FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1524

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
DORI, D'ORSO , PIERA AIELLO, ASCARI, BARBUTO, BUSINAROLO, CATALDI, DI SARNO, DI STASIO, GIULIANO, PALMISANO, PERANTONI, SAITTA, SALAFIA, SARTI, SCUTELLÀ

Modifiche al codice penale, alla legge 29 maggio 2017, n. 71, e al regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, in materia di prevenzione e contrasto del fenomeno del bullismo e di misure rieducative dei minori

Presentata il 23 gennaio 2019

torna su

  Onorevoli Colleghi! — La presente proposta di legge ha l'obiettivo di favorire la precoce emersione del disagio giovanile, nonché di introdurre misure che possano adeguatamente prevenire e contrastare episodi riconducibili, in particolare, al fenomeno del bullismo in tutte le forme in cui esso si estrinseca, compreso il cosiddetto bullismo informatico o «cyberbullismo».
  L'ispirazione di fondo è quella di promuovere, prima di tutto, interventi di carattere preventivo che tengano in particolare considerazione la valorizzazione di percorsi educativi e rieducativi personalizzati rivolti non solo ai soggetti responsabili di illeciti, ma anche agli autori di condotte che, sebbene non ancora qualificabili come illecito, esprimano aggressività contro persone, animali o cose.
  Gli episodi di bullismo, così come il fenomeno della devianza minorile perpetrata in gruppo (nel mondo anglosassone individuato con il termine «baby-gang»), sono caratterizzati, infatti, da una consistenza e da una frequenza sempre più preoccupanti.
  Il bullismo come fenomeno sociale e deviante è stato oggetto di studio tra i vari esperti solo a partire dalla seconda metà del XX secolo nei Paesi scandinavi e, a partire dagli anni settanta, anche nei Paesi anglosassoni, in particolare in Gran Bretagna e in Australia.
  Per gli studiosi non esiste una definizione univoca di bullismo, sebbene ne siano state proposte diverse.
  Uno dei primi studi si deve alle indagini di Dan Olweus a seguito di una forte reazione dell'opinione pubblica norvegese dopo il suicidio di due studenti non più in grado di tollerare le ripetute offese inflitte da alcuni loro compagni. Secondo lo psicologo norvegese: «Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovverosia è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto ripetutamente, nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni». Le altre definizioni accreditate, a livello internazionale, sono quelle elaborate dagli psicologi inglesi Sonia Sharp e Peter Smith, per i quali il bullismo è: «Un tipo di azione che mira deliberatamente a fare del male o a danneggiare; spesso è persistente, talvolta dura per settimane, mesi e persino anni, e per coloro che ne sono vittime è difficile difendersi. Alla base dei comportamenti sopraffattori c'è un abuso sistematico di potere e un desiderio di intimidire e dominare».
  Secondo l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura (UNESCO), uno studente è vittima di bullismo quando subisce, in maniera intenzionale e ripetuta nel tempo, comportamenti aggressivi mirati a provocargli danni e sofferenze, fisicamente o psicologicamente (vittimizzazione), attraverso contatti fisici inopportuni, violenza verbale, aggressioni o manipolazione psicologica.
  Le azioni vessatorie attraverso cui il bullismo si manifesta possono essere classificate in dirette e indirette. Il bullismo diretto si caratterizza per l'attacco frontale; in quello indiretto, invece, manca il contatto fisico. Le azioni dirette possono così consistere in offese o minacce volte a svilire la vittima provocando in essa sofferenza e vergogna, mentre le azioni indirette sono finalizzate a diffamare con pettegolezzi e calunnie o a escludere la vittima dal gruppo dei pari.
  Le caratteristiche fondamentali di tale comportamento sono quindi: a) l'intenzionalità, data da un'azione consapevole e spesso premeditata, con il preciso intento di arrecare danno alla vittima; b) la persistenza, poiché l'interazione tra i soggetti non si esaurisce in un singolo episodio, ma si snoda in una serie di aggressioni reiterate nel tempo; c) l'asimmetria nella relazione, ossia lo squilibrio di forze, dovuta sia alle caratteristiche psico-fisiche individuali, sia al fatto che l'agente gode della complicità – o comunque dell'approvazione passiva – del gruppo, mentre la vittima soffre di una situazione di isolamento; d) la dislocazione in un preciso contesto sociale, in particolare nel contesto scolastico.
