XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Mercoledì 5 agosto 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fassino Piero , Presidente ... 3 

Audizione della Viceministra degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Marina Sereni, sui recenti sviluppi della situazione in Libia, con riferimento anche ai fatti occorsi il 28 luglio 2020 (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento) :
Fassino Piero , Presidente ... 3 
Sereni Marina , Viceministra degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 3 
Fassino Piero , Presidente ... 7 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 7 
Palazzotto Erasmo (LeU)  ... 7 
Fassino Piero , Presidente ... 10 
Boldrini Laura (PD)  ... 10 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 11 
Cabras Pino (M5S)  ... 12 
Fassino Piero , Presidente ... 12 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 12 
Fassino Piero , Presidente ... 13 
Sereni Marina , Viceministra degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 14 
Fassino Piero , Presidente ... 17

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare: Misto-PP-AP.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PIERO FASSINO

  La seduta comincia alle 18.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione della Viceministra degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Marina Sereni, sui recenti sviluppi della situazione in Libia, con riferimento anche ai fatti occorsi il 28 luglio 2020.

  PRESIDENTE. La seduta di oggi è dedicata all'audizione della Viceministra Sereni sui recenti sviluppi della situazione in Libia con riferimento anche ai fatti occorsi il 28 luglio. L'occasio, la ragione per cui è stata richiesta questa audizione sono i fatti del 28 luglio, nel corso dei quali, come sappiamo, hanno trovato la morte tre profughi in uno scontro a fuoco, come poi sarà precisato, con forze di sicurezza libiche, però è evidente che l'episodio non può essere circoscritto in sé; in realtà, rientra in una situazione molto critica e difficile per la Libia e quindi con la Viceministra Sereni abbiamo convenuto questo: il suo intervento e poi la discussione parte da quegli episodi, ma allarga lo sguardo un po' ai più recenti avvenimenti che hanno investito la vicenda libica e alle dinamiche più recenti che stanno investendo quel teatro così critico. Io mi fermo qui e darei la parola alla Viceministra.

