Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Lavoro
Titolo: Documentazione per l'XI Commissione sulla Proposta di Direttiva relativa a salari minimi adeguati nell'UE COM(2020)682
Serie: Documentazione e ricerche   Numero: 130
Data: 13/01/2021
Organi della Camera: XI Lavoro

 

Camera dei deputati

XVIII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

 

Documentazione per l’XI Commissione sulla Proposta di Direttiva relativa a salari minimi adeguati nell'UE COM(2020)682

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 130

 

 

 

13 gennaio 2021

 


 

Servizio responsabile:

 

 

Servizio Studi – Dipartimento Lavoro

( 066760-4884 – * st_lavoro@camera.it - Twitter_logo_blue.png @CD_lavoro

 

 

Ha partecipato alla redazione del dossier il seguente Ufficio:

 

 

 

 

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( 066760-2145* cdrue@camera.it

 

 

 

 

 

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File: LA0209

 

 


INDICE

Premessa. 3

La Proposta di direttiva relativa a salari minimi adeguati
nell'UE COM(2020)682. 5

§  Sintesi del contenuto della Direttiva. 6

§  La Relazione del Governo sulla proposta di Direttiva. 9

§  Le memorie depositate alla Camera dei deputati sulla proposta
di Direttiva. 14

La situazione nei Paesi UE. Analisi di contesto
e raffronto comparato. 31

§  Il reddito minimo negli Stati membri 31

§  Le più recenti statistiche Eurostat 31

§  Il documento di lavoro della Commissione europea. 36

§  Focus sul salario minimo in Germania e Francia. 42

 

 


Premessa

Scopo del presente dossier è fornire, con riferimento alla Proposta di direttiva COM(2020)682, un raffronto tra i sistemi nazionali di regolazione del salario minimo in ambito UE, nonché una sintesi della documentazione depositata presso l’XI Commissione (Lavoro) della Camera dei deputati in relazione alla Direttiva medesima.


La Proposta di direttiva relativa a salari minimi
adeguati nell'UE COM(2020)682

Da alcuni anni, ma soprattutto nel contesto della grave crisi economica e sociale generata dall'epidemia di Covid-19, si è sviluppato un dibattito – che vede coinvolti, tra gli altri, le Istituzioni europee e nazionali, le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro e gruppi di esperti – in merito a un cosiddetto "salario minimo europeo".

Il dibattito deve tenere conto del fatto che, ai sensi dell'articolo 153 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, l'eventuale definizione di un salario minimo rientra tra le competenze degli Stati membri.

A livello europeo, risulta centrale, quindi, la questione relativa alla forma giuridica che un eventuale intervento dell'UE dovrebbe assumere. Allo stesso tempo, il dibattito ruota altresì attorno ad altri temi, quali il livello del salario minimo, le procedure e i criteri da stabilire per l’adeguamento periodico del salario minimo e il coinvolgimento dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro nella definizione dello stesso. Allo stato, infatti, il salario minimo esiste in tutti gli Stati membri: in 21 Paesi esistono salari minimi legali (l'ammontare di tale valore minimo varia in maniera significativa, da 312 euro mensili in Bulgaria a 2.142 euro mensili in Lussemburgo), mentre in 6 Stati membri (Danimarca, Italia, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia) la protezione del salario minimo è fornita esclusivamente dai contratti collettivi.

Facendo seguito a una consultazione delle parti sociali suddivisa in due fasi, la Commissione europea ha presentato, il 28 ottobre 2020, una proposta di direttiva relativa a salari minimi adeguati nell'Unione europea (COM(2020)682) al fine di stabilire prescrizioni minime a livello dell'Unione per garantire sia che i salari minimi siano fissati a un livello adeguato, sia che i lavoratori abbiano accesso alla tutela garantita dal salario minimo, sotto forma di salario minimo legale o di salari determinati nell'ambito di contratti collettivi. Obiettivo della Commissione non è uniformare i sistemi nazionali sui salari minimi per la definizione di un salario minimo unico per tutti gli Stati membri, ma piuttosto tendere ad una convergenza verso l'alto delle retribuzioni minime, rispettando le specificità di ogni ordinamento interno e favorendo al contempo il dialogo tra le parti sociali. La proposta non obbliga gli Stati membri a introdurre salari minimi legali, né fissa un livello comune dei salari minimi. In estrema sintesi, la proposta intende contribuire a tre condizioni salariali e di lavoro più favorevoli nell'UE, intervenendo in modo particolare su tre assi:

1. migliore adeguatezza dei salari minimi legali (ove esistenti), anche mediante la definizione di criteri stabili e chiari per determinarli e aggiornarli (tra cui potere d'acquisto, tenendo conto anche delle imposte e delle prestazioni sociali, livello generale dei salari lordi e relativa distribuzione, tasso di crescita dei salari lordi e andamento della produttività del lavoro) e un maggiore coinvolgimento delle parti sociali per la loro definizione;

2. promozione della contrattazione collettiva in tutti gli Stati membri, in particolare in quelli in cui la copertura della contrattazione collettiva è inferiore al 70% dei lavoratori;

3. migliore applicazione e monitoraggio per tutti gli Stati membri, anche mediante relazioni annuali degli Stati membri alla Commissione, unitamente a un dialogo strutturato.

Sintesi del contenuto della Direttiva

Si sintetizza di seguito, brevemente, il contenuto della proposta di Direttiva, rinviando però, per una disamina completa del contenuto stesso, nonché della dimensione sociale in cui la proposta stessa si inserisce e dell’impatto socio-economico conseguente all’introduzione del salario minimo, al Dossier dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea.

La proposta consta di quattro Capi e 19 articoli. Il Capo I (articoli 1-4) reca le disposizioni generali. L'articolo 1 definisce l'oggetto della direttiva, quello di istituire un quadro a livello dell'Unione per la determinazione di livelli adeguati di salari minimi e l'accesso dei lavoratori alla tutela garantita dal salario minimo, sotto forma di salari determinati da contratti collettivi o di un salario minimo legale, laddove esistente. La norma chiarisce che la direttiva non interferisce con la libertà degli Stati membri di fissare salari minimi legali o di promuovere l'accesso alla tutela garantita dal salario minimo fornita da contratti collettivi, in linea con le tradizioni nazionali e nel pieno rispetto della libertà contrattuale delle parti sociali. La disposizione chiarisce anche che la direttiva non impone agli Stati membri in cui non esiste un salario minimo legale l'obbligo di introdurlo, né di rendere i contratti collettivi universalmente applicabili.

L'articolo 2 chiarisce l'ambito di applicazione della direttiva, che comprende i lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quali definiti dal diritto, dai contratti collettivi o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro, tenendo conto della giurisprudenza della Corte di giustizia dell'UE.

L'articolo 3 contiene le definizioni di una serie di termini e nozioni necessari per interpretare le disposizioni della direttiva.

1) "salario minimo": la retribuzione minima che un datore di lavoro è tenuto a versare ai lavoratori per il lavoro svolto in un dato periodo, calcolato sulla base del tempo o dei risultati prodotti;

2) "salario minimo legale": un salario minimo stabilito dalla legge o da altre disposizioni giuridiche vincolanti;

3) "contrattazione collettiva": l'insieme delle negoziazioni che avvengono tra un datore di lavoro, un gruppo di datori di lavoro o una o più organizzazioni di datori di lavoro, da un lato, e una o più organizzazioni di lavoratori, dall'altro, per determinare le condizioni di lavoro e di impiego, e/o regolamentare i rapporti tra i datori di lavoro e i lavoratori, e/o regolamentare i rapporti tra i datori di lavoro o le loro organizzazioni e una o più organizzazioni di lavoratori;

4) "contratto collettivo": ogni accordo scritto relativo alle condizioni di lavoro e di impiego concluso dalle parti sociali a seguito della contrattazione collettiva;

5) "copertura della contrattazione collettiva": la percentuale di lavoratori a livello nazionale cui si applica un contratto collettivo.

L'articolo 4 mira ad aumentare la copertura della contrattazione collettiva. A tal fine, gli Stati membri, in consultazione con le parti sociali, sono tenuti ad adottare almeno misure volte a promuovere la capacità delle parti sociali di partecipare alla contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari a livello settoriale o intersettoriale e a incoraggiare negoziazioni costruttive, significative e informate in materia di salari.

La norma prevede, inoltre, che gli Stati membri in cui la copertura della contrattazione collettiva (definita all'articolo 3) non raggiunge almeno il 70% dei lavoratori devono prevedere un quadro per la contrattazione collettiva e istituire un piano d'azione per promuoverla, che deve essere reso pubblico e notificato alla Commissione europea.

 

Il Capo II (articoli 5-8), dedicato ai salari minimi legali, si applica solo agli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali.

L'articolo 5 pone in capo agli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali l’obbligo di adottare le misure necessarie a garantire che la determinazione e l'aggiornamento dei salari minimi legali siano basati su criteri stabiliti per promuovere l'adeguatezza, al fine di conseguire condizioni di vita e di lavoro dignitose, coesione sociale e una convergenza verso l'alto. Gli Stati membri devono definire tali criteri in modo stabile e chiaro, conformemente alle rispettive prassi nazionali, nella pertinente legislazione nazionale, nelle decisioni degli organi competenti o in accordi tripartiti. La norma si sofferma, poi, sui criteri nazionali, che devono comprendere almeno il potere d'acquisto dei salari minimi, tenuto conto del costo della vita e dell'incidenza delle imposte e delle prestazioni sociali, il livello generale dei salari lordi e la loro distribuzione, il tasso di crescita dei salari lordi e l'andamento della produttività del lavoro. Agli Stati membri è inoltre imposto di utilizzare valori di riferimento indicativi, come quelli comunemente utilizzati a livello internazionale, per orientare la valutazione dell'adeguatezza dei salari minimi legali, e di istituire organi consultivi per fornire consulenza alle autorità competenti sulle questioni relative ai salari minimi legali.

L'articolo 6, al fine di promuovere l'adeguatezza dei salari minimi per tutti i gruppi di lavoratori, chiede agli Stati membri, in consultazione con le parti sociali, di limitare l'uso delle variazioni del salario minimo legale e la loro applicazione in termini di tempo e portata. Prevede, inoltre, la protezione dei salari minimi legali dalle trattenute ingiustificate o sproporzionate.

L'articolo 7 impone il coinvolgimento efficace e tempestivo delle parti sociali nella determinazione e nell'aggiornamento dei salari minimi legali, anche mediante la partecipazione agli organi consultivi di cui all'articolo 5. Gli Stati membri devono coinvolgere le parti sociali nella definizione dei criteri di cui all'articolo 5, nell'aggiornamento dei salari minimi, nella determinazione delle variazioni e delle trattenute di cui all'articolo 6, nella raccolta dei dati e nella realizzazione di studi nel settore.

L'articolo 8 prevede che gli Stati membri devono adottare, in cooperazione con le parti sociali, le misure necessarie a garantire l'accesso effettivo dei lavoratori alla tutela garantita dal salario minimo legale.

