Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Giustizia
Titolo: Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione
Riferimenti: AC N.1189/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 39
Data: 03/10/2018
Organi della Camera: II Giustizia, I Affari costituzionali

 

Camera dei deputati

XVIII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione

A.C. 1189

 

 

 

 

 

 

 

n. 39

 

 

 

3 ottobre 2018

 


Servizi responsabili:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

( 066760-9148  * st_giustizia@camera.it

Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni

( 066760-3855  * st_istituzioni@camera.it

 

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

 

Servizio Biblioteca – Osservatorio della legislazione straniera

( 066760-2278 – * bib_segreteria@camera.it

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

 

 

 

 

 

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: GI0029.docx

 


INDICE

Schede di lettura

§  Capo I Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione  3

§  Articolo 1  (Modifiche al codice penale) 7

§  Articolo 2  (Modifiche al codice di procedura penale) 25

§  Articolo 3  (Modifiche al codice civile) 28

§  Articolo 4  (Modifiche all’ordinamento penitenziario) 30

§  Articolo 5  (Modifiche alla disciplina delle operazioni sotto copertura di cui alla legge 16 marzo 2006, n. 146) 32

§  Articolo 6  (Modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche) 39

§  Capo II Nuove norme in materia di trasparenza e controllo dei partiti e movimenti politici 41

§  Articolo 7 (Norme in materia di trasparenza e rendicontazione dei contribuiti in favore dei partiti e movimenti politici) 44

§  Articolo 8 (Disposizioni in materia di tracciabilità di contributi a partiti politici e a soggetti titolari di cariche elettive) 55

§  Articolo 9 e 11 (Norme in materia di trasparenza nei rapporti tra partiti politici e fondazioni) 65

§  Articolo 10 (Sanzioni) 72

§  Articolo 12 (Clausola di invarianza finanziaria) 76

§  Le Fondazioni politiche in Germania (A cura del Servizio Biblioteca) 77

§  Il Regolamento sui partiti politici europei (A cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea) 84

 


SIWEB

Schede di lettura

 


Capo I
Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione

Il capo I del disegno di legge, composto dagli articoli da 1 a 6, modifica il codice penale, il codice di procedura penale, il codice civile, l’ordinamento penitenziario e alcune leggi speciali, con l’obiettivo di potenziare l’attività di prevenzione, accertamento e repressione dei reati contro la pubblica amministrazione.

 

Come specificato nella relazione illustrativa del provvedimento l’intervento normativo è determinato dalla convinzione che «i reati contro la pubblica amministrazione siano delitti seriali e pervasivi, che si traducono in un fenomeno endemico, il quale alimenta mercati illegali, distorce la concorrenza, costa alla collettività un prezzo elevatissimo, in termini sia economici, sia sociali».

 

Gli interventi proposti dal Governo si aggiungono alle misure già introdotte nelle ultime due legislature: si pensi, soprattutto, per la XVI legislatura all’approvazione della legge n. 190 del 2012 (c.d. Legge Severino [1] ) e, in XVII legislatura all’approvazione della legge n. 69 del 2015 (c.de. Legge Grasso [2] ).

 

Le misure anticorruzione nelle ultime due legislature

Nel corso della XVI legislatura il Parlamento ha ratificato tre Convenzioni internazionali, una delle Nazioni Unite e due del Consiglio d'Europa, volte a reprimere il fenomeno della corruzione:

- con la legge n. 116 del 2009, è stata ratificata la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, fatta a Merida nel 2003, dettando disposizioni di adeguamento dell’ordinamento nazionale che hanno riguardato, in particolare, la formulazione dell’art. 322-bis, c.p. e l’inserimento di una ipotesi di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche per la commissione del reato di induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria, di cui all’art. 377-bis, c.p.;

- con la legge n. 110 del 2012, è stata ratificata la Convenzione penale del Consiglio d’Europa sulla corruzione, fatta a Strasburgo nel 1999, che impegna, in particolare, gli Stati a prevedere l'incriminazione di fatti di corruzione attiva e passiva tanto di funzionari nazionali quanto stranieri; di corruzione attiva e passiva nel settore privato; del cosiddetto traffico di influenze; dell'autoriciclaggio;

- con la legge n. 112 del 2012, è stata ratificata la Convenzione civile del Consiglio d’Europa sulla corruzione, fatta a Strasburgo nel 1999 e diretta, in particolare, ad assicurare che negli Stati aderenti siano garantiti rimedi giudiziali efficaci in favore delle persone che hanno subito un danno risultante da un atto di corruzione.

Le ultime due leggi di ratifica sono state approvate senza disposizioni di adeguamento dell’ordinamento interno, avendo il legislatore deciso di condensare tutte le modifiche all’ordinamento nella legge n. 190 del 2012, la c.d. Legge Severino. Per i profili di stretto diritto penale, e dunque di repressione della corruzione, la Legge Severino (art. 1, commi da 75 a 83) ha:

- aumentato le pene previste per i delitti di peculato (art. 314 c.p.), concussione (art. 317 c.p.), corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (art. 319 c.p.), corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter c.p.), abuso d'ufficio (art. 323 c.p.), la pena è fissata nella reclusione da uno a quattro anni (anziché da sei mesi a tre anni);

- ridefinito il reato di concussione (art. 317 c.p.) rendendolo riferibile al solo pubblico ufficiale ed eliminando la fattispecie per induzione;

- modificato la disciplina delle pene accessorie dei delitti di peculato e concussione (art. 317-bis c.p.) facendo conseguire l'interdizione perpetua dai pubblici uffici anche alla condanna per corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio e in atti giudiziari;

- riformulato l'art. 318 c.p. inserendovi il delitto di corruzione per l'esercizio della funzione;

- inserito il delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità (cd. 'concussione per induzione') (art. 319-quater c.p.);

- inserito il delitto di traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.).

 

In XVII legislatura si segnala principalmente l’approvazione della legge n. 69 del 2015, la c.d. Legge Grasso, che interviene nuovamente anche sui reati contro la pubblica amministrazione. In particolare, la legge interviene sulle pene accessorie previste per tali reati modificando l’art. 32-ter c.p., sull’incapacità di contrarre con la p.a. per innalzare la durata della pena accessoria; sull’art. 32-quinquies c.p., che disciplina i casi nei quali alla condanna consegue l'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego; sull’art. 35 c.p., per aumentare il tempo minimo e massimo di durata della sospensione dall'esercizio di una professione (da 3 mesi a 3 anni). La legge n. 69 del 2015 ha inoltre:

- aumentato le pene previste dal codice penale per il delitto di peculato (art. 314), corruzione per l'esercizio della funzione (art. 318), corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (art. 319), corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter), induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater);

- introdotto una nuova circostanza attenuante (art. 323-bis c.p.), che consente una diminuzione della pena da un terzo a due terzi per colui che, responsabile di specifici delitti contro la pubblica amministrazione, si sia efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite;

- modificato la fattispecie di concussione (art. 317 c.p.) per ampliarne l'ambito soggettivo di applicazione, ricomprendervi anche "l'incaricato di un pubblico servizio" e dunque tornare alla formulazione precedente alla c.d. legge Severino.

Inoltre, modificando l'art. 165 c.p., il provvedimento ha subordinato l'accesso alla sospensione condizionale della pena per un catalogo di reati contro la pubblica amministrazione (artt. 314, 317, 318, 319, 319-ter e quater, 320 e 322-bis c.p.) al pagamento, a titolo di riparazione pecuniaria, di una somma equivalente al profiitto del reato ovvero all'ammontare di quanto indebitamente percepito, fermo restando il diritto all'eventuale risarcimento del danno.

La riparazione pecuniaria viene in particolare disciplinata dal nuovo art. 322-quater c.p., che stabilisce che con la sentenza di condanna per un delitto contro la p.a., viene sempre ordinato il pagamento di una somma pari all'ammontare di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale (o dall'incaricato di un pubblico servizio), a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell'amministrazione di appartenenza, ovvero, in caso di corruzione in atti giudiziari, in favore dell'amministrazione della giustizia, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno.

La legge n. 69 del 2015 condiziona inoltre l'accesso al rito speciale del c.d. patteggiamento, in relazione ai procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la p.a., alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato.

Inoltre, si ricorda che con il decreto legislativo n. 38 del 2017, è stato modificato l’art. 2635 c.c. (Corruzione tra privati) estendendo l’ambito di applicazione della fattispecie non più esclusivamente alle società commerciali, ma anche a qualsiasi “ente privato” e prevedendo che soggetto attivo del reato possa essere chiunque nell’ambito organizzativo della società o dell’ente privato eserciti funzioni direttive. All’art. 2635-bis c.c. è stata poi inserita l’ulteriore figura incriminatrice di ‘Istigazione alla corruzione tra privati’.

 

Il Governo motiva le modifiche all’ordinamento penale previste dal disegno di legge con l’esigenza di recepire alcune raccomandazioni rivolte al nostro legislatore da organismi internazionali, quali l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), attraverso l’attività del Working Group on Bribery, chiamato a verificare l’attuazione della Convenzione sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali (1997), ed il Consiglio d’Europa, attraverso l’attività del Gruppo di Stati contro la corruzione, GRECO.

 

Si ricorda che il GRECO (Group of States against Corruption) è organismo istituito dal Consiglio d’Europa nel 1999 con lo scopo di monitorare il livello di conformità delle legislazioni nazionali agli standard anti-corruzione codificati nella Convenzione penale sulla corruzione. Il monitoraggio si fonda sulla reciproca valutazione da parte dei diversi Stati partecipanti ed è articolato in due fasi: nella prima tutti i membri sono sottoposti ad un Ciclo di valutazione (‘Evaluation Round’) che si conclude con la formulazione di raccomandazioni finalizzate ad indicare allo Stato quali misure adottare per adeguare la propria legislazione alla normativa del Consiglio d'Europa; nella seconda fase, invece, si verifica l'idoneità di queste misure a raggiungere gli obiettivi indicati: e questo giudizio viene poi sintetizzato in un rapporto, c.d. ‘Compliance Report’.

Lo scorso 18 giugno 2018, il GRECO ha approvato l‘Addenda al Second Compliance Report sull’Italia, del 2016, nel quale il Gruppo di Stati sottolineava come il nostro Paese abbia correttamente adempiuto a otto delle sedici raccomandazioni (sette risultavano invece, parzialmente attuate ed una completamente disattesa).

L’Addenda si concentra proprio su quanto, ad avviso del GRECO, rimane ancora da fare, escludendo quegli ambiti per i quali il legislatore italiano già in sede di firma della Convenzione del 1999 ha esercitato legittimamente il diritto di riserva. Il GRECO auspica un immediato intervento del legislatore sui seguenti temi:

a) necessità che l’Italia proceda il più rapidamente possibile alla ratifica del Protocollo addizionale alla Convenzione penale sulla corruzione;

b) colmare alcuni vuoti di penalizzazione con riguardo alle condotte di corruzione attiva dei pubblici ufficiali stranieri, di corruzione (attiva e passiva) dei funzionari delle organizzazioni internazionali e di corruzione (attiva e passiva) dei membri delle assemblee parlamentari internazionali e dei giudici e funzionari delle corti internazionali;

c) necessità che la figura dell’arbitro, sia esso italiano o straniero, sia ricompresa nel concetto di pubblico ufficiale ex art. 357 c.p.; si sollecita inoltre la criminalizzazione di tutte le condotte corruttive del giurato straniero;

d) invito all’abolizione delle norme del codice penale che prevedono la necessità della richiesta del Ministro della Giustizia o della denuncia della persona offesa per il perseguimento dei reati di corruzione commessi all’estero;

e) infine, in tema di trasparenza del finanziamento ai partiti politici, il GRECO ritiene non ancora totalmente adempiute due delle raccomandazioni che erano state rivolte all’Italia in questa materia: da un lato, quella di strutturare un impianto legislativo che sappia garantire un approccio olistico alla pubblicazione di finanziamenti per le campagne, che consenta un accesso più semplice da parte dei cittadini a tali informazioni; dall’altro, quella di rendere conto in maniera dettagliata delle modalità con cui la ‘Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici’ coordina la propria azione di vigilanza con le altre autorità preposte al controllo della gestione finanziaria dei partiti e delle campagne elettorali.

 

 


 

Articolo 1
(Modifiche al codice penale)

 

L’articolo 1 del disegno di legge prevede una serie di modifiche al codice penale che - in relazione ai reati contro la pubblica amministrazione – mirano, in particolare: a conformare l’ordinamento interno agli obblighi convenzionali in materia di corruzione; ad inasprire e ad ampliare l’ambito applicativo delle sanzioni accessorie; ad aumentare le pene e riformulare specifici reati; a prevedere la collaborazione come speciale causa di non punibilità e ad introdurre nuove ipotesi di procedibilità d’ufficio.

 

Perseguibilità dei reati di corruzione commessi all’estero (lett. a) e b))

Le lettere a) e b) del comma 1, aboliscono la necessità della richiesta del Ministro della giustizia e della denuncia della persona offesa per il perseguimento di reati di corruzione e di altri delitti contro la pubblica amministrazione commessi all’estero, tramite un intervento sugli articoli 9 e 10 del codice penale. La finalità di tali disposizioni è quella di adeguare il diritto interno agli strumenti di lotta alla corruzione previsti dal Consiglio d’Europa, con riferimento ad una specifica raccomandazione del GRECO.

 

La Raccomandazione IX del Greco è volta ad abolire la condizione, ove applicabile, che l’azione penale per atti di corruzione commessi all’estero debba essere preceduta da una richiesta del Ministro della giustizia (o della istanza o querela della persona offesa).

 

L’art. 9 del codice penale riguarda il delitto comune commesso all'estero dal cittadino italiano. Misura e specie della pena condizionano validità ed efficacia della legge penale. La legge penale italiana è valida ed efficace per i delitti puniti con pena detentiva (qualunque ne sia la misura); la pena detentiva rileva quanto alle condizioni del procedimento. Per i delitti la cui pena è inferiore nel minimo a tre anni di reclusione è condizione di procedibilità la richiesta del Ministro della giustizia o - alternativamente, quando l'offeso è un privato - la cd. "istanza" cioè la richiesta di procedimento da parte della persona offesa (comma 2). Nel caso in cui la pena non è inferiore nel minimo a tre anni di reclusione o sia quella dell'ergastolo, la richiesta ministeriale non è necessaria ma deve verificarsi la condizione della presenza del reo nel territorio dello Stato (comma 1).
Per i delitti contro l’Unione europea, uno Stato estero o uno straniero, indipendentemente dalla misura della pena detentiva, è necessaria la richiesta del Ministro ed occorre che l'estradizione del colpevole (o supposto tale) non sia stata concessa od accettata dallo Stato in cui commise il delitto (comma 3.)

L’art. 10 c.p. riguarda il delitto comune commesso all’estero da uno straniero in danno dello Stato o di un cittadino italiano. Anche qui se si tratta di un delitto per il quale la legge italiana stabilisce l'ergastolo o la reclusione non inferiore nel minimo a un anno (comma 1) lo straniero è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato e vi sia richiesta del Ministro della giustizia (ovvero istanza o querela della persona offesa). Se il delitto è commesso a danno dell’Unione europea, di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro della giustizia, sempre che: si trovi nel territorio dello Stato; si tratti di delitto per il quale è stabilita la pena dell'ergastolo, ovvero della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni; l'estradizione di lui non sia stata concessa, ovvero non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto, o da quello dello Stato a cui egli appartiene (comma 2).

 

Tanto all’articolo 9 quanto all’articolo 10 sono inseriti due nuovi commi con i quali si esclude la necessità della richiesta del Ministro della giustizia o la necessità dell’istanza o querela della persona offesa per punire, secondo la legge italiana:

 

§  il cittadino italiano presente sul territorio nazionale che abbia commesso all’estero il delitto di corruzione (cd. impropria o per l’esercizio della funzione o propria, per atto contrario ai doveri d’ufficio) dell’incaricato di pubblico servizio (art. 320 c.p.), di corruzione attiva (art. 321 c.p.) e di traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.);

 

Si osserva come la portata innovativa della novella all’art. 9 c.p. non sembra riguardare il delitto di corruzione propria dell’incaricato di pubblico servizio che, pur con la possibile riduzione di pena fino a un terzo (prevista dall’art. 320, secondo comma, c.p.) è soggetto ad un limite di pena minimo di 4 anni, per il quale - ex art. 9, primo comma, c.p. - non è necessaria la richiesta del Ministro della giustizia.

 

§  lo straniero presente sul territorio italiano che abbia commesso all’estero, in danno dello Stato, il delitto di concussione (art. 317 c.p.); corruzione impropria (art. 318 c.p.); corruzione propria, semplice (art. 319 c.p.) e aggravata (art. 319-bis c.p.); corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter, c.p.); indebita induzione a dare o promettere utilità (art. 319-quater, c.p.); corruzione di incaricato di pubblico servizio (art. 320, c.p.); corruzione attiva (art. 321 c.p.); istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.); peculato, concussione, induzione indebita dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri della Corte penale internazionale o degli organi e funzionari dell’Unione europea e di Stati esteri (art. 322-bis, c.p.).

 

 

Inasprimento delle pene accessorie (lett. da c) ad h) e m))

Le lettere da c) ad h) e la lettera m) introducono modifiche volte ad ampliare l’ambito applicativo ed inasprire le pene accessorie conseguenti alla condanna per reati contro la P.A.

 

In particolare, la lettera c) dell’articolo 1 sostituisce il secondo comma dell’art. 32-ter c.p. che attualmente prevede che l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione non può avere durata inferiore ad un anno né superiore a 5 anni.

La novella stabilisce, in relazione alla condanna per il seguente catalogo di reati:

-        peculato (art. 314, primo comma, c.p.);

-        concussione (art. 317 c.p.),

-        corruzione impropria (art. 318 c.p.)

-        corruzione propria, semplice e aggravata (art. 319 e 319-bis c.p.)

-        corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter c.p.)

-        indebita induzione a dare o promettere utilità (art. 319-quater, primo comma, c.p.)

-        corruzione di incaricato di pubblico servizio (art. 320 c.p.)

-        corruzione attiva (art. 321 c.p.)

-        istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.)

-        peculato, concussione, induzione indebita dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri della Corte penale internazionale o degli organi e funzionari dell’Unione europea e di Stati esteri (art. 322-bis, c.p.).

-        traffico di influenze (art. 346-bis c.p.)

 

§  una durata tra 5 e 7 anni dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, per condanne fino a 2 anni di reclusione;

§  il divieto in perpetuo di contrattare con la pubblica amministrazione - salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio - per condanne superiori a due anni di reclusione.

 

In materia di trattamento sanzionatorio degli illeciti penali, si ricorda come la giurisprudenza costituzionale abbia affermato che il legislatore è dotato di ampia discrezionalità nell'individuare le condotte da reprimere, le forme di punizione per quantità e qualità, la loro congruità rispetto alla tipologia e gravità del fatto antigiuridico, incontrando l'unico limite del divieto di un utilizzo di tale potere in modo distorto o arbitrario, contrastante con i principi di ragionevolezza e di eguaglianza, ravvisabile quando a fronte di situazioni eguali siano previste sanzioni differenti oppure pene identiche per situazioni diverse (sentenze n. 313 del 1995, n. 217 del 1996, n. 287 del 2001; ordinanze n. 110 e 323 del 2002; n. 172 del 2003 e n. 158 del 2004, sentenze n. 236, n. 148 e n. 23 del 2016, n. 81 del 2014, e n. 394 del 2006; ordinanze n. 249 e n. 71 del 2007, n. 169 e n. 45 del 2006).

In particolare, sulla perpetuità della pena accessoria recente giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. 3, sentenza n. 7902 del 2015) ha richiamato un principio consolidato (Cass. sez. 1, sentenza n. 6183 del 1980), evidenziando come la durata perpetua della pena accessoria sia pienamente rispondente ai principi rieducativi di cui all’art. 27 Cost. (recentemente riaffermati da C. Cost, sent. n. 149 del 2018) , poiché, una volta esclusa, come ha fatto la Corte Costituzionale con la sentenza n. 264 del 1974, l'illegittimità costituzionale della pena principale perpetua dell'ergastolo, a maggior ragione deve essere esclusa quella di una pena accessoria perpetua; e che, soprattutto, la predetta pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici può efficacemente contribuire proprio all'emenda del condannato ed al suo reinserimento nel consorzio civile, inducendolo a mantenere la buona condotta richiesta per l'applicazione della riabilitazione che estingue le pene accessorie.

 

La lettera d), riformulando l’art. 32-quater c.p., integra il catalogo dei reati commessi in danno o a vantaggio di un’attività imprenditoriale (o comunque in relazione ad essa) alla cui condanna consegue l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. Il nuovo elenco dei reati è conformato (ad eccezione del peculato) a quello previsto dal novellato art. 317-bis (cfr. ultra), relativo alle condanne contro la PA cui consegue l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

 

Ai reati già previsti dall’art. 32-quater sono aggiunti:

-          il peculato, escluso quello d’uso (art. 314, primo comma);

-          la corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter);

-          l’abuso d’ufficio aggravato (art. 323, secondo comma);

-          il traffico di influenze illecite (art. 346-bis).

 

 

Le lettere e) ed f) – sempre nell’ottica di ampliamento e inasprimento delle sanzioni accessorie per reati contro la pubblica amministrazione - introducono modifiche in materia di sospensione condizionale della pena.

In particolare, la lettera e) modifica il quarto comma dell’art. 165 c.p. relativo agli obblighi del condannato per specifici reati contro la pubblica amministrazione che accede alla sospensione condizionale.

 

Il vigente art. 165, quarto comma, c.p., a titolo di riparazione pecuniaria in favore della PA, subordina la concessione della sospensione condizionale al condannato per alcuni reati contro la pubblica amministrazione al pagamento di una somma equivalente al profitto del reato ovvero all’ammontare di quanto indebitamente percepito. Tali reati sono il peculato (art. 314), la concussione (art. 317), la corruzione impropria (art. 318), la corruzione propria semplice (art. 319) la corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter c.p.), l’indebita induzione a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.), la corruzione di incaricato di pubblico servizio (art. 320 c.p.) nonché i reati di corruzione in tutte le sue forme commesse da funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri (art. 322-bis, c.p.).

Si tratta, quindi, di disposizioni volte alla “ripetizione” del vantaggio indebitamente lucrato e che si collegano al contenuto dell’art. 322-quater c.p. (v.ultra, lett. m)

 

In particolare, la novella prevista dalla lettera e):

·         aggiunge al catalogo dei reati di cui all’art. 165, quarto comma, la corruzione attiva (art. 321 c.p.) cioè la corruzione da parte del privato;

·         estende l’obbligo del pubblico ufficiale (o dell’incaricato di pubblico servizio) al pagamento della somma equivalente altresì a quanto indebitamente promesso: l’obbligo del pagamento sussiste dunque anche quando non vi sia stata un’effettiva percezione indebita, ma solo la promessa;

·         stabilisce che, in ogni caso, debba essere pagata dal condannato una somma non inferiore a 10.000 euro.

 

Per coordinamento, analoghe modifiche sono state introdotte dalla lettera m) al citato art. 322-quater c.p.

 

Si ricorda che l’art. 322-quater c.p. prevede che - con la sentenza di condanna per i reati contro la PA elencati dall’art. 165, quarto comma, c.p. - è sempre ordinato il pagamento di una somma pari all'ammontare di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di un pubblico servizio a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell'amministrazione cui il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio appartiene, ovvero, nel caso di cui all'articolo 319-ter, in favore dell'amministrazione della giustizia, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno.

 

Anche in tale caso viene esteso l’obbligo del pagamento della somma a titolo di riparazione pecuniaria anche al privato corruttore (art. 321 c.p.); soppresso il riferimento a quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale; stabilito che la somma da pagare da parte del condannato ammonti almeno a 10.000 euro.

 

Secondo quanto riportato dalla relazione illustrativa, le modifiche di cui alle citate lettere e) ed m) rispondono all’esigenza di parziale adeguamento ad una specifica raccomandazione all’Italia da parte dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) che suggerisce di valutare l’introduzione di sanzioni pecuniarie a carico di persone fisiche per i reati di corruzione, indipendentemente se l’autore del reato sia o meno un pubblico ufficiale.

La scelta di non introdurre le citate sanzioni pecuniarie come pene principali – secondo quanto specificato nella relazione illustrativa – deriva da ragioni di coerenza sistematica, non essendo previsto dal nostro sistema penale che, per i reati contro al pubblica amministrazione, sia possibile il cumulo di sanzioni detentive e pecuniarie.

Si ricorda che un meccanismo per certi versi analogo è previsto dall’art. 444 del codice di procedura penale. Per accedere al patteggiamento nei procedimenti per i delitti di peculato, concussione, corruzione per l’esercizio della funzione e per un atto contrario ai poteri d’ufficio, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o promettere utilità e corruzione di membri di organi della UE e di funzionari dell’Unione o di Stati esteri del codice penale, l'ammissibilità della richiesta è subordinata alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato.

 

La lettera f) modifica, invece, l’art. 166 c.p. relativo agli effetti della sospensione condizionale della pena.

In particolare, la riformulazione introduce una deroga alla regola generale dell’art. 166 che prevede che l’applicazione della sospensione condizionale determini la sospensione anche delle pene accessorie.

E’ integrato, infatti, il contenuto del primo comma prevedendo la possibilità per il giudice, nella sentenza di condanna per specifici reati contro la P.A., di disporre che la sospensione condizionale della pena non estenda gli effetti anche all’interdizione dai pubblici uffici e alla incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.

Il catalogo dei reati in oggetto comprende:

-        il peculato, escluso quello d’uso (art. 314, primo comma);

-        la concussione (art. 317);

-        la corruzione impropria (art. 318);

-        la corruzione propria, semplice (art. 319) e aggravata (art. 319-bis);

-        la corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter);

-        l’induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater, primo comma),

-        la corruzione di persona incaricata di pubblico servizio (art. 320)

-        la corruzione attiva (art. 321);

-        l’istigazione alla corruzione (art. 322);

-        i reati di corruzione nelle sue diverse forme commessi da membri della Corte penale internazionale, da organi e funzionari dell’Unione europea o di Stati esteri (art. 322-bis);

-        il traffico di influenze illecite (art. 346-bis).

