Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Ambiente
Titolo: Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale -Vol. I (art. da 1 a 30-bis)
Riferimenti: AC N.2648/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 322/1
Data: 06/09/2020
Organi della Camera: I Affari costituzionali, VIII Ambiente

Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale - Edizione provvisoria

 

 

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Dossier n. 275/1 – Volume I

 

 

 

 

 

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Progetti di legge n. 322/1 Volume I

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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I N D I C E

 

Articolo 1, commi 1-5-bis (Procedure per l’incentivazione degli investimenti pubblici durante il periodo emergenziale in relazione all’aggiudicazione dei contratti pubblici sotto soglia) 5

Articolo 1, comma 5-ter (Liquidità microimprese, piccole e medie imprese) 16

Articolo 2 (Procedure per l’incentivazione degli investimenti pubblici in relazione all’aggiudicazione dei contratti pubblici sopra soglia) 18

Articolo 2-bis (Raggruppamenti temporanei di imprese) 30

Articolo 2-ter (Norme per favorire l'attuazione delle sinergie all'interno del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane) 32

Articolo 3 (Verifiche antimafia e protocolli di legalità) 34

Articolo 4, comma 1 (Conclusione dei contratti pubblici) 41

Articolo 4, commi 2-4 (Ricorsi giurisdizionali) 44

Articolo 4-bis  (Disposizioni in materia di contratti pubblici per servizi di pulizia o di lavanderia in ambito sanitario) 48

Articolo 5 (Sospensione dell'esecuzione dell'opera pubblica) 50

Articolo 6 (Collegio consultivo tecnico) 56

Articolo 7 (Fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche) 67

Articolo 8, commi 1-4 (Disposizioni urgenti in materia di contratti pubblici) 71

Articolo 8, commi 5 e 6 (Modifiche al Codice dei contratti pubblici) 82

Articolo 8, comma 6-bis  (Deroghe dibattito pubblico) 93

Articolo 8, comma 7 (Proroga termini e modifiche al decreto-legge n. 32 del 2019) 95

Articolo 8, co. 7-bis  (Modalità di gestione delle attività di valorizzazione dei beni culturali e dei servizi integrati nei luoghi di cultura) 99

Articolo 8, comma 8 (Acquisto di beni per l'avvio dell'anno scolastico 2020/2021) 102

Articolo 8, comma 9 (Piani di riorganizzazione della rete ospedaliera e della rete assistenziale territoriale) 106

Articolo 8, commi 10 e 10-bis (Validità dei documenti unici di regolarità contributiva e documento relativo alla congruità dell’incidenza della manodopera) 108

Articolo 8, comma 11 (Regolamento attuativo settori difesa e sicurezza) 110

Articolo 8-bis  (Contratti pubblici degli enti ed aziende del Servizio sanitario della Regione Calabria) 112

Articolo 9 (Misure di accelerazione degli interventi infrastrutturali - Commissari straordinari) 114

Articolo 10 (Semplificazioni ed altre misure in materia edilizia) 125

Articolo 10-bis (Semplificazioni su demolizione opere abusive) 200

Articolo 11, commi 1-3 (Accelerazione e semplificazione della ricostruzione pubblica nelle aree colpite da eventi sismici) 203

Articolo 11, comma 3-bis  (Definizione procedure di condono) 211

Articolo 11, comma 3-ter (Disposizioni sul sisma 2012) 213

Articolo 11-bis  (Ricostruzione pubblica – sisma Centro Italia 2016-2017) 214

Articolo 12 (Modifiche alla legge 7 agosto 1990, n. 241) 217

Articolo 12-bis (Procedure di competenza dell'Ispettorato nazionale del lavoro) 235

Articolo 13 (Accelerazione del procedimento in conferenza di servizi) 240

Articolo 14  (Disincentivi alla introduzione di nuovi oneri regolatori) 248

Articolo 15 (Agenda per la semplificazione, ricognizione e semplificazione dei procedimenti e modulistica standardizzata) 251

Articolo 16 (Disposizioni per facilitare l’esercizio del diritto di voto degli italiani all’estero nel referendum confermativo del testo di legge costituzionale, recante “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari) 263

Articolo 16-bis (Soggetti abilitati all’autenticazione delle sottoscrizioni in materia elettorale) 270

Articolo 16-ter (Disposizioni in materia di circolazione in Italia di veicoli immatricolati all'estero) 273

Articolo 16-quater (Codice alfanumerico unico per l'indicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro) 276

Articolo 16-quinquies  (Produzione di sostanze attive per medicinali sperimentali) 277

Articolo 17 (Stabilità finanziaria degli enti locali) 278

Articolo 17-bis  (Accesso ai dati e alle informazioni di cui all'articolo 7, sesto comma, del d.P.R. n. 605 del 1973) 285

Articolo 18 (Soppressione della disposizione che limitava il potere di ordinanza sindacale durante l'emergenza sanitaria) 287

Articolo 19, comma 1, lettera a) (Organizzazione del sistema universitario) 291

Articolo 19, comma 1, lettera b) (Rendicontazione delle attività di ricerca dei professori e dei ricercatori) 294

Articolo 19, comma 1, lettera c) (Mobilità interuniversitaria) 297

Articolo 19, comma 1, lett. d) e d-bis), e comma 1-bis (Interventi in materia di commissioni per l’abilitazione scientifica nazionale e di reclutamento di professori universitari) 299

Articolo 19, comma 1, lettera e)  (Assegni di ricerca) 305

Articolo 19, comma 1, lett. f), f-bis) e f-ter), e comma 6-ter (Disposizioni relative ai ricercatori universitari a tempo determinato) 307

Articolo 19, comma 1-ter  (Obbligo di residenza dei professori universitari) 312

Articolo 19, comma 2 (Accreditamento dei corsi di studio) 313

Articolo 19, comma 3  (Titoli rilasciati da Scuole superiori a ordinamento speciale) 317

Articolo 19, comma 4 (Fondazioni universitarie di diritto privato) 320

Articolo 19, comma 5 (Valutazione dei titoli nei concorsi relativi all'ammissione dei medici alle scuole di specializzazione) 323

Articolo 19, comma 5-bis  (Svolgimento di attività di medicina generale da parte di medici appartenenti alle Forze dell'ordine e alle Forze armate) 324

Articolo 19, comma 6 (Agenzia nazionale per la ricerca) 325

Articolo 19, comma 6-bis (Equiparazione titoli per l'assunzione alle dipendenze della pubblica amministrazione) 328

Articolo 19, comma 6-quater  (Collegi universitari di merito) 330

Articolo 19, comma 6-quinquies (Modifica all’articolo 25 del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162) 333

Articolo 20  (Disposizioni concernenti il Corpo nazionale dei vigili del fuoco) 335

Articolo 20-bis (Disposizioni concernenti il personale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) 344

Articolo 21 (Responsabilità erariale) 346

Articolo 22 (Controllo concomitante della Corte dei conti per accelerare gli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale) 350

Articolo 23 (Modifiche all’articolo 323 del codice penale) 354

Articolo 23-bis (Adeguamento dei Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti alle previsioni in materia di amministrazione digitale) 358

Articolo 24 (Identità digitale, domicilio digitale, accesso ai servizi digitali) 360

Articolo 24-bis (Semplificazione nell'accesso ai servizi di bigliettazione elettronica dei Comuni e degli enti locali) 370

Articolo 25 (Conservazione dei documenti informatici e gestione dell'identità digitale) 372

Articolo 26 (Piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione) 376

Articolo 27 (Misure per la semplificazione e la diffusione della firma elettronica avanzata e dell’identità digitale per l’accesso ai servizi bancari) 385

Articolo 27-bis (Modifiche all’articolo 55 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, misure per la semplificazione dell’identificazione di acquirenti di S.I.M.) 394

Articolo 28 (Semplificazione della notificazione e comunicazione telematica degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale) 395

Articolo 29 (Disposizioni per favorire l'accesso delle persone con disabilità agli strumenti informatici, piattaforma unica nazionale informatica di targhe associate a permessi di circolazione dei titolari di contrassegni) 400

Articolo 29 comma 2-bis (Semplificazioni in materia di esportazioni di veicoli) 413

Articolo 29-bis (Accertamenti per il riconoscimento di benefici a portatori di handicap nel settore dei sussidi tecnici e informatici) 415

Articolo 30 (Misure di semplificazione in materia anagrafica) 418

Articolo 30-bis (Misure di semplificazione in materia di autocertificazione) 421

 


Articolo 1, commi 1-5-bis
(Procedure per l’incentivazione degli investimenti pubblici durante il periodo emergenziale in relazione all’aggiudicazione dei contratti pubblici sotto soglia)

 

 

L'articolo 1, modificato dal Senato, interviene in materia di procedure relative all’aggiudicazione dei contratti pubblici sotto soglia, ai fini dell’incentivazione degli investimenti pubblici durante il periodo emergenziale.

Il comma 1 individua l'ambito applicativo della norma, stabilendo che, in deroga alle disposizioni del codice, si applichino le procedure di affidamento di cui ai commi 2, 3 e 4 della disposizione in esame, qualora la determina a contrarre o altro atto equivalente di avvio del procedimento sia adottato entro il 31 dicembre 2021 (termine temporale modificato dal Senato, rispetto al 31 luglio 2021 previsto dal testo originario del decreto). In tali casi, l’aggiudicazione o l’individuazione definitiva del contraente avviene entro il termine di due mesi dalla data di adozione dell’atto di avvio del procedimento, aumentato a quattro mesi nei casi di procedura negoziata senza bando, e vengono fatte salve le ipotesi in cui la procedura sia sospesa per effetto di provvedimenti dell’autorità giudiziaria. Il mancato rispetto dei termini previsti può essere valutato ai fini della responsabilità del responsabile unico del procedimento per danno erariale e - qualora imputabili all’operatore economico - i ritardi costituiscono causa di esclusione dell’operatore dalla procedura o di risoluzione del contratto per inadempimento.

Il comma 2 stabilisce le procedure per l'affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture, nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l’attività di progettazione, di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea.

Si prevede, a seguito di una modifica approvata dal Senato, l'affidamento diretto per lavori di importo inferiore a 150.000 euro e per servizi e forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria e architettura e l'attività di progettazione, di importo inferiore a 75.000 euro (lett. a). Si prevede poi (lettera b), modificata dal Senato) la procedura negoziata senza bando di cui all’articolo 63 del Codice, previa consultazione di almeno cinque operatori economici ovvero di un numero superiore di operatori, graduato a seconda dell'importo del contratto, e - secondo una modifica  del Senato - con l'individuazione degli operatori economici in base ad indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, previa pubblicazione di un avviso relativo all'avvio della procedura di affidamento. Inoltre, in base a una modifica del Senato, le stazioni appaltanti danno altresì evidenza dell'avvio delle procedure negoziate senza bando, tramite pubblicazione di un avviso sui siti internet istituzionali.

Con altra modifica del Senato, si prevede che l'avviso sui risultati della procedura di affidamento, la cui pubblicazione nel caso di cui alla lettera a) non è obbligatoria per affidamenti inferiori a 40.000 euro, contiene anche l'indicazione dei soggetti invitati.

Il comma 3 prevede che gli affidamenti diretti possono essere realizzati tramite determina a contrarre, o atto equivalente; per gli affidamenti mediante procedura negoziata senza bando, le stazioni appaltanti procedono con propria scelta all'aggiudicazione sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa ovvero del prezzo più basso, nel rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento. In base ad una modifica del Senato, si specifica che resta fermo quanto previsto dall'articolo 95, comma 3 del codice in materia di criteri di aggiudicazione dell'appalto sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Nel caso di aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso, si procede all’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia.

Il comma 4 dispone che per le modalità di affidamento di cui al presente articolo la stazione appaltante non richiede le garanzie provvisorie previste dal codice, salvo che, in considerazione della tipologia e specificità della singola procedura, ricorrano particolari esigenze; in tal caso, la stazione appaltante le indica nell’avviso di indizione della gara o in altro atto equivalente. Nel caso in cui sia richiesta la garanzia provvisoria, il relativo ammontare è comunque dimezzato.

Il comma 5 prevede che le disposizioni dell'articolo si applichino anche alle procedure per l'affidamento dei servizi di organizzazione, gestione e svolgimento delle prove dei concorsi pubblici di cui agli articoli 247 e 249 del decreto-legge n. 34 del 2020, fino all'importo di 750.000 euro.

Con una modifica del Senato, si prevede altresì l'inserimento di un comma aggiuntivo 5-bis il quale novella l'art. 36 del Codice dei contratti pubblici prevedendo la non obbligatorietà della pubblicazione dell'avviso sui risultati per gli affidamenti diretti di importo inferiore a 40.000 euro, novellando l'articolo 36 del codice.

 

 

In dettaglio, l’articolo 1 interviene in materia di procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici sotto soglia.

Si indica il fine di incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici, nonché di far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale del COVID-19.

Nel dettaglio, si prevede che, in deroga agli articoli 36, comma 2, e 157, comma 2, del codice dei contratti pubblici, si applichino le procedure di affidamento dettate dalla disposizione in esame, ai commi 2, 3 e 4.

Si ricorda che articoli 36 reca i contratti sotto soglia, prevedendo al co. 2 le modalità con cui le stazioni appaltanti procedono all'affidamento di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie europee di cui all'articolo 35, mentre l'art. 157 norma gli altri incarichi di progettazione e connessi. Per una più ampia ricostruzione della normativa del codice richiamata ed oggetto di deroga, si veda il box in calce alla presente scheda.

In ordine all'ambito applicativo della disposizione, si prevede tale applicazione in deroga per le fattispecie in cui la determina a contrarre o altro atto di avvio del procedimento equivalente sia adottato entro il 31 luglio 2021.

In tali casi, l’aggiudicazione o l’individuazione definitiva del contraente avviene entro i seguenti termini:

Ø  due mesi dalla data di adozione dell’atto di avvio del procedimento

Ø  tale termine è aumentato a quattro mesi nei casi di procedura negoziata senza bando (ai sensi del successivo comma 2, lettera b). 

Vengono comunque fatte salve le ipotesi in cui la procedura sia sospesa per effetto di provvedimenti dell’autorità giudiziaria.

Possono essere valutati ai fini della responsabilità del responsabile unico del procedimento per danno erariale:

-        il mancato rispetto dei termini previsti

-        la mancata tempestiva stipulazione del contratto

-        e il tardivo avvio dell’esecuzione dello stesso.

Inoltre qualora tali ritardi siano imputabili all’operatore economico, costituiscono causa di esclusione dell’operatore dalla procedura o di risoluzione del contratto per inadempimento che viene senza indugio dichiarata dalla stazione appaltante e opera di diritto.

 

In base al comma 2, le stazioni appaltanti procedono all’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture, nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l’attività di progettazione, di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea di cui all’articolo 35 del codice, secondo le seguenti modalità:

a)      affidamento diretto per lavori di importo inferiore a 150.000 euro e per servizi e forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria e architettura e l'attività di progettazione, di importo inferiore a 75.000 euro, secondo quanto previsto da una modifica del Senato.

L'originaria previsione del decreto faceva invece riferimento all'affidamento diretto per lavori, servizi e forniture di un importo inferiore a 150.000 euro e, comunque, per servizi e forniture nei limiti delle soglie di cui all'articolo 35 del codice dei contratti pubblici.

 

b)    la procedura negoziata senza bando, di cui all’articolo 63 del Codice, previa consultazione di almeno cinque operatori economici (ovvero di un numero superiore di operatori, graduato a seconda dell'importo del contratto, come di seguito specificato) ove esistenti; si prevede a tal fine il rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, che tenga conto anche di una diversa dislocazione territoriale delle imprese invitate, e l'individuazione degli operatori economici in base ad indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici. Secondo quanto specificato da una modifica del Senato, si procede previa pubblicazione di un avviso relativo all'avvio della procedura di affidamento.

Con una modifica del Senato, si prevede che le stazioni appaltanti diano altresì evidenza dell'avvio delle procedure negoziate senza bando di cui alla presente lettera, tramite pubblicazione di informazione sui rispettivi siti internet istituzionali.

 

Nel dettaglio, la lettera b) fa riferimento per tale procedura alle seguenti fattispecie di affidamenti:

Ø  affidamento di servizi e forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria e architettura e l'attività di progettazione, di importo pari o superiore a 75.000 euro, secondo quanto previsto da una modifica del Senato (mentre il testo originario indica l'importo di 150.000 euro) fino alle soglie comunitarie di cui all’articolo 35 del codice;

Ø  affidamento di lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 350.000 euro;

Ø  si prevede invece la previa consultazione di almeno dieci operatori per lavori di importo pari o superiore a 350.000 euro ma inferiore a un milione di euro;

Ø   ovvero di almeno quindici operatori per lavori di importo pari o superiore a un milione di euro fino alle soglie europee.

 

La norma originaria del decreto specifica che l’avviso sui risultati della procedura di affidamento contiene anche l’indicazione dei soggetti invitati. Con una modifica del Senato, tale previsione (ultimo periodo del comma 2) viene modificata prevedendo che l'avviso sui risultati della procedura di affidamento, la cui pubblicazione nel caso di cui alla lettera a) non è obbligatoria per affidamenti inferiori a 40.000 euro, contiene anche l'indicazione dei soggetti invitati.

Con una modifica del Senato, si prevede altresì l'inserimento di un comma aggiuntivo 5-bis il quale novella l'articolo 36, comma 2, lett. a), del Codice dei contratti pubblici prevedendo la non obbligatorietà della pubblicazione dell'avviso sui risultati.

Si segnala che l'ANAC, con Atto 26/02/2020, n. 2, Atto di segnalazione concernente l'articolo 93, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50 e s.m.i. e gli articoli 36, comma 2, lettera a) e 98 del medesimo decreto, ha rilevato l'opportunità di modificare l'articolo 36, comma 2, lettera a) del codice, prevedendo che per gli affidamenti diretti di importo inferiore a 40.000 euro, fermi restando gli altri obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente, non sia obbligatoria la pubblicazione dell'avviso sui risultati della procedura di affidamento previsto dall'articolo 98 del Codice.

Si ricorda che la citata lett. a) dell'art. 36 del codice concerne gli affidamenti di importo inferiore a 40.000 euro, mediante affidamento diretto anche senza previa consultazione di due o più operatori economici o per i lavori in amministrazione diretta.

Viene fatto fermo quanto previsto dagli articoli 37 e 38 del Codice.

In estrema sintesi, l'art. 37 del codice reca le "Aggregazioni e centralizzazione delle committenze", norma in vigore dal 18 giugno 2019. La disposizione detta le norme sulle centrali di committenza e le centrali di committenza qualificate. Le stazioni appaltanti, fermi restando gli obblighi di utilizzo di strumenti di acquisto e di negoziazione, anche telematici, previsti dalle vigenti disposizioni in materia di contenimento della spesa, possono procedere direttamente e autonomamente all'acquisizione di forniture e servizi di importo inferiore a 40.000 euro e di lavori di importo inferiore a 150.000 euro, nonché attraverso l'effettuazione di ordini a valere su strumenti di acquisto messi a disposizione dalle centrali di committenza e dai soggetti aggregatori. Per effettuare procedure di importo superiore alle soglie sopra indicate, le stazioni appaltanti devono essere in possesso della necessaria qualificazione ai sensi dell'articolo 38. Si rammenta che tale art. 38 reca le disposizioni sulla qualificazione di stazioni appaltanti e centrali di committenza, ed è novellata dal presente decreto-legge (si veda il co. 5 dell'art. 8, infra).

Le stazioni appaltanti possono acquisire lavori, forniture o servizi mediante impiego di una centrale di committenza qualificata. La stazione appaltante, nell'ambito delle procedure gestite dalla centrale di committenza di cui fa parte, è responsabile del rispetto del codice per le attività ad essa direttamente imputabili, e la centrale di committenza che svolge esclusivamente attività di centralizzazione delle procedure di affidamento per conto di altre amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori è tenuta al rispetto delle disposizioni del codice. Si dettano norme sulla responsabilità in solido delle stazioni appaltanti, che provvedono altresì ad individuare un unico responsabile del procedimento. Sull'applicabilità delle disposizioni di tale disposizione, era intervenuto l'art. 1, comma 1, lett. a), D.L.  n. 32 del 2019, come convertito, stabilendo al riguardo non trovassero applicazione, a titolo sperimentale, talune norme del codice dei contratti pubblici.

 

 

Il comma 3 prevede che gli affidamenti diretti possono essere realizzati tramite determina a contrarre, o atto equivalente, che contenga gli elementi descritti nell’articolo 32, comma 2, del codice.

Tale comma dispone in materia di determina a contrarre. Si prevede che prima dell'avvio delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, le stazioni appaltanti, in conformità ai propri ordinamenti, decretano o determinano di contrarre, individuando gli elementi essenziali del contratto e i criteri di selezione degli operatori economici e delle offerte. Nella procedura di cui all'articolo 36, comma 2, lettere a) e b), la stazione appaltante può procedere ad affidamento diretto tramite determina a contrarre, o atto equivalente, che contenga, in modo semplificato, l'oggetto dell'affidamento, l'importo, il fornitore, le ragioni della scelta del fornitore, il possesso da parte sua dei requisiti di carattere generale, nonché il possesso dei requisiti tecnico-professionali, ove richiesti.

Si ricorda che tali contenuti, nel quadro della normativa richiamata del codice, sono previsti con riferimento ai casi dei contratti sotto soglia (in base al richiamo all'art. 36, co. 2 lett. a e b), con riferimento specificamente ad  affidamenti: di importo inferiore a 40.000 euro, per cui si procede mediante affidamento diretto anche senza previa consultazione di due o più operatori economici o per i lavori in amministrazione diretta, e  per affidamenti di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro per i lavori, o alle soglie di cui all'articolo 35 per le forniture e i servizi, mediante affidamento diretto previa valutazione di tre preventivi, ove esistenti, per i lavori, e, per i servizi e le forniture, di almeno cinque operatori economici individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti.

 

La disposizione prevede poi che, per gli affidamenti mediante procedura negoziata senza bando, di cui al comma 2, lettera b), le stazioni appaltanti, nel rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento, procedono con propria scelta all'aggiudicazione dei relativi appalti, sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa ovvero del prezzo più basso. Con una modifica del Senato, si specifica che resta fermo quanto previsto dall'articolo 95, comma 3, del codice dei contratti pubblici in materia di criteri di aggiudicazione dell'appalto.

L'articolo 95 del Codice, al comma 3, prevede in particolare che sono aggiudicati esclusivamente sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo: a) i contratti relativi ai servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, nonché ai servizi ad alta intensità di manodopera, fatti salvi gli affidamenti ai sensi dell'articolo 36, comma 2, lettera a); b) i contratti relativi all'affidamento dei servizi di ingegneria e architettura e degli altri servizi di natura tecnica e intellettuale di importo pari o superiore a 40.000 euro; b-bis) i contratti di servizi e le forniture di importo pari o superiore a 40.000 euro caratterizzati da notevole contenuto tecnologico o che hanno un carattere innovativo.

Si prevede che, nel caso di aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso, le stazioni appaltanti procedono all’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi dell’articolo 97, commi 2, 2-bis e 2-ter, del codice, anche qualora il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore a cinque.

L'art. 97 del Codice dei contratti pubblici (modificato dal D.L. n. 32 del 2019, c.d. Sblocca cantieri, convertito dalla L. n. 55 del 2019) fissa le metodologie per il calcolo della soglia ai fini dell'individuazione delle offerte anomale, cioè le offerte che presentino un ribasso tale da mettere in dubbio la sua affidabilità, nell'ipotesi di applicazione del criterio di aggiudicazione del prezzo più basso. Le metodologie di calcolo della soglia di anomalia mirano a non rendere tale soglia predeterminabile da parte degli offerenti.

Il comma 2 dell'articolo 97 reca la metodologia di calcolo da utilizzare in caso vi siano quindici o più offerte ammesse. Esso prevede il calcolo della somma e della media dei ribassi percentuali di tutte le offerte, escludendo il 10% dei maggior ribassi e rialzi (cosiddetto taglio delle ali, in relazione al quale si dovrà considerare il 10% arrotondato all'unità superiore). Nell'effettuare il taglio delle ali, le offerte di uguale valore di ribasso sono da considerare distintamente e se, effettuando il calcolo, sono presenti più offerte di uguale valore delle offerte da accantonare, le suddette offerte sono comunque da accantonare (lett. a)). Si calcola quindi lo scarto medio dei ribassi percentuali che superano la media dei ribassi (lett. b)). Si sommano la media aritmetica e lo scarto medio dei ribassi, ottenendo così un primo valore della soglia (lett. c)). Tale valore viene diminuito di un valore percentuale pari al prodotto delle prime due cifre decimali della somma dei ribassi (di cui alla lett. a)) applicata allo scarto medio dei ribassi (lett. d)). Si ottiene così la soglia di anomalia.

Il comma 2-bis reca la procedura di calcolo da utilizzare quando le offerte ammesse siano in numero inferiore a quindici. Peraltro, si rammenta che il comma 3-bis, come modificato, stabilisce che il calcolo viene effettuato per un numero di offerte ammesse pari o superiore a cinque.

Si prevede che prevede che un decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti possa rideterminare le modalità di calcolo, al fine di rendere non predeterminabili dagli offerenti i parametri di riferimento per il calcolo della soglia di anomalia (comma 2-ter).

Si ricorda che i criteri di aggiudicazione dell'appalto sono normati dall'art. 95 del codice; la previsione prevede che essi garantiscono la possibilità di una concorrenza effettiva e sono accompagnati da specifiche che consentono l'efficace verifica delle informazioni fornite dagli offerenti al fine di valutare il grado di soddisfacimento dei criteri di aggiudicazione delle offerte.

 

Il comma 4 dispone che per le modalità di affidamento di cui al presente articolo la stazione appaltante non richiede le garanzie provvisorie previste dal codice, salvo che, in considerazione della tipologia e specificità della singola procedura, ricorrano 'particolari esigenze' che ne giustifichino la richiesta: in tal caso, la stazione appaltante le indica nell’avviso di indizione della gara o in altro atto equivalente.

Nel caso in cui sia richiesta la garanzia provvisoria, il relativo ammontare è dimezzato rispetto a quello previsto dal medesimo articolo 93.

 

L'articolo 93 reca le Garanzie per la partecipazione alla procedura. Si dispone che l'offerta è corredata da una garanzia fideiussoria, denominata "garanzia provvisoria" pari al 2 per cento del prezzo base indicato nel bando o nell'invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, a scelta dell'offerente. Al fine di rendere l'importo della garanzia proporzionato e adeguato alla natura delle prestazioni oggetto del contratto e al grado di rischio ad esso connesso, la stazione appaltante può motivatamente ridurre l'importo della cauzione sino all'1 per cento ovvero incrementarlo sino al 4 per cento. Nel caso di procedure di gara realizzate in forma aggregata da centrali di committenza, l'importo della garanzia è fissato nel bando o nell'invito nella misura massima del 2 per cento del prezzo base. In caso di partecipazione alla gara di un raggruppamento temporaneo di imprese, la garanzia fideiussoria deve riguardare tutte le imprese del raggruppamento medesimo.

In base all'ultimo periodo del co. 1 di tale disposizione, nei casi di cui all'articolo 36, comma 2, lettera a), inerente i contratti sotto soglia, è facoltà della stazione appaltante non richiedere le garanzie.

Si dettano le modalità per il rilascio della garanzia fideiussoria e i contenuti della stessa. Si ricorda che la garanzia deve avere efficacia per almeno centottanta giorni dalla data di presentazione dell'offerta, ma il bando o l'invito possono richiedere una garanzia con termine di validità maggiore o minore, in relazione alla durata presumibile del procedimento, e possono altresì prescrivere che l'offerta sia corredata dall'impegno del garante a rinnovare la garanzia, su richiesta della stazione appaltante nel corso della procedura, per la durata indicata nel bando, nel caso in cui al momento della sua scadenza non sia ancora intervenuta l'aggiudicazione. La garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto dopo l'aggiudicazione dovuta ad ogni fatto riconducibile all'affidatario o all'adozione di informazione antimafia interdittiva, ed è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto.

La normativa del codice detta un articolato quadro di riduzioni percentuali delle garanzie provvisorie, in costanza di particolari caratteristiche e processi di conformità attuati dagli operatori economici, in un'ottica premiale.

 

In materia di garanzia provvisoria, si segnala che l'ANAC, con Atto 26/02/2020, n. 2 - Atto di segnalazione concernente l'articolo 93, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50 e gli articoli 36, comma 2, lettera a) e 98 del Codice, ha segnalato l'opportunità di estendere la deroga prevista dall'articolo 93, primo comma, ultimo periodo, a tutti gli affidamenti di importo inferiore a una determinata soglia, indipendentemente dalla tipologia di procedura di selezione utilizzata.

 

Il comma 5 prevede che le disposizioni dell'articolo si applichino anche alle procedure per l'affidamento dei servizi di organizzazione, gestione e svolgimento delle prove dei concorsi pubblici di cui agli articoli 247 e 249 del decreto-legge 34 del 2020, come convertito, fino all'importo di euro 750.000, indicato dalla lettera d), comma 1, dell'articolo 35 del codice (per gli appalti di servizi sociali e di altri servizi specifici elencati all'allegato IX). 

 

Si ricorda che il D.L. n. 34 del 2020, recante Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 (c.d. decreto rilancio) ha recato al Capo XII norme sulle accelerazioni dei concorsi. In particolare, la Sezione I di tale Capo concerne norme per il decentramento e la digitalizzazione delle procedure, recando all'art. 247 disposizioni sulla semplificazione e svolgimento in modalità decentrata e telematica delle procedure concorsuali della Commissione RIPAM, e all'articolo 249 sulla semplificazione e lo svolgimento in modalità decentrata e telematica delle procedure concorsuali delle pubbliche amministrazioni.

 

 

In relazione alle norme del Codice richiamate o oggetto di deroga in base alla disposizione in esame, si ricorda che l'uso della procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara è disciplinato dall'art. 63 del codice.

Nei casi e nelle circostanze indicati, le amministrazioni aggiudicatrici possono aggiudicare appalti pubblici mediante una procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, dando conto con adeguata motivazione, nel primo atto della procedura, della sussistenza dei relativi presupposti.

Il co. 2 della norma detta i casi di appalti pubblici di lavori, forniture e servizi, in cui la procedura negoziata senza previa pubblicazione può - nel sistema codicistico -essere utilizzata:

a) qualora non sia stata presentata alcuna offerta o alcuna offerta appropriata, né alcuna domanda di partecipazione o alcuna domanda di partecipazione appropriata, in esito all'esperimento di una procedura aperta o ristretta, purché le condizioni iniziali dell'appalto non siano sostanzialmente modificate e purché sia trasmessa una relazione alla Commissione europea, su sua richiesta;

b) quando i lavori, le forniture o i servizi possono essere forniti unicamente da un determinato operatore economico per una delle seguenti ragioni:1) lo scopo dell'appalto consiste nella creazione o nell'acquisizione di un'opera d'arte o rappresentazione artistica unica;2) la concorrenza è assente per motivi tecnici;3) la tutela di diritti esclusivi, inclusi i diritti di proprietà intellettuale. Le eccezioni di cui ai punti 2) e 3) si applicano solo quando non esistono altri operatori economici o soluzioni alternative ragionevoli e l'assenza di concorrenza non è il risultato di una limitazione artificiale dei parametri dell'appalto; c) nella misura strettamente necessaria quando, per ragioni di estrema urgenza derivante da eventi imprevedibili dall'amministrazione aggiudicatrice, i termini per le procedure aperte o per le procedure ristrette o per le procedure competitive con negoziazione non possono essere rispettati.

Il comma 3 reca i casi di appalti pubblici di forniture in cui la procedura è consentita: a) qualora i prodotti oggetto dell'appalto siano fabbricati esclusivamente a scopo di ricerca, di sperimentazione, di studio o di sviluppo, salvo che si tratti di produzione in quantità volta ad accertare la redditività commerciale del prodotto o ad ammortizzare i costi di ricerca e di sviluppo; b) nel caso di consegne complementari effettuate dal fornitore originario e destinate al rinnovo parziale di forniture o di impianti o all'ampliamento; c) per forniture quotate e acquistate sul mercato delle materie prime; d) per l'acquisto di forniture o servizi a condizioni particolarmente vantaggiose, da un fornitore che cessa definitivamente l'attività commerciale oppure dagli organi delle procedure concorsuali.

 La procedura è, altresì, consentita negli appalti pubblici relativi ai servizi qualora l'appalto faccia seguito ad un concorso di progettazione e debba, in base alle norme applicabili, essere aggiudicato al vincitore o ad uno dei vincitori del concorso, nonché per nuovi lavori o servizi consistenti nella ripetizione di lavori o servizi analoghi, già affidati all'operatore economico aggiudicatario dell'appalto iniziale dalle medesime amministrazioni aggiudicatrici, a condizione che tali lavori o servizi siano conformi al progetto a base di gara e che tale progetto sia stato oggetto di un primo appalto aggiudicato secondo procedura aperta.

Le amministrazioni aggiudicatrici individuano gli operatori economici da consultare sulla base di informazioni riguardanti le caratteristiche di qualificazione economica e finanziaria e tecniche e professionali desunte dal mercato, nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza, rotazione, e selezionano almeno cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei (co. 6). L'amministrazione aggiudicatrice sceglie l'operatore economico che ha offerto le condizioni più vantaggiose, ai sensi dell'articolo 95, previa verifica del possesso dei requisiti di partecipazione previsti per l'affidamento di contratti di uguale importo mediante procedura aperta, ristretta o mediante procedura competitiva con negoziazione.

In deroga a tale disposizione sono stati adottati l'art. 86-bis, commi 1 e 4, D.L. 17 marzo 2020, n. 18; l'art. 48, comma 2, del medesimo D.L. n. 18/2020, e sull'applicabilità delle disposizioni ha disposto l'art. 72, comma 2, lett. a), del D.L. n. 18: questo ha previsto, in considerazione dell'esigenza di contenere con immediatezza gli effetti negativi sull'internazionalizzazione del sistema Paese in conseguenza della diffusione del Covid-19, che agli interventi di cui al comma 1 della disposizione, nonché a quelli inclusi nel piano straordinario di cui all'articolo 30 del decreto-legge n. 133 del 2014 si applicano, fino al 31 dicembre 2020, la disposizione  per cui i contratti di forniture, lavori e servizi possono essere aggiudicati con la procedura di cui all'articolo 63, comma 6, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, vale a dire la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara.

Si ricorda che il modulo procedimentale della procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando di gara consente alla p.a. di contrarre direttamente con un operatore economico le condizioni del contratto, prescindendo dall’osservanza di particolari forme procedimentali, con un livello di libertà di azione che si avvicina a quello dei soggetti privati nell’ambito delle fasi pre-negoziali nel diritto civile (Caringella, Il sistema del diritto amministrativo, 2019). La dottrina evidenzia che la procedura si caratterizza per l’assenza di particolari vincoli procedurali, quali la preventiva pubblicità e per la selezione sostanzialmente discrezionale degli operatori comunque nel rispetto dei principi di trasparenza e concorrenza e rotazione.

 

L'articolo 36 del Codice, in materia di contratti sotto soglia, oggetto di deroga, prevede al comma 2 che, fermo restando quanto previsto dagli articoli 37 e 38 e salva la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie, le stazioni appaltanti procedono all'affidamento di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie europee di cui all'articolo 35, secondo le seguenti modalità:

a) per affidamenti di importo inferiore a 40.000 euro, mediante affidamento diretto anche senza previa consultazione di due o più operatori economici o per i lavori in amministrazione diretta;

b) per affidamenti di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro per i lavori, o alle soglie di cui all'articolo 35 per le forniture e i servizi, mediante affidamento diretto previa valutazione di tre preventivi, ove esistenti, per i lavori, e, per i servizi e le forniture, di almeno cinque operatori economici individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti. I lavori possono essere eseguiti anche in amministrazione diretta, fatto salvo l'acquisto e il noleggio di mezzi, per i quali si applica comunque la procedura di cui al periodo precedente. L'avviso sui risultati della procedura di affidamento contiene l'indicazione anche dei soggetti invitati;

c) per affidamenti di lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 350.000 euro, mediante la procedura negoziata di cui all'articolo 63 previa consultazione, ove esistenti, di almeno dieci operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici. L'avviso sui risultati della procedura di affidamento contiene l'indicazione anche dei soggetti invitati;

c-bis) per affidamenti di lavori di importo pari o superiore a 350.000 euro e inferiore a 1.000.000 di euro, mediante la procedura negoziata di cui all'articolo 63 previa consultazione, ove esistenti, di almeno quindici operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici. L'avviso sui risultati della procedura di affidamento contiene l'indicazione anche dei soggetti invitati;

d) per affidamenti di lavori di importo pari o superiore a 1.000.000 di euro e fino alle soglie europee, mediante ricorso alle procedure di cui all'articolo 60, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 97, comma 8 del Codice.

Si ricorda inoltre che il co. 7 di tale art. 36 rinvia al regolamento di cui all'articolo 216, comma 27-octies del codice, con cui sono stabilite le modalità relative alle procedure di affidamento dei contratti sotto soglia, alle indagini di mercato, nonché per la formazione e gestione degli elenchi degli operatori economici, e in cui sono anche indicate specifiche modalità di rotazione degli inviti e degli affidamenti e di attuazione delle verifiche sull'affidatario scelto senza svolgimento di procedura negoziata. Si prevede che fino alla data di entrata in vigore del regolamento si applichi la disposizione transitoria prevista dal suddetto co. 27-octies dell'art. 216 del codice. E' il caso di ricordare che tale disposizione - a seguito degli interventi recati con il D.L. sblocca cantieri - ha previsto che nelle more dell'adozione, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione, di un regolamento unico recante disposizioni di esecuzione, attuazione e integrazione del codice, rimangano nel frattempo efficaci le linee guida e i decreti adottati in attuazione delle previgenti disposizioni indicate. Il regolamento reca, in particolare, disposizioni, tra le materie indicate, alla lettera d) il riferimento alle procedure di affidamento e realizzazione dei contratti di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie comunitarie.

L'art. 157, anch'esso oggetto di deroga ai sensi del co. 1 della norma in esame, reca norme sugli altri incarichi di progettazione e connessi, prevedendo che gli incarichi di progettazione relativi ai lavori indicati nonché di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, di direzione dei lavori, di direzione dell'esecuzione, di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di collaudo di importo pari o superiore alle soglie di cui all'articolo 35, sono affidati secondo le modalità di cui alla Parte II, Titolo I, II, III e IV del codice. Nel caso in cui il valore delle attività di progettazione, coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, direzione dei lavori, direzione dell'esecuzione e coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione sia pari o superiore complessivamente la soglia di cui all'articolo 35, l'affidamento diretto della direzione dei lavori e coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione al progettista è consentito soltanto per particolari e motivate ragioni e ove espressamente previsto dal bando di gara della progettazione.  Gli incarichi di progettazione, di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, di direzione dei lavori, di direzione dell'esecuzione, di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di collaudo di importo pari o superiore a 40.000 e inferiore a 100.000 euro possono essere affidati dalle stazioni appaltanti a cura del responsabile del procedimento, nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, e secondo la procedura prevista dall'articolo 36, comma 2, lettera b); l'invito è rivolto ad almeno cinque soggetti, se sussistono in tale numero aspiranti idonei nel rispetto del criterio di rotazione degli inviti. Gli incarichi di importo pari o superiore a 100.000 euro sono affidati secondo le modalità di cui alla Parte II, Titoli III e IV del codice. La disposizione vieta l'affidamento di attività di progettazione, direzione lavori, direzione dell'esecuzione, coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione, collaudo, indagine e attività di supporto per mezzo di contratti a tempo determinato o altre procedure diverse da quelle previste dal codice.

 


 

Articolo 1, comma 5-ter
(Liquidità microimprese, piccole e medie imprese)

 

 

Il comma 5-ter, introdotto dal Senato, stabilisce che le disposizioni dell'articolo 1 si applicano altresì anche alle procedure per l'affidamento della gestione di fondi pubblici comunitari, nazionali, regionali e camerali diretti a sostenere l'accesso al credito delle imprese.

 

Il comma 5-ter dispone che, al fine di incentivare e semplificare l'accesso delle microimprese, piccole e medie imprese, come definite nella Raccomandazione n. 2003/361/CE della Commissione Europea del 6 maggio 2003, alla liquidità per far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell'emergenza sanitaria globale del COVID-19, le disposizioni del presente articolo si applicano altresì anche alle procedure per l'affidamento, ai sensi dell'articolo 112, comma 5, lettera b), del decreto legislativo n. 385 del 1993, della gestione di fondi pubblici comunitari, nazionali, regionali e camerali diretti a sostenere l'accesso al credito delle imprese, fino agli importi di cui all'articolo 35, comma 1, del decreto legislativo n. 50 del 2016.

 

L'articolo 112, comma 5, lettera b), del decreto legislativo n. 385 del 1993, stabilisce che i confidi iscritti nell'albo possono svolgere, prevalentemente nei confronti delle imprese consorziate o socie, l'attività di gestione di fondi pubblici di agevolazione, oltre alla prestazione di garanzie a favore dell'amministrazione finanziaria dello Stato, al fine dell'esecuzione dei rimborsi di imposte alle imprese consorziate o socie, e alla stipula di contratti con le banche assegnatarie di fondi pubblici di garanzia per disciplinare i rapporti con le imprese consorziate o socie, al fine di facilitarne la fruizione.

 

L'articolo 35, comma 1, del decreto legislativo n. 50 del 2016 indica, ai fini dell'applicazione del codice dei contratti pubblici, le seguenti soglie di rilevanza comunitaria:

a)     euro 5.225.000 per gli appalti pubblici di lavori e per le concessioni;

b)     euro 135.000 per gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati dalle amministrazioni aggiudicatrici che sono autorità governative centrali; se gli appalti pubblici di forniture sono aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici operanti nel settore della difesa, questa soglia si applica solo agli appalti concernenti i prodotti menzionati nell'allegato VIII del codice;

c)     euro 209.000 per gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici sub-centrali; tale soglia si applica anche agli appalti pubblici di forniture aggiudicati dalle autorità governative centrali che operano nel settore della difesa, allorché tali appalti concernono prodotti non menzionati nell'allegato VIII;

d)     euro 750.000 per gli appalti di servizi sociali e di altri servizi specifici elencati all'allegato IX.

 

Ai sensi dell'articolo 2 (Effettivi e soglie finanziarie che definiscono le categorie di imprese) della Raccomandazione n. 2003/361/CE della Commissione Europea del 6 maggio 2003, la categoria delle microimprese delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di EUR oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di EUR. Nella categoria delle PMI si definisce piccola impresa un'impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di EUR. Nella categoria delle PMI si definisce microimpresa un'impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di EUR.

 

Per le soglie europee, si veda la scheda relativa all'articolo 2 del decreto. Si rinvia alla scheda relativa all'articolo 1 per l'analisi delle disposizioni ivi contenute.


 

Articolo 2
(Procedure per l’incentivazione degli investimenti pubblici in relazione all’aggiudicazione dei contratti pubblici sopra soglia)

 

 

L’articolo 2, modificato dal Senato, disciplina le procedure applicabili ai contratti pari o superiori alle soglie comunitarie, prevedendo che le procedure di cui al presente articolo si applichino qualora l’atto di avvio del procedimento amministrativo, la determina a contrarre o altro atto equivalente, sia adottato entro il 31 dicembre 2021, termine temporale modificato dal Senato (rispetto al 31 luglio 2021 previsto dal testo originario del decreto).

Il comma 2 prevede, salvo quanto previsto dal successivo comma 3, che le stazioni appaltanti procedono all’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l’attività di progettazione, di importo pari o superiore alle soglie europee, mediante la procedura aperta, ristretta o, previa motivazione sulla sussistenza dei presupposti previsti dalla legge, della procedura competitiva con negoziazione sia per i settori ordinari sia per i settori speciali, con i termini ridotti di cui all’articolo 8, comma 1, lettera c). Con una modifica del Senato, la previsione è stata estesa anche al dialogo competitivo di cui all'articolo 64 del codice dei contratti pubblici.

Il comma 3 prevede la possibilità di utilizzare la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara per l’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l’attività di progettazione, di opere di importo pari o superiore alle soglie comunitarie nella misura strettamente necessaria quando - per ragioni di estrema urgenza derivanti dagli effetti negativi della crisi causata dalla pandemia COVID-19 - i termini, anche abbreviati, previsti dalle procedure ordinarie non possono essere rispettati; con una modifica del Senato, si specifica in tale fattispecie la previa pubblicazione dell'avviso di indizione della gara o di altro atto equivalente, nonché il rispetto di un criterio di rotazione.

Con una modifica del Senato, si prevede che la procedura negoziata può essere altresì utilizzata per l'affidamento delle attività di esecuzione lavori, servizi e forniture di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europee, anche in caso di singoli operatori economici con sede operativa in aree di preesistente crisi industriale complessa che, con riferimento a dette aree ed anteriormente alla dichiarazione dello stato di emergenza sanitaria da COVID-19 del 31 gennaio 2020, abbiano stipulato con le pubbliche amministrazioni competenti un accordo di programma in materia di siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale.

Il comma 4 indica una serie di settori per i quali - per quanto non espressamente disciplinato dall'articolo - si opera in deroga ad ogni disposizione di legge, salvo il rispetto della legge penale e dei vincoli espressamente indicati; si tratta di settori quali l'edilizia scolastica e universitaria, sanitaria, giudiziaria e penitenziaria, delle infrastrutture per la sicurezza pubblica e dei trasporti nonché delle infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali, lacuali e idriche, ivi compresi gli interventi inseriti nei contratti di programma ANAS-Mit 2016-2020 e RFI-Mit 2017 – 2021 e relativi aggiornamenti. Con modifiche del Senato, si indicano altresì gli interventi funzionali alla realizzazione del Piano Nazionale Energia e Clima (mentre il testo originario faceva invece riferimento agli interventi funzionali alla realizzazione della transizione energetica) nonché le infrastrutture per attività di ricerca scientifica. Con una modifica del Senato, si aggiunge la previsione che tali disposizioni si applicano, altresì, agli interventi per la messa a norma o in sicurezza degli edifici pubblici destinati ad attività istituzionali.

In base al comma 5, per ogni procedura di appalto è nominato un responsabile unico del procedimento che, con propria determinazione adeguatamente motivata, valida ed approva ciascuna fase progettuale o di esecuzione del contratto, anche in corso d’opera.

Il comma 6 prevede la pubblicazione degli atti delle stazioni appaltanti sui rispettivi siti istituzionali, con richiamo della normativa in materia di trasparenza. Il ricorso ai contratti secretati di cui all’articolo 162 del codice è limitato ai casi di 'stretta necessità' e richiede una specifica motivazione.

 

 

Nel dettaglio, il comma 1 definisce l'ambito applicativo della disposizione, prevedendo che essa reca le procedure di affidamento e la disciplina dell’esecuzione dei contratti in relazione per le fattispecie in cui la determina a contrarre o altro atto di avvio del procedimento equivalente sia adottato entro il 31 dicembre 2021, termine temporale oggetto di estensione con una modifica del Senato (rispetto al 31 luglio 2021 previsto dal testo originario del decreto).

In tali casi, l’aggiudicazione o l’individuazione definitiva del contraente avviene entro sei mesi dalla data di adozione dell’atto di avvio del procedimento. Sono fatte salve le ipotesi in cui la procedura sia sospesa per effetto di provvedimenti dell’autorità giudiziaria.

Il mancato rispetto dei termini in parola, nonché la mancata tempestiva stipulazione del contratto e il tardivo avvio dell’esecuzione dello stesso:

§  possono essere valutati ai fini della responsabilità del responsabile unico del procedimento per danno erariale

§   qualora imputabili all’operatore economico, costituiscono causa di esclusione dell’operatore dalla procedura o di risoluzione del contratto per inadempimento che viene senza indugio dichiarata dalla stazione appaltante e opera di diritto.

La disposizione ricalca quanto in tal senso previsto anche dall'articolo 1, co. 1, in materia di contratti pubblici sotto soglia.

Si indica il fine di incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici, nonché di far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale del COVID-19.

 

Il comma 2 prevede - salvo quanto previsto al successivo comma 3 - che le stazioni appaltanti procedono all’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l’attività di progettazione, di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea mediante la procedura aperta, ristretta o - previa motivazione sulla sussistenza dei presupposti previsti dalla legge - la procedura competitiva con negoziazione sia per i settori ordinari sia per i settori speciali, ovvero, in base a quanto previsto con una modifica del Senato, anche mediante il dialogo competitivo di cui all'articolo 64 del  codice.

In base alla previsione recata nel decreto-legge, si tratta della procedura competitiva con negoziazione, di cui:

-per i settori ordinari, agli articoli 61 e 62 del codice;

- per i settori speciali, agli articoli 123 e 124 del codice.

 

Si ricorda che l'art. 64 del Codice reca il dialogo competitivo. Esso stabilisce che il provvedimento con cui le stazioni appaltanti indicate decidono di ricorrere al dialogo competitivo deve contenere specifica motivazione. L'appalto è aggiudicato unicamente sulla base del criterio dell'offerta con il miglior rapporto qualità/prezzo conformemente all'articolo 95, comma 6. Nel dialogo competitivo qualsiasi operatore economico può chiedere di partecipare in risposta a un bando di gara, o ad un avviso di indizione di gara, fornendo le informazioni richieste dalla stazione appaltante, per la selezione qualitativa. Il termine minimo per la ricezione delle domande di partecipazione è di trenta giorni dalla data di trasmissione del bando di gara o, nei settori speciali, se come mezzo di indizione di gara è usato un avviso sull'esistenza di un sistema di qualificazione, dell'invito a confermare interesse. Soltanto gli operatori economici invitati dalle stazioni appaltanti in seguito alla valutazione delle informazioni fornite possono partecipare al dialogo. Le stazioni appaltanti possono limitare il numero di candidati idonei da invitare a partecipare alla procedura in conformità all'articolo 91 del codice, ed indicano nel bando di gara o nell'avviso di indizione di gara le loro esigenze e i requisiti richiesti e li definiscono nel bando stesso, nell'avviso di indizione o in un documento descrittivo.

Le stazioni appaltanti avviano con i partecipanti selezionati un dialogo finalizzato all'individuazione e alla definizione dei mezzi più idonei a soddisfare le proprie necessità. Nella fase del dialogo possono discutere con i partecipanti selezionati tutti gli aspetti dell'appalto. Durante il dialogo le stazioni appaltanti garantiscono la parità di trattamento di tutti i partecipanti. A tal fine, non forniscono informazioni che possano avvantaggiare determinati partecipanti rispetto ad altri.

Conformemente all'articolo 53 le stazioni appaltanti non possono rivelare agli altri partecipanti le soluzioni proposte o altre informazioni riservate comunicate da un candidato o da un offerente partecipante al dialogo, senza l'accordo di quest'ultimo. Tale accordo non assume la forma di una deroga generale ma si considera riferito alla comunicazione di informazioni specifiche espressamente indicate.

 I dialoghi competitivi possono svolgersi in fasi successive in modo da ridurre il numero di soluzioni da discutere durante la fase del dialogo applicando i criteri di aggiudicazione stabiliti nel bando di gara, nell'avviso di indizione di gara o nel documento descrittivo. Nel bando di gara o nell'avviso di indizione di gara o nel documento descrittivo le stazioni appaltanti indicano se sceglieranno tale opzione.

 La stazione appaltante prosegue il dialogo finché non è in grado di individuare la soluzione o le soluzioni che possano soddisfare le sue necessità.

Dopo aver dichiarato concluso il dialogo e averne informato i partecipanti rimanenti, le stazioni appaltanti invitano ciascuno a presentare le loro offerte finali in base alla soluzione o alle soluzioni presentate e specificate nella fase del dialogo. Tali offerte contengono tutti gli elementi richiesti e necessari per l'esecuzione del progetto. Su richiesta della stazione appaltante le offerte possono essere chiarite, precisate e perfezionate. Tuttavia le precisazioni, i chiarimenti, i perfezionamenti o i complementi delle informazioni non possono avere l'effetto di modificare gli aspetti essenziali dell'offerta o dell'appalto, compresi i requisiti e le esigenze indicati nel bando di gara, nell'avviso di indizione di gara o nel documento descrittivo, qualora le variazioni rischino di falsare la concorrenza o di avere un effetto discriminatorio. Le stazioni appaltanti valutano le offerte ricevute sulla base dei criteri di aggiudicazione fissati nel bando di gara, nell'avviso di indizione di gara o nel documento descrittivo e applicano, altresì, le specifiche disposizioni recate dall'art. 64, in base al quale i documenti alla base delle offerte ricevute possono essere integrati da quanto emerso nel dialogo competitivo e su richiesta della stazione appaltante possono essere condotte negoziazioni con l'offerente che risulta aver presentato l'offerta con il miglior rapporto qualità/prezzo al fine di confermare gli impegni finanziari o altri termini contenuti nell'offerta attraverso il completamento dei termini del contratto. Le stazioni appaltanti possono prevedere premi o pagamenti per i partecipanti al dialogo.

 

In ogni caso si prevedono i termini ridotti in casi di urgenza di cui all’articolo 8, comma 1, lettera c) del presente decreto.

Tale lettera c) prevede, in relazione alle procedure ordinarie, si applichino le riduzioni dei termini procedimentali per ragioni di urgenza (di cui agli articoli 60, comma 3, 61, comma 6, 62 comma 5, 74, commi 2 e 3, del codice) e che nella motivazione del provvedimento che dispone la riduzione dei termini non è necessario dar conto delle ragioni di urgenza, che si considerano comunque sussistenti. Per approfondimenti si rinvia alla relativa scheda di lettura.

 

In materia, si ricorda che i «settori ordinari» dei contratti pubblici sono i settori diversi da quelli del gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti, servizi postali, sfruttamento di area geografica in cui operano le stazioni appaltanti come definite dall'articolo 3 del Codice. I «settori speciali» dei contratti pubblici sono infatti i settori del gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti, servizi postali, sfruttamento di area geografica, come definiti dalla parte III del codice dei contrati pubblici di cui al D. Lgs. n. 50 del 2016.

L'articolo 35 del Codice reca, unitamente ai metodi di calcolo del valore stimato degli appalti, al comma 1, le soglie di rilevanza comunitaria.

 

Le soglie di rilevanza comunitaria sono le seguenti: 

a)    euro 5.225.000, importo successivamente rideterminato in euro 5.548.000 a decorrere dal 1° gennaio 2018, quindi, con effetto dal 1° gennaio 2020, in 5.350.000 euro, per gli appalti pubblici di lavori e per le concessioni;

b)    euro 135.000, importo successivamente rideterminato in euro 144.000 a decorrere dal 1° gennaio 2018, quindi,  con effetto dal 1° gennaio 2020, in 139.000 euro, per gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati dalle amministrazioni aggiudicatrici che sono autorità governative centrali indicate nell'allegato III del codice dei contratti pubblici; se gli appalti pubblici di forniture sono aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici operanti nel settore della difesa, questa soglia si applica solo agli appalti concernenti i prodotti menzionati nell'allegato VIII del codice;

c)    euro 209.000 importo successivamente rideterminato in euro 221.000 a decorrere dal 1° gennaio 2018, quindi,  con effetto dal 1° gennaio 2020, in 214.000 euro, per gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici sub-centrali; tale soglia si applica anche agli appalti pubblici di forniture aggiudicati dalle autorità governative centrali che operano nel settore della difesa, allorché tali appalti concernono prodotti non menzionati nell'allegato VIII del codice;

d)    euro 750.000 per gli appalti di servizi sociali e di altri servizi specifici elencati all'allegato IX del codice.

 

Nei settori speciali, le soglie di rilevanza comunitaria sono:

a)    euro 5.225.000, importo successivamente rideterminato in euro 5.548.000 a decorrere dal 1° gennaio 2018, quindi, con effetto dal 1° gennaio 2020, in 5.350.000 euro, per gli appalti di lavori;

b)    euro 418.000, importo successivamente rideterminato in euro 443.000 a decorrere dal 1° gennaio 2018, quindi, con effetto dal 1° gennaio 2020, in 428.000 euro, per gli appalti di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione;

c)    euro 1.000.000 per i contratti di servizi, per i servizi sociali e altri servizi specifici elencati all'allegato IX del codice.

Si ricorda che, ai sensi del comma 3, le predette soglie sono periodicamente rideterminate con provvedimento della Commissione europea, direttamente applicabile alla data di entrata in vigore a seguito della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.

 

 

In relazione alle norme del Codice richiamate dalla norma in esame, si rammenta che l'art. 61 reca la procedura ristretta. Nelle procedure ristrette qualsiasi operatore economico può presentare una domanda di partecipazione in risposta a un avviso di indizione di gara. A seguito della valutazione da parte delle amministrazioni aggiudicatrici delle informazioni fornite, soltanto gli operatori economici invitati possono presentare un'offerta. Le amministrazioni aggiudicatrici possono limitare il numero di candidati idonei da invitare a partecipare alla procedura. Il termine minimo per la ricezione delle offerte è di trenta giorni dalla data di trasmissione dell'invito a presentare offerte. Nel caso di pubblicazione di avviso di preinformazione non utilizzato per l'indizione di una gara, il termine minimo per la presentazione delle offerte può essere ridotto a dieci giorni purché siano rispettate tutte le condizioni previste in norma. Le amministrazioni aggiudicatrici indicate possono comunque fissare il termine per la ricezione delle offerte di concerto con i candidati selezionati, purché questi ultimi dispongano di un termine identico per redigere e presentare le loro offerte ma, in assenza di un accordo, il termine non può essere inferiore a dieci giorni dalla data di invio dell'invito a presentare offerte. Il co. 6 dell'articolo dispone che quando, per motivi di urgenza debitamente motivati è impossibile rispettare i termini minimi previsti al presente articolo, l'amministrazione aggiudicatrice può fissare: a) per la ricezione delle domande di partecipazione, un termine non inferiore a quindici giorni dalla data di trasmissione del bando di gara; b) un termine di ricezione delle offerte non inferiore a dieci giorni a decorrere dalla data di invio dell'invito a presentare offerte.

L'art. 62 reca la procedura competitiva con negoziazione. Nelle procedure competitive con negoziazione qualsiasi operatore economico può presentare una domanda di partecipazione in risposta a un avviso di indizione di gara contenente le informazioni indicate in norma, fornendo le informazioni richieste dall'amministrazione aggiudicatrice per la selezione qualitativa. Nei documenti di gara le amministrazioni aggiudicatrici individuano l'oggetto dell'appalto fornendo una descrizione delle loro esigenze, illustrando le caratteristiche richieste per le forniture, i lavori o i servizi da appaltare, specificando i criteri per l'aggiudicazione dell'appalto e indicano altresì quali elementi della descrizione definiscono i requisiti minimi che tutti gli offerenti devono soddisfare e - precisa il comma 3 vigente - le informazioni fornite devono essere sufficientemente precise per permettere agli operatori economici di individuare la natura e l'ambito dell'appalto e decidere se partecipare alla procedura. Si stabiliscono le norme procedurali. Il termine minimo per la ricezione delle domande di partecipazione è di trenta giorni dalla trasmissione del bando di gara o, se è utilizzato come mezzo di indizione di una gara un avviso di preinformazione, dalla data d'invio dell'invito a confermare interesse. I termini sono ridotti nei casi previsti dal codice (di cui all'articolo 61, commi 4, 5 e 6). Il termine minimo per la ricezione delle offerte iniziali è di trenta giorni dalla trasmissione dell'invito. Solo gli operatori economici invitati dall'amministrazione aggiudicatrice, in seguito alla valutazione delle informazioni fornite, possono presentare un'offerta iniziale che costituisce la base per la successiva negoziazione e le amministrazioni aggiudicatrici possono limitare il numero di candidati idonei da invitare a partecipare alla procedura, ai sensi dell'articolo 91 del codice.

In tale procedura, le amministrazioni aggiudicatrici negoziano con gli operatori economici le loro offerte iniziali e tutte le successive da essi presentate, tranne le offerte finali di cui al successivo comma 12, per migliorarne il contenuto, mentre i requisiti minimi e i criteri di aggiudicazione non sono soggetti a negoziazione. Le amministrazioni aggiudicatrici possono aggiudicare appalti sulla base delle offerte iniziali senza negoziazione se previsto nel bando di gara o nell'invito a confermare interesse. Nel corso delle negoziazioni le amministrazioni aggiudicatrici garantiscono la parità di trattamento fra tutti gli offerenti, con garanzia della riservatezza. Le procedure competitive con negoziazione possono svolgersi in fasi successive per ridurre il numero di offerte da negoziare applicando i criteri di aggiudicazione specificati nel bando di gara, nell'invito a confermare interesse o in altro documento di gara: nel bando di gara, nell'invito a confermare interesse o in altro documento di gara, l'amministrazione aggiudicatrice indica se si avvale di tale facoltà. Infine, quando le amministrazioni aggiudicatrici intendono concludere le negoziazioni, esse informano gli altri offerenti e stabiliscono un termine entro il quale possono essere presentate offerte nuove o modificate, verificando la conformità ai requisiti minimi prescritti e valutando le offerte finali in base ai criteri di aggiudicazione; aggiudicano l'appalto ai sensi degli articoli 95, 96 e 97 del codice.

L'articolo 123 reca la "Scelta delle procedure", prevedendo che nell'aggiudicazione di appalti di forniture, di lavori o di servizi, gli enti aggiudicatori utilizzano procedure di affidamento aperte, ristrette o negoziate precedute da indizione di gara in conformità alle disposizioni di cui alla presente sezione. Gli enti aggiudicatori possono altresì ricorrere a dialoghi competitivi e partenariati per l'innovazione in conformità alle disposizioni relative ai settori speciali. Fatto salvo quanto disposto dall'articolo 122, le procedure di affidamento di cui al presente capo, sono precedute dalla pubblicazione di un avviso di indizione di gara con le modalità e nel rispetto dei termini stabiliti dal codice. Si dettano le modalità della gara. L'articolo 124 reca la procedura negoziata con previa indizione di gara nell'ambito del Titolo VI, relativo ai Regimi particolari di appalto, nel Capo I relativo agli appalti nei settori speciali.

 

Il comma 3 detta norme per il ricorso alla procedura negoziata per l’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l’attività di progettazione, per opere di importo pari o superiore alle soglie comunitarie. Si tratta della procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara rispettivamente previste per i settori ordinari e per i settori speciali.

Si stabilisce che essa può essere utilizzata nella misura strettamente necessaria quando - per ragioni di estrema urgenza derivanti dagli effetti negativi della crisi causata dalla pandemia COVID-19 o dal periodo di sospensione delle attività determinato dalle misure di contenimento adottate - i termini, anche abbreviati, previsti dalle procedure ordinarie non possono essere rispettati.

Con modifica del Senato, è stato previsto che il ricorso a tale procedura per ragioni di estrema urgenza avviene previa pubblicazione dell'avviso di indizione della gara o di altro atto equivalente, nel rispetto di un criterio di rotazione.

La disposizione indica, quale presupposto dell'adozione di tale modulo procedimentale nella fattispecie in esame, il criterio della 'misura strettamente necessaria', a sua volta collegato alla impossibilità di rispettare i termini, anche abbreviati, previsti dalle procedure ordinarie.

Si ricorda che l'articolo 63 del codice disciplina i casi di uso della procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, in cui le amministrazioni aggiudicatrici possono aggiudicare appalti pubblici mediante una procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, dando conto con adeguata motivazione, nel primo atto della procedura, della sussistenza dei relativi presupposti (per una più ampia sintesi, si veda la scheda relativa all'art. 1). L'art. 125 del Codice norma invece l'uso della procedura negoziata senza previa indizione di gara nei settori speciali.

 

Con una modifica del Senato, si propone di aggiungere la previsione che la procedura negoziata (di cui all'articolo 63 del codice, per i settori ordinari, e di cui all'articolo 125, per i settori speciali) può essere utilizzata altresì per l'affidamento delle attività di esecuzione lavori, servizi e forniture di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europee, anche in caso di singoli operatori economici con sede operativa collocata in aree di preesistente crisi industriale complessa ai sensi dell'articolo 27 del decreto legge n. 83 del 2012, che, con riferimento a dette aree ed anteriormente alla dichiarazione dello stato di emergenza sanitaria da COVID-19 del 31 gennaio 2020, abbiano stipulato con le pubbliche amministrazioni competenti un accordo di programma ai sensi dell'articolo 252-bis del codice dell'ambiente, in materia di siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale.

Il citato art. 27 reca il riordino della disciplina in materia di riconversione e riqualificazione produttiva di aree di crisi industriale complessa. Il codice dell'ambiente di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 reca all'art. 252-bis la normativa sui Siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale. Il Ministro dell'ambiente e il Ministro dello sviluppo economico, d'intesa con la regione territorialmente interessata e, per le materie di competenza, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, nonché con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo per gli aspetti di competenza in relazione agli eventuali specifici vincoli di tutela insistenti sulle aree e sugli immobili, possono stipulare accordi di programma con uno o più proprietari di aree contaminate o altri soggetti interessati ad attuare progetti integrati di messa in sicurezza o bonifica, e di riconversione industriale e sviluppo economico in siti di interesse nazionale al fine di promuovere il riutilizzo di tali siti in condizioni di sicurezza sanitaria e ambientale, e di preservare le matrici ambientali non contaminate. Gli accordi di programma ivi previsti assicurano il coordinamento delle azioni per determinare i tempi, le modalità, il finanziamento e ogni altro connesso e funzionale adempimento per l'attuazione dei progetti.

 

Il comma 4 stabilisce poi disposizioni di deroga alla normativa vigente (fatti salvi i profili specificati) in relazione sia ai casi previsti dal comma 3 sia ad una ampia serie di settori espressamente elencati, quali:

ü  edilizia scolastica e universitaria

ü  edilizia sanitaria e - come specificato dal Senato - 'giudiziaria e penitenziaria' (il testo originario faceva riferimento all'edilizia carceraria)

ü  infrastrutture per la sicurezza pubblica

ü  nonché - secondo una modifica del Senato - per infrastrutture  per attività di ricerca scientifica

ü  trasporti e infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali, lacuali e idriche, ivi compresi gli interventi inseriti nei contratti di programma ANAS-Mit 2016-2020 e RFI-Mit 2017 – 2021 e relativi aggiornamenti

ü  nonché - secondo altra modifica del Senato - gli interventi funzionali alla realizzazione del Piano Nazionale Energia e Clima (PNIEC), mentre il testo originario fa invece riferimento agli interventi funzionali alla realizzazione della transizione energetica;

ü   e per i contratti relativi o collegati ad essi, 'per quanto non espressamente disciplinato dall'articolo in esame'.

ü  Con una modifica del Senato, è stata aggiunta la previsione che tali disposizioni si applicano, altresì, agli interventi per la messa a norma o in sicurezza degli edifici pubblici destinati ad attività istituzionali, al fine di sostenere le imprese ed i professionisti del comparto edile, anche operanti nell'edilizia specializzata sui beni vincolati dal punto di vista culturale o paesaggistico, nonché per recuperare e valorizzare il patrimonio esistente.

 

Con riferimento al settore dell'edilizia scolastica, va peraltro rammentato che l'art. 7-ter del D.L. n. 22 del 2020 (Misure urgenti sulla regolare conclusione e l'ordinato avvio dell'anno scolastico e sullo svolgimento degli esami di Stato, nonché in materia di procedure concorsuali e di abilitazione e per la continuità della gestione accademica) ha recato misure urgenti per interventi di riqualificazione dell'edilizia scolastica, prevedendo che - per garantire la rapida esecuzione di interventi di edilizia scolastica, anche in relazione all'emergenza da COVID-19 - fino al 31 dicembre 2020 i sindaci e i presidenti delle province e delle città metropolitane operano, nel rispetto dei princìpi derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea, con i poteri dei commissari di cui all'articolo 4, commi 2 e 3, del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, ivi inclusa la deroga a una serie di disposizioni del Codice dei contratti pubblici. Si tratta deli articoli 32, commi 8, 9, 11 e 12, 33, comma 1, 37, 77, 78 e 95, comma 3, e dell'articolo 60 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, con riferimento al termine minimo per la ricezione delle offerte per tutte le procedure sino alle soglie europee, che è stabilito in dieci giorni dalla data di trasmissione del bando di gara. Inoltre, i sindaci e i presidenti delle province e delle città metropolitane: vigilano sulla realizzazione dell'opera e sul rispetto della tempistica programmata; possono promuovere gli accordi di programma e le conferenze di servizi, o parteciparvi, anche attraverso un proprio delegato; possono invitare alle conferenze di servizi tra le amministrazioni interessate anche soggetti privati, qualora ne ravvisino la necessità; promuovono l'attivazione degli strumenti necessari per il reperimento delle risorse. Per approfondimenti, si veda il seguente dossier.

 

Sono quindi ivi compresi gli interventi inseriti nei contratti di programma ANAS-Mit 2016-2020 e RFI-Mit 2017 – 2021 e relativi aggiornamenti.

Si ricorda che è stato di recente all'esame del Parlamento lo schema di aggiornamento 2018-2019 al Contratto di programma - parte investimenti 2017-2021 tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Rete ferroviaria italiana (Atto del Governo n. 160); per approfondimenti, si veda il relativo dossier.

 

In base a quanto previsto, in tali settori - per quanto non espressamente disciplinato dall'articolo 2 qui in esame - le stazioni appaltanti operano in deroga ad ogni disposizione di legge per l’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l’attività di progettazione, e per l’esecuzione dei relativi contratti.

 

Viene comunque fatto salvo il rispetto delle seguenti leggi e normative:

- legge penale

-disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159

-vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'Unione europea e dei principi di cui agli articoli 30, 34 e 42 del Codice;

Si tratta dei principi per l'aggiudicazione e l'esecuzione di appalti e concessioni (Art. 30), dei criteri di sostenibilità energetica e ambientale (art. 34), di conflitto di interesse (art. 42).

- disposizioni in materia di subappalto.

 

Si segnala che il comma 4 sembra delineare un ambito applicativo, con riferimento alla generale deroga ivi prevista, che riguarda quindi:

-        le fattispecie di cui al precedente comma 3, relativo ai medi grandi contratti pubblici (pari o superiori alle soglie, a cui le procedure senza bando ivi previste si applicano - per espressa previsione - ove strettamente necessarie e per 'ragioni di estrema urgenza');

-        inoltre, i settori elencati nel comma 4: questi sembrerebbero quindi esentati dalla valutazione di stretta necessità e dalle ragioni di estrema urgenza, invece previsti al co. 3.

Tuttavia, va osservato come lo stesso co. 4 rechi la formula "per quanto non espressamente disciplinato dal presente articolo", espressione che appare riferibile a tutti i commi e a tutte le previsioni dell'articolo in esame.

 

In base al comma 5, per ogni procedura di appalto è nominato un responsabile unico del procedimento che, con propria determinazione adeguatamente motivata, valida ed approva ciascuna fase progettuale o di esecuzione del contratto, anche in corso d’opera.

 

Si ricorda che l'art. 31 del Codice disciplina ruolo e funzioni del RUP negli appalti e nelle concessioni.

A tale riguardo, il D.L. 32 del 2019, c.d. Sblocca cantieri, ha recato modifiche a tale disposizione, attribuendo al regolamento unico di attuazione del Codice - in luogo delle linee guida emanate dall’ANAC - il compito di definire la disciplina di maggiore dettaglio sui compiti specifici del Responsabile unico del procedimento (RUP), sui presupposti e sulle modalità di nomina, e sugli ulteriori requisiti di professionalità, rispetto a quanto disposto dal Codice in relazione alla complessità dei lavori; e l'importo massimo e la tipologia dei lavori, servizi e forniture per i quali il RUP può coincidere con il progettista, con il direttore dei lavori o con il direttore dell'esecuzione. Si è previsto che fino alla data di entrata in vigore del citato Regolamento, si applicasse, in merito alle funzioni del RUP, la disposizione transitoria prevista dal comma 27-octies dell’art. 216 del Codice, introdotto dal medesimo D.L. 32 e dunque dalle linee guida n. 3 dell’Anac.

Si segnala che con Atto 26/03/2019, n. 5 dell'ANAC, Atto di segnalazione concernente possibili criticità relative alla funzione di RUP quale progettista, verificatore, validatore del progetto e direttore dei lavori o dell'esecuzione (approvato dal Consiglio dell'Autorità con delibera n. 212 del 26 marzo 2019), l'Autorità ha formulato alcune proposte di modifica normativa, con particolare riferimento ai possibili incarichi di progettazione, verifica della progettazione e validazione che possono essere assegnati al responsabile unico del procedimento (RUP), in un'ottica di semplificazione delle procedure di affidamento, per quanto concerne i cosiddetti servizi tecnici.

 

Il comma 6 prevede la pubblicazione degli atti delle stazioni appaltanti adottati ai sensi del presente articolo, e del relativo aggiornamento degli atti, sui rispettivi siti internet istituzionali, nella sezione «Amministrazione trasparente» con applicazione della disciplina di cui al decreto legislativo n. 33 del 2013. Nella medesima sezione, sono altresì pubblicati gli ulteriori atti indicati all'articolo 29, comma 1, del codice in materia di trasparenza.

Il D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 ha dettato il "Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni".

L'art. 29 del Codice, in materia di principi di trasparenza, in vigore dal 19 aprile 2019 (con le modifiche apportate dal D.L. 32 del 2019) prevede che tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori relativi alla programmazione di lavori, opere, servizi e forniture, nonché alle procedure per l'affidamento di appalti pubblici di servizi, forniture, lavori e opere, di concorsi pubblici di progettazione, di concorsi di idee e di concessioni, compresi quelli tra enti nell'ambito del settore pubblico di cui all'articolo 5, alla composizione della commissione giudicatrice e ai curricula dei suoi componenti - ove non considerati riservati ai sensi dell'articolo 53 ovvero secretati ai sensi dell'articolo 162 del Codice - devono essere pubblicati e aggiornati sul profilo del committente, nella sezione "Amministrazione trasparente", con l'applicazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. Nella stessa sezione sono pubblicati anche i resoconti della gestione finanziaria dei contratti al termine della loro esecuzione. Gli atti recano, prima dell'intestazione o in calce, la data di pubblicazione sul profilo del committente; i termini cui sono collegati gli effetti giuridici della pubblicazione decorrono dalla data di pubblicazione sul profilo del committente.

 

La norma specifica che il ricorso ai contratti secretati di cui all’articolo 162 del codice è limitato ai casi di 'stretta necessità' e richiede una specifica motivazione.

In materia di contratti secretati, l'articolo 162 del codice stabilisce che le disposizioni del presente codice relative alle procedure di affidamento possono essere derogate:

a) per i contratti al cui oggetto, atti o modalità di esecuzione è attribuita una classifica di segretezza;

b) per i contratti la cui esecuzione deve essere accompagnata da speciali misure di sicurezza, in conformità a disposizioni legislative, regolamentari o amministrative.

Il comma 2 della norma del codice prevede che, ai fini della deroga di cui al comma 1, lettera a) della stessa, le amministrazioni e gli enti usuari attribuiscono, con provvedimento motivato, le classifiche di segretezza ai sensi dell'articolo 42 della legge 3 agosto 2007, n. 124, ovvero di altre norme vigenti, mentre ai fini della deroga di cui al comma 1, lettera b), le amministrazioni e gli enti usuari dichiarano, con provvedimento motivato, i lavori, i servizi e le forniture eseguibili con speciali misure di sicurezza individuate nel predetto provvedimento.

I contratti secretati sono eseguiti da operatori economici in possesso dei requisiti previsti dal codice e del nulla osta di sicurezza, ai sensi e nei limiti di cui all'articolo 42, comma 1-bis, della legge n. 124 del 2007. L'affidamento avviene previo esperimento di gara informale a cui sono invitati almeno cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all'oggetto del contratto e sempre che la negoziazione con più di un operatore economico sia compatibile con le esigenze di segretezza e sicurezza (co. 3 e 4).

Si ricorda che la Corte dei conti, tramite un proprio ufficio (per la cui costituzione si veda la Deliberazione 8 giugno 2016, n. 1/DEL/2016) organizzato in modo da salvaguardare le esigenze di riservatezza, esercita il controllo preventivo sulla legittimità e sulla regolarità dei contratti in parola, nonché sulla regolarità, correttezza ed efficacia della gestione, dandone conto, in base al co. 5 della disposizione del codice, entro il 30 giugno di ciascun anno con una relazione al Parlamento.

Si ricorda che il recente art. 5, comma 1-bis, D.L. 30 aprile 2020, n. 28 (Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l'introduzione del sistema di allerta Covid-19), convertito, con modificazioni, dalla L. 25 giugno 2020, n. 70, ha previsto che in relazione all'accresciuta esigenza di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti pubblici di carattere strategico, l'ufficio di cui all'articolo 162, comma 5, del codice dei contratti pubblici assume la denominazione di Sezione centrale per il controllo dei contratti secretati e svolge, oltre alle funzioni ivi previste, anche il controllo preventivo di cui all'articolo 42, comma 3-bis, del regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 novembre 2015, n. 5 (Disposizioni per la tutela amministrativa del segreto di Stato e delle informazioni classificate e a diffusione esclusiva); in base a tale disposizione, ai fini degli adempimenti connessi al rilascio delle abilitazioni di sicurezza, le stazioni appaltanti, quando indicono una gara o una procedura di affidamento che comporti l'accesso ad informazioni con classifica 'riservatissimo' o superiore, per il tramite dei rispettivi organi centrali di sicurezza ne danno tempestiva notizia all'UCSe, allegando il provvedimento motivato di segretazione, registrato dalla Corte dei conti, comunicando altresì, al termine della fase di aggiudicazione, i nominativi degli operatori economici risultati aggiudicatari. La Sezione centrale in questione si avvale di una struttura di supporto di livello non dirigenziale, nell'ambito della vigente dotazione organica del personale amministrativo e della magistratura contabile. In base alla normativa, il Consiglio di presidenza della Corte dei conti, su proposta del Presidente, definisce criteri e modalità per salvaguardare le esigenze di massima riservatezza nella scelta dei magistrati da assegnare alla Sezione centrale e nell'operatività della stessa. Analoghi criteri e modalità sono osservati dal segretario generale nella scelta del personale di supporto da assegnare alla Sezione medesima. Con riferimento a quanto previsto dall'articolo 162, comma 5, secondo periodo, del codice di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, si è previsto che la relazione è trasmessa al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.

 


 

Articolo 2-bis
(Raggruppamenti temporanei di imprese)

 

 

Con il nuovo articolo 2-bis, introdotto dal Senato, si prevede che alle procedure di affidamento di cui agli articoli 1 e 2 del decreto possono partecipare gli operatori economici anche in forma di raggruppamenti temporanei.

 

Con il nuovo articolo 2-bis, introdotto dal Senato, si prevede che alle procedure di affidamento di cui agli articoli 1 e 2 del decreto gli operatori economici possono partecipare anche in forma di raggruppamenti temporanei di cui all'articolo 3, comma 1, lettera u) del codice dei contratti pubblici.

Si ricorda che l'articolo 3 del codice, recante le definizioni, al comma 1, lettera u) definisce «raggruppamento temporaneo» un insieme di imprenditori, o fornitori, o prestatori di servizi, costituito, anche mediante scrittura privata, allo scopo di partecipare alla procedura di affidamento di uno specifico contratto pubblico, mediante presentazione di una unica offerta.

La disposizione sembra dunque regolare la possibilità di partecipazione alle gare nelle forme plurisoggettive, previste dal Codice, segnatamente mediante raggruppamenti temporanei di imprese.

Si segnala a tale riguardo che la disposizione di nuova introduzione reca il riferimento alla categoria dei soli raggruppamenti temporanei, mentre non menziona altre categorie plurisoggettive, quali i consorzi tra operatori economici, categoria che risulta prevista dal codice in relazione alla partecipazione a gare in forma aggregata da parte di operatori economici.

Si rammenta al riguardo che l'art. 48 del codice reca disposizioni in materia di Raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari di operatori economici, prevedendo che, nel caso di lavori, si intende: per raggruppamento temporaneo di tipo verticale, una riunione di operatori economici nell'ambito della quale uno di essi realizza i lavori della categoria prevalente; per lavori scorporabili, i lavori come definiti all'articolo 3, comma 1, lettera oo-ter) assumibili da uno dei mandanti; per raggruppamento di tipo orizzontale, una riunione di operatori economici finalizzata a realizzare i lavori della stessa categoria. Tale norma reca la disciplina di dettaglio in materia di raggruppamenti sia verticali sia orizzontali, prevedendo che, nel caso di forniture o servizi, per raggruppamento di tipo verticale si intende un raggruppamento di operatori economici in cui il mandatario esegue le prestazioni di servizi o di forniture indicati come principali anche in termini economici, i mandanti quelle indicate come secondarie; per raggruppamento orizzontale quello in cui gli operatori economici eseguono il medesimo tipo di prestazione. Le stazioni appaltanti indicano nel bando di gara la prestazione principale e quelle secondarie.

In base al comma 3 di tale disposizione, nel caso di lavori, i raggruppamenti temporanei e i consorzi ordinari di operatori economici sono ammessi se gli imprenditori partecipanti al raggruppamento, ovvero gli imprenditori consorziati, abbiano i requisiti di cui all'articolo 84 del codice. Nel caso di lavori, forniture o servizi nell'offerta devono essere specificate le categorie di lavori o le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati (co. 4 dell'art. 48). Si ricorda altresì che l'offerta degli operatori economici raggruppati o dei consorziati determina la loro responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante, nonché nei confronti del subappaltatore e dei fornitori.

É fatto divieto ai concorrenti di partecipare alla gara in più di un raggruppamento temporaneo o consorzio ordinario di concorrenti, ovvero di partecipare alla gara anche in forma individuale qualora abbia partecipato alla gara medesima in raggruppamento o consorzio ordinario di concorrenti (co. 7), dettandosi altresì disposizioni al riguardo sui consorzi, ai co. 7 e 8.

Il co. 9 dell'art. 48 vieta l'associazione in partecipazione sia durante la procedura di gara sia successivamente all'aggiudicazione, nonché qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei (e dei consorzi ordinari) di concorrenti rispetto a quella risultante dall'impegno presentato in sede di offerta, comportando l'inosservanza dei divieti l'annullamento dell'aggiudicazione o la nullità del contratto, nonché l'esclusione dei concorrenti riuniti in raggruppamento alle procedure di affidamento relative al medesimo appalto (co. 10).

Il co. 12 prevede che ai fini della costituzione del raggruppamento temporaneo, gli operatori economici devono conferire, con un unico atto, mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di essi, detto mandatario, dettandosi la disciplina di dettaglio relativa al mandato e alle fattispecie di fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione controllata, amministrazione straordinaria, concordato preventivo ovvero procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione di uno dei mandanti.

É ammesso il recesso di una o più imprese raggruppate, anche qualora il raggruppamento si riduca ad un unico soggetto, esclusivamente per esigenze organizzative del raggruppamento e sempre che le imprese rimanenti abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire. In ogni caso tale modifica soggettiva non è ammessa se finalizzata ad eludere la mancanza di un requisito di partecipazione alla gara (co. 19).

 


 

Articolo 2-ter
(Norme per favorire l'attuazione delle sinergie all'interno del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane)

 

 

L'articolo 2-ter, introdotto al Senato, consente, fino al 31 dicembre 2021, alle società del Gruppo Ferrovie dello Stato di stipulare convenzioni con le altre società del Gruppo in deroga al codice dei contratti pubblici e ad Anas di avvalersi dei contratti, anche Accordi-quadro, stipulati dalle Società del Gruppo FS per gli acquisti unitari di beni e servizi non direttamente strumentali.

 

In dettaglio il comma 1 prevede come scopo della disposizione, quello di favorire una più efficace attuazione delle sinergie volute dall'articolo 49 del decreto-legge n. 50/2017, anche mediante la razionalizzazione degli acquisti e l'omogeneizzazione dei procedimenti in capo alle Società del Gruppo Ferrovie.

Il comma 1 dell’art. 49 prevede espressamente, con l'obiettivo di rilanciare gli investimenti del settore delle infrastrutture attraverso la programmazione, la progettazione, la realizzazione e la gestione integrata delle reti ferroviarie e stradali di interesse nazionale, che ANAS S.p.A. sviluppi le opportune sinergie con il gruppo Ferrovie dello Stato, anche attraverso appositi contratti e convenzioni al fine di realizzare, tra l'altro, un incremento degli investimenti nel 2017 di almeno il 10 per cento rispetto al 2016 ed un ulteriore incremento di almeno il 10 per cento nel 2018.

 

In tal senso sono consentite a Ferrovie dello Stato e ad Anas le seguenti deroghe:

a) le Società del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane sono autorizzate fino al 31 dicembre 2021 a stipulare, anche in deroga alla disciplina del Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50), ad eccezione delle norme che costituiscono attuazione delle disposizioni delle direttive 2014/24/UE sugli appalti pubblici, e 2014/25/UE sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, apposite convenzioni al fine di potersi avvalere delle prestazioni di beni e servizi rese dalle altre Società del Gruppo;

b) ad ANAS S.p.A. è consentito, sempre fino al 31 dicembre 2021, di avvalersi dei contratti, anche di Accordi-quadro, stipulati dalle Società del Gruppo Ferrovie dello Stato per gli acquisti unitari di beni e servizi appartenenti alla stessa categoria merceologica e legati alla stessa funzione, non direttamente strumentali ai propri compiti istituzionali.

 

Si ricorda che il richiamato articolo 49 del D.L. n. 50/2017 ha previsto l'acquisizione da parte di FS della società ANAS S.p.a. L'acquisizione si è realizzata attraverso l'aumento di capitale di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. deliberato dall'Assemblea degli azionisti il 29 dicembre 2017, tramite conferimento dell'intera partecipazione ANAS detenuta dal MEF. Il Gruppo Ferrovie dello Stato detiene pertanto il 100% di Anas S.p.a. L'aumento di capitale di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. è stato pari a 2,86 miliardi di euro, corrispondente al patrimonio netto di ANAS S.p.A. risultante dalla situazione patrimoniale approvata dal Consiglio di amministrazione della società riferita ad una data non anteriore a quattro mesi dal conferimento.

 


 

Articolo 3
(Verifiche antimafia e protocolli di legalità)

 

 

L’articolo 3, dopo l’esame del decreto-legge in Senato, mira a semplificare il sistema delle verifiche antimafia, introducendo norme transitorie, applicabili fino al 31 dicembre 2021, che consentono alle pubbliche amministrazioni:

a) di corrispondere ai privati agevolazioni o benefici economici, anche in assenza della documentazione antimafia, con il vincolo della restituzione laddove in esito alle verifiche antimafia dovesse essere pronunciata una interdittiva (comma 1);

b) di stipulare contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture sulla base di una informativa antimafia liberatoria provvisoria, valida per 60 giorni, con il vincolo del recesso se le verifiche successive dovessero comportare una interdittiva antimafia (commi 2 e 4).

La disposizione consente inoltre di eseguire le verifiche antimafia attingendo a tutte le banche dati disponibili (comma 3) e demanda al Ministro dell’interno l’individuazione, con decreto, di ulteriori misure di semplificazione per quanto riguarda le verifiche che competono alle prefetture (comma 5). Per tutto il resto, continuerà ad applicarsi la disciplina generale del Codice antimafia (comma 6), integrata dalla previsione di protocolli di legalità. Il comma 7 dell’articolo 3, intervenendo sul Codice antimafia, prevede infatti che il Ministero dell’interno possa stipulare protocolli con associazioni di categoria, grandi imprese e organizzazioni sindacali, per estendere anche ai rapporti tra privati la disciplina sulla documentazione antimafia attualmente limitata ai rapporti tra i privati e un interlocutore pubblico.

 

 

Il Libro II del Codice antimafia (d.lgs. 159/2011) prevede un sistema di documentazione antimafia volto a impedire l’accesso a finanziamenti pubblici e la stipulazione di contratti con le pubbliche amministrazioni da parte di imprese e soggetti privati su cui grava il sospetto di infiltrazione da parte della criminalità organizzata.

Il sistema è incentrato intorno all'art. 67, il quale dispone che l'applicazione, con provvedimento definitivo, di una delle misure di prevenzione previste dal Libro I, titolo II, capo II del codice (ovvero sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, divieto di soggiorno in uno o più comuni diversi da quelli di residenza o di dimora abituale, obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale) comporta la decadenza di diritto da licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, attestazioni, abilitazioni ed erogazioni rilasciate da soggetti pubblici, nonché il divieto di concludere contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, e relativi subappalti e subcontratti.

La conoscenza di tali situazioni si esplica attraverso la documentazione antimafia di cui all'art. 84 del codice, la quale comprende:

- la comunicazione antimafia, che consiste nell'attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67;

- l'informazione antimafia, che, oltre ad attestare la sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67, è volta altresì ad attestare la sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi di società o imprese.

L'informazione viene richiesta prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell'articolo 67, il cui valore sia:  
- pari o superiore a quello determinato dalla legge in attuazione delle direttive comunitarie in materia di opere e lavori pubblici, servizi pubblici e pubbliche forniture;
- superiore a 150.000 euro per le concessioni di acque pubbliche o di beni demaniali per lo svolgimento di attività imprenditoriali, ovvero per la concessione di contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre erogazioni dello stesso tipo per lo svolgimento di attività imprenditoriali;
- superiore a 150.000 euro per l'autorizzazione di subcontratti, cessioni, cottimi, concernenti la realizzazione di opere o lavori pubblici o la prestazione di servizi o forniture pubbliche.

 

Le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico, nonché i concessionari di lavori o di servizi pubblici hanno l'obbligo, a norma dell'art. 83 del codice, di acquisire tale documentazione attraverso la consultazione della banca dati nazionale o, in taluni casi, tramite richiesta alla prefettura territorialmente competente prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell'articolo 67.

In base all’art. 87 del Codice antimafia, il rilascio della documentazione antimafia è immediatamente conseguente alla consultazione della Banca dati nazionale unica quando non emerge a carico dei soggetti ivi censiti la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto ovvero anche il tentativo di infiltrazione mafiosa. In tali casi, la documentazione antimafia è rilasciata dalla Prefettura che può accertare la corrispondenza dei motivi ostativi emersi dalla consultazione della banca dati nazionale unica alla situazione aggiornata del soggetto sottoposto agli accertamenti. Qualora tali verifiche diano esito positivo, il prefetto rilascia la comunicazione antimafia interdittiva ovvero, nel caso in cui le verifiche medesime diano esito negativo, il prefetto rilascia la comunicazione antimafia liberatoria attestando che la stessa è emessa utilizzando il collegamento alla banca dati nazionale unica.

Nei casi di urgenza, ed esclusi i casi in cui è richiesta l'informazione antimafia, i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi o forniture ed i provvedimenti di rinnovo conseguenti a provvedimenti già disposti, sono stipulati, autorizzati o adottati previa acquisizione di apposita autodichiarazione con la quale l'interessato attesti che nei propri confronti non sussistono le cause di divieto, di decadenza o di sospensione di cui all'articolo 67 (art. 89 del codice).

Lo stesso Codice, all’articolo 92, commi 2-4, dispone che i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni sono corrisposti sotto condizione risolutiva e le PP.AA. e gli enti pubblici revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, nel caso di accertamento delle cause interdittive.

 

 

In particolare, il comma 1, al fine di sostenere e rilanciare il sistema economico, afferma sussistere – fino al 31 dicembre 2021 (il termine originario del 31 luglio 2021 è stato infatti posticipato di 5 mesi dal Senato) – una situazione di urgenza che, ai sensi dell’art. 92, comma 3 del Codice antimafia (d.lgs. n. 159 del 2011), consente alle pubbliche amministrazioni di corrispondere alle imprese e ai privati benefici economici, comunque denominati (erogazioni, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, prestiti, agevolazioni e pagamenti), anche in assenza della documentazione antimafia, qualora il rilascio della stessa non sia immediatamente conseguente alla consultazione della banca dati nazionale. I benefici sono erogati sotto condizione risolutiva: ciò comporta che laddove dovesse sopraggiungere una interdittiva antimafia, i benefici dovrebbero essere restituiti.

La disposizione fa salve le misure analoghe già introdotte dai provvedimenti d’urgenza emanati per far fronte all’emergenza Covid-19.

 

In particolare, vengono fatte salve le previsioni:

-        dell’art. 1-bis del decreto-legge n. 23 del 2020 che, nell’ambito dei finanziamenti erogati da SACE s.p.a. (società di Cassa Depositi e Presiti), consente agli interessati di autocertificare l’assenza delle cause ostative di cui all’art. 67 del Codice antimafia (comma 1) e prevede, per la prevenzione dei tentativi di infiltrazioni criminali, la sottoscrizione di un protocollo d’intesa tra Ministero dell’interno, MEF e SACE S.p.A. per disciplinare i controlli antimafia, anche attraverso procedure semplificate;

-        dell’art. 13 del decreto-legge n. 23 del 2020 che, nell’ambito del potenziamento dell’intervento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, prevede che, se il rilascio della documentazione antimafia non è immediatamente conseguente alla consultazione della banca dati nazionale unica, il finanziamento sia comunque concesso all’impresa sotto condizione risolutiva. Ciò comporta che se viene successivamente emessa una interdittiva antimafia, l’agevolazione sarà revocata pur mantenendo l’efficacia della garanzia, a tutela del soggetto erogatore del finanziamento;

-        dell’art. 25 del decreto-legge n. 34 del 2020 che, in relazione all’erogazione di un contributo a fondo perduto a favore dei soggetti esercenti attività d’impresa e di lavoro autonomo, consente agli interessati di autocertificare l’assenza delle cause ostative di cui all’art. 67 del Codice antimafia, e all’amministrazione di procedere all’erogazione in via d’urgenza, salve le ulteriori verifiche; per procedere a tali verifiche, anche attraverso procedure semplificate, si prevede in particolare che Ministero dell’Interno, MEF e Agenzia delle entrate debbano stipulare un apposito protocollo d’intesa. Se le verifiche danno esito negativo, l’Agenzia delle entrate dovrà procedere alle attività di recupero del contributo e la presentazione dell’autocertificazione non veritiera è punita con la reclusione da 2 a 6 anni;

-        dell’art. 26 del decreto-legge n. 34 del 2020, che consente l’accesso alle misure di sostegno al rafforzamento patrimoniale delle imprese di medie dimensioni (crediti d’imposta e Fondo Patrimonio PMI) a patto che il legale rappresentante dell’impresa attesti, sotto la propria responsabilità, di non trovarsi nelle condizioni ostative previste dall’art. 67 del Codice antimafia, salvo il successivo obbligo di verifica;

-        dell’art. 27 del decreto-legge n. 34 del 2020, che nell’ambito degli interventi del “Patrimonio Destinato”, costituito da Cassa depositi e prestiti, consente l’accesso alle prestazioni anche in assenza dell’informativa antimafia – quando la stessa non sia immediatamente conseguente alla consultazione della banca dati unica – previa autocertificazione del legale rappresentante che attesta di non trovarsi in una condizione ostativa ai sensi dell’art. 67 del Codice. Anche in questo caso, il successivo rilascio della informazione antimafia interdittiva comporterà la risoluzione del contratto di finanziamento.

