Legge di bilancio 2019 5 dicembre 2018 |
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Contenuto|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|Rispetto degli altri principi costituzionali| |
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Il disegno di legge di bilancio consta di due Parti, comprendenti rispettivamente la Sezione I e la Sezione II. La prima sezione (Misure quantitative per la realizzazione degli obiettivi programmatici) - disciplinata dai nuovi commi da 1-bis a 1-quinquies dell'articolo 21 della legge n. 196/2009 - contiene le disposizioni in materia di entrata e di spesa aventi ad oggetto misure quantitative destinate a realizzare gli obiettivi programmatici, con effetti finanziari aventi decorrenza nel triennio considerato dal bilancio. In particolare, raggruppando le disposizioni sulla base di materie e politiche omogenee, appaiono meritevoli di segnalazione (si utilizza la numerazione del testo esaminato dalla Commissione bilancio), anche tenuto conto delle modifiche apportate in sede referente:
Per un quadro più completo si rinvia al dossier Legge di bilancio 2019 - Quadro di sintesi degli interventi e al dossier Sintesi degli emendamenti approvati. La seconda sezione reca l'approvazione dei singoli stati di previsione e dei totali generali della spesa dello Stato per il triennio 2019-2021. Si ricorda infine che il Presidente della Repubblica ha inviato la seguente lettera al Presidente del Consiglio dei Ministri sul disegno di legge in oggetto «In data odierna ho autorizzato, ai sensi dell'articolo 87, quarto comma, della Costituzione, la presentazione alle Camere del disegno di legge di bilancio per il 2019, approvato dal Consiglio dei ministri il 15 ottobre 2018. Nel procedere a tale adempimento desidero rivolgermi al Governo, nel comune intento di tutelare gli interessi fondamentali dell'Italia, con l'obiettivo di una legge di bilancio che difenda il risparmio degli italiani, rafforzi la fiducia delle famiglie, delle imprese e degli operatori economici e ponga l'Italia al riparo dall'instabilità finanziaria. A questo scopo, sulla base di quanto disposto dalla Costituzione agli articoli 81, 97 e 117, delle valutazioni dell'Ufficio parlamentare di bilancio, previsto dalla legge costituzionale n. 1 del 2012, delle osservazioni e della richiesta avanzate dalla Commissione europea, è mio dovere sollecitare il Governo a sviluppare – anche nel corso dell'esame parlamentare - il confronto e un dialogo costruttivo con le istituzioni europee».
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Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definiteIl provvedimento è in primo luogo riconducibile alle materie "sistema tributario e contabile dello Stato e tutela della concorrenza", rimesse alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lett. e), della Costituzione.
Sin dalla sentenza n. 14 del 2004, la Corte costituzionale ha infatti rilevato che l'inclusione della tutela della concorrenza nella lettera e) dell'art. 117, secondo comma, Cost. - insieme alle materie moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie - «evidenzia l'intendimento del legislatore costituzionale del 2001 di unificare in capo allo Stato
strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell'intero Paese; strumenti che, in definitiva, esprimono un carattere unitario e, interpretati gli uni per mezzo degli altri, risultano tutti finalizzati ad equilibrare il volume di risorse finanziarie inserite nel circuito economico. L'intervento statale si giustifica, dunque, per la sua rilevanza macroeconomica (nello stesso senso, sent. nn. 14 e 272 del 2004, nn. 175 e 242 del 2005, nn.
401, 430, 443 e 452 del 2007 nonché nn. 320 e 322 del 2008).
Il disegno di legge investe altresì, in via prevalente, le materie "armonizzazione dei bilanci pubblici", anch'essa spettante alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lett. e), Cost., come modificato dalla legge costituzionale n. 1/2012, che ha introdotto in Costituzione il principio del pareggio di bilancio) e "coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario", di competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni. Il coordinamento della finanza pubblica, come confermato dalla giurisprudenza costituzionale, non sembra in particolare costituire propriamente un ambito materiale quanto piuttosto una finalità assegnata alla legislazione statale, funzionale anche al perseguimento di impegni finanziari assunti in sede europea, ivi inclusi gli obiettivi quantitativi collegati al rispetto del Patto di stabilità e crescita a livello europeo. La coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea per l'equilibrio dei bilanci e per la sostenibilità del debito pubblico e l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea sono principi ora direttamente richiamati dagli articoli 97, primo comma, e 119, primo comma, Cost., a seguito delle modifiche introdotte dalla legge costituzionale n. 1/2012.