 

Il Capo III (articoli 9- 12) reca le disposizioni orizzontali.

L'articolo 9 prevede che, nell'esecuzione degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, gli operatori economici (compresa la successiva catena di subappalto) sono tenuti a conformarsi ai salari applicabili stabiliti dalle contrattazioni collettive e ai salari minimi legali, laddove esistenti.

L'articolo 10 concerne l'istituzione di un sistema efficace di monitoraggio e raccolta dei dati. A tal fine, gli Stati membri sono tenuti a incaricare le rispettive autorità competenti di sviluppare strumenti efficaci di raccolta dei dati per monitorare la copertura e l'adeguatezza dei salari minimi e di comunicare annualmente alla Commissione i dati. Si tratta, con riferimento ai salari minimi legali, dei seguenti dati: il livello del salario minimo legale e la percentuale di lavoratori coperti da tale salario minimo legale; le variazioni esistenti e la percentuale di lavoratori interessati da tali variazioni; le trattenute esistenti; il tasso di copertura della contrattazione collettiva. Per la tutela garantita dal salario minimo fornita esclusivamente dai contratti collettivi, gli Stati membri devono invece comunicare i seguenti dati: la distribuzione in decili di tali salari ponderata in funzione della percentuale di lavoratori coperti; il tasso di copertura della contrattazione collettiva; il livello dei salari dei lavoratori che non beneficiano della tutela garantita dal salario minimo fornita da contratti collettivi e il suo rapporto con il livello dei salari dei lavoratori che beneficiano di tale tutela minima.

Ai fini del monitoraggio dell'attuazione della direttiva, la disposizione prevede inoltre che la Commissione riferisca al Parlamento europeo e al Consiglio in merito alla propria valutazione degli sviluppi dell'adeguatezza e della copertura dei salari minimi sulla base delle informazioni trasmesse dagli Stati membri.

L'articolo 11, fatte salve le forme specifiche di ricorso e risoluzione delle controversie previste, ove applicabile, dai contratti collettivi, impone agli Stati membri di garantire ai lavoratori, compresi quelli il cui rapporto di lavoro è terminato, l'accesso a una risoluzione efficace e imparziale delle controversie e il diritto di ricorso, compreso il diritto a una compensazione adeguata, in caso di violazione dei loro diritti relativi ai salari minimi legali o alla tutela garantita dal salario minimo fornita dai contratti collettivi.

L'articolo 12 prevede l’obbligo, in capo agli Stati membri, di prevedere sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive in caso di violazioni delle disposizioni nazionali che istituiscono la tutela garantita dal salario minimo.

 

Il Capo IV (articoli 13-19) reca le disposizioni finali.

L'articolo 13 dispone che, ai sensi dell'articolo 153, paragrafo 3, TFUE gli Stati membri possono affidare alle parti sociali l'attuazione della direttiva, laddove le parti sociali lo richiedano e a condizione che gli Stati membri adottino tutte le misure necessarie per essere sempre in grado di assicurare i risultati prescritti dalla direttiva.

L'articolo 14 impone agli Stati membri di provvedere affinché le misure nazionali che recepiscono la direttiva, unitamente alle pertinenti disposizioni già in vigore in relazione all'oggetto stabilito all'articolo 1, siano portate a conoscenza dei lavoratori e dei datori di lavoro, comprese le PMI.

L'articolo 15 prevede che la Commissione, cinque anni dopo il recepimento della direttiva, ne effettui una valutazione, riferendo ai colegislatori e, qualora lo ritenga opportuno, presentando proposte volte a rivederla e aggiornarla.

L'articolo 16 chiarisce che la direttiva non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di protezione riconosciuto ai lavoratori negli Stati membri e lascia impregiudicata la prerogativa degli Stati membri di applicare o introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori o di promuovere o consentire l'applicazione di contratti collettivi che siano più favorevoli ai lavoratori.

È pari a due anni, secondo l'articolo 17, il termine massimo entro il quale gli Stati membri devono recepire la direttiva nel diritto nazionale e comunicare i testi pertinenti alla Commissione; inoltre gli Stati membri sono tenuti a comunicare alla Commissione le informazioni relative all'applicazione della direttiva.

L'articolo 18 concerne l’entrata in vigore della direttiva e l’articolo 19 i destinatari della stessa.

La Relazione del Governo sulla proposta di Direttiva

Con riferimento alla Proposta di Direttiva in esame, il Governo ha trasmesso al Parlamento, lo scorso 25 novembre, una Relazione ai sensi dell’articolo 6, comma 5, della legge n. 234 del 2012[1].

Secondo la Relazione, il ruolo dei salari minimi acquisisce un’importanza ancora maggiore nei periodi di recessione economica, in quanto la pandemia da COVID-19 ha colpito in maniera particolare i settori caratterizzati da un’elevata percentuale di lavoratori a basso salario, come il commercio al dettaglio e il turismo, e ha avuto un impatto maggiore sui gruppi più svantaggiati della popolazione. Garantire che i lavoratori dell’Unione abbiano accesso a opportunità di impiego e a salari minimi adeguati potrebbe contribuire a favorire una ripresa economica sostenibile e inclusiva.

La Relazione si sofferma, innanzitutto, sulle finalità della proposta e sul contesto in cui essa si inserisce, evidenziando che i salari adeguati sono un elemento essenziale del modello di economia sociale di mercato dell'UE e che la convergenza tra gli Stati membri in questo settore contribuisce alla promessa di una prosperità condivisa nell'Unione. La Relazione ricorda, inoltre, che l'articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea sancisce il diritto di ogni lavoratore a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose e che, nel novembre 2017, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione hanno proclamato il pilastro europeo dei diritti sociali per rispettare la promessa di prosperità, progresso e convergenza in Europa e rendere l’Europa sociale una realtà per tutti. Il principio 6 del pilastro, “Retribuzioni”, inoltre, prevede retribuzioni minime adeguate, da fissare inoltre in maniera trasparente e prevedibile, conformemente alle prassi nazionali e nel rispetto dell’autonomia delle parti sociali. Nell’agenda strategica 2019-2024, concordata al Consiglio europeo del giugno 2019, è formulato l’invito ad attuare questo pilastro tanto a livello dell’UE che a livello nazionale.

La Relazione ricorda, inoltre, che un piano d’azione per la piena attuazione del pilastro, comprensivo di un’iniziativa su salari minimi equi, è stato annunciato negli orientamenti politici della Commissione 2019-2024. La comunicazione del 14 gennaio 2020 “Un’Europa sociale forte per transizioni giuste” ha stabilito una tabella di marcia per la preparazione del piano d’azione e ha ribadito l’impegno a favore di un’iniziativa sui salari minimi tra le azioni fondamentali da intraprendere in tale contesto a livello dell’UE.

Inoltre, sottolinea la Relazione, nel suo discorso sullo stato dell’Unione del settembre 2020, la presidente della Commissione Europea, von der Leyen, ha dichiarato: “per troppe persone il lavoro non è più remunerativo: il dumping salariale distrugge la dignità del lavoro, penalizza l’imprenditore che paga salari dignitosi e falsa la concorrenza leale nel mercato unico.”… “Tutti devono poter accedere a salari minimi, che sia attraverso contratti collettivi o salari minimi legali”. Sulla base di queste premessa, la Relazione sottolinea che la proposta di direttiva in esame mira a fornire il supporto necessario per riformare i sistemi di determinazione dei salari minimi. Molti lavoratori nell’UE, infatti, non beneficiano al momento della tutela garantita da salari minimi adeguati. Garantire che i lavoratori nell’Unione siano retribuiti in maniera adeguata è essenziale per assicurare condizioni di vita e di lavoro giuste, come pure per costruire società ed economie eque e resilienti. Si evidenzia, infatti, che negli ultimi decenni, i salari minimi non si sono mantenuti allo stesso livello in molti degli Stati membri, con ripercussioni negative sulla povertà lavorativa, sulle disuguaglianze salariali e sulla capacità dei lavoratori a basso salario di far fronte alle difficoltà economiche.

Come evidenziato nella Relazione, la proposta di Direttiva è finalizzata a migliorare le condizioni di lavoro assicurando ai lavoratori dell’Unione l’accesso alla tutela garantita dal salario minimo fornita da contratti collettivi o salari minimi legali adeguati, in modo tale da consentire una vita dignitosa ovunque essi lavorino. L’intervento dell’UE dovrebbe dunque garantire condizioni di parità per le imprese e i lavoratori nel mercato unico sostenendo e rendendo possibile una concorrenza leale basata su innovazione e produttività, nel rispetto di standard sociali adeguati.

La direttiva proposta, secondo la Relazione, è concepita per conseguire tali obiettivi tenendo in considerazione e rispettando pienamente le specificità dei sistemi nazionali, le competenze nazionali, nonché l'autonomia e la libertà contrattuale delle parti sociali. È inoltre concepita in modo tale da salvaguardare l'accesso al lavoro e da tenere conto delle conseguenze sulla creazione di posti di lavoro e sulla competitività, anche per quanto riguarda le PMI. La Relazione prosegue sottolineando, con riferimento agli obiettivi della Direttiva, la coerenza degli stessi con l'articolo 36 della Costituzione, relativo al diritto al giusto salario; con la dichiarazione solenne del principio della giusta retribuzione prevista all’art. 23 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e all’art. 7 del successivo Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali del 1966; con la convenzioni Oil in materia di salario minimo, in particolare nella Convenzione n. 26 del 1928, ove si dice espressamente che l’equo salario minimo è quello fissato dagli accordi collettivi; con l’art. 11 della Carta Comunitaria dei Diritti Sociali Fondamentali dei lavoratori stabilisce che il diritto alla retribuzione sufficiente deve essere determinato negozialmente in base alle modalità proprie di ciascun paese, conferendo un ruolo di primo piano ai soggetti sindacali e all’esercizio dell’azione collettiva.

La proposta mira dunque, prosegue la Relazione, a promuovere la contrattazione collettiva sui salari di tutti gli Stati membri e a conseguire ulteriori miglioramenti in termini di adeguatezza, riducendo al minimo le variazioni dei salari minimi legali per specifici gruppi di lavoratori o le trattenute sulla retribuzione. A tale scopo, promuove la conformità e rafforza l’applicazione e il monitoraggio in tutti gli Stati membri, in modo da non creare un onere eccessivo per le imprese, con particolare riguardo alle micro, piccole e medie imprese.

La Relazione si sofferma, di seguito, sul rispetto, da parte della proposta di Direttiva, dei principi dell’ordinamento europeo. Con particolare riferimento al principio di sussidiarietà, si ricorda che, pur spettando agli Stati membri la competenza in merito alle retribuzioni a livello nazionale, le grandi differenze nelle norme per l’accesso a un salario minimo adeguato all’interno di essi creano notevoli discrepanze nel mercato unico che possono essere affrontate al meglio a livello dell’Unione. L’azione a livello dell’UE potrebbe essere più efficace di quella a livello nazionale nel rafforzare i sistemi di determinazione dei salari minimi e dovrebbe contribuire a garantire la parità di condizioni nel mercato unico aiutando a colmare le grandi differenze, in termini di copertura e adeguatezza dei salari minimi, che non sono giustificate da condizioni economiche di fondo. Tali obiettivi non possono essere conseguiti in misura sufficiente e uniforme senza un’azione coordinata degli Stati membri.

