XVIII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 3 ottobre 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Sarti Giulia , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 392 MOLTENI E C. 460 MORANI, IN MATERIA DI INAPPLICABILITÀ DEL GIUDIZIO ABBREVIATO AI DELITTI PUNITI CON LA PENA DELL'ERGASTOLO

Audizione di Carlo Nordio, ex Procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia.
Sarti Giulia , Presidente ... 3 
Nordio Carlo , ex Procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia ... 3 
Sarti Giulia , Presidente ... 5 
Bartolozzi Giusi (FI)  ... 5 
Annibali Lucia (PD)  ... 5 
Ferraioli Marzia (FI)  ... 6 
Paolini Luca Rodolfo (LEGA)  ... 6 
Vazio Franco (PD)  ... 6 
Morani Alessia (PD)  ... 7 
Sarti Giulia , Presidente ... 8 
Morani Alessia (PD)  ... 8 
Conte Federico (LeU)  ... 8 
Sarti Giulia , Presidente ... 8 
Nordio Carlo , ex Procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia ... 8 
Ferraioli Marzia (FI)  ... 10 
Nordio Carlo , ex Procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia ... 10 
Ferraioli Marzia (FI)  ... 10 
Nordio Carlo , ex Procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia ... 10 
Sarti Giulia , Presidente ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia: Misto-NcI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIULIA SARTI

  La seduta comincia alle 15.25.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione di Carlo Nordio, ex Procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposte di legge C. 392 Molteni e C. 460 Morani, in materia di inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo, di Carlo Nordio, ex Procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia, a cui diamo il benvenuto.
  Questa è l'ultima audizione che abbiamo previsto nell'ambito dell'indagine conoscitiva su queste proposte di legge, delle quali poi dovremo adottare il testo base. Comunico che ci saranno un Ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi e una seduta di Commissione già domani mattina alle 9, in cui parleremo anche del proseguo dei lavori su queste proposte di legge relative al giudizio abbreviato.
  Do la parola al dottor Nordio per lo svolgimento della relazione. Le chiedo di contenerla entro un quarto d'ora, per dare poi spazio a qualche domanda anche da parte dei commissari, se può andar bene per lei.