Anche in considerazione della situazione di eccezionale gravità del contesto finanziario, la Corte ha, negli anni, fornito una
lettura estensiva delle norme di principio nella materia del coordinamento della finanza pubblica
. Pur ribadendo, in via generale, che possono essere ritenuti principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica le norme che «si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi», la Corte ha, nei fatti, avallato le scelte del legislatore statale di introdurre vincoli specifici per il contenimento della spesa delle regioni e degli enti locali, quali, ad esempio, quelli relativi alle riduzioni di spesa per incarichi di studio e consulenza (sentenza n. 262 del 2012), all'obbligo di soppressione o accorpamento da parte degli enti locali di agenzie ed enti che esercitino funzioni fondamentali e funzioni loro conferite (sentenza n. 236 del 2013), alla determinazione del numero massimo di consiglieri e assessori regionali e alla riduzione degli emolumenti dei consiglieri (sentenze n. 198 del 2012 e n. 23 del 2014).
Con riferimento a specifiche disposizioni si evidenzia altresì che con l'articolo 52-bis (numerazione utilizzata nel corso dell'esame in Commissione) è incrementato il limite di spesa relativo alla dotazione organica dei docenti in misura corrispondente a 2.000 posti aggiuntivi nella scuola primaria, al fine di ampliare le possibilità di tempo pieno nella stessa. Le modalità per l'incremento del tempo pieno nella scuola primaria devono essere stabilite con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentita la Conferenza unificata, da emanare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge. Al riguardo, poiché l'ampliamento del tempo pieno richiede anche la disponibilità di strutture e servizi (e quindi coinvolge gli aspetti del dimensionamento della rete scolastica sul territorio e, potenzialmente dell'edilizia scolastica, aspetti entrambi ritenuti riconducibili secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, alla competenza legislativa concorrente ex plurimis sentenza n. 34/2005 e n. 71/2018), occorre valutare se sia sufficiente il parere della Conferenza unificata o se, invece, non occorra un'intesa. |
Rispetto degli altri principi costituzionaliL'articolo 28-bis, introdotto nel corso dell'esame in sede referente (numerazione utilizzata nel corso dell'esame in Commissione), consente all'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA), per il triennio 2019-2021, nell'ambito della propria autonomia organizzativa, contabile e amministrativa, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, di assumere a tempo indeterminato, previo superamento di un apposito esame svolto mediante colloquio, il personale non dirigenziale in possesso di tutti i seguenti requisiti: che risulti in servizio con contratto a tempo determinato presso l'ARERA alla data di entrata in vigore della presente legge; che sia stato reclutato a tempo determinato per mezzo di "selezioni pubbliche"; che abbia maturato, o maturi al 31 dicembre dell'anno in cui si procede all'assunzione, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni. La pianta organica del personale di ruolo dell'ARERA è rideterminata numericamente a seguito di tali assunzioni e il numero dei dipendenti a tempo determinato di cui all'articolo 2, comma 30, della legge 14 novembre 1995, n. 481, come modificato dall'articolo 1, comma 118, della legge 23 agosto 2004, n. 239, è ridotto da sessanta a venti unità.
Si ricorda che la previsione dell'
art. 97, terzo comma, della Costituzione "agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante
concorso, salvi i casi stabiliti dalla legge" è stata in più occasioni oggetto di pronunce della Corte costituzione che ha, in via generale, evidenziato come "il concorso pubblico - quale meccanismo imparziale di selezione tecnica e neutrale dei più capaci sulla base del criterio del merito - costituisca la
forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni. Esso è posto a presidio delle esigenze di imparzialità e di efficienza dell'azione amministrativa. Le eccezioni a tale regola consentite dall'art. 97 Cost., purché disposte con legge, debbono rispondere a «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico» (sentenza n. 81 del 2006). Altrimenti la deroga si risolverebbe in un privilegio a favore di categorie più o meno ampie di persone (sentenza n. 205 del 2006). Perché sia assicurata la generalità della regola del concorso pubblico disposta dall'art. 97 Cost., l'area delle eccezioni va, pertanto, delimitata in modo rigoroso".
Con la decisione n. 37 del 2015, in particolare, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 8, comma 24 1 , del d.l. n. 16 del 2012, Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, l. n. 44 del 2012, per violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost. In tale occasione la Corte ha evidenziato che «nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell'ambito di un'amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il
concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio. Anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta "l'accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso" [...]». Al contempo, la giurisprudenza costituzionale ha più volte affermato che la «regola del pubblico concorso [...] non esclude forme diverse di reclutamento e di copertura dei posti, purché rispondano a criteri di ragionevolezza [...] e siano comunque in armonia con le disposizioni costituzionali e tali da non contraddire i principi di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione». Ed, ancora, che «il pubblico concorso è [...] un meccanismo strumentale rispetto al canone di efficienza dell'amministrazione, il quale può dirsi pienamente rispettato qualora le selezioni non siano caratterizzate da arbitrarie forme di restrizione dei soggetti legittimati a parteciparvi; forme che possono considerarsi non irragionevoli solo in presenza di
particolari situazioni, che possano giustificarle per una migliore garanzia del buon andamento dell'amministrazione».