 

 

Il medesimo scopo di una maggiore afflittività delle sanzioni accessorie è perseguito con la lettera g), che interviene sugli effetti della riabilitazione. Come noto, quest’ultima estingue le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna, salvo sia diversamente stabilito dalla legge (art. 178 c.p.).

Il disegno di legge:

·         aggiunge un settimo comma all’art. 179 c.p. che, derogando alla citata regola generale dell’art. 178, stabilisce che la riabilitazione ottenuta dopo una condanna per i reati contro la P.A. indicati alla precedente lettera f) non ha effetto sull’interdizione perpetua dai pubblici uffici né sull’incapacità perpetua a contrattare con la pubblica amministrazione;

·         prevede la dichiarazione di estinzione della pena accessoria quando sia decorso un termine di 12 anni e il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta (sul punto, v. ultra, art. 2, lett. d) del disegno di legge).

 

Si ricorda che l’articolo 179 c.p. detta le condizioni per la riabilitazione e stabilisce che la riabilitazione è concessa quando siano decorsi almeno tre anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o sia in altro modo estinta, e il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta. Il termine è di almeno otto anni se si tratta di recidivi. Il termine è di dieci anni se si tratta di delinquenti abituali, professionali o per tendenza.

 

Sulla possibilità che, nonostante l’intervenuta riabilitazione, permangano a carico del riabilitato conseguenze extrapenali si è pronunciata la Corte costituzionale.

Ad esempio, con la sentenza n. 408 del 1993, la Corte ha giudicato incostituzionale la norma (art. 12 del D.P.R. n. 340 del 1982) che escludeva dalla partecipazione ai concorsi per l'assunzione del personale dell'Amministrazione civile dell'interno i candidati che avessero riportato condanna a pena detentiva per reati non colposi, nonostante alla condanna avesse fatto seguito la riabilitazione. La norma è stata giudicata in contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione, nella parte in cui non prevedeva il potere di valutazione, da parte dell'Amministrazione interessata, ai fini dell'ammissione al concorso, della riabilitazione ottenuta dal candidato.

« Osserva la Corte che, ai sensi dell'art. 178 cod. pen., la riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti. Non essendo la esclusione dalla partecipazione al pubblico concorso un effetto penale della condanna, la riabilitazione non comporta di per sé, automaticamente, il venir meno dell'esclusione stessa, quando sia prevista dalla legge.

È peraltro irragionevole (art. 3 Cost.) e contrastante con le finalità di reinserimento del condannato nella vita sociale, cui s'ispira anche l'art. 27 della Costituzione, terzo comma, ultima parte, considerare irrilevante l'intervenuta riabilitazione, precludendo all'Amministrazione la valutazione di tale evenienza, in tutti i suoi elementi, con riferimento particolare alla qualifica ed alle mansioni da espletare in base al concorso. Sì che proprio con riguardo all'esclusione dal concorso stesso la lamentata carenza di ogni potere di apprezzamento alla P.A. e, in particolare dell'intervenuta riabilitazione, si pongono in contrasto col perseguimento della finalità della rieducazione, del ricupero morale e sociale del condannato e del suo rinserimento nella vita civile».

Peraltro, pronunciandosi sulla riabilitazione militare, con la sentenza n. 211 del 1993, la Corte ha affermato che «la previsione di cause di estinzione dei reati in relazione al disvalore ad essi assegnato, e del conseguente venir meno degli effetti penali, è rimessa alla valutazione discrezionale del legislatore».

 

La lettera h), modificando l’art. 317-bis c.p., integra il catalogo dei reati alla cui condanna consegue la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici (perpetua o temporanea).

 

Si ricorda che l’art. 28 c.p. prevede che l’interdizione dai pubblici uffici possa essere perpetua o temporanea.

L'interdizione perpetua, salvo che dalla legge sia altrimenti disposto, priva il condannato: del diritto di elettorato o di eleggibilità in qualsiasi comizio elettorale, e di ogni altro diritto politico; di ogni pubblico ufficio, di ogni incarico non obbligatorio di pubblico servizio, e della qualità ad essi inerente di pubblico ufficiale o d'incaricato di pubblico servizio; dell'ufficio di tutore o di curatore, anche provvisorio, e di ogni altro ufficio attinente alla tutela o alla cura; dei gradi e delle dignità accademiche, dei titoli, delle decorazioni o di altre pubbliche insegne onorifiche; degli stipendi, delle pensioni e degli assegni che siano a carico dello Stato o di un altro ente pubblico (esclusi quelli derivanti da rapporto di lavoro); di ogni diritto onorifico, inerente a qualunque degli uffici, servizi, gradi o titoli e delle qualità, dignità e decorazioni indicati nei numeri precedenti; della capacità di assumere o di acquistare qualsiasi diritto, ufficio, servizio, qualità, grado, titolo, dignità, decorazione e insegna onorifica, indicati nei numeri precedenti.
L’interdizione perpetua dai pubblici uffici, ai sensi dell’art. 29 c.p., consegue alla condanna all’ergastolo e a condanne non inferiori a 5 anni di reclusione nonché alla dichiarazione di abitualità o di professionalità nel reato o di tendenza a delinquere.

L'interdizione temporanea - che non può avere una durata inferiore a un anno, né superiore a 5 - priva il condannato della capacità di acquistare o di esercitare o di godere, durante l'interdizione, i predetti diritti, uffici, servizi, qualità, gradi, titoli e onorificenze.
La condanna alla reclusione compresa tra tre anni e cinque anni comporta l’interdizione temporanea dai pubblici uffici.

 

Agli attuali reati di peculato (art. 314), concussione (art. 317), corruzione propria (art. 319) e corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter), per la cui condanna cui consegue l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, sono aggiunti dalla lettera h):

-        la corruzione impropria (art. 318);

-        la corruzione propria aggravata (art. 319-bis)

-        l’induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater, primo comma),

-        la corruzione di persona incaricata di pubblico servizio (art. 320)

-        la corruzione attiva (art. 321);

-        l’istigazione alla corruzione (art. 322);

-        i reati di corruzione nelle sue diverse forme commessi da membri della Corte penale internazionale, da organi e funzionari dell’Unione europea o di Stati esteri (art. 322-bis);

-        il traffico di influenze illecite (art. 346-bis).

 

Un’ulteriore modifica all’art. 317-bis inasprisce anche l’attuale disciplina relativa alle ipotesi di interdizione temporanea dai pubblici uffici in relazione alla condanne per i citati reati contro la P.A. Oltre all’indicato ampliamento del catalogo degli illeciti:

·         è abbassato da 3 a 2 anni di reclusione il limite di pena edittale che comporta l’interdizione temporanea (è espunto il riferimento alle attenuanti ai fini della determinazione della pena);

·         è aumentata la durata della misura accessoria prevedendo un minimo di 5 e un massimo di 7 anni (i limiti ordinari previsti dall’art. 28 c.p. sono fissati tra 1 e 5 anni)

 

Inasprimento della pena per il delitto di corruzione per l’esercizio della funzione (lett. i)

Con la lettera i) sono inasprite le pene previste dall’art. 318 c.p. a carico del pubblico ufficiale per il reato di corruzione per l’esercizio della funzione (corruzione impropria).

 

L’art. 318 c.p. prevede che il pubblico ufficiale che, per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa è punito con la reclusione da uno a sei anni.

Gli attuali limiti di pena per la corruzione impropria sono frutto delle modifiche al codice apportate prima dalla c.d. legge Severino e poi dalla c.d. Legge Grasso: in particolare, prima della legge n. 190 del 2012 il delitto era punito con reclusione da sei mesi a 3 anni; la Legge Severino previsto invece la pena della reclusione da 1 a 5 anni e, più recentemente, la legge n. 69 del 2015 ha introdotto l’attuale pena della reclusione da 1 a 6 anni.

 

Il disegno di legge aumenta la pena della reclusione sia nei limiti minimi (da uno a tre anni) che in quelli massimi (da sei a otto anni), con conseguente aumento anche dei termini di prescrizione del reato.

Si ricorda (vedi ante) che già con la legge n. 69 del 2015, (la c.d. Legge Grasso) era stato previsto un inasprimento della pena per il reato di corruzione per l’esercizio della funzione  (il massimo era stato portato da cinque a sei anni). L’esito di tale progressivo inasprimento della pena per la corruzione per l’esercizio della funzione è quello di avvicinare questo delitto ai limiti di pena previsti per il delitto di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (reclusione da sei a dieci anni).

 

 

Riformulazione della fattispecie di corruzione internazionale dei pubblici agenti (lett. l)

La successiva lettera l) amplia l’ambito applicativo dell’art. 322-bis c.p. che sanziona attualmente i reati di corruzione commessi da membri della Corte penale internazionale o degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri.

 

Il vigente art. 322-bis c.p. prevede che le disposizioni del codice penale sul peculato (art. 314), sul peculato mediante profitto dell’errore altrui (art. 316), su concussione e corruzione nelle sue varie ipotesi (artt. da 317 a 320), sull’istigazione alla corruzione (art, 322, terzo e quarto comma), si applicano anche: 1) ai membri della Commissione UE, del Parlamento europeo, della Corte di Giustizia e della Corte dei conti europea; 2) ai funzionari e agli agenti assunti per contratto a norma dello statuto dei funzionari della UE o del regime applicabile agli agenti della UE; 3) alle persone comandate dagli Stati membri o da qualsiasi ente pubblico o privato presso la UE, che esercitino funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o agenti della UE; 4) ai membri e agli addetti a enti costituiti sulla base dei Trattati che istituiscono l’Unione europea; 5) a coloro che, nell'ambito di altri Stati membri dell'Unione europea, svolgono funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio; 5-bis) ai giudici, al procuratore, ai procuratori aggiunti, ai funzionari e agli agenti della Corte penale internazionale, alle persone comandate dagli Stati parte del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale le quali esercitino funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o agenti della Corte stessa, ai membri ed agli addetti a enti costituiti sulla base del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale (primo comma).

 

La riforma aggiunge, al primo comma, due nuovi numeri che estendono la portata incriminatrice dell’art. 322-bis:

-      a funzionari extra UE ovvero a chi esercita, nelle organizzazioni pubbliche internazionali, funzioni corrispondenti a quelle di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio (n. 5-ter);

-      ai membri di assemblee parlamentari internazionali o organizzazioni internazionali o sovranazionali nonché ai funzionari delle corti internazionali (n. 5-quater).

 

Una seconda modifica introdotta dalla lettera l) riguarda il secondo comma, n. 2) dello stesso art. 322-bis.

La novella amplia l’ambito applicativo della disposizione con riguardo ai funzionari esteri, eliminando l’elemento finalistico dei reati di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater, secondo comma), di corruzione attiva (art. 321) e di istigazione alla corruzione (art. 322, primo e secondo comma). Viene, infatti, soppresso il riferimento al fatto “commesso per procurare a sé o ad altri un indebito vantaggio in operazioni economiche internazionali ovvero per ottenere o mantenere un'attività economica o finanziaria”.

 

Si segnala che una modifica all’articolo 322-bis del codice penale è oggetto di una specifica disposizione di delega al governo contenuta nel disegno di legge di delegazione europea  2018 (AC 1201) in corso di esame presso la Camera dei deputati. In particolare la lettera d) del comma 1 dell’art. 3 (concernente il recepimento della Direttiva 1371 del 2017 sui reati che ledono gli interessi finanziari dell’unione) delega il governo a modificare l’articolo 322-bis del codice penale, estendendo la punizione dei fatti di corruzione passiva, come definita dalla Direttiva, anche ai pubblici ufficiali e agli incaricati di pubblico servizio di Paesi terzi rispetto agli Stati membri dell’Unione europea o di organizzazioni pubbliche internazionali, quando tali fatti siano posti in essere in modo che ledano o possano ledere gli interessi finanziari dell’Unione.

La medesima disposizione delega inoltre il governo ad apportare un’ulteriore modifica al medesimo articolo 322-bis (secondo comma, n. 2) , volta ad ampliare l’ambito applicativo della disposizione, attualmente circoscritto ai fatti commessi in operazioni economiche internazionali ovvero al fine di ottenere o di mantenere un’attività economica o finanziaria. Tale previsione sembra coincidere con quella prevista nella norma in commento.

 

L’integrazione del contenuto della rubrica dell’articolo 322-bis c.p. è, infine, dettata dalla necessità di coordinamento con le modifiche introdotte dalla lettera l) alla stessa disposizione.

 

Le modifiche all’art. 322-bis sono introdotte - nell’ambito del tema I (Incriminazioni) - in accoglimento (parziale) della raccomandazione II del GRECO che ha chiesto di estendere a tutti i funzionari pubblici il campo di applicazione della normativa sulla corruzione attiva e passiva, ai membri di assemblee pubbliche straniere, ai funzionari internazionali, ai membri di assemblee parlamentari internazionali, e ai giudici e funzionari dei tribunali internazionali, affinché sia pienamente conforme ai requisiti degli articoli 5, 6, 9, 10 e 11 della Convenzione penale sulla corruzione.

 

Previsione di una causa di non punibilità (lett. n)

La lettera n) del comma 1 inserisce nel codice penale il nuovo articolo 323-ter, con il quale si introduce nell’ordinamento una causa speciale di non punibilità di alcuni delitti contro la pubblica amministrazione, in presenza di collaborazione.

Il catalogo di delitti cui fa riferimento il comma 1 della disposizione è il seguente:

-        corruzione impropria (art. 318);

-        corruzione propria (art. 319);

-        induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater),

-        corruzione di persona incaricata di pubblico servizio (art. 320)

-        corruzione attiva (art. 321);

-        delitti di corruzione e di induzione indebita commessi da membri della Corte penale internazionale, da organi e funzionari dell’Unione europea o di Stati esteri (ex art. 322-bis);

-        traffico di influenze illecite (art. 346-bis);

-        turbata libertà degli incanti (art. 353)

-        turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (art. 353-bis)

-        astensione dagli incanti (art. 354).

 

In relazioni a questi fatti, caratterizzati da un accordo illecito, non è punibile colui che:

·        li denuncia volontariamente;

·        fornisce indicazioni utili per assicurare la prova del reato;

·        fornisce indicazioni utili per individuare gli altri responsabili.

 

Per l’applicazione della causa di non punibilità occorre però anche che il soggetto sveli la commissione del fatto prima che il suo nome sia iscritto sul registro degli indagati (ex art. 335 c.p.p.) e, comunque, entro 6 mesi dalla commissione del fatto stesso.

 

Si ricorda che l’art. 335 del codice di procedura penale disciplina il registro delle notizie di reato, custodito presso l’ufficio del pubblico ministero, prevedendo che il pubblico ministero debba iscrivervi immediatamente ogni notizia di reato che gli perviene o che ha acquisito di propria iniziativa nonché, «contestualmente o dal momento in cui risulta, il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito» (comma 1). Queste iscrizioni sono comunicate alla persona alla quale il reato è attribuito, alla persona offesa e ai rispettivi difensori, «ove ne facciano richiesta» (comma 3); inoltre, se sussistono specifiche esigenze attinenti all'attività di indagine, il pubblico ministero, nel decidere sulla richiesta, può disporre, con decreto motivato, il segreto sulle iscrizioni per un periodo non superiore a tre mesi e non rinnovabile (comma 3.bis).

L’art. 369 del codice aggiunge che «Solo quando deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere, il pubblico ministero invia per posta, in piego chiuso raccomandato con ricevuta di ritorno, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa una informazione di garanzia con indicazione delle norme di legge che si assumono violate della data e del luogo del fatto e con invito a esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia» (comma 1); in assenza di questa esigenza investigativa, le indagini preliminari – e il nominativo dell’indagato – sono coperti dal segreto (ex art. 329 comma 1 c.p.p.).

 

Dal combinato degli articoli 329, 335 e 369 del codice si ricava che l’autore del fatto illecito non ha normalmente ragione di conoscere se il suo nominativo è stato o meno inserito nel registro. Conseguentemente, il nuovo articolo 323-ter c.p. prevede che il soggetto si autodenunci senza sapere in realtà se potrà o meno beneficiare della causa di non punibilità.

 

Non risultano nel nostro ordinamento precedenti relativi a cause di non punibilità collocate entro limiti così stretti rispetto alla commissione del fatto. Anche il precedente normativo richiamato dalla relazione illustrativa del provvedimento (art. 13, d.lgs. n. 74 del 2000 [3] ) collega la non punibilità al pagamento del debito tributario «prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado».

La relazione illustrativa specifica che il Governo collega la causa di non punibilità a «un comportamento volontario, tempestivo, concretamente antagonista rispetto alla condotta delittuosa, sintomatico di un autentico ravvedimento».

 

Il comma 2 del nuovo art. 323-ter individua ulteriori presupposti per l’applicazione della causa di non punibilità al fatto commesso dal pubblico ufficiale, dall’incaricato di un pubblico servizio o dal trafficante di influenze illecite: questi soggetti devono infatti, alternativamente:

-        mettere a disposizione l’utilità percepita o, se questo è impossibile, mettere a disposizione una somma di denaro di valore equivalente;

-        fornire elementi utili ad individuare il beneficiario effettivo dell’utilità.

In entrambi i casi, occorre che la messa a disposizione dell’utilità o l’indicazione di elementi utili sia effettuata «entro il medesimo termine di cui al primo comma», cioè entro 6 mesi dal fatto.

 

Infine, il comma 3 specifica che la causa di non punibilità non si applica quando sia provato che l’autodenuncia è «premeditata rispetto alla commissione del reato denunciato».

La relazione illustrativa chiarisce che questa disposizione è volta ad evitare che l’esistenza della causa di non punibilità possa essere utilizzata per provocare impunemente la corruzione, al solo fine, ad esempio, di denunciare un rivale.

 

Riformulazione della fattispecie di traffico di influenze illecite e abrogazione del millantato credito (lett. o), p))

La lettera o) abroga il delitto di millantato credito, previsto attualmente dall’art. 346 del codice penale.

 

L’art. 346 c.p. punisce con la reclusione da 1 a 5 anni e con la multa da 309 a 2.065 euro chiunque, millantando credito presso un pubblico ufficiale o un pubblico impiegato, riceve o fa dare o fa promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione verso il pubblico ufficiale o impiegato (primo comma). Con questa previsione il codice incrimina l'ostentazione da parte del privato della propria influenza nei confronti di un pubblico ufficiale e la successiva ricezione o pattuizione del corrispettivo della mediazione.

Il secondo comma dell’art. 346 c.p. prevede una diversa fattispecie penale, che incrimina chi riceve o pattuisce il corrispettivo della corruzione del pubblico funzionario. In questo caso, se il colpevole riceve o fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, col pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale o dell’impiegato, o di doverlo remunerare si applica la reclusione da 2 a 6 anni e la multa da 516 a 3.098 euro.

La giurisprudenza ritiene che la differenza tra le due ipotesi di millantato credito non risieda nell'oggettiva destinazione del denaro o altra utilità data o promessa all'agente, ma nella prospettazione che questi ne fa e che consiste nel prezzo per la propria mediazione presso il pubblico ufficiale – nel primo comma - ovvero nel costo della corruzione – nel secondo comma.

 

La fattispecie abrogata è ricompresa nella nuova formulazione del delitto di traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.), introdotta dalla lettera p).

 

Si ricorda che il reato di traffico di influenze illecite è stato inserito nel codice dalla c.d. Legge Severino (legge n. 190 del 2012).

La norma prevede il fatto di chi, fuori dei casi di concorso nei reati di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.) e di corruzione in atti giudiziari (art. 319 ter c.p.), «sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio».

Scopo dell’incriminazione è quello di colpire i fenomeni di intermediazione illecita tra il privato e il pubblico funzionario, finalizzato alla corruzione di quest’ultimo. La norma mira dunque a colpire condotte prodromiche rispetto a (successivi) accordi corruttivi che coinvolgeranno il titolare di pubbliche funzioni, sulle cui determinazioni si vorrebbe illecitamente influire. Del tutto conseguentemente, la norma non si applica nel caso in cui il pubblico ufficiale accetti la promessa o la dazione del denaro da parte dell’intermediario, profilandosi in tal caso un concorso del privato, dell’intermediario e del pubblico ufficiale in un delitto consumato di corruzione.

La norma vigente limita la portata dell’incriminazione all’offerta o alla dazione all’intermediario di «denaro o altro vantaggio patrimoniale», con esclusione quindi di ogni altra utilità di natura non patrimoniale.

La condotta dell’intermediario deve, inoltre, realizzarsi «sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di pubblico servizio». Il requisito ha la funzione di differenziare l’ipotesi in parola da quella contigua del millantato credito. Sul punto la Cassazione ha affermato che il delitto di millantato credito si differenzia da quello di traffico di influenze, in quanto presuppone che non esista il credito né la relazione con il pubblico ufficiale e tanto meno l'influenza; mentre il traffico di influenze postula una situazione fattuale nella quale la relazione sia esistente, al pari di una qualche capacità di condizionare o, comunque, di orientare la condotta del pubblico ufficiale (cfr. Cassazione, Sez. VI, sentenza n. 53332 del 2017.

Il secondo comma dell’art. 346 bis c.p. prevede che la pena stabilita dal primo comma si applichi a chi dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale: e dunque al privato che si avvale dell’illecita intermediazione. La punibilità del privato segna dunque un’altra rilevante differenza rispetto al millantato credito, dove il privato è concepito quale vittima di un raggiro pure avente una causale illecita, e per tale motivo risulta non punibile.

Il terzo e il quarto comma contemplano poi due circostanze aggravanti speciali a effetto comune rispettivamente per l’ipotesi particolare in cui l’intermediario sia egli stesso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, nonché per quella in cui il fatto sia commesso «in relazione all’esercizio di attività giudiziarie», e dunque si concreti in un’attività preparatoria rispetto al delitto di corruzione in atti giudiziari di cui all’art. 319 ter c.p. L’ultimo comma prevede, infine, una circostanza attenuante a effetto comune per i fatti di particolare tenuità.

 

Il Governo, al fine di risolvere i problemi interpretativi e di coordinamento posti dalla coesistenza dei delitti di millantato credito e di traffico di influenze illecite, modifica il delitto di traffico di influenze illecite, assorbendo il millantato credito. Il testo a fronte che segue evidenzia le modifiche proposte dal disegno di legge all’art. 346-bis del codice penale.

 

 

 

Normativa vigente

A.C. 1189

Codice penale

Art. 346-bis

Traffico di influenze illecite

Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319-ter, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio, è punito con la reclusione da uno a tre anni.

Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all’articolo 322-bis, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, ovvero per remunerarlo in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da anni uno ad anni quattro e mesi sei.

La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale.

La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità.

La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio.

La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio.

Le pene sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all'esercizio di attività giudiziarie.

Le pene sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all'esercizio di attività giudiziarie o per remunerare il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio.

Se i fatti sono di particolare tenuità, la pena è diminuita.

Identico.

 

Al primo comma, la riforma assorbe nella fattispecie di traffico di influenze le condotte che attualmente integrano gli estremi del millantato credito.

Peraltro, se la pena edittale per il reato di traffico di influenze è significativamente inasprita – passando dalla reclusione da 1 a 3 anni alla reclusione da 1 a 4 anni e mezzo – lo stesso non può dirsi rispetto al reato di millantato credito, che attualmente è punito nel massimo fino a 5 anni (nell’ipotesi del primo comma) o fino a 6 anni (nell’ipotesi più grave del secondo comma).

L’individuazione per la pena massima di un numero di anni inferiore a 5 conferma per il traffico di influenze l’inapplicabilità della disciplina delle intercettazioni (ai sensi dell’art. 266, co. 1, lett. b) del codice di procedura [4] ) e l’inapplicabilità della custodia cautelare in carcere (ai sensi dell’art. 280, co. 2, c.p.p. [5] ).

 

Inoltre, rispetto alla normativa vigente, la riforma:

·         specifica che al “mediatore” non si applica la fattispecie di traffico di influenze, bensì le ipotesi più gravi di concorso nel reato corruttivo, non solo in relazione ai delitti di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.) e di corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter c.p.), ma anche se la mediazione va a buon fine in relazione ai delitti di corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.) e corruzione di funzionari esteri (art. 322-bis c.p.);

 

La relazione illustrativa precisa che l’intenzione del legislatore è quella di «rendere chiaro che se la mediazione va a buon fine – se cioè il trafficante di influenze illecite si opera effettivamente presso il pubblico funzionario o presso l’incaricato di pubblico servizio e questi accettano la promessa o la dazione di denaro – si realizza un concorso “trilaterale” nel più grave reato di cui all’art. 318 c.p., che assorbe tutto il disvalore del fatto ed esclude la punibilità autonoma ai sensi dell’art. 346-bis c.p.

 

·         prevede che il reato possa essere commesso anche sfruttando o vantando relazioni con pubblici ufficiali e funzionari di organismi internazionali, dell’Unione europea e di Stati esteri (di cui all’art. 322-bis c.p.);

·         sostituisce all’espressione “vantaggio patrimoniale” il più ampio concetto di “altra utilità”;

·         integra la formulazione dell’aggravante, oggi circoscritta alla sola commissione dei fatti in relazione all'esercizio di attività giudiziarie. La riforma prevede un aumento di pena (fino a un terzo, in base all’art. 66 c.p.) anche quando i fatti siano commessi per remunerare il pubblico ufficiale, l’incaricato di pubblico servizio o gli altri funzionari internazionali in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio. Se attualmente la remunerazione per il compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio è condotta che integra la fattispecie penale base (primo comma), la riforma mantiene nella fattispecie base la remunerazione per l’esercizio delle funzioni e punisce più severamente la remunerazione per un atto contrario ai propri doveri.

