XVIII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Mercoledì 30 settembre 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Perantoni Mario , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 2435 GOVERNO, RECANTE DELEGA AL GOVERNO PER L'EFFICIENZA DEL PROCESSO PENALE E DISPOSIZIONI PER LA CELERE DEFINIZIONE DEI PROCEDIMENTI GIUDIZIARI PENDENTI PRESSO LE CORTI D'APPELLO

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati.
Perantoni Mario , Presidente ... 3 
Poniz Luca , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 3 
Perantoni Mario , Presidente ... 8 
Caputo Giuliano , Segretario generale dell'Associazione Nazionale Magistrati ... 8 
Perantoni Mario , Presidente ... 10 
Vitiello Catello (IV)  ... 11 
Perantoni Mario , Presidente ... 12 
Vitiello Catello (IV)  ... 12 
Perantoni Mario , Presidente ... 12 
Vitiello Catello (IV)  ... 12 
Perantoni Mario , Presidente ... 13 
Bartolozzi Giusi (FI)  ... 13 
Perantoni Mario , Presidente ... 13 
Paolini Luca Rodolfo (LEGA)  ... 14 
Perantoni Mario , Presidente ... 14 
Zanettin Pierantonio (FI)  ... 14 
Perantoni Mario , Presidente ... 15 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 15 
Perantoni Mario , Presidente ... 16 
Giuliano Carla (M5S)  ... 16 
Perantoni Mario , Presidente ... 16 
Poniz Luca , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 16 
Perantoni Mario , Presidente ... 19 
Caputo Giuliano , Segretario generale dell'Associazione Nazionale Magistrati ... 19 
Perantoni Mario , Presidente ... 20 
Poniz Luca , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 21 
Perantoni Mario , Presidente ... 21 

Audizione di Federico Cafiero De Raho, Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo:
Perantoni Mario , Presidente ... 21 
Cafiero de Raho Federico , Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo ... 21 
Perantoni Mario , Presidente ... 28 
Vitiello Catello (IV)  ... 28 
Perantoni Mario , Presidente ... 29 
Giuliano Carla (M5S)  ... 29 
Cafiero de Raho Federico , Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo ... 29 
Giuliano Carla (M5S)  ... 29 
Perantoni Mario , Presidente ... 29 
Paolini Luca Rodolfo (LEGA)  ... 29 
Perantoni Mario , Presidente ... 30 
Cafiero de Raho Federico , Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo ... 30 
Perantoni Mario , Presidente ... 32 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo, Federico Cafiero De Raho ... 33

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare: Misto-PP-AP.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARIO PERANTONI

  La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge C. 2435 Governo, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello, di Luca Poniz, Presidente, e Giuliano Caputo, Segretario generale, rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati (ANM).
  Ringrazio gli auditi per aver accolto l'invito della Commissione e chiedo loro cortesemente di calibrare l'intervento in modo tale da dare spazio ai quesiti che vorranno essere rivolti dai commissari, cui seguirà la replica degli auditi che potranno inviare, qualora non avessero già provveduto in merito, un documento scritto alla segreteria della Commissione. Tale documentazione, in assenza di obiezioni, sarà pubblicata sul sito Internet della Camera dei deputati e resa disponibile ai deputati stessi attraverso l'applicazione GeoCamera. Do quindi la parola a Luca Poniz e a Giuliano Caputo, rispettivamente Presidente e Segretario generale dell'Associazione nazionale magistrati. Prego.

  LUCA PONIZ, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Grazie, presidente. Siamo noi a ringraziare per questo invito. Mi scuso per aver chiesto un differimento della precedente audizione, ma purtroppo il calendario di un processo non negoziabile mi ha impedito di essere presente in quell'occasione.
  Siamo molto contenti di essere presenti per poter portare anche qui il contributo di elaborazione che avevamo già fornito nella fase istruttoria di questo disegno di legge, quando il signor Ministro della giustizia ha attivato i tavoli di confronto tra le parti, sia interloquendo con gli altri soggetti sia avanzando proposte, che sono pubblicate sul nostro sito.
  Il collega Caputo integrerà il mio intervento con le parti che avrò lasciato al suo approfondimento. Mi sia consentita qualche annotazione preliminare di metodo sul processo su cui il disegno di legge si propone di intervenire.
  Il nostro è un modello di processo accusatorio, come è ben noto anche ai tanti professionisti e avvocati presenti, che pone un problema di relazione tra il modello astratto e la sua risposta in termini di efficienza. I numeri del caso italiano, peraltro implicitamente citati in molti passaggi della relazione di accompagnamento al disegno di legge, riguardano le indagini preliminari e quindi i numeri dei procedimenti pendenti, il dibattimento di primo grado, il giudizio d'appello, il giudizio di Cassazione, tra di loro intimamente legati al modello delle impugnazioni. Essi sono non a caso citati nella relazione di accompagnamento perché spiegano un'anomalia assoluta del modello italiano. Pag. 4
  A fronte di un modello di processo accusatorio notoriamente caratterizzato da oralità, immediatezza e concentrazione, i nostri numeri dicono in maniera molto chiara che, paragonati con qualsiasi altro modello processuale vigente in Paesi ispirati a questa tradizione, essi sono incomparabili e forniscono naturalmente già una prima indicazione sul versante dell'efficienza e quindi della risposta di giustizia alle attese dei cittadini.
  Tutti sappiamo che i citati requisiti di funzionamento del processo accusatorio inteso come modello astratto esigono di essere calati nella realtà. Il modello di dibattimento accusatorio, che noi pensiamo come quello che realizza al meglio le garanzie del processo penale (le garanzie di rapporto tra accusa e difesa, la partecipazione consapevole dell'imputato, le garanzie di partecipazione del difensore, l'immediatezza e la concentrazione), esige numeri assolutamente diversi da quelli che il nostro sistema invece oggi contempla.
  Perché partiamo apparentemente così da lontano? Perché queste annotazioni, se sono condivise – e mi sembra che lo siano, come è implicito nella relazione di accompagnamento al disegno di legge –, devono naturalmente indurre a soluzioni processuali diverse da quelle che fino a oggi abbiamo adottato. Infatti, dalle analisi dei dati che accompagnano il disegno di legge nonché di quelli che potremmo in ogni momento portare noi, si ricava che i numeri sui procedimenti, cioè su quelli che pendono presso le procure della Repubblica – che naturalmente sono destinati poi ad arrivare al giudice per le indagini preliminari o con l'esercizio dell'azione penale o con l'archiviazione –, sono numeri che in assoluto non sono assorbibili dal sistema e che abbisognano di soluzioni già nella costruzione del sistema penale: quindi, con riguardo alla quantità di illeciti penali, alle condizioni di procedibilità, ma naturalmente anche alle clausole di deflazione del sistema, come per esempio ad una clausola di irrilevanza del fatto penale quando nella sua concretezza esso assume una marginalità, per esempio, nell'offensività, modificando l'istituto della tenuità – che non ha funzionato bene fino ad oggi – e naturalmente mettendo nelle mani del giudice, in quel caso del giudice per le indagini preliminari, uno strumento di valutazione della rilevanza concreta del fatto.
  Quindi, con riguardo al contenuto del disegno di legge, valutiamo positivamente l'ampliamento della procedibilità a querela di alcuni reati, nonché la modifica di alcune condizioni di procedibilità; ma naturalmente rispetto all'obiettivo ciò appare insufficiente, come da molto tempo la scienza penalistica sostiene. È proprio il sistema penale nel suo insieme che andrebbe ripensato.
  Venendo più da vicino all'intervento del legislatore, per quanto riguarda i processi – quindi non parliamo più di soluzioni ideali astratte, ma di quello con cui ci misuriamo oggi – è del tutto evidente che il sistema funziona se vi è un'alternativa al dibattimento. E ciò è collegato al modello del processo accusatorio che qui abbiamo brevemente riassunto. L'alternativa, naturalmente oltre all'archiviazione nei casi in cui ricorrono i presupposti, non può che essere quella dei riti speciali, che come noto sono chiamati sinteticamente rito abbreviato e patteggiamento, cioè applicazione di pena nel corso delle indagini o nel dibattimento, che sono le alternative all'esercizio dell'azione penale davanti al giudice.
  Questi riti costituiscono il fondamento imprescindibile perché il processo accusatorio funzioni, e funzioni con le finalità che gli sono proprie. A nostro modo di vedere è errato censurarne l'applicazione e l'ampliamento – e dunque questo disegno di legge bene fa –, scambiando le finalità proprie di questi riti con la pretesa del venir meno agli obiettivi securitari che non sono propri del processo penale.
  I riti alternativi non sono una svendita della giurisdizione penale; sono una fisiologica e irrinunciabile alternativa al dibattimento penale. Naturalmente vanno contemperati, vanno soppesati i presupposti applicativi, va valutato da parte del legislatore, cioè da parte del Parlamento che è sovrano in questa valutazione discrezionale, fino a quali fattispecie possiamo arrivare; Pag. 5 ma è del tutto evidente – questo non lo diciamo solo noi, lo dice la scienza processualistica da anni – che questa è l'unica alternativa possibile perché il processo come noi lo concepiamo funzioni, nel momento in cui deve fisiologicamente arrivare a dibattimento.
  Anche in questa direzione l'Associazione nazionale magistrati, coerentemente peraltro con le proposte che già all'epoca il Ministro aveva esposto, ritiene assolutamente corretto l'ampliamento dei presupposti applicativi del patteggiamento cosiddetto «allargato» e del rito abbreviato e la rivisitazione della condizione che può essere apposta in caso di richieste unilaterali da parte dell'imputato.
  L'Associazione aveva anche proposto – e qui sarà abbastanza logico capirne la ragione in relazione alla premessa che ho fatto – un'ulteriore incentivazione al ricorso al patteggiamento nelle indagini preliminari, cioè prima che si arrivi al giudice dell'udienza preliminare. Questo per una finalità di deflazione della stessa indagine, a maggior ragione se, come abbiamo letto, vi sono ipotesi di discovery obbligatorie alla scadenza delle indagini preliminari che, come illustreremo, ci vedono allo stato in disaccordo ma che, se passeranno, a maggior ragione imporrebbero la soluzione di un patteggiamento allargato ancora più ampio nel corso delle indagini preliminari.
  La soluzione proposta nel disegno di legge ci vede da questo punto di vista favorevoli. D'altra parte ricorderanno i signori deputati che, anche nelle audizioni precedentemente svolte presso questo consesso da chi mi ha preceduto, l'Associazione nazionale magistrati aveva espresso un analitico e motivato dissenso rispetto al venir meno del rito abbreviato per i reati puniti con l'ergastolo.
  Per le ragioni che abbiamo più volte illustrato conosciamo le ragioni di quella modifica normativa, ma abbiamo illustrato le conseguenze negative che secondo noi si sono prodotte e si produrranno nel sistema da qui a venire.
  Ciò che ci permettiamo di rappresentare qui oggi e di portare alla vostra attenzione è stato naturalmente oggetto di discussioni con le controparti, con gli avvocati e i rappresentanti dell'avvocatura. Lo abbiamo fatto davanti al Ministro della giustizia. Ognuno di noi ha portato la propria visione e, direi, la propria esperienza. Naturalmente ognuno di noi ha una propria esperienza professionale e da questo punto di vista privilegiamo le implicazioni che noi vediamo dal nostro lato, ma abbiamo piena sensibilità delle ragioni e delle osservazioni che provengono dal mondo forense e cercheremo sempre di fare proposte che siano in equilibrio tra le contrapposte esigenze che dentro il processo penale da sempre militano. Il testo di legge è molto complesso e naturalmente ci riserveremo poi anche di aggiungere a queste nostre annotazioni orali delle considerazioni scritte. Un'analisi istituto per istituto ci condurrebbe a sera. Ci vede però molto favorevoli la rigorosa e, direi, dettagliata modifica della disciplina delle notifiche, che sono il cuore del procedimento del processo penale.
  Chiunque abbia fatto l'avvocato o il magistrato sa benissimo che è a causa di una notifica imperfetta o errata che può saltare un intero sistema processuale e può saltare addirittura davanti al giudizio di cassazione; sicché rendere certa e contemporaneamente garantita questa fase è un'esigenza che non possiamo che ritenere condivisibile, considerato poi che la tecnologia nel frattempo ci ha offerto dei sistemi di prova del perfezionamento della notifica, anche con modalità telematica, che dovrebbe risolvere ogni dubbio di garanzia effettiva di un atto fondamentale del procedimento del processo penale.
  Chi ha partecipato alle nostre precedenti audizioni sa, perché l'abbiamo già argomentata - e riconosco, benché mascherati, i volti che ho già incontrato in quelle occasioni – qual è la posizione dell'Associazione nazionale magistrati in materia di prescrizione. Tutti sappiamo che la normativa è già stata modificata con l'interruzione della prescrizione alla pronuncia di una sentenza di primo grado. Avrete avuto modo di sapere, perché questo lo abbiamo detto, che l'Associazione nazionale magistrati aveva già nella propria interlocuzione Pag. 6evidenziato l'irragionevolezza di una non distinzione tra la sentenza di condanna e la sentenza di assoluzione.
  Quanto agli effetti interruttivi della prescrizione notiamo, con favore dal punto di vista della coerenza con il sistema per come noi lo riteniamo garantito, che si introduce una correzione della citata previsione e che oggi si modifica la disciplina già entrata in vigore, ritornando alla proposta che noi avevamo fatto, cioè all'interruzione della prescrizione sì, ma con una sentenza di condanna, differenziando naturalmente gli effetti di quella di condanna da quella di assoluzione, perché sono intimamente diversi nelle manifestazioni della volontà punitiva dello Stato.
  Ci sono poi soluzioni che ci vedono favorevoli. Alcune sono corrispondenti a proposte che noi avevamo fatto, ma di queste va sottolineata l'implicazione ordinamentale e organizzativa senza la quale la modificazione rischia di essere foriera di pregiudizi. Sto riferendomi soprattutto all'udienza preliminare, che è una funzione e un momento essenziale del procedimento penale. L'auspicio che la stessa assolva a una funzione di filtro ha insieme una duplice finalità: una finalità deflattiva del sistema rispetto alla proiezione nel dibattimento e quindi nel prosieguo del procedimento penale, ma anche una funzione di garanzia. Il processo è un costo per chi lo subisce, non soltanto per chi lo celebra; è un costo per gli imputati e naturalmente per coloro che imputati non vorrebbero diventarlo, visto che in quel momento sono ancora in una fase di valutazione della propria posizione processuale.
  Sicché l'ampliamento del potere valutativo del giudice dell'udienza preliminare affinché effettui una prognosi difficile da compiere, allargata rispetto a quella attualmente prevista, è una finalità utile ed è una previsione che ci convince, a condizione però di sapere che questa, insieme all'allargamento della platea applicativa dei riti alternativi, mette il giudice per le indagini preliminari, che diventerà giudice dell'udienza preliminare in quel caso, in una condizione di iper-lavoro.
  Quindi l'ufficio sarà gravato da una serie di aumenti dei compiti anche valutativi, e questo dovrà naturalmente comportare la revisione della distribuzione e dei numeri dei giudici delle indagini preliminari e dell'udienza preliminare in relazione ai giudici del dibattimento; altrimenti naturalmente il compito di questo giudice titolare di un potere davvero importante diventa inesigibile soggettivamente. La stessa valutazione dell'implicazione organizzativa, che è implicita nella proposta di riforma processuale, riguarda il giudizio d'appello, che è il vero punto critico del nostro ordinamento processuale, molto più del giudizio di primo grado dove in alcuni tribunali il tempo di definizione dei procedimenti anche dibattimentali è ragionevolmente contenuto e progressivamente sempre maggiormente assorbito.
  È proprio in previsione e in considerazione della difficoltà in cui versano le corti d'appello, nella quale noi vediamo il precipitato anche di un uso potenzialmente strumentale delle impugnazioni, che vanno pensate le misure. Questo non perché l'appello sia naturalmente inutile; l'appello è utilissimo, a condizione che assolva a una funzione di difesa nel processo e non di difesa dal processo.
  Per farlo, come saprete, noi avevamo ritenuto di accompagnare alla modifica della prescrizione, quindi alla modifica della sua struttura, anche la reintroduzione – anzi, in questo caso sarebbe l'introduzione – di modifiche al divieto di reformatio in peius nonché la rivisitazione della struttura del processo d'appello, con la quale noi abbiamo ritenuto che, a fronte della celebrazione di un dibattimento di primo grado con rito monocratico, sia naturalmente sensata la previsione di un giudizio d'appello identicamente monocratico.
  Questo però, mentre libera giudici del collegio dal dover fare i ritiri collegiali, mettendoli nelle condizioni di moltiplicare le udienze rendendole monocratiche, implica anche la consapevolezza delle risorse che devono essere disponibili per i giudici d'appello. Tutti loro, tra i quali avvocati che possono aver frequentato le corti d'appello, conoscono bene le difficoltà in cui versano Pag. 7le corti con riguardo alla stessa possibilità di celebrare le udienze. Ci può essere assenza di aule e di cancellieri. Può sembrare una considerazione banale rispetto ai principi generali di cui parliamo oggi, però senza i cancellieri le udienze non si fanno.
  Io e il dottor Caputo abbiamo sempre operato nel giudizio di primo grado e quindi abbiamo una maggiore consapevolezza delle difficoltà in cui versa, ma naturalmente abbiamo sentito i colleghi delle corti d'appello. È molto utile la previsione dell'ampliamento dell'udienza cosiddetta «camerale». L'udienza camerale è quella nella quale la partecipazione delle parti non è richiesta, per ragioni che hanno a che fare con la struttura stessa dell'appello che si è chiesto.
  È giusto che, se si discute solo in punto di pena o in punto di diritto, la partecipazione dell'imputato sia eventuale, quando non esclusa, perché presiede questo delicato momento il suo difensore tecnico, che è quello che porterà all'attenzione dei giudici la questione sollevata con l'atto di impugnazione.
  Ho molti altri aspetti da affrontare, ma vorrei dare la parola al dottor Caputo, che illustrerà una questione che ci sta particolarmente a cuore, e naturalmente voglio essere a disposizione per le vostre osservazioni.
  È interessante l'ipotesi dell'udienza filtro congegnata nel giudizio di primo grado. Come molti di loro sapranno, l'udienza filtro è figlia delle esperienze di tribunali di grandi dimensioni che, proprio per organizzare meglio la cadenza delle udienze – quindi per non sprecare tempo, non convocare inutilmente testimoni a un'udienza che non si celebrerà, e via dicendo –, hanno immaginato due segmenti, uno dei quali è costituito da un'udienza nella quale si dedica attenzione alle questioni preliminari, all'eccezione delle parti, a eventuali questioni di nullità, a trasferimenti di competenze e ai riti alternativi.
  Questo è avvenuto normalmente attraverso l'organizzazione degli stessi tribunali. Io ho il piacere di portare l'esperienza milanese. Credo che tale concezione sia nata già nella vecchia pretura di Milano, e questo ha funzionato. Oggi vedo che la soluzione è istituzionalizzata; ma non credo sia presente, in una disciplina senza troppi dettagli, la consapevolezza che ciò non può avvenire in tutti i tribunali senza, anche in questo caso, un adeguamento di organico, perché naturalmente si creano incompatibilità tra i giudici nonché difficoltà di organizzazione che nei tribunali piccoli potrebbero essere esiziali.
  Quindi, mi limito allo stato a richiamare l'attenzione sulle implicazioni ordinamentali, senza le quali questa riforma, pur astrattamente congegnata con finalità interessanti, rischia di diventare foriera di disfunzioni soprattutto nei tribunali medio piccoli o piccolissimi, dove i giudici a disposizione sono veramente pochi e c'è una rigida disciplina delle incompatibilità. Molti sono, dunque, gli aspetti che condividiamo e di cui apprezziamo lo spirito e la finalità, che secondo me non può che essere condivisa da tutti gli operatori del sistema. Siamo consapevoli che vi possono essere delle visioni diverse. Naturalmente il processo penale non è un luogo neutro, non è uno schema esclusivamente tecnico; dentro vi sono principi e valori che si confrontano e rispetto ai quali bisogna trovare soluzioni di equilibrio.
  Quello che non riteniamo accettabile – lo anticipo, e lo argomenterà meglio il collega – riguarda due aspetti. Il primo è relativo alla rigida predeterminazione delle indagini preliminari, che in alcuni casi si traduce in una scadenza anticipata rispetto ai segmenti attuali, di cui comprendiamo le esigenze di garanzia ma i cui meccanismi di regolamentazione hanno conseguenze paradossali: la discovery obbligatoria alla fine di una scadenza non più prorogabile ha i guasti che il collega illustrerà, e la previsione di una sanzione collegata al mancato adempimento delle conseguenze processuali in capo al magistrato, in questo caso al pubblico ministero, muove da un presupposto sbagliato.
  È vero che il pubblico ministero è il titolare dell'indagine, ma non la fa da sé; dispone di mezzi che alcune volte sono esterni rispetto a quelli della polizia giudiziaria. La previsione di questa strana figura Pag. 8di ulteriore illecito disciplinare – che già il sistema conosce – quale è l'inescusabile negligenza mette il pubblico ministero nel timore non soltanto della sanzione, ma anche dell'incolpazione, e rischia secondo noi di creare una giurisdizione difensiva, come noi la chiamiamo.
  Noi stessi che facciamo i pubblici ministeri sappiamo che il rischio, pur di rispettare formalmente la scadenza, sarà quello di scegliere non la soluzione processuale più giusta, ma quella procedimentalmente più garantista per sé; e questo è un rischio che io vi evidenzio, perché la magistratura associata ha sempre espresso la propria ferma contrarietà. L'abbiamo fatto in modo argomentato anche di fronte al Ministro della giustizia, nelle occasioni in cui abbiamo avuto modo di parlargli.
  Se mi è consentito, cederei la parola al dottor Caputo per le ulteriori osservazioni su questo punto. Naturalmente, nel ringraziarvi per l'attenzione, rimango a vostra disposizione.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Poniz. Dottor Caputo, prego.

