Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: RUE - Ufficio SG - Ufficio Rapporti con l'Unione europea
Titolo: Proposta di direttiva relativa a salari minimi adeguati nell'UE
Serie: Documentazione per le Commissioni - Esame di atti e documenti dell'UE   Numero: 43
Data: 27/11/2020
Organi della Camera: XI Lavoro


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Proposta di direttiva relativa a salari minimi adeguati nell'UE

27 novembre 2020


Indice

|Finalità/Motivazione|Il reddito minimo negli Stati membri|Consultazione dei portatori di interesse e valutazione d'impatto|Contenuti|Esame presso altri Parlamenti nazionali|



Finalità/Motivazione

Già da qualche anno si è sviluppato un dibattito - che vede il coinvolgimento, tra gli altri, delle Istituzioni europee e nazionali, così come delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro e di esperti - in merito a un cosiddetto "salario minimo europeo"; allo stato, il dibattito ha assunto una dimensione ancora più rilevante e urgente nel contesto della gravissima crisi economica e sociale generata dall'epidemia di Covid-19.

Il dibattito deve tenere necessariamente conto del fatto che, ai sensi dell'articolo 153 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, l'eventuale definizione di un salario minimo rientra tra le competenze degli Stati membri (Vedi infra).
  Centrale, pertanto, è la questione concernente la forma giuridica che dovrebbe assumere un eventuale intervento dell'UE. Allo stesso tempo, il dibattito ruota altresì attorno ad altri temi, quali il livello del salario minimo, le procedure e i criteri da stabilire per un suo adeguamento periodico e il coinvolgimento dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro nella sua definizione (per approfondimenti si veda, al riguardo, lo studio del Parlamento europeo "Minimum wage in the EU").
Allo stato il salario minimo esiste in tutti gli Stati membri: in 21 Paesi esistono salari minimi legali (l'ammontare di tale valore minimo varia in maniera significativa, da 312 euro mensili in Bulgaria a 2.142 euro mensili in Lussemburgo), mentre in 6 Stati membri (Danimarca, Italia, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia) la protezione del salario minimo è fornita esclusivamente dai contratti collettivi.
L'ordinamento giuridico italiano non prevede infatti un salario minimo, ma l'articolo 36 della Costituzione riconosce il diritto, per il lavoratore, ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla propria famiglia un'esistenza libera e dignitosa. La determinazione delle condizioni di lavoro e, più specificatamente, delle retribuzioni minime viene demandata alla libera negoziazione fra le parti sociali, realizzata attraverso la contrattazione collettiva nazionale di categoria. Al momento, dunque, le condizioni normative ed economiche delle diverse prestazioni di lavoro vengono definite dai singoli contratti collettivi nazionali settoriali, in base all'inquadramento dei lavoratori nel livello di appartenenza. La giurisprudenza e le tradizioni nazionali hanno indotto le imprese ad applicare i contratti collettivi anche ai lavoratori non sindacalizzati.
Nella legislatura in corso sono stati presentati, presso entrambi i rami del Parlamento, diversi disegni di legge che prevedono l'introduzione di un salario minimo orario.
In particolare, si segnala che l'11ª Commissione permanente (Lavoro pubblico e privato, previdenza sociale) de l Senato ha esaminato congiuntamente i disegni di legge Catalfo ed altri (S.658), Laus ed altri (S.310), Nannicini ed altri (S.1132), Laforgia (S.1259) e il disegno di legge di iniziativa del CNEL S.1232, svolgendo anche un corposo ciclo di audizioni (qui il link alle memorie depositate dagli auditi); da più di un anno, tuttavia, l'esame risulta essersi arrestato.
In estrema sintesi, la proposta Catalfo ed altri S.658, che è stata adottata come testo base, proponeva di stabilire una paga oraria minima di 9 euro al lordo degli oneri contributivi e previdenziali.

La dimensione sociale del tema

Il tema ha una dimensione sociale molto rilevante, con particolare riferimento al fenomeno della cosiddetta " povertà lavorativa", ovvero della condizione dei nuclei familiari che, nonostante lo svolgimento di attività lavorative, hanno un reddito inferiore alla soglia di rischio di povertà nell'UE, e alla questione delle disuguaglianze salariali, anche di genere, e del contrasto al dumping salariale come elemento distorsivo della concorrenza sul mercato interno.
Secondo la Commissione, la percentuale di persone che si trovano in condizioni di povertà pur avendo un lavoro è aumentata, tra il 2007 e il 2018, dall'8,3% al 9,4% del totale della forza lavoro dell'UE. In termini statistici, la povertà lavorativa colpisce maggiormente i soggetti con basso grado di istruzione, le donne, le famiglie monoparentali e quelle numerose, i lavoratori a tempo parziale o a tempo determinato, i lavoratori autonomi.
Inoltre, i salari minimi legali nazionali sono inferiori al 60% del salario mediano o al 50% del salario medio in quasi tutti gli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali nazionali e alcuni gruppi specifici di lavoratori sono esclusi dalla tutela garantita dai salari minimi legali nazionali. Infine, negli Stati membri che fanno affidamento sulla contrattazione collettiva alcuni lavoratori non sono coperti dalla tutela garantita dal salario minimo fornita dai contratti collettivi. Infine, la maggioranza ( quasi il 60% a livello dell'UE) dei lavoratori che percepiscono un salario minimo è costituita da donne.
Negli ultimi decenni, come evidenziato dalla Commissione europea, l' aumento della povertà lavorativa e delle disuguaglianze salariali è stato esasperato anche dalle tendenze strutturali in atto nei mercati del lavoro, quali la globalizzazione, la digitalizzazione e l'aumento delle forme di lavoro atipiche che, in particolare nel settore dei servizi, si sono tradotti in un'accentuata polarizzazione del lavoro che ha a sua volta generato un aumento della percentuale di posti di lavoro a bassa retribuzione e a bassa qualifica.
A tutto ciò va ad aggiungersi la drammatica crisi economico-sociale generata dall'epidemia di Covid-19 che ha colpito e sta colpendo in modo particolare i settori caratterizzati da un'elevata percentuale di lavoratori a basso salario (pulizie; commercio al dettaglio; sanità e assistenza sanitaria; lavoratori agricoli).

Le iniziative più recenti adottate dalle Istituzioni dell'UE

Nel solco del suddetto dibattito, per restare agli anni più recenti, diverse sono le iniziative adottate nell'UE a livello politico-istituzionale in favore di salari minimi adeguati, tra cui:
- la sottoscrizione (novembre 2017) del Pilastro europeo dei diritti sociali che, tra l'altro, chiede retribuzioni minime adeguate (principio 6);
- una serie di interventi del Parlamento europeo: risoluzione del marzo 2017, sulle politiche volte a garantire il reddito minimo come strumento per combattere la povertà, che ha invitato tutti gli Stati membri a introdurre regimi di reddito minimo adeguati; risoluzione del marzo 2019, che ha invitato gli Stati membri a considerare la possibilità di "aumentare le soglie retributive anche sotto forma, ove applicabile, di minimi salariali fissati a livelli dignitosi"; risoluzione dell'ottobre 2019 sull'occupazione e le politiche sociali della zona euro, che ha invitato la Commissione a "presentare uno strumento giuridico volto a garantire che ogni lavoratore nell'Unione abbia un salario minimo equo, definibile in base alle prassi nazionali o attraverso contratti collettivi o disposizioni giuridiche";
-il parere esplorativo " Salari minimi dignitosi in tutta Europa" del Comitato economico e sociale (CESE) del 18 settembre 2020;
- le conclusioni del Consiglio dell'UE del 9 ottobre 2020 sul "rafforzamento della protezione del reddito minimo per combattere la povertà e l'esclusione sociale nell'ambito della pandemia di COVID-19. Tra l'altro, il Consiglio riconosce che i regimi di reddito minimo contribuiscono alla protezione sociale dei gruppi più svantaggiati della società, comprese le persone maggiormente colpite dalla crisi COVID-19, oltre ad avere un effetto stabilizzatore sull'economia nel complesso e invita gli Stati membri e la Commissione, conformemente alle rispettive competenze e ai modelli nazionali del mercato del lavoro, ad affrontare le lacune nella protezione del reddito minimo e a utilizzare al meglio il sostegno proveniente dai fondi dell'UE, quali il Fondo sociale europeo Plus e lo strumento per la ripresa Next Generation EU.