 

Per quanto riguarda l’abrogazione del reato di millantato credito, si ricorda che ogniqualvolta si procede all'abrogazione di una fattispecie penale la giurisprudenza è chiamata a valutare, in relazione ai procedimenti penali in corso, se si sia dinanzi ad una abolitio crimis, con contestuale archiviazione o proscioglimento dell'imputato, ovvero a un fenomeno di continuità normativa, con conseguente applicazione della norma penale più favorevole all'imputato, avendo riguardo all'entità della pena. Sul punto la relazione illustrativa afferma che sulla base della giurisprudenza della Corte di cassazione, tra l’abrogato art. 346 c.p. e la nuova formulazione dell’art. 346-bis c.p. sussiste continuità normativa.

 

Aumento delle ipotesi di procedibilità d’ufficio (lett. q)

Infine, la lettera q) del comma 1, interviene sull’art. 649-bis del codice penale, estendendo le ipotesi di perseguibilità d’ufficio di alcuni delitti contro il patrimonio, tra i quali figura l’appropriazione indebita.

Rispetto all’attuale formulazione dell’art. 649-bis c.p., che in relazione ai delitti di truffa, di frode informatica e di appropriazione indebita aggravata dall’abuso di autorità, prevede la procedibilità d’ufficio solo nel caso in cui ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale, la riforma aggiunge altre due ipotesi:

-          fatti commessi nei confronti di persona incapace per età o per infermità;

-          danno arrecato alla persona offesa di rilevante gravità.

 

Si ricorda che l’art. 646 c.p. (Appropriazione indebita), punisce con la reclusione fino a 3 anni e con la multa fino a 1.032 euro, chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso. Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario la pena è aumentata. La fattispecie è generalmente perseguibile a querela della persona offesa.

La relazione illustrativa motiva l’intervento relativo alla lettera q), con l’esigenza di rivedere il regime di procedibilità del reato di appropriazione indebita, per rispondere a due esigenze: colpire un reato prodromico alla corruzione, in quanto il reato di appropriazione indebita è ritenuto strumento «che consente comunemente di formare provviste illecite utilizzabili per il pagamento del prezzo della corruzione»;correggere la modifica introdotta dal recente d.lgs. n. 36 del 2018, per evitare criticità interpretative e, sostanzialmente, rendere il testo più aderente alla legge delega n. 103 del 2017.

 

Al riguardo, si ricorda che il recente d.lgs. n. 36 del 2018, di attuazione della delega alla riforma del regime di procedibilità di taluni reati, prevista dalla c.d. Legge Orlando (cfr. art. 1, commi 16 e 17 della legge n. 103 del 2017), ha:

·          esteso il regime della procedibilità a querela del reato di appropriazione indebita anche alle ipotesi aggravate in cui il fatto sia commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario (secondo comma) o con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d'opera, di coabitazione o di ospitalità (art. 61, n. 11, c.p.);

·          inserito nel codice penale l’art. 649-bis che, appunto, prevede la procedibilità d’ufficio per i delitti di truffa, frode informatica e appropriazione indebita quando  ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale.

Peraltro, la norma di delega imponeva al Governo di mantenere la procedibilità d’ufficio non soltanto quando «ricorrono circostanze aggravanti ad effetto speciale», ma anche quando «la persona offesa sia incapace per età o per infermità» e quando, «nei reati contro il patrimonio, il danno arrecato alla persona offesa sia di rilevante gravità».

Il disegno di legge amplia dunque i casi di procedibilità d’ufficio pervisti dall’art. 649-bis, includendovi queste due ipotesi; l’intervento si riverbera, oltre che sul regime di procedibilità del reato di appropriazione indebita, anche sulle ipotesi aggravate di truffa e frode informatica.


 

Articolo 2
(Modifiche al codice di procedura penale)

L’articolo 2 novella il codice processuale penale, per consentire una più estesa applicazione delle pene accessorie per alcuni reati contro la pubblica amministrazione, eliminando gli automatismi procedurali che ne limitano attualmente l’ambito.

 

Le lettere a) e b) dell’art. 2 integrano la disciplina codicistica dell’applicazione delle pene accessorie in caso di richiesta di patteggiamento.

 

In particolare, la lettera a) aggiunge all’art. 444 c.p.p. un nuovo comma 3-bis che prevede che la parte, nel formulare la richiesta di patteggiamento nei procedimenti per i più gravi reati contro la pubblica amministrazione (v. ultra) possa subordinare l’ efficacia della stessa:

·        all’esenzione dalle pene accessorie dell’incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione e dell’interdizione dai pubblici uffici;

·        o, in caso di applicazione delle citate pene accessorie, all’estensione degli effetti della sospensione condizionale (ex art. 163 c.p.) anche a queste ultime.

 

Come segnalato dalla relazione tecnica al disegno di legge, negli ultimi anni gran parte delle sentenze definitive (a seguito di patteggiamento ma anche di condanna), ad esempio, per corruzione propria (art. 319 c.p.), vedono applicata la sospensione condizionale della pena (140 su 240 sentenze nel 2012; 97 su 298 nel 2013; 96 su 186 nel 2014; 115 su 214 nel 2015; 54 su 163 nel 2016 e 140 su 261 nel 2017).

Attualmente è la stessa efficacia della richiesta di patteggiamento che può essere subordinata alla concessione della sospensione condizionale; se il giudice non ritiene di concedere il beneficio, rigetta la richiesta di patteggiamento (art. 444, comma 3)

 

L’elenco dei reati previsto dal nuovo comma 3-bis in questione comprende:

-        il peculato, escluso quello d’uso (art. 314, primo comma);

-        la concussione (art. 317);

-        la corruzione impropria (art. 318);

-        la corruzione propria (art. 319); si segnala che risulta esclusa la corruzione aggravata, di cui all’art. 319-bis;

-        la corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter);

-        l’induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater, primo comma),

-        la corruzione di persona incaricata di pubblico servizio (art. 320)

-        la corruzione attiva (art. 321);

-        l’istigazione alla corruzione (art. 322);

-        i reati di corruzione nelle sue diverse forme commessi da pubblici ufficiali e funzionari stranieri (art. 322-bis);

-        il traffico di influenze illecite (art. 346-bis).

 

L’elenco coincide solo in parte con quello di cui all’art. 444, comma 1-ter, c.p.p., che enumera i reati in relazione ai quali l'ammissibilità della richiesta di patteggiamento è subordinata alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato.

 

Analogamente a quanto previsto dall’art. 444, comma 3, se il giudice non ritiene di accedere alle indicate condizioni (cioè intenda applicare le pene accessorie o non sospenderne l’efficacia) rigetta la richiesta di patteggiamento.

 

La lettera b), n. 2) – con un nuovo comma 1-ter dell’art. 445 c.p.p. -  intende affidare alla discrezionalità del giudice l’applicazione delle pene accessorie dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32-ter, c.p.) e dell’interdizione dai pubblici uffici (art.317-bis c.p.) nel caso di pena patteggiata per il catalogo dei reati contro la P.A. elencati dal nuovo comma 3-bis dell’art. 444.

In virtù della clausola di salvezza introdotta dalla lettera b) n. 1) all’art. 445, comma 1, c.p.p., l’applicazione delle indicate pene accessorie potrà essere valutata dal giudice anche in caso di pena concordata fino a due anni di reclusione (art. 445, comma 1, secondo periodo).

 

Si tratta di una deroga rispetto a quanto previsto dall’art. 445, comma 1, c.p.p., che stabilisce che l’applicazione concordata della pena fino a due anni di reclusione, soli o congiunti a pena pecuniaria, non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento né l’applicazione delle pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione per la confisca nei casi di cui all’art. 240 del codice penale.

 

Il contenuto del nuovo comma 1-ter dell’art. 445 va letto anche in relazione a quello del nuovo art. 166 c.p. (come modificato dall’art. 1, lett. f); v. ante) che prevede che il giudice, in caso di condanna per gli stessi reati contro la PA, può disporre che la sospensione condizionale della pena non estenda i suoi effetti anche alle pene accessorie.

 

Con la lettera c) viene integrata la formulazione dell’art. 578-bis c.p.p. per estendere la competenza del giudice dell’impugnazione, a fronte dell’estinzione del reato per amnistia o prescrizione, anche alla decisione sulla confisca allargata o per equivalente di cui all’art. 322 ter c.p. ovvero sulla confisca del prezzo o del profitto illecito (o dell'equivalente del prezzo o del profitto) nei procedimenti per i delitti contro la P.A. previsti dagli artt. 314-320 c.p, anche se commessi dai pubblici ufficiali o funzionari stranieri indicati all'art. 322 bis, primo comma, del codice penale.

 

L’art. 578-bis c.p.p. prevede attualmente che, quando viene ordinata la confisca allargata prevista dell'articolo 240-bis del codice penale e da altre disposizioni di legge, il giudice dell’impugnazione (appello o cassazione), nel dichiarare estinto il reato per prescrizione o per amnistia, decide sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell'imputato.

Si ricorda che l'art. 6 del D.Lgs. n. 21/2018, attuativo della delega sulla riserva tendenziale di codice nella materia penale contenuta nella legge n. 103/2017, ha introdotto all'art. 240 bis c.p., la disciplina sostanziale della confisca c.d. allargata, diretta e per equivalente, già prevista all'art. 12 sexies , del decreto legge 306/1992 (L. 356/1992), che sono stati contestualmente abrogati. La disciplina concernente il procedimento applicativo e l'amministrazione dei beni, anch’essa contenuta all'art. 12 sexies del citato DL 306/1992 (come da ultimo modificato dalla legge 161/2017 di riforma del Codice antimafia), è stata trasposta nelle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale (artt. 104 bis e 183 ter), mentre la previsione di cui all'art. 12 sexies, dello stesso DL 306/1992, relativa alla decisione sulla confisca allargata in caso di estinzione del reato per amnistia o prescrizione, è stata riformulata all'art. 578 bis del codice di procedura penale.

 

La lettera d), novellando l’art. 683 c.p.p., assegna al tribunale di sorveglianza (competente sulla concessione e sulla revoca della riabilitazione) anche la competenza a dichiarare l’estinzione della pena accessoria nel caso di cui all’art. 179, settimo comma, del codice penale (v. ante, art. 1, lett. g) del disegno di legge).

L’ulteriore modifica introdotta dalla lett. d) non ha contenuto innovativo, apparendo di semplice coordinamento normativo.

 


 

Articolo 3
(Modifiche al codice civile)

L’articolo 3 interviene sulle disposizioni penali in materia di società, consorzi ed altri enti privati contenute nel codice civile, per prevedere la procedibilità d’ufficio per i delitti di corruzione tra privati (art. 2635 c.c.) e di istigazione alla corruzione tra privati (art. 2635-bis c.c.).

 

Il delitto di corruzione tra privati, di cui all’art. 2635 del codice civile, è stato introdotto dalla c.d. Legge Severino (legge n. 190 del 2012) e poi modificato dal decreto legislativo n. 38 del 2017, di attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio dell'Unione Europea relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato che danneggia l'economia ed altera la concorrenza.
La disposizione punisce con la reclusione da uno a tre anni, salvo che il fatto costituisca più grave reato, colui che rivestendo una posizione apicali di amministrazione o di controllo in una società privata, anche per interposta persona, sollecita o riceve, per sé o per altri, denaro o altra utilità non dovuti, o ne accetta la promessa, per compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al proprio ufficio o degli obblighi di fedeltà (primo comma). Se il fatto è commesso da chi nella società ricopre una posizione non apicale, si applica invece la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi (secondo comma). Le medesime pene si applicano al corruttore (terzo comma). Un’aggravante ad effetto speciale (raddoppio di pena) è prevista quando i fatti siano commessi nell’ambito di società con titoli quotati in borsa (quarto comma). Il reato è punito a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi; in quel caso si procede d’ufficio (quinto comma). E’ prevista infine al confisca per equivalente di valori non inferiori al valore delle utilità date, promesse o offerte (sesto comma).

Il delitto di istigazione alla corruzione tra privati, di cui all’art. 2635-bis del codice civile, è stato introdotto dal citato decreto legislativo n. 38 del 2017 e punisce, dal lato attivo, chiunque offra o prometta denaro o altre utilità non dovuti a coloro che svolgono funzioni apicali, di amministrazione o di controllo, di società o enti privati, nonché a chi svolge in essi un'attività lavorativa con l'esercizio di funzioni direttive, al fine del compimento od omissione di atti in violazione degli obblighi inerenti il proprio ufficio o degli obblighi di fedeltà, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata (primo comma).
Dal lato passivo, è prevista la punibilità del soggetto interno alla società che solleciti una promessa o dazione di denaro o altra utilità, al fine del compimento o dell'omissione di atti in violazione dei medesimi obblighi, qualora tale proposta non sia accettata (secondo comma). La disposizione, per entrambe le fattispecie (istigazione attiva e passiva), stabilisce la pena della reclusione da 8 mesi a due anni, ovvero la pena di cui all'art. 2635 c.c., ridotta di un terzo. Per entrambe le fattispecie criminose, nonostante l'accentuata natura di reati di pericolo, la procedibilità resta subordinata alla querela della persona offesa (terzo comma).

 

In particolare, l’articolo 3 del disegno di legge abroga il quinto comma dell’art. 2635 c.c. e il terzo comma dell’art. 2635-bis c.c. che prevedono, per ciascuno dei delitti, la procedibilità a querela della persona offesa, da individuarsi nella società o ente privato, che può esercitare tale diritto per mezzo dell'assemblea (qualora sia ravvisabile un'offesa "interna") o tramite gli amministratori (qualora l'offesa provenga dall'"esterno") [6] .

L’abrogazione comporta la procedibilità d’ufficio tanto per il delitto di corruzione tra privati quanto per quello di istigazione alla corruzione.

 

Rispetto alla disciplina vigente, che prevede che la tutela sia rimessa al potere discrezionale del soggetto leso, il disegno di legge in esame applica il modello della lotta alla corruzione di stampo pubblicistico – per la quale la procedibilità è d’ufficio – anche alla corruzione tra privati, dando seguito - come specificato dalla relazione illustrativa – a una specifica richiesta in tal senso del Consiglio d’Europa.

 

Nell’Addendum al Secondo Rapporto di Conformità sull’Italia, del giugno 2018, il GRECO, in relazione al delitto di corruzione tra privati (art. 2635 c.c.) «si rammarica che l’ammissibilità dell’azione penale sia possibile solamente su querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi»; ritiene che ciò non sia in linea con la Convenzione penale contro la corruzione del 2000.

 


 

Articolo 4
(Modifiche all’ordinamento penitenziario)

 

 

L’articolo 4 del disegno di legge interviene sull’articolo 4-bis, comma 1, dell’ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975) per inserire alcuni delitti contro la pubblica amministrazione nel catalogo dei reati che precludono, in caso di condanna, l’accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione, a meno di collaborazione con la giustizia.

 

I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione che, in caso di condanna, impediscono l’assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione (esclusa la liberazione anticipata) sono i seguenti:

-      peculato, escluso il peculato d’uso (art. 314, primo comma, c.p.);

-      concussione (art. 317 c.p.),

-      corruzione impropria (art. 318 c.p.)

-      corruzione propria, semplice e aggravata (art. 319 e 319-bis c.p.)

-      corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter c.p.)

-      indebita induzione a dare o promettere utilità (art. 319-quater, primo comma, c.p.)

-      corruzione di incaricato di pubblico servizio (art. 320 c.p.)

-      corruzione attiva (art. 321 c.p.)

-      istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.)

-      peculato, concussione, induzione indebita dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri della Corte penale internazionale o degli organi e funzionari dell’Unione europea e di Stati esteri (art. 322-bis, c.p.).

-      traffico di influenze (art. 346-bis c.p.).

Si tratta dello stesso catalogo di reati per i quali il disegno di legge prevede (art. 1, lett. c), un inasprimento della pena accessoria dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (v. sopra).

 

I delitti inseriti dal disegno di legge si aggiungono ai seguenti, già ricompresi nel catalogo dell’art. 4-bis, comma 1, OP:

·        associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.) e delitti commessi avvalendosi delle relative condizioni;

·        scambio elettorale politico-mafioso (art. 416-ter c.p.);

·        associazione a delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi (art. 291-quater, T.U. dogane);

·        associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74, T.U. stupefacenti);

·        riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.);

·        tratta di persone (art. 601 c.p.);

·        prostituzione minorile (art. 600-bis, primo comma, c.p.);

·        violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.);

·        commercio di schiavi (art. 602 c.p.);

·        pornografia minorile, escluse le ipotesi di diffusione di materiale pedopornografico (art. 600-ter, primo e secondo comma);

·        sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.);

·        delitti di favoreggiamento e favoreggiamento aggravato dell’ingresso di immigrati clandestini (art. 12, commi 1 e 3, T.U. immigrazione).

 

 

 

 


 

Articolo 5
(Modifiche alla disciplina delle operazioni sotto copertura di cui alla legge 16 marzo 2006, n. 146)

 

L’articolo 5 è volto ad estendere la disciplina delle operazioni di polizia sotto copertura al contrasto di alcuni reati contro la pubblica amministrazione, ossia le fattispecie riconducibili alla corruzione, nonché i delitti di turbata libertà degli incanti e di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente.

A tal fine è modificato l’art. 9 (comma 1, lett. a), della legge 16 marzo 2006, n. 146, che contiene il quadro normativo di riferimento delle tecniche investigative speciali riconducibili alla tipologia generale delle operazioni coperte.

Attualmente tale disposizione esclude la punibilità per gli ufficiali di polizia giudiziaria i quali, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine a specifici reati abbiano condotte, individuate dalla norma, che costituirebbero fattispecie delittuose.

Il testo a fronte che segue evidenzia le modifiche proposte dal disegno di legge all’art. 9 della legge n. 146 del 2006.

 

 

Normativa vigente

A.C. 1189

L. 16 marzo 2006, n. 146,
Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall'Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001

Articolo 9

Operazioni sotto copertura

1. Fermo quanto disposto dall'articolo 51 del codice penale, non sono punibili:

1. Identico:

a) gli ufficiali di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, appartenenti alle strutture specializzate o alla Direzione investigativa antimafia, nei limiti delle proprie competenze, i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti previsti dagli articoli 453, 454, 455, 460, 461, 473, 474, 629, 630, 644, 648-bis e 648-ter, nonché nel libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del codice penale, ai delitti concernenti armi, munizioni, esplosivi, ai delitti previsti dall'articolo 12, commi 1, 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, nonché ai delitti previsti dal testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, dall'articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e dall'articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, anche per interposta persona, danno rifugio o comunque prestano assistenza agli associati, acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano denaro, armi, documenti, sostanze stupefacenti o psicotrope, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato o altrimenti ostacolano l'individuazione della loro provenienza o ne consentono l'impiego o compiono attività prodromiche e strumentali

a) gli ufficiali di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, appartenenti alle strutture specializzate o alla Direzione investigativa antimafia, nei limiti delle proprie competenze, i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti previsti dagli articoli 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 346-bis, 353, 353-bis, 453, 454, 455, 460, 461, 473, 474, 629, 630, 644, 648-bis e 648-ter, nonché nel libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del codice penale, ai delitti concernenti armi, munizioni, esplosivi, ai delitti previsti dall'articolo 12, commi 1, 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, nonché ai delitti previsti dal testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, dall'articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e dall'articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, anche per interposta persona, danno rifugio o comunque prestano assistenza agli associati, acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano denaro o altra utilità, armi, documenti, sostanze stupefacenti o psicotrope, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto, prezzo o mezzo per commettere il reato o ne accettano l’offerta o la promessa o altrimenti ostacolano l'individuazione della loro provenienza o ne consentono l'impiego ovvero corrispondono denaro o altra utilità in esecuzione di un accordo illecito già concluso da altri, promettono o danno denaro o altra utilità richiesti da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio o sollecitati come prezzo della mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio o per remunerarlo o compiono attività prodromiche e strumentali;

(omissis)

 

La disposizione in commento non modifica la sfera soggettiva di operatività della norma, la quale dunque continua ad applicarsi agli ufficiali di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, appartenenti alle strutture specializzate o alla Direzione investigativa antimafia, nei limiti delle proprie competenze. E’ necessario che tali soggetti agiscano nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova.

 

Oggetto di modifica è invece, in primo luogo il catalogo dei reati in relazione ai quali sono possibili le operazioni sotto copertura.

In particolare, i reati per cui si propone l’estensione delle tecniche investigative speciali sono i seguenti:

-      concussione (art. 317 c.p.);

-      corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.);

-      corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.);

-      corruzione (propria) aggravata dal fatto di avere ad oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l’amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene nonché il pagamento o il rimborso di tributi (art. 319-bis c.p.);

-      corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter c.p.)

-      induzione indebita a dare o promettere utilità (limitatamente ai fatti commessi dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio, ossia all’ipotesi di reato più grave, prevista dal primo comma dell’art. 319-quater c.p.);

-      corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio (art. 320 c.p.);

-      corruzione attiva, in tutte le sue forme  (per l’esercizio della funzione o per atto contrario: art. 321 c.p.);

-      istigazione alla corruzione, attiva o passiva  (art. 322 c.p.);

-      peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri della Corte penale internazionale o degli organi delle Comunità europee ed i funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri (322-bis c.p.);

-      traffico di influenze illecite (346-bis c.p.);

-      turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.);

-      turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (art. 353-bis c.p.).

 

Con la legge 16 marzo del 2006, n. 146, art. 9, il legislatore – attuando nell'ordinamento interno la Convenzione e i Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale adottati dall'Assemblea Generale il 15 novembre 2000 e il 3 maggio 2001 - ha dettato una articolata disciplina generale relativa alle operazioni sotto copertura, applicabile ad una ampia gamma di fattispecie di reato. La disciplina generale ed unitaria delle operazioni sotto copertura, dettata dal primo comma dell’art. 9 della L. 16 marzo 2006, n. 146, vale attualmente per i seguenti reati: - delitti previsti dagli artt. 473, 474, 629, 630, 644, 648-bis e 648-ter, nonché nel libro II, titolo XII, capo III, sezione I (relativa ai delitti contro la personalità individuale) del codice penale; - delitti concernenti armi, munizioni, esplosivi; - delitti previsti dall’art. 12, commi 1, 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286; - delitti previsti dal testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309; - delitti previsti dall’art. 260 del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti); - delitti previsti dall’art. 3 della L. 20 febbraio 1958, n. 75 (c.d. “legge Merlin”, intitolata: “Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui”); - delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione.

Il medesimo articolo richiede che ai fini dell'operatività della causa di giustificazione sussista la necessaria "copertura" costituita dall'autorizzazione, debitamente documentata (comma 1 bis), rilasciata dagli organi competenti indicati al comma 3; l'autorità giudiziaria competente per le indagini (il PM) deve, tuttavia, ricevere preventiva comunicazione dell'avvio dell'operazione, nonché delle modalità di svolgimento, dei soggetti che vi partecipano e dei risultati, potendo a sua discrezione richiedere l'indicazione del nominativo dell'ufficiale di polizia giudiziaria responsabile, nonché quelli degli eventuali ausiliari e delle interposte persone impiegati (comma 4).

 

Accanto all’ampliamento  del catalogo dei delitti per cui è consentito il ricorso alle speciali tecniche investigative, la disposizione in commento amplia il novero delle condotte scriminate già contemplate dalla vigente disposizione di legge.

In particolare, non è considerata punibile la condotta che consista  nell’acquisto, ricezione, sostituzione o occultamento anche di  “altra utilità” oltre che (come già previsto dalla normativa vigente) di denaro, armi, documenti, sostanze stupefacenti o psicotrope. Le medesime attività sono consentite in relazione a beni o cose che possono consistere anche nel “prezzo” e non più solo nell’oggetto, prodotto, profitto, o mezzo per commettere il reato, nonché all’accettazione dell’offerta o la promessa dello stesso.

 Entrano nel novero delle condotte scriminate altresì

·        la corresponsione di denaro o altra utilità in esecuzione di un accordo illecito già concluso da altri;

·        la promessa o la dazione di denaro o altra utilità che:

Ø  siano richiesti da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio

Ø  o siano sollecitati come prezzo della mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio o per remunerare lo stesso.

Diventano quindi non punibili le attività della polizia giudiziaria che consistano nell’accettazione della promessa o dell’offerta, nella ricezione, nella promessa o nella consegna di beni o altra utilità compiute al fine di acquisire elementi di prova dell’istigazione alla corruzione commessa da altri (sia attiva, nel caso di promessa o offerta di denaro o altra utilità da parte del privato, sia passiva, nel caso in cui sia il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio a sollecitare la promessa o la dazione), così come la promessa o la dazione di denaro o altro vantaggio patrimoniale in accoglimento di un’offerta di mediazione illecita presso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio (traffico di influenze illecite).

 

Nella relazione illustrativa si specifica che la novella di cui all’articolo 5 dà attuazione a quanto previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 (c.d. convenzione di Merida), firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003 e ratificata con legge 3 agosto 2009, n. 116. L’art. 50 della Convenzione, infatti, prevede che per combattere efficacemente la corruzione, ciascuno Stato, nei limiti consentiti dai principi fondamentali del proprio ordinamento giuridico interno, e conformemente alle condizioni stabilite dal proprio diritto interno, adotta le misure necessarie, con i propri mezzi, a consentire l’appropriato impiego da parte delle autorità competenti della consegna controllata e, laddove ritenuto opportuno, di altre tecniche speciali di investigazione, quali la sorveglianza elettronica o di altro tipo e le operazioni sotto copertura, entro il suo territorio, e a consentire l’ammissibilità in tribunale della prova così ottenuta. […].

 

La relazione illustrativa sottolinea come le condotte non punibili restino confinate a quelle necessarie per l'acquisizione di prove relative ad attività illecite già in corso: deve trattarsi cioè di condotte che, inserendosi in modo indiretto o meramente strumentale nell’esecuzione di attività illecita altrui, non istighino o provochino la condotta delittuosa, in linea con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di cassazione.

.

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha ricondotto al nucleo centrale del principio del “processo equo” la valutazione sulla compatibilità con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo delle operazioni sotto copertura.