  MARINA SERENI, Viceministra degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie, presidente. Cari deputate e deputati, sono stata chiamata oggi, come ha appena detto il presidente, a riferire sui recenti sviluppi della situazione in Libia con particolare riferimento all'uccisione di tre migranti avvenuta il 28 luglio presso il porto di Al Khoms. Prima di soffermarmi con alcuni chiarimenti su questo tragico evento, vorrei quindi fornirvi una panoramica aggiornata sulla crisi libica dal punto di vista della situazione sul terreno, delle attuali priorità dell'azione italiana e delle prospettive del processo politico. In conclusione fornirò un aggiornamento sullo stato del negoziato in corso per la revisione del memorandum in materia migratoria del 2017, collocandolo nella cornice più ampia dell'impegno italiano in ambito migratorio.
  Desidero innanzitutto ribadire come la stabilizzazione duratura e sostenibile della Libia continui a rappresentare per l'Italia una priorità assoluta di politica estera e sicurezza nazionale. Si tratta di una condizione indispensabile per contrastare efficacemente, in collaborazione con le autorità libiche, la minaccia terroristica, prevenire flussi migratori irregolari e il traffico di esseri umani, oltre a tutelare gli interessi energetici e, più in generale, economico-commerciali del nostro Paese. Per queste ragioni, sin dall'inizio della crisi libica, l'Italia è sempre stata in prima linea nel sostegno internazionale agli sforzi delle Nazioni Unite per una soluzione politica alla crisi ancorata ai principi dell'unità, sovranità e integrità territoriale del Paese. La situazione sul terreno continua a essere estremamente complessa e delicata. A seguito della sostanziale normalizzazione dello Pag. 4scenario di sicurezza a Tripoli e in Tripolitania, l'attuale nuova linea del fronte si è stabilizzata presso le città di Sirte e Giufra, con le forze del Governo di Accordo Nazionale (GAN) schierate a 45 km a Ovest di Sirte mentre quelle dell'Esercito Nazionale Libico (LNA) concentrate a difesa della città costiera e della base aerea di Al Jufra, a 450 km più a Sud. Sebbene dal 18 giugno scorso non si siano registrati significativi scontri armati tra le parti, la situazione appare essersi cristallizzata in un equilibrio instabile, dove il progressivo e costante build-up militare di entrambi gli schieramenti lungo questa nuova linea di contatto desta molta preoccupazione.
  Questo massiccio riarmo, favorito dal continuo afflusso di armamenti e mercenari, soprattutto siriani, a sostegno delle forze del GAN e dell'LNA, fa pericolosamente aumentare il rischio di una nuova escalation, anche solo accidentale, o di automatismi difficilmente controllabili. Su questo quadro continuano a pesare le costanti interferenze provenienti dall'esterno, che contribuiscono a esacerbare gli animi delle parti in causa. Anche per questa ragione continuiamo a sostenere che tutte le interferenze esterne in Libia devono cessare immediatamente. Le perduranti violazioni dell'embargo sulle armi delle Nazioni Unite e la politica degli ultimatum allontanano la prospettiva di una soluzione politica alla crisi libica. In questo particolare ambito, l'operazione Irini rappresenta un utile strumento per garantire il rispetto dell'embargo sulle armi. L'Italia è stata tra i principali promotori dell'operazione e si sta fortemente impegnando affinché l'operazione sia bilanciata verso tutte le parti, oltre che funzionale al processo di Berlino. Voglio a questo proposito informarvi che finora Irini ha effettuato dieci segnalazioni al Comitato Sanzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, cinque attribuibili al GAN e cinque al LNA, a conferma della sua imparzialità. Allo stesso tempo, l'Italia ha insistito a livello europeo affinché l'operazione venisse dotata dei mezzi necessari a garantire la sua efficacia. Abbiamo dunque accolto con favore la recente decisione tedesca di fornire all'operazione una propria nave che a breve entrerà a far parte del dispositivo di Irini. Anche con riferimento alla fornitura di assetti alla missione, l'Italia è stata in prima linea e ha dotato Irini della nave ammiraglia, la nostra San Giorgio, senza considerare che l'Italia detiene, come sapete, il comando della missione e ne ospita il quartier generale. A fronte del sostanziale stallo della situazione sul terreno, la nostra azione in Libia persegue attualmente due obiettivi principali: il raggiungimento di un cessate il fuoco stabile e duraturo e la pronta riattivazione della produzione petrolifera.
  Per quanto riguarda il cessate il fuoco, in qualità di co-presidente del gruppo di lavoro sulla sicurezza dell'International Follow-up Committee, l'Italia è impegnata a favorire la prosecuzione dei negoziati della Commissione militare congiunta 5+5, riavviati lo scorso 10 giugno dalla missione delle Nazioni Unite in Libia, nella forma di proximity talks. I colloqui in seno a questo meccanismo previsto dalle conclusioni della Conferenza di Berlino sono attualmente concentrati sulla definizione di una linea di separazione tra le forze e sulla possibile istituzione di una zona cuscinetto o di un'area demilitarizzata. Il Governo di Accordo Nazionale ha formulato alla missione delle Nazioni Unite una proposta per la creazione di una zona demilitarizzata da Sirte a Ajdabija, includendo anche Giufra e la mezzaluna petrolifera. Nonostante l'opposizione espressa dell'LNA a tale proposta, nelle prossime settimane proseguiranno i negoziati per il raggiungimento di una soluzione di compromesso. Per parte nostra continuiamo a veicolare a tutte le parti libiche e internazionali inviti alla moderazione. Auspichiamo che i colloqui tra le due delegazioni possano riprendere il prima possibile, anche di persona, a Ginevra, al fine di scongiurare l'ipotesi che l'attuale linea del fronte diventi una linea di partizione di fatto del Paese.
  Con riguardo al secondo dei nostri obiettivi, cioè la ripresa della produzione petrolifera, mi preme sottolineare come il blocco abbia già arrecato ingenti danni all'economia, pari a due miliardi di dollari di perdite al mese, e al popolo libico. A ciò si Pag. 5aggiungono i danni alle infrastrutture, che richiedono una costante manutenzione per assicurarne l'efficienza. La pronta riattivazione della produzione petrolifera è quindi per l'Italia un'assoluta priorità. Siamo convinti che la ripresa delle attività estrattive potrebbe facilitare la ricostituzione di un clima di fiducia tra le parti e quindi il dialogo intra-libico anche in ambito politico e di sicurezza. In questa prospettiva abbiamo appreso con rammarico che l'annuncio del presidente della National Oil Company, Sanalla, sulla rimozione della condizione di forza maggiore per i terminali petroliferi non ha avuto risultati concreti a causa del rifiuto dell'LNA di riaprire i pozzi. Non possiamo, allo stesso tempo, ignorare che la ripresa della produzione petrolifera dovrebbe essere accompagnata da importanti progressi sulle questioni connesse all'equa ridistribuzione dei proventi e alle condizioni di sicurezza dei campi petroliferi. Siamo tuttavia consapevoli che entrambi questi aspetti potranno essere efficacemente affrontati solo nel contesto di una soluzione politica globale alla crisi libica.
  I due obiettivi sopra esposti, il cessate il fuoco e la ripresa della produzione del petrolio, non possono prescindere, in effetti, da concreti passi avanti nel processo politico a guida ONU, finalizzato all'individuazione di una soluzione politica intra-libica e inclusiva. Anche a questo riguardo l'Italia è impegnata in stretto coordinamento con i principali partner internazionali nell'individuazione di possibili iniziative che possano rivitalizzare il processo di Berlino. Il 23 luglio l'Italia ha preso parte a una nuova riunione plenaria a livello tecnico dell'International Follow-up Committee sulla Libia, co-presieduta dalla missione delle Nazioni Unite in Libia e dall'Unione europea. Inoltre, ci siamo fatti promotori di una riunione a livello di Alti funzionari del formato P3+4, cioè Stati Uniti, Regno Unito, Francia più Italia, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Germania. Stiamo lavorando, insieme ai Paesi membri del processo di Berlino, all'organizzazione di una nuova riunione a livello ministeriale dell'International Follow-up Committee, da tenersi non appena ve ne saranno le condizioni. Sul piano bilaterale, in questi ultimi mesi l'Italia ha mantenuto un'intensa interlocuzione ad alto livello con tutti i principali attori libici, come testimoniato dalla visita a Tripoli del Ministro Di Maio del 24 giugno e dal suo incontro a Roma con il presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Aghila Saleh, del 14 luglio. Nei contatti con tutte le controparti abbiamo costantemente auspicato un approccio propositivo che possa condurre a un compromesso politico per una stabilizzazione duratura del Paese, un dialogo che deve proseguire di pari passo con le discussioni sul cessate il fuoco.
