XVIII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Martedì 26 marzo 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE COSTITUZIONALE C. 1585 COST. APPROVATA DAL SENATO, E C. 1172 COST. D'UVA, RECANTI «MODIFICHE AGLI ARTICOLI 56, 57 E 59 DELLA COSTITUZIONE IN MATERIA DI RIDUZIONE DEL NUMERO DEI PARLAMENTARI» E DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 1616, APPROVATA DAL SENATO, RECANTE «DISPOSIZIONI PER ASSICURARE L'APPLICABILITÀ DELLE LEGGI ELETTORALI INDIPENDENTEMENTE DAL NUMERO DEI PARLAMENTARI»

Audizione della Professoressa Ginevra Cerrina Feroni, professoressa di diritto pubblico comparato presso l'Università di Firenze.
Brescia Giuseppe , Presidente ... 3 
Cerrina Feroni Ginevra , Professoressa di diritto pubblico comparato presso l'Università di Firenze ... 3 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 5 
Cecconi Andrea (Misto-MAIE)  ... 5 
Prisco Emanuele (FDI)  ... 6 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 7 
Cerrina Feroni Ginevra , Professoressa di diritto pubblico comparato presso l'Università di Firenze ... 7 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 8 

Audizione del Professor Salvatore Bonfiglio, professore di diritto costituzionale italiano e comparato presso l'Università «Roma Tre»:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 9 
Bonfiglio Salvatore , Professore di diritto costituzionale italiano e comparato presso l'Università «Roma Tre» ... 9 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 11 

Audizione del Professor Salvatore Curreri, professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi «Kore» di Enna:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 11 
Curreri Salvatore , Professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi «Kore» di Enna ... 11 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 14 
Cecconi Andrea (Misto-MAIE)  ... 14 
Macina Anna (M5S)  ... 15 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 16 
Curreri Salvatore , Professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi «Kore» di Enna ... 16 
Macina Anna (M5S)  ... 17 
Curreri Salvatore , Professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi «Kore» di Enna ... 17 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 17 

Allegato 1: Memoria presentata dalla professoressa Ginevra Cerrina Feroni ... 18 

Allegato 2: Memoria presentata dal professor Salvatore Bonfiglio ... 24 

Allegato 3: Memoria presentata dal professor Salvatore Curreri ... 26

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE BRESCIA

  La seduta comincia alle 12.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione della Professoressa Ginevra Cerrina Feroni, professoressa di diritto pubblico comparato presso l'Università di Firenze.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame delle proposte di legge costituzionale C. 1585 cost. approvata dal Senato, e C. 1172 cost. D'Uva, recanti «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», e della proposta di legge C. 1616, approvata dal Senato, recante «Disposizioni per assicurare l'applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari», l'audizione della professoressa Ginevra Cerrina Feroni, professoressa di diritto pubblico comparato presso l'Università di Firenze.
  Ringrazio la professoressa Cerrina Feroni per aver accolto l'invito della Commissione e le chiedo cortesemente di contenere il suo intervento in circa dieci minuti, in modo da consentire ai commissari di porre eventuali domande. Do la parola alla professoressa Cerrina Feroni per lo svolgimento della sua relazione.