  CARLO NORDIO, ex Procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia. Innanzitutto, ringrazio per l'onore che mi è stato fatto di portare il mio modesto parere qui. È molto semplice. Io ho avuto anche occasione di leggere, sia pure in ritardo, perché mi sono arrivate solo ieri, le altre relazioni svolte da altri esperti del settore. Mi limiterò a un paio di considerazioni, forse anche un po’ meno tecniche rispetto a ciò che è stato detto nei giorni scorsi.
  La prima considerazione è che il rito abbreviato, che, come tutti sanno, si inserisce tra i riti cosiddetti deflattivi, è stato modificato, dal momento dell'introduzione del nuovo Codice di procedura penale, almeno una dozzina di volte, così come il Codice di procedura penale è stato modificato centinaia di volte, addirittura dalla Corte costituzionale. L'aspetto un po’ paradossale è che alla Corte costituzionale sedeva lo stesso professor Vassalli che ha dato la firma al Codice di procedura penale e che, mentre sedeva in Corte, ha un po’ smentito se stesso.
  Perché questa sorta di schizofrenia? In realtà, il nostro Codice di procedura penale è stato formulato in una sorta di contrasto con la Costituzione. La Costituzione repubblicana, paradossalmente, ha fatto reggere molto meglio il Codice penale, che è del 1930 ed è firmato da Benito Mussolini, di quanto non abbia fatto reggere il Codice Vassalli, che è firmato da una medaglia d'argento della Resistenza. Bisognerebbe riflettere su questo aspetto. Se non comprendiamo questa dicotomia, tutto il discorso strutturale, dogmatico, filosofico e giuridico che sta alla base di ciò di cui Pag. 4stiamo discorrendo perde gran parte del suo significato.
  Detto questo, ogni riforma, ogni aggettivo che tocchi il rito abbreviato è a forte rischio di incostituzionalità. Questo rito è già stato prima dichiarato incostituzionale e poi cambiato da una legge per adattarlo alle nuove direttive della Corte. Diamo per letto quello che è già stato detto qui dagli altri auditi che sono stati chiamati, come me, a fornire il loro parere.
  In sostanza, la conclusione è che basta aprire il Codice di procedura penale e guardare sotto gli articoli le frasi in corsivo rispetto a quelle in grassetto che ne esprimono il testo originario per capire quanto sia stato demolito, cambiato, integrato e dichiarato manifestamente irragionevole proprio dalla Corte costituzionale. Questo è il rischio.
  Ritengo che sulle proposte di legge sul rito abbreviato, di cui ho letto in questi giorni il testo, da un punto di vista politico, la decisione sia esclusiva del Parlamento e dell'autorità legislativa, ragion per cui «parole non ci appulcro», ma penso anche che da un punto di vista tecnico sia perfettamente comprensibile la filosofia di questa riforma nel senso di garantire la certezza della pena soprattutto per reati di particolare gravità.
  Questo è un principio sacrosanto, che peraltro nel nostro sistema ordinamentale e penale viene quotidianamente smentito. Il nostro sistema sostanziale e processuale penale gravita, infatti, attorno a tre contraddizioni.
  In primo luogo, la pena comminata, quella prevista dai Codici, è sempre molto, anche esageratamente, alta mentre, quella irrogata concretamente dal giudice è sempre molto bassa e quella concretamente eseguita, cioè scontata dal condannato, è quasi sempre inesistente, platonica.
  Prendiamo ad esempio il furto continuato. Se un soggetto ruba per tre volte in una casa o in tre case diverse la sera, rischia 36 anni di reclusione, che sono poi 30, per il reato continuato di furto aggravato. Il giudice gli va a irrogare una pena di un anno e sei mesi e il condannato non sconta neanche un giorno, perché la pena è sospesa. È questa l'assurdità del nostro sistema ordinamentale.
  La seconda contraddizione è che, come tutti sanno, è tanto facile oggi entrare in prigione in carcerazione preventiva quando si è presunti innocenti ed è altrettanto facile uscire di prigione dopo la sentenza definitiva quando si è colpevoli conclamati.
  Questa contraddizione, che esiste nel nostro sistema, tra l'esagerata gravità della pena minacciata e l'esiguità di quella concretamente eseguita, che spesso è molto bassa, credo abbia ispirato questo principio di riforma, che – ripeto – nella sua sostanza, nel suo orientamento, nel suo obiettivo è assolutamente da condividere. Si tratta di fare in modo che determinati reati importanti, gravi, gravissimi vengano puniti in modo adeguato.
  La domanda è la seguente: è giusto lo strumento della limitazione del rito abbreviato per questi tipi di reati? Qui sorgono sospetti proprio di ordine tecnico, ossia di ordine costituzionale. Poiché questo rito si inserisce in un ambito di attività deflattive, che mirano a ridurre anche i tempi della giustizia, ma deve pur seguire una regola di coerenza, di armonia e di omogeneità, limitarlo ad alcuni reati, escludendolo per altri, può provocare, e secondo me, provoca, fortissimi rischi di dichiarazione di incostituzionalità.