La direttiva proposta, sottolinea la Relazione, stabilisce un quadro relativo a standard minimi e rispetta le competenze degli Stati membri per quanto concerne la fissazione di standard più elevati, fatto salvo il ruolo che gli Stati membri possono affidare alle parti sociali.  La Relazione evidenzia come la proposta rispetti il principio di sussidiarietà, in quanto l’azione dell’Unione europea si esplica nell’ambito delle condizioni di lavoro ed è volta a sostenere e completare l’azione degli Stati membri nel rafforzare i sistemi di determinazione dei salari minimi.

Con riferimento, invece, al principio di proporzionalità previsto dall’art. 5 del TFUE, secondo il quale “il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei Trattati”, la proposta di direttiva, sottolinea la Relazione, risulterebbe in linea con il principio di proporzionalità, in quanto consegue gli obiettivi relativi al miglioramento delle condizioni di lavoro espressamente previsti dai Trattati nel rispetto delle tradizioni nazionali consolidate in materia di determinazione dei salari minimi.

La proposta di direttiva in esame stabilisce, infatti, standard minimi, garantendo in tal modo che il livello di intervento sia mantenuto al minimo necessario per conseguire gli obiettivi della proposta. Gli Stati membri in cui sono già in vigore disposizioni più favorevoli di quelle elaborate nella proposta di direttiva non saranno tenuti a modificare i loro sistemi di determinazione dei salari minimi. Gli Stati membri possono anche decidere di andare oltre le prescrizioni minime stabilite dalla presente proposta di direttiva.

Per quanto concerne, infine, la forma dell’atto giuridico scelto, la Direttiva appare in linea con le previsioni dell’articolo 153, paragrafo 2, lettera b), TFUE che stabilisce che le direttive possono essere utilizzate per fissare condizioni minime applicabili progressivamente anche in materia di condizioni di lavoro tenendo conto delle condizioni e delle normative tecniche esistenti in ciascuno Stato membro.

La Relazione illustra, poi, una valutazione complessiva del progetto e delle sue prospettive negoziali, evidenziando la coerenza della proposta di Direttiva con gli obiettivi della politica europea volta alla costruzione di una economia sociale di mercato equa e inclusiva. Si tratta di obiettivi che, secondo la Relazione, sono pertinenti sia per i sistemi basati su un salario minimo legale sia per quelli basati sulla contrattazione collettiva.

La direttiva proposta è concepita, secondo la relazione, per conseguire tali obiettivi tenendo in considerazione e rispettando pienamente le specificità dei sistemi nazionali, nonché l’autonomia e la libertà contrattuale delle parti sociali, mirando a promuovere la contrattazione collettiva sui salari in tutti gli Stati membri. Quest’ultima svolge, infatti, un ruolo fondamentale per garantire una tutela adeguata al salario minimo.

La relazione sottolinea, in proposito, l’urgenza del provvedimento in un’ottica di mitigare l’impatto socio-economico della crisi economica innescata dal COVID-19, nonché per incrementare la capacità e la diffusione del Dialogo Sociale negli Stati membri.

La proposta di Direttiva, secondo quanto affermato nella relazione, può ritenersi conforme anche all’ interesse nazionale, in quanto sarebbe intenzione del Governo italiano adottare un disegno di legge per introdurre anche in Italia il salario minimo, in attuazione dei principi sanciti dalla nostra Costituzione (cfr. supra).

La relazione descrive, infine una valutazione dell’impatto sull’ordinamento nazionale della proposta di direttiva, evidenziando che essa è concepita per conseguire gli obiettivi prefissati tenendo in considerazione e rispettando pienamente le specificità dei sistemi nazionali, nonché l’autonomia e la libertà contrattuale delle parti sociali: come già anticipato, la Relazione conferma che la direttiva non intende armonizzare il livello dei salari minimi nell'Unione, né istituire un meccanismo uniforme per la determinazione dei salari minimi. Essa non interferisce con la libertà degli Stati membri di fissare salari minimi legali o di promuovere l'accesso alla tutela garantita dal salario minimo fornita da contratti collettivi, in linea con le tradizioni e le specificità di ciascun paese e nel pieno rispetto delle competenze nazionali e della libertà contrattuale delle parti sociali. sociali. La direttiva non impone agli Stati membri, come l’Italia, nei quali la tutela garantita dal salario minimo sia fornita esclusivamente mediante contratti collettivi l’obbligo di introdurre un salario minimo legale né di rendere i contratti collettivi universalmente applicabili. Non sono pertanto ravvisabili, secondo la Relazione, elementi di particolare impatto normativo sull’ordinamento nazionale.

 

Criticità segnalata dalla relazione

 

La relazione del Governo sulla proposta evidenzia "una decisiva criticità" nella conformazione del modello sanzionatorio inteso a punire la violazione delle norme nazionali che assicurano il rispetto delle disposizioni, anche contrattuali, in materia di salario minimo. Dal momento che il sistema di determinazione dei salari in Italia è rimesso alla contrattazione collettiva ed il modello italiano di relazioni sindacali è caratterizzato da un elevato livello di pluralismo organizzativo, sia dal lato dei lavoratori sia da quello dei datori di lavoro, l'estremo pluralismo delle fonti sindacali renderebbe l'impianto sanzionatorio illegittimo per mancanza della doverosa tipizzazione del precetto in considerazione della indeterminatezza dei minimi obbligatoriamente applicabili. La presenza in ciascun settore produttivo di una pluralità di contratti collettivi, parimenti abilitati, sembrerebbe imporre al Legislatore, per conformarsi alla direttiva e per non ledere il principio di tassatività del precetto, di individuare con una norma di legge la fonte contrattuale di riferimento del minimo salariale rispetto al quale parametrare l'eventuale scostamento tale da comportate la comminazione della sanzione. Nello specifico, la relazione del Governo suggerisce di vagliare sin d'ora la possibilità di fare riferimento ai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentativi a livello nazionale nella categoria.

 

Le memorie depositate alla Camera dei deputati sulla proposta di Direttiva

Nel corso dell’esame della proposta di direttiva relativa ai salari minimi adeguati nell'UE COM(2020)682 presso l’XI Commissione (Lavoro)  della Camera dei deputati, sono state presentate numerose memorie da parte di organismi istituzionali e associazioni datoriali e di lavoratori.

Di seguito, una tabella riepilogativa delle principali considerazioni in relazione alla proposta di direttiva emerse dalle memorie scritte depositate dalle associazioni datoriali e di lavoratori nel corso dell’esame della proposta medesima; per un’analisi più dettagliata del contenuto delle suddette memorie, si rinvia al seguente link.

 

 


 

Valutazione

Introduzione salario minimo legale

Ruolo contrattazione collettiva

Criticità

Richieste di integrazioni

Alleanza cooperative italiane

Valuta favorevolmente l’orientamento assunto nella proposta di direttiva di non imporre agli Stati Membri alcun obbligo di salario minimo legale

Al legislatore potrebbe essere lasciata unicamente la definizione di un salario minimo per quegli ambiti di attività non coperti da CCNL o dove non esista una contrattazione collettiva sottoscritta da organizzazioni comparativamente rappresentative a livello nazionale, in grado di fornire copertura anche alle nuove fasce di lavoratori meno tutelati

Ritiene importante:

-       aumentare la copertura della contrattazione collettiva, nonché promuovere la funzione della contrattazione collettiva nel determinare adeguati livelli salariali;

-       dare validità erga omnes ai livelli retributivi previsti dalla contrattazione leader, ossia quella sottoscritta dalle parti sociali comparativamente più rappresentative a livello nazionale

 

Occorre definire quali siano gli elementi della retribuzione da prendere in considerazione (non soltanto i minimi tabellari intesi in senso stretto, ma anche tutte quelle voci economiche che ciascun CCNL in via pattizia fa rientrare nel trattamento economico complessivo da garantire al lavoratore).

Sarebbe, inoltre, auspicabile un intervento legislativo che introduca un adeguamento automatico ed immediato dei contratti di appalto con i committenti pubblici per il riconoscimento degli aumenti retribuiti convenuti in sede di stipula dei rinnovi contrattuali, almeno entro i limiti previsti dall’aumento inflattivo.

ANCE

Condivide:

-    la scelta di lasciare agli Stati membri la facoltà di fissare salari minimi legali o promuovere l'accesso alla tutela garantita dal salario minimo fornita da contratti collettivi;

-    l’intenzione di aumentare la copertura della contrattazione collettiva e l’idea di garantire il coinvolgimento tempestivo ed efficace delle parti sociali, nella determinazione dei salari minimi legali e nel relativo aggiornamento,

L’eventuale introduzione di un salario minimo legale:

-   deve riferirsi esclusivamente a quei settori attualmente non coperti dalla contrattazione collettiva, al fine di evitare ogni forma di dumping contrattuale;

non dovrebbe essere applicato alle attività riconducibili a quei settori, come l’edilizia, nei quali il rispetto di tale principio è già ampiamente soddisfatto dai contratti collettivi di categoria stipulati

Sarebbe opportuno precisare che il riferimento è esclusivamente alla c.d contrattazione “leader” ossia alla contrattazione svolta dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

L’applicazione generalizzata del salario minimo nazionale, indipendentemente dalla presenza di una contrattazione collettiva di riferimento, potrebbe condurre alla conseguenza opposta, ossia una fuga incontrollata dai contratti di lavoro, a danno delle imprese regolari e del complessivo impianto normativo contrattuale, al solo scopo di ridurre il costo del lavoro e creare forme di dumping salariale

Con l’espressione "salario minimo" (art. 3) dovrebbe intendersi, quale unico riferimento per le attività dei settori già coperti dalla contrattazione, il trattamento complessivamente previsto dai contratti collettivi, e non la retribuzione minima che un datore di lavoro è tenuto a versare ai lavoratori per il lavoro svolto in un dato periodo, sulla base del tempo o dei risultati prodotti.

ASSOSOMM

Valutazione positiva

 

Reputa fondamentale lo strumento della contrattazione collettiva

 

Esprime l’auspicio che all’interno della cornice europea possa essere introdotto uno strumento per garantire sia che i salari minimi siano fissati a un livello adeguato, sia che lo strumento possa contribuire al processo di armonizzazione e al buon funzionamento dell’equità sociale all’interno dell’Unione.

Casartigiani

L’introduzione di un quadro europeo volto a migliorare le condizioni di lavoro assicurando una vita dignitosa ai lavoratori dell'Unione ovunque essi lavorino – obiettivo condiviso - va conseguita tenendo conto degli effetti sulla creazione di posti di lavoro e sulla competitività, anche per quanto riguarda le PMI.

