XVIII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Mercoledì 27 marzo 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE COSTITUZIONALE C. 1585 COST. APPROVATA DAL SENATO, E C. 1172 COST. D'UVA, RECANTI «MODIFICHE AGLI ARTICOLI 56, 57 E 59 DELLA COSTITUZIONE IN MATERIA DI RIDUZIONE DEL NUMERO DEI PARLAMENTARI» E DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 1616, APPROVATA DAL SENATO, RECANTE «DISPOSIZIONI PER ASSICURARE L'APPLICABILITÀ DELLE LEGGI ELETTORALI INDIPENDENTEMENTE DAL NUMERO DEI PARLAMENTARI»

Audizione del professor Massimo Luciani, professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza».
Brescia Giuseppe , Presidente ... 3 
Luciani Massimo , Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza» ... 3 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 6 
Ceccanti Stefano (PD)  ... 6 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 6 
Luciani Massimo , Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza» ... 6 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 6 

Audizione del professor Francesco Clementi, professore di diritto pubblico comparato presso l'Università di Perugia:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 6 
Clementi Francesco , Professore di diritto pubblico comparato presso l'Università di Perugia ... 7 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 9 
Ceccanti Stefano (PD)  ... 9 
Giorgis Andrea (PD)  ... 9 
Di Maio Marco (PD)  ... 10 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 10 
Ungaro Massimo (PD)  ... 11 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 11 
Pollastrini Barbara (PD)  ... 11 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 11 
Clementi Francesco , Professore di diritto pubblico comparato presso l'Università di Perugia ... 11 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 13 

ALLEGATO: Memoria presentata dal professor Massimo Luciani ... 14

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE BRESCIA

  La seduta comincia alle 14.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del professor Massimo Luciani, professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza».

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame delle proposte di legge costituzionale C. 1585 cost. approvata dal Senato, e C. 1172 cost. D'Uva, recanti «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», e della proposta di legge C. 1616, approvata dal Senato, recante «Disposizioni per assicurare l'applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari», l'audizione del professor Massimo Luciani, professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma La Sapienza.
  Invito il professor Luciani a contenere, per quanto possibile, il suo intervento in circa dieci minuti, in modo da favorire poi il dibattito nella Commissione.
  Do la parola al professor Luciani per lo svolgimento della sua relazione.