  Questa è la mia prima risposta. Ripeto, si tratta di una riforma che, secondo me, contenutisticamente va nella direzione giusta e sacrosanta, ma che nella sua attuazione tecnica, ossia nella limitazione del rito, può presentare questi grossi rischi. Faccio presente che una pronuncia di incostituzionalità avrebbe degli effetti travolgenti, che si riverbererebbero poi in tutta un'altra serie di istituti, vanificando l'intero vostro lavoro.
  Come si può raggiungere, più o meno, lo stesso risultato, cioè quello della concretezza e dell'effettività della pena, senza correre questi rischi? Questo risultato, secondo me, si può raggiungere impostando il problema sotto il profilo non della fase cognitiva del processo, ossia quello del rito, in questo caso del rito abbreviato, ma della fase esecutiva, dopo la condanna. Pag. 5
  Questo, tra l'altro, obbedirebbe a un principio fondamentale, per cui si toglierebbe all'organo dell'accusa, il pubblico ministero, la discrezionalità – che addirittura potrebbe diventare l'arbitrio – di scegliere e di vincolare l'indagato alla scelta del rito.
  L'imputazione, come tutti sapete, viene formulata dal pubblico ministero. In quel momento è lo stesso pubblico ministero che vincola o non vincola, a seconda dei punti di vista, l'indagato alla scelta di un rito, perché gli preclude la scelta del rito abbreviato nel momento in cui formula un'accusa di un reato punito con l'ergastolo.
  Già questo, peraltro, solleverebbe dei forti dubbi. È vero che l'imputato può chiedere comunque il rito abbreviato e che, in caso di riformulazione dell'accusa in un momento successivo, potrebbe avere diritto all'accessione di questo rito. Qui, però, entriamo in una situazione delicata e complessa proprio dal vista dal punto di vista pratico, che, dopo quarant'anni di Procura della Repubblica, oserei dire, avrebbe ben pochi risultati.
  Ritorno all'elemento di cui parlavo prima. Lo stesso risultato, secondo me, senza i rischi di incostituzionalità, si può raggiungere trasferendo questa doverosa attitudine a rendere la pena efficace, afflittiva e concreta dalla fase cognitiva alla fase esecutiva. Nel momento in cui la sentenza passata in giudicato viene applicata ed eseguita nei confronti del condannato si potrebbero eliminare tutte quelle situazioni che, sotto il pretesto, o forse anche l'alibi, della funzione rieducativa della pena – che è sacrosanta, perché sancita dalla Costituzione – rendono, però, di fatto la pena quasi platonica.
  Come ho detto prima, tanto è facile entrare in vinculis prima del processo quando si è presunti innocenti, secondo la Costituzione, tanto è facile uscirne dopo da colpevoli conclamati, perché scatta tutta una serie di situazioni per le quali la pena, alla fine, diventa, in un dato senso, platonica.
  La mia conclusione sarebbe questa: condivido pienamente, come magistrato e cittadino, l'indirizzo culturale di voler rendere realmente afflittiva e concreta la pena per questi reati gravissimi, ma ho delle forti perplessità di ordine costituzionale sulla scelta dell'esclusione del rito abbreviato per i reati punibili con l'ergastolo, o con l'ergastolo aggravato dall'isolamento. Ritengo che lo stesso risultato, con molti minori rischi, possa essere raggiunto trasferendo questa filosofia dalla fase cognitiva alla fase esecutiva.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Nordio.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIUSI BARTOLOZZI. Grazie, presidente. Mi scuseranno il procuratore Nordio e anche i commissari se sono arrivata in ritardo. La mia domanda verte sulla seconda parte della relazione.
  Ho apprezzato l'intervento nella parte per cui l'ho seguito. Lei dice che si potrebbero avere censure di costituzionalità sull'ammissione al rito per i delitti puniti con l'ergastolo e che si deve, invece, lavorare sulla fase esecutiva. Era questo il senso di un intervento che avevamo fatto in apertura dei lavori.
  Da questo punto di vista, mi permetto di chiederle se potrebbe essere una strada percorribile prevedere, per esempio, una riduzione, quella di un terzo, come è attualmente per il rito abbreviato, che non sia secca, ma modulata per questi particolari e atroci delitti. Penso, per esempio, all'omicidio della moglie da parte del marito, l'omicidio aggravato.
  Si potrebbe modulare la pena, non con la riduzione secca, ma con la riduzione di un sesto, di un quinto, o di un quarto. Qualche altro audito della scorsa settimana ci ha suggerito come strada percorribile proprio questa della modulazione della pena.

