XVIII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Mercoledì 20 marzo 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE COSTITUZIONALE C. 1585 COST. APPROVATA DAL SENATO, E C. 1172 COST. D'UVA, RECANTI «MODIFICHE AGLI ARTICOLI 56, 57 E 59 DELLA COSTITUZIONE IN MATERIA DI RIDUZIONE DEL NUMERO DEI PARLAMENTARI» E DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 1616, APPROVATA DAL SENATO, RECANTE «DISPOSIZIONI PER ASSICURARE L'APPLICABILITÀ DELLE LEGGI ELETTORALI INDIPENDENTEMENTE DAL NUMERO DEI PARLAMENTARI»

Audizione del professor Ciro Sbailò, Professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma.
Brescia Giuseppe , Presidente ... 3 
Sbailò Ciro , Professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli studi internazionali di Roma ... 3 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 6 
Ceccanti Stefano (PD)  ... 6 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 6 
Sbailò Ciro , Professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli studi internazionali di Roma ... 6 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 6 
Cecconi Andrea (Misto-MAIE)  ... 6 
Sbailò Ciro , Professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli studi internazionali di Roma ... 7 
Cecconi Andrea (Misto-MAIE)  ... 7 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 7 
Sbailò Ciro , Professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli studi internazionali di Roma ... 7 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 7 

Audizione del professor Giampietro Ferri, Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Verona:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 7 
Ferri Giampietro , Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Verona ... 8 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 10 
Ferri Giampietro , Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Verona ... 10 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 11 
Macina Anna (M5S)  ... 11 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 12 
Ferri Giampietro , Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Verona ... 12 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 13 

Audizione del professor Silvio Troilo, Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Bergamo:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 13 
Troilo Silvio , Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Bergamo ... 13 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 16 
Giorgis Andrea (PD)  ... 16 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 17 
Troilo Silvio , Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Bergamo ... 17 
Iezzi Igor Giancarlo (LEGA)  ... 18 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 18 
Troilo Silvio , Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Bergamo ... 18 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 19 

Allegato 1: Memoria presentata dal professor Ciro Sbailò ... 20 

Allegato 2: Memoria presentata dal professor Silvio Troilo ... 32

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE BRESCIA

  La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del professor Ciro Sbailò, Professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame delle proposte di legge costituzionale C. 1585 cost. approvata dal Senato, e C. 1172 cost. D'Uva, recanti «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari» e della proposta di legge C. 1616, approvata dal Senato, recante «Disposizioni per assicurare l'applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari», l'audizione del professor Ciro Sbailò, professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli studi internazionali di Roma.
  Ringrazio il professor Sbailò per aver accolto l'invito della Commissione e gli chiedo cortesemente di contenere l'intervento in circa dieci minuti, in modo tale da dare poi spazio al dibattito. Ovviamente, non saremo così tassativi nel contingentamento dei tempi. Il professore mi ha già detto che ha preparato delle memorie, che poi ci invierà; quindi saranno a vostra disposizione.
  Do la parola al professor Sbailò per lo svolgimento della sua relazione.