  Una violenza che, con l'avvento di internet, ha trovato nuovi mezzi per essere ancora più invasiva, facendo emergere un altro fenomeno legato al bullismo, anche in questo caso diffuso soprattutto fra i giovani, il cosiddetto «cyberbullismo».
  Il cyberbullismo può essere considerato una particolare e aggravata forma di bullismo commesso tramite l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. In particolare, esso consiste nell'invio di messaggi offensivi, insulti o contenuti umilianti tramite messaggi telefonici e posta elettronica, diffusi in chat o nelle reti sociali (social network). Un aspetto che differenzia il cyberbullismo dal bullismo tradizionale consiste nella natura indiretta delle prepotenze attuate in rete, in quanto non sussiste un contatto diretto tra la vittima e l'aggressore nel momento in cui gli oltraggi vengono compiuti. Il cyberbullismo si caratterizza rispetto al bullismo per la sensazione di deresponsabilizzazione da parte dell'autore del fatto a motivo del filtro costituito dal web, che non dà l'immediata percezione della gravità del danno procurato alla vittima. In particolare le comunità virtuali, oltre a garantire l'illusione dell'anonimato, tendono a spersonalizzare i rapporti, riducendo ogni possibile empatia tra la vittima e il persecutore. Considerate le caratteristiche pervasive e diffusive della comunicazione virtuale, le offese divulgate attraverso la rete internet sono in grado di raggiungere una molteplicità di persone contemporaneamente e di essere trasferite dall'una all'altra potenzialmente all'infinito, amplificando notevolmente la gravità e la natura dell'attacco oltraggioso. Venendo ai dati statistici, da quanto emerge dal giornale social «Noisiamofuturo», nell'ambito scolastico, nel 2017 si sono verificati 207 episodi di violenza, di cui il 40 per cento subìti anche on line.
  I dati erano allarmanti già nel 2013-2014, periodo in cui l'associazione «Telefono Azzurro» aveva calcolato che, su 3.330 consulenze sui problemi dei giovani, il 14,6 per cento dei soggetti aveva affermato di essere stato vittima di bullismo.
  Nel 2014, secondo l'indagine «Osservatorio adolescenti» promossa dalla stessa associazione «Telefono Azzurro» e rivolta a un campione di 1.500 studenti di età compresa tra undici e diciannove anni, il 34 per cento dei ragazzi ha affermato di aver subìto atti di bullismo.
  Dall'ultimo rapporto dell'ISTAT del 15 dicembre 2015 (con riferimento all'anno 2014) è emerso che il 50 per cento dei ragazzi tra undici e diciassette anni «riferisce di essere rimasto vittima di un qualche episodio offensivo o violento».
  Secondo quanto si rileva dal rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese/2016 (del 2 dicembre 2016), il 52,7 per cento dei ragazzi tra undici e diciassette anni, nel corso dello stesso 2016, ha subìto comportamenti offensivi, non rispettosi o violenti da parte di coetanei. La percentuale sale al 55,6 per cento tra le ragazze e al 53,3 per cento tra i ragazzi più giovani di 11-13 anni. Quasi un giovane su cinque (19,8 per cento) è oggetto di questo tipo di soprusi almeno una volta al mese, un'eventualità più ricorrente tra i giovanissimi (22,5 per cento). Su internet sono le ragazze a essere oggetto in misura maggiore degli attacchi dei coetanei cybernauti (24,9 per cento).
  Il 47,5 per cento degli oltre 1.800 dirigenti scolastici interpellati dal Censis indica i luoghi di aggregazione giovanile come quelli in cui si verificano più frequentemente episodi di bullismo, poi il percorso tra la casa e la scuola (34,6 per cento) e la scuola medesima (24,4 per cento). Ma è sul web che il bullismo trova ormai terreno fertile, secondo il 76,6 per cento dei soggetti intervistati. Nel corso della propria carriera, il 75,8 per cento dei dirigenti scolastici si è trovato a gestire casi di bullismo.
  Per l'80,7 per cento dei dirigenti scolastici, i genitori tendono a minimizzare, qualificando tali episodi come «scherzi» tra ragazzi, quando sono i loro figli a essere coinvolti in episodi di bullismo, e solo l'11,8 per cento segnala atteggiamenti collaborativi da parte delle famiglie, a seguito della richiesta di aiuto della scuola e degli insegnanti. Il 51,8 per cento dei dirigenti ha organizzato incontri con i genitori sulle insidie del web, avvalendosi prevalentemente del supporto delle Forze di polizia (69,4 per cento) e di psicologi od operatori delle aziende sanitarie locali (49,9 per cento).