  LUCIA ANNIBALI. Ringrazio il procuratore. Vorrei approfondire il suo suggerimento, di agire sulla fase dell'esecuzione della pena, che forse potrebbe effettivamente garantire una certezza della stessa pena, più che sullo strumento processuale. Pag. 6
  Vorrei chiederle se ritiene che questa iniziativa e, quindi, questa eventuale proposta potrebbe allargarsi anche ad altri reati, indipendentemente dal fatto che siano puniti in astratto con l'ergastolo. Mi riferisco ad altri reati che hanno un allarme sociale particolarmente importante o delle conseguenze anche fisiche sulle vittime. Pensiamo, per esempio, ai reati di lesioni personali gravissime. Vorrei sapere se questo allargamento, pur circoscritto e motivato, possa sollevare eventualmente profili di incostituzionalità.
  Il mio è, più che altro, un confronto con lei per sapere il suo parere in modo da poter lavorare eventualmente su una proposta di questo tipo.

  MARZIA FERRAIOLI. Stando all'attuale normativa, quella che ancora non è stata modificata, vorrei conoscere il suo pensiero. Ritiene che, in vista della finalità rieducativa della pena di cui alla Costituzione, debba esservi un'alternativa diversa dall'abbreviato? Penso di sì.
  Credo che la possibilità di applicare la pena di trent'anni in luogo dell'ergastolo, così come funziona oggi, sia conferente con la finalità rieducativa della pena. Com'è possibile poi proporre questa stessa mia affermazione, che lei condivide, allorché si elimini l'alternativa dei trent'anni e si applichi decisamente l'ergastolo?
  Dal mio punto di vista, sull'applicazione dell'ergastolo, se viene modificato in sede di esecuzione della pena, c'è molto da dire. Con l'intero ordinamento penitenziario che è, a sua volta, in corso di revisione, se dovessimo fare questo tipo di modifica, dovremmo guardare anche a quello che succede ai fini della giusta pena. Una cosa è la pronuncia giusta in sede cognitiva, un'altra la pena giusta in sede esecutiva.
  Se cambiamo anche il sistema penitenziario e non lo colleghiamo a questo discorso, diamo una bella falciata alla Costituzione e alla sua finalità rieducativa. Se poi non crediamo alla finalità rieducativa e vogliamo solo quella punitiva, allora alziamo le braccia e non siamo più un sistema democratico. Cade un po’ tutto il castello.
  Tornando a quanto mi stavo chiedendo, ritiene che, se si preclude l'alternativa dei trent'anni all'ergastolo e si applica inevitabilmente l'ergastolo, tale soluzione sia discorde con la finalità rieducativa della pena?

  LUCA RODOLFO PAOLINI. Dottor Nordio, la prima domanda è identica a quella della collega Bartolozzi. Ritiene opportuno, anche per questa finalità che stiamo esaminando, eliminare la premialità di un terzo secco e consentire al giudice di graduare la riduzione in modo progressivo rispetto alla concreta fattispecie?
  La seconda domanda è se ritiene opportuno, in un'ottica anche più generale, ritornare al primo spirito del rito abbreviato, ossia a un processo che non sposti in appello un'eventuale attività istruttoria, che non sposti dal primo al secondo grado la stessa attività istruttoria che si voleva eliminare, ma lo equipari al patteggiamento: l'imputato accetta questo rito, ma, se viene condannato, ha il ricorso per Cassazione e nulla più.

