TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 160 di Mercoledì 10 aprile 2019

 
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MOZIONI CONCERNENTI IL RICONOSCIMENTO DEL GENOCIDIO DEL POPOLO ARMENO

   La Camera,

   premesso che:

    la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, ratificata dall'Italia con la legge 11 marzo 1952, n. 153, riconosce che il genocidio ha inflitto gravi perdite all'umanità in tutte le epoche storiche;

    la Sottocommissione per i diritti umani delle Nazioni Unite nel 1973 riconobbe che lo sterminio di oltre un milione e mezzo di armeni nell'Impero ottomano avvenuto negli anni 1915-1917 era da considerarsi il primo genocidio del XX secolo, ai sensi della predetta Convenzione;

    più di venti Paesi del mondo hanno riconosciuto ufficialmente il genocidio armeno;

    il Parlamento europeo, con la «Risoluzione su una soluzione politica del problema armeno», adottata il 18 giugno 1987, riconobbe che i tragici eventi del 1915-1917 occorsi agli armeni nel territorio ottomano costituivano genocidio e ritenne, altresì, che il rifiuto da parte del Governo turco di riconoscere il genocidio commesso dai «Giovani turchi» rappresentava un ostacolo all'adesione della Turchia alla Comunità europea;

    con la risoluzione del 12 marzo 2015, inerente alla «Relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2013», in vista del 100° anniversario di detto genocidio, il Parlamento europeo chiese a tutti gli Stati membri di provvedere al suo riconoscimento (paragrafo 77);

    con la risoluzione del 15 aprile 2015 sul centenario del genocidio armeno, il Parlamento europeo, considerando l'importanza di mantenere vivo il ricordo del passato e ritenendo fondamentali verità e memoria per la riconciliazione tra i popoli, invitava nuovamente la Turchia a riconoscere il genocidio armeno, «aprendo così la strada a un'autentica riconciliazione tra il popolo turco e il popolo armeno». Il Parlamento europeo invitava, altresì, Armenia e Turchia «a concentrarsi su un'agenda che metta in primo piano la cooperazione tra i popoli» ed «a procedere alla normalizzazione delle loro relazioni, ratificando e attuando senza condizioni preliminari i protocolli sull'istituzione di relazioni diplomatiche, aprendo la frontiera e migliorando attivamente le proprie relazioni, con particolare riferimento alla cooperazione transfrontaliera e all'integrazione economica»;

    tra i Paesi membri dell'Unione europea hanno dato seguito alla richiesta del Parlamento europeo: Austria, Belgio, Francia, Germania, Grecia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Svezia e lo stesso ha fatto la Svizzera;

    la Camera dei deputati, con la risoluzione n. 6-00148, approvata il 17 novembre 2000, pur richiamando la sopra menzionata risoluzione del Parlamento europeo sul riconoscimento del genocidio armeno, si limitava ad impegnare il Governo ad adoperarsi per il completo superamento di ogni contrapposizione tra popoli e minoranze diverse nell'area;

    Sua Santità Papa Francesco, il 12 aprile 2015, in occasione di una solenne celebrazione in San Pietro, ricordava il massacro degli armeni perpetrato dall'Impero ottomano ritenuto «il primo genocidio del XX secolo». Il Pontefice richiamava quanto già espresso nel 2001 da Papa Giovanni Paolo II, che, in una dichiarazione congiunta con il Patriarca Karekin II, aveva utilizzato il termine «genocidio» per definire il massacro della popolazione armena avvenuto da parte dell'Impero ottomano a partire dal 1915;

    il riconoscimento e la memoria delle persecuzioni e degli orrori occorsi nel XX secolo deve costituire un monito perenne, affinché il Parlamento sia per sempre baluardo della libertà umana e della dignità della persona secondo i principi e le disposizioni della Costituzione della Repubblica,

impegna il Governo

1) a riconoscere ufficialmente il genocidio armeno e a darne risonanza internazionale.
(1-00139) «Formentini, Sabrina De Carlo, Delmastro Delle Vedove, Quartapelle Procopio, Boldrini, Colucci, Centemero, Carelli, Capitanio, Piccoli Nardelli, Molinari, D'Uva, Zóffili, Cecchetti, Coin, Bordonali, Ziello, Eva Lorenzoni, Bisa, Paolini, Colla, Gadda, Andrea Romano, Mollicone, Fiano, Gariglio, Moretto, Mor, Lepri, Lupi, Frassinetti, Carnevali, Fregolent, Occhionero».

(11 marzo 2019)

   La Camera,

   premesso che:

    il 24 aprile è il giorno della commemorazione nel mondo della persecuzione del popolo armeno: una strage perpetrata dall'Impero ottomano tra il 1915 e il 1916 e che, fomentata dall'odio razziale e religioso, causò circa 1,5 milioni di morti e deportazioni di massa, con conseguente sradicamento degli armeni dai propri originari territori (odierna Anatolia turca); un popolo costretto alla diaspora, disperso oggi in varie comunità in numerosi continenti;

    per sanare tale ferita e superare una triste pagina di storia, a partire dal 2009 si sono attivati i primi tentativi di distensione tra la Repubblica di Turchia e la Repubblica Armena, a cominciare dalla firma dei protocolli bilaterali di Zurigo del 10 ottobre 2009, finalizzati alla normalizzazione dei rapporti tra le due parti;

    successivamente, si sono registrate alcune prese di posizione di apertura, come la visita del Ministro degli esteri turco Çavusoglu a Jerevan nel dicembre 2013 e le dichiarazioni di cordoglio nell'aprile 2014 del Primo Ministro Erdogan per le vittime «dei fatti di inizio Ventesimo secolo»;

    tuttavia, a questi primi segnali di distensione, è seguito un ritorno a relazioni quanto mai conflittuali; il processo di normalizzazione dei rapporti fra Armenia e Turchia non ha registrato miglioramenti verso una maggiore strutturazione; la richiesta (nel febbraio del 2015) del Presidente Sargsyan al Presidente del Parlamento Sahakyan di non sottoporre a ratifica i citati protocolli armeno-turchi firmati a Zurigo nel 2009, fino alla denuncia formale degli stessi Protocolli da parte dell'Armenia nel 2017, rappresentano segnali che non aiutano nella ripresa di un'auspicabile intesa;

    per dirimere una questione complessa e che si trascina da anni è necessario incoraggiare e promuovere un dialogo tra le parti, anche mediante lo svolgimento di un'approfondita ricerca storiografica, per contribuire a ricostruire fatti e responsabilità degli eventi della prima guerra mondiale durante l'impero ottomano, per facilitare le indagini e approdare a una verità condivisa, per ristabilire una normalizzazione dei rapporti diplomatici, proficui per entrambe le parti, in coerenza con quanto previsto dai citati Protocolli di Zurigo il 10 ottobre 2009, tra Repubblica di Turchia e la Repubblica Armena;

    occorre riprendere il percorso che, seppure fragile, era improntato al dialogo fra i due Paesi, e a tutt'oggi interrotto; un iter che lo stesso Parlamento europeo aveva indicato, con l'approvazione a larga maggioranza di una risoluzione (sulla relazione periodica 1999 della Commissione europea sui progressi della Turchia verso l'adesione) che delineava i passi necessari per normalizzare le relazioni tra Turchia e popolo armeno, in particolare laddove segnalava al paragrafo 21 (proposto dall'europarlamentare Cohn-Bendit, presidente dell'allora commissione parlamentare mista UE-Turchia) l'invito al Governo turco «ad avviare un dialogo con l'Armenia, segnatamente al fine di ristabilire relazioni diplomatiche e commerciali normali tra i due paesi e di togliere il blocco attualmente in vigore»;

    in linea con gli indirizzi su indicati, la Camera dei deputati, con la risoluzione n. 6-00148 approvata il 17 novembre 2000, impegnava il Governo pro tempore a proseguire nel tradizionale ruolo dell'Italia, volto a favorire un dialogo fra le parti e ad «adoperarsi per il completo superamento di ogni contrapposizione tra popoli e minoranze diverse nell'area al fine di creare le condizioni, nel rispetto dell'integrità territoriale dei due Stati, per la pacifica convivenza e la corretta tutela dei diritti umani»,

impegna il Governo:

1) a sostenere, sia a livello bilaterale che a livello multilaterale, la necessità di una riconciliazione tra Turchia e Armenia, favorendo tutte le iniziative utili atte a riprendere il dialogo fra i due Paesi, promuovendo una mentalità di pace e concordia tra i popoli, nel rispetto delle differenti identità religiose, politiche e culturali;

2) a incoraggiare i due Paesi affinché completino la procedura di ratifica dei protocolli di Zurigo del 2009, finalizzati al ristabilimento e alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Turchia e Armenia e allo sviluppo di rapporti bilaterali, proficuo per entrambe le parti;

3) ad attivarsi, anche nelle competenti sedi europee, per riproporre la costituzione di una commissione mista di storici, allo scopo di favorire uno sforzo comune per una ricerca storiografica approfondita degli eventi del 1915-16, circa le responsabilità delle stragi nei confronti degli armeni, dei cristiani e di altre confessioni, condizione necessaria per pervenire a una verità storica partecipata e quanto più possibile condivisa.
(1-00172) «Valentini, Orsini, Occhiuto».

(9 aprile 2019)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE A FAVORE DELLA FAMIGLIA E PER L'INCREMENTO DELLA NATALITÀ

   La Camera,

   premesso che:

    gli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione sono dedicati alla famiglia e al ruolo che ad essa è riservato nell'ordinamento, con particolare riferimento ai rapporti tra i coniugi, ai doveri e diritti rispetto ai figli e ai compiti dello Stato nel sostegno da accordare alla formazione della famiglia e alla tutela della maternità, dell'infanzia e della gioventù, ed è compito del legislatore garantirne la formazione e tutelarne i singoli aspetti;

    l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha definito quali politiche per la famiglia quelle che «aumentano le risorse dei nuclei familiari con figli a carico; favoriscono lo sviluppo del bambino; rimuovono gli ostacoli ad avere figli e alla conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare; e promuovono pari opportunità nell'occupazione»;

    la denatalità e lo squilibrio demografico rappresentano una delle prime grandi emergenze italiane in questa fase storica della nostra Nazione;

    l'Istat stima che al 1° gennaio 2019 la popolazione in Italia ammonti a 60 milioni 391 mila residenti, oltre 90 mila in meno rispetto al 2017, oltre cinque milioni dei quali sono stranieri;

    sempre secondo i dati Istat, nel 2018 sono avvenute 449 mila nascite, minimo storico dall'unità d'Italia, ossia 9 mila in meno rispetto al precedente registrato nel 2017, con una costante e progressiva diminuzione delle nascite dal 2008 al 2018, che in soli dieci anni ha visto 128 mila bambini in meno venire alla luce e, nel medesimo arco temporale, sono diminuiti anche i decessi, che nel 2018 sono stati 636 mila, tredicimila meno di quelli avvenuti nel 2017;

    pertanto, la dinamica naturale di nascite e decessi nel 2018 è negativa e l'Istat ha calcolato che le prossime nascite non saranno sufficienti a compensare i futuri decessi, nonostante la fecondità sia prevista in rialzo da 1,34 a 1,59 figli per donna nel periodo 2017-2065;

    la società italiana sta, dunque, invecchiando in maniera estremamente veloce, senza che vi sia un ricambio generazionale, con ripercussioni sociali drammatiche nel prossimo futuro, che richiedono lo sviluppo di strategie a lungo termine, quali politiche più mirate di sostegno alle famiglie;

    in particolare, tra i fattori collegati alla denatalità gioca un ruolo importante la riduzione delle nascite da madre italiana, 358 mila nel 2018 con una diminuzione di 8 mila nascituri nel 2018 rispetto al 2017;

    relativamente al tasso di sostituzione, cioè al numero di figli necessario per rimpiazzare naturalmente la popolazione, pari a un tasso di fertilità di 2,1 figli per donna, in Italia vi è un numero medio pari a 1,34 (1,46 nel 2010), con una differenziazione che vede attribuito alle donne italiane, in media, 1,26 figli (1,34 nel 2010), mentre alle cittadine straniere residenti 1,97 (2,43 nel 2010);

    in merito alla distribuzione sul territorio nazionale, la fecondità presenta un profilo diverso tra le regioni: nel 2018 la provincia autonoma di Bolzano si conferma l'area più prolifica della nazione con 1,76 figli per donna, seguono la provincia di Trento (1,50), la Lombardia (1,38) e l'Emilia-Romagna (1,37), mentre le aree dell'Italia dove la fecondità è più contenuta sono tutte nel Mezzogiorno (1,29), in particolare in Basilicata (1,16), Molise (1,13) e Sardegna (1,06), e la situazione è critica anche nel Centro che, con 1,25 figli, occupa l'ultimo posto tra le ripartizioni geografiche e, in particolare, nel Lazio (1,23);

    secondo quanto evidenziato durante il Festival di statistica 2018, le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno e hanno una propensione sempre più bassa ad avere figli e le conseguenze saranno quelle di veder crollare la popolazione, arrivando nei prossimi 100 anni a poco più di 16 milioni di abitanti, rispetto ai 59 milioni e 423 mila attuali;

    l'istituto statistico della Commissione europea, Eurostat, ha calcolato che il tasso di fertilità nell'Unione europea è sceso ai livelli più bassi durante la crisi economica (2008-2011), tanto da parlare di baby recession, e che nel suo complesso l'Unione è passata da più di 7,2 milioni di nuovi bebé nel 1970 a 5 milioni e 114 mila neonati nel 2016;

    secondo le rilevazioni di Eurostat, nessuno dei 28 Stati dell'Unione europea raggiunge il cosiddetto «livello di sostituzione», ossia quel numero di figli necessario per rimpiazzare naturalmente la popolazione, possibile solo con un tasso di fertilità pari a 2,1 figli per donna, mentre il tasso medio di natalità si attesta, invece, a 1,60 figli per donna;