  GIULIANO CAPUTO, Segretario generale dell'Associazione Nazionale Magistrati, Innanzitutto vi ringrazio anche io per questa occasione di confronto. Il Presidente Poniz l'ha illustrato bene: questo è un testo frutto di un confronto costante tra avvocatura e tecnici del Ministero, con la partecipazione dello stesso Ministro della giustizia e della magistratura. Quindi su alcuni dei punti che vi ha illustrato il Presidente Poniz c'è pieno consenso da parte della magistratura; su altri c'è pieno consenso da parte della magistratura e dell'avvocatura. È frutto comunque di un confronto. Però, per cercare di contestualizzare e dare una visione sistematica di questo testo, bisogna ripercorrere il modo in cui si è venuto progressivamente formando.
  L'ultima audizione del Presidente dell'Associazione nazionale magistrati svolta in Commissione Giustizia riguardava la riforma della prescrizione. Essa si è inserita in quel percorso di riforma del processo penale, che da un lato lo arricchisce di iniziative che dal punto di vista processuale, a parere degli avvocati e dei magistrati, avrebbero potuto velocizzarne i tempi; dall'altro, però, integra il testo con una parte, che è quella sulla quale concentrerò il mio intervento, che riguarda la gestione dei tempi del processo e le conseguenti sanzioni disciplinari prospettate ai magistrati.
  Sembra quasi che, per compensare la riforma della prescrizione, che la magistratura associata aveva chiesto in questi anni, ma come fattore di velocizzazione in sé dei processi, pensando che molti dei processi potessero avere tempi lunghi anche nella prospettiva della prescrizione – ne abbiamo parlato nel corso delle ultime audizioni, è inutile ripeterci, anche con riguardo all'allineamento agli altri ordinamenti –, la contropartita sia questo sistema di individuazione dei tempi rigidi delle indagini preliminari prima e dei processi poi. Francamente potrebbe sembrare anche un po' ingenuo dare una risposta di questo tipo per affrontare un problema che è reale e che è sentito, cioè quello di garantire una durata ragionevole dei processi, soprattutto quando potrebbero prolungarsi per molto tempo, con la riforma della prescrizione. Questo tipo di risposta passa attraverso un intervento nelle indagini preliminari che si cumula a una previsione già contenuta nel codice di procedura penale. Nel nostro ordinamento la scadenza del termine delle indagini preliminari non è prorogabile oltre i due anni (e a due anni si arriva solo in casi particolari), e quegli atti di indagine saranno inutilizzabili; quindi c'è già un presidio processuale rispetto ad atti compiuti dopo quel termine.
  Nel 2017 c'è stato un intervento del legislatore, quello della avocazione, che andava incontro a un'esigenza che è sentita negli uffici giudiziari, sempre più sentita, proprio perché restituisce l'immagine di una giustizia che funziona, che dà una risposta in tempi ragionevoli, certi, adeguati. La avocazione prevede una modifica ordinamentale, perché la possibilità che quei procedimenti vengano avocati alla procura generale è un segnale di attenzione rispetto ai tempi dei processi, un segnale Pag. 9che chiama la responsabilità delle procure della Repubblica nella gestione dei tempi processuali. C'è stato sicuramente un intervento di rafforzamento.
  Sembra a noi un po' estemporaneo un intervento che invece abbia a che fare con un'altra fase del processo, cioè quella della discovery degli atti processuali, senza distinguere le varie situazioni. È evidente che per la costruzione di un manufatto abusivo, per il sequestro di un manufatto abusivo, la sanzione della discovery non comporta conseguenze in termini di contrasto alle forme di illegalità, così come per la guida in stato di ebbrezza. Quelli sono atti che potrebbero essere resi conoscibili all'indagato sin da subito. Non ci sono conseguenze.
  Ma pensiamo ai fenomeni più complessi. Le indagini di terrorismo spesso richiedono la ricostruzione di una rete di rapporti e relazioni di finanziatori del terrorismo. Cosa accade se dopo due anni quel procedimento non può essere definito? Siamo disposti a correre il rischio di fare la discovery e comunicare tutto ciò che è stato accertato fino a quel momento, consentendo a qualcuno di sottrarsi all'arresto? Se non ci sono correttivi, è questo il sistema che è stato ideato con il presente testo di legge.
  Per noi è un chiaro depotenziamento del contrasto a quelle forme di criminalità, così come in materia di criminalità economica. Spesso gli accertamenti vengono fatti con richieste di assistenza giudiziaria all'estero. Vi sono flussi finanziari da ricostruire. I tempi delle indagini a volte non possono essere contingentati in questo modo; peraltro, siccome è ancorato all'esercizio dell'azione penale, spesso al termine delle indagini, magari tempestivamente, viene avanzata una richiesta di misura cautelare, personale o reale.
  Pensiamo ai sequestri dei conti correnti bancari in Italia e all'estero. Che accade se dopo due anni quella richiesta è pendente davanti a un giudice che dovrà valutare una mole di dati acquisiti nel corso delle indagini? Siamo disposti a correre il rischio di comunicare a chi è sottoposto alle indagini che c'è una richiesta di sequestro di quei conti correnti? Ecco quello che noi temiamo rispetto a questo tipo di intervento, che come vi ho detto si aggiunge a interventi già previsti dal codice, introdotti nel 2017, che rispondono a un'esigenza condivisa dalla magistratura.
  Ci sono attualmente forme di verifica - compresa quella della avocazione approvata nel 2017 - delle inerzie durante l'attività giudiziaria: non è un mistero che possano esserci fenomeni di inerzia, i quali sono già attualmente sanzionati. Prevedere questo sistema secondo me è molto pericoloso dal punto di vista processuale nella fase delle indagini preliminari. Anche l'idea per cui l'ultimo passaggio di questa verifica sia la prospettazione di sanzioni disciplinari al singolo magistrato, come ha ben detto il Presidente Poniz, probabilmente corrisponde ad un'opzione di fondo circa la magistratura che si vuole avere nel futuro.
  Come più volte abbiamo detto, molti dei magistrati sono entrati negli ultimi anni e hanno a che fare con una magistratura molto diversa da quella del passato, anche molto più attenta al rispetto dei tempi. Si vuole rendere invece la magistratura più burocratica. Per esempio, nel caso di istanza di una delle parti, dell'indagato o della persona offesa, sia per quanto riguarda le indagini preliminari sia per quanto riguarda il processo, c'è una norma che prevede che entro trenta giorni bisogna dare una risposta. Pensare che un giudice o un pubblico ministero possa dare una risposta entro trenta giorni, qualsiasi sia la complessità del procedimento, comporta a nostro parere il rischio che, pur di rispettare quei tempi, venga data una risposta non soddisfacente per quanto riguarda lo scrupolo, l'approfondimento dei fatti. Quel tipo di automatismo potrebbe generare un effetto del genere rispetto all'attività dei magistrati, soprattutto di quelli più giovani. Peraltro, sempre dando una lettura sistematica, c'è una parte della riforma che riteniamo positiva, vale a dire la normativizzazione dei cosiddetti «criteri di priorità», che costituivano uno dei grandi temi del nostro ordinamento. Lo stesso legislatore ritiene che con queste riforme ci sarà ancora bisogno di individuare criteri di priorità; ma questo mi sembra un po' in Pag. 10contraddizione con l'automatismo introdotto grazie al fatto di aver stabilito tempi prefissati, grazie al fatto di aver prospettato sanzioni disciplinari ai magistrati. Delle due l'una: o avremo un sistema nel quale non ci sarà bisogno di criteri di priorità o se, come purtroppo avverrà per qualche anno ancora, ci sarà bisogno di quei criteri, mi sembra un po' in contraddizione normativizzarli e quindi stabilire che qualcosa si tratti prima e qualcosa si tratti dopo.
  Nella visione un po' illusoria di questo tipo di impostazione si dovrebbe determinare tutto in quei famosi sei mesi dalla scadenza del termine delle indagini, o anche prima. Quindi, forse, qualcosa sulla questione dei tempi a nostro parere va rivisto. Questo per quanto riguarda le indagini preliminari che hanno anche il grave rischio della discovery e del depotenziamento del contrasto alla criminalità, soprattutto a quella più aggressiva, più insidiosa, più raffinata, perché quelle sono le indagini realmente complicate.
  Come vi ho detto, come abbiamo anche più volte detto al Ministro, per quanto riguarda molti reati non c'è alcun problema ad avere una discovery, probabilmente anche immediata. Molti degli atti dei procedimenti sono già noti all'indagato. Non si svolgono indagini particolarmente complesse o che richiedono riservatezza. Una regola generale di questo tipo la riteniamo pericolosa su quel fronte.
  Speculare è la disciplina prevista per i tempi del processo. Anche in quel caso sono stabiliti e prefissati dei tempi che dovrebbero essere rigidamente rispettati. Anche in quel caso sono previste sanzioni disciplinari per i capi degli uffici che dovrebbero vigilare sull'organizzazione. È scritto nello stesso testo, ma quello organizzativo è un onere dei capi degli uffici che esiste già ora e che deve essere oggettivamente frutto di una verifica da parte del Consiglio superiore della magistratura in sede di conferma. Già ricade sui capi degli uffici la necessità di organizzare in modo funzionale gli uffici giudiziari in modo che ci sia una risposta tempestiva. Loro dovrebbero organizzare, e in caso di organizzazione inidonea sarebbero sanzionati, e dovrebbero poi vigilare sull'organizzazione del singolo giudice per quanto riguarda i tempi del processo.
  Il Presidente Poniz ve lo ha ribadito oggi, e io l'ho letto nella relazione: un milione e 500 mila processi penali in primo grado. L'idea di poter pensare a tempi predeterminati del processo si scontra contro quel dato. Molti di voi lo sanno, forse molti cittadini che si sono imbattuti nelle udienze penali italiane lo sanno, ma molti altri potrebbero non saperlo: non stiamo parlando di un giudice che tratta un processo e che in quei sei mesi riesce a definire quel processo. I magistrati italiani sono circa 9 mila; i giudicanti penali penso siano poco più di 3 mila. Consideriamo il numero spropositato di processi. Significa che a ogni udienza un giudice porta tra i 20, i 40, quando non i 60 o gli 80 processi. È veramente illusorio pensare di poter dare un termine predeterminato per la definizione del singolo procedimento: anche in quel caso, spirato il termine, il giudice dovrebbe poi rispondere sempre entro i famosi trenta giorni, costi quel che costi.
  Noi riteniamo che questo meccanismo non sia adeguato, per quanto in astratto risponda a un'esigenza sentitissima anche dalla magistratura, associata al Consiglio superiore della magistratura. L'attenzione ai tempi è fondamentale, anche per l'immagine che si restituisce della magistratura italiana e per la fiducia che dobbiamo conquistare e riconquistare nei cittadini; ma riteniamo che quel percorso sia sbagliato e che presenti le insidie che vi ho appena detto.
  Sono ovviamente disponibile per qualsiasi confronto più dettagliato, sia su questa parte del testo sia su quelle di cui ha parlato il Presidente Poniz. Sostanzialmente si tratta di una non piena approvazione. Non dobbiamo certo approvare noi le norme, però si tratta di richieste che provenivano dalla magistratura e dall'avvocatura e che sono state frutto di confronto. Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Caputo. Ho iscritti a parlare i colleghi Vitiello, Bartolozzi, Paolini, Zanettin, Bazoli e Giuliano. Lo preannuncio in modo tale che ci Pag. 11regoliamo sulla tempistica, considerato che alle 15 è prevista un'altra audizione. Abbiamo circa una mezz'ora, quindi inviterei i colleghi a essere sintetici nell'esposizione delle domande, in modo tale che i nostri auditi possano avere più tempo per elaborare le risposte. Grazie. Iniziamo dall'onorevole Vitiello, prego.