  CIRO SBAILÒ, Professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli studi internazionali di Roma. Ringrazio il presidente e gli onorevoli deputati della Commissione per l'invito. Peraltro, mi tocca l'onere e l'onore di inaugurare, se ho capito bene, il ciclo degli incontri. Ciò mi emoziona alquanto, però al tempo stesso mi stimola – mi sono reso conto questa mattina che ero il primo in assoluto, non rispetto alla giornata – a mettere in evidenza alcuni aspetti, che mi sembrano «sistemici» e importanti, inerenti alla filosofia che anima questa proposta.
  Comincerò richiamando le finalità della proposta. Leggo dagli atti che il significato della presentazione di questa proposta di legge di revisione costituzionale è quello di riportare al centro del dibattito parlamentare il tema della riduzione del numero dei parlamentari. Questa importante riforma punta appunto alla razionalizzazione della spesa pubblica, ma soprattutto alla semplificazione – mi pare di capire – dell’iter parlamentare di approvazione delle leggi, quindi alla razionalizzazione del sistema. Questo mi sembra lo scopo fondamentale.
  Lo stesso concetto è espresso nel contratto per il Governo del cambiamento, al paragrafo 20, dove c'è appunto il significativo link alla questione del vincolo di mandato.
  A questo punto ci sarebbe da vedere in quale misura la presente proposta di legge, se realizzata, possa aiutare a conseguire questi fini o comunque come si colloca in un'ottica sistemica di riforma.
  Innanzitutto, ci sarebbe da chiedersi perché ci sono tanti parlamentari. Che siano tanti è certo. Se parliamo di parlamentari eletti direttamente dal popolo e facenti Pag. 4parte di un'assemblea legislativa, alla quale, peraltro, il Governo è legato da vincolo fiduciario, sono tanti. I padri costituenti vollero scrivere una disciplina molto precisa per quanto riguarda il Parlamento, ispirandosi in parte agli Stati Uniti d'America, in parte alla Svizzera, in parte alla Spagna. Quella italiana, come le Costituzioni citate, disciplina i requisiti per l'elettorato attivo e passivo, i criteri per il riparto. Insomma, è abbastanza precisa. Non entra nel merito del sistema elettorale, però nella cultura dei costituenti il riferimento era il sistema proporzionale.
  In particolare, alla composizione elettiva (non sto a richiamarla, così sto nei tempi) si aggiunge la presenza dei senatori a vita. Come sappiamo, l'interpretazione è stata ambivalente sul punto, propendendo per dare al presidente della Repubblica un'ampia facoltà in questo senso.
  Tocco subito questo punto della proposta di legge in esame, dicendo che mi sembra un punto a mio avviso chiaro e indiscutibile, cioè è stato fissato che il numero di «cinque» riferito ai senatori indica al numero massimo dei senatori a vita in essere e non le nomine che il singolo presidente può fare.
  Come si è pervenuti all'attuale disciplina relativa all'indicazione in Costituzione del numero dei parlamentari? Inizialmente, come ricorderete, nel testo originario della Costituzione c'era un principio, c'era un criterio: uno ogni 80.000 per la Camera dei deputati e uno ogni 200.000 per quanto riguarda il Senato.
  Successivamente, si è arrivati, con una legge costituzionale n. 2 del 1963, a stabilizzare il sistema in senso numerico, tenendo, però, sempre presente più o meno quella filosofia numerica, quel rapporto di rappresentanza.
  Perché, dunque, si è mantenuto in ogni caso questo numero abbastanza alto? Io credo che una delle spiegazioni possibili, quella che io mi sono dato nel tempo, sia dentro la logica che ha portato al bicameralismo perfetto. Pertanto, il bicameralismo perfetto è il paradigma che bisogna tener presente quando si fa un raffronto tra la numerosità dei parlamentari italiani e quella di altri Paesi, perché, siccome il nostro bicameralismo perfetto ormai è un caso rimasto unico, è ovvio che, come giustamente viene fatto nell'ottimo dossier predisposto dall'ufficio studi della Camera dei deputati, oltre a confrontare i numeri tra Camere alte e Camere alte e tra Camere basse e Camere basse, bisogna anche confrontare l'insieme dei parlamentari eletti – nel nostro caso, membri di un'Assemblea che ha la possibilità di dare o togliere fiducia al Governo – rispetto ad altre Camere elettive. Facendo questo raffronto effettivamente si riscontra un numero molto alto.
  Come nasce, quindi, questo bicameralismo perfetto, che a mio avviso va collegato all'alto numero dei parlamentari? All'inizio, come si sa, si registravano varie posizioni nell'Assemblea costituente. Da una parte, c'era una posizione tendenzialmente monocameralista, che grosso modo faceva riferimento alla sinistra; dall'altra una posizione favorevole al bicameralismo, però c'erano alcuni orientamenti che andavano verso una seconda Camera di rappresentanza sociale e altri verso la valorizzazione dell'elemento territoriale.
  Nella ricerca dei vari compromessi si presentò a un certo punto la possibilità di avere una seconda Camera, però in qualche misura collocata in un ruolo inferiore alla prima Camera. I sostenitori precedenti del bicameralismo non erano favorevoli a questa proposta, che a un certo punto fu sostenuta proprio dalla sinistra e, quindi, si raggiunse un compromesso. Sto semplificando al massimo, naturalmente, ma fu un iter molto lungo e molto complicato. Alla fine le varie posizioni portarono al bicameralismo perfetto, cioè l'elisione tra le varie posizioni differenti portò a questo. Nel 1963 fu eliminata anche la disparità della durata, inizialmente prevista di sei anni per il Senato.
  Qual è la logica che porta alla duplicazione dell'attività legislativa, da qualcuno definita inutile? Io ho sempre avuto l'idea che non sia un elemento accidentale del nostro processo costituente, ma essenziale. A un certo momento questa duplicazione è diventata essenziale, proprio perché questo Pag. 5consentiva l'ampliamento della rappresentanza, con l'introduzione di procedure di navetta, di shuttle, tra i due rami del Parlamento; ciò favoriva in qualche misura la mediazione politica, favoriva la trattativa, lasciava o rafforzava una grande centralità dei partiti e dei vertici dei partiti e favoriva anche la rappresentanza di una società abbastanza complessa e frammentata, che ancora non aveva conosciuto un processo di netta e chiara unificazione culturale e in alcuni casi neanche linguistica.
  Il problema, quindi, era quello di una rappresentanza e rappresentazione della complessità. Ora, la riduzione del numero dei parlamentari è coerente in un sistema nel quale si proceda sulla base del principio costitutivo dal nostro concetto moderno di rappresentanza. Vedremo come questo paradigma, già avvertito come limitativo rispetto al quadro italiano nell'Assemblea costituente, risulti tanto più di ostacolo in alcuni casi allo sviluppo delle dinamiche della rappresentanza della società attuale.
  Voglio dire che il concetto moderno di rappresentanza ovviamente presuppone l'assenza del vincolo di mandato. Visto che il moderno concetto di rappresentanza presuppone l'assenza del vincolo di mandato, il parlamentare non rappresenta un ceto, un partito, un ambito territoriale, ma rappresenta la nazione. I sistemi elettorali sono meccanismi di razionalizzazione per la determinazione di una rappresentanza che comunque fa riferimento alla nazione.
  Dal punto di vista della costruzione giuridica astratta, avere 200-300 parlamentari non fa molta differenza. Qui cogliamo un nesso stretto tra la possibilità di ridurre il numero dei parlamentari e l'assenza del vincolo di mandato. È una possibilità che sta dentro la logica dell'assenza del vincolo di mandato, che è incompatibile con il moderno concetto di rappresentanza. Lo vediamo in Inghilterra nel passaggio dalla fase dello scambio corporativo alla rappresentanza. Allego delle citazioni che poi lascerò nel testo della mia memoria, ma sono dei classici (Bork, e via discorrendo).
  Vediamo che c'è un nesso strettissimo tra qualificazione politica della rappresentanza e assenza di vincolo di mandato. L'ha ribadito, per esempio, la Corte suprema degli Stati Uniti quando ci sono state alcune iniziative favorevoli al recall. Questo emerge anche dal sistema tedesco, dove sappiamo che secondo il Tribunale costituzionale tedesco la seconda Camera non è in realtà una seconda Camera e comunque i suoi membri hanno vincolo di mandato; in ogni caso, questo vincolo si affievolisce, si estingue, quando vengono in discussione questioni di natura politica nazionale, che sono collegate o all'emergenza o alla conciliazione tra le due Camere. Pertanto, la politicizzazione della rappresentanza in senso nazionale comporta questa assenza di vincolo di mandato.
  Mi sono permesso quindi di svolgere un ragionamento sistemico introduttivo.
  Chiaramente meno seggi significa drastica semplificazione della geografia parlamentare, ma questo, nell'ottica della totale assenza del vincolo di mandato, non crea problemi dal punto di vista teorico.
  Oggi si parla molto di crisi della rappresentanza, crisi del paradigma vestfaliano dello Stato nazionale, di moltiplicazione delle istanze, di deterritorializzazione, di moltiplicazione dell'appartenenza, dell'identità, di istanze comunitarie e così via. Pertanto, democrazia e statualità sono esposte, come si dice, a un vento contrario e a una minaccia che rende friabile e gradualmente erode le fondamenta.
  Si pensi a quanto accade nell'ambito della rappresentanza politica. L'appartenenza a una community di carattere religioso, culturale e di genere spesso viene fatta valere come elemento costitutivo della giustiziabilità dei diritti piuttosto che come questione relativa all'ambito privato.
  Viene meno anche quel paradigma, che è all'origine della democrazia temporanea, della specularità tra lo Stato e la società, tra la rappresentanza e la società, o almeno è così secondo alcuni studiosi della globalizzazione e della deterritorializzazione.
  Questa proposta di legge prevede una tutela per le minoranze linguistiche, però non ci sono solo le minoranze linguistiche. Io invito alla riflessione su questo. Non ci sono solo le minoranze linguistiche, che Pag. 6sono già tutelate egregiamente. Il mondo contemporaneo pullula di minoranze, è una società sempre più complessa.
  Qual era la logica che portò i padri costituenti a dar vita a quelli che poi, da alcuni, sono stati considerati i presupposti della democrazia consociativa? Essi cercavano strumenti di mediazione, di gestione dei conflitti, che portassero alla parlamentarizzazione dei conflitti. Quell'esigenza è più attuale che mai.
  Oggi alcuni prendono atto che c'è una crisi dei tradizionali paradigmi che presiedevano alla costruzione della vita parlamentare, per cui è necessario rafforzare il rapporto tra eletto ed elettore, anche prevedendo – ecco il collegamento che richiamavo all'inizio – una riduzione del numero dei parlamentari, cioè un vincolo di mandato.
  Il punto sul quale mi permetto di richiamare l'attenzione è la compatibilità di questo tipo di riforma con un'altra ipotesi di riforma collegata, che prevede l'introduzione del vincolo di mandato. Non c'è compatibilità. La riduzione del numero dei parlamentari rientra nella logica dell'assenza del vincolo di mandato, ma se io abbasso il numero dei parlamentari e se accanto a questa proposta io metto anche il vincolo di mandato, con un abbassamento drastico, con una semplificazione drastica della geografia politica-rappresentativa, è chiaro che produco un vulnus molto forte nella rappresentanza e determino anche un problema dentro la legittimazione del sistema parlamentare.
  Si può anche ragionare sulla crisi della rappresentanza classica e sull'esigenza di cominciare a parlare di un maggiore rapporto tra eletto ed elettore e, quindi, a far influire questo elemento sulla determinazione della rappresentanza, anche attraverso strumenti di controllo. Però tutto questo non è compatibile con una drastica semplificazione del quadro rappresentativo, perché molti sarebbero i non rappresentati. Io penso di essere stato nei tempi.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  STEFANO CECCANTI. Mi pongo questa domanda, vista soprattutto la partenza del suo ragionamento, cioè che il numero era legato al bicameralismo ripetitivo. Quindi, se si tocca il numero, bisognerebbe anche riflettere, nello stesso provvedimento, sull'opportunità di mantenere il bicameralismo ripetitivo?

  PRESIDENTE. Do la parola al professore per la replica.

  CIRO SBAILÒ, Professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli studi internazionali di Roma. Certamente questo è un punto che mi ero segnato, onorevole, e tutte le altre proposte fatte per la drastica riduzione del numero dei parlamentari sono collegate a un programma sistemico di riforma. Questo è sicuro, quindi è chiaro che personalmente ritengo che una riforma del genere forse troverebbe una giusta collocazione in un quadro sistemico, perché l'organismo politico non è trattabile a pezzi, in maniera «meccanica», ma va trattato in maniera «medica». Se tocchi un punto, influisce sull'altro punto. Questo è fuori discussione.
  Ciò detto, il legislatore ha deciso di farlo? Bene, allora io vado a vedere qual è la fonte di questa scelta del legislatore e la trovo nel programma per il cambiamento. Nel programma del cambiamento trovo un aggancio rispetto a un'altra ipotesi, che è il vincolo di mandato, che entra a mio avviso in conflitto con la riduzione in questo senso. La riduzione in sé, astrattamente considerata, è legittima, sicuramente difficilmente contestabile, però in una logica sistemica la trovo di complessa e difficile ricostruzione.

  PRESIDENTE. Vi sono altri deputati che intendano porre altri quesiti?