    i tassi di natalità più alti sono state registrati in Irlanda (13,5 per 100 residenti), Svezia e Regno Unito (11,8 per cento) e Francia (11,7 per cento), mentre quelli più bassi sono stati registrati in Italia (7,8 per cento), Portogallo (8,4 per cento), Grecia (8,6 per cento), Spagna (8,7 per cento), Croazia (9,0 per cento) e Bulgaria (9,1 per cento). In termini assoluti, la popolazione nel 2016 è aumentata in diciotto Stati membri dell'Unione europea e diminuita in dieci, tra i quali l'Italia, che ha subito una riduzione di popolazione del -1,3 per mille;

    le previsioni dell'Onu dicono che gli ultrasessantenni sono oggi un quarto della popolazione europea, ma entro il 2050 saranno già il 35 per cento, e se per ogni persona di età superiore a 65 anni ci sono oggi 3,3 persone in età lavorativa, nel 2050 questa proporzione scenderà sotto la soglia di due, con l'Italia destinata ad averne 1,8 già nel 2035, con le inevitabili importanti ricadute sul sistema del welfare;

    l'Italia, contrariamente ad altri Paesi europei, non ha sinora avuto un piano nazionale di politiche familiari, inteso come un quadro organico e di medio termine di politiche specificatamente rivolte alla famiglia, cioè aventi la famiglia come destinatario e come soggetto degli interventi;

    il piano nazionale per la famiglia varato nel 2012, che prendeva le mosse proprio dalla constatazione che sino ad allora avevano «largamente prevalso interventi frammentati e di breve periodo, di corto raggio, volti a risolvere alcuni specifici problemi delle famiglie senza una considerazione complessiva del ruolo che esse svolgono nella nostra società, oppure si sono avuti interventi che solo indirettamente e talvolta senza una piena consapevolezza hanno avuto (anche) la famiglia come destinatario» e che «in particolare, sono state largamente sottovalutate le esigenze delle famiglie con figli», non ha avuto alcun seguito e da allora non è stato adottato alcun nuovo piano;

    anche la legge di bilancio per il 2019 non fa che confermare una linea di misure frammentate e una tantum che ha caratterizzato gli interventi pro famiglia degli ultimi anni, senza adottare, ancora una volta, iniziative strutturali, in grado di offrire un reale sostegno a quei cittadini che decidono di mettere al mondo dei figli;

    il passivo demografico è uno dei problemi cardine dell'Italia: la crisi demografica è un tema strategico per il futuro ed è necessario, dunque, mettere in campo contromisure imponenti ed immediate atte ad adottare politiche di incentivo alla natalità e di sostegno alla maternità;

    a questi fattori si aggiungono, nondimeno: l'assenza di politiche efficaci a sostegno della famiglia e della maternità, unitamente alla scarsa tutela accordata alle donne lavoratrici; l'insufficienza e l'inadeguatezza dei servizi di assistenza, con servizi educativi e scolastici costosi, con la mancanza di una rete sussidiaria;

    altra difficoltà rilevata è quella concernente la relazione tra maternità e disoccupazione femminile, vale a dire l'impossibilità per le donne di proseguire a lavorare dopo essere diventate madri, questione strettamente legata alla presenza e/o accessibilità dei servizi per l'infanzia;

    è stato stimato, infatti, che solamente 43 donne su 100 continuano a mantenere il proprio lavoro in seguito alla nascita di un bambino e spesso le neo-mamme subiscono anche una grave decurtazione stipendiale, che può arrivare anche al 20 per cento nei venti mesi successivi al parto;

    dare maggiori possibilità alle madri di mantenere il posto di lavoro ha, tuttavia, una serie di ricadute in termini di crescita del prodotto interno lordo, di sostenibilità finanziaria della spesa sociale, di capacità delle famiglie di sostenersi (i dati dicono che le famiglie monoreddito sono esponenzialmente più a rischio di povertà), ma perché ciò avvenga non bastano i bonus, ma urge piuttosto una riforma strutturale;

    la rete dei servizi per la prima infanzia è uno strumento essenziale sia per il benessere e lo sviluppo dei bambini, sia per il sostegno al ruolo educativo dei genitori nell'ambito della conciliazione dei tempi di lavoro con quelli della famiglia;

    in Italia si continuano a registrare considerevoli ritardi nel recepimento delle iniziative normative europee in materia di sostegno alla genitorialità e servizi alla famiglia e da anni l'Europa raccomanda all'Italia di moltiplicare gli strumenti che facilitano l'ingresso nel mondo del lavoro di chi ha una famiglia, per poter puntare all'equilibrio dei conti pubblici e a tornare a crescere dopo anni di debolezza;

    l'obiettivo fissato in sede europea, che prevedeva una copertura territoriale dei servizi per l'infanzia almeno al 33 per cento entro il 2010, è ancora oggi largamente disatteso in Italia, dove tale copertura arriva in media ad appena il 20 per cento, con punte minime del 13 per cento di strutture nelle regioni meridionali;

    a questo si aggiunge la scarsa diffusione di modelli di accoglimento alternativi agli asili nido, sul modello, ad esempio, delle Tagesmutter tedesche;

    un efficace sostegno alle famiglie, inoltre, non può prescindere da un insieme di politiche abitative che possano garantire un alloggio ai nuclei che non possiedono sufficienti risorse proprie per acquistarne o locarne uno, al fine di realizzare pienamente il diritto alla casa;

    i provvedimenti a sostegno della natalità e della maternità sin qui adottati dimostrano di non aver risolto il problema del calo delle nascite e tantomeno di restituire alle giovani coppie quel diritto al futuro, del quale la genitorialità è una componente essenziale,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per avviare una rivoluzione del welfare che metta la famiglia naturale al centro dello Stato sociale e porre in essere un imponente piano di incentivo alla natalità per invertire il trend negativo del calo demografico in Italia;

2) ad adottare iniziative per introdurre il reddito per l'infanzia, per consentire l'erogazione di un assegno familiare di 400 euro al mese per i primi sei anni di vita per ogni figlio minore a carico per le coppie con redditi sotto gli 80.000 euro annui;

3) ad adottare iniziative per avviare una profonda revisione del sistema fiscale – con particolare riguardo al complesso delle detrazioni e deduzioni – prevedendo efficaci misure di agevolazione in favore delle famiglie con figli a carico, al fine di assicurare un prelievo più equo e progressivo basato sul quoziente familiare;

4) ad assumere ogni iniziativa di competenza per garantire la piena attuazione della legge 22 maggio 1978, n. 194, con particolare riferimento alle attività da porre in essere per scoraggiare il ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza e sostenere le donne nel percorso della maternità, assicurando lo stanziamento di adeguate risorse per tutte le iniziative che offrano a queste madri un'alternativa all'aborto, attraverso la creazione di ulteriori centri di aiuto, attraverso forme di sostegno economico erogato direttamente alle madri, attraverso la creazione di politiche abitative che favoriscano questa categoria ed individuando ogni altra iniziativa utile a sostenere questi nuovi genitori;

5) a promuovere il rilancio dell'occupazione femminile facilitando l'accesso al lavoro part-time e al telelavoro previsto dalla legge n. 81 del 2017, con l'obiettivo di garantire una più ampia flessibilità nella scelta dell'orario di lavoro e permettere alle madri di scegliere di trascorrere più tempo a casa con il proprio figlio;

6) ad adottare iniziative per prevedere incentivi in favore delle imprese che assumono neomamme e donne in età fertile;

7) ad adottare iniziative per definire incentivi per le aziende che prevedano, al loro interno, delle aree adibite ad asilo nido aziendali per le mamme lavoratrici;

8) ad adottare iniziative per prevedere l'esenzione contributiva per tutte le assunzioni in sostituzione di maternità, a fronte della riduzione del 50 per cento che vige oggi solo per le imprese fino a venti dipendenti, così da poter consentire alle imprese una riduzione degli oneri a loro carico;

9) ad assumere le iniziative di competenza affinché gli asili nido siano gratuiti ed aperti fino all'orario di chiusura di negozi e uffici e prevedano un sistema di turnazione nel periodo estivo per le madri lavoratrici;

10) a sostenere il potenziamento dell'offerta pubblico-privata degli asili nido, anche attraverso l'incentivazione dei nidi condominiali, sui luoghi di lavoro e in case private secondo il modello tedesco delle Tagesmutter;

11) ad adottare iniziative per applicare la deducibilità del costo del lavoro domestico di baby sitter, al fine di agevolare quelle famiglie che affrontano spese extra per l'assistenza dei loro figli;

12) ad adottare iniziative per garantire la copertura del congedo parentale, di 180 giorni, fino all'80 per cento, sia per i dipendenti pubblici che privati, e per un periodo che copra fino al sesto anno di vita, a fronte di quello attuale del 30 per cento;

13) ad adottare iniziative per prevedere il pieno riconoscimento dell'opera dei caregiver familiari.
(1-00163) (Nuova formulazione) «Meloni, Lollobrigida, Bellucci, Acquaroli, Bucalo, Butti, Caretta, Ciaburro, Cirielli, Luca De Carlo, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Fidanza, Foti, Frassinetti, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Zucconi».

(3 aprile 2019)

   La Camera,

   premesso che:

    in questi anni di crisi economica e sociale la famiglia si è rivelata il miglior strumento di welfare, intervenendo concretamente nel sostegno dei suoi componenti che vivevano difficoltà nel lavoro, nella salute, nel mantenere l'abitazione, nell'educazione dei figli;

    l'attuale sistema fiscale si è dimostrato ampiamente punitivo per le famiglie con figli, soprattutto per le famiglie numerose;

    i dati sulla natalità in Italia sono preoccupanti: si sta assistendo ad un inverno demografico, ad un calo costante di nascite di anno in anno che, se il trend non verrà invertito, comporterà un progressivo impoverimento, non solo economico, ma anche sociale e culturale del nostro Paese;

    l'incremento del tasso di natalità, com'è noto, è un vantaggio incomparabile – nel medio e lungo termine – per l'economia di un Paese: maggior numero di occupati, di consumatori e di contribuenti;

    il tasso di fecondità nel nostro Paese è attestato su 1,39 figli per donna in età fertile. Quello italiano è uno dei livelli più bassi di fecondità osservato nei Paesi sviluppati; l'età della madre alla nascita del primo figlio è andata aumentando, avvicinandosi oggi alla soglia dei trent'anni;

    gli incentivi economici di per sé non convincono una coppia a far nascere un bambino; la questione è più complessa ed è culturale, ma occorre che, per chi i figli li desidera, siano eliminati gli ostacoli di natura economica, lavorativa ed organizzativa che portano sempre più spesso a rinviare la maternità e la paternità o addirittura alla rinuncia a procreare; con la nascita dei figli, inoltre, si accentua il problema di conciliazione dei tempi riservati al lavoro con quelli dedicati alla famiglia;

    in Europa esistono Paesi – la Francia, i Paesi scandinavi, la Germania – i cui Governi hanno investito largamente nelle politiche familiari, determinando un incremento notevole della natalità. In Francia, dove il 3 per cento del prodotto interno lordo viene destinato alle cosiddette prestazioni familiari, si registra ormai un indice di fecondità assestato attorno a 2 figli per donna;

    è, quindi, prioritario allineare il nostro Paese agli standard dei Paesi europei più virtuosi, mettendo al centro del dibattito politico i temi della famiglia e della natalità ed affrontandone le problematiche con interventi normativi più incisivi,

impegna il Governo:

1) a realizzare, attuando in tal modo il dettato costituzionale, politiche in favore della famiglia incentrate su tre filoni di intervento:

   a) iniziative per prevedere agevolazioni fiscali in favore delle famiglie con figli a carico e genitori a carico, con l'obiettivo di introdurre il quoziente familiare attraverso una profonda modifica del sistema delle detrazioni, ovvero elevando gli attuali massimali per i figli a carico, riconoscendo una più accentuata progressione per le famiglie via via più numerose, riconoscendo una specifica detrazione aggiuntiva per i genitori a carico del contribuente, al fine di incentivare il sostegno ai genitori in difficoltà economiche o non autonomi da parte dei figli e rimediando così a una palese irrazionalità della disciplina tributaria;

   b) iniziative per definire misure specifiche di sostegno alla natalità e di incentivo al suo incremento e corrispondenti misure a favore della conciliazione tra lavoro e vita familiare, prevedendo incentivi in favore delle imprese che assumono donne e un credito d'imposta in percentuale sulla retribuzione riconosciuto al datore di lavoro per ogni giorno di assenza dei neo-genitori, aumentando il contributo corrisposto durante il periodo di congedo parentale fino al sesto anno del bambino, al fine di favorire la possibilità di cura e di accoglienza del nuovo nato da parte dei genitori e, contemporaneamente, rafforzando le politiche di sostegno tramite bonus a favore della famiglia (da quelli per la neo-mamma, al «bonus bebé», a quelli per la scolarizzazione, al «bonus baby-sitter»);

   c) iniziative per l'incremento del fondo di solidarietà per l'acquisto della prima casa e l'incremento delle agevolazioni per l'accesso alla locazione da parte delle giovani coppie, con particolare riferimento – per la locazione – alla previsione di una detrazione in percentuale sul canone di locazione sia per il proprietario che per l'affittuario.
(1-00166) «Lupi, Colucci, Tondo, Schullian».

