterà stabile. C'è, per fortuna, e speriamo che anche le politiche messe in atto dal Governo italiano e poi dalla governance europea vadano in quella direzione, un phasing out del carbone, significativo, che può essere più o meno veloce, ma è molto significativo. C'è un contenimento della domanda petrolifera e c'è tutta la nuova domanda di energia che è coperta dall'aumento del gas e delle rinnovabili.
  La produzione di gas in Europa continua a declinare a tassi molto accelerati (noi abbiamo sostanzialmente il più grande giacimento che fu scoperto all'inizio degli anni Settanta a Groningen, in Olanda, che chiuderà definitivamente entro il 2030), e ci spinge dunque ad avere un aumento molto significativo delle importazioni di gas nonostante la nostra domanda tenda leggermente a contrarsi nei prossimi venti anni. C'è, quindi, una situazione di maggiore dipendenza energetica dell'Europa rispetto al proprio approvvigionamento. Da dove lo prendiamo? Sostanzialmente il 25 per cento della nostra produzione è domestica, è fatta in Europa. Il 75 per cento, invece, viene da fuori. Sostanzialmente il 31 per cento viene dalla Russia, il 24 per cento dal sistema del Mare del Nord, l'Algeria conta per il 7, la Libia per l'1 e LNG (Liquefied Natural Gas), il gas naturale liquefatto, per l'11 per cento.
  Come è messa l'Europa dal punto di vista infrastrutturale? Non è messa male. Sostanzialmente, se guardate quella cartina, vedete un sistema di pipe che arrivano da nord, da est e da sud. Vi faccio notare come queste pipe abbiano una capacità di trasporto (465 miliardi di metri cubi) che equivarrebbe sostanzialmente alla domanda, 472. Se tutte queste pipe lavorano a piena capacità, già soltanto con le pipe potremmo dire che la domanda è coperta.
  Più che questo, se andate sotto, vedete quei pallini che sembrano i carrarmati di Risiko, cioè i rigassificatori e i liquefattori. Vedete che in questo nuovo mercato dell'LNG l'Europa dispone anche di un certo numero di impianti di rigassificazione che, da soli, se tutti utilizzati, possono coprire il 45 per cento del fabbisogno. In più, c'è lo stoccaggio. Italia e Germania da sole fanno il 50 per cento dello stoccaggio europeo che può avere una capacità di riserva del 20 per cento.
  L'Europa in termini di struttura è ben messa. Ha ancora alcuni nodi infrastrutturali da sciogliere, tipo il collegamento fra Spagna e Francia, ma sostanzialmente è ben attrezzata.
  Quel grande numero che vedete, i 146 miliardi di metri cubi di gas russo, ci dice che non tutti dipendiamo nello stesso modo dalla Russia. Questa è una prima importante implicazione geopolitica. Soprattutto i Paesi baltici dell'Europa orientale hanno una dipendenza dall'importazione di gas russo quasi totale, alcuni vedete addirittura al 100 per cento. L'Italia si colloca in quella fascia fra il 25 e il 50. Dipendiamo per il 40 per cento, ma questo vi dà già un'idea della proiezione geopolitica, della rilevanza del fornitore russo sul mercato europeo. Pag. 10
  Questo mercato europeo sta cambiando. Immagino che ci saranno domande sul tema dell'LNG, perché, come vedete, la quota di gas liquefatto, non di gas che arriva attraverso le pipe, sta fortemente crescendo. Il futuro è il gas liquefatto. Oggi è il 42 per cento, ma diventerà il 60 per cento nei prossimi venti anni.
  La liquefazione consente una flessibilità che invece la pipe non ha. Voglio mettere in evidenza quanto nella nuova domanda di gas liquefatto sarà rilevante il ruolo della Cina, che arriverà nei prossimi vent'anni a importare, in termini di gas liquefatto, quanto oggi importa l'intera Europa. Anche la Russia si sta rafforzando sul mercato dell'LNG. Nel 2017 la Russia ha pesato sulle importazioni di LNG in Europa per lo 0,3 per cento. Nel 2018 era già superiore al 10 per cento.
  Quella grande porzione gialla della torta è il Qatar, che nel 2017 pesa per il 45 per cento, la Nigeria pesa per il 20 per cento, l'Algeria pesa per il 17 per cento e gli Stati Uniti pesano per il 3 per cento.
  Già nel 2018 abbiamo visto una diminuzione delle importazioni dal Qatar e un aumento sostenuto delle importazioni di LNG americano e russo. Francamente, quello russo è cresciuto più di quell'americano. A seguito del disastro, perché tale lo possiamo considerare, dell'apertura delle rotte artiche, i russi hanno aperto numerosi impianti, alcuni molto significativi, di LNG – oltre a Sakhalin, Yamal e Arctic – che servono sia per portare gas verso le rotte orientali in Cina, ma stanno diventando rilevanti anche per portare gas liquefatto sul mercato europeo.