La proposta della Commissione europea

In tale contesto, la Presidente von der Leyen ha manifestato, sin dalle sue dichiarazioni programmatiche, l'intenzione di presentare uno strumento giuridico per garantire un salario minimo equo a tutti i lavoratori dell'Unione e a tale scopo ha condotto, nei mesi scorsi, una consultazione in due fasi delle parti sociali (Vedi infra).
Facendo seguito a tale consultazione, la Commissione europea ha optato per la presentazione, il 28 ottobre 2020, di una proposta di direttiva relativa a salari minimi adeguati nell'Unione europea ( COM(2020)682) al fine di stabilire prescrizioni minime a livello dell'Unione per garantire sia che i salari minimi siano fissati a un livello adeguato sia che i lavoratori abbiano accesso alla tutela garantita dal salario minimo, sotto forma di salario minimo legale o di salari determinati nell'ambito di contratti collettivi.
L'obiettivo della Commissione non è uniformare i sistemi nazionali sui salari minimi per la definizione di un salario minimo unico per tutti gli Stati membri, ma piuttosto tendere ad una convergenza verso l'alto delle retribuzioni minime, rispettando le specificità di ogni ordinamento interno e favorendo al contempo il dialogo tra le parti sociali.
La proposta - chiarisce infatti la Commissione - rispetta pienamente le competenze degli Stati membri, l'autonomia delle parti sociali e la libertà contrattuale in ambito salariale e n on obbliga gli Stati membri a introdurre salari minimi legali, né fissa un livello comune dei salari minimi.
In estrema sintesi (Vedi infra per il contenuto completo), la proposta intende contribuire a migliori condizioni salariali e di lavoro nell'UE intervenendo in modo particolare su tre assi:
  1. migliore adeguatezza dei salari minimi legali (ove esistenti), anche mediante la definizione di criteri stabili e chiari per determinarli e aggiornarli (tra cui potere d'acquisto, tenendo conto anche delle imposte e delle prestazioni sociali, livello generale dei salari lordi e relativa distribuzione, tasso di crescita dei salari lordi e andamento della produttività del lavoro) e un maggiore coinvolgimento delle parti sociali per la loro definizione;
  1. promozione della contrattazione collettiva in tutti gli Stati membri, in particolare in quelli in cui la copertura della contrattazione collettiva è inferiore al 70% dei lavoratori;
  1. migliore applicazione e monitoraggio per tutti gli Stati membri, anche mediante relazioni annuali degli Stati membri alla Commissione, unitamente a un dialogo strutturato.
 
