Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Giustizia
Titolo: Modifiche all'articolo 5 della legge n. 898 del 1970, in materia di assegno di divorzio
Serie: Documentazione per l'attività consultiva della I Commissione   Numero: 40
Data: 06/05/2019
Organi della Camera: I Affari costituzionali


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Modifiche all'articolo 5 della legge n. 898 del 1970, in materia di assegno di divorzio

6 maggio 2019
Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale


Indice

Quadro normativo e giurisprudenziale|Contenuto|Relazioni allegate o richieste|Necessità dell'intervento con legge|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|


Il nuovo testo della proposta di legge C. 506 apporta alcune modifiche alla disciplina in materia di assegno di divorzio, intervenendo dopo un significativo pronunciamento della Corte di Cassazione che, nel 2017, ha modificato dopo molti anni la propria precedente consolidata giurisprudenza.

Quadro normativo e giurisprudenziale

Il diritto al mantenimento di uno degli ex coniugi a spese dell'altro può essere sancito dal giudice con la sentenza di divorzio.

Assegno di divorzio: cosa dice la leggeL'Assegno di divorzio: cosa dice la leggearticolo 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970 stabilisce che il tribunale dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. Tale decisione deve tenere conto di una serie di elementi:

  • condizioni dei coniugi;
  • ragioni della decisione;
  • contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune;
  • reddito di entrambi;
  • durata del matrimonio (alla cui luce vanno valutati i precedenti elementi).

L'accertamento del diritto all'assegno si articola in due fasi: la prima, volta ad accertare in astratto il diritto a percepire l'assegno; la seconda, finalizzata alla sua determinazione in concreto.

L'interpretazione della giurisprudenza: il diritto a mantenere il tenore di vita matrimonialeFino al 2017 la giurisprudenza, integrando la scarna normativa, ha concordemente affermato (su tutte, Cass. SS.UU. civili, sentenze nn. 11490 e 11492 del 1990) che il presupposto per concedere l'assegno di mantenimento - l'an debeatur - fosse costituito dall'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza che fosse necessario provare uno stato di bisogno dell'avente diritto. Quindi, il coniuge richiedente poteva anche essere economicamente autosufficiente, ma se, a seguito del divorzio, vi era un apprezzabile deterioramento delle condizioni economiche godute durante il matrimonio, in linea di massima, queste dovevano essere ripristinate dal giudice.

Sempre secondo la giurisprudenza, una volta stabilito il diritto all'assegno di divorzio, la misura concreta dell'assegno – il quantum debeatur - doveva essere fissata in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri sopraelencati (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, reddito, ecc.) con riguardo al momento della pronuncia di divorzio. Il giudice, purché ne desse sufficiente giustificazione, non era tenuto ad utilizzare tutti i suddetti criteri, anche in relazione alle deduzioni e richieste delle parti, e doveva valutarne in ogni caso l'influenza sulla misura dell'assegno stesso, che poteva anche essere escluso sulla base dell'incidenza negativa di uno o più di essi (così, la citata sentenza n. 11490 del 1990). Gli elementi di valutazione del quantum dell'assegnoSecondo l'interpretazione che la giurisprudenza ha dato alla valutazione di tali elementi:

  • nell'ambito delle condizioni dei coniugi vanno comprese quelle sociali e di salute, l'età, le consuetudini ed il sistema di vita dipendenti dal matrimonio, il contesto sociale ed ambientale in cui si vive (e simili), dal punto di vista della loro influenza sulle capacità economiche e di guadagno di entrambi i coniugi;
  • le citate ragioni della decisione non appaiono riferite soltanto a quelle indicate dall'art. 3 della legge stessa (come presupposti del divorzio), ma con riguardo ai comportamenti che hanno cagionato la rottura della comunione spirituale e materiale della famiglia. Tale criterio assolve a una funzione risarcitoria e, sotto tale profilo (anch'esso bilaterale, come tutti gli altri), può essere tutelato il coniuge non responsabile, nel senso che, se è obbligato all'assegno, questo può essere diminuito e, se invece è il titolare del diritto all'assegno, la sua misura potrà più agevolmente essere ancorata alla conservazione del tenore di vita anteriore; se la responsabilità del divorzio risale ad entrambi, il criterio resterà inutilizzabile;
  • deve essere considerato ogni contributo fornito da ognuno dei coniugi alla conduzione della famiglia sotto il profilo delle cure dedicate alla persona dell'altro coniuge, alla casa ed ai figli; il contributo deve essere di grado più elevato se, per ragioni particolari (per esempio, stato di salute) tali cure siano state più intense ed assidue.Tale contributo dovrà essere valutato anche sotto il profilo economico, in quanto rivolto alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, anche se realizzato sotto la forma del lavoro domestico;
  • il richiamo fatto dal comma 6 ai soli redditi non esclude, ma anzi impone la valutazione delle sostanze, beni ed altre utilità che non danno reddito reale, ma solo figurativo (per es.: la casa di abitazione o la seconda casa), perché, anche ad ammettere il carattere tassativo dell'espressione "redditi", le sostanze ed utilità sopraccennate possono comprendersi nell'ambito delle "condizioni", posto che esse sono quelle sia personali che patrimoniali;
  • infine, ma non ultimo, vale il criterio della durata del matrimonio, che dovrà permeare la valutazione degli altri elementi ed influirà quindi sotto vari aspetti sulla misura in concreto dell'assegno; a grandi linee - salve situazioni particolari - la durata del matrimonio, quanto più è lunga, tanto più farà conservare all'avente diritto il livello di vita già acquisito durante il matrimonio, mentre lo potrà far perdere una sua breve durata non potendo in tal caso fondarsi una legittima aspettativa di beneficiarne oltre il divorzio.