  CATELLO VITIELLO. Grazie, presidente. Buonasera, Presidente Poniz. Buonasera, Procuratore Caputo. Farei una breve premessa. Me la dovete consentire perché così chiarisco il ragionamento rispetto alle domande che farò e alle risposte che cerco. Penso che ci sia il rischio fondato che questa riforma sia l'ennesima modalità di mettere mano in maniera non integrale a un modello di processo che è fallito all'origine.
  All'epoca, chi di più chi di meno, abbiamo vissuto il momento del trasferimento dal modello inquisitorio al modello accusatorio. Io naturalmente l'ho vissuto de relato studiandolo. Però quell'idea di processo nasceva perché bisognava cambiare un trend, perché si voleva eguagliare la figura del difensore e la figura del pubblico ministero che si rivolgevano al giudice terzo e imparziale per «fargli avere la palla» al momento conclusivo.
  Perché dico che è fallito? A fronte di una tradizione dettata da quarant'anni di processo inquisitorio, con il passaggio ad un modello accusatorio certamente vi sono state figure recalcitranti, tanto nell'avvocatura tanto nella magistratura. Il 1992 è emblematico di quello che poi è accaduto, con un riverbero che comunque era già seminato all'interno della modifica degli anni 1988-1989. Nel 1992 naturalmente c'è stata una serie di revirement; poi, con la riforma costituzionale del 1999 e con gli interventi del 2001 e oltre, si è un po' corretto il tiro e si è tornati a discutere di modello accusatorio.
  Detto questo, la mia preoccupazione – rimetto a voi una riflessione anche su questo aspetto – è che probabilmente una riforma per essere epocale deve guardare all'obiettivo. Noi vogliamo un processo fintamente accusatorio o fintamente inquisitorio? Perché da qui non si esce. Dopo questa riforma non ne usciamo. Noi avremo un modello misto – lo avevamo già prima per le ragioni che vi ho detto – e rischiamo di ottenere un risultato che non risponde alle esigenze di fondo. Che tipo di processo vogliamo fare noi in Italia?
  Le dico subito qual è la preoccupazione, Presidente Poniz: riguarda l'udienza preliminare, che lei ha detto di guardare con favore; bisogna implementare gli organici e via dicendo, ma si guarda con favore all'idea di cambiare la regola di giudizio. Benissimo, allora cambiamo la regola di giudizio e pensiamo a quello che deve ritenere il giudice dell'udienza preliminare nel momento in cui reputa che ci sono fondati motivi per condannare, perché poi si traduce in questo. La ragionevole condanna prevista dal testo per me significa una condanna con cognizione di causa, ritenendo non che un processo si debba fare, ma che una condanna ci debba essere. Questo filtro non sarà più tale. A questo punto preferisco che lo motivi. Deve motivare il decreto di rinvio a giudizio perché deve giustificare la sua decisione.
  All'epoca io ero contrario alle ipotesi di motivazione del decreto di rinvio a giudizio perché ritenevo che, se la prospettiva era quella della fondatezza accusatoria e quindi dell'utilità del dibattimento, allora non dovesse essere giustificato il percorso logico: se lo motivi, è inevitabile che tu vada a dare un contributo motivazionale anche al giudice successivo. Ma se, invece, noi stiamo trasferendo una competenza al giudice dell'udienza preliminare che va a determinare la ragionevole condanna – sto citando il testo –, allora io voglio conoscere il suo percorso motivazionale, perché altrimenti ciò sarà un macigno nei confronti del giudice del dibattimento. Stiamo tornando al giudice istruttore. Che senso ha? Chiamiamolo col suo nome.
  Io ho vissuto da vicino l'idea di processo accusatorio che era alla base della riforma proposta dalla Commissione Riccio negli anni 2008-2009: ipotizzarono tale eventualità non all'udienza preliminare, ma all'udienza di conclusione delle indagini preliminari, che poteva avere probabilmente un senso molto vicino al modello accusatorio Pag. 12americano; è lì che si gioca la partita, è lì che si può giocare la partita anche della discovery. La discovery deve essere discussa, ma per me lo si deve fare in un momento preprocessuale, e non quando in realtà viene già emesso un giudizio sul merito, perché è ciò che diventerà l'udienza preliminare (già lo è alcune volte).
  Certamente, Presidente Poniz, sono d'accordo con lei quando fa riferimento alle notificazioni, perché quello è un retaggio del processo precedente. Le notificazioni devono essere assolutamente agevoli, bisogna avere certezza naturale almeno della prima notificazione nei confronti dell'indagato imputato. Noi dobbiamo dargli la possibilità di difendersi; quindi almeno della prima bisogna avere certezza. Poi bisogna responsabilizzare i difensori. Sono d'accordo con lei. Quindi notificazioni molto agevoli, utilizzo della posta elettronica certificata. Io le dico di più: io sarei anche dell'idea che, nel momento in cui si fa l'elezione di domicilio, bisogna dare un indirizzo di posta elettronica. In questo modo si consente di agevolare il processo, perché in quel momento, con l'elezione di domicilio, si è a conoscenza del fatto che c'è un procedimento a proprio carico.
  Naturalmente non faccio alcun riferimento alla prescrizione, perché è stato già detto quello che noi pensavamo all'epoca: anche noi cercavamo di distinguere fra le due sentenze.

  PRESIDENTE. Onorevole Vitiello, mi scusi, per me è veramente gravoso interromperla, però lei sta parlando da cinque minuti. Se dovessi utilizzare lo stesso metro per gli altri colleghi, arriveremmo a mezz'ora. Il Procuratore nazionale antimafia sarà cortesemente qui dalle 15.00, e i signori magistrati presenti non avrebbero il tempo di rispondere a domande che ancora non sono state formulate.

  CATELLO VITIELLO. Come no! Io ne ho formulate già tre.

  PRESIDENTE. Allora sono io che non ho afferrato il senso. Comunque le chiederei di cercare di essere più sintetico.

  CATELLO VITIELLO. Presidente, io la ringrazio, perché così mi fa rendere conto che non si sono compresi i punti interrogativi. Se non si sono compresi i punti interrogativi, allora preciso: la prima domanda è quella sulla scelta del modello che dobbiamo prediligere; la seconda è relativa all'ulteriore agevolazione dell'uso delle notificazioni con un'elezione di domicilio in tal senso; la terza domanda riguarda l'udienza preliminare, perché ritengo che non si debba assolutamente cambiare la regola di giudizio. Tuttavia, se si deve cambiarla, allora è il caso che si modifichi anche il decreto che dispone il giudizio, richiedendo una motivazione. Io sto chiedendo pareri agli auditi, su alcuni spunti di modifica della riforma. Presidente, non vede il punto interrogativo ma c'è, perché non si tratta della mia parola; io cerco la loro parola, ci mancherebbe altro.
  Riguardo al giudizio di appello, anche in questo caso vado un po' in controtendenza rispetto all'avvocatura. Penso anch'io che ci siano maglie troppo larghe nel giudizio d'appello, però ritengo che il giudizio monocratico di appello sia davvero pericoloso, per tanti motivi, anche se in concreto sono consapevole che è già praticato, perché il relatore è colui che poi decide; però nelle Camere di consiglio io non ci sto. So che comunque c'è una valutazione che viene fatta a tre, e ciò mi garantisce soprattutto in virtù di un giudizio monocratico nel primo grado. Quindi per me a maggior ragione il giudizio di appello deve essere collegiale a fronte di un giudizio monocratico in primo grado, mentre forse si potrebbe stemperare la situazione per quanto riguarda il giudizio che viene da un tribunale collegiale in primo grado. Questa è un'altra domanda, naturalmente.
  L'ultima domanda riguarda il problema che ha affrontato il dottor Caputo. Naturalmente mi piace il processo accusatorio. L'idea del processo americano affascina tutti; lo conosciamo più o meno tutti quanti, chi perché l'ha studiato, chi perché ha visto qualcosa che gli è piaciuto in televisione.
  Quanto alla discovery come penalità, dopo due anni di indagini, se non siamo nelle condizioni di concludere ci sono alcuni Pag. 13escamotage, perché la riforma li prevede; c'è la possibilità di interagire con un giudice e avere altro tempo. Ma noi dobbiamo decidere quale modello vogliamo. Se il pubblico ministero ci mette troppo tempo, noi una risposta comunque la dobbiamo dare a chi subisce le indagini. Io introdurrei quest'ulteriore modifica all'interno della riforma; ci vuole un termine per la richiesta di misura cautelare. Io ritengo vergognoso che faccio una richiesta di misura cautelare e la risposta arriva dopo sei mesi – ma se sono fortunato –, anche in processi di criminalità. Ritengo ciò assolutamente vergognoso. E ritengo vergognoso che ci sia stata la necessità di un intervento della Consulta con riguardo all'articolo 293 del codice di procedura penale, perché le copie devo poterle fare. Soltanto la Consulta ci ha detto questo; anche il legislatore sul punto è venuto meno nel tempo, perché l'intervento doveva essere fatto illo tempore, e non adesso. Non dobbiamo sempre aspettare la Consulta per mettere mano al processo penale.
  Io dico che bisogna fare qualcosa perché le indagini vengano velocizzate. Questo può essere lo strumento, perché la possibilità di interagire con la procura è anche un modo per rendere valido il contenuto dell'articolo 358 del codice di procedura penale, di cui tutti parliamo ma che alla fine non vede attualità. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Vitiello. Prego, onorevole Bartolozzi.

  GIUSI BARTOLOZZI. Grazie, presidente. Tenterò di essere concisa. Intanto ringrazio e saluto i rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati, il Presidente Poniz per tutti. Mi scuso a nome di tutti i commissari, perché sicuramente il tema che ci occupa avrebbe meritato tempi diversi, e dover zittire un collega come l'onorevole Vitiello, che tra l'altro è molto puntuale, è mortificante prima per noi e poi credo anche per voi.
  Per stare al tema, io guardo alla legge delega per la riforma del processo penale più per quello che non fa piuttosto che per quello che fa. La domanda per voi è la seguente. Concordo con il fatto che occorre rafforzare i riti alternativi perché il loro rafforzamento è l'unica alternativa vera al dibattimento, e quindi in questo modo si può andare più velocemente e si può dare una risposta immediata ai cittadini. Però, Presidente Poniz, proprio perché la riforma secondo me non fa quello che doveva fare, come è possibile non riflettere su quello che è il diritto penale minimo? Secondo voi è giusto mettere mano al codice di procedura penale, e quindi al rito accusatorio, senza prima aver fatto una grandissima riflessione e meditazione su quello che invece è l'impianto attuale del codice penale, che è fermo agli anni '30?
  Quello che vi chiedo è: secondo voi non sarebbe stato più corretto mettere un punto, dicendo che bisogna ritornare al diritto penale minimo, stabilendo cioè che a processo ci devono andare solo le cose che necessitano di andare a processo, e dopo mettere mano alla riforma del processo penale? Secondo me, se non si opera questo passaggio serio, tutto quello che stiamo facendo è un fuor d'opera, perché tante cose mi piacciono, ma c'è tanto altro che avrei voluto fare e che non si fa. Così stanno le cose, Presidente.
  Lei ha detto: «Faremo impazzire semplicemente gli uffici del giudice per le indagini preliminari e del giudice dell'udienza preliminare.» Chi fa questo lavoro sa che, a bocce ferme, così stanno le cose, e non mettendo mano al codice penale impazziranno gli uffici del giudice per le indagini preliminari e del giudice dell'udienza preliminare, perché evidentemente aumenterà a dismisura il loro carico, che è insostenibile già allo stato attuale, ma che lo diventerà ancora di più.
  Io ho letto tanto di quello che voi avete scritto, così come tutti i commissari; quindi conosciamo le criticità tecniche del disegno di legge delega. Però una riflessione in più su quello che avrebbe significato un ripensamento del codice penale, che è fermo agli anni '30, ve la chiederei. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Bartolozzi. Se il collega Vitiello si è sentito zittito da me gli chiedo scusa; non era mia intenzione. Onorevole Paolini, prego.