Secondo la Commissione, l'adozione della proposta comporterà salari minimi più elevati in circa la metà degli Stati membri e in alcuni Stati membri l'aumento dei salari minimi legali potrebbe essere superiore al 20%. Inoltre, l'aumento dei salari minimi fino al 60% del salario mediano o al 50% del salario medio comporterebbe una riduzione del 10% delle disuguaglianze salariali e della povertà lavorativa e una riduzione media del 5% circa del divario retributivo di genere.
La base giuridica
La base giuridica su cui la Commissione propone di fondare l'adozione della proposta in oggetto è l'articolo 153, paragrafo 1, lettera b), del TFUE, il quale fa parte del titolo X del TFUE, sulla politica sociale, ove sono stabiliti una serie di obiettivi per l'Unione, tra cui la promozione dell'occupazione e il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (v. articolo 151 del TFUE). L'articolo 153, paragrafo 1, del TFUE prevede infatti che «per conseguire gli obiettivi dell'articolo 151, l'Unione sostiene e completa l'azione degli Stati membri» in una serie di settori, tra cui vi è quello delle condizioni di lavoro; la Commissione sottolinea che «nella misura in cui i salari, compresi quelli minimi, sono una componente fondamentale delle condizioni di lavoro, l'iniziativa potrebbe basarsi sull'articolo 153, paragrafo 1, lettera b), del TFUE sulle "condizioni di lavoro"». Poiché nondimeno l'art. 153, p. 5 proibisce l'adozione di iniziative dell'Unione in materia di retribuzioni, divieto che è stato interpretato dalla Corte di Giustizia come avente ad oggetto tutte le misure che incidano direttamente sulla determinazione delle retribuzioni negli Stati membri, alle istituzioni europee è preclusa qualsiasi misura volta ad armonizzare il livello dei salari minimi in tutta l'UE o a stabilire un meccanismo uniforme per la fissazione dei salari minimi. La Commissione ritiene tuttavia che la presente proposta, esulando dalle due ipotesi suddette, non incida se non indirettamente sulla quantificazione delle retribuzioni nell'Unione, limitandosi a porre condizioni utili affinché i salari minimi siano fissati a livelli adeguati in tutti gli Stati membri, tramite la contrattazione collettiva o iniziative legislative, e affinché ne sia assicurato il rispetto e l'applicazione efficace.
La scelta dello strumento giuridico tramite il quale perseguire tali obiettivi, che l'art. 153 TFUE lascia aperta tra una decisione del Consiglio non giuridicamente vincolante e una direttiva, adottata con la procedura ordinaria, che fissi «prescrizioni minime applicabili progressivamente, tenendo conto delle condizioni e delle normative tecniche esistenti in ciascuno Stato membro», è ricaduta, nonostante l'opposizione delle associazioni datoriali manifestata nell'ambito delle consultazioni, su tale secondo atto giuridicamente vincolante, il quale, secondo la Commissione, risulta necessario per sanare le notevoli discrepanze  tra Stati membri e le inadeguatezze in termini di copertura della tutela garantita dal salario minimo, specie nella prospettiva di contrasto al dumping salariale.
Si ricorda a tal proposito che, ai sensi dell'art. 288, p. 3 TFUE, le direttive pongono in capo agli Stati membri obblighi giuridici di risultato, rimanendo riservata alla loro discrezionalità la selezione della forma e dei mezzi necessari a darvi attuazione, purché questi risultino idonei a realizzare l'effettiva efficacia delle disposizioni della direttiva e siano adottati entro il termine di recepimento. Come ha rilevato il Governo nella sua relazione, trasmessa ai sensi dell'articolo 6, comma 5, della legge n. 234 del 2012, la presente direttiva non impone a Stati come l'Italia, nei quali la tutela garantita dal salario minimo sia fornita esclusivamente mediante contratti collettivi, l'obbligo di introdurre un salario minimo legale né di rendere i contratti collettivi universalmente applicabili. Nondimeno disposizioni quali l'art. 4 e l'art. 12 della proposta (su cui vedi infra ), che prescrivono agli Stati membri di adottare misure generali che prescindono dalle modalità nazionali di determinazione del salario minimo (legge o contrattazione collettiva), sembrerebbero implicare in Italia la necessità di adottare una disciplina di fonte primaria volta al recepimento della direttiva, poiché nel nostro ordinamento non esiste una disciplina che imponga l'applicazione erga omnes dei contratti collettivi nazionali (e dunque impedisce che l'attuazione di tali disposizioni avvenga ad opera dell'autonomia contrattuale delle parti sociali, come pure sarebbe possibile in virtù dell'art. 153 TFUE).
Giacché la proposta della Commissione si fonda sull'art. 153, par. 1 TFUE il quale prevede che l'attività dell'Unione nell'ambito della politica sociale, materia di competenza concorrente tra Unione e Stati membri, si limita a sostenere e completare l'azione degli Stati membri, l'adozione di misure giuridicamente vincolanti come quelle qui in esame, benché dettino prescrizioni minime, deve essere vagliata alla luce del principio di sussidiarietà (art. 5, par. 3 TUE) e del principio di proporzionalità (art. 5, par. 4 TUE). In virtù del principio di sussidiarietà, l'Unione interviene soltanto se gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, ma possono essere conseguiti meglio a livello di Unione: ebbene la Commissione segnala che i singoli paesi si sono dimostrati poco inclini a migliorare le loro modalità di determinazione dei salari minimi a causa della percezione che ciò potrebbe incidere negativamente sulla loro competitività esterna di costo, pertanto per salvaguardare le condizioni di lavoro dei cittadini europei è necessario un intervento a livello dell'Unione che garantisca la parità di condizioni nel mercato unico aiutando a colmare le grandi differenze, in termini di copertura e adeguatezza dei salari minimi, che non sono giustificate da condizioni economiche di fondo. Per quanto riguarda la proporzionalità dell'impiego di una direttiva, la Commissione afferma che la presente proposta, in quanto fissa standard minimi, fa salve le modalità tradizionali di determinazione dei salari negli Stati membri (contrattazione collettiva o legge) e non impedisce agli Stati membri di andare oltre le prescrizioni minime in termini di tutela.
Le prime reazioni in sede negoziale
In chiave negoziale, sembrerebbe esserci un pressoché generale favore in merito agli obiettivi della proposta, ma si registrerebbero posizioni differenziate in relazione alla scelta dello strumento giuridico e alla relativa base legale, al rispetto della legislazione nazionale e dei modelli di contrattazione collettiva. A tal proposito, si segnala che la Presidenza tedesca del Consiglio dell'UE ha richiesto un parere al Servizio giuridico del Consiglio in merito alla base giuridica della proposta e ad altri aspetti connessi alla sussidiarietà.
L'iniziativa sembra contare sul favore, sia nella sostanza che nella forma, tra gli altri, di Italia, Spagna e Francia.
Secondo la relazione del Governo ex articolo 6, comma 5, della legge n. 234 del 2012, la proposta può ritenersi conforme all'interesse nazionale, in quanto è intenzione del Governo italiano adottare un disegno di legge per introdurre anche in Italia il salario minimo, in attuazione dei principi sanciti dalla Costituzione; essa riveste inoltre carattere di urgenza, anche in un'ottica di mitigazione dell'impatto socio-economico della crisi da COVID-19.
La relazione segnala, altresì, l'importanza che riveste anche il problema dei cosiddetti contratti pirata, che vengono stipulati da organizzazioni sindacali con rappresentatività scarsa o nulla, ma che inducono al fenomeno del dumping o shopping contrattuale che produce condizioni retributive peggiorative imposte ai lavoratori. Se si considera, poi, continua la relazione, che nei Paesi dell'Est non esiste una forte e robusta contrattazione sulla fissazione degli stipendi e questo li comprime verso il basso, il dumping salariale che ne consegue è la principale causa delle delocalizzazioni che subisce da anni l'Italia.
Altri Stati membri, in particolare alcuni nordici come Danimarca, Estonia, Finlandia e Svezia, ma anche la Polonia, condividerebbero gli obiettivi ma non la forma della proposta poiché avrebbero preferito una mera raccomandazione, dunque uno strumento di soft law. Sarebbe emersa, altresì, l'esigenza di salvaguardare al massimo le specificità nazionali, in termini di modelli di relazioni industriali e di partecipazione delle parti sociali. Una voce molto critica sembrerebbe provenire dall'Ungheria che, muovendo da considerazioni legate alla difficile congiuntura economica, avrebbe evidenziato come per i Paesi dell'est sia particolarmente delicato il tema della rappresentanza sindacale e della contrattazione collettiva e contestato sia la competenza dell'Unione sul tema dei salari minimi che i relativi contenuti della proposta.
Al Parlamento europeo la proposta è stata assegnata alla Commissione per l'occupazione e gli affari sociali che a fine ottobre ha anche audito il Commissario per l'occupazione e i diritti sociali Nicolas Schmit ( comunicato stampa in inglese).
Le prime reazioni delle parti sociali
In via generale, come emerso anche dalla consultazione condotta dalla Commissione, i sindacati dei lavoratori hanno accolto positivamente l'iniziativa; al contrario, le organizzazioni dei datori di lavoro si sono mostrate meno favorevoli, soprattutto in relazione alla necessità di rispettare le competenze nazionali in materia di salari e il ruolo delle parti sociali, e avrebbero preferito optare per uno strumento non vincolante, ad esempio una raccomandazione.
Anche all'interno del Comitato economico e sociale ( CESE) sono emerse opinioni divergenti circa la legittimità di eventuali iniziative giuridiche dell'UE, specie nel caso di una direttiva, ma anche con riferimento alla capacità di un intervento dell'UE di apportare o meno un valore aggiunto.