Il revirement della Cassazione (2017): assegno di divorzio solo in mancanza di indipendenza economica Tale costante orientamento in materia di assegno divorzile è stato rivoluzionato dalla sentenza n. 11504 del 10 maggio 2017 della Cassazione.

Con questa pronuncia La Prima Sezione della Cassazione Civile ha infatti ritenuto superato, nell'ambito dei mutamenti economico-sociali intervenuti, il riferimento al diritto a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio stesso, fissate al momento del divorzio, così la sentenza delle S.U. n. 11490 del 1990). Si legge nella sentenza n. 11504 che occorre «superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come sistemazione definitiva» perché è "ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile. Si deve quindi ritenere - afferma la Cassazione - che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell'ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale". La Corte ha ritenuto che con la sentenza di divorzio "il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale ma anche economico-patrimoniale, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale".

Dunque, secondo la Suprema Corte - per valutare il diritto (o meno) all'assegno di divorzio (valutazione basata sul principio dell'autoresponsabilità economica di ciascuno degli ex coniugi quali persone singole) - va individuato un "parametro diverso" cioè il "raggiungimento dell'indipendenza economica" del coniuge richiedente: se si accerta la sua indipendenza economica viene meno il diritto all'assegno.

La Cassazione ha individuato tre principali indici di valutazione di tale indipendenza:
  • il possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu "imposti" e del costo della vita nel luogo di residenza dell'ex coniuge richiedente);
  • le capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all'età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo);
  • la stabile disponibilità di una casa di abitazione.

Una volta accertato il diritto all'assegno, il giudice del divorzio deve tenere conto - nella valutazione del quantum dell'assegno, informata al principio della "solidarietà economica" nei confronti dell'ex coniuge in quanto "persona" economicamente più debole - di tutti gli elementi indicati dall'art. 5, comma 6, della legge 898/1970 (v. ante), al fine di determinare in concreto la misura dell'assegno.

Nel corso del 2017 e durante i primi mesi del 2018, la Prima Sezione della Cassazione ha più volte ribadito il proprio orientamento, riaffermando con forza la necessità di una rigida distinzione fra la fase relativa all'an e quella relativa al quantum (Cass., 29 agosto 2017, n. 20525; Cass., 9 ottobre 2017, n. 23602; Cass., 25 ottobre 2017, n. 25327; Cass., 26 gennaio 2018, n. 2042; Cass., 7 febbraio 2018, n. 3015; Cass., 7 febbraio 2018, n. 3016) ma finendo per proporre una rilettura più flessibile del criterio dell'autosufficienza economica: la Corte di legittimità ha infatti affermato la necessità di adeguare il parametro dell'autosufficienza alle caratteristiche soggettive del coniuge richiedente l'assegno, alla sua "specifica individualità" (Cass., 26 gennaio 2018, n. 2042 e Cass., 26 gennaio 2018), al "contesto sociale in cui è inserito" (Cass., 7 febbraio 2018, n. 3015).

Questa lettura più mite del criterio dell'autosufficienza economica era stata anticipata da alcuni Discorde giurisprudenza di meritogiudici di merito (Corte d'Appello di Milano, 16 novembre 2017) mentre altra parte della giurisprudenza di merito si era adeguata al nuovo orientamento (Tribunale di Milano, ordinanza 22 maggio e sentenza 5 giugno 2017; Tribunale di Palermo, sentenza 26 giugno 2017; Tribunale di Roma, sentenza 1 agosto 2017) ed altra parte ancora aveva invece espressamente disatteso l'insegnamento della sentenza di legittimità n. 11504/2017 (Tribunale di Udine, 1° giugno 2017; Corte d'Appello di Napoli, 22 febbraio 2018).