  GINEVRA CERRINA FERONI, Professoressa di diritto pubblico comparato presso l'Università di Firenze. Presidente e onorevoli deputati, innanzitutto grazie per questo invito all'audizione. Io mi atterrò a una valutazione veramente molto tecnica e di merito, risparmiando ogni considerazione sul bicameralismo, ben conosciuto.
  Questo progetto di legge costituzionale C.1585, approvato dal Senato, prevede un intervento molto puntuale di modifica degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione e determina la riduzione del numero dei parlamentari da 630 a 400 alla Camera e da 315 a 200 al Senato. Si codifica, inoltre, un'ormai prevalente interpretazione della dottrina, per cui il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Capo dello Stato non può essere superiore a cinque.
  Faccio subito una valutazione di metodo. Io ritengo che sia un fatto positivo che dopo la bocciatura del referendum del 2016 non sia stata posta una «pietra tombale» sul processo di riforma e che tale processo sia ripartito, sia pure con degli interventi puntuali migliorativi e coerenti con i tanti cambiamenti storici, politici e sociali intervenuti in questi settant'anni di storia. La drastica riduzione – perché è una riduzione effettivamente drastica – ne è un aspetto non marginale. È un'esigenza che arriva forte dal Paese, che – mi rivolgo al presidente – non riguarda soltanto il tema dei costi della politica, anzi, a mio modo di vedere, il tema dei costi è un tema abbastanza marginale in un processo di riforma di questo tipo. La questione va vista in un'altra ottica: sono proprio mutate in questi settant'anni le ragioni sociali, culturali, economiche e politiche che giustificarono allora una così capillare e diffusa rappresentanza. Pag. 4
  Con la riforma ogni deputato andrebbe a rappresentare circa 150.000 abitanti e un senatore circa 300.000, il che mi pare abbastanza ragionevole. Basti considerare le nuove forme di comunicazione che dal 1948 a oggi sono intervenute. Non vedrei conseguenze particolari. Io ho letto alcune audizioni, già svolte al Senato, di alcuni colleghi, che rappresentavano un rischio sulla capacità effettiva di rappresentanza sul territorio, ma questo è un problema che non vedo.
  Dobbiamo poi guardare l'esperienza comparata. Io insegno diritto costituzionale comparato. È vero che in Europa la Germania, che viene sempre riportata come esempio, ha un numero maggiore di rappresentanti al Bundestag, ma è anche vero che quello tedesco è un bicameralismo completamente diverso, è sostanzialmente un monocameralismo. Noi dobbiamo sempre tarare sulla nostra esperienza, del tutto peculiare, di bicameralismo paritario. Gli Stati Uniti hanno 435 rappresentanti, quindi secondo me anche in un'ottica comparata questa riforma è una riforma coerente.
  C'è un elemento non indifferente: è indubitabile che la riduzione del numero dei parlamentari contribuisce a restituire maggiore autorevolezza e pregio all'istituzione e anche a rafforzarne il ruolo.
  Pertanto, nel suo impianto generale il progetto non presenta, a mio modo di vedere, dei profili di criticità particolari, anzi, quando mi avete invitato a questa audizione mi sono chiesta che cosa si sarebbe dovuto dire su una questione che mi sembra abbastanza consolidata e condivisa. Al tempo stesso, riflettendoci con un po’ di attenzione, ho provato a individuare dei profili un po’ più oscuri, che forse meriterebbero una maggiore riflessione.
  Entro subito nel tema. In questo progetto, rileggendolo in quest'ottica, di vederne i vizi più che gli aspetti positivi, mi colpisce qualcosa che manca e che, a mio avviso, dovrebbe essere ripensato. Non c'è innanzitutto – e questo è un punto delicato – una disposizione che rimoduli la composizione delle rappresentanze regionali nel procedimento di elezione del Presidente della Repubblica.
  Noi passiamo da 945 a 600 parlamentari, al netto dei senatori a vita ovviamente, quelli di diritto, e questo implica un impatto sulla componente espressa dai consigli regionali, perché la componente dei consigli regionali praticamente passerebbe a rappresentare l'8,8 per cento dell'intero collegio elettorale presidenziale, mentre oggi è il 5,7 per cento; quindi c'è uno scarto significativo. Questo, a mio modo di vedere, andrebbe ripensato. Non è un caso che nella riforma bocciata dal referendum del 2016 l'articolo 83, secondo comma, della Costituzione veniva abrogato e addirittura veniva soppressa la componente regionale.
  Se dobbiamo dare delle proposte noi tecnici e professori, probabilmente con la soluzione di ridurre da tre a due i delegati regionali, eccetto la Val d'Aosta, verrebbe forse di fatto ristabilita quella proporzione individuata dal costituente tra le due componenti del collegio elettorale presidenziale. Dico questo perché, facendo un po’ di conti, la presenza di due delegati per regione e non più tre in qualche modo riequilibra questa componente e la riporta al 5,9 per cento, che è l'attuale percentuale.
  Segnalo una questione. I professori in genere indicano soltanto i problemi, non trovano soluzioni, però lo segnalo. È ovvio che passando da tre a due i componenti regionali, abbiamo una sovra-rappresentanza delle minoranze nei consigli regionali rispetto alla proporzione numerica. Se erano tre, in genere due di maggioranza e uno di opposizione, è chiaro che con la riduzione a due indubbiamente la minoranza può essere in qualche modo sovra-rappresentata.
  Vengo al secondo tema. Mi pare che ci sia una seconda lacuna in questo progetto di legge, che a mio modo di vedere dovrebbe essere colmata: non ci sono disposizioni transitorie che assicurino una regolare e ordinata transizione dal vecchio al nuovo regime. Intendo dire che i regolamenti parlamentari, come noi sappiamo, collegano l'attivazione di determinati istituti e anche la composizione di certi organi a una soglia numerica di deputati e senatori. Faccio soltanto degli esempi. Il Regolamento della Camera, all'articolo 69, riconosce Pag. 5 a dieci deputati il potere di richiedere la dichiarazione d'urgenza per un determinato progetto di legge. Guardando il Regolamento del Senato mi è «cascato l'occhio», ad esempio, sull'articolo 56, comma 3, che attribuisce a otto senatori la facoltà di proporre l'inversione della trattazione degli argomenti all'ordine del giorno della seduta, ma ci sono altre disposizioni.
  Una modifica del numero dei parlamentari finisce per incidere in maniera sensibile sull'esercizio di queste prerogative, determinando un innalzamento della percentuale necessaria per l'attivazione di alcuni istituti di diritto parlamentare. Il tema ovviamente diviene significativo anche con riferimento alle norme sulla costituzione dei Gruppi parlamentari. Venti deputati e dieci senatori, che sono i numeri necessari, è una soglia che oggi, facendo un po’ di conti, si attesta intorno al 3,7 per cento dei deputati e al 3,1 per cento dei senatori. Ridurre a 400 i deputati e a 200 i senatori significa innalzare di molto la soglia sia alla Camera che al Senato: dal 3,7 si passa al 5 per cento.
  Non c'è niente di male nell'innalzare la soglia per la costituzione di un Gruppo parlamentare sia alla Camera sia al Senato. Bisogna, però, esserne consapevoli. Le Camere dovrebbero valutare se questo innalzamento percentuale rientri o meno nell’intentio legislatoris, cioè nella volontà politica, perché, qualora non ci sia questa volontà di rendere più rigida la costituzione di un Gruppo parlamentare, è chiaro che c'è bisogno di un coordinamento con la disciplina dei Regolamenti delle Camere.
  A mio modo di vedere, ogni riforma deve essere valutata in base al suo impatto, quindi, una volta che si abbia contezza di questo, le Camere dovrebbero, se lo ritengono, ripensare anche la formulazione dei Regolamenti. È una cosa non semplice una riforma dei regolamenti di questo tipo, perché è ovvio che si entra in dinamiche politiche, che evidentemente esulano dal mio intervento, ma è ovvio che c'è un confronto politico serrato sull'innalzamento o meno di una soglia per la costituzione dei Gruppi parlamentari. È chiaro che questo confronta in maniera molto forte grandi gruppi e piccoli gruppi, pertanto vedo qualche problema.
  Anche le Commissioni bicamerali, che sono previste per legge, hanno delle percentuali che sono tarate sulla soglia prevista in considerazione dell'attuale numero dei parlamentari.
  Un ultimo aspetto che segnalo alla Commissione è la questione delle Commissioni permanenti, della loro composizione, ma soprattutto del loro numero. Già oggi in Italia abbiamo una certa letteratura dei costituzionalisti, che hanno messo in evidenza l'opportunità di un ripensamento e di un riassetto delle Commissioni parlamentari permanenti, che sono quattordici, sia alla Camera sia al Senato. Una riduzione di un terzo del numero dei parlamentari, a mio modo di vedere, diventa un elemento molto forte per un ripensamento serio delle Commissioni parlamentari, per ragioni logiche.
  È ovvio che non si può fare con norme di coordinamento, ma dovrà essere attivata una procedura parlamentare di riforma dei Regolamenti su questo tema, che anche in questo caso non è semplicissima.
  Sintetizzo la mia valutazione. Del resto, ho fatto parte anche della Commissione dei 35 saggi in passato costituita per le riforme costituzionali e sono quarant'anni che si parla di questi temi.
  Sul tema della riduzione dei parlamentari do un giudizio positivo, così come do un giudizio positivo sul fatto che si riparta con dei procedimenti puntuali e non con riforme organiche della Costituzione, di cui il nostro Paese non ha bisogno. Attenzione, perché ogni intervento puntuale deve essere, però, coordinato con l'assetto normativo e regolamentare del Paese, perché altrimenti ci possono essere incongruenze che su una riforma delicata come questa non ci possiamo permettere di avere. Grazie, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANDREA CECCONI. Sull'ultimo punto sollevato, noi ci stiamo tutti convincendo – Pag. 6e ne sono convinto anch'io – che una riduzione del numero aiuterà sicuramente uno svolgimento più ordinato dei lavori. Questa è una convinzione, ma poi vedremo se sarà così. Non è sempre detto che quello di cui noi siamo convinti poi effettivamente nello svolgimento reale dei lavori avvenga, anzi molto spesso non avviene, però questo è l'intento.
  Io le pongo una domanda che ho fatto anche ad altri auditi in precedenza. Il mio timore non è tanto sul numero, ma sta nel fatto che la riduzione del numero vada a comprimere molto, soprattutto al Senato piuttosto che alla Camera, la capacità di intervento delle minoranze. Parlo delle minoranze in generale, non delle minoranze linguistiche, ma anche delle piccole rappresentanze, dei piccoli partiti o di alcune minoranze particolari nel Paese. Infatti, ovviamente si va a restringere particolarmente il numero al Senato: 315 componenti è già la metà della Camera oggi e, quindi, vediamo già che il lavoro del Senato si svolge in maniera completamente diversa rispetto alla Camera, perché i componenti delle Commissioni sono la metà e, quindi, anche la capacità di intervento è ridotta della metà, e noi l'andiamo ulteriormente a ridurre.
  Lei ha parlato di un ripensamento delle Commissioni parlamentari. Secondo lei dovrebbero essere di più o di meno le Commissioni parlamentari? Ci sono delle Commissioni con degli ambiti e delle caratteristiche ben specifiche e altre Commissioni, come per esempio questa, che invece hanno uno spazio di intervento molto ampio. Se io spacchetto questo spazio di intervento molto ampio e faccio più Commissioni, ovviamente è presumibile che i componenti di quella Commissione siano più adatti o più concentrati su alcuni lavori. Per esempio, parlando di questa Commissione, se l'interno fosse scorporato, con tutta la difesa pubblica e la gestione territoriale, rispetto alle riforme e alla Presidenza del Consiglio, che è un'altra materia molto estesa, non sarebbe un male, tant'è che una ventina di anni fa esisteva la Commissione parlamentare degli interni, che poi è stata soppressa.
  Questo innalzamento eventuale come si potrebbe sposare con una riduzione del numero di parlamentari e di senatori? A quel punto si avrebbe una Commissione ridotta a veramente pochi membri, con uno svolgimento dei lavori eccessivamente sbilanciato nei confronti della maggioranza parlamentare.
  Chiaramente le riforme importanti sono portate avanti sempre dalla maggioranza, con un pensiero di maggioranza, senza rendersi conto che quando si sta dall'altra parte, in opposizione o in minoranza, le richieste di avere più tutele, più spazi e più modalità di intervento sono più pressanti e vengono spesso anche compresse già oggi che siamo 630, con un Regolamento della Camera che è anche sufficientemente «largo», a mio avviso, da questo punto di vista.