  Nonostante l'impegno delle scuole, non vi è stata un'equivalente risposta delle famiglie, la cui partecipazione è risultata bassa nel 58,9 per cento dei casi, media nel 36 per cento e alta in un marginale 5,1 per cento di scuole. Davanti a tali fenomeni i genitori restano spesso impotenti, ignorando in molti casi gli strumenti d'intervento più adeguati. Per contrastare il fenomeno del bullismo e del cyberbullismo è essenziale il rafforzamento del ruolo educativo dei genitori, che, con i loro comportamenti, costituiscono un modello per i figli.
  I dati raccolti dimostrano, dunque, come il fenomeno del bullismo e della violenza in genere, soprattutto tra gli adolescenti, sia diffuso e in preoccupante crescita: pertanto è necessaria e urgente una particolare attenzione da parte delle famiglie, delle istituzioni, soprattutto quelle scolastiche, e di tutti gli altri attori sociali tramite la messa in opera di nuovi strumenti sul piano sia della prevenzione sia della repressione. Si sta abbassando sempre più l'età nella quale si commettono azioni che, seppur non gravi in sé, sono l'anticamera di comportamenti che, in futuro, potrebbero sfociare nella delinquenza.
  Secondo quanto appare dagli ultimi recenti fatti di cronaca, il fenomeno assume anche nuove forme: interessa diversi ambienti sociali anche extrascolastici e sono numerosi, ormai, gli episodi dei quali rimangono vittime anche persone adulte, tra cui gli stessi docenti. Un'altra realtà preoccupante è rappresentata dalla diffusione di comunità virtuali create tra genitori, spesso con lo scopo di scaricare sulla scuola la responsabilità degli esiti negativi dei comportamenti dei propri figli.
  A fronte di questa situazione si rileva che, sotto il profilo penalistico, non esiste attualmente una disposizione normativa idonea a comprendere e, conseguentemente, a sanzionare tutte le forme di bullismo penalmente rilevanti.
  La giurisprudenza di legittimità sino ad oggi chiamata a giudicare alcuni recenti episodi, in assenza di una specifica norma penale incriminatrice, ha inteso, generalmente, sussumere tali condotte illecite nell'ambito del reato di atti persecutori (cosiddetto «stalking») di cui all'articolo 612-bis del codice penale (Cassazione penale, sezione V, sentenza n. 28623 dell'8 giugno 2017).
  Infatti, le condotte sono accomunate, oltre che dalla serialità delle vessazioni, dall'alterazione delle condizioni di vita della vittima, unitamente all'accertato stato di ansia e di paura per la propria incolumità fisica.
  Tuttavia, l'attuale fattispecie del reato di atti persecutori non risulta sufficiente per contrastare con fermezza la diffusione di quelli che sembrano essere diventati, tra i nostri più giovani cittadini, dei veri e propri modelli comportamentali negativi, connotati da un forte spirito di prevaricazione e di aggressività.
  Vi è altresì da aggiungere che, nonostante il recente intervento in materia operato dalla legge 29 maggio 2017, n. 71, la tutela predisposta non appare sufficiente, in quanto è stata introdotta una disciplina finalizzata alla prevenzione del solo fenomeno del cyberbullismo in ambito scolastico e per la tutela delle sole vittime minorenni, senza però incidere sul profilo penalistico.
  Deriva da ciò la necessità di apportare modifiche al primo comma dell'articolo 612-bis del codice penale, per comprendervi espressamente tutte le condotte attraverso le quali il bullismo può concretamente estrinsecarsi, così che sia possibile perseguire gli atti di cyberbullismo mediante il vigente secondo comma del medesimo articolo 612-bis, che consente di qualificare il cyberbullismo come forma aggravata del bullismo.
  D'altronde, gli ultimi fatti di cronaca relativi a spiacevoli episodi di bullismo e di cyberbullismo hanno lasciato sbigottita l'intera collettività rendendola più consapevole delle devastanti conseguenze fisiche e psichiche di tali illecite pratiche sulla vittima, a volte indotta persino al suicidio. Ecco perché alcuni comportamenti non possono essere tollerati, ma vanno fermamente contrastati in una società che voglia far valere concretamente i princìpi e i valori costituzionali della libertà, dell'eguaglianza e della solidarietà sociale.