 

Il comma 2 - sempre fino al 31 dicembre 2021, a seguito della modifica approvata dal Senato - consente di stipulare, approvare o autorizzare contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture, sulla base di una informativa antimafia provvisoria.

L’informativa liberatoria dovrà essere rilasciata a seguito della mera consultazione delle banche dati, anche laddove da tale consultazione dovesse emergere che il soggetto non è censito. Potrà evidentemente essere negata - con conseguente rilascio dell’interdittiva antimafia - solo se a seguito della consultazione della banca dati dovessero emergere i provvedimenti definitivi di applicazione di una misura di prevenzione (di cui all’art. 67 del Codice) o un tentativo di infiltrazione mafiosa desumibile dall’applicazione di misure cautelari o da una condanna per specifici delitti, dalla proposta di applicazione di una misura di prevenzione, o dall’omessa denuncia di un reato di concussione o estorsione da parte di un soggetto per il quale è pendente l’applicazione di una misura di prevenzione (di cui all’art. 84, comma 4, lett. a), b) e c), del Codice).

L’informativa provvisoria consente la stipula, l’approvazione o l’autorizzazione dei contratti e subcontratti che saranno però sottoposti a condizione risolutiva.

In base al comma 4, infatti, laddove dalle verifiche successive dovesse scaturire una informazione interdittiva antimafia, i contratti sarebbero risolti di diritto, salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite. Sul punto, la disposizione riprende il contenuto dell’art. 92, comma 3, del Codice e fa salve le disposizioni:

-        dell’art. 94, commi 3 e 4, del Codice, che esclude la revoca o il recesso nel caso in cui l'opera sia in corso di ultimazione ovvero, in caso di fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell'interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi;

-        dell’art. 32, comma 10, del decreto-legge n. 90 del 2014, che consente al prefetto, a fronte dell’emissione di una interdittiva antimafia, di ordinare la straordinaria e temporanea gestione dell’impresa (rinnovazione degli organi sociali mediante la sostituzione del soggetto coinvolto o diretta gestione prefettizia) limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto ovvero dell'accordo contrattuale o della concessione se sussiste l'urgente necessità di assicurare il completamento dell'esecuzione.

 

Il comma 2 afferma che le ulteriori verifiche ai fini del rilascio della documentazione antimafia dovranno essere completate entro 60 giorni. Il termine di 30 giorni, previsto dal testo originario del decreto-legge, è stato infatti così ampliato nel corso dell’esame del decreto-legge in Senato.

La disposizione, pur affermando il carattere provvisorio della liberatoria antimafia, non connette allo spirare del termine specifiche conseguenze. A fronte di una eventuale inerzia dell’amministrazione chiamata a effettuare le verifiche, pertanto, i contratti stipulati sulla base dell’informativa provvisoria potranno conservare piena efficacia.

 

Il comma 3, per potenziare i controlli antimafia, consente oltre alla consultazione della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia (di cui all’art. 96 del Codice), anche la consultazione di tutte le ulteriori banche dati disponibili.

 

Il comma 5 demanda a un decreto del Ministro dell’interno – da emanare entro 15 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge - l’individuazione di ulteriori misure di semplificazione per quanto riguarda la competenza delle Prefetture in materia di rilascio della documentazione antimafia.

 

Il comma 6 conferma che, per quanto non espressamente disposto dai commi precedenti, alla documentazione antimafia continuano ad applicarsi le disposizioni del Codice antimafia.

 

Infine, il comma 7 inserisce nel Codice antimafia un nuovo articolo 83-bis, rubricato “Protocolli di legalità”, con il fine dichiarato dalla relazione illustrativa di dare un fondamento normativo ai protocolli che già da tempo stipula il Ministero dell’interno con le associazioni di categoria e di consentire così la possibile estensione anche ai rapporti tra privati della disciplina sulla documentazione antimafia.

 

Si ricorda che prima dell’entrata in vigore del decreto-legislativo n. 218 del 2012, il comma 1 dell’art. 87 del Codice Antimafia prevedeva espressamente la possibilità che a chiedere la comunicazione antimafia fosse un soggetto privato. A seguito dell’abrogazione di tale previsione, l’informativa antimafia non può essere richiesta dai privati, in relazione a rapporti con altri privati, ma unicamente dalla pubblica amministrazione e dai soggetti pubblici.

I protocolli già siglati dal Ministero dell’Interno, volti a estendere l’applicazione della disciplina delle verifiche antimafia anche ai rapporti tra privati sono stati conseguentemente dichiarati illegittimi.

In particolare, il Consiglio di Stato, con la recente sentenza n. 452 del 20 gennaio 2020, ha accolto il ricorso di un'impresa oggetto di una richiesta di comunicazione antimafia avanzata alla Prefettura di Brescia da Confindustria Venezia nell'ambito di un “Protocollo di legalità" siglato tra il Ministero dell’interno e Confindustria. I giudici di Palazzo Spada hanno precisato che secondo il comma 1 dell'art. 83 del Codice, i soggetti che devono acquisire la documentazione antimafia prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, sono le Pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici; il legislatore ha infatti previsto che il potere del Perfetto intervenga quando il privato entra in rapporto con l'Amministrazione. Nel caso di rapporti tra privati, invece, «la normativa antimafia nulla prevede». «Tale vuoto normativo – spiega il Collegio - non può certo essere colmato dal Protocollo della legalità e dal suo Atto aggiuntivo, entrambi stipulati tra il Ministero dell'interno e Confindustria»; «Si tratta, infatti di un atto stipulato tra due soggetti, che finirebbe per estendere ad un soggetto terzo, estraneo a tale rapporto, effetti inibitori, che la legge ha espressamente voluto applicare ai soli casi in cui il privato in odore di mafia contragga con una parte pubblica». Gli stessi giudici amministrativi peraltro auspicano un ritorno alla normativa precedente al 2012: «occorre interrogarsi se le istituzioni non possano valutare il ritorno alla originaria formulazione del Codice Antimafia, nel senso che l'informazione antimafia possa essere richiesta anche da un soggetto privato ed anche per rapporti esclusivamente tra privati». Soltanto un tale intervento infatti potrebbe, in vicende come quella oggi in esame, permettere l'applicabilità generalizzata della documentazione antimafia.

 

In merito la Relazione illustrativa afferma che: “La norma risponde anche ad esigenze sistematiche sorte a seguito delle statuizioni contenute nella sentenza del Consiglio di Stato n. 452/2020 senza, tuttavia, accogliere l’ipotesi di reintrodurre la documentazione antimafia in tutti i rapporti tra privati, ma individuando nei protocolli di legalità lo strumento per interventi più snelli e mirati in tale ambito: in tal senso, i protocolli, nel rispondere ad un’esigenza da più parti sentita, operano una significativa semplificazione rispetto all’articolo 87, comma 1, del Codice antimafia nella formulazione previgente al decreto legislativo 15 novembre 2012, n. 218, pur intervenendo nell’ambito della medesima tipologia di rapporti”.

 

In particolare, il comma 1 del nuovo art. 83-bis consente al Ministero dell’interno di sottoscrivere protocolli o intese, anche con imprese di rilevanza strategica, con associazioni di categoria o organizzazioni sindacali (categoria quest’ultima inserita nel corso dell’esame in Senato), per estendere il ricorso alla documentazione antimafia disciplinata dal Codice antimafia anche nei rapporti tra privati, o nei rapporti tra associazioni di categoria e privati, ad esempio in relazione a contratti che superino determinate soglie di valore.

 

In base al comma 3, le stazioni appaltanti devono prevedere negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto dei protocolli di legalità costituisce causa di esclusione dalla gara o di risoluzione del contratto.

 

Inoltre, il comma 2 del nuovo art. 83-bis equipara al rilascio dell’informazione antimafia liberatoria l’iscrizione dell’interessato:

 

-        nelle c.d. white list istituite presso ogni prefettura ai sensi della Legge Severino (art. 1, commi 52-57, legge n. 190 del 2012);

 

In base alla legge del 2012 presso ogni prefettura deve essere istituito un elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa, con lo scopo di rendere più efficaci i controlli antimafia nei confronti di operatori economici operanti in settori maggiormente esposti a rischi di infiltrazione mafiosa (dalle attività di trasporto di materiali a discarica per conto di terzi al trasporto, anche transfrontaliero, e smaltimento di rifiuti per conto di terzi; dall’estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti ai noli a freddo di macchinari, all’autotrasporto per conto di terzi alla guardiania dei cantieri). Le modalità di istituzione e aggiornamento degli elenchi sono state disciplinate dal D.P.C.M. 18 aprile 2013. In questi settori “a rischio” l'iscrizione nella white list costituisce la modalità obbligatoria attraverso la quale è possibile acquisire la documentazione antimafia nei confronti delle imprese, modalità che "tiene luogo della comunicazione e dell'informazione antimafia liberatoria anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti e subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per le quali essa è stata disposta " (c.d. effetto-equipollenza).

 

-        nell’anagrafe antimafia degli esecutori prevista per gli interventi di ricostruzione nei territori colpiti dal sisma del centro Italia (art. 30, d.l. n. 189 del 2016).

 

Il provvedimento citato ha previsto l’istituzione di un apposito elenco tenuto da una Struttura di Missione del Ministero dell’Interno, a cui debbono obbligatoriamente iscriversi online tutti gli operatori economici interessati a partecipare, a qualunque titolo e per qualsiasi attività, agli interventi di ricostruzione, pubblica e privata, nei 140 Comuni del cratere del Sisma (Abruzzo, Lazio, Marche, Umbria).

La Struttura, in deroga al Codice Antimafia, è competente a eseguire le verifiche finalizzate al rilascio, da parte della stessa Struttura, dell'informazione antimafia per i contratti, di qualunque valore o importo.

All’anagrafe possono essere iscritti di diritto tutti gli imprenditori già iscritti nelle white list della legge Severino. L’iscrizione dell’anagrafe, che ha una validità di 12 mesi, tiene luogo delle verifiche antimafia anche per gli eventuali ulteriori contratti, subappalti e subcontratti conclusi o approvati durante il periodo di validità dell'iscrizione medesima.


 

Articolo 4, comma 1
(Conclusione dei contratti pubblici)

 

 

L'articolo 4, al comma 1, novella l’articolo 32 del codice dei contratti pubblici, in materia di procedure per la conclusione del contratto di affidamento, prevedendo tra l'altro che la stipulazione del contratto 'deve avere luogo'  entro sessanta giorni successivi al momento in cui è divenuta efficace l'aggiudicazione e che la mancata stipulazione del contratto nel termine previsto deve essere motivata con specifico riferimento all’interesse della stazione appaltante e all'interesse nazionale alla sollecita esecuzione del contratto.

 

In particolare si recano due novelle al comma 8 di tale norma:

 

Ø  al primo periodo, si specifica che la stipulazione del contratto di appalto o di concessione deve avere luogo - anziché 'ha luogo', come previsto dal testo sino ad ora vigente - entro sessanta giorni successivi al momento in cui è divenuta efficace l'aggiudicazione, (salvo diverso termine previsto nel bando o nell'invito ad offrire, ovvero l'ipotesi di differimento); inoltre, con riferimento alla suddetta ipotesi di differimento espressamente concordata con l'aggiudicatario, se ne specifica la valenza purché essa sia comunque 'giustificata dall’interesse alla sollecita esecuzione del contratto', così restringendo i casi in cui possa sussistere un'ipotesi di differimento concordata tra le parti (lett. a);

Ø  si aggiungono al comma 8 della norma novellata, dopo il primo periodo, una serie di disposizioni (lett. b).

Nel dettaglio, si dispone che la mancata stipulazione del contratto nel termine previsto deve essere motivata con specifico riferimento all’interesse della stazione appaltante e all'interesse nazionale alla sollecita esecuzione del contratto e viene valutata ai fini della responsabilità erariale e disciplinare del dirigente preposto.

Si ricorda che norme in tema di responsabilità erariale sono recate dall'articolo 21 del decreto in esame, cui si rinvia.

 

Inoltre, la pendenza di un ricorso giurisdizionale nel cui ambito non sia stata disposta o inibita la stipulazione del contratto, non costituisce giustificazione adeguata per la mancata stipulazione del contratto nel termine previsto. Viene tuttavia fatto salvo quanto previsto dai commi 9 e 11 dell'articolo 32 del codice, in materia rispettivamente di termine minimo da rispettare dall'invio dell'ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione nonché in materia di domanda cautelare.

 

La relazione illustrativa al decreto evidenzia che si tratta di una norma diretta ad evitare che, anche in accordo con l’aggiudicatario, venga ritardata o rinviata la stipulazione del contratto per pendenza di ricorsi giurisdizionali o per altri motivi, precisando che l'espresso richiamo ai commi 9 e 11 dell'articolo 32 consente di ritenere "adeguatamente salvaguardati lo stand still sostanziale analogamente a quello processuale, con la conseguenza che se la mera pendenza del ricorso giurisdizionale non costituisce un fatto idoneo a giustificare la sospensione della procedura di appalto o la mancata stipulazione del contratto, nel caso in cui sia adottato un provvedimento giurisdizionale di sospensione della procedura la stazione appaltante non può stipulare il contratto e il ritardo nella stipulazione deve ritenersi senz’altro giustificato".

 

Si ricorda che in base al co. 9 della norma richiamato, il contratto non può comunque essere stipulato prima di trentacinque giorni dall'invio dell'ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione.

In base al co. 11 richiamato in disposizione, se è proposto ricorso avverso l'aggiudicazione con contestuale domanda cautelare, il contratto non può essere stipulato, dal momento della notificazione dell'istanza cautelare alla stazione appaltante e per i successivi venti giorni, a condizione che entro tale termine intervenga almeno il provvedimento cautelare di primo grado o la pubblicazione del dispositivo della sentenza di primo grado in caso di decisione del merito all'udienza cautelare ovvero fino alla pronuncia di detti provvedimenti se successiva. L'effetto sospensivo sulla stipula del contratto cessa quando, in sede di esame della domanda cautelare, il giudice si dichiara incompetente o fissa con ordinanza la data di discussione del merito senza concedere misure cautelari o rinvia al giudizio di merito l'esame della domanda cautelare, con il consenso delle parti, da intendersi quale implicita rinuncia all'immediato esame della domanda cautelare.

Va ricordato che disposizioni di deroga a quanto disposto dalle disposizioni qui richiamate sono state recate con l'art. 7-ter, comma 1, lett. a), del D.L. 8 aprile 2020, n. 22, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 giugno 2020, n. 41, in materia di interventi di riqualificazione dell'edilizia scolastica.

Si rammenta peraltro che base al co. 10 della norma novellata, il termine dilatorio previsto dal co. comma 9 non si applica in tali casi: a) se, a seguito di pubblicazione di bando o avviso con cui si indice una gara o dell'inoltro degli inviti nel rispetto del presente codice, è stata presentata o è stata ammessa una sola offerta e non sono state tempestivamente proposte impugnazioni del bando o della lettera di invito o queste impugnazioni risultano già respinte con decisione definitiva; b) nel caso di un appalto basato su un accordo quadro, di appalti specifici basati su un sistema dinamico di acquisizione, nel caso di acquisto effettuato attraverso il mercato elettronico nei limiti indicati e nel caso di affidamenti ai sensi dell'articolo 36, comma 2, lettere a) e b) del codice.

 

Infine, si prevede che le stazioni appaltanti hanno facoltà di stipulare contratti di assicurazione della propria responsabilità civile derivante dalla conclusione del contratto e dalla prosecuzione o sospensione della sua esecuzione.

 

In relazione alla materia trattata dalla disposizione, va ricordato che, in base al co. 8 sino ad ora vigente, una volta divenuta efficace l'aggiudicazione, e fatto salvo l'esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti, la stipulazione del contratto di appalto o di concessione ha luogo entro i successivi sessanta giorni, salvo diverso termine previsto nel bando o nell'invito ad offrire, ovvero l'ipotesi di differimento espressamente concordata con l'aggiudicatario.

In base alla norma sino ad ora vigente, se la stipulazione del contratto non avviene nel termine fissato, l'aggiudicatario può, mediante atto notificato alla stazione appaltante, sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto. All'aggiudicatario non spetta alcun indennizzo, salvo il rimborso delle spese contrattuali documentate. Nel caso di lavori, se è intervenuta la consegna dei lavori in via di urgenza e nel caso di servizi e forniture, se si è dato avvio all'esecuzione del contratto in via d'urgenza, l'aggiudicatario ha diritto al rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione dei lavori ordinati dal direttore lavori, ivi comprese quelle per opere provvisionali. Nel caso di servizi e forniture, se si è dato avvio all'esecuzione del contratto in via d'urgenza, l'aggiudicatario ha diritto al rimborso delle spese sostenute per le prestazioni espletate su ordine del direttore dell'esecuzione. L'esecuzione d'urgenza di cui al presente comma è ammessa esclusivamente nelle ipotesi di eventi oggettivamente imprevedibili, per ovviare a situazioni di pericolo per persone, animali o cose, ovvero per l'igiene e la salute pubblica, ovvero per il patrimonio, storico, artistico, culturale ovvero nei casi in cui la mancata esecuzione immediata della prestazione dedotta nella gara determinerebbe un grave danno all'interesse pubblico che è destinata a soddisfare, ivi compresa la perdita di finanziamenti comunitari.

 

 

 


 

Articolo 4, commi 2-4
(Ricorsi giurisdizionali)

 

 

I commi 2-4 dell'articolo 4, come modificati dal Senato, oltre a prevedere specifiche disposizioni processuali con riguardo al contenzioso relativo alle procedure di affidamento di cui agli articoli 1 e 2 del decreto-legge, recano alcune modifiche alla disciplina processuale del c.d. rito appalti incidendo sui tempi di decisione.

 

 

Più nel dettaglio il comma 2 dell'articolo 4 dispone l'applicazione del comma 2 dell’articolo 125 del Codice del processo amministrativo (decreto legislativo n. 104 del 2010 di seguito c.p.a.) in caso di impugnazione degli atti relativi alle procedure di affidamento di cui agli articoli 1 e 2, comma 2, del decreto qui in conversione (si rinvia alle relative schede di lettura), qualora rientranti nell’ambito applicativo dell’articolo 119, comma 1, lettera a), c.p.a.

 

La lett. a) del comma 1 dell'art. 119 c.p.a. richiama i giudizi aventi ad oggetto le controversie relative ai provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture nonché i provvedimenti di ammissione ed esclusione dalle competizioni professionistiche delle società o associazioni sportive professionistiche, o comunque incidenti sulla partecipazione a competizioni professionistiche. Come chiarito dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. plen., 3 giugno 2011 n. 10), l'ambito di applicazione della disciplina processuale dettata dagli artt. 120-125 c.p.a., trattandosi di disciplina “specialissima”, deve essere inteso in senso restrittivo. Non possono dunque essere attratte in tale ambito le controversie che, pur essendo affidate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e ricollegandosi all'affidamento di contratti pubblici, non investono l'affidamento (anche a titolo di concessione: Cons. St., Sez. III, 29 maggio 2015 n. 2704) di lavori, servizi e forniture (si pensi, in particolare, alle concessioni di beni: Cons. St.,Sez. VI, 28 maggio 2015, n. 2679Cons. St., Sez. VI, 21 maggio 2014, n. 2620; sulla distinzione tra concessioni per lo sfruttamento economico di beni demaniali e concessione di servizi si v. Corte giust. UE, Sez., V, 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15). L'applicabilità del rito speciale alle concessioni disciplinate dal Codice dei contratti è invece ormai espressamente riconosciuta dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (v. sentenza 27 luglio 2016, n. 22).

 

Il comma 2 dell'articolo 125 c.p.a. (vedi amplius infra) stabilisce un particolare onere motivazionale della decisione cautelare inteso a verificare l'impatto della pronuncia sull'interesse pubblico legato all'esecuzione dell'appalto. E' opportuno ricordare peraltro che il comma 8-ter dell'art. 120 c.p.a. ha previsto - sia attraverso il rinvio ai criteri degli articoli 121 e 122, sia mediante la menzione delle "esigenze imperative connesse a un interesse generale all'esecuzione del contratto" - la necessità di considerare adeguatamente l'interesse pubblico implicato. 

 

 

Il comma 3 interviene in materia di contenzioso relativo alle opere inserite nel programma di rilancio delineato dal Governo. In particolare, in caso di impugnazione degli atti relativi alle procedure di affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture, nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l'attività di progettazione, di opere di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza comunitaria (ex art. 35 del codice dei contratti pubblici) la cui realizzazione è necessaria per il superamento della fase emergenziale o per far fronte agli effetti negativi derivanti dalle misure di contenimento (art. 2, comma 3 del d.l. in esame) il comma 3 dell'articolo in esame dispone l'applicazione dell'intero articolo 125 c.p.a. (estendendo quindi non solo la previsione relativa all'onere motivazionale della pronuncia cautelare, ma anche quella riguardante i limiti alla caducazione del contratto in seguito alla accertata illegittimità della aggiudicazione).

 

L'art. 125 c.p.a., già ricordato, detta disposizioni processuali specifiche per le controversie relative ad infrastrutture strategiche ed insediamenti produttivi disciplinati dagli artt. 161-181 del D.Lgs. n. 163/2006.  Per questi ricorsi non si applica l'art. 122 c.p.a. e cioè la possibilità per il giudice amministrativo, fuori dalle ipotesi espressamente previste dagli artt. 121, comma 1, e 123, comma 3, c.p.a., di dichiarare comunque inefficace il contratto, fissandone la decorrenza: è escluso, cioè, il potere decisorio residuale di dichiarare l'inefficacia del contratto, per cui il giudice può esercitare tale potere solo in presenza delle cc.dd. "gravi violazioni". Fuori dai casi delle "gravi violazioni", la sospensione o l'annullamento dell'affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipulato ed "il risarcimento del danno eventualmente dovuto avviene solo per equivalente". Con riguardo ai limiti alla tutela demolitoria è opportuno ricordare che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 160 del 2019, pur avendo sottolineato come la Costituzione non imponga l'indefettibilità di tale forma di tutela, ha rilevato tuttavia come l'esclusione della pienezza della tutela debba essere pur sempre collegata alla protezione di interessi qualificati. L'art. 125 c.p.a. stabilisce inoltre, come anticipato (vedi supra con riguardo al comma 2 dell'art. in commento) il parametro che il giudice deve seguire nell'esercizio del potere cautelare: deve tener conto delle "probabili conseguenze del provvedimento stesso per tutti gli interessi che possono essere lesi, nonché del preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell'opera" e "si valuta anche la irreparabilità del pregiudizio per il ricorrente, il cui interesse va comunque comparato con quelli del soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione delle procedure". In altri termini la norma stabilisce un particolare onere motivazionale della decisione cautelare, inteso a verificare l'impatto della pronuncia sull'interesse pubblico legato all'esecuzione dell'appalto.

 

 

Il comma 4 modifica l’art. 120 c.p.a. che prevede disposizioni specifiche applicabili al rito degli appalti pubblici - modificandone i commi 6 (lett. a) e 9 (lett. c).

 

Il diritto processuale amministrativo contempla ora due diversi riti in materia di appalti: il rito ordinario e il rito abbreviato (questo rito, disciplinato dall'art. 120 c.p.a., si applica a determinate materie, tassativamente indicate dall’art. 119 c.p.a.,).

Si ricorda che l'art. 1, comma 22, lett. a), del decreto-legge n. 32/2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 155/2019 (cd. "Sblocca cantieri")", ha abrogato i commi 2-bis e 6-bis dell'art.120 c.p.a., che recavano disciplina del rito c.d. super accelerato (già introdotto nel 2016), applicabile con riguardo alle impugnazioni degli atti di ammissione ed esclusione dei concorrenti da una gara di appalto. L'art. 1, comma 23, del medesimo decreto-legge n. 32 ha disposto l'applicazione del nuovo regime (successivo all'abrogazione di cui al precedente comma 22) ai processi iniziati dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 32 (vale a dire il 18 giugno 2019).

 

 

La lettera a), come modificata dal Senato, interviene sul comma 6 dell'art. 120 c.p.a.

 

Il comma 6 previgente all’entrata in vigore del decreto-legge in esame stabiliva che ferma restando la possibilità, in presenza dei presupposti, di definire il giudizio già in sede cautelare, il giudizio fosse definito comunque con sentenza semplificata ad una udienza fissata d’ufficio dal TAR e dal Consiglio di Stato entro 45 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente (la PA e i controinteressati). La segreteria del giudice avvisa immediatamente le parti della data dell’udienza a mezzo di posta elettronica certificata. In caso di esigenze istruttorie o quando è necessario integrare il contraddittorio o assicurare il rispetto di termini a difesa, la definizione del merito viene rinviata, con l'ordinanza che dispone gli adempimenti istruttori o l'integrazione del contraddittorio o dispone il rinvio per l'esigenza di rispetto dei termini a difesa, ad una udienza da tenersi non oltre trenta giorni.

 

Il decreto-legge, nella sua formulazione originaria modificava il primo periodo del comma 6, prevedendo come "regola" la definizione del giudizio in esito all'udienza cautelare (ex art. 60 c.p.a) anche in deroga al primo periodo del comma 1 dell'articolo 74 (che prevede che nel caso in cui ravvisi la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, il giudice decide con sentenza in forma semplificata). Nel corso dell'esame presso l'altro ramo del Parlamento è stata approvata una modifica alla lettera a) con la quale è stato specificato che si procede di norma alla definizione del giudizio in esito alla udienza cautelare quando le parti richiedano congiuntamente di limitare la decisione all'esame di un'unica questione, nonché in ogni altro caso compatibilmente con le esigenze di difesa di tutte le parti in relazione alla complessità della causa.

 

L'art. 60 c.p.a. stabilisce che in sede di decisione della domanda cautelare, purché siano trascorsi almeno venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso, il collegio, accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata, salvo che una delle parti dichiari che intende proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di competenza, ovvero regolamento di giurisdizione. Se la parte dichiara che intende proporre regolamento di competenza o di giurisdizione, il giudice assegna un termine non superiore a trenta giorni. Ove ne ricorrano i presupposti, il collegio dispone l'integrazione del contraddittorio o il rinvio per consentire la proposizione di motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di competenza o di giurisdizione e fissa contestualmente la data per il prosieguo della trattazione.

 

La lettera b) interviene sul comma 9 dell'art. 120 c.p.a.

 

Il comma 9, nella formulazione vigente prima dell'entrata in vigore del d.l. in conversione, prevedeva che il Tribunale amministrativo regionale depositasse entro trenta giorni dall'udienza di discussione la sentenza con la quale definisce il giudizio, riconoscendo alle parti la possibilità di chiedere l'anticipata pubblicazione del dispositivo (entro due giorni dall'udienza). Si tratta, comunque, di termini di natura meramente ordinatoria, alla cui inosservanza l'organo di autogoverno della giustizia amministrativa correla specifiche conseguenze soltanto in presenza di ulteriori condizioni (Delibera n. 15 del 5 febbraio 2016).

Lo specifico richiamo al Tar lasciava valido, per la sentenza di appello, il più stretto termine di 23 giorni, derivante dal principio generale della dimidiazione dei termini ordinari, in forza dell'art. 119, comma 2 c.p.a.

 

Il comma 9, come riscritto dal decreto-legge in esame, accelerando ulteriormente la fase decisoria, stabilisce che il giudice (ricomprendendo quindi anche il giudizio d'appello) depositi la sentenza con la quale definisce il giudizio (sia di primo grado che d'appello), entro quindici giorni dall’udienza di discussione. Nei casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa, il giudice deve:

·       pubblicare il dispositivo nel termine di quindici giorni, indicando anche le domande eventualmente accolte e le misure per darvi attuazione;

·       depositare, comunque, la sentenza entro trenta giorni dall’udienza.

É quindi eliminata la previsione della pubblicazione rapida del dispositivo entro due giorni dall'udienza.

 


 

Articolo 4-bis
(Disposizioni in materia di contratti pubblici per servizi di pulizia o di lavanderia in ambito sanitario)

 

 

L'articolo 4-bis, introdotto dal Senato, pone alcune norme transitorie per l'ipotesi in cui l'adeguamento alle misure di contenimento e contrasto dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 comporti un determinato incremento della spesa prevista per i contratti pubblici relativi all'erogazione di servizi di pulizia o di lavanderia in ambito sanitario o ospedaliero.

In particolare, il comma 1 concerne i contratti in esame che dovrebbero essere stipulati in base a procedure di affidamento aggiudicate in data anteriore al 31 gennaio 2020; al riguardo, il comma prevede che le stazioni appaltanti possano procedere alla revoca dell'aggiudicazione, ai sensi dell'articolo 21-quinquies della L. 7  agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, qualora dal suddetto adeguamento derivi un incremento di importo superiore al 20 per cento rispetto al prezzo indicato nel bando di gara o nella lettera di invito[1]; sono naturalmente esclusi i casi in cui le stazioni appaltanti abbiano già provveduto alla stipulazione del contratto e quelli in cui l'aggiudicatario si sia avvalso (in ragione della mancata stipulazione del contratto, per responsabilità della stazione appaltante, entro il termine previsto) della facoltà di scioglimento di ogni vincolo[2]. Il provvedimento di revoca in esame deve essere comunicato all'aggiudicatario entro trenta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

Si ricorda che il suddetto articolo 21-quinquies prevede che, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento (o nel caso, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario), il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole possa essere revocato da parte dell'organo che l'abbia emanato ovvero da altro organo previsto dalla disciplina legislativa. La revoca determina l'inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo. Quest'ultimo - nei casi in cui la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali - è determinato in base al solo danno emergente[3].

Il comma 2 del presente articolo 4-bis prevede che per i contratti pubblici in oggetto, in corso di esecuzione alla data del 31 gennaio 2020 ed ancora efficaci alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le stazioni appaltanti possano procedere alla risoluzione, qualora dall'adeguamento suddetto derivi un incremento di prezzo superiore al 20 per cento del valore del contratto iniziale[4]. La risoluzione deve essere dichiarata dalla stazione appaltante entro trenta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto[5]. Resta ferma (come specifica il successivo comma 3) la possibilità di applicazione della disciplina sulla modifica di contratti pubblici durante il periodo della loro efficacia (disciplina di cui all'articolo 106 del citato codice dei contratti pubblici, e successive modificazioni).

 

 

 


 

Articolo 5
(Sospensione dell'esecuzione dell'opera pubblica)

 

 

L'articolo 5 detta disposizioni a carattere transitorio applicabili agli appalti il cui valore sia pari o superiore alla soglia comunitaria, per disciplinare i casi di sospensione dell'esecuzione dell'opera pubblica nelle fattispecie previste ed esclusivamente per il tempo strettamente necessario al loro superamento (co. 1). Con una modifica del Senato, si estende fino al 31 dicembre 2021 l'arco temporale di applicazione delle disposizioni, che il testo originario della disposizione prevede fino al 31 luglio 2021. La sospensione è in ogni caso disposta dal responsabile unico del procedimento e si dispongono diverse modalità per gestire le fattispecie contemplate dalla disposizione in materia di sospensione (co. 2 e 3).  Nel caso in cui la prosecuzione dei lavori, per qualsiasi motivo, ivi incluse la crisi o l’insolvenza dell’esecutore, non possa proseguire con il soggetto designato - né con altra impresa del raggruppamento designato ove in possesso dei requisiti adeguati ai lavori ancora da realizzare, secondo l'aggiunta del Senato - la stazione appaltante, previo parere del collegio consultivo tecnico, dichiara senza indugio la risoluzione del contratto, che opera di diritto (co.4); tali disposizioni si applicano anche in caso di ritardo dell’avvio o dell’esecuzione dei lavori, non giustificato dalle esigenze descritte al comma 1 della norma, che abbia una durata per un numero di giorni indicata al comma 5. Le parti non possono invocare l’inadempimento della controparte o di altri soggetti per sospendere l’esecuzione dei lavori di realizzazione dell’opera ovvero le prestazioni connesse alla tempestiva realizzazione dell’opera, e si dettano criteri per la valutazione in sede giudiziale, sia in fase cautelare che di merito. In ogni caso, si stabilisce per legge che l’interesse economico dell’appaltatore o la sua eventuale sottoposizione a procedura concorsuale o di crisi non può essere ritenuto prevalente rispetto all’interesse alla realizzazione dell’opera pubblica (co. 6).

 

 

Il comma 1 reca disposizioni in relazione alle ipotesi in cui è possibile sospendere l’esecuzione dell’opera pubblica, indicandole in modo specifico in un'ottica di limitazione di tali possibilità di sospendere dell’esecuzione delle opere pubbliche.

Nel dettaglio, si prevede che, fino al 31 dicembre 2021 - secondo quanto previsto dal Senato con una modifica che estende l'arco temporale di applicazione della disposizione (mentre il testo originario del decreto-legge prevedeva fino al 31 luglio 2021) - in deroga all’articolo 107 del codice dei contratti pubblici, la sospensione, volontaria o coattiva, dell’esecuzione di lavori diretti alla realizzazione delle opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie comunitarie, anche se già iniziati, può avvenire - esclusivamente per il tempo strettamente necessario al loro superamento - per le seguenti ragioni:

a)     cause previste da disposizioni di legge penale, dal codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, nonché da vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea;

b) gravi ragioni di ordine pubblico, salute pubblica o dei soggetti coinvolti nella realizzazione delle opere, ivi incluse le misure adottate per contrastare l’emergenza sanitaria globale da COVID-19;

c) gravi ragioni di ordine tecnico, idonee a incidere sulla realizzazione a regola d’arte dell’opera, in relazione alle modalità di superamento delle quali non vi è accordo tra le parti;

d) gravi ragioni di pubblico interesse.

 

Le disposizioni in esame operano in deroga all'art. 107 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 50/2016, il quale riconduce la possibilità di sospensione dei lavori alle seguenti fattispecie:

ü  il direttore dei lavori può disporre la sospensione dell'esecuzione del contratto in tutti i casi in cui ricorrano circostanze speciali che impediscono in via temporanea che i lavori procedano utilmente a regola d'arte, e che non siano prevedibili al momento della stipulazione del contratto (comma 1);

ü  il RUP può disporre la sospensione dei lavori per ragioni di necessità o di pubblico interesse, tra cui l'interruzione di finanziamenti per esigenze sopravvenute di finanza pubblica, disposta con atto motivato delle amministrazioni competenti (comma 2);

ü  si provvede alla sospensione parziale dei lavori non eseguibili, qualora, successivamente alla consegna dei lavori, insorgano, per cause imprevedibili o di forza maggiore, circostanze che impediscano parzialmente il regolare svolgimento dei lavori; l'esecutore è tenuto a proseguire le parti di lavoro eseguibili (comma 4);

ü  sospensioni totali o parziali dei lavori possono essere disposte dalla stazione appaltante per cause diverse da quelle di cui ai commi 1, 2 e 4 (comma 6).

In relazione alle cause di sospensione, la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. I, 21 giugno 2007, n. 14510) ha precisato come la sospensione debba ritenersi legittima solo allorché sia disposta per motivi di pubblico interesse o per necessità, o sia giustificata da fatti obiettivi non imputabili alla Pubblica Amministrazione committente o da esigenze non previste né prevedibili con l’ordinaria diligenza.

Sul punto la Cassazione è ritornata anche più recentemente (Cass. civ. Sez. I, Ord. del 14 giugno 2018, n. 15700): "occorre premettere che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la sospensione dei lavori, che non è consentita in nessun caso all'appaltatore (Cass. n. 9794 del 1994; n. 9246 del 2012), può essere disposta dall'Amministrazione nelle ipotesi previste dal D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 30 (ed analogamente dal D.P.R. n. 554 del 1999, art. 133; D.M. n. 145 del 2000, art. 24 e del D.P.R. n. 207 del 2010, art. 159), in concorrenza di "cause di forza maggiore, condizioni climatologiche od altre simili circostanze speciali" (comma 1), o quando sussistano "ragioni di pubblico interesse o necessità" (comma 2), e, mentre in riferimento alla prima ipotesi la sospensione deve cessare non appena vengano meno le circostanze che l'hanno determinata, per la seconda ipotesi la norma si limita ad individuare una durata massima, variabile in proporzione alla durata complessiva dei lavori, e comunque non superiore a sei mesi complessivi, trascorsa la quale è riconosciuta all'appaltatore la facoltà di chiedere lo scioglimento del contratto, e, nel caso in cui l'Amministrazione si sia a ciò opposta, il conseguente diritto alla rifusione dei maggiori oneri; disciplina differente che si giustifica in funzione della diversa natura delle ragioni sottese all'adozione del provvedimento di sospensione, obiettivamente riscontrabili nel primo caso - e quindi suscettibili di accertamento anche da parte del Giudice ordinario - e non sindacabili nel secondo, senza ciò si traduca nell'invasione dello ambito riservato all'apprezzamento discrezionale dell'Amministrazione (cfr. Cass. n. 16366 del 2014)".

 

In base al comma 2, la sospensione è in ogni caso disposta dal responsabile unico del procedimento.

Si dispongono diverse modalità di gestire le fattispecie contemplate dalla disposizione, in materia di sospensione:

ü  Nelle ipotesi inerenti sospensioni per cause previste da disposizioni di legge penale, dal codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione nonché da vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea - previste dal comma 1, lettera a) - la norma specifica che si provvede ai sensi del comma 4 in materia di risoluzione di diritto del contratto e conseguente scelta delle modalità di prosecuzione.

ü  Nelle ipotesi invece inerenti gravi ragioni di ordine pubblico, salute pubblica o di pubblico interesse - previste dal comma 1, lettere b) e d) della norma - la norma prevede che le stazioni appaltanti provvedono su determinazione del collegio consultivo tecnico, organo previsto del decreto in esame, con funzione di dirimere le questioni che insorgano nell'esecuzione dell'opera, in base a quanto previsto dall’articolo 6 del decreto-legge (alla cui scheda si rinvia).    Si prevede il termine di quindici giorni dalla comunicazione allo stesso collegio consultivo tecnico della sospensione dei lavori, e di successivi- dieci giorni per autorizzare la prosecuzione dei lavori.

Viene fatto salvo il caso di assoluta e motivata incompatibilità tra causa della sospensione e prosecuzione dei lavori.

 Inoltre, la norma riporta che la prosecuzione dei lavori è autorizzata 'nel rispetto delle esigenze sottese ai provvedimenti di sospensione adottati'.

 

 

In base al comma 3, nelle ipotesi di sospensione per gravi ragioni di ordine tecnico (previste dal comma 1, lettera c) il collegio consultivo tecnico - entro quindici giorni dalla comunicazione della sospensione dei lavori ovvero della causa che potrebbe determinarla - adotta una determinazione con cui accerta l’esistenza di una causa tecnica di legittima sospensione dei lavori; indica inoltre le modalità, tra quelle indicate al successivo comma 4, con cui proseguire i lavori e le eventuali modifiche necessarie da apportare per la realizzazione dell’opera a regola d’arte. In base alla norma, la stazione appaltante provvede nei successivi cinque giorni.

 

Il comma 4 prevede che nel caso in cui la prosecuzione dei lavori, per qualsiasi motivo, ivi incluse la crisi o l’insolvenza dell’esecutore anche in caso di concordato con continuità aziendale ovvero di autorizzazione all’esercizio provvisorio dell’impresa, non possa proseguire con il soggetto designato - né, in caso di esecutore plurisoggettivo, con altra impresa del raggruppamento designato ove in possesso dei requisiti adeguati ai lavori ancora da realizzare, secondo l'aggiunta del Senato - la stazione appaltante dichiara senza indugio la risoluzione del contratto, previo parere del collegio consultivo tecnico, in deroga alla procedura di cui all’articolo 108, commi 3 e 4, del codice dei contratti pubblici . La risoluzione opera di diritto.

La disposizione in esame prevede tuttavia ciò avvenga "salvo che per gravi motivi tecnici ed economici sia comunque, anche in base al citato parere" del collegio consuntivo 'possibile o preferibile proseguire con il medesimo soggetto'.

 

La stazione appaltante provvede secondo una delle seguenti modalità:

a) procede all’esecuzione in via diretta dei lavori, anche avvalendosi, nei casi consentiti dalla legge, previa convenzione, di altri enti o società pubbliche;

b) interpella progressivamente i soggetti che hanno partecipato alla originaria procedura di gara come risultanti dalla relativa graduatoria, al fine di stipulare un nuovo contratto per l’affidamento del completamento dei lavori, se tecnicamente ed economicamente possibile e alle medesime condizioni proposte dall’operatore economico interpellato;

c) indìce una nuova procedura per l’affidamento del completamento dell’opera;

d) propone alle autorità governative la nomina di un commissario straordinario per lo svolgimento delle attività necessarie al completamento

dell’opera ai sensi dell’articolo 4 del decreto-legge n. 32 del 2019 (c.d. sblocca cantieri).

 

Le disposizioni in esame operano in deroga all'art. 108, commi 3 e 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 50/2016, i quali prevedono una specifica procedura per ciascuna delle due seguenti ipotesi di risoluzione del contratto da parte della stazione appaltante: 1) di accertamento di un grave inadempimento alle obbligazioni contrattuali da parte dell'appaltatore, tale da comprometterne la buona riuscita delle prestazioni (comma 3); 2) di ritardata esecuzione delle prestazioni per negligenza dell'appaltatore rispetto alle previsioni del contratto (comma 4).

Il successivo comma 5 precisa che, nel caso di risoluzione del contratto, l'appaltatore ha diritto soltanto al pagamento delle prestazioni relative ai lavori, servizi o forniture regolarmente eseguiti, decurtato degli oneri aggiuntivi derivanti dallo scioglimento del contratto.

Inoltre, nel caso di risoluzione per grave inadempimento dell'appaltatore, in sede di liquidazione finale dei lavori, servizi o forniture riferita all'appalto risolto, l'onere da porre a carico dell'appaltatore è determinato anche in relazione alla maggiore spesa sostenuta per affidare ad altra impresa i lavori ove la stazione appaltante non si sia avvalsa della facoltà prevista dall'articolo 110, comma 1, vale a dire della facoltà di interpellare i soggetti che hanno partecipato all'originaria procedura di gara (comma 8).

 

Il comma 5 stabilisce che le disposizioni del comma 4 si applicano anche in caso di ritardo dell’avvio o dell’esecuzione dei lavori, non giustificato dalle esigenze descritte al comma 1 della norma, che abbia una durata di compiuta realizzazione per un numero di giorni

Ø  pari o superiore a un decimo del tempo previsto o stabilito per la realizzazione dell’opera

Ø   e, comunque, pari ad almeno trenta giorni per ogni anno previsto o stabilito per la realizzazione dell’opera, da calcolare a decorrere dall’entrata in vigore del decreto in esame.

 

In base al comma 6 dispone che - fatta salva l’esistenza di uno dei casi di sospensione di cui al comma 1 - le parti non possono invocare l’inadempimento della controparte o di altri soggetti per sospendere l’esecuzione dei lavori di realizzazione dell’opera ovvero le prestazioni connesse alla tempestiva realizzazione dell’opera.

 Si dettano criteri per la valutazione in sede giudiziale, sia in fase cautelare che di merito; a tal fine il giudice tiene conto:

ü  delle "probabili conseguenze" del provvedimento stesso per tutti gli interessi che possono essere lesi

ü  nonché del preminente interesse nazionale o locale alla sollecita realizzazione dell'opera

ü  inoltre, in base alla norma, ai fini dell'accoglimento della domanda cautelare, il giudice valuta anche la irreparabilità del pregiudizio per l’operatore economico, il cui interesse va comunque comparato con quello del soggetto pubblico alla celere realizzazione dell’opera.

In ogni caso, si stabilisce per legge che l’interesse economico dell’appaltatore o la sua eventuale sottoposizione a procedura concorsuale o di crisi non può essere ritenuto prevalente rispetto all’interesse alla realizzazione dell’opera pubblica.

Si segnala che la disposizione risulta quindi preordinare criteri di valutazione da adottare in sede giudiziale, senza specificamente intervenire sulla normativa in materia processuale.

In relazione a ipotesi di sospensione disposte dalla stazione appaltante, l'art. 10, comma 2, del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti n. 49/2018 - recante "Regolamento recante: «Approvazione delle linee guida sulle modalità di svolgimento delle funzioni del direttore dei lavori e del direttore dell'esecuzione»" - stabilisce che nel contratto sia inserita una clausola penale ai sensi della quale il risarcimento dovuto all'esecutore nel caso di sospensioni totali o parziali dei lavori disposte per cause diverse da quelle di cui ai commi 1, 2 e 4 dell'articolo 107 deve essere quantificato sulla base di determinati criteri, enunciati allo stesso art. 10, comma 2, del decreto ministeriale.

Inoltre, il successivo art. 23, comma 2, del decreto ribadisce che il contratto deve contenere una clausola penale nella quale sia quantificato il risarcimento dovuto all'esecutore nel caso di sospensioni totali o parziali delle prestazioni disposte per cause diverse da quelle di cui ai commi 1, 2 e 4 dell'articolo 107 del codice, con applicazione dei criteri di quantificazione di cui all'articolo 10, comma 2, in quanto compatibili.

Infine, l'art. 10, comma 6, del suddetto decreto ministeriale dispone che il direttore dei lavori sia responsabile nei confronti della stazione appaltante di un'eventuale sospensione illegittima dal medesimo ordinata per circostanze non previste dall'articolo 107 del codice.

Sulla sospensione in assenza delle cause previste dalla legge, inoltre, la Cassazione si è espressa nella menzionata sent. 21 giugno 2007, n. 14510: "(...) qualora la sospensione dei lavori sia stata disposta dall'Amministrazione in assenza di una delle cause previste dalla legge e solo per ovviare al proprio comportamento negligente (...) l'Amministrazione, se non ritenga di provvedere alla risoluzione unilaterale del contatto (L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 345, all. F), è tenuta, perdurando la ingiustificata sospensione dei lavori, a risarcire i danni subiti dall'appaltatore, senza che rilevi la mancata opzione per lo scioglimento del contratto, poiché tale facoltà è riconosciuta all'appaltatore solo nel caso di sospensione legittima disposta per motivi di pubblico interesse o necessità la quale superi un quarto della durata complessiva prevista per l'esecuzione dei lavori e comunque sia superiore ai sei mesi complessivi".

 


 

Articolo 6
(Collegio consultivo tecnico)

 

 

L'articolo 6, modificato dal Senato, prevede, fino al 31 dicembre 2021, (mentre il testo originario del decreto indica il termine temporale del 31 luglio 2021), la obbligatoria costituzione presso ogni stazione appaltante di un collegio consultivo tecnico per i lavori relativi ad opere pubbliche pari o superiore alle soglie di rilevanza europea: questo va costituito prima dell'avvio dell'esecuzione o comunque non oltre dieci giorni da tale data, ovvero entro trenta giorni per i contratti la cui esecuzione sia già iniziata. Il collegio ha funzioni in materia di sospensione dell'esecuzione dell'opera pubblica e di assistenza per la rapida risoluzione delle controversie o delle dispute tecniche che possono insorgere nel corso dell'esecuzione (co. 1).

Il comma 2 dispone sulla composizione del collegio, formato, a scelta della stazione appaltante, da tre o cinque componenti, in caso di motivata complessità dell'opera e di eterogeneità delle professionalità richieste. I membri sono dotati di esperienza e qualificazione professionale adeguata alla tipologia dell'opera, tra ingegneri, architetti, giuristi ed economisti con comprovata esperienza nel settore degli appalti maturata per effetto del conseguimento di un dottorato di ricerca ovvero - in base a una modifica del Senato - che siano in grado di dimostrare un'esperienza pratica e professionale nel settore di riferimento di almeno dieci anni (il  testo originario del decreto prevedeva invece una dimostrata pratica professionale per almeno cinque anni nel settore di riferimento). Si dettano inoltre le modalità di nomina.

Il comma 3 dispone sulle modalità operative del collegio, prevedendo che l’inosservanza delle determinazioni del collegio viene valutata ai fini della responsabilità del soggetto agente per danno erariale e costituisce, salvo prova contraria, grave inadempimento degli obblighi contrattuali; l’osservanza, invece, delle determinazioni del collegio consultivo è causa di esclusione della responsabilità del soggetto agente per danno erariale, fatto salvo il dolo. Le determinazioni del collegio consultivo tecnico hanno la natura del lodo contrattuale previsto dalle norme del codice di procedura civile in materia di arbitrato irrituale, salva diversa e motivata volontà espressamente manifestata in forma scritta dalle parti stesse.

Il comma 4 prevede, anche per le opere diverse da quelle di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea, la facoltà per le parti di nominare comunque un collegio consultivo tecnico con tutti o parte dei compiti descritti ai commi precedenti: le parti possono a tal fine stabilire l’applicabilità di tutte o parte delle disposizioni di cui all’articolo 5.

Il comma 5 attribuisce - anche per la fase antecedente alla esecuzione del contratto - la facoltà alle stazioni appaltanti, tramite il loro RUP, di costituire un collegio consultivo tecnico formato da tre componenti per risolvere problematiche tecniche o giuridiche di ogni natura. Si dettano in tal caso le modalità di scelta dei tre componenti. Le funzioni di componente del collegio consultivo tecnico nominato ai sensi del comma 5 non sono incompatibili con quelle di componente del collegio nominato ai sensi del primo comma, in materia di collegi obbligatori.

Il comma 6 disciplina lo scioglimento del collegio consultivo tecnico, al termine dell'esecuzione del contratto ovvero, nelle ipotesi in cui non ne è obbligatoria la costituzione, in data anteriore su accordo delle parti. Dal 31 dicembre 2021 - per effetto della modifica apportata dal Senato (mentre il testo originario del decreto indica dal 31 luglio 2021) - il collegio può essere sciolto in qualsiasi momento, su accordo tra le parti, nelle ipotesi in cui ne è prevista l'obbligatoria costituzione.

Il comma 7 reca disposizioni sui compensi dei componenti del collegio consultivo tecnico.

Il comma 8 stabilisce dei limiti agli incarichi per i componenti e le decadenze in caso di ritardo nell’adozione di determinazioni.

Il comma 9 abroga le disposizioni del D.L. n. 32 del 2019[6] (c.d. sblocca cantieri) che aveva recato la disciplina concernente l’eventuale costituzione, la composizione e i poteri del collegio consultivo tecnico.

 

 

Collegi consultivi tecnici obbligatori

 

Nel dettaglio, il comma 1 prevede la obbligatoria costituzione, fino al 31 dicembre 2021 - arco temporale più ampio risultante dalla modifica del Senato - per i lavori diretti alla realizzazione delle opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea, di un collegio consultivo tecnico presso ogni stazione appaltante. Si rammenta che il testo originario del decreto indica invece il più ristretto termine temporale del 31 luglio 2021, di cui si propone l'estensione con la citata modifica del Senato.

Il Collegio ha i compiti previsti all’articolo 5 del decreto - in materia di sospensione dell'esecuzione dell'opera pubblica - e  funzioni di assistenza per la rapida risoluzione delle controversie o delle dispute tecniche di ogni natura suscettibili di insorgere nel corso dell'esecuzione del contratto stesso.

In relazione ai termini di costituzione, si prevede che il Collegio vada  costituito:

Ø  prima dell'avvio dell'esecuzione, o comunque non oltre dieci giorni da tale data

Ø  entro il termine di trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge per i contratti la cui esecuzione sia già iniziata alla data di entrata in vigore del presente decreto.

Si segnala quindi che l'obbligo di costituzione, anche per le opere già in fase di esecuzione, risulta generalizzato, non tenendo conto della fase di esecuzione dell'opera medesima.

 

Il comma 2 dispone che il collegio consultivo tecnico è formato, a scelta della stazione appaltante, da:

Ø  tre componenti, o cinque in caso di motivata complessità dell'opera e di eterogeneità delle professionalità richieste

Ø  i membri sono dotati di esperienza e qualificazione professionale adeguata alla tipologia dell'opera, tra ingegneri, architetti, giuristi ed economisti con comprovata esperienza nel settore degli appalti delle concessioni e degli investimenti pubblici, anche in relazione allo specifico oggetto del contratto e alla specifica conoscenza di metodi e strumenti elettronici quali quelli di modellazione per l'edilizia e le infrastrutture (BIM), maturata per effetto del conseguimento di un dottorato di ricerca oppure che siano in grado di dimostrare un'esperienza pratica e professionale nel settore di riferimento di almeno dieci anni, in base a quanto previsto dal Senato (il  testo originario del decreto prevedeva invece, in alternativa al dottorato di ricerca, una dimostrata pratica professionale per almeno cinque anni nel settore di riferimento).

Si ricorda che il Building Information Modeling (BIM) per le opere pubbliche in attuazione quanto previsto dal Decreto BIM, previsto dal D.M. n. 560 del 1 dicembre 2017, ha stabilito le modalità e i tempi di progressiva introduzione, da parte delle stazioni appaltanti, delle amministrazioni concedenti e degli operatori economici, dell’obbligatorietà dei metodi e degli strumenti elettronici specifici, quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture, nelle fasi di progettazione, costruzione e gestione delle opere e relative verifiche.

Ø  I componenti del collegio possono essere scelti dalle parti di comune accordo, ovvero le parti possono concordare che ciascuna di esse nomini uno o due componenti e che il terzo o il quinto componente, con funzioni di presidente, sia scelto dai componenti di nomina di parte.

Ø  Nel caso di mancanza di accordo tra le parti sulla nomina del presidente entro il termine indicato al comma 1, questo è designato entro i successivi cinque giorni:

-  dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per le opere di interesse nazionale,

- dalle regioni, dalle province autonome di Trento e Bolzano o dalle città metropolitane per le opere di rispettivo interesse.

Il collegio consultivo tecnico si intende costituito al momento della designazione del terzo o del quinto componente. All'atto della costituzione è fornita al collegio consultivo 'copia' dell'intera documentazione inerente al contratto.

 

Il comma 3 stabilisce che, nell’adozione delle proprie determinazioni, il collegio consultivo può:

Ø  operare anche in videoconferenza o con qualsiasi altro collegamento da remoto e può procedere ad audizioni informali delle parti per favorire, nella risoluzione delle controversie o delle dispute tecniche eventualmente insorte, la scelta della migliore soluzione per la celere esecuzione dell’opera a regola d’arte;

Ø  può altresì convocare le parti per consentire l'esposizione in contraddittorio delle rispettive ragioni.

La disposizione non appare chiarire le modalità di tali convocazione; peraltro, sanzioni in termini di responsabilità delle parti vengono previste dalla disposizione, nel successivo periodo, in relazione alle 'determinazioni' del Collegio consultivo (non con specifico riferimento alla convocazione delle parti).

L’inosservanza delle determinazioni del collegio consultivo tecnico viene valutata ai fini della responsabilità del soggetto agente per danno erariale e costituisce, salvo prova contraria, grave inadempimento degli obblighi contrattuali.

Si ricorda che in base all'art. 64 del codice del processo amministrativo, in materia di disponibilità, onere e valutazione della prova spetta alle parti l'onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni. Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite.

Si segnala che la previsione normativa in esame risulta quindi incidere sull'onere probatorio, presumendo la sussistenza di un 'grave' inadempimento contrattuale per colui che non osservi le determinazioni del collegio.

 

L’osservanza, invece, delle determinazioni del collegio consultivo tecnico è ex lege causa di esclusione della responsabilità del soggetto agente per danno erariale, fatto salvo il dolo.

Si ricorda che norme in materia di responsabilità erariale sono recate all'articolo 21 del testo del decreto in esame, alla cui scheda si rinvia.

 

 

Le determinazioni del collegio consultivo tecnico hanno la natura del lodo contrattuale previsto dall’articolo 808-ter del codice di procedura civile, concernente l’arbitrato irrituale, salva diversa e motivata volontà espressamente manifestata in forma scritta dalle parti stesse.

 

Nel disciplinare l’Arbitrato irrituale, il citato art. 808-ter c.p.c. prevede che, con espressa disposizione scritta, le parti possano stabilire, in deroga a quanto disposto dall'articolo 824-bis in tema di efficacia del lodo, che la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale. In assenza, si applicano le disposizioni previste. L’articolo in esame stabilisce, altresì, che il lodo contrattuale sia annullabile dal giudice competente, secondo le disposizioni del Libro I, nelle seguenti circostanze:

1) se la convenzione dell'arbitrato è invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel procedimento arbitrale;

2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale;

3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell'articolo 812 c.p.c. (il quale, nel disciplinare l’Incapacità di essere arbitro, stabilisce che non possa essere arbitro chi è privo, in tutto o in parte, della capacità legale di agire);

4) se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo;

5) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio. Al lodo contrattuale non si applica l'articolo 825 c.p.c., concernente il deposito del lodo.

 

Sul piano delle modalità di adozione delle determinazioni del Collegio, si prevede che:

Ø  salva diversa previsione di legge, le determinazioni del collegio consultivo tecnico sono adottate con atto scritto recante le sottoscrizioni della maggioranza dei componenti

Ø  in ordine ai termini, si prevede l'adozione entro il termine di quindici giorni dalla data della comunicazione dei quesiti, con atto recante succinta motivazione che può essere integrata nei successivi quindici giorni, sottoscritta dalla maggioranza dei componenti.

Ø  in caso di particolari esigenze istruttorie, le determinazioni possono essere adottate entro venti giorni dalla comunicazione dei quesiti.

La disposizione prevede dunque due termini, rispettivamente di quindici e venti giorni, per l'assunzione di determinazioni, il secondo dei quali per il caso di ' particolari esigenze istruttorie'.

Si segnala che la norma indica come decorrenza dei termini la comunicazione dei quesiti, di cui non vi è menzione nei precedenti periodi del comma, che regolano l'attività del Collegio rispetto alle parti.

 

In base alla disposizione, le decisioni sono assunte a maggioranza.

 

Collegi consultivi tecnici facoltativi

Il comma 4 prevede la facoltà, per le opere diverse da quelle di cui al primo comma, per le parti di nominare comunque un collegio consultivo tecnico con tutti o parte dei compiti descritti ai commi precedenti.

Le parti possono anche stabilire l’applicabilità di tutte o parte delle disposizioni di cui all’articolo 5 del decreto in esame, in materia di sospensione dell'esecuzione dell'opera (alla cui scheda si rinvia).

 

Collegi nella fase antecedente all'esecuzione

Il comma 5 regola la fase antecedente alla esecuzione del contratto, per la quale le stazioni appaltanti, tramite il loro responsabile unico del procedimento, hanno comunque facoltà di costituire un collegio consultivo tecnico: esso in tal caso è formato da tre componenti per risolvere problematiche tecniche o giuridiche di ogni natura suscettibili di insorgere anche nella fase antecedente alla esecuzione del contratto, ivi comprese:

- le determinazioni delle caratteristiche delle opere

- le altre clausole e condizioni del bando o dell’invito

- nonché la verifica del possesso dei requisiti di partecipazione, dei criteri di selezione e di aggiudicazione.

Si dettano le modalità di scelta dei tre componenti in tale fattispecie, così prevedendo:

Ø  due componenti sono nominati dalla stazione appaltante

Ø   il terzo componente è nominato:

- dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per le opere di interesse nazionale

- dalle regioni, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano o dalle città metropolitane per le opere di interesse locale.

L'ultimo periodo del comma prevede che, ferma l’eventuale necessità di sostituzione di uno dei componenti designati dalla stazione appaltante con uno di nomina privata, le funzioni di componente del collegio consultivo tecnico nominato ai sensi del comma 5 non sono incompatibili con quelle di componente del collegio nominato ai sensi del primo comma, in materia di Collegi obbligatori.

 

Scioglimento del collegio

In base al comma 6, lo scioglimento del collegio consultivo tecnico è previsto

Ø  al termine dell'esecuzione del contratto

Ø  ovvero, nelle ipotesi in cui non ne è obbligatoria la costituzione, in data anteriore su accordo delle parti.

Si valuti di chiarire la fattispecie in cui non si addivenga ad accordo sullo scioglimento, nel caso in cui non sia prevista come obbligatoria la sussistenza del Collegio.

Ø  Dal 31 dicembre 2021 - per effetto della modifica del Senato (mentre il testo originario del decreto indica la data del 31 luglio 2021) - il collegio può essere sciolto in qualsiasi momento, su accordo tra le parti.

La relazione illustrativa afferma a tale riguardo che il testo prevede - nelle ipotesi in cui ne è obbligatoria la costituzione-  che il collegio dal 31 luglio 2021 possa essere sciolto in qualsiasi momento, su accordo tra le parti. Si ricorda, al riguardo, che il comma 1 prevede l'obbligatorietà della costituzione di tale organi 'sino' a tale data, ora estesa per effetto di quanto approvato dal Senato.

 

 

Compensi

Il comma 7 stabilisce, al primo periodo, che i componenti del collegio consultivo tecnico hanno diritto a un compenso a carico delle parti e proporzionato al valore dell’opera, al numero, alla qualità e alla tempestività delle determinazioni assunte.

Si segnala che la parametrazione del compenso viene ancorata, tra gli altri, ai criteri della 'qualità' e 'tempestività' delle determinazioni assunte, non risultando chiaro in disposizione quale organo sia deputato a svolgere tale valutazione di qualità.

La norma non appare inoltre chiarire la misura della indicata proporzione rispetto al valore dell’opera.

In mancanza di determinazioni o pareri ad essi spetta un gettone unico onnicomprensivo. In caso di ritardo nell’assunzione delle determinazioni è prevista una decurtazione del compenso - stabilito in base al primo periodo citato - che va da un decimo a un terzo, per ogni ritardo.

Il compenso è liquidato dal collegio consultivo tecnico unitamente all’atto contenente le determinazioni, salva la emissione di parcelle di acconto, in applicazione delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico, di cui all’articolo 9 del D.L. n. 1 del 2012[7] (recante Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), aumentate fino a un quarto.

In base alla disposizione, non è ammessa la nomina di consulenti tecnici d’ufficio. I compensi dei membri del collegio sono computati all’interno del quadro economico dell’opera.

 

Il menzionato articolo 9, in vigore dal 29 agosto 2017, reca Disposizioni sulle professioni regolamentate. In particolare, il comma 1 ha abrogato le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico, mentre il comma 2, ferma restando predetta abrogazione, ha stabilito che, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista venisse determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante, da adottare entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione al D.L. 1/2012. Entro il medesimo termine, il comma 2 demandava a un decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il compito di stabilire i parametri per oneri e contribuzioni alle casse professionali e agli archivi precedentemente basati sulle tariffe, salvaguardando l'equilibrio finanziario delle casse previdenziali professionali. Ai fini della determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all'architettura e all'ingegneria, il medesimo comma ha previsto che si applichino i parametri individuati con il decreto di cui al primo periodo, da emanarsi di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, definendo con il medesimo decreto anche le classificazioni delle prestazioni professionali relative ai predetti servizi. In attuazione di quanto così disposto, sono stati emanati i seguenti provvedimenti: per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, il D.M. 20 luglio 2012, n. 140[8]; per gli iscritti all'albo dei consulenti del lavoro, il D.M. 21 febbraio 2013, n. 46[9] e, per le professioni dei medici veterinari, farmacisti, psicologi, infermieri, ostetriche e tecnici sanitari di radiologia medica, il D.M. 19 luglio 2016, n. 165[10], nonché infine il D.M. 27 novembre 2012, n. 265[11].

Il comma 4 ha precisato che il compenso per le prestazioni professionali è pattuito, nelle forme previste dall'ordinamento, al momento del conferimento dell'incarico professionale. Il professionista deve rendere noto obbligatoriamente, in forma scritta o digitale, al cliente il grado di complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell'incarico e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell'esercizio dell'attività professionale. In ogni caso la misura del compenso è previamente resa nota al cliente obbligatoriamente, in forma scritta o digitale, con un preventivo di massima, deve essere adeguata all'importanza dell'opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi.

 

Limiti agli incarichi

Il comma 8 stabilisce dei limiti agli incarichi per i componenti, prevedendo che ogni componente del collegio consultivo tecnico non può ricoprire più di cinque incarichi contemporaneamente e comunque non può svolgere più di dieci incarichi ogni due anni.

In caso di ritardo nell’adozione di tre determinazioni o di ritardo superiore a sessanta giorni nell’assunzione anche di una sola determinazione, i componenti del collegio non possono essere nuovamente nominati come componenti di altri collegi per la durata di tre anni decorrenti dalla data di maturazione del ritardo.

Il ritardo ingiustificato nell’adozione anche di una sola determinazione è invece causa di decadenza del collegio e, in tal caso, la stazione appaltante può assumere le determinazioni di propria competenza prescindendo dal parere del collegio.

 

Il comma 9 abroga quindi le disposizioni del D.L. n. 32 del 2019[12] (c.d. sblocca cantieri) che aveva recato la disciplina concernente l’eventuale costituzione, la composizione e i poteri del collegio consultivo tecnico.

In particolare, si interviene sull’articolo 1 del D.L. 32 (finalizzato al rilancio del settore dei contratti pubblici, all'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici), abrogandone i commi da 11 a 14, recanti la disciplina concernente l’eventuale costituzione, la composizione e i poteri del collegio consultivo tecnico, organo con funzioni di assistenza per la rapida risoluzione delle controversie suscettibili di insorgere nel corso dell’esecuzione del contratto.

Il citato articolo 1 reca Modifiche al codice dei contratti pubblici e sospensione sperimentale dell'efficacia di disposizioni in materia di appalti pubblici e in materia di economia circolare, con vigenza dal 18 giugno 2019.

I menzionati commi 11-14 del medesimo articolo 1 disciplinano il collegio consultivo tecnico. Si ricorda peraltro che tale organo era stato originariamente previsto dall’art. 207 del D.lgs. 50/2016 e poi abrogato c.d. dal correttivo 56 (D.lgs. 19 aprile 2017 n. 56 art. 121).

In particolare, il comma 11 disponeva che, fino alla data di entrata in vigore del regolamento unico recante disposizioni di esecuzione, attuazione e integrazione del Codice dei contratti pubblici (di cui all'art. 216, co. 27-octies, del D. Lgs. n. 50 del 2016), al fine di prevenire controversie relative all'esecuzione del contratto le parti possono convenire che prima dell'avvio dell'esecuzione, o comunque non oltre 90 giorni da tale data, sia costituito un collegio consultivo tecnico con funzioni di assistenza per la rapida risoluzione delle controversie di ogni natura suscettibili di insorgere nel corso dell'esecuzione del contratto stesso.

Il comma 12 disponeva in merito alla composizione del collegio consultivo tecnico, che deve essere formato da 3 membri dotati di esperienza e qualificazione professionale adeguata alla tipologia dell'opera. I componenti del collegio - si prevedeva con lo sblocca cantieri - possono essere scelti dalle parti di comune accordo, ovvero le parti possono concordare che ciascuna di esse nomini un componente e che il terzo membro sia scelto dai due componenti di nomina di parte; in ogni caso, tutti i componenti devono essere approvati dalle parti medesime. Il collegio consultivo tecnico si intende costituito al momento della sottoscrizione dell'accordo da parte dei componenti designati e delle parti contrattuali; all'atto della costituzione è fornita al collegio consultivo copia dell'intera documentazione inerente al contratto.

Il comma 13 abrogato disponeva che, nel caso in cui insorgano controversie, il collegio consultivo possa procedere all'ascolto informale delle parti per favorire la rapida risoluzione delle controversie eventualmente insorte. Può altresì convocare le parti per consentire l'esposizione in contraddittorio delle rispettive ragioni. L'eventuale accordo delle parti che accolga la proposta di soluzione indicata dal collegio consultivo si prevedeva non avesse natura transattiva, salva diversa volontà delle parti.

 

Il Dispute Board nell'esperienza internazionale

L'individuazione di organi per la rapida risoluzione delle controversie o delle dispute suscettibili di insorgere nel corso dell'esecuzione dei contratti si rinvengono nella prassi della contrattualistica internazionale; si forniscono di seguito elementi, anche di tipo comparato, in tale ambito.

I Metodi alternativi di risoluzione delle controversie, noti anche come ADR (acronimo di Alternative Dispute Resolution), consistono in una serie di tecniche e procedimenti (ad es. mediazione, negoziazione, arbitrato) di soluzione di controversie di tipo legale attinenti a diritti disponibili, alternativi rispetto al giudizio amministrato dagli organi giurisdizionali pubblici. Negli ultimi decenni il ricorso alle ADR, specie nel contenzioso di ambito commerciale, ha vissuto un forte incremento, rispetto al ricorso alla giustizia ordinaria, perché si ritiene comunemente che esse abbiano il vantaggio di consentire una veloce ed efficace risoluzione dei conflitti insorti, con costi inferiori e maggiore riservatezza.

In epoca moderna il ricorso alle ADR si è affermato prima nei Paesi anglosassoni, a partire dagli anni 1970, quando negli Stati Uniti si cominciò a ricercare metodi non giurisdizionali di gestione dei contenziosi.

In particolare, i DRB, acronimo per Dispute Resolution Board, si configurano quali sistemi di gestione delle liti diffusi nell'ambito dei contratti internazionali di durata. Vengono utilizzati soprattutto nei contratti di appalto internazionale e nelle joint venture. Le procedure DRB prevedono che la gestione della controversia venga affidata ad organi sociali gerarchicamente superiori a quelli fra i quali è insorto il contrasto, oppure a terzi. Compito degli organi incaricati o del terzo è quello di valutare la situazione e concordare o proporre rimedi che consentano di superare l'impasse evitando l'attivazione di una procedura contenziosa, giudiziale o arbitrale. A seconda dei soggetti chiamati ad esperire il tentativo di soluzione, i DRB possono suddividersi fra:

rimedi endocontrattuali quando intervengono gli organi sociali

sistemi alternativi di soluzione delle controversie (ADR) quando è previsto l'intervento di un soggetto terzo, estraneo ai soggetti in lite.

Caso tipico di adozione dei DRB sono le dispute insorte in sede di esecuzione di contratti di appalto. Può infatti accadere che, al momento della effettiva realizzazione delle opere, si presentino condizioni non previste, implicanti difficoltà o costi inattesi: in tali circostanze, l'intervento del DRB permette alle parti di rinegoziare il contratto originario, agevolando aggiustamenti economici di vario tipo. Le parti possono raggiungere un accordo, normalmente di carattere meramente tecnico – operativo, fondato su valutazioni non necessariamente giuridiche, ma di opportunità, che eseguiranno spontaneamente al pari del contratto iniziale, in quanto espressione diretta della loro volontà. In difetto di accordo, o di mancata esecuzione di quanto stabilito, alla parte interessata non resterà che far ricorso all'ordinario sistema di soluzione delle controversie. Di qui il limite di tali sistemi, di essere fondati esclusivamente sulla volontà delle parti e di non consentire l'esecuzione forzata. I sistemi DRB sono stati adottati con successo, ad es., nei contratti che regolavano la realizzazione del tunnel sotto la Manica, il progetto Eurotunnel. Non è quindi un caso che le varie Condizioni FIDIC (Fédération Internationale Des Ingenieurs Civiles) li prevedano espressamente.

L'International Chamber of Commerce ha introdotto l'1 settembre 2004, le ICC Dispute Board Rules utili per trarre suggerimenti operativi prima di adottare un DRB. Il Regolamento contiene tre differenti tipi di DRB

il Dispute Review Board (DRB)

il Dispute Adjudication Board (DAB)

il Combined Dispute Board (CDB).

Il Dispute Review Board prevede che il terzo, o i terzi nominati, emetta una "Recommendation" che le parti potranno accettare ed eseguire, o rifiutare entro un certo termine. In caso di rifiuto, la parte interessata potrà attivare l'arbitrato o la procedura contrattualmente concordata. Non vi è nessun impegno ad eseguire la decisione del terzo se non la si condivide.

Il Dispute Adjudication Board prevede un maggior impegno delle parti in relazione all'esecuzione della soluzione proposta dal Board, che viene definita "Decision": in tal caso, l'attivazione della procedura arbitrale o giudiziale non esime la parte dall'esecuzione della decisione del Board.

Da ultimo, il Combined Resolution Board si configura quale soluzione intermedia, nel senso che il Board emette di regola semplici raccomandazioni, fatta salva la congiunta richiesta delle parti di rendere una decisione.

Come avvenuto in aree del diritto degli affari, già dai primi anni del Novecento anche nell’ambito degli appalti internazionali si è fatto ricorso a modelli contrattuali proposti dalla varie associazioni di categorie o, comunque, a modelli non legati ad una legge nazionale, venendosi così a creare una legge degli appalti comune e priva di collegamento con la legge di uno stato: la lex constructionis o ius ingeniorum. Con tale locuzione si intende l’insieme di contratti standardizzati, guide tecniche e lodi arbitrali che il settore delle costruzioni ha prodotto nel corso degli anni. I modelli contrattuali costituiscono la parte più importante del diritto degli appalti internazionali, grazie alla forza di regolare i rapporti tra le parti coinvolte nel contratto senza avere alcun legame con una legge nazionale. L’utilizzo di contratti standard predisposti da operatori del settore è ormai invalso nella prassi; specie per quanto concerne contratti internazionali di progetti complessi, in diversi paesi, esistono associazioni che preparano documenti di questo tipo. Ad esempio FIDIC (Federation Internationale Des Ingenieurs-Conseils) Conditions of Contract e EJCDC (Engineers Joint Contract Documents Committee) Standard General Conditions of the Construction Contracts.

La Federazione FIDIC rappresenta a livello mondiale l’industria del cd. “consulting engineering”, mettendo a disposizione servizi intellettuali tecnologici nel campo della costruzione e dell’ambiente. La prima pubblicazione di un formato standard delle condizioni contrattuali per lavori meccanici ed elettrici, utilizzabile per l’uso in contratti di fornitura e montaggio d’impianti e macchinari, è avvenuta nel 1963. EJCDC è una coalizione di organizzazioni operanti nel campo della realizzazione progetti che produce documenti contrattuali di qualità, con la partecipazione di consulenze legali attraverso l’esperienza e la conoscenza di ingegneri, esperti di contratti, clienti e professionisti nel campo della costruzione e ne favorisce la divulgazione e l’uso. A queste associazioni si aggiungono organizzazioni private che offrono, tra i loro servizi, la fornitura di condizioni generali standard per diverse tipologie di contratto e la possibilità di un loro adeguamento a fronte di specifiche esigenze.

I modelli più condivisi e utilizzati sono quelli offerti dalla FIDIC, contenuti nei diversi libri (principalmente, Red Book, Yellow Book, Silver Book) che l’associazione di categoria offre a seconda del tipo di contratto che si deve adottare. Sebbene questi modelli, o le clausole in essi contenute, possano subire delle correzioni nel corso delle trattative, essi rappresentano il fondamento della negoziazione tra le parti e le accompagnano dall’inizio al termine della fase contrattuale. Nonostante la non appartenenza ad un ordinamento specifico, i modelli FIDIC sono legati ad cultura giuridica di common law, connessione dovuta principalmente alla struttura del contratto di diritto anglosassone che, essendo self- regulatory, conserva un impianto idoneo ad essere modellato a seconda delle esigenze del caso specifico o delle necessità tecnico-economiche delle parti.


 

Articolo 7
(Fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche)

 

 

L’articolo 7,  modificato nel corso dell’esame al Senato, prevede, al fine di evitare che la mancanza temporanea di risorse pubbliche ostacoli la regolare e tempestiva realizzazione dell’opera in esecuzione, l’istituzione, a decorrere dall’anno 2020, di un Fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie comunitarie previste dal Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50), che non può essere utilizzato per la realizzazione di nuove opere da parte delle stazioni appaltanti. Per l’anno 2020, lo stanziamento del Fondo è pari a 30 milioni di euro e, per gli anni successivi, è finanziato da risorse provenienti dalla legge di bilancio. Con decreti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sono disciplinate le modalità di funzionamento del Fondo e l’assegnazione e l’erogazione delle risorse su richiesta delle stazioni appaltanti. Si istituisce poi un Fondo per la formazione professionale del responsabile unico del procedimento, con una dotazione di 1 milione di euro per il 2020 e di 2 milioni di euro a decorrere dal 2022.

 

Di seguito sono descritti gli interventi previsti dalla norma in esame, che risulta in più punti analoga al “Fondo salva opere” istituito dall’art. 47, commi 1-bis – 1-septies del D.L. 34/2019 (cd. Decreto “Crescita”). Per approfondire si rinvia al seguente link.

 

Fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche (commi 1 e 2)

Il comma 1 istituisce un Fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, a decorrere dall’anno 2020, da utilizzare, nei casi di maggiori fabbisogni finanziari, per esigenze motivate nel rispetto della normativa vigente, ovvero per temporanee insufficienti disponibilità finanziarie annuali, al fine di garantire la regolare e tempestiva prosecuzione della realizzazione dell’opera.

Il Fondo non può essere attivato per finanziare nuove opere, e il suo utilizzo non può essere reiterato, a esclusione del caso in cui la carenza delle risorse derivi da una accelerazione della realizzazione delle opere rispetto al cronoprogramma aggiornato di cui al successivo comma 3.

Il Fondo è destinato alla prosecuzione delle opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie di cui all’articolo 35 del Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. 50/2016), cioè pari o superiori a 5.350.000 euro.

Il comma 2 stabilisce per l’anno 2020 uno stanziamento del Fondo pari a 30 milioni di euro.

Per gli anni successivi, con la legge di bilancio, il Fondo si alimenta:

-        per un importo corrispondente al 5 per cento delle maggiori risorse stanziate nella prima delle annualità del bilancio, nel limite massimo di 100 milioni di euro, per la realizzazione da parte delle Amministrazioni centrali e territoriali di nuove opere e infrastrutture o per il rifinanziamento di quelle già previste a legislazione vigente;

-        dalle risorse disponibili in bilancio anche in conto residui, destinate al finanziamento dell’opera, e non più necessarie in quanto anticipate a valere sul Fondo (lett. a), comma 2);

-        dalle somme corrispondenti ad eventuali anticipazioni del Fondo alla stazione appaltante, per residui passivi caduti in perenzione, mediante utilizzo di quota parte delle somme da iscrivere sul Fondo di cui all’articolo 34-ter, comma 5, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge finanziaria 2010), con la legge di bilancio successiva alla eliminazione dal Conto del patrimonio dei predetti residui passivi (lett. b), comma 2).

Il citato comma 5 dell’art. 34-ter prevede, in apposito allegato al Rendiconto generale dello Stato, la quantificazione per ciascun Ministero dell'ammontare dei residui passivi perenti eliminati. Annualmente, successivamente al giudizio di parifica della Corte dei conti, con la legge di bilancio, le somme corrispondenti agli importi di cui sopra possono essere reiscritte, del tutto o in parte, in bilancio su base pluriennale, in coerenza con gli obiettivi programmati di finanza pubblica, su appositi Fondi da istituire con la medesima legge, negli stati di previsione delle amministrazioni interessate.

 

Accesso e operatività del Fondo (commi 3-5)

Il comma 3 consente alle stazioni appaltanti di chiedere di accedere al Fondo quando, sulla base dell'aggiornamento del cronoprogramma finanziario dell’opera, risulti, per l’esercizio in corso, un fabbisogno finanziario aggiuntivo non prevedibile rispetto alle risorse disponibili per la regolare e tempestiva prosecuzione dei lavori.    

Il comma 4 prevede l’individuazione delle modalità operative di accesso e utilizzo del Fondo e i criteri di assegnazione delle risorse, attraverso un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da emanarsi di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze e da adottarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge.

Il comma 5 stabilisce che le risorse sono assegnate su richiesta delle stazioni appaltanti, previa verifica da parte delle amministrazioni finanziatrici dell’aggiornamento del cronoprogramma finanziario dell’opera e dell’impossibilità di attivare i meccanismi di flessibilità di bilancio ai sensi della normativa contabile vigente.

Il comma 5 prevede, altresì, l’assegnazione delle suddette risorse con l’emanazione di decreti del MIT, da adottare con cadenza trimestrale, nei limiti delle disponibilità annuali del Fondo, secondo i criteri previsti dal decreto di cui al comma 4.

 

Copertura degli oneri del Fondo (commi 6 e 7)

Il comma 6 provvede alla copertura dei previsti 30 milioni di euro per l’anno 2020, riducendo lo stanziamento del fondo speciale di conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2020-2022, dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2020, allo scopo parzialmente utilizzando i seguenti accantonamenti:

- 17 milioni del Ministero dell'economia e delle finanze;

- 0,7 milioni del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;

- 1,7 milioni del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca;

- 1,7 milioni di euro del Ministero dell’interno;

- 0,9 milioni del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;

- 8 milioni del Ministero della salute.

 

Il comma 7 autorizza il MEF ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio anche nel conto dei residui.

 

Fondo per la formazione professionale del responsabile unico del procedimento (commi 7-bis e 7-ter)

Nel corso dell’esame al Senato, sono stati introdotti i commi 7-bis e 7-ter.

Il comma 7-bis istituisce, al fine di accelerare le procedure per l'attuazione degli investimenti pubblici e per l'affidamento di appalti e concessioni, un Fondo, presso il Ministero delle infrastrutture e trasporti, con dotazione pari a 1 milione di euro per l'anno 2020 e di 2 milioni di euro a decorrere dall'anno 2022.

Tali risorse sono destinate ad iniziative finalizzate all'aggiornamento professionale del responsabile unico del procedimento (RUP) di cui all'art. 31 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.

L’art. 31 del Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. 50/2016) prevede, per ogni singola procedura per l'affidamento di un appalto o di una concessione, l’individuazione da parte delle stazioni appaltanti di un responsabile unico del procedimento (RUP), per le fasi della programmazione, della progettazione, dell'affidamento e dell'esecuzione. Il nominativo del RUP è indicato nel bando o avviso con cui si indice la gara per l'affidamento del contratto di lavori, servizi, forniture, ovvero, nelle procedure in cui non vi sia bando o avviso con cui si indice la gara, nell'invito a presentare un'offerta.

In particolare, il RUP:

a) formula proposte e fornisce dati e informazioni al fine della predisposizione del programma triennale dei lavori pubblici e dei relativi aggiornamenti annuali, nonché al fine della predisposizione di ogni altro atto di programmazione di contratti pubblici di servizi e di forniture e della predisposizione dell'avviso di preinformazione;

b) cura, in ciascuna fase di attuazione degli interventi, il controllo sui livelli di prestazione, di qualità e di prezzo determinati in coerenza alla copertura finanziaria e ai tempi di realizzazione dei programmi;

c) cura il corretto e razionale svolgimento delle procedure;

d) segnala eventuali disfunzioni, impedimenti, ritardi nell'attuazione degli interventi;

e) accerta la libera disponibilità di aree e immobili necessari;

f) fornisce all'amministrazione aggiudicatrice i dati e le informazioni relativi alle principali fasi di svolgimento dell'attuazione dell'intervento, necessari per l'attività di coordinamento, indirizzo e controllo di sua competenza e sorveglia la efficiente gestione economica dell'intervento;

g) propone all'amministrazione aggiudicatrice la conclusione di un accordo di programma, ai sensi delle norme vigenti, quando si rende necessaria l'azione integrata e coordinata di diverse amministrazioni;

h) propone l'indizione o, ove competente, indice la conferenza di servizi ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, quando sia necessaria o utile per l'acquisizione di intese, pareri, concessioni, autorizzazioni, permessi, licenze, nulla osta, assensi, comunque denominati;

i) verifica e vigila sul rispetto delle prescrizioni contrattuali nelle concessioni.

Il comma 9 dell’art. 31 prevede, in particolare, che la stazione appaltante, nell'ambito della formazione obbligatoria, organizza attività formativa specifica per tutti i dipendenti che hanno i requisiti di inquadramento idonei al conferimento dell'incarico di RUP, anche in materia di metodi e strumenti elettronici specifici quali quelli di modellazione per l'edilizia e le infrastrutture.

Si ricorda che l’ANAC nelle Linee guida n. 3/2017 ha disciplinato la nomina, il ruolo e i compiti del responsabile unico del procedimento per l’affidamento di appalti e concessioni.

 

Il comma 7-ter stabilisce che ai maggiori oneri di cui al comma 7-bis, pari a 1 milione per l'anno 2020 e a 2 milioni di euro a decorrere dall'anno 2022, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo esigenze indifferibili di cui all'articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015).


 

Articolo 8, commi 1-4
(Disposizioni urgenti in materia di contratti pubblici)

 

 

L'articolo 8, ai commi 1-4, reca una serie di disposizioni in materia di procedure pendenti disciplinate dal codice dei contratti pubblici ovvero avviate a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2021, secondo la modifica del Senato, che estende l'arco temporale di applicazione della disposizione, (rispetto al testo originario che ne prevede l'applicazione fino al 31 luglio 2021).

 Il comma 1 prevede che è sempre autorizzata la consegna dei lavori in via di urgenza e, nel caso di servizi e forniture, l'esecuzione del contratto in via d'urgenza, nelle more - in base a quanto previsto con una modifica del Senato - della verifica dei requisiti di cui all'articolo 80 sui motivi di esclusione nonché dei requisiti di qualificazione previsti per la partecipazione alla procedura (lett. a).

Le stazioni appaltanti possono prevedere, a pena di esclusione dalla procedura, l’obbligo per l’operatore economico di procedere alla visita dei luoghi, nonché alla consultazione sul posto dei documenti di gara e relativi allegati esclusivamente laddove detto adempimento sia strettamente indispensabile in ragione della tipologia, del contenuto o della complessità dell’appalto da affidare (lett. b). In relazione alle procedure ordinarie, si applicano le riduzioni dei termini procedimentali per ragioni di urgenza previste dalle disposizioni del codice indicate (lett. c). Si stabilisce la possibilità di avvio delle procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture anche in mancanza di una specifica previsione nei documenti di programmazione già adottati, a condizione che  si provveda ad un aggiornamento in conseguenza degli effetti dell’emergenza COVID-19, entro trenta giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto (in base ad una modifica del Senato, anziché dall'entrata in vigore del decreto) (lett. d).

Il comma 2 prevede, in relazione alle procedure disciplinate dal codice dei contratti pubblici per le quali sia scaduto entro il 22 febbraio 2020 il termine per la presentazione delle offerte, che le stazioni appaltanti provvedono all’adozione dell’eventuale provvedimento di aggiudicazione entro la data del 31 dicembre 2020, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 103 del decreto-legge Cura Italia in materia di sospensione dei termini.

In base al comma 3, le stazioni appaltanti provvedono entro il 31 dicembre 2020 all’aggiudicazione degli appalti basati su accordi-quadro, che siano efficaci alla data di entrata in vigore del decreto ovvero all’esecuzione degli stessi.

Il comma 4 reca poi una serie di disposizioni con riferimento ai lavori in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore del presente decreto.

 

 

Il comma 1, lettere a)-d), detta una serie di disposizioni in relazione alle procedure pendenti disciplinate dal codice dei contratti pubblici ovvero avviate a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2021, secondo quanto previsto con una modifica del Senato che estende l'arco temporale di applicazione della disposizione (mentre il testo originario prevede la data del 31 luglio 2021).

 Nel dettaglio si definisce l'ambito applicativo delle norme recate dal comma 1 con riferimento alle procedure:

Ø   i cui bandi o avvisi di indizione di una gara sono già stati pubblicati alla data di entrata in vigore del presente decreto

Ø   nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, in cui alla data di entrata in vigore del presente decreto siano già stati inviati gli inviti a presentare le offerte o i preventivi, ma non siano scaduti i relativi termini

Ø   e in ogni caso per le procedure disciplinate dal codice avviate a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31  dicembre 2021, secondo quanto con la modifica approvata dal Senato.

 

Per tali procedure si prevede che:

a)    è sempre autorizzata la consegna dei lavori in via di urgenza e, nel caso di servizi e forniture, l'esecuzione del contratto in via d'urgenza ai sensi dell'articolo 32, comma 8, del codice dei contratti pubblici, nelle more - in base a quanto previsto con una modifica del Senato, che riscrive la lettera a) della norma - della verifica:

-        dei requisiti di cui all'articolo 80 sui motivi di esclusione

-        nonché dei requisiti di qualificazione previsti per la partecipazione alla procedura.

La  modifica approvata dal Senato prevede dunque tale autorizzazione alla consegna ovvero esecuzione in via d'urgenza nelle more delle suddette verifiche.

Il testo originario del decreto, nel prevedere che fosse sempre autorizzata la consegna dei lavori in via di urgenza e, nel caso di servizi e forniture, l'esecuzione del contratto in via d'urgenza ai sensi dell’articolo 32, comma 8, del codice dei contratti pubblici, si limita a fare fermo quanto previsto dall’articolo 80 del medesimo codice, sui motivi di esclusione.

 

L’articolo 32, comma 8, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, è novellato dal comma 5 dell'articolo 8 del decreto-legge semplificazioni, qui in esame, alla cui scheda si rinvia.

b)    le stazioni appaltanti possono prevedere, a pena di esclusione dalla procedura, l’obbligo per l’operatore economico di procedere alla visita dei luoghi, nonché alla consultazione sul posto dei documenti di gara e relativi allegati ai sensi e per gli effetti dell’articolo 79, comma 2, del codice, esclusivamente laddove detto adempimento sia strettamente indispensabile in ragione della tipologia, del contenuto o della complessità dell’appalto da affidare;

L'articolo 79 del Codice reca disposizioni sulla fissazione di termini. Nel fissare i termini per la ricezione delle domande di partecipazione e delle offerte, le amministrazioni aggiudicatrici tengono conto in particolare della complessità dell'appalto e del tempo necessario per preparare le offerte, fatti salvi i termini minimi stabiliti da una serie di disposizioni.

In particolare, il comma 2 della norma prevede che quando le offerte possono essere formulate soltanto a seguito di una visita dei luoghi o dopo consultazione sul posto dei documenti di gara e relativi allegati, i termini per la ricezione delle offerte, comunque superiori ai termini minimi stabiliti negli articoli 60, 61, 62, 64 e 65, sono stabiliti in modo che gli operatori economici interessati possano prendere conoscenza di tutte le informazioni necessarie per presentare le offerte.

La relazione illustrativa, richiamando la giurisprudenza amministrativa in ordina all’obbligo di sopralluogo, strumentale a una completa ed esaustiva conoscenza dello stato dei luoghi, funzionale alla miglior valutazione degli interventi da effettuare in modo da formulare, con maggiore precisione, la migliore offerta tecnica (si veda: Cons. Stato, Sez. V, 19 febbraio 2018 n. 1037, nonché Cons. Stato, Sez. VI, 23 giugno 2016 n. 2800, in base al quale la verifica dei luoghi può dirsi funzionale anche alla redazione dell’offerta, onde incombe sull’impresa l’onere di effettuare tale sopralluogo con la dovuta diligenza, in modo da poter modulare la propria offerta sulle concrete caratteristiche dei locali) evidenzia come, proprio in relazione alla funzione del sopralluogo come delineata dalla giurisprudenza amministrativa e al fine di evitare ostacoli alla concorrenza, si prevede che siffatto obbligo può essere previsto esclusivamente laddove sia strettamente necessario in considerazione della tipologia, della complessità o del contenuto dell’appalto da affidare.

 

c)     in relazione alle procedure ordinarie, si applicano le riduzioni dei termini procedimentali per ragioni di urgenza di cui agli articoli 60, comma 3, 61, comma 6, 62 comma 5, 74, commi 2 e 3, del codice.

In particolare:

ü  l'art. 60, comma 3, prevede - con riferimento alle procedure aperte - che le amministrazioni aggiudicatrici possano fissare un termine non inferiore a 15 giorni a decorrere dalla data di invio del bando di gara se, per ragioni di urgenza debitamente motivate dall'amministrazione aggiudicatrice, il termine minimo di 35 giorni dalla data di trasmissione del bando di gara, stabilito dal comma 1, non può essere rispettato;

ü  l'art. 61, comma 6, - con riferimento alle procedure ristrette - conferisce facoltà all'amministrazione aggiudicatrice di fissare: 1) per la ricezione delle domande di partecipazione, un termine non inferiore a 15 giorni dalla data di trasmissione del bando di gara; 2) per la ricezione delle offerte, un termine non inferiore a 10 giorni a decorrere dalla data di invio dell'invito a presentare offerte, qualora, per motivi di urgenza debitamente motivati, sia impossibile rispettare i termini minimi (rispettivamente) fissati - dal medesimo art. 61 - in 30 giorni dalla data di trasmissione del bando di gara per la ricezione delle domande di partecipazione (comma 2) e in 30 giorni dalla data di trasmissione dell'invito a presentare offerte per la ricezione delle offerte (comma 3);

ü  l'art. 62, comma 5, - con riferimento alle procedure competitive con negoziazione - prevede che il termine minimo per la ricezione delle offerte iniziali sia di 30 giorni dalla data di trasmissione dell'invito. Tale termine tuttavia è ridotto nei casi previsti dall'articolo 61, commi 4 (pubblicazione di un avviso di preinformazione non utilizzato per l'indizione di una gara), 5 (fissazione del termine per la ricezione delle offerte di concerto con i candidati selezionati) e 6 (fissazione di termini ridotti da parte dell'amministrazione aggiudicatrice quando, per motivi di urgenza debitamente motivati, sia impossibile rispettare i termini minimi);

ü  l'art. 74, commi 2 e 3, prevedono: 1) il comma 2, che il termine per la presentazione delle offerte è prorogato di 5 giorni (fatta eccezione per i casi di urgenza debitamente dimostrati di cui ai sopra menzionati articoli 60, comma 3, 61, comma 6 e 62, comma 5), qualora determinati documenti di gara - causa l'impossibilità di offrire accesso gratuito, illimitato e diretto per via elettronica - siano trasmessi per posta elettronica certificata o strumenti analoghi negli altri Stati membri ovvero, in caso di impossibilità, per vie diverse da quella elettronica; 2) il comma 3, che il termine per la presentazione delle offerte è prorogato di 5 giorni (fatta eccezione per i casi di urgenza debitamente dimostrati di cui ai sopra menzionati articoli 60, comma 3, 61, comma 6 e 62, comma 5), qualora l'accesso a determinati documenti di gara sia limitato in ragione del fatto che le amministrazioni aggiudicatrici hanno inteso avvalersi della facoltà di proteggere la natura riservata di talune informazioni.

§  Nella motivazione del provvedimento che dispone la riduzione dei termini non è necessario dar conto delle ragioni di urgenza, che si considerano comunque sussistenti.

 

d)    si stabilisce la possibilità di avvio delle procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture anche in mancanza di una specifica previsione nei documenti di programmazione già adottati, a condizione che entro trenta giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto si provveda ad un loro aggiornamento in conseguenza degli effetti dell’emergenza COVID-19, secondo quanto chiarito con una modifica del Senato. Il testo originario della norma prevede invece il termine di trenta giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore del presente decreto, anziché della sua conversione.