  Vediamo quanto consuma l'Italia. Siamo abbastanza in linea, come vedete. Il carbone ha ancora un ruolo significativo in Italia, l'11 per cento. La battaglia per la decarbonizzazione in Italia è ancora molto importante. Vedete il ruolo del gas. Questo è il Paese che in Europa fa più utilizzo di tutti gli altri Paesi europei, dalla anni Settanta in poi, di gas metano per produrre elettricità. Vedete questa componente molto importante di rinnovabili, il 32 per cento.
  La grande storia delle rinnovabili in Italia – questo è significativo – nasce da un'antica storia, perché buona parte di questa elettricità viene dall'idroelettrico, quindi dall'imbrigliamento delle acque delle Alpi fatto ormai da quasi un secolo a questa parte. C'è una parte significativa, ma piccolina, di geotermia e una parte che sta incrementando di eolico e solare, che arriva in tutto al 12 per cento.
  L'Italia – è un dato da prendere così com'è – produce il 5 per cento del proprio petrolio e l'8 per cento del proprio gas. Complessivamente, quindi, importa il 92 per cento dei propri bisogni. Lo fa con una strategia identica a quella europea. Potremmo dire o che l'Italia è un laboratorio in piccolo dell'Europa o che l'Europa è un laboratorio in grande dell'Italia. Noi abbiamo diversificato rotte, fonti e fornitori. Nel caso del petrolio vedete che il mercato è molto liquido, non soltanto per la sua natura fisica, ma è liquido dal punto di vista economico. Per cui vi è una palette di fornitori molto diversificata.
  Tenete conto che nel 2018 quella torta si è modificata perché l'Iran, per effetto delle sanzioni, è arrivato sostanzialmente a importazioni zero, mentre invece è molto meno diversificata la situazione del gas, dove quel 31 per cento europeo diventa 40 per cento per quanto riguarda l'Italia. Cresce significativamente il peso dell'Algeria e della Libia, che è 7 e 1 a livello europeo e diventa 25 e 6 a livello italiano, e rappresentano evidentemente il Corridoio Sud che ci caratterizza. Vedete sulla destra come anche noi, con la nostra geografia, abbiamo diversificato le pipe di arrivo e i terminali di rigassificazione presenti in Italia.
  Questo è il tradizionale Corridoio Sud, il Greenstream che collega la Libia con Gela e l'Algeria, attraverso la Tunisia, con Mazara del Vallo.
  Voglio ricordare, prevenendo una domanda, che il contratto con Sonatrach sul Transmed algerino scade quest'anno e che la rinegoziazione per i prossimi otto anni è in corso ed è anche a buon punto, mentre il Greenstream non è soggetto a questa rinegoziazione del contratto, così come stiamo rinegoziando con Gazprom le forniture dalla Russia. Pag. 11
  Questa è forse la nuova storia, quella del Mediterraneo orientale, dove, devo dirlo con molta franchezza, ENI è stata il giocatore chiave di questo scacchiere geopolitico; uno scacchiere che non è un game changer dal punto di vista mondiale, nel senso che qui stiamo parlando dell'1 per cento delle risorse a livello planetario, ma è un game changer sicuramente per questa regione, perché questo ha permesso all'Egitto di stabilizzarsi passando da una condizione di importazione a una condizione di autosufficienza e, già a partire da quest'anno, di potenziale esportazione e sta permettendo a Paesi che si stanno affacciando, anche grazie alla nostra azienda, sul fronte delle nuove scoperte, quindi Cipro e Libano, di creare oggi una provincia che domani potrebbe diventare un gas hub.
  Se queste scoperte riescono a essere logisticamente e politicamente connesse e a risolvere alcune delle dispute che caratterizzano questi Paesi, questa può diventare un'area del Mediterraneo molto interessante innanzitutto per i Paesi che ne fanno parte, perché permetterebbe loro di vincere una condizione di dipendenza energetica dall'estero, di pulire il loro mix energetico; ma anche perché si può creare un surplus utile per l'esportazione verso i mercati vicini. La Turchia è più vicina, ma l'Europa evidentemente è nel radar.
  Questa è l'ultima diapositiva che vi voglio far vedere prima delle vostre domande. Anche in questa c'è tanta geopolitica. Non c'è in questo momento, qui ed ora, una disponibilità di gas utile per altri mercati, ma da qui a poco tempo potrebbe esserci.
  Evidentemente, i consumi e le risorse di oggi ci dicono che il primo punto di gravità di questo hub è e sarà l'Egitto e ci dicono anche che l'Egitto ha una storia di energia antica – è stato il primo Paese in cui Mattei è andato nel 1954 – quindi con un'industria molto matura, e tante major impegnate. Già dispone di due importanti impianti di liquefazione, a Idku e Damietta, che potrebbero portare dall'Egitto verso altri mercati, incluso quello europeo, fino a diciassette miliardi di metri cubi di gas all'anno. Per dare un'idea, il TAP ne porta dieci, questi due impianti ne possono portare diciassette.