  MASSIMO LUCIANI, Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza». Molte grazie, Presidente, anche per avermi consentito di parlare a quest'ora, perché poi ho un impegno universitario.
  La proposta all'esame della Commissione ha in comune con altre proposte che sono attualmente in discussione in Parlamento il metodo della revisione puntuale della Costituzione. Questo vuol dire che non siamo di fronte alla riproposizione dell'idea della «grande riforma», che, come è noto, è stata due volte respinta, nel 2006 e nel 2016, dal voto popolare.
  Tuttavia, come ho già osservato in sede di audizione, francamente non ricordo se in quest'Aula o in Senato, sulla proposta di introdurre in Costituzione l'iniziativa legislativa popolare indiretta, cioè la proposta di introdurre quello che viene chiamato – a mio avviso erroneamente – referendum propositivo, ogni intervento, anche se puntuale, sulla Costituzione si riverbera fatalmente sull'intera architettura.
  Al momento, abbiamo a che fare contemporaneamente con l'introduzione dell'iniziativa popolare indiretta, con l'attuazione dell'articolo 116 della Costituzione, che non richiede revisione ai sensi dell'articolo 138, ma ha evidentemente un'indubbia caratura costituzionale, e con la drastica riduzione del numero dei parlamentari. La somma di queste varie iniziative potrebbe finire per avere un segno antiparlamentare, non necessariamente rintracciabile nelle tre iniziative se vengono separatamente considerate. Ho manifestato, ad esempio, condivisione sull'idea dell'introduzione dell'iniziativa popolare indiretta, pur rimarcando quella che a mio avviso è la necessità di lavorare ancora approfonditamente sul testo che è stato sinora approvato per migliorarlo.
  Fermo restando questo, va detto subito che spetta a voi determinare l'opportunità delle scelte politiche compiute dal Parlamento, Pag. 4 che non può e non deve essere vagliata, in questa loro qualità, dagli auditi. Detto ciò, non si può non notare, su un piano di stretto diritto costituzionale, che la nostra Carta costituzionale non ha solo disegnato il «figurino» di una forma di governo parlamentare, ma ha concepito il Parlamento come il centro motore del sistema, nel quale trovano un raccordo, in alto la politica nazionale, determinata dai cittadini attraverso i partiti ai sensi dell'articolo 49 della Costituzione, e in basso la politica generale del Governo, determinata dal Consiglio dei ministri – che è espressione delle sole forze di maggioranza – ai sensi dell'articolo 95 della Costituzione e dell'articolo 2, comma 1, della legge n. 400 del 1988. In mezzo, c'è la sfera della politica parlamentare. Questo è il nodo.
  Quello che ci si deve chiedere, dunque, è se una così consistente riduzione del numero dei parlamentari sia funzionale al miglior assolvimento del compito che la Costituzione assegna al Parlamento. Nella relazione della 1ª Commissione permanente del Senato sui disegni di legge n. 214, 515 e 805, che hanno dato origine al testo ora approvato, si legge che «è stato perseguito il duplice obiettivo di aumentare l'efficienza e la produttività delle Camere e al contempo di razionalizzare la spesa pubblica» e si aggiunge che «in tal modo, inoltre, l'Italia potrà allinearsi agli altri Paesi europei, che hanno un numero di parlamentari eletti molto più limitato». Gli obiettivi, se non leggo male, sono in realtà tre, non due, cioè anche l'allineamento agli altri Paesi europei sembra essere un effetto desiderato e, dunque, perseguito.
  Mi permetto di esprimere qualche dubbio su questi tre obiettivi. Per quanto riguarda l'allineamento agli standard europei, in realtà il dossier che è stato ottimamente elaborato dagli uffici della Camera e del Senato dimostra che la stragrande maggioranza dei Paesi dell'Unione ha una percentuale parlamentari-abitanti ben superiore a quella italiana attuale. Quindi, l'allineamento non sembra essere un risultato ottenibile attraverso l'approvazione di questa proposta. Si potrebbe osservare, però, che i Paesi con la popolazione più alta, cioè Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, hanno percentuali pari (il Regno Unito) o di poco inferiori (Francia, Germania e Spagna) a quella italiana attuale, ma è evidente che la percentuale che risulterebbe dall'accoglimento della proposta sarebbe molto inferiore. Per un allineamento con i tre Paesi da ultimo menzionati, dunque, una riduzione assai più contenuta sarebbe pienamente sufficiente.
  Per quanto riguarda la riduzione della spesa pubblica, mi permetto di notare che non possono essere certo alcuni milioni di euro di risparmio a suggerire un intervento costituzionale sull'organo che è il cuore della nostra forma di Governo, specie a fronte di ben più gravi condizioni dei fondamentali della nostra economia (le notizie di questi giorni lo testimoniano). Non si può ragionevolmente ritenere che questa possa essere la vera molla che spinge il Parlamento a un simile significativo intervento, che incide nel cuore della forma di Governo.
  Resta la maggiore efficienza. Anche su questo mi permetto di osservare, sperando che non sembri inelegante, che questo effetto è più affermato che dimostrato. In particolare, a me sembra in realtà difficile dimostrare che la riduzione del numero dei parlamentari sarebbe funzionale alla riduzione dei tempi del lavoro delle Camere, visto che il problema semmai è divenuto adesso quello opposto, cioè il problema dell'apprestamento di un tempo di discussione adeguato. Lo ha affermato la Corte costituzionale nella nota ordinanza n. 17 del 2019, che ha dichiarato inammissibile, a mio avviso giustamente, un singolare conflitto di attribuzione relativo al procedimento di approvazione della legge di bilancio (legge n. 145 del 2018). La Corte, in quella occasione, tuttavia, non ha mancato di indirizzare alle Camere e al Governo un severo monito sul futuro andamento del confronto parlamentare, quindi il problema, semmai, mi sembra speculare.