 

 

 

Nell'ambito del Titolo III del codice in materia di Pianificazione programmazione e progettazione, l'art. 21 reca disposizioni sul programma degli acquisti e sulla programmazione dei lavori pubblici, prevedendo che le amministrazioni aggiudicatrici adottano il programma biennale degli acquisti di beni e servizi e il programma triennale dei lavori pubblici, nonché i relativi aggiornamenti annuali. I programmi sono approvati nel rispetto dei documenti programmatori e in coerenza con il bilancio e, per gli enti locali, secondo le norme che disciplinano la programmazione economico-finanziaria degli enti. Le opere pubbliche incompiute sono inserite nella programmazione triennale di cui al comma 1, ai fini del loro completamento ovvero per l'individuazione di soluzioni alternative quali il riutilizzo, anche ridimensionato, la cessione a titolo di corrispettivo per la realizzazione di altra opera pubblica, la vendita o la demolizione. Il programma triennale dei lavori pubblici e i relativi aggiornamenti annuali contengono i lavori il cui valore stimato sia pari o superiore a 100.000 euro e indicano, previa attribuzione del codice unico di progetto, i lavori da avviare nella prima annualità. Per i lavori di importo pari o superiore a 1.000.000 euro, ai fini dell'inserimento nell'elenco annuale, le amministrazioni aggiudicatrici approvano preventivamente il progetto di fattibilità tecnica ed economica.  Nell'elencazione delle fonti di finanziamento sono indicati anche i beni immobili disponibili che possono essere oggetto di cessione. Sono, altresì, indicati i beni immobili nella propria disponibilità concessi in diritto di godimento, a titolo di contributo, la cui utilizzazione sia strumentale e tecnicamente connessa all'opera da affidare in concessione.

Il co.6 disciplina poi il programma biennale di forniture e servizi e i relativi aggiornamenti annuali, che contengono gli acquisti di beni e di servizi di importo unitario stimato pari o superiore a 40.000 euro. Nell'ambito del programma, le amministrazioni aggiudicatrici individuano i bisogni che possono essere soddisfatti con capitali privati. Le amministrazioni pubbliche comunicano, entro il mese di ottobre, l'elenco delle acquisizioni di forniture e servizi d'importo superiore a 1 milione di euro che prevedono di inserire nella programmazione biennale al Tavolo tecnico indicato, con pubblicazione sul profilo del committente, sul sito informatico del MIT e dell'Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. In attuazione della normativa del codice è stato adottato il D.M. 16 gennaio 2018, n. 14.

Si ricorda che disposizioni di deroga sono state dettate con l'art. 86-bis, commi 1 e 4, D.L. 17 marzo 2020, n. 18 e con l'art. 48, comma 2, del medesimo D.L. n. 18/2020, come sostituito dall'art. 109, comma 1, D.L. 19 maggio 2020, n. 34, in relazione ai specifici settori per l'emergenza Covid.

 

Il comma 2 prevede, in relazione alle procedure disciplinate dal codice dei contratti pubblici per le quali sia scaduto entro il 22 febbraio 2020 il termine per la presentazione delle offerte, che le stazioni appaltanti provvedono all’adozione dell’eventuale provvedimento di aggiudicazione entro la data del 31 dicembre 2020.

Viene fatto fermo quanto previsto dall’articolo 103 del decreto-legge Cura Italia, n. 18 del 2020, in materia di sospensione dei termini.

Si ricorda che l’articolo 103 del decreto – legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, ha disposto con efficacia retroattiva la sospensione di tutti i termini inerenti lo svolgimento di procedimenti amministrativi e dei procedimenti disciplinari pendenti alla data del 23 febbraio 2020 o iniziati successivamente a tale data, per il periodo compreso tra la medesima data e quella del 15 aprile 2020 (co. 1 e 5). La disposizione, con portata generale, prevede le sole eccezioni dei termini stabiliti da specifiche disposizioni dei decreti-legge sull’emergenza epidemiologica in corso, e dei relativi decreti di attuazione, nonché dei termini relativi a pagamenti di stipendi, pensioni, retribuzioni, emolumenti per prestazioni a qualsiasi titolo, indennità da prestazioni assistenziali o sociali comunque denominate nonché di contributi, sovvenzioni e agevolazioni alle imprese (co. 3 e 4). Rientrano nella sospensione, tra gli altri, anche i termini relativi ai processi esecutivi e alle procedure concorsuali, nonché ai termini di notificazione dei processi verbali, di esecuzione del pagamento in misura ridotta, di svolgimento di attività difensiva e per la presentazione di ricorsi giurisdizionali (co. 1-bis). Con la disposizione è stata altresì disposta la proroga della validità di tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati, a condizione che siano in scadenza tra il 31 gennaio e il 31 luglio 2020, per i successivi 90 giorni dalla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza, disposizione estesa alle SCIA e alle autorizzazioni paesaggistiche e ambientali (co. 2). Sono dettate norme ad hoc per la proroga della validità e dei termini delle convenzioni di lottizzazione e dei contratti che hanno ad oggetto l’esecuzione di lavori edili nonché altre disposizioni di sospensione di termini. Ulteriori disposizioni di proroga sono state assunte al riguardo; in particolare l'articolo 37 del decreto-legge n. 23 dell'8 aprile 2020 ha previsto che il termine del 15 aprile 2020 previsto dai commi 1 e 5 dell'art. 103 del decreto-legge n. 18 del 17 marzo 2020 è prorogato al 15 maggio 2020. Un'ulteriore proroga è stata prevista all'art. 41 del D.L. 34/2020, in materia di misure urgenti a sostegno del meccanismo dei Certificati Bianchi, con ulteriore proroga al 30 novembre 2020.

 

 

Le determinazioni dell'ANAC su sospensione dei termini e procedure di gara

 

Si segnala al riguardo che l'ANAC con Atto 09/04/2020, n. 4, ha emanato un Atto di segnalazione concernente l'applicazione dell'articolo 103, comma 1, del decreto-legge n. 18 del 17/3/2020 come modificato dal decreto-legge n. 23 del 2020 nel settore dei contratti pubblici. L'Autorità richiama l'attenzione sulle peculiarità delle procedure di gara e sulla loro rilevanza per l'economia del Paese, suggerendo la previsione di specifiche misure volte a contemperare le contrapposte esigenze di agevolare l'adempimento delle attività di competenza delle amministrazioni pubbliche, in vigenza delle misure restrittive anticontagio, e favorire la celere ripresa delle attività economiche, scongiurando la paralisi generalizzata delle attività produttive. "Tale esigenza si manifesta in maniera ancora più pregnante se si considera la recente proroga del periodo di sospensione dei termini inizialmente previsto nel decreto-legge n. 18 del 17/3/2020 e la possibilità che il ritorno alla normalità sia operato per fasi temporali differenziate", afferma la segnalazione, che evidenzia il rischio che una sospensione generalizzata delle procedure di gara - comprese le procedure negoziate in via d'urgenza e quelle (anche diverse dalle procedure negoziate) indette dagli enti del SSN a fronte di un maggiore fabbisogno - comporti un vero e proprio blocco dell'attività amministrativa, a danno degli utenti.

In ragione della circostanza che la formulazione ampia del comma 1 dell'art. 103 del d.l. n. 18/2020 (riferita a tutti i procedimenti amministrativi avviati su istanza di parte o d'ufficio) non consente, in sede interpretativa, di eccettuare dall'ambito applicativo della norma le procedure di gara né rimettere tale valutazione alle singole stazioni appaltanti (in ragione di criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, avendo riguardo alle finalità e alle caratteristiche tecniche dell'affidamento), l'Autorità Nazionale Anticorruzione ha adottato altresì la delibera n. 312 del 9 aprile 2020 con la quale sono state fornite prime indicazioni in merito all'incidenza delle misure di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19 sullo svolgimento delle procedure di evidenza pubblica di cui al  codice dei contratti pubblici e sull'esecuzione delle relative prestazioni. Con  tale delibera, l'Autorità ha evidenziato l'opportunità che le stazioni appaltanti adottino ogni misura organizzativa idonea ad assicurare comunque la ragionevole durata e la celere conclusione della procedura, compatibilmente con la situazione di emergenza in atto, valutando l'opportunità di rispettare, anche in pendenza della disposta sospensione e limitatamente alle attività di esclusiva pertinenza della stessa, i termini endoprocedimentali, finali ed esecutivi originariamente previsti, nei limiti in cui ciò sia compatibile con le misure di contenimento della diffusione del Covid-19. Infine, nella citata delibera, sono stati offerti suggerimenti anche con riferimento alla fase di esecuzione del contratto volti a scongiurare che le difficoltà operative direttamente connesse all'emergenza sanitaria potessero dar luogo all'applicazione di penali per i ritardi nell'esecuzione.

Si evidenzia che la Commissione Europea, nella Comunicazione (2020/C 108 I/01) ha individuato le opzioni e i margini di manovra possibili a norma del quadro dell'UE in materia di appalti pubblici per l'acquisto di forniture, servizi e lavori necessari per affrontare la situazione di emergenza sanitaria in atto, ritenendo gli strumenti già previsti dalle Direttive europei già idonei, di per sé, a fronteggiare le necessità correlate alla situazione contingente.

L'atto di segnalazione dell'ANAC evidenzia quindi la necessità di adottare specifiche misure in luogo di una generalizzata applicazione della sospensione dei termini disposta dai decreti-legge nn. 18 e 23 del 2020.

Con Comunicato 09/04/2020 l'ANAC ha altresì fornito indicazioni in merito all'attuazione delle misure di trasparenza di cui alla legge n. 190 del 2012, e al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, nella fase dell'emergenza epidemiologica da Covid-19 e all'attività di vigilanza e consultiva dell'ANAC, ricordando che la prevista sospensione di termini può applicarsi anche ai termini per la pubblicazione dei dati di cui alla citata normativa.

 

 

 

Il comma 3 detta disposizioni in relazione agli accordi – quadro di cui all’articolo 54 del codice, che siano efficaci alla data di entrata in vigore del presente decreto. In tal caso, le stazioni appaltanti provvedono, entro il 31 dicembre 2020, all’aggiudicazione degli appalti basati su tali accordi-quadro ovvero all’esecuzione degli stessi nei modi previsti dai commi da 2 a 6 del medesimo articolo 54. Viene previsto il vincolo dei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente e viene fatto fermo quanto previsto dal citato articolo 103 del D.L. Cura Italia.

 

L'art. 54 del Codice dei contratti pubblici disciplina gli accordi quadro. Le stazioni appaltanti possono infatti concludere accordi quadro nel rispetto delle procedure del codice; la durata di un accordo quadro non supera i quattro anni per gli appalti nei settori ordinari e gli otto anni per gli appalti nei settori speciali, salvo in casi eccezionali, debitamente motivati in relazione, in particolare, all'oggetto dell'accordo quadro.

Si ricorda che nei settori ordinari, gli appalti basati su un accordo quadro sono aggiudicati secondo le procedure previste dall'art. 54 co. 2, 3 e 4. Tali procedure sono applicabili solo tra le amministrazioni aggiudicatrici, individuate nell'avviso di indizione di gara o nell'invito a confermare interesse, e gli operatori economici parti dell'accordo quadro concluso. Gli appalti basati su un accordo quadro non comportano in nessun caso modifiche sostanziali alle condizioni fissate nell'accordo quadro. Nell'ambito di un accordo quadro concluso con un solo operatore economico, gli appalti sono aggiudicati entro i limiti delle condizioni fissate nell'accordo quadro stesso e l'amministrazione aggiudicatrice può consultare per iscritto l'operatore economico parte dell'accordo quadro, chiedendogli di completare, se necessario, la sua offerta (co. 3). Il co. 4 disciplina le modalità di esecuzione dell'accordo. Nel dettaglio, si procede: a) secondo i termini e le condizioni dell'accordo quadro, senza riaprire il confronto competitivo, se l'accordo quadro contiene tutti i termini che disciplinano la prestazione dei lavori, dei servizi e delle forniture, nonché le condizioni oggettive per determinare quale degli operatori economici parti dell'accordo quadro effettuerà la prestazione. Tali condizioni sono indicate nei documenti di gara per l'accordo quadro. L'individuazione dell'operatore economico parte dell'accordo quadro che effettuerà la prestazione avviene sulla base di decisione motivata in relazione alle specifiche esigenze dell'amministrazione; b) se l'accordo quadro contiene tutti i termini che disciplinano la prestazione dei lavori, dei servizi e delle forniture, in parte senza la riapertura del confronto competitivo, vi si procede qualora tale possibilità sia stata stabilita dall'amministrazione aggiudicatrice nei documenti di gara per l'accordo quadro. La scelta se alcuni specifici lavori, forniture o servizi debbano essere acquisiti a seguito della riapertura del confronto competitivo o direttamente alle condizioni di cui all'accordo quadro avviene in base a criteri oggettivi, che sono indicati nei documenti di gara per l'accordo quadro. Tali documenti di gara precisano anche quali condizioni possono essere soggette alla riapertura del confronto competitivo; c) riaprendo il confronto competitivo tra gli operatori economici parti dell'accordo quadro, se l'accordo quadro non contiene tutti i termini che disciplinano la prestazione dei lavori, dei servizi e delle forniture. In base al co. 5, i confronti competitivi (di cui alle lettere b) e c), del comma 4) si basano sulle stesse condizioni applicate all'aggiudicazione dell'accordo quadro, se necessario precisandole, e su altre condizioni indicate nei documenti di gara per l'accordo, secondo la procedura indicata al co. 5. Infine, il co. 6 stabilisce che, nei settori speciali, gli appalti basati su un accordo quadro sono aggiudicati in base a regole e criteri oggettivi che possono prevedere la riapertura del confronto competitivo tra gli operatori economici parti dell'accordo quadro concluso, garantendo parità di trattamento tra gli operatori economici parti dell'accordo. In base alla previsione normativa, l'ente aggiudicatore non può ricorrere agli accordi quadro in modo da eludere l'applicazione del codice o in modo da ostacolare, limitare o distorcere la concorrenza.

 

 

Il comma 4 reca disposizioni con riferimento ai lavori in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore del presente decreto.

§  Si disciplinano gli obblighi del direttore dei lavori, il quale adotta, in relazione alle lavorazioni effettuate, lo stato di avanzamento dei lavori (SAL). Si segnala che ciò avviene anche in deroga alle specifiche clausole contrattuali (lett a, co. 4).

In relazione alla scansione temporale, si prevede che:

- il SAL della direzione lavori sia fatto entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto

- il certificato di pagamento venga emesso contestualmente e comunque entro cinque giorni dall’adozione del SAL.

- il pagamento venga poi effettuato entro quindici giorni dall’emissione del certificato di pagamento.

§  Sono riconosciuti - a valere sulle somme a disposizione della stazione appaltante indicate nei quadri economici dell’intervento e, ove necessario, utilizzando anche le economie derivanti dai ribassi d’asta - i maggiori costi derivanti dall’adeguamento e dall’integrazione, da parte del coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione, del piano di sicurezza e coordinamento. Ciò in attuazione delle misure di contenimento previste per l'emergenza sanitaria da Covid-19 (lett. b).

Si richiamano in tal senso le norme sulle misure urgenti per evitare la diffusione del COVID-19 di cui agli articoli 1 e 2 del decreto – legge n. 6 del 2020 - ora abrogati -e dall’articolo 1 del decreto – legge n. 19 del 2020 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35).

Si ricorda che l'art. 1 del D.L. n. 19 reca le Misure urgenti per evitare la diffusione del COVID-19, prevedendo un'ampia serie di limitazioni e vincoli per contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, che possono essere adottate, secondo quanto previsto dal suddetto D.L. 19, per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte (fino al 31 luglio 2020, termine dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 26 del 1° febbraio 2020, e con possibilità di modularne l'applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l'andamento epidemiologico del predetto virus. Il comma 2 elenca una articolata serie di misure  che possono quindi essere adottate, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso.

Il rimborso di detti oneri avviene in occasione del pagamento del primo SAL successivo all’approvazione dell’aggiornamento del piano di sicurezza e coordinamento recante la quantificazione degli oneri aggiuntivi.

§  Si stabilisce che il rispetto delle misure di contenimento ove impedisca, anche solo parzialmente, il regolare svolgimento dei lavori ovvero la regolare esecuzione dei servizi o delle forniture costituisce causa di forza maggiore, ai sensi dell’articolo 107, comma 4, del codice dei contratti pubblici in materia di sospensione parziale dell'esecuzione (lett. c).

La disposizione di cui alla lettera c) del comma 4, fa riferimento alle misure di contenimento previste dall’articolo 1 già citato del decreto – legge n. 6 del 2020 e dall’articolo 1 del D.L. n. legge n. 19 del 2020; si aggiunge qui il riferimento alle misure di contenimento derivanti dai relativi provvedimenti attuativi delle norme indicate.

Inoltre, qualora il rispetto delle misure di contenimento impedisca di ultimare i lavori, i servizi o le forniture nel termine contrattualmente previsto, costituisce circostanza non imputabile all’esecutore ai sensi del comma 5 del citato articolo 107 ai fini della proroga del termine contrattuale, ove richiesta.

La disposizione prevede che non si applicano gli obblighi di comunicazione all’ANAC e le relative sanzioni (previste dal terzo e dal quarto periodo del comma 4 dell’articolo 107 del codice) in materia di tardiva comunicazione.

La relazione illustrativa, con riferimento alla non applicazione di tali obblighi comunicativi, evidenzia che in considerazione della qualificazione della pandemia COIVD- 19 come “fatto notorio” e della cogenza delle misure di contenimento disposte dalle competenti Autorità, non si applichino, anche in funzione di semplificazione procedimentale, gli obblighi in parola di comunicazione all’Autorità nazionale anticorruzione.

 

L'articolo 107 del Codice dei contratti pubblici reca norme sulla sospensione dell'esecuzione del contratto, prevedendo che, in tutti i casi in cui ricorrano circostanze speciali che impediscono in via temporanea che i lavori procedano utilmente a regola d'arte, e che non siano prevedibili al momento della stipulazione del contratto, il direttore dei lavori può disporre la sospensione dell'esecuzione del contratto; a tal fine, il verbale di sospensione compilato, se possibile con l'intervento dell'esecutore o di un suo legale rappresentante, reca l'indicazione delle ragioni che hanno determinato l'interruzione dei lavori, nonché dello stato di avanzamento dei lavori, delle opere la cui esecuzione rimane interrotta e delle cautele adottate affinché alla ripresa le stesse possano essere continuate ed ultimate senza eccessivi oneri, della consistenza della forza lavoro e dei mezzi d'opera esistenti in cantiere al momento della sospensione. Il verbale è inoltrato al responsabile del procedimento entro cinque giorni dalla data della sua redazione (co. 1).

In particolare, il comma 4 della disposizione - richiamato nella norma in esame- dispone, per l'ipotesi in cui successivamente alla consegna dei lavori insorgano, per cause imprevedibili o di forza maggiore, circostanze che impediscano parzialmente il regolare svolgimento dei lavori, l'esecutore è tenuto a proseguire le parti di lavoro eseguibili, mentre si provvede alla sospensione parziale dei lavori non eseguibili, dandone atto in apposito verbale. Le contestazioni dell'esecutore in merito alle sospensioni dei lavori sono iscritte a pena di decadenza nei verbali di sospensione e di ripresa dei lavori, salvo che per le sospensioni inizialmente legittime, per le quali è sufficiente l'iscrizione nel verbale di ripresa dei lavori; qualora l'esecutore non intervenga alla firma dei verbali o si rifiuti di sottoscriverli, deve farne espressa riserva sul registro di contabilità. La normativa del codice prevede, sempre al co. 4, che quando la sospensione supera il quarto del tempo contrattuale complessivo il responsabile del procedimento dà avviso all'ANAC e, in caso di mancata o tardiva comunicazione l'ANAC irroga una sanzione amministrativa alla stazione appaltante di importo compreso tra 50 e 200 euro per giorno di ritardo.

In base al comma 5 dell'art. 107, l'esecutore che per cause a lui non imputabili non sia in grado di ultimare i lavori nel termine fissato può richiederne la proroga, con congruo anticipo rispetto alla scadenza del termine contrattuale, e la sua concessione non pregiudica i diritti spettanti all'esecutore per l'eventuale imputabilità della maggiore durata a fatto della stazione appaltante. Sull'istanza di proroga decide il responsabile del procedimento, sentito il direttore dei lavori, entro trenta giorni dal suo ricevimento. L'esecutore deve ultimare i lavori nel termine stabilito dagli atti contrattuali, decorrente dalla data del verbale di consegna ovvero, in caso di consegna parziale dall'ultimo dei verbali di consegna. L'ultimazione dei lavori, appena avvenuta, è comunicata dall'esecutore per iscritto al direttore dei lavori, il quale procede subito alle necessarie constatazioni in contraddittorio. L'esecutore non ha diritto allo scioglimento del contratto né ad alcuna indennità qualora i lavori, per qualsiasi causa non imputabile alla stazione appaltante, non siano ultimati nel termine contrattuale e qualunque sia il maggior tempo impiegato.

 

Si ricorda che con Atto 29/04/2020, n. 5 l'Autorità nazionale anticorruzione ha emanato l'Atto di segnalazione concernente l'articolo 107 del codice e gli articoli 10, 14 e 23 del decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 7 marzo 2018, n. 49, nel quale si segnala l'opportunità di prevedere, nelle norme di prossima emanazione inerenti alla situazione emergenziale, una specifica indicazione che consenta alle stazioni appaltanti di emettere lo Stato di avanzamento lavori anche in deroga alle disposizioni della documentazione di gara e del contratto, limitatamente alle prestazioni eseguite sino alla data di sospensione delle attività.

 

 


 

Articolo 8, commi 5 e 6
(Modifiche al Codice dei contratti pubblici)

 

 

L'articolo 8, comma 5, reca modifiche al Codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo. n. 50 del 2016. Le novelle riguardano le disposizioni sulla qualificazione delle stazioni appaltanti e centrali di committenza (art. 38 del codice), sui motivi di esclusione in relazione ad irregolarità relative al pagamento delle imposte e tasse ovvero di contributi previdenziali (art. 80), sui livelli delle coperture assicurative contro i rischi professionali richieste dalle stazioni appaltanti (art. 83), sulla finanza di progetto (art. 183). Il comma 6 dispone in ordine alla decorrenza temporale di tali modifiche. Durante l'esame presso il Senato, sono state approvate modifiche in materia di: operatori economici per l'affidamento dei servizi di architettura e ingegneria; raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari di operatori economici; clausole sociali e partecipazione delle microimprese, piccole e medie imprese; forme speciali di partenariato per la fruizione del patrimonio culturale; partenariato pubblico privato per contratti di rendimento energetico e di prestazione energetica - EPC. Ulteriori modifiche introdotte dal Senato intervengono su disposizioni del Codice, al fine di aggiungere il riferimento al Terzo settore ai sensi del decreto legislativo n. 117 del 2017.

Il comma 6 dispone in ordine alla decorrenza dell'applicazione delle novelle previste dal comma 5.

 

 

Principi per l'aggiudicazione e l'esecuzione di appalti e concessioni - Terzo settore (comma 5, lettera 0a))

 

La lettera 0a), introdotta dal Senato, reca novella all'articolo 30 del Codice dei contratti pubblici, in materia di principi per l'aggiudicazione e l'esecuzione di appalti e concessioni. In particolare viene modificato il comma 8: esso prevede, nel testo vigente, che, per quanto non espressamente previsto nel codice, alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici si applicano le disposizioni della legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo, alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del codice civile. Con la novella, si estende l'applicazione delle disposizioni della legge n. 241, oltre che alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici - già previste - anche a forme di coinvolgimento degli enti del Terzo settore previste dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117.

 

L'art. 30 del Codice reca i Principi per l'aggiudicazione e l'esecuzione di appalti e concessioni. Esso prevede, nel testo vigente, al co.1, che l'affidamento e l'esecuzione di appalti di opere, lavori, servizi, forniture e concessioni, ai sensi del codice garantisce la qualità delle prestazioni e si svolge nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza. Nell'affidamento degli appalti e delle concessioni, le stazioni appaltanti rispettano, altresì, i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice.

In base al comma 8 vigente, di cui si propone qui la modifica, per quanto non espressamente previsto nel codice e negli atti attuativi, alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del codice civile.

 

Il Titolo VII (artt. 55-57) del codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo n. 117 del 2017, dispone dei rapporti degli enti del Terzo settore con gli enti pubblici.

Il tema viene affrontato nelle diverse fasi in cui si possono concretizzare forme relazionali tra la pubblica amministrazione e gli enti del Terzo settore, dalla fase di programmazione, a quella di progettazione fino a quella di attuazione dell’intervento.

Il coinvolgimento degli enti del Terzo settore nelle fasi indicate deve rispondere alla duplice esigenza di favorire processi e strumenti di partecipazione che possano accrescere la qualità delle scelte finali, ferme restando le prerogative proprie dell’Amministrazione procedente in ordine a tali scelte.

Il Titolo VII:

-        prevede che le amministrazioni pubbliche, nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione ed organizzazione a livello territoriale delle attività di interesse generale, coinvolgano attivamente gli enti del Terzo settore mediante forme di co-programmazione e co-progettazione;

-        disciplina la conclusione di convenzioni tra le pubbliche amministrazioni e le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, per lo svolgimento, in favore di terzi, di attività di interesse generale;

-        disciplina l’affidamento in convenzione alle organizzazioni di volontariato dei servizi di trasporto sanitario di emergenza e urgenza.

 

 

Clausole sociali e partecipazione delle microimprese, piccole e medie imprese (comma 5, lettera 0a-bis))

 

La lettera 0a-bis), introdotta dal Senato reca una novella all'articolo 36, comma 1, del Codice dei contratti pubblici. Con riferimento ai contratti sotto soglia, esso stabilisce, tra l'altro, che le stazioni appaltanti possano inserire nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l'applicazione, da parte dell'aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore (ai sensi dell'articolo 50 del codice). La norma si applica con particolare riguardo agli affidamenti relativi a contratti ad alta intensità di manodopera.

Con la modifica in esame si propone di trasformare tale facoltà in obbligo.

 

L'art. 50 reca le clausole sociali del bando di gara e degli avvisi, prevedendo che per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera, i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti inseriscono, nel rispetto dei principi dell'Unione europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l'applicazione da parte dell'aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all'articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81. I servizi ad alta intensità di manodopera sono quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell'importo totale del contratto.

 

 

Qualificazione di stazioni appaltanti e centrali di committenza (comma 5, lettera a))

 

La lettera a), modifica l'art. 38 del Codice dei contratti pubblici dedicato alla qualificazione delle stazioni appaltanti e centrali di committenza. Il comma 1 di tale art. 38 prevede l’istituzione, presso l'ANAC, che ne assicura la pubblicità, di un apposito elenco delle stazioni appaltanti qualificate di cui fanno parte anche le centrali di committenza. La qualificazione è conseguita in rapporto ai bacini territoriali, nonché alla tipologia e complessità del contratto e per fasce d'importo. Con la modifica in esame è stato espunto il riferimento nel testo agli "ambiti di attività" in relazione al conseguimento della qualificazione.

Si ricorda che in base all'art. 38 la qualificazione ha ad oggetto il complesso delle attività che caratterizzano il processo di acquisizione di un bene, servizio o lavoro in relazione a una serie di ambiti, indicati al comma 3 della norma (anch'esso novellato dalla disposizione in esame).

 

Tali ambiti sono elencati dal successivo comma 3 dell'art. 38. Essi sono, secondo la novella:

1.     capacità di progettazione;

2.     capacità di affidamento;

3.     capacità di verifica sull'esecuzione e controllo dell'intera procedura, ivi incluso il collaudo e la messa in opera.

La norma in esame ha infatti espunto il riferimento alla "capacità di programmazione" dall'ambito di attività di cui al primo punto, previsto invece dal testo previgente.

 

Secondo quanto rappresentato dalla relazione illustrativa, la modifica al comma 1 ha inteso risolvere un dubbio interpretativo della norma, in quanto il combinato disposto del comma 1 e del comma 3, prima della modifica, non chiariva se la qualificazione dovesse riguardare ogni singolo ambito di attività o dovesse essere unica per tutti gli ambiti elencati. Con la novella si intenderebbe quindi chiarire che la qualificazione è unica per tutti e tre gli ambiti. Inoltre, continua la relazione illustrativa, è stato soppresso il riferimento alla "programmazione" in quanto tale ambito di attività risulta maggiormente attinente "alla sfera politico/amministrativa di competenza dell’ente territoriale".

 

Inoltre, il nuovo comma 3-bis, introdotto dalla norma in esame, richiede alle centrali di committenza e ai soggetti aggregatori la qualificazione almeno nei primi due ambiti - inerenti         alla capacità di progettazione e alla capacità di affidamento (v. sopra punti 1 e 2) - stabilendo che le attività correlate al terzo ambito possono essere effettuate direttamente dai soggetti per i quali sono svolte le aggiudicazioni, purché qualificati almeno in tale terzo ambito.

La disposizione specifica, con una novella al comma 3 dell'articolo 38 del Codice, che è comunque fatto salvo quanto previsto dalla nuova disposizione del comma 3-bis qui introdotto.

 

Come osserva la relazione illustrativa, tale disposizione consente alle stazioni appaltanti di qualificarsi per il solo ambito inerente l’esecuzione e controllo dell'intera procedura, ivi incluso il collaudo e la messa in opera, nel caso in cui esse procedano ad affidare la gestione della progettazione e dell’affidamento del contratto a centrali di committenza, ovvero a soggetti aggregati, qualificati almeno negli ambiti inerenti la capacità di progettazione o di affidamento.

 

I criteri da utilizzare ai fini della qualificazione sono individuati da un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato ai sensi del comma 2 dell'art. 38. Una modifica prevede che tale DPCM, con il quale sono definiti i requisiti tecnico organizzativi per l'iscrizione all'elenco, sia adottato d'intesa con la Conferenza unificata, la quale nel testo finora vigente ricopriva un ruolo meramente consultivo.

 

Il DPCM è adottato su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per la semplificazione della pubblica amministrazione, sentita l'ANAC e, secondo la novella recata dalla disposizione in esame, di intesa con la Conferenza unificata.

Si ricorda, inoltre, che sono iscritti di diritto nell'elenco dei soggetti qualificati il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, compresi i Provveditorati interregionali per le opere pubbliche, CONSIP S.p.a., INVITALIA - Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa S.p.a., nonché i soggetti aggregatori regionali di cui all'articolo 9 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66.

 

Infine, ulteriori modifiche riguardano il comma 4 dell'art. 38, il quale elenca i requisiti previsti per la qualificazione suddividendoli in requisiti di base e requisiti premianti.

Tra i requisiti di base la norma in esame inserisce la disponibilità di piattaforme telematiche nella gestione di procedure di gara, contestualmente espungendola dai requisiti premianti.

Si ricorda che in base al comma 4 in parola, i requisiti sono individuati sulla base dei seguenti parametri:

a) requisiti di base, quali: 1) strutture organizzative stabili deputate agli ambiti di cui al comma 3; 2) presenza nella struttura organizzativa di dipendenti aventi specifiche competenze in rapporto alle attività di cui al comma 3; 3) sistema di formazione ed aggiornamento del personale; 4) numero di gare svolte nel quinquennio con indicazione di tipologia, importo e complessità, numero di varianti approvate, verifica sullo scostamento tra gli importi posti a base di gara e consuntivo delle spese sostenute, rispetto dei tempi di esecuzione delle procedure di affidamento, di aggiudicazione e di collaudo; 5) rispetto dei tempi previsti per i pagamenti di imprese e fornitori come stabilito dalla vigente normativa ovvero rispetto dei tempi previsti per i pagamenti di imprese e fornitori, secondo gli indici di tempestività; 5-bis) assolvimento degli obblighi di comunicazione dei dati sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture che alimentano gli archivi detenuti o gestiti dall'Autorità; 5-ter) per i lavori, adempimento a quanto previsto in materia di procedure di monitoraggio sullo stato di attuazione delle opere pubbliche, di verifica dell'utilizzo dei finanziamenti nei tempi previsti e costituzione del Fondo opere e del Fondo progetti, e dall'articolo 29, comma 3 del Codice.

La lettera b) del comma reca invece i requisiti premianti, quali:1) valutazione positiva dell'ANAC in ordine all'attuazione di misure di prevenzione dei rischi di corruzione e promozione della legalità;2) presenza di sistemi di gestione della qualità e conformità certificati; 3) disponibilità di tecnologie telematiche nella gestione di procedure di gara: requisito che viene espunto, per effetto della novella, da tale lettera; 4) livello di soccombenza nel contenzioso; 5) applicazione di criteri di sostenibilità ambientale e sociale nell'attività di progettazione e affidamento.

 

 

Operatori economici per l'affidamento dei servizi di architettura e ingegneria (comma 5, lettera a-bis))

 

La lettera a-bis), introdotta dal Senato, novella l'articolo 46, comma 1, lettera a), del Codice dei contratti pubblici. Tale articolo 46, comma 1, elenca gli operatori economici ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria ed include, alla lettera a), gli archeologi. Con la modifica in esame si specifica che possono essere ammessi gli archeologi professionisti singoli, associati e le società da essi costituite.

 

 

Raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari di operatori economici (comma 5, lettera a-ter))

 

La lettera a-ter), introdotta dal Senato, novella l'articolo 48, comma 7, del Codice dei contratti pubblici. Tale norma proibisce ai concorrenti di partecipare alla gara in più di un raggruppamento temporaneo o consorzio ordinario di concorrenti, ovvero di partecipare alla gara anche in forma individuale qualora abbia partecipato alla gara medesima in raggruppamento o consorzio ordinario di concorrenti. I consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro (di cui all'art. 45, co. 2, lett. b) del Codice) e i consorzi stabili, tra imprenditori individuali, anche artigiani, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro, con determinate caratteristiche (ivi, lett. c)), sono tenuti ad indicare, in sede di offerta, per quali consorziati il consorzio concorre.

Secondo la novella in esame, si stabilisce che, qualora il consorziato designato sia, a sua volta, un consorzio di cui all'art. 45, co. 2, lettera b), è tenuto anch'esso a indicare, in sede di offerta, i consorziati per i quali concorre.

 

Si ricorda, più nel dettaglio, che l'art. 45, co. 2, lett. b), del Codice, fa riferimento i consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro costituiti ai sensi delle seguenti norme:

·       Legge 25 giugno 1909, n. 422 (recante "Costituzione di consorzi di cooperative per appalti di lavori pubblici");

·       D.Lgs.C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577 (recante "Provvedimenti per la cooperazione"), il quale reca specifiche disposizioni concernenti i consorzi di società cooperative (art. 27), nonché specifiche disposizioni sull'ammissibilità di tali consorzi ai pubblici appalti (art. 27-bis);

·       Legge 8 agosto 1985, n. 443 ("Legge quadro sull'artigianato"), il quale dispone in ordine ai consorzi tra imprese artigiane.

 

 

Scelta delle procedure e oggetto del contratto - Terzo settore (co. 5, lettera a-quater))

 

La lett. a-quater), introdotta dal Senato, novella l'articolo 59 del Codice, in materia di scelta delle procedure e oggetto del contratto; in particolare si aggiunge, al comma 1, che resta fermo quanto previsto dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117.

 

L'art. 59 reca la scelta delle procedure e oggetto del contratto, e prevede al co. 1 che nell'aggiudicazione di appalti pubblici, le stazioni appaltanti utilizzano le procedure aperte o ristrette, previa pubblicazione di un bando o avviso di indizione di gara. Esse possono altresì utilizzare il partenariato per l'innovazione quando sussistono i presupposti previsti dall'articolo 65, la procedura competitiva con negoziazione e il dialogo competitivo quando sussistono i presupposti previsti e la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara quando sussistono i relativi presupposti previsti dall'articolo 63.

 

Per quanto riguarda il titolo VII del codice del Terzo settore di cui al decreto legislativo n. 117 del 2017, cfr. illustrazione della precedente lett. 0a).

 

 

Motivi di esclusione (comma 5, lett. b))

 

La lettera b) modifica la disciplina dei motivi di esclusione recata dall’art. 80 del Codice dei contratti pubblici. Si prevede una novella all'art. 80 del codice, il quale disciplina l'esclusione dell'operatore da parte della stazione appaltante in presenza delle irregolarità ivi indicate.

Il comma 4 dell'articolo 80 disciplina i casi di esclusione per gravi violazioni (definitivamente accertate in quanto contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione) commesse dall'operatore economico concernenti gli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse o di contributi previdenziali. La disposizione riscrive il quinto periodo del comma.

Integrando tale previsione, la novella consente alla stazione appaltante di escludere un operatore economico dalla procedura quando essa sia a conoscenza, e possa adeguatamente dimostrare, che l'operatore non abbia ottemperato ai suddetti obblighi e che tale mancato pagamento costituisca una grave violazione.

 

Si ricorda che l’articolo 80, comma 4, del Codice nel testo previgente dispone in particolare che un operatore economico è escluso dalla partecipazione ad una procedura d’appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, degli obblighi relativi al pagamento di imposte, tasse o contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui è stabilito. L’articolo 80, comma 4, precisa che costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione. Costituiscono gravi violazioni in materia contributiva e previdenziale quelle ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC) ovvero delle certificazioni rilasciate dagli enti previdenziali di riferimento non aderenti al sistema dello sportello unico previdenziale.

Il quinto periodo nella formulazione previgente dell'articolo 80 prevedeva che il comma non si applica quando l'operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, purché il pagamento o l'impegno siano stati formalizzati prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande.

 

La novella mira a superare una contestazione sollevata con la procedura di infrazione n. 2018/2273, in quanto l'art. 80, comma 4, nel testo finora vigente, non consentiva di escludere un operatore economico che ha violato gli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali qualora tale violazione, pur non essendo stata stabilita da una decisione giudiziaria o amministrativa avente effetto definitivo, possa essere comunque adeguatamente dimostrata dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore. Tale possibilità è esplicitamente previsto all’articolo 38, paragrafo 5, della direttiva 2014/23/UE.

 

Si ricorda che il comma 4 dell'articolo 80 in materia di motivi di esclusione era stato già modificato dal D.L. n. 32 del 2019 (c.d. decreto Sblocca cantieri, segnatamente dall'art. 1, comma 1, lett. n), n. 4); tale modifica non era stata confermata dalla legge di conversione (L. 14 giugno 2019, n. 55). Per approfondimenti, si veda il relativo dossier sulle disposizioni dello sblocca cantieri, poi non convertite in legge.

 

Si ricorda poi che il sopra richiamato articolo 38, paragrafo 5, primo e secondo comma, della direttiva 2014/23/UE stabilisce quanto segue:

“Le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), escludono un operatore economico dalla partecipazione a una procedura di aggiudicazione di una concessione qualora siano a conoscenza del fatto che l’operatore economico non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali e se ciò è stato stabilito da una decisione giudiziaria o amministrativa avente effetto definitivo e vincolante secondo la legislazione del paese in cui è stabilito o dello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore.

Inoltre, le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), possono escludere o possono essere obbligati dagli Stati membri a escludere dalla partecipazione a una procedura di aggiudicazione di una concessione un operatore economico se l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore può dimostrare con qualunque mezzo adeguato che l’operatore economico non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali.”

La medesima disposizione figura nell’articolo 57, paragrafo 2, primo e secondo comma, della direttiva 2014/24/UE.

 

In base alla disposizione ora in esame, l'esclusione ex comma 4 non si applica quando:

§  l'operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, ricalcandosi in ciò la normativa vigente

§  ovvero, secondo disposizione introdotta dall'articolo 8 in esame, quando il debito tributario o previdenziale sia comunque integralmente estinto

In base alla nuova formulazione, si applica tale disciplina purché l'estinzione, il pagamento o l'impegno si siano perfezionati anteriormente alla scadenza del termine per la presentazione delle domande.

Si fa notare che, rispetto alla previsione previgente, la formulazione della novella prevede il 'perfezionamento' - anziché la formalizzazione - con riferimento a tutte le fattispecie di: estinzione, pagamento o impegno; la norma previgente faceva invece riferimento al dato della formalizzazione del pagamento o dell'impegno entro il termine previsto.

 

 

Adeguatezza della copertura assicurativa (comma 5, lettera c))

 

La lettera c) modifica l'art. 83 del Codice. Il comma 4 dell'art. 83 prevede che, per gli appalti di servizi e forniture, le stazioni appaltanti, nel bando di gara, possano richiedere un livello adeguato di copertura assicurativa contro i rischi professionali. Il nuovo comma 5-ter, inserito dalla norma in esame, prevede che tale valutazione sia condotta dalla stazione appaltante sulla base della polizza assicurativa contro i rischi professionali già posseduta dall’operatore economico e in corso di validità. Nel caso di polizze assicurative di importo inferiore al valore dell’appalto, le stazioni appaltanti possono richiedere che, a corredo dell’offerta, sia documentato l’impegno dell’impresa assicuratrice ad adeguare il valore della polizza assicurativa a quello dell’appalto, in caso di aggiudicazione.

 

Come osserva la relazione illustrativa, il carattere generale della disposizione previgente ha generato la prassi di richiedere una polizza assicurativa commisurata al valore dell'appalto, inducendo gli operatori a stipulare nuove polizze, al solo fine della partecipazione alla gara, per ottemperare a tali richieste delle stazioni appaltanti. Peraltro, continua la relazione, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto, anche nel quadro legislativo precedente la modifica, "che il requisito in questione possa essere soddisfatto gradualmente" (ad es. T.A.R. Brescia, sez. I, 27 febbraio 2017, n. 282, il quale ha ritenuto illogica la richiesta di produrre in sede di offerta il contratto di assicurazione per la responsabilità civile professionale con un massimale rapportato al valore dell'appalto, trattandosi di richiesta da applicare al solo aggiudicatario).

 

 

Norme applicabili ai servizi sociali e ad altri servizi specifici dei settori speciali - Terzo settore (comma 5, lettera c-bis))

 

La lettera c-bis), introdotta dal Senato, reca novella all'articolo 140 del codice, in materia di norme applicabili ai servizi sociali e ad altri servizi specifici dei settori speciali; in particolare al comma 1, laddove si prevede nel testo vigente che resta salvo quanto disposto nell'articolo medesimo, si specifica altresì che resta fermo quanto previsto dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117.

 

La Sezione IV del codice dei contratti pubblici è rubricata "Servizi sociali, concorsi di progettazione e norme su esecuzione".

L'art. 140 reca norme applicabili ai servizi sociali e ad altri servizi specifici dei settori speciali, prevedendo al co. 1 che gli appalti di servizi sociali e di altri servizi specifici di cui all'allegato IX sono aggiudicati in applicazione degli articoli 142, 143, 144, salvo quanto disposto nell'articolo 140 stesso.

Si ricorda che in base al co 2, il comma 1 non si applica allorché una procedura negoziata senza previo avviso di gara sia stata utilizzata, conformemente all'articolo 63 del codice, per l'aggiudicazione di appalti pubblici di servizi.

 

Per quanto riguarda il titolo VII del codice del Terzo settore di cui al decreto legislativo n. 117 del 2017, cfr. illustrazione della precedente lett. 0a).

 

Forme speciali di partenariato per la fruizione del patrimonio culturale (comma 5, lettera c-ter))

 

La lett. c-ter), introdotta dal Senato, novella l'articolo 151, comma 3, del Codice dei contratti pubblici. Tale comma 3 attribuisce al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo la possibilità di attivare forme speciali di partenariato con enti e organismi pubblici e con soggetti privati, dirette a consentire il recupero, il restauro, la manutenzione programmata, la gestione, l'apertura alla pubblica fruizione e la valorizzazione di beni culturali immobili, attraverso procedure semplificate di individuazione del partner privato. La norma mira ad assicurare la fruizione del patrimonio culturale della nazione e favorire altresì la ricerca scientifica applicata alla tutela.

Con la modifica in esame, tale facoltà è conferita allo Stato, alle Regioni e agli altri enti territoriali. Resta fermo, secondo la novella, quanto previsto dall'art. 106, comma 2-bis, del Codice dei beni culturali e del paesaggio (di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004) il quale affida al Ministero per i beni e le attività culturali la determinazione del canone per la concessione in uso, a singoli richiedenti, di beni in consegna al medesimo Ministero.

 

 

Partenariato pubblico privato per contratti di rendimento energetico e di prestazione energetica - EPC (co. 5, lettera c-quater))

 

La lett. c-quater) del comma 5, introdotta dal Senato, reca una novella all'articolo 180, comma 2, del Codice dei contratti pubblici, in materia di contratti di partenariato pubblico privato. Tale comma stabilisce che, con riferimento ai contratti di partenariato, i ricavi di gestione dell'operatore economico provengono dal canone riconosciuto dall'ente concedente nonché da qualsiasi altra forma di contropartita economica ricevuta dal medesimo operatore economico, ivi compresi gli introiti diretti derivanti della gestione del servizio ad utenza esterna. Con la modifica proposta, si stabilisce che i ricavi di gestione possono essere determinati e pagati in funzione del livello di miglioramento dell'efficienza energetica, ovvero possono essere commisurati ad altri criteri di prestazione energetica, definiti contrattualmente, purché chiaramente quantificabili. Tale disposizione si applica ai contratti di rendimento energetico e di prestazione energetica (EPC). Inoltre, la novella pone in capo all'operatore economico il compito di rendere disponibile alla all'amministrazione concedente la quantificazione del miglioramento energetico, che deve essere verificata e monitorata per tutta la durata del contratto, anche mediante piattaforme informatiche dedicate alla raccolta, organizzazione, gestione, elaborazione, valutazione e monitoraggio dei consumi energetici.

 

Il contratto EPC ha come oggetto il miglioramento energetico di un edificio o di un impianto, ne stabilisce la misura e le modalità di realizzazione attraverso la regolamentazione di un servizio energetico da parte di una Società di Servizi Energetici (ESCo). Si veda al riguardo la pagina dedicata sul sito internet dell'ENEA.

 

 

 

 

Finanza di progetto (lett. d))

 

Infine, con una modifica all'art. 183 in materia di finanza di progetto, si consente agli operatori economici di presentare, alle amministrazioni aggiudicatrici, proposte relative alla realizzazione in concessione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità, incluse le strutture dedicate alla nautica da diporto, anche se presenti negli strumenti di programmazione approvati dall'amministrazione aggiudicatrice.

Si prevede, quindi, che il progetto di fattibilità eventualmente modificato, sia inserito negli strumenti di programmazione, qualora non vi sia già presente.

I contratti di partenariato pubblico privato (PPP) sono principalmente disciplinati dal Codice dei contratti pubblici. In particolare la Parte IV del Codice reca la disciplina generale di tali istituti, mentre la Parte III contiene le norme in materia di contratti di concessione di lavori e di servizi, che costituiscono le principali forme contrattuali di PPP, in attuazione della direttiva 2014/23/UE, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione.

Si ricorda che l’articolo 180 del Codice, che specifica le caratteristiche del partenariato pubblico privato, al comma 8 include nella tipologia dei contratti di PPP la finanza di progetto; la finanza di progetto costituisce una delle modalità di finanziamento dei contratti di PPP le cui procedure di affidamento per le concessioni e gli altri contratti di PPP sono indicate all’art. 183.

In tale ambito, l’articolo 183 del Codice dei contratti pubblici disciplina due

peculiari modalità di affidamento delle concessioni di lavori e di servizi tramite finanza di progetto: a) l’affidamento di opere/servizi previsti nei documenti di programmazione dell’amministrazione aggiudicatrice (art. 183, commi 1-14); b) l’affidamento di opere/servizi non previsti nei documenti di

programmazione dell’amministrazione aggiudicatrice (art. 183, comma 15).

Si ricorda che l’art. 183, che si riferisce espressamente all’affidamento delle concessioni di lavori, è applicabile anche alle concessioni di servizi in virtù del richiamo operato dall’art. 179, comma 3 del Codice.

 

Con la novella in esame, osserva la relazione illustrativa, si intende "assicurare la migliore fattibilità dei progetti ovvero rimediare alla potenziale inerzia dell’amministrazione" riguardo alla possibilità che i progetti già inseriti negli strumenti di programmazione non siano pienamente adeguati o, se adeguati, potrebbero non essere messi a gara per inerzia. La novella prevede quindi la possibilità di presentare progetti "alternativi, migliorati e affinati" rispetto a quelli già previsti dai citati strumenti. Tale disposizione, continua la relazione, "amplia così l’ambito applicativo dell’istituto del promotore, valorizzando gli strumenti di partenariato pubblico privato nella prospettiva di una più efficiente infrastrutturazione del Paese".

 

Il comma 6 stabilisce che le novelle di cui al comma 5 si applicano alle procedure i cui bandi o avvisi di indizione sono pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge. Qualora non sia prevista la pubblicazione, le norme in esame si applicano alle procedure in cui, alla medesima data, non sono ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte o i preventivi.

Articolo 8, comma 6-bis
(Deroghe dibattito pubblico)

 

 

L'articolo 8, comma 6-bis, introdotto dal Senato, prevede che, sino al 31 dicembre 2023, su richiesta delle amministrazioni aggiudicatrici, le regioni possano autorizzare la deroga alla procedura di dibattito pubblico, consentendo alle amministrazioni aggiudicatrici di procedere direttamente agli studi di prefattibilità tecnico economica nonché alle successive fasi progettuali, nel rispetto delle norme del codice dei contratti pubblici.  La disposizione prevede tale possibilità di deroga laddove le regioni ritengano le suddette opere di particolare interesse pubblico e rilevanza sociale.

 

In dettaglio, il nuovo comma 6-bis, prevede - in considerazione dell'emergenza sanitaria COVID-19 e delle conseguenti esigenze di accelerazione dell'iter autorizzativo di grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale aventi impatto sull'ambiente, sulla città o sull'assetto del territorio - che sino al 31 dicembre 2023, su richiesta delle amministrazioni aggiudicatrici, le regioni possono autorizzare la deroga alla procedura di dibattito pubblico, previo parere favorevole della maggioranza delle amministrazioni provinciali e comunali interessate. In tal caso si consente quindi alle medesime amministrazioni aggiudicatrici di procedere direttamente agli studi di prefattibilità tecnico economica nonché alle successive fasi progettuali, nel rispetto delle norme stabilite dal codice dei contratti pubblici.  La disposizione prevede tale possibilità di deroga laddove le regioni ritengano le suddette opere di 'particolare interesse pubblico e rilevanza sociale'.

L'articolo 22, comma 2 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, e relativo regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 76 del 10 maggio 2018, in materia di trasparenza nella partecipazione di portatori di interessi e dibattito pubblico, stabilisce che le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori pubblicano, nel proprio profilo del committente, i progetti di fattibilità relativi alle grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, aventi impatto sull'ambiente, sulle città e sull'assetto del territorio, nonché gli esiti della consultazione pubblica, comprensivi dei resoconti degli incontri e dei dibattiti con i portatori di interesse. I contributi e i resoconti sono pubblicati, con pari evidenza, unitamente ai documenti predisposti dall'amministrazione e relativi agli stessi lavori.

In attuazione di tale norma è stato adottato il D.P.C.M. 10 maggio 2018, n. 76. L'amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore proponente l'opera soggetta a dibattito pubblico indice e cura lo svolgimento della procedura esclusivamente sulla base delle modalità individuate dal decreto attuativo.

 Gli esiti del dibattito pubblico e le osservazioni raccolte sono valutate in sede di predisposizione del progetto definitivo e sono discusse in sede di conferenza di servizi relativa all'opera sottoposta al dibattito pubblico.

Si valuti di chiarire la disposizione laddove si prevede che le amministrazioni procedano direttamente agli studi di prefattibilità tecnica, tenuto conto che il dibattito pubblico risulta normalmente previsto in presenza di studi di fattibilità già definiti.

 

 

Per approfondimenti sul dibattito pubblico, si veda il seguente dossier.

 

 


 

Articolo 8, comma 7
(Proroga termini e modifiche al decreto-legge n. 32 del 2019)

 

 

L'articolo 8, comma 7, novella alcune disposizioni contenute nell'art. 1 del decreto-legge n. 32 del 2019. Esso proroga al 31 dicembre 2021 il termine di sospensione dell'applicazione di talune norme del codice dei contratti pubblici concernenti, rispettivamente, il divieto di c.d. appalto integrato e i criteri di selezione dei componenti delle commissioni per la valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico. Proroga al 30 novembre 2021 il termine per la presentazione al Parlamento della relazione sulle deroghe al codice previste dal D.L. n. 32 medesimo. Inoltre, proroga al 31 dicembre 2021 talune disposizioni recanti l'estensione ai settori ordinari di procedure di esame previste per i settori speciali. Ulteriori modifiche riguardano la disciplina concernente i pareri del Consiglio superiore dei lavori pubblici.

 

 

Il comma 7, lettera a), proroga il termine di cui all'art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 32 del 2019 (c.d. sblocca cantieri, convertito dalla legge 14 giugno 2019, n. 55), il quale, nelle more della riforma complessiva del settore e comunque nel rispetto dei principi e delle norme sancite dall'Unione europea (in particolare delle direttive su appalti e concessioni, nn. 2014/23/UE, 2014/24/UE, 2014/25/UE), dispone che fino al 31 dicembre 2021 (in luogo del 31 dicembre 2020, come previsto prima della modifica), non trovano applicazione, a titolo sperimentale, le seguenti norme del Codice dei contratti pubblici:

·       art. 37, comma 4, che disciplina le modalità con cui i comuni non capoluogo di provincia devono provvedere agli acquisti di lavori, servizi e forniture.

Tale comma 4 prevede che, qualora la stazione appaltante sia un comune non capoluogo di provincia (ferme restando le facilitazioni previste dai commi 1 e 2 dello stesso articolo 37 per gli acquisti di importo contenuto), esso proceda secondo una delle seguenti modalità:

a) ricorrendo a una centrale di committenza o a soggetti aggregatori qualificati;

b) mediante unioni di comuni costituite e qualificate come centrali di committenza, ovvero associandosi o consorziandosi in centrali di committenza nelle forme previste dall'ordinamento;

c) ricorrendo alla stazione unica appaltante costituita presso le province, le città metropolitane ovvero gli enti di area vasta.

·       art. 59, comma 1, quarto periodo, ove viene stabilito il divieto di “appalto integrato” (salvo le eccezioni contemplate nel periodo stesso), cioè il divieto di affidamento congiunto della progettazione e dell’esecuzione dei lavori.

In deroga a tale divieto, l’art. 216, comma 4-bis, del Codice, ha già introdotto una disposizione transitoria volta a prevedere la non applicazione del divieto per le opere i cui progetti definitivi risultino definitivamente approvati dall'organo competente alla data di entrata in vigore del Codice (19 aprile 2016) con pubblicazione del bando entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della disposizione (vale a dire entro il 20 maggio 2018, dato che il comma 4-bis è stato introdotto dall’art. 128 del D.Lgs. 56/2017, pubblicato nella G.U. del 5 maggio 2017 ed entrato in vigore dopo 15 giorni dalla pubblicazione, come previsto dall’art. 131 del medesimo decreto legislativo).

Si fa notare che, in relazione al tema dell’appalto integrato, erano emerse posizioni per la reintroduzione dell'istituto, nel corso delle audizioni svolte nell’ambito dell’indagine conoscitiva svolta dall’8a Commissione (Lavori pubblici) del Senato sull'applicazione del Codice dei contratti pubblici. In particolare l’ANCI ha sottolineato (v. documento consegnato nel corso dell’audizione del 12 marzo 2019) che “l’obbligo di dover andare in gara con la sola progettazione esecutiva ha rappresentato un ostacolo al percorso di crescita degli investimenti, tanto più se legato alla difficoltà di individuare risorse e figure professionali per le sole progettazioni”.

Si ricorda che nei considerando della c.d. direttiva appalti (n. 2014/24/UE) si legge che “vista la diversità degli appalti pubblici di lavori, è opportuno che le amministrazioni aggiudicatrici possano prevedere sia l'aggiudicazione separata che l'aggiudicazione congiunta di appalti per la progettazione e l'esecuzione di lavori. La presente direttiva non è intesa a prescrivere un'aggiudicazione separata o congiunta degli appalti”.

 

·       art. 77, comma 3, quarto periodo, quanto all'obbligo di scegliere i commissari tra gli esperti iscritti all'albo istituito presso l'ANAC di cui all'art. 78. Viene precisato che resta però fermo l'obbligo di individuare i commissari secondo regole di competenza e trasparenza, preventivamente individuate da ciascuna stazione appaltante.

Si ricorda, in estrema sintesi, che l’art. 77 prevede - per i casi di aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa - che la valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico sia affidata ad una commissione giudicatrice, composta da esperti nello specifico settore cui afferisce l'oggetto del contratto. A tal fine, l’art. 78 ha previsto la creazione presso l'ANAC di un Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici, al fine di rafforzare regole di garanzia, trasparenza ed imparzialità.

Nelle more dell’adozione della disciplina in materia di iscrizione all'Albo, l’art. 216, comma 12, ha disposto che “la commissione giudicatrice continua ad essere nominata dall'organo della stazione appaltante competente ad effettuare la scelta del soggetto affidatario del contratto, secondo regole di competenza e trasparenza preventivamente individuate da ciascuna stazione appaltante”.

Con le Linee Guida n. 5 dell'ANAC sono stati dettati i criteri di scelta dei commissari di gara e di iscrizione degli esperti nell’Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici e dal 10 settembre 2018 nel sito dell’ANAC è stato reso disponibile il servizio online per l’iscrizione all’albo.

Si ricorda inoltre che con Atto di segnalazione n. 1 del 9 gennaio 2019 della Autorità nazionale anticorruzione concernente la disciplina dell'Albo nazionale dei componenti delle commissioni giudicatrici di cui all'art. 77 del codice, l'ANAC aveva già segnalato al Governo e al Parlamento l'opportunità di apportare urgenti modifiche alla disciplina in tema di nomina delle commissioni giudicatrici di cui all'art. 77 del Codice. Tale modifica - ha evidenziato l'Autorità - "si rende necessaria alla luce della mancata o insufficiente iscrizione, da parte dei professionisti interessati, nelle sottosezioni dell'Albo dei commissari, circostanza che renderebbe, di fatto, non attuabile la modalità di nomina dei componenti del seggio di gara prevista dalle norme sopra richiamate".

 

 

La lettera b) proroga il termine di cui all'art. 1, comma 2, del DL n. 32 del 2019. Esso prevede che entro il 30 novembre 2021 (in luogo del 30 novembre 2020) il Governo presenti alle Camere una relazione sugli effetti della sospensione recata dal D.L. 32, qui sopra sunteggiata, al fine di consentire al Parlamento di valutare l'opportunità del mantenimento o meno della sospensione stessa.

 

La lettera c) proroga il termine di cui all'art. 1, comma 3, del DL n. 32 del 2019. Tale comma 3, come modificato, prevede che anche per i settori ordinari, fino al 31 dicembre 2021 (in luogo del 31 dicembre 2020), trovi applicazione la disposizione prevista, per i settori speciali, dall'art. 133, comma 8, del codice dei contratti pubblici, la quale consente agli enti aggiudicatori - limitatamente alle procedure aperte - di espletare l'operazione di esame delle offerte prima dell'operazione di verifica dell'idoneità degli offerenti.

Resta fermo - ai sensi dell'art. 133, comma 8 - che tale facoltà può essere esercitata se specificamente prevista nel bando di gara o nell'avviso con cui si indice la gara. Inoltre le amministrazioni aggiudicatrici che si avvalgono di tale possibilità devono garantire che la verifica dell'assenza di motivi di esclusione e del rispetto dei criteri di selezione sia effettuata in maniera imparziale e trasparente, in modo che nessun appalto sia aggiudicato a un offerente che avrebbe dovuto essere escluso oppure che non soddisfa i criteri di selezione stabiliti dall'amministrazione aggiudicatrice.

Resta salva, infine, a seguito dell'aggiudicazione, la necessità di verificare il possesso dei requisiti richiesti ai fini della stipula del contratto.

 

La lettera d), riscrive l'art. 1, comma 7, del DL n. 32 del 2019. La nuova formulazione prevede la deroga, sino al 31 dicembre 2021, delle disposizioni recate dall'art. 215, comma 3, del Codice. Si prevede, secondo la novella:

§  che siano sottoposti al parere obbligatorio del Consiglio Superiore dei Lavori pubblici (ex art. 215, co. 3, del Codice) i soli progetti di fattibilità tecnica ed economica di competenza statale (o comunque finanziati per almeno il 50% dallo Stato), di importo pari o superiore a 100 milioni;

§  che per progetti di importo da 50 a 100 milioni il parere sia reso dai comitati tecnici amministrativi (C.T.A) presso i Provveditorati interregionali per le opere pubbliche;

§  che per i lavori pubblici inferiori a 50 milioni si prescinda dal parere ex art. 215, co. 3.

Il comma 7, nel testo finora vigente elevava, fino alla data del 31 dicembre 2020, da 50 a 75 milioni di euro i limiti di importo per l'espressione del parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici; la norma faceva riferimento, al riguardo, anche ai fini dell'eventuale esercizio delle competenze alternative e dei casi di particolare rilevanza e complessità. Per importi inferiori a 75 milioni di euro si prevedeva che il parere fosse espresso dai comitati tecnici amministrativi (c.d. C.T.A.) presso i provveditorati interregionali per le opere pubbliche.

 

La RT alla disposizione ora in esame afferma come, tenuto conto dell’impatto positivo di alcune disposizioni derogatorie al codice dei contratti, introdotte in via sperimentale, si proceda con la disposizione esaminata a prorogarne alcune e modificare le soglie economiche relative al rilascio del parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici che si prevede debba essere richiesto sul progetto di fattibilità tecnica ed economica.

 

 


 

Articolo 8, co. 7-bis
(Modalità di gestione delle attività di valorizzazione dei beni culturali e dei servizi integrati nei luoghi di cultura)

 

 

L'articolo 8, comma 7-bis, introdotto dal Senato, interviene sulla disciplina della gestione indiretta delle attività di valorizzazione dei beni culturali pubblici, che può essere attuata anche attraverso appalti pubblici di servizi, con la possibilità per le amministrazioni di progettare i servizi e i relativi contenuti. Esso innova anche le modalità di gestione dei servizi integrati (ossia quelli di assistenza e ospitalità per il pubblico e quelli di pulizia, vigilanza e biglietteria) presso gli istituti e i luoghi di cultura.

 

In dettaglio, il nuovo comma 7-bis, introdotto in prima lettura, alla lett. a), nn. 1 e 2, e alla lett. b), novella rispettivamente gli artt. 115 e 117 del d.lgs. 42/2004, recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio, per quanto concerne le forme di gestione delle attività di valorizzazione dei beni culturali e dei servizi per il pubblico.

 

In base all'art. 111 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, le attività di valorizzazione dei beni culturali consistono nella costituzione ed organizzazione stabile di risorse, strutture o reti, ovvero nella messa a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali, finalizzate a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale, ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, e a promuovere e sostenere interventi di conservazione del patrimonio culturale. A tali attività possono concorrere, cooperare o partecipare soggetti privati.

La valorizzazione è ad iniziativa pubblica o privata: la valorizzazione ad iniziativa pubblica si conforma ai principi di libertà di partecipazione, pluralità dei soggetti, continuità di esercizio, parità di trattamento, economicità e trasparenza della gestione; la valorizzazione ad iniziativa privata è attività socialmente utile e ne è riconosciuta la finalità di solidarietà sociale.

Solitamente tali attività includono anche la gestione dei servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico nei musei e negli altri luoghi della cultura, tra cui ad esempio la gestione di punti vendita all’interno del museo, i servizi informativi e di guida, l’organizzazione di mostre.

 

Si ricorda che le attività di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica sono gestite in forma diretta o indiretta. La scelta tra i due tipi di gestione è attuata mediante valutazione comparativa in termini di sostenibilità economico-finanziaria e di efficacia, sulla base di obiettivi previamente definiti.

L'art. 115, co. 2, del d.lgs. 42/2004 precisa che la gestione diretta è svolta per mezzo di strutture organizzative interne alle amministrazioni, dotate di adeguata autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste di idoneo personale tecnico. Le amministrazioni medesime possono attuare la gestione diretta anche in forma consortile pubblica. Quanto alla gestione indiretta delle attività di valorizzazione dei beni culturali, l'art. 115, co. 3, del d. lgs. 42/2004 stabilisce che essa è attuata tramite concessione a terzi delle attività di valorizzazione, anche in forma congiunta e integrata, da parte delle amministrazioni cui i beni pertengono o da appositi soggetti giuridici, mediante procedure di evidenza pubblica, sulla base della valutazione comparativa di specifici progetti.

 

Con la novella in commento (lett. a), n. 1) - che interviene proprio sull'art. 115, co. 3, del Codice dei beni culturali - si stabilisce che la gestione indiretta è attuata tramite concessione a terzi ovvero mediante l'affidamento di appalti pubblici di servizi, anche in forma congiunta e integrata.

In base all'art. 3, co. 1, lett. ss), del d.lgs. 50/2016, recante il Codice dei contratti pubblici, per «appalti pubblici di servizi», si intendono i contratti tra una o più stazioni appaltanti e uno o più soggetti economici, aventi per oggetto la prestazione di servizi diversi dall'esecuzione di lavori o opere. L'art. 3, co. 1, lett. vv), del medesimo d.lgs. 50/2016 definisce una «concessione di servizi», un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall'esecuzione di lavori, riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi. Per «rischio operativo» si intende il rischio legato alla gestione dei lavori o dei servizi sul lato della domanda o sul lato dell'offerta o di entrambi, trasferito all'operatore economico. Si considera che l'operatore economico assuma il rischio operativo nel caso in cui non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione.

 

Inoltre, l'art. 115, co. 4, del Codice dei beni culturali dispone che la gestione delle attività di valorizzazione sui beni di pertinenza pubblica in forma indiretta è attuata nel rispetto di livelli minimi uniformi di qualità, adottati con decreto del Ministro, previa intesa in Conferenza unificata.

In attuazione, con D.M. 18 aprile 2012 sono state adottate le Linee guida per la costituzione e la valorizzazione dei parchi archeologici. Per i musei e i luoghi della cultura di appartenenza pubblica e l'attivazione del Sistema museale nazionale, i livelli minimi di qualità sono stati definiti con D.M. 21 febbraio 2018.

 

Con la novella in commento (lett. a), n. 2) - che interviene sull'art. 115, co. 4, del Codice dei beni culturali - si precisa che nella gestione indiretta (attuata, come si è detto, mediante concessioni e appalti pubblici di servizi) le amministrazioni hanno la possibilità di progettare i servizi e i relativi contenuti, anche di dettaglio, mantenendo comunque il rischio operativo a carico del concessionario e l'equilibrio economico e finanziario della gestione.

 

Le modalità di gestione in forma diretta e indiretta suesposte (queste ultime novellate dal comma 7-bis, lett.a), in esame), per quanto qui di interesse, si applicano anche alla gestione dei servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico, previsti negli istituti e nei luoghi della cultura, quali musei, biblioteche, archivi, aree e parchi archeologici, e complessi monumentali (art. 117 del d.lgs. 42/2004).

I suddetti servizi per il pubblico includono:

§  il servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e i sussidi catalografici, audiovisivi e informatici, ogni altro materiale informativo, e le riproduzioni di beni culturali;

§  i servizi riguardanti beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito del prestito bibliotecario;

§  la gestione di raccolte discografiche, di diapoteche e biblioteche museali;

§  la gestione dei punti vendita e l'utilizzazione commerciale delle riproduzioni dei beni;

§  i servizi di accoglienza, ivi inclusi quelli di assistenza e di intrattenimento per l'infanzia, i servizi di informazione, di guida e assistenza didattica, i centri di incontro;

§  i servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba;

§  l'organizzazione di mostre e manifestazioni culturali, nonché di iniziative promozionali.

In base all'art. 117, co. 3, del d.lgs. 42/2004 detti servizi per il pubblico possono essere gestiti anche in forma integrata con i servizi di pulizia, di vigilanza e di biglietteria. Si parla in questo caso di servizi integrati.

Con la novella in commento (lett. b)) si inserisce un periodo aggiuntivo all'art. 117, co. 3, del d.lgs. 42/2004, secondo cui qualora l'affidamento dei servizi integrati abbia ad oggetto una concessione di servizi, l'integrazione può essere realizzata anche indipendentemente dal rispettivo valore economico dei servizi considerati. È ammessa inoltre la stipulazione di contratti di appalto pubblico aventi ad oggetto uno o più servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico e uno o più tra i servizi di pulizia, di vigilanza e di biglietteria. In vigore dal 24 aprile 2008

 


 

Articolo 8, comma 8
(Acquisto di beni per l'avvio dell'anno scolastico 2020/2021)

 

 

L'articolo 8, comma 8, a cui in prima lettura sono state apportate modifiche formali, affida - fino alla scadenza dello stato di emergenza - al Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 l'acquisizione e distribuzione delle apparecchiature e dei dispositivi di protezione individuale, nonché dei beni strumentali, compresi gli arredi scolastici, per garantire l’ordinato avvio dell’anno scolastico 2020/2021 e il contrasto dell’eventuale emergenza nelle istituzioni scolastiche statali. Si provvede nel limite delle risorse a valere sul Fondo emergenze nazionali, versate su un'apposita contabilità speciale. Le procedure di affidamento possono essere anche avviate prima del trasferimento delle predette risorse alla contabilità speciale.

 

L'art. 122 del D.L. 18/2020 (L. 27/2020) prevede la nomina di un Commissario straordinario per l'attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell'emergenza epidemiologica COVID-19, definendone l'ambito delle competenze. La finalità è assicurare la più elevata risposta sanitaria all'emergenza.

Le competenze sono definite nel modo che segue:

§  organizzare, acquisire e produrre ogni genere di beni strumentali utili a contenere l'emergenza, nonché programmare e organizzare ogni attività connessa. Rientrano tra tali compiti: il reperimento delle risorse umane e strumentali necessarie; l'individuazione dei fabbisogni; l'acquisizione e distribuzione di farmaci, apparecchiature, dispositivi medici e di protezione individuale. Nell'esercizio di queste attività il Commissario può avvalersi di soggetti attuatori e di società in house nonché delle centrali di acquisto;

§  provvedere (raccordandosi con le regioni e le aziende sanitarie) al potenziamento della capienza delle strutture ospedaliere (anche mediante l'allocazione delle dotazioni infrastrutturali), con particolare riferimento ai reparti di terapia intensiva e sub-intensiva;

§  disporre la requisizione e circa la gestione di beni mobili, mobili registrati e immobili (anche tramite il Capo del Dipartimento per la protezione civile o se necessario ai prefetti territorialmente competenti);

§  adottare ogni intervento utile per preservare e potenziare le filiere produttive dei beni necessari per il contrasto e il contenimento dell’emergenza;

§  provvedere alla costruzione di nuovi stabilimenti - o alla riconversione di quelli esistenti tramite il commissariamento di rami d'azienda - per la produzione dei beni necessari per il contenimento, anche organizzando la raccolta di fondi occorrenti e definendo le modalità di acquisizione e di utilizzazione dei fondi privati destinati all’emergenza, organizzandone la raccolta e controllandone l’impiego;

§  organizzare e svolgere le attività propedeutiche alla concessione degli aiuti per far fronte all’emergenza sanitaria, da parte delle autorità competenti nazionali ed europee, nonché tutte le operazioni di controllo e di monitoraggio dell’attuazione delle misure;

§  provvedere alla gestione coordinata del Fondo di solidarietà dell’Unione europea (FSUE, di cui al regolamento (CE) 2012/2002) e delle risorse del Fondo di sviluppo e coesione destinato all’emergenza.

I provvedimenti possono essere adottati "in deroga a ogni disposizione vigente, nel rispetto della Costituzione, dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea".

Per approfondimenti, v. il dossier, sull'A.C. 2463 (conversione del D.L. 18/2020, ultima lettura parlamentare).

Con D.P.C.M. 18 marzo 2020 è stato nominato Commissario straordinario il dott. Domenico Arcuri (v. il Comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri sulla GU n.73 del 20 marzo 2020).

 

In dettaglio, si stabilisce che il suddetto Commissario straordinario procede ad acquistare e distribuire apparecchiature e dispositivi di protezione individuale, nonché i necessari beni strumentali, compresi gli arredi scolastici, utili a garantire l’ordinato avvio dell’anno scolastico 2020-2021, nonché a contenere e contrastare l’eventuale emergenza nelle istituzioni scolastiche statali. Come descritto dalla relazione illustrativa, si estendono i poteri speciali del Commissario anche agli acquisti riferiti al settore scolastico.

Tra le funzioni commissariali rientra, come si è detto, l'acquisto di beni strumentali o comunque la stipulazione di atti negoziali, volti a fronteggiare l'emergenza epidemiologica. Per tali contratti di acquisto o atti negoziali, l'art. 122, co. 8, del D.L. 18/2020 dispone che il Commissario, come i soggetti attuatori, sono esentati dall'applicazione dell'art. 29 del D.P.C.M. 22 novembre 2010, recante “Disciplina dell’autonomia finanziaria e contabile della Presidenza del Consiglio”. Si tratta della disciplina del controllo di regolarità amministrativa e contabile, interno alla Presidenza del Consiglio. Del pari è prevista, per i contratti ed atti negoziali di cui qui si tratta, altresì l'esenzione dal controllo della Corte dei conti. Sono mantenuti invece gli obblighi di rendicontazione.

 

Si afferma inoltre che il Commissario straordinario opera "fino alla scadenza dello stato di emergenza". In virtù della delibera del Consiglio dei ministri del 29 luglio 2020 lo stato di emergenza - già dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 e con scadenza originaria fissata al 31 luglio 2020 - è stato prorogato al 15 ottobre 2020.

Al riguardo si segnala che l'art. 122, co. 4, del D.L. 18/2020 - disposizione i cui effetti sono stati prorogati al 15 ottobre 2020 dall'art. 1, co. 3, del D.L. 83/2020 in corso di conversione - precisa invece che "il Commissario opera fino alla scadenza del predetto stato di emergenza e delle relative eventuali proroghe". Si valuti dunque una integrazione del testo.

 

Al riguardo, si ricorda peraltro che secondo l'art. 1, co. 1, del D.L. 19/2020 (L. 35/2020) - modificato dall'art. 1, co. 1, del D.L. 83/2020 facendo rinvio al n. 20 dell'allegato 1 del medesimo decreto-legge - per contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, possono essere adottate specifiche misure, per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 15 luglio 2020, termine dello stato di emergenza, e con possibilità di modularne l'applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l'andamento epidemiologico del predetto virus.

 

In ambito scolastico, il 9 luglio 2020 il Commissario straordinario ha già indetto una gara in procedura semplificata e di massima urgenza per l’acquisizione e la distribuzione di 2.000.000 kit rapidi qualitativi per l’effettuazione di test sierologici sull’intero territorio nazionale, prioritariamente destinati agli operatori scolastici.

Con ordinanza n. 17 del commissario straordinario 24 luglio 2020 il Ministero dell'istruzione è stato individuato quale soggetto attuatore incaricato di fornire  alla  Ragioneria  generale   dello Stato i dati relativi al personale docente e non docente delle scuole statali,  acquisendo  anche,  per quanto possibile, i  dati  relativi  al  personale  scolastico  della Regione Valle d'Aosta, delle Province autonome di Trento e Bolzano e al personale delle scuole paritarie, al fine di distribuire ai medici di base i kit sierologici necessari. In proposito si veda l'apposita pagina web sul sito del Ministero dell'istruzione.

 

Il 20 luglio 2020 il Commissario straordinario ha indetto una ulteriore gara (relativamente alla quale sono stati pubblicati anche due avvisi di rettifica il 24 luglio e il 28 luglio) in procedura aperta semplificata e di massima urgenza per l’acquisizione e la distribuzione di banchi scolastici e sedute attrezzate sull’intero territorio nazionale per un massimo tre milioni di banchi (fino a 1,5 milioni di banchi monoposto tradizionali e fino a 1,5 milioni di sedute attrezzate di tipo innovativo).

Nel corso dell'informativa urgente svolta il 28 luglio 2020 presso la Camera dei deputati, il Ministro dell'istruzione ha reso noto che al bando "hanno risposto 8.008 istituzioni scolastiche sulle 8.390 esistenti, praticamente quasi tutte. Gli istituti ci hanno chiesto 2,4 milioni di banchi, oltre 750.000 sono per la scuola primaria, dunque necessariamente banchi di tipo tradizionale, più adatti per i piccoli, mentre 1,7 milioni sono stati i banchi richiesti per le secondarie, di cui oltre uno su quattro di tipo innovativo".

Con nota prot. 1324 del 17 luglio 2020 il Ministero dell'istruzione aveva avviato una rilevazione dei fabbisogni di banchi monoposto, sedute standard e sedute didattiche di tipo innovativo, indicando il termine del 20 luglio 2020 per la risposta delle istituzioni scolastiche. Il termine era stato poi prorogato al 21 luglio 2020 con nota prot. 1326 del 18 luglio 2020.

 

La disposizione in commento stabilisce che il Commissario provvede nel limite delle risorse assegnate allo scopo con delibera del Consiglio dei ministri a valere sul Fondo per le emergenze nazionali di cui all’art. 44 del d.lgs. 1/2018, recante il Codice della protezione civile. Le risorse sono versate sull’apposita contabilità speciale intestata al Commissario.

Con la delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 di dichiarazione dello stato di emergenza sono stati stanziati 5 milioni di euro a valere sul Fondo per le emergenze nazionali. Con delibera 6 aprile 2020 e con delibera 20 aprile 2020 sono stati previsti ulteriori stanziamenti in favore del Commissario straordinario a valere sul suddetto Fondo, pari, rispettivamente, a 450 milioni di euro e a 900 milioni di euro. Successivamente, l'art. 18, co. 3, del D.L. 18/2020 ha incrementato, per l'anno 2020, il suddetto Fondo di 1.650 milioni di euro. L'art. 14, co. 1, del D.L. 34/2020 ha nuovamente incrementato, per l'anno 2020, il suddetto Fondo di 1.500 milioni di euro, di cui 1.000 milioni di euro da destinare agli interventi di competenza del Commissario straordinario per l'emergenza, da trasferire sull'apposita contabilità speciale ad esso intestata.

L'art. 34 del D.L. 104/2020 (A.S. 1925, in corso di conversione) ha incrementato di 580 milioni di euro per l'anno 2020 e di 300 milioni di euro per l'anno 2021, da destinare alle attività di cui all'art. 8, co. 8, in commento, ivi incluse quelle connesse all'avvio dell'anno scolastico 2020/2021. 

 

Si specifica poi che le procedure di affidamento dei contratti pubblici possono essere avviate dal Commissario anche precedentemente al trasferimento alla contabilità speciale delle suddette risorse.

 


 

Articolo 8, comma 9
(Piani di riorganizzazione della rete ospedaliera e della rete assistenziale territoriale)

 

 

Il comma 9 consente al Commissario straordinario, preposto al rafforzamento della risposta sanitaria all'emergenza da COVID-19, di avviare le procedure di affidamento dei contratti pubblici necessari per dare attuazione ai piani di riorganizzazione della rete ospedaliera e della rete assistenziale territoriale, anche prima che siano disponibili gli importi a tal fine autorizzati nella contabilità speciale intestata al medesimo Commissario straordinario.

 

L'articolo 122 del decreto-legge n. 18 del 2020 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2020) prevede la nomina di un Commissario straordinario per l'attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, definendone l'ambito delle competenze. La finalità è assicurare la più elevata risposta sanitaria all'emergenza.

Le competenze sono definite nel modo che segue:

§  organizzare, acquisire e produrre ogni genere di beni strumentali utili a contenere l'emergenza, nonché programmare e organizzare ogni attività connessa. Rientrano tra tali compiti: il reperimento delle risorse umane e strumentali necessarie; l'individuazione dei fabbisogni; l'acquisizione e distribuzione di farmaci, apparecchiature, dispositivi medici e di protezione individuale. Nell'esercizio di queste attività il Commissario può avvalersi di soggetti attuatori e di società in house nonché delle centrali di acquisto;

§  provvedere (raccordandosi con le regioni e le aziende sanitarie) al potenziamento della capienza delle strutture ospedaliere (anche mediante l'allocazione delle dotazioni infrastrutturali), con particolare riferimento ai reparti di terapia intensiva e sub-intensiva;

§  disporre la requisizione e la gestione di beni mobili, mobili registrati e immobili (anche tramite il Capo del Dipartimento per la protezione civile o se necessario ai prefetti territorialmente competenti);

§  adottare ogni intervento utile per preservare e potenziare le filiere produttive dei beni necessari per il contrasto e il contenimento dell’emergenza;

§  provvedere alla costruzione di nuovi stabilimenti - o alla riconversione di quelli esistenti tramite il commissariamento di rami d'azienda - per la produzione dei beni necessari per il contenimento, anche organizzando la raccolta di fondi occorrenti e definendo le modalità di acquisizione e di utilizzazione dei fondi privati destinati all’emergenza, organizzandone la raccolta e controllandone l’impiego;

§  organizzare e svolgere le attività propedeutiche alla concessione degli aiuti per far fronte all’emergenza sanitaria, da parte delle autorità competenti nazionali ed europee, nonché tutte le operazioni di controllo e di monitoraggio dell’attuazione delle misure;

§  provvedere alla gestione coordinata del Fondo di solidarietà dell’Unione europea (FSUE, di cui al regolamento (CE) 2012/2002) e delle risorse del Fondo di sviluppo e coesione destinato all’emergenza.

 

Per approfondimenti, v. il dossier, sull'A.C. 2463 (conversione del DL n. 18, ultima lettura parlamentare).

 

Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è stato nominato Commissario straordinario il dott. Domenico Arcuri (v. il Comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri sulla GU n. 73 del 20 marzo 2020).

 

Si ricorda che, in ragione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, l’articolo 1 del decreto-legge n. 34 del 2020 ("Decreto Rilancio", convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77 del 2020) prevede che, per il 2020, le regioni e le province autonome adottino piani di potenziamento e riorganizzazione della rete assistenziale, recanti specifiche misure di identificazione e gestione dei contatti con soggetti positivi al virus COVID-19 e di organizzazione dell'attività di sorveglianza attiva, indirizzate a un monitoraggio costante e a un tracciamento precoce dei casi positivi e dei suddetti contatti, ai fini della relativa identificazione, dell'isolamento e del trattamento.

L'articolo 2 dello stesso decreto-legge n. 34 del 2020 è inteso alla realizzazione di un rafforzamento strutturale della rete ospedaliera del Servizio sanitario nazionale, mediante l'adozione, da parte di ogni regione o provincia autonoma, di un piano di riorganizzazione stabile che garantisca l'incremento di attività in regime di ricovero in terapia intensiva e in aree di assistenza ad alta intensità di cure. In particolare, si prevede che: sia reso strutturale sul territorio nazionale un incremento nella misura di almeno 3.500 posti letto di terapia intensiva; le regioni e le province autonome programmino una riqualificazione di 4.225 posti letto di area semi-intensiva, con relativa dotazione impiantistica idonea a supportare le apparecchiature di ausilio alla ventilazione, prevedendo che tali postazioni siano fruibili sia in regime ordinario sia in regime di trattamento infettivologico ad alta intensità di cure; in via aggiuntiva, fino al 31 dicembre 2020 e in ogni caso per un periodo massimo di 4 mesi dalla data di attivazione, si rendano disponibili 300 posti letto di terapia intensiva, suddivisi in 4 strutture movimentabili, ciascuna delle quali dotata di 75 posti letto, da allocare in aree attrezzabili preventivamente individuate da parte di ciascuna regione e provincia autonoma.

Per approfondimenti, v. il dossier sull'A.S. 1874 (conversione del DL n. 34, ultima lettura parlamentare).

 

 


 

Articolo 8, commi 10 e 10-bis
(Validità dei documenti unici di regolarità contributiva e documento relativo alla congruità dell’incidenza della manodopera)

 

 

Il comma 10 dell'articolo 8 prevede che la proroga della validità dei documenti unici di regolarità contributiva - DURC, già stabilita dalla legislazione vigente per quelli in scadenza tra il 31 gennaio 2020 e il 31 luglio 2020, non sia applicabile quando sia richiesto di produrre il DURC - oppure di dichiararne il possesso o comunque quando sia necessario indicare, dichiarare o autocertificare la regolarità contributiva - ai fini della selezione del contraente o per la stipulazione del contratto relativamente a lavori, servizi o forniture previsti o in qualunque modo disciplinati dal presente decreto-legge.

Il comma 10-bis, introdotto dal Senato, prevede - per le procedure oggetto del codice dei contratti pubblici (di cui al d.lgs. n. 50 del 2016[13]) - che al DURC sia aggiunto il documento relativo alla congruità dell'incidenza della manodopera, con riferimento allo specifico intervento. La medesima disposizione demanda la definizione delle relative modalità di attuazione ad un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge. Sono fatte salve le procedure i cui bandi o avvisi siano pubblicati prima della data di entrata in vigore del decreto ministeriale summenzionato.

 

La proroga di validità del DURC a cui fa riferimento il comma 10 è posta dalla norma più ampia di cui all'art. 103, comma 2, del decreto-legge n. 18 del 2020 ("Cura Italia", convertito dalla legge n. 27 del 2020). Quest'ultima[14] prevede che tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi, comunque denominati, compresi i termini di inizio e di ultimazione dei lavori, in scadenza tra il 31 gennaio 2020 e il 31 luglio 2020, conservino la loro validità per i novanta giorni successivi alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19.

Si ricorda che quest'ultimo stato di emergenza è stato dichiarato fino al 31 luglio 2020 dalla delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 e successivamente esteso (con delibera del Consiglio dei Ministri del 29 luglio) fino al 15 ottobre 2020.

 

Si ricorda che l'art. 1, co. 1175, della legge finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006), ha disposto che, a decorrere dal 1° luglio 2007, i benefìci normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale sono subordinati al possesso, da parte dei datori di lavoro, del documento unico di regolarità contributiva, fermi restando gli altri obblighi di legge ed il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali, nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti.

Il D.M. 30 gennaio 2015, richiamato dal comma in esame, reca la disciplina relativa al DURC.

 

Riguardo al disposto di cui al comma 10-bis, si ricorda che l'art. 105, comma 16, del citato codice dei contratti pubblici già prevede (nell’ambito di un articolo che ha per oggetto prevalente i subappalti) che il documento unico di regolarità contributiva sia comprensivo della verifica della congruità dell’incidenza della manodopera relativa allo specifico contratto affidato; in base alla stessa norma, tale congruità, per i lavori edili, è verificata dalla cassa edile in base all'accordo assunto a livello nazionale tra le parti sociali firmatarie del contratto collettivo nazionale comparativamente più rappresentative per l'ambito del settore edile ed il Ministero del lavoro e delle politiche sociali; per i lavori non edili è verificata in comparazione con lo specifico contratto collettivo applicato.


 

Articolo 8, comma 11
(Regolamento attuativo settori difesa e sicurezza)

 

 

Il comma 11 dell'articolo 8 prevede che con regolamento, da emanarsi entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione, sia definita la disciplina esecutiva, attuativa e integrativa delle disposizioni concernenti le materie di cui al decreto legislativo n. 208 del 2011 relativo ai lavori, servizi e forniture nei settori della difesa e sicurezza. Il regolamento è adottato su proposta del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e acquisiti i pareri del Consiglio superiore dei lavori pubblici e del Consiglio di Stato.

 

Il comma 11 interviene sull’articolo 4 del decreto legislativo 15 novembre 2011, n. 208, che disciplina gli appalti nei settori della difesa e sicurezza, riscrivendone il comma 1.

 

Il decreto legislativo n. 208 del 2011 reca la Disciplina dei contratti pubblici relativi ai lavori, servizi e forniture nei settori della difesa e sicurezza, in attuazione della direttiva 2009/81/CE.

In particolare, l'art. 4, in materia di regolamenti, prevedeva che con D.P.R. (la norma prevedeva un regolamento, da emanarsi con decreto del Presidente della Repubblica, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo), su proposta del Ministro della difesa, di concerto con i Ministri per le politiche europee, degli affari esteri, delle infrastrutture e dei trasporti, dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze, acquisito il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, sentito il Consiglio di Stato, che si pronuncia entro quarantacinque giorni dalla richiesta, fosse definita la disciplina esecutiva e attuativa delle disposizioni concernenti le materie di cui all'articolo 2, comma 1, lettere a), c) ed e), (vedi infra) limitatamente agli istituti che richiedono una disciplina speciale rispetto a quella contenuta nei regolamenti di esecuzione previsti ai sensi delle disposizioni del codice. In attuazione di tale previsione, è stato adottato il D.P.R. 13 marzo 2013, n. 49, recante il Regolamento per la disciplina delle attività del Ministero della difesa in materia di lavori, servizi e forniture militari.

 

 

Il nuovo testo prevede che con regolamento, da emanarsi con decreto del Presidente della Repubblica, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione, su proposta del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, acquisiti i pareri del Consiglio superiore dei lavori pubblici e del Consiglio di Stato, che si pronuncia entro quarantacinque giorni dalla richiesta, sia definita la disciplina esecutiva, attuativa e integrativa delle disposizioni concernenti le materie di cui all'articolo 2, comma 1, lettere a), c) ed e), del D. Lgs. relativo ai lavori, servizi e forniture nei settori della difesa e sicurezza.

 

Si ricorda che l'art. 2 della normativa in questione in materia di finalità e ambito di applicazione, dispone che il decreto legislativo disciplini i contratti nei settori della difesa e della sicurezza, anche non militare, aventi per oggetto:

a) forniture di materiale militare e loro parti, di componenti o di sottoassiemi;

b) forniture di materiale sensibile e loro parti, di componenti o di sottoassiemi;

c) lavori, forniture e servizi direttamente correlati al materiale di cui alla lettera a), per ognuno e per tutti gli elementi del suo ciclo di vita;

d) lavori, forniture e servizi direttamente correlati al materiale di cui alla lettera b), per ognuno e per tutti gli elementi del suo ciclo di vita;

e) lavori e servizi per fini specificatamente militari;

f) lavori e servizi sensibili.

 

Rispetto al testo vigente prima del decreto-legge in esame, viene meno - nella nuova previsione - il concerto con i seguenti Ministri:

-        il Ministro per le politiche europee

-        il Ministro degli esteri

-        il Ministro dello sviluppo economico

-        il Ministro dell'economia e delle finanze.

Inoltre, il regolamento recherà non solo la disciplina esecutiva e attuativa - come già previsto - ma anche la disciplina integrativa delle disposizioni concernenti le materie di cui all'articolo 2, comma 1, lettere a), c) ed e), del D. Lgs. in parola.

La disposizione prevede che l'adozione di tale regolamentazione esecutiva, attuativa e integrativa sia anche "in relazione alle disposizioni del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, applicabili al presente decreto".

Si valuti l’opportunità di chiarire con riferimento a quali disposizioni del codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs 50/2016 il regolamento previsto dalla norma in esame può dettare una disciplina integrativa di norme di rango primario.


 

Articolo 8-bis
(Contratti pubblici degli enti ed aziende del Servizio sanitario della Regione Calabria)

 

 

L'articolo 8-bis, introdotto dal Senato, prevede una modifica di alcune norme transitorie in materia di appalti, servizi e forniture - relativi all'acquisizione di beni e servizi e all'affidamento di lavori di manutenzione - degli enti ed aziende del Servizio sanitario della Regione Calabria.

 

Le norme in esame concernono un periodo transitorio di diciotto mesi, che termina il 3 novembre 2020[15].

In particolare, il comma 1 dell'articolo 6 del D.L. 30 aprile 2019, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 giugno 2019, n. 60, prevede che, in tale periodo, gli enti ed aziende del Servizio sanitario della Regione Calabria si avvalgano esclusivamente degli strumenti di acquisto e di negoziazione, aventi ad oggetto beni, servizi e lavori di manutenzione, messi a disposizione da Consip S.p.A. nell'ambito del Programma di razionalizzazione degli acquisti della pubblica amministrazione ovvero, previa convenzione, di centrali di committenza di altre regioni per i contratti in esame, strumentali all'esercizio delle proprie funzioni, che siano superiori alle soglie di rilevanza comunitaria[16]. Resta ferma, in ogni caso, la facoltà di avvalersi del Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche per la Sicilia e la Calabria (del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti).

La novella di cui al presente articolo 8-bis sopprime l'ipotesi di ricorso alle centrali di committenza di altre regioni, sostituendola con la fattispecie di ricorso (sempre previa convenzione) alla centrale di committenza della Regione Calabria.

La norma vigente è intesa a porre come obbligatorio, per i casi suddetti, il ricorso, già possibile in base alla disciplina a regime[17], alla Consip S.p.A. o (previa convenzione) alle centrali di committenza di altre regioni. Si valuti l'opportunità di chiarire, con particolare riferimento a queste ultime centrali, gli effetti della novella.

 

Riguardo all'acquisto di beni e servizi, si ricorda che:

-        l'articolo 1, comma 449, della L. 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, prevede che gli enti ed aziende del Servizio sanitario nazionale siano tenuti ad utilizzare le convenzioni stipulate dalle centrali regionali di riferimento ovvero, qualora non siano operative convenzioni regionali, le convenzioni-quadro stipulate da Consip S.p.A.;

-        l'articolo 9, comma 3, del D.L. 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 giugno 2014, n. 89, e successive modificazioni, prevede che, con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, emanati secondo la procedura ivi stabilita, siano individuate le categorie di beni e di servizi nonché le soglie al superamento delle quali le amministrazioni ivi richiamate (tra cui gli enti ed aziende del Servizio sanitario nazionale) debbano ricorrere a Consip S.p.A. o ad altri soggetti aggregatori per lo svolgimento delle procedure di acquisto.

 


 

Articolo 9
(Misure di accelerazione degli interventi infrastrutturali - Commissari straordinari)

 

 

L’articolo 9, secondo le integrazioni approvate durante l'esame al Senato, reca una serie di disposizioni finalizzate: alla revisione, all’ampliamento e alla proroga della disciplina dei commissari previsti dal decreto “sblocca cantieri” (comma 1); alla ridefinizione delle possibilità di avvalimento per la progettazione e l’esecuzione di interventi di mitigazione del rischio idrogeologico (comma 2); all’attribuzione dei poteri dei commissari “sblocca cantieri” a tutti i commissari per opere pubbliche o infrastrutture, salvo alcune eccezioni indicate (comma 3). Sono altresì ampliati i poteri attribuiti al Commissario straordinario per la sicurezza del sistema idrico del Gran Sasso (comma 1-bis).