  EMANUELE PRISCO. Aderisco di massima alla condivisione espressa dalla docente audita riguardo alla necessità di ridurre con tranquillità il numero di rappresentanti di Camera e Senato, ma segnalando anche alcune questioni che noi stessi abbiamo da subito rappresentato, per esempio, su tutte, l'incidenza sulla componente dei rappresentanti dei consigli regionali per l'elezione del Presidente della Repubblica, senza scendere in altre norme derivate, che vanno dalle modalità di ripartizione della legge elettorale ai Regolamenti parlamentari.
  La professoressa Feroni ha segnalato di guardarci anche intorno nel mondo, laddove il numero dei rappresentanti pro capite o per numero di abitanti è di solito molto più basso. Questo è vero – e queste sono in parte le due domande – a fronte anche di sistemi di rappresentanza differenti. Gli esempi che lei ha fatto sono tutti esempi di Repubbliche presidenziali, in cui è forte la leadership del Governo e, di conseguenza, il ruolo del Parlamento è un ruolo di mitigazione dell'attività di governo, mentre diversa è l'impostazione attuale del Parlamento italiano.
  Noi riteniamo, per esempio, che, aderendo alla riduzione dei parlamentari, questa sarebbe pienamente efficace a fronte di una modifica anche delle modalità di elezione Pag. 7 del Governo, con lo spostamento verso una Repubblica presidenziale.
  La mia domanda è, quindi, se ritiene che il ragionamento debba essere circoscritto al tema della riduzione dei parlamentari tout court, ovvero ridurre proporzionalmente i rappresentanti di Camera e Senato, o se, invece, come in parte mi è sembrato di capire dal suo intervento, si debba anche prendere atto che «a cascata» ne deriverebbero delle altre modificazioni necessarie ad altri articoli e ad altri ambiti previsti dall'ordinamento costituzionale.

  PRESIDENTE. Do la parola alla professoressa Feroni per la replica.

  GINEVRA CERRINA FERONI, Professoressa di diritto pubblico comparato presso l'Università di Firenze. La prima domanda è in parte legata alla seconda. Il taglio lineare dei deputati e dei senatori in una Camera o nell'altra, a mio modo di vedere, si giustifica esclusivamente perché il nostro è un bicameralismo paritario e tutte le differenziazioni, che erano state oggetto di numerosi interventi o proposte di riforma, non vengono toccate in questo processo. Si va a fare un intervento puntuale su questo tema e, quindi, la possibilità di ridurre il numero dei parlamentari in maniera lineare tra Camera e Senato fa sì che resti intatto il bicameralismo paritario. Se si fosse toccato anche il tema del bicameralismo e delle funzioni di Camera e Senato, è logico che un taglio lineare, a mio modo di vedere, non sarebbe stato coerente.
  Lei giustamente fa l'esempio dei numeri sostanzialmente bassi di camere di rappresentanti in sistemi presidenziali. Io ho citato gli Stati Uniti, ma ci sono anche altri Paesi, come l'India e il Brasile, i quali sono tutti sistemi presidenziali. Questo è vero, però, se noi ci rivolgiamo all'Europa e ai numeri delle camere basse, ad esempio, della Germania e della Francia, che ha pochi meno deputati di noi, sono comunque sistemi a bicameralismo completamente differenziato. Il nostro modello è un unicum, pertanto non vedo particolari problemi nell'incidere esclusivamente su questa componente numerica.
  Arrivo al secondo tema che l'onorevole ha citato. Ci dobbiamo porre il problema: è indubitabile che la riduzione del numero dei parlamentari, specie al Senato, determini un effetto selettivo nell'accesso alla rappresentanza parlamentare. Alcune audizioni hanno messo in evidenza questo aspetto. Ad esempio, al Senato si renderebbe forse un po’ più difficile l'accesso al Parlamento a formazioni più piccole. Dobbiamo mettere sul tavolo la questione.
  Tuttavia, ritorno alla mia impostazione iniziale. Rispetto a una diffusa e capillare rappresentanza, così come era stata pensata al momento di entrata in vigore della Costituzione, che decisamente imponeva o giustificava un alto numero di rappresentanti politici, a me pare davvero che siano cambiate nel nostro Paese le condizioni complessive di questa rappresentanza. Pensiamo soltanto ai mezzi di comunicazione e pensiamo a ciò che è successo in Italia dal 1948 a oggi, anche sotto il profilo della capacità di rappresentare collegi più grandi. Certo, i collegi andrebbero ridefiniti e ho visto, peraltro, che, in maniera del tutto opportuna, il Parlamento ha già avviato una discussione sul tema. Al di là di ciò mi pare che oggi sono molteplici gli strumenti che ci consentono una rappresentanza, non necessariamente fisica sul territorio. I mezzi oggi sono tanti – pensiamo ai social – impensabili nel 1948. E ciò, a mio modo di vedere, può giustificare questa riduzione del numero dei parlamentari, anche se un effetto selettivo sull'accesso alla rappresentanza c'è.
  Faccio anche presente che di questo tema si discute da sempre. Quando io mi sono iscritta all'università si parlava della Commissione Bozzi e della prima grande riforma costituzionale. Se voi riprendete tutti i progetti di riforma che negli anni sono stati pensati, sia con Commissioni bicamerali sia con progetti diversi, ci sono intere biblioteche su questo tema. Non vedrei ragioni così significative per ostacolare un processo di questo tipo.
  Quello che, però, vorrei mettere in evidenza è che non è una riforma a costo zero, cioè non è una riforma che si può fare ritenendo che in fondo non ci siano problemi; Pag. 8 si fa un intervento puntuale, chirurgico, si riduce il numero dei parlamentari e la questione finisce. No, ha un impatto non indifferente.
  Apro e chiudo una parentesi. Ci sono stati alcuni colleghi che avevano in qualche modo immaginato anche di ridurre il numero dei parlamentari attraverso una proiezione sul livello di astensione in Italia. Noi abbiamo un livello di astensione che nelle ultime elezioni è stato il più alto della storia italiana, il 27,1 per cento alle politiche. Ci si è chiesti se l'astensione in qualche modo possa essere valutata in termini politici e come si possa proiettare il popolo del non voto sul tema della rappresentanza politica. Ci sono state delle ricostruzioni originali, dal momento che si è ipotizzato un criterio che farebbe scendere il numero dei rappresentanti in base appunto al popolo del non voto, che, non votando, esprime una posizione politica.
  A ogni modo, lasciando stare ipotesi insolite, noi ci dobbiamo in qualche modo porre il problema. La riduzione del numero dei rappresentanti non mi pare un fatto insormontabile. Ritengo che, invece, bisogna avere molta attenzione su tutto ciò che comporta.
  A questo proposito arrivo all'altra considerazione dell'onorevole su come tale riforma impatti sul lavoro delle Camere. Infatti, ridurre il numero dei parlamentari evidentemente ha degli effetti a cascata sull'organizzazione. In relazione alle Commissioni io non penso a una frantumazione, ma penserei a un loro accorpamento. Riducendo il numero non vedo come sia pensabile di aumentare il numero delle Commissioni, se non con un numero molto esiguo di parlamentari.
  Quello che ritengo – ma questo è un qualcosa che noi ci diciamo da moltissimi anni – è che riducendo i parlamentari è evidente che cambia l'assetto dell'organizzazione amministrativa della Camera. È ovvio che con un minor numero di parlamentari c'è bisogno di un'attività di ausilio molto intenso dell'organizzazione amministrativa, dei funzionari, del personale di Commissione, che aiuta i parlamentari. Del resto, nella riforma Renzi-Boschi il Senato veniva ridotto nei numeri e per le funzioni che gli venivano attribuite si sarebbe dovuto strutturare quasi come un ufficio studi. Questo presuppone probabilmente un'organizzazione molto più efficiente delle Camere. È ovvio che ci sarebbe tutto un lavoro di dossier, di attività, di consiglio e di suggerimento che dovrebbe essere enormemente potenziato.
  Però – ripeto – è una modifica regolamentare non indifferente. Ritengo sia necessario – se posso permettermi un suggerimento ai parlamentari – avere anche la consapevolezza politica che, una volta che si approva questa riforma e si va su questa strada, il ripensamento dei Regolamenti parlamentari va di pari passo. Non si tratta di due riforme distinte, ma strettamente collegate. La riduzione del numero dei parlamentari deve essere accompagnata da un'attenta modifica dei Regolamenti e bisogna che ci siano le condizioni politiche per farlo. Non è stata una cosa semplice modificare i Regolamenti nella passata legislatura.
  Fate questa riforma – che ha anche una sua logica e un suo senso – ma in un'ottica di sistema. Questo progetto va, dunque, ripensato sugli aspetti che immediatamente hanno bisogno di un'integrazione: mi riferisco alla questione dei delegati regionali per l'elezione del Presidente della Repubblica e alle norme di coordinamento. Non si può realizzare un intervento di riforma costituzionale senza pensare al contorno. Ci deve essere la consapevolezza politica e i numeri necessari per ripensare i Regolamenti. Altrimenti resta una riforma che, a mio modo di vedere, può creare seriamente delle incongruenze e avere effetti negativi sull'efficienza della macchina complessiva. Questo è ciò che mi sentivo in qualche modo di rappresentarvi.