  ANDREA CECCONI. Vediamo anche se sono riuscito a seguire tutto il concetto. È chiaro che una riduzione del numero dei parlamentari semplifica il meccanismo parlamentare: con meno persone è più facile prendere una decisione. Dopo valutiamo se le decisioni vengono prese meglio o peggio, Pag. 7se sono buone o cattive. Quello riguarda le persone che ci sono dentro.
  Detto questo, chiaramente c'è una minore rappresentanza, perché ci sono meno persone e, quindi, la rappresentanza viene compressa, però lei dice che questa deve essere bilanciata da una libertà del parlamentare stesso, cioè non avere un vincolo politico o partitico. Se sono di meno, devono essere più liberi, perché esistono le minoranze linguistiche, esistono le minoranze religiose, quindi più rappresentanti eletti rappresentano queste varie sfaccettature del popolo, tanto più si è rappresentati, mantenendo questo tipo di libertà.
  La mia domanda è questa. Noi, a prescindere dal numero, abbiamo un problema di rapporto eletto-elettori, che è un problema culturale, ma più che altro un problema elettorale: il sistema con cui si scelgono i candidati è molto veicolato dalla politica e poco veicolato dal popolo – questo è il mio punto di vista – perché non possono scegliere le liste, perché non possono mettere le preferenze, perché non c'è una cultura del collegio uninominale per cui si incardina l'eletto nello stesso territorio, ovvero una rappresentanza territoriale.
  Secondo lei, ridotto il numero dei parlamentari, è necessario, per ovviare al suo ragionamento, cambiare la legge elettorale? Sa che stiamo facendo una riforma soltanto per quanto riguarda il rapporto numerico.

  CIRO SBAILÒ, Professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli studi internazionali di Roma. Sì, ho visto ed è opportuna comunque.

  ANDREA CECCONI. È opportuna per una questione di compatibilità. Se si dovesse andare a elezioni subito, bisogna comunque avere i collegi ben disegnati.
  Secondo lei, l'attuale legge elettorale è appropriata rispetto a una riduzione del numero? Si riesce ad arrivare a quello che lei ha detto in questo intervento, ossia la rappresentanza verrebbe garantita adeguatamente, oppure è necessario rivedere il sistema elettorale in maniera da operare un migliore collegamento, a prescindere ovviamente dalle idee politiche, perché questo sistema non lo rappresenta in modo adeguato?

  PRESIDENTE. Do la parola al nostro audito per la replica.

  CIRO SBAILÒ, Professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli studi internazionali di Roma. Lei mi chiede un'opinione, quindi. La mia posizione è che i sistemi che maggiormente favoriscono la rappresentanza e la rappresentatività sono due sistemi apparentemente opposti, ma che comunque, facendo una comparazione storica attenta tra due Paesi quali il Regno Unito e l'Italia, a mio avviso sono o il sistema inglese o il proporzionale con il voto di preferenza tradizionale, con il ruolo centrale dei partiti.
  Il sistema italiano e il sistema inglese vengono spesso contrapposti nella manualistica. Io cerco da anni, in varie occasioni, di dire che in fondo hanno una medesima radice culturale, che è quella, per l'appunto, di favorire la politicizzazione dello spazio pubblico attraverso la formazione di élite politiche dirigenti che legittimino il sistema. Si è fatto in modo diverso, perché sono società diverse, ma il paradigma fondamentale è quello. Personalmente, se lei mi chiede la mia opinione, è che questi sono i due sistemi da considerare, non le soluzioni ibride e intermedie. Questa è la mia posizione.

  PRESIDENTE. Avverto che il professor Sbailò ha messo a disposizione della Commissione una memoria, di cui autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 1). Ringrazio il professor Sbailò e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del professor Giampietro Ferri, Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Verona.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame delle proposte di legge Pag. 8costituzionale C. 1585 cost. approvata dal Senato, e C. 1172 cost. D'Uva, recanti «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari» e della proposta di legge C. 1616, approvata dal Senato, recante «Disposizioni per assicurare l'applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari», l'audizione del professor Giampietro Ferri, professore di diritto costituzionale presso l'Università di Verona.
  Chiedo al professore di mantenere il suo intervento in circa dieci minuti, in modo tale da permettere ai commissari di rivolgerle delle domande.
  Do la parola al professor Ferri per lo svolgimento della sua relazione.