  Esistono già delle infrastrutture che potrebbero essere riutilizzate per altri mercati, una è la Arab Gas Pipeline che parte dall'Egitto e attualmente si ferma in Siria, ma potrebbe collegarsi via terra alla Turchia con ulteriori ottanta chilometri di pipe. Avete la possibilità di fare nuovi treni (così si chiamano) di liquefazioni presso gli impianti esistenti in Egitto e, a seconda delle disponibilità di nuove scoperte che ci saranno nel futuro, in teoria altri opzioni sono sul tavolo, nuovi impianti a Cipro anziché la Ismet Pipe di cui tante volte si è parlato.
  Questo per dire che l'Italia è in una condizione molto simile a quella del continente a cui apparteniamo in termini sia di consumi energetici che di strategia di diversificazione. A differenza di altri Paesi è riuscita ad accoppiare al tradizionale fornitore russo, che aveva sin dagli anni cinquanta, l'importanza del corridoio meridionale e quindi della proiezione italiana in Paesi come l'Algeria e la Libia. È diventato Paese protagonista dello sviluppo delle risorse del Levante Mediterraneo e sta facendo anche molto in termini transizione energetica, lavorando su nuove fonti di energia e nuove tecnologie breakthrough che vi ho fatto vedere prima, per dare anche contributi a una strategia di decarbonizzazione italiana ed europea.
  Evidentemente soffriamo come tutti gli altri Paesi i rischi dell'instabilità geopolitica, che possono riguardare rotte e fornitori tradizionali, ma è su quello che, se volete, possiamo concentrare l'attenzione nelle domande, per le quali già adesso mi ritengo a vostra disposizione.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie per le interessantissime informazioni.
  Prima di lasciare la parola ai colleghi per porre delle domande, inizio con la prima, che è relativa anche al resto della nostra attività. Abbiamo istituito, oltre a questa indagine conoscitiva, una che ha una valenza regionale, quella sul Mediterraneo: guardando l'ultima slide mi domando quali possano essere i risvolti dell'attuale Pag. 12 instabilità che in diverse parti del Mediterraneo caratterizzano la politica estera di diversi Paesi e anche la nostra rispetto all'autonomia energetica dell'Italia e dell'Europa, e quali potrebbero essere i futuri sviluppi pensando a zone molto complicate quali la Siria, la Libia e il particolare, rilevante ruolo della Turchia rispetto alle relazioni con l'Unione europea.
  Da un punto di vista geopolitico che impatto può avere questa instabilità rispetto all'approvvigionamento energetico, alla sicurezza e stabilità energetica europea o italiana?
  Lascio la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni e autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato) della documentazione depositata dai nostri auditi.

  MAURIZIO LUPI. Credo che la domanda della presidente sia uno dei punti chiave dell'incontro di oggi e della relazione tra energia, ruolo dell'ENI e relazioni internazionali.
  È evidente che anche rispetto all'ultima slide che ci ha illustrato il Mediterraneo può diventare strategico per l'Italia e per l'Europa. La domanda dalla presidente è come le relazioni internazionali possano influenzare: noi sappiamo che la diplomazia e le relazioni internazionali possono creare opportunità di sviluppo o le opportunità di sviluppo, in questo caso le infrastrutture energetiche, possono rafforzare le relazioni tra Paesi.
  ENI da sempre, in particolare nel continente africano, ha utilizzato il suo potenziale per fare Sistema Paese e per rafforzare (penso a tutto il tema dei Paesi in via di sviluppo, che io conosco) profondamente il rapporto solido tra l'Italia e questi Paesi. È evidente oggi che è cruciale la questione egiziana, anche perché recentemente c'è stata una grande scoperta da parte di ENI, che tutti conosciamo. La mia domanda è duplice: come ENI può contribuire a consolidare i rapporti e come, d'altro lato, l'irrigidimento di posizioni con l'Egitto possa invece compromettere non solo lo sviluppo di rapporti, ma anche la missione principale di ENI, che non è quella di fare relazioni internazionali, ma di produrre energia e sviluppo, di garantire attraverso le sue infrastrutture la spina dorsale della struttura industriale del nostro Paese.
  Era solo per sottolineare che la domanda della presidente è la questione chiave, oggi sul Mediterraneo, domani potrebbe essere su altri Paesi (pensiamo al sud-est asiatico), quindi mi interessava nel dettaglio capire questo, visto che siete protagonisti in prima fila.

  LAPO PISTELLI, direttore per le relazioni internazionali di ENI. Sono già due bei gruppi di domande, quindi cerchiamo di fare una rapida carrellata, una sorta di viaggio sul tappeto volante nel Mediterraneo, partendo dalla parte occidentale.