(5 aprile 2019)

   La Camera,

   premesso che:

    l'Italia è afflitta ormai da diversi anni da quadro generale di severa crisi demografica. Crisi che è risultato di una lunga inerzia nel governare i processi di trasformazione socio-economica che si sono manifestati negli ultimi decenni in cui la popolazione italiana ha conosciuto profondi cambiamenti che ne hanno radicalmente modificato la struttura e la composizione;

    la drastica caduta della natalità — giunta a livelli tra i più bassi al mondo – è stata, infatti, accompagnata da una serie di fattori, tra i quali nuovi modelli e tempistiche di formazione delle famiglie; un aumento della longevità e dall'invecchiamento della popolazione, nonché nuove dinamiche dei flussi migratori;

    l'immagine di un'Italia costituita in maggioranza da famiglie numerose appartiene ormai ad un remoto passato. In termini di fecondità, con 1,32 figli per donna il nostro Paese si attesta ben al di sotto della media dell'Unione europea (Ue) di 1,59. A partire dalla seconda metà degli anni Settanta il tasso di fecondità totale è sceso al di sotto del livello di sostituzione di 2,1 figli e da almeno trent'anni presenta valori tra i più bassi del Continente;

    secondo i dati Istat, le nascite in Italia continuano a diminuire incessantemente dal 2008, quando raggiunsero il picco massimo di 576.659 su tutto il territorio nazionale, per poi scendere a 561.944 nel 2010, a 485.780 nel 2015 e addirittura a 458.151 nel 2017, con un decremento di oltre 15 mila rispetto all'anno precedente;

    tra il 2014 e il 2017 le nascite sono quindi diminuite di circa 45 mila unità, mentre la diminuzione dal 2008 è stata di quasi 120 mila unità; nel 2018, il numero delle nascite è sceso di 9 mila unità rispetto al 2017 e si attesta attorno ad un dato complessivo di circa 449 mila nati sul territorio nazionale;

    tali dati sono significativi, soprattutto se si pone mente al fatto che nel 1964 si raggiunse il picco di nascite, con un dato annuo che superava il milione, per poi rimanere al di sopra delle 900 mila nascite negli anni Sessanta e al di sopra delle 800 mila negli anni Settanta;

    negli ultimi anni si è registrato anche un aumento costante dei decessi, passando dai 593.427 del 2011 ai 649.061 del 2017; il costante calo delle nascite ed il progressivo incremento dei decessi provoca inevitabilmente una riduzione della popolazione complessiva, in quanto il saldo naturale della popolazione è negativo ed è tale ormai dalla metà degli anni Novanta, salvo qualche piccola eccezione;

    ne consegue che, dal 2015 in poi, anche la popolazione complessiva è in costante riduzione, cosa che non accadeva addirittura dal 1952, negli ultimi tre anni, la popolazione complessiva si è quindi ridotta di ben 300 mila persone e il trend è destinato a continuare anche in futuro;

    secondo il rapporto su «Il futuro demografico del Paese», recentemente pubblicato dall'Istat, secondo uno scenario mediano – quindi, non troppo ottimistico né eccessivamente pessimistico – in Italia la popolazione residente attesa nel 2045 dovrebbe essere pari a circa a 59 milioni, per scendere poi attorno ai 54,1 milioni nel 2065; la flessione rispetto al 2017 (60,6 milioni) sarebbe pari a 1,6 milioni di residenti nel 2045 e a 6,5 milioni nel 2065, mentre tenendo conto della variabilità associata agli eventi demografici la stima della popolazione al 2065 oscilla da un minimo di 46,4 milioni a un massimo di 62; tra il 2045 e il 2065, pertanto, la popolazione diminuirebbe di ulteriori 4,9 milioni, registrando una riduzione medio annua del 4,3 per mille;

    lo stesso rapporto prevede altresì che il Mezzogiorno perderebbe popolazione per tutto il periodo, mentre nel Centro-nord, dopo i primi trent'anni di previsione con un bilancio demografico positivo, si avrebbe un progressivo declino della popolazione soltanto dal 2045 in avanti; è prevedibile che negli anni a venire si registri uno spostamento del peso della popolazione dal Mezzogiorno al Centro-nord, in particolare nel 2065 il Centro-nord accoglierebbe il 71 per cento di residenti contro il 66 per cento di oggi, mentre il Sud arriverebbe ad accoglierne il 29 per cento contro il 34 per cento attuale;

    le future nascite, secondo il citato documento, non saranno sufficienti a compensare i futuri decessi e se nel breve periodo il saldo naturale dovrebbe attestarsi attorno a quota -200 mila, nel medio e lungo periodo il saldo negativo dovrebbe raggiungere la quota di -300 e -400 mila persone;

    ulteriore effetto del calo delle nascite e del costante – e positivo – aumento della speranza di vita è che l'età media tende a crescere anno dopo anno e si attesta attualmente attorno ai 45 anni;

    le conseguenze del calo demografico e del progressivo invecchiamento della popolazione sono molto pesanti;

    anzitutto, un Paese nel quale è sempre più preponderante il peso degli ultrasessantacinquenni è destinato a spendere sempre di più per la previdenza, l'assistenza e la sanità, mentre si trova a dover ridurre gli interventi nel settore educativo in quanto bambini e ragazzi sono sempre meno;

    un Paese nel quale la presenza di ultrasessantacinquenni è sempre più massiccia si confronta quotidianamente con una riduzione della popolazione attiva, cioè di quella parte della popolazione compresa tra i 20 e i 65 anni che di fatto produce la ricchezza;

    il numero dei lavoratori non soltanto si contrae costantemente, ma denota un progressivo invecchiamento che, secondo i più recenti studi, comporta una riduzione della produttività, in quanto le persone mediamente più anziane sono generalmente meno capaci di adeguarsi ai continui mutamenti socio-economici e al progresso tecnologico;

    inoltre, il progressivo invecchiamento della popolazione comporta da un lato una riduzione della popolazione in età feconda, cioè delle donne tra i 15 e i 49 anni, con una conseguente ed ulteriore riduzione del numero delle nascite, e dall'altro un aumento dei decessi, nonostante la speranza di vita sia sempre in aumento;

    il fenomeno descritto non è circoscritto solo al nostro Paese, ma è una tendenza che accomuna tutta l'Europa e il continente americano;

    la popolazione europea è cresciuta dai 447 milioni del 1950 ai circa 600 milioni attuali, ma secondo alcuni dati estrapolati da uno studio delle Nazioni Unite già nel 2050 si prevede una drastica riduzione di circa 20 milioni di persone;

    confrontando i tassi di fecondità, si evince tuttavia che l'Italia è sicuramente il Paese che vive le maggiori difficoltà; a metà degli anni Novanta, l'Italia ha raggiunto il picco più basso, equivalente a 1,19 figli per donna, tasso successivamente salito sino a 1,46 nel 2010 ed attualmente attestatosi a 1,32; a questo calo ha contribuito la drastica diminuzione nell'incidenza delle donne con tre o più figli (dal 36,2 al 10,4 per cento) e la crescita nella quota delle donne rimaste senza figli (dal 13,8 al 25,4 per cento) o con un figlio (dal 17,5 al 28 per cento);

    i dati italiani su natalità e fecondità della popolazione residente, se comparati a quelli di altri Paesi, mostrano peraltro come nel nostro Paese solo una parte delle donne scelga volutamente di non fare figli o di fermarsi al primo; per le altre, invece, si tratta di necessità, correlata ad una serie di fattori quali la paura della perdita del posto di lavoro, le proprie possibilità economiche rispetto ai costi che un figlio comporta, la mancanza di un sostegno strutturale al lavoro femminile e l'oggettiva difficoltà di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;

    ad oggi la maternità di una lavoratrice rappresenta – soprattutto per le piccole medie e imprese – un costo aggiuntivo poiché alcuni contratti collettivi nazionali di lavoro pongono a carico dell'impresa il 20 per cento della retribuzione residuale non corrisposta dall'Inps (che ai sensi dell'articolo 22, comma 1, del decreto legislativo del 26 marzo 2001, n. 151 riconosce un'indennità giornaliera pari all'80 per cento della retribuzione per tutto il periodo del congedo di maternità) e spesso il datore di lavoro affianca alla futura mamma, nei mesi precedenti il congedo di maternità, una figura sostitutiva, cui spetta anche in questa fase transitoria il trattamento retributivo pattuito;

    nel complesso, la situazione demografica italiana si presenta particolarmente preoccupante per la presenza di diverse distorsioni strutturali – diminuzione donne in età feconda, contenuto livello di fecondità, quota elevata di anziani – che sono destinate a produrre per molto tempo un ammontare di decessi superiore a quello dei nati, una riduzione dell'ammontare della popolazione, un ricambio insufficiente nelle età lavorative e un calo dell'ampiezza delle nuove generazioni;

    è, inoltre, in atto un processo di frammentazione e semplificazione delle strutture familiari, con una forte crescita delle famiglie formate da una sola persona, più che raddoppiate nell'ultimo trentennio (da 3,8 a 8 milioni); nello stesso periodo sono aumentate le famiglie nucleari (+1 milione), sono diminuite le coppie con figli (-1,5 milioni), cresciute quelle senza figli (+1,5 milioni) e i nuclei monogenitore (+1 milione);

    continuano poi a diminuire le famiglie numerose con cinque e più componenti, che negli anni ’70 erano oltre 3,4 milioni, una per ogni 5 famiglie, e oggi sono 1,4 milioni, una per ogni 17 famiglie; famiglie che mostrano, per altro, un maggiore rischio di povertà ed esclusione sociale. Nel complesso, le famiglie con tre figli sono 902 mila, 133 mila sono le famiglie con quattro figli e appena 30 mila quelle con cinque o più figli;

    il tema del superamento del nostro «inverno demografico» è una questione di interesse nazionale che deve essere al posta al centro dell'agenda politica;

    l'attenzione dell'Esecutivo in questa direzione è testimoniata dall'istituzione di un Ministro con delega alle politiche per la famiglia e dalle prime misure adottate nell'ambito della manovra di bilancio 2019-2021 ai fini del sostegno della genitorialità e della natalità, tra le quali si ricordano: la nuova disciplina del Fondo per le politiche della famiglia, la cui dotazione strutturale è stata elevata da 5 a oltre 100 milioni di euro annui; lo stanziamento di oltre 440 milioni di euro per la proroga e il rafforzamento per ogni figlio successivo al primo dell'assegno di natalità; l'incremento da 1.000 a 1.500 euro annui dell'assegno destinato al pagamento delle rette per la frequenza di asili nido pubblici o privati autorizzati, ovvero per le forme di assistenza presso la propria abitazione nelle famiglie con bambini affetti da gravi patologie croniche; le nuove modalità più flessibili di fruizione del congedo di maternità; la proroga e l'ampliamento della durata sino a sei giorni del congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente; la ridefinizione e il finanziamento della Carta della famiglia e, infine, le agevolazioni in tema di lavoro agile a favore delle madri lavoratrici e dei lavoratori con figli in condizioni di disabilità;

    tali primi interventi costituiscono solo un primo passo di un disegno complessivo diretto a ricondurre ad unità politiche pubbliche oggi ancora troppo frammentate, disordinate, disomogenee;

    per evitare che la crisi demografica prosciughi, nel lungo periodo, le finanze pubbliche e depotenzi il sistema di protezione sociale, occorre, infatti, attuare una vera e propria riforma strutturale, capace di agire, contestualmente, su tutti i fattori di sostegno alla famiglia: dai trasferimenti monetari diretti – quali le diverse tipologie di assegni familiari, l'assegno di natalità, il premio alla nascita, il bonus per gli asili nido, e altro, a quelli indiretti – quali i diversi sgravi fiscali –, sino al variegato universo delle prestazioni e dei servizi di welfare (asili nido e servizi per la prima infanzia, consultori e centri per la famiglia, e altro) e alle altre specifiche azioni di supporto a partire da quelle per la conciliazione dei tempi tra vita professionale e vita familiare (congedi di maternità e di paternità, smart working, e altro), senza trascurare il ruolo strategico che può e deve svolgere l'incentivazione alle moderne forme di welfare familiare aziendale;

    dal punto di vista della spesa pubblica, il «criterio guida» di una riforma siffatta dovrebbe essere quello di assicurare la completa integrazione e complementarietà tra le componenti di spesa fiscale per la famiglia e quelle di carattere lato sensu assistenziale, che oggi invece appaiono non coordinarsi tra loro, secondo una logica comune che metta al centro la famiglia, i suoi bisogni e il suo benessere; vi sono troppi istituti con analoghe finalità di sostegno, destinati a platee diverse con criteri di accesso differenziati, in alcuni casi con valenza a regime in altri temporanei, che determinano un quadro confuso nel quale alcune esigenze rimangono prive di tutela, mentre altre registrano sovrapposizioni di interventi prive di fondamento;

    tutti gli osservatori concordano sulla stretta correlazione tra andamento demografico ed equilibri di bilancio, individuando nelle tendenze demografiche avverse uno dei principali fattori di rischio per la sostenibilità di lungo periodo della spesa pensionistica e sanitaria;

    l'investimento nel capitale umano e sociale delle famiglie è un investimento ad alto valore aggiunto, che al pari di quelli produttivi presenta un effetto moltiplicatore sia in termini di rilancio della crescita, sia in termini di salvaguardia della sostenibilità del nostro sistema di welfare; lo stesso Parlamento europeo ha del resto invocato un maggior coordinamento delle politiche macroeconomiche e sociali affinché la crescita, la competitività e la produttività del sistema economico rispondano al meglio alle sfide del declino demografico e dello squilibrio generazionale,

impegna il Governo:

1) ad adoperarsi in sede di Unione europea affinché, nell'ambito di una riforma del patto di stabilità e crescita, sia introdotta una nuova fattispecie di «Golden rule» per gli investimenti nelle politiche familiari ossia uno specifico spazio di flessibilità di bilancio da destinare a interventi di riforma strutturali specificamente rivolti ad elevare il tasso di natalità del nostro Paese sino a traguardare almeno la media europea;

2) a predisporre un progetto di riforma strutturale del welfare familiare, finalizzato a razionalizzare i diversi istituti vigenti a sostegno della natalità e della genitorialità, con l'obiettivo di pervenire ad un sistema organico più semplice e coordinato delle diverse misure di sostegno di natura assistenziale e fiscale, che tenga conto della situazione effettiva di ciascun nucleo familiare e garantisca, secondo una logica coerente, interventi complementari nei diversi ambiti dei sussidi, delle agevolazioni tributarie, dell'assistenza all'infanzia, dei servizi alla persona, della conciliazione dei tempi di vita professionale e familiare e delle pari opportunità;