 

Disciplina dei commissari “sblocca cantieri” (comma 1)

 

Il comma 1 dell’articolo in esame apporta una serie di modifiche e integrazioni alla disciplina dei commissari straordinari introdotta dai commi 1-5 dell’art. 4 del D.L. 32/2019 (c.d. decreto sblocca cantieri).

L’art. 4, commi 1-5, del decreto-legge “sblocca cantieri” ha introdotto e disciplinato una procedura per l'individuazione degli interventi infrastrutturali ritenuti prioritari nonché per la nomina dei Commissari straordinari onde garantirne la celere realizzazione. In particolare, il comma 1 del citato articolo prevede che l'individuazione degli interventi infrastrutturali ritenuti prioritari avvenga con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministro dell'economia e delle finanze e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari) e che, per tali interventi, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministro dell'economia e delle finanze, dispone la nomina di uno o più Commissari straordinari. Lo stesso comma consente altresì l'emanazione di ulteriori D.P.C.M., con le stesse modalità testè richiamate ed entro il 31 dicembre 2020, con cui il Presidente del Consiglio dei ministri può individuare ulteriori interventi prioritari per i quali disporre la nomina di Commissari straordinari.

I poteri e le attribuzioni dei Commissari sono disciplinati dai successivi commi 2-5. Il comma 2, in particolare, consente ai Commissari di derogare, per l'approvazione dei progetti, a norme di natura amministrativa, fatte salve quelle inerenti alle discipline di natura ambientale e di tutela dei beni culturali, mentre il comma 3 dispone, tra l’altro, che, per l'esecuzione degli interventi, i Commissari straordinari possono essere abilitati ad assumere direttamente le funzioni di stazione appaltante e operano in deroga alle disposizioni di legge in materia di contratti pubblici, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'UE.

Il comma 4 prevede, tra l’altro, che i Commissari straordinari operino in raccordo con InvestItalia, anche con riferimento alla sicurezza delle dighe e delle infrastrutture idriche, e trasmettano al CIPE, in relazione ai progetti approvati, il cronoprogramma dei lavori e il relativo stato di avanzamento. Lo stesso comma estende le modalità e le deroghe previste (fatta eccezione per i procedimenti di tutela di beni culturali e paesaggistici) anche agli interventi dei Commissari straordinari per il dissesto idrogeologico in attuazione del Piano nazionale contro il dissesto, di cui al D.P.C.M. 20 febbraio 2019, e ai Commissari per l'attuazione degli interventi idrici di cui all'art. 1, comma 153, della legge 145/2018.

Il comma 5 prevede che, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri sono stabiliti i termini, le modalità, le tempistiche, l'eventuale supporto tecnico, le attività connesse alla realizzazione dell'opera, e il compenso per i Commissari straordinari, i cui oneri sono posti a carico dei quadri economici degli interventi da realizzare o completare. Lo stesso comma prevede che i compensi dei Commissari sono stabiliti in misura non superiore a quella indicata all'art. 15, comma 3, del D.L. 98/2011 e che gli stessi commissari possono avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di strutture dell'amministrazione centrale o territoriale interessata nonché di società controllate dallo Stato o dalle Regioni.

 

 

La lettera a) del comma 1 provvede a riscrivere il comma 1 dell’art. 4 del D.L. 32/2019, ove viene disciplinata la procedura per addivenire all’individuazione degli interventi da commissariare e alla nomina dei relativi commissari, al fine di prevedere:

·     la proroga dei termini per l’emanazione dei decreti di individuazione degli interventi e di nomina dei relativi commissari;

Il termine per l’emanazione dei primi decreti di domina, scaduto inutilmente nel dicembre 2019 (vale a dire centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 32/2019), viene differito al 31 dicembre 2020, mentre il termine per l’adozione di ulteriori decreti di nomina, fissato al 31 dicembre 2020[18], viene prorogato al 30 giugno 2021.

·     la modifica degli interventi infrastrutturali oggetto di commissariamento;

A differenza del testo previgente, che prevede la nomina di commissari straordinari per gli interventi infrastrutturali ritenuti prioritari, il nuovo testo risultante dalla riscrittura operata dalla lettera in esame fa riferimento agli interventi infrastrutturali caratterizzati da un elevato grado di complessità progettuale, da una particolare difficoltà esecutiva o attuativa, da complessità delle procedure tecnico-amministrative o comportanti un rilevante impatto sul tessuto socio-economico a livello nazionale, regionale o locale, per la cui realizzazione o il cui completamento si rende necessaria la nomina di uno o più Commissari straordinari.

Si fa notare che nella seduta dell’Assemblea del Senato del 13 febbraio 2020, in risposta all'interrogazione 3-01385, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ha evidenziato che “lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di individuazione delle opere da commissariare e di nomina dei commissari è stato già predisposto e nei prossimi giorni sarà inviato alla Presidenza del Consiglio dei ministri per il relativo iter previsto dalla legge” e che tale decreto riguarda “ventuno opere prioritarie che, per la complessità delle procedure o per i riflessi sul territorio nonché per le implicazioni occupazionali, richiedono una gestione commissariale speciale capace di accelerarne la realizzazione. Si tratta di sette opere in ambito ferroviario; otto opere in ambito idrico, di cui cinque per la messa in sicurezza e tre per il completamento delle opere idriche; e sei per le opere infrastrutturali stradali”.

Lo stesso Ministro, in risposta all’interrogazione 3-01500, nella seduta dell’Assemblea della Camera del 29 aprile 2020, ha affermato di aver “proposto nel prossimo decreto-legge in materia di semplificazioni apposite misure di accelerazione della spesa, che prevedono anche l'individuazione di 29 opere, che sono però caratterizzate non tanto da una priorità, perché le opere strategiche sono tutte in corso e, peraltro, in molti casi, in stato avanzato, ma sono caratterizzate da un elevato grado di complessità progettuale, da una particolare difficoltà esecutiva o attuativa oppure da complessità delle procedure tecnico-amministrative, con rilevante impatto sul tessuto socio-economico del territorio.”

·     l’eliminazione dell’obbligatorietà del parere delle Commissioni parlamentari;
Viene infatti previsto che tale parere deve essere reso entro 20 giorni (termine risultante dalla modifica approvata nel corso dell’esame al Senato, che incrementa di 5 giorni il termine previsto dal testo iniziale del presente decreto-legge) dalla richiesta e che, decorso inutilmente tale termine, si prescinde dall’acquisizione del parere stesso.

·     l’intesa con il Presidente della Regione interessata, al fine dell’adozione dei succitati decreti di nomina, nel caso di interventi infrastrutturali di rilevanza esclusivamente regionale o locale.

Si fa notare che tale disposizione consente di accogliere quanto richiesto dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome con l’ordine del giorno approvato nella seduta del 25 luglio 2019. Con tale ordine del giorno la Conferenza ha ribadito “la richiesta di riconoscere i Presidenti di Regioni quali commissari straordinari” e “comunque la necessità che le singole Regioni siano debitamente coinvolte nella nomina dei commissari straordinari di cui all’”art.4 del D.L. 18 aprile 2019, n. 32”.

·     l’identificazione degli interventi di cui all’art. 4 del D.L. 32/2019 con i corrispondenti codici unici di progetto (CUP) relativi all’opera principale e agli interventi ad essa collegati.

Il Codice Unico di Progetto (CUP) è il codice che identifica un progetto d’investimento pubblico ed è lo strumento cardine per il funzionamento del Sistema di Monitoraggio degli Investimenti Pubblici (MIP).

L’art. 11 della legge 3/2003 prevede l’obbligatorietà del CUP per “ogni nuovo progetto di investimento pubblico, nonché ogni progetto in corso di attuazione”.

 

Nel corso dell’esame al Senato, la lettera in esame è stata integrata con l’aggiunta di un periodo volto a prevedere che il Commissario Straordinario nominato provvede alla convocazione, prima dell'avvio degli interventi, delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale.

 

 

La lettera b) del comma 1 provvede a riscrivere il comma 3 dell’art. 4 del D.L. 32/2019, ove sono disciplinati i poteri attribuiti ai commissari, al fine di:

·     limitare i poteri di deroga in materia di contratti pubblici. Viene infatti precisato che la possibilità, per i commissari, di operare in deroga alle disposizioni di legge in materia di contratti pubblici (già contemplata dal testo previgente), non può pregiudicare il rispetto dei seguenti principi previsti dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici):

-   i principi per l'aggiudicazione e l'esecuzione di appalti e concessioni fissati dall’art. 30;

-   i criteri di sostenibilità energetica e ambientale contemplati dall’art. 34;

-   le disposizioni sui conflitti di interesse recate dall’art. 42.

Viene inoltre confermato, quale limite da non oltrepassare nell’operare in deroga alla normativa sui contratti pubblici, quanto già previsto dal testo previgente in relazione alle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione.

·     precisare, in relazione ai vincoli derivanti dal diritto europeo, che non è sufficiente rispettare i vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'UE (come previsto dal testo previgente) ma occorre anche rispettare quelli derivanti dalle direttive europee in materia di appalti (vale a dire le direttive nn. 2014/24/UE e 2014/25/UE) e le norme in materia di subappalto;

·     prevedere che, per l’esercizio delle funzioni di stazione appaltante (già attribuite ai commissari dal testo previgente e confermate dalla riscrittura in esame) con i poteri derogatori testé menzionati, i commissari straordinari provvedono anche a mezzo di ordinanze.

 

 

La lettera c) del comma 1 introduce un nuovo comma 3-bis all’art. 4 del D.L. 32/2019, al fine di:

·     autorizzare l’apertura di apposite contabilità speciali intestate ai commissari, su cui confluiscono le risorse per le spese di funzionamento e di realizzazione degli interventi nel caso svolgano le funzioni di stazione appaltante;

Si fa notare che tale disposizione è analoga a quella introdotta dall’art. 16, comma 1-bis, del D.L. 162/2019. La richiamata disposizione, al fine di consentire l'immediata operatività dei Commissari straordinari nominati ai sensi dell'articolo 4 del D.L. 32/2019, ha infatti previsto che con il decreto di nomina di ciascun Commissario straordinario (verificata la sussistenza dei requisiti di cui all'articolo 44-ter, comma 8, della legge 31 dicembre 2009, n. 196) è autorizzata l'apertura di apposita contabilità speciale intestata al Commissario straordinario, nella quale confluiscono le risorse allo stesso assegnate.

Ciò premesso, si valuti l’opportunità di un coordinamento delle disposizioni in questione.

·     introdurre una serie di disposizioni di carattere contabile, in base alle quali:
- il Commissario predispone e aggiorna, mediante apposito sistema reso disponibile dal Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, il cronoprogramma dei pagamenti degli interventi in base al quale le amministrazioni competenti, ciascuna per la parte di propria competenza, assumono gli impegni pluriennali di spesa a valere sugli stanziamenti iscritti in bilancio riguardanti il trasferimento di risorse alle contabilità speciali;
- conseguentemente il Commissario, nei limiti delle risorse impegnate in bilancio, può avviare le procedure di affidamento dei contratti anche nelle more del trasferimento delle risorse sulla contabilità speciale.
- gli impegni pluriennali possono essere annualmente rimodulati con la legge di bilancio in relazione agli aggiornamenti del cronoprogramma dei pagamenti nel rispetto dei saldi di finanza pubblica.

 
- le risorse destinate alla realizzazione degli interventi sono trasferite, previa tempestiva richiesta del Commissario alle amministrazioni competenti, sulla contabilità speciale sulla base degli stati di avanzamento dell’intervento comunicati al Commissario;

·     introdurre una serie di disposizioni volte a regolare il controllo dei provvedimenti e dell’attività dei commissari.

Il nuovo comma 3-bis prevede infatti la sottoposizione al controllo preventivo della Corte dei conti, nonché alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, dei provvedimenti di natura regolatoria, ad esclusione di quelli di natura gestionale, adottati dai commissari.

 

Il controllo preventivo di legittimità, rappresenta un’attività volta a verificare la conformità dell’agire provvedimentale della pubblica amministrazione rispetto a parametri di legalità. Nel controllo preventivo, tale verifica interviene in una fase antecedente alla produzione degli effetti dell’atto e il cui esito determina, in caso positivo, la registrazione dell’atto con apposizione del visto e, in caso negativo, la ricusazione del visto. Dal momento dell’apposizione del visto e della registrazione (anche con riserva) l’atto acquista efficacia, cioè produce effetti giuridici.

Quanto all’ambito di applicazione oggettivo, l’articolo 100, comma secondo, della Costituzione, attribuisce alla Corte dei conti il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo. La Corte dei conti, in base alla Costituzione, accerta che gli atti soggetti a controllo siano conformi a norme di legge, in particolare a quelle del bilancio.

Con la riforma del sistema dei controlli introdotta dalla legge n. 20/1994 il legislatore ha previsto un’elencazione tassativa degli atti dell’Esecutivo da assoggettare a controllo preventivo di legittimità (art. 3, comma 1). Successive norme speciali hanno esteso l’ambito di applicazione del controllo per singole tipologie di atti.

 

Viene altresì prevista l’applicazione dell'articolo 3, comma 1-bis, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 e il dimezzamento dei termini di cui all'articolo 27, comma 1, della legge 24 novembre 2000, n. 340.

Viene inoltre stabilito che, in ogni caso, durante lo svolgimento della fase del controllo, l'organo emanante può, con motivazione espressa, dichiararli provvisoriamente efficaci, esecutori ed esecutivi, a norma degli articoli 21-bis, 21-ter e 21-quater, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.

 

La disposizione richiama le relative norme della legge generale sul procedimento amministrativo (L. 241 del 1990):

-        l’articolo 21-bis sull’efficacia, cioè la possibilità di produrre gli effetti giuridici;

-        l’articolo 21-ter sull’esecutorietà, ossia la capacità dell’atto amministrativo di imporsi unilateralmente nella sfera giuridica dei terzi, anche con l’eventuale impiego di mezzi coattivi;

-        l’articolo 21-quater sull’esecutività, che rappresenta la possibilità di porre in essere le attività materiali che danno esecuzione al provvedimento.

 

L’ultimo periodo del comma aggiuntivo di cui trattasi dispone che il monitoraggio degli interventi effettuati dai Commissari straordinari avviene sulla base di quanto disposto dal d.lgs. 229/2011, recante norme in materia di procedure di monitoraggio sullo stato di attuazione delle opere pubbliche, di verifica dell'utilizzo dei finanziamenti nei tempi previsti e costituzione del Fondo opere e del Fondo progetti.

 

La lettera d) del comma 1 riscrive il comma 4 dell’art. 4 del D.L. 32/2019, al fine di:

·     imporre ai commissari non solo la trasmissione al CIPE dei progetti approvati, del cronoprogramma dei lavori e del relativo stato di avanzamento, come già previsto dal testo previgente, ma anche del quadro economico degli interventi;

·     precisare che la trasmissione di tali informazioni deve avvenire per il tramite del Ministero competente;

·     precisare altresì che le informazioni citate devono essere rilevate attraverso il sistema di monitoraggio di cui al d.lgs. n. 229 del 2011;

·     modificare la disposizione, contenuta nell’ultimo periodo del comma 4, che nel testo previgente estende l’applicazione delle modalità e delle deroghe previste dal comma 2 (ad eccezione di quanto ivi previsto per i procedimenti relativi alla tutela di beni culturali e paesaggistici) e dal comma 3, anche agli interventi dei Commissari straordinari per il dissesto idrogeologico, di cui al D.P.C.M. 20 febbraio 2019 (v. infra), e ai Commissari per l'attuazione degli interventi idrici di cui all'articolo 1, comma 153, della legge 145/2018.
Una prima modifica è volta a precisare che l’estensione opera anche riguardo a quanto stabilito dal nuovo comma 3-bis, nonché relativamente alla possibilità di avvalersi di assistenza tecnica nell’ambito del quadro economico dell’opera.
Una seconda modifica è invece volta ad ampliare il novero dei commissari beneficiari dell’estensione di poteri e facoltà di cui trattasi, includendovi anche:
- il Commissario unico nazionale per la depurazione di cui all’art. 2, comma 1, del D.L. 243/2016 e all’art. 5, comma 6, del D.L. 111/2019;
Con il D.P.C.M. 26 aprile 2017, emanato ai sensi dell'art. 2 del D.L. 243/2016, il prof. Enrico Rolle è stato nominato Commissario straordinario unico per il coordinamento e la realizzazione degli interventi funzionali a garantire l'adeguamento, nel minor tempo possibile, alle sentenze di condanna della Corte di giustizia dell'UE in materia di collettamento, fognatura e depurazione delle acque reflue. Successivamente, l’art. 4-septies, comma 1, del D.L. 32/2019 (cd. “sblocca cantieri”), al fine di evitare l'aggravamento delle procedure di infrazione in corso nella stessa materia (n. 2014/2059 e n. 2017/2181), ha attribuito al Commissario unico compiti di coordinamento e realizzazione di interventi funzionali volti a garantire l'adeguamento, nel minor tempo possibile, alla normativa dell'Unione europea dei siti indicati dalle due nuove procedure di infrazione.

L’art. 5, comma 6, del D.L. 111/2019, ha poi previsto la nomina, con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di un nuovo Commissario unico – al fine di accelerare la progettazione e la realizzazione degli interventi di collettamento, fognatura e depurazione di cui all’art. 2 del D.L. 243/2016 e degli ulteriori interventi previsti all’art. 4-septies, comma 1, del D.L. 32/2019 – che subentra in tutte le situazioni giuridiche attive e passive del precedente Commissario nominato con il citato D.P.C.M. 26 aprile 2017, che cessa dal proprio incarico alla data di nomina del nuovo Commissario.

In attuazione di tale disposizione è stato emanato il D.P.C.M. 11 maggio 2020, con cui si è provveduto alla nomina del prof. Maurizio Giugni a commissario unico e di Stefano Vaccari e Riccardo Costanza a subcommissari.

- i Commissari per la bonifica dei siti di interesse nazionale (SIN) di cui all’art. 252 del d.lgs. 152/2006 (c.d. Codice dell’ambiente).

L’art. 252 del D.Lgs. 152/2006 disciplina l'individuazione dei siti inquinati di interesse nazionale (SIN), per i quali la procedura di bonifica adottata è quella ordinaria, come prevede l'art. 242 del medesimo decreto, con la competenza in capo al Ministero dell'ambiente, sentito il Ministero dello sviluppo economico. Il numero dei SIN, in seguito all'approvazione del comma 245 della legge di stabilità 2018 (L. 205/2017), che ha qualificato come sito di interesse nazionale il sito Officina Grande Riparazione ETR di Bologna, è pari a 41.

Nella relazione sulle bonifiche nei siti di interesse nazionale, approvata nella scorsa legislatura dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (Doc. XXIII, n. 50), per ogni SIN è presente una scheda informativa che dà conto, tra l’altro, dell’eventuale nomina di commissari.

 

Un’ulteriore modifica, introdotta nel corso dell’esame al Senato, prevede che i poteri derogatori poc’anzi illustrati possono essere esercitati per tutti gli interventi dei Commissari straordinari per il dissesto idrogeologico e non solo (come prevede il testo attualmente vigente) per gli interventi attuativi del Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale, di cui al D.P.C.M. 20 febbraio 2019.

Si ricorda che con il D.P.C.M. 20 febbraio 2019 è stato approvato il Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale (c.d. ProteggItalia). Tale decreto non prevede la nomina di commissari straordinari ma fa rifermento ai commissari già previsti dalla normativa precedente (vale a dire i Presidenti delle Regioni, subentrati ai precedenti Commissari in virtù dell’art. 10, comma 1, del D.L. 91/2014).

 

 

La lettera e) del comma 1 riscrive il comma 5 dell’art. 4 del D.L. 32/2019 – che nel testo previgente demanda ad uno più D.P.C.M. la definizione dei termini, delle modalità, delle tempistiche, dell'eventuale supporto tecnico, delle attività connesse alla realizzazione dell'opera e del compenso per i commissari straordinari, e precisa che i relativi oneri sono posti a carico dei quadri economici degli interventi – al fine di:

·     precisare che i decreti in questione sono gli stessi decreti di nomina previsti e disciplinati dal comma 1;

·     stabilire che nei citati decreti deve essere indicata la quota percentuale del quadro economico degli interventi eventualmente da destinare alle spese di supporto tecnico e al compenso per i commissari;

·     modificare la parte della disposizione che prevede che i commissari possono avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di strutture dell'amministrazione centrale o territoriale interessata nonché di società controllate dallo Stato o dalle Regioni, al fine di:
- precisare che tale avvalimento è possibile per il supporto tecnico e le attività connesse alla realizzazione dell’opera;
- stabilire che i commissari possono avvalersi anche di società controllate da “amministrazioni pubbliche” (come definite dall’art. 1, comma 2, della legge 196/2009), nonché, in virtù di una modifica approvata nel corso dell’esame al Senato, dell’Unità Tecnica-Amministrativa istituita dall'art. 15 dell'O.P.C.M. n. 3920/2011 (vale a dire dell'Unità istituita presso il Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, onde provvedere a misure di carattere straordinario ed urgente, a seguito della frana nel territorio di Montaguto, in provincia di Avellino, nonché all'adempimento di alcuni dei compiti già posti in capo alle unità “stralcio” ed “operativa”, istituite dal D.L. 195/2009 per la chiusura dell'emergenza rifiuti in Campania[19]);
- precisare che il controllo societario (da parte dello Stato, delle Regioni o delle amministrazioni pubbliche) può essere diretto o indiretto;
- precisare che gli oneri per l’avvalimento sono posti a carico dei quadri economici degli interventi da realizzare o completare nell’ambito della percentuale definita come sopra;

·     introdurre una disposizione che consente ai Commissari straordinari di provvedere alla nomina di un sub-commissario e che ne disciplina il relativo compenso, prevedendo che lo stesso (in linea con quanto già previsto dal testo previgente per i commissari) non può superare la misura prevista dall’art. 15, comma 3, del D.L. 98/2011 ed è posto a carico del quadro economico dell’intervento da realizzare, nell’ambito della quota percentuale di cui sopra.

 

Poteri attribuiti al Commissario straordinario per la sicurezza del sistema idrico del Gran Sasso (comma 1-bis)

Il comma 1-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, prevede che al Commissario straordinario per la sicurezza del sistema idrico del Gran Sasso (disciplinato dall’art. 4-ter del D.L. 32/2019):

- sono attribuiti i poteri derogatori previsti dai commi 2, 3, 3-bis e 5 dell’art. 4 del D.L. 32/2019, di cui si è dato conto in precedenza;

- si applicano, altresì, le disposizioni di cui all'art. 10, comma 5, del D.L. 91/2014.

Si ricorda che l’art. 10 disciplina l’attività e le facoltà attribuite ai Presidenti delle regioni nella loro veste di commissari straordinari delegati per il sollecito espletamento delle procedure relative alla realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico individuati negli accordi di programma sottoscritti tra il Ministero dell'ambiente e le regioni stesse. Il comma 5 di tale articolo dispone che nell'esercizio di tali funzioni, il Presidente della regione è titolare dei procedimenti di approvazione e autorizzazione dei progetti, si avvale di poteri di sostituzione e di deroga, ed emana gli atti e i provvedimenti e cura tutte le attività di competenza delle amministrazioni pubbliche, necessari alla realizzazione degli interventi, nel rispetto degli obblighi internazionali e di quelli derivanti dall'appartenenza all'UE.

 

 

Possibilità di avvalimento per la progettazione e l’esecuzione di interventi di mitigazione del rischio idrogeologico (comma 2)

 

Il comma 2 reca una modifica puntuale al comma 4 dell’art. 7 del D.L. 133/2014 – che consente ai Presidenti delle Regioni di avvalersi di vari soggetti (v. infra) per lo svolgimento di attività di progettazione ed esecuzione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico previsti dagli accordi di programma stipulati ai sensi dell’art. 2, comma 240, della legge 191/2009 – volta ad estendere tale facoltà di avvalimento anche alle medesime attività (di progettazione ed esecuzione) relative ad interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, comunque finanziati a valere su risorse finanziarie nazionali, europee e regionali.

Il testo previgente del comma 4 prevede che i Presidenti delle Regioni – per lo svolgimento di attività di progettazione ed esecuzione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico di cui agli accordi di programma stipulati con le Regioni ai sensi dell'articolo 2, comma 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e nell'esercizio dei poteri di cui all'articolo 10 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 – possono richiedere di avvalersi, sulla base di apposite convenzioni per la disciplina dei relativi rapporti, di tutti i soggetti pubblici e privati, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica prescritte dal codice dei contratti pubblici, ivi comprese società in house delle amministrazioni centrali dello Stato dotate di specifica competenza tecnica, attraverso i Ministeri competenti che esercitano il controllo analogo sulle rispettive società.

Si ricorda che l’art. 10 del D.L. 91/2014 ha, tra l’altro, disposto il subentro dei Presidenti delle Regioni relativamente al territorio di competenza nelle funzioni dei commissari straordinari delegati per il sollecito espletamento delle procedure relative alla realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico individuati negli accordi di programma sottoscritti tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni ai sensi dell'art. 2, comma 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e nella titolarità delle relative contabilità speciali.

 

Attribuzione dei poteri dei commissari “sblocca cantieri” a tutti i commissari per opere pubbliche o infrastrutture (comma 3, periodi primo e quarto)

 

Il primo periodo del comma 3 reca una disposizione volta a garantire l’uniformità nelle gestioni commissariali finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche o interventi infrastrutturali assicurando, al contempo, la riduzione dei relativi tempi di esecuzione.

A tal fine viene disposta l’applicazione dei poteri commissariali previsti dai commi 2 e 3 dell’art. 4 del decreto “sblocca cantieri” (D.L. 32/2019) a tutti i commissari nominati per la predetta finalità sulla base di specifiche norme di legge.

 

L’attribuzione di poteri disposta dalla disposizione in esame opera a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e fino all’ultimazione degli interventi medesimi.

 

Il quarto periodo del comma in esame, introdotto durante l'esame al Senato, limita i poteri derogatori attribuiti ai Commissari nei confronti della disciplina sui contratti pubblici recata dal Codice di cui al D.Lgs. 50/2016 (v. supra), introducendo una norma che riproduce esattamente il disposto dell’art. 95, comma 3, del Codice medesimo.

Tale norma prevede che sono aggiudicati esclusivamente sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, i contratti relativi ai servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale, scolastica, nonché ai servizi ad alta intensità di manodopera (come descritti dall'art. 50, comma 1, del Codice), fatti salvi gli affidamenti ai sensi dell'art. 36, comma 2, lettera a), del medesimo Codice.

Si ricorda che l'art. 50, comma 1, ultimo periodo, del D.Lgs. 50/2016, precisa che i servizi ad alta intensità di manodopera sono “quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell'importo totale del contratto”.

La lettera a) del comma 2 dell’art. 36 del medesimo decreto prevede invece che (ferme restando le norme sulla qualificazione delle stazioni appaltanti e la centralizzazione delle committenze, e salva la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie) le stazioni appaltanti procedono all'affidamento di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea, “per affidamenti di importo inferiore a 40.000 euro, mediante affidamento diretto anche senza previa consultazione di due o più operatori economici o per i lavori in amministrazione diretta”.

 

Commissari esclusi dalla disciplina dello “sblocca cantieri” (comma 3, periodi secondo e terzo)

In base al disposto del secondo periodo del comma 3, sono esclusi dall’applicazione dell’art. 4 del D.L. 32/2019:

-     i commissari nominati con ordinanze di protezione civile;

Si ricorda che l’art. 25, comma 7, del D. Lgs. 1/208 (Codice della protezione civile) dispone che per coordinare l'attuazione delle ordinanze di protezione civile, con i medesimi provvedimenti possono essere nominati commissari delegati che operano in regime straordinario fino alla scadenza dello stato di emergenza di rilievo nazionale.

-     i commissari straordinari del Governo;

L’art. 11 della L. 400/1988 prevede che, al fine di realizzare specifici obiettivi determinati in relazione a programmi o indirizzi deliberati dal Parlamento o dal Consiglio dei ministri o per particolari e temporanee esigenze di coordinamento operativo tra amministrazioni statali, può procedersi alla nomina di commissari straordinari del Governo, ferme restando le attribuzioni dei Ministeri, fissate per legge. Alla nomina si provvede con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri.

-     il Commissario per la ricostruzione del “ponte Morandi”;

L’art. 1 del D.L. 109/2018, in conseguenza del crollo di un tratto del viadotto Polcevera dell'autostrada A10, nel Comune di Genova, noto come ponte Morandi, avvenuto il 14 agosto 2018, al fine di garantire, in via d'urgenza, le attività per la demolizione, la rimozione, lo smaltimento e il conferimento in discarica dei materiali di risulta, nonché per la progettazione, l'affidamento e la ricostruzione dell'infrastruttura e il ripristino del connesso sistema viario, ha previsto la nomina, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di un Commissario straordinario per la ricostruzione. Tale nomina è stata disposta con il D.P.C.M. 4 ottobre 2018 e prorogata con il D.P.C.M. 30 settembre 2019.

-    i commissari per l’edilizia scolastica di cui all’art. 7-ter del D.L. 22/2020;

    In base a tale norma, al fine di garantire la rapida esecuzione di interventi di edilizia scolastica, anche in relazione all'emergenza da COVID-19, fino al 31 dicembre 2020 i sindaci e i presidenti delle province e delle città metropolitane operano, nel rispetto dei princìpi derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea, con una serie di poteri, ivi inclusi i poteri dei commissari di cui all'articolo 4, commi 2 e 3, del D.L. 32/2019.

- i commissari straordinari nominati per l’attuazione di interventi di ricostruzione a seguito di eventi calamitosi.

Il terzo periodo del comma in esame precisa però che resta comunque fermo quanto previsto dall’articolo 11 del presente decreto-legge, per l’accelerazione e la semplificazione della ricostruzione pubblica nelle aree colpite da eventi sismici.

 


 

Articolo 10
(Semplificazioni ed altre misure in materia edilizia)

 

 

L’articolo 10 – nel testo risultante dalle modifiche apportate nel corso dell’esame al Senato – novella in più punti il Testo unico dell’edilizia e detta ulteriori disposizioni in materia edilizia.

Il comma 1, in particolare, reca una serie di modifiche al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico dell’edilizia) finalizzate a semplificare le procedure edilizie e assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo. In sintesi, le modifiche sono volte a:

§  incentivare gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici, nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti, rimuovendo per essi il vincolo del medesimo sedime e della medesima sagoma, e stabilendo che gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito;

§  prevedere che, nelle zone A e in quelle ad esse assimilabili, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione sono consentiti esclusivamente nell’ambito di piani urbanistici di recupero e di riqualificazione, fatte salve le previsioni dei vigenti strumenti di pianificazione territoriale, paesaggistica e urbanistica;

§  ridefinire gli interventi di manutenzione straordinaria e di ristrutturazione edilizia, prevedendo, tra l’altro, che nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono comprese anche le modifiche ai prospetti degli edifici legittimamente realizzati, salvo che per gli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio e per quelli ubicati nelle zone omogenee A ed assimilate;

§  precisare che non rientrano nella categoria degli interventi di nuova costruzione le tende e le unità abitative mobili collocate in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti a condizione che tali strutture non posseggano alcun collegamento di natura permanente al terreno;

§  favorire le attività di edilizia libera con riferimento alle strutture leggere destinate ad essere rimosse alla fine del loro utilizzo;

§  modificare la disciplina in materia di documentazione amministrativa attestante lo stato legittimo dell’immobile;

§  modificare la disciplina in materia di interventi subordinati a permesso di costruire espungendo il riferimento alle modifiche dei prospetti e qualificando come interventi di ristrutturazione edilizia subordinati a permesso di costruire i soli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino modifiche della volumetria complessiva dell’edificio;

§  apportare modifiche in materia di permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici, contributo straordinario per il rilascio del permesso di costruire, formazione del silenzio assenso sulla domanda di permesso di costruire, interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio attività, mutamento d’uso urbanisticamente rilevante, usi temporanei di aree ed immobili dimessi per finalità di rigenerazione urbana, segnalazione certificata ai fini dell’agibilità, nonché in materia di parziali difformità e tolleranze costruttive, vigilanza sulle costruzioni in zone sismiche e sull’osservanza delle norme tecniche.

I commi da 2 a 7-bis recano, poi, ulteriori disposizioni non in novella al Testo unico dell’edilizia concernenti:

§  una norma di interpretazione autentica in materia di altezza minima e requisiti igienico-sanitari dei locali di abitazione;

§  opere edilizie in regime di comunione e condominio;

§  proroga dei termini di inizio e ultimazione dei lavori;

§  proroga dei termini previsti dalle convenzioni di lottizzazione;

§  posa in opera di elementi o strutture amovibili;

§  rilascio del titolo edilizio per la concessione dei contributi nei territori colpiti dagli eventi sismici in Italia centrale del 2016;

§  norme in materia di Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa;

§  conformità dei lavori pubblici finanziati prevalentemente dallo Stato alle norme tecniche sulle costruzioni;

§  semplificazione dei titoli edilizi per la realizzazione o riqualificazione di infrastrutture sociali.

 

 

Novelle al Testo unico dell’edilizia (comma 1)

 

L’articolo 10, comma 1, come modificato dal Senato, reca una serie di modifiche al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) volte a semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonché assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo.

La relazione illustrativa evidenzia che “le misure di semplificazione sono indispensabili per rimettere in moto l’edilizia con positivi effetti sull’occupazione anche dei settori ad essa collegati (ceramica, legno, impiantistica, serramenti ecc.), senza aumentare il consumo del suolo e agevolando gli interventi di ristrutturazione, manutenzione straordinaria, demolizione e ricostruzione” e pone in risalto la finalità di rilanciare il settore edilizio attraverso “una nuova disciplina del governo del territorio che finalmente orienti i piani urbanistici alla rigenerazione in luogo dell’espansione”, riducendo la complessità e i tempi di esame dei relativi procedimenti e creando “nuove opportunità di operare sugli edifici che non presentino un valore storico artistico o testimoniale e che siano caratterizzati piuttosto da una scadente qualità architettonica e da insufficienti requisiti energetici, di sicurezza sismica, igienico sanitari, ecc.”. In tale ottica – aggiunge la relazione illustrativa – “si possono individuare tre principali filoni di intervento: a) la rivisitazione della definizione degli interventi edilizi sul patrimonio edilizio esistente, ed in particolare della manutenzione straordinaria, della ristrutturazione edilizia e degli interventi realizzabili con il permesso di costruire in deroga, agendo sui requisiti, limiti e condizioni che li connotano; b) la certezza del formarsi del silenzio assenso nonché una nuova modalità di verifica dell’agibilità degli immobili, non a seguito di lavori edilizi; c) la disciplina della valutazione dello stato legittimo del patrimonio edilizio, chiarendo innanzitutto significato e portata di tale verifica preventiva, attualmente prevista dalla modulistica unificata ma non definita e regolata dal Testo unico. Si specifica inoltre che costituiscono tolleranze esecutive le irregolarità geometriche e dimensionali di minima entità, la diversa collocazione di impianti e opere interne e le modifiche alle finiture degli edifici, eseguite durante i lavori per l'attuazione di titoli abilitativi edilizi, a condizione che non comportino violazione della disciplina dell'attività edilizia e non pregiudichino l'agibilità dell'immobile”.

Si segnala che il tema della modifica complessiva del Testo unico dell’edilizia è stato, da ultimo, oggetto della risposta del sottosegretario per le infrastrutture e i trasporti Salvatore Margiotta alla interrogazione a risposta immediata Braga 5-04100 svolta nella VIII Commissione della Camera nella seduta del 10 giugno 2020. In tale occasione, il rappresentante del Governo ha fatto presente che l’apposito tavolo tecnico istituito presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici ha già predisposto una bozza dell’intero provvedimento e che l’ultimazione del testo si dovrebbe concludere entro il mese di luglio.

 

Si illustrano, di seguito, nel dettaglio, le novelle al Testo unico dell’edilizia recate dal comma 1 della disposizione in esame (per le quali si rinvia anche al testo a fronte riportato in calce alla presente scheda di lettura).

 

Modifiche in materia di deroghe ai limiti di distanza tra fabbricati e di altezza (comma 1, lettera a)

 

Il comma 1, lettera a), modificato dal Senato, riscrive il comma 1-ter dell’art. 2-bis del D.P.R. 380/2001, che reca la disciplina delle deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati.

Il primo periodo del nuovo comma 1-ter stabilisce, rispetto alla formulazione previgente, che, nei casi di interventi che comportino la demolizione e ricostruzione di edifici e fermo restando (come già previsto dalla norma previgente) che la ricostruzione è comunque consentita nell’osservanza delle distanze legittimamente preesistenti, non è più richiesto il rispetto:

§  del vincolo del medesimo sedime

§  e del vincolo della medesima sagoma.

Si fa notare che in base all’allegato A all’Intesa ai sensi dell’art. 8, comma 6, della legge n. 131/2003 tra il Governo, le Regioni e i Comuni concernente l’adozione del regolamento edilizio-tipo di cui all’art. 4, comma 1-sexies, del D.P.R. 380/2001 (pubblicata nella G. U. del 16 novembre 2016) la sagoma è “la conformazione planivolumetrica della costruzione fuori terra nel suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali, nonché gli aggetti e gli sporti superiori a 1,50 m.”.

La norma precisa che il rispetto delle distanze legittimamente preesistenti è condizione sufficiente per consentire gli interventi di demolizione e ricostruzione anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini.

La relazione illustrativa sottolinea che la disposizione “affronta una delle limitazioni normative che riducono grandemente la possibilità di operare significativi interventi di rigenerazione urbana nei tessuti urbani consolidati, a causa della difficoltà ad osservare i limiti di distanza tra edifici e pareti finestrate e di altezza stabiliti dal DM n. 1444 del 1968”.

Si ricorda che il comma 1-ter dell’art. 2-bis del D.P.R. 380/2001, nel testo da ultimo modificato dal D.L. 32/2019, convertito, con modificazioni, dalla L. 55/2019 (c.d. decreto “sblocca cantieri”), prevede che in ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest'ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo.

Si ricorda, inoltre, che ai sensi del previgente art. 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. 380/2001 (anch’esso oggetto di novella da parte della disposizione in esame: v. infra), tra gli interventi di sostituzione edilizia erano considerati interventi di ristrutturazione edilizia solo quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione.

In materia di limiti di distanza tra fabbricati, la disciplina generale è contenuta nell’art. 9 (Limiti di distanza tra i fabbricati) del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 prevede che le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:

1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale;

2) nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;

3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima   pari   all'altezza del fabbricato più alto; la norma si  applica  anche  quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per  uno sviluppo superiore a ml. 12.

Le distanze minime tra fabbricati - tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) - debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:

  ml. 5 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7;

  ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;

  ml. 10 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.

Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.

 

Il secondo periodo del nuovo comma 1-ter dispone, poi, che gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti:

§  con ampliamenti fuori sagoma;

§  e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito.

Negli ultimi anni sono stati diverse le misure legislative statali che hanno disposto la possibilità per le regioni di consentire con proprie leggi interventi di ristrutturazione ricostruttiva con ampliamenti volumetrici, concessi quale misura premiale per la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente. Si ricorda, al riguardo, il cd. “piano casa”, misura straordinaria di rilancio del mercato edilizio contenuta nell’art. 11 del D.L. 112/2008 (convertito, con modificazioni, nella L. 133/2008), il cui art. 11, comma 5, lettera b), prevedeva, in particolare, la possibilità di “incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di servizi, spazi pubblici e di miglioramento della qualità urbana, nel rispetto delle aree necessarie per le superfici minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444”. Successivamente, nel 2011, con l’art. 5, comma 9, del D.L. 70/2011 ha espressamente autorizzato le regioni a introdurre normative che disciplinassero interventi di ristrutturazione ricostruttiva con ampliamenti volumetrici, concessi quale misura premiale per la razionalizzazione del patrimonio edilizio, eventualmente anche con delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse e con esclusione degli edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta. Peraltro, con l’art. 5, comma 1, lettera b), del D.L. 32/2019 (cd. decreto “sblocca cantieri”) è stato poi modificato il comma 1-ter all’art. 2-bis del D.P.R. 380/2001 nel senso di imporre, per la ristrutturazione edilizia cd. “ricostruttiva”, il generalizzato limite volumetrico e il vincolo dell’area di sedime, che ora sono superati con le modifiche recate dalla norma in esame. Per una ricostruzione dei profili di costituzionalità della materia con riferimento alla disciplina previgente, si veda la sent. n. 70/2020 della Corte costituzionale, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge regionale Puglia n. 59 del 2018 (sul cd. “Piano Casa Puglia”).

Si fa notare che il comma 1 dell’art. 2-bis del D.P.R. 380/2001 – nel testo previgente alla norma in esame – dispone che, ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al D.M. 1444/1968,  e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell'ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali. Il comma 1-bis – introdotto dal D.L. 32/2019 – specifica che le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i comuni nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio.

Si ricorda, inoltre, che i limiti di altezza massima degli edifici per le diverse zone territoriali omogenee sono stabiliti dall’art. 8 del DM 1444/1968.

Ciò premesso, si valuti l’opportunità di chiarire se la possibilità di superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito comporti anche la possibilità di derogare ai limiti di altezza stabiliti per le diverse zone territoriali dal DM 1444/1968, considerato che il secondo periodo del nuovo comma 1-ter si limita a prescrivere, per gli incentivi volumetrici in questione, il solo rispetto delle distanze legittimamente preesistenti.

 

Il terzo periodo del nuovo comma 1-tercome modificato dal Senato – stabilisce che, nelle zone di seguito elencate, gli interventi di demolizione e ricostruzione sono consentiti esclusivamente nell’ambito di piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati, di competenza comunale, fatti salvi le previsioni dei vigenti strumenti di pianificazione territoriale, paesaggistica e urbanistica e i pareri degli enti preposti alla tutela:

§  zone omogenee A di cui al D.M. 1444/1968;

§  zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali;

§  centri e nuclei storici consolidati;

§  e ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico.

Si ricorda che ai sensi dell’art. 2 del D.M. 1444/1968 sono considerate zone omogenee territoriali A) le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi.

Si osserva che, a fini di chiarezza della disposizione, andrebbero precisate le modalità di individuazione degli “ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico”, con particolare riferimento alla possibilità che tali ambiti siano riconosciuti in zone omogenee diverse dalle zone A).

 

 

Modifiche in materia di definizione degli interventi di manutenzione straordinaria e di ristrutturazione edilizia (comma 1, lettera b))

 

Il comma 1, lettera b), modifica in più punti l’art. 3 del D.P.R. 380/2001, recante la definizione degli interventi edilizi. In particolare, vengono modificate le definizioni di “manutenzione straordinaria” e di “ristrutturazione edilizia” (contenute, rispettivamente, nelle lettere b) e d) del comma 1 del citato art. 3) – ossia delle categorie di intervento edilizio più direttamente funzionali alle operazioni di recupero e riqualificazione tipiche dei processi di rigenerazione urbana – con l’obiettivo di ampliarne l’ambito applicativo.

Si ricorda che, a norma del previgente art. 3, comma 1, lettera b), del D.P.R. 380/2001 costituiscono "interventi di manutenzione straordinaria" le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso. Nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione di uso.

Ai sensi della previgente lettera d) del citato art. 3, comma 1, sono invece "interventi di ristrutturazione edilizia" quegli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.

Tali interventi, ai sensi dell'art. 22 del D.P.R. 380/2001, sono realizzabili mediante SCIA. E' invece necessario il permesso di costruire (in virtù del disposto dell'art. 10, comma 1, lettera c), del medesimo decreto) o una super-SCIA (in base al disposto dell'art. 23, comma 01) nei casi di "interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42".

 

Più nel dettaglio, il comma 1, lettera b), numero 1, della norma in esame – intervenendo sulla definizione di manutenzione straordinaria di cui all’art. 3, comma 1, lettera b), del D.P.R. 380/2001 – restringe l’ambito di applicazione della previsione secondo cui sono comunque vietati interventi di manutenzione straordinaria che comportino modifiche alle destinazioni d’uso, stabilendo che detti interventi non devono comportare mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso implicanti incremento del carico urbanistico (e dunque ammettendo la possibilità di interventi di manutenzione straordinaria che comportino invece modifiche alle destinazioni d’uso urbanisticamente non rilevanti).

La relazione illustrativa evidenzia che la modifica all’art. 3, comma 1, lettera b), del D.P.R. 380/2001 “costituisce norma di coordinamento rispetto alle previsioni di cui all'art. 23-ter (introdotto dall’art. 17, comma 1, lettera n), del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133)” e che essa è finalizzata a superare l’attuale previsione “che rende incompatibile con gli interventi di manutenzione straordinaria qualsiasi mutamento d’uso, e sostituendola con il riferimento al mutamento d’uso che risulti urbanisticamente rilevante, secondo la definizione di cui al citato articolo 23-ter e sempre che tale passaggio ad una diversa categoria funzionale comporti un aumento del carico urbanistico”.

Si ricorda che il mutamento di destinazione d'uso di un immobile è considerato urbanisticamente rilevante (indipendentemente dal fatto che avvenga con o senza opere a tanto preordinate) quando comporta un cambio di destinazione tra diverse categorie edilizie e, come tale, necessita quindi di un titolo edilizio abilitativo.

L'art. 23-ter del D.P.R. 380/2001 dispone che, salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa, da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle di seguito elencate: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale. Il richiamo alle leggi regionali tiene conto del disposto dell'art. 10 del medesimo Testo unico, ove, tra l'altro, si assoggettano a permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A (ossia, in base all'art. 2 del D.M. 1444/1968, nelle parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti), comportino mutamenti della destinazione d'uso e si dispone che "le regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a segnalazione certificata di inizio attività". Lo stesso articolo, al comma 3, dispone che "le regioni possono altresì individuare con legge ulteriori interventi che, in relazione all'incidenza sul territorio e sul carico urbanistico, sono sottoposti al preventivo rilascio del permesso di costruire".

 

Il comma 1, lettera b), numero 1, aggiunge poi, dopo il secondo periodo dell’art. 3, comma 1, lettera b), del D.P.R. 380/2001, un ulteriore periodo volto a specificare che nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono comprese anche le modifiche ai prospetti degli edifici legittimamente realizzati purché tali modifiche rispettino le seguenti condizioni:

§  siano necessarie per mantenere o acquisire l’agibilità dell’edificio ovvero per l’accesso allo stesso;

§  non pregiudichino il decoro architettonico dell’edificio;

§  l’intervento risulti conforme alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia;

§  e non abbia ad oggetto immobili sottoposti a tutela ai sensi del D.Lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).

La disciplina in materia di tutela dei beni immobili dichiarati di interesse culturale è dettata dagli articoli 10, 13 e 136 del D.Lgs, n. 42/2004. Per i profili che qui interessano, si segnala inoltre che l'art. 142, comma 2, del D.Lgs. n. 42/2004 (rubricato "Aree tutelate per legge") prevede che non rientrano tra le aree tutelate per legge ai sensi del comma 1 quelle che alla data del 6 settembre 1985: a) erano delimitate negli strumenti urbanistici, ai sensi del DM n. 1444/1968, come zone territoriali omogenee A e B (ossia le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante delle stesse, e le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A); b) erano delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del DM n. 1444/1968, come zone territoriali omogenee diverse dalle zone A e B, limitatamente alle parti di esse ricomprese in piani pluriennali di attuazione, a condizione che le relative previsioni siano state concretamente realizzate; le aree che, nei comuni sprovvisti di tali strumenti, ricadevano nei centri edificati perimetrati ai sensi dell'art. 18 della L. 865/1971.

Di rilievo, ai fini della norma in esame, anche la previsione recata dal comma 9 dell'art. 143 del D.Lgs. 42/2004 in base alla quale a far data dall'adozione del piano paesaggistico non sono consentiti, sugli immobili e nelle aree di cui all'art. 134, interventi in contrasto con le prescrizioni di tutela previste nel piano stesso. A far data dalla approvazione del piano le relative previsioni e prescrizioni sono immediatamente cogenti e prevalenti sulle previsioni dei piani territoriali ed urbanistici. Il principio di prevalenza delle previsioni dei piani paesaggistici su quelle contenute negli strumenti urbanistici è, inoltre, ribadito nel comma 3 dell'art. 145 del Codice dei beni culturali.

A favore della riconducibilità delle modifiche ai prospetti (ossia alle aperture sulla sagoma del fabbricato e sulle pareti esterne dello stesso) alla categoria della manutenzione straordinaria (con esclusione, quindi, della necessità del permesso di costruire) si veda Consiglio di Stato, Sez. VI, sent. n. 3370/2018.

 

Il comma 1, lettera b), numero 2, modificato dal Senato, estende, poi, l’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia anche agli interventi:

 

·       di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche;

La relazione illustrativa sottolinea che tale modifica è volta a “consolidare quanto stabilito dal legislatore con il decreto  legislativo 27 dicembre 2002, n. 301 e con il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 (ma che è stato disconosciuto da talune posizioni giurisprudenziali anche recenti), vale a dire che gli interventi di ristrutturazione ricostruttiva possono prevedere che l’edificio da riedificare presenti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche differenti rispetto a quello originario”.

·       e con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’installazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico.

 

La disposizione in esame mantiene, inoltre, la previsione già vigente secondo cui costituiscono ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza (nuovo quinto periodo della lettera d) ed introduce, nella medesima lettera d), due nuovi periodi volti a prevedere:

·       la possibilità, per gli interventi di ristrutturazione edilizia, di incrementi di volumetria ove espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana (nuovo quarto periodo della lettera d);

·       che gli interventi di demolizione e ricostruzione e di ripristino di edifici crollati o demoliti effettuati sugli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, su quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al D.M. 1444/1968 o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico (in coerenza con la modifica al comma 1-ter dell’art. 2-bis descritta supra) possono considerarsi di ristrutturazione edilizia (e non richiedono dunque il permesso di costruire) a condizione che, oltre al mantenimento della medesima sagoma (condizione già contemplata dalla disciplina previgente), sia previsto anche il mantenimento di prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria (nuovo sesto periodo della lettera d).

 

 

Modifiche in materia di attività edilizia libera (comma 1, lettera c))

 

Il comma 1, lettera c), sostituisce la lettera e-bis) del comma 1 dell’art. 6 del D.P.R. 380/2001, recante la disciplina dell’attività edilizia libera fornendo una nuova e più ampia classificazione, quali attività ricadenti in regime di edilizia libera, delle strutture leggere destinate ad essere rimosse alla fine del loro utilizzo.

Si ricorda che l’art. 6, comma 1, del D.P.R. 380/2001, nel far salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, prevede che sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo una serie di interventi rientranti nella tipologia della manutenzione ordinaria (ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera a), del medesimo Testo unico) e dei lavori accessori (ad es. installazione delle pompe di calore di potenza termica utile nominale inferiore a 12 Kw, eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell'edificio, opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo, installazione di  pannelli solari, fotovoltaici, a servizio degli edifici, da realizzare al di fuori della zona A di cui al DM 1444/1968, aree ludiche, elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici, ecc.).

Il citato art. 6 stabilisce altresì che le regioni a statuto ordinario possono estendere la disciplina di cui al presente articolo a interventi edilizi ulteriori rispetto a quelli previsti dal comma 1, esclusi gli interventi di cui all'art. 10, comma 1, soggetti a permesso di costruire e gli interventi di cui all'art. 23, soggetti a segnalazione certificata di inizio attività in alternativa al permesso di costruire, e disciplinano con legge le modalità per l'effettuazione dei controlli.

 

In particolare, la norma in esame:

§  aggiunge le opere stagionali a quelle – già previste nella formulazione previgente -  dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità;

§  innalza da novanta a centottanta giorni il termine entro cui le opere in questione devono essere comunque immediatamente rimosse una volta cessata la temporanea necessità, previa comunicazione di avvio dei lavori all'amministrazione comunale, precisando altresì che detto termine è comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto.

La relazione illustrativa segnala “l’importanza che queste strutture amovibili assumono per talune importanti attività che si svolgono soprattutto nella stagione estiva (bar, trattorie, stabilimenti balneari) e la necessità che la realizzazione e la rimozione di dette strutture sia puntualmente regolamentata dalla legge piuttosto che affidata alla valutazione del singolo Comune, in carenza di una disciplina univoca”.

 

 

Modifiche in materia di documentazione amministrativa (comma 1, lettera d))

 

Il comma 1, lettera d), interviene sull’art. 9-bis del D.P.R. 380/2001.

L’art. 9-bis, nel testo previgente al provvedimento in esame, è rubricato “Documentazione amministrativa” e si compone di un solo comma a norma del quale ai fini della presentazione, del rilascio o della formazione dei titoli abilitativi previsti dal presente testo unico, le amministrazioni sono tenute ad acquisire d'ufficio i documenti, le informazioni e i dati, compresi quelli catastali, che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni e non possono richiedere attestazioni, comunque denominate, o perizie sulla veridicità e sull'autenticità di tali documenti, informazioni e dati.

Il comma 1, lettera d), numero 1, modificato dal Senato, aggiunge il comma 1-bis, il quale prevede che lo stato legittimo dell'immobile o dell'unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o (sulla base di un’integrazione approvata al Senato) che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali.

In base alla disposizione in commento, pertanto, lo stato legittimo di un immobile è stabilito non più, alternativamente, dal titolo abilitativo originario ovvero dal titolo relativo all’ultimo intervento edilizio effettuato sull’immobile (come previsto dal testo iniziale del provvedimento in esame) bensì da entrambi detti titoli.

Nella relazione illustrativa si evidenzia che la norma introduce “per la prima volta la definizione di stato legittimo, utilizzata tradizionalmente per la verifica della legittimità dell’immobile, oggetto di intervento edilizio o di alienazione” e che essa “risulta quanto mai opportuna per chiarire l’ambito di dette verifiche e, di conseguenza, anche per perseguire gli abusi”.

Il secondo periodo del nuovo comma 1-bis precisa, poi, che per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Le disposizioni di cui al secondo periodo si applicano altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia.

La relazione illustrativa fa presente che la fattispecie di cui al secondo periodo del nuovo comma 1-bis, relativa al ricorso alle risultanze catastali e ad altre documentazioni di archivio, “era stata già individuata nella modulistica unificata statale e delle regioni”.

 

Conseguentemente, il comma 1, lettera d), numero 2, provvede a modificare la rubrica dell’art. 9-bis inserendovi il riferimento allo “stato legittimo degli immobili”.

 

 

Modifiche in materia di interventi subordinati a permesso di costruire (comma 1, lettera e))

 

Il comma 1, lettera e), sostituisce la lettera c) del comma 1 dell’art. 10 del D.P.R. 380/2001, che definisce gli interventi di ristrutturazione edilizia soggetti a permesso di costruire.

Ai sensi dell'art. 10 del D.P.R n. 380/2001, nel testo previgente al provvedimento in esame, sono soggetti a permesso di costruire:

a)     gli interventi di nuova costruzione;

b)     gli interventi di ristrutturazione urbanistica;

c)     gli interventi di ristrutturazione edilizia.

In particolare la lettera c), nel testo previgente, definisce gli interventi di ristrutturazione edilizia soggetti a permesso di costruire gli interventi “che portinoad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni”.

 

La nuova formulazione della lettera c) introdotta dalla norma in esame si distingue da quella previgente sotto due profili:

·       espungendo il riferimento alle modifiche dei prospetti contenuto nel testo previgente, qualifica come interventi di ristrutturazione edilizia subordinati a permesso di costruire i soli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino modifiche della volumetria complessiva dell’edificio; la modifica comporta, quindi, che gli interventi di sola modifica dei prospetti non sono più assoggettati a permesso di costruire (ma al diverso titolo abilitativo della SCIA, ai sensi dell'art. 22 del D.P.R. 380/2001);

·       con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, inserisce tra gli interventi di ristrutturazione edilizia subordinati a permesso di costruire anche gli interventi che comportino modificazioni della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti (oltre a quelli, già previsti nella previgente formulazione, che comportino modificazioni della sagoma).

La relazione illustrativa sottolinea che “la novella è volta innanzitutto a specificare che sono subordinati a permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione edilizia che presentino entrambi i seguenti requisiti: la previsione di opere ‘di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente’ e la circostanza che tali opere comportino anche una delle modifiche di particolare rilevanza ivi elencate. Si tratta di una precisazione che era stata introdotta già dal d.lgs. n. 301 del 2002, la cui formulazione tuttavia lasciava adito a differenti interpretazioni, che continuano a considerare sufficiente la presenza di una delle modifiche edilizie qualificate di particolare rilevanza. L’intervento normativo intende dunque ribadire e rendere univoca, dal punto di vista testuale, la citata disposizione legislativa del 2002”.

 

 

Modifiche in materia di permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici (comma 1, lettera f))

 

Il comma 1, lettera f), modificato dal Senato, interviene in novella all’art 14 del D.P.R. 380/2001 in materia di permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici.

L’art. 14, comma 1, del D.P.R. 380/2001 dispone che il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel D. Lgs. 490/1999 (che recava il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, e abrogato dall’art. 184 del D. Lgs. 42/2004, cui pertanto il rinvio deve intendersi ora effettuato), e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia.

Il comma 1-bis – nel testo previgente alla modifica in esame – dispone che  per gli interventi di ristrutturazione edilizia, attuati anche in aree industriali dismesse, è ammessa la richiesta di permesso di costruire anche in deroga alle destinazioni d'uso, previa deliberazione del consiglio comunale che ne attesta l'interesse pubblico, a condizione che il mutamento di destinazione d'uso non comporti un aumento della superficie coperta prima dell'intervento di ristrutturazione, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'art. 31, comma 2, del D.L. 201/2011 (li quale dispone che, secondo la disciplina dell'Unione europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali).

Ai sensi del comma 3 del citato art. 14, la deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, nonché, nei casi di cui al comma 1-bis, le destinazioni d'uso, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444.

 

Una prima modifica recata dal comma 1, lettera f), numero 1, consiste nella modifica del comma 1-bis (inserito dall'art. 17, comma 1, lettera e), n. 1), del D.L. 133/2014) al fine di prevedere che per gli interventi di ristrutturazione edilizia la richiesta di permesso di costruire in deroga è ammessa previa deliberazione del consiglio comunale che ne attesta l'interesse pubblico e comunque – come precisato dal Senato –  limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell’insediamento, fermo restando (previsione, questa, già presente nel testo previgente), nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'art. 31, comma 2, del D.L. 201/2011.

 

La seconda modifica – introdotta dal comma 1, lettera f), numero 2 – riguarda il comma 3 dell’art. 14, ove la previsione che la deroga può riguardare le destinazioni d’uso viene adeguata alla modifica apportata al comma 1-bis, nel senso di stabilire che la deroga può riguardare il mutamento di destinazioni d’uso ammissibili (e non solo, come nel testo previgente, i mutamenti che non comportino un aumento della superficie coperta prima dell’intervento di ristrutturazione).

 

 

Modifiche in materia di contributo straordinario per il rilascio del permesso di costruire (comma 1, lettera g))

 

Il comma 1, lettera g), apporta una modifica puntuale alla lettera d-ter) del comma 4, dell’art. 16 del D.P.R. 380/2001, recante la disciplina del contributo per il rilascio del permesso di costruire, finalizzata ad escludere il cambio di destinazione d’uso dai fattori determinativi del maggior valore generato dall’intervento edilizio di cui si debba tener conto ai fini della determinazione del contributo straordinario.

La relazione illustrativa segnala in proposito che “il mero cambio d’uso tra quelli considerati ammissibili dal piano urbanistico generale non presenta (…) tale carattere di attribuzione straordinaria di valore immobiliare”.

Si ricorda che il rilascio del permesso di costruire da parte di una amministrazione comunale comporta per il privato "la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione" (art. 16, comma 1, del D.P.R. 380/2001).

Gli oneri di urbanizzazione sono dovuti "in ragione dell'obbligo del privato di partecipare ai costi delle opere di trasformazione del territorio" (Consiglio di Stato, Sez. V, 23 gennaio 2006, n. 159). Tali oneri - il cui importo è definito con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni in relazione ai parametri definiti dal comma 4 del citato art. 16 - si distinguono in:

·       oneri di urbanizzazione primaria, ovvero relativi a realizzazione di strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell'energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato, cavedi multiservizi e cavidotti per il passaggio di reti di telecomunicazioni;

·       oneri di urbanizzazione secondaria, finalizzati alla realizzazione di asili nido e scuole, mercati di quartiere, delegazioni comunali, edifici religiosi, impianti sportivi di quartiere, aree verdi di quartiere, centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie.

Ai sensi dell’art. 16 del D.P.R. 380/2001 la quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio del permesso di costruire, è corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, e sulla base degli importi definiti periodicamente dalle regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata.

La lettera d-ter) del comma 4 dell'art. 16 del D.P.R. 380/2001 (introdotta dal D.L. 133/2014 ed oggetto di modifica da parte della norma in esame) prevede, tra i parametri ai quali le regioni devono attenersi nella determinazione delle tabelle parametriche per l'incidenza degli oneri di urbanizzazione, il criterio di calcolo secondo cui gli oneri di urbanizzazione sono determinati anche in relazione "alla valutazione del maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d'uso". Tale maggior valore è calcolato dall'amministrazione comunale e “viene suddiviso in misura non inferiore al 50 per cento tra il comune e la parte privata e da quest'ultima versato al comune stesso sotto forma di contributo straordinario, che attesta l'interesse pubblico vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui ricade l'intervento, cessione di aree o immobili da destinare a servizi di pubblica utilità, edilizia residenziale sociale od opere pubbliche". La citata disposizione prevede, inoltre, che sono fatte salve le diverse disposizioni delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici generali comunali con riferimento al valore di tale contributo.

 

In virtù della modifica recata dalla norma in esame, pertanto, per il calcolo del contributo straordinario di cui all’art. 16, comma 4, lettera d-ter), non è più considerato il maggior valore dell’area o dell’immobile generato da un cambio di destinazione d’uso.

La modifica appare, quindi, collegata alle previsioni, illustrate in precedenza, volte a introdurre semplificazioni nei mutamenti delle destinazioni d’uso.

 

 

Modifiche in materia di riduzione o esonero dal contributo di costruzione (comma 1, lettera h))

Il comma 1, lettera h), modifica il comma 4-bis dell’art. 14 del D.P.R. 380/2001, in materia di riduzione o esonero dal contributo di costruzione.

In particolare, le modifiche al comma 4-bis concernono:

§  la previsione che la riduzione del venti per cento del contributo di costruzione è finalizzata ad agevolare gli interventi di rigenerazione urbana (mentre nel testo previgente la finalità era quella di agevolare gli interventi di “densificazione edilizia”) nonché, in base all’integrazione approvata al Senato, di decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo;

§  la estensione dei casi di riduzione del contributo di costruzione a tutti gli interventi di rigenerazione urbana e non solo, come previsto nella formulazione previgente, alle nuove costruzioni nei casi non interessati da varianti urbanistiche, deroghe o cambi di destinazione d'uso comportanti maggior valore rispetto alla destinazione originaria;

§  il riconoscimento ai comuni della facoltà di deliberare ulteriori riduzioni del contributo di costruzione, fino alla completa esenzione dallo stesso.

Nella relazione illustrativa si legge che “la disposizione è tesa a riferire più correttamente questo beneficio agli interventi di rigenerazione urbana, eliminando talune imprecisioni dell’attuale testo, che ne impediscono o limitano l’utilizzo”.

Si ricorda che, in base al testo previgente del comma 4-bis, ai comuni è rimesso soltanto il compito di definire i criteri e le modalità applicative per l'applicazione della riduzione prevista dalla medesima disposizione, senza facoltà di deliberare ulteriori riduzioni o esenzioni. 

La relazione tecnica chiarisce che la riduzione del contributo di costruzione in misura non inferiore al 20 per cento è già prevista a legislazione vigente e la norma in esame, pertanto, “non introduce riduzioni del contributo e non necessita di risorse finanziare per la sua copertura”.

 

 

Modifiche in materia di formazione del silenzio assenso sulla domanda di permesso di costruire (comma 1, lettera i)

 

Il comma 1, lettera i), aggiunge un periodo finale al comma 8 dell’art. 20 del D.P.R. 380/2001 volto a prevedere il rilascio d’ufficio dell’attestazione dell’avvenuta formazione del silenzio assenso da parte dello sportello unico edilizia (SUE).

Si ricorda che il comma 8 dell’art. 20 dispone che, decorso inutilmente il termine per l'adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell'ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all'assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui agli articoli 14 e seguenti della L. 241/1990.

Il periodo aggiuntivo introdotto dalla norma in esame stabilisce, in particolare, che, fermi restando gli effetti comunque prodotti dal silenzio, lo sportello unico per l’edilizia rilascia anche in via telematica, entro quindici giorni dalla richiesta dell’interessato, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento, in assenza di richieste di integrazione documentale o istruttorie inevase e di provvedimenti di diniego; altrimenti, nello stesso termine, comunica all’interessato che tali atti sono intervenuti.

 

 

Modifica alla disciplina degli interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio di attività (comma 1, lettera l))

 

Il comma 1, lettera l), modifica l’art. 22, comma 1, lettera a), del D.P.R. 380/2001 includendo gli interventi di manutenzione straordinaria relativi ai prospetti tra quelli realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività.

Si ricorda che ai sensi del comma 1 del citato art. 22, nel testo previgente alla modifica in esame, sono realizzabili mediante SCIA (di cui all'art. 19 della L. 241/1990), nonché in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente:

a) gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'art. 3, comma 1, lettera b), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio;

b) gli interventi di restauro e di risanamento conservativo di cui all'art. 3, comma 1, lettera c), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio;

c) gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 3, comma 1, lettera d), diversi da quelli indicati nell'art. 10, comma 1, lettera c).

A norma dei successivi commi 2 e 2-bis, sono, altresì, realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del D. Lgs. 42/2004 e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire, nonché le varianti a permessi di costruire che non configurano una variazione essenziale, a condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie e siano attuate dopo l'acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore.

In virtù della modifica recata dal comma 1, lettera b), n. 1 all’art. 3, comma 1, lettera b), del D.P.R. 380/2001 (su cui v. supra), gli interventi di manutenzione straordinaria relativi ai prospetti realizzabili mediante SCIA sono quelli  necessari per mantenere o acquisire l’agibilità dell’edificio ovvero per l’accesso allo stesso, che non pregiudichino il decoro architettonico dell’edificio, purché l’intervento risulti conforme alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia e non abbia ad oggetto immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

 

Modifica in materia di mutamento d’uso urbanisticamente rilevante (comma 1, lettera m))

 

Il comma 1, lettera m), modifica il comma 2 dell’art. 23-ter del D.P.R. 380/2001, che detta la definizione di destinazione d’uso.

Il comma 1 del citato art. 23-ter stabilisce che, salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa, da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle di seguito elencate: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale.

In particolare, la norma in esame sostituisce, al comma 2 dell’art. 23-ter, il riferimento, quale criterio di determinazione della destinazione d’uso di un fabbricato o di una unità immobiliare, alla destinazione “prevalente in termini di superficie utile” con quello alla destinazione “stabilita dalla documentazione di cui all’articolo 9-bis, comma 1-bis, la quale in forza della modifica operata dal comma 1, lettera b), n. 1 (su cui v. supra) – è rappresentata dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o da quello che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali ovvero, nei casi di immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, dalle informazioni catastali e da ogni altro documento probante (quali riprese fotografiche, estratti cartografici, documenti d’archivio ecc.).

 

 

Usi temporanei di aree ed immobili (comma 1, lettera m-bis)

 

Il comma 1, lettera m-bis), introdotto nel corso dell’esame al Senato, inserisce nel D.P.R. 380/2001 l’art. 23-quater, concernente la disciplina degli usi temporanei di edifici ed aree.

Nel dettaglio, il comma 1 del nuovo art. 23-quater prevede che il comune può consentire l'utilizzazione temporanea di edifici ed aree per usi diversi da quelli previsti dal vigente strumento urbanistico allo scopo di attivare processi di rigenerazione urbana, di riqualificazione di aree urbane degradate, di recupero e valorizzazione di immobili e spazi urbani dismessi o in via di dismissione e favorire, nel contempo, lo sviluppo di iniziative economiche, sociali, culturali o di recupero ambientale.

Il comma 2 precisa che l’uso temporaneo può riguardare:

§  immobili legittimamente esistenti;

§  ed aree sia di proprietà privata che di proprietà pubblica;

§  purché si tratti di iniziative di rilevante interesse pubblico o generale correlate agli obiettivi urbanistici, socio-economici ed ambientali indicati al comma 1.

Il comma 3 del nuovo art. 23-quater definisce i contenuti della convenzione che disciplina l’uso temporaneo, prevedendo che essa debba regolare:

§  la durata dell'uso temporaneo e le eventuali modalità di proroga;

§  le modalità di utilizzo temporaneo degli immobili e delle aree;

§  le modalità, i costi, gli oneri e le tempistiche per il ripristino una volta giunti alla scadenza della convenzione;

§  le garanzie e le penali per eventuali inadempimenti degli obblighi convenzionali.

Ai sensi del comma 4 del nuovo art. 23-quater, la stipula della convenzione costituisce titolo per l'uso temporaneo e per l'esecuzione di eventuali interventi di adeguamento che si rendano necessari per esigenze di accessibilità, di sicurezza negli ambienti di lavoro e di tutela della salute, da attuare comunque con modalità reversibili, secondo quanto stabilito dalla convenzione medesima.

Il comma 5 stabilisce che l’uso temporaneo non comporta il mutamento della destinazione d'uso dei suoli e delle unità immobiliari interessate mentre il comma 6 dispone che, qualora si tratti di immobili o aree di proprietà pubblica, il soggetto gestore è individuato mediante procedure di evidenza pubblica; in tali casi la convenzione specifica le cause di decadenza dall'assegnazione per gravi motivi.

Il comma 7 del nuovo art. 23-quater disciplina le attribuzioni del consiglio comunale in materia, stabilendo che lo stesso:

§  individua i criteri e gli indirizzi per l'attuazione delle disposizioni del presente articolo da parte della giunta comunale;

§  approva con deliberazione lo schema di convenzione che regola l'uso temporaneo in assenza dell’atto consiliare di cui al punto precedente.

Infine, il comma 8 prevede che le leggi regionali possono dettare disposizioni di maggior dettaglio, anche in ragione di specificità territoriali o di esigenze contingenti a livello locale.

Si fa presente che la materia degli usi temporanei di immobili dismessi a fini di rigenerazione urbana è stata oggetto negli ultimi anni di diversi interventi dei legislatori regionali, adottati nell’esercizio della competenza concorrente in materia di governo del territorio, tra i quali si segnalano, da ultimo, quelli recati dall’art. 51-bis della legge regionale della Lombardia n. 12/2005 (introdotto dalla legge regionale n. 18/2019), e dall’art. 8 della legge regionale del Veneto n. 14/2017.

Merita, inoltre, ricordare in proposito il comma 460 della L. 232/2016 (legge di bilancio 2017), come modificato dal D.L. 148/2017 e successivamente dal D.L. 162/2019, il quale ha previsto gli interventi di riuso e di rigenerazione tra le destinazioni dei proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni previste dal Testo unico dell’edilizia.

 

 

Modifiche in materia di segnalazione certificata ai fini dell’agibilità (comma 1, lettera n))

 

Il comma 1, lettera n), aggiunge il comma 7-bis all’art. 24 del D.P.R. 380/2001, volto a stabilire che la segnalazione certificata può essere presentata anche in assenza di lavori al fine di richiedere l’agibilità per immobili legittimamente realizzati che ne siano privi.

L’art. 24 del D.P.R. 380/2001 prevede che la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, nonché la conformità dell'opera al progetto presentato e la sua agibilità sono attestati mediante segnalazione certificata (comma 1). Ai fini dell'agibilità, entro quindici giorni dall'ultimazione dei lavori di finitura dell'intervento, il soggetto titolare del permesso di costruire, o il soggetto che ha presentato la segnalazione certificata di inizio di attività, o i loro successori o aventi causa, presenta allo sportello unico per l'edilizia la segnalazione certificata, per nuove costruzioni, ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali, ed interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di cui al comma 1. La mancata presentazione della segnalazione, nei casi indicati al comma 2, comporta l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da euro 77 a euro 464 (comma 3). Ai fini dell'agibilità, la segnalazione certificata può riguardare anche singoli edifici o singole porzioni della costruzione, purché funzionalmente autonomi, singole unità immobiliari, purché siano completate e collaudate le opere strutturali connesse, siano certificati gli impianti e siano completate le parti comuni e le opere di urbanizzazione primaria.

Più in particolare, il nuovo comma 7-bis dell’art. 23-ter stabilisce che la segnalazione certificata, oltre ai casi già previsti, può altresì essere presentata, in assenza di lavori, per gli immobili legittimamente realizzati privi di agibilità che presentano i requisiti definiti con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro della salute, con il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo e con il Ministro per la pubblica amministrazione, da adottarsi, previa intesa in Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del D. Lgs. 281/1997, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.

La relazione illustrativa segnala che con la novella “s’intende consentire il rilascio dell’agibilità per gli immobili che non siano dotati di tale certificazione e tuttavia presentino adeguati requisiti di sicurezza, igienico-sanitari, di abbattimento delle barriere architettoniche, di risparmio energetico ecc. stabiliti con apposito decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto, assunto di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro della Funzione Pubblica e il Ministro dei Beni Culturali, d’intesa con la Conferenza Unificata”. La relazione illustrativa aggiunge che “tale disposizione, presente in talune legislazioni regionali, agevola la circolazione dei beni immobili e, di conseguenza, facilita la qualificazione del patrimonio edilizio”.

 

 

 

Modifiche in materia di parziali difformità e tolleranze costruttive (comma 1, lettere o) e p))

 

Le lettere o) e p) del comma 1 intervengono in merito alla disciplina delle tolleranze costruttive in caso di parziali difformità rispetto al titolo edilizio abilitativo, disponendo, rispettivamente, l’abrogazione del comma 2-ter dell’art. 34 e introducendo una nuova disciplina con il nuovo art. 34-bis.

In base all’art. 34, comma 1, del D.P.R. 380/2001, gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso. Ai sensi del comma 2, quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla L. 392/1978, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale. Le disposizioni dell’art. 34 si applicano anche agli interventi edilizi di cui all'art. 23, comma 01, eseguiti in parziale difformità dalla SCIA.

Nel testo previgente all’entrata in vigore del decreto in esame, il comma 2-ter dell’art. 34 prevedeva che, ai fini dell'applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali.

Tale comma – abrogato dalla norma in esame – viene peraltro sostanzialmente riprodotto (con un ampliamento dell’ambito applicativo) nel comma 1 del nuovo art. 34-bis, introdotto dal comma 1, lettera p).

 

Più nel dettaglio, il nuovo art. 34-bis, rubricato “Tolleranze costruttive”:

§  riproduce la previsione (già contenuta nel comma 2-ter dell’art. 34) secondo cui il mancato rispetto dell'altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo, aggiungendo peraltro alle predette fattispecie anche quella, di tipo residuale, in base alla quale non costituisce violazione edilizia il mancato rispetto di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari (comma 1);

Si valuti l’opportunità di chiarire il riferimento a “ogni altro parametro” della singola unità immobiliare la cui violazione, se contenuta entro il limite del 2 per cento, non costituisce violazione edilizia e se, in particolare, esso ricomprenda anche i prospetti, considerato che gli interventi su questi ultimi sono oggetto di specifiche disposizioni semplificatorie.

§  fuori dai casi di cui al comma 1, e limitatamente agli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del D. Lgs. 42/2004, prevede che costituiscono inoltre tolleranze esecutive le irregolarità geometriche e le modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, nonché la diversa collocazione di impianti e opere interne, eseguite durante i lavori per l'attuazione di titoli abilitativi edilizi, a condizione che non comportino violazione della disciplina urbanistica ed edilizia e non pregiudichino l'agibilità dell'immobile (comma 2);

La relazione illustrativa evidenzia che “In tali ipotesi, rispetto all’opera rappresentata negli elaborati allegati al titolo edilizio, lo stato di fatto evidenzia difformità del tutto irrilevanti perché non incidono sull’aspetto esteriore dell’edificio, sulle strutture portanti dello stesso, sui dimensionamenti e sulle distanze cogenti, non comportano aumenti di superficie e non violano alcuna normativa tecnica, ma riguardano, ad esempio, gli angoli non perfettamente in squadra o le murature non perfettamente allineate, le aperture interne non corrispondenti al progetto depositato, ecc.”. Si tratta – aggiunge la relazione illustrativa – di situazioni non qualificate dalla legge come irrilevanti, che oggi ostacolano le dichiarazioni di legittimità degli immobili in sede di stipula degli atti di trasferimento dei beni “e sono causa di contenzioso in sede di verifica dello stato legittimo ai fini della presentazione di nuovi titoli edilizi”.

§  dispone, per le tolleranze esecutive di cui ai commi 1 e 2 realizzate nel corso di precedenti interventi edilizi, in quanto non costituenti violazioni edilizie, che il tecnico abilitato ne faccia dichiarazione, ai fini dell’attestazione dello stato legittimo degli immobili, nella modulistica relativa a nuove istanze, comunicazioni e segnalazioni edilizie ovvero, con apposita dichiarazione asseverata allegata agli atti aventi per oggetto trasferimento o costituzione, ovvero scioglimento della comunione, di diritti reali (comma 3).

 

 

Modifiche relative alla vigilanza sulle costruzioni in zone sismiche e sull’osservanza delle norme tecniche (comma 1, lettere da p-bis) a p-quater))

 

Le lettere p-bis) e p-ter), introdotte al Senato, intervengono sulla disciplina relativa alla vigilanza sulle costruzioni in zone sismiche, modificando, rispettivamente, gli articoli 94 e 94-bis del T.U. edilizia (D.P.R. 380/2001).

La lettera p-quater), anch’essa introdotta al Senato, integra il disposto dell’art. 103 del D.P.R. 380/2001 che disciplina la vigilanza per l'osservanza delle norme tecniche.

 

Il numero 1) della lettera p-bis) modifica il comma 1 dell’art. 94 – ove si dispone che nelle località sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità, non si possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione – al fine di eliminare l’aggettivo “scritta” riferito all’autorizzazione, che quindi non dovrà necessariamente essere resa in forma scritta.

La disposizione sembra finalizzata a consentire anche modalità di autorizzazione in forma telematica.

 

Il numero 2) della medesima lettera p-bis) riscrive il testo del comma 2 dell’art. 94 ove si disciplinano i termini e le modalità di rilascio dell’autorizzazione di cui sopra, riducendo i termini e semplificando l’iter procedurale.

A differenza del testo vigente – ove si prevede un termine generale di 60 giorni dalla richiesta ed uno più ridotto, di soli 40 giorni dalla stessa, in riferimento ad interventi finalizzati all'installazione di reti di comunicazione elettronica a banda ultralarga – il nuovo testo previsto dalla norma in esame prevede un solo termine generale che viene ridotto a 30 giorni.

La semplificazione testé menzionata consiste nell’eliminazione dell’obbligo di comunicare l’autorizzazione al comune, subito dopo il rilascio, per i provvedimenti di sua competenza.

 

Il successivo numero 3) introduce un nuovo comma 2-bis all’art. 94 del D.P.R. 380/2001, che introduce il meccanismo del silenzio-assenso in caso di mancato rilascio dell’autorizzazione nel termine previsto, ove il dirigente o il responsabile dell'ufficio non abbia opposto motivato diniego.

Viene altresì stabilito che, fermi restando gli effetti comunque prodotti dal silenzio assenso, lo sportello unico per l'edilizia rilascia, anche in via telematica, entro 15 giorni dalla richiesta dell'interessato:

- un'attestazione circa il decorso dei termini del procedimento, in assenza di richieste di integrazione documentale o istruttorie inevase e di provvedimenti di diniego;

- oppure, nello stesso termine di 15 giorni, comunica all'interessato che sono intervenuti atti che impediscono la formazione del silenzio-assenso.

 

Il numero 4) reca una modifica di coordinamento, volta ad eliminare, dal testo del comma 3 dell’art. 94 del D.P.R. 380/2001, la possibilità di ricorrere al presidente della giunta regionale in caso di mancato rilascio dell’autorizzazione entro il termine previsto, visto che tale ipotesi di mancato rilascio è ora assoggettata al meccanismo del silenzio-assenso dal comma 2-bis poc’anzi commentato.

 

La lettera p-ter) modifica il comma 3 dell’art. 94-bis del D.P.R. 380/2001 – ove si dispone che non si possono iniziare lavori relativi ad interventi "rilevanti" in zone sismiche senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione – al fine di eliminare l’aggettivo “scritta” riferito all’autorizzazione, che quindi non dovrà necessariamente essere resa in forma scritta.

Si tratta di una modifica speculare a quella recata dal numero 1) della lettera p-bis).

 

La lettera p-quater) integra il disposto del comma 2 dell'art. 103 del D.P.R. 380/2001, stabilendo che ai fini dell'esercizio dell'attività di vigilanza per l’osservanza delle norme tecniche prevista da tale articolo, sono individuati come prioritari i lavori avviati o effettuati sulla base di autorizzazione rilasciata secondo le modalità di cui all'articolo 94, comma 2-bis, vale a dire nei casi di silenzio-assenso.

 

 

Ulteriori misure in materia edilizia (commi 2-7-ter)

 

L’art. 10 reca, inoltre, ai commi da 2 a 7-ter, ulteriori disposizioni non in novella al Testo unico dell’edilizia concernenti una norma di interpretazione autentica in materia di altezza minima e requisiti igienico-sanitari dei locali di abitazione, opere edilizie in regime di comunione e condominio, proroga dei termini di inizio e ultimazione dei lavori, proroga dei termini previsti dalle convenzioni di lottizzazione, posa in opera di elementi o strutture amovibili, rilascio del titolo edilizio per la concessione dei contributi nei territori colpiti dagli eventi sismici in Italia centrale del 2016, conformità dei lavori pubblici finanziati prevalentemente dallo Stato alle norme tecniche sulle costruzioni, semplificazione dei titoli edilizi per la realizzazione o riqualificazione di infrastrutture sociali e norme in materia di Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa, che vengono di seguito illustrate nel dettaglio.

 

Interpretazione autentica del D.M. 5 luglio 1975 in materia di altezza minima e requisiti igienico-sanitari dei locali d’abitazione (comma 2)

 

Il comma 2 reca una norma di interpretazione autentica del decreto del Ministro della sanità 5 luglio 1975, recante “Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896 relativamente all'altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali d'abitazione”.

In particolare, il primo periodo del comma 2 dispone che, nelle more dell’approvazione del decreto del Ministro della salute di cui all’art. 20, comma 1-bis, del D.P.R. 380/2001, le disposizioni di cui al D.M. 5 luglio 1975 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 190 del 18 luglio 1975) si interpretano nel senso che i requisiti relativi all’altezza minima e ai requisiti igienico-sanitari dei locali di abitazione ivi previsti non si considerano riferiti agli immobili:

§  che siano stati realizzati prima della data di entrata in vigore del medesimo decreto

§  e che siano ubicati nelle zone A o B, di cui al D.M. 1444/1968, o in zone a queste assimilabili, in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali.

Il comma 1-bis dell’art. 20 del D.P.R. 380/2001, inserito dal D. Lgs. 222/2016, dispone che con decreto del Ministro della salute, da adottarsi, previa intesa in Conferenza unificata, entro 90 giorni dall'entrata in vigore della presente disposizione, sono definiti i requisiti igienico-sanitari di carattere prestazionale degli edifici.

L’art. 1 del D.M. 5 luglio 1975 (come modificato dal D.M. 9 giugno 1999) prescrive che l'altezza minima interna utile dei locali adibiti ad abitazione è fissata in m. 2,70, riducibili a m. 2,40 per i corridoi, i disimpegni in genere, i bagni, i gabinetti ed i ripostigli. Nei comuni montani al di sopra dei m. 1000 sul livello del mare può essere consentita, tenuto conto delle condizioni climatiche locali e della locale tipologia edilizia, una riduzione dell'altezza minima dei locali abitabili a m. 2,55. Le altezze minime previste nel primo e secondo comma possono essere derogate entro i limiti già esistenti e documentati per i locali di abitazione di edifici situati in ambito di comunità montane sottoposti ad interventi di recupero edilizio e di miglioramento delle caratteristiche igienico-sanitarie quando l'edificio presenti caratteristiche tipologiche specifiche del luogo meritevoli di conservazione ed a condizione che la richiesta di deroga sia accompagnata da un progetto di ristrutturazione con soluzioni alternative atte a garantire, comunque, in relazione al numero degli occupanti, idonee condizioni igienico-sanitarie dell'alloggio, ottenibili prevedendo una maggiore superficie dell'alloggio e dei vani abitabili ovvero la possibilità di una adeguata ventilazione naturale favorita dalla dimensione e tipologia delle finestre, dai riscontri d'aria trasversali e dall'impiego di mezzi di ventilazione naturale ausiliaria.

Il secondo periodo del comma 2 stabilisce che, ai fini della presentazione e del rilascio dei titoli abilitativi per il recupero e la qualificazione edilizia dei medesimi immobili e della segnalazione certificata della loro agibilità, si fa riferimento alle dimensioni legittimamente preesistenti.

Sotto il profilo della formulazione del testo, andrebbe chiarito se per “dimensioni legittimamente preesistenti” si intendano quelle preesistenti alla presentazione della richiesta di titolo abilitativo e della segnalazione certificata per l’agibilità, ovvero preesistenti all’entrata in vigore del D.M. 5 luglio 1975.

 

 

Disposizioni in materia di opere edilizie in regime di comunione o condominio (comma 3)

 

Il comma 3 riconosce a ciascun partecipante alla comunione o al condominio la facoltà di realizzare a proprie spese ogni opera relative alle seguenti tipologie:

·       opere di rimozione di barriere architettoniche, di cui all’art. 2 della L. 13/1989 (“Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati”);

Si ricorda che l’art. 2, comma 1, della L. 13/1989 stabilisce che le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all'art. 27, primo comma, della L. 118/1971, ed all'art. 1, primo comma, del D.P.R. 384/1978, nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e la installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi all'interno degli edifici privati, sono approvate dall'assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dal secondo comma dell’art. 1120 c.c. Il comma 2 prevede che nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni di cui al comma 1, i portatori di handicap, ovvero chi ne esercita la tutela o la potestà, possono installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l'ampiezza delle porte d'accesso, al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages.

Le citate disposizioni della L. 13/1989 sono state riprodotte in modo sostanzialmente identico nell’art. 78 del D.P.R. 380/2001.

·       opere relative agli incentivi per efficientamento energetico, sisma bonus, fotovoltaico e colonnine di ricarica di veicoli elettrici di cui all’art. 119 del D.L. 34/2020 (alla cui scheda di lettura si rinvia per ulteriori approfondimenti), anche servendosi della cosa comune nel rispetto dei limiti di cui all'art. 1102 del codice civile.

L’art. 1102 c.c. (Uso della cosa comune) dispone che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto e che, a tal fine, può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.

 

Il comma 3 apporta, inoltre, due novelle alla citata L. 13/1989:

§  aggiunge alla fine del comma 1 dell’art. 2, due periodi volti a precisare che le innovazioni di cui al presente comma non sono considerate in alcun caso di carattere voluttuario ai sensi dell’art. 1121, primo comma, c.c. e che per la loro realizzazione resta fermo unicamente il divieto di innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, di cui al quarto comma dell’art. 1120 c.c.;

L’art. 1120 c.c. disciplina la procedura e le maggioranze richieste per disporre le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni del condominio. Il quarto comma, in particolare, vieta “le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino”.

L’art. 1121, primo comma, c.c. dispone che qualora l'innovazione importi una spesa molto gravosa o abbia carattere voluttuario rispetto alle particolari condizioni e all'importanza dell'edificio, e consista in opere, impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata, i condomini che non intendono trarne vantaggio sono esonerati da qualsiasi contributo nella spesa. Secondo la giurisprudenza le innovazioni di cui all'art. 1121 c. c. che hanno natura voluttuaria, sono quelle “prive di utilità” da intendersi in senso oggettivo, dato il testuale riferimento della norma alle particolari condizioni e all'importanza dell'edificio (Cass. civ., 18/01/1984, n. 428).

·       dispone l’abrogazione dell’art. 8.

Si ricorda che l’art. 8 della L. 13/1989 prevede che alle domande ovvero alle comunicazioni al sindaco relative alla realizzazione di interventi di cui alla presente legge, è allegato certificato medico in carta libera attestante l'handicap e dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, dalla quale risultino l'ubicazione della propria abitazione, nonché le difficoltà di accesso.

Si osserva che le disposizioni contenute nell’abrogato art. 8 sono altresì riprodotte in modo sostanzialmente identico nell’art. 81 del D.P.R, 380/2001, che tuttavia non è oggetto di abrogazione da parte della norma in esame.

 

 

Proroga dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori (comma 4)

 

Il comma 4, nel testo modificato dal Senato, prevede la proroga dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all’art. 15 del D.P.R. 380/2001.

Si ricorda che l’art. 15 del D.P.R. 380/2001 disciplina l’efficacia temporale e la decadenza del permesso di costruire. Ai sensi del comma 1, nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori. Il comma 2 prevede che il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari. La proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori è comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate. La realizzazione della parte dell'intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante SCIA. È previsto, inoltre, che il permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio.

Si segnala, inoltre, che l’art. 103, comma 2, del D.L. 18/2020 ha disposto che i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all’art. 15 del D.P.R. 380/2001, in scadenza tra il 31 gennaio 2020 e il 31 luglio 2020, conservano la loro validità per i novanta giorni successivi alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza.

Più in particolare, la norma in esame prevede che per effetto della comunicazione del soggetto interessato di volersi avvalere del presente comma:

§  sono prorogati rispettivamente di un anno e di tre anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all'art. 15 del D.P.R. 380/2001, come indicati nei permessi di costruire rilasciati o comunque formatisi fino al 31 dicembre 2020, purché i suddetti termini non siano già decorsi al momento della comunicazione dell'interessato e sempre che i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione dell'interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati; tali disposizioni si applicano anche ai permessi di costruire per i quali l’amministrazione competente abbia già accordato una proroga ai sensi dell’art. 15, comma 2, del D.P.R. 380/2001;

§  la medesima proroga si applica alle segnalazioni certificate di inizio attività presentate entro il 31 dicembre 2020 ai sensi degli articoli 22 e 23 del D.P.R. 380/2001.

Considerato che la proroga prevista dal testo iniziale della disposizione in esame è di tre anni tanto per i termini di inizio quanto per i termini di ultimazione dei lavori, e che nel corso dell’esame al Senato la durata della proroga è stata invece differenziata per le due fattispecie, si valuti l’opportunità di chiarire quale sia la durata temporale della proroga applicabile alle segnalazioni certificate di inizio attività.

 

 

Proroga dei termini previsti dalle convenzioni di lottizzazione (comma 4-bis)

 

Il comma 4-bisintrodotto nel corso dell’esame al Senato – dispone la proroga di tre anni del termine di validità nonché dei termini di inizio e fine lavori previsti dalle convenzioni di lottizzazione di cui all'art. 28 della L. 1150/1942, ovvero dagli accordi similari comunque denominati dalla legislazione regionale, nonché dei termini dei relativi piani attuativi e di qualunque altro atto ad essi propedeutico, formatisi al 31 dicembre 2020.

Si ricorda che il piano di lottizzazione è uno strumento urbanistico, a iniziativa prevalentemente privata, attuativo della pianificazione urbanistica generale e finalizzato a realizzare un intervento edilizio che richieda nuove opere di urbanizzazione o comporti l’aggravio del carico urbanistico esistente.

L’art. 28 della L. n. 1150/1942 (rubricato “Lottizzazione di aree”) prevede che prima dell'approvazione del piano regolatore generale è vietato procedere alla lottizzazione dei terreni a scopo edilizio. Spetta ai comuni l’autorizzazione della lottizzazione a scopo edilizio, la quale è subordinata alla stipula di una convenzione, da trascriversi a cura del proprietario, che preveda:

-        la cessione gratuita entro termini prestabiliti delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, precisate dall’art. 4 della L. n. 847/1964, nonché la cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione secondaria nei limiti di cui al successivo n. 2;

-        l'assunzione, a carico del proprietario, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi; la quota è determinata in proporzione all'entità e alle caratteristiche degli insediamenti delle lottizzazioni;

-        i termini non superiori ai dieci anni entro i quali deve essere ultimata l'esecuzione delle opere di cui al precedente paragrafo;

-        congrue garanzie finanziarie per l'adempimento degli obblighi derivanti dalla convenzione.

La convenzione deve essere approvata con deliberazione consiliare nei modi e forme di legge.

Ai sensi del comma 7 del citato art. 28, l'attuazione degli interventi previsti nelle convenzioni di lottizzazione ovvero degli accordi similari comunque denominati dalla legislazione regionale, può avvenire per stralci funzionali e per fasi e tempi distinti. In tal caso per ogni stralcio funzionale nella convenzione saranno quantificati gli oneri di urbanizzazione o le opere di urbanizzazione da realizzare e le relative garanzie purché l'attuazione parziale sia coerente con l'intera area oggetto d'intervento. Il rilascio dei titoli abilitativi edilizi nell'ambito dei singoli lotti è subordinato all'impegno della contemporanea esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria relativa ai lotti stessi.

Il termine per l'esecuzione di opere di urbanizzazione poste a carico del proprietario è stabilito in dieci anni (art. 28, comma 10, della l. n. 1150/1942). Come precisato dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. ad esempio TAR Campania, Sez. II, 14 febbraio 2018, n. 1010), anche la convenzione stipulata tra privati ed Amministrazione in ordine all'esecuzione di un piano particolareggiato, assimilato alle lottizzazioni convenzionate, resta assoggettata ad un termine decennale per la realizzazione delle opere ivi programmate, pena la decadenza della convenzione stessa nell'ipotesi dell'inutile decorso del termine.

La giurisprudenza ha altresì chiarito che le conseguenze della scadenza del piano attuativo si esauriscono nell’ambito della sola disciplina urbanistica e non incidono sulla validità ed efficacia delle obbligazioni assunte dai soggetti attuatori degli interventi da realizzare (Cons. Stato, Ad. Plen., 20 luglio 2012, n. 28).

 

La norma in commento si applica anche ai diversi termini delle convenzioni di lottizzazione di cui al citato art. 28, ovvero degli accordi similari comunque denominati dalla legislazione regionale nonché dei relativi piani attuativi che hanno usufruito della proroga di cui all'art. 30, comma 3-bis, del D.L. 69/2013,

Si ricorda che l’art. 30, comma 3-bis, del D.L. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 98/2013) ha previsto – con norma analoga a quella in esame ma riferita alle sole convenzioni di lottizzazione e non anche ai relativi piani attuativi – la proroga di tre anni del termine di validità nonché dei termini di inizio e fine lavori nell'ambito delle convenzioni di lottizzazione di cui all’art. 28 della L. n. 1150/1942, ovvero degli accordi similari comunque denominati dalla legislazione regionale, stipulati sino al 31 dicembre 2012.

