FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1237

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa della deputata BRUNO BOSSIO

Modifiche alla legge 31 dicembre 2012, n. 247, in materia di soppressione del requisito dell'esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione per l'iscrizione nell'albo degli avvocati, di ammissione al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori e di esame per l'abilitazione all'esercizio della professione

Presentata il 4 ottobre 2018

torna su

  Onorevoli Colleghi! — Con la presente proposta di legge si intende novellare la nuova disciplina relativa all'ordinamento della professione forense di recente approvazione recata dalla legge 31 dicembre 2012, n. 247, poiché in tale normativa si ravvisano alcune criticità, anche di rango costituzionale, di cui si rende necessaria l'eliminazione.
  In particolare, alcune norme limitano la libertà dell'avvocato, rendendolo meno indipendente e ponendolo in una situazione di precarietà economica che mina la possibilità stessa di esercitare l'attività professionale.
  Si tratta, più precisamente, dell'articolo 21 della citata legge n. 247 del 2012, che introduce quali requisiti di permanenza nell'albo professionale i parametri della «continuità, effettività, abitualità e prevalenza» dell'esercizio della professione forense, che rappresentano pertanto delle precondizioni rispetto al principale ed essenziale requisito costituito dalla iscrizione al relativo albo.
  Tale disposizione condiziona di fatto l'esercizio della professione forense introducendo un criterio di selezione meramente economico e sacrificando i princìpi dell'etica professionale, nonché attribuisce al potere regolamentare del Ministro della giustizia la determinazione delle modalità di accertamento della professionalità forense, e delle conseguenze, anche gravi, quali la cancellazione dall'albo professionale.
  Il citato articolo 21 costituisce in pratica una norma in bianco, in quanto demanda la determinazione di alcuni parametri per l'esercizio della professione forense a una fonte di rango non legislativo, senza specificare l'ambito, i criteri e i limiti dell'intervento regolamentare, che peraltro non spetta al Governo bensì al singolo dicastero insieme alle organizzazioni di vertice dell'ordinamento professionale e previdenziale.
  Tale disciplina costituisce una palese violazione dei princìpi cardine della professione forense, richiamati dallo stesso codice deontologico forense che nel preambolo recita: «L'Avvocato esercita la propria attività in piena libertà, autonomia ed indipendenza per tutelare i diritti e gli interessi della persona, assicurando la conformità delle leggi ai princìpi della Costituzione nel rispetto della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e dell'ordinamento comunitario»; ed ancora, il medesimo codice all'articolo 10 prevede che: «nell'esercizio dell'attività professionale l'avvocato ha il dovere di conservare la propria indipendenza e difendere la propria libertà da pressioni o condizionamenti esterni. L'avvocato non deve tenere conto di interessi riguardanti la propria sfera personale».
  Il rispetto di tali princìpi appare messo in discussione dalla disciplina di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 21 della legge n. 247 del 2012, che impone, caso unico in Europa, criteri che condizionano pesantemente l'esercizio della professione forense, tanto che il mancato rispetto dei parametri può causare la cancellazione del professionista dall'albo, con conseguente divieto di uso del titolo di avvocato e con inevitabili ricadute sugli interessi degli assistiti.
  Inoltre, considerando che la permanenza nell'albo è strettamente legata all'obbligo di iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense (comma 8 del citato articolo 21) e al versamento di contributi «minimi» a prescindere dal reddito prodotto, il rischio di assistere in breve termine a cancellazioni di massa dall'albo e alla perdita di lavoro di migliaia di professionisti diventa sempre più realistico.
  Si consideri altresì che il regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia n. 47 del 2016 stabilisce diversi parametri per l'accertamento dell'esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente, tra i quali il numero degli affari trattati, con ciò sminuendo l'etica professionale e il ruolo sociale dell'avvocatura.
  Peraltro, la normativa regolamentare appare palesemente e intrinsecamente contraddittoria, in quanto l'articolo 21 della legge n. 247 del 2012, al comma 1, esclude ogni riferimento al reddito professionale ai fini della determinazione della continuità professionale per la permanenza nell'albo, mentre al comma 8 subordina l'iscrizione all'albo alla contestuale iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, prevedendo un contributo minimo obbligatorio a prescindere dal reddito prodotto; in tal modo, si prevede un criterio economico per l'accesso alla professione e si condiziona di fatto la permanenza del professionista nell'albo alla regolare contribuzione previdenziale.
  Sul punto, dunque, la normativa va riformulata, lasciando inalterata l'iscrizione obbligatoria alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, ed eliminando il contributo minimo obbligatorio a prescindere dal reddito prodotto; i futuri regolamenti dell'ente previdenziale, volti alla determinazione dei contributi dovuti, dovranno pertanto essere ispirati ai princìpi di proporzionalità e di progressività, nel rispetto dell'articolo 53 della Costituzione.
  Va inoltre evidenziato che l'articolo 21 della legge n. 247 del 2012, nel suo complesso, nel subordinare l'esercizio della professione a criteri di continuità, effettività, abitualità e prevalenza, nonché all'iscrizione all'ente previdenziale con contributi minimi obbligatori, confligge con l'articolo 33, quinto comma, della Costituzione, il quale pone quale unica condizione per l'accesso agli ordini professionali il superamento dell'esame di Stato.