Le numerose pronunce della Corte in materia hanno accertato la violazione del principio del giusto processo, qualora l’attività dell’agente si configuri quale quella dell’agente provocatore anziché dell’ agente sotto copertura, il cui intervento è invece ammesso.  In particolare con la sentenza del 1998 nel caso Teixeira de Castro c. Portogallo, la Corte afferma che sussiste la violazione dell’art. 6 della Convenzione qualora la condanna dell’imputato si basi in misura determinante sulle dichiarazioni degli agenti di polizia e quando nulla indichi che, in mancanza del loro apporto, l’attività delittuosa si sarebbe lo stesso realizzata.  Nella sentenza del 21 marzo 2002 ( Calabrò c. Italia e Germania), la Corte Europea ammette l’attività di un agente infiltrato in un procedimento d’indagine preliminare, ma sulla sola base dell’esistenza di sospetti a carico di una o più persone. Solo in tale caso, ravvisa la Corte, è possibile il suo intervento ma lo stesso non deve spingersi fino a provocare condotte criminose che altrimenti non si sarebbero verificate. Entrambe le pronunce, in sostanza, confermano una posizione, peraltro richiamata in una sentenza del 2008 (Ramanauskas contro Lithuania, 2008) con cui la stessa Corte ha condannato la Lituania al risarcimento danni al ricorrente, affermando che “un conto sono le operazioni sotto copertura, altro è provocare il reato da parte di chi non aveva un proposito criminoso”. A parere della Corte l’attività dell’agente provocatore finirebbe per  creare un reato altrimenti inesistente, a differenza dell’agente sotto copertura che interviene quando l’intenzione criminosa già esiste ed è in corso.

In sostanza, secondo la giurisprudenza CEDU, deve ritenersi che l'attività degli agenti infiltrati deve essere circoscritta e coperta da garanzie anche quando si tratta di reati di particolare gravità e che l'intervento degli agenti provocatori, quando sia determinante per la commissione del reato (nel senso che senza il loro intervento il reato non sarebbe stato commesso), se utilizzato nel processo penale, può falsare irrimediabilmente il carattere equo del processo. Ciò, invece, deve escludersi quando risulti che l'indagato è pronto a commettere la violazione anche in mancanza dell'intervento degli agenti di polizia, i quali si limitano a disvelare un'intenzione criminale esistente, ma allo stato latente, fornendo al ricorrente l'occasione di concretizzarla. In altri termini, mentre non lede il diritto all'equo processo l'intervento della polizia giudiziaria (suscettibile di utilizzazione probatoria in ambito processuale) che si limiti a disvelare un'intenzione criminosa in fieri, contrasta con l'equa amministrazione della giustizia un intervento di agenti provocatori che sia essenziale per fare commettere un reato a chi non era intenzionato a porlo in essere.

 

Anche la Corte di cassazione ha tracciato una netta distinzione tra la figura dell’infiltrato e quella dell’agente provocatore, che non ha mai avuto una esplicita definizione normativa La Corte, dopo avere ribadito il tradizionale orientamento secondo cui «l’attività dell’agente di polizia giudiziaria risulta legittima quando costituisce in via prevalente un’attività di osservazione, controllo e contenimento delle azioni illecite altrui», ha precisato che l’infiltrazione nell’ambito della criminalità organizzata risulta rispettosa dei canoni dell’art. 6 CEDU se «la commissione del reato dipende dalla libera scelta del reo» e non è influenzata in maniera sostanziale dall’azione degli agenti di polizia. Rileva, altresì, che «l’induzione e l’incitamento al reato determinano quindi non solo la responsabilità penale dell’agente, ma l’inutilizzabilità della prova acquisita, per contrarietà ai principi del giusto processo e rende l’intero procedimento suscettibile di un giudizio di non equità ai sensi dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali» (Cassazione penale, Sez. 3, n. 37805 del  16.9.2013).

Ne consegue l’inutilizzabilità delle prove assunte nell’ambito di un’attività di provocazione al reato da parte della polizia, anche senza la mediazione di uno specifico divieto probatorio posto da norme processuali. Secondo ormai costante giurisprudenza costituzionale e di legittimità, infatti, sono inutilizzabili le prove assunte con modalità lesive dei diritti fondamentali del cittadino.. Diversamente per la Corte, non sussiste violazione dei diritti fondamentali qualora la responsabilità penale del soggetto venga accertata sulla base di elementi di prova autonomi rispetto a quelli riconducibili all’attività di provocazione al reato.

Anche secondo giurisprudenza della Corte non sono dunque lecite le operazioni sotto copertura consistenti nell'incitamento o nell'induzione alla commissione di un reato da parte soggetto indagato, in quanto all'agente infiltrato non è consentito commettere azioni illecite diverse da quelle dichiarate non punibili e di quelle strettamente e strumentalmente connesse. Una simile condotta, oltre a determinare responsabilità penale dell'infiltrato, produrrebbe, quale ulteriore conseguenza, l'inutilizzabilità della prova acquisita e rende l'intero procedimento suscettibile di un giudizio di non equità ai sensi dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Sez. II, n. 38488 del 9 ottobre 2008; Sez. III, n. 26763 del 3 luglio 2008; Sez. III, n. 17199 del 7.4.2011, Ediale). Per potersi ritenere esistente la figura dell'agente provocatore, però, occorre che la condotta del provocatore assuma una rilevanza causale nel fatto commesso dal provocato nel quale venga suscitato un intento delittuoso prima inesistente. La giurisprudenza della Corte ha evidenziato come assuma rilievo la circostanza che l'azione delittuosa sia voluta e realizzata dal reo in base ad impulsi e modalità concrete a lui autonomamente riconducibili e non derivi in via assoluta ed esclusiva dall'istigazione dell'agente provocatore, la cui attività viene a rappresentare un fattore estrinseco che ha solo dato spunto all'azione del provocato (Sez. V, n. 11915 del 26 marzo 2010; Sez. VI, n. 16163 del 17/04/2008; Sez. I, n. 9370 del 28 ottobre 1996).  Cassazione penale, Sez. 3, n. 37805 del 16.9.2013).

 

 

In ordine alla formulazione del testo, si valuti l’opportunità di sostituire alla lettera a) del comma 1 dell’art. 9, il riferimento all’art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006 con il riferimento all’art. 452-quaterdecies c.p.; la fattispecie di traffico illecito di rifiuti è stata infatti spostata dal d.lgs. n. 21 del 2018 dal codice dell’ambiente al codice penale.

 


 

Articolo 6
(Modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche)

 

 

L’articolo 6 mira all’inasprimento, in termini di durata, delle sanzioni interdittive nell’ipotesi di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, derivante dalla commissione dei seguenti reati contro la pubblica amministrazione:

·        concussione (art. 317);

·        corruzione propria, semplice (art. 319) e aggravata (art. 319-bis) dal rilevante profitto conseguito dall’ente;

·        corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter);

·        induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater);

·        dazione o promessa al pubblico ufficiale (o all’incaricato di pubblico servizio) di denaro o altra utilità da parte del corruttore (art. 321);

·        istigazione alla corruzione (art. 322).

 

Si tratta dei reati richiamati ai commi 2 e 3 dell’articolo 25 del D. lgs. 231 del 2001. Tale articolo individua le sanzioni pecuniarie a carico delle persone giuridiche nell’ipotesi di responsabilità amministrativa delle stesse derivante da una serie di reati, elencati nei commi da 1 a 3 dell’articolo stesso.

 Il comma 5 dell’articolo 25, oggetto di modifica da parte dell’articolo in esame, stabilisce che nei  casi di condanna per uno dei delitti indicati nei commi 2 e 3, si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno.

Dal combinato disposto dell’articolo 25, comma 5 e dell’art. 9, commi 2 e 3, si deduce che l’inasprimento delle sanzioni interdittive opera in caso di condanna per i suddetti reati.

 

Con una novella all’articolo 25, comma 5 del D. lgs. 231 del 2001, si dispone infatti, che, nelle richiamate ipotesi di reato, la durata delle sanzioni interdittive a carico delle persone giuridiche sia compresa tra 5 e 10 anni, mentre attualmente è previsto solo il limite minimo di durata, pari a un anno.

 

Il riferimento è alle seguenti sanzioni interdittive di cui all’art. 9, comma 2, del D.Lgs. 231 del 2001: interdizione dall'esercizio dell'attività; sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito; divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi; divieto di pubblicizzare beni o servizi.

I presupposti per l’applicazione delle sanzioni interdittive sono disciplinati dall’art. 13 DLgs. 231/2001 ai sensi del quale le sanzioni interdittive si applicano in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste, se l’ente ha tratto dal reato un profitto di un certo rilievo e il reato è stato commesso da un soggetto in posizione apicale o da un soggetto sottoposto alla direzione dei primi, a causa di gravi carenze organizzative; o in caso di reiterazione degli illeciti.

 

Per coordinamento con la novella introdotta all’art. 25, è modificato l’art. 13, comma 2, dello stesso D.Lgs. 231 - che stabilisce i limiti minimi (3 mesi) e massimi (2 anni) delle sanzioni interdittive applicabili agli enti - premettendo la clausola di salvezza delle nuove disposizioni del comma 5 dell’art. 25.

 

 


Capo II
Nuove norme in materia di trasparenza e controllo dei partiti e movimenti politici

Il capo II del disegno di legge, composto dagli articoli da 7 a 12, reca norme in materia di trasparenza e controllo dei partiti e movimenti politici nonché disposizioni riguardanti le fondazioni politiche. E’ posta in capo alla Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici l’applicazione delle sanzioni previste in base al nuovo assetto normativo.

 

La trasparenza e il finanziamento ai partiti politici nelle ultime legislature

 

Con il decreto-legge n. 149 del 2013 è stata disposta - a regime dall'anno 2018 - l'abolizione dei contributi pubblici diretti ai partiti e la loro sostituzione con agevolazioni fiscali per la contribuzione volontaria dei cittadini (detrazioni per le erogazioni liberali e destinazione volontaria del 2 per mille IRPEF).

L'accesso a queste forme di contribuzione è condizionato al rispetto di requisiti di trasparenza e democraticità previsti dalla legge, in cui si prevede anche l'istituzione di un registro dei partiti politici ai fini dell'accesso ai benefici.

Tra le principali caratteristiche del sistema introdotto si ricordano:

l'adozione da parte dei partiti di statuti recanti necessari elementi procedurali e sostanziali che garantiscano la democrazia interna, ai fini dell'accesso ai benefici

l'istituzione del Registro nazionale dei partiti politici che accedono ai benefici previsti dalla legge, consultabile dal sito internet del Parlamento

la realizzazione da parte di ciascun partito di un sito internet dal quale devono risultare le informazioni relative all'assetto statutario, agli organi associativi, al funzionamento interno e ai bilanci

l'estensione delle funzioni di controllo della Commissione di garanzia sui bilanci dei partiti anche al rispetto delle prescrizioni sul contenuto statutario e sulla trasparenza

l'introduzione di un tetto alle donazioni pari a 100 mila euro

l'introduzione di una detrazione per le erogazioni liberali pari al 26% per gli importi da 30 a 30 mila euro

l'assoggettazione all'IMU degli immobili dei partiti politici

la possibilità di destinare il 2 per mille IRPEF ai partiti

La disciplina prefigurata si inserisce in un processo, sviluppatosi negli ultimi anni, di progressiva riduzione dell'entità dei contributi diretti ai partiti, istituiti nel 1974 ed erogati, a partire dal 1993, esclusivamente sotto forma di contributi per le spese delle campagne elettorali. Con questa disciplina è stata superata la parziale riforma della legge 96/2012, nella parte in cui, al sistema dei rimborsi elettorali, era stato affiancato il cofinanziamento dello Stato, proporzionato alle capacità di autofinanziamento dei partiti, che è stato abolito.

Della legge 96/2012 è stata mantenuta la parte relativa alla trasparenza e ai controlli dei bilanci, come pure il vincolo tra democrazia interna e concessione dei benefici, ivi introdotta per la prima volta.

 

Nel corso della XVII legislatura la Camera dei deputati era inoltre giunta all'approvazione, dopo un'ampia istruttoria parlamentare, di un testo riguardante la disciplina dei partiti politici con norme volte, in particolare, a favorire la trasparenza e la partecipazione democratica. L'esame al Senato non si è concluso prima della fine della legislatura; alcune disposizioni sono state peraltro riprese nell'ambito della nuova disciplina elettorale definita dal Parlamento e sono entrate in vigore dal mese di novembre 2017 (L. n. 165/2017).

Le disposizioni riprese dalla legge di riforma elettorale riguardano in particolare la possibilità, per i partiti e i gruppi politici organizzati che intendono presentare candidature alle elezioni politiche, di depositare, in alternativa allo statuto registrato, una dichiarazione recante alcuni elementi minimi di trasparenza. In caso di mancato deposito dello statuto o della dichiarazione di trasparenza viene specificato che le liste sono ricusate dall'Ufficio centrale circoscrizionale.

E' altresì confluita nella nuova legge elettorale la previsione della pubblicazione, in un'apposita sezione del sito internet del Ministero dell'interno denominata "Elezioni trasparenti", del contrassegno di ciascun partito o gruppo politico organizzato; dello statuto ovvero della dichiarazione di trasparenza; del programma elettorale; del liste di candidati presentate per ciascun collegio.

 

Nella relazione illustrativa si ricorda che sul tema del finanziamento dei partiti sono intervenuti i periodici rapporti elaborati dal gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO), nell’ambito dell’attività di monitoraggio con gli strumenti di lotta alla corruzione del Consiglio d’Europa.

 

 

Nelle più recenti conclusioni del Rapporto GRECO (giugno 2018) Addendum al Secondo Rapporto di Conformità sull’Italia, viene evidenziato che, per quanto riguarda il finanziamento dei partiti politici, l’Italia ha introdotto importanti riforme a partire dal 2013, passando gradualmente dal finanziamento pubblico al quello privato (con l’effettiva abolizione del finanziamento pubblico nel 2017). “Il GRECO ha già riconosciuto diverse caratteristiche positive del nuovo sistema nei suoi precedenti rapporti di conformità (ad esempio, il divieto generale delle donazioni anonime, soglie di divulgazione più basse, sanzioni più severe, ecc.) In un contesto così in evoluzione, la trasparenza e la vigilanza acquisiscono un significato primario; molto ancora deve essere fatto in entrambi gli aspetti ai fini della prevenzione della corruzione”.

d) invito all’abolizione delle norme del codice penale che prevedono la necessità della richiesta del Ministro della Giustizia o della denuncia della persona offesa per il perseguimento dei reati di corruzione commessi all’estero;

e) infine, in tema di trasparenza del finanziamento ai partiti politici, il GRECO ritiene non ancora totalmente adempiute due delle raccomandazioni che erano state rivolte all’Italia in questa materia: da un lato, quella di strutturare un impianto legislativo che sappia garantire un approccio olistico alla pubblicazione di finanziamenti per le campagne, che consenta un accesso più semplice da parte dei cittadini a tali informazioni; dall’altro, quella di rendere conto in maniera dettagliata delle modalità con cui la ‘Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici’ coordina la propria azione di vigilanza con le altre autorità preposte al controllo della gestione finanziaria dei partiti e delle campagne elettorali.

 


 

Articolo 7
(Norme in materia di trasparenza e rendicontazione dei contribuiti in favore dei partiti e movimenti politici)

 

L’articolo 7 introduce disposizioni volte a rafforzare gli obblighi di pubblicità e di rendicontazione relativi ai contributi finanziari e alle prestazioni gratuite effettuate nei confronti dei partiti e movimenti politici.

E’ previsto, in particolare, l’obbligo per i partiti e movimenti politici - entro il mese successivo a quello della percezione - di annotare, per ogni importo ricevuto da contribuzioni o prestazioni complessivamente superiore a 500 euro, in un registro bollato dal notaio l’identità dell’erogante, l’entità del contributo o il valore della prestazione o di altra forma di sostegno e la data dell’erogazione. I medesimi dati devono essere riportati nel rendiconto del partito o movimento politico e contestualmente pubblicati sul relativo sito istituzionale. Con l’erogazione dei contributi o delle prestazioni si intende prestato il consenso alla pubblicità dei dati. Come detto, fanno eccezione i contributi occasionalmente corrisposti in contante per un importo complessivo non superiore a 500 euro nel corso di manifestazione ed eventi politici pubblici (per i quali resta fermo l’obbligo di rilasciarne ricevuta).

Inoltre, in occasione di competizioni elettorali (salvo le elezioni comunali sotto i 15.000 abitanti) è previsto per i partiti e movimenti politici l’obbligo di pubblicare sul proprio sito istituzionale il curriculum vitae dei propri candidati ed il relativo certificato penale rilasciato dal casellario giudiziario non oltre 20 giorni prima della data fissata per le elezioni. Non è richiesto il rilascio del consenso degli interessati.

 

Obblighi di trasparenza e pubblicità sulle erogazioni di contributi o prestazioni gratuite in favore di partiti o movimenti politici

Più nel dettaglio, il comma 1 dispone che si intende prestato il consenso alla pubblicità dei dati (c.d. consenso implicito) da parte dei soggetti erogatori con l’elargizione, in qualsiasi modo effettuata, a partiti o movimenti politici di:

·        contributi;

·        prestazioni gratuite;

·        messa a disposizione di servizi “a titolo gratuito” con carattere di stabilità;

·        altre forme di sostegno a carattere patrimoniale.

Sono fatti salvi dagli obblighi previsti dal comma 1 i contributi occasionalmente corrisposti in contante per un importo complessivo non superiore a 500 euro nel corso di manifestazione ed eventi politici pubblici (per i quali resta fermo l’obbligo di rilasciarne ricevuta per poter calcolare la complessiva entità dei contributi riscossi).

 

Andrebbe valutata l’opportunità di chiarire se l’importo complessivo di 500 euro va considerato con riferimento a ciascun soggetto erogante o all’intero ricavato dall’evento.

 

Si ricorda inoltre che in base al vigente articolo 5 del decreto-legge 149/2013 i partiti politici sono tenuti ad assicurare la trasparenza e l'accesso alle informazioni relative al proprio assetto statutario, agli organi associativi, al funzionamento interno e ai bilanci, compresi i rendiconti, anche mediante la realizzazione di un sito internet. I rappresentanti legali dei partiti beneficiari delle erogazioni sono tenuti a trasmettere alla Presidenza della Camera dei deputati l'elenco dei soggetti che hanno erogato finanziamenti o contributi di importo superiore, nell'anno, a euro 5.000, e la relativa documentazione contabile. I dati relativi ai soggetti che abbiano prestato il proprio consenso, ai sensi del codice in materia di protezione dei dati personali, sono pubblicati in maniera facilmente accessibile nel sito internet ufficiale del Parlamento italiano nonché come allegato al rendiconto di esercizio, nel sito internet del partito politico.

 

Relativamente alla previsione – recata dal disegno di legge in esame - in base alla quale il consenso si intende prestato con l’erogazione del contributo o della prestazione si ricorda che ogni trattamento di dati personali deve avvenire nel rispetto dei principi fissati all’articolo 5 del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR):

·        liceità, correttezza e trasparenza del trattamento, nei confronti dell’interessato;

·        limitazione della finalità del trattamento, compreso l’obbligo di assicurare che eventuali trattamenti successivi non siano incompatibili con le finalità della raccolta dei dati;

·        minimizzazione dei dati: ossia, i dati devono essere adeguati pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità del trattamento;

·        esattezza e aggiornamento dei dati, compresa la tempestiva cancellazione dei dati che risultino inesatti rispetto alle finalità del trattamento;

·        limitazione della conservazione: ossia, è necessario provvedere alla conservazione dei dati per un tempo non superiore a quello necessario rispetto agli scopi per i quali è stato effettuato il trattamento;

·        integrità e riservatezza: occorre garantire la sicurezza adeguata dei dati personali oggetto del trattamento.

Il Regolamento (articolo 5, paragrafo 2) richiede al titolare di rispettare tutti questi principi e di essere “in grado di comprovarlo”. Questo è il principio detto di “responsabilizzazione” (o accountability) che viene poi esplicitato ulteriormente dall’articolo 24, paragrafo 1, del Regolamento, dove si afferma che “il titolare mette in atto misure tecniche e organizzative adeguate per garantire, ed essere in grado di dimostrare, che il trattamento è effettuato conformemente al presente Regolamento.”

Il Regolamento, come già previsto dal Codice in materia di protezione dei dati personali, prevede che ogni trattamento deve trovare fondamento in un’idonea base giuridica. I fondamenti di liceità del trattamento di dati personali sono indicati all’articolo 6 del Regolamento:

- consenso, adempimento obblighi contrattuali, interessi vitali della persona interessata o di terzi, obblighi di legge cui è soggetto il titolare, interesse pubblico o esercizio di pubblici poteri, interesse legittimo prevalente del titolare o di terzi cui i dati vengono comunicati.

 

Per quanto riguarda le “categorie particolari di dati personali”, in base all’articolo 9, par. 1, del Regolamento, “È vietato trattare dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona”.

In generale dunque, il trattamento di questi dati è vietato.

Lo stesso articolo 9 del Regolamento, peraltro, individua i presupposti in presenza dei quali tali dati possono essere legittimamente trattati. Il trattamento è consentito se trova fondamento nel consenso esplicito dell’interessato ovvero nella necessità del trattamento stesso per una serie di motivi tassativamente elencati.

 

In base al par. 2 dell’art. 9, il trattamento può definirsi necessario quando è svolto per una serie di motivi, espressamente elencati, tra cui quello in base al quale “il trattamento è effettuato, nell’ambito delle sue legittime attività e con adeguate garanzie, da una fondazione, associazione o altro organismo senza scopo di lucro che persegua finalità politiche, filosofiche, religiose o sindacali, a condizione che il trattamento riguardi unicamente i membri, gli ex membri o le persone che hanno regolari contatti con la fondazione, l’associazione o l’organismo a motivo delle sue finalità e che i dati personali non siano comunicati all’esterno senza il consenso dell’interessato” (lett. d);

Tra i motivi di necessità inoltre, l’articolo 9, par. 2 del Regolamento prevede anche il trattamento necessario per motivi di interesse pubblico rilevante (lett. g) e specifica che esso deve trovare la sua base giuridica nel diritto dell'Unione o degli Stati membri e deve: essere proporzionato alla finalità perseguita; rispettare l'essenza del diritto alla protezione dei dati; prevedere misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell'interessato.

Si ricorda inoltre che il D.lgs. n. 101 del 2018 (volto all’adeguamento dell’ordinamento interno alle disposizioni del Regolamento UE 2016/679)  ha introdotto, tra l’altro, nel  Codice in materia di protezione dei dati personali (di cui al D.lgs. 196 del 2003) l’articolo 2-quinquiesdecies nel quale si specifica che, con riguardo ai trattamenti svolti per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico che possono presentare rischi elevati, il Garante può con provvedimenti di carattere generale adottati d'ufficio, prescrivere misure e accorgimenti a garanzia dell'interessato, che il titolare del trattamento è tenuto ad adottare.

La violazione delle disposizioni che disciplinano il trattamento dei dati particolari,  è sanzionata dall’articolo articolo 166 del Codice con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 20 milioni di euro o, per le imprese, fino al 4% del fatturato mondiale totale annuo dell’esercizio precedente, se superiore.

 

Il Garante privacy è intervenuto specificamente sul tema con il provvedimento in materia di trattamento di dati presso i partiti politici e di esonero dall'informativa per fini di propaganda elettorale del 6 marzo 2014 (provvedimento adottato precedentemente all’entrata in vigore del citato Regolamento UE 2016/679 che ha modificato in più parti le previsioni del Codice).

 

In tale sede il Garante ha in particolare evidenziato (paragrafo 2 - Simpatizzanti, persone contattate in occasione di singole iniziative, sovventori) che i dati personali raccolti da partiti, movimenti e altre formazioni a carattere politico, nonché da singoli candidati, in occasione di singole iniziative (petizioni, proposte di legge, richieste di referendum, raccolte di firme o di fondi, etc.) possono essere utilizzati solo con il consenso degli interessati e a condizione che nell'informativa rilasciata all'atto del conferimento dei dati siano evidenziate con chiarezza le finalità perseguite.

“Salvo i casi espressamente previsti dalla legge (v., ad esempio, l'art. 5, comma 3,del d.l. n. 149/2013, come modificato dalla l. n. 13/2014, che prevede l'obbligo per i partiti di trasmettere alla Presidenza della Camera dei deputati, nelle ipotesi ivi previste, l'elenco dei rispettivi sovventori), la comunicazione a terzi e la diffusione dei dati relativi a soggetti che erogano finanziamenti o contributi in favore di partiti, movimenti e altre formazioni a carattere politico presuppongono il consenso degli interessati”.

 

Le previsioni che stabiliscono il consenso implicito dell’interessato riguardo alla pubblicazione dei dati relativi all’identità dell’erogante il contributo o la prestazione in favore di partiti o movimenti politici paiono dunque suscettibili di essere valutate alla luce del quadro normativo in materia di trattamento dei dati personali (da ultimo ridefinito dal Regolamento (UE) 2016/679) e degli orientamenti del Garante per la privacy.

 

Al secondo periodo del comma 1 è inoltre aggiunto che, ove i soggetti erogatori siano contrari alla pubblicità dei relativi dati (quindi intendano negare il consenso) ai partiti e movimenti politici è fatto divieto di riceverli.

La sanzione, in caso di violazione di tale disposizione, è determinata in una pena pecuniaria non inferiore al triplo e non superiore al quintuplo del valore dei contributi, delle prestazioni o delle altre forme di sostegno a carattere patrimoniale ricevute. La sanzione è applicata dalla Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici (art. 10, comma 1).

Obbligo di rendicontazione e di pubblicazione sul sito internet del partito dei dati relativi ai soggetti eroganti e relativi importi

E’ stabilito altresì, al terzo periodo, l’obbligo di annotare - in un registro numerato (progressivamente in ogni pagina) e bollato in ogni foglio da un notaio - l’identità dell’erogante, l’entità del contributo o il valore della prestazione o di altra forma di sostegno (sempre superiore ai 500 euro ai sensi dell’ultimo periodo), la data dell’erogazione. L’obbligo è riferito ai contributi, prestazioni gratuite; messa a disposizione di servizi a titolo gratuito con carattere di stabilità; altre forme di sostegno a carattere patrimoniale (elencati al secondo periodo).