Con la sentenza n. 225 del 2010 avente ad oggetto una norma della Regione Lazio che prevedeva l'immissione automatica nel ruolo della dirigenza della Regione per coloro, che previo concorso, avessero ricoperto, per almeno cinque anni consecutivi, incarichi dirigenziali nelle strutture della Regione, il Giudice costituzionale ha, inoltre, chiarito che «è indispensabile che le eccezioni al principio del pubblico concorso siano
numericamente contenute in percentuali limitate, rispetto alla globalità delle assunzioni poste in essere dall'amministrazione; che l'assunzione corrisponda a una specifica necessità funzionale dell'amministrazione stessa; e, soprattutto, che siano previsti adeguati accorgimenti per assicurare comunque che il personale assunto abbia la professionalità necessaria allo svolgimento dell'incarico.
All'art. 28-bis, relativo alle assunzioni di personale non dirigenziale presso l'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente si valuti l'opportunità di specificare il numero di assunzioni a tempo indeterminato che si intendono consentire, previo colloquio, con la norma in esame tenendo altresì conto della giurisprudenza costituzionale relativa all'applicazione dell'art. 97, comma terzo, della Costituzione. L'articolo 37-bis (numerazione utilizzata nel corso dell'esame in Commissione), introdotto nel corso dell'esame in sede referente, recante Disposizioni in materia di politiche per la famiglia e misure di conciliazione vita-lavoro, modifica l'articolo 1, comma 391 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, prevedendo, in particolare, che la carta della famiglia, istituita dal 2016, sia destinata alle famiglie costituite da "cittadini italiani ovvero appartenenti a Paesi membri dell'Unione europea regolarmente residenti nel territorio italiano, con almeno tre figli conviventi di età non superiore a 26 anni". Il vigente testo destina invece tale carta "alle famiglie costituite da cittadini italiani o da cittadini stranieri regolarmente residenti nel territorio italiano, con almeno tre figli minori a carico". La carta della famiglia consente l'accesso a sconti sull'acquisto di beni o servizi ovvero a riduzioni tariffarie concessi dai soggetti pubblici o privati aderenti all'iniziativa.
In proposito si ricorda che la
giurisprudenza costituzionale (si veda da ultimo la sentenza n. 106 del 2018) ha evidenziato come lo
status di cittadino non sia di per se sufficiente al legislatore per operare nei suoi confronti erogazioni privilegiate di servizi sociali rispetto allo straniero legalmente risiedente da lungo periodo. Se la determinazione del lasso di tempo necessario all'effettiva equiparazione tra cittadino e straniero residente di lungo periodo è lasciata alla discrezionalità del legislatore anche in relazione al tipo di servizio pubblico, la giurisprudenza della Corte ha ritenuto irragionevoli tutte quelle disposizioni che richiedono come requisito necessario una permanenza nel territorio di molto superiore a quella necessaria all'ottenimento dello status di soggiornante di lungo periodo (5 anni). Da ultimo, con la sentenza 106/2018 la Corte intervenuta sulla previsione della legge regionale della Liguria che richiedeva un periodo di residenza di
10 anni nel territorio della regione per il migrante intenzionato ad accedere all'assegnazione di un alloggio popolare rilevando che le politiche sociali ben possono richiedere un radicamento territoriale continuativo e ulteriore rispetto alla sola residenza (sentenza n. 432 del 2005; ordinanza n. 32 del 2008) ma ciò sempreché un tale più incisivo radicamento territoriale, richiesto ai cittadini di paesi terzi ai fini dell'accesso alle prestazioni in questione
, sia contenuto entro limiti non arbitrari e irragionevoli (sentenza n. 222 del 2013). La Corte ha riscontrato in tale caso una irragionevolezza e mancanza di proporzionalità risolventesi in una
forma dissimulata di discriminazione nei confronti degli extracomunitari.
Per le prestazioni non rientranti all'interno dei livelli essenziali, ex art. 117, secondo comma, lett. m) della Costituzione la giurisprudenza della Corte riconosce dunque al legislatore la facoltà di sottoporre l'erogazione del beneficio allo straniero a requisiti molto stringenti, come, ad esempio, una residenza sul territorio superiore ai 5 anni ma in ogni caso il controllo a cui tali norme sono sottoposte è quello del principio di
ragionevolezza piena.