  A fronte di tutto questo, infine, va aggiunto che la riduzione del numero dei parlamentari incide fatalmente nella rappresentatività del Parlamento. In un sistema politico-partitico come il nostro, estremamente Pag. 5 instabile e diviso, non ancora assestato, a mio parere, la riduzione delle chance di adeguata rappresentanza di alcune posizioni politiche potrebbe determinare non trascurabili conseguenze in termini di consenso e, dunque, di legittimazione delle Assemblee rappresentative. Non si tratta di essere a favore del sistema proporzionale o di altri sistemi elettorali, ma semplicemente di constatare che una riduzione del consenso e una perdita di legittimazione delle istituzioni, già così chiaramente indebolite, non conviene a nessuno.
  In conclusione, su questo punto più generale ritengo che, anche qualora si ritenesse di procedere comunque a una riduzione del numero dei parlamentari, sarebbe opportuno valutare l'ipotesi di un taglio meno drastico.
  Vengo ora ad alcune riflessioni più puntuali su certi aggiustamenti che, qualora si intendesse mantenere ferma questa scelta numerica, sarebbero necessari. Questo ovviamente dipende dall'interpretazione sistematica della Costituzione. Ho messo in luce quattro punti.
  In primo luogo, il numero dei parlamentari della circoscrizione Estero si riduce sensibilmente. Questo pone un serio problema, che peraltro oggi è già ben percepibile, perché l'ampiezza dei collegi di questa circoscrizione è tale che dell'effettiva rappresentatività degli eletti nel suo seno è lecito dubitare. L'omogeneità del corpo rappresentato si deve in qualche modo garantire. Le soluzioni possono essere due. La prima è quella prospettata nell'audizione in Senato del Consiglio generale degli italiani all'estero, che ha chiesto di lasciare invariato il numero dei parlamentari eletti nella circoscrizione Estero. La seconda ipotesi, invece, è opposta e potrebbe essere l'eliminazione stessa di tale circoscrizione. Mi rendo conto che la questione è molto rilevante, ma non esito a dire che questa seconda soluzione mi sembra preferibile, perché, come ho accennato, già adesso collegi che abbracciano addirittura continenti diversi hanno davvero poco da dire in termini di omogeneità del corpo elettorale rappresentato (personalmente lo osservavo già quando fu introdotta la circoscrizione Estero). Non mi ha mai convinto l'idea di avere enormi collegi, che rendono sostanzialmente inafferrabile il rapporto rappresentativo.
  Vengo al secondo punto. La scelta sul numero di senatori per regione pone non pochi problemi di proporzionalità. Risulta dal dossier che prima ricordavo che la popolazione media per seggio sarebbe nelle varie regioni troppo differenziata. In particolare, la Basilicata e il Trentino-Alto Adige avrebbero una popolazione per seggio di circa la metà delle altre regioni. Capisco che per il Trentino-Alto Adige valgono degli impegni internazionali, ma non penso che questo dovrebbe costringere a un simile approdo.
  Passo al terzo punto. Deve essere riequilibrato il collegio che, ai sensi dell'articolo 83 della Costituzione, elegge il Presidente della Repubblica. Mantenendo gli attuali tre rappresentanti regionali, infatti, il peso che questi avrebbero nel Parlamento in seduta comune così integrato sarebbe molto più elevato di quello attuale e così significativo da condizionare in modo imprevedibile gli equilibri parlamentari. Non devo certamente essere io a ricordare in questa sede che questi equilibri sono molto delicati proprio in occasione dell'elezione del Capo dello Stato. Siccome finiamo per aumentare di un terzo il peso dei delegati regionali, credo che sarebbe opportuno riequilibrare.
  Infine, sarebbe opportuno che, non necessariamente nel testo della legge di revisione – e mi parrebbe anche fuor d'opera – ma almeno in un ordine del giorno, votato da entrambe le Camere in identico testo, si richiamasse la necessità di intervenire sui Regolamenti parlamentari, perché molte delle disposizioni regolamentari finirebbero per essere «sbilanciate» dalla riforma, a partire da quelle sul numero minimo dei deputati e dei senatori che è necessario per costituire un Gruppo. Sappiamo benissimo che i Regolamenti sono un oggetto sensibile, che risente molto delle variazioni del contenuto della Costituzione. Penso che di tale questione si debba avere traccia – è un modesto suggerimento – Pag. 6almeno in un ordine del giorno votato da entrambe le Camere.
  Tutto questo a condizione, però, di confermare la scelta di una così drastica riduzione del numero dei parlamentari, sulla quale mi sono permesso di manifestare qualche dubbio.
  Vi ringrazio per la vostra attenzione e mi scuso perché, dopo le eventuali richieste di chiarimento, dovrò allontanarmi per un impegno universitario. Mi scuso soprattutto con il collega Clementi, che non potrò ascoltare.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  STEFANO CECCANTI. Vorrei formulare due quesiti tra di loro collegati. In primo luogo, vorrei sapere se non giudica a questo punto anche l'esclusione dall'elettorato attivo per il Senato dei cittadini da 18 a 25 anni un vulnus rilevante rispetto ai cittadini maggiorenni, che si trovano per sette classi di età ad avere un peso del voto dimezzato rispetto ad altri cittadini e se non ritiene che si potrebbe, quindi, approfittare di questa circostanza anche per rimediare a quello che appare un difetto evidente.
  In secondo luogo, siccome lei ha citato l'ordinanza della Corte costituzionale che fa risalire al testo costituzionale, e non solo ai Regolamenti parlamentari, il potere emendativo dei parlamentari, vorrei capire qual è la sua impressione rispetto alla scelta della Presidenza del Senato di dichiarare inammissibili per estraneità di materia emendamenti come quello sull'elettorato attivo e passivo al Senato o sul collegio elettorale del Presidente della Repubblica e se non si configurerebbe in qualche modo una lesione del potere costituzionale dei parlamentari, così come ha riconosciuto l'ordinanza della Corte.