  Quest'iniziativa legislativa mira, pertanto, da una parte, a colmare una lacuna ordinamentale che non può continuare a persistere, considerate la gravità e la diffusione che certe forme di bullismo stanno assumendo negli ultimi anni: per altro verso, essa si propone di lanciare un'operazione culturale rivolta ai soggetti di minore età. Questi ultimi devono essere resi edotti del fatto che alcune condotte integrano un fatto di reato connotato da un grave disvalore sociale.
  In questo quadro, il ruolo delle famiglie e della scuola deve essere centrale. Da una parte, le famiglie, consapevoli della gravità di questi fenomeni, devono adempiere in maniera responsabile ai loro obblighi educativi; in questo senso la presente proposta di legge potrebbe considerarsi anche attuazione del principio contenuto nell'articolo 30 della Costituzione, là dove pone a carico dei genitori il dovere, e non solo il diritto, di educare i propri figli. Dall'altra parte, la scuola deve essere sostenuta nella sua azione educativa da strumenti normativi chiari e facilmente applicabili. A tale fine, al dirigente scolastico è attribuito l'obbligo di segnalare alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni le situazioni nelle quali i comportamenti degli studenti iscritti all'istituto scolastico siano riconducibili ai fenomeni del bullismo o del cyberbullismo.
  La presente proposta di legge è composta da sei articoli.
  All'articolo 1 si prevedono modifiche all'articolo 612-bis del codice penale, relativo al delitto di atti persecutori. Innanzitutto, con le modifiche al primo comma dell'articolo 612-bis, si incide sull'elemento oggettivo del fatto di reato per estendere l'area della punibilità dello stesso delitto a forme di bullismo che ad oggi vi sfuggono, ossia alle condotte di aggressione, attuate mediante percosse, ingiuria, diffamazione, umiliazione ed emarginazione. La nuova formulazione – rispetto a quella vigente pensata originariamente per la tutela soprattutto della libertà morale delle vittime di molestie insistenti – consente di perseguire le specifiche condotte vessatorie di bullismo per la tutela dei beni giuridici dell'incolumità fisica, psichica, dell'onore e della reputazione della vittima, oltre che della sua libertà morale. Con l'introduzione di ulteriori condotte, direttamente riconducibili al fenomeno del bullismo, nel primo comma dell'articolo 612-bis del codice penale, anche le condotte riconducibili al cyberbullismo ottengono conseguente copertura penalistica mediante il vigente secondo comma del medesimo articolo, che prevede una circostanza aggravante se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.
  Nel vigente terzo comma dell'articolo 612-bis, in aggiunta a quelle attuali, si introducono due ulteriori circostanze aggravanti – connesse in modo significativo ai fenomeni in esame – con la previsione dell'aumento della pena fino alla metà: a) quando i fatti sono commessi da tre o più persone; b) quando i fatti sono commessi con finalità discriminatorie.
  Da una parte, si vuole reprimere più duramente coloro che, facendosi forti del sostegno del gruppo e sfruttando la superiorità numerica rispetto alla vittima, riescono più agevolmente a emarginare la stessa privandola della possibilità di reagire a tali atti di prevaricazione, dal punto di vista sia psicologico sia fisico; da un'altra parte, si intende stigmatizzare più severamente le condotte commesse con il solo fine di discriminare. Inoltre, la presente proposta di legge, con l'introduzione di un ulteriore comma nell'articolo 612-bis, prevede, in un'ottica rieducativa e riparativa, l'applicazione della circostanza attenuante, con diminuzione della pena fino alla metà, per i soggetti minori di età che abbiano acquisito consapevolezza del grave disvalore della propria condotta e si siano adoperati spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze della propria condotta illecita attraverso un fattivo impegno volto, ad esempio, a far emergere l'illecito all'interno del proprio contesto di riferimento quale la scuola, l'oratorio, la palestra o altri luoghi.