  PRESIDENTE. Avverto che la professoressa Cerrina Feroni ha messo a disposizione della Commissione una memoria, di cui autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 1).
  Ringrazio la professoressa Cerrina Feroni e dichiaro conclusa l'audizione.

Pag. 9

Audizione del Professor Salvatore Bonfiglio, professore di diritto costituzionale italiano e comparato presso l'Università «Roma Tre».

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame delle proposte di legge costituzionale C. 1585 cost. approvata dal Senato, e C. 1172 cost. D'Uva, recanti «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», e della proposta di legge C. 1616, approvata dal Senato, recante «Disposizioni per assicurare l'applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari», l'audizione del professor Salvatore Bonfiglio, professore di diritto costituzionale italiano e comparato presso l'Università Roma Tre.
  Ringrazio il professor Bonfiglio per aver accolto il nostro invito e gli chiedo di contenere il suo intervento in circa dieci minuti.
  Do la parola al professor Bonfiglio per lo svolgimento della sua relazione.

  SALVATORE BONFIGLIO, Professore di diritto costituzionale italiano e comparato presso l'Università «Roma Tre». Grazie, presidente, e grazie a tutti per questo invito. Il mio sarà un intervento breve e mi soffermerò sostanzialmente sulla riduzione del numero dei parlamentari.
  La riduzione del numero dei parlamentari, a mio avviso, può essere in qualche modo giustificata soltanto se è destinata a produrre una maggiore capacità decisionale e anche in qualche misura ad aumentare il prestigio del Parlamento. Ovviamente questo è auspicabile soltanto nella misura in cui non vengano compromesse né l'efficienza né la rappresentatività. Si tratta di due aspetti a mio avviso distinti, che non possono essere separati in uno Stato democratico di diritto. Occorre tenere sempre insieme efficienza e rappresentatività.
  In questo caso, noi ci troviamo sicuramente di fronte a una riduzione drastica del numero dei parlamentari, cioè a una riduzione del 36,5 per cento alla Camera e anche al Senato. È opportuno chiedersi se in questo caso, proponendo questa riduzione drastica, si riesca a conciliare efficienza e rappresentatività delle istituzioni rappresentative. Non è una cacofonia, ma è un modo per rendere molto esplicito qual è la questione: le istituzioni parlamentari devono essere rappresentative. D'altra parte, questo principio della rappresentatività, questo principio della rappresentanza politica, è nel nostro ordinamento costituzionale un principio fondamentale, che è stato più volte ribadito anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale; quindi quando parliamo di questo dobbiamo tenere presenti anche gli orientamenti della giurisprudenza costituzionale.
  Il problema può essere affrontato sotto due aspetti, da un lato attraverso un'analisi che potremmo definire «storico-comparativa», cioè un'analisi diacronica, facendo anche riferimento all'esperienza costituzionale del nostro ordinamento e, dall'altro, attraverso una comparazione di carattere sincronico, facendo riferimento alle esperienze di altri ordinamenti costituzionali e in particolare all'esperienza degli Stati membri dell'Unione europea.
  Da questa comparazione diacronica e sincronica, che io vi sintetizzo ovviamente, emerge una sorta di distonia dal punto di vista istituzionale. Sotto il primo profilo, se noi andiamo a vedere le elezioni del 1948, per la Camera dei deputati gli elettori erano allora 29 milioni, mentre oggi per la stessa Camera dei deputati sono oltre 50 milioni, se si considerano anche i 4 milioni di elettori nella circoscrizione estero. Gli elettori per il Senato erano 22 milioni, meno della metà dei quasi 47 milioni di oggi.
  Questo dato è ovviamente un dato meramente numerico, ma evidenzia la minore rappresentatività già oggi del Parlamento rispetto al 1948. Allora per la Camera il rapporto era di circa 50.000 elettori per eletto. In effetti, ci fu un dibattito in Assemblea costituente, a cui adesso faccio un breve riferimento. Si pensava già allora che il rapporto ideale si aggirasse attorno agli 80.000, però comunque siamo molto al di sotto dei 150.000. Se oggi consideriamo il rapporto alla luce della riforma, vediamo Pag. 10che ovviamente questo rapporto viene del tutto cambiato.
  Passando a una considerazione che emerge da una riflessione, invece, di tipo sincronico, con questa drastica riduzione che si propone, rispetto agli altri Stati membri dell'Unione europea con popolazione analoga, ovviamente l'Italia diverrebbe il Paese che ha un rapporto maggiore tra numero di elettori e parlamentari: 150.000 per la Camera e addirittura 300.000 per il Senato. Questo ovviamente conferma un'ulteriore riduzione della rappresentatività del Parlamento.
  Se si ipotizzasse un Senato di tipo federale, questa riduzione potrebbe avere un senso, o quantomeno non ci sarebbe nulla di strano. Basti pensare – tutti lo sanno – che negli Stati Uniti abbiamo un Senato di cento rappresentanti, ma quello ovviamente è un regime presidenziale. Se guardiamo a una forma di governo parlamentare in uno Stato federale, nel Bundesrat sono presenti soltanto 69 membri. Questo si giustifica perché siamo nell'ambito di un sistema federale, quindi il principio federale giustifica anche una seconda Camera con un numero di parlamentari molto basso. Stiamo parlando di 69.
  Se, invece, noi facciamo un confronto con altri ordinamenti, per esempio il Senato francese, ci troviamo ovviamente di fronte a una situazione in cui il Senato rappresenta le autonomie territoriali, metropolitane e d'oltremare, oltre che i cittadini francesi all'estero. Tuttavia, lo Stato francese è uno Stato unitario parzialmente decentralizzato, non è uno Stato federale per intenderci, quindi non si può fare un paragone né con gli Stati Uniti né d'altra parte con la Germania. Non è un caso, infatti, che ci troviamo di fronte a un Senato composto da 348 senatori, eletti peraltro a suffragio indiretto, quindi comunque siamo su una cifra che è maggiore anche rispetto a quella attuale di 315 senatori.
  Visto che il nostro Senato non è una Camera federale e non è neanche eletto a suffragio indiretto, non si capisce in base a quale logica di sistema – perché qui dobbiamo parlare oggi di sistemi – si propone una riduzione così drastica da 315 a 200 senatori.
  Voglio dire che, se noi facciamo un ragionamento di sistema, dobbiamo partire dal presupposto che la rideterminazione dei parlamentari di per sé non ha nulla a che fare con una riforma del Parlamento, delle istituzioni parlamentari, del bicameralismo.
  Se l'obiettivo – forse qualche volta eccessivamente enfatizzato – è quello di produrre maggiori risparmi, perché non proporre a questo punto l'abolizione della seconda Camera? A questo punto risparmiamo di più, se aboliamo la seconda Camera. Perché riproporre un bicameralismo indifferenziato, che è un'eccezione nei sistemi parlamentari?
  Nel sistema statunitense (quello però è un sistema presidenziale) abbiamo un bicameralismo perfetto, paritario, con un Senato molto forte, ma nei sistemi parlamentari solitamente abbiamo un bicameralismo imperfetto.
  Il Senato in questo modo non soltanto non rappresenta le regioni in Italia – anche se la Costituzione dice che il Senato è eletto su base regionale, ma di fatto sappiamo che non è così, perché sostanzialmente è una circoscrizione elettorale tout-court – ma soprattutto il Senato non rappresenta neanche i cittadini al di sotto dei 25 anni, che non concorrono per eleggere il Senato della Repubblica.
  Qui mi sarei aspettato una piccola riforma, però precisa, puntuale, sulla quale mettere d'accordo tutti, perché francamente non si capisce il motivo per il quale Senato e una Camera dei deputati abbiano un diverso elettorato attivo e passivo. Su questo dirò qualcosa alla fine, perché questo può influire anche negativamente sul problema – così non risolto – della stabilità governativa.
  Se l'obiettivo invece non è quello di risparmio, ma quello della efficienza e della rappresentatività del Parlamento, occorre a questo punto differenziare le due Camere per quanto riguarda sia la loro composizione, sia soprattutto le funzioni e le competenze. Pag. 11
  Questo ovviamente finirebbe per costringere ad una revisione dei Regolamenti parlamentari; anzi già questa proposta finirebbe per costringere ad una riforma dei Regolamenti parlamentari, perché dobbiamo immaginare di rivedere tutta la questione della formazione dei Gruppi parlamentari e ci dovremmo chiedere se le Commissioni parlamentari permanenti possano rimanere così come adesso e come sia è possibile, riducendo il numero dei parlamentari, garantire l'efficienza dei lavori parlamentari, avendo pochi parlamentari in ogni Commissione.
  Questo quindi pone dei problemi sia in termini di efficienza, sia in termini di rappresentatività, mentre il numero dei parlamentari avrebbe un significato diverso nell'ambito di una ipotesi di adozione di bicameralismo differenziato.
  Arrivo ad alcune altre considerazioni conclusive. La riduzione del numero dei parlamentari favorisce una maggiore stabilità governativa? Questa è un'altra domanda, a cui si può rispondere affermando da un lato che tale riduzione può certo favorire una riduzione del numero dei partiti (questo credo che sia quasi inevitabile), ma la riduzione del numero dei partiti di per sé può servire a creare maggioranze coese e stabili? Sostanzialmente non credo, perché la nascita di maggioranze stabili e coese dipende soprattutto dalla possibilità di dar vita a coalizioni pre-elettorali, quindi dipende soprattutto dalla legislazione elettorale e quindi non strettamente dalla riduzione del numero dei parlamentari.
  Del resto, rimanendo diverso l'elettorato attivo e passivo per l'elezione dei membri dei due rami del Parlamento, l'esperienza costituzionale ci conferma che è possibile (è avvenuto) che vi siano maggioranze diverse in una Camera e nell'altra. Voi capite che con maggioranze diverse in una Camera e nell'altra, in presenza di un bicameralismo indifferenziato, il problema della stabilità governativa non si risolverà mai, perché avremo comunque spesso due maggioranze diverse. Questo quindi non aiuta assolutamente la stabilità di Governo, perché con il bicameralismo indifferenziato nel nostro ordinamento le Camere devono votare entrambe la fiducia al Governo.
  Ultima considerazione, ovviamente questa più specifica, che va al di là di queste considerazioni più generali, per quanto riguarda i senatori a vita. Qui la riforma in effetti è corretta, nella misura in cui finalmente si scioglie un nodo interpretativo, che è stato discusso a partire dalla Presidenza di Pertini, che i senatori devono essere cinque, non cinque nominati da ogni presidente, ma cinque nel complesso, un numero chiuso di cinque senatori.
  Queste sono brevissime considerazioni. Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Avverto che il professor Bonfiglio ha messo a disposizione della Commissione una memoria, di cui autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 2).
  Nessuno chiedendo di intervenire, ringrazio il professor Bonfiglio e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del Professor Salvatore Curreri, professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi «Kore» di Enna.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame delle proposte di legge costituzionale C. 1585 cost. approvata dal Senato, e C. 1172 cost. D'Uva, recanti «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», e della proposta di legge C. 1616, approvata dal Senato, recante «Disposizioni per assicurare l'applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari», l'audizione del professor Salvatore Curreri, professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi «Kore» di Enna.
  Nel cedere la parola al Professor Curreri, lo invito a contenere il suo intervento in circa dieci minuti, in modo da consentire ai commissari di porre eventuali domande.