  L'avvocato, proprio in considerazione dell'importante funzione che svolge e al fine di un'effettiva, ampia e imparziale difesa del cittadino, deve essere libero e indipendente e non soggetto a parametri di natura politica stabiliti dai propri rappresentanti, peraltro non sempre chiari e in contrasto con i princìpi europei di libera concorrenza, che possono causare discriminazioni «alla rovescia» dei professionisti italiani rispetto ai colleghi degli altri Stati membri dell'Unione europea.
  La necessità di modificare l'articolo 21 della legge n. 247 del 2012 è avvertita anche dall'avvocatura italiana, che discuterà di tali temi in seno alla massima assise forense, il Congresso nazionale forense (CNF) del 4-6 ottobre 2018 a Catania, e nel cui ambito l'avvocato Eugenio Naccarato, in qualità di delegato congressuale del foro di Cosenza, presenterà una mozione in materia.
  L'intervento di modifica della legge in esame va necessariamente esteso ad altre disposizioni che limitano l'esercizio della professione ad alcune categorie di professionisti.
  L'articolo 22, comma 2, deve essere modificato nella parte in cui prevede che l'iscrizione all'albo speciale per il patrocinio alle giurisdizioni superiori possa essere richiesta da chi abbia maturato un'iscrizione all'albo di otto anni e abbia frequentato proficuamente e lodevolmente la Scuola superiore dell'avvocatura istituita dal CNF, il cui regolamento può prevedere specifici criteri e modalità di selezione.
  La norma, oltre a essere indeterminata nella parte in cui rimette interamente al regolamento del CNF la fissazione dei criteri e delle modalità selettive, dà origine a una grave discriminazione intergenerazionale.
  Difatti, da un lato, essa richiede la frequentazione della Scuola superiore dell'avvocatura istituita con regolamento del CNF, che risulterebbe così composto proprio da avvocati cassazionisti, i quali quindi deciderebbero i loro concorrenti nelle giurisdizioni superiori e selezionerebbero la componente dell'organismo forense stesso, e, dall'altro, lascia immutato lo status di avvocato cassazionista per coloro che hanno già conseguito il titolo prima dell'entrata in vigore della legge professionale.
  Sul punto, si rileva peraltro che il tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza 29 dicembre 2016, n. 12856, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 11 del 15 marzo 2017, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 22 della legge n. 247 del 2012, trasmettendo gli atti alla Corte costituzionale poiché, tra le diverse censure, ha ritenuto «che l'articolo 22, comma 2, della legge n. 247 del 2012 contrasti con l'articolo 3, secondo comma, della Costituzione per avere introdotto, a parità di condizioni, un difforme (e deteriore) trattamento per gli avvocati che si sono abilitati in Italia, che non possono più accedere all'albo per il mero decorso di dodici anni di esercizio professionale (come era sotto la vigenza dell'articolo 33 del regio decreto n. 1578 del 1933, modificato dall'articolo 4 della legge n. 27 del 1997) rispetto agli avvocati stabiliti, per i quali l'articolo 9 del decreto legislativo n. 96 del 2001 conserva tale possibilità».
  In merito, poi, all'articolo 41, comma 12, della legge n. 247 del 2012, va segnalato che l'obbligo di esercitare l'attività professionale solo in sostituzione del titolare dello studio presso cui si svolge il tirocinio professionale, anche in caso di affari non trattati dal medesimo, rappresenta una grave limitazione per i giovani praticanti iscritti al relativo registro.
  Appare opportuno, anche al fine di tutelare il lavoro dei giovani praticanti avvocati abilitati al patrocinio, secondo la vecchia normativa forense, consentire il patrocinio autonomo nelle cause di loro competenza come in precedenza prescritto.
  Inoltre, in merito all'esame di Stato, disciplinato dal comma 7 dell'articolo 46 della legge n. 247 del 2012, è necessario revisionare criticamente tale comma nella parte in cui stabilisce che le prove scritte si svolgono con l'ausilio dei soli testi di legge, senza citazioni giurisprudenziali, considerando che da oltre un decennio l'esame di abilitazione all'esercizio di avvocato prevede tre prove scritte, il cui svolgimento presuppone il richiamo dei precedenti giurisprudenziali, soprattutto recenti, che è impossibile memorizzare senza l'ausilio di un codice annotato. La norma in esame non tiene neppure in considerazione l'esperienza pratico-giurisprudenziale e l'impostazione del tirocinio professionale, che vedono i principali attori del processo utilizzare e conformarsi alle massime giurisprudenziali, soprattutto quelle di legittimità.
  Desta inoltre allarme la previsione di una nuova fattispecie penale, generica e indeterminata, prevista e punita dal comma 10 dell'articolo 46 con la sanzione della reclusione fino a tre anni, che richiama condotte e comportamenti che possono trovare soluzione in altri ambiti giudiziari o disciplinari.
  In conclusione, la logica che ispira l'intera disciplina richiamata, della quale si auspica la modifica, è quella di creare in capo a pochi studi legali, in grado di generare grossi fatturati, una situazione di monopolio di fatto dei servizi legali e di assistenza giudiziaria, scoraggiando la concorrenza e, in particolar modo, le giovani generazioni di professionisti, con grave compromissione delle regole del libero mercato e quindi di una più ampia offerta dei servizi legali e di assistenza al cittadino, nonché delle garanzie e dell'effettività della tutela dei diritti, delle libertà e della dignità della persona.
  Infine, il meccanismo di selezione introdotto dall'articolo 21 della legge n. 247 del 2012, con la possibilità di cancellazione dell'avvocato sulla base di parametri «politici» decisi dal Ministero della giustizia, pone a rischio la stessa indipendenza ed esistenza dell'avvocatura.