Nella valutazione della misura del salario minimo adeguato è indispensabile distinguere tra minimo tabellare e salario complessivo

Con riferimento alla copertura della contrattazione collettiva (art. 4) si segnala che:

-    occorre contrastare il proliferare di contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni prive di rappresentanza, che creano dumping tra imprese, oltre che condizioni di lavoro peggiori. Il primo obiettivo dovrebbe essere quello di sconfiggere il dumping contrattuale e salariale e i contratti pirata;

-    occorre assicurare una più adeguata attività di vigilanza ispettiva sul rispetto dei CCNL

 

 

CGIL

Si dichiara favorevole allo strumento direttiva quadro/raccomandazione, che favorisce una convergenza salariale europea, ma contraria rispetto alle norme riferite alle possibili esclusioni di categorie o fasce escludibili dal salario minimo, così come alle disposizioni sulle detrazioni

Occorre garantire l’equilibrio tra salari minimi legali e contrattazione collettiva

Occorre definire principi che permettano la libera organizzazione dei sindacati, il contrasto ai sindacati gialli, la libertà di contrattazione, il contrasto alle rappresaglie antisindacali

Considera un limite il fatto che la proposta di direttiva non prevede nell’articolato una soglia minima del salario.

Occorre:

-     definire l’obiettivo che tutti i lavoratori debbano avere una copertura contrattuale e/o di salario minimo, affinché non vi sia l’esclusione delle forme atipiche o non standard. Occorrerebbe pertanto indicare più precisamente gli obiettivi e i contenuti dei piani che gli stati membri devono predisporre e non limitarli solo a coloro che hanno scarsa copertura contrattuale;

-     precisare ulteriormente il sistema di ispezione e sanzionatorio

CISL

Ritiene che l’obiettivo della proposta sia in linea con i principi sanciti dal Pilastro europeo dei diritti sociali del 2017 ed in particolare il diritto a un reddito minimo previsto dal principio 14, e una retribuzione equa previsto dal principio 6

Apprezza che la Commissione ponga

l’accento sulla importanza della contrattazione collettiva e sulla sua maggiore valenza rispetto al salario minimo legale nell’assicurare salari adeguati.

Si ritiene che i sistemi contrattuali ben funzionanti come quello italiano (che hanno una copertura superiore

al 70%) devono essere protetti e l’autonomia delle parti sociali deve essere garantita e rafforzata

Si ribadisce, inoltre, la necessità di agire per garantire il rispetto del principio della libertà contrattuale ed il rispetto dei diritti relativi alla attività contrattuali dei lavoratori e dei

rappresentanti dei lavoratori, e delle organizzazioni sindacali,

 

 

Tra le questioni che la proposta dovrebbe considerare si segnalano:

-   la specificazione ulteriore delle differenze tra salario minimo contrattuale e salario minimo legale, evitando qualsiasi interferenza;

-   l’introduzione di una garanzia del diritto alla contrattazione collettiva e che i piani di azione da adottare nei paesi che sono al di sotto della copertura del 70% siano obbligatori;

-   la specificazione del contenuto che devono avere dei piani di rafforzamento della contrattazione collettiva volta al raggiungimento della copertura del 70%;

-   la previsione di procedure di infrazione nei confronti degli Stati membri che non adottano misure per rafforzare la contrattazione collettiva, che possono essere presentate anche dalle parti sociali;

-   l’introduzione di specifiche misure per il rafforzamento e il rispetto dei diritti alla contrattazione e le libertà sindacali;

-   per il solo salario minimo legale, la definizione degli obiettivi minimi di adeguatezza pari al 50% del salario medio e 60% del mediano, che la Commissione non pone in maniera vincolante, e che questo deve essere sempre definito con il pieno coinvolgimento delle parti sociali;

-   l’eliminazione di esclusioni (es., lavoratori domestici, giovani, ect) estendendo la sua copertura a tutti i lavoratori anche quelli non standard, e delle detrazioni dal salario minimo legale;

-   la previsione di una clausola di progresso sociale per evitare cattive interpretazioni da parte dei tribunali, e garanzie perché non vi sia nessun danno ai sistemi di contrattazione collettiva efficaci - in particolare nessuno Stato membro deve essere tenuto, direttamente o indirettamente, a introdurre un salario minimo legale.

CNA

Si dichiara favorevole in linea di principio, ma precisa che la fissazione di un salario minimo non deve risolversi in un incremento degli oneri a carico delle imprese, già notevolmente provate dagli effetti della pandemia

Ribadisce l’assoluta contrarietà ad ogni misura legislativa che introduca un salario minimo legale che rischierebbe di vanificare gli equilibri raggiunti tra le Parti sociali.

Considera apprezzabile l’obiettivo di promuovere la contrattazione collettiva, che, a differenza di un salario minimo legale, può garantire trattamenti retributivi in linea con la situazione economica dei settori, con le singole qualifiche e con l’andamento della produttività.

 

Ribadisce la necessità di una incisiva vigilanza da parte degli organi ispettivi, specialmente per quanto riguarda l’attività di contrasto ai contratti collettivi pirata.

CNEL

Le misure proposte dalla Commissione potrebbero essere necessarie anche nei paesi ove esiste un salario minimo legale e viceversa non esserlo negli Stati dove opera solo la contrattazione collettiva.

 

Ai sensi della direttiva il tasso di copertura effettivo dei CCNL viene fissato al 70% dei dipendenti interessati. A tale proposito la relazione precisa che di questa protezione salariale dei contratti collettivi dovrebbero godere direttamente o indirettamente tutti i lavoratori, comprese le varie forme di lavoro, atipico.

La proposta non precisa i meccanismi con cui dovrebbe essere garantito il raggiungimento del tasso di copertura effettivo dei CCNL, fissato al 70%,

Il CNEL sottolinea:

-        che il riferimento alla contrattazione collettiva nazionale è formulato in modo indifferenziato, tale da comprendere potenzialmente anche contratti stipulati da organizzazioni non rappresentative. Potrebbe essere indicato che deve tenersi conto, anche nel valutare la copertura contrattuale, dei soli contratti collettivi nazionali conclusi dalle organizzazioni delle parti sociali maggiormente rappresentative, come definite dalle leggi nazionali.

-        la necessità che gli Stati membri siano sollecitati ad azioni dirette a rafforzare la estensione della copertura contrattuale, e in generale il ruolo delle parti sociali. Una richiesta sindacale, anche in sede europea, è di rendere esplicito che i sistemi nazionali, come quello italiano, che hanno una copertura contrattuale nazionale (mediamente) superiore al 70% possono essere considerati ben funzionanti e quindi non necessitano d’interventi legislativi in materia di salario minimo.

 

Co.N.A.P.I.

La proposta rispetta le competenze degli Stati membri e l’autonomia delle parti sociali in quanto non intende introdurre un salario minimo unico per tutti i Paesi, ma tendere ad una convergenza verso l’alto delle retribuzioni minime

Ritiene che l’obiettivo della garanzia di retribuzioni minime in Italia possa ancora essere ben perseguito dalla contrattazione collettiva

Sottolinea che la proposta incentiva il ruolo della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari al fine di promuovere la tutela garantita dal salario minimo fornita dai contratti collettivi

Si ritiene sconsigliabile l’estensione dell’efficacia dei CCNL senza una revisione del sistema della contrattazione.

Servirebbero piuttosto CCNL quadro per l’individuazione dei minimi (o anche minimi e massimi), lasciando alla contrattazione di secondo livello la fissazione dei livelli retributivi applicabili.

 

Confagricoltura

Pur riconoscendo l’indubbio valore della finalità che la proposta di direttiva intende perseguire, rappresentare talune perplessità. Sottolinea, infatti, che l’UE non ha la competenza per introdurre una direttiva sui salari minimi o sulla contrattazione collettiva, trattandosi di materie riservate alla competenza delle parti sociali e degli Stati membri.

In conclusione, ritiene inadeguata e inappropriata la proposta di direttiva

Un intervento sui salari minimi produce effetti a cascata anche sugli altri livelli retributivi, con il rischio di compromettere i livelli occupazionali e le opportunità di progressione dei lavoratori interessati dal salario minimo

 

L’adozione di una direttiva vincolante per gli Stati membri della UE potrebbe comportare le seguenti conseguenze negative:

-        sul sistema di rappresentanza, in quanto potrebbe indurre le imprese ad allontanarsi dalle associazioni firmatarie di CCNL per applicare solamente il minimo legale;

-        sul sistema della contrattazione collettiva, in quanto costituirebbe un fortissimo disincentivo alla stipula dei contratti collettivi;

-        sul trattamento economico complessivo, in quanto il depotenziamento della contrattazione collettiva comporterebbe inevitabilmente ripercussioni su quel trattamento economico omnicomprensivo (mensilità aggiuntive, maggiorazioni, welfare bilaterale, etc.) che il CCNL attualmente garantisce in aggiunta alla retribuzione minima;

-        sui tassi di occupazione, in quanto la presenza di minimi retributivi elevati e di rigidità nominali può determinare un’ulteriore contrazione dell'occupazione;

-        possibile aumento del lavoro irregolare (o informale) e il maggior ricorso al lavoro precario;

-        sulle dinamiche salariali e l’inflazione, in quanto l’introduzione di un adeguamento automatico e periodico delle retribuzioni sulla base di precisi indicatori potrebbe ingenerare una sorta di nuova “scala mobile” innescando fenomeni inflattivi difficilmente controllabili e dai potenziali effetti negativi sull’intera economia.

 

Confapi

Ritiene apprezzabile il principio secondo il quale la tutela garantita dal salario minimo può essere fornita anche mediante contratti collettivi e non solo mediante salari minimi legali stabiliti per legge e condivisibile la linea promozionale della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari

Non ravvisa la necessità di percorrere la soluzione per via legislativa, estranea al nostro sistema di relazioni sindacali.

Occorre intraprendere la strada disegnata dall’art. 39 della nostra Costituzione, mediante i contratti collettivi dotati di efficacia erga omnes.

 

 

Confartigianato Imprese

Critica nei confronti della scelta dello strumento della direttiva, ritenendo preferibile lo strumento della raccomandazione

Un intervento legislativo in tale ambito altererebbe gli equilibri economici e negoziali raggiunti dalla contrattazione collettiva, con la conseguenza che:

-     se il salario minimo legale fosse più basso di quello stabilito dai contratti collettivi, si correrebbe il rischio di disapplicazione degli stessi, poiché per le aziende il salario negoziale sarebbe considerato come un mero ed incomprensibile costo ulteriore;

-     se fosse più alto, l’ingerenza legislativa in tale campo determinerebbe uno squilibrio nella rinegoziazione degli aumenti. Conseguenza di tale disapplicazione contrattuale potrebbe essere il peggioramento delle condizioni generali dei lavoratori.