  FRANCO VAZIO. Ho apprezzato l'intervento del dottor Nordio, che ringrazio per la chiarezza. Mi lascia un po’ perplesso l'intervenire sulla pena laddove, in realtà, noi arriviamo su una pena definita da un giudice. Come lei correttamente ha individuato, se per un reato per cui è possibile irrogare una pena di trent'anni il magistrato irroga volutamente un anno e sei mesi, e il periodo di un anno e sei mesi è sottoponibile a sospensione della pena, o noi cancelliamo l'istituto della sospensione condizionale della pena, oppure mi pare piuttosto complicato intervenire in tema di esecuzione.
  Al di là di questo, vorrei chiederle una riflessione su due aspetti. Il testo in questione affronta due tipi di problemi differenti. Il primo non è l'effettività della pena, ma la congruità della pena. Nella scorsa legislatura, a fronte di plurimi progetti di legge che individuavano un elenco di reati particolarmente efferati, si preferì convergere su un'ipotesi che andava a individuare i reati efferati rispetto alla pena finale, perché si trattava di un criterio oggettivo Pag. 7non discrezionale e, quindi, difficilmente censurabile sotto un profilo di costituzionalità.
  Al di là di questo, si tratta di reati particolarmente efferati, rispetto ai quali si riteneva di escludere il giudizio abbreviato e, quindi, una riduzione secca di un terzo. Se si ipotizza una variabilità della riduzione – lei me lo insegna, dottore – io facendo l'avvocato, mai consiglierò un mio cliente di rinunciare a un dibattimento pieno con forse la speranza o il rischio di prendere un giorno di attenuante rispetto alla scelta di quel rito. Solamente un pazzo potrebbe portare a una scelta di questa natura. La scelta premiale venne fatta dal legislatore, perché si trattava di una riduzione che prescindeva dalla discrezionalità del giudice. Era una riduzione di un terzo secco.
  Da un lato, c'è il criterio della congruità. L'altro aspetto che viene affrontato nella proposta di legge Morani, ma che era stato discusso e affrontato anche nella proposta di legge Molteni, è quello del giudice naturale.
  In merito al tema di reati particolarmente efferati e complessi, che meritavano un'attenzione e un approfondimento speciale, ci si domandava se un giudice dell'udienza preliminare fosse di fatto nelle condizioni personali e giuridiche per apprezzare una tale complessità e se non fosse meglio far celebrare quel giudizio abbreviato davanti al giudice naturale, composto da giudici togati e giudici popolari.
  Paradossalmente, noi avevamo riflettuto, nella passata legislatura, quasi a superare un giudizio di insufficienza rispetto a una congruità della pena. Mi intenda, dottore: se devo giudicare un reato particolarmente efferato sotto il profilo squisitamente tecnico, potrei anche arrivare a dare quattro attenuanti all'imputato. Probabilmente un giudizio popolare potrebbe evitare questo perverso sistema, che portava e ha portato, in alcuni casi che hanno destato particolare clamore, l'irrogazione di una pena vicina ai 12 anni a fronte di reati potenzialmente punibili con l'ergastolo. Il giudice popolare, composto da togati e non togati, potrebbe, in quel caso, rispondere a questo criterio.
  Eventualmente, un elemento che potrebbe essere affrontato – lo dico in maniera molto aperta rispetto alle proposte di legge che sono sul campo – è una riflessione sulla possibilità di superare l'abrogazione del rito del giudizio abbreviato per farlo ricadere nella sua totalità nell'ambito del giudizio abbreviato di fronte al giudice naturale, la Corte d'Assise. Questo è il ragionamento.

  ALESSIA MORANI. Ringrazio il dottor Nordio per quest'audizione e anche per le interessanti osservazioni che sono state fatte. Com'è noto, questa proposta di legge porta la mia prima firma, ma nasce da una condivisione, nella passata legislatura, tra forze di maggioranza e di minoranza rispetto a un obiettivo comune, quello di garantire la certezza della pena per alcuni reati particolarmente efferati. Abbiamo visto per alcune vicende, che sono state agli onori della cronaca, comminare, purtroppo, pene ridicole rispetto alla gravità dei reati.
  La proposta di legge nasce con lo scopo di provare a perseguire un obiettivo che sono consapevole essere complesso nel nostro sistema processual penalistico, che, come lei ha ricordato, è stato più volte maneggiato, con efficacia del tutto discutibile, anche per evitare di stravolgere un sistema che oggi prova a tenere in equilibrio garanzie e tutela delle vittime.
  Questa proposta di legge, nella formulazione che ho depositato, prendeva, come ha ricordato anche il collega Vazio, alcuni punti di riferimento – mi riferisco alla gravità del reato determinata dalla pena dell'ergastolo, un ambito anche piuttosto circoscritto – non allargandosi ad altre fattispecie. Quand'anche potrebbe essere auspicabile allargarlo, credo non si possa andare oltre quello che abbiamo già stabilito in questa proposta di legge. La proposta prende in considerazione la necessità di sottoporre al giudice naturale, la Corte d'assise, alcuni reati particolarmente gravi, come quelli che sono stati elencati.
  In più, abbiamo aggiunto l'impossibilità di considerare prevalenti ed equivalenti le circostanze attenuanti rispetto alle aggravanti, Pag. 8 in particolare quelle delle sevizie e le altre che sono state messe in elenco, che sono quelle di maggiore allarme sociale. Questa impostazione deriva dal fatto che l'obiettivo è quello di garantire una congruità della pena su alcuni fatti che sono gravissimi e anche una tutela delle vittime, che ad oggi, purtroppo, in alcuni casi non c'è.
  Lei oggi ha posto un tema, quello di provare a posticipare al momento dell'esecuzione l'efficacia dell'obiettivo che vogliamo raggiungere. Il mio problema è che non riesco a comprendere come, a fronte di un'irrogazione della pena, che, come ha ricordato lei, può essere molto bassa rispetto alla gravità di un reato, in fase di esecuzione si possa recuperare l'efficacia di questa norma, che invece vuole andare ad agire prima. Purtroppo, è un grande problema il fatto che da parte di...