Da ultimo, si segnala che una prima proroga dei termini in oggetto è stata già disposta dall’art. 103, comma 2-bis, del D.L. 18/2020, che, in conseguenza dell’emergenza sanitaria in corso, ha prorogato di 90 giorni il termine di validità e i termini di inizio e fine lavori delle convenzioni di lottizzazione di cui all’art. 28 della L. n. 1150/1942, ovvero degli accordi similari comunque denominati dalla legislazione regionale, nonché i termini dei relativi piani attuativi e di ogni altro atto ad essi propedeutico, in scadenza tra il 31 gennaio 2020 e il 31 luglio 2020.

 

 

Posa in opera di elementi o strutture amovibili (comma 5)

 

Il comma 5, integrato dal Senato, dispone che non è subordinata alle autorizzazioni del Soprintendente o del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo di cui agli articoli 21, 106, comma 2-bis, e 146 del D.lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) la posa in opera di elementi o strutture amovibili sulle pubbliche piazze, vie, strade e sugli altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico (aree di cui all’art. 10, comma 4, lettera g), del medesimo Codice), fatta eccezione per quelli adiacenti a siti archeologici o ad altri beni di particolare valore storico o artistico.

L’art. 21 del Codice dei beni culturali e del paesaggio dispone che sono subordinati ad autorizzazione del Ministero: la rimozione o la demolizione, anche con successiva ricostituzione, dei beni culturali; lo spostamento, anche temporaneo, dei beni culturali mobili, salve alcune ipotesi; lo smembramento di collezioni, serie e raccolte; lo scarto dei documenti degli archivi pubblici e degli archivi privati per i quali sia intervenuta la dichiarazione di interesse culturale, nonché lo scarto di materiale bibliografico delle biblioteche pubbliche, con alcune eccezioni, e delle biblioteche private per le quali sia intervenuta la dichiarazione di interesse culturale; il trasferimento ad altre persone giuridiche di complessi organici di documentazione di archivi pubblici, nonché di archivi privati per i quali sia intervenuta la dichiarazione di interesse culturale.

Al di fuori di tali casi, l'esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali è subordinata ad autorizzazione del soprintendente. Il mutamento di destinazione d'uso dei beni medesimi è comunicato al soprintendente.

L’art. 106 del medesimo Codice stabilisce, anzitutto, al comma 1, che lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono concedere l'uso dei beni culturali che abbiano in consegna, per finalità compatibili con la loro destinazione culturale, a singoli richiedenti. Il comma 2 dispone, a sua volta, che, per i beni in consegna al Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, il Ministero determina il canone dovuto e adotta il relativo provvedimento. Il comma 2-bis prevede, infine, che, per i beni diversi da quelli indicati al comma 2, la concessione in uso è subordinata all'autorizzazione del Ministero, rilasciata a condizione che il conferimento garantisca la conservazione e la fruizione pubblica del bene e sia assicurata la compatibilità della destinazione d'uso con il carattere storico-artistico del bene medesimo.

L’art. 146 del Codice disciplina, infine, l’autorizzazione paesaggistica, prevedendo, in particolare, che i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell’art. 142, o in base alla legge, a termini degli artt. 136, 143, comma 1, lettera d), e 157, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione ed hanno l'obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta documentazione, ed astenersi dall'avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l'autorizzazione. L'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio ed è efficace per un periodo di cinque anni, scaduto il quale l'esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione.

 

Il secondo periodo della norma in esame, aggiunto nel corso dell’esame al Senato, dispone che con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono definite le modalità di attuazione del presente comma.

 

 

Rilascio del titolo edilizio per la concessione dei contributi nei territori colpiti dagli eventi sismici in Italia centrale del 2016 (comma 6)

 

Il comma 6, modificato dal Senato, integra l’art. 12, comma 2, del D.L. 189/2016 disciplinando la procedura per la verifica dei titoli edilizi necessari per il rilascio dei contributi per la ricostruzione privata nei territori dell’Italia centrale colpiti dagli eventi sismici del 2016.

L’art. 12 del D.L. 189/2016 prevede, al comma 1, che, fuori dei casi disciplinati dall'art. 8, comma 4 (interventi di immediata esecuzione), l'istanza di concessione dei contributi è presentata dai soggetti legittimati all'ufficio speciale per la ricostruzione territorialmente competente unitamente alla richiesta del titolo abilitativo necessario in relazione alla tipologia dell'intervento progettato. Il comma 2 stabilisce che, all'esito dell'istruttoria sulla compatibilità urbanistica degli interventi richiesti a norma della vigente legislazione, il Comune rilascia il titolo edilizio.

Nel dettaglio, la novella apportata dalla norma in esame all’art. 12, comma 2, del D.L. 189/2016:

§  precisa che il comune rilascia il titolo edilizio ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. 380/ 2001 (procedimento per il rilascio del permesso di costruire) ovvero verifica i titoli edilizi di cui agli articoli 22 e 23 del medesimo decreto (riguardanti, rispettivamente, gli interventi subordinati a SCIA e gli interventi subordinati a SCIA in alternativa al permesso di costruire);

§  prevede che la conformità urbanistica è attestata dal professionista abilitato o dall’Ufficio comunale tramite i titoli edilizi legittimi dell’edificio preesistente, l’assenza di procedure sanzionatorie o di sanatoria in corso, l’inesistenza di vincoli di inedificabilità assoluta;

§  dispone che nei comuni indicati negli allegati 1, 2 e 2-bis al D.L. 189/2016 gli interventi di ricostruzione di edifici privati in tutto o in parte lesionati, crollati o demoliti, od oggetto di ordinanza di demolizione per pericolo di crollo, sono in ogni caso realizzati con SCIA edilizia (e non più “autorizzati”, come previsto dalla norma vigente) ai sensi e nei limiti di cui all'art. 3-bis, comma 2, del D.L. 123/2019, anche con riferimento – come precisato al Senato – alle modifiche dei prospetti senza obbligo di speciali autorizzazioni.

A norma dell’art. 3-bis del D.L. 123/2019 le regioni possono adottare programmi straordinari di ricostruzione per i territori dell'Italia centrale maggiormente colpiti dal sisma del 2016. Il comma 2, in particolare, dispone che i In vigore dal 24 dicembre 2019programmi di cui al presente articolo, predisposti dal competente Ufficio speciale per la ricostruzione, autorizzano gli interventi di ricostruzione di edifici pubblici o privati in tutto o in parte lesionati, crollati o demoliti od oggetto di ordinanza di demolizione per pericolo di crollo, anche in deroga ai vigenti strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica, a condizione che detti interventi siano diretti alla realizzazione di edifici conformi a quelli preesistenti quanto a collocazione, ingombro planivolumetrico e configurazione degli esterni, fatte salve le modifiche planivolumetriche e di sedime necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, igienico-sanitaria e di sicurezza. Sono in ogni caso escluse dai citati programmi le costruzioni interessate da interventi edilizi abusivi.

 

 

Modifiche all’art. 12 del D.L. 23/2020 in materia di Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa (comma 7)

 

Il comma 7, modificato dal Senato, novella l’art. 12 del decreto- legge 8 aprile 2020, n. 23, introducendovi alcune disposizioni che specificano i requisiti necessari per le cooperative edilizie a proprietà indivisa ai fini dell’accesso al Fondo solidarietà mutui prima casa. Le norme introdotte stabiliscono altresì un sistema di calcolo dell’importo massimo del mutuo ammissibile e modulano la durata della sospensione delle rate in base alla percentuale di soci assegnatari che si trovano nelle condizioni richieste dalla legge per l’accesso al Fondo.

Preliminarmente si ricorda che il comma 2-ter, lettera a-bis), del decreto- legge 8 aprile 2020, n. 23, estende i benefìci del Fondo solidarietà mutui prima casa (cd. fondo Gasparrini), secondo le modalità agevolate previste dall’articolo 54 del decreto-legge n. 18 del 2020, alle quote di mutuo relative alle unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa adibite ad abitazione principale e alle relative pertinenze dei soci assegnatari, ove si trovino nelle condizioni richieste dalla legge per l’accesso al fondo (in particolare, nelle condizioni di cui all'articolo 2, comma 479, della legge 24 dicembre 2007, n.?244).

 

L’articolo 2 della legge finanziaria 2008 (legge n. 244 del 2007, commi 475 e seguenti) ha istituito il Fondo di solidarietà per i mutui per l'acquisto della prima casa presso il Ministero dell'Economia e delle Finanze. In sintesi, la disciplina del Fondo, modificata in seguito dalla legge n. 92/2012 (riforma del mercato del lavoro) consente ai titolari di un mutuo per l'acquisto della prima casa di beneficiare della sospensione del pagamento delle rate al verificarsi di situazioni di temporanea difficoltà, destinate ad incidere negativamente sul reddito complessivo del nucleo familiare.

Il Fondo, su richiesta del mutuatario che intende avvalersi della facoltà di sospensione per i mutui concessi da intermediari bancari o finanziari, provvede al pagamento degli interessi maturati sul debito residuo durante il periodo di sospensione.

La sospensione può essere chiesta per non più di due volte e per un periodo massimo di diciotto mesi nel corso dell'esecuzione del contratto. In tal caso, la durata del contratto di mutuo e delle garanzie relative viene prorogata di un periodo eguale alla durata della sospensione. Al termine della sospensione, il pagamento delle rate riprende secondo gli importi e con la periodicità originariamente previsti dal contratto, salvo diverso patto eventualmente intervenuto fra le parti per la rinegoziazione delle condizioni del contratto medesimo. La sospensione non comporta l'applicazione di alcuna commissione o spesa di istruttoria ed avviene senza richiesta di garanzie aggiuntive.

La sospensione non può essere chiesta: nel caso di ritardo nei pagamenti superiore a novanta giorni consecutivi, ovvero per i quali sia intervenuta la decadenza dal beneficio del termine o la risoluzione del contratto stesso, anche tramite notifica dell'atto di precetto, o sia stata avviata da terzi una procedura esecutiva sull'immobile ipotecato; nel caso di fruizione di agevolazioni pubbliche; per i mutui relativamente ai quali sia stata stipulata un'assicurazione a copertura del rischio che si verifichino gli eventi che danno diritto al beneficio della sospensione, a specifiche condizioni.

Il beneficio è previsto nelle ipotesi individuate dall’articolo 2, comma 479 della legge n. 244 e, più precisamente, in caso di: cessazione del rapporto di lavoro subordinato, ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, di risoluzione per limiti di età con diritto a pensione di vecchiaia o di anzianità, di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, di dimissioni del lavoratore non per giusta causa; cessazione dei rapporti di lavoro parasubordinato o di rappresentanza commerciale o di agenzia (art. 409 n. 3 del c.p.c.), sempre salva la risoluzione consensuale, il recesso datoriale per giusta causa, il recesso del lavoratore non per giusta causa; morte o riconoscimento di grave handicap ovvero di invalidità civile (ai sensi della legge n. 104 del 1992) non inferiore all'80%; sospensione dal lavoro o riduzione dell'orario di lavoro per un periodo di almeno trenta giorni, anche in attesa dell'emanazione dei provvedimenti di autorizzazione dei trattamenti di sostegno del reddito.

A seguito dell’emergenza legata al diffondersi del COVID-19 il Governo è intervenuto in più occasioni sulla disciplina del Fondo.

Anzitutto l’articolo 26 del decreto-legge n. 9 del 2020 ha consentito di richiedere il beneficio della sospensione del pagamento delle rate del mutuo nell’ulteriore caso di sospensione dal lavoro o riduzione dell'orario di lavoro per un periodo di almeno trenta giorni, anche in attesa dell’emanazione di provvedimenti di autorizzazione dei trattamenti di sostegno del reddito. Le disposizioni dell’articolo 26 sono confluite nel decreto-legge n. 18 del 2020 in sede di conversione in legge di quest’ultimo provvedimento. Successivamente, il richiamato articolo 54 del decreto-legge n. 18 del 2020 ha previsto che, per un periodo di 9 mesi dall’entrata in vigore del decreto legge stesso (vale a dire dal 17 marzo 2020) e in deroga alla ordinaria disciplina del Fondo, ai relativi benefici siano ammessi anche i lavoratori autonomi e i liberi professionisti che autocertifichino di aver registrato, in un trimestre successivo al 21 febbraio 2020 ovvero nel minor lasso di tempo intercorrente tra la data della domanda e la predetta data, un calo del proprio fatturato che sia superiore al 33% del fatturato dell’ultimo trimestre 2019, in conseguenza della chiusura o della restrizione della propria attività operata in attuazione delle disposizioni adottate dall’autorità competente per l’emergenza coronavirus.

In deroga alle norme generali sull’accesso al Fondo, l’articolo 54 chiarisce inoltre che nel caso specifico non è richiesta la presentazione dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE); dispone che il Fondo provveda al pagamento degli interessi compensativi nella misura pari al 50% degli interessi maturati sul debito residuo durante il periodo di sospensione. Viene dunque abbassata la percentuale di interessi corrisposta dal fondo, ma è inclusa nel calcolo di tale onere la cd. componente di spread.

Successivamente sono stati ampliati alcuni requisiti di accesso al Fondo: è aumentato a 400.000 euro l’importo massimo del mutuo e sono inclusi i mutui già ammessi ai benefici per i quali sia ripreso, per almeno tre mesi, il regolare ammortamento delle rate nonché i mutui che fruiscono della garanzia del Fondo di garanzia per la prima casa.  Con il decreto 25 marzo 2020 del MEF sono state adottate le necessarie disposizioni di attuazione sia dell’articolo 54 del decreto-legge n. 18 del 2020, sia del citato articolo 26 del decreto- legge n. 9 del 2020.

 

Il comma 7, lettera a), indica le modalità di calcolo dell’importo massimo del mutuo ammissibile al Fondo previsto per le cooperative edilizie a proprietà indivisa nonché la soglia minima dei soci assegnatari di immobili residenziali che si trovano nelle condizioni richieste dalla legge necessaria per l’accesso al Fondo.

In particolare, la disposizione dell’articolo in esame modificando la lettera a-bis, del richiamato comma 2-ter dell’articolo 12, prevede che l'ammissione ai benefìci del Fondo è estesa alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, per mutui ipotecari erogati alle predette cooperative di importo massimo pari al prodotto tra l’importo di 400.000 euro (indicato alla lettera b) dell’articolo 54) e il numero dei rispettivi soci, qualora almeno il 20% dei soci assegnatari di immobili residenziali e relative pertinenze si trovi, al momento dell’entrata in vigore della disposizione, nelle richiamate condizioni previste dall'articolo 2, comma 479, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.

 

La lettera b) introduce due nuove lettere (a-ter) e a-quater)) al comma 1 del sopra citato articolo 54, che stabiliscono la durata della sospensione delle rate del mutuo per le società cooperativa mutuatarie nonché le modalità di presentazione dell’istanza di sospensione.

La nuova lettera a-ter), modificata dal Senato, prevede che la sospensione delle rate del mutuo stabilita può essere concessa nella misura di:

§  6 mesi, qualora gli eventi di cui all’articolo 2, comma 479, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, verificatisi successivamente al 31 gennaio 2020, riguardano un numero di assegnatari pari ad almeno il 10 per cento dei soci (percentuale ridotta rispetto al 20 per cento previsto dal testo iniziale del provvedimento);

§  12 mesi, qualora gli eventi di cui all’articolo 2, comma 479, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, verificatisi successivamente al 31 gennaio 2020, riguardano un numero di assegnatari compreso tra un valore superiore al 20 per cento e fino al 40 per cento dei soci;

§  18 mesi, qualora gli eventi di cui all’articolo 2, comma 479, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, verificatisi successivamente al 31 gennaio 2020, riguardano un numero di assegnatari superiore al 40 per cento dei soci;

 

La nuova lettera a-quater) stabilisce che l’istanza di sospensione è presentata dalla società cooperativa mutuataria alla banca, attraverso il modulo pubblicato, entro 30 giorni dall’entrata in vigore del comma in esame, nel sito internet del gestore del Fondo (articolo 2, comma 475 e seguenti della legge 24 dicembre 2007, n. 244) che riporta l’indicazione dei documenti probatori degli eventi che determinano la richiesta di sospensione, previa delibera assunta dai rispettivi organi deliberativi, con le modalità e nei termini previsti dall’atto costitutivo, dallo statuto o da altri regolamenti interni della medesima società.

 

Si ricorda che gestore del Fondo è la Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici-Consap s.p.a. (società in house del Ministero dell’Economia e delle Finanze). Si segnala, inoltre, che sul sito della Consap sono consultabili le modalità e i documenti necessari ai fini della presentazione dell'istanza di sospensione.

 

Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze possono essere stabilite ulteriori modalità di attuazione delle disposizioni indicate al comma 2-ter.

 

La lettera c) del comma in esame, ai fini di coordinamento con le norme introdotte, abroga il comma 2-quater dell’articolo 12 che stabilisce che con regolamento adottato mediante decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, sono stabilite le modalità di attuazione delle disposizioni e, in particolare, quelle relative all'individuazione della quota di mutuo da sospendere.

 

 

Conformità dei lavori pubblici finanziati prevalentemente dallo Stato alle norme tecniche sulle costruzioni (comma 7-bis)

 

Il comma 7-bisintrodotto dal Senato – inserisce tre nuovi commi (dal 2-ter al 2-quinquies) all'art. 5 del D.L. 136/2004 che ha disciplinato l’emanazione di norme tecniche, anche per la verifica sismica ed idraulica, relative alle costruzioni, nonché relative alla progettazione e la costruzione degli sbarramenti di ritenuta (dighe e traverse).

Il nuovo comma 2-ter dell’art. 5 del D.L. 136/2004 prevede che, al fine di ridurre i tempi di realizzazione dei progetti di lavori pubblici di interesse statale o comunque finanziati per almeno il 50% dallo Stato, la verifica preventiva della progettazione da parte della stazione appaltante (disciplinata dall’art. 26 del Codice dei contratti pubblici) accerta anche la conformità dei progetti alle norme tecniche per le costruzioni emanate in attuazione dell’art. 5 in questione (vale a dire il D.M. 17 gennaio 2018 e il D.M. 26 giugno 2014).

Il comma 2-ter dispone inoltre che l’esito positivo della verifica esclude l'applicazione delle norme che prevedono:

- la denuncia all'ufficio del genio civile competente per territorio (art. 4 della L. 1086/1971);

- la denuncia dei lavori e la presentazione dei progetti ai fini del rilascio dell’autorizzazione sismica (art. 17-19, costituenti il Capo III del Titolo II della L. 64/1974 e artt. 93, 94 e 94-bis, costituenti la Sezione II del Capo IV della Parte II del D.P.R. 380/2001).

 

La norma in esame prevede altresì che i progetti corredati dalla verifica sono depositati, con modalità telematica, presso l’AINOP (Archivio Informatico Nazionale delle Opere Pubbliche), istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dall’art. 13, comma 4, del D.L. 109/2018.

Con la stessa modalità sono depositati:

- le varianti di carattere sostanziale regolarmente approvate;

- la relazione a struttura ultimata e il collaudo statico (vale a dire i documenti di cui agli artt. 6 e 7 della L. 1086/1971 e agli articoli 65, comma 6, ove applicabile, e 67, commi 7 e 8-ter del D.P.R. 380/2001).

Si ricorda che il richiamato comma 8-ter prevede che per gli interventi di cui all'art. 94-bis, comma 1, lettera b), numero 2), e lettera c), numero 1), (vale a dire interventi che, in relazione alla pubblica incolumità, sono definiti di "minore rilevanza", quali le riparazioni e gli interventi locali sulle costruzioni esistenti, e gli interventi "privi di rilevanza") il certificato di collaudo è sostituito dalla dichiarazione di regolare esecuzione resa dal direttore dei lavori.

 

Il comma 2-quater reca invece una disposizione volta a disciplinare l'accertamento della conformità alle norme tecniche dei progetti di lavori pubblici di interesse statale o comunque finanziati per almeno il 50% dallo Stato, approvati prima dell’entrata in vigore delle nuove norme tecniche per le costruzioni di cui al D.M. 17 gennaio 2018 ma successivamente all’entrata in vigore delle precedenti norme tecniche (D.M. 14 gennaio 2008).

Per tali progetti è previsto che si proceda all’accertamento alle norme tecniche di cui al D.M. 14 gennaio 2008 entro il 31 dicembre 2021, previa richiesta da parte delle stazioni appaltanti da presentare entro il 31 dicembre 2020, e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

L’organo competente ad effettuare l’accertamento in questione è:

- il Consiglio superiore dei lavori pubblici per i lavori di importo superiore a 50 milioni di euro;

- i comitati tecnici amministrativi istituiti presso i Provveditorati interregionali per le opere pubbliche per i lavori di importo inferiore a 50 milioni di euro, a meno che il lavoro presenti elementi di particolare rilevanza e complessità (in tal caso l’accertamento è effettuato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici su richiesta motivata del Provveditore interregionale per le opere pubbliche).

 

Il comma 2-quinquies dispone che l’esito positivo dell’accertamento di conformità alle “vecchie” norme tecniche (cioè dell’accertamento di cui al comma precedente) produce i medesimi effetti degli adempimenti e dell'autorizzazione sismica previsti dagli articoli 93 e 94 del D.P.R. 380/2001, nonché dall’art. 4 della L. 1086/197, e dagli articoli 17, 18 e 19 della L. 64/1974 (v. supra).

Anche per i progetti corredati dall'accertamento positivo di cui al comma 2-quater è previsto il deposito, con modalità telematica, presso l'AINOP. Con la stessa modalità sono depositati le varianti di carattere sostanziale regolarmente approvate, nonché la relazione a struttura ultimata e il collaudo statico (cioè i documenti di cui agli artt. 6 e 7 della L. 1086/1971, nonché agli articoli 65, comma 6, ove applicabile, e 67 comma 7 o comma 8-ter del D.P.R. 380/2001, v. supra).

 

 

SCIA per infrastrutture sociali (comma 7-ter)

 

Il comma 7-ter, introdotto nel corso dell’esame al Senato, reca modifiche in materia di semplificazione dei titoli edilizi per la realizzazione o riqualificazione di infrastrutture sociali.

In particolare, si dispone che, fermo restando quanto previsto dall'art. 7 del D.P.R. 380/2001 (che esclude l’applicabilità del Testo unico dell’edilizia ad una serie di opere e interventi delle amministrazioni pubbliche), le opere edilizie finalizzate a realizzare o qualificare edifici esistenti da destinare ad infrastrutture sociali, strutture scolastiche e universitarie, residenze per studenti, strutture e residenze sanitarie o assistenziali, ostelli, strutture sportive di quartiere ed edilizia residenziale sociale comunque denominata, realizzate da pubbliche amministrazioni, da società controllate o partecipate da pubbliche amministrazioni o enti pubblici ovvero da investitori istituzionali di cui all'art, 1, comma 1, lettere k), l), o) e r), del D.Lgs. 58/1998 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria):

§  sono sempre consentite con segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), purché iniziate entro il 31 dicembre 2022 e realizzate, sotto controllo pubblico, mediante interventi di ristrutturazione urbanistica, edilizia ovvero demolizione e ricostruzione;

La norma sembra pertanto escludere dall’applicabilità della SCIA le opere, pur ricomprese nelle tipologie da essa elencate, che consistano in nuove costruzioni non inserite in progetti di riqualificazione urbanistica od edilizia.

§  possono prevedere un incremento fino a un massimo del 20 per cento della volumetria o della superficie lorda esistente.

La disposizione in esame prevede, inoltre:

§  l’intrasferibilità dei diritti edificatori ivi disciplinati su aree diverse da quella di intervento;

§  che i predetti interventi sono sempre consentiti sugli edifici che rientrano nelle categorie funzionali di cui all'art. 23-ter, comma 1, lettere a), a-bis), b) e c) del D.P.R. 380/2001, ferme restando le disposizioni di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444.

Come già ricordato in precedenza, l’art. 23-ter, comma 1, del Testo unico dell’edilizia prevede le seguenti categorie funzionali: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale.

Si dispone, infine:

§  che le Regioni adeguano la propria legislazione ai principi di cui al presente articolo entro 60 giorni, e che decorso tale termine trovano applicazione diretta le disposizioni del presente articolo;

§  che restano comunque ferme le disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al D.Lgs. 42/2004.

 


 

 

TESTO UNICO DELL’EDILIZIA

(D.P.R. 380/2001)

 

TESTO PREVIGENTE

AL D.L. 76/2020

 

MODIFICHE RECATE DAL TESTO INIZIALE DEL

D.L. 76/2020

 

MODIFICHE E INTEGRAZIONI APPORTATE DAL SENATO

(IN ROSSO)

 

Art. 2-bis

(Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati)

 

Art. 2-bis

(Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati)

 

Art. 2-bis

(Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati

1. Ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell'ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali.

1-bis. Le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i comuni nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio.

1-ter. In ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest'ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

    1-ter. In ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione è comunque consentita nell’osservanza delle distanze legittimamente preesistenti. Gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, sempre nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti.

Nelle zone omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione, sono consentite esclusivamente nell’ambito di piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati, di competenza comunale, fatte salve le previsioni degli strumenti di pianificazione urbanistica vigenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

    1-ter. In ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione è comunque consentita nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. Gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti.

Nelle zone omogenee A di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e in ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione, sono consentiti esclusivamente nell’ambito di piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati, di competenza comunale, fatte salve le previsioni degli strumenti di pianificazione territoriale, paesaggistica e urbanistica vigenti e i pareri degli enti preposti alla tutela.

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 3

 (Definizione degli interventi edilizi)

 

Art. 3

(Definizione degli interventi edilizi)

Art. 3

(Definizione degli interventi edilizi)

1. Ai fini del presente testo unico si intendono per:

a) "interventi di manutenzione ordinaria", gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti;

b) "interventi di manutenzione straordinaria", le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso. Nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione di uso;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

c) "interventi di restauro e di risanamento conservativo", gli interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d'uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio;

d) "interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

e) "interventi di nuova costruzione", quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi tali:

e.1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6);

e.2) gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal comune;

e.3) la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato;

e.4) l'installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione;

e.5) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore;

 

 

 

 

 

 

 

 

e.6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale;

e.7) la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato;

f) gli "interventi di ristrutturazione urbanistica", quelli rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico - edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale.

     2. Le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi. Resta ferma la definizione di restauro prevista dall'articolo 34 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490.

 

 

1. Ai fini del presente testo unico si intendono per:

a) "interventi di manutenzione ordinaria", gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti;

b) "interventi di manutenzione straordinaria", le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso implicanti incremento del carico urbanistico. Nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione di uso. Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono comprese anche le modifiche ai prospetti degli edifici legittimamente realizzati necessarie per mantenere o acquisire l’agibilità dell’edificio ovvero per l’accesso allo stesso, che non pregiudichino il decoro architettonico dell’edificio, purché l’intervento risulti conforme alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia e non abbia ad oggetto immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;

c) "interventi di restauro e di risanamento conservativo", gli interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d'uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio;

d) "interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché  a quelli ubicati nelle zone omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria.

 

 

 

 

 

e) "interventi di nuova costruzione", quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi tali:

e.1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6);

e.2) gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal comune;

e.3) la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato;

e.4) l'installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione;

e.5) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore;

 

 

 

 

 

 

 

 

e.6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale;

e.7) la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato;

f) gli "interventi di ristrutturazione urbanistica", quelli rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico - edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale.

2. Le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi. Resta ferma la definizione di restauro prevista dall'articolo 34 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

d) "interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di

cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

e.5) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottescampers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o delle tende e delle unità abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione, e loro pertinenze e accessori, che siano collocate, anche in via continuativa, in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto paesaggistico, che non posseggano alcun collegamento di natura permanente al terreno e presentino le caratteristiche dimensionali e tecnico-costruttive previste dalle normative regionali di settore ove esistenti;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 6 

(Attività edilizia libera)

 

Art. 6 

(Attività edilizia libera)

 

Art. 6 

(Attività edilizia libera)

 

1. Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, i seguenti interventi sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo:

a) gli interventi di manutenzione ordinaria di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a);

a-bis) gli interventi di installazione delle pompe di calore aria-aria di potenza termica utile nominale inferiore a 12 Kw; 

b) gli interventi volti all'eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell'edificio;

c) le opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo che abbiano carattere geognostico, ad esclusione di attività di ricerca di idrocarburi, e che siano eseguite in aree esterne al centro edificato;

d) i movimenti di terra strettamente pertinenti all'esercizio dell'attività agricola e le pratiche agro-silvo-pastorali, compresi gli interventi su impianti idraulici agrari;

e) le serre mobili stagionali, sprovviste di strutture in muratura, funzionali allo svolgimento dell'attività agricola;

e-bis) le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni, previa comunicazione di avvio lavori all'amministrazione comunale;

 

 

 

 

 

Omissis

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

e-bis) le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità e, comunque, entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto, previa comunicazione di avvio dei lavori all'amministrazione comunale

 

 

Art. 9-bis

(Documentazione amministrativa)

 

Art. 9-bis
(Documentazione amministrativa e stato legittimo degli immobili)

 

 

Art. 9-bis
(Documentazione amministrativa e stato legittimo degli immobili)

 

1. Ai fini della presentazione, del rilascio o della formazione dei titoli abilitativi previsti dal presente testo unico, le amministrazioni sono tenute ad acquisire d'ufficio i documenti, le informazioni e i dati, compresi quelli catastali, che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni e non possono richiedere attestazioni, comunque denominate, o perizie sulla veridicità e sull'autenticità di tali documenti, informazioni e dati.

 

1. Ai fini della presentazione, del rilascio o della formazione dei titoli abilitativi previsti dal presente testo unico, le amministrazioni sono tenute ad acquisire d'ufficio i documenti, le informazioni e i dati, compresi quelli catastali, che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni e non possono richiedere attestazioni, comunque denominate, o perizie sulla veridicità e sull'autenticità di tali documenti, informazioni e dati.

1-bis. Lo stato legittimo dell'immobile o dell'unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o da quello che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto ovvero da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza. Le disposizioni di cui al secondo periodo si applicano altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1-bis. Lo stato legittimo dell'immobile o dell'unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto ovvero da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Le disposizioni di cui al secondo periodo si applicano altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia.

 

 

 

 

Art. 10

(Interventi subordinati a permesso di costruire)

 

Art. 10

(Interventi subordinati a permesso di costruire)

 

Art. 10

(Interventi subordinati a permesso di costruire)

 

1. Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire:

a) gli interventi di nuova costruzione;

b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica;

c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni.

 

 

 

 

2. Le regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a segnalazione certificata di inizio attività.

3. Le regioni possono altresì individuare con legge ulteriori interventi che, in relazione all'incidenza sul territorio e sul carico urbanistico, sono sottoposti al preventivo rilascio del permesso di costruire. La violazione delle disposizioni regionali emanate ai sensi del presente comma non comporta l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 44.

1. Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire:

a) gli interventi di nuova costruzione;

b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica;

c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

2. Le regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a segnalazione certificata di inizio attività.

3. Le regioni possono altresì individuare con legge ulteriori interventi che, in relazione all'incidenza sul territorio e sul carico urbanistico, sono sottoposti al preventivo rilascio del permesso di costruire. La violazione delle disposizioni regionali emanate ai sensi del presente comma non comporta l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 44.

 

 

 

 

 

Art. 14

(Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici)

 

Art. 14

(Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici)

Art. 14

(Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici)

1. Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia.

1-bis. Per gli interventi di ristrutturazione edilizia, attuati anche in aree industriali dismesse, è ammessa la richiesta di permesso di costruire anche in deroga alle destinazioni d'uso, previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l'interesse pubblico, a condizione che il mutamento di destinazione d'uso non comporti un aumento della superficie coperta prima dell'intervento di ristrutturazione, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'articolo 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni.

2. Dell'avvio del procedimento viene data comunicazione agli interessati ai sensi dell'articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

3. La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, nonché, nei casi di cui al comma 1-bis, le destinazioni d'uso, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444.

 

 1. Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia.

1-bis. La richiesta di permesso di costruire in deroga è ammessa anche per gli interventi di ristrutturazione edilizia, previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l'interesse pubblico, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'articolo 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2. Dell'avvio del procedimento viene data comunicazione agli interessati ai sensi dell'articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

3. La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, nonché le destinazioni d'uso ammissibili, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1-bis. Per gli interventi di ristrutturazione edilizia, la richiesta di permesso di costruire in deroga è ammessa previa deliberazione del consiglio comunale che ne attesta l'interesse pubblico limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo, al recupero sociale e urbano dell’insediamento, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'articolo 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.

 

 

 

 

Art. 16

(Contributo per il rilascio del permesso di costruire)

 

Art. 16

(Contributo per il rilascio del permesso di costruire)

 

Art. 16

(Contributo per il rilascio del permesso di costruire)

 

 1. Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo.

2. La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto dell'articolo 2, comma 5, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune.

2-bis. Nell'ambito degli strumenti attuativi e degli atti equivalenti comunque denominati nonché degli interventi in diretta attuazione dello strumento urbanistico generale, l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria di cui al comma 7, di importo inferiore alla soglia di cui all'articolo 28, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, funzionali all'intervento di trasformazione urbanistica del territorio, è a carico del titolare del permesso di costruire e non trova applicazione il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

3. La quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio, è corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione della costruzione.

4. L'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni in relazione:

a) all'ampiezza ed all'andamento demografico dei comuni;

b) alle caratteristiche geografiche dei comuni;

c) alle destinazioni di zona previste negli strumenti urbanistici vigenti;

d) ai limiti e rapporti minimi inderogabili fissati in applicazione dall'articolo 41-quinquies, penultimo e ultimo comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modifiche e integrazioni, nonché delle leggi regionali;

d-bis) alla differenziazione tra gli interventi al fine di incentivare, in modo particolare nelle aree a maggiore densità del costruito, quelli di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), anziché quelli di nuova costruzione;

d-ter) alla valutazione del maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d'uso. Tale maggior valore, calcolato dall'amministrazione comunale, è suddiviso in misura non inferiore al 50 per cento tra il comune e la parte privata ed è erogato da quest'ultima al comune stesso sotto forma di contributo straordinario, che attesta l'interesse pubblico, in versamento finanziario, vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui ricade l'intervento, cessione di aree o immobili da destinare a servizi di pubblica utilità, edilizia residenziale sociale od opere pubbliche.

4-bis. Con riferimento a quanto previsto dal secondo periodo della lettera d-ter) del comma 4, sono fatte salve le diverse disposizioni delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici generali comunali.

5. Nel caso di mancata definizione delle tabelle parametriche da parte della regione e fino alla definizione delle tabelle stesse, i comuni provvedono, in via provvisoria, con deliberazione del consiglio comunale, secondo i parametri di cui al comma 4, fermo restando quanto previsto dal comma 4-bis.

6. Ogni cinque anni i comuni provvedono ad aggiornare gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, in conformità alle relative disposizioni regionali, in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale.

7. Gli oneri di urbanizzazione primaria sono relativi ai seguenti interventi: strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell'energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato.

7-bis. Tra gli interventi di urbanizzazione primaria di cui al comma 7 rientrano i cavedi multiservizi e i cavidotti per il passaggio di reti di telecomunicazioni, salvo nelle aree individuate dai comuni sulla base dei criteri definiti dalle regioni.

8. Gli oneri di urbanizzazione secondaria sono relativi ai seguenti interventi: asili nido e scuole materne, scuole dell'obbligo nonché strutture e complessi per l'istruzione superiore all'obbligo, mercati di quartiere, delegazioni comunali, chiese e altri edifici religiosi, impianti sportivi di quartiere, aree verdi di quartiere, centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie. Nelle attrezzature sanitarie sono ricomprese le opere, le costruzioni e gli impianti destinati allo smaltimento, al riciclaggio o alla distruzione dei rifiuti urbani, speciali, pericolosi, solidi e liquidi, alla bonifica di aree inquinate.

9. Il costo di costruzione per i nuovi edifici è determinato periodicamente dalle regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata, definiti dalle stesse regioni a norma della lettera g) del primo comma dell'articolo 4 della legge 5 agosto 1978, n. 457. Con lo stesso provvedimento le regioni identificano classi di edifici con caratteristiche superiori a quelle considerate nelle vigenti disposizioni di legge per l'edilizia agevolata, per le quali sono determinate maggiorazioni del detto costo di costruzione in misura non superiore al 50 per cento. Nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, ovvero in eventuale assenza di tali determinazioni, il costo di costruzione è adeguato annualmente, ed autonomamente, in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Il contributo afferente al permesso di costruire comprende una quota di detto costo, variabile dal 5 per cento al 20 per cento, che viene determinata dalle regioni in funzione delle caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della loro destinazione ed ubicazione.

10. Nel caso di interventi su edifici esistenti il costo di costruzione è determinato in relazione al costo degli interventi stessi, così come individuati dal comune in base ai progetti presentati per ottenere il permesso di costruire. Al fine di incentivare il recupero del patrimonio edilizio esistente, per gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), i comuni hanno comunque la facoltà di deliberare che i costi di costruzione ad essi relativi siano inferiori ai valori determinati per le nuove costruzioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

d-ter) alla valutazione del maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica o in deroga. Tale maggior valore, calcolato dall'amministrazione comunale, è suddiviso in misura non inferiore al 50 per cento tra il comune e la parte privata ed è erogato da quest'ultima al comune stesso sotto forma di contributo straordinario, che attesta l'interesse pubblico, in versamento finanziario, vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui ricade l'intervento, cessione di aree o immobili da destinare a servizi di pubblica utilità, edilizia residenziale sociale od opere pubbliche.

 

 

 

 

 

Art. 17

(Riduzione o esonero dal contributo di costruzione)

 

Art. 17

(Riduzione o esonero dal contributo di costruzione)

Art. 17

(Riduzione o esonero dal contributo di costruzione)

1. Nei casi di edilizia abitativa convenzionata, relativa anche ad edifici esistenti, il contributo afferente al permesso di costruire è ridotto alla sola quota degli oneri di urbanizzazione qualora il titolare del permesso si impegni, a mezzo di una convenzione con il comune, ad applicare prezzi di vendita e canoni di locazione determinati ai sensi della convenzione-tipo prevista dall'articolo 18.

2. Il contributo per la realizzazione della prima abitazione è pari a quanto stabilito per la corrispondente edilizia residenziale pubblica, purché sussistano i requisiti indicati dalla normativa di settore.

3. Il contributo di costruzione non è dovuto:

a) per gli interventi da realizzare nelle zone agricole, ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell'articolo 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153;

b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari;

c) per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici;

d) per gli interventi da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità;

e) per i nuovi impianti, lavori, opere, modifiche, installazioni, relativi alle fonti rinnovabili di energia, alla conservazione, al risparmio e all'uso razionale dell'energia, nel rispetto delle norme urbanistiche, di tutela dell'assetto idrogeologico, artistico-storica e ambientale.

4. Per gli interventi da realizzarsi su immobili di proprietà dello Stato, nonché per gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'articolo 6, comma 2, lettera a), qualora comportanti aumento del carico urbanistico, il contributo di costruzione è commisurato alla incidenza delle sole opere di urbanizzazione, purché ne derivi un aumento della superficie calpestabile.

4-bis. Al fine di agevolare gli interventi di densificazione edilizia, per la ristrutturazione, il recupero e il riuso degli immobili dismessi o in via di dismissione, il contributo di costruzione è ridotto in misura non inferiore al venti per cento rispetto a quello previsto per le nuove costruzioni nei casi non interessati da varianti urbanistiche, deroghe o cambi di destinazione d'uso comportanti maggior valore rispetto alla destinazione originaria. I comuni definiscono, entro novanta giorni dall'entrata in vigore della presente disposizione, i criteri e le modalità applicative per l'applicazione della relativa riduzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

4-bis. Al fine di agevolare gli interventi di rigenerazione urbana, di ristrutturazione, nonché di recupero e riuso degli immobili dismessi o in via di dismissione, il contributo di costruzione è ridotto in misura non inferiore del 20 per cento rispetto a quello previsto dalle tabelle parametriche regionali. I comuni hanno la facoltà di deliberare ulteriori riduzioni del contributo di costruzione, fino alla completa esenzione dallo stesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

4-bis. Al fine di agevolare gli interventi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo, di ristrutturazione, nonché di recupero e riuso degli immobili dismessi o in via di dismissione, il contributo di costruzione è ridotto in misura non inferiore del 20 per cento rispetto a quello previsto dalle tabelle parametriche regionali. I comuni hanno la facoltà di deliberare ulteriori riduzioni del contributo di costruzione, fino alla completa esenzione dallo stesso.

 

 

 

Art. 20

(Procedimento per il rilascio del permesso di costruire)

Art. 20

(Procedimento per il rilascio del permesso di costruire)

 

Art. 20

(Procedimento per il rilascio del permesso di costruire)

 

Omissis

8. Decorso inutilmente il termine per l'adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell'ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all'assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui agli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Omissis

8. Decorso inutilmente il termine per l'adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell'ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all'assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui agli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241. Fermi restando gli effetti comunque prodotti dal silenzio, lo sportello unico per l’edilizia rilascia anche in via telematica, entro quindici giorni dalla richiesta dell’interessato, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento, in assenza di richieste di integrazione documentale o istruttorie inevase e di provvedimenti di diniego; altrimenti, nello stesso termine, comunica all’interessato che tali atti sono intervenuti.

 

 

 

 

Art. 22

(Interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio di attività)

 

Art. 22

(Interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio di attività)

 

Art. 22

(Interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio di attività)

 

1. Sono realizzabili mediante la segnalazione certificata di inizio di attività di cui all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente:

   a) gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio;

   b) gli interventi di restauro e di risanamento conservativo di cui all'articolo 3, comma 1, lettera c), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio;

   c) gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), diversi da quelli indicati nell'articolo 10, comma 1, lettera c).

 

2. Sono, altresì, realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai fini dell'attività di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini dell'agibilità, tali segnalazioni certificate di inizio attività costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell'intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori.

2-bis. Sono realizzabili mediante segnalazione certificata d'inizio attività e comunicate a fine lavori con attestazione del professionista, le varianti a permessi di costruire che non configurano una variazione essenziale, a condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie e siano attuate dopo l'acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore.

3. abrogato.

4. Le regioni a statuto ordinario con legge possono ampliare o ridurre l'ambito applicativo delle disposizioni di cui ai commi precedenti. Restano, comunque, ferme le sanzioni penali previste all'articolo 44.

5. abrogato

6. La realizzazione degli interventi di cui al presente Capo che riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica, paesaggistico-ambientale o dell'assetto idrogeologico, è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative. Nell'ambito delle norme di tutela rientrano, in particolare, le disposizioni di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490.

7. E' comunque salva la facoltà dell'interessato di chiedere il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione degli interventi di cui al presente Capo, senza obbligo del pagamento del contributo di costruzione di cui all'articolo 16, salvo quanto previsto dall'ultimo periodo del comma 1 dell'articolo 23. In questo caso la violazione della disciplina urbanistico-edilizia non comporta l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 44 ed è soggetta all'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 37.

 

1. Sono realizzabili mediante la segnalazione certificata di inizio di attività di cui all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente:

   a) gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio o i prospetti;

   b) gli interventi di restauro e di risanamento conservativo di cui all'articolo 3, comma 1, lettera c), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio;

   c) gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), diversi da quelli indicati nell'articolo 10, comma 1, lettera c).

2. Sono, altresì, realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai fini dell'attività di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini dell'agibilità, tali segnalazioni certificate di inizio attività costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell'intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori.

2-bis. Sono realizzabili mediante segnalazione certificata d'inizio attività e comunicate a fine lavori con attestazione del professionista, le varianti a permessi di costruire che non configurano una variazione essenziale, a condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie e siano attuate dopo l'acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore.

3. abrogato.

4. Le regioni a statuto ordinario con legge possono ampliare o ridurre l'ambito applicativo delle disposizioni di cui ai commi precedenti. Restano, comunque, ferme le sanzioni penali previste all'articolo 44.

5. abrogato

6. La realizzazione degli interventi di cui al presente Capo che riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica, paesaggistico-ambientale o dell'assetto idrogeologico, è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative. Nell'ambito delle norme di tutela rientrano, in particolare, le disposizioni di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490.

7. E' comunque salva la facoltà dell'interessato di chiedere il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione degli interventi di cui al presente Capo, senza obbligo del pagamento del contributo di costruzione di cui all'articolo 16, salvo quanto previsto dall'ultimo periodo del comma 1 dell'articolo 23. In questo caso la violazione della disciplina urbanistico-edilizia non comporta l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 44 ed è soggetta all'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 37.

 

 

 

 

Art. 23-ter

(Mutamento d'uso urbanisticamente rilevante)

Art. 23-ter

     (Mutamento d'uso urbanisticamente rilevante)

 

Art. 23-ter

     (Mutamento d'uso urbanisticamente rilevante)

 

   1. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa, da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate:

a) residenziale;

a-bis) turistico-ricettiva;

b) produttiva e direzionale;

c) commerciale;

d) rurale.

2. La destinazione d'uso di un fabbricato o di una unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile.

 

3. Le regioni adeguano la propria legislazione ai princìpi di cui al presente articolo entro novanta giorni dalla data della sua entrata in vigore. Decorso tale termine, trovano applicazione diretta le disposizioni del presente articolo. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito.

   1. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa, da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate:

a) residenziale;

a-bis) turistico-ricettiva;

b) produttiva e direzionale;

c) commerciale;

d) rurale.

2. La destinazione d'uso dell'immobile o dell'unità immobiliare è quella stabilita dalla documentazione di cui all’articolo 9-bis, comma 1-bis.

3. Le regioni adeguano la propria legislazione ai princìpi di cui al presente articolo entro novanta giorni dalla data della sua entrata in vigore. Decorso tale termine, trovano applicazione diretta le disposizioni del presente articolo. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito.

 

 

 

 

Art. 23-quater

(Usi temporanei)

 

 

 

   1. Allo scopo di attivare processi di rigenerazione urbana, di riqualificazione di aree urbane degradate, di recupero e valorizzazione di immobili e spazi urbani dismessi o in via di dismissione e favorire, nel contempo, lo sviluppo di iniziative economiche, sociali, culturali o di recupero ambientale, il comune può consentire l'utilizzazione temporanea di edifici ed aree per usi diversi da quelli previsti dal vigente strumento urbanistico.

   2. L'uso temporaneo può riguardare immobili legittimamente esistenti ed aree sia di proprietà privata che di proprietà pubblica, purché si tratti di iniziative di rilevante interesse pubblico o generale correlate agli obiettivi urbanistici, socio-economici ed ambientali indicati al comma 1.

   3. L'uso temporaneo è disciplinato da una apposita convenzione che regola:

    a) la durata dell'uso temporaneo e le eventuali modalità di proroga;

    b) le modalità di utilizzo temporaneo degli immobili ed aree;

   c) le modalità, i costi, gli oneri e le tempistiche per il ripristino una volta giunti alla scadenza della convenzione;

    d) le garanzie e le penali per eventuali inadempimenti degli obblighi convenzionali.

   4. La stipula della convenzione costituisce titolo per l'uso temporaneo e per l'esecuzione di eventuali interventi di adeguamento che si rendano necessari per esigenze di accessibilità, di sicurezza negli ambienti di lavoro e di tutela della salute, da attuarsi comunque con modalità reversibili, secondo quanto stabilito dalla convenzione medesima.

   5. L'uso temporaneo non comporta il mutamento della destinazione d'uso dei suoli e delle unità immobiliari interessate.

   6. Laddove si tratti di immobili o aree di proprietà pubblica il soggetto gestore è individuato mediante procedure di evidenza pubblica; in tali casi la convenzione specifica le cause di decadenza dall'assegnazione per gravi motivi.

   7. Il consiglio comunale individua i criteri e gli indirizzi per l'attuazione delle disposizioni del presente articolo da parte della giunta comunale. In assenza di tale atto consiliare lo schema di convenzione che regola l'uso temporaneo è approvato con deliberazione del consiglio comunale.

   8. Le leggi regionali possono dettare disposizioni di maggior dettaglio, anche in ragione di specificità territoriali o di esigenze contingenti a livello locale.

 

 

 

Art. 24

(Agibilità)

 

Art. 24

(Agibilità)

Art. 24

(Agibilità)

1. La sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, nonché la conformità dell'opera al progetto presentato e la sua agibilità sono attestati mediante segnalazione certificata.

2. Ai fini dell'agibilità, entro quindici giorni dall'ultimazione dei lavori di finitura dell'intervento, il soggetto titolare del permesso di costruire, o il soggetto che ha presentato la segnalazione certificata di inizio di attività, o i loro successori o aventi causa, presenta allo sportello unico per l'edilizia la segnalazione certificata, per i seguenti interventi:

a) nuove costruzioni;

b) ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali;

c) interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di cui al comma 1.

3. La mancata presentazione della segnalazione, nei casi indicati al comma 2, comporta l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da euro 77 a euro 464.

4. Ai fini dell'agibilità, la segnalazione certificata può riguardare anche:

a) singoli edifici o singole porzioni della costruzione, purché funzionalmente autonomi, qualora siano state realizzate e collaudate le opere di urbanizzazione primaria relative all'intero intervento edilizio e siano state completate e collaudate le parti strutturali connesse, nonché collaudati e certificati gli impianti relativi alle parti comuni;

b) singole unità immobiliari, purché siano completate e collaudate le opere strutturali connesse, siano certificati gli impianti e siano completate le parti comuni e le opere di urbanizzazione primaria dichiarate funzionali rispetto all'edificio oggetto di agibilità parziale.

5. La segnalazione certificata di cui ai commi da 1 a 4 è corredata dalla seguente documentazione:

a) attestazione del direttore dei lavori o, qualora non nominato, di un professionista abilitato che assevera la sussistenza delle condizioni di cui al comma 1;

b) certificato di collaudo statico di cui all'articolo 67 ovvero, per gli interventi di cui al comma 8-bis del medesimo articolo, dichiarazione di regolare esecuzione resa dal direttore dei lavori;

c) dichiarazione di conformità delle opere realizzate alla normativa vigente in materia di accessibilità e superamento delle barriere architettoniche di cui all'articolo 77, nonché all'articolo 82;

d) gli estremi dell'avvenuta dichiarazione di aggiornamento catastale;

e) dichiarazione dell'impresa installatrice, che attesta la conformità degli impianti installati negli edifici alle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico prescritte dalla disciplina vigente ovvero, ove previsto, certificato di collaudo degli stessi.

6. L'utilizzo delle costruzioni di cui ai commi 2 e 4 può essere iniziato dalla data di presentazione allo sportello unico della segnalazione corredata della documentazione di cui al comma 5. Si applica l'articolo 19, commi 3 e 6-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241.

7. Le Regioni, le Province autonome, i Comuni e le Città metropolitane, nell'ambito delle proprie competenze, disciplinano le modalità di effettuazione dei controlli, anche a campione e comprensivi dell'ispezione delle opere realizzate.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

7-bis. La segnalazione certificata può altresì essere presentata, in assenza di lavori, per gli immobili legittimamente realizzati privi di agibilità che presentano i requisiti definiti con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti predisposto di concerto con il Ministro della salute, con il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo e con il Ministro per la pubblica amministrazione, da adottarsi, previa intesa in Conferenza unificata, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.

 

 

 

 

 

Art. 34

(Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire)

 

Art. 34

(Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire)

 

Art. 34

(Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire)

 

1. Gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell'ufficio. Decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell'abuso.

2. Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.

2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all'articolo 23, comma 01, eseguiti in parziale difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività.

 

 

2-ter. Ai fini dell'applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali.

 

1. Gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell'ufficio. Decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell'abuso.

2. Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.

2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all'articolo 23, comma 01, eseguiti in parziale difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività.

2-ter. abrogato

 

 

 

 

 

 

Art. 34-bis

(Tolleranze costruttive)

 

 

 

   1. Il mancato rispetto dell'altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo. 

    2. Fuori dai casi di cui al comma 1, limitatamente agli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, costituiscono inoltre tolleranze esecutive le irregolarità geometriche e le modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, nonché la diversa collocazione di impianti e opere interne e le modifiche alle finiture degli edifici, eseguite durante i lavori per l'attuazione di titoli abilitativi edilizi, a condizione che non comportino violazione della disciplina urbanistica ed edilizia e non pregiudichino l'agibilità dell'immobile.

   3. Le tolleranze esecutive di cui ai commi 1 e 2 realizzate nel corso di precedenti interventi edilizi, non costituendo violazioni edilizie, sono dichiarate dal tecnico abilitato, ai fini dell’attestazione dello stato legittimo degli immobili, nella modulistica relativa a nuove istanze, comunicazioni e segnalazioni edilizie ovvero con apposita dichiarazione asseverata allegata agli atti aventi per oggetto trasferimento o costituzione, ovvero scioglimento della comunione, di diritti reali.

 

 

 

 

 

Art. 94

(Autorizzazione per

l’inizio dei lavori)

 

Art. 94

(Autorizzazione

per l’inizio dei lavori)

 

1. Fermo restando l'obbligo del titolo abilitativo all'intervento edilizio, nelle località sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità all'uopo indicate nei decreti di cui all'articolo 83, non si possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione.

2. L'autorizzazione è rilasciata entro sessanta giorni dalla richiesta, ed entro quaranta giorni dalla stessa in riferimento ad interventi finalizzati all'installazione di reti di comunicazione elettronica a banda ultralarga, e viene comunicata al comune, subito dopo il rilascio, per i provvedimenti di sua competenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3. Avverso il provvedimento relativo alla domanda di autorizzazione, o nei confronti del mancato rilascio entro il termine di cui al comma 2, è ammesso ricorso al presidente della giunta regionale che decide con provvedimento definitivo.

 

Omissis

 

1. Fermo restando l'obbligo del titolo abilitativo all'intervento edilizio, nelle località sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità all'uopo indicate nei decreti di cui all'articolo 83, non si possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione del competente ufficio tecnico della regione.

2. L'autorizzazione è rilasciata entro trenta giorni dalla richiesta.

 

 

 

 

 

2-bis. Decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di autorizzazione si intende formato il silenzio-assenso. Fermi restando gli effetti comunque prodotti dal silenzio assenso ai sensi del primo periodo, lo sportello unico per l’edilizia rilascia, anche in via telematica, entro quindici giorni, dalla richiesta dell’interessato, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento, in assenza di richieste di integrazione documentale o istruttorie inevase e di provvedimenti di diniego; altrimenti, nello stesso termine, comunica all’interessato che tali atti sono intervenuti.

3. Avverso il provvedimento relativo alla domanda di autorizzazione è ammesso ricorso al presidente della giunta regionale che decide con provvedimento definitivo.

 

 

 

 

 

Art. 94-bis

(Disciplina degli interventi strutturali in zone sismiche)

 

Art. 94-bis

(Disciplina degli interventi strutturali in zone sismiche)

 

1. Ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui ai capi I, II e IV della parte seconda del presente testo unico, sono considerati, nel rispetto di quanto previsto agli articoli 52 e 83:

a) interventi "rilevanti" nei riguardi della pubblica incolumità:

1) gli interventi di adeguamento o miglioramento sismico di costruzioni esistenti nelle località sismiche ad alta sismicità (zona 1) e a media sismicità (zona 2, limitatamente a valori di accelerazione ag compresi fra 0,20 g e 0,25 g)

2) le nuove costruzioni che si discostino dalle usuali tipologie o che per la loro particolare complessità strutturale richiedano più articolate calcolazioni e verifiche, situate nelle località sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità (zone 3 e 4);

3) gli interventi relativi ad edifici di interesse strategico e alle opere infrastrutturali la cui funzionalità durante gli eventi sismici assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile, nonché relativi agli edifici e alle opere infrastrutturali che possono assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un loro eventuale collasso, situati nelle località sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità (zone 3 e 4);

b) interventi di "minore rilevanza" nei riguardi della pubblica incolumità:

1) gli interventi di adeguamento o miglioramento sismico di costruzioni esistenti nelle località sismiche a media sismicità (zona 2, limitatamente a valori di ag compresi fra 0,15 g e 0,20 g), e zona 3);

2) le riparazioni e gli interventi locali sulle costruzioni esistenti, compresi gli edifici e le opere infrastrutturali di cui alla lettera a), numero 3);

3) le nuove costruzioni che non rientrano nella fattispecie di cui alla lettera a), n. 2);

3-bis) le nuove costruzioni appartenenti alla classe di costruzioni con presenza solo occasionale di persone e edifici agricoli di cui al punto 2.4.2 del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 17 gennaio 2018;

c) interventi "privi di rilevanza" nei riguardi della pubblica incolumità:

1) gli interventi che, per loro caratteristiche intrinseche e per destinazione d'uso, non costituiscono pericolo per la pubblica incolumità.

2. Per i medesimi fini del comma 1, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con la Conferenza Unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, definisce, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, le linee guida per l'individuazione, dal punto di vista strutturale, degli interventi di cui al medesimo comma 1, nonché delle varianti di carattere non sostanziale per le quali non occorre il preavviso di cui all'articolo 93. Nelle more dell'emanazione delle linee guida, le regioni possono confermare le disposizioni vigenti. Le elencazioni riconducibili alle categorie di interventi di minore rilevanza o privi di rilevanza, già adottate dalle regioni, possono rientrare nelle medesime categorie di interventi di cui al comma 1, lettere b) e c). A seguito dell'emanazione delle linee guida, le regioni adottano specifiche elencazioni di adeguamento alle stesse.

3. Fermo restando l'obbligo del titolo abilitativo all'intervento edilizio, non si possono iniziare lavori relativi ad interventi "rilevanti", di cui al comma 1, lettera a), senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione, in conformità all'articolo 94.

4. Fermo restando l'obbligo del titolo abilitativo all'intervento edilizio, e in deroga a quanto previsto all'articolo 94, comma 1, le disposizioni di cui al comma 3 non si applicano per lavori relativi ad interventi di "minore rilevanza" o "privi di rilevanza" di cui al comma 1, lettera b) o lettera c).

5. Per gli stessi interventi, non soggetti ad autorizzazione preventiva, le regioni possono istituire controlli anche con modalità a campione.

6. Restano ferme le procedure di cui agli articoli 65 e 67, comma 1, del presente testo unico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3. Fermo restando l'obbligo del titolo abilitativo all'intervento edilizio, non si possono iniziare lavori relativi ad interventi "rilevanti", di cui al comma 1, lettera a), senza preventiva autorizzazione del competente ufficio tecnico della regione, in conformità all'articolo 94.

 

 

 

 

Art. 103

(Vigilanza per l'osservanza delle norme tecniche)

 

 

Art. 103

(Vigilanza per l'osservanza delle norme tecniche)

 

1. Nelle località di cui all'articolo 61 e in quelle sismiche di cui all'articolo 83 gli ufficiali di polizia giudiziaria, gli ingegneri e geometri degli uffici tecnici delle amministrazioni statali e degli uffici tecnici regionali, provinciali e comunali, le guardie doganali e forestali, gli ufficiali e sottufficiali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e in generale tutti gli agenti giurati a servizio dello Stato, delle province e dei comuni sono tenuti ad accertare che chiunque inizi costruzioni, riparazioni e sopraelevazioni sia in possesso dell'autorizzazione rilasciata dal competente ufficio tecnico della regione a norma degli articoli 61 e 94.

2. I funzionari di detto ufficio debbono altresì accertare se le costruzioni, le riparazioni e ricostruzioni procedano in conformità delle presenti norme.

 

 

 

 

 

 

Omissis

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2. I funzionari di detto ufficio debbono altresì accertare se le costruzioni, le riparazioni e ricostruzioni procedano in conformità delle presenti norme. Ai fini dell’esercizio dell’attività prevista dal presente articolo, sono individuati come prioritari i lavori avviati o effettuati sulla base di autorizzazione rilasciata secondo le modalità di cui all’articolo 94, comma 2-bis.

 

 


 

Articolo 10-bis
(
Semplificazioni su demolizione opere abusive)

 

 

L’articolo 10-bis, introdotto dal Senato, riscrive l'art. 41 del DPR 380/2001, prevedendo che, in caso di mancato avvio delle procedure di demolizione entro il termine di 180 giorni dall'accertamento dell'abuso, la competenza è trasferita all'ufficio del Prefetto. Per la materiale esecuzione dell'intervento, il prefetto può avvalersi del concorso del genio militare, previa intesa con le competenti autorità militari e ferme restando le esigenze delle Forze armate.

 

Il nuovo articolo 10-bis reca semplificazioni in materia di demolizione di opere abusive.

La disposizione prevede, al comma 1, la riscrittura dell'art. 41 del DPR 380/2001 (T.U. edilizia).

La nuova norma prevede, in caso di mancato avvio delle procedure di demolizione entro il termine di 180 giorni dall'accertamento dell'abuso, il trasferimento della competenza all'ufficio del Prefetto che provvede alla demolizione avvalendosi degli uffici del comune, nel cui territorio ricade l'abuso edilizio da demolire, per ogni esigenza tecnico-progettuale.

 Rispetto alla legislazione vigente, la nuova norma prevede che, per la materiale esecuzione dell'intervento, il prefetto può avvalersi del concorso del genio militare, previa intesa con le competenti autorità militari e ferme restando le esigenze delle Forze armate.

Il vigente art. 41 del D.P.R. 06/06/2001, n. 380, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia,   con riguardo alla demolizione di opere abusive prevede che entro il mese di dicembre di ogni anno il dirigente o il responsabile del servizio trasmette al prefetto l'elenco delle opere non sanabili per le quali il responsabile dell'abuso non ha provveduto nel termine previsto alla demolizione e al ripristino dei luoghi e indica lo stato dei procedimenti relativi alla tutela dei vincoli previsti. Nel medesimo termine le amministrazioni statali e regionali preposte alla tutela trasmettono al prefetto l'elenco delle demolizioni da eseguire.

Nel sistema attualmente vigente, il prefetto, entro trenta giorni dalla ricezione degli elenchi di cui al comma 1, provvede poi agli adempimenti conseguenti all'intervenuto trasferimento della titolarità dei beni e delle aree interessate, notificando l'avvenuta acquisizione al proprietario e al responsabile dell'abuso (co. 2).

Sempre in base alla norma vigente, l'esecuzione della demolizione delle opere abusive, compresa la rimozione delle macerie e gli interventi a tutela della pubblica incolumità, è disposta dal prefetto. I relativi lavori sono affidati, anche a trattativa privata ove ne sussistano i presupposti, ad imprese tecnicamente e finanziariamente idonee. Il prefetto può anche avvalersi, per il tramite dei provveditorati alle opere pubbliche, delle strutture tecnico-operative del Ministero della difesa, sulla base di apposita convenzione stipulata d'intesa tra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministro della difesa.

Si rammenta che tale articolo 41 era stato sostituito dall'art. 32, comma 49-ter, D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003, n. 326. Successivamente, su tale disposizione la Corte costituzionale, con sentenza 24-28 giugno 2004, n. 196 (Gazz. Uff. 7 luglio 2004, n. 26 - Prima serie speciale), si era pronunciata dichiarando, tra l'altro, l'illegittimità del suddetto comma 49-ter dell'art. 32. Con la suddetta pronuncia la Corte, in considerazione della questione concernente il comma 49-ter che concentrava nell'autorità prefettizia la competenza a far effettuare le demolizioni conseguenti ad abusi edilizi, in relazione alla violazione del terzo comma dell'art. 117 Cost., in quanto norma di dettaglio e non principio fondamentale, e dell'art. 118 Cost., in quanto sottraente ai Comuni una funzione amministrativa, concentrandola in un organo statale senza che ciò sia giustificabile in base ad esigenze unitarie, ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale di tale comma 49-ter, che riscriveva l'art. 41 del TU. La Corte ha ritenuto in tale pronuncia che la "norma in oggetto sostituisce l'art. 41 del d.P.R. n. 380 del 2001, che, nella sua formulazione originaria, prevedeva le diverse procedure che il Comune poteva seguire in tutti i casi in cui la demolizione dovesse avvenire a cura dello stesso Comune (anche con l'intervento a sostegno di organi statali), con la possibilità, qualora si rivelasse impossibile l'affidamento dei lavori di demolizione, di darne notizia all'ufficio territoriale del Governo, il quale provvedeva alla demolizione". Riteneva la Corte in relazione a tale comma 49-ter, che esso prevede invece che il Comune, così come le amministrazioni statali e regionali, debbano trasmettere ogni anno al prefetto l'elenco delle opere da demolire e che il prefetto provveda all'esecuzione delle demolizioni, ritenendo che ciò "contrasta con il primo ed il secondo comma dell'art. 118 Cost., dal momento che non si limita ad agevolare ulteriormente l'esecuzione della demolizione delle opere abusive da parte del Comune o anche, in ipotesi, a sottoporre l'attività comunale a forme di controllo sostitutivo in caso di mancata attività, ma sottrae al Comune la stessa possibilità di procedere direttamente all'esecuzione della demolizione delle opere abusive, senza che vi siano ragioni che impongano l'allocazione di tali funzioni amministrative in capo ad un organo statale".

 

       Il comma 2 della disposizione in esame stabilisce che, entro il termine di cui al comma 1, i responsabili del comune hanno l'obbligo di trasferire all'ufficio del prefetto 'tutte le informazioni' relative agli abusi edilizi per provvedere alla loro demolizione.

In base alla norma vigente, gli elenchi contengono, tra l'altro: il nominativo dei proprietari e dell'eventuale occupante abusivo, gli estremi di identificazione catastale, il verbale di consistenza delle opere abusive e l'eventuale titolo di occupazione dell'immobile (co. 1 dell'art. 41 in vigore).

Si valuti di specificare i contenuti informativi che sono oggetto dell'obbligo di trasmissione all'ufficio prefettizio, al fine di specificare l'oggetto dell'obbligo medesimo.

Si valuti di chiarire la formulazione con riferimento ai soggetti 'responsabili dei comuni', al fine di meglio definire i soggetti tenuti all'obbligo comunicativo previsto.

Si ricorda che nella XVII Legislatura è stato all'esame del Parlamento, senza che ne sia intervenuta l'approvazione, il disegno di legge dal titolo "Disposizioni per la razionalizzazione delle competenze in materia di demolizione di manufatti abusivi" (A.S. 580): Il testo è stato approvato dal Senato il 22 gennaio 2014 e trasmesso alla Camera dei deputati, ove è stato approvato con modificazioni il 18 maggio 2016 (A.C. 1994). Una nuova approvazione con modificazioni ha avuto luogo in Senato il 17 maggio 2017 (A.S. 580-B). Il rinvio in Commissione ad opera della Plenaria della Camera dei deputati il 2 ottobre 2017 ha posto fine all'iter di approvazione A.C. 1994-B.

Si rinvia ai relativi dossier per gli approfondimenti sul sistema delle procedure di attuazione delle demolizioni, ed il c.d. sistema 'del doppio binario' delineato dalla legislazione vigente, che vede le competenze in materia di demolizione:

-        delle autorità amministrative (Comuni, Regioni e Prefetture);

-        dell'autorità giudiziaria, in presenza della condanna definitiva del giudice penale per i reati di abusivismo edilizio (art. 31, co. 9 TU edilizia).

Con riguardo al c.d. "binario amministrativo" si ricorda che la normativa conferisce puntuali competenze in materia di repressione dell'abusivismo ai Comuni nell'ambito dei più ampi poteri di vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia e di governo del territorio prevedendo nel caso di immobili abusivi la facoltà di ordinare la demolizione ovvero di disporre l'acquisizione del bene al patrimonio pubblico.

-        Il legislatore ha previsto poteri suppletivi in capo alle Regioni ed al prefetto, in caso di inadempimento dei comuni. Infatti, il TU edilizia prevede che:

? ove il Comune non abbia provveduto entro i termini stabiliti, possa essere la

regione a disporre la demolizione delle opere eseguite (art. 40);

? analogamente, alla demolizione, può in via residuale provvedere il prefetto (in base all'art. 41, qui oggetto di totale riscrittura).

Si ricorda che in relazione alle attività di demolizione delle opere abusive l'art. 32, co. 12, DL 269/2003 ha previsto che i Comuni sono abilitati a richiedere anticipazioni a valere sul Fondo per la demolizione delle opere abusive istituito presso la Cassa depositi e prestiti s.p.a., risultando poi adottate due circolari della cassa depositi e prestiti sulle modalità per accedere al fondo stesso (n. 1254 del 28 ottobre 2004 e n. 1264 del febbraio 2006).

Infine, in materia, si ricordano, tra i numerosi atti di sindacato ispettivo presentati sull'argomento, nella corrente XVIII Legislatura: in Senato le interrogazioni a risposta scritta 4-00133 (De Petris) e 4-00841 (La Mura ed altri); alla Camera dei deputati l'interpellanza 2-00073 (Giacometto) e l'interrogazione a risposta scritta 4-02575 (Giacometto). Alla Camera dei deputati sono stati inoltre presentati gli ordini del giorno in Assemblea n. 9/01334-B/137 (Muroni ed altri) e 9/01334-AR/179 (Braga ed altri), entrambi accolti come raccomandazioni.

 


 

Articolo 11, commi 1-3
(Accelerazione e semplificazione della ricostruzione pubblica nelle aree colpite da eventi sismici)

 

 

L'articolo 11 interviene in materia di accelerazione e semplificazione della ricostruzione pubblica nelle aree colpite da eventi sismici, prevedendo, al comma 1, che le disposizioni del presente decreto recanti semplificazioni e agevolazioni procedurali o maggiori poteri commissariali si applichino, senza pregiudizio dei poteri e delle deroghe già previsti dalla legislazione vigente, a tutte le gestioni commissariali in corso.

Il comma 2 attribuisce poi al Commissario straordinario per la ricostruzione del centro Italia un potere di ordinanza in deroga a ogni disposizione di legge diversa da quella penale, su un elenco di interventi ed opere urgenti e di particolare criticità, anche relativi alla ricostruzione dei centri storici dei comuni maggiormente colpiti, individuati anch'essi con ordinanza del Commissario. Il Commissario straordinario può nominare fino a due sub-commissari, dettandosi disposizioni sui relativi compensi, e autorizzando la spesa di 100.000 euro per il 2020 e 200 mila euro annui a decorrere dal 2021.

Il comma 3 prevede che, fermo restando il protocollo di intesa tra il Commissario straordinario del Governo per la ricostruzione, il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo ed il presidente della Conferenza episcopale italiana (CEI), i lavori di competenza delle diocesi e degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, di importo non superiore alla soglia comunitaria per singolo lavoro, seguono le procedure previste per la ricostruzione privata sia per l’affidamento sia per la  progettazione che dei lavori. Resta ferma la disciplina degli interventi immediati sul patrimonio culturale di cui all’articolo 15-bis del DL n. 189 del 2016.

 

Gestioni commissariali in corso

Più nel dettaglio la disposizione, al comma 1, prevede che le disposizioni del presente decreto recanti semplificazioni e agevolazioni procedurali o maggiori poteri commissariali, si applicano alle gestioni commissariali in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, finalizzate alla ricostruzione e al sostegno delle aree colpite da eventi sismici verificatisi sul territorio nazionale.

Si afferma che ciò avviene senza pregiudizio dei poteri e delle deroghe già previsti dalla legislazione vigente.

La norma specifica che l'ambito applicativo alle varie gestioni commissariali comprende anche le procedure relative:

-        alla scelta del contraente o all’aggiudicazione di pubblici lavori, servizi e forniture;

-         nonché concernenti le valutazioni ambientali;

-        ovvero, ai procedimenti amministrativi 'di qualunque tipo'.

 

 

Poteri di ordinanza del Commissario straordinario per la ricostruzione in Centro Italia

 

Il comma 2 stabilisce che - senza pregiudizio di quanto previsto dal comma 1 -  il Commissario straordinario di cui all’articolo 2 del DL n. 189 del 2016 relativo agli eventi sismici del Centro Italia del 2016, individua con propria ordinanza gli interventi e le opere urgenti e di particolare criticità, anche relativi alla ricostruzione dei centri storici dei comuni maggiormente colpiti. Per tali interventi, si stabilisce che i poteri di ordinanza attribuiti al Commissario dall’articolo 2, comma 2, del medesimo DL 189/2016 sono esercitabili in deroga a ogni disposizione di legge diversa da quella penale. Si specifica trattarsi degli interventi nei comuni di cui agli allegati 1, 2 e 2-bis del decreto-legge n. 189 del 2016.

Si tratta, quanto all'Allegato 1, dell'Elenco dei Comuni colpiti dal sisma del 24 agosto 2016, per l'Allegato 2 dell'Elenco dei Comuni colpiti dal sisma del 26 e del 30 ottobre 2016 e per l'Allegato 2-bis dell'Elenco dei Comuni colpiti dal sisma del 18 gennaio 2017.

E' fatto salvo dalla disposizione, oltre al rispetto della legge penale, il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, del codice dei beni culturali, nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, ivi inclusi quelli derivanti dalle direttive 2014/24/UE (sugli appalti pubblici) e 2014/25/UE (sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali).

 

Si ricorda che il Decreto-Legge 17 ottobre 2016, n. 189 ha recato Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016, convertito con modificazioni dalla Legge 15 dicembre 2016, n. 229.

In base al comma 2 dell'articolo 2 del D.L. 189 citato, le ordinanze del Commissario sono emanate per l'esercizio delle funzioni di cui al comma 1 della medesima norma - che elenca una serie di f sentiti i Presidenti delle Regioni interessate nell'ambito della cabina di coordinamento (di cui all'articolo 1, comma 5), e sono comunicate al Presidente del Consiglio dei ministri. In relazione all'articolo 2, comma 2, del D.L. 189, si ricorda poi che modifiche in relazione alla governance della gestione post sisma e al potere ordinanziale erano state recate dall'art. 37, comma 1, lett. a), n. 1-bis), del D.L. n. 109 del 2018. Il co. 2 dell'articolo 2 in parola ha infatti previsto che per l'esercizio delle funzioni previste, il Commissario straordinario provvede anche a mezzo di ordinanze, nel rispetto della Costituzione, dei principi generali dell'ordinamento giuridico e delle norme dell'ordinamento europeo, e che le ordinanze sono emanate sentiti i Presidenti delle Regioni interessate nell'ambito della cabina di coordinamento di cui all'articolo 1, comma 5, e sono comunicate al Presidente del Consiglio dei ministri.

Va segnalato che la Corte costituzionale, con sentenza  n. 246 del 2019 (pubblicata in Gazz. Uff. 4 dicembre 2019, n. 49 - Prima serie speciale), ha al riguardo dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità costituzionale della previsione citata in materia di poteri di ordinanza del Commissario, nella parte in cui ha previsto che le ordinanze del commissario straordinario in parola sono adottate sentiti i Presidenti delle Regioni interessate anziché previa intesa con gli stessi.

Si ricorda che con il D.P.C.M. 14 febbraio 2020, l'avvocato Giovanni Legnini, è stato nominato Commissario straordinario del Governo ai fini della ricostruzione nelle regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria interessate dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016. E' stata inoltre stabilita l'impignorabilità delle risorse assegnate alla gestione commissariale per i territori colpiti da eventi sismici, in tal caso, fino al 31 dicembre 2020 (art. 39 del D.L. 109/18).

In considerazione dell’esigenza di continuità dell’azione del commissario straordinario, la Corte in pronuncia ha fatto salvi gli effetti utili dell’azione amministrativa già posta in essere per la situazione emergenziale.

Si ricorda che oggetto del giudizio di costituzionalità - che era stato promosso con ricorsi della Regione Marche e della Regione Umbria - era l’art. 37, comma 1, lettera a), numero 1-bis), e lettera b-ter), del decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109 (Disposizioni urgenti per la città di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze), convertito, con modificazioni, in legge 16 novembre 2018, n. 130, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale.

Con tale pronuncia, la Corte ha evidenziato come, la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato, deve prevedere un idoneo coinvolgimento delle Regioni; ciò deve valere 'a doppio titolo': da una parte, la chiamata in sussidiarietà a livello centrale di funzioni amministrative in materia di «protezione civile» in caso di emergenza di rilievo nazionale richiede il rispetto del principio di leale collaborazione; dall’altra parte, tale necessario coinvolgimento viene in rilievo anche perché l’avvio della ricostruzione incrocia altresì la competenza concorrente delle Regioni in materia di «governo del territorio».

 

In base alla disposizione in esame, sembrano delinearsi:

-        una prima ordinanza del Commissario, volta ad individuare gli interventi ritenuti urgenti nell'ambito degli indicati Comuni di cui ai diversi Allegati al D.L. 189;

A tale riguardo, la disposizione non prefigura uno specifico iter procedimentale per l'adozione dell'ordinanza, invece previsto per le ordinanze ai sensi dell'art.2, comma 2, del DL 189.

Considerato che tale potere di ordinanza è esercitato nelle materie legislative concorrenti "protezione civile" e "governo del territorio",  si valuti la possibilità di prevedere un idoneo coinvolgimento delle regioni interessate.

Al riguardo, la richiamata sentenza della Corte costituzionale (la n.246 del 2019, v. supra), se da un lato riconosce la legittimità[20] di un intervento legislativo statale più penetrante rispetto alla  disciplina di principio riservata allo Stato nelle citate materie in cui la competenza è concorrente, dall'altro richiama l'esigenza di prevedere un adeguato coinvolgimento delle regioni, attraverso lo strumento dell'intesa[21], non ritenendo in quell'occasione rispettosa del principio di leale collaborazione la previsione di un mero parere.

 

-        su tali interventi, l'articolo in esame risulta delineare un potere di ordinanza, che ha i presupposti e i confini del potere ordinanziale già previsto dal D.L. 189 - segnatamente dall'articolo 2, co. 2, dello stesso - ma che opera in deroga al quadro normativo (con le eccezioni previste).

 

L’elenco di tali interventi e opere è comunicato al Presidente del Consiglio dei ministri, che può impartire direttive.

Inoltre, per il coordinamento e la realizzazione degli interventi e delle opere in questione, il Commissario straordinario può nominare fino a due sub-commissari, responsabili 'di uno o più interventi', il cui compenso è determinato in misura non superiore a quella indicata all’articolo 15, comma 3, del DL n. 98 del 2011[22].

Alla luce della formulazione della disposizione, si valuti l’opportunità di chiarire se la nomina dei subcommissari riguardi la singola opera o intervento, ovvero sia relativa all'elenco individuato dal Commissario.

Si segnala che, alla luce dell'ordinamento in materia, parrebbe suscettibile di approfondimento l'eventuale rapporto fra gli istituendi subcommissari, da  un lato,  e i vicecommissari e la cabina di coordinamento, di cui all'art.1, comma 5, del D.L. n. 189 (non inciso dal decreto legge in esame)[23].

Il suddetto D.L.n. 98 reca Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria. Nel disciplinare la Liquidazione degli enti dissestati e misure di razionalizzazione dell'attività dei commissari straordinari, il citato articolo 15 del DL 98/2011, al comma 3 stabilisce che, a decorrere dal 1° gennaio 2012, il compenso dei commissari o sub commissari sia composto da una parte fissa e da una parte variabile. La parte fissa non può superare 50 mila euro annui; la parte variabile, strettamente correlata al raggiungimento degli obiettivi e al rispetto dei tempi di realizzazione degli interventi ricadenti nell'oggetto dell'incarico commissariale, non può superare 50 mila euro annui. Con la medesima decorrenza si è stabilito di procedere alla rideterminazione dei compensi previsti per gli incarichi di commissario e sub commissario conferiti prima di tale data; la violazione delle disposizioni del comma in esame costituisce responsabilità per danno erariale.

A tal fine è autorizzata la spesa di 100.000 euro per il 2020 e 200 mila euro annui a decorrere dal 2021. Ai relativi oneri si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2020, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero medesimo.

Il Commissario straordinario può altresì individuare, ai sensi dell’articolo 15 del DL n. 189 del 2016, il soggetto attuatore competente, che agisce sulla base delle ordinanze commissariali di cui al presente comma della disposizione in esame.

 

Più nel dettaglio, quanto alla richiamata normativa del D.L. 189 del 2016 in materia di terremoti, si ricorda che il menzionato articolo 2 del DL n. 189 disciplina le Funzioni del Commissario straordinario e dei vice commissari, in particolare precisando, al comma 1, i compiti del Commissario straordinario e le relative modalità di svolgimento (quali: stretto raccordo con il Capo del Dipartimento della protezione civile, coordinamento delle attività disciplinate dal DL, coordinamento degli interventi di ricostruzione e riparazione degli immobili privati, sovraintendenza dell’attività dei vice commissari di concessione, erogazione dei contributi, vigilanza sulla fase attuativa degli interventi, ricognizione e determinazione, di concerto con Regioni e Mibact, del quadro complessivo dei danni e stima del relativo fabbisogno finanziario, definizione della programmazione delle risorse nei limiti di quelle assegnate, coordinamento degli interventi di ricostruzione e riparazione di opere pubbliche, tenuta e gestione della contabilità speciale a lui appositamente intestata, esercizio del controllo su ogni altra attività prevista dal DL nei territori colpiti). Il parimenti menzionato comma 2 del medesimo articolo 2 precisa che, per l'esercizio delle sue funzioni, il Commissario straordinario provveda anche a mezzo di ordinanze, nel rispetto della Costituzione, dei principi generali dell'ordinamento giuridico e delle norme dell'ordinamento europeo. Si prevede che le ordinanze siano emanate sentiti i Presidenti delle Regioni interessate nell'ambito della cabina di coordinamento della ricostruzione e siano comunicate al Presidente del Consiglio dei ministri.

Come sopra segnalato, la Corte costituzionale, con sentenza  n. 246 del 2019 (pubblicata in Gazz. Uff. 4 dicembre 2019, n. 49 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità costituzionale della previsione in materia di poteri di ordinanza del Commissario, nella parte in cui prevede che le ordinanze del commissario straordinario sono adottate sentiti i Presidenti delle Regioni interessate anziché previa intesa con gli stessi.

La citata cabina di coordinamento della ricostruzione (disciplinata dall'articolo 1, comma 5, del DL 189/2016), presieduta dal Commissario straordinario, ha il compito di concordare i contenuti dei provvedimenti da adottare e di assicurare l'applicazione uniforme e unitaria in ciascuna Regione delle ordinanze e direttive commissariali, nonché di verificare periodicamente l'avanzamento del processo di ricostruzione. Alla cabina di coordinamento partecipano, oltre al Commissario straordinario, i Presidenti delle Regioni, in qualità di vice commissari (si prevede infatti espressamente che i Presidenti delle Regioni interessate operino in qualità di vice commissari per gli interventi di cui al DL, in stretto raccordo con il Commissario straordinario, che può delegare loro le funzioni a lui attribuite dal DL), ovvero, in casi del tutto eccezionali, uno dei componenti della Giunta regionale munito di apposita delega motivata, oltre ad un rappresentante dei comuni per ciascuna delle regioni interessate, designato dall'ANCI regionale di riferimento.

 

Il citato articolo 15 del DL 189/2016 disciplina i Soggetti attuatori degli interventi relativi alle opere pubbliche e ai beni culturali. In particolare, il comma 1 individua i soggetti attuatori degli interventi per la riparazione, il ripristino con miglioramento sismico o la ricostruzione delle opere pubbliche e dei beni culturali. A tal fine vengono individuati i seguenti enti: Regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, anche attraverso gli Uffici speciali per la ricostruzione; Mibact; Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; Agenzia del demanio; Diocesi e Comuni, limitatamente agli interventi sugli immobili di proprietà di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti; Università, limitatamente agli interventi sugli immobili di proprietà e di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria). Per lo svolgimento di tali interventi, il comma 1-bis consente ai comuni di avvalersi, in qualità di responsabile unico del procedimento, dei dipendenti assunti con contratti di lavoro a tempo determinato, in deroga ai vincoli di contenimento della spesa di personale. Il comma 2 consente al Presidente della Regione-vice commissario di delegare lo svolgimento dell’attività necessaria alla loro realizzazione ai Comuni o agli altri enti locali interessati. Riguardo gli interventi su immobili di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, di importo superiore alla soglia di rilevanza europea o per i quali non si siano proposte le diocesi, il comma 3 stabilisce che la funzione di soggetto attuatore venga svolta dal Mibact o dagli altri soggetti individuati. Infine il comma 3-bis statuisce in ordine ai lavori di   competenza delle diocesi di importo non superiore a 600.000 euro per singolo lavoro, prevedendo che per essi si seguano le procedure previste per la ricostruzione privata, delegando ad ordinanza commissariale, sentiti il presidente della CEI e il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo,  le modalità di attuazione del comma in esame, dirette ad assicurare il controllo, l'economicità e la trasparenza nell'utilizzo delle risorse pubbliche, nonché le priorità di intervento e il metodo di calcolo del costo del progetto. Si prevede altresì l’istituzione di un tavolo tecnico presso la struttura commissariale per definire le procedure adeguate alla natura giuridica delle diocesi ai fini della realizzazione delle opere di importo superiore a 600.000 euro e inferiore alla soglia di rilevanza europea.

 

Nel disciplinare la Struttura del Commissario straordinario e misure per il personale impiegato in attività emergenziali, l’articolo 50 del DL 189/2016 stabilisce, al comma 6, per gli esperti di cui all'articolo 2, comma 3, del DPR 9 settembre 2016[24], ove provenienti da altra amministrazione pubblica, può essere disposto il collocamento fuori ruolo nel numero massimo di cinque unità. Al fine di garantire l'invarianza finanziaria, all'atto del collocamento fuori ruolo e per tutta la sua durata, è reso indisponibile, nella dotazione organica dell'amministrazione di appartenenza, un numero di posti equivalente dal punto di vista finanziario. Il Commissario straordinario nomina con proprio provvedimento gli esperti di cui all'articolo 2, comma 3, del DPR 9 settembre 2016. L’articolo 2 del predetto DPR, stabilisce: al comma 1, che, per l'esercizio dei compiti assegnati, il Commissario straordinario si avvale delle risorse strumentali messe a disposizione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri; al comma 2, che il Commissario si avvale, altresì, di una struttura posta alle sue dirette dipendenze, alla quale può essere assegnato personale appartenente ad amministrazioni pubbliche, anche in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o altro analogo istituto previsto dai rispettivi ordinamenti, con trattamento economico fondamentale a carico delle stesse; al comma 3, che il contingente di personale assegnato alla struttura del Commissario straordinario è così costituito: tre dirigenti appartenenti ai ruoli delle amministrazione pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni; sei unità di personale appartenente alla Categoria A del personale della Presidenza del Consiglio dei Ministri o di livello equiparato, se proveniente da altre amministrazioni pubbliche; otto unità di personale appartenente alla Categoria B del personale del comparto della Presidenza del Consiglio dei Ministri o di livello equiparato, se proveniente da altre pubbliche amministrazioni; fino a dieci esperti, compreso un consigliere giuridico, da scegliere tra persone di comprovata competenza professionale ed esperienza e da nominare ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303.

 

Il comma 3 prevede infine che, fermo restando il protocollo di intesa, firmato il 21 dicembre 2016, tra il Commissario straordinario del Governo per la ricostruzione, il Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo ed il presidente della Conferenza episcopale italiana (CEI), i lavori di competenza delle diocesi e degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, di importo non superiore alla soglia comunitaria per singolo lavoro, seguono le procedure previste per la ricostruzione privata sia per l’affidamento sia per la  progettazione che dei lavori.

L’art. 15, comma 3-bis, del D.L. 189/16, finora vigente, prevedeva che i lavori di competenza delle Diocesi (previsti al comma 1, lettera e), dell’articolo 15 del D.L. 189/16), di importo non superiore a 600.000 euro per singolo intervento, seguono le procedure previste per la ricostruzione privata, di cui al comma 13 dell'articolo 6 del D.L. 189/16, che prevede una procedura concorrenziale intesa all'affidamento dei lavori alla migliore offerta per imprese iscritte nella Anagrafe antimafia, di cui all'articolo 30, comma 6 del D.L. 189/16, in numero non inferiore a tre. Gli esiti della procedura concorrenziale, completi della documentazione stabilita con provvedimenti adottati ai sensi dell'articolo 2, comma 2, sono prodotti dall'interessato in ogni caso prima dell'emissione del provvedimento di concessione del contributo.

Rimane fermo quanto stabilito Protocollo d'intesa, firmato il 21 dicembre 2016, tra il Commissario straordinario del Governo per la ricostruzione, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e il presidente della Conferenza episcopale italiana (CEI), il quale individua modalità e termini per il recupero dei beni culturali di interesse religioso danneggiati dagli eventi sismici che hanno colpito le regioni Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo a partire dal 24 agosto 2016.

Si ricorda che l’art. 15, comma 1, del D.L. 189/16, per la riparazione, il ripristino con miglioramento sismico o la ricostruzione delle opere pubbliche e dei beni culturali, di cui all'articolo 14, comma 1 del medesimo D.L. 189/16, individua, tra i soggetti attuatori degli interventi, le Diocesi e i Comuni, limitatamente agli interventi sugli immobili di proprietà di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, sottoposti alla giurisdizione dell'Ordinario diocesano di cui alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 14 e di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria di cui all'articolo 35 del codice dei contratti pubblici. La richiamata lett. a) fa riferimento, tra l'altro, alle chiese e agli edifici di culto di proprietà di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, di interesse storico-artistico ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio (di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004), anche se formalmente non dichiarati tali ai sensi dell'articolo 12 del medesimo codice e utilizzati per le esigenze di culto.

 

Resta ferma la disciplina degli interventi immediati sul patrimonio culturale di cui all’articolo 15-bis del DL n. 189 del 2016.

In materia di beni culturali, si vedano altresì le modalità relative agli interventi di messa in sicurezza dettate con l'Ordinanza 5 maggio 2017, n. 23 e l'Ordinanza 21 giugno 2017, n. 32.

 

In materia di ricostruzione privata, oltre alle norme dettate dal già citato D.L. 189, successive disposizioni sono intervenute, da ultimo con il D.L. 123 del 2019, che all'articolo 2 ha recato norme per la ricostruzione pubblica e privata e all'articolo 3 disposizioni per la semplificazione e accelerazione della ricostruzione privata a seguito di eventi sismici.

Con riferimento al quadro normativo recato in materia di gestione e ricostruzione post sisma, si ricorda che, oltre alla normativa recata dal citato D.L. 189, più di recente disposizioni urgenti per l'accelerazione e il completamento delle ricostruzioni in corso nei territori colpiti da eventi sismici sono state recate con il D.L. 24/10/2019, n. 123 (per approfondimenti, si veda il relativo dossier) nonché da diversi decreti-legge: per un quadro delle diverse gestioni commissariali in corso e della relativa normativa adottata, si veda il focus "Terremoti" a cura della Camera.

 

 

 

 


 

Articolo 11, comma 3-bis
(Definizione procedure di condono)

 

 

Il comma 3-bis dell'articolo 11, introdotto con una modifica del Senato, è volto a novellare il comma 3 dell'articolo 25 del decreto-legge n. 109 del 2018 (c.d. Decreto Genova) in materia di procedure di condono. Con la novella si riscrive il secondo periodo della disposizione in parola, prevedendo che successivamente all'accoglimento delle istanze di condono previste dalla norma, il contributo spetta anche per le parti relative ad aumenti di volume già condonati, ma resta comunque escluso per i casi di demolizione e ricostruzione.

 

 

La norma novella il comma 3 dell'articolo 25 del decreto-legge n. 109 del 2018 (c.d. Decreto Genova) in materia di procedure di condono. L'articolo 25 ha dettato al co. 3, primo periodo, norme sul procedimento per la concessione dei contributi di cui al capo III del D.L. Genova, inerente gli “interventi nei territori dei comuni di Casamicciola terme, Forio, Lacco Ameno dell'Isola di Ischia interessati dagli eventi sismici verificatisi il giorno 21 agosto 2017” di cui al D.L. Genova stesso.

In particolare, con la novella proposta si riscrive il secondo periodo della disposizione in parola, prevedendo che successivamente all'accoglimento delle istanze di condono previste dalla norma, nel limite delle risorse stanziate, il contributo spetta anche per le parti relative ad aumenti di volume già condonati, ma resta comunque escluso per i casi di demolizione e ricostruzione.

Il testo vigente stabilisce invece che il contributo comunque non spetta per la parte relativa ad eventuali aumenti di volume oggetto del condono.

 

Nel dettaglio, il D.L. n. 109 del 2018 ha recato "Disposizioni urgenti per la città di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze".

L'art. 25 ha dettato la Definizione delle procedure di condono.

Esso ha previsto al co. 3, primo periodo, che il procedimento per la concessione dei contributi di cui al capo III - che disciplina gli “interventi nei territori dei comuni di Casamicciola terme, Forio, Lacco Ameno dell'Isola di Ischia interessati dagli eventi sismici verificatisi il giorno 21 agosto 2017” - del D.L. Genova in rilievo, è sospeso nelle more dell'esame delle istanze di condono e la loro erogazione è subordinata all'accoglimento di dette istanze. In base al secondo periodo del comma nel testo vigente - oggetto di riscrittura con la proposta emendativa - il contributo comunque non spetta per la parte relativa ad eventuali aumenti di volume oggetto del condono.

Si ricorda che in base al co. 1 dell'articolo 25, i Comuni di cui all'articolo 17, comma 1, del D.L. 109/2018 definiscono le istanze di condono relative agli immobili distrutti o danneggiati dal sisma del 21 agosto 2017, presentate ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, pendenti alla data di entrata in vigore del decreto Genova. Per la definizione delle istanze di cui alla disposizione, trovano esclusiva applicazione le disposizioni di cui ai Capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Si rammenta che il co. 1-bis prevede per le istanze presentate ai sensi del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, le procedure di cui al comma 1 sono definite previo rilascio del parere favorevole da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico.

In base al co. 2, i comuni provvedono, anche mediante l'indizione di apposite conferenze di servizi, ad assicurare la conclusione dei procedimenti volti all'esame delle predette istanze di condono, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto Genova. Entro lo stesso termine, le autorità competenti provvedono al rilascio del parere di cui all'articolo 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269. Per approfondimenti, si veda il dossier relativo al D.L. n. 109 del 2018, con riferimento alle procedure di condono indicate dall'art. 25 di tale decreto-legge.

 

 


 

Articolo 11, comma 3-ter
(Disposizioni sul sisma 2012)

 

 

Con il comma 3-ter, introdotto dal Senato, si posticipa il termine entro cui utilizzare i finanziamenti agevolati previsti in relazione al sisma del 2012.