  La soluzione politica non può prescindere, tuttavia, dalla pronta nomina del nuovo rappresentante speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite. Questo è il messaggio che abbiamo trasmesso a tutti i principali partner internazionali, sottolineando che tale figura è da troppo tempo vacante. Anche per questa ragione abbiamo accolto con favore la proposta americana di riformare l'attuale ruolo del rappresentante speciale creando un inviato speciale ad hoc con funzioni politiche a fianco di un rappresentante speciale tecnico incaricato di dirigere sul terreno UNSMIL (United Nations Support Mission in Libya). Attendiamo gli esiti di questa proposta.
  Vengo ora al tragico episodio accaduto lo scorso 28 luglio al porto di Al Khoms, un fatto grave che deve essere condannato con la massima fermezza. Secondo le ultime informazioni a nostra disposizione, la Guardia costiera avrebbe trasferito al porto di Al Khoms un gruppo di migranti dopo averli recuperati in mare e ne avrebbe affidato la custodia alle forze militari. Una volta giunti al porto, parte del gruppo avrebbe tentato la fuga verso la città e sarebbe seguita una colluttazione tra i militari e i migranti in fuga a seguito del tentativo dei migranti di disarmare i militari intenti a ostacolarne la fuga. I militari avrebbero quindi aperto il fuoco sparando prima in aria e successivamente in direzione dei fuggitivi, causando la morte di tre di essi. Sul gravissimo episodio è stata Pag. 6avviata un'indagine da parte delle competenti istanze giudiziarie libiche per accertare i fatti e portare davanti alla giustizia i responsabili, un'indagine che seguiamo con la massima attenzione. Nella cornice dell'impegno e dei principi che guidano l'azione italiana per la stabilizzazione della Libia, abbiamo avviato il negoziato per aggiornare il memorandum di intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all'immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere, firmato dall'allora Presidente del Consiglio Gentiloni e dal Presidente del Consiglio presidenziale libico, al Serraj, il 2 febbraio 2017. Su questo il Governo sta già interloquendo con il Parlamento e anche io personalmente ho avuto modo di discutere con voi di questo tema. L'esercizio di revisione si colloca in una fase di rilancio delle relazioni bilaterali tra Italia e Libia, che ha visto in un breve lasso di tempo una serie di incontri al più alto livello. Oltre alla già citata visita del Ministro Di Maio a Tripoli e l'incontro dello stesso Ministro con il presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Saleh, a Roma, desidero ricordare l'incontro del Presidente Conte con il Presidente Serraj a Roma del 27 giugno, la visita in Libia della Ministra Lamorgese del 16 luglio e la missione di oggi del Ministro Guerini a Tripoli. Questo percorso ha permesso di aggiungere un importante tassello al ventaglio di impegni italiani in Libia. Mi riferisco all'accoglimento della richiesta del Governo di Accordo Nazionale di assistere le autorità libiche nelle opere di sminamento delle aree periferiche della capitale, un impegno che riafferma ancora una volta il ruolo centrale dell'Italia nel dossier.
  Tornando al memorandum in materia migratoria, pur nella piena consapevolezza delle difficoltà dell'esercizio, abbiamo voluto intraprendere questo percorso di revisione con l'obiettivo ultimo di rinnovare l'intesa sulla base di alcuni principi sottolineati anche dal Parlamento con la risoluzione del 16 luglio scorso: primo, il miglioramento nel breve e medio termine delle condizioni dei migranti con l'obiettivo del progressivo superamento del sistema dei centri; secondo, il rafforzamento dello stato di diritto e della tutela dei diritti umani degli stessi migranti; terzo, il coinvolgimento delle Nazioni Unite, in particolare di UNHCR e OIM, nella gestione di migranti rifugiati e sfollati; quarto, il pieno e incondizionato accesso di operatori umanitari nei centri; quinto, il richiamo ripetuto ai diritti umani e al diritto internazionale; sesto, l'immediato rilascio dai centri di donne, bambini e altri individui vulnerabili. Si è svolta su queste basi, lo scorso 2 luglio, una riunione del Comitato misto italo-libico per una prima sessione negoziale. Abbiamo poi concluso una concertazione interministeriale grazie alla quale abbiamo elaborato una nuova bozza di memorandum. Il nostro ambasciatore a Tripoli riceverà nelle prossime ore indicazioni di sottoporre il nuovo testo alle autorità libiche per la prosecuzione del negoziato. L'esercizio di revisione del memorandum si colloca in una fase di importante ripresa dei flussi migratori verso l'Italia. I recenti sbarchi provenienti dalla Tunisia hanno riproposto con forza il tema del contrasto all'immigrazione irregolare. Anche per questa ragione abbiamo rinnovato la nostra esortazione all'Unione europea affinché aumenti il suo impegno al contrasto delle migrazioni irregolari facendone una sua priorità. Questo è il messaggio che il Ministro Di Maio ha veicolato all'Alto rappresentante Borrell e al Commissario per l'allargamento e la politica di vicinato, Varhelyi, durante i colloqui telefonici avvenuti il 3 agosto. Io stessa mi sono recata in visita a Bruxelles il 7 luglio, dove ho avuto un approfondito colloquio bilaterale anche su questi temi con il Commissario Varhelyi. A fianco di questa iniziativa portata avanti dall'Italia in ambito europeo, siamo in prima linea nell'azione internazionale tesa ad alleviare le sofferenze dei rifugiati, sfollati interni e migranti attualmente in Libia. L'Italia ha contribuito in maniera decisiva alle attività delle principali organizzazioni delle Nazioni Unite presenti sul terreno, in particolare finanziando i piani di OIM e UNHCR. Abbiamo inoltre reso possibile parte dei circa 50 mila rimpatri volontari assistiti di migranti effettuati dall'OIM dalla Pag. 7Libia verso i Paesi d'origine. Sosteniamo allo stesso tempo il recente piano d'azione congiunto di OIM e UNHCR con un contributo di 9 milioni di euro. Il piano permetterà la realizzazione di progetti di aiuto alle comunità locali e coesistenza pacifica con i migranti, di assistenza diretta ai migranti, ai rifugiati in contesti urbani, nonché di iniziative di capacity building in materia di diritti umani a favore delle istituzioni libiche.
  A testimonianza dell'impegno italiano, va ricordato che il nostro Paese è l'unico in Europa a effettuare evacuazione umanitaria dalla Libia. Dal 2017, in totale, 913 rifugiati sono stati evacuati verso l'Italia. Presidente, deputate e deputati, permettetemi in conclusione di sottolineare un punto. La crisi libica è e resterà molto complessa sotto il profilo securitario, energetico e di gestione dei flussi migratori. A quest'ultimo riguardo, la situazione è naturalmente molto lontana dagli standard internazionali che vorremmo fossero rispettati. L'azione dell'Italia deve tuttavia tener conto della grande complessità della crisi, da affrontare mantenendo fermi i nostri principi, ma aumentando allo stesso tempo il nostro impegno nell'interlocuzione con le autorità libiche. Solo attraverso una cooperazione più articolata che coinvolga costantemente l'Unione europea e le Nazioni Unite potremmo infatti contribuire a migliorare concretamente la situazione sul terreno, soprattutto con riguardo alla questione migratoria. Grazie.