  PRESIDENTE. Onorevole Morani, mi scusi, la invito a concludere semplicemente per esigenze di tempo, così diamo spazio anche al dottor Nordio per poterci rispondere.

  ALESSIA MORANI. Stavo concludendo. Poiché la proposta di legge è a mia prima firma, stavo tentando di capire quale fosse la proposta del dottor Nordio. Si tratta di cercare di recuperare nella fase dell'esecuzione quella certezza della pena che non viene garantita nella fase processuale.

  FEDERICO CONTE. Dottor Nordio, vorrei chiederle una valutazione, per la quale può attingere alla sua esperienza, di carattere quantitativo, per apprezzare quale sia la reale sfera di incidenza dell'eventuale introduzione delle modifiche suggerite dalle proposte di legge Molteni e Morani.
  Se non capisco male, schematizzando al massimo, abbiamo due ipotesi di possibile condanna all'ergastolo. Una è l'ergastolo con isolamento diurno, quando c'è il concorso di un altro reato, per esempio la detenzione di un'arma. Siamo nel caso dei delitti più efferati, normalmente. Essa si risolve in sede di abbreviato con l'elisione dell'isolamento diurno. Resta l'ergastolo, che poi, nella sua dimensione esecutiva, può diventare trent'anni, la pena massima che in concreto viene scontata nel nostro ordinamento.
  Abbiamo poi i casi di condanna all'ergastolo semplice per i delitti aggravati, per esempio quelli commessi ai danni di un familiare o per motivi abietti e futili. Anche questa è una casistica di cronaca giudiziaria che tanto sollecita questo legislatore a intervenire in questi istituti processuali. Solo su questa seconda casistica avrebbe, quindi, senso un intervento per cui sia effettivo l'ergastolo sul piano nominalistico (sempre trent'anni sarebbero) e non incida la diminuente del rito, magari sommata alla diminuente ordinaria del risarcimento del danno o delle attenuanti generiche per la confessione.
  Dal punto di vista proprio delle statistiche, secondo lei, il novero dei processi, la casistica giudiziaria che si riferisce a questa seconda categoria, è tale da giustificare, dal punto di vista proprio dell'allarme, una modifica dell'istituto di tipo così caratterizzante, tanto da stravolgerne il contenuto di funzionamento nell'ambito del processo penale?

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Nordio per la replica.

