CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 3 dicembre 2020
486.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Cultura, scienza e istruzione (VII)
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

5-05113 Frassinetti ed altri: Sui docenti precari delle istituzioni AFAM che hanno prestato servizio nei corsi di base o preaccademici.

TESTO INTEGRALE DELLA RISPOSTA

  La legge n. 205 del 2017 – che disciplina le modalità di accesso alle graduatorie nazionali per l'attribuzione di incarichi nelle istituzioni AFAM – non annovera il servizio prestato nei corsi «di base» o «pre-accademici», oggi divenuti propedeutici in base all'articolo 15, comma 5, del decreto legislativo n. 60 del 2017.
  La ratio di tale esclusione risiede, evidentemente, nella considerazione che, ai fini di una operazione di «stabilizzazione», l'accesso alle graduatorie deve necessariamente dipendere dal possesso di una sufficiente qualificazione didattica, che si assume posseduta da chi ha insegnato per un significativo numero di anni al medesimo livello previsto per il ruolo cui concorre.
  È necessario ricordare, a tal riguardo, che i corsi «pre-accademici» sono corsi che, per loro natura, sono orientati a fornire agli studenti una formazione finalizzata all'ingresso ai corsi dell'Alta Formazione Musicale, in quanto rivolti ad alunni iscritti alla scuola media e alla scuola secondaria superiore.
  Va detto chiaramente, dunque, che sulla base della normativa vigente in tema di reclutamento non risulta possibile procedere alla stabilizzazione dei docenti precari che hanno prestato servizio nei corsi «pre-accademici» o propedeutici, poiché l'attuale quadro normativo non prevede l'esistenza di cattedre di ambito pre-accademico o propedeutico nelle dotazioni organiche delle Istituzioni AFAM.
  Il Ministero, essendo ben consapevole della problematica in argomento, sta lavorando attivamente affinché, attraverso un necessario percorso di riforma, possa darsi una prospettiva ai precari «pre-accademici»: a tal fine, infatti, come necessaria «precondizione» di qualsivoglia intervento, il Ministero ha promosso, nel DDL bilancio, un importante ampliamento degli organici, che potrà mettere le basi per inserire successivamente nella dotazione organica delle istituzioni le cattedre relative ai corsi propedeutici.
  Ciò, tuttavia, potrà avvenire solo dopo che il contratto collettivo, con il previo accordo con le rappresentanze sindacali, abbia previsto una apposita fascia di docenza per i corsi «pre-accademici»: in esito a ciò si potrà, dunque, immaginare una norma per la stabilizzazione dei docenti precari dei corsi pre-accademici.
  In conclusione, desidero far presente che tale prospettiva potrà essere favorita dal processo di riforma delle istituzioni AFAM che si è attivato, immediatamente dopo l'istituzione del Ministero dell'università e della ricerca, per volontà del Ministro Manfredi. Al riguardo i primi passi sono già evidenti nelle previsioni dell'attuale legge di bilancio nonché nell'attivazione presso il Ministero di un Tavolo tecnico che si pone come obiettivo quello di formulare proposte concrete e fattive volte al rinnovamento dell'intero sistema dell'alta formazione artistica, coreutica e musicale. In tale contesto troverà sicuramente il suo posto anche la questione del corretto inquadramento e regolamentazione dei corsi base o pre-accademici la cui valenza è ben nota a questo dicastero.

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ALLEGATO 2

5-05114 Melicchio ed altri: Sul personale precario dell'Istituto nazionale di fisica nucleare.