Il registro deve esser custodito presso la sede legale del partito o movimento politico.

L’annotazione deve essere effettuata entro il mese successivo a quello della data di percezione. In caso di scioglimento anticipato anche di una sola delle Camere il termine è ridotto a 15 giorni dalla data di scioglimento, restando in ogni caso fermo il termine massimo del mese successivo a quello di percezione.

Entro i medesimi termini i dati annotati devono:

·           risultare dal rendiconto dei partiti o movimenti politici di cui all’art. 8 della legge n. 2/1997;

·           essere pubblicati sul sito istituzionale del partito o movimento politico.

La sanzione, in caso di violazione di tale disposizione (annotazione nel registro, nel rendiconto e pubblicazione sul sito del partito), è determinata in una pena pecuniaria non inferiore al triplo e non superiore al quintuplo del valore dei contributi, delle prestazioni o delle altre forme di sostegno a carattere patrimoniale non annotati o non versati; qualora gli obblighi sono adempiuti con un ritardo non superiore a 30 giorni il testo prevede che la sanzione sia di importo non inferiore alla metà e non superiore al doppio del valore dei contributi, delle prestazioni o delle altre forme di sostegno a carattere patrimoniale tardivamente annotati o versati. La sanzione è applicata dalla Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici (art. 10, comma 1).

Divieto di ricevere contributi da parte di governi ed enti di Stati esteri e da parte di coloro che non sono iscritti nelle liste elettorali

Il comma 2 prevede il divieto di ricevere contributi da parte di governi o enti pubblici di Stati esteri, da persone giuridiche con sede in un altro Stato, da persone fisiche maggiorenni non iscritte alle liste elettorali o private del diritto di voto.

 

Con tale disposizione, dunque, è previsto, in capo a ciascun partito o movimento politico, l’onere di verificare se il contributo ricevuto (anche ad es. con donazioni on line) provenga da soggetti che non sono cittadini italiani e, in ogni caso, che non sono iscritti nelle liste elettorali.

 

Il diritto di elettorato attivo trova fondamento nell'articolo 48 della Costituzione ed è disciplinato dal testo unico delle leggi per la disciplina dell'elettorato attivo e per la revisione delle liste elettorali di cui al D.P.R. 20 marzo 1967, n. 223, e successive modifiche ed integrazioni. Il principio accolto nel vigente ordinamento per riconoscere il diritto di voto si basa su un sistema d'iscrizione nelle liste elettorali che viene attivato d'ufficio dal comune di residenza anagrafica, prescindendo da un atto d'impulso dell'interessato, sulla base di un complesso procedimento e di scansioni temporali che la legge disciplina in maniera compiuta e dettagliata.

Nelle liste elettorali tenute presso i comuni e distinte per sesso vengono iscritti tutti i cittadini residenti nel comune o che successivamente hanno trasferito la propria residenza all'estero, ivi compresi quelli che compiranno il 18° anno di età nel semestre successivo.

Gli aggiornamenti delle liste elettorali vengono effettuati mediante due revisioni semestrali (al 30 giugno e al 31 dicembre) e due revisioni dinamiche (al 31 luglio e al 31 gennaio).

Le revisioni semestrali sono finalizzate, ai sensi degli articoli 16 e seguenti del T.U. n. 223/1967, ad iscrivere coloro che compiranno diciotto anni nel semestre successivo (cosiddetta leva elettorale) e a cancellare coloro che sono stati depennati dall'anagrafe per irreperibilità, rilevando altresì nel medesimo contesto eventuali variazioni relative alle sezioni elettorali.

Le revisioni dinamiche, ai sensi dell'articolo 32 del medesimo testo unico, comprendono tutte le altre variazioni intervenute nel mese successivo a quello di conclusione della revisione semestrale e riferibili a morte, perdita della cittadinanza italiana, trasferimento di residenza, acquisto del diritto elettorale per motivi diversi dal compimento della maggiore età.

Inoltre in occasione di ogni consultazione elettorale o referendaria le stesse liste formano oggetto di un'apposita revisione dinamica straordinaria negli ambiti territoriali interessati alle consultazioni, al fine di definire puntualmente il corpo elettorale chiamato alle urne (articolo 32, quarto comma, del citato testo unico).

 

In pari tempo, i comuni provvedono alla tenuta e ad eventuali revisioni della ripartizione del corpo elettorale in sezioni elettorali, articolate in base al territorio comunale e alle sue caratteristiche nonché in base all'intensità demografica e al suo sviluppo, anche di natura abitativa.

Attraverso l'apposita procedura informatica, i dati numerici relativi al corpo elettorale e alle sezioni, con esclusione di ogni dato identificativo delle persone iscritte, vengono direttamente trasmessi con cadenza semestrale da parte dei comuni alla Direzione centrale dei servizi elettorali del Ministero dell'Interno, andando ad implementare e ad aggiornare la relativa banca dati.

 

Ne consegue che a tutti coloro che non sono cittadini italiani è in tal modo preclusa la possibilità di erogare finanziamenti in favore di partiti o movimenti politici.

Si ricorda che la Costituzione dà rilievo ai partiti politici all’art. 49 affermando che “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

 

La sanzione, in caso di violazione di tale disposizione, è determinata in una pena pecuniaria non inferiore al triplo e non superiore al quintuplo del valore dei contributi, delle prestazioni o delle altre forme di sostegno a carattere patrimoniale ricevute. La sanzione è applicata dalla Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici (art. 10, comma 1).

Al comma 2 andrebbe altresì valutata l’opportunità di chiarire se si intende fare riferimento ai contributi a carattere patrimoniale o a tutte le categorie elencate al medesimo comma 1 quindi contributi, prestazioni gratuite; messa a disposizione di servizi a titolo gratuito con carattere di stabilità; altre forme di sostegno a carattere patrimoniale (es. attività di merchandising del partito) e se si intende fare riferimento ad una soglia minima.

 

I contributi ricevuti in violazione di quanto disposto dai commi 1 e 2 non sono ripetibili (quindi non può esserne chiesta la restituzione) e sono versati alla cassa delle ammende entro 10 giorni dalla scadenza dei termini ivi previsti (in particolare, gli obblighi devono essere adempiuti entro il mese successivo alla percezione del contributo).

 

Ai sensi dell’art. 4 della legge n. 547/1932 la cassa delle ammende è un ente dotato di personalità giuridica operante presso il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero e finanzia programmi di reinserimento in favore di detenuti ed internati, programmi di assistenza ai medesimi ed alle loro famiglie e progetti di edilizia penitenziaria finalizzati al miglioramento delle condizioni carcerarie.

 

Si ricorda che l’articolo 10 dispone che le sanzioni siano applicate dalla Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici (v. infra). Dalla formulazione del testo consegue quindi che spetta alla Commissione poi provvedere al versamento alla cassa delle ammende.

 

Sono altresì specificate nel testo (comma 4) le finalità per le quali possono essere utilizzati i contributi e prestazioni ricevuti: spese amministrative, per attrezzature tecniche, manifestazioni, riunioni, studi, attività di comunicazione, ogni altra spesa connessa alla realizzazione degli obiettivi politici previsti dallo statuto.

Si ricorda che la legge 96 del 2012 dispone in ordine alla finalizzazione dei i rimborsi e contributi che devono essere utilizzati per l'attività politica, elettorale e ordinaria, dei partiti e dei movimenti politici. La legge pone il divieto ai partiti e ai movimenti politici di prendere in locazione o acquistare, a titolo oneroso, immobili di persone fisiche che siano state elette nel Parlamento europeo, nazionale o nei consigli regionali nei medesimi partiti o movimenti politici (art. 9, comma 29). Il medesimo divieto si intende anche riferito agli immobili posseduti da società possedute o partecipate dagli stessi soggetti di cui al periodo precedente. Inoltre, i partiti non possono investire la propria liquidità derivante dalla disponibilità di risorse pubbliche in strumenti finanziari diversi dai titoli emessi da Stati membri dell'Unione europea (art. 9, comma 22).

Obbligo di pubblicazione del curriculum vitae dei candidati e del relativo certificato penale

Inoltre, in occasione di competizioni elettorali (fanno eccezione solo le elezioni comunali sotto i 15.000 abitanti), è previsto per i partiti e movimenti politici l’obbligo di pubblicare - sul proprio sito istituzionale - il curriculum vitae dei propri candidati.

Si ricorda che, da ultimo, l’art. 4 della legge n. 165/2017 ha previsto l’obbligo per ciascun partito, movimento e gruppo politico organizzato di pubblicare in apposita sezione del sito internet del Ministero dell'interno, denominata «Elezioni trasparenti», le liste di candidati presentate per ciascun collegio entro 10 giorni dalla scadenza del termine di presentazione delle liste medesime.

 

E’ previsto inoltre per i partiti e movimenti politici l’obbligo di pubblicare - sul proprio sito istituzionale - il certificato penale dei propri candidati rilasciato dal casellario giudiziario non oltre 20 giorni prima della data fissata per le elezioni (sempre fatta eccezione delle elezioni comunali sotto i 15.000 abitanti). (comma 5).

Andrebbe valutata l’opportunità di specificare se il termine di 20 giorni è riferito all’obbligo di pubblicazione sul sito internet o al termine per il rilascio del certificato.

 

Ai sensi del TU delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale (D.P.R. n. 313 del 2002), con l'espressione "certificato penale" si fa riferimento al certificato che l'interessato può chiedere all'ufficio locale del casellario giudiziale, sito presso ogni Procura della Repubblica, nel quale sono iscritti, per estratto, i provvedimenti penali di condanna definitivi, con le relative pene anche accessorie,  i provvedimenti giudiziari relativi a misure alternative alla detenzione, liberazione condizionale, sospensione del procedimento con messa alla prova nonché quelli relativi all'applicazione di misure di prevenzione.

Il certificato penale non comprende:

- le condanne delle quali è stato ordinato che non si faccia menzione;

- le condanne per contravvenzioni punibili con la sola ammenda e le condanne per reati estinti;

- le condanne amnistiate e quelle per le quali è stata dichiarata la riabilitazione;

- alcuni dei provvedimenti previsti dalla disciplina del patteggiamento (art. 445 c.p.p.) ed i decreti penali;

- i provvedimenti che riguardano l'applicazione delle misure di prevenzione della sorveglianza speciale semplice o con divieto o obbligo di soggiorno;

- i provvedimenti giudiziari emessi dal giudice di pace;

- i provvedimenti giudiziari relativi ai reati di competenza del giudice di pace;

- i provvedimenti giudiziari definitivi di interdizione e inabilitazione;

-  i provvedimenti giudiziari che dichiarano fallito l'imprenditore, quelli di omologazione del concordato fallimentare e quelli di chiusura del fallimento, quelli di riabilitazione del fallito.

Per il rilascio del certificato, la richiesta va presentata dall’interessato (o da persona da lui delegata), personalmente o per posta. Il certificato è rilasciato nello stesso giorno della richiesta, eccetto il certificato di emergenza che è rilasciato non appena sono acquisiti i dati necessari. Il rilascio comporta il pagamento di un'imposta di bollo, tranne in specifiche ipotesi individuate dal legislatore. Il certificato ha una validità di 6 mesi dalla data di rilascio.

Il certificato penale non fa menzione delle condanne per le quali è intervenuta riabilitazione; la riabilitazione, infatti, ai sensi dell'art. 178 del codice penale «estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti». In merito, si ricorda che il disegno di legge, all'art. 1 co. 1, lett. g), dispone invece che in caso di condanna per alcuni delitti contro la pubblica, nonostante l'intervenuta riabilitazione, la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici non si estingua.

Diverso dal certificato penale è il certificato dei carichi pendenti che contiene l'insieme dei dati relativi a procedimenti penali in corso, nei quali l'interessato rivesta la qualità di imputato.

 

Non è richiesto, ai fini di cui al comma 5, il rilascio del consenso degli interessati.

Relativamente a tale previsione, che consente la pubblicazione dei dati dei candidati (curriculum e certificato penale) sul sito internet dei partiti e movimenti politici, a prescindere dal consenso degli interessati, si richiama quanto già evidenziato riguardo alla disciplina vigente in materia di trattamento dei dati personali (v. supra).

 

In caso di violazione di tale previsione è stabilita una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 12.000 a 120.000 (art. 10, comma 3).

Trasmissione annuale dei rendiconti con la certificazione e il giudizio del revisore legale

Ai sensi del comma 6 i partiti e i movimenti politici devono trasmettere annualmente i rendiconti di esercizio alla Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici, con i relativi allegati e con la certificazione e il giudizio del revisore legale.

In caso di violazione di tale previsione è stabilita una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 12.000 a 120.000 (art. 10, comma 3).

 

L’obbligo di redigere e trasmettere i rendiconti e di acquisire la certificazione ed il giudizio del revisore legale è previsto – al comma 6 – in capo ai “partiti e movimenti politici”. La nuova disposizione sembra quindi volta ad estendere la perimetrazione dei soggetti politici destinatari degli obblighi in questione rispetto alla disciplina vigente che attualmente riconduce il complesso degli obblighi di rendicontazione e certificazione ai partiti iscritti nel registro dei partiti politici o che abbiano una certa rappresentatività sul territorio.

Come ricordato da ultimo anche dalla Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici nel corso dell’audizione svolta al Senato al volgere della XVII legislatura sul testo approvato dalla Camera in materia di trasparenza dei partiti politici (S. 2439), attualmente, in relazione ai destinatari dell’obbligo di rendicontazione, vengono in rilievo due norme.

Da una parte, l’articolo 18 del decreto-legge n. 149/2013 che stabilisce che ai fini della relativa applicazione “si intendono per partiti politici i partiti, i movimenti e i gruppi politici organizzati che abbiano presentato candidati sotto il proprio simbolo alle elezioni per il rinnovo di uno degli organi indicati dall’articolo 10, comma 1, lettera a) [7] , nonché i partiti e movimenti politici di cui al comma 2 del medesimo articolo 10 [8] .

Dall’altra l’articolo 9 della legge n. 96 del 2012, che al comma 1 indica come destinatari dell’obbligo di ricorrere ad una società di revisione iscritta nell’albo CONSOB, i partiti e i movimenti politici, ivi incluse le liste di candidati che non siano diretta espressione degli stessi, che abbiano conseguito almeno il 2 per cento dei voti validi espressi nelle elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati ovvero che abbiano almeno un rappresentante eletto alla Camera medesima, al Senato della Repubblica o al Parlamento europeo o in un consiglio regionale o nei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano. Il successivo comma 4, invece, non riporta il riferimento alle liste di candidati tra i destinatari dell’obbligo di rendicontazione. “Nel delineato contesto normativo la Commissione, ha optato per un’interpretazione dell’articolo 9, comma 4, della legge 96 del 2012, che ha condotto all’esclusione dall’obbligo di rendicontazione delle liste di candidati che non siano diretta espressione dei partiti e le compagini il cui spessore ed assetto organizzativo sia finalizzato alla sola fase elettorale rispetto alle quali non siano ravvisabili elementi rilevatori di una permanenza nel panorama politico al di là del periodo elettorale.

Infine, si ricorda che l’art. 5 del DL 149/2013 prescrive, al comma 2, che entro il 15 luglio di ciascun anno, nei siti internet dei partiti politici sono pubblicati gli statuti dei partiti, dopo i controlli di regolarità e conformità, il rendiconto di esercizio corredato della relazione sulla gestione e della nota integrativa, la relazione del revisore o della società di revisione, ove prevista, nonché il verbale di approvazione del rendiconto di esercizio da parte del competente organo del partito politico.


 

Articolo 8
(Disposizioni in materia di tracciabilità di contributi a partiti politici e a soggetti titolari di cariche elettive)

 

L’articolo 8 interviene, ad integrazione e completamento dell’articolo 7, con diverse modifiche alla normativa vigente in materia di pubblicità e tracciabilità dei contributi erogati. In particolare, per i soggetti titolari di cariche elettive e di governo, inclusi i tesorieri dei partiti politici, l’obbligo di corredare la dichiarazione patrimoniale e di reddito con l’indicazione di quanto ricevuto è riferito ad ogni importo annuo superiore a 500 euro (anziché 5.000), ricevuto direttamente o attraverso comitati di sostegno; deve esserne al contempo data evidenza nel sito internet del Parlamento italiano.

Viene inoltre abbassato a 1.000 euro (da 5.000 euro) il tetto annuo di finanziamento o contribuzione al raggiungimento del quale è previsto l’obbligo di sottoscrivere una dichiarazione congiunta tra il soggetto erogante ed il beneficiario, superando la deroga attualmente prevista per i versamenti effettuati con mezzi di pagamento diversi dal contante che consentano di garantire la tracciabilità dell'operazione e l'identità dell'autore.

 

Il comma 1 modifica, in più parti, il vigente articolo 5 del decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149 che reca norme relative agli obblighi di pubblicità delle erogazioni in favore dei partiti e movimenti politici.

Con la modifica disposta dalla lett. a) al comma 2-bis del citato art. 5 è ridotto da 5000 euro a 500 euro il limite dell’importo annuo ricevuto a titolo di liberalità da parte dei soggetti titolari di cariche elettive e di governo, inclusi i tesorieri dei partiti politici, elencate alla L. 441/1982, sopra il quale vi è l’obbligo di corredare la dichiarazione patrimoniale e di reddito con l’indicazione di quanto ricevuto, direttamente o attraverso comitati di sostegno.

 

La L. 441/1982 prescrive obblighi di pubblicità della situazione patrimoniale per i membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, per i membri del Senato e della Camera; per il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministri, Vice Ministri e Sottosegretari di Stato; per i consiglieri regionali e ai componenti della giunta regionale e per i consiglieri provinciali e componenti della giunta provinciale; per i consiglieri di comuni capoluogo di provincia ovvero con popolazione superiore ai 15.000 abitanti, da effettuare entro tre mesi dalla proclamazione.

L’art. 12 della legge n. 96/2012 prevede inoltre che le disposizioni di cui alla legge 5 luglio 1982, n. 441, si applicano ai soggetti che svolgono le funzioni di tesoriere, o funzioni analoghe, dei partiti o dei movimenti politici che hanno ottenuto almeno un rappresentante eletto al Senato della Repubblica o alla Camera dei deputati nonché a coloro che in un partito politico assumono il ruolo, comunque denominato, di responsabile o rappresentante nazionale, di componente dell'organo di direzione politica nazionale, di presidente di organi nazionali deliberativi o di garanzia.

Ai sensi dell’art. 5 della legge 215/2004 inoltre il titolare di una carica di governo trasmette i dati relativi alle proprie attività patrimoniali, ivi comprese le partecipazioni azionarie; sono incluse anche le attività patrimoniali detenute nei tre mesi precedenti l'assunzione della carica.

Il titolare di cariche di governo deve poi dichiarare ogni successiva variazione dei dati patrimoniali in precedenza forniti, entro venti giorni dai fatti che l'abbiano determinata.

Tali dichiarazioni sono rese anche dal coniuge e dai parenti entro il secondo grado del titolare di cariche di governo.

 

Di tali dichiarazioni è data evidenza – in base al vigente comma 2-bis - nel sito internet del Parlamento italiano quando sono pubblicate nel sito internet del rispettivo ente.

E’ aggiunto inoltre che i contributi ricevuti nei sei mesi precedenti le elezioni per il rinnovo del Parlamento o comunque dopo lo scioglimento anticipato delle Camere, sono pubblicati entro i 15 giorni successivi al loro ricevimento.

 

Per quanto riguarda i finanziamenti ai singoli candidati, si ricorda che dal giorno successivo all'indizione delle elezioni politiche coloro che intendono candidarsi possono raccogliere fondi per il finanziamento della propria campagna elettorale esclusivamente per il tramite di un mandatario elettorale, il cui nome deve essere comunicato al competente Collegio regionale di garanzia elettorale (L. 515/1993, art. 7, comma 3). Il mandatario è tenuto a registrare tutte le operazioni di raccolta di fondi in un unico conto corrente bancario ed, eventualmente, anche in unico conto corrente postale, nell'intestazione del quale è specificato che il titolare agisce in veste di mandatario elettorale di un candidato nominativamente indicato (L. 515/1993, art. 7, comma 4).

Possono versare contributi ai candidati le persone fisiche, enti ed associazioni, le società. I finanziamenti da parte di società sono ammessi solo se deliberati dall’organo sociale competente e regolarmente iscritti in bilancio (L. 659/1981, art. 4, comma 1, e L. 195/1974, art. 7).

Sono vietati i finanziamenti o i contributi, sotto qualsiasi forma e in qualsiasi modo erogati, da parte di organi della pubblica amministrazione, di enti pubblici, di società con partecipazione di capitale pubblico superiore al 20 per cento o di società controllate da queste ultime. Il divieto si applica anche alle società con partecipazione di capitale pubblico pari o inferiore al 20 per cento, nonché alle società controllate da queste ultime, ove tale partecipazione assicuri comunque al soggetto pubblico il controllo della società (L. 659/1981, art. 4, comma 1, e L. 195/1974, art. 7).

Per i finanziamenti o contributi per un importo che nell’anno superi euro 5.000, sotto qualsiasi forma, compresa la messa a disposizione di servizi, vi è l’obbligo di effettuare una dichiarazione congiunta con il soggetto donatore al Presidente della Camera (L. 659/1981, art. 4, terzo comma ).

I contributi ricevuti e le spese sostenute per la campagna elettorale devono essere dichiarati al Collegio regionale di garanzia elettorale e, in caso di elezione, anche all’Ufficio di presidenza della Camera di appartenenza. Alla dichiarazione devono essere allegate inoltre le dichiarazioni congiunte previste dalla legge n. 659 del 1981 (L. 515/1993, art. 7, commi 6 e 7).

Per quanto riguarda i finanziamenti privati ai partiti, anche in questo caso possono versare contributi per la campagna elettorale dei partiti le persone fisiche, gli enti ed associazioni, le società. I finanziamenti da parte di società sono ammessi solo se deliberati dall’organo sociale competente e regolarmente iscritti in bilancio (L. 195/1974, art. 7). Come per i singoli candidati, anche per i partiti sono vietati i finanziamenti o i contributi, sotto qualsiasi forma e in qualsiasi modo erogati, da parte di organi della pubblica amministrazione, enti pubblici, società con partecipazione di capitale pubblico superiore al 20 per cento, o anche pari o inferiore al 20 per cento, qualora tale partecipazione assicuri comunque al soggetto pubblico il controllo della società, e di società controllate (L. 195/1974, art. 7).

Come per i singoli candidati, per i finanziamenti o contributi per un importo che nell’anno superi euro 5.000 , sotto qualsiasi forma, compresa la messa a disposizione di servizi, vi è l’obbligo di effettuare una dichiarazione congiunta con il soggetto donatore al Presidente della Camera (L. 659/1981, art. 4, terzo comma ); per i partiti iscritti nel registro, per i finanziamenti e i contributi erogati attraverso mezzi di pagamento tracciabili è prevista invece la trasmissione alla Presidenza della Camera dell’elenco dei soggetti che hanno erogato finanziamenti e contributi di importo superiore nell’anno a 5.000 euro (D.L. 149/2013, art. 5, comma 3).

I partiti hanno, inoltre, l’obbligo di rendicontare tutti i contributi ricevuti per la campagna elettorale alla Corte dei conti e di indicare le spese per le campagne elettorali nella relazione allegata al rendiconto annuale.

 

E’ altresì modificato (lett. b), in più parti, il comma 3 dell’art. 5 del DL 149/2013. Viene, in particolare, soppressa la vigente previsione (primo periodo) in base alla quale ai finanziamenti o ai contributi erogati in favore dei partiti politici iscritti nel registro dei partiti politici, che non superino nell'anno l'importo di euro 100.000, effettuati con mezzi di pagamento diversi dal contante che consentano di garantire la tracciabilità dell'operazione e l'esatta identità dell'autore, non si applica l’obbligo (di cui al terzo comma dell'articolo 4 della legge 18 novembre 1981, n. 659) di sottoscrivere una dichiarazione congiunta tra il soggetto erogante ed il beneficiario depositata presso la Presidenza della Camera dei deputati ed accessibile a tutti i cittadini elettori per la Camera.

Con il comma 2 dell’articolo in esame (v. infra), al contempo, è fissato a 1.000 euro (anziché 5.000 euro come previsto dal testo vigente) il tetto annuo di finanziamento o contribuzione al raggiungimento del quale è previsto l’obbligo di sottoscrivere la suddetta dichiarazione congiunta, che quindi si applica per ogni tipo di finanziamento o contribuzione a prescindere la mezzo di pagamento utilizzato.

 

Sempre alla lett. b) è ridotto da 5.000 a 500 euro il tetto sopra il quale i rappresentanti legali dei partiti beneficiari dei finanziamenti o dei contributi erogati in favore dei partiti iscritti nel registro dei partiti politici sono tenuti a trasmettere alla Presidenza della Camera dei deputati l'elenco dei soggetti che hanno erogato finanziamenti o contributi di importo superiore, nell'anno, a tale somma, e la relativa documentazione contabile. Si dispone inoltre che tale obbligo debba essere adempiuto entro il mese solare successivo a quello di percezione del finanziamento o del contributo, anziché entro 3 mesi come previsto dal testo vigente.

 

Si ricorda che per ottenere l’iscrizione nel registro, i partiti devono dotarsi di uno statuto, adottato nella forma di atto pubblico e che rispetti una dettagliata serie di requisiti di trasparenza e democraticità indicati nel decreto-legge.

L'iscrizione e la permanenza nel registro sono – in base al DL 149/2013 - condizioni necessarie per l'ammissione dei partiti politici ai benefici (2 per mille e detrazione sulle erogazioni liberali).

Il registro è consultabile in un'apposita sezione del sito internet ufficiale del Parlamento italiano, in cui sono evidenziate due separate sezioni, recanti l'indicazione dei partiti politici che soddisfano i requisiti per l’accesso alle due tipologie di benefici.