3) a prevedere, nell'ambito del suddetto complessivo intervento di riordino iniziative per:

   a) un unico beneficio di natura monetaria destinato alle famiglie con prole, parametrato al numero, alla condizione e all'età dei figli e graduato in base alla sua effettiva situazione economica, destinato al sostegno delle spese per la crescita, il mantenimento e l'educazione dei figli;

   b) una rimodulazione dell'Irpef e, in particolare, del sistema delle tax expenditures (detrazioni e deduzioni) dirette al sostegno delle spese familiari, al fine di ridurre l'intensità del prelievo fiscale in favore delle famiglie, in particolare per quelle numerose e con figli in condizioni di disabilità, agevolare l'accesso alla prima casa e le locazioni in favore delle giovani coppie, nonché introdurre specifiche detrazioni per il costo del lavoro domestico di baby sitter e per spese destinate al novero dei prodotti per la prima infanzia;

   c) l'introduzione di forme di decontribuzione a favore dei datori di lavoro finalizzate a promuovere la fruizione dei congedi delle madri lavoratrici, nonché a ridurre la pressione contributiva anche nei casi di assunzioni sostitutive di lavoratrici in congedo di maternità;

   d) la definizione di un sistema di sostegno alle imprese di carattere permanente diretto a incentivare la creazione di strutture e servizi di welfare familiare all'interno delle aziende, anche attraverso l'industria 4.0 e la digitalizzazione;

   e) l'adozione di specifiche misure per favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, anche attraverso incentivi per le assunzioni, nonché nuove ed ulteriori forme flessibili di lavoro che consentano di conciliare l'attività professionale con la cura della vita familiare nell'ambito del lavoro pubblico e privato;

   f) l'estensione del periodo del congedo di paternità anche per i dipendenti nella pubblica amministrazione;

4) ad assumere iniziative per individuare, nella prossima manovra di bilancio, adeguate risorse finanziarie sia per conseguire l'obiettivo di copertura in tutto il territorio nazionale dei servizi socio-educativi per la prima infanzia definito dalla Strategia di Lisbona, anche attraverso l'utilizzo e la rigenerazione del patrimonio immobiliare pubblico, favorendo al contempo orari di apertura più ampi per i medesimi servizi, sia per assicurarne gradualmente la gratuità, superando ogni forma di sperequazione territoriale;

5) a promuovere, anche mediante iniziative per introdurre agevolazioni di natura fiscale, la diffusione dei nidi gestiti dalle assistenti materne (cosiddette tagesmutter);

6) ad assumere iniziative per prevedere più ampi congedi parentali soprattutto per i padri e non solo nei primi anni di vita del bambino, al fine di sostenere la genitorialità e promuovere una maggiore condivisione dei compiti di cura all'interno della coppia o della famiglia;

7) a prevedere specifiche iniziative di conciliazione in favore delle madri lavoratrici autonome, anche mediante misure dirette ad armonizzare gli istituti di tutela della maternità per le lavoratrici professioniste e le altre lavoratrici autonome;

8) ad adottare le opportune iniziative per riqualificare e potenziare le attività dei consultori familiari e dei centri per la famiglia quali luoghi privilegiati per il sostegno alla maternità, alla paternità e alle responsabilità genitoriali e per l'assistenza alle famiglie più fragili, garantendone una diffusione più omogenea nel territorio nazionale, ampliandone le funzioni in riferimento a: l'assistenza psicologica e sociale alle famiglie e alle donne, con particolare riferimento al sostegno delle responsabilità genitoriali, alla presenza di disabilità o di patologie gravi; il coordinamento di interventi sanitari e socio-assistenziali per la tutela della salute della donna e della famiglia; la protezione dei minori e del loro corretto sviluppo psico-fisico; la promozione di iniziative di prevenzione e di tutela in caso di violenze, maltrattamenti e abusi sessuali; la mediazione familiare in caso di conflittualità nel nucleo familiare; la prevenzione e il trattamento delle malattie; sessualmente trasmissibili, delle patologie e delle situazioni di disagio che incidono sulla vita sessuale e di relazione;

9) ad attivare un piano di rilancio e recupero dell'edilizia residenziale pubblica finalizzato a contrastare il disagio abitativo in particolare per le giovani famiglie, nonché a potenziare le misure di sostegno per l'accesso alla prima casa;

10) ad adottare le opportune iniziative per il riconoscimento sul piano previdenziale del valore dei carichi di cura, con particolare riferimento alla cura dei figli e dei familiari in condizione di disabilità.
(1-00167) «Panizzut, Mammì, Boldi, Massimo Enrico Baroni, De Martini, Bologna, Foscolo, D'Arrando, Lazzarini, Lapia, Locatelli, Lorefice, Tiramani, Menga, Ziello, Nappi, Nesci, Provenza, Sapia, Sarli, Sportiello, Trizzino, Troiano, Leda Volpi».

(8 aprile 2019)

   La Camera,

   premesso che:

    la famiglia per la Costituzione italiana è il nucleo fondante della società, il soggetto promotore dello sviluppo e del benessere sociale, è il luogo in cui coltivare il futuro, il desiderio di maternità e di paternità;

    la famiglia è stata il pilastro del nostro welfare, svolgendo in Italia, in particolare durante le crisi economiche una funzione di ammortizzatore sociale, colmando in molti casi l'assenza di servizi di cura alla persona e all'infanzia propri dello Stato e degli enti locali. L'assenza di politiche attive omogenee sul territorio nazionale, ha finito per creare delle disparità di accesso ai servizi sociali e socio-assistenziali, tra nord e sud e intraregionali. Il peso di questo carico di assistenza è caduto sulla famiglia e in particolare sulle donne che sono state penalizzate sia come lavoratrici, che come madri e care giver familiari. Il peso usurante dell'organizzazione socio-familiare a carico delle donne lo si ritrova fotografato nelle condizioni di salute femminile, particolarmente peggiori nella fase della vecchiaia rispetto alla popolazione maschile;

    il tasso di fecondità nel nostro Paese è attestato su 1,39 figli per donna in età fertile. Quello italiano è uno dei livelli più bassi di fecondità osservato nei Paesi sviluppati ed è il risultato di una progressiva diminuzione delle nascite che è in atto dal baby boom. L'inverno demografico ha un impatto scientificamente provato sul sistema di sviluppo economico del Paese, sulle previsioni di sostenibilità del sistema sanitario nazionale e del sistema previdenziale, sul mondo del lavoro e non da ultimo sulla spinta all'innovazione del Paese. Per questo il tema richiede un approccio complessivo e sistemico, fuori dalle logiche a silos;

    certi che gli incentivi economici di per sé non convincono una coppia a far nascere un bambino, ma certamente aiutano la sostenibilità familiare, lo Stato, per la Costituzione italiana, ha il dovere di eliminare gli ostacoli di natura economica, lavorativa e di organizzazione che fanno rinunciare o rinviare la maternità e la paternità, così come deve assicurare il sostegno a famiglie con portatori di handicap e riconoscere l'attività di cura degli anziani;

    è necessario realizzare attraverso politiche attive il raggiungimento dell'obiettivo del 60 per cento dell'occupazione femminile, poiché una famiglia in cui la donna non lavora è una famiglia a rischio povertà. È un fatto la correlazione tra disoccupazione femminile, minor reddito delle donne e tardiva stabilizzazione nel mercato del lavoro e denatalità in Italia. Tutti gli studi dimostrano che questo porta anche un aumento della produttività del sistema Paese con una significativa crescita del Pil, accreditata fino a 7 punti percentuali. Fornendo, nel contempo, servizi di supporto all'infanzia, asili nido gratuiti, defiscalizzazione dei servizi di baby sitting, congedi parentali in più fasi della vita del bambino/adolescente sia per la mamma che per il padre, incentivando le aziende a defiscalizzare gli investimenti per gli asili e il welfare aziendale,

impegna il Governo:

1) a mettere al centro del dibattito politico il tema della famiglia, della natalità e delle esigenze a esse legate, adottando un piano universalistico per la natalità in maniera da poter affrontare sin da oggi il tema della sostenibilità economica, previdenziale e sanitaria dei prossimi anni, secondo i seguenti princìpi e criteri cardine:

   a) a equiparare l'attività di assistenza in famiglia ad un'attività lavorativa soprattutto ai fini previdenziali, poiché «Fattore famiglia» significa configurare un sistema fiscale che tenga conto in modo determinante dei figli e della particolarità delle famiglie numerose, senza distinzione di reddito;

   b) riconoscere la maternità come evento significativo e unico nella vita della donna con un valore per l'intera comunità, assumendo iniziative affinché per ogni figlio, lo Stato garantisca un anno di contributi reali per un massimo di tre anni di riduzione dell'età pensionabile;

   c) rendere stabile e definitivo l'assegno per la nascita o adozione di un bambino, misura che deve diventare strutturale e non da rinnovare in ogni finanziaria;

   d) garantire l'accesso gratuito al servizio di asili nido, pubblici e privati, come succede in molti Paesi europei: misure universalistiche e non progressive – asili nido gratuiti come grandi infrastrutture a sostegno di chi ha un bisogno e di chi ha un merito, a favore di chi è più debole, delle donne che lavorano e quindi a sostegno del lavoro e delle imprese –;

   e) intervenire con attenzione per il concreto sostegno delle famiglie che affrontano l'esperienza della disabilità, anche formando, in modo specifico, gli insegnanti di supporto per i bambini con diverse tipologie di handicap nel servizio scolastico compresa la scuola dell'infanzia, assumendo, nello stesso tempo, iniziative, per quanto di competenza, per il rafforzamento della rete socio-sanitaria delle Asl per garantire in modo omogeneo sul territorio servizi di cura e tutoraggio anche nell'orario extrascolastico;

   f) sostenere le famiglie più bisognose, che ad esempio non possono farsi carico dei costi dei centri estivi o che non hanno aiuti da familiari, intervenendo, in questi casi, presso le scuole, materne e primarie, che si faranno carico di svolgere attività nei mesi di giugno e luglio;

   g) ridurre il cuneo fiscale liberando così risorse che possono essere distribuite all'impresa e ai salari dei lavoratori;

   h) promuovere un'assistenza domiciliare efficace e capillare e un nuovo modello di organizzazione dei beni comuni, come ad esempio l'infermiere di condominio, servizi alla persona messi in comune, spazi concepiti diversamente per la semi-autosufficienza, poiché famiglia non significa solo giovani coppie, ma con il passare degli anni, e il diminuire delle nascite, famiglia sempre più significa anziani o anziani soli, i quali rappresentano una delle principali sfide che le società moderne ed economicamente avanzate si trovano ad affrontare; si tratta di anziani che bisogna curare, assistere e mantenere attivi visto che oggi in Italia si contano 14 milioni di over 65 di cui 4 milioni di non autosufficienti e nei prossimi anni questi numeri sono destinati a moltiplicarsi: si stima che entro il 2050 si invertirà il rapporto tra attivi ed inattivi;

   i) creare una nuova economia del terzo settore attraverso un modo nuovo e diverso di rappresentare l'assistenza alle persone, favorendo l'assistenza domiciliare integrata con l'assistenza sanitaria e anche al fine di mantenere la socialità di una popolazione over 75. Share Economy dell’Health Care: è ormai necessario proporre un nuovo modello di welfare, un welfare di comunità;

   l) creare un fondo vincolato per il sociale così come per la salute per far dialogare sanità e sociale anche, eventualmente, promuovendo l'accorpamento dei servizi sociali nella competenza del Ministero della salute, così come la famiglia con un unico e non dispersivo coordinamento delle politiche attive sul welfare.
(1-00168) «Lorenzin, Toccafondi, Longo, Soverini, Schullian».

(8 aprile 2019)

   La Camera,

   premesso che:

    la famiglia è la cellula su cui si fonda e cresce l'intera società. Lo Stato ne riconosce la funzione sociale all'articolo 29 della Costituzione, che individua infatti la famiglia come società naturale, e all'articolo 31 stabilisce che: «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose»;

    in Italia il sistema fiscale interviene come se la capacità contributiva delle famiglie non fosse condizionata dalla presenza di figli e dall'eventuale scelta di uno dei due coniugi di dedicare parte del proprio tempo a curare, crescere ed educare i figli. Investire nelle politiche familiari significa, pertanto, investire sulla qualità stessa della struttura sociale e, in definitiva, sullo stesso futuro della società;

    se in questi ambiti fossero introdotte maggiori agevolazioni si tornerebbe a ragionare di «famiglia» in un'ottica di investimento sul futuro, generando un nuovo processo virtuoso per la natalità e la crescita economico-sociale del Paese;

    in Italia, nell'ambito delle politiche di welfare, la spesa per la famiglia è la voce meno consistente (1,4 per cento spesa sociale) ed è la più bassa se confrontata con il resto dei Paesi europei;

    l'assenza di efficaci politiche per l'infanzia e la carenza di strutture e di servizi socio-educativi per l'infanzia, continuano a rappresentare uno dei problemi cronici del nostro Paese. I pesanti e costanti tagli agli enti territoriali imposti in questi ultimi anni, hanno contribuito a peggiorare la situazione dal punto di vista sia della qualità dei suddetti servizi che dei costi;

    tra il 2004 e il 2012 i comuni, titolari dell'offerta pubblica sul territorio, avevano molto investito sui servizi per la prima infanzia, con risorse passate da 1,1 a 1,6 miliardi di euro (+47 per cento). Poi è iniziato il calo di risorse, con una contrazione della spesa;