  SALVATORE CURRERI, Professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università Pag. 12 degli Studi «Kore» di Enna. Grazie, presidente. Grazie dell'invito e dell'onore di essere in questa sede. Proprio per stare nei dieci minuti, le mie affermazioni saranno tranchant. Credo di corrispondere al mio incarico se scendo nello specifico del tema, ovviamente poi rimanendo disponibile per eventuali delucidazioni e approfondimenti.
  Parto subito dichiarando che questa riforma non mi convince, perché la reputo eccessiva per quanto riguarda la riduzione del numero. Questa riduzione, che se prendiamo a paragone gli altri tentativi di riforma sul tema, si colloca in un range basso, secondo me provoca degli effetti a diverso livello: a livello di rappresentanza politica, a livello elettorale, a livello politico, a livello parlamentare e a livello ordinamentale. Farò delle affermazioni su ciascuno di questi punti.
  A livello di rappresentanza politica mi pare abbastanza ovvio che la riduzione del numero dei parlamentari di contro aumenta il numero degli abitanti che deve corrispondere per un singolo eletto (questo mi sembra aritmetico), per cui meno eletti, più abitanti.
  Questo provoca ovviamente degli effetti sulla rappresentanza politica. Dico subito che io sono convinto che la rappresentanza politica abbia anche una dimensione territoriale, e d'altra parte, se così non fosse, non si capirebbe perché esistano le circoscrizioni e i collegi, altrimenti ci sarebbe un collegio unico nazionale e il problema della dimensione territoriale della rappresentanza verrebbe scavalcato.
  Se così è, se il parlamentare rappresenta gli elettori che hanno votato attraverso lui il partito e il programma per cui si è candidato, abbiamo due effetti divaricanti. Sotto il profilo territoriale abbiamo certamente un indebolimento della rappresentanza, perché il rapporto si diluisce, essendo più numerosi gli abitanti (qui mi richiamo all'ottimo dossier curato dagli uffici della Camera dei deputati e del Senato), è evidente che sotto questo profilo il parlamentare si allontana, poiché rappresenta più abitanti della sua circoscrizione e questo, non so se per una sorta di eterogenesi dei fini, rafforza il divieto dei vincoli di mandato, non lo indebolisce.
  Di contro, se noi affrontiamo il problema sotto il profilo della rappresentanza partitica, a me pare invece evidente che il fatto che i parlamentari siano di meno rende la disciplina di gruppo e di partito certamente più forte, cioè assoggetta maggiormente il parlamentare al vincolo di gruppo, perché il suo ruolo, il suo peso politico (numerico-politico se volete) certamente si rafforza; quindi sotto questo profilo questa riforma rafforza il vincolo di mandato.
  A livello elettorale mi pare altrettanto evidente, sotto il profilo numerico, che la riduzione del numero dei parlamentari abbia un effetto sul funzionamento della formula elettorale. Non devo ovviamente ricordare a voi che sono due le variabili su cui si gioca l'effettiva resa di un sistema proporzionale: la dimensione del collegio e il numero degli eletti.
  Evidentemente il numero ridotto degli eletti impatta sul funzionamento del sistema, innanzitutto perché questo porta di per sé uno sbarramento implicito. Il fatto che le circoscrizioni plurinominali eleggeranno un numero di parlamentari inferiore porta di per sé ad aumentare il costo in termini di voti del seggio; quindi questo porta ad uno sbarramento interno alle circoscrizioni che certamente sarà più del 3 per cento, oggi espressamente previsto. Questo rende il sistema di fatto meno proporzionale e più maggioritario.
  Questo vale soprattutto per il Senato, perché il Senato, dovendo eleggere un numero minore di senatori, vede particolarmente penalizzate alcune circoscrizioni, ma anche qui rimando alla mia memoria (già inviata alla segreteria della Commissione) e anche alle tabelle pubblicate nel dossier predisposto dagli uffici della Camera e del Senato. Effetti quindi sulla rappresentanza politica, sul sistema elettorale, sul sistema parlamentare. Credo che i miei colleghi poco fa abbiano affrontato questo punto, però vorrei spendere qualche parola in più. Apparentemente anche qui la riduzione dei parlamentari sembrerebbe un problema eminentemente tecnico-numerico, che non Pag. 13andrebbe tutto sommato a impattare in modo rilevante sui regolamenti, perché si tratterebbe di fare modifiche soltanto a livello proporzionale, con un taglio grossomodo corrispondente al numero di deputati.
  Mi permetto però di smentire questa opinione perché, a parte il fatto che una riduzione in termini proporzionali dei quorum previsti dai regolamenti certamente va introdotta, ci sono anche dei problemi di carattere qualitativo; certamente si dovrebbe ridurre il numero, per esempio, dei componenti necessari per costituire un gruppo parlamentare; vi ricordo che qui alla Camera c'è un quorum anche per quanto riguarda la costituzione delle componenti politiche del Gruppo misto e, al suo interno, delle componenti politiche autorizzate del Gruppo misto, che attualmente è tre: quindi che facciamo? Lo riduciamo a due o a uno? Introduciamo i gruppi monocellulari? Lascio a voi una riflessione sul punto.
  Problema delle Commissioni. Una delle finalità che guidano questa riforma è l'idea per cui, se si è in pochi, si lavora meglio. A me pare un'idea che quantomeno meriterebbe di essere più approfondita, non essere data per apodittica. Anche qui vi faccio un esempio, il problema delle Commissioni a cui si è poc'anzi riferito.
  A parte che si è giustificata questa riforma con il fatto che il Parlamento certamente ha visto spogliata buona parte delle sue potestà legislative verso l'alto, cioè verso l'Unione europea, e verso il basso, verso le regioni, però è pur vero che il Parlamento, oltre che funzioni legislative, esercita anche funzioni di carattere ispettivo, di controllo, di informazione, e in tutto questo il fatto che i singoli gruppi, soprattutto minoritari, possano contare su un numero minimo, ridotto di parlamentari, impatta sull'esercizio di queste funzioni.
  Se le Commissioni rimangono uguali, noi avremo un effetto divaricante tra Camera e Senato, perché alla Camera vige, come sapete, la regola per cui un parlamentare non può far parte di più di una Commissione, e questo secondo me inevitabilmente inciderà su alcuni gruppi di minoranza – penso a LeU, che mi pare abbia quattordici deputati, quindi un numero pari al numero delle Commissioni – che, avendo un numero inferiore, non potrà essere rappresentato in tutte le Commissioni. Questo ovviamente a cascata pone un problema sull'esercizio dell'attività parlamentare in alcune sedi, la sede legislativa, la sede redigente, la sede ispettiva, perché il fatto che si privilegi la rappresentatività anziché la proporzionalità pone un problema sulla qualità del lavoro della Commissione.
  All'opposto, al Senato, dove il numero di Commissioni è uguale, però il numero dei componenti è dimezzato, avremmo esattamente l'effetto contrario, perché al Senato invece un senatore può far parte di più Commissioni, fino a un massimo di tre, e questo significherebbe che soprattutto le minoranze, che saranno più penalizzate in questa riduzione in scala dei numeri parlamentari, dovranno essere rappresentate con un unico componente in più Commissioni.