  CARLO NORDIO, ex Procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia. Rispondo direttamente intanto all'ultima domanda, perché è molto facile. No, nella mia esperienza quarantennale proprio alla Procura della Repubblica posso dire – parlo per Venezia, almeno – che la montagna rischia di partorire il topolino.
  Lei ha già detto, correttamente, che la gran parte dei delitti più efferati è punita con l'ergastolo e l'isolamento diurno. Il rito abbreviato toglie l'isolamento diurno, ma lascia l'ergastolo. Quello che rimane degli altri reati puniti con l'ergastolo e con i trent'anni, se si passa all'abbreviato, è, secondo me, in misura molto limitata. Questa è già una ragione per non correre quei grossi rischi di incostituzionalità che richiamavo all'inizio.
  Poiché alcune domande hanno posto, più o meno, le stesse problematiche, senza Pag. 9sembrare un intellettuale pedante, vorrei ricordare le parole di Platone, secondo cui è meglio avere una legge cattiva e un giudice buono e intelligente piuttosto che il contrario. Per quanto la legge sia buona e perfetta – rispondo all'onorevole Morani – se un giudice applica una pena sproporzionata, verso l'alto o verso il basso, non c'è niente da fare. La fase esecutiva o la fase dell'abbreviato non possono rimediare alla follia. Ne abbiamo viste tante sia verso l'alto, sia verso il basso. Purtroppo, questo fa parte del rischio della giustizia.
  Cerco di rispondere, peraltro brevemente tentando di essere sintetico e incisivo.
  La prima domanda è se sia giusto o opportuno modulare la pena invece della riduzione secca del terzo. Credo che questa potrebbe essere una buona soluzione. È vero quello che diceva prima l'onorevole Vazio, ossia che nessuno può essere tanto matto da rischiare un rito abbreviato se non sa quale possa essere la riduzione della pena. La modulazione della pena, però, potrebbe avvenire entro limiti massimi. Potrebbe andare da un terzo anche fino a due terzi. Dipende. Questa è una scelta politica. Il concetto di modulazione a me è sempre piaciuto molto di più di questa riduzione secca del famoso terzo.
  Mi esprimo in modo incisivo, perché so che avete dei tempi da rispettare. Cerco di non eludere le domande.
  L'onorevole Annibali chiede di allargare l'ambito ad altri reati di alto allarme sociale. Il problema qui è di coerenza normativa. C'è un criterio fisso per definire la gravità e l'allarme sociale di un reato, che è quello della pena. Si guarda la pena.
  Senonché, il nostro legislatore negli ultimi anni, poiché ha seguito un andamento ondivago e molto spesso emotivo nel catalogo delle pene, ha creato delle situazioni estremamente paradossali. Tanto per fare un esempio, l'omicidio stradale è punito più dell'omicidio preterintenzionale. Un mio collega illustre, il dottor Davigo, ha detto che se Tizio investe una persona per la strada dopo essersi fatto uno spritz, gli conviene dire che voleva investirlo e rompergli le gambe piuttosto che di averlo investito per sbaglio, perché l'omicidio preterintenzionale è punito in misura minore. La cosiddetta gravità sociale, che magari per il politico ha un suo forte significato, per il giurista ha un significato molto diverso, perché noi abbiamo dei parametri fissi.
  In linea di massima direi che sarebbe giusto iniziare questo percorso, ma sempre tenendo conto che è necessario avere una coerenza e un'omogeneità, anche perché la Corte è in agguato sotto il profilo della proporzione della ragionevolezza della pena. Non so quanto sia giusto che la Corte intervenga sul principio, che è esclusivamente monopolio del legislatore, di graduare la gravità delle sanzioni, ma lo fa e, poiché lo fa, noi dobbiamo tenerne conto, anzi voi dovete tenerne conto.
  La terza domanda verte sulla funzione rieducativa della pena e particolarmente dell'ergastolo. Onorevole Ferraioli, ovviamente il discorso è lunghissimo. Si discute da sempre se l'ergastolo sia compatibile con la funzione rieducativa della pena. Anche qui, però – ripeto – non è incidendo sul rito che possiamo intervenire sul concetto se la pena sia o meno rieducativa.
  Questa funzione rieducativa è compito del legislatore sotto il profilo dell'ordinamento penitenziario, ma soprattutto sotto il profilo della struttura carceraria. Non ha senso parlare di funzione rieducativa se le nostre carceri, in concreto, non sono in grado di fornire un lavoro e un reinserimento sociale. Capisco la sua domanda, ma è una domanda che andrebbe fatta in sede amministrativa, più che in sede legislativa.
  Da ultimo, come si vede, la politica – qui, però, siete voi sovrani – da un lato, considera l'aspetto rieducativo del condannato, ma, dall'altro, considera molto l'aspetto afflittivo e sanzionatorio nonché quello satisfattivo delle vittime. È una scelta squisitamente politica se si tratti di privilegiare la sicurezza, o la presunta sicurezza, dello Stato anche attraverso la pena cosiddetta esemplare, o, invece, di privilegiare l'aspetto rieducativo, costituzionalmente peraltro previsto, con questi sistemi.
  Ripeto, su questo non oso, soprattutto in questa sede, interferire, perché è questione Pag. 10 squisitamente politica. Dico, però, che ho dei forti dubbi che questo possa avvenire attraverso l'intervento sul rito.

  MARZIA FERRAIOLI. Mi può spiegare che cosa intendeva dire con «sede amministrativa»? Non ho afferrato.

  CARLO NORDIO, ex Procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia. Le rispondo subito: agire in sede amministrativa vuol dire avere più fondi e denari per fare delle carceri che siano umane e che siano in grado di avere delle strutture lavorative. Ho detto «amministrativo» in questo senso.

  MARZIA FERRAIOLI. L'avevo attribuito alla pronuncia.