  PRESIDENTE. Bene. Ringrazio la Viceministra per aver fatto una relazione ampia che ci consente quindi una discussione e una riflessione a tutto campo. Aveva chiesto la parola l'onorevole Formentini.

  PAOLO FORMENTINI. Grazie, presidente. Ho apprezzato la scelta della Viceministra Sereni di partire nell'analisi dal quadro generale sulla Libia per poi affrontare il fatto drammatico, che noi condanniamo con forza, dell'uccisione dei migranti il 28 luglio. Tra l'altro, l'ho già condannato anche a mezzo stampa; questo per non diminuirne l'importanza. Di fronte a dei morti noi diciamo che prima bisogna salvare le vite umane, esattamente come ha fatto Matteo Salvini quando è riuscito a chiudere la rotta del Mediterraneo centrale. Così non fa purtroppo la Ministra Bellanova con la propria sanatoria, perché questo invita povera gente a partire e poi morire nel Mediterraneo.
  Si è detto della Libia che abbia un equilibrio instabile. Noi siamo convinti che in Libia l'Italia ci debba essere e debba esserci di più. Quello a cui purtroppo oggi stiamo assistendo, invece, è un arretramento del nostro Paese, con qualche timido segnale, negli ultimi giorni, citato dalla Viceministra, di visite e di rapporti. Serve davvero fare di più. Come Lega abbiamo detto e ripetuto in ogni modo che la Libia è strategica per l'Italia per più motivi: per l'approvvigionamento energetico; per la sicurezza stessa del nostro Paese; per controllare quei flussi di migranti che, come ormai si è dimostrato, possono essere anche e sono stati anche un veicolo per i terroristi per arrivare nel nostro Paese. Ciò detto, la Libia oggi viene spartita di fatto tra Russia e Turchia, che non sono gli attori probabilmente più importanti, ma che appaiono essere i più importanti. Bene, cosa fare? Ieri si diceva, nel primo Ufficio di presidenza di questa Commissione, con la nuova presidenza Fassino, di riattivare e utilizzare con forza i canali della diplomazia parlamentare. A questa Commissione è pervenuta una lettera del Parlamento di Tobruk: questo potrebbe essere un esempio di utilizzo di quella diplomazia parlamentare, che riteniamo di estrema importanza strategica e addirittura rispondente alla difesa dell'interesse nazionale.
  Quindi chiederei di prendere contatti, di lavorare a livello di Commissione esteri, di Commissioni difesa, di tutte le Commissioni competenti e di Comitati. Roma e Tobruk cercano di stringere rapporti; contribuiamo anche noi a livello parlamentare. Da parte nostra c'è tutto il sostegno, se si deciderà di restare in Libia ed esserci con forza.