L'impatto socio-economico del salario minimo

La fissazione di salari minimi livelli adeguati, a giudizio della Commissione europea, ha un impatto socio-economico positivo: contribuisce a ridurre la povertà lavorativa e la disuguaglianza salariale e di genere, sostiene la domanda interna e rafforza gli incentivi al lavoro; contribuisce, inoltre, a proteggere i datori di lavoro che retribuiscono dignitosamente i lavoratori, garantendo così una concorrenza leale.
Tuttavia, l 'impatto di un salario minimo nazionale sull'occupazione, la crescita e la povertà è controverso.
Vi sono diversi argomenti che riflettono posizioni contrarie sul salario minimo: esso, determinando un incremento del costo del lavoro, potrebbe avere l'effetto di diminuire l'occupazione: costringerebbe, ad esempio, i datori di lavoro a tagliare posti di lavoro o a ridurre l'orario di lavoro al fine di mantenere i profitti, contribuendo così a disoccupazione o reddito ridotto per i lavoratori scarsamente qualificati.
Inoltre, potrebbe aggravare il problema della non conformità, il che potrebbe anche spingere un certo numero di lavoratori con basse retribuzioni a optare per il lavoro informale. Potrebbe anche comportare effetti inflazionistici, in quanto i maggiori costi del lavoro verrebbero trasferiti ai consumatori mediante un aumento dei prezzi. Infine, secondo alcuni esperti, minori profitti per i datori di lavoro potrebbero limitare gli investimenti delle aziende.
Vi sono, invece, altri argomenti, che sono a favore: un salario minimo nazionale potrebbe rilanciare l'economia e creare posti di lavoro, in virtù dell' aumento del potere di acquisto dei lavoratori dipendenti a basso reddito che hanno maggiori probabilità di spendere i propri stipendi (interi) rispetto ai gruppi retribuiti più alti (che tendono a risparmiare eventuali eccedenze). Inoltre, garantirebbe una retribuzione equa e la riduzione delle disuguaglianze sociali e di reddito e impedirebbe lo sfruttamento. Infine, potrebbe avere effetti positivi sulla produttività delle aziende in quanto potrebbe determinare posti di lavoro interessanti per lavoratori altamente qualificati e un ridotto turnover tra i dipendenti.
Si veda, per un approfondimento delle relative tematiche ed argomentazioni, lo studio del Parlamento europeo "The minimum wage: a motor for growth or a brake on the economy?", settembre 2015, il documento dell'OCSE "Minimum wages after the crisis: Making them pay", e lo studio di Eurofound (2019) "Upward convergence in employment and socioeconomic factors".

Il reddito minimo negli Stati membri


Le più recenti statistiche Eurostat

Secondo le più recenti statistiche pubblicate da Eurostat, a luglio 2020 erano previste retribuzioni minime nazionali in 21 dei 27 Stati membri dell'UE (le eccezioni sono rappresentate da Danimarca, Italia, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia), con notevoli differenze tra gli Stati membri per quanto riguarda l'importo mensile: da 312 euro in Bulgaria a 2.142 euro in Lussemburgo.
In base al livello del loro salario minimo mensile lordo nazionale espresso in euro, gli Stati dell'UE (ma soltanto quelli che hanno salari minimi legali) sono stati classificati da Eurostat in tre gruppi diversi:
1) salari minimi nazionali inferiori a 500 euro al mese: Bulgaria, Lettonia, Romania e Ungheria. Si registrano variazioni dai 312 euro della Bulgaria ai 461 euro della Romania.
2) salari minimi nazionali tra 500 e 1.000 euro al mese: Croazia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Estonia, Lituania, Grecia, Portogallo, Malta e Slovenia. Il salario minimo nazionale varia da 537 euro in Croazia a 941 euro in Slovenia.
3) salari minimi nazionali di almeno 1.000 euro al mese: Spagna, Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Irlanda e Lussemburgo. Il loro salario minimo nazionale varia da 1.108 euro in Spagna a 2.142 euro in Lussemburgo.
Per gli Stati membri dell'UE con salari minimi nazionali che non fanno parte dell'area dell'euro (Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Ungheria, Polonia, Romania), il livello delle retribuzioni minime e la classifica espressa in euro è influenzata dai tassi di cambio utilizzati per convertire dalle valute nazionali in euro.
L'ampio divario nei livelli delle retribuzioni minime è tuttavia considerevolmente attenuato prendendo in considerazione il costo della vita nei diversi Stati dell'Unione e comparando il salario minimo al potere d'acquisto.
Sulla base dell'entità delle rispettive retribuzioni minime lorde mensili espresse in termini di standard di potere di acquisto ( PPS), gli Stati membri dell'UE (anche qui soltanto quelli che hanno salari minimi legali) possono essere classificati in due gruppi distinti:
1) il primo gruppo comprende i Paesi le cui retribuzioni minime nazionali a luglio 2020 erano inferiori a 1.000 PPS al mese: Lettonia, Bulgaria, Estonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Croazia, Ungheria, Portogallo, Grecia, Romania, Lituania e Malta, le cui retribuzioni minime nazionali variavano da 547 PPS in Lettonia a 890 PPS a Malta.
2) il secondo gruppo include i Paesi le cui retribuzioni minime nazionali a luglio 2020 erano pari ad almeno 1.000 PPS al mese: negli Stati membri dell'UE che ne fanno parte, cioè Polonia, Slovenia, Spagna, Irlanda, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Germania e Lussemburgo, le retribuzioni minime nazionali erano comprese tra 1.008 PPS in Polonia a 1.634 PPS in Lussemburgo.
Gli Stati membri del primo gruppo, caratterizzati da salari minimi relativamente bassi in euro, tendono ad avere livelli dei prezzi più bassi e quindi salari minimi relativamente più alti se espressi in standard di potere d'acquisto. D'altro canto, gli Stati membri con salari minimi relativamente alti in termini assoluti, tendono ad avere livelli dei prezzi più elevati così che le loro retribuzioni minime possono risultare inferiori in quanto a potere d'acquisto. 

Il documento di lavoro della Commissione europea

Secondo il documento di lavoro della Commissione europea (SWD(2020)245), che accompagna la proposta di direttiva in oggetto, a cui si rinvia per ulteriori approfondimenti, i salari minimi possono essere considerati adeguati quando sono equi rispetto ai salari di altri lavoratori e quando forniscono un tenore di vita dignitoso tenendo conto delle condizioni economiche generali del Paese.
Per misurare l'equità rispetto ad altri salari la Commissione europea prende in considerazione, ad esempio, il rapporto tra il salario minimo lordo e il salario mediano lordo, nonché con il salario medio lordo.
Per definire, invece, il tenore di vita dignitoso la Commissione misura il rapporto tra il salario minimo netto e la soglia di povertà (AROP), nonché con il salario medio netto.
Sebbene negli ultimi anni l'adeguatezza dei salari minimi legali sia migliorata in diversi Paesi, sostiene la Commissione, essa è ancora bassa in alcuni Stati membri, sulla base di tutti i principali indicatori. In quasi tutti gli Stati membri, infatti, nel 2019 il salario minimo legale risultava inferiore al 60% del salario mediano e al 50% del salario medio (cfr. grafico 1). Solo il salario minimo legale del Portogallo ha raggiunto entrambi i valori, mentre quello della Bulgaria ha raggiunto il 60% del salario mediano. Inoltre, il salario minimo legale era inferiore al 50% del salario mediano in nove Paesi (Estonia, Malta, Irlanda, Repubblica Ceca, Lettonia, Germania, Paesi Bassi, Croazia e Grecia). In tre di questi Paesi (Estonia, Malta e Irlanda) era addirittura inferiore al 45%. Sette Paesi (Estonia, Malta, Irlanda, Repubblica Ceca, Lettonia, Ungheria e Romania) avevano salari minimi inferiori al 40% del salario medio.
Negli Stati membri in cui la protezione del salario minimo è fornita da contratti collettivi, i salari stabiliti nei contratti collettivi per le occupazioni a bassa retribuzione (con l'eccezione dell'Italia) sono generalmente elevati rispetto ai salari minimi legali di altri Paesi.
Per il dato italiano, tuttavia, la Commissione specifica tuttavia che le diverse metodologie di raccolta dei dati danno risultati qualitativamente differenti sui salari concordati collettivamente in Italia.
Inoltre, secondo la Commissione, in nove Stati membri (Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Germania, Ungheria, Lettonia, Lussemburgo, Malta e Slovenia) il salario minimo legale non proteggeva i lavoratori con salario minimo dal rischio di povertà nel 2018 (cfr. grafico 2).
La valutazione dell'adeguatezza del salario minimo è più complessa nei Paesi in cui la protezione del salario minimo è fornita da contratti collettivi, secondo la Commissione; le informazioni disponibili suggeriscono che ci sono problemi con l'adeguatezza di alcuni salari minimi a Cipro e in Italia ma la valutazione dell'adeguatezza è sensibile alla metodologia di raccolta dei dati.
Esistono ampie differenze tra il potere d'acquisto dei salari minimi negli Stati membri. Il documento di lavoro ha misurato le differenze nel 2019 in base allo standard del potere d'acquisto (PPS), considerando stavolta, a differenza del dato riportato precedentemente di Eurostat, anche i salari fissati nei contratti collettivi per le professioni a bassa retribuzione nei Paesi che dipendono dalla contrattazione collettiva, i quali risultano relativamente alti rispetto ai salari minimi legali in altri Paesi.