Pag. 14

  LUCA RODOLFO PAOLINI. Grazie, presidente. Il tempo è tiranno, però non posso esimermi dal dire che ritengo davvero offensivo – e lo faccia presente anche al Presidente della Camera – che un dibattito così alto, con interlocutori di altissimo livello, venga strozzato in mezz'ora. È offensivo per noi, per loro, per il Procuratore nazionale antimafia, che non so quanto tempo avrà.
  Fatta questa premessa, concordo con i due relatori sul fatto che bisogna distinguere due binari. Chiedo il vostro parere circa la definizione di due binari con riguardo ai tempi. Per i reati bagatellari possiamo anche fissare tempi certi, perché a volte c'è anche una certa noncuranza da parte delle procure, soprattutto nel chiudere alcune pratiche perché sono facili. Basterebbe poco per chiuderle, ma magari si curano altre cose. Quindi, sono d'accordo a stabilire tempi certi sui reati bagatellari. A mio avviso è assurdo, impossibile prevedere tempi certi – e lo dico anche da membro della Commissione parlamentare antimafia – su indagini in materia di mafia o di criminalità economica internazionale, che per definizione richiedono accertamenti complessi, lunghi, e che spesso non dipendono dall'ufficio. Noi condizioneremmo l'azione penale in Italia a tempi scanditi da soggetti altri.
  In secondo luogo, vorrei il vostro parere su un aspetto, accennato in parte anche dal collega. Mi riferisco alla possibilità di introdurre anche in diritto penale il principio semel praesens, semper praesens. Io ti notifico difensore e capi di imputazione, utilizzo la posta elettronica o apro un sito a cui puoi accedere con la password che ti fornisco, anche da latitante, anche se sei chissà dove, e a cui comunque può sempre accedere il tuo difensore; il tuo difensore ha tutte le carte. Quindi in ogni momento puoi accedere alle informazioni, persino ai video. Mi chiedo se questa sarebbe una soluzione a vostro avviso possibile dal punto di vista ordinamentale e costituzionale, razionale e soprattutto utile a snellire quel lavoro totalmente inutile delle notifiche, che sono poi spesso il pretesto per atteggiamenti dilatori: perché semplicemente ci si sottrae alle notifiche cambiando residenza cinquanta volte e bloccando la macchina penale. E questo non è giusto.
  Le chiedo se a suo parere – questo lo ha detto anche la collega – sia il caso di ridurre il panpenalismo: se tutto è penale, vuol dire che alla fine noi mettiamo cose importanti insieme a cose minimali. Ricordo un procuratore che, in un processo, diceva che lo Stato italiano è curioso e si muove con un atteggiamento di schizofrenia giudiziaria: prima fa di tutto per metterti dentro e poi, una volta che ti ha preso, fa di tutto per metterti fuori, il che mi pare purtroppo che trovi corrispondenza nella realtà.
  L'ultima questione riguarda il patteggiamento. Cosa ne pensate dell'introdurre forme di patteggiamento un po' più simili al vero patteggiamento americano, per cui una volta che patteggi rinunci anche all'impugnazione, salvo che sia per motivi di evidente violazione di legge? Esclusi tutti gli altri casi, una volta che il patteggiamento è concluso tu rinunci all'impugnazione, dal momento che io ti consento un beneficio proprio perché eviti un ulteriore lavoro giudiziario; in caso contrario, a mio avviso si può eliminarlo addirittura, perché così com'è non ha proprio senso. Grazie. Tante altre cose vorrei dire, ma i tempi sono quelli che sono. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie all'onorevole Paolini. Quanto alle tempistiche eventualmente ne parleremo in un altro momento. Oggi sono queste, e mi dispiace. È stata fissata un'ora per ascoltare degli illustri auditi; ho ritenuto fosse sufficiente, ma non è mai sufficiente. Vedremo di aggiustare il tiro. Ringrazio i colleghi per i richiami. Onorevole Zanettin, prego.

  PIERANTONIO ZANETTIN. Grazie, presidente. Cercherò di essere sintetico anche perché alcune delle osservazioni che avevo intenzione di fare sono state esposte da altri oratori intervenuti prima di me. Dottor Caputo, lei dice che questa delega ha la funzione di risolvere i problemi della giustizia e che non c'è più necessità dei criteri di priorità. Io credo che di fronte alla mole Pag. 15dei carichi pendenti i criteri di priorità ce li porteremo dietro per sempre, perché – faccio solo un accenno brevissimo – nel momento in cui abbiamo un ordinamento che prevede da una parte l'obbligatorietà dell'azione penale – criterio che personalmente dovremmo avere il coraggio di affrontare e di rivedere – e dall'altra il panpenalismo, che è stato denunciato già da alcuni interventi dei colleghi, è del tutto evidente che i problemi non si risolveranno mai. Dobbiamo avere il coraggio di rivedere l'obbligatorietà dell'azione penale, avere il coraggio di ritornare a un diritto penale minimo, come diceva l'onorevole Bartolozzi, perché altrimenti non ne usciamo.
  Credo che il criterio in questa materia possa essere anche il diritto comparato. Tra i Paesi occidentali, tra i Paesi i cui ordinamenti possono essere confrontati con il nostro, nessuno ha i nostri carichi di procedimenti penali. Questo ci dice che i criteri di priorità dovremo portarceli dietro; ed è giusto che ce li portiamo dietro, che definiamo quali sono le cose su cui dobbiamo concentrarci, sia per la tutela dell'ordine pubblico e la sicurezza del Paese, sia per la tutela delle responsabilità dei singoli magistrati che evidentemente di fronte al mare magnum devono avere comunque una bussola su cui orientarsi.
  Per quanto riguarda i riti alternativi e i riti deflattivi, io personalmente sono assolutamente favorevole a un massimo ampliamento di queste soluzioni, perché possono essere la chiave di volta per cercare di attenuare, ove possibile, il carico assolutamente esagerato che ci stiamo portando dietro. Faccio una riflessione che parte anche da quello che ha detto il dottor Poniz e che è stata oggetto di un dibattito svoltosi ieri in Commissione, al quale voi non avete assistito. Riguarda il Recovery Fund. Credo che quello che ci dice il dottor Poniz, relativamente alla necessità di un riassetto dell'edilizia giudiziaria, sia una cosa di cui dobbiamo renderci conto.
  Abbiamo grandi risorse che ci vengono messe a disposizione dall'Europa; il sistema giustizia rientra fra le linee guida che la Commissione europea ha individuato per questo tipo di intervento; dobbiamo collaborare tutti insieme, maggioranza e opposizione – il Ministro deve essere consapevole che su questo ha l'appoggio di tutti – e dobbiamo destinare risorse importanti per l'edilizia giudiziaria, perché l'edilizia giudiziaria del nostro Paese a mio avviso va assolutamente rivista. Possiamo fare tutte le udienze che vogliamo sulla carta; ma se non ci sono le aule per le udienze, se i palazzi di giustizia crollano o se non sono a norma Covid, tutte le buone intenzioni poi finiscono al macero.
  Direi che per il momento possiamo concludere qui questo intervento e ringrazio dell'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Zanettin. Onorevole Bazoli, prego.

  ALFREDO BAZOLI. Anche io sarò telegrafico, anche se devo dire che non capisco questa polemica sulla durata dell'audizione. Francamente un'ora di audizione mi sembra un tempo più che congruo. Basta che noi facciamo le domande anziché fare grandi considerazioni di fondo; e io allora vengo subito alle domande, anche se alcune sono già state anticipate dai colleghi.
  La prima domanda è sui criteri di priorità. L'ha appena detto il collega Zanettin. Io li considero necessari in un ordinamento con l'obbligatorietà dell'azione penale. Voi stessi riconoscete che è impossibile perseguire tutti i reati, e i criteri di priorità servono semplicemente a dare maggiore trasparenza all'attività dei pubblici ministeri, maggiore trasparenza e forse anche una maggiore responsabilità. Poi c'è anche l'accountability, cioè poi bisogna rendere conto di quello che si è fatto e di come si è operato. Da questo punto di vista, però, non ho capito qual è il vostro giudizio.
  Seconda domanda. Il cambiamento della regola di giudizio per il giudice dell'udienza preliminare in realtà vale anche per i pubblici ministeri. Secondo voi il cambiamento di quella regola di giudizio può cambiare un po' anche la scelta e le decisioni dei pubblici ministeri in ordine al rinvio a giudizio?
  La terza domanda riguarda il patteggiamento. Nel disegno di legge è previsto l'allargamento Pag. 16 del patteggiamento, con l'innalzamento della soglia della pena. Secondo voi è sufficiente, o l'esperienza ci suggerisce che forse quest'allargamento andrebbe accompagnato da altre agevolazioni per incentivare l'uso del patteggiamento? Non c'è il rischio che il semplice innalzamento della soglia, come peraltro già è capitato in passato, non produca effetti?

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Bazoli. Onorevole Giuliano, prego.

  CARLA GIULIANO. Grazie, presidente. Sarò brevissima. Dalle relazioni degli auditi mi sembrava di intuire un'ottima valutazione circa la parte delle notificazioni e l'ampliamento dei presupposti dei riti alternativi. La mia domanda – forse è sfuggito a me – riguarda l'articolo 6, quindi la cosiddetta «udienza filtro». Volevo sapere se la vostra perplessità riguarda soltanto una questione organizzativa legata all'incompatibilità, perché ritengo, però vorrei una vostra valutazione, che prevedere l'udienza filtro, oltre a snellire il dibattimento, potrebbe anche favorire l'accesso ai riti speciali, visto che si anticipa a quella sede la possibilità di scegliere i riti alternativi.
  Una seconda domanda riguarda la discovery di cui parlava il dottor Caputo, quella prevista dall'articolo 3. A suo giudizio quali potrebbero essere le soluzioni alternative prospettabili? Mantenere soltanto la sanzione disciplinare e regolare in maniera diversa la discovery? Eliminarla?

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Giuliano. Io ringrazio i colleghi per gli interventi. Do la parola al dottor Poniz e al dottor Caputo per le risposte. Eventualmente potranno anche mandare un contributo scritto, se ora ritengano di avere un'interlocuzione per le vie brevi. Abbiamo la fortuna di avere a disposizione altri venti minuti, dal momento che il Procuratore De Raho è in ritardo a causa del traffico di Roma. Quindi possiamo proseguire.