Anche in dottrina, se la maggior parte dei commentatori aveva visto con favore il superamento del tenore di vita familiare come criterio indiscriminato per la valutazione dell'adeguatezza dei redditi del coniuge richiedente l'assegno, da più parti si era anche evidenziato come il nuovo orientamento rischiasse di comprimere oltre ogni ragionevolezza i diritti del coniuge che, durante il matrimonio, ha sacrificato le proprie aspirazioni lavorative e professionali per dedicarsi esclusivamente o prevalentemente alle esigenze della famiglia. Tanto la giurisprudenza quanto la dottrina hanno dunque invocato un intervento delle Sezioni unite, giunto con la sentenza 11 luglio 2018, n. 18287.

La SS.UU. (2018): assegno di divorzio come misura compensativa e perequativaCassazione a Sezioni Unite, nel dirimere il contrasto interpretativo vertente sui presupposti di attribuzione dell'assegno divorzile, ha disatteso il criterio dell'indipendenza economica proposto dalla Prima Sezione pur condividendo l'abbandono del criterio tradizionale del tenore di vita matrimoniale: le SS.UU. hanno infatti affermato che all'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell'art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970; ciò richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto». La Corte ha precisato anche che «la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi».

Così concludono le Sezioni Unite civili la propria argomentazione: «Se si assume come punto di partenza il profilo assistenziale, valorizzando l'elemento testuale dell'adeguatezza dei mezzi e della capacità (incapacità) di procurarseli, questo criterio deve essere calato nel " contesto sociale" del richiedente, un contesto composito formato da condizioni strettamente individuali e da situazioni che sono conseguenza della relazione coniugale, specie se di lunga durata e specie se caratterizzata da uno squilibrio nella realizzazione personale e professionale fuori nel nucleo familiare. Lo scioglimento del vincolo incide sullo status ma non cancella tutti gli effetti e le conseguenze delle scelte e delle modalità di realizzazione della vita familiare. Il profilo assistenziale deve, pertanto, essere contestualizzato con riferimento alla situazione effettiva nella quale s'inserisce la fase di vita post matrimoniale, in particolare in chiave perequativa-compensativa. [...] L'elemento contributivo-compensativo si coniuga senza difficoltà a quello assistenziale perché entrambi sono finalizzati a ristabilire una situazione di equilibrio che con lo scioglimento del vincolo era venuta a mancare. Il nuovo testo dell'art. 5 non preclude la formulazione di un giudizio di adeguatezza anche in relazione alle legittime aspettative reddituali conseguenti al contributo personale ed economico fornito da ciascun coniuge alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno ed a quello comune. L'adeguatezza dei mezzi deve, pertanto, essere valutata, non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva ma anche in relazione a quel che si è contribuito a realizzare in funzione della vita familiare e che, sciolto il vincolo, produrrebbe effetti vantaggiosi unilateralmente per una sola parte. [...] Inoltre è necessario procedere ad un accertamento probatorio rigoroso del rilievo causale degli indicatori sopraindicati sulla sperequazione determinatasi, ed, infine, la funzione equilibratrice dell'assegno, deve ribadirsi, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale ma soltanto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla realizzazione della situazione comparativa attuale. In conclusione, alla pluralità di modelli familiari consegue una molteplicità di situazioni personali conseguenti allo scioglimento del vincolo. Il criterio individuato proprio per la sua natura composita ha l'elasticità necessaria per adeguarsi alle fattispecie concrete perché, a differenza di quelli che si sono in precedenza esaminati non ha quelle caratteristiche di generalità ed astrattezza variamente criticate in dottrina».

Contenuto

A seguito dell'esame in Commissione Giustizia la proposta di legge C. 506 si compone di due articoli attraverso i quali modifica l'art. 5 della legge n. 898 del 1970, con effetto anche sui procedimenti per lo scioglimento del matrimonio già in corso.

In particolare, l'articolo 1 della proposta di legge interviene sull'art. 5 della legge sul divorzio (L. 898/1970) ripartendo su due commi i contenuti dell'attuale sesto comma ed aggiungendo due ulteriori disposizioni.

In base al nuovo sesto comma, con la sentenza di divorzio il tribunale può disporre l'attribuzione di un assegno tenuto conto di una serie di circostanze elencate dal successivo settimo comma.