  GIAMPIETRO FERRI, Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Verona. Grazie, presidente. Desidero rivolgere anzitutto un cordiale saluto a lei e agli onorevoli deputati qui presenti. Un saluto particolare, se è consentito, va all'amico e collega professor Andrea Giorgis. Insieme al saluto rivolgo un ringraziamento per l'invito, di cui sono onorato.
  Ho ritenuto di non potermi sottrarre, ma ritengo corretto avvertire gli illustri componenti di questa Commissione che la ristrettezza del tempo disponibile non mi ha consentito di approfondire come avrei voluto la tematica oggetto dei vostri lavori. Tanti anni di vita dedicati allo studio e alla ricerca mi hanno insegnato che il tempo è importante, anzi fondamentale, per avere una piena consapevolezza dei problemi, e ciò vale in modo particolare per alcune materie, come quella elettorale, che sono caratterizzate da un elevato livello di tecnicismo.
  Farò alcune osservazioni sulla proposta di legge costituzionale n. 1585. Schematizzando procederei per punti. I punti sono i seguenti. Il primo è la riduzione complessiva del numero dei componenti della Camera da 630 a 400. Il secondo è la riduzione del numero complessivo dei membri del Senato da 315 a 200. Il terzo punto è la riduzione, nel contesto delineato dai primi due punti, dei membri del Parlamento eletti nella circoscrizione estero. Il quarto punto è il limite massimo di cinque per i senatori a vita nominati per altissimi meriti nel campo sociale, artistico, scientifico e letterario.
  Comincio dai primi due punti, che tratterò insieme, essendo collegati tra di loro, anche se, come dirò poi, non del tutto, nel senso che sono possibili, almeno a mio parere, valutazioni di ordine differente per la Camera e per il Senato.
  Farei anzitutto questa osservazione preliminare. Quando ci occupiamo di riduzione del numero dei membri del Parlamento, dobbiamo affrontare l'argomento necessariamente in base al principio del parallelismo? Dobbiamo, cioè, ragionare nel senso che, se riduciamo i componenti di un ramo del Parlamento, dobbiamo necessariamente ridurre in proporzione anche il numero dei componenti dell'altro? Mi pare che in linea teorica il principio del parallelismo non abbia ragion d'essere. Credo che si possa impostare il discorso facendo un ragionamento diverso per le due Camere. Si potrebbe, per esempio, pensare di ridurre il numero dei componenti della Camera dei deputati, che, come tutti sanno, è quella con il maggior numero di componenti, lasciando inalterato il numero dei membri del Senato. Mi rendo però conto delle difficoltà sul piano politico. Penso sia difficile che un ramo del Parlamento accetti di fare un sacrificio se l'altro ramo del Parlamento non lo fa.
  Entrando nel merito, quali vantaggi potrebbero derivare dalla riduzione prospettata? Il primo vantaggio, che riguarda tutti e due i rami del Parlamento, è quello del risparmio. È un vantaggio tangibile, difficilmente discutibile, anche se non ho gli strumenti tecnici per quantificare il risparmio stesso. Non vi è dubbio, però, che un risparmio ci sarà.
  Il secondo vantaggio è lo snellimento dei lavori, in altre parole la funzionalità. Forse si può ipotizzare che, per quanto concerne la Camera dei deputati, la riduzione del numero dei componenti possa produrre qualche risultato, magari modesto, sulla gestione dell'Aula.
  Mi sono ricordato delle parole della presidente della Camera dei deputati Nilde Pag. 9Iotti: «una riduzione è indispensabile, non è pensabile di continuare a lavorare con un numero così grande di parlamentari». Sono parole che andrebbero contestualizzate: Nilde Iotti aveva assistito al lento passaggio da un sistema politico sostanzialmente immobile a un sistema politico in cui trovano spazio nuove formazioni, agguerrite e battagliere. Penso in modo particolare al Partito radicale, ma penso anche a Democrazia proletaria. Ricordo che nella seconda metà degli anni Ottanta ci fu l'ingresso dei Verdi in Parlamento. Quindi, sono dichiarazioni che probabilmente possono avere una valenza anche decontestualizzandole, ma si comprendono appieno collocandole in quel contesto storico.
  Ci può essere allora – come dicevo – qualche risultato positivo per la gestione dell'Aula, anche se l'argomento si collega ai regolamenti parlamentari e sappiamo che il regolamento parlamentare può essere uno strumento assai utile per assicurare la speditezza dei lavori.
  Sempre a questo proposito vorrei svolgere una breve osservazione sulla relazione intercorrente tra riduzione del numero dei componenti di un organo collegiale e funzionalità dell'organo collegiale. Ragionando in astratto, si può dire che a una riduzione del numero dei componenti corrisponde sempre o in linea generale, come regola, un aumento della funzionalità dell'organo? Non lo si può dire. Questo può valere in alcuni casi, ma può non valere in altri casi, anzi ci sono dei casi in cui vale l'opposto. Per esempio, nel 1975 – non mi riferisco al Parlamento, ma a un organo di rilievo costituzionale come il Consiglio superiore della magistratura – si decise di passare da 21 membri elettivi a 30 membri elettivi, ma lo si fece proprio nell'ottica di un miglioramento della funzionalità dell'organo, nella consapevolezza che nel frattempo erano aumentati i compiti di quell'organo e si sarebbe potuto far fronte all'allargamento delle funzioni soltanto accrescendo il numero dei componenti. Occorre dunque valutare attentamente, di volta in volta, se da un abbassamento del numero dei componenti possa derivare un beneficio per la funzionalità dell'organo.
  Il terzo possibile vantaggio è quello della crescita dell'autorevolezza dei membri della Camera e del Senato. Che cosa intendo dire? Parto da un esempio. Il Senato degli Stati Uniti d'America è composto da cento membri. Si dice che in quel Paese i senatori hanno una particolare importanza, un'autorevolezza, un prestigio, anche in considerazione della ristrettezza del numero, soprattutto se rapportato a una popolazione di quasi 330 milioni di abitanti. Pensiamo a un singolo Stato come la California, che con una popolazione non di molto inferiore a quella dell'Italia (circa 40 milioni di abitanti), elegge solo due senatori.
  In senso generale, credo quindi che si possa dire questo: se noi riduciamo i componenti, aumentano l'importanza, il prestigio, l'autorevolezza e forse anche il senso di responsabilità nell'esercizio del mandato. Vale comunque sempre la regola per la quale l'autorevolezza si conquista prima di tutto con il proprio comportamento, il proprio stile e così via.
  Questi sono i possibili vantaggi. Vediamo adesso quali possono essere gli svantaggi. Il primo è uno svantaggio per le forze minori, che avrebbero un ridotto numero di parlamentari. I pochi rappresentanti di una piccola formazione politica devono in qualche modo suddividere il proprio impegno tra diverse Commissioni e l'esperienza insegna che, in queste condizioni, non si riesce a esercitare il mandato parlamentare al massimo livello. La diminuzione del numero dei parlamentari comporta, quindi, in qualche modo un sacrificio per il pluralismo. Si può guardare, però, il rovescio della medaglia: il fatto che la riduzione dei parlamentari determini questo effetto potrebbe far sì che nel sistema dei partiti venga disincentivata la frammentazione e, quindi, che vi sia una tendenza all'accorpamento.
  Vi è poi un secondo svantaggio. Se consideriamo com'è disciplinato l'attuale sistema elettorale previsto dalla legge n. 165 del 2017, ci rendiamo conto che per quello che riguarda i collegi uninominali, che dovrebbero essere previsti anche per instaurare un rapporto diretto tra elettore ed eletto, per favorire la vicinanza tra rappresentante Pag. 10 e rappresentato, si ottiene l'effetto opposto, cioè molto probabilmente ci sarà una maggiore difficoltà per il candidato e poi per l'eletto di rapportarsi con la sua base elettorale. Tuttavia, questo è un ragionamento che vale più in linea teorica che sul piano reale. Spiego che cosa intendo dire. Attualmente, come sapete, noi abbiamo un sistema elettorale che dal punto di vista formale è corretto definire misto, perché c'è una componente maggioritaria uninominale e una componente proporzionale con lo scrutinio di lista. Qual è, però, la realtà delle cose? Per come è strutturato questo sistema, ritengo che più che di sistema misto si debba parlare di sistema proporzionale corretto. Sul piano sostanziale la componente uninominale maggioritaria non è tanto uno dei due elementi di un sistema misto, ma mi pare che sia piuttosto un elemento di correzione del sistema proporzionale, che tende in sostanza a favorire nel risultato finale le forze politiche più forti, ma soprattutto quelle che hanno un forte radicamento in alcune aree territoriali.
  In definitiva, quindi, noi possiamo ragionare sul piano teorico di un possibile svantaggio, ovvero l'aumento del distacco tra elettore ed eletto, però, se vediamo come in concreto funziona questo sistema, ci rendiamo conto che le considerazioni in merito a questo possibile svantaggio perdono gran parte della loro importanza.
  Io ricordo che prima delle ultime elezioni politiche un autorevole presidente emerito della Camera dei deputati, facendo alcune valutazioni sul funzionamento del sistema elettorale, ipotizzava che la componente uninominale maggioritaria potesse avere un effetto di trascinamento di tutto il sistema, cioè a dire: si vota nei singoli collegi, la personalità del candidato acquisisce importanza, quindi ci sarà il richiamo della persona importante e questo potrà avere un effetto a cascata, con la conseguenza che il sistema funzionerà in senso tendenzialmente maggioritario. Le cose, come abbiamo visto, sono andate diversamente.
  Avrei ancora qualcosa da dire. Mi dica, presidente, se posso proseguire.

  PRESIDENTE. Professore, lei può anche concludere, poi abbiamo dieci minuti per le domande, quindi non ci sono problemi.