  PRESIDENTE. Do la parola al professor Luciani per la replica.

  MASSIMO LUCIANI, Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza». Ringrazio l'onorevole Ceccanti per i suoi quesiti. Devo essere sincero, la questione dell'elettorato attivo e passivo non mi appassiona, non ritengo che questo sia un grave problema della nostra Costituzione. I costituenti hanno inteso sottolineare l'idea di un Senato come nella tradizione classica, il Senato dei maiores. Certamente non avrei alcun dubbio sulla possibilità di rendere omogenei i due corpi elettorali, però non penso che ci sia un'intrinseca irragionevolezza della struttura. Certamente questa potrebbe essere un'occasione, ma su questo punto specifico ritengo che effettivamente non ci sia una piena omogeneità tra l'intervento sul numero dei parlamentari e l'intervento sull'elettorato attivo e passivo.
  Cosa diversa è la questione che riguarda il collegio elettorale chiamato a eleggere il Capo dello Stato, perché mi contraddirei se non riconoscessi che, invece, questo è un punto sul quale, a mio parere, non solo è opportuno, ma è addirittura necessario intervenire, proprio perché la diminuzione del numero dei parlamentari determina uno sbilanciamento dentro quel collegio e, quindi, questo sbilanciamento in qualche modo deve essere riequilibrato. Mi sembra che questa sarebbe la sede più indicata.

  PRESIDENTE. Avverto che il professor Luciani ha messo a disposizione della Commissione una memoria, di cui autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato). Ringrazio il professor Luciani e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del professor Francesco Clementi, professore di diritto pubblico comparato presso l'Università di Perugia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame delle proposte di legge costituzionale C. 1585 cost. approvata dal Senato, e C. 1172 cost. D'Uva, recanti «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», e della proposta di legge Pag. 7C. 1616, approvata dal Senato, recante «Disposizioni per assicurare l'applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari», l'audizione del professor Francesco Clementi, professore di diritto pubblico comparato presso l'Università di Perugia.
  Invito il professor Clementi a contenere, per quanto possibile, il suo intervento in circa dieci minuti, in modo da favorire poi il dibattito nella Commissione.
  Do la parola al professor Clementi per lo svolgimento della sua relazione.