Le donne, i lavoratori giovani e scarsamente qualificati, i genitori single e i lavoratori con contratti a tempo determinato o part-time hanno maggiori probabilità di guadagnare un salario minimo rispetto ad altri gruppi, sebbene con differenze importanti tra i diversi Paesi, come dimostrano i grafici seguenti sulle caratteristiche (età, genere, livello di istruzione, tipo di famiglia, tipologia di contratto, modello di lavoro) dei percettori di salario minimo per Stato membro (% di percettori di salario minimo – dati 2017).
Inoltre, praticamente in tutti i Paesi, la maggioranza dei salariati minimi lavora nei settori dei servizi e tendenzialmente le micro e le piccole imprese impiegano la maggioranza dei salariati minimi (grafici seguenti).

Relazione di Eurofound

Interessante anche il contributo di Eurofound ( relazione " Salari minimi nel 2020: revisione annuale"): malgrado i salari minimi legali siano divenuti più equi rispetto ai salari di altri lavoratori dall'inizio del millennio (confrontando i salari minimi legali con i salari mediani di tutti i lavoratori), essi nella maggior parte dei Paesi restano inferiori al 60% o addirittura al 50% dei salari mediani. Questo vale in particolare per gli Stati membri dell'Europa centrale e orientale, che all'inizio del millennio erano partiti da livelli relativi molto bassi e continuano ad avere obiettivi di circa il 50% o meno nelle loro normative sul salario minimo.
Inoltre, secondo Eurofound, complessivamente, sette lavoratori su 10 che percepiscono il salario minimo riferiscono quantomeno una certa difficoltà nell'arrivare a fine mese, rispetto a meno di cinque su 10 degli altri lavoratori; queste cifre variano tuttavia notevolmente da un Paese all'altro. Ad esempio, meno del 10% dei lavoratori che ricevono il salario minimo riferiscono di trovarsi in una situazione da difficile a molto difficile in Danimarca, Finlandia, Germania e Svezia rispetto al 50-60% in Bulgaria, Croazia e Cipro e all'80% in Grecia.
Il grafico seguente riporta la proporzione di lavoratori con salario minimo che hanno difficoltà o difficoltà ad arrivare a fine mese.

Consultazione dei portatori di interesse e valutazione d'impatto

Conformemente all'articolo 154 del TFUE, la Commissione europea ha condotto una consultazione in due fasi delle parti sociali su un'eventuale azione dell'UE nel settore dei salari minimi; inoltre, conformemente alla politica per legiferare meglio, ha realizzato una valutazione d'impatto di diverse opzioni strategiche.

Consultazione

Nella prima fase della consultazione, svoltasi tra il 14 gennaio e il 25 febbraio 2020, la Commissione ha consultato le parti sociali sulla necessità di un'iniziativa in materia di salari minimi e sul possibile orientamento di tale iniziativa ( C(2020)83).
Nella seconda fase, svoltasi tra il 3 giugno e il 4 settembre 2020, la Commissione ha consultato le parti sociali sul contenuto e sullo strumento giuridico della proposta prevista ( C(2020)3570).
In estrema sintesi, secondo quanto riferito dalla Commissione europea, le organizzazioni dei lavoratori hanno concordato in generale con gli obiettivi e il possibile contenuto dell'iniziativa quali definiti nel documento relativo alla seconda fase della consultazione e hanno sottolineato che le tradizioni nazionali e l'autonomia delle parti sociali dovrebbero essere rispettate. Le organizzazioni dei datori di lavoro hanno generalmente espresso sostegno per quanto riguarda la maggior parte degli obiettivi e il possibile orientamento di un'iniziativa dell'UE, definiti nel documento di consultazione. Alcune di tali organizzazioni hanno tuttavia sollevato dubbi sul valore aggiunto di un'azione normativa dell'UE in materia di determinazione dei salari minimi in considerazione della diversità dei quadri nazionali e hanno sottolineato la necessità di garantire il pieno rispetto delle competenze degli Stati membri e/o delle parti sociali.
Sebbene i sindacati abbiano invitato la Commissione a proporre una direttiva con prescrizioni minime vincolanti, nessuna delle organizzazioni dei datori di lavoro si è detta favorevole a una direttiva vincolante in materia di salari minimi.
Per fare degli esempi, la Confederazione europea dei sindacati (CES) ha accolto con favore l'iniziativa della Commissione europea di riaprire il dibattito sul salario minimo equo e a tal riguardo ha proposto alla Commissione di garantire che la definizione di un salario minimo equo non scenda al di sotto della soglia di rischio di povertà e di sostenere un processo di contrattazione collettiva; inoltre, nella seconda fase di consultazione, la Confederazione ha chiesto alla Commissione di presentare una direttiva quadro.
Al contrario, le organizzazioni dei datori di lavoro hanno sostenuto il punto di vista opposto ritenendo che la determinazione del salario debba essere lasciata alle parti sociali a livello nazionale senza interferenze del legislatore dell'UE. Ad esempio, nella loro risposta alla consultazione, BusinessEurope, Piccole e medie imprese unite (PMIunited) e il Centro europeo dei datori di lavoro e delle imprese che forniscono servizi pubblici (CEEP) hanno dichiarato che non sono favorevoli a un'azione vincolante dell'UE per incoraggiare un salario minimo "equo" a livello nazionale; sostengono che l'UE non ha la competenza per introdurre uno strumento giuridico vincolante. A loro avviso, la Commissione non dovrebbe in alcun caso optare per una direttiva, ma al massimo per una raccomandazione del Consiglio che almeno rispetterebbe il ruolo e l'autonomia delle parti sociali, nonché delle giurisdizioni nazionali. Secondo le organizzazioni dei datori di lavoro, potrebbe essere il Semestre europeo lo strumento da utilizzare per monitorare i criteri salariali.