  GIAMPIETRO FERRI, Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Verona. Queste sono considerazioni che riguardano la riduzione complessiva del numero dei membri della Camera e del Senato. Adesso passo brevemente ad altri due punti. Il terzo punto riguarda la riduzione del numero dei deputati e dei senatori eletti nella circoscrizione estero. In base alla proposta di legge costituzionale, il numero dei deputati passerebbe da dodici a otto e il numero dei senatori da sei a quattro. Questa operazione in sé ha una logica, perché riduce i seggi della circoscrizione estero nella stessa misura in cui vengono ridotti nel complesso i membri delle Camere. In sostanza: si decide una riduzione in termini generali dei componenti del Parlamento e proporzionalmente si fa una riduzione sulla quota di parlamentari assegnati alla circoscrizione estero.
  Quali sono le possibili ricadute negative, se ve ne sono, di questa operazione? Penso siano a voi noti i problemi che riguardano l'elezione di una quota di parlamentari nella circoscrizione estero. La dottrina costituzionalistica, che di solito si divide un po’ su tutto, è tendenzialmente unanime nel criticare la riforma costituzionale che ha introdotto una rappresentanza separata per gli italiani all'estero.
  Tra i vari difetti del sistema c'è quello rappresentato dalla presenza di collegi enormi, con estrema difficoltà di collegamento tra rappresentante e rappresentato. Mi pare che, riducendo il numero dei componenti eletti nella circoscrizione estero, la situazione non possa che peggiorare da questo punto di vista.
  Facciamo allora un'operazione verità e proviamo a domandarci: otterrebbe qualche risultato l'operazione inversa, cioè la crescita di qualche componente, di qualche unità, del numero dei parlamentari eletti all'estero? Non mi pare che sortirebbe un effetto significativo, cioè non guarirebbe in sostanza i mali dell'attuale legislazione. Forse allora il problema sta alla radice. Ovviamente è una scelta politica e io come tecnico Pag. 11 in questa sede non credo di dover formulare preferenze su un piano politico, però credo che la rappresentanza politica debba porsi il problema di valutare – si può sempre ripensare alle decisioni del passato – se la riforma introdotta nel 2001 abbia un senso.
  Peraltro, non dimentichiamoci che in alcune circostanze i senatori eletti all'estero, che sappiamo avere uno scarso legame con l'Italia, sono stati decisivi per la formazione delle maggioranze di governo. Non penso che sia del tutto sbagliato interrogarsi se sia giusto mantenere ancora una quota di componenti eletti nella circoscrizione estero.
  Dico due parole infine sui senatori a vita. La proposta di legge costituzionale risolve un problema interpretativo. È noto che la formulazione attuale del comma 2 dell'articolo 59 della Costituzione ha posto un problema interpretativo, perché ci si è chiesti se debba essere intesa nel senso che ciascun Presidente della Repubblica, cioè ciascuna persona fisica che ricopre pro tempore la carica di Presidente della Repubblica, possa nominare cinque senatori a vita, oppure se debba essere interpretata nel senso che vi sia il tetto massimo di cinque senatori a vita, cioè non vi possano essere più di cinque senatori a vita nominati dall'organo Presidente della Repubblica per altissimi meriti nel campo sociale, artistico, scientifico e letterario.
  La revisione costituzionale proposta risolve questo problema interpretativo, ma forse, se è consentita una battuta, ne crea uno a me, perché all'inizio dei corsi di diritto costituzionale, quando spiego agli studenti la differenza tra disposizione e norma e la problematicità del diritto che sta proprio nell'interpretazione dei testi, sono solito fare questo esempio e nel caso di approvazione della revisione costituzionale dovrò scegliere un altro tipo di esempio.
  La previsione della soglia massima di cinque riduce il problema a cui accennavo molto fugacemente prima, cioè il rischio che dei senatori ’particolari’ (in quel caso erano senatori eletti all'estero, in questo caso stiamo parlando di senatori non elettivi) possano essere determinanti per la fiducia al Governo. Sappiamo che nella storia recente del nostro Paese ci sono state situazioni in cui i senatori a vita sono stati chiamati in sostanza a svolgere un ruolo molto delicato e discusso.
  C'è un'ultima cosa che vorrei dire. Non è certamente un problema prioritario, però mi pare che l'attuale dizione dell'articolo 59 della Costituzione, che è ripresa testualmente dalla proposta di legge costituzionale, non raggiunga la perfezione sul piano testuale, nel senso che si parla di cinque senatori a vita che hanno illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, artistico, scientifico e letterario.
  Preciso che la prassi ha risolto ogni tipo di problema, nel senso che si ritiene che sia sufficiente avere illustrato la Patria in uno di questi campi. Forse non è un grande problema. Si potrebbe comunque migliorare il testo, nel senso che risulti in modo preciso che si può essere nominati senatori a vita per altissimi meriti in uno soltanto di questi campi.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANNA MACINA. Vorrei un chiarimento, perché lei ha fatto un passaggio in cui ha affermato che non è necessario il parallelismo rispetto alla riduzione di Camera e Senato. Ha giustificato questa non necessità sulla base della difficoltà a far accettare a un ramo del Parlamento il sacrificio imposto solo a uno dei due rami. Al di là di questa, che può essere una valutazione prettamente politica, mi interessa capire per quale motivo ritiene che non ci sia un parallelismo necessario, visto che parliamo della rappresentanza e comunque parliamo di eletti, anche se per differenza d'età.
  Inoltre, lei faceva riferimento, sempre per quanto riguarda gli svantaggi, a una difficoltà dell'eletto nel rapportarsi con il suo elettorato. In questo momento il parlamentare è chiamato a rappresentare l'intera nazione, non soltanto il suo elettorato, quindi non riesco a comprendere appieno questa affermazione. Pag. 12
  Per quanto riguarda, invece, i vantaggi, lei faceva riferimento a una più facile gestione dell'Aula che si otterrebbe con la riduzione del numero dei parlamentari. Noi riteniamo che, invece, la riduzione del numero dei parlamentari non abbia un effetto solo ed esclusivamente sulla gestione dell'Aula, ma anche sullo svolgimento ordinato di tutti i lavori parlamentari, a partire dalle Commissioni. In realtà, si informa a un criterio di semplificazione e razionalizzazione degli interi lavori.

  PRESIDENTE. Do la parola al professore Ferri per la replica.

  GIAMPIETRO FERRI, Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Verona. Partirei da quest'ultima domanda. Se ho ben inteso, lei in sostanza chiede chiarimenti sul punto concernente il possibile vantaggio di una migliore funzionalità. Io ho parlato di una possibile semplificazione dei lavori dell'Aula, mentre non ho fatto riferimento ai lavori delle Commissioni.
  Prima di risponderle, io umilmente manifesto i miei limiti, dovuti al fatto che io non ho un vissuto parlamentare. Io credo che per una valutazione sull'aspetto in questione sia importante anche un'esperienza parlamentare. Tuttavia, a quanto mi consta, nell'ambito delle Commissioni il problema della funzionalità si pone in misura minore. Non nego che l'ipotizzata riduzione dei parlamentari possa produrre qualche miglioramento nel funzionamento delle Commissioni, con uno snellimento dei lavori, ma io, con i miei limiti – ripeto – derivanti dal fatto che non ho un'esperienza parlamentare, semplicemente ponevo più l'accento sul funzionamento dell'Aula.
  Per quanto riguarda la seconda domanda, ho fatto un discorso sul rapporto tra elettore ed eletto. Lei ha in sostanza osservato che, in base alla Costituzione (art. 67), i membri del Parlamento rappresentano l'intera nazione, non una parte del territorio. Comprendo bene quello che lei vuole dire, però, fermo restando che questo principio rimane, io ragionavo di una capacità del rappresentante di svolgere appieno la sua funzione di rappresentanza, che implica anche un collegamento con il territorio. È chiaro che poi il parlamentare deve svolgere una funzione di mediazione, però prima di tutto credo gli competa, partendo dal basso, uno sforzo per cercare di ascoltare il suo territorio e raccoglierne le istanze.
  Questo non vuol dire sentirsi vincolati alle istanze del territorio, perché c'è l'interesse generale della nazione, però la rappresentanza è anche comunque una capacità di collegamento con una base territoriale. Mi sembra che lei veda una contraddizione tra rappresentanza nazionale e rappresentanza territoriale, mentre io non vedo le due cose l'una contro l'altra: sono due cose che stanno insieme. Il parlamentare certamente deve curarsi in qualche modo del collegio, poi è chiaro che deve svolgere il suo mandato parlamentare non inseguendo ogni istanza che proviene dal collegio, ma cercando di soddisfare quelle istanze componendole con l'interesse generale della nazione. Penso che ci siamo intesi.
  Dico un'ultima cosa sul parallelismo. Il mio ragionamento era questo: io non vedo sinceramente una necessità, se si fa un'operazione di riduzione, di intervenire sia sull'uno sia sull'altro ramo del Parlamento. Noi oggi abbiamo due rami del Parlamento che svolgono le stesse funzioni, abbiamo un bicameralismo paritario, un bicameralismo perfetto. La Camera ha però il doppio dei componenti del Senato. Ricordo che in una recente riforma costituzionale, che poi, come sappiamo, non è entrata in vigore perché respinta dal corpo elettorale con il referendum del 4 dicembre 2016, c'era stato un intervento anche sul numero dei parlamentari e si era accentuato il divario tra i due rami del Parlamento (con un Senato composto di soli cento membri), però in un contesto in cui si introduceva una differenziazione delle funzioni di Camera e Senato (superando così il bicameralismo paritario).
  Alla luce, invece, dell'attuale sistema, che è un sistema – ripeto – di bicameralismo paritario, non dico che sia sbagliato in linea di principio ragionare sulla base di Pag. 13una logica del parallelismo. Il mio era un intervento all'insegna dell'apertura, volevo cioè osservare che non c'è un legame indissolubile tra riduzione dei deputati e dei senatori. Sono possibili diverse soluzioni. Si potrebbe pensare, per esempio, di ridurre il numero dei componenti della Camera, lasciando inalterato quello del Senato, fermo restando – questa era la mia ultima osservazione sul punto – che per questa operazione vedo una difficoltà politica. In sostanza credo che per un ramo del Parlamento possa risultare difficile accettare una riduzione dei propri componenti senza un uguale sacrificio da parte dell'altro ramo. Questo era il senso delle mie parole.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Ferri e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del professor Silvio Troilo, Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Bergamo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame delle proposte di legge costituzionale C. 1585 cost. approvata dal Senato, e C. 1172 cost. D'Uva, recanti «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari» e della proposta di legge C. 1616, approvata dal Senato, recante «Disposizioni per assicurare l'applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari», l'audizione del professor Silvio Troilo, professore di diritto costituzionale presso l'Università di Bergamo.
  Ringrazio il professore e gli chiedo di contenere il suo intervento in circa dieci minuti, in modo da consentire ai commissari di porle delle domande.
  Do la parola al professor Troilo per lo svolgimento della sua relazione.