  FRANCESCO CLEMENTI, Professore di diritto pubblico comparato presso l'Università di Perugia. Grazie, Presidente. Ringrazio questa Commissione per l'invito.
  Procedo per punti chiave. Ritengo che la discussione intorno alla riduzione del numero dei parlamentari sia molto importante, perché è una discussione che attiene sostanzialmente al tema della rappresentanza di questo Paese e a come migliorare la qualità di tale rappresentanza. Non a caso, il costituente ha inserito proprio in apertura della parte ordinamentale della Carta il numero dei parlamentari, perché quei numeri rappresentano, in fondo, come il costituente abbia inteso leggere esattamente la rappresentanza nella Parte seconda della Costituzione.
  Dunque, affrontare questo tema è importantissimo. Faccio subito uno statement iniziale: personalmente condivido la proposta di ridurre il numero dei parlamentari, con alcuni caveat che adesso dirò, perché ritengo che, in questa lettura, in fondo il Paese che abbiamo di fronte, la rappresentanza politica che abbiamo di fronte e la sua crisi, per esempio riguardo al tema dell'astensionismo, impongano di riflettere sulla crisi della rappresentanza politica. In tal senso, un attento studio, che ponga al centro la riduzione del numero dei parlamentari, deve offrire una riflessione intorno alle funzioni che i parlamentari rappresentano.
  Nella mia lettura, e nella lettura data anche dagli uffici, che ringrazio per i pregevolissimi dossier che hanno prodotto, penso che dovremmo innanzitutto scegliere: se sposare la tesi di un numero fisso in Costituzione del numero dei parlamentari, così come è dal 1963 in poi nel nostro Paese, o, come fanno altre esperienze comparate – cito per brevità solo la Germania – tenere un numero mobile, che è in qualche modo legato alle dinamiche dell'evoluzione elettorale, perché mantenere un numero mobile forse consente di tarare la dinamica del rapporto fra cittadini e istituzioni in maniera più semplice.
  Superato questo dilemma, che però non è un dilemma da poco, che sento molto come un dilemma che in fondo tocca direttamente il cuore della lettura nuova e delle risposte nuove che penso si debbano dare alla crisi della rappresentanza che vediamo in tutto il mondo, nostro Paese compreso, il ragionamento, dal mio punto di vista, parte da un ulteriore passaggio. Se la riduzione del numero di parlamentari rimane a quota fissa e non variabile, come la proposta di legge in esame propone, credo che occorra fare un ragionamento che parta da questo punto e valuti l'effetto che la riduzione del numero di parlamentari determina esattamente sulla Parte seconda della Costituzione.
  A questo proposito, a mio avviso, emergono almeno tre grandi problemi. Il primo è il problema relativo ai quorum. È stato già detto, e ho visto che altri colleghi venuti in audizione lo hanno sottolineato, però ci tengo molto a ribadirlo. È chiaro che quei numeri hanno una forza all'esterno, nel rapporto fra cittadini e istituzioni, cioè quanta rappresentanza politica, attraverso le leggi elettorali, entra dentro il Parlamento, ma anche verso l'interno, per le funzioni che il Parlamento svolge per le elezioni, per esempio, di due figure importanti quali i giudici costituzionali e, nel relativo collegio elettorale, il Presidente della Repubblica.
  È altresì chiaro che diminuire il numero dei parlamentari e al tempo stesso, per esempio, lasciare invariato, come prevede il disegno di legge, il numero dei senatori a vita, ancorché per un massimo di cinque – sciogliendo un vecchio dilemma della dottrina giuridica – lascia a quei cinque senatori a vita una forza molto importante. Pag. 8
  Aggiungo che a maggior ragione, però, si lascia una forza importante a quei 58 consiglieri regionali che entrano nel collegio per l'elezione del Presidente della Repubblica, perché potrebbero diventare una minoranza di blocco o, potenzialmente, anche determinare la maggioranza che fa la differenza nell'elezione presidenziale. Il fatto che si abbassi il numero dei membri del collegio elettorale lasciando inalterato il numero dei delegati regionali rende questi ultimi, sic stantibus rebus rispetto alla proposta, evidentemente molto importanti. Questa è una valutazione che secondo me questo Parlamento deve compiere, perché l'elezione del Capo dello Stato è un'elezione chiave in questo Paese, così come quella dei giudici costituzionali.
  Aggiungo che il tema dei senatori a vita, a maggior ragione, potrebbe essere svolto anche sotto un altro punto di vista. Molto spesso, soprattutto negli ultimi trent'anni, si è detto che nelle difficoltà dell'evoluzione del sistema politico-partitico il numero dei senatori a vita e la loro funzione dentro l'ordinamento sono entrati molto direttamente nella definizione e nel mantenimento delle maggioranze parlamentari di Governo, nella formazione, nella dissoluzione e anche nella creazione di nuovi governi.
  Qui si rischia un paradosso. Sapete benissimo che i senatori a vita sono un unicum nel panorama mondiale. Il paradosso è che, se il Parlamento, da un lato, ristruttura se stesso nei suoi numeri, cercando di garantire maggiore efficienza, stabilità ed anche una prospettiva di una migliore qualità della rappresentanza politica, al tempo stesso ci potrebbe essere l'effetto che, mantenendo invariato il numero dei senatori a vita, ma abbassando i numeri dei parlamentari, quella funzione non elettiva, ovvero i senatori a vita, nominati in maniera e forma diversa, potrebbero avere un ruolo molto maggiore rispetto a quello che la dinamica politica costituzionale negli ultimi 25-30 anni ha presentato a tutti noi, a partire dalla formazione o dissoluzione delle maggioranze di Governo o dall'elezione di figure istituzionali apicali di questo ordinamento.
  Questo è un punto importante, che tengo a sottolineare, perché questo ordinamento, proprio dentro la funzione che riconosce correttamente ai senatori a vita, riconosce in fondo una funzione importante che l'ordinamento potrebbe in qualche modo valorizzare diversamente. Credo, però, che un'analisi attenta anche rispetto alla dinamica reale del rapporto fra governanti e governati e nella costruzione delle maggioranze parlamentari non possa non imporre a questo Parlamento una valutazione di quella figura anche in quest'ottica.
  Vengo ora al terzo elemento. Credo che, se l'operazione politica che questo disegno di legge e questo Parlamento, in questa Assemblea e in questa Commissione, mirano a fare è quella di migliorare la qualità della rappresentanza politica, non si possa rinunciare ad aprire a una nuova cittadinanza elettorale, equiparando la cittadinanza elettorale tra Camera e Senato o addirittura abbassando il limite di età. Ci sono ordinamenti che discutono da tanto tempo di voto ai sedicenni. In fondo, ritengo che, se una riforma costituzionale di così grande portata e livello non affronta questo tema, rischia di essere in qualche modo miope rispetto a un'istanza di rappresentanza politica che, specularmente rispetto all'incremento dell'astensionismo, rischia di essere persa. Io non voglio perdere i giovani di questo Paese, che talvolta vedono le istituzioni lontane da loro. Penso che una scelta acuta e intelligente, discutendo di questo tema, sia esattamente aprire alle nuove generazioni, se non altro allineando la cittadinanza elettorale.
  Passo molto rapidamente a due ultimi elementi. In primo luogo, è chiaro che la riduzione del numero dei parlamentari, oltre al problema del quorum, oltre al problema dei senatori a vita, oltre al problema della cittadinanza elettorale, comporta un terzo ulteriore problema: la composizione e l'organizzazione di queste due Assemblee, la Camera e il Senato, perché questo ha effetti diretti molto forti innanzitutto sulla composizione delle Commissioni, sull'organizzazione dei lavori e via dicendo. Anche questo va messo in conto, poc'anzi il professor Luciani ha ipotizzato Pag. 9un ordine del giorno, dal punto di vista tecnico ci si può organizzare, però non è possibile non vedere questo effetto sistemico.
  Un ultimo punto a cui tengo e che vorrei sottolineare è laterale rispetto a questa discussione, ma a mio avviso è molto presente. Se il tema è la crisi della rappresentanza, la riduzione del numero dei parlamentari non è fatta sulla riduzione dei costi della politica. Io non lo credo e non mi convince questo argomento.
  Mi convince, però, un altro argomento, che mi permetto di sottolineare ai vostri occhi: si potrebbe costruire dentro questo contesto quella rappresentanza politica che questo Paese ancora non conosce. Non è solo quella dei giovani, che sono sotto soglia, a maggior ragione al Senato, ma anche quella di alcune istituzioni di questo Paese che non entrano nell'ordinamento, a partire dalle istituzioni territoriali.
  Allora perché, con un po’ più di fantasia, non immaginare, almeno per la seconda Camera, il Senato, in alcuni casi, in alcuni momenti, la presenza di figure apicali, che siano provenienti o che siano nominati o indicati dai consigli regionali, ad esempio i presidenti delle regioni – su questo naturalmente si può ragionare – aprendo a una dimensione di rappresentanza politico-istituzionale di tipo territoriale?
  Anche questo è un pezzo del ragionamento intorno alla crisi della rappresentanza politica. Credo che non possiamo guardare alla rappresentanza politica con gli occhi del Novecento. Gli occhi del Novecento vedevano la rappresentanza politica dentro il rapporto cittadino-istituzioni, dentro una classica rappresentanza politica basata sulla dinamica della forma di Governo, mentre oggi, laddove si interviene sulla rappresentanza politica – e non sono pochi i Paesi che lo stanno facendo – l'intervento sulla rappresentanza politica è legato al tema della forma dello Stato.
  Questo Paese ha avuto una storia molto complessa – lo sapete molto meglio di me – riguardo alle riforme costituzionali, ma dentro le riforme costituzionali, in tema di riforma del bicameralismo, c'è innanzitutto in nuce un tema: una dinamica della forma dello Stato che questo Paese ancora non si è dato nelle istituzioni centrali. Come portare in qualche modo al centro, se di centro si può ancora parlare, le istanze territoriali?
  Penso che, approfittando della riduzione del numero dei parlamentari, si possa provare a costruire alcuni momenti importanti – il collegio di elezione presidenziale è un altro esempio di come entra in qualche modo una dinamica territoriale – che aprano a una situazione nella quale una parte del Paese, dei territori italiani, entra dentro il Parlamento nazionale. Altrimenti, noi lasceremo sempre fuori dalle Camere una rappresentanza che oggi rischia di essere paradossalmente molto più forte della classica rappresentanza politica che noi conosciamo, figlia delle dinamiche delle leggi elettorali, dimenticando come, invece, oggi, nella rappresentanza dei territori c'è molto più futuro nel rapporto che struttura la dinamica fra governanti e governati e, dunque, anche il futuro della nostra democrazia.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