  Questo pone un problema anche di organizzazione dei lavori, perché se saranno tre, quattro o cinque quei senatori e quattordici le Commissioni, quel povero senatore si dovrà dividere al massimo in tre Commissioni e forse non riuscirà a coprirle tutte. Capite quindi che, sotto questo profilo, mentre alla Camera si privilegia la rappresentatività, qui invece si dovrebbe tendere a privilegiare la proporzionalità della riforma.
  Concludo rispettando i tempi. A livello ordinamentale, non credo che la riduzione del numero dei parlamentari abbia significative conseguenze per quanto riguarda l'elezione del Presidente della Repubblica, perché sotto il profilo aritmetico incideranno sicuramente di più i 58 delegati regionali, ma tutti noi sappiamo che i delegati regionali si aggregano e si organizzano sulla base di rappresentanza partitica; quindi sotto questo profilo l'intento del costituente di dare rappresentanza alle regioni sappiamo che è fallito, alla fine sono persone che rispondono politicamente al gruppo parlamentare di appartenenza. Pag. 14
  È invece molto più importante, secondo me, l'effetto di questa riforma sui senatori a vita, perché è vero che la riforma praticamente formalizza la prassi affermatasi, dopo la parentesi di Pertini e Cossiga, per cui i senatori a vita non possono essere più di cinque, ma è evidente che un conto è dire che i senatori a vita sono cinque su 315, un conto è essere cinque su 200. Mi permetto sommessamente di ricordare alla vostra attenzione qual è il peso che i senatori a vita hanno avuto in certe legislature ai fini del mantenimento della maggioranza di Governo.
  Questo peso, anche se fissiamo il numero cinque, comunque aumenta, quindi io non mi stupirei se questa riforma andasse ad accrescere il peso politico dei senatori a vita ai fini della formazione e del mantenimento delle maggioranze. Forse è il caso di riprendere la riforma del 2016 almeno su questo punto, riforma che invece prevedeva che i parlamentari di nomina presidenziale dovessero essere non al Senato, ma alla Camera. Questo ovviamente impatterebbe di meno sotto il profilo numerico.
  Ultima considerazione, se mi è permesso ipotizzare anche delle soluzioni. Ho cercato, nei limiti delle mie capacità, di evidenziare come questa riduzione, meno 36,5 per cento dei componenti delle Camere, abbia le conseguenze che ho illustrato. Forse sarebbe il caso di prevedere o una minore riduzione (anziché 400/200, per esempio 500/250) oppure, ancora, di lasciare in Costituzione un range aperto, oppure di tornare alla soluzione del 1948, che era quella di prevedere un rapporto fisso tra eletti e abitanti.
  Tale soluzione potrebbe essere utilmente sfruttata a livello elettorale perché la variabilità dei seggi, la possibilità cioè che per legge elettorale si possa stabilire il numero dei seggi, consentirebbe, per esempio, di articolare meglio il premio di maggioranza attraverso seggi aggiuntivi, così come avviene o dovrebbe avvenire in ipotesi in Germania, al netto della giurisprudenza del tribunale costituzionale tedesco sul carattere proporzionale e non maggioritario di questi seggi.
  Parlamentari eletti all'estero. Qui è come sparare sulla Croce Rossa, cioè è evidente che la loro riduzione di numero ulteriormente aumenta la loro scarsa rappresentatività, e d'altra parte credo non ci sia una rappresentanza vera e propria. Sarebbe forse l'occasione per ripensare a questa riforma, che ha portato, secondo me, più problemi che benefici, quindi, anziché tagliare il numero dei parlamentari all'estero, forse sarebbe il caso proprio di eliminarli.
  Ultima cosa e chiudo. Proprio perché mi sono concentrato sugli aspetti specifici, non ho voluto toccare il tema, molto più ampio e strettamente collegato, del ruolo della seconda Camera, una volta che si tocca questo aspetto. Non l'ho voluto toccare perché capisco che è un problema molto più ampio e molto più complesso, però, in quest'ottica di intervento chirurgico parziale, rivedere anche i requisiti di elettorato attivo e passivo, quantomeno elettorato attivo, uniformandolo alla Camera, significherebbe superare una differenziazione di cui sinceramente oggi stento a vedere il senso.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANDREA CECCONI. Non mi soffermo sulla questione delle minoranze; condivido le perplessità, perché, ad esempio, faccio parte di un piccolo gruppo, sono membro di un'altra Commissione, che attualmente è convocata e sta facendo audizioni su un provvedimento non meno importante, però chiaramente una persona è una; non è una questione di quantità del lavoro, perché al limite uno lavora di più, ma di qualità certamente sì, ed è su questo che mi vorrei soffermare.
  Noi facciamo questa riforma per rendere più snella, più veloce, più ordinata l'attività parlamentare, cercando contemporaneamente di darle anche lustro, cioè un'autorevolezza che negli anni si è persa. Di conseguenza, il lavoro deve essere non soltanto svolto velocemente, ma deve essere anche un lavoro di qualità per dare risposta alle esigenze dei cittadini. Pag. 15
  Non è soltanto il numero che può fare la qualità, ma è anche la qualità dei membri che fanno questo numero, nel senso che noi ci convinciamo che, se sono di meno, i rappresentanti saranno i migliori; si può dare all'Altare della Patria la rappresentatività purché ci sia una qualità di rappresentanti.
  Lei ha parlato del sistema elettorale, cioè di come impatti il numero sulla scelta, e ha parlato ovviamente del sistema proporzionale, che, dal punto di vista della rappresentanza, inciderà parecchio, ci sarà una soglia di sbarramento implicita pari a circa il 5 per cento, soprattutto nelle circoscrizioni piccole, perché nelle grandi invece la soglia si abbassa; quindi nelle grandi città ci potrà essere la rappresentanza anche dei piccoli partiti, mentre nelle circoscrizioni con pochi abitanti questo non avverrà.
  Secondo lei, è possibile solo il sistema proporzionale con una riduzione del numero? Perché altrimenti si potrebbe fare un sistema maggioritario, dove la rappresentanza è comunque schiacciata, perché è una questione di proporzioni e numeri; però, come lei dice, anche io ritengo che il parlamentare abbia un radicamento nel territorio o comunque dovrebbe cominciare ad averlo.
  È vero che siamo abituati, ormai da un po’ di anni, al fatto che i cittadini votano il simbolo e il leader piuttosto che il singolo parlamentare – anche con l'ultima riforma elettorale, il Rosatellum, si aveva la fiducia che la componente uninominale avesse un peso nel trascinamento dei voti, cosa che invece non è avvenuta (non c'è stato alcun tipo di trascinamento da parte del collegio uninominale) – però forse tornare indietro da questo punto di vista e far avere un peso all'uninominale, avendo solo l'uninominale, potrebbe essere la scelta giusta. Questo magari non al primo turno elettorale, perché i cittadini hanno bisogno di un certo margine per abituarsi, però per il cittadino sapere che si sceglie una persona, la quale ovviamente supporta un programma, un simbolo, un'idea politica, proprio quella persona e non una persona tra le tante all'interno di una lista, tra cui tra l'altro non posso neanche scegliere, potrebbe fare una differenza nel collegamento eletto/elettore e quindi di conseguenza anche nella qualità della persona eletta all'interno del collegio.
  Secondo lei è una possibilità oppure il maggioritario comprime ulteriormente la rappresentatività e, di conseguenza, il proporzionale potrebbe essere più adeguato?