  SILVIO TROILO, Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Bergamo. Grazie molte, presidente. Ringrazio vivamente per l'onore concessomi con questa audizione. Io mi sono permesso di inviare alcune preliminari osservazioni, scritte ieri sera peraltro, terminate un po’ velocemente, e inviate alla segreteria della Commissione, quindi per diverse osservazioni, per ragioni di tempo, rinvierò a quella memoria. Mi concentro, partendo ovviamente dalla proposta di legge costituzionale C. 1585, sulla determinazione e rideterminazione del numero dei parlamentari, per poi arrivare ad alcune osservazioni sulla proposta di legge ordinaria C. 1616.
  Premetto che il mio sforzo è stato quello di prendere atto delle scelte politiche già effettuate dal Senato della Repubblica e, quindi, effettuare una valutazione degli effetti delle stesse, anche se nel finale, se avanza tempo, mi permetterò di segnalare alcuni possibili o parziali rimedi agli inconvenienti che rileverò.
  Tralascio ogni considerazione, che ho riportato nella memoria scritta, sull'opportunità di ridurre l'elevato numero di parlamentari. Non devo spiegarvi – lo saprete a memoria, sarà stato già sottolineato dai miei colleghi – che l'Italia è al primo posto per numero di parlamentari eletti e al secondo per numero assoluto di parlamentari. Entro subito in una sommessa valutazione degli effetti della riduzione decisa dal Senato della Repubblica, riduzione molto incisiva dal punto di vista numerico.
  Gli effetti, a mio giudizio, sono diversi per la Camera dei deputati e per il Senato della Repubblica. Per la Camera dei deputati, come avranno segnalato anche i miei colleghi e come è ben noto a tutti voi, gli effetti sono tali da non impensierire, sulla carta, circa la capacità dei futuri 400 deputati di rappresentare adeguatamente le varie sensibilità e forme di presenza ideologico-politica e territoriale, anche per quanto riguarda i rappresentanti degli italiani residenti all'estero, ridotti a otto ma ancora in numero tale da poter rappresentare, con tutti i limiti di quella rappresentanza, nuclei di italiani certo molto sparpagliati ma aventi una serie di esigenze comuni.
  Quanto all'effetto sulla funzionalità interna, non devo spiegare a voi che quattordici Commissioni permanenti, dodici Commissioni bicamerali di inchiesta, una Commissione Pag. 14 speciale (mi sono un po’ divertito a ripassare questi numeri e spero di non sbagliare), tre Giunte, l'Ufficio di presidenza, la Conferenza dei presidenti di gruppo e via discorrendo già oggi richiedono a tutti voi e ai vostri colleghi un impegno gravoso, che chiaramente potrebbe aumentare con la riduzione del numero dei deputati.
  Tuttavia – scopro l'acqua calda – riducendo proporzionalmente, almeno per le Commissioni permanenti e bicamerali e anche forse per qualcuna delle Giunte, il numero dei componenti, oggi piuttosto rilevante, si potrebbe salvaguardare comunque una sufficiente rappresentatività dei gruppi parlamentari e agevolare il lavoro dei deputati.
  Dunque, a mio sommesso avviso, se guardiamo alla Camera dei deputati, il punto critico rimane quello del combinato disposto della riduzione del numero dei deputati e dell'applicazione del Rosatellum-bis adattato dalla proposta di legge C. 1616, in particolare, come avranno già rilevato i miei colleghi, riguardo all'aumento di dimensioni dei collegi uninominali. Su questo mi permetto di ritornare fra poco.
  Vorrei, invece, segnalare delle possibili criticità riguardo alla riduzione del numero dei senatori, non tanto per il loro numero in termini assoluti. Mi sentirei di dire che 200 senatori elettivi, tralasciando i senatori a vita e a vita di diritto, comunque, anche alla luce di uno sguardo comparato, dovrebbero consentire ampiamente rappresentatività e funzionalità dell'organo. I miei dubbi riguardano gli effetti della riduzione sulla rappresentatività dei singoli territori. Il fatto che il Senato sia eletto a base regionale e le notevoli differenze di popolazione fra le regioni italiane portano evidentemente a una serie di effetti a catena.
  Ne cito qualcuno che avrete ben presente. La riduzione del numero dei senatori non sarebbe identica o quasi identica, come per i deputati, se guardata circoscrizione per circoscrizione. Nell'ambito delle circoscrizioni per la Camera dei deputati le riduzioni sono analoghe in tutte le circoscrizioni, con lievi scostamenti per Lombardia 3 – se ricordo bene – Lazio 2 e Sicilia 1, dove la riduzione è leggermente più ampia, ma comunque parliamo di uno scostamento da una media del 36-37 per cento a un 39-40 per cento di riduzione.
  Invece, al Senato avremmo in Basilicata e in Umbria una riduzione del numero dei senatori del 60 per cento maggiore rispetto alla media delle altre regioni; in Abruzzo, in Calabria e in Friuli-Venezia Giulia la riduzione sarebbe dal 10 al 15 per cento maggiore rispetto alla media; in Trentino-Alto Adige sarebbe, invece, del 14 per cento minore rispetto alla media; in Molise e in Valle d'Aosta non si produrrebbe alcuna riduzione.
  Se poi guardassimo in termini assoluti il numero di senatori assegnato dalla proposta di legge costituzionale al Trentino-Alto Adige, essendoci un minimo di tre seggi per ogni provincia autonoma, avremmo per il Trentino-Alto Adige sei senatori, cioè un numero complessivo di senatori superiore a quello di altre sette regioni, senza considerare le piccole regioni come il Molise e la Valle d'Aosta. Per fare un esempio, le Marche e la Liguria, che hanno attorno a 1,5 milioni di abitanti, avrebbero cinque seggi, mentre il Trentino-Alto Adige, con un milione di abitanti, avrebbe sei seggi, divisi nelle due province autonome.
  È vero che questo, come dirò fra un attimo, se il presidente avrà la compiacenza di lasciarmi il tempo per farlo, risolve un grave problema che avrete già ben presente e che sarà già stato segnalato dai miei colleghi – peraltro lo risolve solo al Senato – relativo alle caratteristiche linguistiche dei collegi uninominali dell'Alto Adige. Tuttavia, in termini assoluti produce questa disproporzione rispetto a molte altre regioni.
  Se poi guardiamo velocissimamente alla circoscrizione estero, alla Camera otto deputati possono ancora consentire, con tutti i limiti del caso, una sufficiente, a mio modesto avviso, rappresentatività degli italiani residenti all'estero, mentre quattro senatori iniziano a essere pochi a questo scopo. Naturalmente si potranno ingegnare nel modo più idoneo, ma ricordo velocemente che oggi vi sono sei senatori, due per l'Europa con 2,7 milioni di cittadini italiani Pag. 15iscritti all'AIRE (Anagrafe italiani residenti all'estero) – ovviamente arrotondo le cifre – due per l'America meridionale con 1,6 milioni di cittadini, uno per l'America settentrionale e centrale per 450.000 iscritti e uno per Africa, Asia, Oceania e Antartide, con 300.000 iscritti in totale.
  Se li riduciamo a quattro, voi capite che la disproporzione, mantenendo le attuali ripartizione, diventa di un senatore per 2,7 milioni iscritti in Europa e di un senatore per 300.000 iscritti in Africa, Asia, Oceania e Antartide. Per carità, una soluzione fra le più ovvie è rivedere le ripartizioni, però a questo punto un senatore ipoteticamente dovrebbe riuscire a rappresentare le esigenze degli italiani residenti in America, in Africa, in Asia e in Oceania.
  Ovviamente il problema più grosso deriva al Senato dal combinato disposto fra la riduzione del numero dei senatori e l'applicazione del Rosatellum-bis. Arrivo velocemente a questo aspetto e, quindi, alla proposta di legge C. 1616.
  Dico subito che sono rimasto ammirato quando già nel passaggio al Senato l'avevo letta, perché la trovo decisamente ingegnosa e molto efficace ai fini, evidentemente molto circoscritti, che si propone, cioè rendere applicabile il sistema del Rosatellum-bis in una situazione in cui muta il numero dei parlamentari. A questi fini, la proposta di legge C. 1616 è perfettamente funzionale. Peraltro, le piccole correzioni introdotte dal Senato all'originario disegno di legge hanno anche messo in sicurezza rispetto a ipotetici rischi di scioglimento delle Camere prima che vengano ridisegnati i collegi elettorali uninominali e plurinominali.
  Tuttavia, avremmo un aumento veramente eclatante delle dimensioni dei collegi uninominali, in particolare al Senato, ma anche alla Camera. Ho riprese le cifre dagli ottimi dossier dei servizi studi, che immagino siano ben noti. Mi permetto soltanto di ricordare che, ad esempio, al Senato avremmo la situazione del Friuli-Venezia Giulia con un unico collegio uninominale di quasi 1,3 milioni di abitanti; in Calabria, in Toscana e nel Lazio collegi di 900.000 abitanti, in altre nove regioni collegi di oltre 800.000 abitanti. Sono evidentemente numeri che impediscono – si può discutere se il Rosatellum-bis ci riesca – di realizzare il grande pregio o l'elemento di forza principale del collegio uninominale, ovvero quello di collegare più direttamente il singolo deputato o senatore agli elettori, cosa, per la verità, come a voi è ben noto, resa parecchio evanescente dal Rosatellum-bis, che prevede, come tutti sappiamo, un voto congiunto per la quota uninominale e la quota plurinominale.