 

In particolare, con il nuovo comma 3-ter si novella l'articolo 3-bis del decreto-legge n. 95 del 2012 inerente il credito di imposta e i finanziamenti bancari agevolati per la ricostruzione riscrivendo la data recata dal comma 4-bis della norma novellata relativa al termine entro cui utilizzare i finanziamenti agevolati previsti, che viene posticipata al 31 dicembre 2021, rispetto al 31 dicembre 2020 prevista dal testo vigente (data decorsa la quale vi è un obbligo di restituzione dei finanziamenti, in base alla normativa).

 

Il co. 4-bis prevede che i finanziamenti agevolati in favore di imprese agricole ed agroindustriali di cui ai provvedimenti dei Presidenti delle regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto sono erogati dalle banche, in deroga a quanto previsto dal comma 4, sul conto corrente bancario vincolato intestato al relativo beneficiario, in unica soluzione entro il 31 dicembre 2018, e posti in ammortamento a decorrere dalla data di erogazione degli stessi. Alla stessa data, matura in capo al beneficiario del finanziamento il credito di imposta, che è contestualmente ceduto alla banca finanziatrice e calcolato sommando alla sorte capitale gli interessi dovuti, nonché le spese una tantum strettamente necessarie alla gestione del medesimo finanziamento. Le somme depositate sui conti correnti bancari vincolati di cui al presente comma sono utilizzabili sulla base degli stati di avanzamento lavori entro la data di scadenza indicata nei provvedimenti di cui al primo periodo e comunque entro il 31 dicembre 2020. Le somme non utilizzate entro la data di scadenza di cui al periodo precedente ovvero entro la data antecedente in cui siano eventualmente revocati i contributi, in tutto o in parte, con provvedimento delle autorità competenti, sono restituite in conformità a quanto previsto dalla convenzione con l'Associazione bancaria italiana di cui al comma 1, anche in compensazione del credito di imposta già maturato. Si ricorda che tale co. 4-bis è stato inserito dall'art. 25-quinquies, comma 1, D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, come convertito in legge (L. 17 dicembre 2018, n. 136).

 


 

Articolo 11-bis
(Ricostruzione pubblica – sisma Centro Italia 2016-2017)

 

 

L‘articolo 11-bis, introdotto durante nell’esame al Senato, modifica la disciplina sulla ricostruzione pubblica, disciplinata dall’articolo 14 del D.L. 189/2016, per i territori colpiti dal sisma dell’Italia centrale a far data dal 24 agosto 2016, al fine di semplificare la procedura di selezione degli operatori economici per gli appalti di edilizia scolastica, prevedendo, in particolare, che l’invito a partecipare non sia più basato sul progetto definitivo posto a base di gara. La norma estende, inoltre, tale possibilità anche per altri interventi che rivestono un'importanza essenziale ai fini della ricostruzione.  Si differisce, inoltre, al 30 novembre 2020 il termine della domanda di contributo per gli interventi di immediata esecuzione degli edifici inagibili.

 

In primo luogo, l’art. 11-bis, comma 1, modifica il comma 3-bis dell’art. 14 del D.L. 189/2016, introdotto dall’art. 5, comma 1, lett. b), del D.L. 8/2017, che prevede che gli interventi funzionali alla realizzazione degli specifici piani, volti al ripristino delle condizioni necessarie per la ripresa, ovvero per lo svolgimento della normale attività scolastica, educativa o didattica per il regolare svolgimento dell’anno scolastico 2017-2018, costituiscano presupposto, per l’applicazione della procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara, di cui all’art. 63, comma 1, del Codice dei contratti pubblici.

Per ulteriori approfondimenti sul comma 3-bis del citato art. 14 si rinvia al relativo dossier sul D.L. 8/2017.

Si ricorda che il comma 1 del citato art. 63 dispone che in specifici casi, le amministrazioni aggiudicatrici possono aggiudicare appalti pubblici mediante una procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, dando conto con adeguata motivazione, nel primo atto della procedura, della sussistenza dei relativi presupposti.

Con la modifica introdotta al citato comma 3-bis dell’art. 14, si provvede a semplificare la procedura di selezione degli operatori economici per l’aggiudicazione dell’appalto, prevedendo che l’invito a partecipare non sia più basato sul progetto definitivo posto a base di gara. 

 

In secondo luogo, con l’art. 11-bis, comma 1, si interviene, inoltre, sul comma 3-bis.1 dell’art. 14 del D.L. 189/2016, inserito dall'art. 2-bis, comma 9, lett. e), del D.L. 148/2017, e poi modificato dall'art. 23, comma 1, lett. d-bis), nn. 1) e 2), del D.L. 32/2019 (per approfondire vedi il seguente link), che consente al Commissario straordinario, in sede di approvazione dei piani per la ricostruzione pubblica[25], di individuare, con specifica motivazione, gli interventi, inseriti in detti piani, che rivestono un'importanza essenziale ai fini della ricostruzione nei territori colpiti dagli eventi sismici.

Il testo vigente prevede, in particolare, che, per la realizzazione di tali interventi da parte dei soggetti attuatori[26] (di cui all'art. 15, comma 1, del D.L. 189/16) possa applicarsi, fino alla scadenza della gestione commissariale (fissata al 31 dicembre 2021 dall'art. 57, comma 2, del D.L. 14 agosto 2020, n. 104), ed entro i limiti della soglia di rilevanza europea (fissata dall'art. 35 del Codice dei contratti pubblici) la procedura negoziata senza bando prevista dal citato comma 3-bis dell’art. 14 del D.L. 189/2016.

Con la modifica in commento, si estende anche ai soggetti attuatori di cui al comma 3-quater dell’art. 14[27] e al comma 2 dell’art. 15[28], oltre che ai soggetti attuatori di cui all'art. 15, comma 1, la possibilità di applicare la procedura negoziata senza bando, prevista dal citato comma 3-bis dell’art. 14 del D.L. 189/2016, per la realizzazione degli interventi che rivestono un'importanza essenziale ai fini della ricostruzione individuati dal Commissario straordinario.

 

In terzo luogo, il comma 2 dell’articolo 11-bis modifica l’art. 8, comma 4, terzo periodo del D.L. 189/2016, stabilendo la possibilità che il Commissario differisca al termine perentorio del 30 novembre 2020 (in luogo del termine previsto del 30 giugno 2020) la presentazione della domanda di contributo per gli interventi di immediata esecuzione.

L’art. 8 del D.L. 189/2016 disciplina i c.d. interventi di immediata esecuzione prevedendo che, per gli edifici con danni lievi non classificati agibili/utilizzabili e che necessitano soltanto di interventi di immediata riparazione, i soggetti interessati possono, previa presentazione di apposito progetto e asseverazione da parte di un professionista abilitato che documenti il nesso di causalità tra gli eventi sismici e lo stato della struttura, oltre alla valutazione economica del danno, effettuare l'immediato ripristino della agibilità degli edifici e delle strutture.

Il primo periodo del comma 4 di tale art. 8 dispone che entro sessanta giorni dalla data di comunicazione dell'avvio degli interventi in questione, e comunque non oltre la data del 30 giugno 2019, gli interessati devono presentare agli Uffici speciali per la ricostruzione la documentazione richiesta secondo le modalità stabilite dal Commissario. Il secondo periodo consente altresì al Commissario straordinario, con apposita ordinanza, di disporre il differimento del termine previsto dal primo periodo, comunque non oltre il 31 dicembre 2019. Secondo il terzo periodo, oggetto di modifica, il commissario straordinario può disporre un ulteriore differimento del termine di cui al periodo precedente al 30 giugno 2020.

 

 


 

Articolo 12
(Modifiche alla legge 7 agosto 1990, n. 241)

 

 

L’articolo 12 reca alcune modifiche alla legge generale sul procedimento amministrativo (L. n. 241 del 1990), in funzione di semplificazione e accelerazione dell’azione amministrativa.

In primo luogo, con la nuova lettera 0a), inserita nel corso dell’esame al Senato, è integrato l’articolo 1 della legge n. 241 del 1990 disponendo che i rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede.

Alcune previsioni riguardano i termini del procedimento amministrativo e recano l’obbligo per le amministrazioni di misurare e rendere pubblici i tempi effettivi di conclusione dei procedimenti (comma 1, lett. a), n. 1), e lett. l)); nel corso dell’esame al Senato è stato specificato che la pubblicità dei tempi è garantita dalle amministrazioni mediante pubblicazione sul proprio sito istituzionale, nella sezione “Amministrazione trasparente”.

È altresì disposto - per le p.a. statali - l’obbligo di aggiornare i termini dei procedimenti di rispettiva competenza, prevedendo una riduzione della loro durata (comma 2). Al fine di incentivare il rispetto dei termini procedimentali, nonché di garantire la piena operatività dei meccanismi di silenzio assenso, viene stabilita l’inefficacia di alcuni provvedimenti adottati fuori termine (comma 1, lett. a), n. 2)).

Un secondo gruppo di disposizioni introducono misure volte a favorire e rafforzare l’uso della telematica nel procedimento amministrativo (comma 1, lett. b), c) e d)).

Viene modificata la disciplina della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, sostituendo l’interruzione dei termini del procedimento, attualmente prevista, con la sospensione degli stessi ed introducendo altre modifiche sulla motivazione del diniego al fine di evitare i rischi di plurime reiterazioni del procedimento con il medesimo esito sfavorevole (comma 1, lett. e) e lett. i)).

Con ulteriori novelle alla legge 241/1990 in materia di attività consultiva delle pubbliche amministrazioni, si prevede che in caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere, ancorché si tratti di un parere obbligatorio, l’amministrazione richiedente procede indipendentemente dall’espressione del parere (comma 1, lett. f)). Viene introdotto un meccanismo per superare l’inerzia delle amministrazioni proponenti per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi (comma 1, lett. g)).

Si interviene in materia di autocertificazione per aggiornare la normativa e valorizzarne l’applicazione (comma 1, lett. h) e comma 3).

 

 

Nell’intenzione espressa nella relazione illustrativa le modifiche alla legge n. 241 del 1990 sono unite dalla finalità di garantire maggiore certezza e speditezza all’azione amministrativa, mediante correttivi e aggiustamenti ad alcuni istituti disciplinati della legge, individuati sulla base delle criticità applicative emerse.

 

La legge 241/1990 sancisce regole generali valide per tutti i procedimenti amministrativi che si svolgono nell’ambito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali. Tale disciplina è stata oggetto negli anni di un continuo processo di revisione da parte del legislatore per adeguare la fisionomia normativa degli istituti alle esigenze emerse nella prassi applicativa e nella giurisprudenza.

L’intervento di maggior rilievo si è avuto nel corso della XIV legislatura, in particolare ad opera della legge n. 15/2005, che ha ampiamente novellato la legge introducendo l’intero Capo IV-bis, che disciplina l’efficacia e l’invalidità del provvedimento, nonché gli istituti di autotutela amministrativa.

Nella XVI legislatura ulteriori correzioni a vari aspetti della disciplina generale del procedimento sono state apportate dalla legge n. 69/2009, nonché da alcune disposizioni del D.L. 5/2012 (c.d. decreto Semplifica Italia) e della L. 190/2012 (c.d. legge anticorruzione), con la duplice finalità di rafforzare gli strumenti di tutela a disposizione dei privati nei confronti delle pubbliche amministrazioni e dei privati che esercitano funzioni amministrative, nonché di assicurare maggiore certezza e celerità per l’adozione del provvedimento finale.

Nel corso della XVII legislatura è stato approvato un ulteriore pacchetto di riforme, animato dall'intento di semplificare l’organizzazione della pubblica amministrazione, riconducibile in prevalenza alle disposizioni della legge n. 124/2015 e dei decreti attuativi. Gli interventi hanno riguardato la disciplina della conferenza di servizi, il regime delle autorizzazioni amministrative e la segnalazione certificata di inizio attività (c.d. SCIA), i termini dei procedimenti, nonché la disciplina dell’autotutela amministrativa (revoca, sospensione, annullamento d'ufficio degli atti amministrativi). Tra le novità di rilievo, vi è la previsione in via generale del meccanismo del silenzio assenso anche nei rapporti tra amministrazioni o tra amministrazioni e gestori di beni o servizi pubblici.

 

 

Principio della collaborazione e della buona fede

 

La lettera 0a), inserita nel corso dell’esame al Senato, integra l’articolo 1 della legge sul procedimento amministrativo, al fine di aggiungervi il principio per cui i rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede (nuovo comma 2-bis).

 

A tale riguardo, si ricorda che il principio di correttezza e buona fede oggettiva è stato valorizzato dalla giurisprudenza amministrativa, secondo la quale, al fondamentale canone di buona fede devono essere improntati non solo i rapporti tra i consociati tenuti, ai sensi dell'art. 2 della Costituzione, al rispetto dei doveri inderogabili di solidarietà ma anche e soprattutto la pubblica amministrazione, cui l'art. 97 della Cost. impone di agire con imparzialità e in ossequio al principio del buon andamento (si cfr., Cons. St. II, 4 giugno 2020, n. 3537; Cons, St. VI, 12 febbraio 2007, n. 539). Entrambe le parti del rapporto amministrativo sono tenute al rispetto di tale principio.

Larga applicazione del principio viene fatta nel settore dei contratti pubblici, insieme con il principio di correttezza, ma sempre più in generale anche nello svolgimento di attività autoritativa (Cons. St. ad.plen., 4 aprile 2018, n. 5; Cons. Stato, V, 23 gennaio 2008, n. 140).

 

Si ricorda, inoltre, che l’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, assoggetta l’attività amministrativa ai principi dell’ordinamento comunitario, tra i quali assume un rilievo primario la tutela dell’affidamento legittimo, che sebbene non espressamente contemplato dai Trattati, è stato elevato dalla Corte di giustizia al rango di principio dell’ordinamento comunitario (a partire dalla sentenza Topfer del 3 maggio 1978, C-12/77).

A livello legislativo, a tale principio sono tuttavia ispirate alcune significative e più recenti modifiche della disciplina generale del procedimento amministrativo, come ad esempio, la disciplina del potere di autotutela da parte della PA, che deve sempre considerare l’affidamento del privato rispetto a un precedente provvedimento ampliativo della propria sfera giuridica (si cfr. art. 21-nonies, comma 1, l. n. 241 del 1990, come modificato dall’art. 25, comma 1, lettera b-quater, l. n. 164 del 2014, e poi dall’art. 6, comma 1, l. n. 124 del 2015; nonché l’art. 21-quinquies, come modificato dall’art. 25, comma 1, lettera b-ter, l. n. 164 del 2014).

 

Un richiamo esplicito ma di tipo settoriale, al “principio della collaborazione e della buona fede” si trova infine nell’art. 10 dello Statuto del contribuente approvato con la legge n. 212 del 2000.

 

 

Modifiche in materia di termini dei procedimenti amministrativi

Con la lettera a) sono apportate alcune integrazioni all’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, che disciplina i termini di conclusione del procedimento amministrativo.

Con una prima disposizione viene aggiunto all’articolo 2 un comma 4-bis, che obbliga le pubbliche amministrazioni a misurare e rendere pubblici i tempi effettivi di conclusione dei procedimenti amministrativi di maggiore impatto per i cittadini e per le imprese, comparandoli con i termini previsti dalla normativa vigente. A tale riguardo, con una modifica inserita nel corso dell’esame al Senato, viene specificato che la pubblicità dei tempi è garantita dalle amministrazioni mediante pubblicazione sul proprio sito istituzionale, nella sezione “Amministrazione trasparente”.

 

In materia, è utile richiamare che, in base alla L. 190 del 2012 (art. 1, co. 9) le pubbliche amministrazioni sono tenute nel piano di prevenzione della corruzione a definire le modalità di monitoraggio del rispetto dei termini, previsti dalla legge o dai regolamenti, per la conclusione dei procedimenti. Altra disposizione della stessa legge impone alle amministrazioni di provvedere comunque al monitoraggio periodico del rispetto dei tempi procedimentali attraverso la tempestiva eliminazione delle anomalie. I risultati del monitoraggio devono essere consultabili nel sito web istituzionale di ciascuna amministrazione (art. 1, co. 28). Parallelamente l’obbligo di pubblicazione di questi dati era stato inserito nel Codice della trasparenza delle p.a. (D.Lgs. n. 33 del 2013) con una disposizione, poi abrogata nel 2016 (D.Lgs. 97 del 2016).

 

Si ricorda inoltre che il D.L. 9 febbraio 2012, n. 5 (c.d. "Semplifica Italia"), ha previsto l’adozione di un Programma per la misurazione e la riduzione dei tempi dei procedimenti amministrativi e degli oneri regolatori gravanti su imprese e su cittadini, ivi inclusi gli oneri amministrativi, adottato con d.p.c.m. 28 maggio 2014, previa intesa in Conferenza unificata. Il Programma si integrava con l’Agenda per la semplificazione condivisa tra Stato, Regioni e autonomie, a cui era assegnato il compito di individuare, sulla base degli esiti delle attività di misurazione, sia i più rilevanti interventi di riduzione degli oneri e dei tempi da adottare, che le misure per assicurare effettività agli interventi già adottati.

 

Il nuovo comma 4-bis rinvia infine ad un d.p.c.m., da adottare su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e previa intesa in Conferenza unificata, per la definizione delle modalità e dei criteri di misurazione dei tempi effettivi di conclusione dei procedimenti. In base ad una specificazione inserita nel corso dell’esame al Senato, con il citato d.p.c.m. sono stabilite altresì le ulteriori misure di pubblicazione dei tempi effettivi di conclusione dei procedimenti, oltre quelle già previste al primo periodo (pubblicazione sul sito istituzionale).

 

In proposito, andrebbe valutata l’opportunità di specificare i criteri per ’individuazione dei procedimenti che la norma indica come “di maggiore impatto per cittadini e le imprese”.

 

In connessione a quanto previsto dal nuovo art. 2, co. 4-bis, della legge, con la successiva lettera l) si prevede l’inserimento delle disposizioni relative all’obbligo per le amministrazioni di misurare i tempi effettivi di conclusione dei procedimenti tra quelle che, ai sensi dell’articolo 29, co. 2-bis, della legge sul procedimento, attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. m), Cost. (si v. infra).

 

Una seconda modifica all’articolo 2 della legge n. 241 del 1990, introducendo un nuovo comma 8-bis, stabilisce l’inefficacia di alcuni provvedimenti adottati fuori termine, al fine di incentivare il rispetto dei termini procedimentali ed evitare l’adozione di “atti tardivi”, rendendo effettivo il meccanismo del silenzio-assenso.

La sanzione dell’inefficacia è prevista per le determinazioni relative “ai provvedimenti, alle autorizzazioni, ai pareri, ai nulla osta e agli atti di assenso comunque denominati”, adottate dopo la scadenza dei termini di cui:

§  all’art. 14-bis, comma 2, lettera c), della L. 241 del 1990, relativo alle determinazioni delle amministrazioni coinvolte in sede di conferenza di servizi semplificata che devono essere adottate entro il termine comunicato dall’amministrazione procedente, non superiore a 45 giorni o 90 giorni in caso di amministrazioni preposte alla cura di interessi sensibili: la legge qualifica la mancata comunicazione della determinazione nei termini come assenso senza condizioni (art. 14-bis, comma 4)

§  all’articolo 17-bis, commi 1 e 3, relativo l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati, di competenza di altre amministrazioni pubbliche ovvero di gestori di beni o servizi pubblici per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi da parte di una pubblica amministrazione: anche in questo caso è prevista la formazione del silenzio assenso decorso il termine di 30 giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento o di 90 nel caso di amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili;

§  all’articolo 20, comma 1, che stabilisce che nei procedimenti a istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi, esclusi quelli disciplinati dall’art. 19 (SCIA), per il rilascio di provvedimenti amministrativi, «il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda», se la stessa amministrazione non comunica all’interessato, nel termine indicato dall’art. 2, co. 2 e 3, il provvedimento di diniego ovvero se, entro 30 giorni dalla presentazione dall’istanza, non indice una conferenza di servizi. La legge prevede alcune eccezioni in relazione a determinati interessi pubblici, a casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali e ad altre eccezioni singolarmente individuate.

 

È altresì disposta l’inefficacia delle determinazioni adottate successivamente all’ultima riunione di cui all’art. 14-ter, comma 7, relativo ai lavori della conferenza di servizi simultanea, che si concludono non oltre 45 giorni decorrenti dalla prima riunione o 90 giorni nel caso in cui siano coinvolte amministrazioni preposte alla cura di interessi sensibili (art. 14-ter, comma 2). Anche in questo caso, sono introdotti meccanismi di silenzio assenso: infatti, all’esito dell’ultima riunione, l’amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento. Si considera acquisito l'assenso senza condizioni delle amministrazioni il cui rappr1esentante non abbia partecipato alle riunioni ovvero, pur partecipandovi, non abbia espresso la propria posizione ovvero abbia espresso un dissenso non motivato o riferito a questioni che non costituiscono oggetto della conferenza.

 

In tutti i casi finora elencati, l’inefficacia del provvedimento è pertanto funzionale a garantire la piena operatività delle norme che già qualificano il silenzio come assenso.

 

A tale riguardo, si ricorda che con una disposizione transitoria, il D.L. 34 del 2020 (c.d. decreto rilancio) ha introdotto alcune disposizioni tese ad accelerare e semplificare i procedimenti amministrativi avviati in relazione all’emergenza COVID-19. Tra queste, si prevede fino al 31 dicembre 2020 l’obbligo di adottare entro trenta giorni il provvedimento conclusivo del procedimento nei casi di formazione del silenzio endoprocedimentale tra amministrazioni (art. 264, comma 1, lett. e)). La norma è stata motivata osservando che “nella prassi accade di frequente che la formazione del silenzio non “sblocchi” il procedimento ma si attenda ugualmente l’assunzione di un atto da parte dell’amministrazione coinvolta”.

 

Il nuovo comma 8-bis prevede peraltro anche una diversa ipotesi, in cui l’inefficacia è prevista per i provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di cui all’articolo 19, commi 3 e 6-bis, "primo periodo" specifica l'em. 12.6 (testo 2) proposto dalle Commissioni riunite, della L. 241 del 1990 in caso di applicazione della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), adottati dopo la scadenza dei termini ivi previsti.

 

Si ricorda che la PA può intervenire, con poteri inibitori, repressivi e conformativi, sulle attività avviate sulla base di una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). In particolare, ai sensi dell'art. 19, co. 3 e 6-bis, L. 241/1990, l’amministrazione entro 60 giorni dalla segnalazione (30 per la SCIA edilizia), ove accerti la carenza di requisiti o presupposti per l’esercizio dell’attività, ne inibisce la prosecuzione e ne rimuove gli eventuali effetti dannosi.

Qualora vi sia la possibilità di regolarizzazione, l’amministrazione competente invita il privato a conformare l’attività intrapresa alla normativa vigente, qualora sia possibile, mediante un atto motivato, con il quale sono prescritte le misure necessarie, ovvero sospende l'attività in caso di attestazioni non veritiere o di pericolo per la tutela dell'interesse pubblico in materia di ambiente, paesaggio, beni culturali, salute, sicurezza pubblica o difesa nazionale. Il termine per provvedere alla regolarizzazione dell’attività non può essere inferiore a 30 giorni. Decorso il termine senza che le misure siano state adottate, l’attività s’intende vietata.

L’atto motivato dell’amministrazione interrompe il termine di 60 giorni dalla segnalazione (30 per la SCIA edilizia) che ricomincia a decorrere dalla data in cui il privato comunica l’adozione delle misure richieste.

 

Sul punto, merita sottolineare che attualmente la legge n. 241 del 1990 stabilisce che, decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di inibitoria, l’amministrazione può comunque intervenire, vietando la prosecuzione dell’attività, rimuovendone gli effetti, ovvero chiedendo al privato di conformarsi alla normativa vigente, purché ricorrano i presupposti per l’annullamento d’ufficio ai sensi dell’art. 21-nonies della legge (art. 19, co. 4). Si ritiene che in virtù di questo rinvio tali poteri sono esercitabili entro i successivi diciotto mesi.

Andrebbe pertanto valutata l’opportunità di coordinare la nuova disposizione sull’inefficacia del provvedimento inibitorio tardivo e quella che lo legittima in presenza di determinati presupposti.

 

Contestualmente all’inefficacia degli atti tardivi in tutti i casi descritti, il nuovo comma 8-bis, introdotto dalla disposizione in esame, fa salvo il potere di annullamento d’ufficio previsto dall’articolo 21-nonies, della legge n. 241 del 1990, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni.

 

L’annullamento d’ufficio rimuove il provvedimento di primo grado. Secondo la giurisprudenza consolidata, recepita nella legge 241/1990, i presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d'ufficio, che ha effetti ex tunc, sono: a) l'illegittimità originaria del provvedimento, ex art. 21-octies della legge 241/1990; b) l'interesse pubblico concreto e attuale alla sua rimozione, diverso dal mero ripristino della legalità e c) l'assenza di posizioni consolidate in capo ai destinatari. L'esercizio del potere di autotutela è espressione di discrezionalità che non esime l'amministrazione dal dare conto, sia pure in modo sintetico, della sussistenza dei menzionati presupposti.

Ai sensi dell’art. 21-nonies, co. 1, della L. 241 del 1990 l’annullamento d’ufficio va adottato «entro un termine ragionevole». Tale termine non deve essere comunque superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione del provvedimento di primo grado per i casi di annullamento d’ufficio dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, anche ove si tratti di provvedimenti formatisi a seguito di silenzio-assenso.

 

 

A completamento delle disposizioni relative ai termini procedimentali, il comma 2 dell’articolo in commento richiede alle pubbliche amministrazioni statali di verificare e rideterminare in riduzione i termini di durata dei procedimenti di loro competenza ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 241 entro il 31 dicembre 2020.

 

La disciplina generale dei termini dei procedimenti amministrativi

 

La legge generale sul procedimento amministrativo (L. 241/1990, art. 2) stabilisce un principio di carattere generale in base al quale tutti i procedimenti che conseguono obbligatoriamente ad una istanza e quelli attivati d’ufficio devono necessariamente concludersi con un provvedimento espresso adottato in termini definiti.

Ciascuna amministrazione statale fissa i termini di conclusione dei procedimenti di propria competenza con singoli regolamenti adottati nella forma di decreto del Presidente della Consiglio su proposta del Ministro competente. In ogni caso, il termine non può eccedere i 90 giorni. Anche gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di propria competenza, sempre nel limite dei 90 giorni.

In mancanza di determinazione di termini, il procedimento deve concludersi entro 30 giorni, a meno che un diverso termine sia stabilito per legge. È ammessa in generale la possibilità per la PA di sospendere il termine per un periodo non superiore a 30 giorni

La legge ammette, inoltre, anche la possibilità di prevedere termini superiori ai 90 giorni in considerazione della «sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento». In questi casi, tuttavia, il termine massimo di durata non può oltrepassare comunque i 180 giorni (ad esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l'immigrazione). I termini per la conclusione del procedimento decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte.

Oltre alla disciplina generale dei termini procedimentali per le amministrazioni statali e gli enti pubblici nazionali prevista dalla L. 241 del 1990, occorre considerare che esistono norme speciali previste da leggi di settore.

La legge disciplina anche le conseguenze del mancato rispetto dei termini procedimentali e del tardivo adempimento da parte dell’amministrazione procedente.

Innanzitutto il mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento può attivare un potere sostitutivo da attivarsi entro i termini prestabiliti. Ai sensi degli art. 2, co.9-bis e seguenti, L. 241/1990, infatti, qualora il termine per la conclusione del procedimento sia inutilmente decorso, l’interessato può rivolgersi ad una figura interna all’amministrazione, titolare del potere sostitutivo, che appunto si sostituisce al dirigente o al funzionario inadempiente e concluda il procedimento medesimo o attraverso le strutture competenti o ricorrendo alla nomina di un commissario. In ogni caso, il provvedimento finale dovrà essere adottato entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto.

Inoltre, la mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente (art. 2, co. 9, L. 241 del 1990).

Per i casi di ritardo doloso o colposo del termine di conclusione del procedimento, la legge prevede il risarcimento del danno ingiusto cagionato in favore del privato (c.d. danno da ritardo ex art. 2-bis, co. 1, L. 241 del 1990).

Dal 2013 la legge prevede anche l’ipotesi di un indennizzo da ritardo determinato dalla pubblica amministrazione (che può essere sia quella che ha dato avvio al procedimento, sia altra amministrazione, che intervenga nel corso del procedimento e che abbia causato il ritardo), ma anche dai soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative, nella conclusione di procedimenti ad istanza di parte: a differenza del risarcimento l’indennizzo non può essere richiesto nei procedimenti avviati d'ufficio, presuppone il decorso del tempo quale mero nesso causale e deve essere preceduto dall'attivazione del potere sostitutivo (art. 2-bis, co. 1-bis, L. 241 del 1990).

 

 

 

Modifiche in materia di digitalizzazione del procedimento

 

La lettera b) modifica l’articolo 3-bis della legge n. 241 del 1990, introdotto con la riforma del 2005, che richiede alle amministrazioni di incentivare l’uso della telematica nei rapporti tra amministrazioni e tra queste e i privati.

La novella sostituisce la formulazione della disposizione prevedendo a livello generale un obbligo più stringente e perentorio, in base al quale le amministrazioni “agiscono mediante strumenti informatici e telematici”.

 

Sul punto si ricorda che l’art. 41 del CAD reca disposizioni relative alla digitalizzazione del procedimento amministrativo. Vi si prevede che i procedimenti amministrativi siano gestisti dalle pubbliche amministrazioni "utilizzando le tecnologie dell'informazione e della comunicazione". A tale fine gli atti, i documenti e i dati del procedimento sono raccolti nel fascicolo informatico. All'atto della comunicazione dell'avvio del procedimento, l’amministrazione comunica agli interessati le modalità per esercitare in via telematica i diritti di partecipazione al procedimento (visione degli atti e presentazione di memorie e documenti). Il CAD stabilisce esplicitamente che le modalità di costituzione del fascicolo informatico garantiscano l'esercizio in via telematica dei diritti previsti dalla legge n. 241 del 1990 (in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) e dall'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo n. 33 del 2013 (accesso civico). Le Linee guida per la costituzione, l'identificazione, l'accessibilità attraverso i suddetti servizi e l'utilizzo del fascicolo sono dettate dall’AgID.

 

Con la modifica introdotta dalla lettera c) all’articolo 5, comma 3, della legge n. 241 del 1990, si prevede l’obbligo di comunicare il domicilio digitale del responsabile del procedimento, oltre che l’unità organizzativa responsabile e il nominativo del responsabile (come attualmente stabilito dalla norma) ai soggetti interessati e controinteressati al provvedimento finale, ai quali è inviata la comunicazione di avvio del procedimento, nonché, su richiesta, a chiunque vi abbia interesse.

 

Si ricorda in proposito che l’art. 3-bis del CAD sancisce l'obbligo di dotarsi di un domicilio digitale, per le amministrazioni pubbliche ed i gestori di servizi pubblici, se di pubblico interesse, nonché le società a controllo pubblico.

A decorrere dal 1° gennaio 2013, salvo i casi in cui è prevista dalla normativa vigente una diversa modalità di comunicazione o di pubblicazione in via telematica, le amministrazioni pubbliche e i gestori o esercenti di pubblici servizi comunicano con il cittadino esclusivamente tramite il domicilio digitale dallo stesso dichiarato, senza oneri di spedizione a suo carico. Ogni altra forma di comunicazione non può produrre effetti pregiudizievoli per il destinatario. L’utilizzo di differenti modalità di comunicazione rientra tra i parametri di valutazione della performance dirigenziale.

Il domicilio digitale deve essere posto presso un servizio di posta elettronica certificata o presso un servizio di recapito certificato qualificato, come definito dal Regolamento eIDAS, secondo le modalità stabilite dalle linee guida - che altresì determinano le modalità di comunicazione delle variazioni di domicilio digitale che intervengano. Vi è l'obbligo, per chiunque ne sia titolare, di un uso diligente del domicilio digitale.

 

In via analoga, la successiva lettera d) interviene sulle modalità e sui contenuti della comunicazione di avvio del procedimento, disciplinati dall’articolo 8 della legge 241.

Rispetto alla disciplina finora vigente, la disposizione introduce due novità. Con la prima si inserisce il domicilio digitale dell’amministrazione tra i contenuti necessari della comunicazione di avvio.

Con la seconda si rende obbligatorio comunicare le diverse modalità telematiche con le quali è possibile prendere visione degli atti, accedere al fascicolo informatico di cui al citato articolo 41 del CAD (si v. supra) ed esercitare in via telematica i diritti previsti dalla legge.

Tra le modalità con cui si potrà accedere agli atti la disposizione richiama il punto di accesso telematico di cui all’articolo 64-bis del CAD (nuova lettera d) dell’art. 8, co. 2, della L. 241 del 1990).

 

Il punto telematico di accesso ai servizi pubblici, introdotto con il correttivo del Codice dell’amministrazione digitale di cui al D.Lgs. 179/2016, rappresenta l’interfaccia universale attraverso la quale cittadini e imprese interagiscono con le pubbliche amministrazioni, i gestori di servizi pubblici per i profili di pubblico interesse e talune società a controllo pubblico (cioè i soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, del CAD).

Questi ultimi devono rendere fruibili tutti i propri servizi in rete attraverso tale punto unico di accesso telematico, in conformità alle modalità tecnico-operative individuate dall’AgID.

A tal fine le p.a., i fornitori di identità digitali e i prestatori dei servizi fiduciari qualificati, devono progettare e sviluppare i propri sistemi e servizi in modo da garantirne l'integrazione e l'interoperabilità, nonché a esporre per ogni servizio le relative interfacce applicative. Inoltre, al fine di garantire la verifica degli standard e livelli qualitativi definiti dal CAD, i soggetti summenzionati adottano gli strumenti di analisi individuati dalle linee guida AgID.

 

È obbligatorio continuare a comunicare anche l’ufficio in cui si può prendere visione degli atti, ma solo in via subordinata, ossia ove gli atti non siano disponibili o accessibili mediante modalità telematiche (nuova lettera d-bis) dell’art. 8, co. 2, della L. 241 del 1990).

 

Modifiche in materia di comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza

 

La lettera e) modifica la disciplina relativa alla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, di cui all’articolo 10-bis della legge 241 del 1990.

In base a tale disposizione, nei procedimenti ad istanza di parte, l’amministrazione, qualora sia orientata ad un provvedimento negativo, deve comunicare tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento dell’istanza (c.d. preavviso di rigetto). Entro il termine di dieci giorni dalla comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto osservazioni, corredate eventualmente da documenti. Tra i motivi che ostano all’accoglimento dell’istanza il legislatore impedisce di addurre inadempienze o ritardi che sono attribuibili all’amministrazione.

 

La lettera in commento sostituisce il terzo e il quarto periodo del citato articolo, innovando sotto tre profili.

In primo luogo, si modifica il regime degli effetti del preavviso di rigetto sui termini del procedimento La novella dispone, infatti, che la comunicazione sospende, invece che interrompere (come attualmente previsto), i termini di conclusione del procedimento, che ricominciano a decorrere dieci giorni dopo la presentazione delle osservazioni o, in mancanza delle stesse, dalla scadenza del termine per presentare le osservazioni.

 

Si ricorda che in caso di “sospensione” i termini non vengono azzerati e nel computo dei termini si deve, dunque, tener conto sia del periodo trascorso dalla data di presentazione dell’istanza a quello dell’intervenuta sospensione sia del successivo periodo. Finora, invece, il preavviso di rigetto determinava una “interruzione”, per cui i termini del procedimento vengono azzerati e l’intero termine decorre nuovamente dalla data di presentazione delle osservazioni e dalla scadenza del termine per presentarle.

 

Resta fermo che dell’eventuale mancato accoglimento delle osservazioni dell’istante è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Sul punto, che tuttavia era già acclarato, la novella specifica nel testo che tale compito spetta al responsabile del procedimento o all’autorità competente. Con un’ulteriore specificazione, si prevede che, in tal caso, la motivazione del provvedimento finale di diniego indica “i soli motivi ostativi ulteriori che sono conseguenza delle osservazioni”.

 

In terzo luogo, è aggiunta una disposizione in base alla quale, in caso di annullamento in giudizio del provvedimento di rigetto dell’istanza, l’amministrazione, nell’esercitare nuovamente il suo potere, “non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall’istruttoria del provvedimento annullato”.

In base a quanto emerge dalla relazione illustrativa, la finalità della disposizione è di evitare che l’annullamento conseguente al mancato accoglimento delle osservazioni del privato a seguito del preavviso di diniego determini “plurime reiterazioni dello stesso esito sfavorevole con motivazioni ogni volta diverse, tutte ostative”. L’intento è dunque di ricondurre l’intera vicenda ad un’unica impugnazione giurisdizionale, “evitando che il privato sia costretto a proporre tanti ricorsi quante sono le ragioni del diniego”, non comunicate nel medesimo provvedimento.

 

Le modifiche così introdotte si collegano a quella di cui alla lettera i), che interviene sull’articolo 21-octies, comma 2, della L. 241/1990, in materia di annullabilità del provvedimento amministrativo, stabilendo che al provvedimento adottato in violazione dell’articolo 10-bis sul preavviso di diniego non si applica la norma di cui all’art. 21-octies, co. 2, secondo periodo, che esclude l’annullabilità in caso in mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. L’effetto della disposizione è dunque di consentire l’annullabilità del provvedimento in ogni caso, con la sola eccezione dei vizi formali.

 

Ai sensi dell’articolo 21-octies, comma 1, della legge 241/1990, il provvedimento amministrativo è annullabile nei casi ‘classici’ di illegittimità per violazione di legge, eccesso di potere e incompetenza. Ai sensi del successivo comma 2, non sono annullabili quei provvedimenti che presentino vizi cd. formali (violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti) o relativi alla mancata comunicazione di avvio del procedimento, qualora dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

 

Stante la formulazione letterale della disposizione, si valuti l’opportunità di chiarire se l’annullabilità è esclusa solo per l’ipotesi di mancata comunicazione dei motivi ostativi ovvero anche per tutte le altre ipotesi di violazione dell’articolo 10-bis, come riformulato dalle disposizioni in esame.

 

Modifiche in materia di pareri e silenzio-assenso tra amministrazioni

 

In materia di attività consultiva delle pubbliche amministrazioni, la lettera f) modifica il comma 2 dell’articolo 16, della legge 241 del 1990, prevedendo, con una chiara finalità di speditezza del procedimento, che in caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere, ancorché si tratti di un parere obbligatorio, o senza che l’organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, l’amministrazione richiedente procede indipendentemente dall’espressione del parere.

Attualmente, invece, l’articolo 16 opera una distinzione stabilendo che in caso di inutile decorrenza del termine, l’amministrazione richiedente, ove si tratti di parere facoltativo, deve senz'altro procedere indipendentemente da esso. Altrimenti, ossia in caso di parere obbligatorio, ha la facoltà di procedere: così dispone il primo periodo dall’art. 16, co. 2, che viene soppresso dalla disposizione in commento.

 

L'articolo 16 della legge generale sul procedimento amministrativo (L. 241 del 1990), come riformulato dalla L. 69/2009, stabilisce che gli organi consultivi delle pubbliche amministrazioni sono tenuti a rendere i pareri obbligatori ad essi richiesti entro venti giorni dal ricevimento della richiesta. In caso di pareri facoltativi, sono tenuti a dare immediata comunicazione alle amministrazioni richiedenti del termine entro il quale il parere sarà reso, che comunque non può superare i venti giorni dal ricevimento della richiesta. Tali termini non si applicano in caso di pareri che debbano essere rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini. Un'ulteriore novità introdotta con la riforma del 2009 è data dall'obbligo di trasmissione del parere con mezzi telematici.

 

La lettera g) introduce alcune modifiche all’articolo 17-bis della legge sul procedimento, che disciplina in via generale il meccanismo del silenzio-assenso tra amministrazioni pubbliche.

 

Si ricorda che nell’ambito delle misure di semplificazione introdotte dalla legge n.124 del 2015, è stato introdotto il meccanismo di silenzio assenso (già regolato nei rapporti tra privati e amministrazione dall'art. 20, L. 241/1990) anche nei rapporti tra amministrazioni pubbliche.

In virtù del nuovo istituto, nei casi in cui per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi da parte di una pubblica amministrazione sia prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati, di competenza di altre amministrazioni pubbliche ovvero di gestori di beni o servizi pubblici, le amministrazioni o i gestori competenti sono tenuti a comunicare le rispettive decisioni entro il termine di trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento, decorso il quale senza che sia stato comunicato l'atto di assenso, concerto o nulla osta, lo stesso si intende acquisito (art. 17-bis, L. 241/1990, introdotto dall'art. 3, L. 124/2015).

Il termine di trenta giorni è suscettibile di una sola interruzione qualora l'amministrazione o il gestore che deve rendere il proprio assenso faccia presenti esigenze istruttorie o presenti richieste di modifica, che devono essere motivate e formulate in modo puntuale entro il termine stesso. In seguito all'interruzione del termine, l'assenso, il concerto o il nulla-osta sono resi nei successivi trenta giorni dalla ricezione degli elementi istruttori o dello schema di provvedimento. In caso di conflitto tra amministrazioni statali coinvolte, spetta al Presidente del Consiglio decidere sulle modifiche da apportare al provvedimento, previa deliberazione del Consiglio dei ministri.

Si applica il silenzio assenso decorsi novanta giorni anche per i pareri e i nulla osta di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini.

L'unica eccezione prevista all'applicazione del silenzio assenso è rappresentata dai casi in cui l'adozione di un provvedimento espresso sia richiesta da disposizioni del diritto dell'Unione europea.

 

Rispetto alla disciplina vigente, la novella:

1) sostituisce la rubrica dell’articolo 17-bis, che ora reca “Effetti del silenzio e dell’inerzia nei rapporti tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici”, sottolineando così l’ampliamento delle fattispecie disciplinate dalla norma per effetto delle nuove previsioni;

2) introduce al comma 1 dell’art. 17-bis la previsione in base alla quale, nei casi in cui, per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi, è prevista la proposta di una o più amministrazioni pubbliche diverse da quella competente ad adottare l’atto, questa deve essere trasmessa entro 30 giorni dal ricevimento della richiesta. Tale disposizione non si applica nei casi in cui la proposta riguardi amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili;

3) conseguentemente, in via analoga alla disciplina vigente per l’acquisizione del concerto o nulla osta, dispone che, nei casi di cui sopra, qualora l’amministrazione proponente rappresenti esigenze istruttorie, motivate e formulate in modo puntuale, si applica lo stesso termine di cui al quarto periodo del comma 1 dell’art. 17, in base al quale (per la diversa ipotesi di esigenze istruttorie o richieste di modifica) l’assenso, concerto o nulla osta è reso nei 30 giorni successivi dalla ricezione degli elementi istruttori o dello schema di provvedimento.

Resta fermo in ogni caso che non sono ammesse per entrambe le fattispecie ulteriori interruzioni.

 

Alla luce della formulazione letterale della disposizione ed al fine di evitare incertezze in sede applicativa, si valuti l’opportunità di chiarire se la rappresentazione delle esigenze istruttorie comporti interruzione del termine di 30 giorni per la trasmissione della proposta e da quando torni a decorrere tale termine.

 

4) dispone che, qualora la proposta non sia trasmessa nei termini, l’amministrazione competente ha facoltà di procedere. In tal caso, l’inerzia dell’amministrazione proponente comporta che lo schema di provvedimento, corredato della relativa documentazione, sia trasmesso alla stessa al fine di acquisirne l’assenso, al quale si applica la disciplina di cui al medesimo art. 17-bis.

 

Modifiche in materia di autocertificazione

La lettera h) novella l’articolo 18 della legge sul procedimento amministrativo, dedicato al fenomeno dell’autocertificazione, che rappresenta uno degli strumenti del processo di semplificazione amministrativa.

Per incentivare la sostituibilità delle certezze pubbliche mediante atti privati, nel 1990 la legge n. 241 aveva introdotto un rinvio espresso all’obbligo delle pubbliche amministrazioni di adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge misure organizzative in materia di autocertificazione e di presentazione di atti e documenti, richiamando le disposizioni della legge n. 15/1968,  che aveva dettato una prima disciplina organica della documentazione amministrativa (art. 18, comma 1). 

 

Per la parte restante l’articolo 18 della legge n. 241 del 1990 dispone che i documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l'istruttoria del procedimento, sono acquisiti d'ufficio quando sono in possesso dell'amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni. L'amministrazione procedente può richiedere agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti (comma 2). Parimenti sono accertati d'ufficio dal responsabile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare (comma 3).

 

La lettera in commento opera una manutenzione di tale disposizione rendendo permanente l’obbligo delle amministrazioni di adottare le misure organizzative di cui sopra, e sostituendo il riferimento alla legge del 1968 con quello al Testo unico sulla documentazione amministrativa di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

 

Il testo unico sulla documentazione amministrativa, adottato in attuazione della delega contenuta nell'art. 7, primo comma, lett. c), legge n. 50 del 1999 è un testo unico a carattere misto, contenente sia disposizioni legislative che regolamentari, concepito con la finalità di coordinare e raccordare i diversi interventi normativi succedutisi in tema di produzione, circolazione, redazione e presentazione di documenti facenti fede pubblica. Esso, in particolare, raccoglie e coordina, da un lato, le norme in materia di documentazione amministrativa e, dall'altro, le norme di redazione e gestione dei documenti informatici.

 

In secondo luogo, la lettera h) inserisce nell’articolo 18 una nuova disposizione, ai sensi della quale nei procedimenti avviati su istanza di parte, che hanno ad oggetto l’erogazione di benefici economici comunque denominati, indennità, prestazioni previdenziali e assistenziali, erogazioni, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, prestiti, agevolazioni da parte di pubbliche amministrazioni, ovvero il rilascio di autorizzazioni e nulla osta comunque denominati, le dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47 del DPR 28 dicembre 2000, n. 445 sostituiscono ogni tipo di documentazione comprovante tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalla normativa di riferimento (nuovo comma 3-bis dell’articolo 18).

A tale riguardo, si ricorda che con una disposizione transitoria, il D.L. 34 del 2020 (c.d. decreto rilancio) ha introdotto alcune disposizioni, che ampliano fino al 31 dicembre 2020 la possibilità per cittadini ed imprese di utilizzare le dichiarazioni sostitutive per comprovare tutti i requisiti oggettivi e soggettivi richiesti a corredo delle istanze di erogazione di benefici economici comunque denominati da parte di pubbliche amministrazioni, in relazione all’emergenza COVID-19, anche in deroga alla legislazione vigente in materia. Tale decreto ha inoltre disposto, con modifiche del Testo unico, un incremento dei controlli ex post sulle dichiarazioni sostitutive ed un inasprimento delle sanzioni in caso di dichiarazioni mendaci (art. 264, co. 1, lett. a) e co. 2, lett. a)).

 

 

La dichiarazione sostitutiva di certificazione è un documento sottoscritto dall'interessato senza nessuna particolare formalità e presentato in sostituzione dei certificati: tali dichiarazioni possono riferirsi solo agli stati, qualità personali e fatti tassativamente elencati nell’articolo 46 del D.P.R. 445/2000. La dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà è il documento, sottoscritto dall'interessato, concernente stati, qualità personali e fatti, a sua diretta conoscenza e non ricompresi nell'elencazione dell'articolo 46: in questo caso l'atto deve essere sottoscritto con firma autenticata (articolo 47 del Testo unico).

L’elenco degli stati, dei fatti e delle qualità personali attestabili con dichiarazione sostitutiva di certificazione viene indicato specificamente dall’art. 46 del Testo unico. Si può attestare con dichiarazione sostitutiva di certificazione:

a) data e il luogo di nascita;

b) residenza;

c) cittadinanza;

d) godimento dei diritti civili e politici;

e) stato di celibe, coniugato, vedovo o stato libero;

f) stato di famiglia;

g) esistenza in vita;

h) nascita del figlio, decesso del coniuge, dell'ascendente o discendente;

i) iscrizione in albi, in elenchi tenuti da pubbliche amministrazioni;

l) appartenenza a ordini professionali;

m) titolo di studio, esami sostenuti;

n) qualifica professionale posseduta, titolo di specializzazione, di abilitazione, di formazione, di aggiornamento e di qualificazione tecnica;

o) situazione reddituale o economica anche ai fini della concessione dei benefici di qualsiasi tipo previsti da leggi speciali;

p) assolvimento di specifici obblighi contributivi con l'indicazione dell'ammontare corrisposto;

q) possesso e numero del codice fiscale, della partita IVA e di qualsiasi dato presente nell'archivio dell'anagrafe tributaria;

r) stato di disoccupazione;

s) qualità di pensionato e categoria di pensione;

t) qualità di studente;

u) qualità di legale rappresentante di persone fisiche o giuridiche, di tutore, di curatore e simili;

v) iscrizione presso associazioni o formazioni sociali di qualsiasi tipo;

z) tutte le situazioni relative all'adempimento degli obblighi militari, ivi comprese quelle attestate nel foglio matricolare dello stato di servizio;

aa) di non aver riportato condanne penali e di non essere destinatario di provvedimenti che riguardano l'applicazione di misure di sicurezza e di misure di prevenzione, di decisioni civili e di provvedimenti amministrativi iscritti nel casellario giudiziale ai sensi della vigente normativa;

bb) di non essere a conoscenza di essere sottoposto a procedimenti penali;

bb-bis) di non essere l'ente destinatario di provvedimenti giudiziari che applicano le sanzioni amministrative di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231;

cc) qualità di vivenza a carico;

dd) tutti i dati a diretta conoscenza dell'interessato contenuti nei registri dello stato civile;

ee) di non trovarsi in stato di liquidazione o di fallimento e di non aver presentato domanda di concordato.

 

La dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà si differenzia da quella sopra per il fatto che con il ricorso ad essa l’interessato non sostituisce una certificazione, ma un atto di notorietà, che appartiene alla categoria delle verbalizzazioni.

Ai sensi dell’art. 47 del testo unico, con la dichiarazione sostituiva dell’atto di notorietà possono essere attestati:

-        stati, fatti e qualità personali a diretta conoscenza dell’interessato;

-        stati, qualità personali e fatti relativi ad altri soggetti di cui si abbia diretta conoscenza, con dichiarazione resa nell'interesse proprio del dichiarante. Tale principio risponde ad esigenze di certezza del diritto e di rispetto della privacy;

-        fatti, qualità personali e stati a conoscenza del diretto interessato, non compresi nell’elenco dei dati autocertificabili con dichiarazione sostitutiva di certificazione;

-        lo smarrimento di documenti di riconoscimento o attestanti stati e qualità personali dell’interessato, ai fini del rilascio dei duplicati di documenti, nei casi in cui la legge non preveda la denuncia all’autorità giudiziaria.

 

 

La disposizione conferma il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, escludendo pertanto che l’uso dell’autocertificazione possa derogare a quanto previsto dalla normativa richiamata.

 

In particolare, il Libro II del codice antimafia (D. lgs. 159/2011) prevede un sistema di documentazione antimafia volto a impedire l’accesso a finanziamenti pubblici e la stipulazione di contratti con le pubbliche amministrazioni da parte di imprese e soggetti privati su cui grava il sospetto di infiltrazione da parte della criminalità organizzata.

 

Le novità in materia di autocertificazione sono da porre in relazione alle disposizioni del comma 3 dell’articolo in esame, che autorizza gli enti locali a gestire in forma associata in ambito provinciale o metropolitano l’attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 18 della legge 241/1990, come integrato dal decreto in esame.

 Le province e le città metropolitane definiscono, nelle assemblee dei sindaci delle province e nelle conferenze metropolitane, appositi protocolli per organizzare lo svolgimento delle funzioni conoscitive, strumentali e di controllo, connesse all’attuazione delle norme di semplificazione della documentazione e dei procedimenti amministrativi.

 

In relazione all’applicabilità delle disposizioni ai procedimenti di competenza delle regioni e degli enti locali, si ricorda che l’articolo 29, della legge 241/1990 ascrive ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione le disposizioni della legge concernenti gli obblighi per PA di garantire la partecipazione dell’interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di concluderlo entro il termine prefissato e di assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa, nonché quelle relative alla durata massima dei procedimenti (comma 2-bis).

Ai LEP sono ricondotte anche le disposizioni concernenti la dichiarazione di inizio attività (ora SCIA) e il silenzio assenso (nonché la conferenza di servizi), salva la possibilità di individuare, con intese in sede di Conferenza unificata, casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano. Con le modifiche introdotte dal d.lgs. 126 (art. 3, co. 1, lett. f)) anche le disposizioni concernenti la presentazione di istanze, segnalazioni e comunicazioni di cui all’art. 18-bis) sono ricondotte ai LEP (comma 2-ter).

Nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, le regioni e gli enti locali, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter, ma possono prevedere livelli ulteriori di tutela (comma 2-quater).

Mentre per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano vige l’obbligo di adeguare la propria legislazione alle disposizioni concernenti la dichiarazione di inizio attività (ora SCIA) e il silenzio assenso (nonché la conferenza di servizi), secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione (comma 2-quinquies).

 

 

Riemissione di provvedimenti annullati dal giudice per vizi inerenti ad atti endoprocedimentali

 

La lettera i-bis) – di cui è stato proposto l’inserimento in sede referente (emendamento 12.22) – prevede l’introduzione di un nuovo articolo 21-decies alla legge n. 241/1990, finalizzato a disciplinare la riemissione di provvedimenti annullati dal giudice per vizi inerenti ad uno o più atti emessi nel corso del procedimento di autorizzazione ovvero di valutazione di impatto ambientale.

In tal caso il proponente può richiedere all'amministrazione procedente (e, in caso di progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale, all'autorità competente ai sensi del D.Lgs. 152/2006) l'attivazione di un procedimento semplificato, ai fini della riadozione degli atti annullati.

In particolare viene disciplinato il caso in cui non sono necessarie modifiche al progetto. In tal caso, fermi restando tutti gli atti e provvedimenti delle amministrazioni interessate resi nel suddetto procedimento, l'amministrazione o l'ente che abbia adottato l'atto ritenuto viziato si esprime provvedendo alle integrazioni necessarie per superare i rilievi indicati dalla sentenza stessa. A tal fine:

- entro 15 giorni dalla ricezione dell'istanza del proponente, l'amministrazione procedente provvede alla trasmissione dell'istanza all'amministrazione o all'ente che ha emanato l'atto da riemettere;

- entro 30 giorni l’ente o l’amministrazione provvede alla riemissione;

- entro i 30 giorni successivi al ricevimento dell’atto (o alla decorrenza del termine per l'adozione dell'atto stesso) l'amministrazione riemette il decreto di autorizzazione o di VIA, in attuazione, ove necessario, degli articoli 14-quater e 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero della disciplina per l’adozione del provvedimento di VIA recata dall’art. 25, commi 2 e 2-bis, del Codice dell'ambiente (D.Lgs. 152/2006).

 


 

Articolo 12-bis
(Procedure di competenza dell'Ispettorato nazionale del lavoro)

 

 

L’articolo 12-bis, introdotto dal Senato, modifica alcune norme relative a procedure di competenza dell’Ispettorato nazionale del lavoro[29]. Il comma 1 estende il principio del silenzio-assenso a tutti i provvedimenti autorizzativi (di competenza dell'Ispettorato nazionale del lavoro), ponendo un termine di 15 giorni dalla relativa istanza. Il comma 2 modifica la disciplina delle modalità delle procedure amministrative o conciliative (di competenza dell’Ispettorato nazionale del lavoro) che presuppongano finora la presenza fisica del richiedente. Le novelle di cui alla lettera a) del comma 3 concernono la procedura di diffida per i casi in cui, nell'ambito dell'attività di vigilanza, emergano inosservanze della disciplina contrattuale da cui scaturiscano crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro. La successiva lettera b) riformula una normativa di chiusura sugli accertamenti e le relative disposizioni assunte dal personale ispettivo.

 

Il comma 1 estende il principio del silenzio-assenso a tutti i provvedimenti autorizzativi di competenza dell'Ispettorato nazionale del lavoro[30], ponendo un termine di 15 giorni dalla relativa istanza[31]. Riguardo all’ambito di applicazione, il comma menziona due procedimenti specifici ed opera un rinvio ad un provvedimento del direttore dell'Ispettorato nazionale del lavoro per l’individuazione degli altri procedimenti autorizzativi che siano di competenza del medesimo Ispettorato. I due procedimenti specifici riguardano: l'impiego, previo assenso scritto dei titolari della responsabilità genitoriale, degli infrasedicenni in attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario e nel settore dello spettacolo (purché si tratti di attività che non pregiudichino la sicurezza, l'integrità psicofisica e lo sviluppo del minore, la frequenza scolastica o la partecipazione a programmi di orientamento o di formazione professionale)[32]; la possibilità di frazionamento, per il personale addetto ai pubblici spettacoli, in caso di esigenze tecniche, del riposo di 24 ore settimanali in due periodi di 12 ore consecutive ciascuno, con la determinazione (nell’ambito del provvedimento autorizzativo) dell’orario di decorrenza[33].

Il presente comma 1 non opera un riferimento alla disciplina generale in materia di silenzio-assenso dei procedimenti amministrativi, posta dall’articolo 20 della L. 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, e dalle altre norme richiamate da quest’ultimo. Si valuti l’opportunità di un chiarimento, anche ai fini della determinazione della decorrenza del suddetto termine di quindici giorni - il quale, in base alla disciplina generale sul silenzio-assenso, decorrerebbe dal ricevimento della domanda - nonché ai fini dell’applicazione delle norme che consentono la sospensione del decorso del termine.

Oltre all’estensione del principio del silenzio-assenso, il disposto di cui al presente comma 1, ponendo un termine di 15 giorni, opera, in linea di massima, una riduzione dei termini relativi ai procedimenti in oggetto. Si ricorda che, in base alla norma generale di cui all’articolo 2 della citata L. n. 241 del 1990, e successive modificazioni, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni, fatte salve le disposizioni particolari. Riguardo al procedimento autorizzativo relativo all'impiego dei suddetti infrasedicenni in attività lavorative, si applica, nella normativa vigente, tale termine generale, mentre per il procedimento relativo al summenzionato frazionamento del riposo settimanale si applica[34] il termine di sessanta giorni.

Il comma 2 modifica la disciplina delle modalità delle procedure amministrative o conciliative di competenza dell’Ispettorato nazionale del lavoro che presuppongano finora la presenza fisica del richiedente[35]. La nuova norma prevede che tali procedure possano essere effettuate attraverso strumenti di comunicazione da remoto, i quali consentano in ogni caso l'identificazione degli interessati - o dei soggetti dagli stessi delegati - e l'acquisizione della volontà espressa, e che, in tali ipotesi, il provvedimento finale o il verbale si perfezioni con la sola sottoscrizione del funzionario incaricato. Riguardo all’ambito di applicazione, il comma menziona due procedimenti specifici ed opera un rinvio ad un provvedimento del direttore dell'Ispettorato nazionale del lavoro per l’individuazione degli altri procedimenti rientranti nella fattispecie in oggetto. I procedimenti specifici concernono: la convalida della risoluzione consensuale del rapporto o della richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o i primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento (fatti salvi i diversi termini di decorrenza dei tre anni per i casi di adozione internazionale) - convalida alla quale è "sospensivamente condizionata" l'efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro -[36]; la conferma - da parte della lavoratrice - delle dimissioni presentate nel periodo intercorrente tra il giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio e il termine di un anno dalla celebrazione dello stesso matrimonio - conferma da rendere presso l’Ispettorato in oggetto e alla quale è subordinata la validità delle dimissioni -[37].

Il comma 3 reca alcune novelle alla disciplina delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro, posta dal D.Lgs. 23 aprile 2004, n. 124.

Le novelle di cui alla lettera a) concernono la procedura di diffida, da parte dell’Ispettorato nazionale del lavoro, per i casi in cui, nell'ambito dell'attività di vigilanza, emergano inosservanze della disciplina contrattuale da cui scaturiscano crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro.

In merito, le modifiche in esame prevedono che:

-        la diffida a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti sia diretta non solo al datore di lavoro, ma anche ai soggetti che utilizzino le prestazioni di lavoro, da ritenersi solidalmente responsabili dei crediti accertati (numero 1) della lettera a)). Si valuti l’opportunità di chiarire quali siano i soggetti interessati da tale estensione e se i medesimi possano autonomamente esercitare le facoltà, previste per il datore di lavoro, di promuovere tentativo di conciliazione o ricorso amministrativo[38];

-        il datore di lavoro - in alternativa alla facoltà (già prevista) di promuovere un tentativo di conciliazione presso l’Ispettorato[39] - possa promuovere - entro il medesimo termine di trenta giorni dalla notifica della diffida accertativa[40] - ricorso (avverso il provvedimento di diffida) al direttore dell'Ispettorato territoriale che abbia adottato l'atto (numero 2) della lettera a)). Tale facoltà viene introdotta in via sostitutiva rispetto alla possibilità (che viene soppressa dal successivo numero 4)) di ricorso presso il comitato per i rapporti di lavoro (competente per territorio) del medesimo Ispettorato territoriale (tali comitati hanno attualmente un ambito interregionale)[41]. La novella (numero 2) citato) prevede che il ricorso al direttore dell’Ispettorato (notificato anche al lavoratore) sia deciso nel termine di 60 giorni dalla presentazione, mentre per il suddetto ricorso amministrativo vigente il termine per la decisione è di 90 giorni dal ricevimento del ricorso - decorsi i quali il ricorso si intende respinto -. Si valuti l’opportunità di chiarire se, come sembra dalla formulazione letterale, il nuovo termine decorra dalla presentazione, e non dal ricevimento, e se al decorso del termine il ricorso si intenda respinto. Mentre, nella disciplina vigente, il ricorso al comitato è successivo all’esecutività della diffida - esecutività conferita finora[42] dal direttore dell’Ispettorato territoriale dopo che sia decorso inutilmente il termine per la presentazione del tentativo di conciliazione o in caso di mancato raggiungimento (attestato da apposito verbale) del relativo accordo -, il ricorso al suddetto direttore - secondo la facoltà ora introdotta - è precedente l’esecutività e (come già previsto per la presentazione dell’istanza di conciliazione) sospende l’esecutività della diffida;

-        viene soppresso (numero 3) della lettera a)) il suddetto atto di conferimento di esecutività da parte del direttore dell’Ispettorato territoriale; si prevede che la diffida diventi automaticamente esecutiva in caso di reiezione del ricorso, o dopo che sia decorso il summenzionato termine per la presentazione del ricorso medesimo o dell’istanza di conciliazione, ovvero in caso di mancato raggiungimento (attestato, come detto, da apposito verbale) dell’accordo.

La lettera b) del comma 3 novella una normativa di chiusura sugli accertamenti e le relative disposizioni assunte dal personale ispettivo dell’Ispettorato nazionale del lavoro[43].

La novella prevede, in primo luogo, che il personale summenzionato possa adottare nei confronti del datore di lavoro un provvedimento di disposizione, immediatamente esecutivo, in tutti i casi in cui le irregolarità rilevate in materia di lavoro e legislazione sociale non siano soggette a sanzioni penali o amministrative. La norma vigente - ora oggetto della suddetta riformulazione - fa invece riferimento alle disposizioni impartite dal personale ispettivo in materia di lavoro e di legislazione sociale, nell'ambito dell'applicazione delle norme per cui sia attribuito dalle singole previsioni di rango legislativo un apprezzamento discrezionale. Sia la versione vigente sia il nuovo testo consentono il ricorso al direttore dell’Ispettorato territoriale del lavoro, ricorso che non sospende l’esecutività della disposizione impartita dal personale ispettivo e su cui il direttore decide entro i successivi quindici giorni (decorso inutilmente tale termine, il ricorso si intende respinto). La novella, inoltre, introduce una sanzione amministrativa pecuniaria per il caso di mancata ottemperanza alle disposizioni impartite in oggetto; i limiti minimi e massimi della sanzione sono pari, rispettivamente, a 500 e 3.000 euro e non trova applicazione la procedura di diffida da parte del personale ispettivo in esame[44].

 

Si ricorda che l’Ispettorato nazionale del lavoro è stato istituito dal D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 149. Quest’ultimo ha previsto l’integrazione in un’unica Agenzia delle funzioni ispettive del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'INPS e dell'INAIL[45]. L'Ispettorato esercita e coordina sul territorio nazionale le funzioni di vigilanza in materia di lavoro, contribuzione, assicurazione obbligatoria e legislazione sociale; tali funzioni comprendono la vigilanza in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, nei limiti delle competenze già attribuite al personale ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (restando attribuite alle aziende sanitarie locali le altre competenze in materia)[46]. Riguardo alle funzioni dell’Ispettorato, cfr. altresì l’articolo 2 del citato D.Lgs. n. 149 del 2015, e successive modificazioni.

 

 

 


 

Articolo 13
(Accelerazione del procedimento in conferenza di servizi)

 

 

L’articolo 13 prevede una procedura di conferenza di servizi straordinaria, utilizzabile fino al 31 dicembre 2021. In questo tempo determinato, le pubbliche amministrazioni hanno facoltà, in caso di conferenza di servizi decisoria, di procedere mediante una conferenza semplificata in modalità asincrona, che prevede una tempistica più rapida rispetto a quella ordinaria.

 

La relazione illustrativa (ma non la previsione normativa) evidenzia che la finalità della norma è quella di «introdurre semplificazioni procedimentali volte a fronteggiare gli effetti negativi, di natura sanitaria ed economica, derivanti dalle misure di contenimento e dall’emergenza sanitaria globale del Covid-19».

 

La procedura straordinaria di conferenza di servizi può essere utilizzata (si tratta dunque di una facoltà, non di un obbligo) fino al 31 dicembre 2021, in tutti i casi in cui debba essere indetta una conferenza di servizi decisoria.

Ai sensi dell’articolo 14, co. 2, della legge generale sul procedimento amministrativo (L. n. 241 del 1990), la conferenza decisoria è sempre obbligatoria quando la conclusione positiva del procedimento, ovvero lo svolgimento di un'attività privata, è subordinata all'acquisizione di più pareri, intese, concerti, nulla osta o altri atti di assenso, comunque denominati, da adottare a conclusione di distinti procedimenti di competenza di diverse amministrazioni, inclusi i gestori di beni o servizi pubblici.

 

Si ricorda che il Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire, nel parere n. 1640 del 13 luglio 2016, i rapporti tra la conferenza di servizi e il silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche (introdotto dalla L. n. 124/2015 e disciplinato dall'art. 17-bis della L. n. 241/1990), precisando che si forma il silenzio assenso quando è necessario acquisire l'assenso di una sola amministrazione, mentre opera la conferenza di servizi quando è necessario acquisire l'assenso di due o più amministrazioni.

 

In tali casi, la disposizione in esame autorizza le p.a. a procedere utilizzando la procedura di conferenza semplificata di cui all’art. 14-bis della L. 241 del 1990, come rimodulata in via eccezionale dalla disposizione in commento.

 

 

La conferenza di servizi semplificata nella L. 241 del 1990

 

Con le modifiche introdotte dal D.Lgs. 127/2016 la conferenza di servizi decisoria si svolge di norma in forma semplificata e in modalità "asincrona", ossia senza riunione, mediante la semplice trasmissione per via telematica, tra le amministrazioni partecipanti, delle comunicazioni, delle istanze con le relative documentazioni e delle determinazioni.

Il relativo procedimento è delineato dal nuovo articolo 14-bis, della L. 241/1990, in base al quale:

-        la conferenza è indetta dall'amministrazione procedente entro 5 giorni lavorativi dall'inizio del procedimento d'ufficio o, se il procedimento è a iniziativa di parte, dal ricevimento della domanda. L'amministrazione procedente è tenuta a comunicare l'oggetto della determinazione, corredata dalla relativa documentazione o le credenziali informatiche per accedervi in via telematica, nonché tutti i termini del procedimento;

-        le amministrazioni coinvolte possono richiedere integrazioni documentali e chiarimenti non acquisibili tramite documenti in possesso di pubbliche amministrazioni, entro un termine perentorio stabilito dall'amministrazione procedente, e comunque non superiore a 15 giorni;

-        entro il termine perentorio stabilito dall'amministrazione procedente, e comunque non superiore a 45 giorni, le amministrazioni coinvolte sono tenute a rendere le proprie determinazioni relative alla decisione oggetto della Conferenza. Resta fermo l'obbligo di rispettare il termine finale di conclusione del procedimento ai sensi dell'art. 2, L. 241/1990. Tali determinazioni sono formulate in termini di assenso o dissenso congruamente motivato e indicano, ove possibile, le modifiche eventualmente necessarie ai fini dell'assenso. Quando tra le amministrazioni coinvolte nella conferenza vi sono quelle preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute, il termine per le determinazioni è di 90 giorni, sempre che norme di legge o regolamenti non stabiliscono un termine diverso;

-        la mancata comunicazione delle determinazioni di cui sopra entro il termine perentorio previsto, ovvero la comunicazione di una determinazione priva dei requisiti indicati, equivalgono ad assenso senza condizioni, fatti salvi i casi in cui disposizioni del diritto dell'UE richiedono l'adozione dei provvedimenti espressi.

-        scaduto il termine per la comunicazione delle determinazioni, l'amministrazione procedente, entro 5 giorni lavorativi, adotta la determinazione motivata di conclusione della conferenza. La determinazione di conclusione è positiva nel caso siano pervenuti atti di assenso non condizionati, o qualora le condizioni indicate possono essere accolte senza necessità di apportare modifiche sostanziali alla decisione oggetto della conferenza: in tali ipotesi, la determinazione sostituisce ad ogni effetto tutti gli atti di assenso di competenza delle amministrazioni coinvolte. La determinazione di conclusione della conferenza sarà negativa in presenza di atti di dissenso non ritenuti superabili ed, in tal caso, avrà l'effetto di rigetto della domanda.

 

I correttivi al modello definito dalla L. 241 del 1990 sono tre.

Con il primo (comma 1, lett. a)), si stabilisce che tutte le amministrazioni coinvolte rilasciano le determinazioni di competenza entro il termine perentorio di sessanta giorni. Rispetto alla disciplina ordinaria, tale prescrizione comporta un termine unico per tutte le amministrazioni, ivi incluse le amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili (tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali, tutela della salute e della pubblica incolumità), per le cui determinazioni è normalmente previsto un termine più lungo, pari a novanta giorni (art. 14-bis, co. 2, lett. c)).

 

In secondo luogo (comma 1, lett. b)), rispetto alla disciplina ordinaria si stabiliscono alcune semplificazioni per i casi diversi dalle ipotesi di cui all’articolo 14-bis, comma 5, ossia quei casi in cui, in sede di conferenza semplificata, l'amministrazione procedente ha acquisito atti di dissenso che indicano condizioni o prescrizioni che richiedono modifiche sostanziali alla decisione finale che la stessa ritiene possibile superare mediante esame contestuale degli interessi coinvolti.

Attualmente, in tali casi, l’amministrazione procedente svolge una riunione in modalità sincrona, che si svolge in una data che cade tra il 45° giorno ed il 55° giorno dall’indizione della conferenza semplificata (art. 14-bis, co. 6) e segue la disciplina di cui all’art. 14-ter per la conferenza simultanea.

In via temporanea, fino al 31 dicembre 2021, invece, in tali casi l’amministrazione procedente potrà svolgere, entro trenta giorni decorrenti dalla scadenza del termine per il rilascio delle determinazioni di competenza delle singole amministrazioni, una riunione telematica di tutte le amministrazioni coinvolte nella quale prende atto delle rispettive posizioni e procede senza ritardo alla stesura della determinazione motivata conclusiva della conferenza di servizi.

 

Secondo la disciplina della conferenza dell’art. 14 ter, invece, i lavori della conferenza di servizi simultanea si concludono non oltre quarantacinque giorni dalla prima riunione che si svolge, ove possibile, anche in via telematica.

 

Restano ferme le modalità di cui all’articolo 14-ter, comma 4, per cui ove alla conferenza siano coinvolte amministrazioni dello Stato e di altri enti territoriali, a ciascun livello le amministrazioni convocate alla riunione sono rappresentate da un unico soggetto abilitato ad esprimere definitivamente e in modo univoco e vincolante la posizione delle amministrazioni stesse (cd. rappresentante unico). Il rappresentante unico delle amministrazioni statali è nominato dal Presidente del Consiglio o, in caso di amministrazioni periferiche, dal Prefetto. Fermo restando il rappresentante unico, le singole amministrazioni statali possono comunque intervenire in funzione di supporto.

Verso la determinazione conclusiva della conferenza può essere proposta opposizione dalle amministrazioni di cui all’articolo 14-quinquies, della legge n. 241 del 1990, ossia quelle preposte alla cura di interessi sensibili, ai sensi e nei termini ivi indicati.

Come previsto invia generale dall’art. 14-ter, comma 7, della L. n. 241 del 1990, si considera in ogni caso acquisito l’assenso senza condizioni delle amministrazioni che non abbiano partecipato alla riunione ovvero, pur partecipandovi, non abbiano espresso la propria posizione, ovvero abbiano espresso un dissenso non motivato o riferito a questioni che non costituiscono oggetto della conferenza.

 

Infine (comma 2), nei casi di cui agli articoli 1 e 2 del decreto, relativi alle procedure per l’incentivazione degli investimenti pubblici durante il periodo emergenziale (si v., supra), ove si renda necessario riconvocare la conferenza di servizi sul livello successivo di progettazione tutti i termini sono ridotti della metà e gli ulteriori atti di autorizzazione, di assenso e i pareri comunque denominati, eventualmente necessari in fase di esecuzione, sono rilasciati in ogni caso nel termine di sessanta giorni dalla richiesta.

 

 

Nell'ambito della riforma della pubblica amministrazione approvata nel corso della legislatura, (c.d. legge Madia) il Parlamento ha delegato il Governo a ridefinire e semplificare la disciplina della conferenza di servizi con l'obiettivo, tra gli altri, di rendere più celeri i tempi della conferenza, nonché assicurare che qualsiasi tipo di conferenza abbia una durata certa (art. 2, L. 124/2015). In attuazione della delega, il D.Lgs. 30 giugno 2016, n. 127 ha riscritto la disciplina della conferenza, riformulando integralmente gli articoli da 14 a 14-quinquies della L. n. 241/1990.

 

L'istituto della conferenza di servizi, la cui disciplina generale è stabilita nella legge n. 241 del 1990 (artt. 14-15), è stato modificato più volte e parzialmente riformato dalla legge n. 127/1997 (artt. 9-15) che ha novellato la legge 241/1990. Successivamente, modifiche di rilievo sono state apportate dalla legge n. 15/2005 (artt. 8-13), dalla legge n. 69/2009 (art. 9), dal D.L. n. 78/2010 (art. 49), dal D.L. n. 70/2011 (art.5), dal D.L. n. 179/2012 (art. 33-octies) e dal D.L. n. 133/2014 (art. 25).

 

Il riordino generale della disciplina mantiene ferma la distinzione tra conferenza di servizi istruttoria e decisoria, ridefinendo le ipotesi di convocazione obbligatoria della conferenza.

Come nella disciplina previgente, la conferenza istruttoria è sempre facoltativa, in quanto può essere indetta dall'amministrazione procedente quando ritenga opportuno effettuare un esame contestuale degli interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo o in più procedimenti amministrativi connessi (riguardanti medesime attività o risultati). Le forme in cui si svolge tale conferenza sono quelle previste per la conferenza semplificata o, in alternativa, possono essere definite direttamente dall'amministrazione procedente (art. 14, co. 1).

La conferenza decisoria è sempre obbligatoria quando la conclusione positiva del procedimento, ovvero lo svolgimento di un'attività privata, è subordinata all'acquisizione di più pareri, intese, concerti, nulla osta o altri atti di assenso, comunque denominati, da adottare a conclusione di distinti procedimenti di competenza di diverse amministrazioni, inclusi i gestori di beni o servizi pubblici (art. 14, co. 2).

Si prevede inoltre - confermando un'ipotesi già consolidata - che possa essere indetta la conferenza di servizi preliminare per progetti di particolare complessità e di insediamenti produttivi di beni e servizi. La peculiarità di questa conferenza è di essere convocata su richiesta del soggetto interessato, corredata da uno studio di fattibilità, al fine di verificare, prima della presentazione di un'istanza o di un progetto definitivo, quali siano le condizioni per ottenere, alla loro presentazione, i necessari atti di assenso. La conferenza preliminare si svolge secondo le disposizioni che regolano la conferenza semplificata, con abbreviazione dei termini fino alla metà (art. 14, co. 3).

Per tutte le tipologie di conferenza è introdotta la regola in base alla quale l'indizione della conferenza è comunicata ai soggetti già destinatari della comunicazione di avvio del procedimento, ai quali è riconosciuta la facoltà di intervenire nel procedimento (art. 14, co. 5).

 

La conferenza di servizi semplificata

Con le modifiche introdotte dal D.Lgs. 127/2016 la conferenza di servizi decisoria si svolge di norma in forma semplificata e in modalità "asincrona", ossia senza riunione, mediante la semplice trasmissione per via telematica, tra le amministrazioni partecipanti, delle comunicazioni, delle istanze con le relative documentazioni e delle determinazioni.

Il relativo procedimento è delineato dal nuovo articolo 14-bis, della L. 241/1990, in base al quale:

-        la conferenza è indetta dall'amministrazione procedente entro 5 giorni lavorativi dall'inizio del procedimento d'ufficio o, se il procedimento è a iniziativa di parte, dal ricevimento della domanda. L'amministrazione procedente è tenuta a comunicare l'oggetto della determinazione, corredata dalla relativa documentazione o le credenziali informatiche per accedervi in via telematica, nonché tutti i termini del procedimento;

-        le amministrazioni coinvolte possono richiedere integrazioni documentali e chiarimenti non acquisibili tramite documenti in possesso di pubbliche amministrazioni, entro un termine perentorio stabilito dall'amministrazione procedente, e comunque non superiore a 15 giorni;

-        entro il termine perentorio stabilito dall'amministrazione procedente, e comunque non superiore a 45 giorni, le amministrazioni coinvolte sono tenute a rendere le proprie determinazioni relative alla decisione oggetto della Conferenza. Resta fermo l'obbligo di rispettare il termine finale di conclusione del procedimento ai sensi dell'art. 2, L. 241/1990. Tali determinazioni sono formulate in termini di assenso o dissenso congruamente motivato e indicano, ove possibile, le modifiche eventualmente necessarie ai fini dell'assenso. Quando tra le amministrazioni coinvolte nella conferenza vi sono quelle preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute, il termine per le determinazioni è di 90 giorni, sempre che norme di legge o regolamenti non stabiliscono un termine diverso;

-        la mancata comunicazione delle determinazioni di cui sopra entro il termine perentorio previsto, ovvero la comunicazione di una determinazione priva dei requisiti indicati, equivalgono ad assenso senza condizioni, fatti salvi i casi in cui disposizioni del diritto dell'UE richiedono l'adozione dei provvedimenti espressi.

-        scaduto il termine per la comunicazione delle determinazioni, l'amministrazione procedente, entro 5 giorni lavorativi, adotta la determinazione motivata di conclusione della conferenza. La determinazione di conclusione è positiva nel caso siano pervenuti atti di assenso non condizionati, o qualora le condizioni indicate possono essere accolte senza necessità di apportare modifiche sostanziali alla decisione oggetto della conferenza: in tali ipotesi, la determinazione sostituisce ad ogni effetto tutti gli atti di assenso di competenza delle amministrazioni coinvolte. La determinazione di conclusione della conferenza sarà negativa in presenza di atti di dissenso non ritenuti superabili ed, in tal caso, avrà l'effetto di rigetto della domanda.

 

La conferenza di servizi simultanea

Fuori dalle ipotesi considerate, è prevista la conferenza in forma simultanea ed in modalità sincrona, con riunione in presenza delle diverse amministrazioni coinvolte (ossia la conferenza di servizi nel senso tradizionale in cui finora è stata intesa). Tale modalità, disciplinata dal nuovo articolo 14-ter della L. n. 241/1990, è destinata ad operare:

1)     nei casi di particolare complessità della decisione da assumere, su iniziativa dell'amministrazione procedente che indice la conferenza entro 5 giorni lavorativi dall'inizio del procedimento d'ufficio o dal ricevimento della domanda e convoca la riunione entro i successivi 45 giorni. L'amministrazione può avviare la conferenza in forma simultanea anche su richiesta motivata delle altre amministrazioni o del privato, avanzata entro 15 giorni dall'indizione di quella semplificata: in tal caso, la riunione ha luogo nei successivi 45 giorni (art. 14-bis, co. 7);

2)     qualora, in sede di conferenza semplificata, l'amministrazione procedente ha acquisito atti di dissenso che indicano condizioni o prescrizioni che richiedono modifiche sostanziali alla decisione finale che la stessa ritiene possibile superare mediante esame contestuale degli interessi coinvolti. In tal caso, la riunione in modalità sincrona si svolge in una data - preventivamente fissata dall'amministrazione procedente - che cade tra il 45° giorno ed il 55° giorno dall’indizione della conferenza semplificata (art. 14-bis, co. 6).

In caso di conferenza simultanea, la nuova disciplina prevede che, ove alla conferenza siano coinvolte amministrazioni dello Stato e di altri enti territoriali, a ciascun livello le amministrazioni convocate alla riunione sono rappresentate da un unico soggetto abilitato ad esprimere definitivamente e in modo univoco e vincolante la posizione delle amministrazioni stesse (cd. rappresentante unico). Il rappresentante unico delle amministrazioni statali è nominato dal Presidente del Consiglio o, in caso di amministrazioni periferiche, dal Prefetto. Ciascuna regione e ciascun ente locale definisce autonomamente le modalità di designazione del rappresentante unico delle amministrazioni riconducibili a quella regione o a quell'ente (art. 14-ter, co. 4-5).

I lavori della conferenza simultanea si concludono non oltre 45 giorni decorrenti dalla data della prima riunione (90 giorni nel caso in cui siano coinvolte amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o della tutela della salute). Anche in questo caso, sono introdotti meccanismi di silenzio assenso: infatti, si considera acquisito l'assenso senza condizioni delle amministrazioni il cui rappresentante non abbia partecipato alle riunioni ovvero, pur partecipandovi, non abbia espresso la propria posizione ovvero abbia espresso un dissenso non motivato o riferito a questioni che non costituiscono oggetto della conferenza.

Entro il termine predetto, l'amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione della conferenza sulla base delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti alla conferenza tramite i rispettivi rappresentanti.

Il riferimento alle "amministrazioni" e non "ai rappresentanti" chiarisce che le posizioni delle amministrazioni si sommano ai fini del computo, senza ridursi a unità in ragione della figura del "rappresentante unico".

 

La determinazione motivata di conclusione del procedimento

Il novellato articolo 14-quater della L. 241/1990 ribadisce il contenuto decisorio ed il valore provvedimentale della determinazione motivata di conclusione del procedimento. Pertanto la determinazione di conclusione della conferenza sostituisce ad ogni effetto tutti gli atti di assenso di competenza delle amministrazioni, nonché dei gestori di beni e servizi interessati (comma 1).

L'efficacia della determinazione motivata è immediata in caso di approvazione unanime. Ove l'approvazione invece segua alla valutazione delle posizioni prevalenti, l'efficacia è sospesa ove siano stati espressi dissensi qualificati per tutto il tempo necessario all'esperimento della procedura di opposizione disciplinata dall'art. 14-quinquies (comma 3).

Le amministrazioni, i cui atti sono sostituiti dalla determinazione motivata di conclusione della conferenza, possono sollecitare, dando congrua motivazione, l'amministrazione procedente ad assumere, previa indizione di un'altra conferenza, determinazioni di via di autotutela (revoca od annullamento d'ufficio). Per poter fare richiesta di revoca è tuttavia necessario che l'amministrazione richiedente abbia partecipato alla conferenza o si sia espressa nei termini (comma 2).

Il nuovo articolato precisa che i termini di efficacia di tutti i pareri, autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati acquisiti nell'ambito della conferenza decorrono dalla data di comunicazione della determinazione motivata di conclusione della conferenza (comma 4).

 

La procedura di superamento del dissenso qualificato

La nuova disciplina riscrive il meccanismo per il superamento dei dissensi delle amministrazioni preposte alla tutela di interessi cd. qualificati (ossia la tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali, nonchè la tutela della salute e della pubblica incolumità), nonchè di regioni e o province autonome, abbreviando anche in tal caso i termini.

Innanzitutto, ai sensi del nuovo articolo 14-quinquies della L. n. 241 del 1990, l'opposizione può essere proposta, dalle amministrazioni portatrici di interessi qualificati, solo a condizione di avere espresso "in modo inequivoco" il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della conferenza. In caso di regioni o province autonome è necessario che il rappresentante, intervenendo in materia spettante alla rispettiva competenza, abbia manifestato un dissenso motivato in seno alla conferenza (comma 2). Si stabilisce, inoltre, che per le amministrazioni statali l'opposizione deve essere proposta dal Ministro.

L'opposizione è indirizzata al Presidente del Consiglio e sospende l'efficacia della determinazione motivata di conclusione della conferenza (comma 3). Il Presidente del Consiglio dà impulso alla composizione degli interessi. Infatti, entro quindici giorni dalla ricezione dell'opposizione, la Presidenza del Consiglio indice una riunione cui partecipano tutte le amministrazioni coinvolte nella precedente conferenza. Nel principio di leale collaborazione, i partecipanti formulano proposte per individuare una soluzione condivisa. Se si raggiunge l'accordo, la soluzione rinvenuta sostituisce a tutti gli effetti la determinazione motivata di conclusione della conferenza (comma 4). Questo supplemento di comune vaglio e confronto di interessi può avere a sua volta una ulteriore 'coda', allorché un accordo non sia raggiunto nella prima riunione, e nell'antecedente conferenza abbiano partecipato amministrazioni regionali o provinciali autonome. Ebbene, in tal caso può essere indetta - entro i successivi quindici giorni - una seconda riunione (comma 5). Nel caso la o le riunioni conducano ad una intesa, essa forma il contenuto di una nuova determinazione motivata di conclusione della conferenza, da parte dell'amministrazione procedente.

Qualora, invece, all'esito di tali riunioni e, comunque non oltre quindici giorni dallo svolgimento della riunione, l'intesa non si consegua, si apre una seconda fase. Infatti, entro i successivi quindici giorni, la questione è rimessa al Consiglio dei ministri, il quale delibera con la partecipazione del Presidente della Regione o Provincia autonoma interessata. Ove il Consiglio dei ministri respinga l'opposizione, la determinazione motivata di conclusione della conferenza (che era rimasta sospesa nella sua efficacia, a seguito dell'opposizione) acquista efficacia in via definitiva, a decorrere dal momento in cui è comunicato il rigetto dell'opposizione.

Il Consiglio dei ministri può accogliere parzialmente l'opposizione, modificando in tale caso il contenuto della determinazione di conclusione della conferenza (comma 6).

 

 


 

Articolo 14
(Disincentivi alla introduzione di nuovi oneri regolatori)

 

 

L’articolo 14, al fine di disincentivare l’introduzione di nuovi oneri regolatori, dispone che, qualora gli atti normativi statali introducano un nuovo onere che non trova compensazione con una riduzione di oneri di pari valore, tale onere è qualificato come onere fiscalmente detraibile.

In tale quadro, si dispone che nella categoria degli oneri regolatori sono inclusi gli oneri amministrativi ed informativi, mentre sono esclusi quelli che costituiscono livelli minimi per l’attuazione della regolazione europea nonché, come aggiunto nel corso dell’esame al Senato, gli oneri volti a disincentivare attività inquinanti.

 

 

La disposizione aggiunge un comma 1-bis all’articolo 8 della legge 11 novembre 2011, n. 180 (c.d. statuto delle imprese) che contiene il principio della compensazione degli oneri regolatori, informativi e amministrativi.

In esso si afferma che «negli atti normativi e nei provvedimenti amministrativi a carattere generale che regolano l'esercizio di poteri autorizzatori, concessori o certificatori, nonché l'accesso ai servizi pubblici o la concessione di benefici, non possono essere introdotti nuovi oneri regolatori, informativi o amministrativi a carico di cittadini, imprese e altri soggetti privati senza contestualmente ridurne o eliminarne altri, per un pari importo stimato, con riferimento al medesimo arco temporale».

 

Il bilancio annuale degli oneri introdotti ed eliminati

 

Inoltre, il citato articolo 8 ha introdotto l’obbligo per le amministrazioni statali di trasmettere alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, entro il 31 gennaio di ogni anno, una relazione sul bilancio complessivo degli oneri amministrativi, a carico di cittadini e imprese, introdotti ed eliminati con gli atti normativi approvati nel corso dell’anno precedente, ivi compresi quelli introdotti con atti di recepimento di direttive dell'Unione europea che determinino livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive medesime, come valutati nelle relative analisi di impatto della regolamentazione (il c.d. regulatory budget).

L’individuazione degli oneri e la stima dei costi amministrativi è effettuata sulla base dei criteri e delle metodologie definiti nelle linee guida di cui al Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 gennaio 2013, che forniscono alle amministrazioni una guida operativa per la predisposizione della relazione sul bilancio degli oneri.

Sulla base delle relazioni verificate, il Dipartimento della funzione pubblica predispone una relazione complessiva, contenente il bilancio annuale degli oneri amministrativi introdotti e eliminati, pubblicata nel sito istituzionale del Governo entro il 31 marzo di ciascun anno.

L’ultima relazione complessiva contenente il bilancio annuale degli oneri amministrativi, introdotti od eliminati, pubblicata riguarda l’anno 2018.

Se gli oneri introdotti sono superiori a quelli eliminati, il Governo adotta, entro novanta giorni dalla pubblicazione della Relazione, i provvedimenti necessari a “tagliare oneri di pari importo”, assicurando il pareggio di bilancio, attraverso regolamenti di delegificazione adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 2 della legge n. 400/1988 per gli oneri previsti da leggi; attraverso regolamenti governativi ex articolo 17, comma 1, della medesima legge n. 400 del 1988 per la riduzione di oneri previsti da regolamenti; attraverso d.P.C.m. adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988 per la riduzione di oneri amministrativi previsti da regolamenti ministeriali.

L'articolo 8 non si applica con riferimento agli atti normativi in materia tributaria, creditizia e di giochi pubblici.

 

 

La novità rispetto al vigente quadro normativo consiste nella qualificazione come onere fiscalmente detraibile attribuita ad un nuovo onere regolatorio, qualora quest'ultimo non trovi compensazione con una riduzione di oneri di pari valore.

Il campo di applicazione del nuovo comma 1-bis non è pienamente sovrapponibile a quello del comma 1, in quanto riguarda gli oneri regolatori introdotti da atti normativi di competenza statale (legge e atto con forza di legge, regolamenti governativi e ministeriali e altri decreti ministeriali di natura normativa) e non anche da provvedimenti amministrativi generali.

Al fine di disincentivare l’introduzione di nuovi oneri regolatori, la disposizione prevede la qualificazione di onere fiscalmente detraibile in relazione al costo derivante dall’introduzione degli oneri regolatori, compresi quelli informativi e amministrativi ed esclusi quelli che costituiscono livelli minimi per l’attuazione della regolazione europea, qualora non contestualmente compensato con una riduzione stimata di oneri di pari valore,

Tale qualificazione opera in via automatica, salva deroga espressa, e richiede in ogni caso la previa quantificazione delle minori entrate, nonché l’individuazione di un’idonea copertura finanziaria con norma di rango primario (quindi per ogni atto normativo secondario che introduca nuovi oneri regolatori occorre che una norma di rango primario intervenga per la definizione della copertura finanziaria oltre che della quantificazione).

Riguardo alla previsione che richiede la previa quantificazione delle minori entrate e l’individuazione di un’idonea copertura andrebbe valutata l’esigenza di definire le modalità applicative e la relativa procedura (con particolare riferimento alle modalità e ai soggetti competenti alla verifica e alle conseguenze in caso di inadempimento della previsione).

 

In relazione alla tipologia degli oneri di cui si tratta, si ricorda che il citato articolo 8 dello Statuto delle imprese, accanto agli oneri amministrativi e informativi, menziona, senza definirli, gli oneri regolatori. Nella disposizione in commento si dispone che nella categoria degli oneri regolatori sono inclusi gli oneri amministrativi ed informativi, mentre sono esclusi quelli che costituiscono livelli minimi per l’attuazione della regolazione europea nonchè, come aggiunto nel corso dell’esame al Senato, gli oneri volti a disincentivare attività inquinanti.

 

Sempre secondo l'articolo 8 della L. n. 180/2011, per oneri amministrativi si intendono "i costi degli adempimenti cui cittadini ed imprese sono tenuti nei confronti delle pubbliche amministrazioni nell'ambito del procedimento amministrativo, compreso qualunque adempimento comportante raccolta, elaborazione, trasmissione, conservazione e produzione di informazioni e documenti alla pubblica amministrazione".

In base all'articolo 14, comma 5-bis, della L. 28 novembre 2005, n. 246 (comma introdotto dalla citata L. n. 180), per onere informativo si intende qualunque adempimento comportante raccolta, elaborazione, trasmissione, conservazione e produzione di informazioni e documenti alla pubblica amministrazione.

 

In relazione alla qualificazione di un onere come fiscalmente detraibile che assume una valenza stringente e puntuale, date le ricadute di natura erariale, la disposizione fa riferimento "all'introduzione" di oneri regolatori. Andrebbe pertanto chiarito se il principio della detraibilità fiscale di nuovi o maggiori oneri non oggetto di compensazione possa applicarsi anche rispetto al livello di oneri già previsti a normativa vigente nelle stesse materie; in tale ipotesi interpretativa, sembrerebbe preclusa la possibilità di determinazione, con atti normativi secondari, di nuovi o maggiori oneri, qualora manchino norme di rango primario che quantifichino le minori entrate e individuino la relativa copertura finanziaria.

 

La qualificazione dell’onere non compensato come fiscalmente detraibile è previsione contenuta anche in altri disegni di legge governativi presentati nell’attuale legislatura (A.S. n. 1252, A.S. n. 1312, A.S. 1338, A.C. 1812), recanti deleghe al Governo.

 

Da ultimo, la disposizione precisa che per gli atti normativi di iniziativa governativa, la stima del predetto costo è inclusa nell’ambito dell’analisi di impatto della regolamentazione (AIR) di cui all’articolo 14 della legge 14 novembre 2005, n. 246, conformemente a quanto già previsto per la valutazione degli oneri informativi.

 

Sul punto, merita ricordare che lo Statuto delle imprese ha introdotto - accanto alla misurazione degli oneri amministrativi - una serie di strumenti volti a prevenire il proliferare di nuovi oneri a carico di cittadini e imprese, mediante meccanismi di controllo ex ante sull'introduzione di nuovi adempimenti amministrativi. In particolare, l'articolo 6 dello Statuto ha modificato la disciplina generale sulla relazione dell'analisi dell'impatto della regolamentazione (AIR), prevedendo che essa debba dare conto, tra l'altro, della valutazione dell'impatto sulle PMI e degli oneri informativi e dei relativi costi amministrativi, introdotti o eliminati a carico di cittadini e imprese.