 

Viene altresì specificato che deve avvenire “contestualmente alla trasmissione alla Presidenza della Camera” la pubblicazione nel sito internet del Parlamento italiano dell'elenco dei soggetti che hanno erogato i predetti finanziamenti o contributi e i relativi importi; al contempo, con le modifiche introdotte non è più richiesto il rilascio del consenso espresso degli interessati per l’adempimento degli obblighi di pubblicazione nel sito internet del Parlamento.

Resta, al contempo, ferma la vigente previsione del comma 3 in base alla quale l'elenco dei soggetti che hanno erogato i predetti finanziamenti o contributi e i relativi importi è pubblicato, come allegato al rendiconto di esercizio, nel sito internet del partito politico; anche per tale obbligo il disegno di legge in esame prevede che non sia richiesto il rilascio del consenso espresso degli interessati per l’adempimento degli obblighi di pubblicazione nel sito internet.

 

Si ricorda che l’art. 5 del DL 149/2013 prescrive altresì, al comma 2 che nei siti internet dei partiti politici sono pubblicati gli statuti dei partiti, dopo i controlli di regolarità e conformità, il rendiconto di esercizio corredato della relazione sulla gestione e della nota integrativa, la relazione del revisore o della società di revisione, ove prevista, nonché il verbale di approvazione del rendiconto di esercizio da parte del competente organo del partito politico.

 

Appare opportuno valutare le previsioni che non richiedono la prestazione del consenso per la pubblicazione su internet dei dati sui soggetti che hanno erogato finanziamenti o contributi in favore di partiti o movimenti politici, e relativi importi, alla luce dei principi generali del Codice della privacy e del Regolamento UE (si veda quanto evidenziato, in relazione ad un profilo analogo, all’art. 7).

 

E’ infine abrogata la previsione (ottavo periodo) che demandava ad un decreto ministeriale, non adottato, l’individuazione delle modalità per garantire la tracciabilità delle operazioni e l'identificazione dei soggetti che hanno erogato finanziamenti o contributi in favore dei partiti politici iscritti nel registro dei partiti politici effettuati con mezzi di pagamento diversi dal contante che consentano di garantire la tracciabilità dell'operazione e l'esatta identità dell'autore ed ai quali non si applica l’obbligo di sottoscrivere una dichiarazione congiunta da depositare presso la Camera dei deputati (previsione soppressa dal comma 1, lett. b), n. 1 del disegno di legge in esame).

 

Come accennato, il comma 2 interviene, a sua volta, riducendo da 5.000 euro a 1.000 euro il tetto annuo di finanziamento o contribuzione al raggiungimento del quale è previsto dall’ordinamento l’obbligo di sottoscrivere una dichiarazione congiunta con l’erogatore, da depositare presso la Presidenza della Camera dei deputati ovvero a questa indirizzato con raccomandata con avviso di ricevimento (articolo 4, terzo comma, della legge 18 novembre 1981, n. 659).

Tale obbligo è previsto in capo ai partiti o loro articolazioni politico-organizzative o gruppi parlamentari, ai membri del Parlamento nazionale, ai membri italiani del Parlamento europeo, ai consiglieri regionali, provinciali e comunali, ai candidati alle predette cariche, ai raggruppamenti interni dei partiti politici nonché a coloro che rivestono cariche di presidenza, di segreteria e di direzione politica e amministrativa a livello nazionale, regionale, provinciale e comunale nei partiti politici.

La disposizione riguarda finanziamenti o contributi erogati sotto qualsiasi forma, compresa la messa a disposizione di servizi.

Ai sensi dell’art. 4 della L. 659/1981 l'obbligo deve essere adempiuto entro tre mesi dalla percezione del contributo o finanziamento. Nel caso di contributi o finanziamenti erogati dallo stesso soggetto, che soltanto nella loro somma annuale superino l'ammontare predetto, l'obbligo deve essere adempiuto entro il mese di marzo dell'anno successivo.

 

Si ricorda che il medesimo art. 4 della L. 659/1981 specifica che la previsione non trova applicazione per i finanziamenti direttamente concessi da istituti di credito o da aziende bancarie, alle condizioni fissate dagli accordi interbancari. Prevede inoltre che, nell'ipotesi di contributi o finanziamenti di provenienza estera, l'obbligo della dichiarazione è posto a carico del solo soggetto che li percepisce. Si ricorda, in proposito, che l’articolo 7 del disegno di legge fa divieto ai partiti e movimenti politici di ricevere contributi provenienti da governo o enti pubblici di Stati esteri o da persone fisiche non iscritte nelle liste elettorali.

 

La riduzione da 5.000 a 1.000 di cui sopra si applica anche alla rendicontazione dei contributi e delle spese elettorali dei candidati alle elezioni. Infatti, i membri delle due Camere sono tenuti, entro tre mesi dalla proclamazione, a presentare sia all’Ufficio di Presidenza della Camera di appartenenza (L. 441/1982, art. 2, primo comma), sia al competente Collegio regionale di garanzia elettorale (L. 515/1993, art. 7, comma 6) una dichiarazione concernente le spese sostenute e le obbligazioni assunte per la propaganda elettorale ovvero l'attestazione di essersi avvalsi esclusivamente di mezzi propagandistici messi a disposizione dal partito di appartenenza In entrambi i casi, alla dichiarazione debbono essere allegate contributi ricevuti che superino 5.000 euro, cifra che ad opera della disposizione in esame viene ridotta a 1.000 euro.

 

La sanzione in caso di violazione del suddetto obbligo di dichiarazione congiunta, stabilita dal vigente articolo 4, anche per chi dichiara somme o valori inferiori al vero, è quella della multa da due a sei volte l'ammontare non dichiarato e della pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici.

Si ricorda altresì che, ai sensi dell’art. 8, secondo comma, della legge 441/1982, tutti i cittadini iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera dei deputati hanno diritto di conoscere, secondo le modalità stabilite dal Presidente della Camera dei deputati, le dichiarazioni previste dal citato terzo comma dell'articolo 4 della legge n. 659/1981.

 

Nelle conclusioni del Rapporto GRECO del giugno 2018 Addendum al Secondo Rapporto di Conformità sull’Italia, alla Raccomandazione IV, si prende atto che per assicurare la trasparenza e la facilità di accesso da parte del pubblico nella misura più ampia possibile come richiesto dal GRECO, la Camera dei Deputati ha deciso di trasmettere in tempo reale via e-mail le informazioni contenute nella dichiarazione congiunta ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3 della Legge n. 659 del 1981 (vale a dire l’ammontare delle somme di denaro e i servizi ricevuti da un candidato durante le elezioni e identificare il donatore) a qualsiasi elettore che lo richiedesse senza che questi si debba recare personalmente presso gli uffici competenti. Una simile iniziativa è stata adottata da alcuni Collegi Elettorali che, come sopra specificato, hanno l’obbligo di assicurare la pubblicità dei conti delle spese relative alle campagne elettorali (articolo 14 della Legge n. 5151 del 1993).

Più in generale, nel Rapporto di giugno 2018 si ricorda come il GRECO raccomanda di (i) elaborare un approccio coordinato per la pubblicazione delle informazioni sul finanziamento dei partiti e delle campagne elettorali; (ii) assicurarsi che tali informazioni siano rese disponibili in modo coerente, comprensibile e tempestivo, fornendo in tal modo un accesso più facile e significativo al pubblico, compreso un uso ottimale della pubblicazione via internet.

 

Si ricorda infine che nella XVII legislatura la Camera dei deputati ha approvato (nel mese di giugno 2016) un testo unificato (A.S. 2439) che interveniva sulla disciplina dei partiti politici con norme volte a favorire la trasparenza e la partecipazione democratica e ad introdurre una nuova disciplina per le erogazioni in favore di partiti politici o loro articolazioni politico-organizzative. Il Senato non ha poi approvato il testo prima della conclusione della legislatura.


 

Art. 5 DL 149/2013

Testo vigente

Art. 5 DL 149/2013

Testo risultante dalle modifiche di cui all’art. 8 del ddl

Norme per la trasparenza e la semplificazione

 

1. I partiti politici assicurano la trasparenza e l'accesso alle informazioni relative al proprio assetto statutario, agli organi associativi, al funzionamento interno e ai bilanci, compresi i rendiconti, anche mediante la realizzazione di un sito internet che rispetti i principi di elevata accessibilità, anche da parte delle persone disabili, di completezza di informazione, di chiarezza di linguaggio, di affidabilità, di semplicità di consultazione, di qualità, di omogeneità e di interoperabilità.

2. Entro il 15 luglio di ciascun anno, nei siti internet dei partiti politici sono pubblicati gli statuti dei partiti medesimi, dopo il controllo di conformità di cui all'articolo 4, comma 2, del presente decreto, nonché, dopo il controllo di regolarità e conformità di cui all'articolo 9, comma 4, della legge 6 luglio 2012, n. 96, il rendiconto di esercizio corredato della relazione sulla gestione e della nota integrativa, la relazione del revisore o della società di revisione, ove prevista, nonché il verbale di approvazione del rendiconto di esercizio da parte del competente organo del partito politico. Delle medesime pubblicazioni è resa comunicazione ai Presidenti delle Camere e data evidenza nel sito internet ufficiale del Parlamento italiano. Nel medesimo sito internet sono altresì pubblicati, ai sensi del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, i dati relativi alla situazione patrimoniale e di reddito dei titolari di cariche di Governo e dei membri del Parlamento. Ai fini di tale pubblicazione, i membri del Parlamento e i titolari di cariche di Governo comunicano la propria situazione patrimoniale e di reddito nelle forme e nei termini di cui alla legge 5 luglio 1982, n. 441.

2-bis. I soggetti obbligati alle dichiarazioni patrimoniale e di reddito, ai sensi della legge 5 luglio 1982, n. 441, e successive modificazioni, devono corredare le stesse dichiarazioni con l'indicazione di quanto ricevuto, direttamente o a mezzo di comitati costituiti a loro sostegno, comunque denominati, a titolo di liberalità per ogni importo superiore alla somma di 5.000 euro l'anno. Di tali dichiarazioni è data evidenza nel sito internet ufficiale del Parlamento italiano quando sono pubblicate nel sito internet del rispettivo ente.

 

 

 

 

 

3. Ai finanziamenti o ai contributi erogati in favore dei partiti politici iscritti nel registro di cui all'articolo 4, che non superino nell'anno l'importo di euro 100.000, effettuati con mezzi di pagamento diversi dal contante che consentano di garantire la tracciabilità dell'operazione e l'esatta identità dell'autore, non si applicano le disposizioni di cui al terzo comma dell'articolo 4 della legge 18 novembre 1981, n. 659, e successive modificazioni. Nei casi di cui al presente comma, i rappresentanti legali dei partiti beneficiari delle erogazioni sono tenuti a trasmettere alla Presidenza della Camera dei deputati l'elenco dei soggetti che hanno erogato finanziamenti o contributi di importo superiore, nell'anno, a euro 5.000, e la relativa documentazione contabile. L'obbligo di cui al periodo precedente deve essere adempiuto entro tre mesi dalla percezione del finanziamento o del contributo. In caso di inadempienza al predetto obbligo ovvero in caso di dichiarazioni mendaci, si applica la disciplina sanzionatoria di cui al sesto comma dell'articolo 4 della citata legge n. 659 del 1981. L'elenco dei soggetti che hanno erogato i predetti finanziamenti o contributi e i relativi importi sono pubblicati in maniera facilmente accessibile nel sito internet ufficiale del Parlamento italiano. L'elenco dei soggetti che hanno erogato i predetti finanziamenti o contributi e i relativi importi è pubblicato, come allegato al rendiconto di esercizio, nel sito internet del partito politico. Gli obblighi di pubblicazione nei siti internet di cui al quinto e al sesto periodo del presente comma concernono soltanto i dati dei soggetti i quali abbiano prestato il proprio consenso, ai sensi degli articoli 22, comma 12, e 23, comma 4, del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro due mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono individuate le modalità per garantire la tracciabilità delle operazioni e l'identificazione dei soggetti di cui al primo periodo del presente comma.

4. Alle fondazioni e alle associazioni la composizione dei cui organi direttivi sia determinata in tutto o in parte da deliberazioni di partiti o movimenti politici, nonché alle fondazioni e alle associazioni che eroghino somme a titolo di liberalità o contribuiscano al finanziamento di iniziative o servizi a titolo gratuito in favore di partiti, movimenti politici o loro articolazioni interne o di parlamentari o consiglieri regionali, in misura superiore al 10 per cento dei propri proventi di esercizio dell'anno precedente, si applicano le prescrizioni di cui al comma 1 del presente articolo, relative alla trasparenza e alla pubblicità degli statuti e dei bilanci.

Norme per la trasparenza e la semplificazione

 

1. Identico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2. Identico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2-bis. I soggetti obbligati alle dichiarazioni patrimoniale e di reddito, ai sensi della legge 5 luglio 1982, n. 441, e successive modificazioni, devono corredare le stesse dichiarazioni con l'indicazione di quanto ricevuto, direttamente o a mezzo di comitati costituiti a loro sostegno, comunque denominati, a titolo di liberalità per ogni importo superiore alla somma di 500 euro l'anno. Di tali dichiarazioni è data evidenza nel sito internet ufficiale del Parlamento italiano quando sono pubblicate nel sito internet del rispettivo ente. I contributi ricevuti nei sei mesi precedenti le elezioni per il rinnovo del Parlamento o comunque dopo lo scioglimento anticipato delle Camere, sono pubblicati entro i quindici giorni successivi al loro ricevimento.

3. Ai finanziamenti o ai contributi erogati in favore dei partiti politici iscritti nel registro di cui all'articolo 4, che non superino nell'anno l'importo di euro 100.000, effettuati con mezzi di pagamento diversi dal contante che consentano di garantire la tracciabilità dell'operazione e l'esatta identità dell'autore, non si applicano le disposizioni di cui al terzo comma dell'articolo 4 della legge 18 novembre 1981, n. 659, e successive modificazioni. Nei casi di cui al presente comma, I rappresentanti legali dei partiti beneficiari dei finanziamenti o dei contributi erogati in favore dei partiti politici iscritti nel registro di cui all’articolo 4 sono tenuti a trasmettere alla Presidenza della Camera dei deputati l'elenco dei soggetti che hanno erogato finanziamenti o contributi di importo superiore, nell'anno, a euro 500, e la relativa documentazione contabile. L'obbligo di cui al periodo precedente deve essere adempiuto entro il mese solare successivo a quello di  percezione del finanziamento o del contributo. In caso di inadempienza al predetto obbligo ovvero in caso di dichiarazioni mendaci, si applica la disciplina sanzionatoria di cui al sesto comma dell'articolo 4 della citata legge n. 659 del 1981. L'elenco dei soggetti che hanno erogato i predetti finanziamenti o contributi e i relativi importi è pubblicato in maniera facilmente accessibile nel sito internet ufficiale del Parlamento italiano contestualmente alla sua trasmissione alla Presidenza della Camera. L'elenco dei soggetti che hanno erogato i predetti finanziamenti o contributi e i relativi importi è pubblicato, come allegato al rendiconto di esercizio, nel sito internet del partito politico. Ai fini dell’ottemperanza agli obblighi di pubblicazione nei seti internet di cui al quarto e quinto periodo non è richiesto il rilascio del consenso espresso degli interessati. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro due mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono individuate le modalità per garantire la tracciabilità delle operazioni e l'identificazione dei soggetti di cui al primo periodo del presente comma.

4. Alle fondazioni e alle associazioni la composizione dei cui organi direttivi sia determinata in tutto o in parte da deliberazioni di partiti o movimenti politici, nonché alle fondazioni e alle associazioni che eroghino somme a titolo di liberalità o contribuiscano al finanziamento di iniziative o servizi a titolo gratuito in favore di partiti, movimenti politici o loro articolazioni interne o di parlamentari o consiglieri regionali, in misura superiore al 10 per cento dei propri proventi di esercizio dell'anno precedente, si applicano le prescrizioni di cui al comma 1 del presente articolo, relative alla trasparenza e alla pubblicità degli statuti e dei bilanci.

 

 

Art. 4 L. 659/1981

Testo vigente

Art. 4 L. 659/1981

Testo risultante dalle modifiche di cui all’art. 8 del ddl

4. I divieti previsti dall'art. 7 della L. 2 maggio 1974, n. 195 , sono estesi ai finanziamenti ed ai contributi in qualsiasi forma o modo erogati, anche indirettamente, ai membri del Parlamento nazionale, ai membri italiani del Parlamento europeo, ai consiglieri regionali, provinciali e comunali, ai candidati alle predette cariche, ai raggruppamenti interni dei partiti politici nonché a coloro che rivestono cariche di presidenza, di segreteria e di direzione politica e amministrativa a livello nazionale, regionale, provinciale e comunale nei partiti politici.

Nel caso di contributi erogati a favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative e di gruppi parlamentari in violazione accertata con sentenza passata in giudicato, dei divieti previsti dall'art. 7, L. 2 maggio 1974, n. 195, l'importo del contributo statale di cui all'art. 3 della stessa legge è decurtato in misura pari al doppio delle somme illegittimamente percepite.

Nel caso di erogazione di finanziamenti o contributi ai soggetti indicati nell'art. 7, L. 2 maggio 1974, n. 195, e nel primo comma del presente articolo, per un importo che nell'anno superi euro cinquemila sotto qualsiasi forma, compresa la messa a disposizione di servizi, il soggetto che li eroga ed il soggetto che li riceve sono tenuti a farne dichiarazione congiunta, sottoscrivendo un unico documento, depositato presso la Presidenza della Camera dei deputati ovvero a questa indirizzato con raccomandata con avviso di ricevimento. Detti finanziamenti o contributi o servizi, per quanto riguarda la campagna elettorale, possono anche essere dichiarati a mezzo di autocertificazione dei candidati. La disposizione di cui al presente comma non si applica per tutti i finanziamenti direttamente concessi da istituti di credito o da aziende bancarie, alle condizioni fissate dagli accordi interbancari.

Nell'ipotesi di contributi o finanziamenti di provenienza estera l'obbligo della dichiarazione è posto a carico del solo soggetto che li percepisce.

L'obbligo di cui al terzo e quarto comma deve essere adempiuto entro tre mesi dalla percezione del contributo o finanziamento. Nel caso di contributi o finanziamenti erogati dallo stesso soggetto, che soltanto nella loro somma annuale superino l'ammontare predetto, l'obbligo deve essere adempiuto entro il mese di marzo dell'anno successivo.

Chiunque non adempie gli obblighi di cui al terzo, quarto e quinto comma ovvero dichiara somme o valori inferiori al vero è punito con la multa da due a sei volte l'ammontare non dichiarato e con la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici prevista dal terzo comma dell'articolo 28 del codice penale.

L'art. 8, L. 2 maggio 1974, n. 195 , è abrogato.

4. I divieti previsti dall'art. 7 della L. 2 maggio 1974, n. 195 , sono estesi ai finanziamenti ed ai contributi in qualsiasi forma o modo erogati, anche indirettamente, ai membri del Parlamento nazionale, ai membri italiani del Parlamento europeo, ai consiglieri regionali, provinciali e comunali, ai candidati alle predette cariche, ai raggruppamenti interni dei partiti politici nonché a coloro che rivestono cariche di presidenza, di segreteria e di direzione politica e amministrativa a livello nazionale, regionale, provinciale e comunale nei partiti politici.

Nel caso di contributi erogati a favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative e di gruppi parlamentari in violazione accertata con sentenza passata in giudicato, dei divieti previsti dall'art. 7, L. 2 maggio 1974, n. 195, l'importo del contributo statale di cui all'art. 3 della stessa legge è decurtato in misura pari al doppio delle somme illegittimamente percepite.

Nel caso di erogazione di finanziamenti o contributi ai soggetti indicati nell'art. 7, L. 2 maggio 1974, n. 195, e nel primo comma del presente articolo, per un importo che nell'anno superi euro mille sotto qualsiasi forma, compresa la messa a disposizione di servizi, il soggetto che li eroga ed il soggetto che li riceve sono tenuti a farne dichiarazione congiunta, sottoscrivendo un unico documento, depositato presso la Presidenza della Camera dei deputati ovvero a questa indirizzato con raccomandata con avviso di ricevimento. Detti finanziamenti o contributi o servizi, per quanto riguarda la campagna elettorale, possono anche essere dichiarati a mezzo di autocertificazione dei candidati. La disposizione di cui al presente comma non si applica per tutti i finanziamenti direttamente concessi da istituti di credito o da aziende bancarie, alle condizioni fissate dagli accordi interbancari.

Nell'ipotesi di contributi o finanziamenti di provenienza estera l'obbligo della dichiarazione è posto a carico del solo soggetto che li percepisce.

L'obbligo di cui al terzo e quarto comma deve essere adempiuto entro tre mesi dalla percezione del contributo o finanziamento. Nel caso di contributi o finanziamenti erogati dallo stesso soggetto, che soltanto nella loro somma annuale superino l'ammontare predetto, l'obbligo deve essere adempiuto entro il mese di marzo dell'anno successivo.

Chiunque non adempie gli obblighi di cui al terzo, quarto e quinto comma ovvero dichiara somme o valori inferiori al vero è punito con la multa da due a sei volte l'ammontare non dichiarato e con la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici prevista dal terzo comma dell'articolo 28 del codice penale.

L'art. 8, L. 2 maggio 1974, n. 195 , è abrogato.


 

Articolo 9 e 11
(
Norme in materia di trasparenza nei rapporti tra partiti politici e fondazioni)

 

Gli articoli 9 e 11 recano disposizioni in materia di trasparenza nei rapporti tra partiti politici e fondazioni politiche.

In primo luogo, alle fondazioni, associazioni e i comitati per i quali ricorre uno degli elementi previsti dal testo (in cui vengono in rilievo, ai fini della determinazione di un “indice di colleganza” con partiti o movimenti politici, la composizione degli organi direttivi, lo scopo sociale, gli incarichi istituzionali rivestiti) si applicano i medesimi obblighi in materia di trasparenza e rendicontazione stabiliti per i partiti o movimenti politici dal disegno di legge e dall’art. 5 del DL 149/2013 (come modificato dall’art. 8).

In secondo luogo, è introdotto il divieto per un partito o movimento politico di “collegarsi” a più di una fondazione, associazione o comitato per i quali ricorra uno dei suddetti elementi.

 

L’applicazione degli obblighi di trasparenza alle fondazioni, associazioni o comitati

All’articolo 9, con il comma 1 viene, in primo luogo, previsto che sono equiparate ai partiti e movimenti politici per l’applicazione delle prescrizioni in materia di trasparenza delle erogazioni effettuate (di cui all’art. 5 del DL 149/2013, come risultante dalle modifiche disposte dal disegno di legge all’art. 8 – v- supra e al Capo II del disegno di legge, come previsto dall’art. 11) le fondazioni, associazioni e i comitati che abbiano gli elementi previsti dal testo, ritenuti indici di collegamento con un partito o movimento politico. A tal fine, viene sostituito il vigente articolo 5, comma 4, del decreto-legge n. 149/2013, che aveva introdotto prescrizioni in materia di trasparenza per le fondazioni politiche.

 

Il vigente art. 5, comma 4, dispone che si applicano le stesse prescrizioni relative alla trasparenza e alla pubblicità degli statuti e dei bilanci alle fondazioni e alle associazioni la composizione dei cui organi direttivi sia determinata in tutto o in parte da deliberazioni di partiti o movimenti politici, nonché alle fondazioni e alle associazioni che eroghino somme a titolo di liberalità o contribuiscano al finanziamento di iniziative o servizi a titolo gratuito in favore di partiti, movimenti politici o loro articolazioni interne o di parlamentari o consiglieri regionali, in misura superiore al 10 per cento dei propri proventi di esercizio dell'anno precedente.

 

Ai fini dell’applicazione alle fondazioni, associazioni o comitati degli obblighi in materia di trasparenza e rendicontazione stabiliti per i partiti o movimenti politici dal disegno di legge e dall’art. 5 del DL 149/2013 (come risultante dalle modifiche dell’art. 8 del ddl) la disposizione definisce tre tipologie di fondazioni, associazioni e comitati:

·        quelle la cui composizione degli organi direttivi sia determinata in tutto o in parte da deliberazioni di partiti o movimenti politici (previsione già presente nel vigente comma 4);

·        quelle il cui scopo sociale consista nell’elaborazione di politiche pubbliche e i relativi organi direttivi siano composti in tutto o in parte da persone che rivestono la qualità di esponenti di partiti o movimenti politici, quali (per evitare incertezze in sede applicativa andrebbe valutata l’opportunità di specificare se l’elenco che segue nel testo è esaustivo o esemplificativo del concetto di “esponente di partito o movimento politico”):

-        i membri di organi di partiti o movimenti politici;

-        coloro che nei 10 anni precedenti sono stati membri del Parlamento nazionale o del Parlamento europeo o di Assemblee elettive regionali o locali (quindi consiglieri regionali, consiglieri comunali ecc.);

-        coloro che nei 10 anni precedenti ricoprono o hanno ricoperto incarichi di governo a livello nazionale, regionale o locale;

-        coloro che svolgono incarichi istituzionali nelle fondazioni per esservi stati eletti o nominati in virtu’ della loro appartenenza a partiti o movimenti politici (per evitare incertezze in fase applicativa andrebbe valutata l’opportunità di definire più puntualmente i criteri che danno luogo all’ “appartenenza” ad un partito);

·        erogano somme a titolo di liberalità o contribuiscono in misura pari o superiore a 5.000 euro annui al finanziamento di iniziative o servizi a titolo gratuito in favore di partiti, movimenti politici o loro articolazioni interne o di persone che rivestono la qualità di esponenti di partiti o movimenti politici, quali membri di organi di partiti o movimenti politici o persone che ricoprono incarichi istituzionali per esservi state elette o nominate in virtù della loro appartenenza a partiti o movimenti politici, nonché di candidati a cariche istituzionali elettive ( previsione in parte analoga a quella vigente ma con limiti e soggetti beneficiari per alcuni aspetti differenti).