  Nell'articolo 2 si introduce una modifica all'articolo 731 del codice penale, riguardante l'obbligo dei genitori o degli esercenti la responsabilità genitoriale di impartire o far impartire ai figli l'istruzione obbligatoria, ampliando l'ambito di applicabilità della fattispecie contravvenzionale all'intero periodo di istruzione obbligatoria e aumentando la pena. Contrastando la dispersione scolastica è infatti possibile intercettare anche mediante la scuola il disagio giovanile che successivamente potrebbe sfociare in atteggiamenti antisociali.
  All'articolo 3 della presente proposta di legge si prevede, invece, di apportare alcune modifiche alla legge 29 maggio 2017, n. 71, recante disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo. In particolare, si propone di modificare il comma 1 dell'articolo 5, prevedendo che il dirigente scolastico, venuto a conoscenza «in qualsiasi modo» di atti di bullismo e di cyberbullismo commessi da studenti iscritti al proprio istituto scolastico, deve informare tempestivamente i genitori dei minorenni coinvolti o i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale su di essi e attivare adeguate azioni di carattere educativo. Al contempo, si pone a carico del dirigente scolastico l'obbligo di trasmettere tempestivamente la segnalazione alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni anche per l'adozione delle misure di cui all'articolo 25 del regio decreto-legge n. 1404 del 1934.
  Si prevede, inoltre, di abrogare l'articolo 7 della citata legge, in materia di ammonimento del questore, in quanto quest'ultimo strumento, sinora utilizzato comunque in rarissimi casi, non si addice alla nuova prospettiva della presente proposta di legge che individua anzitutto nel tribunale per i minorenni l'ambiente ideale per valutare il percorso educativo adatto per il singolo minorenne.
  Con l'articolo 4 ci si prefigge di modificare il regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, recante disposizioni sull'istituzione e sul funzionamento del tribunale per i minorenni. In particolare, si prevede la completa riformulazione dell'articolo 25, che attiene alle competenze amministrative del tribunale per i minorenni. Infatti, considerato il costante abbassamento dell'età alla quale si manifestano atteggiamenti potenzialmente pericolosi per sé e per gli altri, l'articolo 25 – applicabile anche ai minori di quattordici anni, soggetti quindi non imputabili – può diventare uno strumento efficace per far emergere, ai primi sintomi, un disagio personale che necessita di un supporto educativo.
  È comunque necessario precisare che queste misure educative hanno finalità differenti rispetto alle disposizioni contenute negli articoli 330 e seguenti del codice civile. Infatti, ci si propone di sollecitare interventi tempestivi che non comportino l'adozione di provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale ma che siano, invece, finalizzati a evitare interventi invasivi nel contesto familiare.
  Il tribunale per i minorenni appare l'organo ideale per valutare queste situazioni, considerata la presenza di specialisti con competenze anche nell'ambito socio-educativo.
  In tale contesto sorge l'esigenza di valutare la predisposizione di un progetto di intervento educativo, che rispetti le specifiche caratteristiche ed esigenze di ogni minore e che possa coinvolgere nella sua fase attuativa anche i genitori o l'esercente la responsabilità genitoriale mediante percorsi di sostegno all'esercizio della responsabilità genitoriale. Con l'espressione «percorso di sostegno all'esercizio della responsabilità genitoriale» si vuole fare riferimento a interventi non riconducibili a trattamenti sanitari, quali sono anche i percorsi di natura psicologica, né a interventi limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, bensì a misure, da calibrare a seconda del caso di specie e della gravità dello stesso, volte alla promozione di un'attenta genitorialità e alla gestione delle relazioni familiari. Si pensi, a mero titolo esemplificativo, a incontri formali frontali (convegni, seminari, eccetera), con finalità formativa, che vedano la partecipazione dei genitori e dei figli alla presenza di un educatore, a confronti in piccoli gruppi con un facilitatore per promuovere la riflessione e la consapevolezza delle proprie responsabilità o a percorsi esperienziali con i figli (attività teatrali, musicali o di volontariato), anche con l'eventuale supporto di un educatore.