  STEFANO CECCANTI. Mi chiedo, in particolare, riagganciandomi a quest'ultimo punto, se tra questi momenti chiave, per esempio, la presenza di rappresentanti delle istituzioni regionali non potrebbe essere utile in Parlamento in occasione della votazione delle leggi sul regionalismo differenziato, in modo da avere un quadro complessivo delle posizioni di tutte le regioni e, quindi, compiere delle scelte complessivamente razionali, piuttosto che procedere in Parlamento esclusivamente per votare singole intese bilaterali concluse solo dagli esecutivi. Questo è uno dei problemi che mi sembrano più attuali nel nostro dibattito.

  ANDREA GIORGIS. Nell'ambito del tema di fondo della rappresentanza, tema effettivamente molto serio e molto attuale, se la preoccupazione, come lei mi sembra suggerire, Pag. 10 dovrebbe essere quella di capire come riattivare una migliore capacità rappresentativa, come rendere le istituzioni politiche parlamentari capaci di rappresentare meglio il pluralismo che c'è nel Paese, non ritiene che si tratti di un tema di stretto diritto costituzionale, attinente alla riforma del Parlamento?
  Oggi un tema di nuovo molto discusso sul piano politico, ma affrontato in maniera a mio avviso sbagliata o comunque sottovalutato, è il tema della cittadinanza. Come si potrebbe non interrogarsi sul problema della rappresentatività, se si decidesse, ad esempio, come lei suggerisce, di abbassare l'età dell'elettorato attivo, in modo da consentire ai più giovani di partecipare alla scelta dei cosiddetti «governanti», tenendo fuori una percentuale di popolazione oggi molto consistente, il che peraltro rischia di riprodurre una situazione più simile a quella che vigeva negli ordinamenti pre-Rivoluzione francese che a quella che vige negli ordinamenti democratici? Infatti oggi, in conseguenza di flussi migratori significativi e di flussi che determinano una stanzialità importante, ci troviamo ad avere una legislazione in materia di cittadinanza che a me pare contraddittoria rispetto ai fondamentali princìpi del costituzionalismo contemporaneo. Pongo tale questione su un piano di stretto diritto costituzionale.
  La seconda domanda è questa: interrogarsi sull'opportunità di portare le istituzioni territoriali all'interno delle Camere è una proposta molto interessante; comprendo l'esigenza che tale proposta cerca di soddisfare, però vorrei solo chiedere se questo è l'unico percorso possibile per realizzare quel coinvolgimento dei livelli territoriali. Si potrebbe anche pensare a un'altra strada, vale a dire differenziare radicalmente le caratteristiche della rappresentanza e distinguere tra luoghi dove vi è una rappresentanza politica tradizionale, secondo il paradigma classico dell'interesse generale, indipendentemente dal territorio, anzi cercando di «deterritorializzare» il più possibile la rappresentanza, proprio perché il territorio è sinonimo di radicamento, ma è anche a volte un problema in termini di garanzie e di integrazione plurale; si potrebbe, dunque, distinguere tra luoghi nei quali si struttura la rappresentanza tradizionale e istituzioni nelle quali, invece, si cerca di comporre il pluralismo territoriale in unità.
  La diversa caratteristica della rappresentanza del territorio a volte rende impossibile, in un contesto parlamentare, trovare lo stesso linguaggio, il che potrebbe determinare difficoltà di sintesi, perché ci sarebbero soggetti portatori di due logiche e di due modalità di rappresentare l'interesse generale completamente diverse.

  MARCO DI MAIO. Intendo formulare due brevi quesiti. In primo luogo, la riforma che stiamo discutendo prevede la riduzione del numero dei deputati a 400 e dei senatori a 200 (potevano essere 300 deputati e 100 senatori o un altro numero): le vorrei chiedere una sua opinione sull'opportunità di un taglio di questo tipo, o eventualmente di un taglio maggiore, e su quali criteri dovrebbero ispirare una giusta riduzione del numero dei parlamentari, premesso e sottolineato che il mio Gruppo è favorevole a ridurre il numero dei parlamentari di questo Paese, tant'è che nella precedente legislatura avevamo promosso una riforma che andava in questa direzione.
  In secondo luogo, dal suo punto di vista, una riduzione del numero dei parlamentari a sistema istituzionale invariato, cioè mantenendo un bicameralismo paritario, non rischia semplicemente di perpetuare una situazione di difficoltà istituzionale e quei rallentamenti e quelle inefficienze il cui superamento era un obiettivo alla base della precedente riforma ed è perseguito anche dalla proposta in esame, che a nostro avviso non conseguirà il risultato che si prefigge, vale a dire la semplificazione del procedimento legislativo? Non sarebbe stato forse più utile inserire un giusto taglio del numero dei parlamentari in un contesto di riforma più ampio, che toccasse anche altri aspetti necessari per rendere più efficiente il lavoro del nostro Parlamento?

  PRESIDENTE. Passiamo ora all'ultimo intervento, dopo il quale vi chiederei di non Pag. 11intervenire ulteriormente, per consentire al professor Clementi di disporre del tempo necessario per rispondere ai quesiti posti.