  CARLO NORDIO, ex Procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia. No. Avrei potuto dire «politico», ma preferisco dire «amministrativo».
  L'onorevole Paolini mi chiede dello spirito originale dell'abbreviato. Sono perfettamente d'accordo con lei. Teniamo conto di una cosa: il Codice di procedura penale è frutto di dieci anni di lavoro dei maggiori giuristi processualisti italiani dell'epoca; non solo la Commissione era presieduta da una persona di grandissimo spessore morale e medaglia d'argento della Resistenza, come il professor Vassalli – cui aggiungo il professor Pisapia in quanto si sono poi scambiati i ruoli – ma dietro c'è un lavoro immane.
  Che cosa è successo, però? Volendo mutuare l'ordinamento anglosassone del cosiddetto «processo alla Perry Mason» con una Costituzione che, paradossalmente, aveva come modello il processo inquisitorio del Codice Rocco, si è generato un paradosso. Nella gerarchia delle fonti il Codice di procedura dovrebbe venire dopo la Costituzione, mentre nella nostra storia giudiziaria la nostra Costituzione aveva di mira il Codice Rocco, con l'obbligatorietà dell'azione penale e con le carriere uniche.
  Quando è stato introdotto questo Codice anglosassone, che funziona nei Paesi anglosassoni con criteri completamente diversi (separazione delle carriere, differenza tra il giudice del fatto e il giudice del diritto, giuria popolare e judge, sentence e verdict, discrezionalità e rintracciabilità dell'azione penale), ci si è trovati in un vicolo cieco, ragion per cui si è provato a fare questo rito deflattivo, l'abbreviato, che era la quadratura del cerchio, ma è scoppiato in mano.
  Ritornerei volentieri allo spirito originale del rito abbreviato, che aveva una sua coerenza, ma è già stato demolito dalla Corte costituzionale e rischia di esserlo sempre. Il rito abbreviato – posso dirlo? – non è compatibile con la nostra Costituzione, non perché sia sbagliato, ma perché la nostra Costituzione è stata varata quando i nostri legislatori non avevano minimamente in mente che cosa sarebbe avvenuto 40 anni dopo, con l'acquisizione del «processo alla Perry Mason».
  La penultima domanda, posta dall'onorevole Vazio, era sul giudice naturale. Me la sono posta in tanti anni di pubblico ministero. Anch'io credo sia irragionevole devolvere a un giudice monocratico la cognizione e l'irrogazione di una pena tanto grave, come può essere l'ergastolo ancora oggi, che può essere irrogata se, con il rito abbreviato, si toglie l'isolamento diurno.
  Rispondo anche all'onorevole Morani, di cui ho letto con grande attenzione la proposta di legge. Credo che mantenere il rito abbreviato sia giusto. Ripeto, ho già detto prima che ritengo rischioso modificarlo secondo la proposta di legge. Ritengo, però, corretto e degno di forte riflessione il fatto che il rito abbreviato, inteso come giudizio allo stato degli atti, venga deciso non da un giudice monocratico, ma da un giudice collegiale.
  Mi rendo conto – ho già visto le precedenti relazioni – che un giudice collegiale come la Corte d'assise, con i giudici popolari, avrebbe una certa difficoltà pratica di istituzione. Mi riporto a quello che ha detto non mi ricordo se Crescini o un altro. Voi lo conoscete meglio di me. Il principio, secondo me, è giusto. Io toglierei l'abbreviato del giudice monocratico. Lascerei il principio del rito abbreviato e della decisione allo stato degli atti, ma lo attribuirei Pag. 11a un giudice molto più maturo di quanto non possa essere un semplice GIP.
  Arrivo all'ultima domanda, sempre dell'onorevole Morani, e ho finito. Sul bilanciamento delle circostanze posso riferire un fatto: il progetto del cosiddetto Codice Nordio, ossia della Commissione che ho avuto l'onore di presiedere dieci anni fa, prevedeva esattamente la stessa cosa, ossia che questo giudizio di comparazione delle attenuanti e delle aggravanti, che ha provocato delle confusioni incredibili, fosse sostituito da un giudizio algebrico, per cui tante sono le attenuanti, tante sono le aggravanti, si danno tutte e si fa la conta finale.
  Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Nordio.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.