  Il procedimento previsto dal nuovo articolo si instaura a seguito di una segnalazione alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni. La segnalazione può giungere da chiunque venga a conoscenza di condotte aggressive tenute da un soggetto minore di anni diciotto nei confronti di persone, animali o cose o di atti lesivi della dignità altrui commessi dal medesimo. Il procuratore della Repubblica, assunte informazioni, può riferire i fatti al tribunale per i minorenni, che può attivare un progetto di intervento educativo. Il progetto ha la durata massima di dodici mesi, rinnovabili una sola volta per altri dodici, ed è definito dal servizio sociale minorile secondo gli obiettivi fissati con il decreto del tribunale. Il progetto di intervento educativo può prevedere anche il coinvolgimento del nucleo familiare mediante un percorso di sostegno della genitorialità.
  Il tribunale per i minorenni, al termine del progetto, sulla base della relazione del servizio sociale, ha quattro possibilità: può disporre con decreto la conclusione del procedimento; può disporre la prosecuzione del progetto, se ravvisi ancora la sussistenza delle stesse esigenze educative, o l'attivazione di un nuovo progetto rispondente a esigenze educative diverse; può disporre l'affidamento del minorenne ai servizi sociali; può, infine, disporre il collocamento del minorenne in una comunità. In quest'ultima ipotesi è prevista l'assistenza obbligatoria del difensore.
  L'articolo 5 prevede modificazioni al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, recante lo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria, al fine di introdurre espliciti riferimenti al fenomeno del bullismo nell'ambito scolastico, in conformità alla citata legge n. 71 del 2017. Si prevedono, in particolare, uno specifico impegno della scuola per far emergere gli episodi di bullismo e cyberbullismo e strumenti per sollecitare il coinvolgimento delle famiglie in attività di formazione organizzate dagli istituti scolastici. A tale fine dev'essere potenziato e valorizzato il Patto educativo di corresponsabilità, previsto dall'articolo 5-bis del medesimo regolamento ma spesso percepito dalle famiglie come mero atto formale e burocratico. Le famiglie sono infatti una risorsa fondamentale per consentire l'emersione delle situazioni di disagio giovanile che si manifestano in atti di aggressività o in condotte di uso o abuso di alcol e sostanze stupefacenti, con forme di dipendenza in età sempre più precoce.
  Infine l'articolo 6 prevede l'istituzione di un numero telefonico gratuito (numero verde) attivo nell'intero arco delle ventiquattr'ore, con la finalità di fornire un servizio di prima assistenza psicologica e giuridica alle vittime di bullismo e cyberbullismo. L'assistenza deve essere fornita da personale appositamente formato. Al fine di rendere il servizio pienamente accessibile in ogni circostanza, è previsto lo sviluppo di un'applicazione informatica, installabile gratuitamente nei dispositivi mobili (come smartphone e tablet), anche con la possibilità della geolocalizzazione. Il numero verde dovrebbe rappresentare lo strumento adeguato per consentire un intervento immediato volto a prevenire le conseguenze più gravi di tali condotte, a fornire alla vittima il supporto psicologico e un orientamento rispetto agli strumenti normativi attivabili.
  Per concludere, si auspica che la presente proposta di legge possa rappresentare l'impulso all'avvio di un percorso fattivo di crescita e di cambiamento culturale che riporti al centro il rispetto per la persona e il disprezzo per ogni forma di violenza. Vi è infatti la consapevolezza che non sia sufficiente né veramente efficace intervenire con misure di carattere meramente repressivo, ma che siano necessari nuovi strumenti di prevenzione.
  In particolare, per l'attuazione delle disposizioni degli articoli 3 e 4 della presente proposta di legge, si renderà necessaria l'adozione di protocolli, linee guida e piani di prevenzione, con il coinvolgimento diretto dei tribunali per i minorenni, degli istituti scolastici e dei servizi sociali degli enti locali, per l'attivazione di progetti educativi in grado di evitare l'epilogo dell’extrema ratio della repressione penale.