  Alla luce del voto congiunto, forse le preoccupazioni circa l'enorme ampliamento dei collegi uninominali si stemperano, ma, visto che la Costituzione è rigida e le leggi ordinarie sono molto più – se mi consentite il termine – elastiche e modificabili, forse bisognerebbe pensare, in vista di eventuali correttivi al Rosatellum-bis o addirittura di un nuovo sistema elettorale, alla situazione che si produrrebbe con questi collegi uninominali così ampi.
  Per il Trentino Alto Adige, come dicevo, la proposta di legge costituzionale risolve il problema della rappresentanza del gruppo linguistico italiano al Senato, ma non la risolve alla Camera, nel senso che, come ben sapete, prevedendosi al Senato il numero fisso minimo, ma che diventa anche, per ragioni di popolazione, il numero effettivo, di tre collegi uninominali in Alto Adige e tre in Trentino, i tre in Alto Adige, che già oggi esistono, prevedono un collegio in cui la maggioranza linguistica è italiana. Invece, alla Camera, ovviamente se le due proposte di legge costituzionale e ordinaria venissero approvate così come sono, avremmo sette seggi in Trentino-Alto Adige (due collegi uninominali in Alto Adige, due in Trentino e tre complessivi collegi plurinominali); quindi in Alto Adige avremmo due collegi anziché gli attuali tre, in cui evidentemente le componenti linguistiche verrebbero mescolate, con tutte le conseguenze del caso.
  Non mi soffermo sulle piccole regioni come la Valle d'Aosta o il Molise, che, del tutto giustamente, ricevono una soglia minima di senatori, ma in questo modo la disproporzione fra la capacità dei loro senatori di rappresentare un certo numero di Pag. 16abitanti e quella degli altri senatori aumenta.
  Se mi è consentito, farei qualche modestissima e veramente sommessa annotazione a mo’ di possibile suggerimento, ma in questa Commissione siedono autorevolissimi costituzionalisti, commissari che hanno dottorati di ricerca in diritto costituzionale o master analoghi, avvocati. Comunque, mi permetto di fare anche queste annotazioni.
  Se si trovasse il coraggio di ripensare il sistema elettorale e modificare il Rosatellum-bis, vi sarebbe una ampia scelta di possibili soluzioni che ovvierebbero quasi completamente o comunque in ampia parte a questi problemi. Se si mantiene l'impianto del Rosatellum-bis come impianto complessivo, allora, per evitare, soprattutto al Senato, queste conseguenze, una possibile via potrebbe essere quella di ridurre il numero e, quindi, ampliare le dimensioni delle circoscrizioni, che invece la proposta di legge C. 1616 non modifica.
  È chiaro che questo alla Camera è più facile, anche perché sono previste da un decreto del Presidente della Repubblica con valore legislativo e, quindi, sarebbero modificabili con legge ordinaria. Al Senato occorrerebbe, invece, intervenire sulla regola costituzionale secondo cui l'elezione è a base regionale, interpretata come ciascuna regione è circoscrizione a sé, e, quindi, prevedere che le regioni più piccole possano costituire un'unica circoscrizione, ossia prevedere un accorpamento. È chiaro comunque che, se si riducono le circoscrizioni e si amplia la loro dimensione, il numero dei collegi uninominali al loro interno può aumentare, con una migliore distribuzione tra di loro della popolazione (pur aumentata anch'essa a livello di circoscrizione).
  In alternativa, bisognerebbe modificare le attuali proporzioni di tre ottavi e cinque ottavi. Tre ottavi di eletti nei collegi uninominali e cinque ottavi di eletti nei collegi plurinominali portano a quelle conseguenze in Friuli Venezia Giulia (un unico collegio uninominale e via dicendo). Quattro ottavi e quattro ottavi? Cinque ottavi uninominali e tre plurinominali? È ovvio che poi, però, potrebbero cambiare gli equilibri politici.
  Faccio una personalissima segnalazione, che spero mi perdonerete. Sarebbe forse da ripensare qualche meccanismo del Rosatellum, al di là di queste specifiche problematiche, come la previsione della possibilità di slittamento dei seggi da un collegio all'altro o da una lista all'altra della medesima coalizione o come anche la mancata possibilità, che ho già segnalato, del voto disgiunto fra quota uninominale e quota proporzionale.
  Concludo con una segnalazione, anche questa molto sommessa, riguardo alla proposta di legge costituzionale. Benché a rigor di logica non sia esattamente lo stesso tema – il tema in discussione è il numero dei deputati e dei senatori e la precisazione molto utile sul numero complessivo dei senatori a vita – vi invito a riflettere sulla possibilità di cogliere questa opportunità per eliminare un anacronismo che, a mio modesto avviso, non trova più nessuna giustificazione. Mi riferisco alla differenza almeno di elettorato attivo. Forse per quello passivo i quarantenni possono avere una maturità e un'esperienza maggiore degli infra-quarantenni, ma certamente fra infra-venticinquenni e ultra-venticinquenni direi che oggi le differenze sono pressoché inesistenti. Sono gli uni e gli altri ancora – lo posso ben dire – presenti in università o magari nella formazione post-universitaria oppure sono gli uni e gli altri alla ricerca di lavoro, ancora presso le case dei genitori; quindi francamente una differenziazione che esclude ben sette classi di età dalla possibilità di voto per il Senato mi sembra oggi priva di razionale giustificazione. Bisogna ritoccare la Costituzione, ma, poiché vi state accingendo a porvi mano, potrebbe essere utile farlo.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANDREA GIORGIS. Ringrazio il nostro ospite. Ho trovato molto interessanti le considerazioni che ho ascoltato. Vorrei solo chiedere se è possibile tornare su un punto Pag. 17che a me sembra molto importante per i lavori che ci attendono.
  La dettagliata ricostruzione degli effetti che avrebbe una riduzione del numero dei componenti della Camera e del Senato sulla legge elettorale mi ha confermato un aspetto che noi qui abbiamo discusso, ma che poi non abbiamo approfondito come, invece, lei ci suggerisce di fare, cioè l'incidenza che ha la modificazione del numero dei componenti sulla rappresentatività e sulla forma di governo.
  Una prima considerazione potrebbe essere: questa è una riforma tutto sommato a basso impatto, si riduce un po’ il numero, in tutta Europa ci sono Parlamenti che hanno una composizione più snella, quindi di cosa stiamo discutendo? Invece, dalla ricostruzione molto precisa delle implicazioni che ci sarebbero sulla disciplina elettorale, emerge che la ridefinizione del numero dei componenti ha delle ripercussioni immediate, non solo sulla relazione tra elettore ed eletto in termini di rappresentatività, ma, ad esempio, sui risultati che si determinano e sul tipo di rappresentanza che si definisce. Se la legge elettorale non viene riconsiderata, la modifica del numero è molto impattante.
  Da qui io ho letto un suggerimento implicito a tenere ben presente che non c'è legge elettorale che venga definita senza che si assuma a priori il numero dei componenti da eleggere. Nel momento in cui si ridefinisce il numero dei componenti, occorre prestare attenzione al fatto che quella stessa legge elettorale modifica il suo modus operandi e la volontà politica e la ratio legis che caratterizzavano una legge elettorale vengono ridefinite. Quindi, ridefinendo il numero, noi in realtà stiamo riscrivendo anche la legge elettorale o stiamo riscrivendo, senza rendercene conto, gli effetti che la legge elettorale produce, in questo caso il rapporto tra dimensione maggioritaria e dimensione proporzionale. Questo è il punto.
  Quando lei ci suggerisce di riconsiderare il rapporto tra numero di deputati e numero di senatori eletti nei collegi uninominali e numero di deputati e numero di deputati e senatori eletti nei collegi plurinominali, in realtà ci sta invitando a rimettere in discussione l'equilibrio tra dimensione maggioritaria e dimensione proporzionale, un grande tema che giustamente – e io la ringrazio di questo – è sottotraccia. Mentre noi discutiamo del numero, dobbiamo anche essere consapevoli che stiamo discutendo di qualcosa di molto più rilevante e, dunque, ci sono delle innovazioni implicite che sarebbe bene discutere apertamente, dalla modifica della legge elettorale alla ridefinizione, come lei suggeriva, dell'elettorato attivo, che è un tema peraltro proposto dal Gruppo del Partito democratico, attraverso una proposta a prima firma dell'onorevole Ceccanti, che in realtà si ricollega in maniera molto stretta a questo aspetto. È utilissima questa considerazione.
  Anche il collega audito che prima è intervenuto ha fatto una considerazione che sembrava ovvia. Ci ha detto che, se si riduce il numero, ma si tiene fermo l'impianto di bicameralismo paritario, non è detto che, se si riduce una Camera, bisogna ridurre anche l'altra. Se l'impianto è bicamerale paritario, occorre fare attenzione, perché, avendo due composizioni diverse, un'eguale riduzione in termini di proporzione ha effetti, in realtà, non proporzionalmente uguali sul sistema elettorale. Anche questo è un tema da tenere bene in considerazione.