  ANNA MACINA. Innanzitutto la ringrazio, anche perché ci ha offerto una visione diversa, sulla quale noi non concordiamo, però volevo alcuni chiarimenti in relazione a talune affermazioni che lei ha reso.
  Mi permetta di dirle che la frase «se si è in pochi, si lavora meglio» mi sembra un modo piuttosto semplicistico di valutare questa visione che noi vogliamo dare ad un intervento che è sicuramente chirurgico e minimale, ma che a nostro modo di vedere ha degli effetti sicuramente positivi.
  Lei in un passaggio del suo intervento afferma che il parlamentare rappresenta gli elettori, ma per il tramite del parlamentare rappresenta il partito, il che vuol dire che gli elettori non votano per avere una rappresentanza territoriale, perché se nel momento in cui diamo per assodato che quel parlamentare rappresenta il programma di quel partito politico, che è un programma di carattere nazionale – e non dimentichiamo che in realtà il parlamentare è chiamato a rappresentare non una comunità territoriale, ma l'intera nazione, ed è stato votato per portare avanti un programma che ha a che vedere con l'intera nazione e la visione politica dell'intero Paese – non comprendo come ci possa essere questo scollamento, quindi vorrei un chiarimento su questo.
  Nella sua esposizione, che peraltro ho apprezzato anche per una visione diversa certamente dalla mia, ma meritevole di assoluto rispetto, non ho notato alcun accenno ad un effetto positivo che questa riforma costituzionale potrebbe avere. Mi permetta però di evidenziare che le criticità sollevate hanno ad oggetto l'articolazione dei lavori all'interno delle Commissioni parlamentari, che però è un argomento che può essere «facilmente» (basta averne la volontà) ricalibrato sulla base di Pag. 16alcune modifiche da apportare ai Regolamenti di Camera e Senato, che nulla hanno a che vedere con la riforma costituzionale in questo momento oggetto di discussione. Starà poi ai parlamentari che verranno, che si troveranno ad avere un numero inferiore, decidere, mediante le modifiche regolamentari, come meglio articolare i lavori.
  Peraltro, come ricordava il collega Cecconi, certamente è complicatissimo essere presenti in più Commissioni, però non c'è un divieto, cioè non si può affermare che alla Camera non sia possibile che un parlamentare segua i lavori di più Commissioni; è membro effettivo in una Commissione, ma può essere sostituto in tutte le altre; non esiste un divieto che impedisce ad un parlamentare di presenziare ai lavori anche delle altre Commissioni.
  Dato per assodato che non ho colto nessun riferimento al fatto che la riduzione del numero possa condurre ad uno svolgimento più snello, più veloce, più pratico, più agevole dei lavori parlamentari, oltre a tutte le ripercussioni in tema di finanza pubblica e di risparmio di spesa, non capisco allora perché, non avendo notato nessun elemento positivo, nelle sue proposte proponga una riduzione minimale del numero dei parlamentari di 500 o 250, annullando di fatto l'effetto che non va visto soltanto in una direzione. Se non c'è alcun vantaggio, non capisco perché proponga una riduzione a 500 o 250.