  Il primo Paese di rilievo, piccola produzione ma tanta importanza nelle relazioni bilaterali, è la Tunisia, dove la produzione di ENI, pur essendo la più rilevante nel Paese, è comunque una produzione modesta. Ma so quanto, dal 2011 in poi, è stato importante nella relazione bilaterale fra Italia e Tunisia garantire sempre una sponda e un'amicizia, essendo la Tunisia considerata da tutti l'esperimento – per quanto fragile – di maggior successo della transizione delle primavere arabe.
  Non abbiamo quindi mancato di far avere alla Tunisia il nostro sostegno anche nella propria strategia economica: la presenza dell'azienda è importante anche dal punto di vista delle aspettative che ci sono non soltanto in termini di occupazione, ma anche dei progetti sociali che stiamo sviluppando per la parte più povera del Paese. Quindi noi rimaniamo, come il Paese, schierati a fianco di questa fragile democrazia della sponda sud.
  Libia. Si potrebbe parlare molto, però io vorrei dirvi alcune cose, siete tutti espertissimi della materia. ENI ha continuato a produrre dal 2011 senza alcuna interruzione, a differenza delle altre compagnie presenti nel territorio. Abbiamo licenze e titoli minerari a est, a ovest, a nord, a sud, off-shore e on-shore, quindi siamo presenti in tutto il Paese.
  È ovvio che, come tutta la comunità internazionale, auspichiamo una stabilizzazione Pag. 13 e una pacificazione più veloce e durevole di quella che sta avvenendo, che è una transizione molto lunga, però in Libia il nostro Paese ed ENI nello specifico possono vantare due caratteristiche. La prima è che siamo partner di lunghissima durata, per cui l'Italia ed ENI conoscono molto bene il Paese e sono molto bene conosciuti nel Paese. La seconda, che è un'enorme differenza rispetto a un modello di comportamento di altri, è che ENI non soltanto in Libia (il tema si può ripetere per l'Egitto e per gran parte dell'Africa) ha come priorità quella di lasciare la risorsa nel mercato domestico, per cui la nostra produzione, che è prevalentemente a gas, accende la Libia: che tu sia da una parte o dall'altra, a nord, a sud, a est o ad ovest il frigorifero e il condizionatore è acceso dal gas libico da noi prodotto.
  Questo mette ENI e l'Italia al fianco della stabilizzazione e dello sviluppo del Paese. Non prendiamo una risorsa per portarla via, a parte la quota che arriva in Italia, e questo è molto importante. Speriamo che gli sforzi che il Paese e il Governo stanno mettendo in questa direzione, la Conferenza di Palermo, il calendario che ci aspetta nel 2019 portino questo Paese a migliorare la sua stabilità politica, tenuto conto che con il miglioramento della stabilità politica potrebbe migliorare molto anche il profilo produttivo del Paese, che potrebbe fare di più di quello che concretamente oggi fa, evidentemente in condizioni migliori. L'Italia lì c'è e il suo ruolo difficilmente si può porre in discussione.
  Spostandosi verso l'Egitto, come la presidente e l'onorevole Lupi hanno già ricordato, quella è una storia molto interessante, perché ENI è stata in questo Paese per prima, nel 1954, e, a differenza di altri Paesi, l'Egitto è un Paese in cui tutte le principali major sono presenti, quindi non è soltanto «un'esclusiva» di ENI; però ENI con la scoperta di Zohr e di altre giacimenti, che hanno avuto meno fama ma sono ugualmente importanti, ha cambiato una situazione di grande difficoltà che l'Egitto stava attraversando, perché nel marzo 2015, dopo decadi di autosufficienza, era diventato un Paese importatore.
  Attenzione: stiamo parlando del grande fratello del mondo arabo, cioè di un Paese in cui vive il 28 per cento degli arabi nel mondo, il giocatore principale dell'intero mondo arabo non soltanto per la collocazione geografica, ma anche per la rilevanza dimensionale. Pensate che dal tempo in cui Mubarak prese il potere al tempo in cui fu deposto la popolazione dell'Egitto è raddoppiata, passando da poco più di 40 a poco più di 85 milioni di abitanti; dal tempo della caduta di Mubarak ad oggi la popolazione egiziana sfiora i 100 milioni e da qui al 2030 arriverà a 125 milioni, ed è l'unico caso nella regione di trend demografico con questa caratteristica.
  Si tratta quindi di un Paese che ha una crescente fame di energia, con un modello di sviluppo in cui esistono anche una classe media e un tessuto produttivo industriale, quindi, essere in una condizione di fragilità energetica vuol dire essere in una condizione di fragilità economica, dunque sociale, dunque politica, per cui contribuire alla stabilizzazione del Paese permette poi al Paese di fare la sua parte e giocare il suo ruolo.