TESTO INTEGRALE DELLA RISPOSTA

  Ringrazio gli onorevoli interroganti poiché con il loro quesito mi permettono di informare che il Ministero sta seguendo con particolare attenzione, proprio in queste settimane, il tema del precariato degli enti di ricerca in merito al quale sta svolgendo, attraverso i propri uffici, una attenta mappatura del fenomeno.
  In questo contesto, con particolare riferimento allo specifico quesito posto – e, dunque, con riguardo all'INFN – possono dunque fornirsi i seguenti elementi informativi, che sono stati prodotti direttamente dall'ente.
  A seguito dell'entrata in vigore dell'articolo 20 del decreto legislativo 25 maggio 2017 n. 75, il Consiglio Direttivo dell'INFN, in data 27 luglio 2018, ha approvato la graduatoria e disposto la relativa assunzione di 94 unità di personale tecnico amministrativo e di 76 unità di personale ricercatore e tecnologo.
  Il costo totale di tali stabilizzazioni, pari a 7.665.000 euro, è stato finanziato, a partire dal 2019, per 4.400.000 euro da un finanziamento straordinario del MIUR e, mentre per i restanti 3.265.000 euro, esso grava sul bilancio dell'Ente.
  A seguito del decreto-legge 29 ottobre 2019 n. 126, articolo 6, comma 1, così come modificato dalla legge di conversione n. 159 del 20 dicembre 2019 che ha definito nuovi e differenti requisiti di partecipazione alle procedure per il superamento del precariato, l'Ente, con delibera del 31 gennaio 2020, ha avviato le procedure per il superamento del precariato del personale nei profili di tecnici, amministrativi, tecnologi e ricercatori, stabilendo che tali procedure sarebbero state effettuate, con priorità per il personale in servizio alla data del 22 giugno 2017.
  In relazione a questa seconda finestra di stabilizzazione, essendo i dati pervenuti ancora in via di consolidamento, ho voluto chiedere, questa mattina, agli Uffici del Ministero una verifica puntuale sugli stessi, in esito alla quale sarà mia cura informare gli Onorevoli interroganti anche attraverso un ulteriore atto ispettivo sull'argomento.
  Dal quadro rappresentato dall'Ente emerge, dunque, la presenza di ulteriori costi – rispetto alla sola partita stipendiale – connessi alla stabilizzazione del personale in questione che gravano sui bilanci degli enti di ricerca.
  Tanto premesso, tenuto conto della complessità della questione, è intendimento del Ministero individuare un percorso che, pur in coerenza con la particolare autonomia di tali enti, possa portare ad un giusto equilibrio tra le legittime aspirazioni del personale della ricerca e l'interesse pubblico a garantire la piena funzionalità degli enti, a beneficio dello sviluppo e del progresso delle attività di ricerca.
  In tale percorso siamo certi che, anche grazie alle sollecitazioni del Parlamento, si possano individuare non solo le più idonee soluzioni di merito ma anche le risorse economiche necessarie a completare il cennato quadro di stabilizzazioni ed a garantire, al contempo, la sostenibilità dei bilanci degli enti, ai quali il Paese chiede, con sempre maggiore sollecitudine, un contributo essenziale per il proprio progresso materiale, sociale ed economico: sostenibilità che, è bene rammentare, serve anche a tutela del personale già in servizio presso gli stessi enti.

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ALLEGATO 3

5-05115 Belotti ed altri: Sulle attività di ricerca dei dottorandi durante la pandemia.