  ERASMO PALAZZOTTO. Signora Viceministra, io comprendo la centralità della questione libica per il nostro Paese e la Pag. 8rilevanza strategica che questa ha. Credo che a un certo punto noi dovremmo fare anche una riflessione un po' più approfondita sulla sequenza di errori, non solo da parte del nostro Paese, che si sono susseguiti su scala europea negli ultimi anni e che hanno portato alla condizione attuale. Da circa nove anni le nostre discussioni, il dibattito pubblico, il dibattito sulla politica estera si incentrano sulle strategie per la stabilizzazione della Libia: probabilmente bisognerà prendere atto che quelle strategie non hanno funzionato, perché altrimenti se qualcosa avesse funzionato non ci troveremmo in una situazione di questo tipo.
  La Libia è la fotografia più drammatica della crisi del processo di integrazione europeo. Lo è perché testimonia l'assenza di una visione strategica dell'Europa sul Mediterraneo e l'assenza di una posizione di politica estera comune. La causa principale dell'attuale situazione libica, che vede oggi sul terreno attori e potenze straniere che stanno sostanzialmente colonizzando quel Paese, che ormai è uno Stato tecnicamente fallito perché governato da entità che non sono autonome senza il supporto di potenze straniere, è di fatto il frutto di una politica estera che in questi anni ha visto potenze europee contendersi la Libia invece che cooperare per una stabilizzazione, che avrebbe favorito e migliorato le condizioni di stabilità in tutto il bacino mediterraneo. Questo è l'altro tema. I risvolti della questione libica hanno una rilevanza non di poco conto sul Mediterraneo, dove è in corso il più grande sconvolgimento geopolitico dall'ultimo secolo ad oggi. Abbiamo la presenza della Turchia che entra in Libia, ma che sostanzialmente ha mire egemoniche ed espansive su tutto il bacino del Mediterraneo; abbiamo la Russia che torna con prepotenza nel Mediterraneo militarizzando il bacino, installando basi militari. Non sono cose di poco conto quelle che sono successe negli ultimi anni, eppure sembra che vengano rimosse dal nostro dibattito politico, che è più interessato alle misure di corto respiro che servono a fronteggiare gli effetti di una condizione generale.
  Noi parliamo dei flussi migratori, ma non discutiamo mai di qual è la condizione per cui quei flussi migratori si manifestano in questo livello di drammaticità. Su questo io credo che dovremmo fare una riflessione aggiuntiva. Siamo davanti al fallimento della politica di esternalizzazione delle frontiere messe in campo su scala europea di cui l'Italia è stata avamposto, perché, da una parte, c'è stato l'accordo con la Turchia, che ha messo l'Europa sotto il ricatto di una figura abbastanza discutibile come Erdoğan, che usa i flussi migratori e il denaro che gli viene dato per contenere tali flussi come arma di ricatto. Corriamo il rischio che oggi quella stessa politica adottata con la Libia finisca ad avere per noi come controparte lo stesso Erdoğan e quindi a consegnare la gestione della frontiera sud, oltre che quella orientale, a Erdoğan. A me non è sfuggito il fatto che il Ministro Di Maio, per poter andare a Tripoli, sia dovuto andare il giorno prima ad Ankara. È un fatto politico, perché è chiaro che Ankara in questo momento ha un peso rilevante rispetto alla Libia. Noi siamo dovuti andare a chiedere il permesso per andare in Libia. Questo non è un fatto di poco conto rispetto al ruolo che l'Italia ha giocato fino a qualche anno fa e al peso di influenza che aveva rispetto al Governo Serraj, che oggi non c'è più, e a maggior ragione del fatto che non c'è più noi non siamo più in grado di garantire il rispetto delle scelte che quel Governo farà. Questo è un altro dato di fatto. Io vorrei che noi discutessimo di questo, perché altrimenti anche dentro questa Commissione facciamo una discussione che serve a posizionare i vari partiti. L'onorevole Formentini ci spiega che in Libia il problema sia dovuto alla Bellanova: io penso che i migranti in Libia non sappiano chi sia Bellanova. Poi, se vogliamo, discutiamo anche delle differenze tra i flussi migratori della Tunisia e della Libia, dell'origine e della natura di quei flussi migratori e anche delle politiche che vengono messe in campo, perché Libia e Tunisia non sono la stessa cosa e spesso, purtroppo, nel nostro dibattito si confondono. Pag. 9
  Lei oggi ci ha raccontato la versione dei libici su come sono andate le cose ad Al Khoms. Io la domanda che Le faccio è se questa è la versione del Governo italiano o se diamo per buona la versione dei libici, altrimenti anche qui c'è un altro tema di grande ipocrisia nostra. Noi continuiamo a fare riferimento alle Agenzie delle Nazioni Unite, ma la versione dell'OIM su quello che è accaduto nel porto di Al Khoms non è la stessa dei libici. Io voglio capire se il Governo italiano acquisisce come versione dei fatti quella dell'OIM o quella che viene fornita dal Governo libico, che è responsabile di quello che è accaduto. Non sarebbe la prima volta. Se si avesse la pazienza di ascoltare o di leggere i rapporti stessi delle Nazioni Unite, si scoprirebbe che quella è una prassi consolidata. Non è la prima volta che si spara sui migranti sbarcati perché quelle persone cercano di fuggire per non tornare nei centri dove vengono torturati.
  La mia domanda è: per quanto tempo vogliamo far finta di non vedere cosa sta accadendo? È chiaro che noi non abbiamo la soluzione in tasca per risolvere il problema, però anche qui la mia domanda è: qual è la valutazione che il Governo fa dei rapporti dell'OIM, delle Nazioni Unite e dell'UNHCR? Nell'ultimo rapporto fatto dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, Guterres, che in questo momento svolge le funzioni di Inviato Speciale, c'è un'analisi drammatica della questione che riguarda la gestione dei flussi migratori. Guterres dice che le autorità libiche non sono in grado in nessun modo di rispettare le condizioni minime che garantiscano i diritti umani e invita espressamente gli Stati membri dell'Unione europea a non favorire azioni di respingimento di migranti verso la Libia, che non può essere considerato un porto sicuro. Per dovere di chiarezza, io sono contento che noi abbiamo messo a disposizione quelle che sono anche delle competenze strategiche delle nostre forze di difesa, come lo sminamento a Tripoli, e che noi manteniamo una presenza in Libia che faccia parte anche della nostra classica vocazione al soft power rispetto alle politiche di difesa, ma quello è un altro tema. La missione di supporto alla Guardia costiera libica è fondamentale non perché addestriamo la Guardia costiera libica, perché non è una missione che serve all'addestramento. Il tema della missione di supporto alla Guardia costiera libica riguarda la nave della Marina italiana ancorata nel porto di Tripoli, che – come emerge dalle inchieste, alcune delle quali riguardano anche il sottoscritto –, coordina i soccorsi. Così li chiamano, ma sono catture e deportazioni dentro campi di concentramento, perché lì vengono portate le persone che vengono catturate in mare. Ci sono le intercettazioni, che sono pubbliche, della Centrale operativa della Guardia costiera che chiama la nave Capri ancorata nel porto di Tripoli dicendo di trovare qualcuno che li prendesse perché c'era una nave di un'ONG e non dovevano prenderli loro, mentre dei libici non si trovava nessuno perché in quel momento non c'era nessuno, perché non avevano nemmeno una struttura. Quindi, da questo punto di vista, ogni supporto alle azioni di respingimento – quindi neanche di addestramento, ma di respingimento – che noi facciamo si configura come una violazione del diritto internazionale.
  Questo Governo è nato – lo dico da esponente della maggioranza – all'insegna dell'idea di una discontinuità. Vorrei capire in che cosa si sostanzia la discontinuità rispetto al passato, perché ad oggi di quella discontinuità non se ne vede traccia e noi continuiamo a favorire una situazione in cui nel centro del Mediterraneo e subito sulla costa si sta perpetrando la più grande violazione sistemica dei diritti umani dalla seconda guerra mondiale ad oggi, a poche miglia dalle nostre coste, nella migliore delle ipotesi con la supervisione del nostro Governo, più in generale con l'osservazione e il coordinamento del nostro Governo e anche dei Governi europei. Io credo che questa situazione sia totalmente inaccettabile; sono pronto a discutere di qualsiasi soluzione alternativa, ma non di questo continuo rinviare a un ipotetico memorandum che, come abbiamo visto, è carta straccia. Lo era prima e continuerà a esserlo dopo. Non è che non c'erano i diritti umani nella versione precedente del memorandum; Pag. 10 semplicemente quella parte non è mai stata applicata perché non sono in grado di applicarla, perché non hanno il controllo. Mi perdoni, presidente, se sono stato a lungo, ma vorrei che il Governo oggi rispondesse rispetto a queste domande e si assumesse l'onere di aprire una discussione nella maggioranza su come invertire la rotta e su come trovare soluzioni alternative, perché altrimenti ci troviamo davanti a una situazione imbarazzante di assoluta continuità con tutto quello che ci ha preceduto.

  PRESIDENTE. Naturalmente io non metto limiti agli interventi. Chiedo a tutti soltanto di cercare di contenere l'intervento in tempi ragionevoli. Onorevole Boldrini.