Valutazione d'impatto

Parallelamente allo scenario di base, la Commissione europea ha preso in considerazione tre opzioni strategiche:
1) opzione A: sostegno della contrattazione collettiva, anche mediante un ampliamento della sua copertura, da parte tutti gli Stati membri; forte coinvolgimento delle parti sociali nella determinazione di salari minimi per gli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali nazionali; no deroghe, variazioni e ritenute; adeguatezza dei salari minimi legali valutata rispetto a una misura nazionale del tenore di vita dignitoso.
2) opzione B: sostegno della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari da parte di tutti gli Stati membri, in particolare nei casi in cui la copertura della contrattazione collettiva è bassa; inclusione nei quadri nazionali di criteri espliciti per l'adeguatezza dei salari minimi e di valori di riferimento indicativi, quali il 60% del salario lordo mediano o il 50% del salario lordo medio, nonché un ruolo rafforzato delle parti sociali per gli Stati in cui sono in vigore salari minimi legali nazionali; variazioni e ritenute obiettivamente giustificate e proporzionate.
3) opzione C: sostegno della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari da parte di tutti gli Stati membri, in particolare nei casi in cui la copertura della contrattazione collettiva è bassa; quadri nazionali principalmente basati sull'indicizzazione automatica, unita all'impiego di valori di riferimento, per gli Stati membri in cui sono in vigore salari minimi legali nazionali; variazioni e ritenute obiettivamente giustificate e proporzionate.
La Commissione ha optato per il pacchetto B poiché garantisce un equilibrio migliore tra il conseguimento degli obiettivi strategici e i relativi costi, consente di realizzare in maniera proporzionata tali obiettivi, rispetta le disposizioni nazionali consolidate e lascia un margine di discrezionalità agli Stati membri e alle parti sociali.
Inoltre, la Commissione ha scelto di presentare una proposta di direttiva (pur avendo preso in considerazione l'opzione di una raccomandazione del Consiglio o una combinazione di direttiva e raccomandazione) poiché prevede prescrizioni minime applicabili, lasciando margine agli Stati membri per definire il metodo e la forma di intervento ai fini del conseguimento degli obiettivi.

Impatto dell'opzione prescelta

Vantaggi: secondo la Commissione, l'opzione prescelta comporterà salari minimi più elevati in circa la metà degli Stati membri: circa 25 milioni di lavoratori, infatti, potrebbero beneficiare di tali incrementi se gli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali li aumentassero fino al 60% del salario mediano o al 50% del salario medio. In alcuni Stati membri l'aumento dei salari minimi legali potrebbe essere superiore al 20%. L'aumento dei salari minimi comporterebbe una riduzione del 10% delle disuguaglianze salariali e della povertà lavorativa e una riduzione media del 5% circa del divario retributivo di genere, se gli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali li aumentassero fino al 60% del salario mediano o al 50% del salario medio. Secondo le previsioni, l'aumento dei salari minimi porterà a un miglioramento degli incentivi al lavoro.
Sempre a giudizio della Commissione, il rafforzamento e l'aumento della copertura della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari andranno a vantaggio dei lavoratori, promuovendo la crescita dei salari in tutti gli Stati membri. Inoltre il rafforzamento dell'applicazione e del monitoraggio dei salari minimi contribuirà a far sì che i lavoratori traggano vantaggio dall'accesso concreto alla tutela garantita dal salario minimo e siano retribuiti con i salari cui hanno diritto. Negli Stati membri che fanno affidamento sulla contrattazione collettiva, il sostegno a quest'ultima per quanto concerne la determinazione dei salari amplierà il numero di lavoratori tutelati, oltre a migliorare l'adeguatezza laddove è limitata. Nei paesi in cui sono previsti salari minimi legali, l'impiego di criteri chiari e stabili per orientare la determinazione e l'aggiornamento dei salari minimi e il rafforzamento del ruolo delle parti sociali miglioreranno l'adeguatezza dei salari minimi e il contesto imprenditoriale. Limitare le variazioni e le ritenute consentirà inoltre di ridurre il numero dei lavoratori che percepiscono salari inferiori al minimo.
Costi: secondo la Commissione, gli impatti economici comprendono un incremento dei costi del lavoro per le imprese, l'aumento dei prezzi e, in misura minore, la riduzione dei profitti. Secondo le stime effettuate, i ¾ circa del costo economico di salari minimi più elevati saranno sostenuti dai consumatori, mentre il restante quarto andrà a carico delle imprese. L'impatto sulle imprese è attenuato da un incremento dei consumi dei lavoratori a basso salario, che sosterrà la domanda interna. Si prevede che l'aumento della spesa salariale totale dell'UE sarà moderato, pari all'1% circa (51-53 miliardi di euro l'anno), se gli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali li aumenteranno fino al 60 % del salario mediano o al 50 % del salario medio. Anche l'impatto previsto in termini di competitività a livello aggregato sarà limitato. Il miglioramento dei meccanismi di determinazione dei salari minimi dovrebbe inoltre attenuare gli eventuali impatti negativi sulle imprese. Il pacchetto prevede la flessibilità sufficiente per consentire agli Stati membri di tenere conto delle condizioni economiche e degli impatti su particolari settori, regioni e PMI.
Secondo le previsioni, l'eventuale impatto negativo sull'occupazione sarà limitato, risultando pari allo 0,5% circa del tasso di occupazione totale, se gli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali li aumenteranno fino al 60% del salario mediano o al 50% del salario medio. I vantaggi dell'aumento dei salari minimi per i lavoratori interessati sarebbero di gran lunga superiori all'eventuale impatto negativo sull'occupazione di questi stessi lavoratori.
Incidenza su aziende, PMI e microimprese: le PMI impiegano circa l'87% dei lavoratori che percepiscono un salario minimo (rispetto ai due terzi circa di tutti i lavoratori) e, secondo le previsioni, dovrebbero sopportare una percentuale analoga dei costi diretti per le imprese. La portata dell'impatto sulle PMI sarà determinata dai criteri nazionali definiti per determinare i livelli dei salari minimi legali. Un aumento dei salari minimi legali fino al 60% del salario mediano o al 50% del salario medio in tutti i Paesi in cui è previsto un salario minimo legale nazionale comporterebbe un incremento dei costi netti pari a circa 12 miliardi di euro. Ciononostante, l'eventuale impatto negativo sulle PMI dovrebbe essere limitato. In primo luogo, è probabile che le PMI possano trasferire l'incremento dei costi del lavoro sui consumatori mediante un aumento dei prezzi. In secondo luogo, l'aumento dei salari minimi potrebbe anche comportare un aumento della domanda dei servizi delle PMI . I potenziali impatti negativi dell'aumento dei costi del lavoro per le PMI sarebbero parzialmente controbilanciati da incrementi più progressivi e prevedibili dei salari minimi, che migliorerebbero il contesto imprenditoriale.
Impatto sui bilanci e sulle amministrazioni nazionali: l'aumento dei salari minimi determinato dai criteri nazionali definiti conformemente alla presente iniziativa comporterà, secondo le previsioni, un miglioramento del saldo dei bilanci pubblici (meno dello 0,1% del PIL). Si prevede che gli effetti sugli oneri amministrativi saranno limitati poiché l'iniziativa è intesa a rafforzare istituzioni e procedure già esistenti.
Impatto sui diritti fondamentali: tutti i pacchetti avranno un impatto sui diritti fondamentali. Si prevede che sosterranno la parità di genere e che contribuiranno a ridurre il divario retributivo di genere dato che le donne costituiscono la maggioranza dei lavoratori che percepiscono un salario minimo (il 60% circa nell'UE).