TESTO INTEGRALE DELLA RISPOSTA

  Va detto subito che il Governo si è fatto carico della problematica della proroga dei dottorati fin da subito, promuovendo una specifica misura nell'ambito del c.d. decreto rilancio, proprio in ragione delle limitazioni conseguenti alla crisi epidemiologica in atto alle quali fa riferimento l'onorevole interrogante.
  Prima di valutarne le ulteriori applicazioni, declinate al rinnovato contesto emergenziale in corso atto, occorre soffermarsi, preliminarmente, sull'impatto che tale misura ha avuto in modo da poterne valutare l'efficacia.
  Infatti, secondo i dati ottenuti dal monitoraggio dei dottorandi con borsa di studio, inseriti nell'Anagrafe nazionale degli studenti (ANS), appartenenti al 33° ciclo (2017-2018), che hanno già richiesto la proroga bimestrale e che avrebbero terminato il ciclo nell'anno accademico 2019/2020, risulta che hanno richiesto la proroga solo 4.565 unità che rappresentano circa il 63 per cento del totale, pari a 7.258 unità.
  Il Ministero è conscio del fatto che la prosecuzione dello stato di emergenza ha fatto sorgere la necessità di un'ulteriore proroga, non solo per i dottorandi ma anche per le altre misure messe in atto per fronteggiare la crisi. Tuttavia, si è valutato che la scelta migliore fosse quella di attendere i dati relativi alla prima proroga in modo da poter calibrare la misura ed evitare sprechi, atteso che, naturalmente, non tutti i dottorandi nutrono il medesimo interesse o la medesima necessità nei confronti di una proroga.
  Dunque, sulla base di quanto emerso, è in corso presso gli uffici del Ministero, proprio in questi giorni, l'individuazione delle iniziative necessarie che possano consentire una ulteriore proroga a coloro i quali hanno aderito alla prima: misura, questa, che lungi dal risultare insufficiente, ha, come dimostrano i dati sopra menzionati, assicurato l'opportunità della proroga a tutti coloro che ne hanno fatto richiesta.
  In relazione alla scelta di prevedere il beneficio per i soli dottorandi del 35° ciclo, bisogna tenere presente che essa risulta assolutamente ragionevole, atteso che ci si sta riferendo ai titolari di borsa di dottorato che avrebbero dovuto concludere il percorso nell'anno accademico 2019/2020 e che, quindi, possono aver ricevuto un pregiudizio nella prosecuzione dell'attività di ricerca nel momento più significativo – ovvero quello coincidente alla conclusione ed alla definizione della tesi.
  Per i dottorandi dei cicli successivi, dunque, è ragionevole valutare la necessità di una proroga, ed eventualmente di calibrarla, al momento opportuno, sia in relazione all'eventuale protrarsi dello stato di emergenza sia per quanto riguarda ulteriori misure per il recupero delle attività perdute.
  Infine, colgo l'occasione per portare all'attenzione degli onorevoli interroganti, che per i «Dottorati innovativi a caratterizzazione industriale» finanziati a valere del Pon Ricerca e Innovazione 2014-2020, il Ministero ha predisposto una apposita Circolare, recante le modalità di svolgimento relative a periodo estero e impresa in smartworking, grazie alla quale si è reso possibile coordinare le modalità di svolgimento di questi dottorati con le limitazioni poste in essere per fronteggiare la pandemia.

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ALLEGATO 4

5-05116 Toccafondi: Sul Polo scientifico e tecnologico di Sesto Fiorentino.