 

 


 

Articolo 15
(Agenda per la semplificazione, ricognizione e semplificazione dei procedimenti e modulistica standardizzata)

 

 

L’articolo 15 dispone, al comma 1, ulteriori misure di semplificazione amministrativa, con particolare riguardo all’adozione di una Agenda per la semplificazione per il periodo 2020-2023 da effettuare entro il 30 ottobre 2020 (termine modificato nel corso dell’esame al Senato, rispetto alla data del 30 settembre 2020 prevista dal testo del decreto-legge). È previsto inoltre il completamento della ricognizione dei procedimenti amministrativi da parte dello Stato, le Regioni e le autonomie locali, sentite le associazioni imprenditoriali e – come aggiunto nel corso dell’esame al Senato – sentiti gli ordini e le associazioni professionali. La ricognizione è finalizzata ad individuare i diversi regimi applicabili e ad applicare ulteriori misure di semplificazione. È infine prevista l’estensione dell’ambito di applicazione della modulistica unificata e standardizzata.

Con il comma 2 è soppresso l’obbligo di approvazione dei bilanci preventivi e consuntivi della Scuola nazionale dell’amministrazione (SNA) da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Il comma 2-bis, aggiunto nel corso dell’esame al Senato, integra l’art. 53, comma 6, del testo unico del pubblico impiego (d. lgs. n. 165 del 2001) al fine di includere le prestazioni, oltre ai compensi, inerenti le attività (quali la collaborazione con riviste o giornali, la partecipazione a seminari) escluse dall’applicazione della disciplina autorizzatoria e sanzionatoria prevista dall’art. 53 per gli incarichi retribuiti, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni

Nel corso dell’esame al Senato è stato inoltre specificato al comma 3 – nell’ambito della clausola di invarianza finanziaria – che le misure previste dall’articolo 15 sono adottate “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.

Infine, con il nuovo comma 3-bis, aggiunto nel corso dell’esame al Senato, è stata prevista la possibilità di riportare anche in formato digitale la documentazione illustrativa - richiesta dalla legge e fornita in accompagnamento ai prodotti destinati  al consumatore e  commercializzati  sul  territorio nazionale - relativa alle   istruzioni,   alle   eventuali   precauzioni  e  alla destinazione  d'uso,  ove  utili ai fini di fruizione e sicurezza del prodotto.

 

 

L’articolo 15 reca, in primo luogo, una serie di modifiche all’articolo 24 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, che ha introdotto disposizioni in materia di semplificazioni amministrative.

 

Con la modifica di cui alla lettera a) si prevede l’adozione di una Agenda per la semplificazione per il periodo 2020-2023 concernente le linee di indirizzo e il programma di interventi di semplificazione per la ripresa a seguito dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, nonché il cronoprogramma per la loro attuazione.

 

Si ricorda che in relazione all'attività delle pubbliche amministrazioni, il D.L. 34 del 2020 (c.d. decreto rilancio) contiene alcune disposizioni tese ad accelerare e semplificare i procedimenti amministrativi, in particolare quelli aventi ad oggetto l'erogazione di benefici economici, avviati in relazione all'emergenza da COVID-19 (art. 264).

In particolare, tra l'altro, si prevede fino al 31 dicembre 2020:

-        l'ampliamento della possibilità di presentare dichiarazioni sostitutive, in tutti i procedimenti che hanno ad oggetto erogazioni di denaro comunque qualificate ovvero prestiti e finanziamenti da parte della pubblica amministrazione;

-        una riduzione dei termini per l'esercizio dell'autotutela da parte delle Amministrazioni e la sospensione, salvo che per eccezionali ragioni, della possibilità per l'Amministrazione di revocare in via di autotutela il provvedimento, con riguardo ai procedimenti sopra citati;

-        semplificazioni per gli interventi, anche edilizi, necessari ad assicurare l'ottemperanza alle misure di sicurezza prescritte per fare fronte all'emergenza sanitaria COVID-19.

Con la medesima finalità, sono introdotte a regime:

-        modifiche al dPR 445 del 2000 che rafforzano i controlli ex post sulle dichiarazioni sostitutive ed determinano inasprimento delle sanzioni in caso di dichiarazioni mendaci presentate dagli interessati ai benefici;

-        modifiche al Codice dell'amministrazione digitale (D.Lgs. 82 del 2005) in materia di fruibilità dei dati delle pubbliche amministrazioni e di gestione della Piattaforma Digitale Nazionale Dati;

-        disposizioni in base alle quali nell'ambito di verifiche, ispezioni e controlli sulle attività dei privati, la pubblica amministrazione "non può richiedere la produzione di informazioni, atti o documenti in possesso della stessa o di altra pubblica amministrazione". È nulla ogni sanzione disposta nei confronti dei privati per omessa esibizione di documenti già in possesso delle PA.

 

 

 

L’Agenda deve essere adottata con le modalità già stabilite dall’art. 24 del D.L. 90 del 2014, ossia approvata dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e previa intesa in sede di Conferenza unificata. Restano ferme le ulteriori modalità di attuazione e monitoraggio dell’Agenda che non sono oggetto di esplicita modifica (si v. infra).

 

Il termine per l’adozione dell’Agenda – fissato al 30 settembre 2020 dal decreto-legge – è stabilito al 30 ottobre 2020 nel corso dell’esame al Senato.

 

 

 

 

 

L’Agenda per la semplificazione

 

Alla fine del 2014, con le previsioni dell’art. 24 del D.L. 90/2014, l’attuazione delle politiche di semplificazione ha acquisito un nuovo strumento: l’Agenda per la semplificazione 2015-2017.

In base alla norma (comma 1), l'Agenda per la semplificazione contiene le linee di indirizzo condivise tra Stato, regioni, province autonome e autonomie locali e il cronoprogramma per la loro attuazione. L’Agenda prevede anche la possibilità di sottoscrivere intese ed accordi in sede di Conferenza unificata per il coordinamento delle attività delle diverse amministrazioni interessate, nonché le forme di consultazione dei cittadini, delle imprese e delle loro associazioni. La norma prevede inoltre che il Ministro riferisca entro il 30 aprile di ciascun anno alla Commissione per la semplificazione.

Non tutte le azioni richiedevano nuovi interventi normativi (ed anzi l'Agenda era ispirata all'esigenza di dare concreta attuazione a disposizioni legislative già adottate in passato, rimaste sulla carta o non ancora attuate completamente). Tuttavia nei casi in cui un intervento sulla normazione primaria fosse richiesto, si è fatto ricorso (per lo più) a grandi deleghe settoriali, relative alla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, al fisco e alla riforma del mercato del lavoro.

L’Agenda ha previsto 37 misure prioritarie di semplificazione (individuate all'esito di un processo di condivisione tra i vari livelli istituzionali di governo, con una interlocuzione con i portatori di interessi). in cinque settori strategici di intervento: la cittadinanza digitale, il welfare e la salute, il fisco, l’edilizia, l’impresa.

Per la cittadinanza digitale l'agenda proponeva la realizzazione dello SPID, l'identità digitale; l'attivazione da parte di tutte le pubbliche amministrazioni, centrali e locali, dei pagamenti digitali; la marca da bollo on line; la fatturazione elettronica.

Nel settore del welfare e della salute si prevedevano una semplificazione degli adempimenti per le persone con disabilità; la prenotazione per via telematica o per telefono delle prestazioni sanitarie e l'accesso ai referti on line o in farmacia.

Per il fisco si faceva riferimento alla realizzazione della dichiarazione dei redditi precompilata, alla presentazione telematica delle dichiarazioni di successione, con contestuale voltura catastale e alla verifica dell'attuazione delle semplificazioni fiscali.

Nell'edilizia veniva prospettata la realizzazione di moduli unici semplificati (modulo unico per l'edilizia libera, "super DIA" edilizia, autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità).

Per le imprese si proponevano l'introduzione di una modulistica SUAP (sportello unico delle attività produttive) semplificata e standardizzata; linee guida per agevolare l'impresa; il modulo per l'autorizzazione unica ambientale.

Nel dicembre 2017 è stato raggiunto un accordo in sede di Conferenza unificata per l’aggiornamento 2018-2020 dell’Agenda per la semplificazione, che ha avuto una focalizzazione specifica sulle azioni nei settori edilizia ed impresa. L’aggiornamento si pone l’obiettivo di: sviluppare ulteriormente la semplificazione e la standardizzazione delle procedure e della modulistica, nonché l’attività degli sportelli unici; porre in essere nuovi interventi di semplificazione e correggere quelli già adottati, anche attraverso la misurazione degli oneri burocratici e la consultazione dei soggetti interessati (stakeholder).

Sono in particolare previsti interventi nei settori dell’edilizia e dell’impresa. Tra le altre cose, l’aggiornamento prevede la creazione di una “rete di semplificatori” e la sperimentazione di forme di tutoraggio tra amministrazioni; una verifica sistematica del funzionamento degli sportelli unici delle attività produttive (SUAP); l’incentivazione di interventi di “rigenerazione” urbana e territoriale; la riduzione del cd. gold-plating (vale a dire della prassi di introdurre, in sede di recepimento della normativa dell’Unione europea, ulteriori adempimenti non previsti da tale normativa).

Lo stato di avanzamento dell’attuazione dell’Agenda è stato reso pubblico attraverso il sito www.italiasemplice.gov.it

L'attuazione delle misure è sottoposta a monitoraggio finalizzato a esaminare periodicamente lo stato di avanzamento delle iniziative e a verificare l'effettivo raggiungimento degli obiettivi di ciascuna azione. Alle attività di monitoraggio possono partecipare anche cittadini e imprese, mediante: uno spazio, sul sito istituzionale, per commenti sugli interventi in corso, diretto a raccogliere opinioni, segnalazioni di criticità o di buone pratiche; una consultazione telematica permanente, diretta a raccogliere suggerimenti utili alla programmazione di nuovi interventi nell'ambito degli aggiornamenti periodici dell'Agenda.

 

 

 

La lettera b) inserisce i nuovi commi 1-bis e 1-ter nel citato articolo 24, prevedendo che entro 150 giorni dall’entrata in vigore della disposizione (il decreto-legge è entrato in vigore il 17 luglio 2020), lo Stato, le Regioni e le autonomie locali, sentite le associazioni imprenditoriali e – come aggiunto nel corso dell’esame al Senato  – sentiti gli ordini e le associazioni professionali, devono completare la ricognizione dei procedimenti amministrativi al fine di individuare i diversi regimi applicabili.

 

In particolare, l’individuazione concerne:

a) le attività soggette ad autorizzazione, giustificate da motivi imperativi di interesse generale, e le attività soggette ai regimi giuridici di cui agli articoli 19 (SCIA), 19-bis (SCIA unica o condizionata) e 20 (silenzio-assenso) della legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero al mero obbligo di comunicazione. Tale opera di ricognizione è stata avviata, in attuazione della legge delega di riforma della PA n. 124 del 2015, dal D.Lgs. 122 del 2016 (c.d. SCIA “, su cui, si v. il box infra).

 

b) i provvedimenti autorizzatori, gli adempimenti e le misure incidenti sulla libertà di iniziativa economica ritenuti non indispensabili, fatti salvi quelli imposti dalla normativa dell’Unione europea e quelli posti a tutela di princìpi e interessi costituzionalmente rilevanti;

 

c) i procedimenti da semplificare;

 

d) le discipline e tempi uniformi per tipologie omogenee di procedimenti;

 

e) i procedimenti per i quali l’autorità competente può adottare un’autorizzazione generale;

 

f) i livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti per l’adeguamento alla normativa dell’Unione europea. Tali livelli sono attualmente definiti dall’art. 14, co. 24-ter, della L. 246/2005 (si v. infra).

 

Si ricorda che, in base all'articolo 14, commi da 24-bis a 24-quater, della L. 28 novembre 2005, n. 246, gli atti di recepimento di direttive europee non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse, salva l'ipotesi in cui l'amministrazione dia conto delle circostanze eccezionali in relazione alle quali si renda necessario il superamento del livello minimo di regolazione europea. Quest'ultima fattispecie deve essere previamente valutata nella suddetta AIR o comunque, per gli atti normativi non sottoposti ad AIR, in base ai metodi di analisi adottati (per la redazione dell'AIR e della VIR) con direttive del Presidente del Consiglio dei Ministri.

In particolare, secondo il comma 24-ter del citato articolo 14, costituiscono livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive europee:

a) l'introduzione o il mantenimento di requisiti, standard, obblighi e oneri non strettamente necessari per l'attuazione delle direttive;

b) l'estensione dell'ambito soggettivo o oggettivo di applicazione delle regole rispetto a quanto previsto dalle direttive, ove comporti maggiori oneri amministrativi per i destinatari;

c) l'introduzione o il mantenimento di sanzioni, procedure o meccanismi operativi più gravosi o complessi di quelli strettamente necessari per l'attuazione delle direttive.

I commi 5 e 8 del citato articolo 14 della L. n. 246, e successive modificazioni, ed il regolamento di cui al D.P.C.M. 15 settembre 2017, n. 169, individuano i casi di esclusione dell'AIR, tra cui l'ipotesi in cui l'amministrazione proponente chieda al DAGL (Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri) l'esenzione in relazione al ridotto impatto dell'intervento.

 

Gli esiti della ricognizione sono trasmessi al Presidente del Consiglio di ministri e al Ministro per la pubblica amministrazione, alla Conferenza delle regioni e delle province autonome, all’Unione delle province d’Italia e all’Associazione nazionale dei comuni italiani.

La disposizione non specifica, all’esito della ricognizione, gli strumenti e le modalità con cui si potrà intervenire per attuare le misure di semplificazione richiamate.

 

Con riguardo alle previsioni del comma 1-bis è utile richiamare le norme più recenti approvate al fine di liberalizzare alcune attività e di semplificare i procedimenti amministrativi, mediante attività di ricognizione e individuazione di regimi applicabili.

 

In particolare, la legge delega di riforma delle pubbliche amministrazioni (legge n. 124/2015) ha introdotto alcune disposizioni volte a semplificare i procedimenti amministrativi in favore dei cittadini e delle imprese. Con tale finalità, ha previsto infatti (art. 5):

1.     la precisa individuazione dei procedimenti oggetto di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) o di silenzio assenso, nonché quelli per i quali è necessaria l'autorizzazione espressa e di quelli per quali è sufficiente una comunicazione preventiva;

2.     l'introduzione di una disciplina generale delle attività non assoggettate ad autorizzazione preventiva espressa.

In sede di attuazione, sono stati adottati due decreti legislativi. Il primo di essi (D.Lgs. 30 giugno 2016, n. 126) contiene alcune disposizioni generali applicabili ai procedimenti relativi alle attività non assoggettate ad autorizzazione espressa (c.d. SCIA 1). Nel decreto è stata anche introdotta una clausola in base alla quale le attività private non espressamente individuate ai sensi dei medesimi decreti o non specificamente oggetto di disciplina da parte della normativa europea, statale e regionale, sono libere.

Ulteriore novità di rilievo è rappresentata dalla introduzione di una disciplina per le ipotesi in cui per lo svolgimento di un’attività soggetta a SCIA siano necessarie altre SCIA, comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche, ovvero atti di assenso o pareri da parte di altre amministrazioni. Per evitare che la stessa SCIA diventi più complicata del procedimento ordinario a causa dei numerosi atti presupposti, lo schema di decreto prevede una concentrazione dei regimi amministrativi.

L'attuazione della delega è proseguita con il decreto legislativo 5 novembre 2016, n. 222 (cd. SCIA 2), che provvede alla mappatura e alla individuazione delle attività oggetto di procedimento di mera comunicazione o segnalazione certificata di inizio attività o di silenzio assenso, nonché quelle per le quali è necessario il titolo espresso e introduce le conseguenti disposizioni normative di coordinamento.

In particolare, il decreto riporta nella tabella A allegata la ricognizione delle attività e dei procedimenti nei settori del commercio e delle attività assimilabili, dell'edilizia e dell'ambiente (per un totale di 246 attività/procedimenti). Per ciascun procedimento o attività, la tabella indica il regime amministrativo applicabile (autorizzazione, silenzio assenso, SCIA, SCIA unica, SCIA condizionata, comunicazione) l'eventuale concentrazione dei regimi e i riferimenti normativi. Le amministrazioni, nell'ambito delle rispettive competenze, possono ricondurre le attività non espressamente elencate nella tabella, anche in ragione delle loro specificità territoriali, a quelle corrispondenti, pubblicandole sul proprio sito istituzionale (art. 2, co. 6, D.Lgs. 222/2016).

La ricognizione può essere integrata e completata con decreti successivi, previsti dalla legge delega, i cui termini tuttavia sono scaduti senza l’adozione di ulteriori decreti. Inoltre, si prevede che la tabella sia aggiornata periodicamente, con decreto del Ministro delegato per la pubblica amministrazione, previa intesa in Conferenza unificata, al fine di tener conto delle disposizioni di legge intervenute successivamente (art. 2, co. 7, D.Lgs. 222/2016).

Le regioni e gli enti locali, nel disciplinare i regimi amministrativi di loro competenza, devono adeguarsi ai livelli di semplificazione e alle garanzie assicurate ai privati dal decreto, nonché possono prevedere livelli ulteriori di semplificazione.

 

 

Le lettere c), d) ed e) del comma 1 dell’articolo in esame introducono alcune modifiche all’art. 24 del D.L. 90 del 2014 in relazione agli obblighi di adozione per le p.a. della modulistica unificata e standardizzata su tutto il territorio nazionale per la presentazione di istanze, dichiarazioni e segnalazioni da parte dei cittadini e delle imprese.

 

In particolare, al comma 2 viene soppresso il termine di operatività (entro centottanta giorni dall’entrata in vigore del DL 90) dell’obbligo delle amministrazioni statali, ove non abbiano già provveduto, di adottare i moduli unificati con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, sentita la Conferenza unificata. In tal modo, si rende l’obbligo a carattere generale e valido in ogni momento (lettera c)).

Inoltre, le lettere d) ed e), sopprimendo ai commi 3 e 4 dell’articolo 24 del D.L. 90 del 2014, ogni riferimento “all'edilizia e all'avvio di attività produttive”, estendono i settori di applicazione degli accordi o intese in sede di Conferenza unificata finalizzati ad adottare, tenendo conto delle specifiche normative regionali, una modulistica unificata e standardizzata su tutto il territorio nazionale per la presentazione alle pubbliche amministrazioni regionali e agli enti locali di istanze, dichiarazioni e segnalazioni.

 

Le pubbliche amministrazioni regionali e locali utilizzano i moduli unificati e standardizzati nei termini fissati con tali accordi o intese; i cittadini e le imprese li possono comunque utilizzare decorsi trenta giorni dai medesimi termini.

Si ricorda che, ai sensi del comma 4 del citato articolo 24, gli accordi sulla modulistica conclusi in sede di Conferenza unificata sono rivolti ad assicurare la libera concorrenza, costituiscono livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, assicurano il coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale al fine di agevolare l'attrazione di investimenti dall’estero.

 

 

 

La modulistica unificata nel decreto SCIA 1

 

Ulteriori disposizioni per garantire l’informazione di cittadini e imprese sono successivamente stabilite dal D.Lgs. 126/2016, che in attuazione della delega contenuta nella L. 124 del 2015 (art. 5) disciplina la predisposizione da parte delle p.a. di moduli unificati e standardizzati che definiscono in maniera esaustiva, per tipologia di procedimento, i contenuti tipici e la relativa organizzazione dei dati, delle istanze, delle segnalazioni e delle comunicazioni oggetto dei decreti di attuazione dell'art. 5, nonché i contenuti della documentazione da allegare (art. 2, co. 1). Tali moduli devono prevedere la possibilità del privato di indicare l'eventuale domicilio digitale per le comunicazioni con l'amministrazione.

Per quanto concerne le modalità relative alla predisposizione dei moduli, i moduli sono adottati dalle amministrazioni statali con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previo parere della Conferenza unificata. Mentre sono necessari accordi o intese in sede di Conferenza unificata, per adottare una modulistica unificata e standardizzata su tutto il territorio nazionale per la presentazione alle pubbliche amministrazioni regionali e agli enti locali di istanze, dichiarazioni e segnalazioni con riferimento all'edilizia e all'avvio di attività produttive.

In sede di attuazione, sono stati raggiunti in sede di Conferenza unificata gli accordi del 4 maggio e del 6 luglio 2017 sulla modulistica unificata e semplificata per le attività commerciali, artigianali ed edilizie (per attività quali esercizi di vicinato e di vendita, bar, ristoranti, attività di acconciatore e/o estetista, panifici, tintolavanderie, autorimesse e autoriparatori). Successivamente, l'accordo del 22 febbraio 2018 ha adottato ulteriori moduli unificati e semplificati relativi ad altre attività commerciali ed assimilate (commercio all'ingrosso, alimentare e non alimentare; facchinaggio; imprese di pulizia, disinfezione, disinfestazione, derattizzazione e sanificazione; agenzie di affari di competenza del Comune).

Con l'Accordo del 17 aprile 2019 sono stati approvati nuovi moduli relativi a: somministrazione di alimenti e bevande all'interno di associazioni e circoli aderenti a enti o organizzazioni nazionali aventi finalità assistenziali e che hanno natura di enti non commerciali; strutture ricettive alberghiere; struttura ricettive all'aria aperta  Con l'Accordo del 25 luglio 2019 sono stati approvati tre nuovi moduli unificati e standardizzati relativi a: autoscuole; somministrazione di alimenti e bevande all’interno di associazioni e circoli aderenti e non aderenti che hanno natura commerciale. Con l'Accordo del 18 dicembre 2019 è stato modificato il termine del 31 dicembre 2019 previsto dall'Accordo del 25 luglio 2019 relativamente all'adozione della modulistica per le autoscuole, prorogandolo al 31 marzo 2020.

Secondo quanto emerge dal Rapporto di monitoraggio per la semplificazione 2018-2020, tutte le regioni hanno adeguato, in relazione alle specifiche normative regionali, i contenuti informativi dei moduli.

 

Per le amministrazioni destinatarie delle istanze, segnalazioni e comunicazioni è introdotto l'obbligo di pubblicare sul proprio sito istituzionale i moduli e, per ciascuna tipologia di procedimento, l'elenco degli stati, qualità personali e fatti oggetto di dichiarazione sostitutiva, di certificazione o di atto di notorietà, nonché delle attestazioni e asseverazioni dei tecnici abilitati o delle dichiarazioni di conformità dell'Agenzia delle imprese, necessari a corredo della segnalazione, indicando le norme che ne prevedono la produzione (art. 2, co. 2). L'obbligo di pubblicazione si intende assolto anche attraverso il link alle piattaforme telematiche in uso o alla modulistica adottata dalle regioni. Tale regime di pubblicità si affianca agli altri obblighi di trasparenza concernenti i procedimenti amministrativi disciplinati in generale dal cd. Codice della trasparenza delle pubbliche amministrazioni (D.Lgs. n. 33/2013, in particolare art. 35).

In caso di omessa pubblicazione dei moduli e della relativa documentazione, il decreto prevede l'attivazione di poteri sostitutivi tra i diversi livelli amministrativi (art. 2, co. 3). Ed, in particolare, in caso di omessa pubblicazione dei documenti:

da parte degli enti locali, le regioni assegnano agli enti interessati, anche su segnalazione del cittadino, un termine per provvedere, decorso inutilmente il quale adottano le misure sostitutive. Per le modalità si fa rinvio, senza ulteriori specificazioni, alla disciplina statale e regionale applicabile nella relativa materia;

da parte delle regioni, si provvede in via sostitutiva con le modalità dell'art. 8 della L. 131/2003, che ha disciplinato il potere sostitutivo da parte del governo in attuazione dell'art. 120 Cost.

A garanzia dei privati e dei principi di semplificazione e trasparenza del procedimento, è fatto divieto all'amministrazione procedente di chiedere informazioni o documenti ulteriori rispetto a quelli indicati nei moduli pubblicati sul sito istituzionale, nonché di richiedere documenti in possesso di una pubblica amministrazione. Eventuali richieste integrative di documentazione all'interessato possono essere rivolte solo in caso di mancata corrispondenza del contenuto dell'istanza, della segnalazione o comunicazione e dei relativi allegati a quanto indicato nei moduli pubblicati sul proprio sito (art. 2, co. 4).

Infine, il decreto ha introdotto le sanzioni per la mancata pubblicazione delle informazioni e dei documenti indicati, nonché per la richiesta di integrazioni documentali non corrispondenti alle informazioni e ai documenti pubblicati, stabilendo che tali fattispecie "costituiscono illecito disciplinare punibile con la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da tre giorni a sei mesi" (art. 2, co. 5).

 

 

Il comma 2 dell’articolo in commento modifica la disciplina organizzativa della Scuola nazionale dell’amministrazione (SNA), disponendo la soppressione dell’obbligo di approvazione dei bilanci preventivi e consuntivi da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

A tal fine si modifica il comma 6 dell’articolo 16, comma 6, del D.Lgs. 1° dicembre 2009 n. 178, sopprimendo le parole: “per l’approvazione” sono soppresse. All’esito della modifica, permane solo l’obbligo in capo alla Scuola di trasmissione dei bilanci entro dieci giorni dalla deliberazione del Comitato di gestione, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

 

La Scuola nazionale dell’amministrazione (SNA), originariamente denominata Scuola superiore della pubblica amministrazione (SSPA) è un’istituzione di alta cultura e formazione, posta nell’ambito e sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio. Istituita nel 1957, le norme fondamentali della Scuola sono attualmente contenute nel d.lgs. n. 178/2009 che ha integralmente sostituito la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 287/1999, come modificato dal d.lgs. n. 381/2003.

Nel corso della XVII legislatura, sono state poste le basi per una complessiva riforma dell’ordinamento della Scuola. Dapprima, infatti, il D.P.R. 70 del 2013 aveva istituito il Sistema unico del reclutamento e della formazione pubblica, in cui la Scuola nazionale dell’amministrazione (come è stata ridenominata) assumeva un ruolo di coordinamento delle attività di formazione e reclutamento poste in essere dalle singole Scuole. Successivamente, il decreto-legge n. 90 del 2014 ha disposto la soppressione di cinque scuole di formazione delle pubbliche amministrazioni e la contestuale assegnazione delle funzioni di reclutamento e di formazione, nonché delle risorse, degli organismi soppressi alla SNA (articolo 21). In attuazione di queste disposizioni, con D.P.C.M. 24 dicembre 2014 sono state individuate e trasferite tali risorse alla Scuola nazionale.

In base alla normativa vigente, la Scuola è dotata di autonomia organizzativa e contabile nei limiti delle proprie risorse economico-finanziarie. Tra i compiti primari della Scuola sono da ricordare: il reclutamento dei dirigenti e dei funzionari dello Stato; l’attività formativa iniziale dei dirigenti dello Stato; la formazione permanente dei dirigenti e dei funzionari dello Stato; la formazione, con gli oneri a carico dei committenti, di dipendenti di amministrazioni pubbliche diverse da quelle statali, di soggetti gestori di servizi pubblici e di istituzioni ed imprese private; lo svolgimento di attività di ricerca, analisi e documentazione finalizzata al perseguimento dell'eccellenza nell'attività di formazione legata ai processi di riforma ed innovazione della pubblica amministrazione.

 

 

Il comma 2-bis, aggiunto nel corso dell’esame al Senato, specifica che sono escluse dalla applicazione della disciplina autorizzatoria e sanzionatoria prevista dall’articolo 53 del d. lgs. 165 del 2001 per gli incarichi retribuiti, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, “le prestazioni” -  oltre ai compensi - derivanti dalle attività elencate dal comma 6 dell’articolo 53 (quali la collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie, la partecipazione a convegni e seminari).

 

 L’art. 53 del d. lgs. 165 del 2001 - nel dettare la disciplina specifica relativa alle modalità di conferimento e autorizzazione degli incarichi – esclude in via generale per le pubbliche amministrazioni la possibilità di conferire ai dipendenti incarichi “non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati” (comma 2).

A sua volta, l’articolo 53, comma 6, su cui interviene la modifica in commento, dispone che la disciplina sul conferimento degli incarichi e le relative sanzioni – di cui ai commi da 7 a 13 dell’articolo 53 (v. infra) - si applicano ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al 50 % di quella a tempo pieno, dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali. Dispone inoltre che sono nulli tutti gli atti e provvedimenti comunque denominati, regolamentari e amministrativi, adottati dalle amministrazioni di appartenenza in contrasto con tale previsione.

 

Specifica quindi che gli “incarichi retribuiti”, a cui si applica la disciplina e le previsioni sanzionatorie di cui ai commi da 7 a 13 (v. infra), sono tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso. Sono esclusi i compensi derivanti dalle attività elencate dal medesimo comma 6 e – in base alla modifica proposta dal comma 2-bis in commento – le prestazioni (quindi in assenza di compenso) – “derivanti” dalle attività elencate dal vigente comma 6 e quindi:

a) dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;

b) dalla utilizzazione economica da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali;

c) dalla partecipazione a convegni e seminari;

d) da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate;

e) da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo;

f) da incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita;

f-bis) da attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione nonché di docenza e di ricerca scientifica.

 

Le previsioni dell’articolo 53, commi da 7 a 13 – oltre a richiedere la verifica dell’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi - prevedono, con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, che gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell'autorizzazione nei casi previsti dalla legge.

In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti (comma 7).  L'omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti (comma 7-bis).

Si dispone inoltre (comma 8) che le pubbliche amministrazioni non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti di altre amministrazioni pubbliche senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. Salve le più gravi sanzioni, il conferimento dei predetti incarichi, senza la previa autorizzazione, costituisce in ogni caso infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del procedimento; il relativo provvedimento è nullo di diritto. In tal caso l'importo previsto come corrispettivo dell'incarico, ove gravi su fondi in disponibilità dell'amministrazione conferente, è trasferito all'amministrazione di appartenenza del dipendente ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.

A loro volta (comma 9) gli enti pubblici economici e i soggetti privati non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. Ai fini dell'autorizzazione, l'amministrazione verifica l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi.

La predetta autorizzazione deve essere richiesta all'amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati, che intendono conferire l'incarico; può, altresì, essere richiesta dal dipendente interessato. L'amministrazione di appartenenza deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta stessa. Per il personale che presta comunque servizio presso amministrazioni pubbliche diverse da quelle di appartenenza, l'autorizzazione è subordinata all'intesa tra le due amministrazioni. In tal caso il termine per provvedere è per l'amministrazione di appartenenza di 45 giorni e si prescinde dall'intesa se l'amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio non si pronunzia entro 10 giorni dalla ricezione della richiesta di intesa da parte dell'amministrazione di appartenenza. Decorso il termine per provvedere, l'autorizzazione, se richiesta per incarichi da conferirsi da amministrazioni pubbliche, si intende accordata; in ogni altro caso, si intende definitivamente negata.

Entro quindici giorni dall'erogazione del compenso per gli incarichi (di cui al comma 6), i soggetti pubblici o privati comunicano all'amministrazione di appartenenza l'ammontare dei compensi erogati ai dipendenti pubblici.

Le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi, anche a titolo gratuito, ai propri dipendenti comunicano in via telematica, nel termine di quindici giorni, al Dipartimento della funzione pubblica gli incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti stessi, con l'indicazione dell'oggetto dell'incarico e del compenso lordo, ove previsto (comma 12).

Le amministrazioni di appartenenza sono tenute a comunicare tempestivamente al Dipartimento della funzione pubblica, in via telematica, per ciascuno dei propri dipendenti e distintamente per ogni incarico conferito o autorizzato, i compensi da esse erogati o della cui erogazione abbiano avuto comunicazione dai predetti soggetti (comma 13).

 

 

Nel corso dell’esame al Senato è stato inoltre specificato, al comma 3, che le misure previste dall’articolo 15 sono adottate “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.

Il comma 3 prevede inoltre che all’attuazione delle disposizioni previste dall’articolo in commento si provvede nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente.

 

Infine, con il nuovo comma 3-bis, aggiunto nel corso dell’esame al Senato, è stato disposto che è possibile riportare anche in formato digitale la documentazione illustrativa richiesta dalla legge e fornita in accompagnamento ai prodotti destinati al consumatore e commercializzati sul territorio nazionale relativa alle   istruzioni,   alle   eventuali   precauzioni  e  alla destinazione  d'uso,  ove  utili ai fini di fruizione e sicurezza del prodotto.

 

Gli articoli 6 e 7 del decreto legislativo n. 206 del 2005 attualmente prescrivono che siano riportate in modo chiaramente visibile e leggibile sulle confezioni o  sulle  etichette  dei prodotti, nel momento in cui sono posti  in  vendita  al consumatore, una serie di indicazioni. Quelle relative alle istruzioni, alle   eventuali   precauzioni    alla destinazione  d'uso,  ove  utili ai fini di fruizione e sicurezza del prodotto  (di cui alla lettera f) del comma 1 dell’art. 6) possono essere riportate, in base al medesimo articolo 7, anziche' sulle confezioni  o  sulle  etichette dei prodotti, su altra documentazione illustrativa  che  viene  fornita  in  accompagnamento  dei  prodotti stessi. La modifica proposta dispone che tale documentazione possa essere riportata anche in firmato digitale.

 

 


 

Articolo 16
(Disposizioni per facilitare l’esercizio del diritto di voto degli italiani all’estero nel referendum confermativo del testo di legge costituzionale, recante “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari)

 

 

L’articolo 16, reca alcune disposizioni che intervengono sulle procedure relative al voto degli italiani all’Estero per il referendum confermativo sul testo della legge costituzionale di riduzione del numero dei seggi parlamentari del 20 e 21 settembre 2020.

Si prevede quanto segue:

§  l’anticipazione di 48 ore del termine entro il quale devono pervenire agli uffici consolari le buste contenenti le schede elettorali inviate dagli elettori all’estero (martedì 15 anziché giovedì 17 settembre);

§  la possibilità che la spedizione delle buste con le schede votate dagli italiani all’estero all’Ufficio centrale per la circoscrizione Estero avvenga con valigia diplomatica non accompagnata da un corriere;

§  l’aumento del numero di elettori necessario per la costituzione dei seggi elettorali con la conseguente diminuzione del numero dei seggi medesimi;

§  l’aumento del 50% dell’onorario in favore dei componenti dei seggi elettorali.

 

La relazione illustrativa evidenzia che la disposizione intende far fronte alle severe limitazioni del traffico aereo imposte dalle misure di contenimento della diffusione del COVID-19 disposte dai vari Paesi del mondo e alla necessità di ridurre il numero di seggi elettorali, in modo da contenere il più possibile il numero di persone presenti nei locali adibiti allo scrutinio e quindi le possibilità di contagio. L'incremento degli onorari da corrispondere ai membri dei seggi elettorali è disposta in virtù dei più gravosi carichi di lavoro derivanti dal maggior numero di elettori e quindi di schede elettorali da scrutinare per ogni seggio.

 

Nel dettaglio, in primo luogo (lett. a), viene anticipato di 48 ore il termine entro il quale devono pervenire le buste contenenti le schede elettorali inviate dagli elettori agli uffici consolari. La legge per il voto degli italiani all’Estero prevede che le buste pervenute non oltre le ore 16, ora locale, del giovedì precedente la data delle votazioni sono spedite dagli uffici consolari all’Ufficio centrale per la circoscrizione Estero, costituito presso la Corte di appello d Roma, unitamente agli elenchi degli elettori ammessi al voto per corrispondenza (L. 459/2001, art. 12, comma 7, primo periodo). Le buste pervenute oltre tale termine sono distrutte (L. 459/2001, art. 12, comma 8). La disposizione in esame anticipa tale termine al martedì precedente la data delle votazioni.

 

Inoltre, (lett. b) si prevede che il Ministero degli affari esteri possa disporre che la spedizione delle buste con le schede votate dagli italiani all’estero all’Ufficio centrale per la circoscrizione Estero avvenga con valigia diplomatica non accompagnata: la norma generale vigente dispone che le buste sono inviate con una spedizione unica, per via aerea e con valigia diplomatica (L. 459/2001, art. 12, comma 7, secondo periodo). Il regolamento di attuazione specifica che la valigia è accompagnata (DPR 104/2003, n. 18).

 

Per bolgetta o valigia diplomatica (o consolare) si intende la valigia, il collo ed ogni contenitore proveniente dalle Amministrazioni centrali degli Esteri e diretto alle Rappresentanze Diplomatiche e Consolari, e viceversa, caratterizzato esternamente da marchi, nella specie sigillo a piombo e ceralacca, attestanti il carattere ufficiale della spedizione che non può contenere oggetti diversi da documenti, corrispondenza oppure oggetti destinati esclusivamente ad un uso ufficiale. La bolgetta diplomatica può essere accompagnata da un incaricato con funzioni di corriere e munito dell’apposita lettera di accreditamento ed in questo caso è esente da controlli.

In caso di valigie diplomatiche non accompagnate da un corriere, queste sono sottoposte a controllo radioscopico, ma non possono essere né aperte, né trattenute, tranne nel caso in cui dal controllo radioscopico o da un sospetto fondato emerga che ci sia presenza di armi di esplosivi (Ministero degli affari esteri, Manuale sul trattamento riservato al corpo diplomatico accreditato presso la Repubblica Italiana, 2013).

Il fondamento giuridico-internazionale di tale disciplina, riconducibile al principio ne impediatur legatio, si rinviene nell'art. 27 della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 18 aprile 1961 e nell'art. 35 della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 24 aprile 1962 (la cui ratifica è intervenuta ai sensi della legge 9 agosto 1967, n. 804).

 

Per quanto riguarda i seggi elettorali istituiti presso l’ufficio centrale per la circoscrizione Estero (lett. c), si ne aumenta il numero minimo e massimo di elettori necessario per la sua costituzione, esclusivamente per il voto degli italiani all’estero per il referendum costituzionale: da un minimo di 8.000 ad un massimo di 9.000 elettori ammessi al voto per corrispondenza, rispetto alla forbice 2.000-3.000 previsto dalla normativa vigente (L. 459/2001, art. 13, comma 1). Di conseguenza il numero di seggi risulta diminuito: la relazione tecnica prevede una riduzione da 1.516 un numero compreso tra 500 e 550 seggi. 

 

Si ricorda che originariamente la legge prevedeva la costituzione di un seggio ogni 5.000 elettori. Il numero di elettori è stato poi diminuito ad opera del D.L. 24/2008 (art. 1).

 

Infine, viene aumentato del 50% l’onorario in favore dei componenti dei seggi elettorali presso l’ufficio centrale per la circoscrizione Estero che svolgeranno le operazioni di scrutinio dei voti per il referendum costituzionale degli italiani all’Estero (lett. d).

In conseguenza della riduzione del numero dei seggi si avrà una riduzione anche del numero complessivo di componenti dei seggi valutata nella relazione tecnica da 9.096 a 3.000/3.300 unità, con risparmi di spesa rispetto alla legislazione vigente stimati in circa 449.150 euro.

 

L’importo degli onorari dei componenti gli uffici elettorali di sezione è fissato dalla legge 13 marzo 1980, n. 7.

Per il referendum costituzionale sulla riduzione dei parlamentari il Ministero dell’interno aveva provveduto a indicare i relativi compensi dei componenti i seggi quando era stata fissata la data di convocazione dei comizi elettorali per il 29 marzo 2020, data poi rinviata (si veda la Circolare F.L. 6 febbraio 2020, n. 3).

Nella tabella che segue sono indicati l’importo degli onorari dei componenti gli uffici elettorali di sezione della circoscrizione Estero in occasione delle consultazioni referendarie previsti dalla legge vigente e l’importo rideterminato ai sensi della disposizione in esame.

 

 

L. 7/1980

D.L. 76/2020

Presidenti

€ 130

€ 195

Scrutatori e Segretari

€ 104

€ 156

 

Nella tabella che segue la quantificazione degli oneri secondo la relazione tecnica.

 

 

Due leggi di revisione costituzionale (17 gennaio 2000, n. 1, e 23 gennaio 2001, n. 1) hanno attribuito ai cittadini italiani residenti all'estero il diritto di eleggere, nell'ambito di una circoscrizione Estero, sei senatori e dodici deputati.

La legge 27 dicembre 2001, n. 459, ha attuato la previsione costituzionale disciplinando l'esercizio del voto (per corrispondenza) e l'attribuzione (con sistema proporzionale) dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero.

La legge ha stabilito inoltre che, con le medesime modalità previste per le elezioni politiche, i cittadini italiani all'estero possano esprimere il proprio voto anche nei referendum abrogativi e in quelli costituzionali previsti, rispettivamente, dagli articoli 75 e 138 della Costituzione.

Il quadro normativo è completato dal regolamento di attuazione adottato con il decreto del Presidente della Repubblica 2 aprile 2003, n. 104.

 

Votano per le elezioni politiche e per i referendum i cittadini italiani iscritti nelle liste elettorali dei cittadini italiani residenti all’estero. A tal fine, il regolamento di attuazione (D.P.R. 104/2003, art. 5, comma 8) prevede che, dopo la realizzazione dell’elenco aggiornato con le modalità ivi previste, entro il 60° giorno antecedente la data delle votazioni, il Ministero dell’interno trasmette, in via informatica, al Ministero degli affari esteri (MAE) l’elenco provvisorio dei cittadini residenti all’estero aventi diritto di voto.

Una volta ricevuto l’elenco provvisorio, il Ministero degli affari esteri lo distribuisce, per via telematica, agli uffici consolari i quali provvedono ad una serie di adempimenti preliminari (quali la cancellazione degli elettori nel frattempo deceduti e degli irreperibili) per poi procedere all’invio agli elettori residenti all’estero e aventi diritto al voto del plico contenente il certificato e la scheda elettorale.

L’invio del plico deve avere luogo – in base a quanto prescritto dalla legge n. 459/2001 (art. 12, comma 3) - non oltre il 18° giorno antecedente la data delle elezioni.

Pertanto il termine di 60 giorni previsto dal regolamento di attuazione della legge n. 459/2001 per la trasmissione al MAE e, quindi, agli uffici consolari, dell’elenco provvisorio dei cittadini residenti all’estero è volto a fare in modo che tali uffici abbiano 42 giorni di tempo per espletare i suddetti adempimenti preliminari.

Ricevuto il plico, ciascun elettore esprime il proprio voto sulla scheda elettorale e la spedisce, utilizzando le apposite buste, all’ufficio consolare competenze non oltre il 10° giorno precedente la data stabilita per le votazioni in Italia (art. 12, comma 6).

Le buste pervenute non oltre le ore 16, ora locale, del giovedì precedente la data delle votazioni sono poi spedite dagli uffici consolari all’Ufficio centrale per la circoscrizione estero, costituito presso la Corte di appello d Roma, unitamente agli elenchi degli elettori ammessi al voto per corrispondenza (art. 12, comma 7, primo periodo). Le buste sono inviate con una spedizione unica, per via aerea e con valigia diplomatica (art. 12, comma 7, secondo periodo)

La legge consente altresì agli elettori residenti all’estero di esercitare l’opzione per il voto in Italia (L.459/2001, art.1, comma 3).

L’opzione per il voto in Italia deve essere comunicata per iscritto alla rappresentanza diplomatica o consolare nella circoscrizione consolare di residenza entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello previsto per la scadenza naturale della legislatura e, in caso di scioglimento anticipato delle Camere o di indizione di referendum popolare, entro il decimo giorno dall’indizione delle elezioni (L. 459/2001, art. 4, commi 1 e 2).

Nel caso abbiano esercitato l’opzione i cittadini votano nel comune presso il quale sono iscritti come cittadini italiani all’estero (i residenti all’estero sono infatti iscritti in uno speciale elenco dell’anagrafe del comune presso il quale essi hanno avuto l’ultima residenza in Italia; nel caso in cui tali cittadini non siano mai stati residenti in Italia, il comune che li registra come residenti all’estero è il comune di Roma Capitale).

La legge prescrive che il MAE debba comunicare, senza ritardo, al Ministero dell'interno i nominativi degli elettori che hanno esercitato il diritto di opzione per il voto in Italia; almeno 30 giorni prima della data stabilita per le votazioni in Italia il Ministero dell'interno comunica i nominativi degli elettori che hanno esercitato l'opzione per il voto in Italia ai comuni di ultima residenza in Italia.

La legge 52/2015 ha introdotto la possibilità anche per gli elettori che si trovano temporaneamente all’estero per lavoro, studio o cure mediche di esercitare il diritto di voto per corrispondenza per la circoscrizione Estero, previa opzione in tal senso. Possono votare nel Paese estero in cui si trovano temporaneamente, sempre che il loro soggiorno sia dovuto ai medesimi motivi, anche gli elettori iscritti all’AIRE, e residenti in un altro Paese estero (L. 459/2001, art. 4-bis, introdotto dall’art. 2, comma 37, della L. 52/2015). Per esercitare il diritto di voto, l’interessato deve trovarsi temporaneamente all’estero per un periodo di almeno tre mesi nel quale ricade la data di svolgimento delle elezioni e deve presentare una apposita richiesta, in cui indica i motivi per cui si trova temporaneamente all’estero; la richiesta è valida per un’unica consultazione elettorale e deve pervenire al comune di iscrizione elettorale entro il 32° giorno prima della data delle elezioni. Anche i familiari conviventi con i cittadini temporaneamente all’estero possono votare per corrispondenza con le medesime modalità (L. 459/2001, art. 4-bis, commi 1 e 2).

Una volta ricevute le richieste di opzione, i comuni sono tenuti a trasmettere immediatamente al Ministero dell’intero l’elenco degli elettori temporaneamente all’estero che hanno scelto di votare nel Paese in cui si trovano, previa annotazione nelle liste sezionali elettorali. Il Ministero dell’interno entro il 28° giorno antecedente la data delle elezioni, comunica l’elenco degli optanti al Ministero degli affari esteri, che a sua volta trasmette i loro nominativi agli uffici consolari competenti. Gli uffici consolari inseriscono tali nominativi in elenchi speciali (L. 459/2001, art. 4-bis, comma 3).

Coloro che hanno optato per il voto all’estero votano per corrispondenza nella circoscrizione Estero e ricevono il plico elettorale (contenente il certificato elettorale, la scheda elettorale e la relativa busta nonché una busta affrancata, unitamente alle indicazioni delle modalità di voto e delle liste dei candidati della ripartizione di appartenenza) all’indirizzo postale che hanno indicato al momento dell’esercizio dell’opzione. Le schede sono scrutinate congiuntamente a quelle dei cittadini italiani residenti all’estero iscritti nelle relative liste elettorali.

 

Nella Gazzetta Ufficiale del 12 ottobre 2019 è stato pubblicato il testo della legge costituzionale, che prevede la riduzione del numero dei parlamentari: da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori elettivi. Sono a tal fine modificati gli articoli 56, secondo comma, e 57, secondo comma, della Costituzione.

Il testo è stato approvato dal Senato, in seconda votazione, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, nella seduta dell'11 luglio 2019, e dalla Camera dei deputati, in seconda votazione, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, nella seduta dell'8 ottobre 2019. Essendosi verificate le condizioni previste dall’art. 138 Cost., il testo di legge sarà sottoposto a referendum popolare confermativo.

In un primo tempo lo svolgimento del referendum era stato fissato per il 29 marzo 2020 (D.P.R. 28 gennaio 2020 pubblicato nella G.U. 29 gennaio 2020, n. 23). Successivamente, in considerazione di quanto disposto con il DPCM 4 marzo 2020, recante misure per il contrasto, il contenimento, l’informazione e la prevenzione sull’intero territorio nazionale del diffondersi del virus COVID-19, il decreto di indizione è stato revocato (D.P.R. 5 marzo 2020, pubblicato nella G.U. 6 marzo 2020, n. 57).

Il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 ha prorogato il termine di indizione del referendum costituzionale prevedendo che la consultazione referendaria possa essere indetta entro 240 giorni (anziché 60 come prevede la legge) dalla comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum che lo ha ammesso (comunicazione avvenuta il 23 gennaio 2020). Dal momento che il referendum si deve svolgere in una domenica compresa tra il 50° e il 70° giorno successivo all’emanazione del decreto di indizione, il termine ultimo per tenere la consultazione referendaria è quindi domenica 22 novembre 2020. A sua volta, il decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26 che ha disposto il rinvio delle consultazioni elettorali previste per il 2020, ha previsto, a seguito di una modifica adottata nel corso dell'esame della Camera, l'applicazione del principio dell'election day anche ai fini dello svolgimento del referendum sul testo di legge costituzionale che dispone la riduzione del numero dei parlamentari.

Con il D.P.R. 17 luglio 2020 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18 luglio 2020, n. 180) sono stati convocati i comizi elettorali per il 20 e 21 settembre 2020.

 

Il testo di legge costituzionale dispone per ciascuno dei due rami del Parlamento, una riduzione pari – in termini percentuali – al 36,5 per cento degli attuali componenti elettivi.

Nel dettaglio, l’articolo 1 modifica l’articolo 56 della Costituzione, che stabilisce in 630 il numero attuale dei deputati, 12 dei quali eletti nella circoscrizione Estero (secondo comma).

A seguito delle modificazioni proposte, il numero complessivo dei deputati scende a 400 ed il numero degli eletti nella circoscrizione Estero diviene pari a 8 deputati.

Per il Senato, l’articolo 2 novella l’articolo 57 della Costituzione, determinando in 200 (anziché 315) il numero dei senatori elettivi. Entro tale numero, i senatori da eleggere nella circoscrizione Estero scendono a 4. La riduzione di formato numerico complessivo importa la riduzione del numero minimo di senatori eletti per Regione. La proposta di legge individua tale numero minimo – alla luce della riduzione a 200 del numero di senatori eletti - in tre senatori per Regione o Provincia autonoma, lasciando al contempo immodificata la previsione vigente dell’articolo 57, terzo comma della Costituzione relativa alle rappresentanze del Molise (2 senatori) e della Valle d’Aosta (1 senatore).

L’articolo 3 della proposta di legge incide sull’articolo 59, secondo comma, della Costituzione, prevedendo espressamente che il numero di cinque senatori a vita nominati per alti meriti dal Presidente della Repubblica, sia numero massimo riferito alla permanenza in carica di tal novero di senatori.

 


 

Articolo 16-bis
(Soggetti abilitati all’autenticazione delle sottoscrizioni in materia elettorale)

 

 

L’articolo 16-bis, inserito nel corso dell’esame al Senato, modifica l’articolo 14 della legge n. 53 del 1990 estendendo l’elenco dei soggetti abilitati all’autenticazione delle sottoscrizioni previste dalla legislazione elettorale.

In base alla modifica si aggiungono ai soggetti abilitati a procedere all’autenticazione i membri del Parlamento, i consiglieri regionali e gli avvocati iscritti all'albo che abbiano comunicato la loro disponibilità all'ordine di appartenenza.

 

 

L’articolo 14 della legge n. 53 del 1990 attribuisce attualmente ai seguenti soggetti la competenza ad eseguire le autenticazioni che non siano attribuite esclusivamente ai notai e che siano previste da leggi elettorali o referendarie nazionali:

·       i notai stessi;

·       i giudici di pace;

·       i cancellieri e i collaboratori delle cancellerie delle Corti di appello, dei tribunali;

·       i segretari delle procure della Repubblica;

·       i presidenti delle province, i sindaci metropolitani, i sindaci, gli assessori comunali e provinciali, i componenti della conferenza metropolitana, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, i presidenti e i vice presidenti dei consigli circoscrizionali; i segretari comunali e provinciali e i funzionari incaricati dal sindaco e dal presidente della provincia;

·       i consiglieri provinciali, i consiglieri metropolitani e i consiglieri comunali che comunichino la propria disponibilità, rispettivamente, al presidente della provincia e al sindaco.

Limitatamente alle elezioni politiche del 4 marzo 2018 sono stati altresì autorizzati ad eseguire le autenticazioni delle sottoscrizioni delle candidature gli avvocati abilitati al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori iscritti all’albo di un distretto della circoscrizione elettorale

 

Le elezioni cui si applica la previsione di cui all’articolo 14 della legge n. 53 del 1990 sono, in particolare, ai sensi del comma 1 del medesimo articolo 14 quelle: dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; dei membri del Parlamento europeo; degli organi delle amministrazioni comunali, delle province e delle città metropolitane; i referendum previsti dalla Costituzione.

 

A norma dell’articolo 14, comma 2, della legge n. 53/1990, l’autenticazione deve essere compiuta con le modalità previste dall’articolo 21, comma 2, del DPR 28 dicembre 2000, n. 445 e quindi:

• l’autenticazione deve essere redatta di seguito alla sottoscrizione e consiste nell’attestazione, da parte del pubblico ufficiale, che la sottoscrizione stessa è stata apposta in sua presenza previo accertamento dell’identità della persona che sottoscrive;

• il pubblico ufficiale che autentica deve indicare le modalità di identificazione, la data e il luogo dell’autenticazione, il proprio nome e cognome, la qualifica rivestita nonché apporre la propria firma per esteso e il timbro dell’ufficio.

 

La previsione dell’apposizione di un “timbro dell’ufficio” dovrà quindi trovare applicazione anche alle autenticazioni effettuate – a seguito della modifica in commento – ai deputati, ai senatori e ai consiglieri regionali chiamati ad autenticare.

 

Per quanto riguarda l’ambito territoriale di competenza del potere di autenticazione attribuito dalla legge si ricorda che il Consiglio di Stato (cfr. in particolare la sentenza 16 aprile 2014, n. 1885) ha richiamato la consolidata giurisprudenza in base alla quale i pubblici ufficiali cui l'art. 14 della l. n. 53/1990 conferisce il potere di autenticare le sottoscrizioni delle liste di candidati sono legittimati ad esercitare il potere certificativo con l’unico limite costituito dai limiti del territorio di competenza dell'ufficio di cui sono titolari o al quale appartengono.

 

Il Consiglio di Stato ha quindi evidenziato che è quello territoriale l’unico limite che, in base alle disposizioni vigenti in materia di autenticazione di firme nel nostro ordinamento, è da ritenere implicitamente apponibile al potere attribuito ai pubblici ufficiali indicati nel citato art. 14 della l. n. 53/1990. Ha altresì ricordato che la legge conferisce a tali soggetti una pubblica funzione certificativa, da cui deriva la fede privilegiata dell'attestazione proveniente dal pubblico ufficiale, propria dell'atto pubblico (ex art. 2699 del c.c.), che implica un rinvio allo statuto proprio delle singole figure di pubblici ufficiali, e dunque anche ai limiti territoriali entro i quali i medesimi esercitano, in via ordinaria, le proprie funzioni, sicché i limiti alla competenza territoriale dell'ufficio di appartenenza integrano un elemento costitutivo della fattispecie autorizzatoria. Ciò in quanto il citato art. 2699 del c.c. - secondo cui "l'atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l'atto è formato" - stabilisce un preciso nesso di collegamento tra la competenza territoriale (e per materia) del pubblico ufficiale ed il luogo di esercizio del potere di autenticazione (costituendo l'indicazione del luogo di attestazione della sottoscrizione, nella relazione di autentica, parte essenziale dell'atto pubblico).

 

Il Ministero dell’interno ha a sua volta richiamato, in occasione delle elezioni politiche del 4 marzo 2018 (Istruzioni per la presentazione delle candidature 2018), le precisazioni fornite  dal Ministero della Giustizia, in base alle quali “i pubblici ufficiali previsti dal citato articolo 14, ai quali è espressamente attribuita la competenza ad eseguire le autenticazioni delle firme dei sottoscrittori, dispongono del potere di autenticare le sottoscrizioni esclusivamente nel territorio di competenza dell’ufficio di cui sono titolari. Pertanto, a titolo esemplificativo, i sindaci metropolitani, i componenti della conferenza metropolitana ed i consiglieri metropolitani potranno autenticare le firme in tutto il territorio della città metropolitana”.

Ha altresì ricordato che comunque “tutti i suddetti pubblici ufficiali possono autenticare, purché all’interno del territorio di competenza dell’ufficio di cui sono titolari, le sottoscrizioni previste dal procedimento elettorale (che non siano espressamente attribuite dalla legge alla competenza autenticatoria solo del notaio) per candidati e liste di qualsiasi circoscrizione / regione”.

 

 

Relativamente all’attribuzione, in via transitoria per le elezioni 2018, della competenza a procedere alle autenticazioni delle sottoscrizioni anche agli avvocati abilitati al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori iscritti all’albo di un distretto della circoscrizione elettorale, si ricorda che il Ministero dell’interno (Istruzioni per la presentazione delle candidature 2018) ha precisato che i suddetti avvocati, all’interno del territorio del distretto di cui fa parte il circondario di iscrizione nel suddetto albo, potessero autenticare le firme per le liste della circoscrizione/regione in cui rientra, anche in parte, il territorio del suddetto distretto di Corte d’appello.

 

Secondo quanto ricordato nelle medesime Istruzioni per la presentazione delle candidature 2018 per l’autenticazione è dovuto dai richiedenti, al notaio o al cancelliere, l’onorario di 0,05 euro [già lire 100] per ogni sottoscrizione autenticata (art. 19 DPR 361 del 1057).

 

Il comma 3 dell’articolo 14 dispone infine che le sottoscrizioni e le relative autenticazioni sono nulle se anteriori al centottantesimo giorno precedente il termine fissato per la presentazione delle candidature.

 


 

Articolo 16-ter
(Disposizioni in materia di circolazione in Italia di veicoli immatricolati all'estero)

 

L'articolo 16-ter, introdotto dal Senato, modifica l'articolo 93 del codice della strada prevedendo che sono esclusi dai divieti ivi previsti in materia di circolazione dei veicoli immatricolati all'estero una serie di categorie indicate dalla disposizione.

 

La disposizione, introdotta dal Senato, reca disposizioni in materia di circolazione in Italia di veicoli immatricolati all'estero.

Si novella l'articolo 93 del codice della strada di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, aggiungendo un nuovo comma 1-quinquies, in base a cui le previsioni recate dal medesimo articolo, ai commi 1-bis, 1-ter e 1-quater in materia di divieto di circolazione con veicoli immatricolati all'estero, non si applicano alle seguenti categorie:

a)     ai residenti di Campione d'Italia;

b)    al personale civile e militare dipendente da PP.AA. in servizio all'estero, di cui all'articolo 1, co. 9 lettere a) e b) della legge n. 470 del 1988, disposizione inerente talune categorie di soggetti non iscritti nelle anagrafi dei cittadini italiani residenti all'estero;

·       La L. n. 470 del 1988, in materia di Anagrafe e censimento degli italiani all'estero, al Capo I - Anagrafi dei cittadini residenti all'estero, all'articolo 1. 1 stabilisce che le anagrafi dei cittadini italiani residenti all'estero (AIRE) sono tenute presso i comuni e presso il Ministero dell'interno.

·       In base al comma 9, non sono iscritti nelle stesse anagrafi:

·       a) i cittadini che si recano all'estero per l'esercizio di occupazioni stagionali, nonché dirigenti scolastici, docenti e personale amministrativo della scuola collocati fuori ruolo ed inviati all'estero nell'ambito di attività scolastiche fuori dal territorio nazionale;

·       b) i dipendenti di ruolo dello Stato in servizio all'estero e le persone con essi conviventi, i quali siano stati notificati alle autorità locali ai sensi delle convenzioni di Vienna sulle relazioni diplomatiche e sulle relazioni consolari, rispettivamente del 1961 e del 1963, ratificate con legge 9 agosto 1967, n. 804.

·        

c)     ai lavoratori frontalieri o a quei soggetti residenti in Italia che prestano un'attività di lavoro in favore di una impresa avente sede in uno Stato confinante o limitrofo, i quali transitano in Italia con il veicolo ivi immatricolato a proprio nome, per raggiungere il luogo di residenza o per far rientro nella sede di lavoro all'estero;

d)    al personale delle Forze armate e di Polizia in servizio all'estero presso organismi internazionali o basi militari;

e)     al personale dipendente di associazioni territoriali di soccorso, per il rimpatrio dei veicoli immatricolati all'estero.

·        

Il D.Lgs. 30/04/1992, n. 285 reca il Nuovo codice della strada. La Sezione III disciplina i documenti di circolazione e immatricolazione.

Nel dettaglio, l'art. 93 reca le formalità necessarie per la circolazione degli autoveicoli, motoveicoli e rimorchi, prevedendo che gli autoveicoli, i motoveicoli e i rimorchi per circolare devono essere muniti di una carta di circolazione e immatricolati presso il Dipartimento per i trasporti terrestri. I commi 1-bis, 1-ter e 1-quater, nonché i commi 7-bis e 7-ter con le relative sanzioni, sono stati introdotti al codice della strada con il D.L. 04/10/2018, n. 113, segnatamente con l'art. 29-bis dello stesso D.L., recante modifiche al codice della strada, in materia di circolazione di veicoli immatricolati all'estero.

Il co 1-bis prevede che salvo quanto previsto dal comma 1-ter, è vietato, a chi ha stabilito la residenza in Italia da oltre sessanta giorni, circolare con un veicolo immatricolato all'estero.

In base al co. 1-ter, prevede che a bordo del veicolo deve essere custodito un documento, sottoscritto dall'intestatario e recante data certa, dal quale risultino il titolo e la durata della disponibilità del veicolo nell'ipotesi di veicolo concesso in leasing o in locazione senza conducente da parte di un'impresa costituita in un altro Stato membro dell'Unione europea o dello Spazio economico europeo che non ha stabilito in Italia una sede secondaria o altra sede effettiva, nonché nell'ipotesi di veicolo concesso in comodato a un soggetto residente in Italia e legato da un rapporto di lavoro o di collaborazione con un'impresa costituita in un altro Stato membro dell'Unione europea o aderente allo Spazio economico europeo che non ha stabilito in Italia una sede secondaria od altra sede effettiva, nel rispetto delle disposizioni contenute nel codice doganale comunitario. In mancanza di tale documento, la disponibilità del veicolo si considera in capo al conducente.

Il comma 1-quater prevede che nell'ipotesi di cui al comma 1-bis (ferma restando l'applicazione delle sanzioni previste dal successivo comma 7-bis), se il veicolo non è immatricolato in Italia, l'intestatario chiede al competente ufficio della motorizzazione civile, il rilascio di un foglio di via e della relativa targa, ai sensi dell'articolo 99, al fine di condurre il veicolo oltre i transiti di confine; tale richiesta avviene previa consegna del documento di circolazione e delle targhe estere,. L'ufficio della motorizzazione civile provvede alla restituzione delle targhe e del documento di circolazione alle competenti autorità dello Stato che li ha rilasciati.

Si ricorda altresì che l'ufficio competente del Dipartimento per i trasporti terrestri provvede all'immatricolazione e rilascia la carta di circolazione intestandola a chi si dichiara proprietario del veicolo, indicando, ove ricorrano, anche le generalità dell'usufruttuario o del locatario con facoltà di acquisto o del venditore con patto di riservato dominio, con le specificazioni di cui all'art. 91 del codice (co. 2, art. 93).

La carta di circolazione non può essere rilasciata se non sussistono il titolo o i requisiti per il servizio o il trasporto, ove richiesti dalle disposizioni di legge. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con propri decreti stabilisce le procedure e la documentazione occorrente per l'immatricolazione, il contenuto della carta di circolazione, prevedendo, in particolare per i rimorchi, le annotazioni eventualmente necessarie per consentirne il traino. L'ufficio competente del Dipartimento per i trasporti terrestri per i casi previsti dà immediata comunicazione delle nuove immatricolazioni al Pubblico Registro Automobilistico gestito dall'A.C.I.  Per i veicoli soggetti ad iscrizione nel P.R.A., nella carta di circolazione sono annotati i dati attestanti la proprietà e lo stato giuridico del veicolo (co. 3-5).

 

In materia di sanzioni, si ricorda che, in base al co. 7, chiunque circola con un veicolo per il quale non sia stata rilasciata la carta di circolazione è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma prevista, e dalla violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della confisca del veicolo, secondo le norme di cui al capo I, sezione II, del titolo VI. In particolare, il co. 7-bis prevede per la violazione delle disposizioni di cui al comma 1-bis una sanzione amministrativa di pagamento  e l'organo accertatore trasmette il documento di circolazione all'ufficio della motorizzazione civile competente per territorio, ordina l'immediata cessazione della circolazione del veicolo e il suo trasporto e deposito in luogo non soggetto a pubblico passaggio. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'articolo 213 del codice e, qualora, entro il termine di centottanta giorni decorrenti dalla data della violazione, il veicolo non sia immatricolato in Italia o non sia richiesto il rilascio di un foglio di via per condurlo oltre i transiti di confine, si applica la sanzione accessoria della confisca amministrativa ai sensi dell'articolo 213 medesimo.

Il co. 7-ter prevede poi per la violazione delle disposizioni di cui al comma 1-ter, primo periodo, la sanzione amministrativa del pagamento di una somma. Nel verbale di contestazione è imposto l'obbligo di esibizione del documento di cui al comma 1-ter entro il termine di trenta giorni. Il veicolo è sottoposto alla sanzione accessoria del fermo amministrativo ed è riconsegnato al conducente, al proprietario o al legittimo detentore, ovvero a persona delegata dal proprietario, solo dopo che sia stato esibito il documento di cui al comma 1-ter o, comunque, decorsi sessanta giorni dall'accertamento della violazione. Si fa presente che il co. 10 dispone che le norme suddette non si applicano ai veicoli delle Forze armate di cui all'art. 138, comma 1, ed a quelli degli enti e corpi equiparati.

Si segnala infine che disposizioni in materia sono state altresì introdotte dal cittao D.L. 113 del 2018, all'articolo 132 del codice (al comma 1) nonché all'articolo 196, ove si prevede che nei casi indicati all'articolo 93, commi 1-bis e 1-ter, e all'articolo 132, delle violazioni commesse risponde solidalmente la persona residente in Italia che ha, a qualunque titolo, la disponibilità del veicolo, se non prova che la circolazione del veicolo stesso è avvenuta contro la sua volontà.

 

Qualora il veicolo sia immatricolato in un Paese non appartenente all'Unione europea, restano ferme le pertinenti disposizioni unionali in materia di immissione temporanea.


 

Articolo 16-quater
(Codice alfanumerico unico per l'indicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro)

 

 

L'articolo 16-quater, approvato dal Senato, prevede l'istituzione di un codice alfanumerico unico per l'individuazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, nell'ambito delle comunicazioni obbligatorie (ai servizi per l'impiego competenti) in materia di rapporti di lavoro e delle comunicazioni mensili UNIEMENS all'INPS.

 

L'articolo prevede che tale codice sia attribuito dal CNEL in sede di acquisizione del contratto collettivo nell'archivio dei contratti collettivi nazionali di lavoro, curato dal medesimo CNEL[47], e che i criteri di composizione del codice siano definiti dal medesimo CNEL, d'intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l'INPS.

 

Le comunicazioni obbligatorie relative all'instaurazione, a determinate variazioni e alla cessazione dei rapporti di lavoro sono rese (ai servizi per l'impiego competenti) dai datori di lavoro o committenti[48].

Le comunicazioni mensili UNIEMENS[49] all'INPS - da parte dei sostituti d'imposta - concernono i dati retributivi e le informazioni necessarie per il calcolo dei contributi, per l'implementazione delle posizioni assicurative individuali e per l'erogazione delle prestazioni.

 

 


 

Articolo 16-quinquies
(Produzione di sostanze attive per medicinali sperimentali)

 

 

L'articolo 16-quinquies, approvato dal Senato, amplia l'ambito delle produzioni di sostanze attive - destinate esclusivamente alla produzione di medicinali sperimentali (per uso umano) - che non richiedano una specifica autorizzazione dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).

 

La disposizione vigente, di cui all'articolo 54, comma 4-bis, del D.Lgs. 24 aprile 2006, n. 219, e successive modificazioni[50], esclude dalla procedura di autorizzazione le produzioni suddette di sostanze attive per l'ipotesi in cui siano destinate a sperimentazioni cliniche di fase I[51], a condizione che le medesime produzioni siano effettuate, nel rispetto delle norme di buona fabbricazione, in un'officina autorizzata alla produzione di sostanze attive e siano precedute da una notifica all'AIFA da parte del titolare dell'officina.

La novella di cui al presente articolo 16-quinquies estende l'esclusione dalla procedura di autorizzazione alle corrispondenti ipotesi in cui la destinazione sia una sperimentazione clinica di fase II[52].

Sotto il profilo redazionale, si valuti l'opportunità di sopprimere il secondo e il terzo periodo del citato articolo 54, comma 4-bis, i quali fanno riferimento alla svolgimento di una relazione - da parte dell'AIFA - sugli effetti della norma vigente in esame e sui possibili effetti dell'estensione della stessa norma ai medicinali sperimentali impiegati nelle sperimentazioni cliniche di fase II; la relazione, pubblicata il 23 marzo 2015, ha sostenuto che sussistano i presupposti per l'estensione in oggetto[53].

 


 

Articolo 17
(Stabilità finanziaria degli enti locali)

 

 

L’articolo 17 dispone il rinvio di termini e la temporanea disapplicazione di disposizioni nell’ambito della procedura di riequilibrio finanziario pluriennale degli enti locali.

 

Il comma 1, in ragione della emergenza Covid-19, rinvia il termine per la deliberazione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale degli enti locali, prevista dall’articolo 243-bis, comma 5, del decreto legislativo n.267/2000 (Testo unico degli enti locali – TUEL).

Tale termine, rinviato da ultimo al 30 giugno 2020 dall’articolo 107 del decreto-legge n. 18 del 2020[54], viene ulteriormente rinviato al 30 settembre 2020. I comuni, nei confronti dei quali i termini sono scaduti alla data del 30 giugno, sono rimessi nei termini.

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 243-bis del TUEL, i comuni e le province per i quali sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario, possono ricorrere, con deliberazione consiliare, alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale. Tale deliberazione è trasmessa, entro 5 giorni dalla data di esecutività, alla competente sezione regionale della Corte dei conti e al Ministero dell'interno.

In particolare, il comma 5 dispone che il consiglio dell'ente locale, entro il termine perentorio di novanta giorni dalla data di esecutività della delibera di ricorso alla procedura di risanamento finanziario, delibera un piano di riequilibrio finanziario pluriennale di durata compresa tra quattro e venti anni, compreso quello in corso, corredato del parere dell'organo di revisione economico-finanziario.

L’articolo 107, comma 7, del decreto-legge n. 18 del 2020 ha rinviato al 30 giugno 2020 una serie di termini riguardanti la procedura di dissesto finanziario e la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale degli enti locali, tra i quali quello previsto per la deliberazione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale, previsto dall'articolo 243-bis, comma 5, del TUEL.

 

Nel corso dell’esame al Senato è stato inserito il comma 1-bis, il quale dispone il rinvio al 30 settembre 2020 del termine per la presentazione al Ministro dell'interno di una ipotesi di bilancio di previsione stabilmente riequilibrato da parte dell’ente locale in stato di dissesto, prevista dall'articolo 259, comma 1, del TUEL.

L’articolo 259, comma 1, del TUEL dispone che il Consiglio dell'ente locale in stato di dissesto è tenuto a presentare al Ministro dell'interno un'ipotesi di bilancio di previsione stabilmente riequilibrato entro il termine perentorio di tre mesi dalla data di emanazione del decreto del Presidente della Repubblica di nomina dell’organo straordinario di liquidazione.

Tale termine di tre mesi è già stato rinviato al 30 giugno 2020 dall’articolo 107, comma 7, lett. e), del decreto-legge n. 18 del 2020.

Con la modifica in esame si prevede che il termine per la presentazione al Ministro dell'interno di una ipotesi di bilancio di previsione stabilmente riequilibrato da parte dell’ente locale in stato di dissesto, prevista dall'articolo 259, comma 1, del TUEL, sia rinviato al 30 settembre 2020, qualora il termine di tre mesi ivi previsto scada antecedentemente alla predetta data. Si propone, inoltre, che siano rimessi in termini gli enti locali per i quali il termine di tre mesi sia scaduto il 30 giugno 2020, ovvero sia scaduto fra il 30 giugno 2020 e la data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame.

 

Il comma 2 sospende fino al 30 giugno 2021 l’applicazione della procedura che conduce alla deliberazione di dissesto, in caso di mancata presentazione del piano di riequilibrio entro il termine previsto dall’articolo 243-bis, comma 5. Tale sospensione si applica nel caso in cui l’ente locale abbia presentato, in data successiva al 31 dicembre 2017 e fino al 31 gennaio 2020, un piano di riequilibrio riformulato o rimodulato, ancorché in corso di approvazione a norma delle leggi vigenti in materia.

Con una modifica inserita nel corso dell’esame al Senato si chiarisce che per sospendere la procedura che conduce al dissesto è sufficiente che l’ente abbia presentato un piano di riequilibrio tra il 31 dicembre 2017 e il 31 gennaio 2020, ancorché in corso di approvazione a norma delle leggi vigenti, ovvero lo abbia riformulato o rimodulato nello stesso periodo.

 

L’articolo 243-quater, comma 7, del TUEL prevede che la mancata presentazione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale entro il termine di cui all'articolo 243-bis, comma 5, il diniego dell'approvazione del piano, l'accertamento da parte della competente Sezione regionale della Corte dei conti di grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi intermedi fissati dal piano, ovvero il mancato raggiungimento del riequilibrio finanziario dell'ente al termine del periodo di durata del piano stesso, comportano l'applicazione dell'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 149 del 2011, ovvero l'assegnazione al consiglio dell'ente, da parte del Prefetto, del termine non superiore a venti giorni per la deliberazione del dissesto. Decorso infruttuosamente il suddetto termine, il Prefetto nomina un commissario per la deliberazione dello stato di dissesto e dà corso alla procedura per lo scioglimento del consiglio dell'ente.

 

Il comma 3 inserisce alla fine dell’articolo 243-quater del TUEL il comma 7-quater nel quale si prevede che il richiamato comma 7 trova applicazione, limitatamente all’accertamento da parte della competente sezione regionale della Corte dei Conti del grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi intermedi fissati dal piano, a decorrere dal 2019 o dal 2020, avendo quale riferimento il piano eventualmente riformulato o rimodulato, deliberato dall’ente locale in data successiva al 31 dicembre 2017 e fino al 31 gennaio 2020. Gli eventuali procedimenti in corso, unitamente all’efficacia degli eventuali provvedimenti già adottati, sono sospesi fino all’approvazione o al diniego della rimodulazione o riformulazione deliberata dall’ente locale.

 

Il comma 4 sopprime due norme della legge di bilancio per il 2018 nelle quali sono definite le condotte degli enti locali che costituiscono reiterazione del mancato rispetto degli obiettivi, le quali comportano l’applicazione della procedura che può condurre alla deliberazione di dissesto.

In particolare, la lettera a) abroga il comma 850 dell’articolo 1 della legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio per il 2018), il quale prevede, per gli enti locali per i quali la Corte dei conti ha già accertato il grave mancato rispetto degli obiettivi intermedi fissati dal piano originario, che l’ulteriore mancato rispetto degli obiettivi fissati dal piano riformulato configura l’ipotesi della reiterazione e comporta pertanto l'applicazione dell'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 149 del 2011, con l'assegnazione al consiglio dell'ente, da parte del Prefetto, del termine non superiore a venti giorni per la deliberazione del dissesto[55].

 

La lettera b) sopprime l’ultimo periodo del comma 889 della legge n. 205 del 2017.

Si ricorda che i commi 888-889 apportano modifiche alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, disciplinata dai commi 243-bis e seguenti del TUEL, per gli enti locali per i quali sussistono squilibri strutturali del bilancio tali da provocare il dissesto finanziario, modificando il termine di durata del piano ed introducendo criteri per determinarne la durata massima.

In particolare, l’ultimo periodo del comma 889 (oggetto di soppressione da parte della disposizione in commento) dispone che per gli enti per i quali la Corte di conti abbia già accertato il grave mancato rispetto degli obiettivi intermedi del piano originario, un ulteriore mancato rispetto degli obiettivi del nuovo piano comporti per l’ente, ai sensi del descritto comma 7 dell’articolo 243- quater, l’avvio della procedura per deliberare lo stato di dissesto.

 

 

L’articolo 243-bis del TUEL - come modificato da ultimo dall’art. 1, commi 888-889, della legge n. 205/2017 - stabilisce che gli enti locali per i quali sussistano squilibri di bilancio in grado di provocarne il dissesto finanziario possono ricorrere, con deliberazione consiliare, alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale ed entro i successivi novanta giorni (decorrenti dalla data di esecutività della delibera) approvare un piano di riequilibrio finanziario pluriennale di durata compresa tra quattro e venti anni, compreso quello in corso, corredato del parere dell'organo di revisione economico-finanziario.

La durata massima del piano di riequilibrio finanziario pluriennale è determinata sulla base del rapporto tra le passività da ripianare e l'ammontare degli impegni di spesa corrente (Titolo I) del rendiconto dell'anno precedente a quello di deliberazione del ricorso alla procedura di riequilibrio o dell'ultimo rendiconto approvato. Il piano di riequilibrio deve contenere tutte le misure necessarie a superare lo squilibrio.

Una volta deliberato, entro 10 giorni il piano deve essere trasmesso alla Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali (prevista dall’articolo 155 del TUEL), per l’istruttoria, ed alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti, ai fini dell’approvazione dello stesso entro 30 giorni, secondo le procedure stabilite dall’articolo 243-quater. In caso di approvazione del piano, la Corte dei Conti vigila sull'esecuzione dello stesso, adottando in sede di controllo, effettuato ai sensi dell'art. 243-bis, comma 6, lettera a), apposita pronuncia.

Ai fini del riequilibrio, l’ente interessato può avvalersi anche di una apposita anticipazione, prevista dall’articolo 243-ter. Questa è erogata dallo Stato a valere sul Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali, con predeterminati massimali (300 euro per abitante per i comuni e 20 euro per abitante per le province) e deve essere restituita entro 10 anni. In caso di accesso al Fondo, l’ente locale deve adottare alcune specifiche misure di riequilibrio statuite dall’articolo 243-bis, consistenti nella riduzione delle spese per il personale, di quelle per prestazioni di servizi e di trasferimenti, nonché nel blocco dell’indebitamento.

Sulla suesposta disciplina sono successivamente intervenute numerose integrazioni e modifiche normative, principalmente volte a consentire agli enti locali, che avevano già attivato la procedura di riequilibrio, la facoltà di riformulazione e/o rimodulazione dei piani di riequilibrio, per lo più legate all’esigenza di coordinamento tra i contenuti del piano di riequilibrio e gli eventuali effetti peggiorativi derivanti dall’adozione degli adempimenti previsti per il passaggio al sistema di contabilità armonizzata, di cui al D.Lgs. n. 118/2011, connessi principalmente al riaccertamento straordinario dei residui.

 

 

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 18 del 14 febbraio 2019 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 714 dell’articolo 1 della legge n. 208/2015 (come sostituito dall’art. 1, comma 434, della legge n. 232/2016), che aveva dato facoltà agli enti locali che avevano presentato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale prima dell’approvazione del rendiconto per l’esercizio 2014 e che non avevano ancora provveduto ad effettuare il riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi (richiesto dall’art. 3, comma 7, del D.Lgs. n. 118/2011 di armonizzazione contabile), di rimodulare il rispettivo piano, scorporando dal piano la quota di disavanzo risultante dalla revisione straordinaria dei residui richiesta dalla procedura di riequilibrio finanziario, limitatamente ai residui antecedenti al 1º gennaio 2015 (ex art. 243-bis, comma 8, lett. e) del TUEL), e ripianando tale quota in un arco temporale di trenta anni (periodo ben più ampio di quello previsto dalla normativa allora vigente, che limitava la durata del piano di rientro ad un periodo massimo di 10 anni; attualmente, la durata del piano di riequilibrio finanziario è compresa tra quattro e venti anni).

A seguito della sentenza n. 18 del 2019, il legislatore è intervenuto con il decreto-legge n. 34 del 2019. In particolare, l’articolo 38, comma 2-bis, consente agli enti locali che hanno proposto la rimodulazione/riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi del comma 714 (dichiarato incostituzionale), di riproporre il piano, al fine di adeguarlo alla normativa vigente. I piani riproposti devono contenere il ricalcolo complessivo del disavanzo da ripianare, già oggetto del piano modificato, nel rispetto della disciplina vigente (comma 2-ter). Le rimodulazioni dei piani di riequilibrio di cui ai commi precedenti, in ragione della situazione di eccezionale urgenza, sono oggetto di approvazione o di diniego della competente Sezione della Corte dei conti entro 20 giorni dalla ricezione dell’atto deliberativo del Consiglio comunale (comma 2-quater).

L’articolo 38 del decreto-legge n. 162 del 2019 ha introdotto alcune disposizioni finalizzate ad assicurare una maggior disponibilità di risorse di cassa per l’anno 2020 agli enti locali in situazione di predissesto i quali, a seguito dell’applicazione dei più restrittivi criteri derivanti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2019, hanno dovuto procedere alla riproposizione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale, con conseguente incremento della quota annuale di ripiano. La norma consente, a tal fine, ai suddetti enti locali, di richiedere al Ministero dell’interno, entro il 31 gennaio 2020, un incremento dell’anticipazione già ricevuta a valere sul Fondo di rotazione, appositamente previsto dal TUEL a sostegno dei piani di riequilibrio, da restituire in quote annuali di pari importo per un periodo di dieci anni.

 

Nel corso dell’esame al Senato è stato inserito il comma 4-bis, il quale proroga fino al 31 dicembre 2020 il termine di restituzione alla Sose s.p.a.[56] dei questionari FP20U, da parte delle province e delle città metropolitane, e FC50U da parte dei Comuni, nell'ambito del procedimento di determinazione dei fabbisogni standard.

L'art. 5, comma 1, lettera c), del D.lgs. n. 216 del 2010 attribuisce a Sose s.p.a. la facoltà di predisporre appositi sistemi di rilevazione di informazioni funzionali a raccogliere i dati necessari per il calcolo dei fabbisogni standard degli enti locali. Questi ultimi sono tenuti a restituire le informazioni richieste in via telematica entro sessanta giorni dalla pubblicazione. Qualora gli enti locali non adempiano a tale obbligo, è prevista la sospensione dei trasferimenti a qualunque titolo erogati all'Ente locale e la pubblicazione dell'ente inadempiente nel sito internet del Ministero dell'interno.

L'articolo 110 del decreto-legge n. 18 del 2020 ha disposto che il termine di restituzione alla Sose s.p.a. del questionario FP20U da parte delle province e delle città metropolitane, e dell’analogo questionario FC50U da parte dei Comuni, è fissato in centottanta giorni, e non sessanta giorni, come richiederebbe l'applicazione dell'art.5, comma 1, lettera c), del d.lgs. n.216 del 2010.

Tale termine, con la modifica proposta in sede referente, è ulteriormente prorogato al 31 dicembre 2020.

 

Nel corso dell’esame al Senato sono stati infine inseriti i commi 4-ter e 4-quater.

Il comma 4-ter prevede che per le province in dissesto finanziario, che entro la data del 31 dicembre 2020 presentano una nuova ipotesi di bilancio di previsione stabilmente riequilibrato a seguito del diniego da parte del Ministero dell'interno dell'approvazione di una precedente ipotesi di bilancio di previsione stabilmente riequilibrato, il termine di cinque anni entro cui l’ente deve raggiungere l’equilibrio di bilancio (termine previsto dal comma 1-ter dell'articolo 259 del TUEL), decorre dalla data di presentazione da parte del Consiglio della nuova ipotesi di bilancio di previsione stabilmente riequilibrato.

Il citato art. 259, comma 1, dispone che il Consiglio dell'ente locale in stato di dissesto è tenuto a presentare al Ministro dell'interno un'ipotesi di bilancio di previsione stabilmente riequilibrato entro il termine perentorio di tre mesi dalla data di emanazione del decreto del Presidente della Repubblica di nomina dell’organo straordinario di liquidazione.

Il termine di tre mesi per la presentazione al Ministro dell'interno di una ipotesi di bilancio di previsione stabilmente riequilibrato da parte dell’ente locale in stato di dissesto è stato rinviato al 30 giugno 2020 dal decreto-legge n. 18 del 2020 (art. 107, comma 7).

Il comma 1-ter dell'articolo 259 prevede che nel caso in cui il riequilibrio del bilancio sia significativamente condizionato dall'esito delle misure di riduzione di almeno il 20 per cento dei costi dei servizi, nonché dalla razionalizzazione di tutti gli organismi e società partecipati, laddove presenti, i cui costi incidono sul bilancio dell'ente, l'ente può raggiungere l'equilibrio, in deroga alle norme vigenti, entro l'esercizio in cui si completano la riorganizzazione dei servizi comunali e la razionalizzazione di tutti gli organismi partecipati, e comunque entro cinque anni, compreso quello in cui è stato deliberato il dissesto.

 

Il comma 4-quater stabilisce che il termine per la presentazione da parte dei comuni alla Prefettura-UTG territorialmente competente delle richieste di ammissione alle risorse stanziate per l’installazione di sistemi di videosorveglianza comunale è fissato, per l'anno 2020, al 15 ottobre 2020. Conseguentemente la Prefettura-UTG territorialmente competente provvede a trasmettere le predette richieste al Ministero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza - Ufficio per il coordinamento e la pianificazione delle Forze di polizia, non oltre il 31 ottobre 2020.

L’articolo 35-quinquies del decreto-legge n. 113 del 2018, citato dalla norma in esame, al fine di potenziare gli interventi in materia di sicurezza urbana, ha incrementato di 10 milioni per il 2019, 17 milioni per il 2020, 27 milioni per il 2021 e 36 milioni dal 2022 le risorse destinate all'installazione di sistemi di videosorveglianza da parte dei comuni.

L’articolo 11-bis, comma 19, del decreto-legge n. 135 del 2018 demanda ad un decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro il 31 marzo di ciascun anno di riferimento, la definizione delle modalità di presentazione delle richieste da parte dei comuni interessati nonché i criteri di ripartizione delle ulteriori risorse di cui all'art. 35-quinquies del decreto-legge n. 113 del 2018.

Con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze del 31 gennaio 2018 sono state definite le modalità di presentazione delle richieste di ammissione al finanziamento da parte dei comuni, nonché i criteri di ripartizione delle relative somme stanziate per gli anni 2017, 2018 e 2019.

Il D.M. 27 maggio 2020[57] ha definito le modalità di presentazione delle richieste di ammissione ai finanziamenti da parte dei comuni, nonché i criteri di ripartizione delle relative risorse. All’articolo 3 del D.M. si prevede che “le richieste dei comuni di ammissione al finanziamento per l'esercizio finanziario 2020 devono essere presentate alla Prefettura-UTG territorialmente competente entro il 30 giugno 2020, la quale provvede a trasmetterle al Ministero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza - Ufficio per il coordinamento e la pianificazione delle Forze di polizia non oltre il 31 agosto successivo”.

Con la norma in esame il termine per la presentazione delle richieste da parte dei comuni di ammissione al finanziamento per l’installazione di sistemi di videosorveglianza comunale è rinviato, per l'anno 2020, al 15 ottobre 2020.


 

Articolo 17-bis
(Accesso ai dati e alle informazioni di cui all'articolo 7, sesto comma, del d.P.R. n. 605 del 1973)

 

 

L'articolo 17-bis - introdotto dal Senato - novella la disciplina inerente all'accesso alle informazioni presenti nell'Anagrafe tributaria da parte degli enti locali e dei soggetti affidatari del servizio di riscossione, specificando che tale accesso è consentito anche ai dati e alle informazioni relativi a soggetti che intrattengano rapporti o effettuino operazioni di natura finanziaria con operatori finanziari.

 

L'articolo in esame mira a semplificare il processo di riscossione degli enti locali. A tal fine esso novella il comma 791 della legge di bilancio per il 2020 (legge n. 160 del 2019). La modifica specifica che gli enti e i soggetti affidatari dei servizi di riscossione possano accedere anche ai dati di cui all'art. 7, sesto comma, del d.P.R. n. 605 del 1973 ("Disposizioni relative all'anagrafe tributaria e al codice fiscale dei contribuenti") richiamato in rubrica. Si tratta dei dati identificativi (compreso il codice fiscale) di ogni soggetto che intrattenga qualsiasi rapporto o effettui - anche per conto o a nome di terzi - qualsiasi operazione di natura finanziaria (ad eccezione dei bollettini di conto corrente postale di importo unitario inferiore a 1.500 euro) con operatori finanziari, quali: banche; la società Poste italiane Spa; intermediari finanziari; imprese di investimento; organismi di investimento collettivo del risparmio; società di gestione del risparmio. Secondo quanto dispone il medesimo art. 7, sesto comma, del d.P.R. n. 605, tali dati, concernenti l'esistenza e la natura dei rapporti e di qualsiasi operazione compiuta al di fuori di un rapporto continuativo, sono comunicati all'Anagrafe tributaria che li archivia in apposita sezione, con l'indicazione dei dati anagrafici dei titolari e dei soggetti interessati.

 

Il comma 791 novellato disciplina in modo sistematico l’accesso ai dati da parte degli enti e dei soggetti affidatari del servizio di riscossione.

Si applicano le seguenti regole:

•      gli enti locali e i soggetti affidatari del servizio di riscossione locale (ivi compresi i concessionari della riscossione della TARI) sono autorizzati ad accedere alle informazioni relative ai debitori presenti in Anagrafe Tributaria, per il tramite dell’ente creditore affidante e sotto la responsabilità di quest’ultimo;

•      a tal fine, l’ente locale è tenuto a consentire al soggetto affidatario l’utilizzo degli applicativi per l’accesso ai servizi di cooperazione informatica già forniti dall’Agenzia delle Entrate all’ente stesso, nel rispetto delle prescrizioni normative e tecniche vigenti, e previa nomina del soggetto affidatario quale responsabile esterno del trattamento ai sensi della normativa sulla privacy (Regolamento UE 2016/679, cosiddetto regolamento GDPR);

•      restano ferme, per i soggetti affidatari dei servizi di riscossione, le modalità di accesso telematico per la consultazione delle banche dati catastale e ipotecaria nonché del pubblico registro automobilistico.

 

Si segnala che tale comma 791 si inserisce all'interno di un pacchetto di norme in materia di riscossione degli enti locali recato dall'art. 1, commi da 784 a 815, della legge di bilancio 2020. Si veda al riguardo il volume 3 del dossier sulla legge n. 160 del 2019.

 

 


 

Articolo 18
(Soppressione della disposizione che limitava il potere di ordinanza sindacale durante l'emergenza sanitaria)

 

L'articolo 18 restituisce ai sindaci la pienezza dei poteri di ordinanza previsti dall'ordinamento vigente prima dell'introduzione dei limiti dettati in relazione all'emergenza da Covid-19.

Nello specifico, esso sopprime l'art.3, comma 2, del decreto-legge n.19 del 2020, con cui erano dettati tali limiti.

La disposizione soppressa prevedeva che i sindaci non potessero adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l'emergenza: i) in contrasto con le misure statali e regionali; ii) che eccedessero i limiti di oggetto che valgono per i provvedimenti regionali (cui al comma 1 del medesimo articolo 3 del DL n.19).

I provvedimenti regionali, ai sensi del comma 1 dell'art.3 del DL n.19, incontrano i seguenti limiti: possono essere adottati solo nelle more dell'adozione dei DPCM (di cui all'art.2, comma 1, del medesimo DL); hanno un'efficacia che si esaurisce con l'adozione di questi ultimi; devono far fronte a specifiche situazioni sopravvenute che prefigurino un aggravamento del rischio sanitario nel proprio territorio; sono tenuti ad introdurre misure più restrittive di quelle già in essere; devono riguardare ambiti di propria competenza, senza poter incidere sulle attività produttive e su quelle di rilevanza strategica per l'economia. Un'interpretazione sistematica dell'articolo 3 era parsa consentire di ritenere estensibili alle ordinanze sindacali tutti gli indicati limiti previsti per i provvedimenti regionali, sebbene il richiamo letterale, recato al comma 2, ai soli "limiti di oggetto" avrebbe potuto far sorgere il dubbio in ordine all'applicabilità dei limiti ulteriori (quali l'esigenza che le ordinanze sindacali fossero emesse solo nelle more dell'adozione dei DPCM e che dovessero perdere efficacia al momento dell'adozione di questi ultimi).

Va peraltro segnalato ai sensi dell'art.1, comma 1, del DL n.19 del 2020 le misure dirette a far fronte ai rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19 possono essere adottate (ed eventualmente reiterate o modificate) fino al 15 ottobre, termine dello stato di emergenza[58].

In combinato disposto con il comma 3 del citato articolo del DL n.19, le ordinanze sindacali incontravano i medesimi limiti anche nel caso in cui fossero poste in essere per ragioni di sanità, in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente.

 

Come si legge nella relazione illustrativa al presente decreto-legge, la finalità dell'articolo in commento è quello di "ripristinare pienamente i poteri extra ordinem attribuiti ai sindaci dall’articolo 50[59] del Testo unico degli enti locali (TUEL), in modo che gli stessi possano adottare tutte le misure contingibili e urgenti eventualmente necessarie per evitare nuove situazioni di rischio per la salute e l’incolumità delle proprie comunità", "[e]ssendo ora venuta meno la ratio sottesa alla norma" di cui si dispone l'abrogazione.

 

L'abrogazione del comma 2 dell'art.3 del DL n.19 fa venire dunque meno i richiamati limiti a cui era sottoposto il potere di ordinanza sindacale nelle fasi cruciali di contrasto alla diffusione dell'epidemia in corso, che invece continuano ad applicarsi (ai sensi dei commi 1 e 3 dell'art.3 del DL n.19)) ai provvedimenti regionali.

 

Va peraltro rilevato che i limiti al potere delle regioni di emanare atti, incluse le ordinanze, per fronteggiare la pandemia non hanno impedito alle regioni di svolgere comunque un ruolo di rilievo nella gestione complessiva dell'emergenza, in sinergia con lo Stato, ai sensi del DL n.33 del 2020 (successivo al DL n.19). Si segnalano al riguardi i seguenti profili: i) il  comma 14 del DL n.33 demanda a protocolli o linee guida delle regioni o della Conferenza Stato-regioni la definizione delle modalità con cui le attività economiche, produttive e sociali devono svolgersi al fine di prevenire o ridurre il rischio di contagio, nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali; ii) il comma 16 demanda alle regioni l'effettuazione di un monitoraggio, con cadenza giornaliera, dell'evoluzione della   situazione   epidemiologica, in esito al quale è consentito alle stesse di introdurre misure derogatorie, ampliative o restrittive rispetto alle misure di contenimento vigenti, nelle more dell'adozione di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Nonostante il potenziamento del ruolo delle regioni nella gestione dell'emergenza, la norma in commento parrebbe determinare un'asimmetria fra potere di ordinanza dei sindaci  e il potere delle regioni di adottare atti, incluse le ordinanze. Ciò con particolare riferimento alla gestione delle emergenze nelle materie igiene e sanità pubblica e polizia veterinaria,  di cui all'art. 32 della legge n.833 del 1978 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), che attribuisce ai sindaci e ai presidenti di regione poteri di ordinanza  a seconda dell'estensione territoriale delle emergenze stesse[60].