    è evidente lo scarto ancora esistente tra le reali esigenze delle famiglie nel poter disporre di strutture e di servizi socio-educativi per l'infanzia, e la concreta possibilità di soddisfare queste esigenze. Poche sono le regioni che possono vantarsi di aver raggiunto il traguardo del 33 per cento fissato dall'Unione europea. Il Consiglio europeo nel 2002 a Barcellona, ha posto come traguardo per gli Stati membri che i posti disponibili nei servizi per la prima infanzia avrebbero dovuto coprire entro il 2010 almeno un terzo della domanda potenziale, cioè il 33 per cento dei bambini sotto i 3 anni. Obiettivo recepito anche dal decreto legislativo 65 del 2017 che ha ribadito questo impegno, ma che è finora rimasto sulla carta. Non c'è stato alcun aumento delle risorse;

    con riferimento all'offerta di asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia, il comunicato dell'Istat del 21 marzo 2019 indica come i posti disponibili coprono il 24 per cento del potenziale bacino di utenza (bambini residenti sotto i 3 anni). Tale dotazione è ancora sotto al citato parametro del 33 per cento fissato per sostenere la conciliazione della vita familiare e lavorativa e promuovere la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro;

    la diffusione dei servizi risulta molto eterogenea sul territorio. I posti variano da un minimo del 7,6 per cento dei potenziali utenti in Campania a un massimo del 44,7 per cento in Valle D'Aosta;

    l'offerta comunale degli asili nido e altri servizi socio-educativi mostra fortissime sperequazioni regionali;

    la spesa media dei comuni a livello regionale varia da un minimo di 88 euro l'anno per un bambino residente in Calabria a un massimo di 2.209 euro l'anno nella Provincia autonoma di Trento;

    come rilevato anche dall'Ocse, esiste un nesso causale immediato e diretto fra la scarsa disponibilità di servizi pubblici per l'infanzia e la disoccupazione femminile: è di tutta evidenza, infatti, che le donne-madri che non possono affidare il bambino ad altri componenti del nucleo familiare o sostenere il costo di servizi di asilo nido privati o baby-sitting non abbiano altra scelta che sacrificare in tutto o in parte al proprio lavoro;

    diversi sono gli ambiti sui quali è indispensabile agire per favorire la famiglia e la natalità: oltre ai citati servizi per l'infanzia, è necessario intervenire sulla disoccupazione in particolare quella giovanile, su una reale politica di conciliazione della vita familiare e lavorativa, sulla povertà minorile. Tutti aspetti che scoraggiano le coppie più giovani a costruire una famiglia;

    ad aggravare fortemente la situazione delle famiglie italiane contribuisce in maniera determinante la recessione economica a cui ci ha condotto questo Governo;

    gli ultimi dati Istat certificano che il reddito disponibile delle famiglie consumatrici nel quarto trimestre 2018 è diminuito dello 0,2 per cento in termini nominali e dello 0,5 per cento in termini reali, rispetto ai tre mesi precedenti. A questo si aggiunge la recente analisi dell'Ocse che confermano come le condizioni di vita nel nostro Paese, siano le stesse di inizio millennio;

    è in aumento il numero di coloro che non si sentono in grado di dare le giuste garanzie alla propria famiglia con il proprio lavoro;

    persiste il preoccupante costante calo della natalità che affligge da troppi anni il nostro Paese, conseguenza anche dell'inadeguatezza dei servizi per l'infanzia a supporto delle famiglie, la sostanziale assenza di specifici ed efficaci aiuti finanziari a favore della famiglia, nonché la carenza di politiche volte a favorire le pari opportunità tra uomini e donne;

    l'Istat ci ricorda che nel nostro Paese nel 2018 si contano 449 mila nascite, ossia 9 mila in meno del precedente minimo registrato nel 2017. Rispetto al 2008 risultano 128 mila nati in meno;

    il saldo naturale nel 2018 è negativo (-187 mila), risultando il secondo livello più basso nella storia dopo quello del 2017 (-191 mila);

    gli effetti di un così basso tasso di natalità sono economicamente e socialmente pericolosi. Ciò risulta tanto più grave se si considera che, negli ultimi 10-15 anni, i giovani hanno sempre più posticipato la decisione di sposarsi ed avere dei figli;

    non c'è alcuna iniziativa strutturale volta a sostenere quei giovani che, senza aiuti da parte dello Stato, mettono al mondo dei figli, compiendo sul fronte personale un gesto tanto naturale quanto coraggioso, con pochissimo sostegno da parte delle istituzioni;

    mancano efficaci misure a sostegno della famiglia, laddove sarebbero necessarie anche politiche, soprattutto fiscali, dedicate e più mirate, tra le quali l'introduzione del quoziente familiare, in grado di favorire la creazione di nuovi nuclei familiari, con riguardo a quelli più numerosi, e di sostenere quelli esistenti. Particolarmente penalizzati sono poi i nuclei familiari più numerosi;

    giova infatti ricordare che il rischio di povertà cresce all'aumentare dei figli minori presenti in famiglia: l'incidenza si attesta al 10,5 per cento tra le famiglie con almeno un figlio e raggiunge il 20,9 per cento tra quelle con tre o più figli. Tra gli individui più a rischio anche le donne, stimate in 2 milioni 472 mila. I giovani tra i 18 e i 34 anni sarebbero, invece, un milione e 112 mila (il 10,4 per cento, è il valore più elevato dal 2005);

    sotto questo aspetto il Governo, con le misure finora proposte in questa legislatura non ha previsto nulla, e poco o nulla c'è nella legge di bilancio approvata nel dicembre scorso;

    peraltro, con specifico riguardo alle famiglie e in particolare a quelle più numerose, lo stesso reddito di cittadinanza pensato da questo Governo e da poco approvato dal Parlamento, e che dovrebbe sostenere le famiglie in situazioni di estrema necessità, finisce per essere fortemente iniquo nei confronti dei nuclei familiari più numerosi o dove è presente una persona disabile. Infatti: il contributo all'affitto non aumenta all'aumentare dei componenti della famiglia; la scala di equivalenza (insieme di coefficienti che consente di calcolare l'ammontare mensile da corrispondere a famiglie che hanno più di un componente) per come è stata concepita penalizza le famiglie numerose rispetto ai singoli individui; nuclei familiari con lo stesso Isee sono inclusi o esclusi dall'erogazione del beneficio sulla base della numerosità dei componenti. È chiaro quindi come il reddito di cittadinanza finisce per essere molto più generoso nei confronti dei nuclei familiari composti da una sola persona e molto meno generoso per quanto riguarda le famiglie numerose. E questa misura è ancora più penalizzante laddove all'interno del nucleo familiare vi sia una persona con disabilità;

    così come nulla si sta facendo e poco si è fatto in questi ultimi anni, in materia di politica di conciliazione della vita familiare e lavorativa;

    nonostante il generale miglioramento di questi anni del tasso di occupazione femminile, permangono profonde differenze sul territorio riguardo alla loro partecipazione delle donne al mercato del lavoro;

    il fenomeno del cosiddetto gender pay gap, ossia il divario retributivo di genere che caratterizza il nostro Paese è altresì un tema centrale attraverso il quale devono passare necessariamente lo sviluppo e la crescita economia, sociale e culturale dell'Italia;

    ormai da anni il World Economic Forum (WEF) redige il Global Gender Gap Report attraverso cui si classificano i Paesi sulla scorta degli indici di gender pay gap, cioè la differenza in termini di opportunità, status e attitudini tra i due sessi. Nonostante il Report 2018 ci offra una immagine dell'Italia lievemente migliore rispetto a quella del Report 2017 (siamo passati dall'ottantaduesimo posto al settantesimo su 149 Paesi, dopo però essere calati tra il 206 e il 2017 di ben trentadue posizioni), il divario tra uomini e donne sul piano della retribuzione e delle opportunità appare evidentemente allarmante;

    nella classifica globale pubblicata a fine 2018 l'Italia si attesta al 118esimo posto per opportunità e partecipazione alla vita economica e lavorativa femminile. Siamo invece quartultimi tra i Paesi dell'Europa Occidentale;

    vale la pena in questa sede ricordare che con il codice delle pari opportunità (decreto legislativo n. 198 del 2006) il legislatore ha introdotto nell'ordinamento previsioni normative indirizzate specificatamente alla parità di genere nel mondo del lavoro. Previsioni che ci accorgiamo non sono sufficienti a tutelare la donna lavoratrice;

    è necessario implementare sensibilmente le misure a sostegno della partecipazione delle donne al mercato del lavoro, adottando un approccio che parte dalla domanda e dalla necessità delle donne, madri e lavoratrici, attraverso maggiori incentivi e sgravi fiscali all'assunzione, favorendo le misure di conciliazione fra carichi familiari e lavoro, nonché, come si è visto, un intervento massiccio per il rafforzamento delle reti per l'infanzia. Questo avrebbe ritorni importanti sia sotto il profilo della crescita demografica che della natalità, che sotto il profilo dell'affermazione del ruolo della donna-lavoratrice nella nostra società;

    nell'ultima legge di bilancio nessuna misura, al di là di qualche proroga di norme già vigenti, è stata proposta e approvata dal Governo;

    il risultato è che una delle poche iniziative legislative con le quali si è contraddistinto il Governo, è stata la mancata proroga di un'importante misura introdotta nel 2012 in via sperimentale, ma che era sempre stata prorogata negli anni, ossia il beneficio per il servizio di baby sitting per le mamme che rinunciano al congedo parentale. Questa norma consentiva alle mamme di «scambiare» il congedo parentale con un bonus fino a 600 euro mensili per un massimo di sei mesi (quelli previsti per il congedo parentale facoltativo) per pagare la baby sitter o l'asilo nido. Pertanto dal 1° gennaio 2019, le madri lavoratrici non possono più presentare domanda per l'accesso al beneficio;

    nel corso dell'esame parlamentare della legge di bilancio 2019, Forza Italia ha presentato molte proposte emendative, con misure a sostegno delle famiglie e della genitorialità, ma non accolte dal Governo e dalla maggioranza che lo sostiene,

impegna il Governo:

1) ad assumere le opportune iniziative normative volte a introdurre l'istituto del quoziente familiare, individuando quindi il nucleo familiare e non il singolo contribuente quale soggetto passivo dell'Irpef, con conseguenti ed evidenti benefici per le famiglie più numerose;

2) ad assumere iniziative per predisporre ulteriori opportuni benefici e un incremento delle attuali agevolazioni fiscali per le famiglie, al fine di favorire la genitorialità e la formazione di nuovi nuclei familiari, prevedendo, tra l'altro:

   a) di mettere a regime e aumentare l'attuale assegno di natalità;

   b) di reintrodurre il beneficio per il servizio di baby sitting per le mamme che rinunciano al congedo parentale, previsto dalla legge 28 giugno 2012, n. 92, e non prorogato dal Governo;

   c) di aumentare le detrazioni per ciascun figlio, e quelle incrementali previste per ogni figlio portatore di handicap;

   d) di aumentare l'importo massimo entro il quale è possibile beneficiare delle detrazioni per le spese sostenute per gli addetti all'assistenza personale nei casi di non autosufficienza;

   e) di riformare il sistema delle adozioni, snellendo il procedimento burocratico; incrementare le risorse a favore del Fondo per il sostegno delle adozioni internazionali;

   f) di incrementare le risorse a favore del Fondo di garanzia per la prima casa (legge n. 147 del 2013), istituito con priorità per l'accesso al credito da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori;

3) ad assumere iniziative per prevedere l'implementazione di misure volte a favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, anche prevedendo sgravi fiscali per le aziende che assumono neomamme e donne in età fertile e l'esenzione contributiva per le assunzioni effettuate in sostituzione di donne in congedo maternità;

4) ad aumentare le iniziative normative e le risorse destinate alla conciliazione tra vita professionale e vita privata anche prevedendo iniziative e risorse volte a promuovere il ricorso a forme di lavoro agile per le donne lavoratrici, con particolare riguardo alle lavoratrici con funzioni di cura familiare, nonché incrementando il Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello, di cui alla legge n. 247 del 2007, garantendo comunque che un'organizzazione aziendale che incentivi la suddetta conciliazione, non finisca per favorire l'allontanamento della donna dalle relazioni di lavoro e dall'opportunità di formazione e carriera;

5) a valutare l'opportunità di assumere iniziative per introdurre una normativa pensionistica agevolata per le lavoratrici madri che possono vedersi scontato fino a 3 anni di periodo contributivo necessario per andare in pensione in base al numero di figli;

6) ad assumere iniziative per prevedere un aumento a dieci giorni, e la sua messa a regime, del congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente, da fruire entro i cinque mesi dalla nascita del figlio;

7) ad assumere iniziative volte ad introdurre e promuovere, attraverso accordi tra datori di lavoro e lavoratori, misure di monitoraggio e valutazione delle condizioni di lavoro e retribuzione tra generi, nonché volte a prevenire e contrastare eventuali disparità e discriminazioni in tale ambito, in particolare al fine di contribuire a salvaguardare le condizioni economiche delle famiglie;

8) a prevedere un incremento della quota di investimento pubblico nel welfare destinato alle famiglie, rispettando in tal modo il dettato costituzionale, e favorire conseguentemente la natalità e la crescita economica e sociale del Paese;

9) ad assumere iniziative per implementare le misure di sostegno alla paternità e alla maternità, con particolare riguardo alla necessità di avviare un piano pluriennale di investimenti, finalizzati a incrementare gli asili nido e i servizi socio-educativi per l'infanzia, riducendo le forti disomogeneità esistenti sul territorio nazionale nell'offerta di detti servizi, e per garantire il raggiungimento degli obiettivi previsti in ambito di Unione europea, prevedendo che una quota sia finalizzata anche a favorire con opportuni incentivi le imprese e altri luoghi di lavoro nella realizzazione di asili aziendali o interaziendali;

10) ad assumere le opportune iniziative, di concerto con gli enti locali, al fine di garantire un orario prolungato degli asili nido e l'apertura anche estiva delle medesime strutture, prevedendo un aumento dei trasferimenti a favore degli enti locali al fine di rendere economicamente sostenibile la previsione della gratuità dei medesimi.
(1-00169) «Calabria, Palmieri, Gelmini, Carfagna, Marrocco, Spena, Versace, Bagnasco, Battilocchio, Bignami, Cannizzaro, Fiorini, Gagliardi, Mandelli, Minardo, Mugnai, Nevi, Novelli, Perego Di Cremnago, Pettarin, Pittalis, Rotondi, Ruffino, Saccani Jotti, Scoma, Elvira Savino, Silli, Squeri, Maria Tripodi, Vietina, Zanella, Labriola, Ripani, Fasano, Napoli, Fitzgerald Nissoli, Della Frera, Tartaglione, Fatuzzo, Giacometto, Orsini, D'Attis».