torna su

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Modifiche all'articolo 612-bis del codice penale)

  1. All'articolo 612-bis del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

   a) al primo comma, dopo le parole: «con condotte reiterate,» sono inserite le seguenti: «percuote, ingiuria, diffama, umilia, emargina,»;

   b) al terzo comma:

    1) dopo le parole: «legge 5 febbraio 1992, n. 104,» sono inserite le seguenti: «se è commesso da tre o più persone»;

    2) dopo le parole: «persona travisata» sono aggiunte le seguenti: «ovvero con finalità discriminatorie»;

   c) dopo il terzo comma è inserito il seguente:

   «La pena è diminuita fino alla metà se i fatti di cui ai commi primo e secondo sono commessi da un minorenne, ove questi si sia adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato».

Art. 2.
(Modifica dell'articolo 731 del codice penale)

  1. L'articolo 731 del codice penale è sostituito dal seguente:

   «Art. 731. – (Inosservanza dell'obbligo di istruzione dei minori) – Il genitore o l'esercente la responsabilità genitoriale, che ometta di impartire o di far impartire l'istruzione obbligatoria, è punito con l'ammenda da euro 500 a euro 5.000».

Art. 3.
(Modifiche alla legge 29 maggio 2017, n. 71)

  1. Alla legge 29 maggio 2017, n. 71, sono apportate le seguenti modificazioni:

   a) all'articolo 5:

    1) il comma 1 è sostituito dal seguente:

   «1. Il dirigente scolastico che venga a conoscenza, in qualsiasi modo, di atti di cui all'articolo 1, realizzati anche in forma non telematica, che coinvolgono a qualsiasi titolo studenti iscritti all'istituto scolastico che dirige, in applicazione della normativa vigente e delle disposizioni del comma 2 del presente articolo e salvo che il fatto costituisca reato, ne informa tempestivamente i genitori dei minori coinvolti o i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale su di essi e promuove adeguate iniziative di carattere educativo nei riguardi dei minori medesimi. In ogni caso, il dirigente scolastico trasmette tempestivamente la segnalazione di tali atti alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, anche ai fini dell'adozione delle misure previste dall'articolo 25 del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835»;

    2) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Informativa alle famiglie, segnalazione all'autorità giudiziaria minorile, iniziative di carattere educativo e sanzioni disciplinari in ambito scolastico»;

   b) l'articolo 7 è abrogato.

Art. 4.
(Modifiche al regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, in materia di provvedimenti del tribunale per i minorenni)

  1. Al regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835,

   a) l'articolo 25 è sostituito dal seguente:

  «Art. 25. – (Misure rieducative)1. Il procuratore della Repubblica, quando abbia acquisito la segnalazione di condotte aggressive nei confronti di persone, animali o cose o lesive della dignità altrui, tenute da un minore degli anni diciotto, assunte le necessarie informazioni, può riferire i fatti al Tribunale per i minorenni, il quale può disporre, con decreto motivato, lo svolgimento di un progetto di intervento educativo con finalità rieducativa e riparativa, che favorisca percorsi di mediazione, sotto la direzione e il controllo dei servizi sociali minorili.
  2. Il decreto di cui al comma 1 definisce gli obiettivi e la durata del progetto di intervento educativo, che non può essere superiore a dodici mesi, prorogabili di ulteriori dodici mesi per una sola volta.
  3. Il competente servizio sociale territoriale definisce il contenuto del progetto di intervento educativo secondo gli obiettivi individuati nel decreto di cui al comma 1. Esso può prevedere il coinvolgimento del nucleo familiare mediante un percorso di sostegno all'esercizio della responsabilità genitoriale.
  4. Almeno dieci giorni prima della conclusione del progetto di intervento educativo, il servizio sociale territoriale trasmette al Tribunale per i minorenni una relazione che illustra il percorso e gli esiti dell'intervento. Il Tribunale per i minorenni, valutate le risultanze attestate nella relazione e sentito il minorenne e i genitori o gli esercenti la responsabilità genitoriale, con decreto motivato, può:

   1) dichiarare concluso il procedimento;

   2) disporre la proroga del progetto di intervento educativo o adottare un nuovo progetto rispondente a mutate esigenze educative del minorenne;

   3) disporre l'affidamento del minorenne ai servizi sociali;

   4) disporre il collocamento del minorenne in una comunità.