torna su

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

  1. Alla legge 31 dicembre 2012, n. 247, sono apportate le seguenti modificazioni:

   a) all'articolo 15, comma 1, lettera e), le parole: «, ed inoltre degli avvocati cancellati per mancanza dell'esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione» sono soppresse;

   b) all'articolo 17, comma 9, la lettera c) è abrogata;

   c) l'articolo 21 è sostituito dal seguente:

   «Art. 21. – (Obbligo di iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense)1. L'iscrizione agli albi comporta la contestuale iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense.
   2. La Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, con proprio regolamento, determina, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, i contributi dovuti secondo princìpi di proporzionalità e di progressività rispetto al reddito prodotto, eventuali condizioni temporanee di esenzione o di diminuzione dei contributi per soggetti in particolari condizioni e l'eventuale applicazione del regime contributivo.
   3. Non è ammessa l'iscrizione ad alcuna altra forma di previdenza se non su base volontaria e non alternativa alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense»;

   d) all'articolo 22, il comma 2 è sostituito dal seguente:

   «2. Possono altresì essere ammessi al patrocinio davanti alla Corte di cassazione e alle altre magistrature superiori gli avvocati iscritti a un albo speciale, tenuto dal CNF. Gli avvocati che aspirano all'iscrizione all'albo speciale, devono farne domanda al CNF, dopo aver maturato dodici anni di iscrizione all'albo e dimostrato di aver esercitato la professione forense innanzi alle corti d'appello e ai tribunali»;

   e) all'articolo 29, comma 1, la lettera g) è abrogata;

   f) all'articolo 41, comma 12, le parole: «sei mesi» sono sostituite dalle seguenti: «un anno» e le parole: «in sostituzione dell'avvocato presso il quale svolge la pratica e comunque sotto il controllo e la responsabilità dello stesso anche se si tratta di affari non trattati direttamente dal medesimo,» sono soppresse;

   g) all'articolo 46:

    1) al comma 7, il primo periodo è sostituito dal seguente: «L'esame si svolge con l'ausilio dei testi di legge annotati con la giurisprudenza di riferimento»;

    2) il comma 10 è abrogato.

torna su