Contenuti

La proposta consta di quattro Capi e 19 articoli.
Il Capo I (articoli 1-4) reca le disposizioni generali.
L' articolo 1 definisce l'oggetto della direttiva, ossia istituire un quadro a livello dell'Unione per: la determinazione di livelli adeguati di salari minimi; l'accesso dei lavoratori alla tutela garantita dal salario minimo, sotto forma di salari determinati da contratti collettivi o di un salario minimo legale, laddove esistente.
L'articolo chiarisce inoltre che la direttiva non interferisce con la libertà degli Stati membri di fissare salari minimi legali o di promuovere l'accesso alla tutela garantita dal salario minimo fornita da contratti collettivi, in linea con le tradizioni nazionali e nel pieno rispetto della libertà contrattuale delle parti sociali. La disposizione chiarisce anche che la direttiva non impone agli Stati membri in cui non esiste un salario minimo legale l'obbligo di introdurlo, né di rendere i contratti collettivi universalmente applicabili.
L' articolo 2 chiarisce l'ambito di applicazione della direttiva, che comprende i lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quali definiti dal diritto, dai contratti collettivi o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro, tenendo conto della giurisprudenza della Corte di giustizia dell'UE.
A giudizio della Commissione, tale approccio adottato per l'ambito di applicazione personale della direttiva consente di contrastare il rischio che dall'ambito di applicazione della direttiva stessa resti escluso un numero crescente di lavoratori atipici, quali i lavoratori domestici, i lavoratori a chiamata, i lavoratori intermittenti, i lavoratori a voucher, i falsi lavoratori autonomi, i lavoratori tramite piattaforma digitale, i tirocinanti e gli apprendisti. La direttiva proposta si applicherebbe a tali lavoratori, a condizione che rispettino i criteri stabiliti dalla Corte di giustizia per quanto riguarda la definizione di "lavoratore".
L' articolo 3 contiene le definizioni di una serie di termini e nozioni necessari per interpretare le disposizioni della direttiva.
1) " salario minimo": la retribuzione minima che un datore di lavoro è tenuto a versare ai lavoratori per il lavoro svolto in un dato periodo, calcolato sulla base del tempo o dei risultati prodotti;
2) " salario minimo legale": un salario minimo stabilito dalla legge o da altre disposizioni giuridiche vincolanti;
3) " contrattazione collettiva": l'insieme delle negoziazioni che avvengono tra un datore di lavoro, un gruppo di datori di lavoro o una o più organizzazioni di datori di lavoro, da un lato, e una o più organizzazioni di lavoratori, dall'altro, per determinare le condizioni di lavoro e di impiego, e/o regolamentare i rapporti tra i datori di lavoro e i lavoratori, e/o regolamentare i rapporti tra i datori di lavoro o le loro organizzazioni e una o più organizzazioni di lavoratori;
4) " contratto collettivo": ogni accordo scritto relativo alle condizioni di lavoro e di impiego concluso dalle parti sociali a seguito della contrattazione collettiva;
5) " copertura della contrattazione collettiva": la percentuale di lavoratori a livello nazionale cui si applica un contratto collettivo.
L' articolo 4 mira ad aumentare la copertura della contrattazione collettiva. A tal fine, gli Stati membri, in consultazione con le parti sociali, sono tenuti ad adottare almeno misure volte a promuovere la capacità delle parti sociali di partecipare alla contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari a livello settoriale o intersettoriale e a incoraggiare negoziazioni costruttive, significative e informate in materia di salari.
La disposizione impone inoltre agli Stati membri in cui la copertura della contrattazione collettiva (definita all'articolo 3) non raggiunge almeno il 70% dei lavoratori di prevedere un quadro per la contrattazione collettiva e di istituire un piano d'azione per promuoverla, che deve essere reso pubblico e notificato alla Commissione europea.
 
Il Capo II (articoli 5-8) concerne i salari minimi legali e si applica solo agli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali.
L' articolo 5, impone agli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali di adottare le misure necessarie a garantire che la determinazione e l'aggiornamento dei salari minimi legali siano basati su criteri stabiliti per promuovere l'adeguatezza al fine di conseguire condizioni di vita e di lavoro dignitose, coesione sociale e una convergenza verso l'alto. Gli Stati membri sono tenuti a definire tali criteri in modo stabile e chiaro, conformemente alle rispettive prassi nazionali, nella pertinente legislazione nazionale, nelle decisioni degli organi competenti o in accordi tripartiti.
I criteri nazionali devono comprendere almeno il potere d'acquisto dei salari minimi, tenuto conto del costo della vita e dell'incidenza delle imposte e delle prestazioni sociali, il livello generale dei salari lordi e la loro distribuzione, il tasso di crescita dei salari lordi e l'andamento della produttività del lavoro.
Agli Stati membri è inoltre imposto di utilizzare valori di riferimento indicativi, come quelli comunemente utilizzati a livello internazionale, per orientare la valutazione dell'adeguatezza dei salari minimi legali, e di istituire organi consultivi per fornire consulenza alle autorità competenti sulle questioni relative ai salari minimi legali.
L' articolo 6, al fine di promuovere l'adeguatezza dei salari minimi per tutti i gruppi di lavoratori, chiede agli Stati membri, in consultazione con le parti sociali, di limitare l'uso delle variazioni del salario minimo legale e la loro applicazione in termini di tempo e portata. Prevede, inoltre, la protezione dei salari minimi legali dalle trattenute ingiustificate o sproporzionate.
Alcune trattenute sui salari minimi legali - chiarisce la Commissione - possono infatti essere giustificate da un obiettivo legittimo, ad esempio se disposte da un'autorità giudiziaria. Altre, come le trattenute connesse alle attrezzature necessarie per svolgere un lavoro o quelle per le indennità in natura, quali l'alloggio, possono essere ingiustificate o sproporzionate.
L' articolo 7 impone il coinvolgimento efficace e tempestivo delle parti sociali nella determinazione e nell'aggiornamento dei salari minimi legali, anche mediante la partecipazione agli organi consultivi di cui all'articolo 5. La disposizione impone agli Stati membri di coinvolgere le parti sociali nella definizione dei criteri di cui all'articolo 5, nell'aggiornamento dei salari minimi, nella determinazione delle variazioni e delle trattenute di cui all'articolo 6, nella raccolta dei dati e nella realizzazione di studi nel settore.
L' articolo 8 impone agli Stati membri di adottare, in cooperazione con le parti sociali, le misure necessarie a garantire l'accesso effettivo dei lavoratori alla tutela garantita dal salario minimo legale.
Le misure necessarie consisterebbero principalmente nel rafforzare il sistema di controlli e ispezioni sul campo, che devono essere proporzionati e non discriminatori, fornire orientamenti alle autorità responsabili dell'applicazione, affinché individuino e perseguano in maniera proattiva le imprese non conformi, e dotare i lavoratori di informazioni chiare, complete e facilmente accessibili sui salari minimi legali applicabili.
 