  MASSIMO UNGARO. Ringrazio il professor Clementi per la sua relazione e vorrei fare una domanda sul tema della circoscrizione Estero: con l'approvazione della proposta di legge costituzionale in esame un eletto in Parlamento rappresenterà circa 150 mila cittadini italiani e un deputato eletto all'estero oltre 700-800 mila. Ho vissuto molti anni in un Paese, il Regno Unito, che ha un ordinamento costituzionale molto diverso da quello italiano, ma in cui c'è un rapporto diretto molto stretto tra elettori ed eletti. Mi chiedo se con questa riforma non si stravolgerà per sempre quello che dovrebbe essere un rapporto importante tra l'eletto in Parlamento e i suoi elettori, sapendo che l'Italia è stata un Paese all'avanguardia, quando nel 2001 abbracciò l'idea di dare il diritto di voto, ma anche il diritto di eleggere i propri rappresentanti in Parlamento, agli italiani all'estero, che oggi sono oltre 5 milioni, quasi il 9 per cento della popolazione nazionale (la quarta regione d'Italia vive all'estero).
  Mi chiedo se per non stravolgere questo rapporto tra elettori ed eletti non si voglia mantenere invariato il numero degli eletti all'estero o anche aumentarlo e se abbia senso stravolgere per sempre questa idea di comunità di diritti che l'Italia ha abbracciato e introdotto sulla scena nazionale, sapendo che molti Paesi stanno copiando l'Italia, introducendo nello loro Costituzioni – mi riferisco ad esempio alla Francia e al Belgio – la possibilità per i loro cittadini che vivono all'estero di avere una rappresentanza in Parlamento.

  PRESIDENTE. Il mio invito non è stato accolto, perché c'è un'altra richiesta di intervento, da parte della collega Pollastrini...

  BARBARA POLLASTRINI. Mi scusi, Presidente. Vorrei porre al professor Clementi una domanda. Tenuto conto che, come diceva l'onorevole Di Maio, anche noi non abbiamo un a priori negativo rispetto alla riduzione del numero dei parlamentari, ma semmai lo faremmo in misura meno drastica per le ragioni a cui si richiamava il professor Luciani poc'anzi e che attengono, ad esempio, al tema della rappresentanza degli eletti all'estero, come ricordava prima il collega Ungaro, vorrei intervenire su un punto. Si è deciso – non era la nostra ipotesi, nella precedente legislatura – di affrontare il tema essenziale delle riforme capitolo per capitolo (abbiamo appena discusso, ad esempio, dell'introduzione del referendum propositivo).
  C'è una domanda che mi pongo, e che pongo al professor Clementi, proprio perché a me sta molto a cuore la rappresentanza territoriale, che penso mai come oggi abbia un senso proporsi in qualche modo di risolvere, tenendo conto delle spinte diverse che vengono dai territori e prevenendo quelli che vedo come i grandi rischi di divisione, tenendo conto che forse governando le spinte di richiesta di autonomia si può conservare l'unità del Paese (incombe l'esito della trattativa a seguito dei referendum in alcune importanti regioni del Nord).
  Mi domando come questa riforma, qualora venisse attuata, possa impedire o, viceversa, favorire il fatto che si arrivi prima o poi a un ragionamento complessivo su una funzione differente fra Camera e Senato, dando al Senato – questo, però, è un mio punto di vista – un compito di rappresentanza territoriale marcata e riconosciuta, sul modello, ad esempio, del Bundesrat. Qualora si avanzasse in queste riforme, sarà poi possibile intervenire in modo più netto e radicale per assegnare una funzione di rappresentanza territoriale a un diverso Senato e riconoscere in quel modo, da una parte, le spinte di rappresentanza e, dall'altra, la spinta, per me doverosa, non solo per rispetto della Costituzione, ma perché ci credo, per la tenuta dell'unità del Paese?

  PRESIDENTE. Do la parola al professor Clementi per la replica.