  LAURA BOLDRINI. Grazie, signor presidente. Signora Viceministra, La ringrazio di essere qui, di averci parlato, di averci dato un aggiornamento, così come era stato richiesto, di quanto sta accadendo in Libia. Nell'ultimo anno io penso che in quel Paese sia successo qualcosa di enorme, di straordinariamente grave, di impensabile fino a poco tempo fa. Noi, oggi, sul terreno ci troviamo potenze della portata della Russia, della Turchia, che, come diceva il collega Palazzotto, sta allargandosi in un'azione egemonica in tutto il Mediterraneo. Non da ultimo – e forse vale la pena menzionarlo in questa nostra Commissione, signor presidente – il Parlamento egiziano ha deciso di inviare mezzi militari e uomini in Libia. Quindi voi vi rendete conto, colleghe e colleghi, che noi abbiamo davanti una situazione più che esplosiva, un teatro di guerra dove si giocano non solo le sorti del povero popolo libico, ma molto altro.
  A mio avviso, sembra che l'Europa non abbia una carta da giocare, sembra che l'Europa non sappia come giungere alla fine della guerra, sembra che non sappia come tenere insieme l'integrità territoriale della Libia e che non sappia neanche come avviare il processo democratico. Allora mi chiedo, e chiedo alla signora Viceministra, dove saranno decise le sorti di Tripoli; forse è più opportuno dire «della Libia», perché Tripoli non rappresenta oggi tutta la Libia? Dove saranno decise? A Mosca? Ad Ankara? Non lo so. Dubito che possano essere decise a Bruxelles. Questo ci crea un problema non da poco perché vuol dire che una zona, un'area geopolitica di primaria importanza, non solo per l'Europa, ma anche per il nostro Paese, è entrata nella sfera di influenza di altre potenze. Questo ci pone un tema, questo sì, di sicurezza. Il modo in cui noi stiamo guardando alla Libia, a mio avviso, non è un modo sufficientemente lungimirante. Negli ultimi anni la politica italiana verso la Libia è stata quasi sempre interpretata attraverso le lenti del contrasto all'immigrazione irregolare, costi quel che costi, con ogni mezzo, purché si faccia. C'è molto di più; la Libia è molto di più, rappresenta molto di più per noi e io ritengo un errore clamoroso quel «a qualsiasi costo», quel «purché il contrasto avvenga» senza prendere le distanze e condannare i metodi attraverso i quali questo avviene e sta avvenendo.
  Riguardo al memorandum of understanding, c'è una nuova bozza e questo mi fa piacere, ma il «superamento dei centri» di cui Lei parla vuol dire chiudere i centri, perché questa è l'unica cosa che si può fare. Quei centri di detenzione non si possono migliorare. Chi li migliora? L'UNHCR e le Nazioni Unite hanno detto che l'unica cosa da fare è chiuderli. Allora perché continuiamo a dire che quei centri devono andare sotto la supervisione di chi vuole chiuderli? Ma dico, stiamo scherzando? Quei centri possono solo essere chiusi. Perché il nostro Paese non si fa portabandiera di un'operazione politica per organizzare l'evacuazione umanitaria di chi vi è dentro e una distribuzione, come è stato fatto in passato, nel 2011 ad esempio, verso altri Paesi che possono offrire delle quote? Parliamo di poche migliaia di persone. Si può o non si può fare un'azione politica di questo genere? Cosa ci impedirebbe di dare seguito alle richieste delle Nazioni Unite, che non vogliono essere coinvolte nella gestione dei centri, perché quei centri non si possono migliorare? La tutela dei diritti umani è delegata alle autorità libiche Pag. 11? Ma facciamo sul serio o no? Io mi rivolgo anche al presidente, che su questa materia mi sembra essere sempre molto attento. Siamo fuori! Perché i migranti scappano via, una volta rintracciati in mare, e riportati al porto di Al Khoms o di qualsiasi altro porto? Perché erano detenuti nell'inferno e nessuno vuole tornare nell'inferno! Allora scappano, e per non farli scappare che cosa fa la Guardia costiera libica? Spara! È accettabile questo metodo? Certo che non lo è! Noi possiamo o no cambiare? Possiamo o no riconsiderare tutto questo?
  Io non dico di disinteressarci della Libia, io non ho mai detto di lasciare la Libia al proprio destino: sarebbe una cosa per me inconcepibile. Io dico di reindirizzare il nostro aiuto, di farne una cosa buona e giusta, di dare un senso anche etico alla nostra azione politica. C'è una società civile che sta male in quel Paese, hanno bisogno di tutto, c'è un processo di democratizzazione che non decolla, c'è una guerra, migliaia di sfollati interni. Perché non riconsideriamo il nostro modo di essere presenti in quel Paese, che oramai è dominio di tutti, dove si stanno facendo i big games e noi non ci siamo? Quel metodo non ha funzionato: prendiamone atto, cerchiamo di impostarne un altro. Non si può continuare in una coazione a ripetere. Parlo come persona che ha molto a cuore la stabilità del Mediterraneo. Capisco le responsabilità, so bene quanto sia difficile cambiare uno schema, ma se lo schema non si cambia non si arriverà mai a ottenere dei risultati. È dal 2011 che noi riproduciamo, in un modo autopoietico, lo stesso metodo che non funziona.
  Quindi, signora Viceministra, io spero veramente che ci sia una riconsiderazione di tutto questo e che noi arriviamo ad avere la capacità di proporre un metodo diverso e di fare in modo di non continuare sulla vecchia strada. Credo che si possa aiutare un Paese in un tempo così difficile, perché il COVID-19 ha colpito ovunque. Non ha colpito solo l'Italia, ma anche i Paesi della sponda sud, che sono precipitati nella disperazione più totale, perché lì non c'è la cassa integrazione. Quindi quando parliamo della Tunisia disperata io avrei molto piacere che si pensasse, eventualmente, a raddoppiare il contributo alla cooperazione, non a ricattare quel Paese se non ottempera alle richieste in materia di contrasto all'immigrazione irregolare. Vorrei che noi riuscissimo ad avere un progetto di medio e lungo termine e questo prevede che, se noi aiutiamo la Tunisia in un modo fattivo e costruttivo, va da sé che poi le persone non vogliano rischiare la vita in mare per trovare un futuro.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Io proverò a fare un intervento diverso rispetto a quello dei colleghi, cercando anche di evitare di pronunciare la parola «migranti» o «migrazioni». Siamo in Commissione esteri, il tema migratorio è un tema che ovviamente sta a cuore di tanti, ma è un «di cui» della grande questione libica, che è la questione dell'instabilità. Finché non si affronta politicamente, diplomaticamente, eventualmente militarmente la questione dell'instabilità libica, continuiamo a commentare i sintomi senza mai affrontare le cause.
  La mia è una considerazione di ordine generale. Sono cambiate molte cose in Libia dall'ultima volta che abbiamo avuto il Governo su questo tema. In particolare, veniva detto da qualche intervento precedente al mio che oggi l'Italia si affaccia alla finestra della Libia e, invece di incontrare il maresciallo Haftar e il generale Serraj, incontra la Turchia e la Russia, di fatto. Apprendo oggi che la Lega è molto attenta ai temi della Libia, ma questo fatto è avvenuto quando era Ministro degli Esteri una persona indicata dalla Lega, cioè il Ministro Moavero Milanesi, che nel momento in cui, ad aprile del 2019, il Generale Haftar è avanzato contro il Governo di Serraj, l'Italia, il nostro Paese, nonostante il fatto che dalle opposizioni venisse una pressante richiesta di manifestare sostegno al Governo di Serraj, in quell'occasione non disse nulla e fu lì che noi perdemmo la possibilità di occuparci della Libia. Quindi è interessante che da parte della Lega, oggi all'opposizione, arrivi questo tipo di sollecitazione quando prima, quando la Lega era al Governo con un Ministro indicato Pag. 12proprio da quel partito, questa cosa non è avvenuta.
  Detto questo, oggi ci sono Turchia e Russia; si aprono probabilmente per il nostro Paese alcuni spazi di carattere negoziale, di intervento, di presenza. Un primo spazio, che noi abbiamo colto, è quello sul tema dello sminamento, ma è solo uno di questi. Oggi si leggeva che una delle cose che è stata chiesta proprio in queste ore al Ministro Guerini è la riattivazione dell'ospedale di Misurata, con una presenza sanitaria anche in ambito di cooperazione. La domanda è semplice: quali altre iniziative ci sono perché noi torniamo a incunearci tra le due grandi potenze e a svolgere quel ruolo, che diceva prima il collega Palazzotto, di soft power che l'Italia ha sempre svolto in Libia e nel Mediterraneo? Una presenza dialogante? Un contributo positivo alla costruzione delle istituzioni? Un contributo alla creazione di presidi locali, di buon governo? Penso, ad esempio, alle iniziative che erano state avviate sui sindaci. Quali sono le tante iniziative che, immagino, il Ministro degli Esteri ha in corso o ha in mente dopo questi mesi un po' di ferma per il lockdown, per sostenere un avvio della Libia verso la stabilità? Lo sappiamo, è un processo lento. Il nostro Paese in alcuni casi dovrà accontentarsi, in altri casi dovrà fare pressione; dovrà esserci più di quello che c'è stato con il Governo precedente, ma quali sono le iniziative che sono in corso di preparazione?