Il Capo III (articoli 9- 12) reca le disposizioni orizzontali.
L' articolo 9 prevede che, nell'esecuzione degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, gli operatori economici (compresa la successiva catena di subappalto) siano tenuti a conformarsi ai salari applicabili stabiliti dalle contrattazioni collettive e ai salari minimi legali, laddove esistenti.
Nell'esecuzione di tali contratti - sostiene la Commissione - è infatti possibile che le disposizioni relative al salario minimo legale o i salari stabiliti dai contratti collettivi non siano rispettati e che di conseguenza la retribuzione dei lavoratori sia inferiore alla tutela garantita dal salario minimo applicabile.
L'obbligo stabilito da questa disposizione rientra negli obblighi applicabili in materia di diritto del lavoro di cui all'articolo 18, paragrafo 2, e all'articolo 71, paragrafo 1, della direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici, all'articolo 36, paragrafo 2, e all'articolo 88, paragrafo 1, della direttiva 2014/25/UE sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali e all'articolo 30, paragrafo 3, e all'articolo 42, paragrafo 1, della direttiva 2014/23/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione.
Il riferimento esplicito alle disposizioni di cui sopra e il loro chiarimento - afferma la Commissione - sono intesi a sostenerne e rafforzarne l'attuazione nell'ambito dei salari minimi.
L' articolo 10 concerne l'istituzione di un sistema efficace di monitoraggio e raccolta dei dati. A tal fine, gli Stati membri sono tenuti a incaricare le rispettive autorità competenti di sviluppare strumenti efficaci di raccolta dei dati per monitorare la copertura e l'adeguatezza dei salari minimi e di comunicare annualmente alla Commissione i seguenti dati (disaggregati per genere, fascia di età, disabilità, dimensioni dell'impresa e settore): a) per i salari minimi legali: il livello del salario minimo legale e la percentuale di lavoratori coperti da tale salario minimo legale; le variazioni esistenti e la percentuale di lavoratori interessati da tali variazioni; le trattenute esistenti; il tasso di copertura della contrattazione collettiva; b) per la tutela garantita dal salario minimo fornita esclusivamente dai contratti collettivi: la distribuzione in decili di tali salari ponderata in funzione della percentuale di lavoratori coperti; il tasso di copertura della contrattazione collettiva; il livello dei salari dei lavoratori che non beneficiano della tutela garantita dal salario minimo fornita da contratti collettivi e il suo rapporto con il livello dei salari dei lavoratori che beneficiano di tale tutela minima.
La disposizione impone anche agli Stati membri di garantire che le informazioni riguardanti i contratti collettivi e le relative disposizioni in materia di salari siano trasparenti e disponibili pubblicamente.
Ai fini del monitoraggio dell'attuazione della presente direttiva, la disposizione prevede inoltre che la Commissione riferisca al Parlamento europeo e al Consiglio in merito alla propria valutazione degli sviluppi dell'adeguatezza e della copertura dei salari minimi sulla base delle informazioni trasmesse dagli Stati membri. Sulla base della relazione della Commissione il comitato per l'occupazione sarebbe inoltre incaricato di esaminare la promozione della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari e l'adeguatezza dei salari minimi negli Stati membri, nel quadro del processo di coordinamento delle politiche economiche e dell'occupazione a livello dell'Unione.
L' articolo 11, fatte salve le forme specifiche di ricorso e risoluzione delle controversie previste, ove applicabile, dai contratti collettivi, impone agli Stati membri di garantire ai lavoratori, compresi quelli il cui rapporto di lavoro è terminato, l'accesso a una risoluzione efficace e imparziale delle controversie e il diritto di ricorso, compreso il diritto a una compensazione adeguata, in caso di violazione dei loro diritti relativi ai salari minimi legali o alla tutela garantita dal salario minimo fornita dai contratti collettivi.
Inoltre, gli Stati membri devono adottare le misure necessarie a proteggere i lavoratori, compresi quelli che sono rappresentanti dei lavoratori, da qualsiasi trattamento sfavorevole da parte del datore di lavoro o da qualsiasi conseguenza sfavorevole derivante da un reclamo presentato nei confronti del datore di lavoro o da una procedura promossa al fine di ottenere il rispetto dei diritti relativi ai salari minimi legali o alla tutela garantita dal salario minimo fornita dai contratti collettivi.
L' articolo 12 impone agli Stati membri di prevedere sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive in caso di violazioni delle disposizioni nazionali che istituiscono la tutela garantita dal salario minimo.
A tal proposito, la relazione del Governo sulla proposta evidenzia "una decisiva criticità" nella conformazione del modello sanzionatorio inteso a punire la violazione delle norme nazionali che assicurano il rispetto delle disposizioni, anche contrattuali, in materia di salario minimo Dal momento che infatti il sistema di determinazione dei salari in Italia è rimesso alla contrattazione collettiva, ed il modello italiano di relazioni sindacali è caratterizzato da un elevato livello di pluralismo organizzativo, sia dal lato dei lavoratori sia da quello dei datori di lavoro, l'estremo pluralismo delle fonti sindacali renderebbe l'impianto sanzionatorio illegittimo per mancanza della doverosa tipizzazione del precetto in considerazione della indeterminatezza dei minimi obbligatoriamente applicabili. La presenza in ciascun settore produttivo di una pluralità di contratti collettivi, parimenti abilitati, sembrerebbe imporre al Legislatore, per conformarsi alla direttiva e per non ledere il principio di tassatività del precetto, di individuare con una norma di legge la fonte contrattuale di riferimento del minimo salariale rispetto al quale parametrare l'eventuale scostamento tale da comportate la comminazione della sanzione. Nello specifico, la relazione del governo suggerisce di vagliare sin d'ora, la possibilità di fare riferimento ai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentativi a livello nazionale nella categoria.
Il Capo IV (articoli 13-19) reca le disposizioni finali.
L' articolo 13 sottolinea che a norma dell'articolo 153, paragrafo 3, TFUE gli Stati membri possono affidare alle parti sociali l'attuazione della direttiva, laddove le parti sociali lo richiedano e a condizione che gli Stati membri adottino tutte le misure necessarie per essere sempre in grado di assicurare i risultati prescritti dalla presente direttiva.
L' articolo 14 stabilisce che gli Stati membri devono provvedere affinché le misure nazionali che recepiscono la direttiva, unitamente alle pertinenti disposizioni già in vigore in relazione all'oggetto stabilito all'articolo 1, siano portate a conoscenza dei lavoratori e dei datori di lavoro, comprese le PMI.
L' articolo 15 prevede che la Commissione effettui una valutazione della direttiva cinque anni dopo il suo recepimento. La Commissione riferirà quindi ai colegislatori esaminando l'attuazione della direttiva e, se lo riterrà opportuno, presenterà proposte volte a rivederla e aggiornarla.
L' articolo 16 chiarisce che la direttiva: non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di protezione riconosciuto ai lavoratori negli Stati membri; lascia impregiudicata la prerogativa degli Stati membri di applicare o introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori o di promuovere o consentire l'applicazione di contratti collettivi che siano più favorevoli ai lavoratori; lascia impregiudicato ogni altro diritto conferito ai lavoratori da altri atti giuridici dell'Unione.
L' articolo 17 stabilisce il termine massimo entro il quale gli Stati membri devono recepire la direttiva nel diritto nazionale e comunicare i testi pertinenti alla Commissione (due anni) e prevede l'obbligo per gli Stati membri di comunicare alla Commissione le informazioni relative all'applicazione della direttiva.
L' articolo 18 stabilisce che la direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.
L' articolo 19 precisa che gli Stati membri sono destinatari della direttiva.

Esame presso altri Parlamenti nazionali

Sulla base dei dati forniti dal sito IPEX, l'esame dell'atto risulta avviato da parte dei Parlamenti di Danimarca, Finlandia, Germania, Lituania, Repubblica ceca, Slovacchia, Spagna, Svezia e Ungheria.