Occorre non vanificare la contrattazione collettiva, che in Italia è caratterizzata da una significativa diffusione della contrattazione collettiva nazionale che negozia la retribuzione del lavoro subordinato coprendo ampiamente i diversi settori produttivi, nonché da un secondo livello di contrattazione (aziendale o territoriale) che regolamenta il salario di produttività che negli ultimi anni ha avuto un significativo sviluppo anche grazie a normative incentivanti.

Inoltre, osserva che in Italia i salari minimi derivati dai contratti collettivi di lavoro sono spesso più elevati rispetto a quelli di Paesi dove è stabilito un salario minimo per legge

Non condivide l’intervento pubblico in una materia - quella salariale - di stretta competenza delle parti negoziali.

Quanto alla proposta di mettere in atto in cd. “pacchetto B” che mette al centro la richiesta “a tutti gli Stati membri di sostenere la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari”, si ritiene che essa sia poco chiara con riguardo, in particolare, alla salvaguardia della libertà di azione sindacale e quindi della libertà negoziale di ciascuna delle organizzazioni datoriali e sindacali.

Sottolinea come  non vi è alcuna garanzia per le organizzazioni datoriali e sindacali di non vedersi imposto un salario minimo legale proprio ai sensi della Direttiva

 

Confcommercio

Critica nei confronti della scelta dello strumento della direttiva, ritenendo preferibile lo strumento della raccomandazione

Un'iniziativa vincolante su un salario minimo adeguato non rispetta la sussidiarietà e la competenza nazionale in materia di determinazione dei salari, in quanto l’art. 153 par. 5) del TFUE esclude espressamente le retribuzioni dalle competenze dell’UE

Reputa positiva la promozione della contrattazione collettiva quale strumento più idoneo per definire i livelli salariali e, conseguentemente, il rafforzamento del ruolo svolto dalle Parti sociali.

Ritiene che l’invito agli Stati membri a garantire che le imprese, nei contratti di appalto pubblico, rispettino anche gli accordi salariali settoriali e regionali, debba essere spostato sul livello contrattuale nazionale.

Evidenzia criticità sotto molti aspetti, in particolare con riferimento all’impatto economico e occupazionale della direttiva sulle PMI, ritenendo impensabile, ora, un aumento del costo del lavoro per le imprese, già severamente colpite dall’emergenza Covid e dalle conseguenti ripercussioni economiche.

Inoltre, la proposta di direttiva non definisce un livello salariale, ma criteri per stabilire il salario minimo in modo stabile e chiaro 

 

Confimi_Industria

Pur condividendo lo scopo della direttiva, evidenzia che occorre definire un criterio oggettivo e specifico nella determinazione di un salario minimo

 

 

Non è chiaro se il salario minimo debba essere adottato tramite una contrattazione a parte rispetto ai CCNL già presenti, oppure tramite una rivisitazione dei livelli inferiori degli stessi contratti.

Inoltre, la direttiva presuppone erroneamente che le imprese compenserebbero i maggiori costi con l’aumento dei consumi.

Infine, il “tasso di crescita dei salari lordi” previsto all’art. 5 c. 2 lett. c. non appare verosimile né tantomeno calcolabile ex ante

 

Confindustria

Si ritiene più opportuno uno strumento non vincolante, che potrebbe assumere la forma di una raccomandazione del Consiglio. In tal modo, le stesse Istituzioni europee avrebbero la possibilità di fornire indicazioni di più ampio respiro in tema di politica economica europea

Ribadisce l’opinione già espressa in diverse occasioni, ossia che il salario minimo legale non risolve i problemi del nostro mercato del lavoro, e in particolare quello di adeguare i salari più bassi, perché rimarrebbe immutato il problema del controllo dell’effettivo rispetto della misura “legale”.

Ribadisce la necessità di realizzare un sistema in cui sia possibile prendere a riferimento, per la determinazione del salario minimo e per il suo adeguamento, la contrattazione collettiva espressione delle organizzazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale in ciascun settore economico.

Sottolinea la necessità di introdurre criteri di misurazione della rappresentanza datoriale e sindacale, al fine di individuare quale dovrebbe essere il contratto collettivo di settore da prendere a riferimento per la determinazione del salario minimo da parte dei CCNL

 

 

Conflavoro PMI

Condivide l’obiettivo della proposta, ma evidenzia molteplici criticità

Con l’introduzione di un salario minimo legale verrebbe individuato un salario minimo “superiore” a quello derivante dalla contrattazione collettiva, o almeno superiore a quello “minimo” individuato dal contratto di lavoro più penalizzante per i lavoratori, ma i CCNL, riferendosi a settori produttivi diversi, hanno retribuzioni molto diverse tra di

loro e spalmate su un numero di mensilità non omogeneo.

Il contratto collettivo da prendere a riferimento è quello con i livelli retributivi più bassi, altrimenti si verificherebbe un incremento a cascata di tutti i livelli retributivi con aumento generalizzato dei costi della manodopera

Ribadisce l’esistenza di significative differenze del costo della vita tra le diverse aree territoriali. La retribuzione minima, quindi, deve essere quella minima dignitosa per le regioni meridionali, affidando poi alla contrattazione di secondo livello i necessari adeguamenti

Tra le altre proposte, si evidenzia quella diretta a predisporre come retribuzione proporzionata e sufficiente quella equivalente ad un salario lordo di 7.50 euro orari

Confprofessioni

La proposta di Direttiva, che mira a porre le condizioni utili affinché “i salari minimi siano fissati a livelli adeguati in tutti gli Stati membri”, può rappresentare un passaggio importante per la valorizzazione della contrattazione collettiva

Ritiene opportuno evitare di inserire nella regolazione nazionale meccanismi di definizione normativa dei salari che avrebbero un effetto controproducente rispetto alle finalità dichiarate

Si ritiene che debba rimanere preponderante e centrale il ruolo della contrattazione collettiva e degli attori sociali

Tra gli aspetti connessi alla definizione di un salario minimo per legge, che dovrebbero essere approfonditi si segnalano, in particolare:

-   l’individuazione di parametri unici intersettoriali per definire l’ammontare;

-   le conseguenze anche sanzionatorie che derivano dalla mancata applicazione;

-   i rapporti con la parte economica dei diversi contratti collettivi e con le diverse forme contrattuali che prevedono un graduale aumento della retribuzione in ragione di esigenze formative (es. apprendistato).

 

Confservizi

Giudica meritevoli gli obiettivi della proposta

L’introduzione di un salario minimo legale, con fissazione di un livello retributivo minimo di legge, dovrebbe riguardare esclusivamente quei settori che risultano “scoperti” dalla contrattazione collettiva

Per i settori già considerati dalla contrattazione collettiva, il compito della determinazione del salario minimo dovrebbe essere affidato alla stessa, anche attraverso una legislazione a “rinforzo” del ruolo di garanzia retributiva svolto

Sottolinea una indeterminatezza di alcuni contenuti. In particolare di quelli relativi:

alla cogenza della direttiva;

alla scelta di attribuire agli Stati membri la possibilità sia di fissare un salario minimo per legge (trasversale ai vari settori), sia di assegnare il compito relativo alla determinazione del salario minimo alla contrattazione collettiva

Si ritiene necessaria una definizione legale dei perimetri di misurazione della rappresentatività sindacale

Federdistribuzione

Ritiene che la proposta di direttiva sembra rispettare i tradizionali assetti di determinazione dei salari da parte della libera ed autonoma contrattazione collettiva.

Desta preoccupazione una definizione ex lege di forme di retribuzione minima, che potrebbe produrre un incremento del costo del lavoro a carico delle aziende, in particolare, per quelle ricadenti in settori in cui la paga base oraria potrebbe essere fissata al di sotto del salario minimo.

Il vero sostegno che il legislatore può offrire alle parti sociali consiste nell’azionare la leva della riduzione di tasse e contributi che gravano sulle aziende

L’eventuale introduzione di un salario minimo ex lege deve rispettare i valori economici determinati dalla contrattazione collettiva di settore maggiormente rappresentativa; un salario minimo così delineato potrebbe infatti rappresentare un riferimento cogente nei casi di assenza di un CCNL (c.d. scopertura contrattuale), nonché in quei contesti privi della tutela di contratti collettivi rappresentativi, in cui si verificano fenomeni e squilibri sociali (es. dumping contrattuale).

Occorre valutare con attenzione le possibili ripercussioni di un innalzamento degli oneri a carico delle aziende, considerando le incerte future dinamiche economiche del Paese anche a seguito della crisi sanitaria ancora in atto

Si ritiene opportuna:

-       un’intensificazione dell’attività di vigilanza attraverso gli enti preposti ai controlli;

una maggiore efficacia dell’azione delle parti sociali nell’individuare soluzioni di estensione dei CCNL ai settori “scoperti

UGL

Valuta positivamente la proposta

L’introduzione di un salario minimo europeo, pur con tutti i limiti della normativa vigente e talune perplessità, può rappresentare in alcuni Paesi dell’Est Europa un elemento di novità utile a contrastare e ridurre la concorrenza sleale e il dumping salariale

Il diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata alla qualità e alla quantità del suo lavoro e comunque tale da assicurare a sé e alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.) si persegue attraverso il potenziamento della contrattazione collettiva, prima ancora che con l’introduzione di un salario minimo orario di legge

 

Sarebbe auspicabile un piano europeo di reshoring delle imprese delocalizzate all’estero, soprattutto quelle ubicate nei paesi asiatici, per il rientro di attività che possano generare la creazione di nuovi posti di lavoro

UIL

Condivide la posizione della Commissione che ha scelto lo strumento giuridico vincolante della Direttiva, piuttosto che la Raccomandazione.

La condivisione deriva in particolare dal fatto che, in base al testo della proposta, Paesi come l’Italia, che non hanno un salario minimo definito per legge, ma hanno un buon sistema contrattuale che copre tutti i settori e i comparti produttivi, non saranno obbligati ad introdurlo.

Ribadisce che i CCNL, sottoscritti dai Sindacati maggiormente rappresentativi, rappresentano lo strumento essenziale per aumentare i salari nei diversi settori economici, nonché per migliorare le condizioni di lavoro e i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, garantendo un’equa redistribuzione della ricchezza

Solo attraverso la contrattazione si può promuovere una crescita economica sostenibile e inclusiva, e limitare, in tal modo, le disparità tra e all’interno di Stati e regioni.

 

Tra le proposte di integrazione, si evidenzia, in particolare:

-      l’inclusione nelle disposizioni legali una soglia al di sotto della quale il salario non può scendere, che dovrebbe attestarsi al 60% del salario mediano e al 50% di quello medio, in modo che non si lascino i lavoratori al di sotto della soglia di povertà;

-      l’eliminazione dell’esclusione dal salario minimo di alcune tipologie di lavoratrici e lavoratori.

Prof. Tito Boeri

Gli interrogativi più rilevanti non riguardano tanto l’introduzione di salari minimi – che ormai esistono in quasi tutti i Paesi dell’Unione Europea - ma il livello a cui questi minimi vengono fissati.