  PINO CABRAS. Nel tentare di ricomporre il puzzle della vicenda libica, i termini sono sempre quelli, ma non sempre sono nuovi e non sempre sono validi, purtroppo. Ad esempio, la parte del puzzle che parte per il tentativo della Conferenza di Berlino adesso sconta una divaricazione che mi pare evidente fra i due soggetti forti dell'Unione europea, Francia e Germania, che hanno idee diverse sul futuro del Mediterraneo, anche idee confuse o idee che attingono alle loro rispettive tradizioni, anche quelle più lontane, ma che non sono molto adatte alla situazione di oggi.
  La Germania sta ricostruendo un rapporto particolare, ad esempio, con la Turchia, che deriva dalla sua storia. Più di cento anni fa c'era il tentativo di fare la famosa ferrovia Berlino-Baghdad ed era un elemento di continuità che doveva ricomporre due imperi in funzione anti-talassocratica, rafforzando un certo ruolo della massa eurasiatica. Sembra esserci un rimasuglio di questo in un ritorno attuale della Germania, che sta favorendo in qualche modo questo attivismo estremo della Turchia che deborda sino al Mediterraneo occidentale, non soltanto sulle coste greche. Questo è un problema, perché abbiamo visto che i francesi hanno reagito in modo molto assertivo, cosa che sta anche creando delle fibrillazioni inedite nella NATO. Quindi io vedo una divaricazione di interessi e una mancanza di prospettive di due soggetti forti che rimanda a un qualche ruolo nostro. Non vedo grande futuro sul lato Berlino per agire sulla vicenda della Libia, anche se qualcosa bisognerà farla, perché comunque gli investimenti necessari da parte dell'Unione europea sul lato africano serviranno sia per la partita dell'immigrazione sia per un più generale tentativo di stabilità.
  Noi non abbiamo molte armi a nostra disposizione, né reali né metaforiche, mentre altri soggetti le armi le usano e non c'è embargo che tenga in questa fase, perché continuano i flussi di armamenti e c'è un interventismo molto chiaro di vari Paesi. Sono cambiate alcune situazioni in campo. Ho sentito alcuni accenni sulla Russia. In realtà la Russia in questo momento sembra essere quasi un elemento di cuscinetto più che un attore che voglia favorire più di tanto un soggetto con cui invece era in rapporti, come Haftar. In una situazione di questo tipo quali prospettive ci sono? L'Italia può giocare un ruolo, ad esempio, per quel solvente universale degli accordi che è il petrolio? Potrebbe essere un elemento che mette d'accordo le parti affinché possano trovare una qualche composizione, anche se una parte di queste cose non si può dire sempre a voce alta; però, per la parte che si può dire, c'è un tentativo?

  PRESIDENTE. Formentini, prego.

  PAOLO FORMENTINI. Grazie, presidente. Voglio solo replicare brevemente. Io Pag. 13ho ascoltato con attenzione gli interventi di tutti i colleghi. Devo drammaticamente denunciare che quanto detto nell'intervento precedente probabilmente era qualcosa di troppo ottimistico, come visione, perché qui stiamo vedendo il dramma di un Paese che non ha una politica estera, ma, peggio, di una maggioranza che non ha nessun punto in comune sulla politica estera. Io ho ascoltato davvero con attenzione: il collega Cabras ci ha detto che non vede un grande futuro per Berlino; la collega Boldrini si è detta preoccupata sulla revisione del memorandum, non vedendo tempi certi, non vedendo un termine, ben capendo che comunque è un tema che si tiene vivo da tanto e che divide la maggioranza; la collega Quartapelle Procopio ha rivolto uno sterile attacco al Ministro Moavero Milanesi, che di tutto può essere accusato ma non certo di non essere un multilateralista convinto e di non aver sempre sostenuto il Governo di Tripoli con tutte le proprie forze, cosa che peraltro ha fatto, incontrandolo, anche il Ministro dell'interno dell'epoca, Matteo Salvini. È stata sempre chiarissima la posizione di quel Governo, che era esattamente la stessa di questo Governo, salvo poi, a fatti intervenuti, cambiarla in corsa, giustamente. Quindi qui davvero con tristezza devo dire: povera Italia, povera Libia, in che mani siamo!

  PRESIDENTE. Bene. Vorrei dire anche la mia, come membro della Commissione. Io penso che intanto noi dobbiamo avere presente che la Libia è, insieme alla Siria, il punto più critico, ma si tratta di una crisi che investe una fascia larghissima che va dallo Stretto di Hormuz allo Stretto di Gibilterra, perché dallo Stretto di Hormuz allo Stretto di Gibilterra è una sequenza di guerre (Yemen, Siria, Libia) o instabilità (Iraq, Libano, Algeria, Tunisia, Gibuti, il Corno d'Africa). Noi siamo di fronte a un intero scacchiere del grande Medio Oriente che è sottoposto a una tensione drammatica, al punto che addirittura nel dibattito c'è chi sostiene che tutto questo enorme sommovimento metta in discussione le identità statuali esistenti, metta in discussione gli accordi, le frontiere che furono definite allora, le identità nazionali; c'è chi sostiene che la Siria, in realtà, in quanto tale, come Stato non esiste e via di questo passo. Noi dobbiamo sapere che siamo di fronte a uno scenario davvero problematico, in cui noi abbiamo difficoltà, ma non vedo che altri Paesi siano in grado di gestirlo meglio.
  La Turchia può anche mandare i soldati: in Libia l'Italia i soldati non li può mandare, per ragioni del tutto evidenti, se non altro perché abbiamo un retaggio coloniale che ci pone dei vincoli, tanto per fare un esempio. Non è che tutti possono fare le stesse cose. Se l'Italia avesse deciso di fare quello che fa la Turchia, sarebbe insorto un problema gigantesco tra noi e i nostri partner europei. Non è così semplice. Io penso che noi dobbiamo avere presente che il quadro è drammaticamente sottosopra, messo sottosopra continuamente, sconvolto continuamente, e che la ricostruzione è molto complicata, perché non è la crisi di un Paese, ma è la crisi di un'intera area, e questa crisi di un'intera area ha messo in discussione gli assetti che per quasi un secolo hanno governato quest'area. Per un lungo periodo gli assetti di quest'area sono quelli che sono stati definiti intorno all'inizio del novecento e poi nuovamente dopo la seconda guerra mondiale eccetera, ma oggi noi siamo di fronte al fatto che c'è una crisi di sistema che investe un'intera fascia e rispetto alla quale le soluzioni non sono davvero semplici.
  Tra l'altro, non è solo una crisi politica, perché poi una delle cose che segna l'intera area è lo scontro tra sciiti e sunniti, quindi uno scontro anche di natura religiosa, di natura culturale. C'è uno scontro di egemonia, di leadership sull'area. È una crisi che ha molti aspetti. Pensiamo soltanto allo scontro tra Arabia Saudita e Iran, tanto per fare un esempio, alla dialettica tra Arabia Saudita ed Egitto per un ruolo di leadership. Nessuno avrebbe mai pensato, se non guardando questa crisi, che l'Arabia Saudita e alcuni Emirati avrebbero stabilito una relazione particolare con Israele come è avvenuto negli ultimi due anni. Questo è per dire come le cose sono drammaticamente in movimento e drammaticamente cambiate. Pag. 14
  Spesso si sente dire che l'Italia non fa, che l'Italia ha sbagliato, che l'Italia non ha una politica estera. È del tutto legittimo criticare quello che fa il nostro Paese e vedere anche le insufficienze, ma il problema è drammaticamente molto più grande. Non mi pare che la Francia in questo momento sia in grado di esercitare una funzione che aiuti a comporre questa crisi; neanche la Germania; l'Unione europea, per le difformità che ci sono dentro l'Unione, ha un'obiettiva difficoltà a essere un soggetto che esprima un'azione politica forte e unitaria; gli stessi Stati Uniti oscillano moltissimo, da una fase nella quale sembrava che non gli interessasse più quello che succedeva a una fase nella quale ritornano in campo.
  Io penso che dobbiamo avere consapevolezza della complessità. In questa complessità io penso che naturalmente l'Italia debba avere una politica assertiva e giocare un ruolo. Il ruolo che l'Italia sta cercando di esercitare è quello di lavorare in ogni modo perché si possa arrivare a delle soluzioni politiche di questi conflitti. Naturalmente viviamo tutti una contraddizione evidente: tutte le volte che scoppia una crisi la prima cosa che tutti diciamo è che la soluzione non è militare, ma è politica; poi andiamo a vedere quello che succede e l'unica cosa che succede sono le soluzioni militari. C'è una contraddizione drammatica. Tutti siamo convinti, ed è vero, che la soluzione non sia militare. Poi com'è che Assad ha riconquistato il controllo della Siria? Con le armi. Che cosa succede in Libia? Una guerra con le armi. Com'è che i curdi difendono la loro autonomia quando necessario? Con le armi. Com'è che la Turchia è intervenuta prima in Siria e poi in Libia? Con le armi. Tutti diciamo che la soluzione debba essere politica, ma poi la verità è che la soluzione politica non c'è, nel senso che c'è una fragilità della comunità internazionale a favorire processi politici e nell'assenza dei processi politici l'unica cosa che c'è sono i rapporti di forza, che sono affidati ovviamente allo strumento militare. È una constatazione drammatica, ma è così.
  Penso che la situazione sia obiettivamente molto complessa e che lo sforzo che fa l'Italia, dentro lo scacchiere così difficile, sia quello di favorire il più possibile la costruzione di condizioni che consentano l'apertura dei processi politici. Poi questo è naturalmente complicatissimo. Io capisco tutte le critiche che si possono fare a Serraj o ad altri attori. L'unica cosa che noi non possiamo pensare è che le leadership di questi Paesi – tanto più se diciamo che devono costruire delle soluzioni politiche – le scegliamo noi. Si fanno i conti con le leadership che ci sono, questo è il punto. Anche lì le leadership non sono univoche; spesso sono fragili, sono preda anche loro di un'influenza di varia natura e quindi la situazione è obiettivamente difficile anche da questo punto di vista. Detto questo, io penso che noi dobbiamo lavorare sulla linea che fin qui è stata perseguita. Io penso che la Viceministra Sereni abbia riassunto bene quello che è lo sforzo che il nostro Paese sta facendo, che però naturalmente deve fare i conti con una situazione molto complicata. Ci vuole un di più di assertività? Io ci sto anche a una affermazione di questo genere. Questa maggiore assertività, in primo luogo, io credo che la dobbiamo rivolgere verso l'Europa, rivendicando che l'Europa abbia una capacità di azione superiore a quella che ha avuto fin qui, questo certamente. Ci vuole una maggiore assertività nei confronti degli altri attori? Certamente, questo è sempre utile. Probabilmente poi dobbiamo sapere che un conto è chiedere, dichiarare, rivendicare e un altro conto è ottenere. Anche in questo bisogna avere il senso della complessità e della difficoltà. Detto questo, do la parola alla Viceministra.