(8 aprile 2019)

   La Camera,

   premesso che:

    secondo gli ultimi dati Istat, si stima che la popolazione in Italia ammonti al 1° gennaio 2019 a 60 milioni e 391 mila residenti: oltre 90 mila in meno sull'anno precedente (-1,5 per mille); che le nascite nel 2018 siano state 449 mila, ossia 9 mila in meno del precedente minimo registrato nel 2017 e 128 mila in meno rispetto a dieci anni prima. Sempre secondo tali dati, il numero medio di figli per donna è pari a 1,32, invariato rispetto all'anno precedente, anche se, nel lungo periodo, la fecondità misurata lungo le varie generazioni femminili, anziché per anni di calendario, è in continua diminuzione e non ha mai smesso di diminuire;

    in particolare, nel 2018 la provincia autonoma di Bolzano si conferma l'area più prolifica del Paese con 1,76 figli per donna, nonché l'unica che rispetto al 2010, anno in cui la fecondità nazionale registrava un massimo relativo di 1,46, abbia ulteriormente incrementato; seguono poi la provincia di Trento (1,50), la Lombardia (1,38) e l'Emilia-Romagna (1,37), ovvero tutte regioni del Nord, all'opposto, le aree del Paese dove la fecondità è più contenuta sono tutte nel Mezzogiorno (1,29), in particolare in Basilicata (1,16), Molise (1,13) e Sardegna (1,06). Anche nel Centro, con 1,25 figli, la situazione è molto critica, in particolare, nel Lazio (1,23);

    secondo gli ultimi dati Eurostat i tassi di natalità netti più alti del 2016 sono stati registrati in Irlanda (13,5 per 1.000 residenti), Svezia e Regno Unito (11,8 per cento) e Francia (11,7 per cento). Al contrario, i più bassi sono stati registrati negli Stati membri del Sud: Italia (7,8 per cento), Portogallo (8,4 per cento), Grecia (8,6 per cento), Spagna (8,7 per cento), Croazia (9,0 per cento) e Bulgaria (9,1 per cento); a livello dell'Unione europea, la natalità netta è stata di 10 bambini per 1.000 residenti;

    numerose ragioni sottendono al calo delle nascite, tra cui anche sicuramente le carenze, a livello nazionale e territoriale, di efficaci politiche per la famiglia, per la previdenza, per il lavoro, per la casa, per il welfare;

    una delle cause della bassa natalità italiana è costituita dagli ostacoli economici e culturali che la scelta di diventare madri comporta, a partire dalla discriminazione nell'accesso e nella prestazione di lavoro, che aumenta in maniera direttamente proporzionale al numero di figli. Discriminazione aggravata da un sistema di welfare debole che spesso lascia alle donne il lavoro di cura di bambini e anziani, senza che questo venga riconosciuto dal punto di vista previdenziale. Si consideri poi come l'innalzamento dell'età per pensione di vecchiaia faccia sovente mancare l'aiuto dei nonni. Secondo una ricerca di Manageritalia basata su dati Istat e Isfol, il 27 per cento delle donne lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio. Se prima della gravidanza lavorano 59 donne su 100, dopo il parto ne continuano a lavorare solo 43 e nel 90 per cento dei casi la motivazione prevalente dell'abbandono è legata alla necessità di potersi dedicare alla cura dei figli. Approfondendo le ragioni dell'addio, emerge che il 23 per cento delle donne che lasciano il lavoro denuncia fenomeni di mobbing;

    la Costituzione ha inteso valorizzare la famiglia, evidenziando l'importanza del mutuo aiuto morale, materiale ed educativo tra coniugi, tra genitori e figli e tra parenti; la stabilità affettiva e genitoriale è pertanto un orientamento da promuovere, nel rispetto delle libere scelte di ciascuno. Le diverse posizioni relative alle scelte affettive e genitoriali si ritrovano comunque concordi nel ritenere che una seria politica a sostegno della natalità e della genitorialità non sia più rinviabile;

    assumono un significato rilevante non solo le politiche per la conciliazione e la condivisione delle responsabilità familiari, ma anche quelle relative al contrasto della povertà relativa ed estrema, in particolare di quella infantile. Secondo l'ultimo rapporto di Save the children, in Italia un milione e trecentomila tra bambini e ragazzi, pari a uno su dieci, non raggiunge una condizione di vita accettabile e soprattutto non riesce ad emanciparsi dal disagio familiare;

    oltre alla povertà materiale, si registrano talvolta anche povertà educative e condizioni di abbandono o grave trascuratezza dei minori. Le famiglie adottive e affidatarie e i servizi sociali per minori rappresentano una realtà straordinaria del nostro Paese, che occorre tuttavia valorizzare e sostenere meglio, per dare casa e affetti a tanti minori in stato di abbandono morale, materiale o comunque in una condizione di disagio;

    la frequenza al nido è un fattore efficace di riduzione delle diseguaglianze sociali nei rendimenti scolastici. Anche per questo motivo l'Unione europea ha fissato come obiettivo per i Paesi europei il coinvolgimento del 33 per cento dei bambini di 0-3 anni negli asili nido. Si sa che molte regioni sono molto lontane da quell'obiettivo;

    le famiglie monogenitoriali vivono talvolta una condizione di fatica, se non di disagio, determinata dall'esito di separazioni o divorzi, da condizioni economiche precarie in quanto il genitore risulta unico percettore di reddito, talvolta ottenuto anche con l'effetto di trascurare la funzione genitoriale. Urgono quindi misure dedicate, in grado di tenere conto di tali diverse situazioni;

    una valida politica di sostegno alle famiglie non può prescindere da adeguate politiche abitative. Il difficile accesso alla casa e l'impossibilità di condurre la propria esistenza in condizioni abitative dignitose rappresenta uno tra i problemi più gravi, causa di sempre maggiore esclusione sociale e rappresenta un sicuro freno alla natalità;

    nella precedente legislatura sono state approvate numerose misure per contrastare la denatalità e sostenere la genitorialità: il bonus bebé, un assegno annuo erogato per ogni nuova nascita o adozione; il bonus baby sitter, un contributo in sostituzione al congedo parentale, da impiegare nei servizi per l'infanzia; l'estensione dell'indennità di maternità alle lavoratrici iscritte alla gestione separata dell'Inps; lo stanziamento di risorse per sostenere la maternità delle atlete non professioniste; la cancellazione delle dimissioni in bianco; l'istituzione (bonus mamma) di un premio alla nascita o all'adozione di un minore; il bonus asilo nido per il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido pubblici e privati, nonché per l'introduzione di forme di supporto presso la propria abitazione in favore dei bambini affetti da gravi patologie croniche; l'aumento dei giorni di congedo obbligatorio dei padri; lo stanziamento di nuove risorse per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi per la prima infanzia; gli incrementi per il fondo delle politiche sociali e per quello della famiglia; l'emanazione del decreto legislativo a sostegno della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;

    le ultime misure introdotte dall'attuale Governo non tengono conto delle prerogative delle famiglie, in particolar modo di quelle numerose, di quelle con bambini o di quelle al cui interno vi è una persona disabile. In particolare, il reddito di cittadinanza, quale misura di politica attiva del lavoro e di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all'esclusione sociale, prevede una scala di equivalenza che penalizza le famiglie numerose e quelle dove vi è una persona disabile. Si aggiunga poi che nessuna risorsa è stata aggiunta sul cosiddetto premio alla nascita; che l'incremento degli assegni per l'iscrizione e la frequenza all'asilo nido risulta tuttavia senza risorse aggiuntive e fino ad esaurimento delle dotazioni;

    la disciplina vigente a favore della natalità e della genitorialità si presenta assai frammentata e la sua applicazione genera disparità difficilmente giustificabili. Si aggiunga poi la questione dell'esiguità delle risorse riconosciute attualmente a chi ne beneficia, sebbene potenziate durante la XVII legislatura. Gli importi sono, infatti, di gran lunga inferiori a quelli mediamente riconosciuti in Europa, per cui l'Italia è tra le nazioni che meno investe in politiche per la natalità;

    in altri Paesi europei le politiche di sostegno per i figli a carico sono semplici, ma anche più consistenti. Nella gran parte dei Paesi dell'Unione europea gli assegni per i figli sono universali, non dipendono dalla condizione professionale e non si perdono in caso di disoccupazione. In Italia, invece, la situazione normativa è paradossale. Le norme sono stratificate, spesso non note agli aventi diritto e di non semplice applicazione. L'assegno al nucleo familiare è riservato ai dipendenti, ai pensionati e a poche altre categorie di atipici. Esso si conserva durante il trattamento di disoccupazione ma si perde alla sua scadenza. Per le famiglie povere è previsto un sussidio specifico, ma solo a partire dal terzo figlio. Chi fa la dichiarazione dei redditi può beneficiare delle detrazioni per familiari a carico purché abbia un reddito superiore alla soglia di incapienza; pertanto chi non la supera non ha alcun vantaggio fiscale. Paradossalmente, i nuclei familiari più poveri e fragili sono anche quelli meno aiutati nella copertura dei costi per il mantenimento dei figli;

    proprio per tali ragioni, in questa legislatura il Partito democratico ha depositato una proposta di legge volta a superare la situazione descritta mediante la previsione dell'assegno unico per i figli a carico e della dote unica per i servizi a favore dei figli a carico. Si tratta di un ripensamento complessivo delle varie misure previste a legislazione vigente, volto a concentrare le risorse in un unico istituto onnicomprensivo, investendo nuove e rilevanti risorse pubbliche per sostenere le famiglie, la natalità e l'occupazione, a partire da quella femminile,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per riordinare e potenziare le misure a sostegno dei figli a carico, attraverso l'istituzione di un assegno unico e di una dote unica per i servizi, in linea con quanto previsto nella proposta di legge n. 687 del 2018;

2) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per ampliare la rete dei servizi socio-educativi per l'infanzia, in particolare per la fascia neonatale e prescolastica, garantendone l'uniformità su tutto il territorio nazionale, nonché per garantire l'accesso alle mense scolastiche a tutti i bambini e per rafforzare la lotta alla povertà educativa;

3) ad assumere iniziative per incrementare l'occupazione femminile, specialmente nelle aree economicamente depresse, prevedendo incentivi per le imprese che assumono a tempo indeterminato manodopera femminile, incentivi fiscali per aumentare l'occupabilità delle donne dopo la maternità e politiche di detassazione per sostenere il reddito delle donne al rientro al lavoro dopo il congedo di maternità;

4) ad assumere iniziative di competenza per rilanciare una politica della casa che permetta di assumere le responsabilità genitoriali, specie a favore delle famiglie numerose;

5) ad assumere iniziative per rivedere la scala di equivalenza del Reddito di cittadinanza, affinché si tenga maggior conto dei carichi familiari, specie in caso di figli con disabilità;

6) a favorire le politiche di conciliazione dei tempi di cura, di vita e di lavoro, al fine di contemperare le responsabilità professionali con quelle familiari, di educazione e di cura dei figli.
(1-00170) «Delrio, Lepri, Rotta, Gribaudo, Carnevali, De Maria, Morani, Pezzopane, Viscomi, Enrico Borghi, Fiano».

(8 aprile 2019)

   La Camera,

   premesso che:

    l'Italia è tra i Paesi sviluppati che si trovano oggi a fronteggiare uno scenario demografico il cui impatto sulla crescita del prodotto pro capite nei prossimi decenni sarà negativo. L'Istat stima che la popolazione residente in Italia dovrebbe attestarsi nel 2065 sui 53,7 milioni di abitanti, con una perdita secca pari a 7 milioni in meno rispetto ad oggi, 4,2 milioni dei quali a carico del sud;

    l'ultimo report annuale dell'Istat sulla dinamica demografica del nostro Paese testimonia che, nel solo anno 2018, a fronte di circa 450.000 nascite si contavano quasi 650.000 decessi, confermando per il terzo anno consecutivo un deciso decremento del tasso di natalità e del tasso di sostituzione generazionale, a riprova che l'onda lunga della crisi economica continua ad erodere la demografia italiana;

    la contrazione della natalità e della mortalità, quest'ultima legata ad un innalzamento dell'aspettativa di vita, hanno inciso sulla struttura per età della popolazione, determinando un lento e progressivo invecchiamento, e senza il contributo dell'immigrazione alla dinamica della popolazione in età lavorativa, il calo del prodotto interno lordo potrebbe risultare severo;

    il suddetto studio sembra infatti voler evidenziare quanto la perdurante congiuntura economica sfavorevole, che ha spinto sempre più giovani a ritardare rispetto alle generazioni precedenti l'appuntamento con le tappe della transizione verso la vita adulta, si sia riflessa sensibilmente nella crisi della formazione delle famiglie e nel calo della natalità;

    la prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine è dovuta anche ad altri fattori, tra cui l'aumento diffuso della scolarizzazione e l'allungamento dei tempi formativi, le difficoltà che incontrano i giovani nell'ingresso nel mondo del lavoro e la diffusa instabilità del lavoro stesso, le difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni;

    questo ritardo della popolazione giovanile nel vivere gli eventi cruciali della transizione all'età adulta – sempre più pronunciato rispetto alle generazioni precedenti ed ai coetanei europei – determina per il nostro Paese uno spreco di capitale umano, consolidando la trappola demografica della bassa fecondità con conseguente, come si è visto, invecchiamento della popolazione e perdita di equilibrio generazionale;

    d'altro canto le famiglie, quali ammortizzatori sociali di prima istanza, rispondono alla mancanza di politiche di sostegno dei giovani con una strategia di supporto basato prevalentemente sull'inclusione dei figli a casa fino al raggiungimento delle condizioni ritenute necessarie per iniziare una vita autonoma. Tutto questo inibisce, da un lato, l'intraprendenza giovanile nell'affrontare la vita con coraggio e determinazione, e, dall'altro, ritarda il momento di avvio di una nuova coniugalità dei genitori con figli adulti non più conviventi;

    se le difficoltà proprie del contesto socio-economico sono uguali per tutti i giovani, non lo sono però le caratteristiche delle loro famiglie d'origine, poiché solo alcune sono in grado di supportare più di altre i figli giovani, ed in assenza di un adeguato intervento di welfare è probabile che si generino nuove forme di diseguaglianze;