Un importante contributo della proposta di direttiva consiste proprio nel conferire importanza al monitoraggio e all’analisi dei dati sui bassi salari nella determinazione dei livelli del salario minimo. Il riferimento implicito è alla Low Wage Commission che ha guidato l’introduzione di un salario minimo nel 1999 nel Regno Unito.

 

Misure che stabiliscono livelli retributivi minimi riducono il potere di mercato dei datori di lavoro; inoltre, un salario minimo stabilito a livelli adeguati può ampliare il mercato del lavoro e al contempo migliorare gli standard di vita dei lavoratori.

 

 

La proposta di direttiva: 1) propone livelli “minimi” a cui tendere per adeguare i salari minimi (che il salario minimo sia almeno pari al 60% del salario mediano lordo o al 50% del salario medio). La scelta del livello a cui collocare il minimo salariale non può che risultare da un’analisi attenta delle caratteristiche del mercato del lavoro; non si comprende quindi la necessità di stabilire a priori un livello soglia del salario minimo, peraltro superiore a quello determinato;

2) non entra nel merito dell’opportunità di introdurre dei minimi salariali differenziati per età o per area territoriale all’interno dei singoli paesi. Il rischio è quello di una contrazione della domanda di lavoro rivolta ai giovani entranti nel mercato, con ritardi sulla loro entrata nel mercato del lavoro, minori investimenti in formazione sul posto di lavoro e un ridimensionamento delle loro prospettive di reddito sull’intera carriera;

3) auspica, con riferimento agli Stati in cui il salario minimo non è presente e la regolamentazione dei livelli minimi è affidata alla contrattazione collettiva, l’estensione della copertura degli accordi collettivi. Per quanto l’intenzione sia condivisibile, non vengono rese chiare le modalità con cui questa estensione possa verificarsi;

4) non sembra fare adeguata menzione della complementarità fra salario minimo e contrattazione collettiva. Il salario minimo è un utile complemento alla contrattazione collettiva in quanto assicura un presidio di minimi retributivi che gli accordi collettivi non sono in molti casi in grado di garantire.

La direttiva non affronta il problema del “falso lavoro autonomo” (lavoro di fatto alle dipendenze, ma formalmente definito come lavoro autonomo).

Inoltre, è di primaria importanza accompagnare una riforma del salario minimo con le dovute misure di enforcement dello stesso, per garantire che venga rispettato ovunque applicabile. L’enforcement del salario minimo legale presso le imprese richiede sia una vigilanza capillare sia l’erogazione di sanzioni in caso di mancata osservanza. La proposta suggerisce di potenziare gli sforzi di monitoraggio attraverso la raccolta di dati ma non si pronuncia sul ruolo degli ispettorati e sulle sanzioni

Prof. ssa Marzia Barbera

La proposta di direttiva rappresenta una rilevante novità nelle politiche sociali dell’Unione Europea e ha il potenziale per migliorare i salari di milioni di lavoratori e lavoratrici europei a basso salario, rafforzare la contrattazione collettiva, potenziare la partecipazione dei sindacati al sistema di fissazione dei salari minimi adeguati.

La proposta segna un radicale cambiamento di prospettiva della Commissione, passata da un approccio economicistico, che vedeva le retribuzioni come un “costo” da tenere sotto controllo per favorire la competitività del sistema produttivo, ad un approccio sociale che le considera un elemento che contribuisce a garantire alle persone un lavoro decente e una vita dignitosa.

La proposta rispetta i principi di sussidiarietà e di proporzionalità

Vi sono, d’altra parte, margini di miglioramento, soprattutto per quel che riguarda gli strumenti di promozione della contrattazione collettiva.

Inoltre, valuta positivamente l’art. 7 della proposta, che impone l’obbligo di coinvolgimento delle parti sociali nei processi di determinazione dei salari minimi adeguati.

L’eventuale introduzione di un salario minimo legale non solo non aggraverebbe la situazione ma, al contrario, potrebbe offrire un sostegno ai lavoratori impiegati in quei settori in cui la contrattazione collettiva “di qualità” fatica ad imporsi. Infatti, dove il sindacato è forte, esso continua a giocare un ruolo da protagonista; nei settori in cui il sindacato fatica ad imporsi, e dunque aumenta il rischio di in-work poverty, il salario minimo può contribuire a migliorare la condizione dei lavoratori.

Segnala che la proposta riserva attenzione alla contrattazione collettiva di settore e intercategoriale, cui viene riconosciuto un compito fondamentale di fissazione di minimi di trattamento relativi a un salario equo. Si tratta di una svolta politica, dopo gli anni di politiche di austerità europee in favore della (sola) contrattazione aziendale basata sulla produttività.

La proposta di direttiva non definisce con esattezza il concetto di salario minimo adeguato, ma si limita a indicare alcuni “criteri di adeguatezza”. La direttiva non impone nemmeno l’utilizzo di specifici indicatori, sebbene il Considerando 21 sottolinei che il ricorso a “indicatori comunemente impiegati a livello internazionale, quali il 60% del salario lordo mediano e il 50% del salario lordo medio, può contribuire a orientare la valutazione dell'adeguatezza dei salari minimi in relazione al livello retributivo lordo”.

 

Prof. Zoppoli

Valuta positivamente la proposta di direttiva, che tocca profili cruciali dal punto di vista sociale, economico e politico degli ordinamenti giuridici nazionali, e per la prima volta configura un intervento di vera e propria armonizzazione in una materia delicatissima come la determinazione delle condizioni di lavoro. Auspica una rapida approvazione della proposta di direttiva, anche se sarebbe utile irrobustirne la base giuridica, fondandola su un’interpretazione più attuale delle norme dei Trattati. Inoltre, ritiene che i contenuti della direttiva potrebbero essere migliorati sia per gli Stati in cui c’è un salario minimo sia per gli Stati in cui non c’è ancora.

Ritiene che la proposta di direttiva sia ben motivata con riguardo a cinque aspetti: a) la base giuridica; b) il rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità; c) la lungimiranza politico-sociale dell’intervento normativo, vista la crescente incidenza di working poors; c) l’analisi degli impatti; d) il profilo dell’effettività (consapevolezza e sostegno all’azione ispettiva e sanzionatoria delle frequenti violazioni delle normative nazionali a tutela dei salari minimi).

Valuta positivamente la norma contenuta nell’art. 6.1, che consente “salari minimi legali diversi per specifici gruppi di lavoratori”, nonché le disposizioni contenute nel capo III, che impongono agli Stati membri di adottare misure adeguate perché le imprese nell’esecuzione di appalti pubblici e contratti di concessione si conformino – oltre ai salari minimi legali – “ai salari stabiliti dai contratti collettivi per il settore e l’area geografica pertinente (art. 9).

 

 

-        Pur opportuna in una dimensione sovranazionale, la proposta non sembra attagliarsi bene al nostro Paese, per il quale è inadeguata, rischiando, anzi, di avere effetti controproducenti, non richiedendo sostanzialmente nessuna misura specifica di trasposizione, salvo l’eventuale approvazione di una legge sul salario minimo legale, che dovrebbe essere conforme alla proposta di direttiva.

-        Sarebbe errato approvare la proposta di Direttiva, senza ricomprendervi esplicitamente Paesi come l’Italia nei quali appare necessaria in tempi una profonda rivisitazione della disciplina legale che garantisca salari minimi adeguati, preferibilmente razionalizzando e rafforzando le regole in materia di contrattazione collettiva.

-        Poiché l’unico o il più rilevante obiettivo generale della Direttiva è quello di aumentare la copertura della contrattazione collettiva, assume un valore cruciale la sostanziale esclusione dall’ambito di operatività della proposta degli Stati membri in cui sia riscontrabile un tasso di copertura contrattuale pari al 70% (art. 4.5), tra i quali, al momento, rientrerebbe l’Italia.

-        Manca qualsiasi indicazione vincolante quali/quantitativa sul livello adeguato dei salari sul quale debbono assestarsi le normative nazionali di trasposizione della Direttiva. Si rinviene infatti solo in premessa (considerando n. 21) un riferimento al 60% del salario nazionale lordo mediano o al 50% del salario lordo medio.

-        Appare un grave errore ancorare la necessità di una trasposizione della Direttiva al raggiungimento di un tasso di copertura contrattuale e non all’esistenza di un regime giuridico tale da attribuire efficacia erga omnes alle disposizioni di taluni contratti collettivi che presentino determinati requisiti di affidabilità, perché condiziona il rafforzamento di tutele basilari dei lavoratori alle incertezze di un sistema di rilevazione disomogeneo e non verificabile del tasso di copertura contrattuale, quale quello in opera almeno in Italia.

Occorre:

- esplicitare l’intento di sostenere un sistema di contrattazione collettiva più ordinato e giuridicamente solido rispetto a quello attuale, pur nell’impossibilità di approvare una legge sindacale organica;

- promuovere un chiaro e trasparente coinvolgimento delle parti sociali nella determinazione del salario minimo;

- determinare a un livello elevato il salario minimo orario complessivo, da configurare però come derogabile da contratti collettivi qualificati.

- In particolare per gli Stati in cui c’è una legislazione sui salari minimi, occorrerebbe rafforzare l’obiettivo di giungere ad una certa soglia. Invece, per gli Stati in cui non c’è un salario minimo, occorrerebbe quantomeno rendere più incisive le disposizioni volte a rafforzare un sistema di contrattazione collettiva in grado di offrire ai lavoratori garanzie retributive certe e universalistiche

Dr. Garnero (OCSE)

 

Se l'Italia volesse introdurre un salario minimo per legge, La Commissione Europea offre il seguente metodo: criteri stabili e chiari (art. 5), coinvolgimento delle parti sociali (art. 7) e accesso effettivo alla protezione offerta da un minimo salariale (art. 8).

 

Attraverso il meccanismo previsto dall'articolo 36 Cost, l'Italia ha solo formalmente una copertura della contrattazione collettiva pari al 100%: in realtà, la copertura è pari al 70/80 % (v. fenomeno dei contratti pirata e del lavoro nero).

Quanto al monitoraggio dei dati che gli Atti membri comunicano annualmente alla Commissione (art. 10), ad oggi i dati sui minimi salariali scarseggiano.

Propone la costituzione di una commissione indipendente (composta da Istituzioni, parti sociali ed esperti), sul modello inglese, irlandese, tedesco francese. La determinazione del livello numerico del salario rappresenta a suo avviso la conclusione e non l'inizio del processo.

 


La situazione nei Paesi UE. Analisi di contesto e raffronto comparato

Il reddito minimo negli Stati membri

Come detto in precedenza, la tutela garantita dal salario minimo è fornita nell’Unione mediante contratti collettivi, come accade in sei Stati membri (Danimarca, Italia, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia), o mediante salari minimi legali stabiliti per legge, come accade nei restanti 21 Stati membri.