La modifica disposta dall'art. 37-bis, comma 4, nella parte in cui esclude – rispetto alla disciplina vigente - il rilascio della carta famiglia agli stranieri residenti nel territorio italiano non appartenenti a Paesi membri dell'UE pare suscettibile di valutazione alla luce della giurisprudenza costituzionale relativa alle erogazioni di servizi sociali per lo straniero legalmente risiedente in Italia da lungo periodo.
L'articolo 71-bis (numerazione utilizzata nel corso dell'esame in Commissione), introdotto nel corso dell'esame in sede referente, dispone, al primo periodo, che, "ferma restando la natura giuridica di libera attività d'impresa dell'attività di produzione, importazione, esportazione, acquisto e vendita di energia elettrica", i proventi economici liberamente pattuiti dagli operatori del settore con gli enti locali sul cui territorio insistono gli impianti alimentati da fonti rinnovabili, sulla base di accordi sottoscritti prima del 10 settembre 2010, data di entrata in vigore delle linee guida per lo svolgimento del procedimento di autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, restano acquisiti nei bilanci degli enti locali, mantenendo tali accordi piena efficacia. Il secondo periodo dispone che dalla data di entrata in vigore dell'articolo qui in esame, fatta salva la libertà negoziale delle parti, gli accordi sono rivisti alla luce delle predette linee guida (approvate con D.M. 10 settembre 2010) e segnatamente dei criteri contenuti nell'allegato 2. Si dispone altresì che gli importi già erogati o da erogarsi in favore degli enti locali concorrono alla formazione del reddito di impresa del titolare dell'impianto alimentato da fonti rinnovabili.
Si ricorda che, ai sensi dell'allegato 2 del citato D.M. 10 settembre 2010, per l'attività di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili non è dovuto alcun corrispettivo monetario in favore dei Comuni, l'autorizzazione unica può prevedere l'individuazione di misure compensative, a carattere non meramente patrimoniale, a favore degli stessi Comuni.
Il decreto ministeriale 10 settembre 2010, con il quale sono state approvate le Linee guida per lo svolgimento del procedimento di autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, ha chiarito, all'Allegato 2, che per l'attività di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili non è dovuto alcun corrispettivo monetario in favore dei Comuni interessati dalle opere, e che l'autorizzazione unica può prevedere l'individuazione di misure compensative, a carattere non meramente patrimoniale, a favore degli stessi Comuni da orientare (secondo criteri definiti dal medesimo decreto ministeriale) su interventi di miglioramento ambientale correlati alla mitigazione degli impatti riconducibili al progetto, ad interventi di efficienza energetica, di diffusione di installazioni di impianti a fonti rinnovabili e di sensibilizzazione della cittadinanza sui predetti temi.
Il D.M. in questione è stato adottato all'indomani della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2010, nella quale la Corte, censurando una disposizione legislativa della regione Calabria sul punto, ha affermato che la legge statale vieta tassativamente l'imposizione di corrispettivo (le cosiddette misure di compensazione patrimoniale) quale condizione per il rilascio dei suddetti titoli abilitativi, tenuto conto che la costruzione e l'esercizio di impianti per l'energia (nel caso di specie, eolica) sono libere attività d'impresa soggette alla sola autorizzazione amministrativa della Regione, ex art. 12, comma 6, D.Lgs. n. 387/2003. Sono, al contrario, ammessi gli accordi che contemplino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, nel senso che il pregiudizio subito dall'ambiente per l'impatto del nuovo impianto, oggetto di autorizzazione, viene compensato dall'impegno ad una riduzione delle emissioni inquinanti da parte dell'operatore economico proponente". In varie pronunce, l'organo giurisdizionale amministrativo ha riconosciuto l'invalidità di convenzioni già stipulate che imponevano il pagamento di misure compensative patrimoniali da parte delle società titolari degli impianti in questione nei confronti dei Comuni disponendo la ripetizione, in favore delle società ricorrenti, delle somme indebitamente pagate (T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 1.4.2008 n. 709; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 29 gennaio 2008 n. 118; Cons. Stato, sez. III, 14.10.2008 n. 2849; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 7.6.2013 n. 1347; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 7.6.2013, n. 1361; T.A.R. Molise, 23.1.2014 n. 55, TAR Puglia Bari, 24 maggio 2018, n. 737).
Si valutino le previsioni dell'art. 71-bis tenendo conto di quanto evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 24 del 2010 e dalle pronunce degli organi di giustizia amministrativa con cui è stata, in particolare, riconosciuta l'invalidità di convenzioni già stipulate che imponevano il pagamento di misure compensative patrimoniali da parte delle società titolari degli impianti in questione nei confronti dei Comuni disponendo la ripetizione, in favore delle società ricorrenti, delle somme indebitamente pagate.
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