    la sfida demografica, dunque, impone una immediata rivisitazione di tutti quegli interventi a supporto dei nuclei familiari già messi in campo dal governo seppur sotto forma di bonus una tantum, una forma che certamente non aiuta la pianificazione da parte delle famiglie, lasciandole in balia di un'ampia, e spesso confusa, gamma di misure che inevitabilmente incidono sulla volontà di avere figli;

    i tassi di copertura dei servizi per i bambini nella fascia 0-3 anni restano in Italia molto bassi, soprattutto rispetto agli altri grandi paesi dell'Unione europea. Si pensi che, secondo una ricerca dell'Istituto degli Innocenti in Italia, tutti i bambini dai 3 ai 6 anni frequentano le scuole per l'infanzia (1 milione e 600 mila posti ad accesso per la maggior parte gratuito), ma in media solo un bambino su cinque frequenta l'asilo nido e la proporzione diminuisce a uno su dieci nelle regioni del Sud; si tratta di numeri ben al di sotto rispetto agli obiettivi di Lisbona fissati dall'Unione europea per gli Stati membri, ai quali si chiede di fornire servizi di cura ad almeno il 33 per cento dei bambini sotto i 3 anni di età;

    nonostante emerga da numerose analisi statistiche declinate per genere che le donne nel nostro Paese sono mediamente più istruite degli uomini, si registrano grandi differenziali, a loro sfavore, nei tassi di occupazione. Gli stessi dati rilevano, inoltre, che uno dei fattori di questo risultato risiede nella bassa condivisione tra i componenti della famiglia della gestione dei carichi di cura familiari e dei carichi di lavoro;

    come risulta dal database di Eurostat, l'occupazione femminile nel nostro Paese calcolata nella fascia d'età 15-64 anni è ferma al 48,1 per cento, rendendoci fanalino di coda nell'eurozona a 28 Stati ove si attesta, invece, nel medesimo periodo, al 61,4 per cento, con un divario di 13,2 punti rispetto alla media, seguita soltanto dalla Grecia;

    il suddetto dato cela, inoltre, ampie differenze territoriali e generazionali. Infatti, i primi risultati di uno studio Svimez sulla condizione delle donne nel Sud restituiscono un primato ancor più drammatico e dimostrano che il lavoro per queste ultime resta ancora un miraggio. Secondo lo studio, infatti, tutte le regioni meridionali sono collocate in posizioni gravemente svantaggiate rispetto alle altre europee, con Puglia, Calabria, Campania e Sicilia nelle ultime quattro posizioni, con valori del tasso di occupazione femminile che sfiorano il 29 per cento, di circa 35 punti inferiori alla media europea e sensibilmente distanti da quelli del Centro-Nord;

    a questi dati si aggiunge il fatto che la distribuzione del carico di lavoro domestico e di cura all'interno della famiglia ricade soprattutto sulle spalle delle donne;

    dal suddetto scenario discende che per le donne che partecipano al mondo del lavoro si profilano carriere più discontinue e retribuzioni più basse riconducibili alle minori possibilità di accesso ai ruoli apicali, una maggiore offerta di lavori part-time e carriere discontinue, tutti fattori determinanti, assieme ad una diversa struttura per età, dei differenziali di genere nei redditi percepiti;

    il lavoro costituisce un antidoto efficace anche contro la violenza, perché consente alla donna di allontanarsi da un contesto violento e di essere più rispettata dalla comunità civile;

    occorre pertanto avviare un profondo percorso di ripensamento delle politiche e delle azioni a favore dell'occupazione femminile, anche quale fattore capace di stimolare la crescita economica, atto a rimuovere quegli ostacoli che impediscono la piena valorizzazione della risorsa femminile sul lavoro;

    sulle donne gravano inoltre la gran parte degli impegni familiari e di cura e spesso sono costrette a scegliere tra famiglia e professione;

    il 4 aprile 2019 con 490 voti a favore, 82 contrari e 48 astensioni, è stata approvata dal Parlamento europeo una nuova direttiva dell'Unione europea (alla quale gli stati membri dovranno adeguarsi entro tre anni) in forza della quale il padre o il secondo genitore equivalente, se riconosciuto dalla legislazione nazionale, ha diritto ad almeno 10 giorni lavorativi di congedo di paternità retribuito all'atto della nascita del figlio. Obiettivo della direttiva, che conduce gli Stati membri sulla strada della parità di genere con un gioco di contrappesi, è quello di incrementare le opportunità delle donne nel mercato del lavoro e rafforzare il ruolo del padre, o di un secondo genitore equivalente, all'interno delle famiglie;

    la crisi può rappresentare l'occasione per lo Stato per riconvertire il sistema «Welfare», mettendo al centro dell'azione politica, le famiglie, la non autosufficienza ed il terzo settore;

    per anni il modello di «Welfare» italiano si è basato sulla disponibilità delle famiglie a sostenere i soggetti più vulnerabili della società, e cioè i figli, gli anziani, i disabili;

    la famiglia ha sempre svolto un ruolo primario nei processi di inclusione, un potente ammortizzatore sociale, un vero e proprio sistema di protezione verso i propri componenti nei passaggi cruciali della vita o anche in occasione di particolari eventi critici come la nascita di figli, la disoccupazione, la malattia, e altro;

    se da una parte la legislazione italiana ha consolidato la centralità della famiglia dei portatori di handicap, considerata il perno intorno al quale ruotano l'assistenza e la cura di questi soggetti e per i quali rappresenta spesso, di fronte alla cronica carenza di strutture assistenziali e di provvidenze economiche da parte dello Stato, l'unico punto di riferimento in grado di rispondere in maniera puntuale alle loro esigenze, dall'altra, deludente è stata la scarsa attenzione prestata dal legislatore alle famiglie numerose, con figli o altri familiari a carico;

    l'incidenza della povertà sulle famiglie cresce sensibilmente al crescere del numero dei figli. Diventa pertanto prioritario potenziare le politiche fiscali e gli eventuali trasferimenti assistenziali in favore dei nuclei familiari numerosi;

    le politiche sociali per la famiglia non possono, in ogni caso, limitarsi soltanto a forme di intervento che sanino situazioni estreme, come la povertà, i conflitti interni o, peggio, le violenze. Esse devono invece tendere, in via ordinaria, a facilitare la vocazione educativa della famiglia che sta a fondamento della solidarietà e del patto tra generazioni;

    la programmazione politica dei governi che si sono avvicendati negli ultimi venti anni è stata orientata verso un modello di Welfare rivolto più all'assistenza delle persone in stato di difficoltà, che alla valorizzazione ed al sostegno della famiglia nel suo complesso, con un vuoto di attenzione che, come si è visto, ha lentamente ed inesorabilmente avviato un processo di denatalità e quindi di impoverimento demografico;

    non è immaginabile qualsivoglia ripresa economica e sociale del nostro Paese che prescinda da un'inversione di rotta con la quale venga valorizzata e tutelata questa cellula fondamentale della società;

    accanto a misure tese all'alleggerimento del carico fiscale delle famiglie con figli occorre adottare misure mirate al rafforzamento dei servizi per la prima infanzia ed al potenziamento della conciliazione vita-lavoro, attraverso una revisione della regolamentazione dei congedi e della flessibilità dell'orario di lavoro,

impegna il Governo:

1) a dare centralità e riconoscimento alle famiglie costrette, nel nostro Paese, ad un sovraccarico funzionale, partendo dall'adozione di politiche fiscali che tengano conto dei carichi familiari, mettendole così al riparo dalla eccessiva pressione fiscale che altrimenti subirebbero;

2) ad adottare una serie di iniziative, anche normative, volte:

   a) a sostenere in ambito lavorativo la genitorialità, promuovendo una cultura di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e di maggiore condivisione dei compiti di cura dei familiari all'interno della coppia;

   b) alla razionalizzazione di bonus ed incentivi alla genitorialità (bonus mamma domani, bonus bebé, contributo per asili nido e per l'acquisto di servizi di baby-sitting) rendendoli strutturali e legati all'Isee;

   c) all'innalzamento a 15 giorni del congedo obbligatorio retribuito di paternità;

3) ad incentivare l'occupazione femminile stabile e dignitosamente retribuita e a contrastare lo squilibrio di genere nei diversi territori e settori occupazionali e nei trattamenti retributivi;

4) ad assumere iniziative per salvaguardare la dignità e l'incolumità della donna sui luoghi di lavoro ed in ambito domestico;

5) ad assumere iniziative, anche per salvaguardare la condizione della donna nelle famiglie, volte a garantire l'inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro di donne vittime di violenza di genere;

6) a promuovere, in sede europea, l'adozione di misure, nell'ambito della disciplina dei bilanci pubblici, che escludano dal Fiscal Compact le risorse finanziarie destinate alle politiche di sostegno all'infanzia e alle famiglie con minori.
(1-00171) «Rostan, Boldrini, Fornaro».

(8 aprile 2019)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   GIACOMONI, GELMINI, OCCHIUTO, BRUNETTA, ZANETTIN, BARATTO, CAON, MARIN, CORTELAZZO, MILANATO, BOND, BIGNAMI, BENIGNI, CATTANEO, ANGELUCCI, D'ETTORE e MULÈ. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il 24 maggio 2018 il Presidente del Consiglio dei ministri incontrò le associazioni dei piccoli azionisti e obbligazionisti delle banche andate in risoluzione e la prima cosa che promise, all'atto del suo insediamento, fu quella di intervenire in loro sostegno;

   dopo 11 mesi da quella data, i risparmiatori truffati non hanno ancora ricevuto neanche un euro di indennizzo, ma in compenso sono stati convocati dal Governo per l'ennesimo confronto;

   quanto precede appare ad avviso degli interroganti di eccezionale gravità, considerato l'annoso dibattito sulla tragedia di centinaia di migliaia di risparmiatori truffati durato anni;

   la legge di bilancio per il 2019 ha disciplinato un Fondo indennizzo risparmiatori (Fir) con una dotazione finanziaria di 525 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019-2021. Con riferimento a tale disciplina, Forza Italia aveva subito avvertito il Governo del rischio di una procedura di infrazione dell'Unione europea, suggerendo che la misura fosse oggetto di preventiva autorizzazione della Commissione europea;

   il Governo ha sempre smentito qualsiasi problema e soprattutto l'esistenza di un carteggio con gli uffici dell'Unione europea rispetto al quale Forza Italia presentò richiesta formale di accesso agli atti e a cui si rispose con un secco diniego;

   seguirono imbarazzanti rinvii sulla data di pubblicazione dei decreti attuativi del fondo che, ad oggi, non risultano pubblicati perché la norma di riferimento è ad avviso degli interroganti sbagliata, poiché pone sullo stesso piano, in deroga ai principi del codice civile, risparmiatori truffati e potenziali speculatori per i quali si pretende a parere degli interroganti in modo del tutto irragionevole che l'indennizzo sia erogato automaticamente senza il controllo di un'autorità terza;

   ad avviso degli interroganti, il fatto che la maggioranza si ostini pervicacemente su questa linea, anche esponendo i dirigenti ministeriali che firmano i decreti al rischio di ricorsi per danno erariale da parte della Corte dei conti, oltre che a quello della procedura di infrazione dell'Unione europea, mettendo a repentaglio anche gli indennizzi di tutti quei risparmiatori che senza dubbio sono stati truffati, suscita il grave sospetto che, come ha dichiarato il Ministro interrogato, ci siano interessi più grandi di cui neanche lui si rende conto e tutti dovrebbero chiedersi quali siano questi interessi –:

   in quale data precisa saranno emanati i decreti attuativi per indennizzare i risparmiatori truffati, chiarendo quante di queste persone si conta di indennizzare nel 2019, nel 2020 e nel 2021 e quali provvedimenti saranno assunti per evitare che i soldi dei contribuenti vengano utilizzati ad avviso degli interroganti indebitamente per rimborsare, tra gli altri, anche gli speculatori che hanno fatto una scelta di investimento sbagliata.
(3-00682)

(9 aprile 2019)

   LORENZIN. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'epatite C rappresenta un grave problema di sanità pubblica per il quale l'Organizzazione mondiale della sanità ha individuato come obiettivo comune per tutti i Paesi: ridurre del 65 per cento la mortalità ad essa correlata e dell'80 per cento il numero dei casi di infezione entro il 2030;

   a partire dal 2015, anno nel quale sono stati resi disponibili i nuovi farmaci che permettono di curare e guarire la maggior parte dei pazienti affetti da epatite C, l'Italia ha istituito un fondo dedicato ai farmaci innovativi da 500 milioni di euro l'anno, consentendo così l'avvio di un imponente piano di eradicazione della patologia, anche grazie alla progressiva estensione da parte dell'Agenzia italiana del farmaco dei criteri di accesso da parte dei pazienti alle terapie per l'epatite C;

   l'istituzione del fondo, reso strutturale con la legge n. 232 del 2016, ha inoltre permesso di finanziare il piano per l'eradicazione dell'epatite C senza gravare sui bilanci regionali;

   ad oggi, sono stati trattati e curati 176.810 pazienti nel nostro Paese, ponendo attualmente l'Italia in linea con l'obiettivo definito dall'Organizzazione mondiale della sanità;

   si registrano contrastanti analisi sul numero di pazienti infetti nel Paese e ancora non diagnosticati;

   recenti studi e indagini, tra cui quella dell'Associazione EpaC Onlus, hanno tuttavia registrato la presenza di una ampia platea di pazienti, si stima dai 350.000 e ai 550.000, che hanno ancora necessità di accedere alle terapie. Di questi, la maggior parte non ha ancora ricevuto una diagnosi, altri sono pazienti diagnosticati ma non ancora correlati con i centri di cura e, infine, una parte residua è rappresentata da pazienti che hanno ricevuto una diagnosi e sono in contatto con un centro cura, ma non hanno ancora ricevuto la terapia;

   l'applicazione dei piani di eradicazione dell'epatite C avviene in maniera disomogenea tra le regioni;

   l'impegno delle istituzioni per contrastare l'epatite C deve restare prioritario –:

   quali iniziative si intendano intraprendere al fine di proseguire il piano di eradicazione dell'epatite C, anche facendo il più ampio ricorso alle risorse disponibili nel fondo per i farmaci innovativi non oncologici, adoperandosi, per quanto di competenza, anche in ordine all'applicazione dei piani di eradicazione a livello regionale, affinché i pazienti, sia con diagnosi nota che ancora da identificare, siano avviati alle terapie disponibili nel più breve tempo possibile.
(3-00683)