  Grazie alla scoperta di Zohr e al Fast track project di ENI siamo stati in grado di dare il primo gas al Paese dopo ventisette mesi dalla scoperta, stabilendo un autentico primato mondiale (la media dell'industria è più del doppio di questi tempi) e abbiamo portato nuove attenzioni sul Paese, il che ha dato effettivamente una boccata di ossigeno in termini di sviluppo economico, ma questo è stato un impegno in continuità con quanto promesso da tanti Governi italiani al partner egiziano.
  Vediamo il ruolo che l'Egitto sta giocando oggi in termini di energia in modo molto positivo. Voglio ricordarvi che a gennaio gli egiziani hanno dato vita alla prima puntata di un forum, un vero e proprio embrione di struttura internazionale, invitando al Cairo i Paesi dell'area, quindi Cipro, Giordania, Israele, Palestina, invitando come unico Paese non dell'area l'Italia. Il Governo ha partecipato a questo forum, che nasce con l'idea di costituire una piattaforma di dialogo politico a supporto dell'energia. Pag. 14
  Questo è molto importante, perché la storia europea ci racconta come sulle fonti di energia si possano fare le guerre o integrazione: il carbone, il ferro dell'Alsazia e della Lorena sono state le fondamentali cause economiche dello scontro franco-tedesco, sull'energia si può creare una competizione che può condurre al conflitto, mentre la condivisione di risorse può diventare invece occasione di sviluppo condiviso. E questo è ciò che auspichiamo, considerando che in quell'area ci sono Paesi come il Libano, che dallo sviluppo comune di una risorsa potrebbe trovare una forma ulteriore di integrazione interna, o come Cipro, che potrebbe sviluppare una capacità di esportazione, essendo un Paese dell'Unione europea.
  Resta sicuramente sullo sfondo un tema che è stato sollevato dalla presidente in modo molto opportuno: il ruolo della Turchia. Ovviamente la Turchia sta vivendo da qualche anno un cambio di posizionamento dentro la regione, che ha avuto i suoi effetti anche nelle attività energetiche del bacino, basti ricordare quanto è successo l'anno scorso nel caso delle esplorazioni avviate nei blocchi orientali di Cipro, e questo è un oggetto che dovrà essere guardato con molta attenzione anche quest'anno poiché sono in previsione campagne esplorative.
  Una è già in corso da parte di ExxonMobil, altre lo saranno alla fine di quest'anno da parte di Total e da parte nostra, quindi un dialogo corretto con la Turchia e ogni tentativo politico per far sentire Ankara non esclusa, ma dentro questo gioco, nel rispetto del diritto reciproco di sviluppare le proprie risorse, è un bel game politico-diplomatico che quest'anno si svilupperà sicuramente.
  ENI è abituato a operare in contesti difficili, ma sempre nel rispetto delle regole del diritto internazionale, per cui quello che abbiamo fatto fino ad oggi è avvenuto sempre nel pieno rispetto delle regole e dei titoli minerari che ci erano stati assegnati; ma quanto questo hub possa diventare inclusivo di tutti gli attori della regione è la sfida numero uno che abbiamo.
  La Turchia rivendica (lo ha fatto pochi giorni fa) il proprio ruolo di Paese hub, è un Paese di transito dell'energia per le rotte che lo attraversano ed è sicuramente – non dimentichiamolo mai – un Paese fortissimamente energivoro, ha bisogno di garantirsi quasi il 98 per cento delle risorse tramite l'importazione, quindi è nell'interesse anche turco essere connesso a questo ulteriore canale di approvvigionamento che potrebbe arrivare dalle scoperte del Levante.
  La Siria è ancora un punto interrogativo. Si è scritto e talvolta perfino favoleggiato di grandi risorse potenziali della Siria. Sicuramente qualche risorsa c'è. Credo che sia alla valutazione della Commissione, di questo Parlamento e in generale degli osservatori come forse il momento peggiore della crisi siriana sia alle spalle e si cominci a parlare di uscita dal Califfato e ricostruzione, per cui l'auspicio non può che essere che la Siria torni a far parte (chissà quanto tempo ci vorrà) di quel bacino di Paesi e che si possa virtuosamente connettere ai propri vicini.
  Dal punto di vista delle infrastrutture ricordo che l’Arab Gas Pipeline arriva in Siria e si ferma, e arriva in una parte della Siria che non è stata sostanzialmente toccata dal conflitto, quindi è un'infrastruttura che, per quanto non funzionante, non è danneggiata e potrebbe perfino connettere l'ultimo pezzettino che manca per arrivare verso la Turchia.