I prossimi due paragrafi riportano sinteticamente alcune informazioni tratte dalle più recenti statistiche Eurostat sulle retribuzioni minime nazionali (che vengono pubblicate con cadenza semestrale, rispecchiando la situazione al 1° gennaio e al 1° luglio di ogni anno) e da un documento di lavoro, pubblicato dalla Commissione europea contestualmente alla presentazione della suddetta proposta di direttiva, che fornisce, tra l’altro, una panoramica sui differenti sistemi nazionali di fissazione del salario minimo presenti nell’UE. L’ultimo paragrafo offre uno spaccato relativo all’introduzione del salario minimo in Germania e Francia. 

Le più recenti statistiche Eurostat

 

Salario minimo mensile lordo nazionale espresso in euro

 

Secondo le più recenti statistiche pubblicate da Eurostat, a luglio 2020 erano previste retribuzioni minime nazionali in 21 dei 27 Stati membri dell'UE (le eccezioni sono rappresentate da Danimarca, Italia, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia), con notevoli differenze tra gli Stati membri per quanto riguarda l'importo mensile: da 312 euro in Bulgaria a 2.142 euro in Lussemburgo.

In base al livello del loro salario minimo mensile lordo nazionale espresso in euro, gli Stati dell'UE sono stati classificati da Eurostat in tre gruppi diversi:

1) salari minimi nazionali inferiori a 500 euro al mese: Bulgaria, Lettonia, Romania e Ungheria. Si registrano variazioni dai 312 euro della Bulgaria ai 461 euro della Romania.

2) salari minimi nazionali tra 500 e 1.000 euro al mese: Croazia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Estonia, Lituania, Grecia, Portogallo, Malta e Slovenia. Il salario minimo nazionale varia da 537 euro in Croazia a 941 euro in Slovenia.

3) salari minimi nazionali di almeno 1.000 euro al mese: Spagna, Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Irlanda e Lussemburgo. Il loro salario minimo nazionale varia da 1.108 euro in Spagna a 2.142 euro in Lussemburgo.

Per gli Stati membri dell'UE con salari minimi nazionali che non fanno parte dell'area dell'euro (Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Ungheria, Polonia, Romania), il livello delle retribuzioni minime e la classifica espressa in euro è influenzata dai tassi di cambio utilizzati per convertire dalle valute nazionali in euro.

 

 


 

Austria

-

Belgio

1.652,72

Bulgaria

311,89

Croazia

536,6

Cipro

-

Repubblica Ceca

546

Danimarca

-

Estonia

584

Finlandia

-

Francia

1.539,42

Germania

1.584

Grecia

758,33

Irlanda

1.706,9

Italia

-

Lettonia

430

Lituania

607

Lussemburgo

2.141,99

Malta

777,10

Paesi Bassi

1.680

Polonia

583,48

Portogallo

740,83

Romania

460,77

Slovacchia

580

Slovenia

940,58

Spagna

1.108,33

Svezia

-

Ungheria

451,51

Fonte: Eurostat 2020                                                                                                                       

 

 

Salario minimo lordo mensile espresso in termini di standard di potere di acquisto (PPS)

 

L’ampio divario nei livelli delle retribuzioni minime è tuttavia considerevolmente attenuato prendendo in considerazione il costo della vita nei diversi Stati dell’Unione e comparando il salario minimo al potere d’acquisto.

Sulla base dell'entità delle rispettive retribuzioni minime lorde mensili espresse in termini di standard di potere di acquisto (PPS), gli Stati membri dell'UE possono essere classificati in due gruppi distinti:

1) il primo gruppo comprende i Paesi le cui retribuzioni minime nazionali a luglio 2020 erano inferiori a 1.000 PPS al mese: Lettonia, Bulgaria, Estonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Croazia, Ungheria, Portogallo, Grecia, Romania, Lituania e Malta, le cui retribuzioni minime nazionali variavano da 547 PPS in Lettonia a 890 PPS a Malta.

2) il secondo gruppo include i Paesi le cui retribuzioni minime nazionali a luglio 2020 erano pari ad almeno 1.000 PPS al mese: negli Stati membri dell'UE che ne fanno parte, cioè Polonia, Slovenia, Spagna, Irlanda, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Germania e Lussemburgo, le retribuzioni minime nazionali erano comprese tra 1.008 PPS in Polonia a 1.634 PPS in Lussemburgo.

Gli Stati membri del primo gruppo, caratterizzati da salari minimi relativamente bassi in euro, tendono ad avere livelli dei prezzi più bassi e quindi salari minimi relativamente più alti se espressi in standard di potere d'acquisto. D'altro canto, gli Stati membri con salari minimi relativamente alti in termini assoluti, tendono ad avere livelli dei prezzi più elevati così che le loro retribuzioni minime possono risultare inferiori in quanto a potere d’acquisto. 

 

 

 


Tabella tratta dallo studio del Parlamento europeo "Minimum wage in the EU".

 


 

Il documento di lavoro della Commissione europea

 

Secondo il documento di lavoro della Commissione europea (SWD(2020)245), che accompagna la citata proposta di direttiva, a cui si rinvia per ulteriori approfondimenti, i salari minimi possono essere considerati adeguati quando sono equi rispetto ai salari di altri lavoratori e quando forniscono un tenore di vita dignitoso tenendo conto delle condizioni economiche generali del Paese.

Per misurare l'equità rispetto ad altri salari la Commissione europea prende in considerazione il rapporto tra il salario minimo lordo, il salario mediano lordo e il salario medio lordo.

 

Salario mediano e salario medio

 

Nel calcolo del salario mediano, si prende in considerazione il valore centrale tra i dati numerici a disposizione, mentre nel calcolo del salario medio (che generalmente ha un valore assoluto più elevato del salario mediano), il valore preso come riferimento è il rapporto tra la somma dei dati numerici ed il numero dei dati.

 

 

Per definire, invece, il tenore di vita dignitoso la Commissione misura il rapporto tra il salario minimo netto e la soglia di povertà (AROP) e il salario medio netto.

 

 

Rapporto tra salario minimo lordo e salario mediano lordo e tra salario minimo lordo e salario medio lordo

 

Sebbene negli ultimi anni l'adeguatezza dei salari minimi legali sia migliorata in diversi Paesi, sostiene la Commissione, essa resta ancora bassa in alcuni Stati membri, sulla base di tutti i principali indicatori.

In quasi tutti gli Stati membri, infatti, nel 2019 il salario minimo legale risultava inferiore al 60% del salario mediano e al 50% del salario medio (cfr. grafico 1). Solo il salario minimo legale del Portogallo aveva raggiunto entrambi i valori, mentre quello della Bulgaria aveva raggiunto il 60% del salario mediano. Inoltre, il salario minimo legale era inferiore al 50% del salario mediano in nove Paesi (Estonia, Malta, Irlanda, Repubblica Ceca, Lettonia, Germania, Paesi Bassi, Croazia e Grecia). In tre di questi Paesi (Estonia, Malta e Irlanda) era addirittura inferiore al 45%. Sette Paesi (Estonia, Malta, Irlanda, Repubblica Ceca, Lettonia, Ungheria e Romania) avevano salari minimi inferiori al 40% del salario medio.

Negli Stati membri in cui la protezione del salario minimo è fornita da contratti collettivi, i salari stabiliti nei contratti collettivi per le occupazioni a bassa retribuzione sono generalmente più elevati rispetto ai salari minimi legali di altri Paesi.

Appare complicato - sostiene tuttavia la Commissione - valutare l'adeguatezza del salario minimo, soprattutto nei Paesi in cui la protezione del salario minimo è fornita da contratti collettivi; le informazioni disponibili suggeriscono che ci sono problemi con l'adeguatezza di alcuni salari minimi a Cipro e in Italia ma la valutazione dell'adeguatezza è sensibile alla metodologia di raccolta dei dati.

 

 

Rapporto tra salario minimo netto e soglia di povertà (AROP) e tra salario minimo netto e salario medio netto

 

Inoltre, secondo la Commissione, in nove Stati membri (Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Germania, Ungheria, Lettonia, Lussemburgo, Malta e Slovenia) il salario minimo legale non proteggeva i lavoratori con salario minimo dal rischio di povertà nel 2018 (cfr. grafico 2).

 

 

Potere d'acquisto dei salari minimi

 

Anche il documento di lavoro della Commissione certifica l’esistenza di ampie differenze tra il potere d'acquisto dei salari minimi negli Stati membri.

A differenza di quanto visto sopra con i dati Eurostat, il documento ha misurato le differenze con i dati del 2019 (e non del 2020), ma ha considerato, tuttavia, come può evincersi dal grafico seguente, anche i salari fissati nei contratti collettivi per le professioni a bassa retribuzione nei Paesi che dipendono dalla contrattazione collettiva, i quali risultano relativamente alti rispetto ai salari minimi legali in altri Paesi.

 

 

Lacune in termini di copertura della tutela garantita dal salario minimo

 

Negli Stati membri con un salario minimo legale le lacune in termini di copertura della tutela garantita dal salario minimo derivano in particolare da disposizioni specifiche che consentono esenzioni o variazioni per gruppi specifici di lavoratori, mentre negli Stati membri senza un salario minimo legale si verificano perché gruppi specifici di lavoratori non sono coperti dalla contrattazione collettiva. Esistono tuttavia notevoli differenze: la quota di lavoratori non coperti dalla contrattazione collettiva è del 2% circa in Austria, del 10% in Finlandia e Svezia, del 20% in Danimarca e in Italia e circa del 55% a Cipro.

Le donne, i lavoratori giovani e scarsamente qualificati, i genitori single e i lavoratori con contratti a tempo determinato o part-time hanno maggiori probabilità di percepire un salario minimo rispetto ad altri gruppi, sebbene anche con qui con considerevoli differenze tra i diversi Paesi.

Protezione del salario minimo fornita dai contratti collettivi

Come detto, in sei Stati membri (Danimarca, Italia, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia) la tutela garantita dal salario minimo è fornita esclusivamente mediante contratti collettivi per cui l’adeguatezza e la percentuale dei lavoratori che ne usufruiscono sono determinate direttamente dalle caratteristiche e dal funzionamento del sistema di contrattazione collettiva.

In estrema sintesi e rinviando al documento per gli approfondimenti: in Austria, i livelli minimi di retribuzione sono fissati nei contratti collettivi dalle parti sociali a livello settoriale/industriale; Cipro ha un sistema di fissazione salariale mista che combina la contrattazione collettiva con un salario minimo legale per alcune professioni; in Italia, vedi supra; in Danimarca, i salari fissati nei contratti collettivi si basano sulla contrattazione collettiva condotta volontariamente dalle parti sociali. Non esiste un meccanismo di estensione legale; in Finlandia, i salari fissati nei contratti collettivi sono onnicomprensivi grazie a un'estensione legale "erga omnes" stabilita dalla legge; in Svezia, la contrattazione collettiva a due livelli fissa i salari principalmente a livello industriale/settoriale, lasciando nella pratica discrezionalità a livello aziendale.