  5. Il provvedimento previsto al numero 4) del comma 4 è deliberato in camera di consiglio, previo ascolto del minorenne che abbia compiuto gli anni dodici, o anche di età inferiore ove capace di discernimento, e sentiti i genitori o gli esercenti la responsabilità genitoriale e il pubblico ministero. Nel procedimento di cui al presente comma è obbligatoria l'assistenza del difensore»;

   b) all'articolo 26, terzo comma, le parole: «di cui all'art. 25, n. 1,» sono sostituite dalle seguenti: «di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 25 o la misura di cui al numero 3) del comma 4 del medesimo articolo 25»;

   c) all'articolo 27, primo comma, le parole: «dal n. 1 dell'art. 25» sono sostituite dalle seguenti: «dall'articolo 25, comma 4, numero 3)»;

   d) all'articolo 28:

    1) al primo comma, le parole: «è ricoverato per l'esecuzione di una delle misure previste al n. 2 dell'art. 25» sono sostituite dalle seguenti: «è collocato in esecuzione della misura prevista dall'articolo 25, comma 4, numero 4),»;

    2) alla rubrica, la parola: «ricoverati» è sostituita dalle seguenti: «collocati presso comunità»;

   e) all'articolo 29, terzo comma, le parole: «ad una delle misure di cui al n. 2 dell'art. 25» sono sostituite dalle seguenti: «alla misura prevista dall'articolo 25, comma 4, numero 4),».

Art. 5.
(Adeguamento del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249)

  1. Con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono apportate al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, le modificazioni necessarie per adeguarlo ai seguenti princìpi:

   a) prevedere, nell'ambito dei diritti dello studente enunciati all'articolo 2 del citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 249 del 1998, che la scuola si impegna a porre progressivamente in essere le condizioni per assicurare l'emersione di episodi riconducibili ai fenomeni del bullismo e del cyberbullismo, di situazioni di uso o abuso di alcool o di sostanze stupefacenti e di forme di dipendenza;

   b) prevedere, nell'ambito dei doveri dello studente stabiliti dall'articolo 3 del citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 249 del 1998, che gli studenti siano tenuti a rispettare il dirigente scolastico, i docenti, il personale della scuola e i loro compagni;

  c) integrare la disciplina relativa al Patto educativo di corresponsabilità, di cui all'articolo 5-bis del citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 249 del 1998, prevedendo che il Patto contenga l'impegno da parte delle famiglie a partecipare ad attività di formazione organizzate dalla scuola, con particolare riferimento all'uso della rete internet e delle comunità virtuali, e a collaborare con la scuola per consentire l'emersione di episodi riconducibili ai fenomeni del bullismo e del cyberbullismo, di situazioni di uso o abuso di alcool o di sostanze stupefacenti e di forme di dipendenza.

Art. 6.
(Numero telefonico gratuito nazionale e applicazione informatica per dispositivi mobili)

  1. Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche della famiglia è istituito un servizio per l'assistenza delle vittime di atti di bullismo e cyberbullismo, accessibile mediante un numero telefonico gratuito nazionale attivo nell'intero arco delle ventiquattro ore, con i seguenti compiti:

   a) fornire alle vittime un servizio di prima assistenza psicologica e giuridica da parte di personale dotato di adeguate competenze;

   b) nei casi di urgenza, informare prontamente l'organo di polizia competente degli atti di bullismo e cyberbullismo segnalati.

  2. Per l'accesso al servizio di cui al comma 1 è altresì predisposta, a cura dell'Agenzia per l'Italia digitale, un'applicazione informatica che possa essere installata gratuitamente nei dispositivi mobili, dotata di una funzione di geolocalizzazione attivabile previo consenso dell'utilizzatore.

torna su