  Infine una questione che è stata toccata dall'onorevole Lupi e sulla quale vorrei tornare brevemente, che è il tema della «stabilizzazione» nel rapporto con i Paesi africani. Tra le prime grandi compagnie internazionali ENI è la più «africana» di tutte, nel senso che noi facciamo in Africa il 45-50 per cento, a seconda dei dati, delle nostre produzioni, riserve e investimenti. Come sapete, negli ultimi due anni l'Italia è stata il terzo Paese investitore diretto in Africa al mondo, dopo Cina ed Emirati Arabi, e dal punto di vista privato ENI è stata la terza compagnia mondiale per investimenti diretti in Africa: degli 11 miliardi di investimenti diretti fatti in Africa dal Paese circa 9 li ha fatti ENI. Pag. 15
  Questo dà al nostro Paese un leverage nelle relazioni con questo continente molto importante, oltre al fatto che sin dalla stagione del primo Mattei la relazione dell'azienda con i Paesi è sempre stata quella di aiutare a sviluppare le risorse. La formula Mattei di non pagare la royalty o la concessione, ma di sviluppare insieme, fare una società insieme al Paese nuovo che si affacciava su questo mercato, è stata la chiave del successo.
  Prima della stagione della prima decolonizzazione (anni cinquanta-sessanta), nord Africa, giù verso il Golfo di Guinea, rapporti con Nigeria, Angola, Congo, oggi Gabon, Costa d'Avorio, poi il Mozambico nella stagione più recente: ogni volta ENI si è posta come partner, e questo ha aiutato molto ad accompagnare alla diplomazia energetica cui l'onorevole Lupi faceva riferimento anche un'interazione con il Paese, altre aziende al seguito di ENI e un buon rapporto con questi Stati, segnato peraltro dalle numerose visite al più alto livello fatte anche negli ultimi anni. Se pensate alle visite dei Presidenti del Consiglio e del Presidente della Repubblica proprio pochi giorni fa in Angola, sono una chiara testimonianza delle relazioni con questi Paesi.
  Devo dire francamente che non è soltanto un fatto italiano, l'interazione di destino fra il nostro Paese e il grande continente che c'è nel nostro meridione è figlia della geografia, in qualche modo questa rotta di interazione è segnata, quindi tanto più siamo capaci di creare condizioni di sviluppo locale, di accesso all'energia, di valorizzazione delle risorse che questi Paesi hanno, di sviluppo industriale, di diversificazione, e tanto più evitiamo il formarsi delle emergenze.
  Serve una visione di lungo termine, ma anche un ingaggio costante, non soggetto agli alti e bassi del ciclo politico (chi ha visto le prime diapositive ha visto le asimmetrie dei flussi, le asimmetrie di possibilità), che permetta a questo grande continente di recuperare il posto che merita sulla scena globale.

  DIMITRI COIN. Vorrei rivolgere una domanda sull'Egitto. Mi ero segnato alcune cose. Avete ampiamente toccato il tema.
  Ritornando alla questione prettamente domestica, ho visto su una slide che in Italia – come considerazione, è il Paese che fa il maggior uso di gas, se non ho capito male, a livello europeo – il consumo di gas è previsto in calo, da qui al 2040, dal 26 per cento circa al 23 per cento. Per una società come ENI, che si occupa anche di vendita del gas stesso, la marginalità sul prodotto rispetto al consumo, quindi al quantitativo venduto, com'è nel trend previsionale che sicuramente voi avete?

  LAPO PISTELLI, direttore per le relazioni internazionali di ENI. Rispondiamo da un paio di punti di vista diversi. ENI oggi è un'azienda che ha investito, o investirà nei prossimi quattro anni, 22 miliardi in Italia. Paga le tasse in Italia. In Italia ha ventimila dipendenti, ma svolge l'86 per cento delle sue attività all'estero. Quindi, siamo una multinazionale con i piedi, il cuore e la testa in Italia, ma un portafoglio globale.
  Il calo dei consumi di gas, evidentemente, dipende da quella strategia di decarbonizzazione e di efficienza energetica che l'intero continente sta seguendo. Quindi, non è in grado di modificare in modo sostanziale i volumi e i margini di portafoglio che noi abbiamo in questo Paese. Quello che vorrei sottolineare al massimo è che il mercato del gas, complessivamente, quindi fuori dalla stretta pertinenza italiana, è destinato a crescere. Ho fatto prima notare che, in generale, il mercato del LNG è destinato a passare fino al 60 per cento delle forniture. Questa cosa è molto interessante, perché negli ultimi anni sta sviluppando un portafoglio di LNG a livello globale che soltanto pochi anni fa non aveva. Sostanzialmente, anni fa ENI era un compratore e rivenditore di gas che arrivava dalla Russia.