  MARINA SERENI, Viceministra degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie, presidente. Io ringrazio tutti i deputati e le deputate che sono intervenuti. Naturalmente non è mia intenzione allargare ulteriormente il raggio della riflessione. Noi eravamo qui per fare un punto specifico sulla Libia e credo che tutti i colleghi abbiano ripreso e abbiano colto il tema che noi abbiamo posto come prioritario. Noi dobbiamo avere chiaro che c'è Pag. 15una situazione complessa e molto difficile. Da ultimo, il presidente dava conto di una cosa. La metto così: quando si spara, la politica è sempre più debole. Io sono convinta che per la Libia non ci sia una soluzione in termini di stabilità e di pacificazione attraverso le armi, ma è certo che quando parlano le armi la politica è più debole. È molto difficile far prevalere la soluzione politica quando ancora ci sono troppe armi e continuano a esserci troppe armi, perché pure in una situazione di sostanziale congelamento del conflitto noi stiamo assistendo, come ho già detto, a un build-up militare molto serio. Può essere che questo build-up militare preluda all'idea di mettersi in posizione di forza per trattare sul cessate il fuoco, ma può anche darsi – questa è la nostra preoccupazione – che questo riarmo possa a un certo punto portare a una nuova escalation.
  Parto da qui perché il tema della Libia non può essere sequestrato dalla questione migratoria, né in un senso né in un altro. Mi pare l'abbia detto la collega Quartapelle all'inizio del suo intervento. Non ci sarà una gestione efficace né sul versante umanitario né sul versante del contenimento dell'illegalità e del traffico di esseri umani. Non ci sarà una gestione efficace del tema migratorio se non ci sarà una Libia stabilizzata e pacificata. Fino a che c'è la guerra, fino a che c'è il conflitto, fino a che ci sono troppe armi, il tema migratorio sarà sempre fuori controllo, sia da un versante che dall'alto, sia dal versante dei diritti umani sia dal versante del controllo della lotta ai trafficanti di esseri umani. Non a caso avevamo cercato nell'informativa di mettere in evidenza che le nostre due priorità, il cessate il fuoco durevole e la ripresa della produzione del petrolio, con tutto quello che ne consegue, sono due priorità politiche che consentirebbero, se noi riuscissimo ad avere dei risultati concreti (stiamo lavorando per questo), avremmo anche uno spazio più ampio per una gestione diversa del fenomeno migratorio. Io insisto su questo punto.
  Si dà per scontato che non ci siano spazi di negoziato politico, che non ci sia spazio per ottenere il cessate il fuoco e per ottenere una sostanziale stabilizzazione della Libia che possa far riprendere un processo di dialogo. Siamo di fronte a un paradosso: anche in questo periodo molto complesso e di grande scontro militare, in realtà il filo del dialogo tra libici non si è mai interrotto. Io vorrei che questo fosse chiaro. È difficile, è debolissimo, è molto flebile, ma è singolare che noi che diciamo che non possiamo accettare una soluzione militare, che non possiamo accettare la partizione della Libia, e sottovalutiamo il fatto che comunque c'è un tentativo ancora in corso e che c'è, nonostante tutte le difficoltà, un flebile dialogo, per esempio, sul terreno della sicurezza, per esempio sul terreno delle riforme economiche, per esempio sulla riapertura dei pozzi e sulla distribuzione delle risorse. Non è tutto fermo. Questo mi preme di dire. Il follow-up che noi abbiamo ospitato del processo di Berlino significa qualcosa, significa che c'è una parte della comunità internazionale che, dopo aver affermato dei principi, dopo essersi presa degli impegni nella Conferenza di Berlino, continua ad alimentare quel percorso, non perché sia un'autostrada – è una strada molto impervia – ma perché, siccome ci crediamo, su quella strada molto impervia noi dobbiamo investire.
  Quindi mi permetto di dire che il lavoro incessante che l'Italia sta facendo, alcune volte più pubblicamente, altre volte più riservatamente, perché il processo che è stato definito a Berlino possa proseguire e riprendere anche con una maggiore efficacia è l'unica risposta che vedo al tema, che alcuni colleghi parlamentari hanno toccato, della presenza della Turchia e della Russia. Scusate, io non ho un'altra risposta. Come si fa a evitare che la Libia divenga un Paese sotto due sfere d'influenza, una turca e una russa? Facendo funzionare il processo di Berlino. Io non vedo un altro sistema per poter rendere la comunità internazionale nel suo insieme responsabile di un percorso che porta i libici – i libici – a dialogare tra di loro e a cercare delle soluzioni condivise. Noi abbiamo non casualmente parlato con tutti.
  Io vorrei dire all'onorevole Palazzotto che non abbiamo chiesto a Çavuşoğlu il Pag. 16permesso per andare a Tripoli. Non lo abbiamo chiesto perché non ne avevamo bisogno; noi andiamo a Tripoli tutte le volte che vogliamo. Abbiamo parlato non solo con tutti i libici sapendo che per noi il riferimento del GAN era il riferimento riconosciuto legittimamente dalle Nazioni Unite; abbiamo parlato con i Paesi limitrofi, abbiamo intrattenuto rapporti con il Marocco, abbiamo intrattenuto rapporti con l'Algeria, abbiamo intrattenuto rapporti con la Tunisia, abbiamo intrattenuto rapporti con l'Egitto e abbiamo parlato con tutti i Paesi limitrofi, perché ognuno di loro, alcuni con posizioni molto più in sintonia con noi, altri con posizioni più distanti, può giocare un ruolo in questa vicenda. In queste settimane, se avete letto le cronache, alcuni di loro hanno esercitato una funzione. Penso alle iniziative prese dal Marocco, per esempio. Noi abbiamo discusso con tutti gli attori della regione, abbiamo discusso con tutti gli attori più distanti dalla regione e mi pare che in questi ultimi mesi ci sia stata un'attivazione diversa. Abbiamo chiesto, per esempio, agli Stati Uniti di essere più presenti e in questa ultima fase della vicenda libica, anche per le preoccupazioni che gli Stati Uniti hanno nei confronti della presenza russa, c'è stata una riattivazione dell'iniziativa degli Stati Uniti rispetto alla vicenda libica. Abbiamo chiesto a Turchia e Russia, che hanno ovviamente un ruolo in questa situazione, di essere loro protagonisti del fatto di poter interrompere le ostilità e aprire una fase nuova. È difficile, certo che è difficile.
  L'Unità dell'Europa: la sintonia che noi abbiamo cercato di costruire insieme alla Germania tra i principali protagonisti europei, è una delle condizioni perché il processo di Berlino abbia un leader affinché tutti i principali Paesi europei vadano nella stessa direzione. Non è stato sempre così nel passato. Certo che, andando retrospettivamente, possiamo vedere qual è lo stato, la fragilità e l'errore dell'Europa nella crisi e nel conflitto libico, ma oggi noi possiamo dire che, nonostante le differenze, nonostante le sensibilità di alcuni Paesi europei diversi dal nostro, c'è una sostanziale consultazione continua di tutti i principali protagonisti europei e che oggi l'Europa può giocare in quello scenario un ruolo insieme alle Nazioni Unite. Per questo stiamo insistendo perché le Nazioni Unite possano trovare finalmente una soluzione e sostituire il rappresentante speciale del Segretario Generale anche con due figure con ruoli diversi, ma farlo rapidissimamente.
  In questo scenario, non ne avete più parlato, l'impegno dell'Italia in Libia ha tante sfaccettature. Una di queste si chiama «Irini». È l'inizio di una nuova missione di cui noi abbiamo la responsabilità della guida. Partecipano con assetti l'Italia, la Germania, la Polonia, il Lussemburgo, la Grecia, la Francia. Non è ancora pienamente operativa e noi dobbiamo fare in modo che sia pienamente operativa e che sia effettivamente imparziale, ma i primi atti e i primi momenti di operatività della missione Irini dimostrano che questo è possibile. Neanche qui vedo un'alternativa. Se non ci vogliamo arrendere alla logica secondo la quale comanda chi ci mette i mercenari e chi ci mette le armi in Libia, dobbiamo cercare di avere un'altra parte della comunità internazionale che invece si unisce su un altro principio, quello di denunciare e sanzionare chi viola l'embargo delle Nazioni Unite. Io lo so che, come ha detto il presidente Fassino, chi mette le armi ha un potere più evidente nelle situazioni di crisi e di conflitto, ma se vogliamo contrastare questa logica, l'unica altra logica è veramente cercare di fermare il traffico di armi. Io segnalo – lo ridico, anche se questo mi sembra sia stato un punto poco valutato – il fatto che, nel Comitato per la sicurezza 5+5 della discussione tra Est e Ovest, tra i libici ci sia in ballo una proposta di non solo cessate il fuoco, ma anche di zona cuscinetto e demilitarizzata. È di difficilissima realizzazione, ma è una novità di queste ultime settimane sulla quale io credo che ci sia necessità di lavorare.
  Faccio le ultime due considerazioni. Oltre al lavoro diplomatico, oltre a dialogare con tutti, oltre a fare un lavoro nelle pieghe in tutti i formati possibili che stanno cercando di realizzare i principi e Pag. 17le linee di Berlino e oltre a Irini, noi abbiamo altri due strumenti. Il primo è la questione della cooperazione. In questi anni abbiamo investito in Libia diverse risorse. Nel triennio 2017-2019 noi abbiamo impegnato 58 milioni per la parte Fondo Africa e 38,5 milioni per la parte cooperazione allo sviluppo in senso classico. Recentemente si sono riuniti gli organismi della legge sulla cooperazione allo sviluppo e hanno individuato altri strumenti e altre risorse nella programmazione dal 2020 in avanti. Ho fatto riferimento al programma congiunto OIM-UNHCR con i 9 milioni che noi abbiamo versato a questo programma congiunto perché è un lavoro che va a guardare alle comunità locali. Prima Quartapelle faceva riferimento a quel lavorio che avevamo iniziato in passato con le amministrazioni locali, con i sindaci eccetera. Questo programma ha questa caratteristica, cioè quella di lavorare con il territorio, quindi non solo con le grandi istituzioni. Infine, lo strumento del MOU sta dentro al mandato che noi abbiamo avuto dal Parlamento. Noi abbiamo avuto il mandato dal Parlamento di modificare il MOU il prima possibile, possibilmente entro l'anno. Mi pare di ricordare che è scritto così nella risoluzione. Lo stiamo facendo. Vi pregherei di non banalizzarlo, perché non è un negoziato facile. I nostri interlocutori libici non ci hanno detto e non ci stanno dicendo di sì su tutto. Questo significa che forse c'è qualcosa di più serio. Non è semplicemente una promessa; non è questione di firmare un impegno che poi può essere anche non attuato. È una trattativa vera. Abbiamo preso nota del fatto che ci sono delle differenze di posizione, anche sulla prospettiva, e noi abbiamo chiaro qual è la prospettiva, che mi pare largamente condivisa: superare il sistema attuale, superare il sistema dei centri. La Ministra Lamorgese, che si è recata da ultimo, nelle settimane scorse, a Tripoli, ha fatto riferimento nuovamente all'idea dei corridoi umanitari. Ovviamente adesso c'è un problema aggiuntivo che si chiama COVID-19, quindi dobbiamo lavorare dentro un contesto che è ulteriormente appesantito dalla vicenda della pandemia, però noi continueremo a lavorare anche per le evacuazioni umanitarie. Il nostro obiettivo è quello di rinegoziare le condizioni per gestire la situazione migratoria in Libia avendo come riferimento le nostre proposte del MOU e avendo come riferimento un impegno europeo, perché anche in questo caso noi possiamo e dobbiamo vedere un'evoluzione possibile di questa vicenda, che non è costruibile solo nel rapporto bilaterale tra Italia e Libia. Come per altre vicende analoghe, noi dobbiamo necessariamente costruire una risposta europea. Penso che in questa direzione il Parlamento debba continuare a essere informato. Per quanto riguarda il Ministero, noi siamo disponibili ovviamente a tenere informato il Parlamento sull'evoluzione e sui passaggi successivi di questo negoziato che è in corso, però non lo vorrei banalizzare, perché penso che sia uno sforzo che nella fase attuale, senza pretendere di risolvere tutto, significhi una concreta modifica delle condizioni di lavoro da cui noi siamo partiti.
  Noi siamo partiti dalla vicenda specifica dell'uccisione di alcuni migranti; non possiamo accettare che questo accada come regolarità. Prima l'onorevole Palazzotto chiedeva se eravamo informati direttamente o se si trattava della fonte dei libici. La prego di credere che è la versione della nostra Ambasciata, che ha fatto verifiche su più fonti. È chiaro che è la versione che riusciamo ad avere, ma stando sul terreno; quindi è una versione che la nostra ambasciata ha messo per iscritto avendo verificato e valutato più fonti. Siamo tutti d'accordo che quegli episodi non sono accettabili, che non si può mantenere quel tipo di situazione. Per superare quel tipo di situazione, però, non vediamo alternative al fatto di proseguire nell'interlocuzione con i libici cercando di ottenere anche dall'Europa un atteggiamento e un'attenzione diversa.

  PRESIDENTE. Bene. Mi pare sia stata una discussione ampia e anche utile, di cui probabilmente si terrà conto nel continuare la riflessione su questi temi, perché questo è un tema che sta permanentemente Pag. 18nella nostra agenda. Ringrazio la Viceministra, ringrazio tutti i membri della Commissione. Ricordo che domani alle ore 9, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle interferenze straniere, c'è l'audizione del professor Lovisolo. Grazie, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 19.25.