(9 aprile 2019)

   ROSTAN e FORNARO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   con decreto del Ministero della salute dell'11 marzo 2019 sono stati individuati gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) per lo sviluppo dell'immunoterapia sperimentale delle Car-T (la nuova frontiera dell'immunokterapia dei tumori);

   tali istituti dovranno, con uno stanziamento complessivo di 5 milioni di euro per il 2019, partecipare a un progetto di ricerca relativo alle nuove tecnologie Car-T per la cura dei tumori;

   altri 5 milioni di euro sono stati stanziati per la medesima finalità dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136 («decreto fiscale»);

   il Ministero della salute, avvalendosi della rete Alleanza contro il cancro, ha effettuato la ricognizione degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico aderenti alla rete per individuare quelli impegnati nelle attività di ricerca inerenti le terapie Car-T;

   dall'esame della documentazione pervenuta sono stati scelti i seguenti Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico: Ospedale pediatrico Bambino Gesù – Roma; Ospedale San Raffaele – Milano; Istituto di Candiolo – Candiolo; Istituto oncologico veneto – Padova; Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli – Roma; Istituto scientifico romagnolo per lo studio e la cura dei tumori — Meldola;

   a questi Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, quali componenti del gruppo di progetto, sono stati aggiunti anche l'Ospedale San Gerardo-Fondazione Tettamanti di Monza, la società Molmed e l'Istituto di biostrutture e bioimmagini del Cnr di Napoli;

   alcune delle strutture sopra menzionate sono private e tra queste perfino un'azienda, la Molmed, costola del San Raffaele, che si interessa proprio di innovazione in oncologia;

   altri Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico hanno presentato la documentazione, ma sono stati esclusi con l'impegno che parteciperanno al progetto in una seconda fase;

   tra quelli esclusi dalla prima fase c'è anche l'Istituto nazionale tumori Fondazione Giovanni Pascale – Napoli, considerato un'eccellenza, una delle principali e più importanti istituzioni scientifiche del Paese;

   la motivazione addotta per l'esclusione è che la documentazione è pervenuta il 3 marzo 2019, oltre la deadline per l'acquisizione della documentazione, fissata al 26 febbraio 2019; tuttavia, con comunicazione ufficiale giunta all'istituto, dal Ministero della salute si garantiva che essa sarebbe stata comunque presa in considerazione e valutata;

   tale esclusione, quindi, sembra essere maturata nel merito e quindi appare agli interroganti incomprensibile –:

   quali siano le ragioni dell'esclusione dell'Istituto nazionale tumori-Fondazione Giovanni Pascale dal primo gruppo degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico ammessi al progetto per lo sviluppo dell'immunoterapia sperimentale delle Car-T e se e in che modo il Governo intenda porre rimedio a tale scelta.
(3-00684)

(9 aprile 2019)

   MOLINARI, ANDREUZZA, BADOLE, BASINI, BAZZARO, BELLACHIOMA, BELOTTI, BENVENUTO, BIANCHI, BILLI, BINELLI, BISA, BOLDI, BONIARDI, BORDONALI, CLAUDIO BORGHI, BUBISUTTI, CAFFARATTO, CANTALAMESSA, CAPARVI, CAPITANIO, VANESSA CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, CESTARI, COIN, COLLA, COLMELLERE, COMAROLI, COMENCINI, COVOLO, ANDREA CRIPPA, DARA, DE ANGELIS, DE MARTINI, D'ERAMO, DI MURO, DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA, DONINA, FANTUZ, FERRARI, FOGLIANI, FORMENTINI, FOSCOLO, FRASSINI, FURGIUELE, GASTALDI, GERARDI, GIACCONE, GIACOMETTI, GIGLIO VIGNA, GOBBATO, GOLINELLI, GRIMOLDI, GUSMEROLI, IEZZI, INVERNIZZI, LATINI, LAZZARINI, LEGNAIOLI, LIUNI, LO MONTE, LOCATELLI, LOLINI, EVA LORENZONI, LUCCHINI, MACCANTI, MAGGIONI, MARCHETTI, MATURI, MORELLI, MOSCHIONI, MURELLI, ALESSANDRO PAGANO, PANIZZUT, PAOLINI, PAROLO, PATASSINI, PATELLI, PATERNOSTER, PETTAZZI, PIASTRA, PICCOLO, POTENTI, PRETTO, RACCHELLA, RAFFAELLI, RIBOLLA, SALTAMARTINI, SASSO, STEFANI, TARANTINO, TATEO, TIRAMANI, TOCCALINI, TOMASI, TOMBOLATO, TONELLI, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO, VINCI, VIVIANI, ZICCHIERI, ZIELLO, ZÓFFILI e ZORDAN. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   le cronache di questi giorni riportano la notizia della morte del ragazzo ventisettenne N.D., deceduto in un letto d'ospedale a Jesi in seguito all'assunzione di un farmaco antibiotico prescrittogli per il trattamento di una banale infezione delle vie respiratorie;

   i familiari del giovane hanno lanciato un appello alle istituzioni affinché si indaghi a fondo sulla questione e si sottoponga il medicinale ad una campagna di analisi per escluderne la nocività e verificare se vi sia stato qualche errore nella composizione di alcuni lotti;

   il tema relativo alla sicurezza e, in generale, all'appropriatezza prescrittiva dei farmaci antibiotici è di assoluta attualità anche alla luce della situazione degli ospedali italiani nei quali, secondo i numeri dell'Istituto superiore di sanità, le infezioni da germi antibiotico-resistenti colpiscono 300 mila pazienti e causano tra i 4.500 e i 7.000 decessi ogni anno, il 30 per cento delle quali potenzialmente prevenibili;

   proprio a fronte dell'emergenza sanitaria correlata alla questione dell'antibiotico-resistenza, l'Organizzazione mondiale della sanità ha ripetutamente focalizzato l'attenzione sull'importanza che possono avere, nel contrasto al fenomeno, l'attuazione di campagne di prevenzione, la garanzia dell'appropriatezza nella prescrizione dei farmaci antibiotici, nonché il rispetto delle norme e delle pratiche di igiene in ambito ospedaliero, anche di quelle consistenti in semplici gesti come il lavaggio delle mani e il cambio dei guanti prima di intraprendere una qualsiasi procedura medica su un paziente –:

   quali iniziative il Governo abbia adottato ovvero intenta adottare relativamente alle problematiche di cui in premessa.
(3-00685)

(9 aprile 2019)

   DE FILIPPO, CARNEVALI, CAMPANA, UBALDO PAGANO, PINI, RIZZO NERVO, SCHIRÒ, SIANI, GRIBAUDO, ENRICO BORGHI e FIANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la legge di bilancio per il 2019 (legge n. 145 del 2018) prevede al comma 514 che «per l'anno 2019, il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato è determinato in 114.439 milioni di euro. Tale livello è incrementato di 2.000 milioni di euro per l'anno 2020 e di ulteriori 1.500 milioni di euro per l'anno 2021»;

   la medesima legge prevede, al comma successivo, che «per gli anni 2020 e 2021, l'accesso delle regioni all'incremento del livello del finanziamento rispetto al valore stabilito per l'anno 2019 è subordinato alla stipula, entro il 31 marzo 2019, di una specifica intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per il Patto per la salute 2019-2021 che contempli misure di programmazione e di miglioramento della qualità delle cure e dei servizi erogati e di efficientamento dei costi», mentre al comma 516 si indicano i contenuti minimi dell'intesa;

   la data del 31 marzo 2019 è stata ormai superata senza che si sia addivenuti a nessun accordo e senza che si prefiguri all'orizzonte, in tempi rapidi e certi, tale intesa;

   era chiaro fin da subito che tre mesi non sarebbero stati sufficienti per stipulare un nuovo patto che tra le molteplici materie avrebbe dovuto regolamentare: la revisione del sistema di compartecipazione alla spesa sanitaria a carico degli assistiti; il rispetto degli obblighi di programmazione a livello nazionale e regionale e la riorganizzazione delle reti strutturali dell'offerta ospedaliera e dell'assistenza territoriale; la valutazione dei fabbisogni del personale del servizio sanitario nazionale e la relativa assunzione;

   lo stallo tra regioni e Governo che si è venuto a creare è ormai evidente e non è di facile soluzione perché la questione non riguarda solo la nuova struttura del servizio sanitario nazionale, ma anche le risorse da investire su questo –:

   quale sia ad oggi l’iter per la stipula del nuovo Patto per la salute così come previsto dalla legge di bilancio per il 2019 e quali siano, a questo punto, le conseguenze della mancata intesa per le regioni e per la stessa tenuta del sistema sanitario nazionale, visto che il comma 515 della legge n. 145 del 2018 prevedeva esplicitamente che l'incremento del finanziamento per gli anni 2020 e 2021 fosse subordinato alla stipula del nuovo patto entro il 31 marzo 2019.
(3-00686)

(9 aprile 2019)

   LOLLOBRIGIDA, MELONI, ACQUAROLI, BELLUCCI, BUCALO, BUTTI, CARETTA, CIABURRO, CIRIELLI, LUCA DE CARLO, DEIDDA, DELMASTRO DELLE VEDOVE, DONZELLI, FERRO, FIDANZA, FOTI, FRASSINETTI, GEMMATO, LUCASELLI, MANTOVANI, MASCHIO, MOLLICONE, MONTARULI, OSNATO, PRISCO, RAMPELLI, RIZZETTO, ROTELLI, SILVESTRONI, TRANCASSINI, VARCHI e ZUCCONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   sta facendo discutere il caso del giovane malato di sclerosi laterale amiotrofica che è giunto ormai al tredicesimo giorno di sciopero della fame per vedersi riconoscere il diritto dallo Stato italiano di avere accesso ad una nuova cura, attualmente nella terza fase di sperimentazione negli Stati Uniti e in Israele;

   la protesta di questo giovane pone con forza il tema delle malattie degenerative e di come i malati affrontano la patologia e la propria vita, senza perdere mai la speranza in un progresso scientifico che possa restituirli alla vita, con il pieno diritto a tutte le cure possibili e a un'assistenza che permetta loro di contrastare l'avanzamento della malattia laddove possibile;

   è attualmente in fase di elaborazione presso il Ministero della salute lo schema di decreto recante «Criteri di appropriatezza dell'accesso ai ricoveri di riabilitazione ospedaliera»;

   in base allo schema di tale decreto, come confermato dal Sottosegretario per la salute nel corso dello svolgimento di un'interrogazione parlamentare presentata sul tema dal gruppo di Fratelli d'Italia, «per quanto concerne i criteri di appropriatezza dei ricoveri conseguenti ad evento acuto nelle unità operative di disciplina codice 75 “Neuroriabilitazione”, prevede, allo stato, che questi sono da considerarsi appropriati se sono attribuibili alla MDC 1 e se tra le diagnosi principali o secondarie del ricovero in acuzie sia indicata la “grave cerebrolesione acquisita”»;

   il decreto, altresì, specifica che «Si definiscono pazienti affetti da “grave cerebrolesione acquisita” (GCA) i pazienti intesi come persone affette da danno cerebrale, di origine traumatica o di altra natura, tale da determinare una condizione di coma con punteggio GCS inferiore o uguale a 8 e protratto per almeno 24 ore, ed associate menomazioni sensomotorie, cognitive o comportamentali, che comportano disabilità grave»;

   le norme riportate, se approvate in questa formulazione, impediranno alle strutture, soprattutto quelle ad elevata specialità per la neuroriabilitazione, di fornire cure adeguate non solo a casistiche complesse, quali quelle rappresentate da circa un terzo dei duecentomila casi di ictus che ogni anno si verificano in Italia, ma anche alle migliaia di pazienti affetti da malattie neurodegenerative, quali la sclerosi laterale amiotrofica, che sono, nelle fasi più avanzate di malattia, caratterizzate da gravi compromissioni cognitivo-motorie –:

   se non ritenga di adottare iniziative volte a correggere le disposizioni citate in premessa, al fine di garantire la più completa assistenza a tutti i pazienti colpiti da patologie con gravi compromissioni neurocerebrali che ne abbiano necessità, ivi inclusi i pazienti affetti da malattie degenerative.
(3-00687)

(9 aprile 2019)

   SAPIA, MASSIMO ENRICO BARONI, BOLOGNA, D'ARRANDO, LAPIA, LOREFICE, MAMMÌ, MENGA, NAPPI, NESCI, PROVENZA, SARLI, SPORTIELLO, TRIZZINO, TROIANO e LEDA VOLPI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   da recenti notizie di stampa emerge che sia comparso un focolaio epidemico di tubercolosi in Veneto, più precisamente nel trevigiano, e sembra che allo stato attuale i casi di tubercolosi notificati siano dieci, due maestre e otto bambini, sottoposti al momento a terapia multifarmacologica;

   l'azienda sanitaria trevigiana ha dovuto organizzare una task force e i controlli fatti su circa 800 persone sembrano abbiano rilevato 36 persone positive al batterio;

   secondo i dati dell'Organizzazione mondiale della sanità, nel nostro Paese, nell'anno 2017, hanno contratto la tubercolosi meno di 20 persone ogni 100.000 abitanti, dati quindi che collocano l'Italia nella fascia non a rischio; l'Organizzazione mondiale della sanità ha altresì rilevato che dal 2012 l'incidenza della tubercolosi è calata ad un ritmo rilevante;

   tuttavia, la tubercolosi ha rappresentato in Italia come in tutto il mondo una delle maggiori cause di mortalità e morbosità, pertanto occorre avere contezza se il focolaio in Veneto possa rappresentare un pericolo per la collettività locale e nazionale –:

   se il Ministro interrogato non intenda fornire ogni utile elemento sulla situazione descritta in premessa, sui relativi pericoli per la salute pubblica e sulle iniziative che ritenga di dover adottare per arginare e prevenire simili situazioni di rischio.
(3-00688)

(9 aprile 2019)