  Devo anche dire che nella logica dell'industria il gas aveva una sua – non so se definirla così – rischiosità, peculiarità, nel senso che o lo consumavi vicino al luogo di scoperta o lo trasportavi attraverso le pipe a grande distanza. Parlavo prima di un'industria con alta tecnologia: una delle rivoluzioni che è avvenuta vent'anni fa è stata quella della liquefazione. La liquefazione, Pag. 16con un processo abbastanza costoso inizialmente, consente di portare il gas a centosessanta gradi sotto zero, ridurlo di volume di seicento volte, ma renderlo trasportabile. È una scoperta che vent'anni fa avrebbe fatto dire all'esploratore: «Lo lascio lì perché non so come consumarlo. Siamo deep offshore, lontani dalla costa. Che ne faccio? Lo lascio lì. Non c'è petrolio, c'è gas». Oppure: «Ho del gas associato al petrolio: che faccio, lo brucio?». La fiamma. Oggi non si fa più. Con la liquefazione io lo impacchetto, lo riduco di volume e lo vendo. Oggi questo mercato di cargo di LNG, che si sposta a seconda delle opportunità, è un mercato che sta esplodendo.
  Al di là delle forniture per l'Italia, non soltanto ENI ha fatto le scoperte che abbiamo già detto nel Mediterraneo, ma voglio segnalare le scoperte fatte in Ghana, dove noi portiamo il gas al mercato domestico; in Mozambico, la più grande scoperta di gas degli ultimi trent'anni, grazie alla quale il Mozambico ha la possibilità in futuro di diventare veramente un hub per l'Africa orientale. Voglio ricordare inoltre le scoperte di ENI Gas in Indonesia, molto vicine a mercati oggi a premio. La domanda di gas e di gas liquido nei mercati del subcontinente indiano, della Cina, è una domanda in enorme crescita. La Cina ormai da anni, per abbassare la quota del carbone, ha una domanda di gas naturale liquefatto superiore al 10 per cento ogni anno.
  L'Italia è per noi la terra in cui siamo nati e cresciuti, è la sede di radicamento della compagnia, ma non siamo preoccupati dal tema del mercato gas italiano e dalla sua riduzione, che segue in qualche modo una logica europea. Siamo molto più interessati, invece, che questo mercato del gas rappresenti una leva di profittabilità per la compagnia, visto quanto si sta espandendo questo settore di idrocarburi nel resto del pianeta.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Una domanda molto rapida sugli Accordi di Parigi. Qual è la previsione che ENI fa sull'implementazione di tali Accordi? Ho visto prima le slide. È più probabile lo scenario base? Ho visto nella slide precedente che prevedete che gli Stati Uniti ridurranno il consumo, quindi le emissioni. Lo prevedete indipendentemente dalla decisione di Trump?

  LAPO PISTELLI, direttore per le relazioni internazionali di ENI. È una domanda molto difficile. Evidentemente, gli scenari sono fatti dall'AIEA (Agenzia internazionale per l'energia atomica) sulla base delle politiche pubbliche attualmente conosciute. È molto importante ricordare che ci sono impegni che i Paesi hanno preso a prescindere dal fatto di essere aiutati a implementare quegli impegni e altri che, invece, dipendono dalla capacità dell'accordo di funzionare, cioè di assistere quei Paesi nell'implementazione.
  Nonostante questo, il dato allarmante delle tre curve è che se anche si avesse lo scenario non inerziale, ma cosiddetto «base», questo non sarebbe sufficiente. È importante, quindi, prendere in seria considerazione l'allarme sollevato dall'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) quando ha detto che si era fuori rotta comunque per garantire la soglia dell'1,5-2 per cento.
  Rispondere alla questione americana è complesso per una serie di ragioni. Sono tornato ieri sera da Oslo, dove abbiamo ascoltato una lunga disamina fatta da una delle principali esperte dell’Harvard Law School rispetto all'impatto delle politiche pubbliche degli Stati Uniti sul tema delle emissioni. Per quale ragione? La prima ragione è che il mercato americano, grazie alla rivoluzione dello shale, sta cambiando giorno per giorno. Per cui, nell'arco di pochi anni gli americani sono diventati – come sapete – da importatori a esportatori e primi produttori.
  Quello che sta capitando, ad esempio, nelle ultime settimane è un caso che non va elevato a paradigma permanente, ma vi dice quanto è mobile la situazione. Mi riferisco alla grande quantità di tight oil prodotto nel Permian Basin e nei nuovi bacini non convenzionali, che sta portando ad avere una enorme disponibilità di gas non prevista da parte degli americani, che lo stanno bruciando. Alcuni piccoli produttori Pag. 17 lo bruciano: non sanno cosa farne, perché sono interessati a tirare fuori la parte dell'olio e fanno flaring. Ciò che conta è il valore aggiunto del barile e non il gas. Il gas, addirittura, in alcune parti di questo bacino oggi è prodotto a prezzi negativi. Avevano un problema di come utilizzarlo. Non lo possono liquefare nel Permian Basin, non lo possono trasportare. Nel frattempo lo bruciano e tirano fuori petrolio.
  Un'altra storia tutta diversa è quella successa negli ultimi dieci anni in Texas. Il Texas, nell'immaginario collettivo, è lo Stato dei petrolieri. Il Texas, sotto i mandati del governatore Rick Perry, segretario dell'energia, non per ragioni climatiche o di Parigi, ma per scelte pubbliche fatte all'epoca di Perry governatore, è passato da 0 a 15 gigawatt di installazione di solare perché conveniva.