Rispetto alla normativa vigente, che collega il diritto di uno dei due coniugi a percepire l'assegno quando sprovvisto di mezzi adeguati (o nell'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive), la riforma elimina tale presupposto e dunque non esplicita le finalità (assistenziali o compensative) dell'istituto. La discrezionalità del giudice nell'attribuzione dell'assegno non è più ancorata al presupposto della debolezza economica di uno dei due coniugi.

Inoltre, sopprimendo il riferimento alla somministrazione periodica dell'assegno, la riforma apre alla possibilità di attribuzioni una tantum.

Si osserva che, diversamente dal vigente sesto comma, non viene esplicitato che l'obbligo grava sull'altro coniuge.

Nel nuovo settimo comma la proposta inserisce una serie di circostanze che il giudice deve valutare ai fini della decisione sull'attribuzione dell'assegno. Si tratta di parametri parzialmente diversi da quelli che attualmente valgono a determinare il quantum da riconoscere al coniuge economicamente più debole. In particolare:

  • l'attuale ampio concetto di "condizioni dei coniugi" (che per la giurisprudenza comprende le condizioni sociali e di salute, l'età, le consuetudini ed il sistema di vita dipendenti dal matrimonio, il contesto sociale ed ambientale in cui si vive, in quanto idonei ad influenzare le capacità economiche e di guadagno dei coniugi) è sostituito da quello più specifico di "condizioni personali ed economiche in cui i coniugi vengono a trovarsi a seguito della fine del matrimonio" e sono esplicitate come circostanze autonome l'età e lo stato di salute del richiedente;
  • il richiamo attuale alle ragioni che hanno motivato la cessazione del matrimonio è soppresso;
  • la valutazione della situazione economica non è più circoscritta al solo reddito ma è estesa anche al patrimonio dei coniugi; peraltro, per quanto riguarda il reddito, la riforma specifica che si deve tener conto del reddito netto;
  • sono confermati gli altri elementi già considerati dall'attuale comma 6 dell'art. 5 della legge 898/1970; la durata del matrimonio è tuttavia indicata nella proposta di legge come elemento valutativo autonomo;
  • sono, poi, aggiunti ulteriori elementi di valutazione quali l'impegno di cura personale di figli comuni minori o disabili o non economicamente indipendenti; la ridotta capacità di reddito dovuta a ragioni oggettive anche in ragione della mancanza di una adeguata formazione professionale, quale conseguenza dell'adempimento di doveri coniugali. Si tratta sostanzialmente di un rafforzamento, mediante il riconoscimento con legge, di specifici elementi di valutazione già operanti in sede giurisprudenziale.

Con il nuovo ottavo comma la proposta di legge introduce un'altra innovazione all'attuale disciplina prevedendo che, ove la ridotta capacità di produrre reddito da parte del coniuge richiedente sia momentanea ("dovuta a ragioni contingenti o superabili"), il tribunale possa attribuire l'assegno anche solo per un periodo determinato.

Con l'inserimento di un nono comma la proposta di legge afferma che l'assegno non è dovuto in caso di nuovo matrimonio, nuova unione civile o stabile convivenza del richiedente e precisa che il diritto all'assegno non rivive a seguito della cessazione del nuovo vincolo o del nuovo rapporto di convivenza.

La stabile convivenza viene ricondotta alla definizione di cui all'art. 1, comma 36 della legge n. 76 del 2016, in base al quale si intendono per "conviventi di fatto" «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile»; per l'accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica prevista dagli articoli 4 e 13 del Regolamento anagrafico (DPR 30 maggio 1989, n. 223).

Si valuti l'opportunità di sopprimere l'attuale decimo comma dell'art. 5 della legge n. 898 del 1970, che esclude l'obbligo di corresponsione dell'assegno in caso di nuove nozze.

L'art. 1, inoltre, conferma l'applicazione delle nuove disposizioni sull'assegno di divorzio anche allo scioglimento delle unioni civili, già previsto dall'art. 1, comma 25, della legge 76 del 2016. Le modifiche a tale ultima disposizione hanno, infatti, natura di coordinamento con la illustrata novella dell'art. 5 della legge sul divorzio.

L'articolo 2 della proposta di legge contiene la norma transitoria in base alla quale le nuove norme sull'attribuzione dell'assegno di divorzio si applicano anche ai procedimenti per lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio in corso.


Relazioni allegate o richieste

La proposta di legge, di iniziativa parlamentare, è accompagnata dalla sola relazione illustrativa.


Necessità dell'intervento con legge

La proposta modifica disposizioni di rango primario; si giustifica, pertanto, l'impiego dello strumento legislativo.


Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

La proposta di legge interviene sulla materia "ordinamento civile", di esclusiva competenza legislativa statale in base all'articolo 117, secondo comma, lett. l) della Costituzione.