 

Nella relazione AIR allegata al disegno di legge si evidenzia come con la vigente normativa sono esclusi dalla applicazione della disciplina sugli obblighi di trasparenza e di pubblicità “tutti gli enti privi di un collegamento formalizzato con specifici partiti o che presentino rapporti finanziari diretti con gli stessi inferiori ad una data soglia”. Viene altresì rilevato come quello delle fondazioni politiche è “un universo variegato ed in forte crescita”. Dal 2015 ad oggi “l’osservatorio Openpolis ha individuato 121 strutture tra think tank, fondazioni e associazioni che presentano contiguità con le tradizionali organizzazioni politiche anche diverse da forme strutturate di collegamento, con la presenza di esponenti politici negli organi apicali e lo svolgimento di attività politica in senso lato”; su 101 strutture, 43 sono nate a partire dal 2010 “a conferma del trend crescente del fenomeno”.

 

A sua volta, la Commissione per la garanzia dei partiti politici si è soffermata, nel corso dell’audizione svolta al Senato al volgere della XVII legislatura sul testo approvato dalla Camera in materia di trasparenza dei partiti politici (S. 2439), sulla vigente previsione dell’articolo 6 del decreto legge n. 149 del 2013 che, con l’intestazione “Consolidamento (recte allegazione) dei bilanci dei partiti politici”, tra l’altro impone, a partire dall’esercizio finanziario 2014, l’allegazione al bilancio dei partiti e dei movimenti politici, dei bilanci “delle fondazioni e associazioni la composizione dei cui organi direttivi sia determinata in tutto o in parte da deliberazioni dei medesimi partiti o movimenti politici”. “Gli obblighi imposti, ai quali è estraneo ogni effetto sulle poste contabili dei rendiconti dei partiti, sono ispirati a criteri di trasparenza (al pari di quelli previsti dal precedente articolo 5, comma 4, per le associazioni e le fondazioni, che versano nelle situazioni di composizione degli organi direttivi o di erogazione di contribuzioni e servizi ai partiti nelle modalità prese in considerazione dalla disposizione medesima) e sul piano dell’effettività sono connessi alla sussistenza di un indice di colleganza strettamente formalistico di carattere organizzativo, consistente nella composizione degli organi direttivi delle fondazioni e associazioni determinata dalle deliberazioni dei partiti. La casistica del “consolidamento” riscontrata nell'attività di questa Commissione (anche da parte dei rappresentanti legali dei partiti con la richiesta di un’apposita attestazione) è risultata estremamente ridotta, rimanendo, pertanto, estranee ad ogni forma di pubblicità le numerose fondazioni e associazioni che, secondo gli organi di stampa, sarebbero a vario e diverso titolo collegate ad esponenti di partiti”.

 

L’articolo 11 del disegno di legge, al contempo, prevede che ai sensi e per gli effetti delle disposizioni di cui al capo II della presente legge (articoli 7-11), le fondazioni, le associazioni e i comitati (di cui all’art. 5, comma 4 del DL 149/2013, come sostituito dall'articolo 9, comma 1) sono equiparati ai partiti e movimenti politici.

L’art. 5 del DL 149/2013, a sua volta, nel vigente comma 4 dispone l’applicazione delle prescrizioni di cui al comma 1 del medesimo art. 5 alle fondazioni e associazioni “politiche”. Con le modifiche disposte dall’articolo 9 in esame è disposta l’applicazione a tali soggetti degli obblighi recati dall’intero art. 5.

Rispetto al testo vigente dunque sono estesi gli elementi che comportano l’applicazione alle fondazioni, associazioni e comitati degli stessi obblighi posti in capo ai partiti e movimenti politici in materia di trasparenza. Al contempo, sono ampliati gli obblighi che le fondazioni, associazioni e comitati sono chiamati a rispettare.

 


 

 

Si riepilogano di seguito i principali obblighi.

 

Ø  Le prescrizioni dell’art. 5 del DL 149/2013:

-        assicurare la trasparenza e l'accesso alle informazioni relative al proprio assetto statutario, agli organi associativi, al funzionamento interno e ai bilanci, compresi i rendiconti, anche mediante la realizzazione di un sito internet che rispetti i principi di elevata accessibilità, anche da parte delle persone disabili, di completezza di informazione, di chiarezza di linguaggio, di affidabilità, di semplicità di consultazione, di qualità, di omogeneità e di interoperabilità (comma 1);

-        trasmissione del rendiconto di esercizio corredato della relazione sulla gestione e della nota integrativa, la relazione del revisore o della società di revisione, ove prevista, nonché il verbale di approvazione del rendiconto di esercizio da parte del competente organo del partito politico (comma 2). In base a tale comma delle medesime pubblicazioni è resa comunicazione ai Presidenti delle Camere e data evidenza nel sito internet ufficiale del Parlamento italiano; nel medesimo sito internet sono altresì pubblicati, ai sensi del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, i dati relativi alla situazione patrimoniale e di reddito dei titolari di cariche di Governo e dei membri del Parlamento. Andrebbe quindi chiarita l’applicabilità alle fondazioni, associazioni o comitati di tali ultime previsioni;

-        trasmissione da parte dei rappresentanti legali dei partiti beneficiari dei finanziamenti o dei contributi erogati in favore dei partiti politici iscritti nel registro alla Presidenza della Camera dei deputati l'elenco dei soggetti che hanno erogato finanziamenti o contributi di importo superiore, nell'anno, a euro 500, e la relativa documentazione contabile. Pubblicazione sul sito internet dell’elenco dei soggetti che hanno erogato i predetti finanziamenti o contributi e i relativi importi come allegato al rendiconto di esercizio (comma 3). Anche in questo caso andrebbe quindi chiarita l’applicabilità alle fondazioni, associazioni o comitati di tali ultime previsioni.

 

Ø  Le prescrizioni del Capo II del disegno di legge in esame (artt. 7-12):

-        l’obbligo per i partiti e movimenti politici - entro il mese successivo a quello della percezione - di annotare, per ogni importo ricevuto da contribuzioni o prestazioni complessivamente superiore a 500 euro, in un registro bollato dal notaio l’identità dell’erogante, l’entità del contributo o il valore della prestazione o di altra forma di sostegno e la data dell’erogazione. I medesimi dati devono essere riportati nel rendiconto e contestualmente pubblicati sul relativo sito istituzionale (art. 7, comma 1 e ss.);

-        obbligo di trasmettere annualmente i rendiconti di esercizio alla Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici, con i relativi allegati e con la certificazione e il giudizio del revisore legale (art. 7, comma 6). Può essere a tal fine valutata l’opportunità di specificare se sia in tal caso applicabile anche la connessa prescrizione dell’art. 9 della l. 96/2012 in base alla quale “il controllo della gestione contabile e finanziaria può essere affidato alla medesima società di revisione con un incarico relativo a tre esercizi consecutivi, rinnovabile per un massimo di ulteriori tre esercizi consecutivi”.

 

Ø  Le sanzioni stabilite all’articolo 10 nel caso di violazione delle disposizioni recate dal disegno di legge (v. scheda art. 10.)

 

Fondazioni, associazioni e comitati nella disciplina civilistica

 

Il Capo II del Libro primo, Titolo II, del Codice civile è dedicato associazioni ed alle fondazioni.

Con l’espressione “associazione non riconosciuta” s’intende una collettività di persone organizzata per il raggiungimento di uno scopo comune - lecito e non segreto - che non ha richiesto (o ottenuto) il riconoscimento come persona giuridica.

La disciplina delle associazioni non riconosciute e dei comitati è contenuta nel capo III del titolo II del libro primo del codice civile (artt. da 36 a 42).

Le principali diversità di regime giuridico tra associazione riconosciuta e non riconosciuta riguardano i seguenti aspetti:

§  le associazioni riconosciute hanno un patrimonio, quelle non riconosciute un fondo comune, anche se di fatto esiste identità di condizione giuridica;

§  nelle associazioni riconosciute, risponde delle obbligazioni assunte solo l’associazione ed il suo patrimonio; nella associazioni non riconosciute si aggiunge la responsabilità personale e solidale di coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione (art. 38);

§  le associazioni riconosciute sono sottoposte ai controlli della autorità governativa ed alle registrazioni previste per le persone giuridiche; nessuna forma di controllo è prevista per le associazioni non riconosciute.

Nell'intenzione del legislatore del 1942, l'associazione non riconosciuta avrebbe dovuto dar veste giuridica a realtà minori e di scarsa importanza sociale (circoli sportivi, ricreativi ecc.); al contrario, essa oggi rappresenta la più usuale forma di presenza, nel nostro ordinamento, dei maggiori gruppi organizzati per fini non lucrativi: tali sono, infatti, i partiti politici, i sindacati, molte società sportive, non avendo richiesto il riconoscimento della personalità giuridica. Tali organismi associativi costituiscono i cd. enti di fatto ovvero complessi organizzati di soggetti e di beni, diretti alla realizzazione di uno scopo non lucrativo, ma privi di personalità giuridica.

Le caratteristiche strutturali delle associazioni non riconosciute sono comuni a quelli delle associazioni riconosciute; c’è, quindi: un’organizzazione; un elemento patrimoniale; lo scopo non di lucro;   la struttura aperta del rapporto.

Anzitutto, il codice civile – in relazione all’organizzazione interna cioè ai rapporti degli associati fra loro, e all’amministrazione dei beni comuni - riconosce efficacia agli accordi intervenuti fra gli associati (art. 36). Anche tali enti hanno la loro fonte in un atto costitutivo e in uno statuto.

Sebbene il codice civile consenta di dare vita ad un’associazione non riconosciuta anche per mezzo di un semplice accordo verbale, nella maggioranza dei casi tali associazioni si costituiscono con un atto scritto (contratto di associazione) che consta di due componenti: l’atto costitutivo e lo statuto.

L’art. 39 è specificamente rivolto ai comitati disponendo che i comitati di soccorso o di beneficenza e i comitati promotori di opere pubbliche, monumenti, esposizioni, mostre, festeggiamenti e simili sono regolati dalle disposizioni 40 e ss. del codice civile, salvo quanto è stabilito nelle leggi speciali.

La distinzione tradizionale tra associazioni e fondazioni, risalente al diritto comune, mette in rilievo per queste ultime la presenza di un patrimonio destinato allo scopo, necessaria per il perseguimento delle finalità programmate (pur non mancando un elemento personale). In effetti, un patrimonio può sussistere anche nelle associazioni, ma in tale caso non ne rappresenta un elemento indefettibile ed ha essenzialmente una funzione di garanzia nei confronti dei terzi.

L’art. 14 c.c. dispone che le associazioni e le fondazioni devono essere costituite con atto pubblico. La fondazione può essere disposta anche con testamento. A sia volta l’art. 28 c.c. prevede che quando lo scopo è esaurito o divenuto impossibile o di scarsa utilità, o il patrimonio è divenuto insufficiente, l'autorità governativa, anziché dichiarare estinta la fondazione, può provvedere alla sua trasformazione, allontanandosi il meno possibile dalla volontà del fondatore.

Nell’evoluzione normativa e nella prassi non vi è più tuttavia una linea di demarcazione così netta tra i due istituti, essendo frequentemente presenti negli statuti delle fondazioni organi collegiali, diversamente denominati e rappresentativi dei diversi interessi coinvolti, i quali spesso assumono un ruolo addirittura prevalente rispetto all’elemento patrimoniale: si pensi alle fondazioni culturali o di ricerca, o alle cd. fondazioni di partecipazione. Si è dunque parlato di un fenomeno di progressiva ibridazione del modello organizzativo proprio delle fondazioni con quello associativo, cui si aggiunge un ricorso all’istituto delle fondazioni per finalità molte diverse, spesso favorite o richieste  dal legislatore (ad es. le fondazioni di partecipazione, le fondazioni bancarie, le fondazioni lirico-sinfoniche). La dottrina h a quindi posto in evidenza come la disciplina dell’istituto non rifletta (più) un modello organizzativo univoco, limitandosi invece a delineare un programma funzionale, ossia la coerenza attuativa, nella dinamica delle vicende dell’ente, del vincolo impresso all’attività per il conseguimento dello scopo.

 

Il divieto di collegamento a più di una fondazione “politica”

Il comma 2 introduce il divieto per un partito o movimento politico di “collegarsi” a più di una fondazione, associazione o comitato per i quali ricorra uno degli elementi di cui al comma 1 (che novella il comma 4 dell’art. 5 del DL 143/2013) – v. supra.

E’ altresì prescritto che i partiti o movimenti politici e le fondazioni, associazioni o comitati ad essi collegati devono garantire la separazione e la reciproca indipendenza tra le strutture direttive e di gestione corrente e la contabilità finanziaria del partito o movimento politico e le strutture direttive e di gestione corrente e la contabilità finanziaria della fondazione o associazione o comitato ad essi collegata.

Si evidenzia l’esigenza di specificare con quali modalità avviene il “collegamento” di un partito o movimento politico ed una fondazione e quali effetti conseguano a tale collegamento.

 

Si ricorda, ad esempio, che in Germania le fondazioni collegate ai partiti rappresentati nel Bundestag (parteinahe Stiftungen) sono destinatarie di specifiche risorse del bilancio statale.

 

Beneficiarie dei finanziamenti sono, come si è detto, le fondazioni legate ai partiti rappresentati nel Bundestag.

L’istituzione da parte dei maggiori partiti tedeschi di fondazioni culturali risale agli anni ‘50 e si inserisce nell’ambito delle iniziative per rivitalizzare la sensibilità nei confronti dei valori democratici da parte dei cittadini dopo la caduta del regime nazista.

Per quanto concerne i rapporti con il partito di riferimento, le fondazioni hanno una distinta personalità giuridica, fanno assegnamento su risorse proprie e perseguono finalità specifiche ed estranee al diretto confronto politico. Peraltro, il controllo di tali organizzazioni è di fatto saldamente nelle mani dei partiti attraverso la frequente assunzione di cariche nella fondazione e nel partito da parte delle medesime personalità.

Gli ambiti in cui si concentra oggi prevalentemente l’attività delle perteinahe Stiftungen sono principalmente le educazione politica, l’erogazione di borse di studio; la ricerca; la cooperazione con l’estero.

Per svolgere queste attività, le fondazioni sono destinatarie di trasferimenti generici, erogati dal Ministero degli Interni (Globalzuschüsse), e di trasferimenti mirati (Zweckzuschüsse), legati all’esecuzione di specifici progetti, concordati in particolare con i Ministeri federali degli esteri, dell’istruzione e della cooperazione economica. L’utilizzo dei fondi - che sono ripartiti tra le fondazioni tendenzialmente in ragione della consistenza del partito di riferimento - è disciplinato dalle regole amministrative emanate dal Ministero federale degli interni di concerto con il Ministero federale delle finanze e la Corte federale dei Conti.

Per ulteriori approfondimenti sul sistema tedesco si veda la scheda in allegato.


 

 

Articolo 10
(Sanzioni)

L’articolo 10 reca le sanzioni per le violazioni delle disposizioni in materia di trasparenza e controllo dei partiti e movimenti politici recate dagli articoli 7, 8 e 9 del disegno di legge in esame.

 

L’applicazione della sanzione (amministrativa pecuniaria) compete, in base al comma 1, alla Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici.

 

La Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici ha sostituito il Collegio di revisori, che aveva il compito di controllare i bilanci dei partiti ai sensi della previgente disciplina (L. 2/1997, art. 1, co. 14).

La Commissione è composta da 5 membri così designati dai vertici delle tre massime

magistrature:

-        1 membro da parte del Primo Presidente della Corte di cassazione;

-        1 membro da parte del Presidente del Consiglio di Stato;

-        3 membri da parte del Presidente della Corte dei conti.

Le designazioni sono ratificate dall'atto di nomina congiunto dei Presidenti del Senato e della Camera, pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Con tale atto è individuato, tra i componenti, il Presidente-coordinatore della Commissione.

I membri della Commissione sono scelti fra i magistrati dei rispettivi ordini giurisdizionali  con qualifica non inferiore a quella di consigliere di Cassazione o equiparata. Essi non percepiscono alcun compenso per l'attività prestata di controllo sui bilanci dei partiti. Il mandato dei membri della Commissione è di 4 anni ed è rinnovabile una sola volta.

Per la durata dell'incarico, i componenti della Commissione sono collocati fuori ruolo dalle amministrazioni di appartenenza, in base a quanto disposto, da ultimo, dalla legge 175/2015.

In base alla legge istitutiva la sede della Commissione è stabilita presso la Camera; le risorse di personale di segreteria necessarie all'operatività della Commissione sono garantite congiuntamente e in pari misura da Camera e Senato.

La legge 175/2015 ha consentito inoltre alla Commissione di garanzia di essere coadiuvata, per lo svolgimento dei compiti ad essa affidati, da 7 unità di personale che sono collocate fuori ruolo rispetto alle amministrazioni di appartenenza: 5 unità, dipendenti della Corte dei conti, addette alle attività di revisione; 2 unità, dipendenti da altre amministrazioni pubbliche, esperte nell'attività di controllo contabile.

Si ricorda, infine, che nel corso dell’audizione svolta da ultimo al Senato (alla fine della XVII legislatura sul A.S. 2439, approvato dalla Camera) il Presidente della Commissione ha evidenziato come “sarebbe opportuno disciplinare compiutamente l’istituzione di un organismo indipendente e dotato di autonomia giuridica e patrimoniale. La dotazione del personale al pari dell’autonomia e dell’assegnazione di risorse proprie configura l’ineludibile presupposto per garantire l’indipendenza della Commissione”.

Al contempo, nelle Rapporto GRECO del giugno 2018 Addendum al Secondo Rapporto di Conformità sull’Italia, alla raccomandazione VI, si ricorda come sia stato raccomandato (i) di istituire un organismo indipendente di primo piano assistito, ove appropriato, da altre autorità, con un mandato, stabilità di durata, poteri adeguati e risorse per lo svolgimento di una vigilanza pro-attiva ed efficiente, di indagini e di esecuzione dei regolamenti sulle finanze della politica; (ii) fino a quando ciò non accadrà, di assicurare che le istituzioni correnti con le attuali responsabilità sviluppino dei piani pratici di lavoro per un’attuazione efficace di norme sul finanziamento dei partiti e delle campagne elettorali; e (iii) di rafforzare la cooperazione e il coordinamento degli sforzi sia a livello operativo che esecutivo tra le autorità incaricate della vigilanza sul finanziamento della politica e le autorità fiscali e di polizia.

 

Ne deriva dunque che le funzioni della Commissione, definite dalla legge n. 96/2012 e dal DL 149/2013, sono ampliate includendo l’applicazione delle sanzioni previste dal provvedimento (che presuppone quindi un’attività di verifica e controllo del rispetto degli obblighi di pubblicità e degli altri obblighi introdotti dagli articoli da 7 a 11), e di un più ampio raggio del tipo di controlli da effettuare e dei soggetti destinatari (il ddl in esame estende i controlli anche alle “fondazioni politiche” e a tutti i partiti e movimenti politici, superando le vigenti previsioni che fanno riferimento alla richiesta di iscrizione nel registro dei partiti o ad “indici di rappresentatività” sul territorio.

 

In particolare, la Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici - istituita dall’articolo 9, comma 3, della legge 6 luglio 2012, n. 96 e così denominata dall’articolo 4, comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n. 13, di conversione del decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149 - svolge attualmente in particolare le seguenti funzioni:

- controllo di conformità a legge degli statuti dei partiti o movimenti politici che chiedono l’iscrizione al registro dei partiti, istituito con l’articolo 4 del decreto-legge n. 149 del 2013, al fine di essere ammessi ai benefici di contribuzione volontaria introdotti dagli artt. 11 e 12 del decreto-legge medesimo, consistenti sia in un regime fiscale agevolato per le erogazioni liberali in denaro di persone fisiche e società ai fini dell’imposta sui redditi, sia nella partecipazione alla ripartizione annuale delle risorse derivanti dalla destinazione volontaria del due per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche;

- controllo di regolarità e conformità a legge dei rendiconti dei partiti e movimenti politici più rappresentativi (cioè che abbiano conseguito almeno un candidato eletto sotto il proprio simbolo alle ultime elezioni per il rinnovo dei massimi consessi rappresentativi - Parlamento italiano ed europeo, Consigli regionali o delle Province autonome - o il 2% dei voti validi espressi alla Camera dei deputati), oppure iscritti nel registro nazionale dei partiti politici;

- applicazione delle sanzioni per gli illeciti amministrativi previsti in materia.

 

Le sanzioni amministrative pecuniarie sono declinate dall’art. 10 sulla base delle diverse fattispecie oggetto di violazione.

E’ prevista l’applicazione di una sanzione non inferiore al triplo e non superiore al quintuplo del valore dei contributi, delle prestazioni o delle altre forme di sostegno a carattere patrimoniale ricevute nel caso di:

-        acquisizione di contributi e prestazioni erogate da parte di soggetti contrari alla pubblicità dei dati (in violazione dell’art. 7, comma 1, secondo periodo);

-        divieto di ricevere contributi da parte di governi o enti pubblici di Stati esteri, da persone giuridiche con sede in un altro Stato, da persone fisiche maggiorenni non iscritte alle liste elettorali o private del diritto di voto. (in violazione dell’art. 7, comma 2).

E’ prevista l’applicazione di una sanzione non inferiore al triplo e non superiore al quintuplo del valore dei contributi, delle prestazioni o delle altre forme di sostegno a carattere patrimoniale non annotati o non versati nel caso di:

-        mancata annotazione nel registro, nel rendiconto o mancata pubblicazione sul sito del partito (in violazione dell’art. 7, comma 1, terzo, quarto e quinto periodo). In questi casi se gli obblighi se gli obblighi sono adempiuti con un ritardo non superiore a 30 giorni, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria di importo non inferiore alla metà e non superiore al doppio del valore dei contributi, delle prestazioni o delle altre forme di sostegno a carattere patrimoniale tardivamente annotati o versati.

E’ infine stabilita una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 12.000 a 120.000 nel caso di:

-        mancata pubblicazione, in occasione di competizioni elettorali (ad eccezione delle elezioni comunali sotto i 15.000 abitanti), da parte dei partiti e movimenti politici sul proprio sito istituzionale, del curriculum vitae dei propri candidati e del relativo certificato penale rilasciato dal casellario giudiziario non oltre 20 giorni prima della data fissata per le elezioni (in violazione dell’articolo 7, comma 5)

-        mancato rispetto dell’obbligo per i partiti e movimenti politici di trasmettere annualmente i rendiconti di esercizio alla Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici, con i relativi allegati e con la certificazione e il giudizio del revisore legale (ai sensi dell’articolo 7, comma 6);

-        violazione dell’obbligo di “collegamento” di un partito o movimento politico ad una sola fondazione, associazione o comitato avente i requisiti dettati dal nuovo comma 4 dell’art. 5 del DL 149/2013 (v. art. scheda 9), o dell’obbligo di separazione e reciproca indipendenza tra le strutture direttive e di gestione in violazione dell’art. 9, comma 2.

 

Per quanto riguarda le sanzioni previste in base alla disciplina vigente, la Commissione, in caso di inottemperanza alle disposizioni relative alla certificazione esterna dei rendiconti dei partiti (ai sensi dell’art. 7 DL 149/2013) o dell'obbligo di presentare il rendiconto e i relativi allegati o il verbale di approvazione del rendiconto da parte del competente organo interno, qualora l'inottemperanza non venga sanata entro i termini, dispone, per il periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data della contestazione, la cancellazione del partito politico dal registro dei partiti politici.

La Commissione applica altresì, quale sanzione amministrativa pecuniaria, la decurtazione di una quota delle somme spettanti ai partiti politici dalla destinazione volontaria del 2 per mille dell'IRPEF ai partiti che: non abbiano rispettato gli obblighi per la redazione dei rendiconti; abbiano omesso la pubblicazione nel proprio sito internet dei documenti previsti dalla legge, abbiano omesso dati ovvero abbiano dichiarato dati difformi rispetto alle scritture e ai documenti contabili; non abbiano rappresentato una o più voci del rendiconto di un partito in conformità al modello di cui all'allegato A alla legge 2 gennaio 1997, n. 2; abbiano omesso di indicare, in tutto o in parte, le informazioni previste dagli allegati B e C alla legge 2 gennaio 1997, n. 2, o non le abbiano rappresentate in forma corretta o veritiera, nella relazione sulla gestione e nella nota integrativa. Le suddette sanzioni non possono superare nel loro complesso i due terzi delle somme spettanti dalla destinazione volontaria del 2 per mille dell'IRPEF; nell'applicazione delle sanzioni, la Commissione tiene conto della gravità delle irregolarità commesse e ne indica i motivi.

Inoltre, come previsto nel corso dell’esame parlamentare del DL 210/2015 (Proroga di termini recati da disposizioni legislative), ai partiti e ai movimenti politici che non ottemperano all'obbligo di trasmissione di tali atti, nei termini previsti o in quelli eventualmente prorogati da norme di legge, la Commissione applica la sanzione amministrativa di 200.000 euro. Riguardo a tale previsione, la Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici aveva espresso alcune perplessità nel corso dell’audizione svolta al Senato durante la XVII legislatura sul testo unificato S. 2439, approvato alla Camera, in relazione alla previsione di una sanzione unica per qualsiasi omissione documentale relativa all’obbligo di rendiconto annuale “senza alcuna gradualità nella misura rapportata alla tipologia e all’entità delle condotte omissive”.

 

In ogni caso, le somme riscosse in applicazione delle sanzioni sono versate alla cassa delle ammende.

Ai sensi dell’art. 4 della legge n. 547/1932 la cassa delle ammende è un ente dotato di personalità giuridica operante presso il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero e finanzia programmi di reinserimento in favore di detenuti ed internati, programmi di assistenza ai medesimi ed alle loro famiglie e progetti di edilizia penitenziaria finalizzati al miglioramento delle condizioni carcerarie.