  PRESIDENTE. Do la parola al professor Troilo per la replica.

  SILVIO TROILO, Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Bergamo. Concordo soprattutto con questa segnalazione fatta dal mio collega Ferri. Ricordo – ma penso sia ben noto a tutti, certamente a lei – che, ad esempio, in Francia, dove pure è in corso di discussione una riduzione significativa del numero di deputati e senatori, comunque il numero dei senatori non è la metà dei deputati, ma è un po’ più elevato. Naturalmente bisognerebbe considerare la diversa composizione del Senato francese e il fatto che il bicameralismo sia semi-paritario; è solo un esempio. Effettivamente, se si ritenesse di Pag. 18procedere in questo senso, non vedrei effetti distorsivi nel prevedere – lo dico a puro titolo di esempio – 250 senatori e 400 deputati o addirittura 300 senatori.
  Un'obiezione potrebbe riguardare l'elezione del Presidente della Repubblica, ma, se deputati e senatori sono comunque espressione dei medesimi partiti politici e se le elezioni sono contestuali per la Camera e il Senato, non vedrei un effetto nemmeno in questo senso, anche se, come tutti sappiamo, la tradizione italiana (la tradizione repubblicana, non certo quella statutaria ai tempi dei Savoia), tranne nella primissima legislatura, come ricordate, è nel senso di prevedere un Senato formato da un numero di componenti pari alla metà dei deputati.

  IGOR GIANCARLO IEZZI. Vorrei svolgere due riflessioni rivolgendomi a tutta la Commissione, anche perché credo che siano due temi ricorrenti e che ricorreranno anche più avanti nelle discussioni.
  Mi è ben presente la problematica del Sud Tirolo e dell'Alto Adige. È evidente che con il taglio dei parlamentari e con i collegi uninominali si rischia di bocciare la minoranza italiana, perché quella che è minoranza diventa maggioranza nel collegio uninominale. C'è questa problematica e credo che una riflessione su quello vada fatta.
  Sul discorso degli italiani all'estero vorrei chiederle un parere. Lei ha fatto un discorso molto matematico più che da costituzionalista. C'è un taglio degli eletti e, quindi, ci ritroveremmo al Senato, nel collegio Africa-Asia-Oceania-Antartide con un eletto, che non sarebbe rappresentativo, secondo lei, o comunque meno rappresentativo di quanto lo fosse prima.
  Da un punto di vista matematico, questo è abbastanza ovvio ed elementare, ma io sono dell'idea che, anche se avessimo due eletti, anche se ne avessimo tre, anche se ne avessimo sei, comunque non sarebbe rappresentativo, perché parliamo di tanti italiani, sparpagliati in territori immensi, su Stati differenti, che hanno rapporti con l'Italia del tutto diversi, perché quello che abita in uno Stato ha un rapporto totalmente diverso rispetto a un altro. Pertanto, credo che il presunto problema della rappresentatività conseguente al taglio del numero dei parlamentari, che credo verrà fuori spesso nelle discussioni e negli interventi degli auditi, riguardi alla base la questione della rappresentatività degli italiani all'estero. Secondo me – lo dico proprio francamente – il problema della rappresentatività degli italiani all'estero anche adesso non c'è, nel senso che anche con il numero degli eletti attualmente c'è un problema di rappresentatività e ci dovremmo anche chiedere – però questa è una mia opinione del tutto personale – se debbano essere rappresentati. Anche questa è una discussione, ma io non credo che il taglio riduca la rappresentatività.

  PRESIDENTE. Prego, professore, può replicare.

  SILVIO TROILO, Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Bergamo. Chiarisco meglio: intendevo dire che verrebbe incrementata rispetto a oggi la diversa rappresentatività, certo calcolata matematicamente, dei senatori eletti rispetto al numero di elettori, nel senso che oggi per il collegio Europa per 2,7 milioni di italiani residenti abbiamo due senatori e con il taglio la cosa più semplice sarebbe ridurli a uno. Perché è più semplice? Perché ci sono già quattro ripartizioni del mondo: una è l'Europa, una è l'America meridionale, una è l'America settentrionale e centrale e una è il resto del mondo. La cosa più semplice, se da sei si passa a quattro senatori, potrebbe essere che tutte le ripartizioni ne eleggono uno, mentre oggi Europa e America meridionale eleggono due senatori.
  Certamente è un calcolo matematico, ma si può affermare matematicamente che ciascuno dei due senatori europei rappresenta un milione e qualcosa (la metà di 2,7 milioni), mentre in futuro uno rappresenterebbe o dovrebbe cercare di interpretare le esigenze di 2,7 milioni, e un altro di 300.000 in Asia-Africa-Oceania-Antartide. Naturalmente sono considerazioni matematiche. Da un punto di vista politico effettivamente anch'io nutro seri dubbi sulla capacità – lo dico col massimo rispetto, se ce Pag. 19ne fosse qualcuno presente – dei deputati e dei senatori eletti in rappresentanza degli italiani all'estero, perché è un compito veramente difficile da svolgere con numeri così esigui. Sarebbe già molto complicato con numeri più elevati.
  Non intendo dire che un senatore in meno modifichi la capacità di rappresentare, ma si modificano le proporzioni. Se ci fosse il voto plurimo, cioè se lo stesso senatore potesse votare alzando la mano più volte o premendo più volte il pulsante elettronico. Teoricamente il senatore unico eletto in Europa dovrebbe votare molte più volte, nove volte in più, di quello eletto in Africa-Asia-Oceania. Siccome non è possibile, avremmo questo problema, che comunque non è forse il problema più grave in assoluto, ma sapete che i professori universitari sono un po’ pignoli e si appuntano anche le piccole cose.

  PRESIDENTE. Avverto che il professor Troilo ha messo a disposizione della Commissione una memoria, di cui autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 2). Ringrazio il professore e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.40.

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ALLEGATO 2

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