  È difficile parlare degli Stati Uniti perché il comportamento delle compagnie non dipende dalle politiche del Governo. Tanti operatori, sia piccoli che grandi, si comportano secondo logiche di portafoglio. Anche il sistema delle attribuzioni di potere tra il livello federale e il livello statale è un continuo elastico nelle scelte. Avete visto le scelte di Trump sull'accordo. Avete visto la scelta fatta da venti Governatori di fare la US Climate Alliance e avere, quindi, obiettivi più sfidanti, fatti a livello statale. O pensate alla strategia della California, di essere decarbonizzata al 100 per cento dal 2050. La California da sola sarebbe, penso, l'ottava economia del pianeta.
  Bisogna fare una sorta di bilanciamento di quali sono i messaggi di Washington, di quali sono le scelte che le città e gli Stati fanno e di quali sono i comportamenti delle compagnie, dei piccoli produttori indipendenti. Nel mercato della domanda e dell'offerta petrolifera vedete l'affannarsi dell'OPEC e dell'OPEC Plus a ridurre le quote di supply sulla domanda e ogni singolo barile che l'OPEC non mette viene preso dai singoli produttori americani, che non si incontrano a Vienna o da altre parti, ma agiscono secondo logiche di mercato.
  Quindi, è difficile rispondere in che direzione andiamo. Quello che segnalerei, che evidentemente tiene conto delle dimensioni reali che ciascuno di noi ha nel grande gioco globale, è che io penso sia fondamentale che l'Europa mantenga questa grip di avanguardia nelle strategie di decarbonizzazione.
  Ve lo dico con molta sincerità: credo che le industrie, le principali major petrolifere stiano facendo cose enormi in tema di decarbonizzazione, investendo, al di là di ciò che ci viene chiesto, miliardi per decarbonizzare il nostro upstream, per ridurre le fuggitive, per abbattere a zero il flaring, per fare ricerca breakthrough sulle rinnovabili.
  La domanda iniziale con la quale sono partito è la seguente: come diamo a nove miliardi di persone nel 2050 un accesso sostenibile senza cuocere il pianeta? Questo riguarda tutti noi, qualsiasi mestiere facciamo. Ci sentiamo la responsabilità addosso. Inoltre, farei tanta attenzione al comportamento dei grandi giocatori. Gli Stati Uniti lei li ha menzionati. Sulla Cina ho già detto qualcosa prima. Si può essere i più grandi consumatori di carbone, ma diventare improvvisamente in un anno i più grandi installatori di potenza elettrica rinnovabile. L'India, di cui tendiamo a dimenticarci, in realtà tra venticinque anni sarà demograficamente più popolosa della Cina e sta facendo, proprio in questi anni, alcune scelte formidabili e fondamentali rispetto alla possibile decarbonizzazione, in senso tecnico, con un passaggio a maggior contributo di gas naturale. Facendo questo, sta portando un Paese che aveva soglie ancora molto elevate di popolazione senza accesso all'energia, presumibilmente da qui al 2030, al 100 per cento di accesso all'energia della popolazione indiana, che si avvierà a sfiorare 1,4 miliardi di abitanti. Questi tre giocatori vanno tenuti in grande considerazione per capire come si comporrà alla fine il quadro globale.

  SIMONE BILLI. Vorrei avere brevi commenti su come vedete la vostra collaborazione futura con Baker Hughes, che immagino conosca benissimo anche Lei, un'importante società della regione Toscana, leader nel LNG, quindi come si potrà portare avanti anche questa collaborazione nell'interesse del Paese.

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  LAPO PISTELLI, direttore per le relazioni internazionali di ENI. È difficile rispondere sulla collaborazione con una singola società che per noi è un contrattista. La nostra è un'azienda che fa circa 20 miliardi di procurato ogni anno, se non ricordo male, fa oltre 70 mila contratti l'anno. Più del 99 per cento di questi viene aggiudicato on-line, con centinaia di fornitori che si qualificano sul sito.
  Sinceramente, è una collaborazione importante. È una delle tantissime collaborazioni di Italia all'estero che ENI ha con queste società, che hanno sofferto più di altre negli ultimi anni il tema del basso valore della risorsa. Evidentemente, sono stati i primi a essere colpiti nella supply chain dell'industria dell'energia. Vantiamo, come azienda, la collaborazione con tutti i principali marchi, tutti i principali brand di tecnologie medie, alte, elevatissime, eccetera, in tutti i settori della ricerca e dello sviluppo. Quindi, considererei questo tipo di rapporto all'interno di questo generale basket di collaborazioni.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi, dichiaro chiusa l'audizione.
  Ringrazio il dottor Pistelli per questa opportunità.

  La seduta termina alle 10.

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