 

E’ previsto (comma 5) inoltre - in analogia a quanto disposto dalla legge n. 96/2012 - che ai fini dell'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, nonché ai fini della tutela giurisdizionale, si applichino le disposizioni generali sulle sanzioni amministrative e loro applicazione, contenute nelle sezioni I e II del capo I della legge 24 novembre 1981, n. 689, salvo quanto diversamente previsto dall'articolo 9 della legge n. 96/2012, che a sua volta le richiama. E’ fatto eccezione per quanto disposto dagli articoli 16 e 26 della stessa legge n. 689 del 1981 che, rispettivamente, ammettono il pagamento in misura ridotta o rateale della sanzione.

 

E’ infine stabilito (comma 6) che, a decorrere dalla data di scioglimento anche di una sola Camera, la Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici “siede in permanenza” per la verifica dell'applicazione delle disposizioni introdotte dal disegno di legge in esame. A tal fine, con atto congiunto del Presidente del Senato della Repubblica e del Presidente della Camera dei deputati possono essere stabilite norme di organizzazione e modalità operative.

Andrebbe valutata l’opportunità di definire maggiormente la previsione in base alla quale la Commissione “siede in permanenza” per la verifica delle nuove previsioni recate dal disegno di legge.

Articolo 12
(Clausola di invarianza finanziaria)

 

L’articolo 12 dispone che dall'attuazione del disegno di legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni competenti provvedono alle attività previste dalla presente legge con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 


 

Le Fondazioni politiche in Germania
(A cura del Servizio Biblioteca)

 

Origine delle Fondazioni politiche

Un tratto caratteristico del sostegno pubblico alla formazione in ambito politico-sociale e alla cooperazione internazionale è costituito dalla destinazione di ingenti risorse del bilancio statale alle fondazioni culturali collegate ai partiti politici, definite come “fondazioni vicine ai partiti” (parteinahe Stiftungen) o fondazioni politiche” (politische Stiftungen).

L’istituzione di fondazioni culturali da parte dei maggiori partiti tedeschi risale agli anni ‘50 e si inserisce nell’ambito delle iniziative avviate in più sedi, anche con l’aiuto delle potenze vincitrici del conflitto mondiale, per sensibilizzare la società civile nei confronti dei valori democratici.

La SPD (Partito socialdemocratico) e la CDU (Unione Cristiano-democratica) diedero per prime vita a fondazioni culturali, quali enti provvisti di distinta personalità giuridica. In un primo tempo, l’attività delle fondazioni era prevalentemente concentrata nell’organizzazione di incontri seminariali e corsi di formazione, nel finanziamento di borse di studio e nell’effettuazione di ricerche sociopolitiche. Per la realizzazione di iniziative specifiche, già a partire dai primi anni ’60, le fondazioni divennero beneficiarie di modesti contributi pubblici.

Il salto di qualità si ebbe nel 1962, quando il Bundestag decise di inserire nello stato di previsione del neoistituito Ministero federale per lo sviluppo un contributo di 130.000 di marchi a favore delle fondazioni vicine ai partiti per la realizzazione di progetti di educazione politica nei paesi in via di sviluppo. Tale contributo doveva conoscere negli anni seguenti un notevole incremento, sino a raggiungere nel 1970 la somma di 45 milioni di marchi, inaugurando la già ricordata prassi di disporre il finanziamento pubblico a favore di questo tipo di fondazioni unicamente sulla base dell’inserimento di finalizzazioni di spesa “ad hoc” nei capitoli della legge di bilancio, prescindendo da qualsiasi forma di disciplina legislativa “sostanziale” della materia.

La medesima procedura venne adottata nel 1966, quando, all’indomani della prima sentenza con cui la Corte costituzionale federale ebbe a dichiarare illegittimo il finanziamento pubblico dell’attività generale dei partiti, il Bundestag inserì nella legge di bilancio per il 1967, nei capitoli del Ministero federlale dell’interno, un finanziamento globale a favore delle fondazioni vicine ai partiti rappresentati nel Bundestag.

Beneficiarie dei finanziamenti sono, come si è detto, le fondazioni vicine ai partiti rappresentati nel Bundestag. Si tratta delle seguenti fondazioni:

Friedrich-Ebert-Stiftung (SPD);

Konrad-Adenauer-Stiftung (CDU);

Hanns-Seidel-Stiftung (CSU);

Heinrich-Böll-Stiftung (Bündnis 90/Die Grünen)

Friedrich-Naumann-Stiftung (FDP);

Rosa-Luxemburg-Stiftung (PDS);

Desiderius-Erasmus-Stiftung (AfD) [9] .

 

Fondazioni e partiti

Per quanto concerne i rapporti con i partiti di riferimento, le fondazioni hanno una distinta personalità giuridica, fanno assegnamento su risorse proprie e perseguono finalità specifiche ed estranee al diretto confronto politico Dal punto di vista della forma giuridica, l’unica vera “fondazione” in senso proprio è la Friedrich-Naumann-Stiftung, tutte le altre  sono associazioni registrate (eingetragene Vereine).

Il ruolo assegnato alle fondazioni politiche dai loro statuti, condiviso e in seguito sostenuto finanziariamente dallo Stato federale e dai Länder, diviene tanto più comprensibile se inserito nei compiti individuali e collettivi che fanno capo all’idea cardine della formazione (Bildung), un tratto caratteristico della cultura tedesca fin dal Settecento.

Partendo da tale presupposto, appare evidente come finora le fondazioni politiche abbiano potuto operare, in assenza di una specifica disciplina normativa, sulla base di una prassi consolidatasi nel corso degli anni.

Recentemente, 1l 12 giugno 2018, i deputati del gruppo parlamentare Alternative für Deutschland hanno presentato una proposta di legge sullo status giuridico e il finanziamento delle fondazioni vicine ai partiti (Entwurf eines Gesetzes über die Rechtsstellung und die Finanzierung parteinaher Stiftungen, stampato BT 19/2674), che è stata oggetto di dibattito in prima lettura nella seduta del 15 giugno. L’iniziativa dei deputati di AfD fa seguito alla risposta scritta del Governo federale (stampato BT 19/503 del 23 gennaio 2018) ad una loro interrogazione in cui si fa particolarmente leva sulla questione del finanziamento pubblico alle fondazioni. Alle puntuali risposte fornite dal Governo federale è allegata una tabella che riporta nel dettaglio tutti i fondi destinati alle fondazioni politiche dal 1990 al 2017.

a.     La sentenza Corte costituzionale federale del 14 luglio 1986

Il più importante fondamento giuridico in materia è individuabile nella giurisprudenza della Corte costituzionale federale, che con la sentenza del 14 luglio 1986 [10] ha riconosciuto la rispondenza al principio costituzionale dell’adeguatezza del finanziamento statale, e più precisamente la rispondenza dei finanziamenti globali fissati dalle leggi di bilancio annuali.

La sentenza ha stabilito l’esistenza e definito le finalità formative delle fondazioni politiche, specificando che esse devono essere, da un punto di vista non solo normativo, ma anche oggettivo, istituzioni indipendenti in grado di compiere con senso di responsabilità le azioni formative rispondenti agli scopi dichiarati nei loro Statuti, dimostrando al tempo stesso una certa autonomia e distanza dai partiti ai cui principi il loro operato deve però ispirarsi. Tale distinzione rispetto ai partiti deve risultare evidente anche dai criteri che guidano la scelta di coloro che occupano le posizioni ai vertici delle fondazioni [11] . Esse eleggono infatti i loro organi di vigilanza e rappresentanza, nonché i dirigenti amministrativi, in piena autonomia: il presidente e il portavoce del direttivo, i dirigenti amministrativi e il tesoriere di una fondazione non possono però svolgere alcuna funzione comparabile all’interno del partito ai cui ideali e alla cui storia la fondazione si riferisce.

La sentenza enumera anche le attività che una fondazione non può svolgere, in quanto troppo attigue o identificabili con le attività proprie del partito di riferimento. Fra queste, in prima istanza, le attività di sostegno ed aiuto durante il periodo elettorale, riportate dalla sentenza in maniera dettagliata: acquistare e distribuire pubblicistica del partito o riferibile ai suoi membri; produrre o diffondere materiale elettorale; finanziare annunci; utilizzare personale della fondazione fra i volontari o il personale attivo durante la campagna elettorale; tenere corsi finalizzati alla formazione di personale da utilizzare durante il periodo elettorale.

La sentenza indica infine l’inopportunità di trasferimenti di donazioni dalla fondazione al partito, onde evitare che le agevolazioni fiscali previste per queste vengano usufruite dai partiti politici di riferimento [12] .

b.     La Gemeinsame Erklärung

Ugualmente rilevanti in tal senso appaiono i riferimenti alle fondazioni contenuti nelle Raccomandazioni della Commissione di esperti indipendenti sul finanziamento dei partiti politici (Empfehlungen der Kommission unabhängiger Sachverständiger zur Parteifinanzierung) [13] . La Commissione venne istituita dal Presidente federale von Weizsäcker, a seguito della sentenza del 9 aprile 1992 della Corte costituzionale federale che dichiarava incostituzionali alcuni profili della legge sui partiti politici.

Nel 1998 molte delle indicazioni contenute nel rapporto della Commissione sono state raccolte e sistematizzate in una Dichiarazione comune delle Fondazioni politiche sul finanziamento statale (Gemeinsame Erklärung zur staatlichen Finanzierung der politischen Stiftungen), che ne costituisce una sorta di codice di autoregolamentazione.

La dichiarazione comune, sottoscritta da cinque delle fondazioni politiche (ad eccezione della Rosa-Luxemburg-Stiftung), fornisce, a partire dalla Legge fondamentale, un quadro normativo generale di riferimento.

Partendo dal presupposto che le fondazioni sono associazioni di diritto privato, che forniscono in modo del tutto indipendente servizi di pubblico interesse che non possono essere prestati dallo Stato, il loro operato trova il proprio fondamento costituzionale negli artt. 5 [Libertà di espressione] [14] , 9, comma 1 [Libertà di associazione] [15] e 12, comma 1 [Libertà della professione] [16] della Legge Fondamentale.

L’attività delle fondazioni risulta quindi estranea a quanto stabilito dall’art. 21 [Partiti politici] [17] della Legge fondamentale, relativamente al ruolo e all’importanza dei partiti nella determinazione della volontà politica collettiva attraverso il voto.

Natura dei contributi pubblici

La prima formale ricognizione del sostegno pubblico alle fondazioni politiche risale al 1986, quando al Governo federale fu richiesto dal gruppo parlamentare dei Verdi (Grünen) di documentare e quantificare le singole voci del finanziamento statale alle fondazioni politiche.

a.     Finanziamenti globali e a progetto

Le fondazioni risultano destinatarie di finanziamenti globali (Globalzuschüsse) erogati dal Ministero federale dell’interno (Bundesministerium des Innern) e di finanziamenti a progetto (Projektförderung) erogati per la maggior parte dal Ministero federale per lo sviluppo e la cooperazione economica (Bundesministerium für wirtschaftliche Zusammenarbeit und Entwicklung).

Gli stanziamenti sono determinati annualmente dalla Commissione bilancio (Haushaltsaussschuss) del Bundestag, e quindi approvati dalla Legge di bilancio (Haushaltsgesetz) all’interno degli stati di previsione (Einzelpläne) 6 (per il Ministero federale dell’interno) e 23 (per il Ministero federale per lo sviluppo e la cooperazione economica).

La suddivisione di entrambe le fattispecie di trasferimenti viene determinata sulla base della rappresentanza dei partiti, così come essa si esprime all’interno del Bundestag.

I finanziamenti vengono assegnati in base a criteri consolidatisi nel corso degli anni all’interno della prassi parlamentare. Il punto di partenza è costituito dalla ripetuta presenza di un gruppo parlamentare e dalla sua consistenza numerica all’interno del Bundestag.

Nella prima determinazione dei trasferimenti, la Commissione bilancio del Bundestag parte da un importo base (Sockelbetrag), corrisposto in maniera continuativa per un certo periodo di legislature, che, solo in seguito, viene adeguato alla forza numerica reale della rappresentanza. Nel caso in cui un partito non sia più rappresentato in Parlamento, la fondazione di riferimento continua a ricevere il sostegno pubblico per almeno una legislatura.

I finanziamenti globali, che fanno capo al Ministero federale dell’interno, rappresentano la premessa indispensabile per la pianificazione dell’attività ordinaria delle fondazioni politiche, infatti sono prevalentemente utilizzati per finanziare:

-        congressi, seminari e incontri di formazione politica;

-        pubblicazioni e mostre;

-        progetti di ricerca e documentazione nonché tenuta degli archivi sulla storia dei movimenti e dei partiti di riferimento;

-        uscite amministrative relative al personale, alle strutture e agli investimenti.

Attingendo dalla quota parte loro spettante, le fondazioni possono finanziare anche altre organizzazioni operanti nel settore della pubblica utilità, purché queste perseguano finalità compatibili con quelle fissate negli statuti delle stesse fondazioni.

Nel 2017 i finanziamenti globali sono stati pari a 115.959.000 euro e la stessa somma è stata stanziata per il 2018 e il 2019. Alla Friedrich-Ebert-Stiftung è destinato il 30,2% dello stanziamento, alla Konrad Adenauer Stiftung il 29,5%, alla Friedrich-Naumann-Stiftung e alla Heinrich-Böll-Stiftung rispettivamente il 10,2% e il 10,5%, mentre alla Hanns-Seidel-Stiftung e alla Rosa-Luxemburg-Stiftung spetta, parimenti, il 9,7% delle sovvenzioni previste nella legge di bilancio.

I finanziamenti a progetto rappresentano invece circa i due terzi dei finanziamenti ricevuti dalle fondazioni. La richiesta, l’uso e il pagamento del servizio prestato si basano su quanto disposto dal Regolamento federale sul bilancio (Bundeshaushaltsordnung - BHO), che agli artt. 23 e 44 stabilisce le norme generali. Per le norme di dettaglio si rimanda invece alle Disposizioni accessorie riguardanti la promozione a progetto (Allegemeine Nebenbestimmungen für Zuwendungen zur ProjektförderungANBest-P).

L’art. 23 (Elargizioni – Zuwendungen) stabilisce infatti che “uscite e stanziamenti d’impegno per prestazioni finalizzate (elargizioni) da effettuare a organismi posti al di fuori dell’Amministrazione federale, possono essere preventivati solo nel caso in cui la Federazione abbia un interesse rilevante all’esecuzione della prestazione tramite tali organismi, e solo nel caso in cui senza le elargizioni tale interesse non possa, in tutto o necessariamente, essere soddisfatto”. L’art. 44 (Elargizioni, amministrazione di mezzi o elementi patrimoniali – Zuwendungen, Verwaltung von Mitteln oder Vermögensgegenständen), partendo dalle premesse illustrate all’art. 23, indica nella Corte dei conti federale l’organo competente al controllo della rispondenza  (e correttezza dell’uso delle elargizioni. Lo stesso articolo stabilisce che organismi giuridici di diritto privato possono assumersi compiti amministrativi discendenti da elargizioni, solo nel caso in cui forniscano le garanzie necessarie affinché i servizi siano prestati in maniera rispondente al diritto interno e nel pubblico interesse. Il conferimento e la sospensione competono al Ministero competente, che per il conferimento dovrà agire di concerto con il Ministero delle finanze.

Attraverso lo stato di previsione 23 della legge annuale di bilancio, il Ministero federale per lo sviluppo e la cooperazione economica finanzia e coordina la cooperazione tecnica e finanziaria con i paesi partner, nonché il sostegno alla cooperazione allo sviluppo delle organizzazioni non governative, dell’associazionismo confessionale e delle numerose tipologie di fondazioni, tra cui quelle politiche, presenti in Germania.

Nel 2017 in questo settore, per il lavoro all’estero delle fondazioni, sono stati destinati 271.000.000 euro [18] e 311.000.000 euro sono stati stanziati con riferimento al 2018 [19] .  Lo stesso stanziamento è previsto anche nel disegno di legge di bilancio per il 2019, presentato il 10 agosto 2018 [20] . I finanziamenti assegnati, finalizzati al sostegno dello sviluppo ecologico, sostenibile e socialmente accettabile dei paesi in via di sviluppo e trasformazione, vengono elargiti a paesi partner con orientamenti compatibili a quelli del governo tedesco nell’ambito della cooperazione allo sviluppo, primi fra tutti la costruzione e il rafforzamento delle strutture democratiche, della comprensione regionale e internazionale e della cooperazione pacifica. In tale quadro generale, le fondazioni politiche hanno il compito di contribuire al rafforzamento delle organizzazioni espressioni della società civile e del mondo del lavoro, di svolgere consulenza parlamentare, di accelerare la democratizzazione dei mezzi di informazione e di intervenire attivamente affinché vengano introdotte abitudini sanitarie, familiari e consuetudinarie in grado di migliorare le condizioni generali di vita [21] .

Sistemi di controllo

La Dichiarazione comune delle Fondazioni politiche sul finanziamento statale dedica la sezione finale al controllo e alla trasparenza, indicando che l’uso dei finanziamenti globali viene verificato dal Ministero federale dell’interno sulla base delle Disposizioni accessorie riguardanti i finanziamenti statali (Allegemeine Nebenbestimmungen zur institutionellen FörderungANBest-I); a ciò deve aggiungersi il già ricordato controllo della Corte dei conti federale e, a livello regionale, dei corrispondenti organi preposti al controllo. Relativamente al rispetto delle disposizioni fiscali, la verifica avviene da parte delle autorità finanziarie a questo preposte.

Le Fondazioni, accogliendo i suggerimenti della Commissione di esperti, pubblicano annualmente un Rapporto annuale delle entrate e delle uscite, ovvero un bilancio d’esercizio che deve essere sottoposto al controllo di un revisore dei conti.

Sebbene le fondazioni non siano sottoposte ad un obbligo di pubblicità, tali documenti sono pubblicati sui siti delle fondazioni e nella Dichiarazione comune viene ripetutamente sottolineata l’importanza della trasparenza nell’ambito dell’uso dei finanziamenti pubblici.

 


 

Il Regolamento sui partiti politici europei
(A cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

 

Il regolamento (UE, Euratrom) 1141/2014, del 22 ottobre 2014, relativo allo statuto ed al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee prevede, tra le altre, le seguenti disposizioni che si applicano a partire dal 1° gennaio 2017:

 

Il regolamento 1141/2014 è stato recentemente modificato dal regolamento 2018/673 del 3 maggio 2018 che in particolare ha previsto:

Da ultimo, la Commissione europea ha presentato il 12 settembre 2018 una proposta volta a modificare il regolamento 1141/2014 relativo allo statuto ed al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee per quanto riguarda una procedura di verifica relativa a violazioni delle regole di protezione dei dati personali nel contesto delle elezioni del Parlamento europeo (COM (2018) 636).

La proposta prevede, in particolare, l’introduzione una procedura di verifica e sanzioni pecuniarie per le violazioni delle norme in materia di protezione dei dati personali commesse allo scopo di influenzare deliberatamente l'esito delle elezioni europee.

 

 



[1]     Legge 6 novembre 2012, n. 190, Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione.

[2]     L. 27 maggio 2015, n. 69, Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio.

[3]     D.Lgs. 10/03/2000, n. 74, Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205.

[4]     In base all’art. 266 c.p.p. (Limiti di ammissibilità), l’intercettazione è consentita nei procedimenti relativi ai «delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni» (lett. b). La pena è determinata ai sensi dell’art. 4 c.p.p., cioè non tenendo conto delle aggravanti, ad eccezione di quelle ad effetto speciale.

[5]     In base all’articolo 280 c.p.p. (Condizioni di applicabilità delle misure coercitive), la custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni, oltre che per il delitto di finanziamento illecito dei partiti (comma 2).

[6]     I singoli soci, invece, sono da considerare non già come persone offese dal reato ma, soltanto, quali "danneggiati" dal reato e, pertanto, ai sensi degli articoli 74 e seguenti c.p.p., sono i soggetti legittimati ad esercitare l'azione civile in sede penale.

[7]   L’art. 10, comma 1, lett. a), fa riferimento ai partiti politici iscritti nel registro, ad esclusione di quelli che non hanno più una rappresentanza in Parlamento, che abbiano conseguito nell'ultima consultazione elettorale almeno un candidato eletto sotto il proprio simbolo, anche ove integrato con il nome di un candidato, alle elezioni per il rinnovo del Senato della Repubblica, della Camera dei deputati, dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia o in uno dei consigli regionali o delle province autonome di Trento e di Bolzano, ovvero abbiano presentato nella medesima consultazione elettorale candidati in almeno tre circoscrizioni per le elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati o in almeno tre regioni per il rinnovo del Senato della Repubblica, o in un consiglio regionale o delle province autonome, o in almeno una circoscrizione per l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia. Sull’”esclusione (dai benefici medesimi) dei partiti che non hanno più rappresentanza in Parlamento” la Commissione ha ricordato come siano emerse ambiguità interpretativa in sede applicativa. A sua volta, l’articolo 6 del decreto legge n. 149 del 2013 “Consolidamento dei bilanci dei partiti politici”, tra l’altro impone, a partire dall’esercizio finanziario 2014, l’allegazione al bilancio dei partiti e dei movimenti politici, dei bilanci “delle fondazioni e associazioni la composizione dei cui organi direttivi sia determinata in tutto o in parte da deliberazioni dei medesimi partiti o movimenti politici” (su punto si veda infra scheda art. 9).

 

[8] L’art. 10, comma 2, fa riferimento ai partiti politici iscritti nel registro:

a) cui dichiari di fare riferimento un gruppo parlamentare costituito in almeno una delle Camere secondo le norme dei rispettivi regolamenti, ovvero una singola componente interna al Gruppo misto;

b) che abbiano depositato congiuntamente il contrassegno elettorale e partecipato in forma aggregata a una competizione elettorale mediante la presentazione di una lista comune di candidati o di candidati comuni in occasione del rinnovo del Senato della Repubblica, della Camera dei deputati o delle elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, riportando almeno un candidato eletto, sempre che si tratti di partiti politici che risultino iscritti nel registro di cui all'articolo 4 prima della data di deposito del contrassegno.

[9] Quest’ultima fondazione è stata istituita nel 2015 con sede a Lubecca. Attualmente non può accedere al finanziamento pubblico previsto nella legge di bilancio perché il partito di riferimento, Alternative für Deutschland, è stato eletto al Bundestag per la prima volta nel settembre 2017. Per poter beneficiare dei fondi pubblici è necessario che il partito cui fa capo la fondazione sia rappresentato nel Bundestag per una seconda legislatura. Nel caso in cui invece un partito non venga rieletto e cessi di essere rappresentato nel Bundestag, vige una regola transitoria per cui alla fondazione di riferimento è garantito il finanziamento anche nella legislatura successiva. Questo caso si è verificato nella legislatura 2013-2017 per il Partito liberale (FDP) e la Friedrich-Naumann-Stiftung.

[10] Bundesverfassungsgericht, Urteil des Zweiten Senats vom 14 Juli 1986 (Politische Stiftungen) (BVerfGE 2 BvE 5/83).

[11] Dal 1° gennaio 2018, Norbert Lammert (CDU), Presidente del Bundestag dal 2005 al 2017, è diventato Presidente della Konrad-Adenauer-Stiftung dopo aver cessato di appartenere al Bundestag.

[12] Il divieto è stato poi ripreso dall’art. 25, comma 2, della Legge sui partiti politici (v. infra).

[13] Tali raccomandazioni sono pubblicate in un documento del Bundestag della 12ª Legislatura, Drucksache 12/4425, del 19 febbraio 1993.

[14] Articolo 5 [Libertà di espressione]:

(1) Ognuno ha diritto di esprimere e diffondere liberamente le sue opinioni con parole, scritti e immagini, e di informarsi senza impedimento da fonti accessibili a tutti. Sono garantite le libertà di stampa e d'informazione mediante la radio e il cinema. Non si può stabilire alcuna censura.

(2) Questi diritti trovano i loro limiti nelle disposizioni delle leggi generali, nelle norme legislative concernenti la protezione della gioventù e nel diritto al rispetto dell’onore della persona.

(3) L'arte e la scienza, la ricerca e l'insegnamento sono liberi. La libertà d'insegnamento non dispensa dalla fedeltà alla Costituzione.

[15] Articolo 9 [Libertà di associazione]:

(1) Tutti i tedeschi hanno diritto di costituire associazioni e società.

(2) Sono proibite le associazioni i cui scopi o la cui attività contrastino con le leggi penali o siano dirette contro l'ordinamento costituzionale, o contro il principio della comprensione fra i popoli.

(3) Il diritto di formare associazioni per la salvaguardia e il miglioramento delle condizioni economiche e del lavoro è garantito a ognuno e in ogni professione. Gli accordi che tentano di limitare o escludere tale diritto sono nulli e sono illegali le misure adottate a tale scopo. (…)

[16] Articolo 12 [Libertà della professione]:

(1) Tutti i tedeschi hanno diritto di scegliere liberamente la professione, il luogo e le sedi di lavoro e la formazione. L'esercizio della professione può essere regolato per legge ed in base ad una legge.

[17] Articolo 21 [Partiti politici]:

(1) I partiti concorrono alla formazione della volontà politica del popolo. La loro fondazione è libera. Il loro ordinamento interno deve essere conforme ai principi fondamentali della democrazia. Essi devono rendere conto pubblicamente della provenienza e dell'utilizzazione dei loro mezzi finanziari e dei loro beni.

(2) I partiti, che per le loro finalità o per il comportamento dei loro aderenti si prefiggono di attentare all'ordinamento costituzionale democratico e liberale, o di sovvertirlo, o di mettere in pericolo l’esistenza della Repubblica federale di Germania sono incostituzionali. Sulla questione di incostituzionalità decide il Tribunale costituzionale federale.

(3) I particolari sono stabiliti dalla legislazione federale.

[18] Legge di bilancio per l’anno 2017 del 20 dicembre 2016, Einzelplan 23, Kapitel 2302, 687 04 “Förderung entwicklungswichtiger Vorhaben der politischen Stiftungen (Promozione di progetti di cooperazione allo sviluppo delle fondazioni politiche).

[19] Legge di bilancio per l’anno 2018 del 12 luglio 2018.

[20] Stampato BT 19/3400.

[21] Informazioni tratte da Medienhandbuch Entwicklungspolitik 2008/2009.