  LUCA PONIZ, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Devo dire che le questioni che sono state poste, sia le riflessioni che le domande, sono molto complesse. Richiederebbero ore per un confronto analitico approfondito, e non per spot. Proverò a dare qualche risposta. Ho cercato di annotarmi diligentemente le cose che ho sentito. Ci riserveremo naturalmente di integrare i nostri interventi con documenti scritti, nel caso in cui non potessimo essere esaurienti, non dico convincenti.
  Altererò l'ordine delle domande che mi sono state fatte, ma ne seguirò uno logico. Comincerei dalle interessanti sollecitazioni sul diritto penale e sulla sua concezione, perché il modello processuale, come ci è stato ben ricordato, non è mai neutro e naturalmente si adatta. Viene calato in un contesto che naturalmente noi magistrati riceviamo; non abbiamo alcun potere di scelta.
  Quanto al dibattito sulla dottrina penalistica, la magistratura, non tutta ma almeno quella che ho frequentato più da vicino, non ha esitazioni sul diritto penale minimo: lo sostiene e lo richiede convintamente. Però attenzione: ho l'impressione che questa richiesta – che è molto popolare nelle aule universitarie e che ha a che fare con la costruzione dell'illecito penale per come ormai tutti lo riteniamo, cioè ridotto alle situazioni più gravi e pensato per rispondere a ciò per cui il diritto penale è stato concepito – non sia proprio matura nella società, perché questa è una società che magari in quest'Aula chiede il diritto penale minimo ma nella quotidianità chiede il diritto penale pervasivo. È una società che poi obietta sempre a che la giustizia non sia stata draconiana, non sia stata esemplare, come sentiamo dire. Senza offendere nessuno, faccio presente che tra i penalisti ve ne sono alcuni che tutelano gli indagati e alcuni che tutelano persone offese, vere o presunte. La tenuità del fatto è fallita, perché abbiamo sistematicamente opposizioni e richieste di archiviazione per fatti bagatellari.
  Quindi il diritto penale minimo, che per mia formazione culturale e per miei convincimenti dogmatici mi vedrebbe assolutamente ed entusiasticamente convinto, poi Pag. 17deve essere valutato in quest'Aula. Come rappresentanti del popolo, voi naturalmente vi portate dietro anche le sollecitazioni culturali e politiche che dal popolo provengono. L'Accademia è ferma su questa richiesta. Voi saprete quanti progetti di diritto penale diverso da quello che conosciamo sono stati sollecitati da un codice penale degli anni '30 e quanti progetti sono abortiti nel tempo. Le Commissioni che sono state istituite nel Parlamento della Repubblica hanno consegnato progetti anche bellissimi – ne ricordo alcuni a memoria – che sono stati ritenuti dei nuovi manifesti di diritto penale e non hanno mai visto la luce. Su questo dobbiamo interrogarci tutti, da cittadini e da professionisti.
  Avrete notato che sono partito proprio dal concetto del diritto penale, quindi ringrazio l'onorevole per questa sollecitazione. Se però questo è un fuor d'opera, perché il progetto muove da un diritto penale che già c'è, dentro il progetto ci sono delle cose che ci convincono.
  Penso per esempio al procedimento di estinzione di reati di minore gravità, persino di reati e delitti con pena alternativa, e quindi non soltanto delle contravvenzioni. Estendere il modello di estinzione delle contravvenzioni in materia di lavoro (di cui al decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 750), trasformando ciò che nasce come illecito ontologicamente penale in un illecito che si estingue all'assolvimento del pagamento di una sanzione, rappresenta un meccanismo che secondo me dovrebbe essere assolutamente ampliato e che potrebbe essere la chiave di volta.
  In altre parole, si tratta di una condotta riparativa a reato già accertato, che determina poi la sua estinzione. Non si fa il processo; c'è un pre-procedimento; il reato è in una situazione embrionale e rimarrà reato se colui o coloro ai quali è stato notificato un avvio di procedimento non ricorreranno a una misura estintiva.
  In materia di infortuni sul lavoro o di violazione delle norme contravvenzionali di cui mi sono occupato per alcuni anni, le statistiche ci dicono che questo sistema ha funzionato eccome, ed è anche questo uno dei meccanismi che noi abbiamo proposto nel famoso tavolo di cui abbiamo parlato. Sicché, va benissimo un altro diritto penale, ma finché non lo vedremo – e temo che io sarò in pensione quando vedremo un altro diritto penale –, cerchiamo di lavorare per istituti, mettendoci però d'accordo su un punto. Il processo penale è il processo dell'indagato o il processo della persona offesa? Il modello accusatorio puro, a cui molti di voi hanno fatto riferimento, che c'è in altri Paesi con altra tradizione giuridica, altra tradizione processuale, altro ordinamento, non contempla un diritto penale nelle mani delle persone offese; mentre noi abbiamo sentito molto spesso dire che il diritto penale è quello in cui albergano i diritti della persona offesa, dei quali naturalmente io ho massimo rispetto. Faccio il pubblico ministero di mestiere, quindi potete immaginare se non considero anche queste funzioni; però dobbiamo trovare un punto di equilibrio. Non ci può stare tutto dentro il sistema.
  Del modello accusatorio potremmo parlare per giorni. Sono d'accordo con lei, onorevole Vitiello. C'è un modello accusatorio vero, un modello accusatorio moderato, temperato, lei dice addirittura finto; però non possiamo parlare di modelli processuali astratti senza calarli nella realtà concreta delle cose. Sono d'accordo con lei sul fatto che il modello processuale accusatorio del nostro ordinamento non assomigli molto da vicino a quelli che noi abbiamo studiato nei libri; però il modello processuale americano, che è stato citato anche da altri interventi, prevede per esempio il patteggiamento sulla colpevolezza. Siamo convinti che questo sia un istituto compatibile con la nostra disciplina costituzionale? Non parliamo della pena di morte e delle sanzioni. Non prevede la costituzionalizzazione di alcuni diritti processuali che abbiamo nel nostro ordinamento, come per esempio l'irrinunciabilità del ricorso per Cassazione.
  Avvocato Vitiello, lei ha ragione. Mi piace chiamarla «avvocato» perché conta in quest'aula anche la nostra diversa esperienza. Può immaginare che noi non siamo d'accordo sul fatto che, una volta che si patteggia, quella è la pena? Qui tutti sapete, Pag. 18per averlo letto, per averlo vissuto, per averlo forse fatto, che vi sono stati e vi sono ancora tanti ricorsi per dilazionare l'esecuzione delle pene concordate. Questa è una prassi a mio modo di vedere intollerabile, che è stata scoraggiata dalle istituzioni di sezioni-filtro di ammissibilità nella giurisdizione superiore della Corte di cassazione. Voi conoscete al mondo una suprema Corte di cassazione che affronta i numeri che affronta la nostra? Non ce ne sono.
  Parlando di edilizia giudiziaria, non conoscerete alcun altro organo al mondo dove i giudici arrivano la mattina col loro carrello di fascicoli e tornano a casa perché non sanno dove andare a scrivere la sentenza. Voi siete a Roma, potete andare a sorpresa un giorno in Cassazione, se non ci siete andati per mestiere, e lo scoprirete con i vostri occhi; io lo sto scoprendo ora in quest'anno di Presidente, perché due giorni a settimana incontro i colleghi con i trolley e le borse.
  Sicché, vanno benissimo i modelli astratti, a condizione però di misurarci con la realtà delle cose. La realtà delle cose ci dice che nei nostri uffici, in quelli dei pubblici ministeri e poi in quelli dei giudici, arriva un carico di lavoro che non è figlio di una mentalità inquisitoria dei pubblici ministeri. In alcuni casi anche di quella, della mentalità dei pubblici ministeri di cercarsi i reati; ma fidatevi, è una percentuale minima dei casi. Negli altri casi siamo inondati di notizie di reato. Di queste notizie di reato come riusciamo a farci carico, con tutte le procedure e le garanzie che giustamente il codice prevede? Potremmo prevedere all'interno di un modello processuale astratto una diversa serie di modelli processuali adattandoli. È chiaro che un processo per omicidio in Corte d'assise dovrà avere le più ampie garanzie; ma possiamo prevedere un appello per questioni bagatellari, un ricorso per Cassazione per una multa? Questo è il punto. Senza una discussione su questo non ne verremo mai fuori. Questo è il punto vero.
  Quanto alle regole di giudizio e di archiviazione, la questione è molto lunga. Cambia sull'archiviazione; un po' diversa è la questione del giudizio. Il legislatore ha detto – possiamo dire se lo ha detto bene, o se il testo ha delle implicazioni negative – che bisogna fare una prognosi che alzi il livello della valutazione, e bisogna farlo non più dicendo se in contraddittorio si potrà verificare il fondamento di quell'accusa, ma se vi è una ragionevole possibilità. Questo naturalmente deve essere fatto con la valutazione prognostica fallibile, necessariamente fallibile, che quegli elementi raccolti nelle indagini preliminari, quindi unilateralmente, con il potere del solo pubblico ministero, possano resistere ragionevolmente a un giudizio che nel dibattimento si arricchirà anche di tutto quello che il dibattimento prevede (il contraddittorio, la regola di contestazione dell'esame, e via dicendo). Naturalmente è una prognosi molto complicata. Io non la vedo, però, ontologicamente incompatibile con la libertà del giudice del dibattimento.
  Il giudice del dibattimento a cui invece il giudice delle indagini preliminari, magari poco attento a questa regola di giudizio, l'abbia rinviato, si trova un materiale probatorio che è completamente diverso, come sappiamo noi penalisti.
  Mi sta capitando adesso di seguire un processo di pubblica amministrazione dove i testimoni, che sono venuti prima davanti a me nelle indagini, tornano adesso davanti al giudice. Sono sorpresi di dover raccontare al giudice ciò che hanno raccontato a me, ma al giudice lo raccontano con il contraddittorio delle parti, con il controesame, con la verifica critica del materiale acquisito, con le intercettazioni rilette dagli stessi testimoni.
  Quindi ha ragione lei, onorevole Vitiello, nel porre il problema, ma non lo vedo come una clausola di assoluta incompatibilità rispetto alla libertà del giudizio di chi viene dopo. Noi confidiamo e speriamo che l'aumento del potere prognostico, che dovrebbe spingere a una maggiore richiesta di archiviazione e che per noi pubblici ministeri è una manna, responsabilizzerà la nostra capacità di giudizio prognostico; però, nella logica che voi stessi auspicate, dovremmo anche responsabilizzare gli avvocati Pag. 19 che tutelano le persone offese a ridurre il novero delle opposizioni.
  Io ho da parte i fascicoli, quelli che noi chiamiamo «articolo 408» (del codice di procedura penale), cioè quelli per i quali noi dobbiamo notificare alle persone offese le richieste di archiviazione, in alcuni casi obbligatoriamente attendendo, aumentando i termini fissati e naturalmente mettendo le persone sempre nelle condizioni di interloquire; e ci sono sempre, sistematicamente opposizioni. Io non ho ancora mai visto nella mia vita una richiesta di archiviazione, magari anche per questioni secondo me – consentitemi l'immodestia – incontestabili, perché magari si tratta di questioni pacifiche o bagatellari, che non sia stata opposta. Questo induce poi alla fissazione di udienze davanti al giudice e naturalmente ad un aggravio di attività, e a tutto quello che viene dopo.
  Io avrei un po' di altre cose da dire, ma due sollecitazioni sono state rivolte direttamente al dottor Caputo. Una di queste è relativa ai criteri di priorità, ma secondo me il suo intervento è stato un po' frainteso; quindi gli vorrei dare la possibilità di replicare, evidenziando che i criteri di priorità già ci sono. Sono nelle cose, e non sono una contraddizione rispetto all'obbligatorietà; sono naturalmente un temperamento. Già ci sono nelle specializzazioni degli uffici.
  Quanti di voi che fanno gli avvocati penalisti considerano la specializzazione nelle procure della Repubblica una garanzia di competenza e conseguentemente di misura della nostra azione? Le specializzazioni già sono una priorità. Mentre i colleghi che si occupano di violenza sessuale fanno un'indagine, ci sono altri colleghi che si occupano di criminalità economica che ne fanno un'altra; ma i due dipartimenti non sono in un ordine cronologico, l'uno o l'altro. Questa è già una priorità. Quindi noi non soltanto non la consideriamo sbagliata, ma la consideriamo nel sistema; ma sono certo che il collega saprà darvi degli elementi in più.
  Naturalmente non ho risposto a tutto, però ho cercato di raccogliere gli spunti più importanti. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, Presidente Poniz. Dottor Caputo, prego.

  GIULIANO CAPUTO, Segretario generale dell'Associazione Nazionale Magistrati. Sarò brevissimo. Chiarisco il passaggio. La premessa è che noi riteniamo anche opportuno l'intervento sui criteri di priorità, che come ha detto bene il Presidente esistevano, ma erano regolamentati dal Consiglio superiore della magistratura e procedimentalizzati secondo alcuni passaggi che garantivano poi il punto di approdo attraverso l'interlocuzione tra gli uffici giudiziari.
  Vediamo in modo positivo che il legislatore intervenga sui criteri di priorità, prevedendo nel testo di legge la procedimentalizzazione così come esiste ora, che non tocca in alcun modo il principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale. Quindi è sicuramente un intervento di carattere positivo che prevede in un testo di legge quello che già viene seguito negli uffici giudiziari italiani. È un elemento di ulteriore trasparenza rispetto a una regolamentazione degli affari negli uffici di procura che – era questo il passaggio che probabilmente è sfuggito – continuerà a essere così per diversi anni.
  Speriamo che il sistema possa ritrovare un proprio equilibrio e che non ci sia più necessità di stabilire le priorità; ma il ragionamento sul sistema e sull'impianto complessivo della riforma era questo.
  Se ci illudiamo di poter stabilire tempi fissi per le indagini preliminari, a questo punto per coerenza non dovremmo pensare alle priorità; era per paradosso la dimostrazione del fatto che è illusorio pensare di poter predeterminare i tempi delle indagini preliminari.
  L'altra sollecitazione riguarda la discovery. Noi non pensiamo a un meccanismo alternativo. Io ho cercato di ripercorrere la storia dell'istituto e della durata delle indagini preliminari. Le sanzioni processuali e la avocazione già esistono.
  Per quanto riguarda le sanzioni disciplinari, diciamolo chiaramente: non è un tentativo di sottrarsi alla responsabilità disciplinare da parte della magistratura, perché basta andare a controllare la casistica della giurisprudenza disciplinare nei confronti Pag. 20 dei magistrati. I ritardi, le omissioni, anche in fase di indagine, sono oggetto di contestazione e anche di condanne disciplinari. Quindi abbiamo un sistema che già funziona. Non vediamo la necessità di prospettare ulteriori sanzioni disciplinari rispetto a un meccanismo automatico che, come abbiamo cercato di dirvi, potrebbe invece ingenerare una risposta opposta, di tipo burocratico. Si potrebbero avere dei magistrati, dei pubblici ministeri o dei giudici, che pensano a dare una risposta rispettando i termini, vista la prospettazione di un'ulteriore sanzione disciplinare, piuttosto che ad approfondire con il dovuto scrupolo le vicende processuali.
  La preoccupazione che abbiamo espresso, oltre che questo ultimo passaggio, riguarda anche quello intermedio. Penso che l'onorevole Paolini l'abbia detto in maniera chiara: occorre pensare a un doppio binario, pensare che ci sono dei reati e dei procedimenti penali nei quali è possibile fare una discovery delle indagini per mettere la parte al corrente di ciò che sta accadendo, mentre ce ne sono altri che riguardano la nostra realtà particolarmente agguerrita anche nelle forme organizzate (perché facciamo sempre i conti con una realtà criminale sul territorio nazionale, non più soltanto al Meridione). Noi riteniamo che ciò possa essere pericoloso se non viene regolamentato in qualche modo, prevedendo una soluzione diversa per determinati tipi di indagine, particolarmente complesse. Non è soltanto inerzia.
  L'onorevole Vitiello ha parlato dei tempi di emissione delle misure cautelari. Lei sa bene, avendo fatto l'avvocato per tanto tempo, qual è la situazione, rispetto a quei giudici che impiegano tempo a emettere una richiesta di misura cautelare. Non esiste nel nostro ordinamento un giudice che tratta un unico procedimento al quale arriva una richiesta di misura cautelare. Quel giudice probabilmente ne sta scrivendo altre tre o quattro, sta facendo le sue udienze preliminari e sta facendo i giudizi abbreviati nei confronti di 50 imputati. Se quel giudice ci mette sei mesi non è perché ha perso tempo su quella richiesta di misura cautelare, ma perché intanto sta facendo altro. Poi le devo dire la verità, da cittadino mi sentirei più tranquillo ad avere un giudice che impiega otto o dieci mesi per valutare una richiesta del pubblico ministero piuttosto che uno che dà una risposta in tre mesi, costi quel che costi. È questo il tema vero dei tempi, è questa la nostra preoccupazione rispetto a un testo di legge che prevede invece rigide scansioni temporali.
  Il Presidente Poniz ha risposto su tutti gli altri spunti, ma sono arrivati davvero spunti molto interessanti di confronto.
  Il diritto penale minimo è stato oggetto di un approfondito confronto con la parte politica e con gli avvocati: al momento, non può esplicarsi nel nostro ordinamento, se non attraverso quel sistema che è stato frutto di un venirsi incontro e di un ragionare sulla possibilità di deflazionare il sistema. Dopo gli interventi degli ultimi anni, è davvero difficile intervenire nel nostro ordinamento con ulteriori interventi di depenalizzazione che abbiano un effetto realmente deflattivo rispetto ai carichi nel nostro ordinamento. Quindi ritorniamo a quello che ha detto benissimo il Presidente Poniz, riguardo a una società che ha istanze verso un diritto penale che non sia minimo, con un tasso di litigiosità e una domanda patologica di giustizia penale, anche per vicende che forse non meriterebbero l'attenzione del giudice penale.
  La modifica della regola di giudizio, anche durante quel confronto – lo ha detto il Presidente Poniz – è stata valutata per la parte che consente di non arrivare a giudizio, evitando processi che non fanno altro che rendere ancora più gravosi i ruoli dei giudici. Anch'io non ho risposto a tutto, ma mi sembra che il tempo stringa. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio. Attendiamo le integrazioni scritte che ci avete preannunziato, perché sono fondamentali per il prosieguo del nostro lavoro. Il vostro è un contributo assolutamente essenziale, che ci dà modo di lavorare sul disegno di legge delega. Vi ringrazio di nuovo e speriamo di vedervi presto per altri contributi.

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  LUCA PONIZ, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Naturalmente rimaniamo a disposizione. Tra poco abbiamo le elezioni, quindi non sappiamo chi di noi tornerà qui; ma l'Associazione è a disposizione da sempre e lo fa con grande spirito di collaborazione, sapendo che voi avete una difficile responsabilità di mediazione tra le tante visioni che ci sono. Noi non faremo mai mancare il nostro contributo. Abbiamo degli appunti, ma le urgenze di questi giorni ci hanno impedito di arrivare con un documento all'altezza del consesso; ma non lo faremo mancare.