  PRESIDENTE. Do la parola al nostro ospite per la replica.

  SALVATORE CURRERI, Professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi «Kore» di Enna. Io non sono contrario alla riduzione del numero dei parlamentari, io sono contrario a questa riduzione del numero dei parlamentari, perché una riduzione così sensibile (parliamo del 36,5 per cento) secondo me provoca dei problemi; quindi, sotto questo profilo, il fatto che io abbia proposto una riduzione inferiore significa proprio che ritengo che i problemi non siano sulla riduzione in sé, ma sul quantum della riduzione,
  È vero quello che lei dice, che i parlamentari possono presenziare in più Commissioni, ma, a parte che non hanno il dono della bilocazione, possono ruotare, però lei capisce che il problema è anche il voto in Commissione; siccome si può far parte, a livello di voto, soltanto di una Commissione alla Camera, è evidente che un partito che un domani avrà un numero di deputati inferiore al numero delle Commissioni si troverà in fortissima difficoltà.
  Lei giustamente sottolinea che si potrà tranquillamente rivedere il numero delle Commissioni, si potrà tranquillamente rivedere la regola che pone questo divieto, uniformandola a quanto è previsto al Senato – perché al Senato hanno questo problema, avendo un numero eguale di Commissioni, 14, ma un numero di senatori dimezzato – ma mi pare doveroso da parte mia farvi presente che c'è questo problema e che è una conseguenza di questa riforma che va comunque valutata.
  Il problema del rapporto tra rappresentanza territoriale e rappresentanza politica. Su questo voglio essere chiaro, perché è vero che il parlamentare rappresenta la nazione, cosa che secondo me va interpretata, se vogliamo scrostare questa formula dalla patina ottocentesca che la circonda e se mi consente è anche abbastanza retorica; il parlamentare rappresenta gli interessi politici nel senso etimologico del termine, quindi gli interessi del Paese sulla base di una visione di parte che è quella del suo partito; quindi le varie posizioni dei partiti si differenziano sulla base di una diversa visione dell'interesse generale.
  Questo tipo di visione, che è così proiettata verso il bene comune, non è assolutamente alternativa rispetto alla rappresentanza del territorio. Credo che un parlamentare faccia bene il suo compito se raccoglie le istanze del territorio e le proietta a livello nazionale, confrontandole poi con l'interesse del partito e con la visione generale. Questa dimensione del radicamento territoriale del parlamentare, che tra l'altro – mi consenta – si esprime benissimo negli atti di sindacato ispettivo, nelle interrogazioni e interpellanze in cui ciascun parlamentare fa gli interessi del Pag. 17suo territorio, non deve essere vista in alternativa o in contrapposizione; quindi il fatto che un parlamentare veda allargata la sua base elettorale di rappresentanza certamente pone un problema per quanto riguarda la sua capacità di cogliere gli interessi di un territorio più vasto.
  Sotto questo profilo io non vedo nessuna contraddizione, anzi vedo una complementarietà, e anzi la peculiarità del ruolo del parlamentare sta proprio in questa capacità di proiettare gli interessi del territorio in una dimensione politica nazionale.

  ANNA MACINA. Non viene votato sulla base delle istanze territoriali, ma votano un programma.

  SALVATORE CURRERI, Professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi «Kore» di Enna. Non voglio scendere in questioni particolari, ma non mi pare che quando si fa campagna elettorale si parli soltanto degli interessi nazionali; credo che un parlamentare parli anche delle esigenze del suo territorio, e comunque, anche se è così non è (e mi sento di dissentire), quando si svolge l'attività parlamentare il collegamento con il territorio si fa sentire assolutamente.
  Non vorrei dare l'impressione che la rappresentanza politica sia una rappresentanza astratta, eterea, sulla base degli interessi nazionali e abbia poco a che fare con le miserie, le esigenze e le necessità del territorio; ma forse non ci siamo capiti, quindi credo che il mio discorso ora sia molto più chiaro.
  Il problema del sistema elettorale. Come in Spagna, se adotti un sistema proporzionale ma poi lo tari su una circoscrizione come quella provinciale, il sistema funziona come un maggioritario, perché meno sono gli eletti, meno il sistema elettorale proporzionale ha la capacità di dispiegare i suoi effetti. Lo stesso discorso avviene con la riduzione del numero dei parlamentari, avrebbe lo stesso effetto.
  È evidente che, sotto il profilo che veniva sollevato, il maggioritario risponderebbe meglio a queste esigenze di collegamento, però sappiamo perfettamente che il maggioritario ha un effetto selettivo ancora maggiore, perché se parliamo di un maggioritario uninominale, è un maggioritario che bipolarizzerebbe un sistema politico che attualmente si trova con un assetto tripolare.
  Fatte salve le considerazioni, che a me non spettano, sulla praticabilità politica di una simile riforma, è evidente che un simile sistema impatterebbe, secondo me, ancora più fortemente sulla rappresentanza politica, sulla pluralità, sulla rappresentatività delle forze politiche. Tra l'altro, la proposta di legge collegata aumenta proporzionalmente il peso dei seggi uninominali, perché da tre noni passiamo a tre ottavi, quindi un effetto anche qui maggioritario lo avremmo.
  Forse si potrebbe mantenere il sistema così com'è, aumentando il numero dei parlamentari e consentendo quindi al sistema proporzionale di dispiegare in maniera più efficace e forse meno penalizzante gli effetti.

  PRESIDENTE. Avverto che il professor Curreri ha messo a disposizione della Commissione una memoria, di cui autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 3).
  Ringrazio il professor Curreri e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.20.

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ALLEGATO 1

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ALLEGATO 2

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ALLEGATO 3

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