TESTO INTEGRALE DELLA RISPOSTA

  Il Polo scientifico e tecnologico di Sesto Fiorentino costituisce, al contempo, un centro universitario di prestigio e un luogo di ricerca di valore internazionale.
  In esso, infatti, trovano collocazione le sedi dei dipartimenti di Fisica e astronomia, di Chimica, di Neuroscienze, Psicologia, Area del Farmaco e Salute del Bambino, di Biologia, di Scienze delle Produzioni Agroalimentari e dell'ambiente dell'Università di Firenze così come vi risiede l'Incubatore Universitario Fiorentino (IUF).
  Per ciò che concerne in particolare le attività di ricerca, nel cosiddetto «Campus Scientifico» trovano sede la Sezione di Firenze dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare che, grazie ad una collaborazione periodicamente rinnovata, collabora strettamente con il Dipartimento di Fisica dell'Università sia per quanto riguarda la didattica, sia per ciò che concerne la ricerca. L'edificio che ospita i laboratori dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, è anche sede del Laboratorio di Tecniche Nucleari per l'Ambiente ed i Beni Culturali.
  Anche il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) ha al suo interno un'Area di Ricerca con numerosi laboratori e infrastrutture afferenti a diversi dipartimenti del Consiglio.
  Nel Polo ha sede altresì il laboratorio europeo di spettroscopia non lineare, definito anche LENS, centro di ricerca interdisciplinare italiano istituito nel 1991 presso l'Università di Firenze che, ad oggi, rappresenta un punto di riferimento a livello europeo per la ricerca nel campo dell'ottica basata su un approccio multidisciplinare alla fisica fondamentale.
  E, ancora, ritroviamo nel Polo scientifico il Laboratory for Genomics and Post Genomics (GENEXPRESS) che, come laboratorio della sezione di genetica agraria dell'Università di Firenze, ospita e promuove attività di ricerca, progetti di genomica e post genomica, con particolare attenzione alle applicazioni in agricoltura e ambiente.
  Nel Polo pertanto, coesistono e collaborano in stretta sinergia le più importanti componenti pubbliche del sistema universitario e della ricerca.
  La concentrazione di competenze scientifiche, di attività di ricerca e di didattica rappresenta, dunque, una realtà sulla quale il Ministero da sempre ha inteso investire.
  Tra gli investimenti più recenti sono, infatti, da menzionare le risorse destinate al LENS che riceve un finanziamento di 700 mila euro attraverso l'Università di Firenze e un ulteriore finanziamento annuale di 400 mila euro, tramite il Consiglio Nazionale delle Ricerche.
  Così come è utile menzionare un importante investimento per il Centro di Risonanze Magnetiche (CERM), che è destinatario di un finanziamento di 2 milioni di euro, grazie al quale si è reso possibile, fra l'altro, installare lo strumento di risonanza magnetica nucleare più moderno e potente a livello mondiale.
  Inoltre, la collaborazione fra il LENS e l'Area di ricerca del CNR sta dando luogo alla concreta realizzazione di investimenti di 3,5 milioni di euro per la costruzione dell'infrastruttura di Simulazione Quantistica-PASQUA anche con l'obiettivo di rendere più competitivo il Polo di Sesto Fiorentino nell'intercettare le ingenti risorse messe a disposizione dall'Unione europea con il Programma Digital Europe.
  Sulla base delle suesposte informazioni, si vuole, in conclusione, attestare Pag. 55quanto il Governo e il Ministero, pur nel rispetto dell'autonomia riconosciuta dalla legge alle Università e agli Enti di ricerca, intendano valorizzare quella che rappresenta la mission nonché l'obiettivo principale di tutte le attività espletate all'interno di questo Polo – che si auspica, possa a livello territoriale, trovare la medesima considerazione da parte degli enti deputati a mantenerne l'eccellenza sotto tutti gli altri aspetti non strettamente pertinenti alla competenza del Governo centrale.

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ALLEGATO 5

5-05117 Fusacchia: Sulle attività di ricerca di docenti, ricercatori, dottorandi e studenti di area umanistica durante la pandemia.

TESTO INTEGRALE DELLA RISPOSTA

  Con il suo quesito l'onorevole interrogante tocca un argomento su cui il Ministero è al lavoro proprio in questi giorni.
  È noto a tutti come le misure restrittive che hanno doverosamente coinvolto in questo anno anche il mondo dell'università e della ricerca abbiano richiesto l'adozione di misure speciali affinché non si determinassero pregiudizi né per l'attività formativa e della didattica né per il prosieguo dell'attività di ricerca.
  La capacità di risposta di questo «mondo» – che ha già nel suo patrimonio genetico la naturale inclinazione all'innovazione – è sotto gli occhi di tutti: con sempre maggiore soddisfazione si registrano quotidianamente, infatti, sia i risultati della «riconversione» della didattica universitaria in DAD sia i progressi della ricerca scientifica e tecnologica – che sta continuando a dare lustro al nostro paese.
  Il tema sollevato dall'onorevole interrogante tocca, tuttavia, un ambito che è risultato particolarmente condizionato dalle predette misure restrittive e che abbisogna tuttora di misure specifiche per essere tutelato.
  Voglio comunque innanzitutto ricordare che, grazie all'elevata risposta organizzativa dei nostri atenei, già immediatamente dopo il primo lockdown e a tutt'oggi si è reso possibile rendere in buona parte fruibili i principali «luoghi della ricerca»: a titolo di esempio, mi piace rimarcare, infatti, che si è reso possibile tenere aperte le biblioteche universitarie anche quando i DPCM prevedevano la chiusura delle biblioteche, dei musei e degli altri luoghi di cultura.
  Cionondimeno la particolare condizione di chi svolge attività di ricerca negli ambiti delle discipline umanistiche – le quali, più di altre, necessitano della consultazione di fonti e risorse (non solo bibliografiche) non accessibili da remoto – ha spinto il Ministero dell'università e della ricerca a farsi promotore di misure specifiche quali, ad esempio, la proroga dei corsi di dottorato e degli assegni di ricerca (mi riferisco alle misure introdotte con il c.d. Decreto rilancio) di cui ne hanno beneficiato, come risulta dai dati in nostro possesso, gli operatori di tali settori scientifico-disciplinari.
  Ebbene, proprio in questi giorni, alla luce del protrarsi dell'emergenza epidemiologica, il Ministero sta valutando le ulteriori possibili iniziative, sia di natura amministrativa che normativa, per assicurare continuità all'attività di ricerca – in particolare – dei dottorandi, ai quali, in ragione delle peculiarità di taluni settori scientifici, è resa più gravosa la conclusione del percorso di ricerca.
  Sul punto specifico richiamo ad altra Interrogazione illustrata in questa sede.
  La stessa attenzione sarà, inoltre, rivolta in sede di adozione del prossimo DPCM – la cui definizione è prevista proprio per oggi – essendo intendimento del Ministero individuare un ulteriore, migliore punto di equilibrio tra le indefettibili esigenze di sicurezza sanitaria e l'interesse a rendere più fruibili, con mirati interventi, gli spazi della ricerca, a beneficio, in particolare, dei «ricercatori» delle materie umanistiche.