  PRESIDENTE. Grazie mille, Presidente. Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di Federico Cafiero De Raho, Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge C. 2435 Governo, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello, di Federico Cafiero De Raho, Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo. Ringrazio l'audito per avere accolto l'invito della Commissione e poiché abbiamo tempo e non sono previsti lavori in Assemblea, il dottor De Raho potrà illustrare gli argomenti con la massima tranquillità. Daremo poi seguito agli interventi dei commissari, ai quali seguirà la replica eventuale del dottor De Raho che nel caso potrà inviare, qualora non l'avesse già fatto, alla segreteria della Commissione un documento scritto. Tale documentazione in assenza di obiezioni sarà pubblicata sul sito internet della Camera dei deputati e resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera. Do quindi la parola al dottor Federico Cafiero De Raho, Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo. Presidente, grazie per avermi invitato. Ringrazio i componenti della Commissione per avermi dato l'opportunità di questa audizione. Il disegno di legge per l'efficienza del processo penale e per le determinazioni necessarie a renderlo più rapido presenta in generale aspetti significativi che inducono a ritenerlo uno strumento che certamente aiuterà a migliorare la rapidità del processo sia pure con qualche osservazione che necessariamente devo fare. Sappiamo che il disegno di legge in esame tende ad accelerare lo svolgimento del processo penale – introducendo quindi il deposito degli atti e dei documenti con modalità telematiche, prevedendo le comunicazioni e notificazioni con modalità telematiche, prevedendo la modifica della disciplina delle indagini preliminari, dell'udienza preliminare, dei riti alternativi, del dibattimento e delle impugnazioni – ed interviene inoltre su alcuni aspetti riguardanti la prescrizione. Diciamo innanzitutto che l'articolo 1 rappresenta la base di quello che sarà il percorso da seguire per l'adozione del decreto legislativo. Sono le regole alle quali il Governo si dovrà attenere. Quindi possiamo sicuramente passare direttamente ad esaminare l'articolo 2 che già inizia a riguardare l'efficienza dei procedimenti penali in materia di notificazione. L'articolo 2 prevede, alle lettere a) e b) del comma 1, che atti e documenti siano depositati con modalità telematica. È quel che già avviene nel processo civile telematico. Qui si prevede che il Ministro della giustizia individui gli atti per i quali sarà obbligatorio il deposito telematico. Si prevede anche che il deposito abbia valore dal momento in cui è generato il messaggio di conferma telematica. La lettera c) del comma 1 dell'articolo 1 prevede che in caso di deposito telematico obbligatorio – la disposizione peraltro lascia al decreto delegato l'individuazione sia delle tipologie per le quali sarà obbligatorio sia anche degli uffici – questo possa essere derogato solo dal capo dell'ufficio qualora ricorrano determinati fatti straordinari come disfunzioni o elementi tali che lo impediscono. Si prevede che per quanto attiene all'imputato e per le persone diverse dall'imputato Pag. 22le comunicazioni e le notificazioni possano essere eseguite con modalità telematica anche mediante soluzioni diverse dalla posta elettronica certificata (PEC). In relazione a questa parte va ricordato che la legge n. 221 del 2012, che configurava il testo di riferimento per la trasformazione del processo cartaceo in telematico, ha introdotto all'articolo 16 l'obbligatorietà per la cancelleria della comunicazione e notificazione a mezzo PEC nei confronti delle persone diverse dall'imputato. Nulla prevedeva il citato articolo 16 relativamente alla possibilità per le parti private di effettuare notificazioni e comunicazioni per via telematica. La giurisprudenza per questo motivo ha sempre interpretato la norma nel senso di ritenere che l'uso dello strumento telematico fosse limitato alle cancellerie. L'attuazione delle direttive delegate dovrebbe quindi cambiare il quadro normativo, agevolando non solo le cancellerie ma anche i difensori. Tale modifica pare dunque assolutamente auspicabile, come auspicabile sarebbe l'attuazione di un vero e proprio processo penale telematico che velocizzerebbe i tempi della giustizia penale e non avrebbe più i rallentamenti che in casi come quelli attuali di pandemia ci sono stati. Questi non ci sarebbero stati se la riforma fosse stata già in atto. Tornando all'esame dell'articolo 2, alla lettera l) del comma 1 si prevede la riforma del sistema delle notificazioni. Quindi in primo luogo si prevede che tutte le notificazioni all'imputato non detenuto successive alla prima siano effettuate a mezzo di consegna al difensore. Tale accorgimento escluderebbe quindi la dilatazione dei tempi di notifica, soprattutto laddove ricorrono situazioni di irreperibilità che hanno causato non pochi problemi interpretativi e applicativi. Dunque, solo la prima notifica avverrà a mani dell'imputato o di un convivente ovvero del portiere. Le successive notifiche avverranno presso il difensore. Per questo è stato detto «con modalità telematiche». Sono previste, comunque, delle deroghe al nuovo regime delle notificazioni a garanzia dell'effettiva conoscenza degli atti da parte dell'imputato. L'imputato, comunque, sarà avvertito che tutte le successive notifiche avverranno presso il suo avvocato. L'imputato ha l'onere di indicare un recapito idoneo in cui ricevere le comunicazioni del difensore. Il difensore è tenuto indenne da responsabilità nel caso in cui l'omessa o ritardata comunicazione all'imputato sia attribuibile a fatto di quest'ultimo. Qui occorre una riflessione. Appare evidente che il nuovo sistema dovrà assicurare l'effettiva conoscenza dell'imputato nel rispetto dei suoi diritti che trovano fonte nella nostra Costituzione e nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Il difensore dovrà espletare il proprio mandato, mantenendo costante il rapporto anche informativo con l'assistito, il che determinerà naturalmente un impegno ulteriore e notevole. Occorrerà che i diritti degli imputati meno abbienti trovino piena soddisfazione anche laddove l'avvocato non sia affiancato da una struttura professionale che renda più agevole la continuità del rapporto. Nella difesa di ufficio si può evidenziare la difficoltà di mantenere costanti rapporti con l'assistito laddove il difensore non sia dotato di una struttura professionale complessa. Probabilmente sarà necessario anche proiettarsi in impegni sociali che sostengono le categorie più disagiate. Diversi studi legali italiani negli ultimi tempi replicano una prassi tipicamente anglosassone, quella di lavorare gratuitamente o in maniera vantaggiosa a favore di chi ne ha bisogno. Perché il sistema funzioni è necessario risolvere anche questi aspetti. La nostra Costituzione prevede l'eguaglianza di tutti davanti alla legge ed è perciò necessario che tutti siano messi in condizione di esercitare effettivamente i propri diritti, anche i più poveri. L'articolo 3 del disegno di legge enuncia i princìpi e i criteri direttivi per le modifiche al codice di procedura penale in tema di indagini preliminari e di udienza preliminare. All'articolo 3, in connessione tra le lettere a) e i) del comma 1, vi è la modifica di due articoli: dell'articolo 425, comma 3, del codice di procedura di penale e dell'articolo 125 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, laddove si dice che l'archiviazione o il proscioglimento avvengono sempre che gli elementi acquisiti Pag. 23non siano idonei a sostenere l'accusa in giudizio. Questa era l'espressione che ha utilizzato il nostro codice. La legge delega proposta dal disegno di legge in esame, rendendo più stringente il filtro dell'udienza preliminare, oggi prevede che il pubblico ministero chieda l'archiviazione quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari «risultano insufficienti o contraddittori o comunque non consentono una ragionevole previsione di accoglimento della prospettazione accusatoria nel giudizio». Dunque non bastano elementi idonei a sostenere l'accusa. Ci vuole la prevedibilità della condanna. Vi è poi un'altra piccola modifica sulla notifica. Non c'è obbligo di notifica se la persona offesa ha rimesso la querela. La giurisprudenza costituzionale quasi trent'anni fa aveva specificato che l'azione penale obbligatoria ha un limite. Il processo non deve essere instaurato quando si appalesa oggettivamente superfluo. La Corte costituzionale il 15 febbraio del 1991, con la sentenza n. 88, si esprimeva in questi termini. Successivamente però sia la giurisprudenza di legittimità che quella di merito hanno determinato un filtro sempre meno consistente da parte del giudice dell'udienza preliminare (GIP) con aumento esponenziale dei giudizi dibattimentali. La formulazione netta prevista nella riforma potrebbe indubbiamente portare a una maggiore severità del GIP e dunque questa riforma potrebbe effettivamente rafforzare il filtro dell'udienza preliminare, diminuendo i processi da celebrare a dibattimento. Pare necessario che il giudice, nel momento in cui deve decidere se disporre il rinvio a giudizio, valuti con giudizio prognostico, avuto riguardo ad un plafond probatorio non insufficiente a cagione della inattività del pubblico ministero, perché altrimenti i diritti della difesa verrebbero ingiustamente sacrificati. Questa riflessione tocca più la formazione, l'etica e la disposizione del giudice. È evidente che se calassimo il livello di valutazione sul quadro indiziario, lasciandoci andare a quadri indiziari incompleti e quindi agevolando l'archiviazione, finiremmo per violare il principio di obbligatorietà dell'azione penale e quindi andare contro la nostra Costituzione e anche contro quello che è il nostro sistema penale. È evidente quindi che è necessario conciliare in modo equilibrato, approfondito, equo ed etico il principio della valutazione degli elementi necessari per il rinvio a giudizio e al tempo stesso quelli che devono indurre il giudice a una valutazione ai fini dell'archiviazione. La lettera c) del comma 1 dell'articolo 3 affronta poi il tema del termine della durata delle indagini preliminari e anche qui l'intento è evidentemente deflattivo. Attualmente il termine per le indagini è di sei mesi e di un anno per i delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, che sono tutti i reati gravi di mafia, di terrorismo e di associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, di traffico di stupefacenti, di illegale fabbricazione di armi. Vale a dire una serie di reati di per sé gravi. Per questi è previsto il termine di durata di un anno. Questo termine però può essere prorogato attualmente in via generale per i reati diversi da quelli di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, di ulteriori sei mesi e ancora altri sei mesi. Laddove si tratta di indagini particolarmente complesse che richiedono perizie per le quali è necessario un tempo particolarmente rilevante, si può anche arrivare a due anni. Per gli altri delitti - quelli di cui ho detto di cui al citato articolo 407, comma 2, lettera a) - il termine è un anno anch'esso prorogabile di sei mesi più sei mesi. Quindi arriviamo a due anni. Nel progetto di riforma tutto ciò viene modificato, perché per la generalità dei reati il termine sarà di un anno, a meno che non si tratti di reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena non superiore nel massimo a tre anni per i quali il termine massimo delle indagini sarà di sei mesi. Sarà di un anno e mezzo il termine per taluno dei delitti indicati al citato articolo 407, comma 2. Quindi possiamo innanzitutto osservare che viene eliminata la proroga per i reati di cui all'articolo 407, comma 2, del codice di procedura penale, e così avviene anche per i reati ordinari diversi da quelli minori. È cosa buona, perché comunque si trattava sostanzialmente Pag. 24 di una burocratizzazione del procedimento. Si trattava di un semplice passaggio di carte. Il GIP non aveva che la richiesta del pubblico ministero con cui si chiedeva la proroga e salvo casi eccezionali il giudice poteva rilevare l'ingiustificatezza della proroga e quindi respingere, ma credo che casi di questo tipo forse non sono mai avvenuti o se sono avvenuti sono stati talmente rari che veramente si contano sulla punta delle dita. Quindi, con l'attuale sistema innanzitutto evitiamo il passaggio di carte all'ufficio del pubblico ministero o, con l'avvento della trasmissione telematica, la trasmissione telematica del fascicolo. Poi avremo una sola proroga, cioè sia nel primo caso che negli altri due si potrà chiedere una sola proroga, quindi per una sola volta per sei mesi. Alla lettera e) del comma 1 dell'articolo 3 c'è la previsione del deposito degli atti di indagine coattivo. Vale a dire che quando è decorso il termine è possibile che ancora gli atti restino in capo al pubblico ministero ma per un determinato tempo che non può superare i tre mesi dalla scadenza del termine massimo per quelle ipotesi che abbiamo considerato prima o, quando si tratta di reati di cui all'articolo 407, comma 2, lettera b), o dodici mesi nei casi di cui all'articolo 407 comma 2, lettera a), numeri 1), 3) e 4). Quindi se non sono stati depositati ancora gli atti, gli stessi vanno necessariamente depositati e l'articolo 407, comma 2, lettera b), fa riferimento a quei procedimenti particolarmente complessi, mentre l'articolo 407, comma 2, lettera a), numeri 1), 3) e 4), fa riferimento a delitti gravi, associazione mafiosa e associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, reati e delitti aggravati con la finalità di agevolare l'associazione mafiosa o delitti aggravati dal terrorismo. Stranamente però nel prevedere i termini non sono stati previsti i delitti di cui ai successivi numeri 6) e 7), vale a dire dei delitti che pure sono particolarmente gravi. Parliamo del traffico di stupefacenti. Un'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti non avrebbe lo stesso trattamento, così come non avrebbe lo stesso trattamento il delitto di associazione per delinquere, per la quale è obbligatorio l'arresto. Quindi si tratta ugualmente di fatti molto gravi che non sono sicuramente meno gravi dell'associazione mafiosa e dell'associazione finalizzata al traffico di tabacchi lavorati esteri, così come ugualmente sarebbe particolarmente grave il procedimento per delitti di sequestro di persona a scopo di estorsione che pure non rientrano nell'ambito di questa categoria. Devo anche sottolineare come, per quanto riguarda il deposito obbligatorio, non è prevista alcuna clausola di salvaguardia per i casi nei quali i procedimenti penali sono in collegamento investigativo e vi è in corso il coordinamento della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo con le direzioni distrettuali antimafia o con le procure distrettuali antiterrorismo. Questo che significa? Vi faccio subito un esempio. Abbiamo, nell'ambito dell'obbligo di circolazione delle informazioni che esiste nel circuito antimafia, l'esigenza che laddove i procedimenti trattino temi collegati (pensiamo a un'associazione mafiosa che opera a Palermo che si muove attraverso i propri referenti a Milano e a Torino e opera con il reinvestimento del danaro e la stessa associazione che opera con finalità di traffico di sostanze stupefacenti e altri reati collegati a questi presso altri distretti), si facciano riunioni di coordinamento finalizzate proprio a individuare gli ambiti nei quali ciascun ufficio dovrà sviluppare le proprie indagini, non per limitare l'ambito investigativo, ma soltanto per consentire a tutti di sapere cosa stanno facendo gli altri. In questo modo, avendo la più ampia conoscenza, il quadro indiziario e conoscitivo di ciascuno è particolarmente ampio e alla fine dell'indagine ciascuno utilizzerà anche parti delle indagini degli altri uffici, ma tutti dovranno arrivare alla prima ordinanza di custodia cautelare insieme. È un lavoro spesso faticoso ma necessario. Recentemente avevamo quattro uffici in collegamento, di cui uno già in possesso di ordinanza di custodia cautelare, ma essendoci stata la condivisione degli atti e quindi lo scambio delle informative, quell'ufficio non poteva procedere all'esecuzione, ma doveva e deve aspettare che gli altri uffici arrivino allo stesso momento per rendere Pag. 25ostensibili gli atti per tutti. Ipotesi di questo tipo non sono previste eppure sono ipotesi fondamentali per consentire il coordinamento. Il termine massimo non dipende dal Pubblico Ministero né dal procedimento. Dipende dalla potenziale capacità che ha ciascun procedimento di essere in collegamento con altri. Quindi è proprio per la forza, la capacità di impattare sulla criminalità organizzata che il sistema della circolazione delle informazioni e del coordinamento attraverso direzioni nazionale, direzioni distrettuali e procure distrettuali consente di intervenire in modo calibrato all'unisono, in modo da raggiungere l'obiettivo insieme, un obiettivo molto più forte di quello che si raggiungerebbe diversamente se ciascuno operasse separatamente rispetto agli altri. Questo è un punto importante sul quale probabilmente ci si dovrà soffermare, altrimenti si cadrà nello stesso errore in cui si è caduti con la disciplina sulle intercettazioni. Vi sarà noto che la disciplina sulle intercettazioni che certamente è di grande portata culturale e giuridica, però ha un problema. Il problema è quello della assoluta segretezza delle intercettazioni ambientali, telefoniche e telematiche. Questo obbligo di segreto è stato posto in capo ai procuratori della Repubblica. I procuratori distrettuali hanno il dovere di riversare tutti gli atti dei loro procedimenti nella banca dati della Direzione nazionale che è una banca dati che si articola attraverso il contenuto dei procedimenti sviluppati da tutte quante le direzioni distrettuali e il contenuto delle banche dati di ciascuna Direzione distrettuale che riversa nella propria tutto il proprio materiale. Nello stesso momento può consultare la banca dati centrale e quindi avere di volta in volta le informazioni, utilizzando quelle che sono immediatamente ostensibile o almeno chiedendo il nulla osta all'utilizzazione all'ufficio che è titolare dell'informazione ancora coperta da segreto. Con l'entrata in vigore della nuova disciplina sulle intercettazioni non c'è più il riversamento delle intercettazioni, perché i procuratori distrettuali attendono una norma che li autorizzi, anche perché in mancanza ritengono che verrebbero a violare un obbligo che è quello di custodire il contenuto delle intercettazioni. Questo lo dicevo soltanto per condividere un'informazione che è importante. A volte nel leggere una disposizione, si ritiene inutile allargarla e poi essa finisce per influire su tutto un circuito che fino a un certo momento è stato di piena condivisione. Ancora, l'articolo 3, comma 1, lettera h), prevede che il procuratore individui criteri di priorità trasparenti e predeterminati, la successiva lettera l) prevede poi che le parti possono fare istanza fino alla conclusione dell'udienza preliminare di accertamento e l'effettiva data di acquisizione della notitia criminis. Nell'istanza devono essere indicate specificamente le ragioni di diritto e di fatto che la sorreggono. La modifica di cui alla lettera h) non prevede particolari innovazioni, perché già oggi vi è un sistema, per cui vengono individuati i procedimenti che devono seguire i criteri di priorità adottati non solo dall'ufficio del procuratore ma dalla Conferenza distrettuale, costituita dal presidente della corte d'appello, dai presidenti dei tribunali dei circondari e dal procuratore della Repubblica dei circondari. Tutti insieme li individuano e quelli sono i criteri ai quali bisogna attenersi. Quanto invece alla data di acquisizione della notitia criminis, questo è uno dei problemi probabilmente che è stato affrontato ripetutamente anche dalla giurisprudenza della Corte di cassazione. Arrivare all'individuazione esatta del momento in cui vi è l'obbligo di iscrizione è cosa non facile, anche perché l'iscrizione deriva sostanzialmente da una valutazione che è discrezionale. Non è una discrezionalità che quasi lambisce l'arbitrarietà, si badi bene. È una discrezionalità che trova la sua fonte nel quadro. Potrebbe essere taluno toccato da un elemento che potrebbe, unito ad altri, essere già condizione per l'iscrizione, ma potrebbe anche non esserlo. Quindi è evidente che prima di iscrivere una persona nel registro degli indagati si guarda molto attentamente qual è la sua posizione, la si valuta nella sua interezza e quel che appare alla fine dell'indagine non è certo quel che appare all'inizio. Quindi anche un'indicazione che a volte avviene Pag. 26nell'informativa - laddove molto spesso anche cento nominativi vengono posti come soggetti dall'indagine - ad una valutazione attenta non tutti sono già in una fase da potersi ritenere indagati. Quindi quando discussioni di questo tipo vengono poi portate nell'aula dell'udienza preliminare, laddove poi si deve discutere dell'utilizzabilità o meno, diventa veramente complicato arrivare all'affermazione dell'esistenza o meno di quegli elementi che consentivano la registrazione, quindi l'iscrizione nel registro degli indagati. Purtuttavia è certamente un aspetto significativo, sul quale probabilmente bisognerà intervenire. Occorrerà certamente però trovare una formula che sia corrispondente esattamente alle esigenze che di volta in volta nei procedimenti si pongono. Abbiamo poi all'articolo 4 i procedimenti speciali con il passaggio dell'attuale limite a otto anni. Evidentemente questo passaggio consentirà quindi una riduzione dei processi e quindi dei dibattimenti. È certo che entreranno in questo ambito e potranno beneficiare di questo ambito anche delitti di rilevante gravità. È evidente che la scelta che si è fatta è quella di individuare gli strumenti attraverso i quali poter pervenire alla massima riduzione dei procedimenti che vanno al dibattimento ed è anche vero che un patteggiamento è fondamentalmente il riconoscimento di una responsabilità. Quindi anche su questo certamente vi è una valutazione positiva pur nei limiti in cui un delitto grave possa arrivare ad una riduzione di un terzo proprio grazie alla scelta del patteggiamento. Altrettanto si dica per il giudizio abbreviato, laddove però è prevista in particolare l'introduzione di un elemento di grande importanza. Vale a dire l'ammissione al giudizio abbreviato condizionato con valutazione da parte del giudice. Si vuole sostanzialmente sottolineare come il giudizio abbreviato debba garantire l'economicità del procedimento. È evidente che laddove il giudizio abbreviato condizionato a un'acquisizione probatoria particolarmente complessa non è più conveniente, purtuttavia il giudice oggi ha difficoltà a respingere un giudizio abbreviato condizionato, laddove anche le acquisizioni profilate sono particolarmente complesse. Attraverso invece l'introduzione di questa nuova disposizione, certamente si rimette al giudice anche questa valutazione di convenienza. Se fosse celebrato il dibattimento, ci sarebbe un dispendio di energie di tanto maggiore? Se non c'è, è evidente che non si può arrivare a un giudizio abbreviato condizionato dall'acquisizione probatoria così complessa. In relazione al giudizio immediato è introdotta la possibilità in caso di rigetto di avanzare richieste ulteriori di riti alternativi. In ultimo, quanto al decreto penale di condanna, si sono dilatati i tempi della possibile proposizione dall'iscrizione del reato. Lascio comunque un mio appunto (vedi allegato) che è un po' più preciso e un po' più ricco e qui vado a sintetizzare. Quanto al giudizio dibattimentale, l'articolo 5 pone interventi assolutamente tutti condivisibili. Alla lettera e) del comma 1 viene posto un principio di grande importanza, quello della lettura degli atti in un procedimento diverso, quando cambia il giudice. Questo è stato uno dei motivi di ritardo della celebrazione e definizione di tanti maxi processi, tanto che per i maxi processi riguardanti reati di mafia e di terrorismo è stata introdotta una disposizione che consente la lettura degli atti nel caso cambi il giudice ma non anche per gli altri procedimenti. Quindi ci si è trovati di fronte a una disparità di trattamento che determina comunque un aggravio nell'ambito della gestione del processo. Con questo intervento legislativo, invece, sarà possibile allargare la possibilità di lettura degli atti in un procedimento diverso, quando cambia il giudice. L'unico appunto che devo evidenziare è che ciò vale per i procedimenti di competenza del tribunale e non si dice anche per i procedimenti innanzi alla corte di assise. Quindi qualora innanzi alla corte d'assise ci sia per esempio un omicidio particolarmente complesso, anche una strage, per la quale si pone lo stesso problema (pensiamo ai giudici popolari in determinati processi che si ammalano, che non si possono più presentare e quindi non si può comporre con il giusto numero quella Corte) è necessario riconvocare la Corte e riprendere il processo daccapo. Quindi mi Pag. 27sembra che inserire anche l'inciso «uno dei giudici nei procedimenti di competenza del tribunale ma anche nei procedimenti innanzi alla Corte d'assise», probabilmente potrà assicurare lo stesso trattamento e quindi la lettura di atti anche in essi.
  L'articolo 6 è relativo al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica: qui di fatto viene introdotto un giudice filtro simile al GIP anche per i procedimenti poi giudicati monocraticamente. Vale a dire: il procedimento passa a un primo giudice, il quale valuterà se ricorre una causa di estinzione, se l'azione penale non doveva essere iniziata o proseguita, se il reato non è più previsto dalla legge, se risulta che il fatto non sussiste, che l'imputato non l'ha commesso, che il fatto non costituisce reato, che si tratta di persona non punibile o quando gli elementi acquisiti non consentono l'accoglimento e la prospettazione accusatoria in giudizio, avremo un giudice monocratico che si deve occupare in un'udienza anche di questo, ma ciò significa che il giudice monocratico dovrà leggere, studiare, conoscere il processo e quindi davanti a lui avverrà comunque una sorta di udienza preliminare. Per cui abbiamo inserito un filtro che probabilmente non agevola e non accelera il procedimento. Su questo ci sarà forse da vedere. Si avrà addirittura il raddoppio dei procedimenti in questo modo con un giudice filtro simile al GIP. Per l'appello anche qui abbiamo un'innovazione che tengo a segnalare. I giudizi del tribunale in composizione monocratica saranno giudicati in appello dalla corte anch'essa in composizione monocratica. Credo che questa è forse la più grande e importante innovazione insieme ad altre che ho segnalato, la quale potrà sicuramente velocizzare ulteriormente i processi. D'altro canto il carico di lavoro delle corti d'appello è enorme e sappiamo tutti che è come un imbuto quello che è avvenuto nella giustizia. Per cui le procure si proiettano sui tribunali. I tribunali a stento riescono a fronteggiare il carico di lavoro. Quando poi arrivano in corte d'appello, i processi si fermano quasi totalmente. Invece dare la possibilità o meglio introdurre questa innovazione è di grande importanza. Abbiamo poi all'articolo 8, condizioni di procedibilità, all'articolo 10, disciplina sanzionatoria delle contravvenzioni, all'articolo 11, disposizioni in materia di controllo giurisdizionale della legittimità della perquisizione. Qui c'è sicuramente il problema della valutazione della perquisizione. Pensiamo a tante perquisizioni che vengono eseguite ai sensi del testo unico sull'ordine pubblico e a tante perquisizioni che finiscono per non consentire alla parte di inserirsi nel meccanismo di valutazione e intervenire per sostenere la propria parte. Infatti è previsto che per la perquisizione seguita dal sequestro vi è il riesame. Nulla invece è consentito nel caso di sola perquisizione che viene convalidata, ma la perquisizione resta negativa e quindi di per sé non consente alcuna valutazione. Probabilmente anche questo è un modo importante per vigilare sulla correttezza dei comportamenti. L'unico aspetto più delicato è quello dei procedimenti particolarmente complessi e significativi che potrebbero determinare una pubblicità degli atti per giustificare la perquisizione. Probabilmente, se si riesce a trovare la giusta dimensione e il giusto equilibrio fra le esigenze della parte di trovare pieno rispetto dei propri diritti e quindi poter controllare anche la ragione che ha dato adito alla perquisizione e allo stesso tempo poter tutelare le indagini complesse che riguardano soprattutto alcuni settori della mafia, del terrorismo, certamente la disposizione raggiungerebbe in pieno il proprio obiettivo e sarebbe rispondente a un'esigenza che si sente da tempo. Sui termini di durata del processo, anche qui vengono posti giustamente dei termini ma non vi è lo stesso problema che è stato invece posto in sede di indagini preliminari, laddove superando anche il termine di deposito coattivo, si arriverebbe a una responsabilità disciplinare. Qui non c'è una responsabilità disciplinare. Purtuttavia vi sono delle indicazioni che probabilmente sono il frutto anche di una riflessione profonda sulla legge Pinto e quindi sulle conseguenze che lo Stato si trova ad affrontare proprio per la durata dei processi. È certo che di fronte a queste indicazioni andrebbero anche Pag. 28 individuate le modalità attraverso le quali sostenere al meglio la giustizia e quindi i processi nel proprio percorso. Ancora, l'articolo 12 prevede a una disciplina della durata dei processi nei vari gradi di giudizio al fine di pervenire quindi a un rispetto della legge Pinto. Si fa eccezione però per alcuni delitti di cui all'articolo 407, comma 2. Ancora una volta qui si parla dell'articolo 407, comma 2, lettera a), numeri 1), 3) e 4) e comma 2, lettera b), e non si guarda ai delitti ugualmente gravi previsti dal numero 6) e dal numero 7) o dal numero 2) del comma 2 dell'articolo 407, vale a dire i delitti riguardanti il traffico di sostanze stupefacenti, le associazioni finalizzate ad esso, i delitti di associazione per delinquere nei casi in cui è obbligatorio l'arresto in flagranza e il sequestro di persona a scopo di estorsione. L'articolo 14 prevede alcune disposizioni in materia di sospensione della prescrizione, ma credo che su questo non ci siano grandi osservazioni che come Direzione nazionale mi sento di riferire. In via generale e sintetica questi sono i punti che ho ritenuto di dover evidenziare. Lascio comunque l'appunto scritto dell'audizione (vedi allegato) e naturalmente mi riservo di esprimere più precise osservazioni qualora fosse necessario. Grazie a lei, presidente.