In generale, secondo la Commissione europea, i Paesi caratterizzati da un'elevata copertura della contrattazione collettiva tendono ad avere, rispetto agli altri Paesi, una percentuale inferiore di lavoratori a basso salario, salari minimi più elevati rispetto al salario mediano, minori disuguaglianze salariali e salari più elevati. Ciò vale anche per gli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali dove la contrattazione collettiva incide in maniera significativa sull'adeguatezza del salario minimo. Influenzando l'evoluzione generale dei salari, la contrattazione collettiva garantisce salari superiori al livello minimo stabilito per legge e indice miglioramenti di tale livello, stimolando inoltre l'incremento della produttività.

Il documento mostra come negli ultimi anni vi sia stata una tendenza al ribasso in molti Stati membri dell'UE per quanto riguarda la copertura della contrattazione collettiva (grafico sottostante). Nella maggior parte dei Paesi in cui i salari minimi sono fissati attraverso la contrattazione collettiva, il livello di copertura è pari o superiore all'80% e, sebbene a Cipro si possa osservare una diminuzione significativa, la copertura non è diminuita in media in questi Paesi. Nei Paesi con un salario minimo nazionale legale, il tasso di copertura è molto vario, da meno del 20% in Estonia, Lituania e Polonia a oltre l'80% in Belgio. Alcuni dei Paesi in cui la copertura è notevolmente diminuita hanno scelto di introdurre un salario minimo legale, come la Germania e l'Irlanda.

 

Salario minimo fissato per legge

 

Nei restanti 21 Stati membri vi è invece un salario minimo fissato dalla legge che si applica a tutti i settori dell'economia; esistono tuttavia notevoli differenze tra i paesi per quanto riguarda il meccanismo per fissarlo. Le differenze riguardano principalmente gli attori coinvolti e il livello di discrezionalità del Governo nel processo decisionale.

In generale, i sistemi di fissazione del salario minimo nell'UE sono istituzionalizzati (con l'obbligo formale di consultare le parti interessate pertinenti), basati su regole (indicizzazione) o non istituzionalizzati (il Governo determina unilateralmente l'adeguamento del salario minimo legale) e le parti sociali sono coinvolte in modi differenti.

 

 

In 6 dei 21 Paesi (Belgio, Francia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi e Slovenia), le regole di indicizzazione formale consentono di aggiornare il salario minimo sulla base dell'andamento dei prezzi e dei salari. In tutti e sei i Paesi sono consentite modifiche discrezionali oltre a quelle legate all'indicizzazione. In 3 Stati membri (Belgio, Malta e Slovenia), la legge specifica un obbligo formale di consultare le parti sociali su tali modifiche discrezionali. Inoltre, in Germania, Grecia e Irlanda, il processo di fissazione del salario minimo è guidato da un organismo specializzato in salario minimo. In questi Paesi, un organismo specializzato indipendente formula raccomandazioni al Governo sull'adeguamento del salario minimo annuale. In Belgio ed Estonia, le modifiche al salario minimo sono decise bilateralmente tra le parti sociali attraverso contratti collettivi; gli accordi vengono poi estesi alla legislazione dal Governo.

Di regola, negli Stati membri che l’hanno adottato, gli aggiornamenti del salario minimo fanno seguito a un processo istituzionalizzato di consultazioni per lo più con le parti sociali. Nello specifico, nella maggior parte degli Stati membri (Bulgaria, Spagna, Croazia, Ungheria, Lettonia, Malta, Portogallo, Slovenia e Romania) il Governo stabilisce il salario minimo a seguito di un processo di consultazione istituzionalizzato bipartito o tripartito, definito dalla legge; le parti sociali forniscono raccomandazioni (non vincolanti) e il Governo può fissare unilateralmente il salario minimo.

Focus sul salario minimo in Germania e Francia 

Il dibattito interno ai sei Paesi UE che non hanno un salario minimo per legge ha portato a rilevare che in un contesto dove vi è già un adeguato livello di copertura dei contratti collettivi, i minimi legali o contrattuali sono pressoché equivalenti. Laddove vi fosse, invece, una copertura della contrattazione decrescente (in Germania è progressivamente discesa al 50%), l’introduzione di un minimo legale può diventare necessaria per coprire quei lavoratori che i contratti collettivi lasciano scoperti.

La Germania, ad esempio, ha introdotto il salario minimo per legge a seguito di fenomeni socioeconomici come l’aumento del numero dei contratti atipici (mini-jobs), il progressivo crollo del tasso di sindacalizzazione e la successiva riduzione della copertura della contrattazione collettiva; fenomeni che hanno portato una larga parte della forza lavoro tedesca a ricevere salari inferiori alla soglia di povertà.

La Mindestlohngesetz fissa attualmente un salario minimo orario di 9,25 euro orari per ogni lavoratore subordinato, mini-jobber o tirocinante che svolga la propria attività sul territorio del paese. Tale legge prevede inoltre forti controlli e pesanti sanzioni di tipo penale per i datori di lavoro che corrispondano ai propri dipendenti un salario minimo orario inferiore a quello previsto.

Le ripercussioni sul mercato del lavoro tedesco sono state un generale aumento dell’occupazione, il tempestivo allineamento dei minimi contrattuali all’importo legale e la diminuzione del numero dei lavoratori facente parte di contratti atipici.

L’importo del salario minimo al momento dell’entrata in vigore della legge era di 8,50 euro all’ora: grazie ai periodici interventi della Commissione preposta, attualmente un lavoratore subordinato, mini-jobber o tirocinante che svolga la propria attività in Germania può ricevere un salario non inferiore a 9,35 euro orari.

L’importo del salario minimo tedesco non presenta differenziazioni tra i diversi settori di attività produttive, né di tipo territoriale, nonostante il differente costo della vita tuttora rilevabile tra ex Germania Est ed ex Germania Ovest.

Questo modello è stato ritenuto oltretutto coerente alle raccomandazioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, secondo la quale infatti la previsione di un unico importo per quanto riguarda il salario minimo sarebbe preferibile rispetto alla creazione di molteplici tariffe perché risulterebbe così più semplice da comunicare e renderebbe più agevole il rispetto della normativa da parte degli organi di vigilanza, prevenendo il decentramento delle imprese in zone del Paese dove il minimo salariale è inferiore

In Francia, invece, le disposizioni del Code du Travail regolano il cosiddetto SMIC (Salaire Minimum Inter-professionel de Croissance), istituito sin dagli anni 70 del secolo scorso.

Vi è un peculiare sistema di adeguamento del salario minimo legale francese, un meccanismo di tipo parzialmente automatico, ma caratterizzato dalla possibilità per il Governo di sancire per via regolamentare incrementi in misura proporzionalmente maggiore rispetto all’aumento di tale parametro. Tale meccanismo ha portato lo SMIC ad aumentare in maniera molto più rapida rispetto ai salari medi del paese, e a diventare il secondo minimo salariale legale più alto in Unione Europea, secondo solo a quello del Lussemburgo: per tale ragioni, oltre a una diffusa debolezza dei sindacati francesi, oggi è elevatissimo il numero dei lavoratori francesi a ricevere proprio il minimo legale.

L’attuale valore dello SMIC è di 10,15 euro lordi orari. Tale importo comprende il salario base, i benefici in natura e gli aumenti aventi di fatto il carattere di un supplemento di stipendio.

I beneficiari dello SMIC sono tutti i lavoratori subordinati del settore privato, ma anche il personale delle istituzioni pubbliche di natura industriale e commerciale e il personale di diritto privato delle istituzioni amministrative pubbliche. Vengono esclusi i lavoratori parasubordinati e gli autonomi.

La copertura sindacale in Francia è estremamente bassa: solo l’8% circa dei lavoratori è infatti iscritto ad un’associazione sindacale. Tuttavia, grazie ad un meccanismo di estensione erga omnes dei contratti collettivi tramite decreto governativo, il 90% dei lavoratori riceve copertura da uno di essi e gli accordi negoziati tra le grandi aziende di un particolare settore sono applicabili a tutti i datori di lavoro che svolgano simili attività, siano essi iscritti ad associazioni rappresentative o meno.

Il datore di lavoro che è vincolato da un contratto collettivo che fissi un minimo convenzionale superiore allo SMIC è pertanto obbligato a corrispondere tale importo ai propri lavoratori; solo nel caso in cui il contratto collettivo fissasse invece salari inferiori al minimo legale, il datore sarebbe altresì obbligato a versare un “supplemento di salario” per raggiungere l’importo minimo dello SMIC.

In conclusione, alla luce di questo raffronto, se in Germania, come detto, l’introduzione del salario minimo legale sembra essere stata dovuta a una progressiva diminuzione della rilevanza delle associazioni rappresentative dei lavoratori, al contrario, la debolezza dei sindacati francesi sembra consequenziale allo storico interventismo statale sul minimo salariale. L’introduzione del salario minimo per legge, in un Paese (Germania) è la causa di tale debolezza, nell’altro (Francia) è la conseguenza.

Quest’ultima prospettazione è quella che molte associazioni sindacali italiane paventano in caso di introduzione di una legislazione relativa ai minimi salariali, ossia un progressivo abbandono delle proprie associazioni rappresentative da parte dei datori di lavoro e un indebolimento generale del sistema di relazioni industriali. A ciò, tuttavia, andrebbe parimenti aggiunto che il sistema delle relazioni industriali e dell’associazionismo sindacale in Italia ha storicamente, rispetto a quello francese, una maggiore forza e meccanismi consolidati dove non sarebbero replicabili le medesime conseguenze del sistema francese, risalenti agli 50 del secolo scorso.

 



[1]    Ai sensi dei commi 4 e 5 dell’articolo 6, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei assicura alle Camere un'informazione qualificata e tempestiva sui progetti di atti legislativi dell'Unione europea, curandone il costante e tempestivo aggiornamento, anche in relazione agli sviluppi del processo decisionale. A tal fine, entro venti giorni dalla trasmissione di un progetto di atto legislativo ai sensi del comma 1, l'amministrazione con competenza prevalente nella materia elabora una relazione che dà conto dei seguenti elementi:

a) il rispetto da parte del progetto del principio di attribuzione, con particolare riguardo alla correttezza della base giuridica, e la conformità dello stesso ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità;

b) una valutazione complessiva del progetto e delle sue prospettive negoziali, con l'evidenziazione dei punti ritenuti conformi all'interesse nazionale e dei punti per i quali si ritengono necessarie od opportune modifiche;

c) l'impatto del progetto, dal punto di vista sia finanziario, sia degli effetti sull'ordinamento nazionale, sulle competenze regionali e delle autonomie locali, sull'organizzazione delle pubbliche amministrazioni e sulle attività dei cittadini e delle imprese.

 La relazione è trasmessa tempestivamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche europee per il successivo inoltro alle Camere, accompagnata da una tabella di corrispondenza tra le disposizioni del progetto e le norme nazionali vigenti, predisposta sulla base di quanto previsto con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.