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ALLEGATO 6

5-05118 Piccoli Nardelli ed altri: Sull'esistenza o meno di obblighi di residenza nella sede universitaria gravanti sui docenti universitari.

TESTO INTEGRALE DELLA RISPOSTA

  Desidero ringraziare gli onorevoli interroganti poiché con il loro quesito consentono di fare chiarezza su una disposizione molto significativa, approvata dal Parlamento in sede di conversione del c.d. decreto semplificazioni, e, dunque, attualmente in fase di prima applicazione.
  Gli interroganti correttamente riferiscono che con l'articolo 19, comma 1-ter del decreto-legge 76/2020, si è provveduto ad abrogare l'articolo 7 della legge n. 311 del 1958, che ancora prevedeva l'obbligo di residenza per i professori universitari nella località sede dell'università.
  La disposizione legislativa espressamente abrogata con tale recente intervento del Parlamento era, invero, meramente riproduttiva di una più risalente norma di legge (l'articolo 86 del Regio decreto n. 1592 del 1933) di cui riportava meri adeguamenti formali e lessicali in ragione del radicale mutamento ordinamentale intervenuto a seguito dell'entrata in vigore della Costituzione – che, come noto, alle Università (e altre istituzioni di alta cultura) ha riservato un particolare regime di autonomia.
  Tanto premesso, venendo subito al punto, è corretto ritenere che per effetto della recente abrogazione dell'articolo 7 della legge n. 311 del 1958, si sia determinato l'effetto abrogativo tacito anche della più risalente norma di legge del 1933.
  Tali disposizioni, infatti, per quanto adottate in contesti istituzionali diversi, hanno regolato nel medesimo modo la stessa fattispecie.
  A riprova della identità del contenuto normativo delle due disposizioni soccorre, infatti, una piana rilettura delle stesse, le quali articolano allo stesso modo non solo il precetto normativo di fondo (l'obbligo di residenza) ma anche l'ipotesi subordinata di deroga a tale principio (la possibilità di «autorizzazione in deroga» da parte del Rettore).
  Sulla base di quanto detto, tenuto conto dell'effetto normativo innovativo determinato dall'abrogazione della più recente disposizione contenente il principio di cui si parla, ne discende agevolmente l'applicazione del meccanismo di abrogazione tacita, come indicato dall'articolo 15 delle c.d. preleggi.
  Va peraltro rammentato che l'esigenza di abrogazione delle cerniate disposizioni discende – anche e soprattutto – dalla volontà di armonizzare la disciplina inerente lo stato giuridico dei professori universitari a quella degli altri pubblici dipendenti (per i quali si era già provveduto ad abrogare simili disposizioni), nonché di rendere la normativa primaria coerente sia con quella comunitaria in tema di libera circolazione (direttiva 2004/38/CE), sia con i principi costituzionali di cui all'articolo 3 in tema di disparità di trattamento fra dipendenti pubblici, e con quelli di cui all'articolo 16 in tema di libertà di soggiorno dei cittadini.