  PRESIDENTE. Io ringrazio il dottor Cafiero De Raho. Chiedo se ci sono dei colleghi che intendono intervenire. Vedo il collega Vitiello, la collega Giuliano, per adesso loro due. Collega Vitiello, prego.

  CATELLO VITIELLO. Grazie, Presidente. Procuratore, buonasera. Andrò un po' per spot senza recuperare proprio tutto, perché sarebbe anche impossibile, vista la vastità delle argomentazioni e dei concetti che ha snocciolato. Cerco però di individuare i punti che secondo me sono più importanti. Lei ha fatto riferimento alla regola del giudizio di cui all'articolo 425 del codice di procedura penale e all'articolo 125 delle disposizioni di attuazione e su questo corretto cambio di passo da parte della riforma. Allora le chiedo se non ritenga che questo cambio di passo e quindi questa modifica della regola di giudizio dell'udienza preliminare in particolare sia un'ipotesi di ritorno al giudice istruttore, creando un innegabile pregiudizio nella valutazione che poi dovrà fare il giudice del dibattimento.
  Ancora, lei ha fatto riferimento alla durata delle indagini. Su alcune cose sono assolutamente d'accordo con lei. Secondo lei sarebbe corretto intervenire anche sui tempi? Perché in questa riforma non si parla mai di cautela. Sulla cautela non si dice nulla e penso che sia anche quello un momento importante del procedimento e soprattutto del percorso investigativo. Non ritiene che si debba intervenire anche nei tempi di gestione del fascicolo tra la richiesta di applicazione della misura e l'ordinanza cautelare? Perché è mia esperienza che purtroppo rischiano di passare anche mesi se non addirittura anni, perché mi è capitato. Poi lei ha fatto riferimento – e questa secondo me è una delle più grandi criticità di cui, anche grazie a una recentissima sentenza della Cassazione, si è parlato nell'ultimo anno solare – alla lettura degli atti nel momento in cui cambia il giudice. Io penso che si debba risolvere in altro modo, però chiedo a lei se ritiene più giusto intervenire sui ruoli dei giudici, impedendo il loro trasferimento quando non abbiamo concluso processi importanti o particolarmente articolati. Non ritiene che quella disparità di trattamento a cui lei faceva riferimento rispetto ad altre ipotesi di processi e altre ipotesi di reato sia dettata dalla visione derogatoria della disposizione di cui all'articolo 190-bis del codice di procedura penale? Se si tratta di una deroga, evidentemente la disparità è cercata dal legislatore.
  Ha fatto riferimento al giudice filtro, come il GIP, per quanto riguarda il giudizio monocratico. Anche io ho delle grossissime perplessità e le chiedo se non pensa che si stia dando il colpo definitivo a quell'istituto previsto dall'articolo 469 del codice di procedura penale, quella sentenza famosissima predibattimentale che poche volte, forse mai, ho visto nel corso della mia esperienza da avvocato? Infine, sul giudizio monocratico in appello io sono di un'idea Pag. 29 un po' diversa. Lei non ritiene che il giudizio di appello debba garantire una collegialità proprio lì dove non c'è stata in primo grado? Posto che so che già oggi la collegialità molte volte è una chimera, perché è il relatore a fare tutto, però so anche che nelle camere di consiglio una dialettica poi si instaura il più delle volte. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Vitiello. Do ora la parola all'onorevole Giuliano. Prego.