  FRANCESCO CLEMENTI, Professore di diritto pubblico comparato presso l'Università di Perugia. Naturalmente i miei sono Pag. 12solo cenni di risposta. Ringrazio per le numerose domande, cercherò di accorparle per comodità.
  Vedo una grande occasione per risolvere due problemi. Il primo è quello di una crisi della rappresentanza politica in quanto tale, il secondo è quello di un'assenza di una rappresentanza politico-istituzionale nel Parlamento. L'occasione della riduzione del numero dei parlamentari nel contesto della rappresentanza politica in quanto tale può agire su due ambiti: l'ambito delle circoscrizioni interne e l'ambito della circoscrizione Estero. È chiaro che l'ambito delle circoscrizioni interne, per rispondere innanzitutto all'onorevole Giorgis, a mio avviso prevede certamente l'allineamento dell'età di elettorato attivo ed elettorato passivo per il Parlamento, ma – perché questo non basta, stando all'andamento demografico di questo Paese – anche una revisione della legge sulla cittadinanza. Questo è evidente. Naturalmente è una posizione personale, come tutte le cose che dico, ma penso sia chiaro che c'è un pezzo di Paese che guarda con speranza alla possibilità di partecipare alla politica del Paese dove vive e ritengo che il progetto di riforma in esame possa offrire un'occasione al riguardo. Pertanto, condivido il legame fra la cittadinanza elettorale e la cittadinanza tout court.
  Ci sarebbe un altro percorso, più semplice e più lineare, come è noto, cioè trasformare il bicameralismo con una legge ad hoc, però, a partire da quello che mi sembra essere il manifesto politico-culturale che ispira queste riforme, cioè la presentazione in Parlamento delle linee guida da parte del Ministro Fraccaro, prendo atto che si intende procedere attraverso interventi puntuali, non più organici.
  Tuttavia, la riduzione del numero dei parlamentari impone una lettura organica e sistematica, come è stato detto, del testo costituzionale. È chiaro che, se non è possibile avere una seconda Camera dei territori, in qualunque modo essa possa essere configurata, prevedere – e mi collego a quello che chiedeva l'onorevole Ceccanti – la possibilità di avere rappresentanti delle istituzioni territoriali in alcuni momenti «caldi», importanti, che li coinvolgono direttamente, nelle votazioni parlamentari, non è un vulnus per questo Parlamento, ma è un punto di forza. Al caso che citava lei, onorevole Ceccanti, come «single issue», ovvero l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, potrebbero aggiungersene altri, perché in fondo la riforma costituzionale del Titolo V del 2001 offre notevoli spunti per vedere in qualche modo la chiamata dei rappresentanti istituzionali delle autonomie in Parlamento.
  Colgo l'occasione per citare un'ulteriore questione, vale a dire la possibilità di fare emergere pubblicamente, nella trasparenza, cosa che noi sappiamo non accadere in questo momento, i lavori della Conferenza Stato-regioni e autonomie locali, nei quali si gestisce una parte molto rilevante del bilancio di questo Paese e che i cittadini italiani potrebbero e dovrebbero poter ascoltare in quest'Aula, perché quest'Aula è dotata di verbalizzazione, di web-tv e di trasparenza, com'è nella natura propria dei Parlamenti. Credo che l'emersione di questo soggetto, che ha un ruolo molto rilevante nella vita politico-costituzionale di questo Paese, a partire dall'allocazione dei fondi, sarebbe un gesto di grande intelligenza, capace di colmare la dinamica della rappresentanza in quanto tale, sia quella politica sia quella di tipo territoriale.
  L'onorevole Di Maio sottolineava il tema del numero dei parlamentari, chiedendo se è un numero troppo compresso o un numero troppo dilatato. Naturalmente quella dei numeri è una questione molto seria, che determina in fondo il senso che ciascuno di voi ha rispetto al proprio territorio, come riesce a gestirlo nel rapporto con i propri elettori.
  Ritengo che la soluzione sia il modello tedesco: non dovremmo avere un numero fisso, dovremmo avere un numero mobile, perché sono gli elettori che ti dicono quanti rappresentanti devono entrare in Parlamento. Precostituire in maniera «monarchica», rigida, dall'alto, top down, il numero dei parlamentari vuol dire chiudere la dinamica della rappresentanza politica, in un tempo nel quale, invece, la rappresentanza politica è quanto di più dinamico Pag. 13c'è ed è quanto di più difficile da organizzare dal punto di vista della struttura dell'assetto politico. Mantenere la dinamica mobile consente ai parlamentari di avere una forza maggiore, perché è esattamente speculare al voto che hanno ricevuto, e, al tempo stesso, consente ai cittadini di riconoscere in quel numero la loro disponibilità a credere nella politica e, dunque, a dare ad essa la loro fiducia.
  Sempre l'onorevole Di Maio chiedeva se la riduzione, senza intervenire sul bicameralismo, possa portare a un rischio di blocco: in qualche modo credo di sì, se non altro perché alla luce della dinamica relativa ai quorum, di cui parlavo nel mio primo intervento, questo potrebbe portare a degli effetti politici molto rilevanti. Faccio un esempio di scuola: nel momento in cui 58 delegati regionali costituiscono due Gruppi parlamentari e mezzo della Camera e cinque Gruppi parlamentari del Senato, hanno un peso molto importante nel quorum del collegio per l'elezione del Presidente della Repubblica, se i numeri restano quelli previsti dal disegno di legge, precostituendo in qualche modo anche una scelta importante di indirizzo politico nelle elezioni presidenziali.
  Penso che questo sia un problema politico che il Parlamento in quanto tale, la Camera e il Senato, non si può non porre. Vedo il rischio che l'effetto sistemico produca una soluzione poco efficace rispetto all'obiettivo, così come lo vedo per l'efficienza del lavoro delle Camere, di cui questo disegno di legge non dice nulla, ma nella costruzione della dinamica delle Commissioni e nella costruzione della vita dei lavori parlamentari credo si ponga qualche dinamica problematica (mi riferisco, ad esempio, ai rapporti con l'Unione europea).
  Ha ragione l'onorevole Pollastrini, dal mio punto di vista: la cosa più lineare sarebbe costruire una seconda Camera dei territori. Qui, però, si ferma il costituzionalista: questa è l'Assemblea parlamentare, questo è il Parlamento, il costituzionalista ha le sue preferenze. Registro, da costituzionalista di tipo comparatista, che nella grandissima parte dei Paesi europei, e ancor più nei Paesi extraeuropei, le seconde Camere rappresentano tutte la forma dello Stato: in vario modo costruite, ma tutte rappresentano la forma dello Stato, cioè i territori, mentre le prime Camere rappresentano la forma di Governo, cioè il rapporto tra governanti e governati.
  L'Italia continua a essere un tertium genus, che però non sta facendo scuola e sta lasciando questo Paese sempre più debole, perché alla debolezza che ha tutto il mondo sulla crisi della rappresentanza politica aggiunge il fatto di tenere fuori dalla rappresentanza istituzionale la rappresentanza dei territori. Avere, invece, i territori alleati di fronte alla crisi di rappresentanza politica credo potrebbe essere una soluzione in più, una freccia in più nella faretra del Parlamento, esattamente per dare forza a quello che io ritengo un disegno di legge di riforma costituzionale utile, in un tempo difficile e complesso, di fronte alla crisi della rappresentanza politica.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Clementi e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.35.

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