  CARLA GIULIANO. Grazie, presidente. Saluto e ringrazio il procuratore De Raho per la sua relazione. Volevo soltanto due brevi chiarimenti, perché probabilmente ho perso io alcuni passaggi. Procuratore, quando lei parla del deposito degli atti di indagine coattivo, mi sembra di aver capito - ma le chiedo conferma - che lei ha sollevato il problema che non si comprende dal provvedimento in esame che cosa succede quando ci sono procedimenti connessi o collegati che hanno dei termini di indagine differenti.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo. Si.

  CARLA GIULIANO. Poi invece un'altra domanda che riguarda quanto è previsto dall'articolo 3, comma 1, lettera l), cioè quando il giudice può rideterminare la data di iscrizione nel registro degli indagati. Per migliorare la norma, visto che lei parlava di alcune fattispecie di reato che presumibilmente richiedono delle indagini molto complesse e quindi per evitare poi di incappare in delle inutilizzabilità, lei ritiene opportuno integrare la norma, prevedendo dei tempi più ampi che possano anche tener conto di alcune casistiche particolari ma oggettive? Penso per esempio alla semplice assenza del giudice per malattia o per gravidanza. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Giuliano. Prego, onorevole Paolini.

  LUCA RODOLFO PAOLINI. Ringrazio il presidente e il dottor De Raho. La ringrazio per la estrema puntualità e precisione delle sue osservazioni. Desidero fare una domanda senza entrare nel merito delle singole questioni che sono state già abbastanza trattate. Il tema di fondo del nostro ordinamento è la numerosità dei precedenti penali. Rispetto all'Inghilterra, se non ricordo male, ne abbiamo circa tre volte tanto a fronte di una popolazione che è sostanzialmente equivalente. Conosciamo la differenza degli ordinamenti, ma la domanda che le pongo in questa occasione è se a suo avviso potrebbe essere utile cominciare a parlare di temperamento dell'azione penale obbligatoria e quindi di modifica costituzionale che se fosse da tutti accettata potrebbe essere facilmente realizzabile, chiaramente non per le ipotesi di reati gravi, quello va da sé, ma per le ipotesi cosiddette «bagatellari», che però alla fine sono quelle che dal punto di vista pratico affliggono il nostro sistema? Ieri siamo stati, come rappresentanti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, a Catanzaro. È stato evidenziato dal presidente della corte d'appello il caso di una marea di procedimenti che intasano la corte stessa per una questione sostanzialmente di un euro. Per recuperare un euro di spese postali che sarebbero state indebitamente caricate sul cliente da parte non mi ricordo se dell'Enel o della Telecom si è ricorso al giudice di pace. Poi le società hanno ricorso in appello. Quindi i tribunali sono intasati per questioni di un euro che spesso coinvolgono persone assistite con il gratuito patrocinio. Quindi non ci vuole molto a immaginare quale sia la profonda ragione di questa richiesta di giustizia (siamo nel civile per carità) che però ha un costo per lo Stato insostenibile. Un procedimento costa tra gli 800 e i 900 euro anche a quei livelli. Quindi per avere un sistema più efficiente non potrebbe essere il caso anche da parte dei magistrati di mettere in discussione e di cercare di uniformarci a quella che è la regola in tantissimi Paesi di azione penale non obbligatoria soprattutto Pag. 30nei casi bagatellari? Questa è la sua opinione da Procuratore nazionale antimafia e di esperto naturalmente di diritto. Grazie.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande, io chiederei al dottor Cafiero De Raho se vuole dare due spunti di riflessione in merito alle questioni sollevate. Grazie.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo. Innanzitutto credo che, nell'ambito della riforma, consentire al giudice una valutazione prospettica e prognostica che sia di per sé legata però alla fondatezza dell'accusa dovrebbe essere probabilmente alla base della definizione del procedimento. Laddove il procedimento non sia in grado di sostenere il giudizio di responsabilità, perché il quadro non è tale da consentire una condanna, credo che sia corretto bloccarlo nella fase delle indagini preliminari. Dico anche di più, nel senso che laddove il quadro indiziario non sia forte al punto da lasciar prevedere una condanna, chiuderlo nella fase delle indagini preliminari è addirittura uno strumento che consentirà un domani la riapertura, laddove emergessero nuovi elementi. Quante occasioni abbiamo avuto di processi portati fino alla sentenza e poi conclusi con formule dubitative o con l'assoluzione, proprio perché non era stata conseguita la prova e a distanza di anni poi son venuti fuori elementi che hanno invece dimostrato che quel quadro poteva essere ancora corroborato da altri elementi? Quindi non solo credo che fondare la valutazione su una previsione forte di responsabilità e condanna sia rispondente a un sistema di giustizia effettivo, ma che sia anche rispettoso del diritto del cittadino che non si veda portato in dibattimento di fronte a elementi che non sono certi. Quindi laddove il quadro non lascia prevedere una condanna, credo che sia corretto fermare il procedimento nella fase delle indagini preliminari. Ha anche ragione, onorevole Vitiello, quando lei fa riferimento ai tempi che intercorrono tra la richiesta di misura cautelare e l'ordinanza di custodia cautelare. A volte passano un anno, un anno e mezzo, due anni. Ci troviamo veramente di fronte a procedimenti nei quali non si riesce a intervenire, perché il giudice che dovrebbe emettere l'ordinanza ha tanto lavoro. Per cui è costretto a scrivere quella ordinanza a segmenti e prima di quella ne deve scrivere altre e prima di scrivere quelle deve partecipare ai giudizi abbreviati e prima di partecipare ai giudizi abbreviati deve valutare le richieste di intercettazione e tutto ciò che riguarda il lavoro del GIP e del Giudice dell'udienza preliminare (GUP) che spesso sono la stessa persona. Laddove gli uffici hanno pochissimi giudici, GIP e GUP sono la stessa persona. Il giudice per le indagini preliminari peraltro, che è anche GUP, nel momento in cui porta avanti giudizi abbreviati, tratta processi che sono di competenza della corte d'assise e questa è probabilmente una disfunzione che deve essere corretta non con una legge ma con risorse sufficienti. Se un giudice porta avanti un processo nei confronti di trenta, quaranta e più 'ndranghetisti, camorristi o mafiosi anche accusati di omicidi, fa un processo che è di competenza della corte d'assise. La corte d'assise impiega anche sei mesi per fare un processo come quello e invece il GUP riesce poi a celebrarlo attraverso sette, otto, dieci udienze, però poi deve scrivere la sentenza. Quindi è evidente che c'è un ritardo enorme e ha ragione quando evidenzia che i tempi che sono posti dalle norme sono tempi astratti, che non tengono conto invece dell'enorme lavoro da cui è gravato un giudice. Molto spesso in tanti uffici distrettuali, i GIP, i GUP, i giudici dopo un certo numero di anni fuggono, pur riconoscendo che questa è una delle più belle funzioni, delle più complete funzioni che ci siano, ma non ce la fanno a sostenere il ritmo. È un ritmo veramente incredibile. Al di là di queste riflessioni personali, quali saranno le conseguenze nel momento in cui un giudice non emette l'ordinanza di custodia e quindi il procedimento deve restare necessariamente fermo e i tempi del processo superano le scansioni previste per legge? Cosa avviene? Il deposito obbligatorio? E con il deposito obbligatorio viene depositata anche la richiesta di misura cautelare? Questo Pag. 31 è un problema che non viene affrontato, perché si ritiene che sia un problema marginale evidentemente, ma marginale purtroppo non è. Io sono stato procuratore della Repubblica a Reggio Calabria e avevamo ordinanze di custodia che non venivano emesse da oltre due anni. Se cioè fossero stati arrestati tutti quelli che erano oggetto di richiesta di misura cautelare, avremmo avuto oltre mille arresti e però si era là in attesa, ma non perché il giudice non lavorasse, bensì perché era talmente caricato da impegni. Quindi come si concilia, per tornare alla legge? Speriamo che si riesca attraverso dei meccanismi organizzativi che al momento non riesco però a pensare e che non si arrivi mai a un deposito obbligatorio laddove c'è una richiesta di misura cautelare in atto e c'è un giudice che non è in grado per il carico di lavoro che lo sovrasta di emettere l'ordinanza di custodia. Lei diceva un giudice filtro, quindi abbiamo una sentenza predibattimentale, come prevede l'articolo 469 per la prima volta e probabilmente sì, potremmo avere anche questo, solo che l'articolo 469 fa riferimento allo stesso giudice che avrà davanti lo stesso processo che dovrà curare poi nel corso delle udienze. Quindi laddove riuscisse a venire in possesso degli elementi che ci consentano una valutazione immediata sull'intero quadro probatorio, cosa che per la verità poco si concilia comunque con il processo orale e con l'attuale nostro rito, potrebbe anche arrivare a sentenza. Nel caso invece che viene introdotto con questa nuova disciplina, noi avremmo un giudice che è lo stesso giudice – o meglio che è nello stesso ruolo del giudice che poi dovrà trattare il processo – il quale dovrà studiarlo e quindi affrontare le questioni che l'altro giudice, nel caso non si riesca ad arrivare a una definizione, dovrà comunque ripetere. Sostanzialmente ci troveremmo di fronte a una replica che sarebbe un appesantimento che va contro invece quello che è stato detto e quel che è stato fatto, cosa che sicuramente nell'ambito del disegno di legge è molto utile ed è effettivamente capace di snellire, agevolare e velocizzare secondo l'obiettivo che ci si è posto. Dal punto di vista astratto, onorevole, lei ha ragione quando pensa a un appello collegiale, ma lo stesso problema si pone però per il GUP nel momento in cui sviluppa un giudizio abbreviato e a volte non tratta nemmeno il reato di competenza monocratica ma tratta reati gravissimi. In questo caso invece avremmo reati che non sono gravissimi, che sono stati già trattati in primo grado da un giudice monocratico e che coerentemente vengono trattati anche in secondo grado da un altro giudice monocratico di appello, il che mi sembra rispondere a un sistema che vuole effettivamente utilizzare appieno le proprie risorse senza tradire quel che è il secondo grado, anche perché, non dimentichiamolo, era anche stata avanzata in diverse occasioni la proposta di abolire il secondo grado della corte d'appello, così come avviene in tanti altri Paesi. In tanti altri Paesi c'è un grado e poi c'è eventualmente il ricorso a un giudice di legittimità, un giudice superiore, ma non è previsto l'appello. Noi abbiamo in questo modo trovato una misura che è equilibrata e allo stesso tempo consente di sfruttare appieno le forze di cui disponiamo. Un altro aspetto riguardava un prolungamento dei termini per evitare che nel caso di malattia, impedimento o qualunque altra ragione che impedisca al giudice di partecipare, si possa rinnovare il collegio e quindi costituire un nuovo collegio. Penso però che in mancanza di lettura, se si dovessero avviare attraverso il prolungamento dei termini del dibattimento, si finirebbe per far dipendere il dibattimento o dalla condizione di salute o dalla condizione di maternità, cioè da una condizione soggettiva del giudice e potremmo andare anche senza un limite, il che non è proprio auspicabile e quindi necessariamente la lettura degli atti appare l'unica formula possibile nel caso in cui il collegio cambi, nel caso in cui uno dei giudici sia impedito e quindi non possa continuare a costituire il collegio, mentre mi sembrava giustissima l'osservazione che è stata fatta in ordine al trasferimento del giudice. Io condivido pienamente questa ipotesi, che il giudice non venga trasferito quando compone un collegio che sta trattando un processo di dimensioni Pag. 32 significative. Certamente è un ostacolo al trasferimento la valutazione di chi ha vissuto fin dal primo momento la costituzione delle parti e via via lo sviluppo dibattimentale. Probabilmente questa potrebbe essere un'altra norma da inserire, come (per esempio per evitare che il giudice non venga più trasferito) pensare a delle applicazioni obbligatorie senza termini. Oggi le applicazioni, anche quelle che vengono fatte dal Consiglio Superiore durano al massimo due anni. Certamente i processi il più delle volte si riescono a concludere e definire in due anni, ma se anche non fosse così, pensare nel caso di trasferimento del giudice che compone un collegio per reati di particolare complessità che quel giudice venga poi applicato e resti applicato al processo fino a che esso non è definito, probabilmente sarebbe la migliore soluzione. In ogni caso in sua mancanza la lettura degli atti credo che sia già il primo passo in avanti che necessariamente deve farsi. Ancora, l'azione penale obbligatoria e l'azione penale facoltativa solo per alcuni reati. In verità io appartengo a quella parte di giuristi che ritengono che l'obbligatorietà dell'azione penale sia strettamente legata al nostro sistema ordinamentale e quindi alla figura del pubblico ministero, autonoma e indipendente come il giudice. Credo in questa struttura, perché credo che un pubblico ministero autonomo e indipendente sia espressione di garanzia di libertà dei concittadini e quindi non ho mai pensato che l'autonomia e l'indipendenza possano costituire un privilegio, ma che esse siano il primo strumento di legalità per difendere la nostra Costituzione e i diritti fondamentali. Allora anche se lei giustamente diceva, onorevole Paolini, che l'azione penale dovrebbe essere obbligatoria per i reati più gravi e facoltativa per i reati bagatellari, questo è vero, però ci sono alcuni principi che sono principi cardine del nostro sistema, un sistema di diritto che si fonda su dei principi fondamentali che tanti altri Paesi ci invidiano e tanti altri poteri invece sono felici di non avere questi principi nei Paesi diversi. Noi siamo addirittura l'unico Paese ad avere una struttura ordinamentale giudiziaria come la nostra e credo però che siamo l'unico Paese in cui la democrazia è così forte, in cui il giornalista può parlare senza temere le conseguenze di quello che dice come, altrettanto può fare l'avvocato e altrettanto può fare il magistrato. Non esiste una politica costretta e questo però avviene solo in Italia, ne sono convinto. Almeno per quanto riguarda il sistema giudiziario un ordinamento come quello italiano non ce l'ha nessun altro Paese. Perciò temo che anche intervenendo in parte su un articolo della Costituzione così importante qual è quello sull'obbligatorietà dell'azione penale, questo possa influenzare l'intero sistema e farlo vacillare. Credo che il sistema introdotto e voluto dal disegno di legge e dalla nuova disciplina sarà proprio quello di dare una regola ai numerosi procedimenti che sono iscritti nei vari uffici giudiziari con regole chiare, trasparenti, con un rigore che deve essere corrispondente a quella disciplina e che consenta alla giustizia di presentarsi sempre con onore, così come dovrebbe in ogni occasione. Credo fondamentalmente che questo disegno di legge, salvo alcune ulteriori integrazioni che probabilmente andrebbero fatte, costituisca sicuramente uno strumento capace di velocizzare il nostro processo e quindi il nostro sistema di giustizia penale.

  PRESIDENTE. Io non posso che ringraziarla per il contributo assolutamente indispensabile e profondo che lei ha dato alla Commissione e ai nostri lavori. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione da lei depositata (vedi allegato). La ringrazio molto e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.45.

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