 

 

 

In relazione all'emergenza sanitaria, i poteri di ordinanza dei sindaci (così come del resto delle regioni, specie nella prima fase) erano stati circoscritti rispetto a quanto prevede l'ordinamento in via generale, anche al fine di rafforzare il coordinamento in capo al Presidente del Consiglio dei ministri volto a garantire l'adozione di misure tendenzialmente uniformi sul territorio, nel rispetto del principio di sussidiarietà.

Si ricorda che in funzione di contrasto alle emergenze, incluse quelle di carattere sanitario, il sindaco gode di ampi poteri di ordinanza (che con il presente articolo riacquistano la loro pienezza anche con riferimento all'emergenza sanitaria in corso), sulla base delle seguenti disposizioni:

-        art. 32, comma terzo, della legge n. 833/1978: il sindaco emette ordinanze di carattere contingibile e urgente, con efficacia estesa al territorio comunale[61] in materia di igiene e sanità pubblica;

-        art. 117, comma 1, del decreto legislativo n. 112/1998: "In caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale[62] le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale [...];

-        art. 50, comma 5, del Tuel: "[..] in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale";

-        l'art. 54, comma 4, del TUEL attribuisce ai sindaci (quali ufficiali del Governo), la facoltà di adottare con atto motivato e previa comunicazione al prefetto "provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana".

Le ordinanze, si ricorda, sono provvedimenti che consentono di derogare al diritto vigente, a condizione che presentino determinate caratteristiche: abbiano un'efficacia limitata nel tempo, prevedano un'adeguata motivazione (in cui siano esplicitati la necessità dell'intervento, l'attualità e l'imminenza del pericolo che si intende fronteggiare, la mancanza di strumenti di intervento alternativi),  rechino un contenuto conforme alla Costituzione e ai principi dell'ordinamento e rispettoso dei vincoli dell'ordinamento dell'Unione europeo, dispongano misure rispettose del principio di ragionevolezza e  proporzionalità  rispetto allo scopo perseguito. Si tratta di provvedimenti che, in quanto diretti a far fronte ad una situazione emergenziale e non previamente tipizzabile, presentano necessariamente un contenuto atipico e derogatorio della normativa vigente.

Sia la capacità derogatoria alla normativa statale e regionale sia il carattere di atipicità dei richiamati provvedimenti erano venuti meno con la disposizione recata all'art.3, comma 2, del DL n.19/2020 soppresso dall'articolo in esame.

Per completezza di informazione, una disposizione per molti aspetti analoga era stata già introdotta nell'ordinamento, nelle primissime fasi dell'emergenza, con l'art. 35 del DL n. 9/2020 (peraltro abrogato proprio dal DL n.19, all'art. 5, comma 1, lett. b)). Esso stabiliva che a seguito dell'adozione delle misure statali di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, non potessero essere adottate e, ove adottate fossero inefficaci, le ordinanze sindacali contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l'emergenza predetta in contrasto con le misure statali.

 

 

 

 


 

Articolo 19, comma 1, lettera a)
(Organizzazione del sistema universitario)

 

 

L'articolo 19, comma 1, lettera a), a cui il Senato ha apportato modifiche formali nel corso dell’esame in prima lettura, elimina le condizioni, previste dalla legislazione vigente, cui è subordinata la possibilità, per le università, di derogare alle norme generali relative all'organizzazione interna, sperimentando modelli organizzativi e funzionali diversi. Di conseguenza, tale possibilità è consentita a tutti gli atenei e non solo a quelli che raggiungono determinati requisiti di bilancio e di risultati nella didattica e nella ricerca. I criteri e le modalità di ammissione alla sperimentazione e la verifica dei risultati sono stabiliti con decreto, fermo restando il rispetto del limite massimo delle spese di personale. A tal fine, si novella l'art. 1 della L. 240/2010.

 

Preliminarmente si ricorda che la L. 240/2010 ha riformato il sistema universitario su vari fronti (solo per citarne alcuni: organizzazione, reclutamento, stato giuridico, trattamento economico, diritto allo studio, valutazione). In base all'art. 1, co. 1, della L. 240/2010, le università sono "sede primaria di libera ricerca e di libera formazione nell'ambito dei rispettivi ordinamenti e sono luogo di apprendimento ed elaborazione critica delle conoscenze; operano, combinando in modo organico ricerca e didattica, per il progresso culturale, civile ed economico della Repubblica". In attuazione delle disposizioni di cui all'art. 33 e al titolo V della parte II della Costituzione, ciascuna università opera ispirandosi a principi di autonomia e di responsabilità. La L. 240/2010 ha previsto peraltro numerose deleghe (art. 5, co. 1, L. 240/2010) in materia di:

a) valorizzazione della qualità e dell'efficienza delle università e conseguente introduzione di meccanismi premiali nella distribuzione delle risorse pubbliche sulla base di criteri definiti ex ante, anche mediante previsione di un sistema di accreditamento periodico delle università; valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti; valorizzazione della figura dei ricercatori; realizzazione di opportunità uniformi, su tutto il territorio nazionale, di accesso e scelta dei percorsi formativi. In attuazione della delega prevista dalla presente lettera si vedano il d.lgs. 19/2012 e il d.lgs. 68/2012;

b) revisione della disciplina concernente la contabilità; previsione di meccanismi di commissariamento in caso di dissesto finanziario degli atenei. In attuazione di tale delega si vedano il d.lgs. 199/2011, il d.lgs. 18/2012 e il d.lgs. 49/2012;

c) introduzione, sentita l'Agenzia di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), di un sistema di valutazione ex post delle politiche di reclutamento degli atenei. In attuazione della delega si veda il d.lgs. 49/2012;

d) revisione della normativa di principio in materia di diritto allo studio e contestuale definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) erogate dalle università statali. In attuazione della delega si veda il d.lgs. 68/2012.

 

In dettaglio, il comma 1, lett. a), novella l'art. 1, co. 2, della L. 240/2010 recante i principi ispiratori della riforma. La norma vigente dispone che, sulla base di accordi di programma con il Ministero dell'università e della ricerca, le università possono sperimentare propri modelli funzionali e organizzativi, ivi comprese modalità di composizione e costituzione degli organi di governo e forme sostenibili di organizzazione della didattica e della ricerca su base policentrica, diverse da quelle indicate nell'art. 2 della L. 240/2010, a condizione che:

§  abbiano conseguito la stabilità e sostenibilità del bilancio;

§  abbiano conseguito risultati di elevato livello nel campo della didattica e della ricerca.

Il Ministero, con decreto di natura non regolamentare, definisce i criteri per l'ammissione alla sperimentazione e le modalità di verifica periodica dei risultati conseguiti. Tale decreto non risulta emanato.

La relazione illustrativa presentata in prima lettura afferma che "l’esigenza di subordinare l’accesso a tale modello alla sussistenza di determinate condizioni, volte ad  assicurare la virtuosità della gestione organizzativa delle università, è già soddisfatta dalla previsione che demanda al Ministero la definizione delle condizioni di ammissibilità, mentre la locuzione presente nelle disposizioni vigenti rimanda ad una espressione, dal contenuto non univocamente riconducibile ad una fattispecie tipica, che ha determinato, finora, la mancata applicazione delle disposizioni in esame".

 

In virtù della novella apportata dalla disposizione in commento, si sopprimono le due condizioni previste (stabilità di bilancio e risultati in didattica e ricerca), consentendo a tutte le università - previo accordo di programma con il Ministero - di poter sperimentale modelli organizzativi diversi rispetto a quelli dettati dalla L. 240/2010. Tale deroga include anche la composizione e la costituzione degli organi di governo e forme di organizzazione della didattica e della ricerca su base policentrica.

Si ricorda che in base all'art. 2 della L. 240/2010, gli organi di governo delle università sono:

1) rettore;

2) senato accademico;

3) consiglio di amministrazione;

4) collegio dei revisori dei conti;

5) nucleo di valutazione;

6) direttore generale.

Per maggiori informazioni si veda qui.

 

La disposizione in esame demanda la definizione dei criteri per l'ammissione alla sperimentazione e delle modalità di verifica periodica dei risultati - tra cui parrebbe inclusa l'individuazione delle tipologie e degli ambiti relativi ai modelli organizzativi e funzionali ammessi alla sperimentazione - ad un decreto del Ministero (rectius: del Ministro) dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze (a legislazione vigente, come si è detto, si prevede un decreto di natura non regolamentare del solo Ministro dell'università e della ricerca).

Resta fermo il rispetto del limite massimo delle spese di personale, previsto dall'art.5, co. 6, del d.lgs. 49/2012.

L'art. 5 del d.lgs. 49/2012, al co. 1, dispone che l'indicatore per l'applicazione del limite massimo alle spese di personale delle università è calcolato rapportando le spese complessive di personale di competenza dell'anno di riferimento alla somma algebrica dei contributi statali per il funzionamento assegnati nello stesso anno e delle tasse, soprattasse e contributi universitari. Secondo il co. 6, tale limite massimo dell'indicatore è pari all'80 per cento.

Le definizioni necessarie per il calcolo dell'indicatore sono le seguenti:

§  per spese complessive di personale si intende la somma algebrica delle spese di competenza dell'anno di riferimento, comprensive degli oneri a carico dell'amministrazione, al netto delle entrate derivanti da finanziamenti esterni da parte di soggetti pubblici e privati, relative a:

a) assegni fissi per il personale docente e ricercatore a tempo indeterminato e determinato;

b) assegni fissi per il personale dirigente, tecnico-amministrativo e per i collaboratori ed esperti linguistici a tempo indeterminato e a tempo determinato;

c) trattamento economico del direttore generale;

d) fondi destinati alla contrattazione integrativa;

e) contratti per attività di insegnamento;

§  per contributi statali per il funzionamento si intende la somma algebrica delle assegnazioni di competenza nell'anno di riferimento del Fondo di finanziamento ordinario (FFO), del Fondo per la programmazione del sistema universitario, per la quota non vincolata nella destinazione, e di eventuali ulteriori assegnazioni statali con carattere di stabilità;

per tasse, soprattasse e contributi universitari si intende il valore delle riscossioni totali, nell'anno di riferimento, per qualsiasi forma di tassa, soprattassa e contributo universitario a carico degli iscritti ai corsi dell'ateneo di qualsiasi livello, ad eccezione delle tasse riscosse per conto di terzi. Tale valore è calcolato al netto dei rimborsi effettuati agli studenti nello stesso periodo.


 

Articolo 19, comma 1, lettera b)
(Rendicontazione delle attività di ricerca dei professori e dei ricercatori)

 

 

L'articolo 19, comma 1, lettera b), precisa la cadenza temporale della quantificazione figurativa delle attività di ricerca, studio e insegnamento di professori e ricercatori al fine della rendicontazione delle attività di ricerca, stabilendo che essa avviene su base mensile. A tal fine, novella l'art. 6, co. 1, della L. 240/2010.

 

Preliminarmente, si rammenta che, secondo l'art. 6 della L. 240/2010, il regime di impegno dei professori e dei ricercatori è a tempo pieno o a tempo definito.

Ai fini della rendicontazione dei progetti di ricerca, la quantificazione figurativa delle attività annue di ricerca, di studio e di insegnamento, con i connessi compiti preparatori, di verifica e organizzativi, è pari a 1.500 ore annue per i professori e i ricercatori a tempo pieno e a 750 ore per i professori e i ricercatori a tempo definito.

Tale disposizione ha definito per tutte le università il tempo produttivo annuo ai fini del calcolo del costo del personale per la rendicontazione delle attività di ricerca. Detto parametro è particolarmente necessario per la partecipazione ai progetti di ricerca europei ed internazionali.

Con riferimento al programma quadro europeo Horizon 2020 (H2020), adottato con il regolamento (UE) n. 1291 dell'11 dicembre 2013 per il settennio 2014-2020, sono state dettate linee guida con l'Annotated Model Grant Agreement - AGA (costantemente aggiornato) nel General Model Grant Agreement per H2020 in materia di costo del personale. L'art. 6.2, lettera A, del General Model Grant Agreement (GMGA) stabilisce le modalità con cui i beneficiari possono individuare il tempo produttivo annuo[63] ai fini della rendicontazione delle spese per il personale di cui al successivo art. 18 del GMGA. Quest'ultimo detta, fra l'altro, le modalità di registrazione delle ore lavorate, che deve essere "identificabile e registrabile", secondo i cosiddetti timesheet (per coloro i quali non svolgono esclusivamente attività connesse al progetto di ricerca), che possono essere compilati e firmati mensilmente.

A fronte di tali previsioni, molte università adottano il timesheet "integrato", che riporta, oltre alle ore lavorate sui singoli progetti di ricerca, anche le ore relative all’esecuzione di tutte le altre attività eseguite dal personale (ad esempio attività istituzionali, di didattica e altre attività di ricerca), che insieme concorrono alla definizione del monte ore complessivo annuo di ciascuna risorsa di personale.

Tali timesheet integrati sono, attualmente, predisposti mensilmente e su base giornaliera.

         

In virtù della novella in commento, si inserisce la previsione per cui la suddetta quantificazione figurativa, qualora non diversamente richiesto dai soggetti finanziatori, avviene su base mensile.

 

La relazione illustrativa afferma che l'intervento in esame "semplifica le modalità di rendicontazione delle attività dei progetti di ricerca, svolte dai professori e ricercatori universitari. Attualmente, infatti, in assenza di una specifica disposizione chiarificatrice sul punto, la rendicontazione è svolta, prudenzialmente, su base giornaliera, quand’anche ciò non sia previsto nei bandi emessi per i singoli progetti. Si segnala, al riguardo, che l’onere amministrativo connesso alle attività di rendicontazione nelle modalità appena indicate è assolutamente rilevante, impegnando notevoli risorse degli uffici amministrativi delle università. Tale onere, peraltro, non appare proporzionato rispetto all’obiettivo, indicato dalle vigenti disposizioni di derivazione unionale, che si ritiene di poter raggiungere attraverso la disposizione in commento: al riguardo si rammenta infatti che le disposizionali nazionali ed unionali stabiliscono la inderogabilità della certificazione delle attività svolte dai professori universitari per le attività di ricerca secondo un monte ore su base annuale, che ben può essere quantificato con rendicontazioni mensili".

 

In argomento, si rammenta inoltre che, in base all'art. 18, co. 5 e 6, della L. 240/2010, la partecipazione ai gruppi e ai progetti di ricerca delle università, qualunque ne sia l'ente finanziatore, e lo svolgimento delle attività di ricerca presso le università sono riservati esclusivamente:

a) ai professori e ai ricercatori universitari, anche a tempo determinato;

b) ai titolari degli assegni di ricerca;

c) agli studenti dei corsi di dottorato di ricerca, nonché a studenti di corsi di laurea magistrale nell'ambito di specifiche attività formative;

d) ai professori a contratto;

e) al personale tecnico-amministrativo in servizio presso le università e a soggetti esterni purché in possesso di specifiche competenze nel campo della ricerca;

f) ai dipendenti di altre amministrazioni pubbliche, di enti pubblici o privati, di imprese, ovvero a titolari di borse di studio o di ricerca banditi sulla base di specifiche convenzioni e senza oneri finanziari per l'università ad eccezione dei costi diretti relativi allo svolgimento dell'attività di ricerca e degli eventuali costi assicurativi.

Alla partecipazione ai progetti di ricerca finanziati dall'Unione europea o da altre istituzioni straniere, internazionali o sovranazionali, e allo svolgimento delle relative attività si applicano le norme previste dai relativi bandi.

 

Quanto alle ulteriori previsioni in materia di stato giuridico, si rammenta che, secondo l'art. 6 della L. 240/2010, i professori, sulla base di criteri e modalità stabiliti con regolamento di ateneo, sono tenuti a riservare annualmente a compiti didattici e di servizio agli studenti, inclusi l'orientamento e il tutorato, nonché ad attività di verifica dell'apprendimento, non meno di 350 ore in regime di tempo pieno e non meno di 250 ore in regime di tempo definito.

I ricercatori di ruolo, sulla base di criteri e modalità stabiliti con regolamento di ateneo, sono tenuti a riservare annualmente a compiti di didattica integrativa e di servizio agli studenti, inclusi l'orientamento e il tutorato, nonché ad attività di verifica dell'apprendimento, fino ad un massimo di 350 ore in regime di tempo pieno e fino ad un massimo di 200 ore in regime di tempo definito.

L'opzione per l'uno o l'altro regime di tempo pieno o tempo definito è esercitata su domanda dell'interessato all'atto della presa di servizio ovvero, nel caso di passaggio dall'uno all'altro regime, con domanda da presentare al rettore almeno sei mesi prima dell'inizio dell'anno accademico dal quale far decorrere l'opzione e comporta l'obbligo di mantenere il regime prescelto per almeno un anno accademico.

Le modalità per l'autocertificazione e la verifica dell'effettivo svolgimento dell'attività didattica e di servizio agli studenti dei professori e dei ricercatori sono definite con regolamento di ateneo. Fatta salva la competenza esclusiva delle università a valutare positivamente o negativamente le attività dei singoli docenti e ricercatori, l'ANVUR stabilisce criteri oggettivi di verifica dei risultati dell'attività di ricerca. Tali criteri sono stati adottati dall'ANVUR con delibera n. 132 del 2016. In caso di valutazione negativa, i professori e i ricercatori sono esclusi dalle commissioni di abilitazione, selezione e progressione di carriera del personale accademico, nonché dagli organi di valutazione dei progetti di ricerca.


 

Articolo 19, comma 1, lettera c)
(Mobilità interuniversitaria)

 

 

L’articolo 19, comma 1, lettera c), nel testo come modificato nel corso dell'esame al Senato, prevede, a regime, che i trasferimenti tra professori e ricercatori consenzienti possono avvenire anche, a determinate condizioni, attraverso scambi contestuali tra soggetti con qualifica diversa.

Inoltre, puntualizza che i trasferimenti fra sedi universitarie sono computati nella quota di un quinto dei posti di professore ruolo disponibili destinata alla chiamata di soggetti in servizio presso altre università.

 

A tal fine, novella il comma 3 dell’articolo 7 della L. 240/2010, aggiungendo, alla fine, due ulteriori periodi.

 

Il testo originario del decreto-legge disponeva, invece, che la disciplina sugli scambi contestuali tra soggetti con qualifica diversa si applica fino al 31 dicembre 2020. Al riguardo, la relazione illustrativa evidenziava, anzitutto, che la possibilità di trasferimento fra soggetti con qualifica diversa rappresenta una misura il cui impatto atteso sul sistema è auspicabilmente molto rilevante, ma che è ragionevole proporre, inizialmente, per un periodo definito, al fine di valutarne, successivamente, l’eventuale riproposizione a regime.

Evidenziava, quindi che, con la procedura transitoria che consente di effettuare lo scambio anche tra docenti di università diverse che non sono in possesso della stessa qualifica, le università possono chiamare docenti a un costo pari al delta assunzionale tra il costo del docente trasferito e quello del docente chiamato.

Infine, sottolineava che la disposizione promuove la migliore allocazione delle risorse finanziarie di quelle università che, attraverso il trasferimento, ad altro ateneo, dei docenti con qualifica più alta in cambio di docenti con qualifica più bassa, vogliano o debbano conseguire una riduzione del costo complessivo del personale.

 

L’art. 7, co. 3, della L. 240/2010 dispone, anzitutto, al primo periodo, che, al fine di incentivare la mobilità interuniversitaria del personale accademico, ai professori e ai ricercatori che prendono servizio presso atenei aventi sede in altra regione rispetto a quella della sede di provenienza, o nella stessa regione se previsto da un accordo di programma approvato dal Ministero ovvero, a seguito delle procedure di federazione e fusione di atenei di cui all'art. 3, in una sede diversa da quella di appartenenza, possono essere attribuiti incentivi finanziari, a carico del fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO).

Il secondo periodo – come modificato, da ultimo, dall'art. 1, co. 461, della L. 147/2013 – dispone che la mobilità interuniversitaria è altresì favorita prevedendo la possibilità di effettuare trasferimenti di professori e ricercatori consenzienti attraverso lo scambio contestuale di docenti in possesso della stessa qualifica tra due sedi universitarie, con l'assenso delle università interessate.

 

Nel quadro esposto si prevede ora, anzitutto, che lo scambio, sempre su base consenziente e con l’assenso delle università interessate, può riguardare anche soggetti con qualifica diversa, nei limiti delle facoltà assunzionali delle università interessate, che sono conseguentemente adeguate a seguito degli stessi trasferimenti[64].

 

Si puntualizza, altresì, che (tutti) i trasferimenti di cui al comma 3 sono computati nella quota di un quinto dei posti disponibili di professore di ruolo da riservare, nell'ambito della programmazione triennale, ai sensi dell’art. 18, co. 4, della stessa L. 240/2010 – che peraltro viene novellato dall’art. 19, co. 1, lett. d), del decreto-legge in esame –, alla chiamata di soggetti esterni all’università.

Al riguardo, più ampiamente, si veda la scheda riferita all’art. 19, co. 1, lett. d) e d-bis), e co. 1-bis.

 

Per completezza, si ricorda che il co. 4 dello stesso art. 7 della L. 240/2010 prevede che, in caso di cambiamento di sede, i professori, i ricercatori di ruolo e i ricercatori a tempo determinato responsabili di progetti di ricerca finanziati da soggetti diversi dall'università di appartenenza conservano la titolarità dei progetti e dei relativi finanziamenti, ove scientificamente possibile e con l'accordo del committente di ricerca.

Si ricorda, altresì, che, sulla base del co. 5 del medesimo art. 7, è intervenuto il DM 166 del 26 aprile 2011, recante criteri e modalità per favorire la mobilità interregionale dei professori universitari che hanno prestato servizio presso corsi di laurea o sedi soppresse a seguito di procedure di razionalizzazione dell'offerta didattica.

 

 

 


 

Articolo 19, comma 1, lett. d) e d-bis), e comma 1-bis
(Interventi in materia di commissioni per l’abilitazione scientifica nazionale e di reclutamento di professori universitari)

 

 

L’articolo 19, comma 1, lett. d) – nel testo come modificato nel corso dell'esame al Senatononché lett. d-bis) e comma 1-bis – introdotti nel corso dell'esame al Senato – recano novità concernenti i requisiti per la partecipazione alle commissioni per il conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale (ASN) – che attesta la qualificazione scientifica necessaria per l'accesso al ruolo dei professori universitari – e il reclutamento di questi ultimi.

In particolare:

- il comma 1-bis reca una disposizione di interpretazione autentica dell’art. 16, co. 3, lett. h), della L. 240/2010, concernente la valutazione dei professori ordinari ai fini della partecipazione alle commissioni per il conseguimento dell’ASN;

- il comma 1, lett. d), reca novità concernenti il reclutamento dei professori universitari, specificando meglio la platea dei soggetti che rientrano nella quota di un quinto dei posti disponibili di professore di ruolo riservata a soggetti esterni all’università, di cui all’art. 18, co. 4, della medesima L. 240/2010;

- il comma 1, lett. d-bis), inserisce nello stesso art. 18 della L. 240/2010 il comma 4-bis, disciplinando la possibilità di chiamata, da parte di università “virtuose”, di professori di prima e di seconda fascia o di ricercatori a tempo indeterminato già in servizio presso università “non virtuose”.

 

Più nello specifico, il comma 1-bis dispone che quanto previsto dall’art. 16, co. 3, lett. h), della L. 240/2010 si interpreta nel senso che la valutazione richiesta ai fini dell’inclusione nelle liste dei professori ordinari finalizzate alla costituzione delle commissioni per il conseguimento dell’ASN è quella relativa ai risultati dell’attività di ricerca, secondo i criteri individuati dall’ANVUR, di cui all’art. 6, co. 7, secondo periodo, della stessa L. 240/2010 (e non quella relativa all’effettivo svolgimento dell’attività didattica e di servizio agli studenti, da autocertificare e verificare con modalità definite con regolamento di ateneo, di cui al primo periodo dello stesso co. 7).

 

La L. 240/2010, riprendendo il meccanismo a suo tempo previsto dalla L. 230/2005, ma mai diventato operativo, ha disposto che per l'accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori universitari (rispettivamente, ordinari e associati) è necessario acquisire l'abilitazione scientifica nazionale (ASN) – disciplinata dall’art. 16 –, che consente di partecipare alle procedure di chiamata indette dalle singole università[65].

In particolare, sono richiesti requisiti differenti per il conseguimento dell’ASN per la fascia dei professori ordinari e per quella dei professori associati. Il conseguimento dell’ASN non costituisce titolo di idoneità, né dà alcun diritto per il reclutamento in ruolo o per promozioni, se non nell'ambito delle procedure previste dagli artt. 18 e 24, co. 5 e 6, della medesima L. 240/2010 (v. infra).

La durata dell’ASN – originariamente prevista in 4 anni – è stata elevata prima a 6 anni[66] e, da ultimo, a 9 anni dall’art. 5, co. 1, del D.L. 126/2019 (L. 156/2019), che ha stabilito che ciò si applica anche ai titoli di ASN conseguiti precedentemente alla data della sua entrata in vigore.

Le procedure per il conseguimento dell'ASN sono svolte per settori concorsuali che, in base all’art. 15 della stessa L. 240/2010, sono raggruppati in macrosettori concorsuali e possono essere articolati in settori scientifico-disciplinari.

Per la definizione delle modalità di espletamento delle procedure finalizzate al conseguimento dell'ASN è stato previsto l’intervento di un regolamento emanato ai sensi dell'art. 17, co. 2, della L. 400/1988[67], in conformità ai criteri indicati dal co. 3, fra i quali, per quanto qui più interessa, (lett. f)) l'istituzione per ciascun settore concorsuale di un’unica commissione nazionale di durata biennale[68] per le procedure di abilitazione alle funzioni di professore di prima e di seconda fascia, mediante sorteggio di 5 commissari all'interno di una lista di professori ordinari costituita ai sensi della lett. h). In base a quest’ultima, l'effettuazione del sorteggio avviene all'interno di una lista per ciascun settore concorsuale, contenente i nominativi dei professori ordinari appartenenti allo stesso che hanno presentato domanda per esservi inclusi, corredata della documentazione concernente la propria attività scientifica complessiva, con particolare riferimento all'ultimo quinquennio. Nella lista possono essere inclusi solo i professori valutati positivamente ai sensi dell'art. 6, co. 7, della stessa L. 240/2010 ed in possesso di un curriculum, reso pubblico per via telematica, coerente con i criteri e i parametri definiti ai sensi della lett. a) dello stesso co. 3, riferiti alla fascia e al settore di appartenenza.

Più nello specifico, l’art. 6, co. 7, della L. 240/2010, al primo periodo, dispone che le modalità per l'autocertificazione e la verifica dell'effettivo svolgimento dell’attività didattica e di servizio agli studenti dei professori e dei ricercatori sono definite con regolamento di ateneo, che prevede altresì la differenziazione dei compiti didattici in relazione alle diverse aree scientifico-disciplinari e alla tipologia di insegnamento, nonché in relazione all'assunzione da parte del docente di specifici incarichi di responsabilità gestionale o di ricerca. Il secondo periodo prevede, invece, che, fatta salva la competenza esclusiva delle università a valutare positivamente o negativamente le attività dei singoli docenti e ricercatori, l'ANVUR stabilisce criteri oggettivi di verifica dei risultati dell'attività di ricerca ai fini di quanto disposto dal co. 8.

Quest’ultimo, prevede che, in caso di valutazione negativa ai sensi del co. 7, i professori e i ricercatori sono esclusi dalle commissioni di abilitazione, selezione e progressione di carriera del personale accademico, nonché dagli organi di valutazione dei progetti di ricerca.

I “Criteri oggettivi di verifica dei risultati dell’attività di ricerca dei professori e ricercatori universitari, ai sensi dell’articolo 6, commi 7 e 8 della Legge 240/2010” sono stati definiti dall’ANVUR con delibera 132 del 13 settembre 2016.

 

Il comma 1, lett. d), puntualizza la platea dei soggetti che rientrano nella quota di un quinto dei posti disponibili per il reclutamento di professore di ruolo riservata a soggetti esterni all’università.

A tal fine, novella l’art. 18, co. 4, della L. 240/2010.

 

Preliminarmente, si ricorda che, in base all’art. 18 della L. 240/2010 – come modificato dall'art. 49 del D.L. 5/2012 (L. 35/2012) – la chiamata dei professori di prima e di seconda fascia è disciplinata dalle università con proprio regolamento, nel rispetto dei principi da esso indicati. In particolare, possono essere ammessi al procedimento di chiamata:

•          studiosi in possesso dell'abilitazione scientifica nazionale (ASN) per il settore concorsuale, ovvero per uno dei settori concorsuali ricompresi nel macrosettore cui afferisce il settore concorsuale oggetto del procedimento, e per le funzioni oggetto del procedimento, ovvero per funzioni superiori, purché non siano già titolari delle medesime;

•          professori di prima e di seconda fascia già in servizio;

•          studiosi stabilmente impegnati all'estero in attività di ricerca o insegnamento a livello universitario in posizioni di livello pari a quelle oggetto del bando, sulla base di tabelle di corrispondenza definite, ogni tre anni, con decreto ministeriale emanato sentito il CUN[69].

La proposta di chiamata è effettuata dal dipartimento con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei professori di prima fascia per la chiamata di professori di prima fascia e dei professori di seconda fascia per la chiamata di professori di seconda fascia ed è approvata con delibera del consiglio di amministrazione.

In base al co. 4 dell’art. 18, nel testo previgente le modifiche introdotte dalla disposizione in esame, ciascuna università statale, nell'ambito della programmazione triennale dei reclutamenti, vincola le risorse corrispondenti ad almeno un quinto dei posti disponibili di professore di ruolo alla chiamata di coloro che nell'ultimo triennio non hanno prestato servizio, o non sono stati titolari di assegni di ricerca, ovvero iscritti a corsi universitari nell'università stessa.

 

La relazione illustrativa al decreto-legge faceva presente che con l’intervento si intende restringere l’ambito di applicazione dell’art. 18, co. 4, della L. 240/2010, riportandolo all’originaria finalità di favorire l’acquisizione di competenze dall’esterno.

In particolare, evidenziava che, in via applicativa, l’espressione “aver prestato servizio” ha originato dubbi interpretativi che, con l’intervento previsto dal decreto-legge, si intende dissipare.

Rilevava, infatti, che, sulla base della lettura sistematica delle disposizioni concernenti l’impiego e la mobilità dei professori universitari, appare indubbio che la citata espressione identifichi un rapporto di lavoro subordinato, svolto alle dipendenze dell’università, e non una qualsiasi prestazione lavorativa, anche occasionale, resa da un soggetto non stabilmente incardinato nell’ateneo. In caso contrario, il legislatore non avrebbe individuato, espressamente, la fattispecie degli assegnisti di ricerca, titolari di contratti di lavoro autonomo, in quanto già compresa nella categoria di coloro che a qualsiasi titolo hanno prestato servizio presso l’ateneo.

Ciononostante, ricordava che, in prima istanza, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 3626/2016, aveva espresso un diverso orientamento, sostenendo che la disposizione contenuta nell’art. 18, co. 4, della L. 240/2010 “non può che interpretarsi nel senso che essa sia necessariamente riferita a qualunque genere di rapporto di lavoro, compreso l’insegnamento a contratto e quello ex art. 23 legge cit., giacché altrimenti non avrebbe senso alcuno la espressa comminatoria di esclusione di chi presso la stessa università sia stato assegnista o addirittura mero studente iscritto ai corsi di laurea.” 

Ricordava, altresì, che, successivamente a tale pronuncia, l’art. 1, co. 338, lett. a), della L. 232/2016 ha novellato l’art. 23, co. 4, della L. 240/2010 disponendo che la stipulazione di contratti per attività di insegnamento – pur non dando luogo a diritti in ordine all’accesso ai ruoli universitari – consente di computare le eventuali chiamate di coloro che sono stati titolari dei medesimi contratti nell’ambito della quota riservata di cui all’art. 18, co. 4, della stessa L. 240/2010.

Dunque, con tale intervento i “professori a contratto” sono stati inclusi nella platea dei soggetti comunque esterni all’università, ai quali è riservata la quota dei posti di cui all’art. 18, co. 4, della L. 240/2010.

Nel prosieguo, il Consiglio di Stato con la recente sentenza n. 2175 del 30 marzo 2020 ha ritenuto «che non vi siano ragioni per interrompere il trend evolutivo della interpretazione giurisprudenziale dell’art. 18, comma 4, l. 240/2010 (dopo la novella dell’art. 23 intervenuta nel 2016) che può ritenersi avviato all’interno della Sezione con la (per vero minima, ma comunque registrata e degna di attenta considerazione) apertura manifestata dalla sentenza 6847/2018 e proseguito con la più convinta conferma di cui alla sentenza n. 1561/2019.

In particolare non può ignorarsi che l’intervento normativo del 2016 aveva un duplice scopo, quello di ampliare la disponibilità finanziaria per le università in merito alle chiamate dei professori “esterni”, riducendo eventualmente i “contratti di insegnamento”, ma anche quella di ampliare la platea dei partecipanti alle selezioni ex art. 18, comma 4, l. 241/2010 aprendo la strada ad una più restrittiva interpretazione del sintagma ostativo “rapporto di servizio” contenuto nella norma.

D’altronde, apparirebbe contraddittoria e ingiustificatamente penalizzante nei confronti di una categoria ben definita di “collaboratori universitari” (in senso figurato, s’intende), quali i destinatari di “contratto per attività di insegnamento”, una scelta del legislatore (che deriverebbe dalla novella del 2016) volta a contrarre il budget da utilizzare per i “contratti di insegnamento” onde favorire la “chiamata di professori” dall’esterno, finendo così fatalmente per ridurre le occasioni di stipula di contratti di insegnamento e, nello stesso tempo, ad escludere detta categoria di “collaboratori universitari” dalla platea dei soggetti legittimati a partecipare alle selezioni bandite ai sensi dell’art. 18, comma 4, l. 240/2010».

 

In particolare, il comma 1, lett. d) – nel testo come modificato nel corso dell'esame al Senato, che risolve il problema interpretativo evidenziato nel dossier del Servizio Studi n. 322 del 21 luglio 2020 –, puntualizza, novellando l’art. 18, co. 4, della L. 240/2010, che, ai fini della riserva di un quinto destinata alla chiamata di soggetti esterni all’università, il servizio non deve essere stato prestato né quale professore ordinario di ruolo (il riferimento al ruolo anche per i professori ordinari costituisce l’oggetto della modifica approvata dal Senato), né quale professore associato di ruolo, né quale ricercatore a tempo indeterminato, né quale ricercatore a tempo determinato di tipo A o di tipo B[70].

Restano ferme le previsioni che includono nei soggetti interni all’università i titolari di assegni di ricerca e gli iscritti ai corsi universitari nello stesso ateneo.

 

In tema di chiamata nel ruolo dei professori universitari dispone anche il comma 1, lett. d-bis), in base al quale le università “virtuose” possono attivare procedure per la chiamata in ruolo di professori di prima e di seconda fascia o di ricercatori a tempo indeterminato già in servizio presso università “non virtuose”. In tal modo si stabilizza un meccanismo che era stato consentito dalla L. di bilancio 2018 fino al 31 dicembre 2018.

In particolare, l’art. 1, co. 672, della L. 205/2017 (L. di bilancio 2018) ha previsto che, entro il 31 dicembre 2018, le università con un valore dell'indicatore delle spese di personale inferiore all'80% potevano attivare le procedure di cui all'art. 18, co. 1, della L. 240/2010, per la chiamata nel ruolo di professore di prima o di seconda fascia o di ricercatore a tempo indeterminato (figura cui l’art. 18 citato non fa riferimento), riservate a personale già in servizio presso altre università che si trovavano in una situazione di significativa e conclamata tensione finanziaria, deliberata dagli organi competenti e con un valore dell'indicatore delle spese di personale pari o superiore all'80%[71]. A tal fine, le facoltà assunzionali derivanti dalla cessazione del suddetto personale presso l'università di provenienza erano assegnate all'università che disponeva la chiamata.

Criteri, parametri e modalità di attestazione delle situazioni di significativa e conclamata tensione finanziaria erano stati definiti con DM 353 del 4 maggio 2018.

 

Nello specifico, si stabilisce ora, a regime, che le università con indicatore delle spese di personale inferiore all'80% possono attivare – purché, rispetto a quanto previsto dalla L. di bilancio 2018 (fino al 31 dicembre 2018), si precisa ora: nel limite della predetta percentuale – le procedure di cui all’art. 18, co. 1, per la chiamata nel ruolo di professore di prima o di seconda fascia o di ricercatore a tempo indeterminato (come già detto, cui l’art. 18 non fa riferimento), riservate a personale già in servizio presso altre università aventi indicatore delle spese di personale pari o superiore all'80% e che versano in una situazione di significativa e conclamata tensione finanziaria, deliberata dagli organi competenti.

I criteri, i parametri e le modalità di attestazione della situazione di significativa e conclamata tensione finanziaria devono essere individuati con decreto del Ministro dell’università e della ricerca, sentita la Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI).

A seguito delle chiamate in questione, le facoltà assunzionali derivanti dalla cessazione del personale (presso l’università di provenienza) sono assegnate all'università che dispone la chiamata. Ciò significa che i punti organico[72] relativi ai soggetti interessati dalla disposizione in commento saranno “trasferiti” all’ateneo chiamante.

Infine, rispetto a quanto previsto dalla L. di bilancio 2018 (fino al 31 dicembre 2018), si dispone ora anche che nei dodici mesi successivi alla deliberazione di chiamata, le assunzioni di personale (nell’università che ha disposto la stessa chiamata) sono sospese, ad eccezione di quelle conseguenti all’assunzione di ricercatori a tempo determinato di tipo B ai sensi del D.L. 162/2019 (L. 8/2020) e del D.L. 34/2020 (L. 77/2020: al riguardo, si veda anche scheda art. 19, co. 1, lett. f), f-bis), f-ter), e co. 6-ter)[73], nonché di quelle riferite alle categorie protette.

 


 

Articolo 19, comma 1, lettera e)
(Assegni di ricerca)

 

 

L'articolo 19, comma 1, lettera e), modificato dal Senato, consente di rinnovare assegni di ricerca per una durata anche inferiore ad un anno, ma non inferiore a sei mesi, per lo svolgimento di progetti di ricerca.

 

In materia, si ricorda che l’art. 22 della L. 240/2010 ha previsto, per quanto qui interessa, che gli assegni di ricerca possono essere conferiti, nell'ambito delle relative disponibilità di bilancio, da università, istituzioni ed enti pubblici di ricerca e sperimentazione, dall'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) e dall'Agenzia spaziale italiana (ASI), nonché dalle istituzioni il cui diploma di perfezionamento scientifico è stato riconosciuto equipollente al titolo di dottore di ricerca.

Le modalità di conferimento degli assegni sono disciplinate con regolamento dei medesimi soggetti[74]. Possono essere destinatari degli assegni studiosi in possesso di curriculum scientifico professionale idoneo allo svolgimento di attività di ricerca, con esclusione del personale di ruolo dei soggetti sopraindicati. I medesimi soggetti possono stabilire che il dottorato di ricerca o titolo equivalente conseguito all'estero ovvero, per i settori interessati, il titolo di specializzazione di area medica corredato di una adeguata produzione scientifica, costituiscono requisito obbligatorio per l'ammissione al bando; in assenza di tale disposizione, i suddetti titoli costituiscono titolo preferenziale ai fini dell'attribuzione degli assegni.

 

Gli assegni - che non danno luogo a diritti per l'accesso ai ruoli - possono avere una durata compresa tra 1 e 3 anni, sono rinnovabili e non cumulabili con borse di studio a qualsiasi titolo conferite, ad eccezione di quelle concesse da istituzioni nazionali o straniere utili ad integrare, con soggiorni all'estero, l'attività di ricerca dei titolari.

Con la novella in commento apportata all'art. 22, co. 3, della L. 240/2010, modificata in prima lettura, i soggetti sopradescritti possono rinnovare assegni di durata anche inferiore a un anno e, in ogni caso, non inferiore a sei mesi, esclusivamente per lo svolgimento di progetti di ricerca, la cui scadenza non consente di conferire assegni di durata annuale. Nel testo originario del decreto-legge tale possibilità includeva il conferimento - oltre che il rinnovo - di assegni di ricerca di durata inferiore ad un anno.

Tale previsione pare motivata dalla necessità di “coprire” attività di ricerca che non sono strettamente allineate alla periodicità annuale.

 

La durata complessiva dei rapporti, compresi gli eventuali rinnovi, non può comunque essere superiore – a seguito della modifica non testuale operata dall'art. 6, co. 2-bis, del D.L. 192/2014 (L. 11/2015) – a 6 anni, ad esclusione del periodo in cui l'assegno è stato fruito in coincidenza con il dottorato di ricerca, nel limite massimo della durata legale del relativo corso[75].

Inoltre, la durata complessiva dei rapporti instaurati con il medesimo soggetto, in quanto titolare di assegni di ricerca e di contratti a tempo determinato – di cui all’art. 24 della stessa L. 240/2010 –, non può essere superiore a 12 anni, anche se i rapporti sono stati non continuativi o sono intercorsi con soggetti differenti.

L'importo degli assegni è determinato dal soggetto che li conferisce, sulla base di un importo minimo stabilito con il DM 9 marzo 2011, n. 102.

 

In argomento si ricorda che l'art. 236, co. 6, del D.L.34/2020 (L. 77/2020) ha previsto la possibilità di prorogare la durata degli assegni di ricerca in essere al 9 marzo 2020, per il periodo di tempo corrispondente alla eventuale sospensione dell'attività di ricerca intercorsa a seguito delle misure di contenimento del contagio da COVID-19.

Inoltre, ha previsto che le procedure per il conferimento degli assegni di ricerca e le procedure di reclutamento già bandite dagli enti pubblici di ricerca possono essere concluse con la valutazione dei candidati e lo svolgimento di prove orali in videoconferenza (art. 250, co. 5).

Resta fermo che ciò avviene nei limiti delle risorse relative ai rispettivi progetti di ricerca o, comunque, nell'ambito delle disponibilità di bilancio dei soggetti conferenti l'assegno, qualora ciò risulti necessario ai fini del completamento del progetto di ricerca.

 


 

Articolo 19, comma 1, lett. f), f-bis) e f-ter), e comma 6-ter
(Disposizioni relative ai ricercatori universitari a tempo determinato)

 

 

L’articolo 19, comma 1, lett. f), prevede la possibilità, a determinate condizioni, di anticipare già a dopo il primo anno di contratto per ricercatore a tempo determinato di tipo B il passaggio nel ruolo dei professori associati. In particolare, prevede che, in tali casi, la valutazione ha ad oggetto anche lo svolgimento di una prova didattica nell’ambito del settore scientifico-disciplinare di appartenenza del titolare del contratto.

Le lett. f-bis) e f-ter) del medesimo comma 1 – introdotte nel corso dell'esame al Senatodispongono in materia di congedo di maternità obbligatorio per le ricercatrici: in particolare, si prevede che per le ricercatrici a tempo determinato di tipo B il periodo di astensione obbligatoria è computato nella durata triennale del contratto e, alla scadenza dello stesso, in caso di esito positivo della valutazione, le interessate possono essere inquadrate nel ruolo dei professori associati, a meno che non chiedano la proroga della durata del contratto per un periodo non superiore a quello del congedo obbligatorio di maternità. La previsione si applica anche ai contratti in corso.

Il comma 6-ter – introdotto nel corso dell'esame al Senato – individua ulteriori criteri per la ripartizione delle risorse destinate dal D.L. 34/2020 (L. 77/2020) alla stipula, a decorrere dal 2021, di contratti di ricerca a tempo determinato di tipo B nelle università.

 

Si ricorda, preliminarmente, che la L. 240/2010 ha confermato, anticipandone la decorrenza, la scelta, già fatta dalla L. 230/2005, di messa ad esaurimento dei ricercatori a tempo indeterminato, prevedendo, invece, all’art. 24, che, nell'ambito delle risorse disponibili per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti, le università possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato.

I destinatari sono scelti mediante procedure pubbliche di selezione disciplinate dalle università con proprio regolamento, nel rispetto dei principi enunciati dalla Carta europea dei ricercatori, di cui alla raccomandazione della Commissione delle Comunità europee 251/2005, e specificamente dei criteri indicati dallo stesso art. 24, tra i quali, per quanto qui più interessa:

- l’ammissione alle procedure dei possessori del titolo di dottore di ricerca o titolo equivalente, ovvero, per i settori interessati, del diploma di specializzazione medica, nonché di eventuali ulteriori requisiti definiti nel regolamento di ateneo, con esclusione dei soggetti già assunti a tempo indeterminato come professori universitari di prima o di seconda fascia o come ricercatori, ancorché cessati dal servizio (co. 2, lett. b));

- la valutazione preliminare dei candidati, effettuata con motivato giudizio analitico sui titoli, sul curriculum e sulla produzione scientifica, compresa la tesi di dottorato, secondo criteri e parametri che sono stati individuati con DM 243/2011; a seguito della valutazione preliminare, ammissione dei candidati comparativamente più meritevoli, in misura compresa tra il 10 e il 20% del numero degli stessi e comunque non inferiore a 6 unità, alla discussione pubblica con la commissione dei titoli e della produzione scientifica; attribuzione di un punteggio ai titoli e a ciascuna delle pubblicazioni presentate. Sono esclusi esami scritti e orali, ad eccezione di una prova orale volta ad accertare l'adeguata conoscenza di una lingua straniera (co. 2, lett. c)).

I contratti sono di due tipologie.

La prima tipologia di contratto (RtD di tipo A) ha durata triennale, prorogabile per due anni (3+2) per una sola volta, previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte, effettuata sulla base di modalità, criteri e parametri definiti con DM 242/2011 (co. 3, lett. a)).

La seconda tipologia (RtD di tipo B) consiste in contratti triennali, rinnovabili, riservati a candidati che hanno usufruito di contratti di cui alla prima tipologia, o che hanno conseguito l’abilitazione scientifica nazionale (ASN), o che sono in possesso del titolo di specializzazione medica, ovvero che, per almeno 3 anni anche non consecutivi, hanno usufruito di assegni di ricerca o di borse post-dottorato, oppure di contratti, assegni o borse analoghi in università straniere (co. 3, lett. b)) (nonché, ai sensi dell’art. 29, co. 5, della medesima L. 240/2010, a candidati che hanno usufruito per almeno 3 anni di contratti a tempo determinato stipulati in base all’art. 1, co. 14, della L. 230/2005).

Nel terzo anno di contratto, il titolare di un contratto RtD di tipo B che abbia conseguito l’ASN è sottoposto, ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato, alla valutazione dell'università, in conformità agli standard qualitativi riconosciuti a livello internazionale, individuati con un apposito regolamento di ateneo nell'ambito dei criteri fissati con DM 344/2011. Se la valutazione ha esito positivo, il titolare del contratto, alla scadenza dello stesso, è inquadrato come professore associato (co. 5).

A decorrere dal 2018, i contratti, nel periodo di astensione obbligatoria per maternità, sono sospesi e il termine di scadenza è prorogato per un periodo pari a quello di astensione obbligatoria (co. 9-ter, primo periodo[76]).

 

Passaggio dei ricercatori di tipo B al ruolo dei professori associati

 

Il comma 1, lettera f), dispone che l’università può consentire il passaggio del ricercatore a tempo determinato di tipo B nel ruolo dei professori associati, qualora abbia le necessarie risorse nella propria programmazione e nei limiti delle risorse assunzionali disponibili per l'inquadramento nella qualifica di professore associato, già dopo il primo anno di contratto, fermo restando il previo esito positivo della valutazione, che, in tal caso, comprende anche lo svolgimento di una prova didattica nell’ambito del settore scientifico-disciplinare[77] di appartenenza del titolare del contratto.

A tal fine, novella l’art. 24 della L. 240/2010, inserendo il comma 5-bis.

 

Congedo obbligatorio di maternità per le ricercatrici a tempo determinato

 

Il comma 1, lettera f-bis), sostituisce il già citato primo periodo dell’art. 24, co. 9-ter, della L. 240/2010 con quattro nuovi periodi.

Il nuovo primo periodo prevede che – salvo quanto previsto dai nuovi terzo e quarto periodo per i contratti di ricerca a tempo determinato di tipo B – ai contratti di ricerca a tempo determinato di tipo A e di tipo B si applicano, in materia di congedo obbligatorio di maternità, le disposizioni di cui al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 12 luglio 2007.

Il DM 12 luglio 2007 prevede, in particolare, che le lavoratrici a progetto e categorie assimilate che fruiscono dell’astensione obbligatoria hanno diritto alla proroga della durata del rapporto di lavoro per un periodo di 180 giorni[78] (art. 4), nonché alla corresponsione di un’indennità di maternità da parte dell’INPS (art. 5).

Come già ricordato, invece, il testo vigente dell’art. 24, co. 9-ter, primo periodo, della L. 240/2010, introdotto dalla legge di bilancio 2018, prevede che i contratti di ricerca a tempo determinato sono sospesi “nel periodo di astensione obbligatoria per maternità” – fissato, in via generale, in 5 mesi (ex artt. 16 e 20 del d.lgs. 151/2001) – e il termine di scadenza è prorogato per un periodo pari a quello di astensione obbligatoria.

Tuttavia, la relazione illustrativa all’emendamento presentato dal Governo durante la seconda lettura del disegno di legge di bilancio 2018 alla Camera[79] – ma non il testo – evidenziava che dal 2018 si intendeva estendere alle ricercatrici a tempo determinato quanto disposto per le assegniste di ricerca dall’art. 22, co. 6, della stessa L. 240/2010, in base al quale, anzitutto, alle stesse, in materia di astensione obbligatoria per maternità, si applicano, dal 2011, le disposizioni di cui al citato decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 12 luglio 2007 (e, dunque, la proroga della durata dell’assegno di ricerca per un periodo di 180 giorni).

Lo stesso art. 22, co. 6, peraltro, ha anche disposto che l’indennità di maternità corrisposta dall’INPS è integrata dall’università fino a concorrenza dell’intero importo dell’assegno di ricerca.

Tale previsione, non presente – a differenza di quanto risultava dalla relazione illustrativa dell’emendamento – nel co. 9-ter dell’art. 24 della L. 240/2010, viene inserita ora: si prevede, infatti, esplicitamente, con il nuovo secondo periodo, che, nel periodo di congedo obbligatorio di maternità, l'indennità di maternità corrisposta dall'INPS alle titolari di contratti di ricerca a tempo determinato è integrata dall'università fino a concorrenza dell'intero importo del trattamento economico spettante.

I nuovi terzo e quarto periodo prevedono una disciplina specifica per le titolari di contratti di ricerca a tempo determinato di tipo B: in particolare, il nuovo terzo periodo dispone che il periodo di congedo obbligatorio di maternità è computato nell'ambito della durata triennale del contratto e, in caso di esito positivo della valutazione di cui al co. 5, la titolare è inquadrata, alla scadenza del contratto stesso, nel ruolo dei professori associati. A sua volta, il nuovo quarto periodo dispone che, fermo restando ciò, la titolare del contratto può chiedere, entro la scadenza del medesimo, la proroga dello stesso per un periodo non superiore a quello del congedo obbligatorio di maternità.

 

Il comma 1, lettera f-ter), dispone che le previsioni recate dalla lettera f-bis) si applicano anche ai contratti in corso.

In tali casi, se i contratti sono stati già sospesi sulla base della normativa previgente, la titolare può chiedere che il periodo di sospensione sia computato nell'ambito della durata triennale del contratto.

 

Criteri per l’assegnazione delle risorse del piano straordinario per la stipula di contratti di ricercatore a tempo determinato di tipo B

 

Il comma 6-ter individua ulteriori criteri per l’assegnazione delle risorse destinate dall’art. 238, co. 1, del D.L. 34/2020 (L. 77/2020) alla stipula, nel 2021, di contratti di ricerca a tempo determinato di tipo B.

 

Al riguardo si ricorda, preliminarmente, che l’art. 238, co. 1, del D.L. 34/2020 (L. 77/2020) ha autorizzato nel 2021, in deroga alle vigenti facoltà assunzionali e in aggiunta alle analoghe assunzioni previste dall'art. 6, co. 5-sexies, del D.L. 162/2019 (L. 8/2020), l'assunzione di ricercatori universitari a tempo determinato di tipo B, nel limite di spesa di € 200 mln annui a decorrere dall'anno 2021[80].

A tal fine, il Fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO) è stato incrementato di € 200 mln annui a decorrere dal 2021.

Per le modalità di riparto delle risorse tra le università, sono state richiamate le stesse di cui al già citato art. 6, co. 5-sexies, del D.L. 162/2019, che ha previsto l’emanazione di un decreto del Ministro dell’università e della ricerca.

Le risorse previste dal D.L. 162/2019 (L. 8/2020), per complessivi 1.607 nuovi ricercatori di tipo B, sono state quindi ripartite tra le università con DM 14 maggio 2020, n. 83, che ha previsto un mix di criteri[81].

 

In particolare, si prevede ora che l’assegnazione delle risorse di cui all’art. 238, co. 1, del D.L. 34/2020 (L. 77/2020) è effettuata con decreto del Ministro dell'università e della ricerca con l'obiettivo di riequilibrare la presenza di giovani ricercatori nei vari territori.

A tal fine si specifica che si fa riferimento, in ogni ateneo, per il 30% delle chiamate in questione e per il conseguente eventuale consolidamento nella posizione di professore di seconda fascia, al numero dei ricercatori di tipo B in servizio rispetto al numero complessivo di docenti e ricercatori in servizio.

 

 

 


 

Articolo 19, comma 1-ter
(Obbligo di residenza dei professori universitari)

 

 

L'articolo 19, comma 1-ter, introdotto dal Senato, elimina per i professori universitari l'obbligo di risiedere nella sede dell'università o dell'istituto cui appartengono.

 

In dettaglio, il comma 1-ter abroga l'art. 7 della L. 311/1958, in base al quale i professori hanno l'obbligo di risiedere stabilmente nella sede dell'università o istituto cui appartengono. La disposizione oggetto di abrogazione prevede peraltro che, in casi del tutto eccezionali, i professori possono essere autorizzati dal Ministro dell'università e della ricerca, su proposta del rettore o direttore, udito il senato accademico, a risiedere in località prossima, ove ciò sia conciliabile con il pieno e regolare adempimento dei loro doveri di ufficio.

 

Tale disposizione è stata applicata in maniera diversa dai vari atenei, alcuni dei quali hanno individuato un raggio d'azione entro il quale risiedere per ritenere adempiuto l'obbligo di residenza, senza dunque dover presentare la specifica domanda di autorizzazione.

 

 


 

Articolo 19, comma 2
(Accreditamento dei corsi di studio)

 

 

L'articolo 19, comma 2, modificato in prima lettura, modifica la disciplina dell'accreditamento dei corsi di studio universitari, attualmente prevista dall'art. 8 del d.lgs. 19/2012, demandando la sua definizione ad un regolamento di delegificazione. A tal fine, novella l'art. 8 del d.lgs. 19/2012.

 

Il d.lgs. 19/2012, in attuazione della delega recata dall'art. 5, co. 1, lett. a), della L. 240/2010, ha introdotto disposizioni sulla valorizzazione dell'efficienza delle università e meccanismi premiali nella distribuzione di risorse pubbliche, sulla base di criteri definiti ex ante, anche mediante la previsione di un sistema di accreditamento periodico delle università e la valorizzazione della figura dei ricercatori a tempo indeterminato non confermati al primo anno di attività.

In particolare, il sistema di accreditamento iniziale e periodico riguarda sia le sedi che i corsi di studio e interessa le istituzioni universitarie italiane, statali e non statali, comunque denominate, ivi compresi gli istituti universitari a ordinamento speciale e le università telematiche.

 

In attuazione di tali previsioni, sono intervenuti diversi atti normativi secondari. Da ultimo, a decorrere dall'anno accademico 2019/2020, i requisiti per l'accreditamento inziale e periodico delle sedi e dei corsi sono previsti dal D.M. n. 6 del 7 gennaio 2019. Con D.M. n. 989 del 25 ottobre 2019 sono state fornite le Linee generali d'indirizzo della programmazione delle università 2019-2021 e gli indicatori per la valutazione periodica dei risultati, integrate poi con D.M. 6 agosto 2020. L'art. 6 del D.M. 989/2019, fatta salva la disciplina di cui al D.M. 6/2019 ai fini dell'accreditamento iniziale, rinvia all'allegato 3 in merito alle linee guida per l'istituzione dei corsi di studio da parte delle istituzioni universitarie già esistenti a partire dall'anno accademico 2020/2021.

Per l'accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio universitari sono definiti gli indicatori (oggetto di revisione periodica con cadenza triennale per quanto concerne i corsi di studio) da parte dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), adottati con decreto del Ministro. Da ultimo, si vedano le Linee Guida per la valutazione dell’ANVUR ai fini dell’accreditamento iniziale dei corsi di studio per l’a.a. 2020/2021.

 

L'art. 8, commi 1, 2 e 10, del suddetto d.lgs. 19/2012 è dedicato all'accreditamento iniziale e periodico dei corsi studio e prevede anche un programma quinquennale per l'accreditamento dei corsi già attivati alla data di entrata in vigore del d.lgs. medesimo. I predetti corsi già attivati che non ottengano l'accreditamento iniziale sono soppressi, fatti salvi eventuali accorpamenti o altre misure di razionalizzazione dell'offerta formativa.

I successivi commi 3-9 individuano le fasi della procedura di accreditamento dei corsi di studio, così sintetizzabili:

§  essa ha inizio in concomitanza con l'istituzione di nuovi corsi di studio.

·       L'art. 9 del D.M. 270/2004 - come modificato dall'art. 17 del d.lgs. 19/2012 - stabilisce che i corsi di studio sono istituiti nel rispetto dei criteri e delle procedure dettate per i regolamenti didattici di ateneo e delle disposizioni vigenti sulla programmazione del sistema universitario. Le università attivano i propri corsi di studio con apposite deliberazioni. Nel caso di mancata conferma dell'accreditamento di uno o più corsi, le università assicurano la possibilità per gli studenti già iscritti di concludere gli studi, conseguendo il relativo titolo e disciplinando le modalità di esercizio della facoltà di opzione per altri corsi di studio accreditati ed attivati. L'attivazione dei corsi di studio è subordinata all'inserimento degli stessi nella banca dati dell'offerta formativa del Ministero, sulla base di criteri stabiliti con apposito decreto ministeriale;

·        

§  il nucleo di valutazione interna dell'università verifica se l'istituendo corso è in linea con gli indicatori di accreditamento iniziale definiti dall'ANVUR e, solo in caso di esito positivo di tale verifica, redige una relazione tecnico-illustrativa, che l'università è tenuta a inserire, in formato elettronico, nel sistema informativo e statistico del Ministero;

·        

§  entro trenta giorni dalla data di ricevimento della documentazione dell'università, il Ministero la trasmette all'ANVUR che si esprime con parere motivato in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'accreditamento dei corsi di studio nel termine di centoventi giorni decorrente dal ricevimento della documentazione;

·        

§  il Ministero può chiedere il riesame della valutazione. L'ANVUR, entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta di riesame, formula un parere definitivo;

·        

§  il Ministro, con proprio decreto, concede o nega l'accreditamento, su conforme parere dell'ANVUR.

·       Il decreto è trasmesso all'università richiedente e al relativo nucleo di valutazione in tempo utile per l'avvio dell'anno accademico successivo a quello in corso e, comunque, non oltre la data del 15 giugno antecedente l'anno accademico di attivazione. L'art. 6 del D.M. n. 989/2019 prevede anche il parere del Comitato regionale di coordinamento competente per territorio, nonché delle Regioni interessate, limitatamente a eventuali istanze relative a corsi di area medico-sanitaria.

·       L'art. 4 del D.M 6/2019 stabilisce che l'accreditamento iniziale avviene previo parere positivo del Consiglio universitario nazionale (CUN) sull'ordinamento didattico e verifica da parte dell'ANVUR di appositi requisiti;

·        

§  se l'ateneo non istituisce o non attiva il corso accreditato entro i tempi indicati nel decreto ministeriale, ma intende farlo in un momento successivo, deve avanzare una nuova richiesta di accreditamento.

·       L'art. 4 del D.M. 6/2019 stabilisce infatti che i corsi di studio devono essere attivati non oltre l'anno accademico successivo a quello di riferimento del D.M. di accreditamento, pena la decadenza automatica di quest'ultimo.

·       Il mancato conseguimento dell'accreditamento iniziale preclude ogni ulteriore fase della procedura di istituzione del nuovo corso o dei nuovi corsi.

·        

·       La novella in commento - a cui sono state apportate modifiche in prima lettura - inserisce il comma 2-bis all'art. 8 del d.lgs. 19/2012, prevedendo anzitutto che con regolamento di delegificazione - per la cui adozione non è previsto un termine - da adottarsi ai sensi dell’art. 17, co. 2, della L. 400/1988, sentiti l’ANVUR, la Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI) e il CUN, sono definite le modalità di accreditamento dei corsi di studio da istituire presso sedi universitarie già esistenti, in coerenza con gli obiettivi di semplificazione delle procedure e di valorizzazione dell’efficienza delle università.

·       Con decreto del Ministro dell’università e della ricerca, da adottarsi entro e non oltre la data del 15 aprile precedente all’avvio dell’anno accademico, è prevista la concessione o il diniego dell’accreditamento.

·        

·       Rispetto alla disciplina vigente, si possono notare le seguenti differenze:

-        le modalità di accreditamento (ossia la definizione della procedura di accreditamento) cessano di essere definite da un atto normativo primario, ma sono definite da un regolamento di delegificazione.

·       L'art. 17, co. 2, della L. 400/1988 stabilisce infatti che con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.

·       In relazione all'accreditamento iniziale, si valuti l'opportunità di un approfondimento se le norme generali regolatrici della materia siano individuate nella L. 240/2010 e nel citato d.lgs. 19/2012, al cui interno si colloca la novella in esame, oppure se sia necessario un richiamo o formulazione espliciti di disposizioni primarie di riferimento;

-        nell'adozione del regolamento di delegificazione per definire le modalità di accreditamento, sono acquisiti anche i pareri dell'ANVUR, del CUN e della CRUI;

-        non è più previsto il parere conforme dell'ANVUR sul decreto di concessione o diniego dell'accreditamento;

-        si stabilisce, in via legislativa, un nuovo termine per disporre l'accreditamento, non più entro il 15 giugno antecedente l'anno accademico di attivazione (come previsto dal D.M. 6/2019), ma entro il 15 aprile precedente all'avvio dell'anno accademico. Sul piano della formulazione, si valuti l'opportunità di riferire il termine all'anno accademico antecedente l'attivazione del corso.

·        

·       Secondo lo schema tipico del regolamento di delegificazione, si stabilisce poi che, a decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento sulle modalità di accreditamento, sono abrogati i summenzionati commi da 3 a 9 dell'art. 8 del d.lgs. 19/2012.

·       Sul piano sistematico, si segnala che con la novella in commento si differenzia notevolmente la procedura per l'accreditamento iniziale dei corsi di studio da quella per l'accreditamento iniziale delle sedi, dettata dall'art. 7 del d.lgs. 19/2012, ad oggi pressoché analoghe.

 

 

 


 

Articolo 19, comma 3
 (Titoli rilasciati da Scuole superiori a ordinamento speciale)

 

 

L'articolo 19, comma 3, modificato dal Senato, equipara al master di secondo livello il titolo finale rilasciato dalle Scuole superiori a ordinamento speciale al termine dei corsi ordinari di durata corrispondente ai corsi di secondo livello dell’ordinamento universitario. Esso stabilisce inoltre che sono ammessi agli esami finali dei corsi delle Scuole superiori ad ordinamento speciale i candidati che abbiano prima conseguito la laurea, la laurea magistrale o la laurea magistrale a ciclo unico. Tali previsioni si applicano anche a corsi analoghi attivati dalle Scuole superiori istituite presso gli atenei che rispettino i requisiti di qualità dell'offerta formativa.

 

Si ricorda preliminarmente che gli Istituti universitari ad ordinamento speciale - disciplinati dal Titolo II del Regio decreto 1592/1933 -, al pari di tutte le università, sono dotati di autonomia amministrativa, didattica e disciplinare e svolgono attività didattiche e di ricerca. Essi hanno un corpo docente permanente e un proprio bilancio.

 

Con particolare riferimento all'offerta formativa, le Scuole erogano corsi di formazione post lauream al termine dei quali l'allievo consegue il titolo di dottore di ricerca (o dicitura equivalente specificata nello statuto), con durata dai tre ai quattro anni. Alcune Scuole sono dedicate esclusivamente alla didattica dottorale, per altre, invece, l’offerta formativa include anche attività pre-dottorali, prevedendo corsi ordinari che si affiancano e integrano l’offerta universitaria della laurea e della laurea magistrale, nonché corsi di master, di primo e secondo livello, e formazione permanente, prevalentemente rivolta a laureati e professionisti. A completamento di questi percorsi tali scuole rilasciano appositi diplomi di licenza, mentre gli atenei partner rilasciano il diploma di laurea, ovvero laurea magistrale o laurea magistrale a ciclo unico. In convenzione con altri atenei, a seconda delle disposizioni statutarie, inoltre, le scuole possono attivare corsi di laurea magistrale (comprese le lauree magistrali a ciclo unico). Riassumendo, esse offrono:

-        didattica universitaria integrativa delle lauree e delle lauree magistrali e corsi di dottorato e post dottorato;

-        corsi di dottorato e post dottorato;

-          corsi di laurea magistrale in convenzione con altre università, oltre alla didattica integrativa e ai corsi di dottorato e post dottorato.

Con D.M. 439/2016 sono stati definiti i criteri e i parametri per l'accreditamento iniziale e periodico delle Scuole ad ordinamento speciale. 

L'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), con delibera n. 177 del 1° agosto 2018, ha approvato le Linee guida per l’accreditamento iniziale e periodico delle Scuole superiori a ordinamento speciale, che definiscono procedure e criteri valutativi per l’accreditamento iniziale delle Scuole superiori universitarie a ordinamento speciale.

 

La disposizione in esame stabilisce l'equiparazione ex lege tra il titolo finale rilasciato dalle predette Scuole al termine dei corsi ordinari di durata corrispondente ai corsi di secondo livello dell’ordinamento universitario (si intendono i corsi di laurea magistrale/specialistica), nonché ai corsi di laurea magistrale a ciclo unico, da un lato, e il master di secondo livello, dall'altro. Tale previsione riguarda dunque le Scuole superiori che offrono didattica integrativa delle lauree magistrali o magistrali a ciclo unico rispetto ai corsi di atenei con i quali hanno stipulato apposite convenzioni: al termine di questi corsi di secondo livello, lo studente conseguirà dunque un titolo che avrà lo stesso valore di un master di secondo livello.

In base all'art. 3 del D.M. 270/2004 le università rilasciano i seguenti titoli: laurea (L); laurea magistrale (LM), diploma di specializzazione (DS) e il dottorato di ricerca (DR). Le università possono attivare corsi di perfezionamento scientifico e di alta formazione permanente e ricorrente, successivi al conseguimento della laurea o della laurea magistrale, alla conclusione dei quali sono rilasciati i master universitari di primo e di secondo livello. In base all'art. 7 del medesimo D.M. 270/2004 per conseguire il master universitario lo studente deve aver acquisito almeno 60 crediti oltre a quelli acquisiti per conseguire la laurea o la laurea magistrale.

Qui un approfondimento sul quadro dei titoli italiani dell'istruzione superiore.

 

Si rammenta che l'equipollenza o l'equiparazione tra titoli accademici italiani significa "identificare un’equivalenza esistente tra titoli di studio accademici conseguiti secondo il vecchio e secondo il nuovo ordinamento a livelli diversi". Solitamente, l'equipollenza o l'equiparazione tra titoli diversi rileva per la partecipazione ai concorsi pubblici. Per maggiori approfondimenti si veda qui

 

Si stabilisce altresì che sono in ogni caso ammessi agli esami finali dei corsi delle Scuole superiori a ordinamento speciale, i candidati che abbiano conseguito la laurea, la laurea magistrale o - in virtù delle modifiche approvate dal Senato - la laurea magistrale a ciclo unico. In sostanza, per svolgere l'esame finale dei corsi integrativi presso tali Scuole superiori occorre prima aver conseguito la laurea, la laurea magistrale o la laurea magistrale a ciclo unico negli atenei convenzionati con le Scuole medesime.

Considerato che la condizione posta per sostenere gli esami finali presso le Scuole superiori riguarda il conseguimento della laurea, della laurea magistrale, o della laurea magistrale a ciclo unico, parrebbe intendersi che essa vada riferita al percorso universitario sia di primo sia di secondo livello.

 

Le disposizioni summenzionate (riferite sia all'equiparazione dei titoli che alla possibilità di essere ammessi agli esami finali) si applicano ai corsi analoghi, attivati dalle Scuole superiori istituite presso gli atenei, i quali - come precisato dalle modifiche apportate in prima lettura - rispettino i requisiti di qualità dell'offerta formativa indicati con decreto del Ministro dell'università e della ricerca da adottarsi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge. Rispetto al testo originario del decreto-legge, si demanda quindi ad un decreto ministeriale la determinazione dei requisiti di qualità dell'offerta formativa dei corsi attivati dalle Scuole superiori istituite presso gli atenei, si elimina l'autorizzazione ministeriale cui era subordinata l'estensione delle disposizioni sull'equiparazione e non si fa più riferimento all'accreditamento dei suddetti corsi analoghi.


 

Articolo 19, comma 4
(Fondazioni universitarie di diritto privato)

 

 

L'articolo 19, comma 4, detta una nuova disciplina per il collegio dei revisori legali dei conti delle fondazioni universitarie di diritto privato, modificando in particolare le modalità di nomina del presidente e dei componenti del collegio.

 

Si ricorda che l'art. 59, co. 3, della L. 388/2000 - come modificato dall'art. 1, co. 458, della L. 296/2006 - ha previsto la possibilità, per una o più università, di costituire fondazioni di diritto privato con la partecipazione di enti ed amministrazioni pubbliche e soggetti privati, al fine di svolgere attività strumentali e di supporto alla didattica e alla ricerca.

Con regolamento di delegificazione, adottato si sensi dell'art. 17, co.2, della L. 400/1988, sono stati stabiliti i criteri e le modalità per la costituzione e il funzionamento delle predette fondazioni, e sono state individuate le tipologie di attività e di beni da conferire alle medesime nell'osservanza del criterio della strumentalità rispetto alle funzioni istituzionali, riservate all'università. Tale regolamento è stato emanato con D.P.R. 24 maggio 2001, n. 254.

 

 In base al D.P.R. 254/2001, le fondazioni sono persone giuridiche private senza fini di lucro ed operano esclusivamente nell'interesse degli enti di riferimento. Esse sono dotate di uno statuto deliberato, previa acquisizione del parere del Ministero dell'università e della ricerca, dagli enti di riferimento, che determina:

§  le finalità della fondazione;

§  la composizione, le competenze e la durata dei suoi organi;

§  i criteri in base ai quali altri soggetti, pubblici o privati, possono partecipare e i diritti e doveri a questi spettanti;

§  la destinazione degli avanzi di gestione agli scopi istituzionali;

§  le modalità di erogazione dei servizi a favore degli enti di riferimento;

§  le cause di estinzione della fondazione e le disposizioni relative alla devoluzione del patrimonio.

Gli organi della fondazione sono: il presidente, il consiglio di amministrazione e il collegio dei revisori dei conti. Gli statuti possono prevedere un comitato scientifico. La durata degli organi delle fondazioni, nonché le relative incompatibilità, sono stabilite dai rispettivi statuti.

Le attività che le fondazioni possono svolgere sono:

§  l'acquisizione di beni e servizi alle migliori condizioni di mercato;

§  lo svolgimento di attività strumentali e di supporto della didattica e della ricerca scientifica e tecnologica, con specifico riguardo:

Ø  alla promozione e sostegno finanziario alle attività didattiche, formative e di ricerca;

Ø  alla promozione e allo svolgimento di attività integrative e sussidiarie alla didattica ed alla ricerca;

Ø  alla realizzazione di servizi e di iniziative diretti a favorire le condizioni di studio;

Ø  alla promozione e supporto delle attività di cooperazione scientifica e culturale degli enti di riferimento con istituzioni nazionali ed internazionali;

Ø  alla realizzazione e gestione, nell'àmbito della programmazione degli enti di riferimento, di strutture di edilizia universitaria e di altre strutture di servizio strumentali e di supporto all'attività istituzionale degli enti di riferimento;

Ø  alla promozione e attuazione di iniziative a sostegno del trasferimento dei risultati della ricerca, della creazione di nuove imprenditorialità originate dalla ricerca, della valorizzazione economica dei risultati delle ricerche, anche attraverso la tutela brevettale;

Ø  al supporto all'organizzazione di stages e di altre attività formative, nonché ad iniziative di formazione a distanza.

Qui l'elenco delle fondazioni universitarie sul sito internet del Ministero dell'università e della ricerca.

 

Con specifico riguardo al collegio dei revisori dei conti, organo di controllo della fondazione che svolge le funzioni previste dal Codice civile per il collegio sindacale, la disciplina vigente è dettata dall'art. 11 del citato D.P.R. 254/2001. Detto articolo viene abrogato dalla disposizione in commento, che detta nuove modalità di nomina del collegio dei revisori. Pertanto, mentre tutta la disciplina delle fondazioni, comprese le norme inerenti i suoi organi, resta dettata da una fonte secondaria (il D.P.R. 254/2001), la sola disciplina del collegio dei revisori diventa oggetto di una fonte primaria (la disposizione in commento). Si valuti l'opportunità di un approfondimento.

 

Nel merito, rispetto alla disciplina vigente (di cui, come si è detto, all'art. 11 del citato D.P.R. 254/2001), resta confermato che gli statuti stabiliscano le modalità di nomina, la composizione, la competenza e il funzionamento del collegio.

Si prevede poi che il collegio dei revisori è costituito dal presidente e dai componenti titolari e supplenti. Con riferimento al presidente del collegio dei revisori, la disposizione in esame semplifica le modalità di nomina, stabilendo che esso sia nominato dalla fondazione e individuato tra i soggetti che sono iscritti nel registro dei revisori legali e che hanno svolto, per almeno cinque anni, funzioni di revisore legale presso istituzioni universitarie. In base alla legislazione vigente, invece, il presidente è designato dagli enti di riferimento con le modalità previste per la nomina del presidente dell'organo di revisione degli enti medesimi.

 

Quanto ai componenti titolari e supplenti, si conferma il numero minimo di tre e massimo di cinque per i componenti titolari, e un numero adeguato di componenti supplenti per assicurare il normale funzionamento dell'organo. Viene invece modificato il meccanismo per la loro nomina: in base alla disposizione in commento, almeno due componenti titolari del collegio sono nominati dalla fondazione (a legislazione vigente invece sono designati dagli enti di riferimento), su designazione del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero dell’università e della ricerca, e sono individuati, prioritariamente, tra i dipendenti delle predette amministrazioni, e, in ogni caso, tra coloro che sono in possesso del requisito di iscrizione nel registro dei revisori legali. Rispetto alla disciplina vigente, si amplia quindi la platea dei soggetti designabili in quanto detti componenti possono anche non essere dipendenti dei due Ministeri citati, ma sono "prioritariamente" individuati tra tali dipendenti. Inoltre, viene meno per i componenti del collegio il requisito consistente nell'aver svolto, per almeno cinque anni, funzioni di revisione contabile presso istituzioni universitarie (questo requisito, come spiegato supra, resta solo per il presidente).

 

La relazione illustrativa sottolinea che le modifiche nella composizione del collegio sono motivate dall’attuale difficoltà nel costituirli. Afferma, infatti, che "la necessità di intervenire con urgenza e con norma di rango primario, per quanto [...] la disciplina di cui trattasi è contenuta in norma regolamentare, è determinata dalla circostanza per la quale, sulla base delle disposizioni vigenti, si è reso oltremodo difficoltoso individuare tutti i componenti dei collegi in parola, con ciò determinando effetti negativi sulla continuità delle attività delle fondazioni".    

 

 


 

Articolo 19, comma 5
(Valutazione dei titoli nei concorsi relativi all'ammissione dei medici alle scuole di specializzazione)

 

 

Il comma 5 dell'articolo 19 modifica la disciplina (finora di natura regolamentare[82]) che esclude alcune categorie di soggetti dal riconoscimento dei titoli ai fini delle graduatorie per l'ammissione dei medici alle scuole di specializzazione. La modifica consiste in un'estensione dell'ambito dei soggetti esclusi, costituito finora dai concorrenti già in possesso (sempre con riferimento all'area medica) di un diploma di specializzazione o di un contratto di formazione specialistica; l'estensione riguarda i dipendenti medici delle strutture del Servizio sanitario nazionale o delle strutture private dallo stesso accreditate nonché i soggetti in possesso del diploma di formazione specifica per medico di medicina generale[83].

 

Si ricorda che i dipendenti medici summenzionati possono beneficiare di una quota di riserva nei bandi concorsuali in oggetto, qualora il Ministro dell'università e della ricerca, su proposta del Ministro della salute, autorizzi, per specifiche esigenze del Servizio sanitario nazionale, l'ammissione alle scuole di tali soggetti in sovrannumero, nei limiti del dieci per cento in più rispetto al numero dei posti oggetto del bando e della capacità recettiva delle singole scuole (ferma restando la condizione del superamento delle prove di ammissione); più in particolare, la quota può concernere il personale medico di ruolo in servizio in strutture sanitarie diverse da quelle inserite nella rete formativa della scuola[84].

Le relazioni illustrativa e tecnica allegate al disegno di legge di conversione del presente decreto osservano che le estensioni di cui al comma 5 sono intese a ridurre il fenomeno della migrazione da un corso di specializzazione ad un altro, fenomeno che finora è stato reso più agevole dal computo dei titoli nei termini suddetti e che determina una dispersione di risorse finanziarie (in relazione al trattamento economico corrisposto per corsi non completati).

 

Si ricorda che i concorsi in oggetto sono per titoli ed esami. I titoli rilevanti sono costituiti dal voto di laurea, dalla media ponderata complessiva dei voti degli esami sostenuti (in seno al corso di laurea), da un'eventuale tesi di laurea di carattere sperimentale e dall'eventuale titolo di dottore di ricerca (in una disciplina di ambito medico-sanitario)[85].


 

Articolo 19, comma 5-bis
(Svolgimento di attività di medicina generale da parte di medici appartenenti alle Forze dell'ordine e alle Forze armate)

 

 

Il comma 5-bis, introdotto dal Senato, prevede la possibilità dello svolgimento di attività di medicina generale da parte dei medici della Polizia di Stato e degli ufficiali medici delle Forze armate e della Guardia di Finanza in servizio permanente effettivo, con almeno quattro anni di anzianità di servizio e previo conseguimento del titolo di formazione specifica in medicina generale.

Il comma demanda ad un decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro della difesa, il Ministro dell'interno e il Ministro dell'economia e delle finanze, la definizione dei criteri, delle modalità e dei limiti della suddetta possibilità; si prevede che in ogni caso l'attività in oggetto sia esercitata su richiesta delle aziende del Servizio sanitario nazionale, prioritariamente in favore del personale delle medesime amministrazioni e dei relativi familiari e limitatamente ai casi di persistente mancanza dei medici di medicina generale, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e compatibilmente con le esigenze operative e funzionali delle amministrazioni interessate nonché con i doveri attinenti al servizio.


 

Articolo 19, comma 6
(Agenzia nazionale per la ricerca)

 

 

L’articolo 19, comma 6, modifica la disciplina relativa alla designazione dei membri della commissione di valutazione da costituire per la selezione del direttore e dei membri del comitato direttivo dell’Agenzia nazionale per la ricerca istituita dalla legge di bilancio 2020.

 

Al riguardo, si ricorda, preliminarmente, che l’art. 1, co. 240-248 e 250-252, della L. 160/2019 (L. di bilancio 2020) ha istituito l’Agenzia nazionale per la ricerca (ANR), sottoposta alla vigilanza della Presidenza del Consiglio e del Ministero (ora, a seguito del D.L. 1/2020-L. 12/2020) dell’università e della ricerca, dotata di autonomia statutaria, organizzativa, tecnico-operativa e gestionale.

In particolare, l’Agenzia:

§  promuove il coordinamento delle attività di ricerca di università, enti e istituti di ricerca pubblici, incrementando la sinergia e la cooperazione tra di essi e con il sistema economico-produttivo, pubblico e privato;

§  promuove e finanzia progetti di ricerca da realizzare in Italia ad opera di soggetti pubblici e privati, anche esteri, altamente strategici per lo sviluppo sostenibile e l’inclusione sociale;

§  valuta l’impatto dell’attività di ricerca, tenendo conto dei risultati dell’attività dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), in particolare al fine di incrementare l’economicità, l’efficacia e l’efficienza del finanziamento pubblico nel settore, nonché per attrarre finanziamenti provenienti dal settore privato;

§  favorisce l’internazionalizzazione delle attività di ricerca;

§  definisce un piano di semplificazione delle procedure amministrative e contabili relative ai progetti di ricerca.

 

Gli organi dell'ANR sono costituiti da direttore, comitato direttivo, comitato scientifico e collegio dei revisori dei conti. In particolare:

§  il direttore – che dura in carica 4 anni – è il legale rappresentante dell'Agenzia, la dirige e ne è responsabile, presiede il comitato direttivo e svolge gli ulteriori compiti attribuitigli dallo statuto.
Egli è nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri ed è scelto dallo stesso tra studiosi, italiani o stranieri, di elevata qualificazione scientifica, con una profonda conoscenza del sistema della ricerca in Italia e all’estero e con pluriennale esperienza in enti o organismi, pubblici o privati, operanti nel settore della ricerca, nell’ambito di una rosa di 25 nominativi, preventivamente selezionati da una commissione di valutazione;

§  il comitato direttivo, i cui compiti non sono stati indicati, è composto da 8 membri, anche in questo caso selezionati tra studiosi, italiani o stranieri, di elevata qualificazione scientifica, con una profonda conoscenza del sistema della ricerca in Italia e all’estero e con pluriennale esperienza in enti o organismi, pubblici o privati, operanti nel settore della ricerca, nell’ambito di una rosa di 25 nominativi, preventivamente selezionati dalla medesima commissione di valutazione che seleziona i nominativi per la nomina del direttore. Di tali membri, uno è scelto dal Ministro dell’università e della ricerca, uno dal Ministro dello sviluppo economico, uno dal Ministro della salute, uno dal Ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, uno dalla Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI), uno dal Consiglio universitario nazionale (CUN), uno dalla Consulta dei Presidenti degli enti pubblici di ricerca e uno dall'Accademia dei lincei. La composizione del comitato direttivo deve assicurare la parità di genere.

Anche i membri del comitato direttivo sono nominati con DPCM e durano in carica per 4 anni;

§  il comitato scientifico vigila sul rispetto dei principi di libertà e autonomia della ricerca scientifica ed è composto da 5 membri nominati dal direttore all'interno di una rosa di 25 nominativi, preventivamente selezionati da parte di un’altra commissione di valutazione sulla base di criteri di competenza e professionalità. La composizione del comitato scientifico deve garantire una rappresentanza del genere meno rappresentato non inferiore al 45%;

§  il collegio dei revisori dei conti svolge le funzioni di controllo amministrativo e contabile ed è composto da 3 membri effettivi e 2 supplenti, nominati con decreto del Ministro dell’università e della ricerca. Un membro effettivo, che assume le funzioni di Presidente, e un membro supplente sono designati dal Ministro dell'economia e delle finanze. I componenti del collegio durano in carica 3 anni e possono essere rinnovati una sola volta.

 

La commissione di valutazione incaricata di selezionare la rosa nell’ambito della quale sono scelti il direttore dell’Agenzia e i membri del comitato direttivo è istituita con DPCM ed è composta da 5 membri di alta qualificazione scelti, rispettivamente, dal Ministro dell’università e della ricerca, dal presidente del Consiglio direttivo dell’ANVUR, dal presidente dell’European Research Council, dal presidente dell’European Science Foundation, nonché, in base al testo dell’art. 1, co. 245, della L. 160/2019 vigente prima delle modifiche apportate dal decreto-legge in esame, dal vice presidente del Comitato di esperti per la politica della ricerca (CEPR)[86].

 

Rispetto a tali previsioni, si dispone, ora, novellando l’art. 1, co. 245, della L. 160/2019, che – fermo restando che quattro dei cinque membri sono designati, uno ciascuno, dal Ministro dell'università e della ricerca, dal presidente del Consiglio direttivo dell'ANVUR, dal presidente dell'European Research Council e dal presidente dell'European Science Foundation – il quinto membro è designato dal presidente della CRUI, d’intesa con il presidente della Consulta dei presidenti degli enti pubblici di ricerca[87] (e non più dal vice presidente del CEPR).

 

Al riguardo, la relazione illustrativa evidenziava che la modifica è finalizzata ad aggiornare la disposizione contenuta nella L. 160/2019 a seguito della “soppressione del Comitato di esperti per la politica della ricerca (CEPR)”.

 

Si tratterebbe, piuttosto, di una mancata ricostituzione del Comitato. In argomento, si rammenta, infatti, che il CEPR – istituito presso il MIUR dall’art. 3 del d.lgs. 204/1998, poi modificato dall'art. 11, co. 2, del d.lgs. 381/1999, con funzioni di consulenza e di studio su problemi riguardanti la politica e lo stato della ricerca nazionale e internazionale – è stato costituito, da ultimo, con DPCM 27 dicembre 2013, per la durata di 3 anni prevista dall’art. 3, co. 2, del decreto ministeriale 17 dicembre 2009, n. 10803, con il quale il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha provveduto a disciplinare l’attività del CEPR in vista della relativa costituzione.

Qui il sito del CEPR.

 

Per completezza si ricorda che lo statuto dell’Agenzia, che ne disciplina le attività e le regole di funzionamento, deve essere approvato con DPCM, su proposta del Ministro dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, che sarebbe dovuto essere emanato entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge.

Il medesimo DPCM deve definire, altresì, la dotazione organica dell’Agenzia, nel limite massimo di 34 unità complessive, di cui 3 dirigenti di seconda fascia, nonché i compensi spettanti ai componenti degli organi di amministrazione e controllo.

Al personale dell’Agenzia si applicano le disposizioni del d.lgs. 165/2001 – recante le norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche – ed il contratto collettivo del comparto Istruzione e Ricerca.


 

Articolo 19, comma 6-bis
(Equiparazione titoli per l'assunzione alle dipendenze della pubblica amministrazione)

 

 

Il nuovo comma 6-bis all’articolo 19, aggiunto nel corso dell’esame al Senato, modifica le norme vigenti in materia di equiparazione dei titoli accademici e di servizio tra Stati membri dell’Unione europea, rilevanti ai fini dell’assunzione presso le amministrazioni pubbliche.

 

In generale, si ricorda che l’articolo 38 del Testo unico del lavoro alle dipendenze della PA (D.Lgs. 165 del 2001) riconosce l’accesso al lavoro presso le pubbliche amministrazioni ai cittadini degli Stati membri dell’Unione europea e ai loro familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente. È richiesta invece la cittadinanza italiana solo per quei ruoli che, nelle amministrazioni pubbliche, implicano esercizio di pubblici poteri, ovvero attengono alla tutela dell’interesse nazionale.

 

Con una successiva modifica introdotta dalla legge 97/2013 (legge comunitaria 2013) il legislatore ha esteso l’accesso al pubblico impiego anche ai cittadini stranieri extracomunitari regolarmente soggiornanti, ma non a tutti indistintamente. In particolare la possibilità di svolgere un lavoro presso una pubblica amministrazione e? possibile per:

·     i lavoratori stranieri titolari di: permesso di soggiorno UE per soggiornante di lungo periodo;

·     status di rifugiato;

·      status di protezione sussidiaria

Possono, inoltre, accedere al pubblico impiego i familiari extracomunitari di cittadini dell’Unione europea, titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente.

 

In particolare, la modifica approvata dal Senato modifica il comma 3 dell’articolo 38 del Testo unico del lavoro alle dipendenze della PA (d. lgs. 165/2001) che, nella versione vigente, demanda alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, sentito il MIUR, la definizione della disciplina relativa all’equiparazione dei titoli di studio e professionali, allorquando non sia intervenuta una disciplina al livello di UE.

Analogamente deve essere stabilita la disciplina riguardante l’equiparazione tra titoli accademici e di servizio “ai fini dell’ammissione al concorso e della nomina”. Il comma in esame propone di sostituire tale ultimo riferimento prevedendo che l’equivalenza dei titoli rilevi ai fini “dell’inserimento in graduatoria e dell’assunzione dopo il superamento di concorso pubblico”.

 

Dalla modifica normativa ne discende che la verifica del titolo dei cittadini degli Stati membri dell’UE riguarderebbe non più la fase dell’ammissione alla partecipazione al concorso, bensì un momento successivo al superamento delle prove, che coincide con l’inserimento in graduatoria e con l’assunzione.

 

Con una seconda modifica, di aggiornamento normativo, viene sostituito il riferimento al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca con quello oggi corretto, in seguito al c.d. spacchettamento in due dicasteri dell’ex MIUR di ''Ministero dell'istruzione Ministero dell'università e della ricerca''.

 

L’art. 1 del D.L. 1/2020 (L. 12/2020) ha istituito il Ministero dell’istruzione e il Ministero dell'università e della ricerca, con conseguente soppressione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

Per quanto qui interessa, in base all’art. 2, co. 2, dello stesso D.L., al Ministero dell’istruzione è attribuita la competenza in materia di riconoscimento dei titoli di studio e delle certificazioni in ambito europeo e internazionale, mentre al Ministero dell’università e della ricerca è attribuita quella relativa alla partecipazione alle attività relative all'accesso alle amministrazioni e alle professioni e al raccordo tra istruzione universitaria, istruzione scolastica e formazione.

I regolamenti di organizzazione dei due Ministeri non sono ancora intervenuti. Infatti, in base all’art. 3, co. 6, essi sarebbero dovuti essere adottati con DPCM, su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa delibera del Consiglio dei ministri e acquisito il parere del Consiglio di Stato, entro il 30 giugno 2020. Il termine è però poi stato prorogato di 3 mesi dal disegno di legge di conversione del D.L. 18/2020 (L. 27/2020).

 


 

Articolo 19, comma 6-quater
(Collegi universitari di merito)

 

 

L'articolo 19, comma 6-quater, introdotto dal Senato, stabilisce che - a causa dell'emergenza sanitaria - i collegi universitari di merito mantengono il loro status a prescindere dal rispetto dei requisiti di riconoscimento e di accreditamento basati sui dati dell'anno accademico 2019/2020.

 

Preliminarmente, si rammenta che il d.lgs. 68/2012, attuativo della delega di cui all'art. 5, co. 1, lett. a), secondo periodo, e co. 3, lett. f), della L. 240/2010 definisce all'art. 13 i collegi universitari quali strutture ricettive, dotate di spazi polifunzionali, idonee allo svolgimento di funzioni residenziali, con servizi alberghieri connessi, funzioni formative, culturali e ricreative.

          L'art. 16 del d.lgs. 68/2012 stabilisce che i collegi universitari sono riconosciuti con decreto del Ministro e, una volta riconosciuti, vengono definiti collegi universitari di merito (art. 16, co. 4).

            Con D.M. 8 settembre 2016, n. 672 sono stati indicati i requisiti per il riconoscimento[88], la cui permanenza viene verificata annualmente, a settembre, dal Ministero. Se un collegio universitario di merito dimostri di avere perso i requisiti e standard di riconoscimento, può mantenere lo status conferitogli se, entro l'anno in corso, rientra nei parametri richiesti. In caso contrario il Ministero, acquisito il parere dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), revoca il riconoscimento con decreto. La nuova domanda potrà essere ripresentata non prima che siano decorsi due anni dalla revoca stessa.

 

Inoltre, secondo l'art. 17 del medesimo d.lgs. 68/2012, i collegi universitari di merito che abbiano ottenuto il riconoscimento da almeno 5 anni possono chiedere l'accreditamento, disposto con decreto del Ministro, che è condizione necessaria per la concessione del finanziamento statale.

Con D.M. 8 settembre 2016, n. 673 sono stati definiti i parametri per la dimostrazione dei requisiti di accreditamento[89] e le modalità e le condizioni di accesso al contributo statale da parte dei collegi accreditati. Ai fini della permanenza dello status di collegio universitario accreditato, il Ministero verifica ogni anno, nel mese di marzo, il mantenimento dei requisiti e dei parametri di accreditamento di ogni collegio accreditato. Se un collegio accreditato non risulta rispondente ai parametri, può mantenere lo status conferitogli se, entro il successivo mese di giugno, rientra nei parametri richiesti. In caso contrario il Ministero, acquisito il parere dell'ANVUR, revoca il riconoscimento con decreto.

 

Va aggiunto inoltre che, in base all'art. 15 del d. lgs. 68/2012, i collegi universitari legalmente riconosciuti sono strutture a carattere residenziale di elevata qualificazione formativa e culturale, che perseguono la valorizzazione del merito e l'interculturalità della preparazione, assicurando a ciascuno studente servizi educativi, di orientamento e di integrazione dei servizi formativi. I collegi universitari legalmente riconosciuti sono gestiti da soggetti che non perseguono fini di lucro.

L’art. 23, co. 2, del medesimo d.lgs. ha previsto che, per i collegi universitari legalmente riconosciuti alla data della sua entrata in vigore, restavano ferme le disposizioni vigenti e gli stessi si consideravano riconosciuti ed accreditati, gravando, in ogni caso, sui medesimi l'obbligo di adeguarsi agli standard e requisiti ivi previsti entro due anni dalla data di entrata in vigore del decreto di disciplina del riconoscimento.

Con D.D. 2164/2019 si è provveduto ad individuare i collegi universitari legalmente riconosciuti ex lege quali collegi di merito che hanno provveduto ad adeguarsi ai nuovi requisiti di riconoscimento. Il D.D. 2165/2019 ha decretato quali collegi universitari legalmente riconosciuti, essendosi adeguati ai nuovi criteri di accreditamento, mantengono la qualifica di collegio universitario di merito accreditato acquisita inizialmente ex lege in base all’art. 23, co. 2, del medesimo d.lgs., e quali la perdono.


          A causa dell'emergenza sanitaria e del suo impatto sul sistema universitario, la disposizione in commento deroga al rispetto dei requisiti di riconoscimento e accreditamento per i collegi universitari di merito, la cui verifica, finalizzata al mantenimento del relativo status, è disposta annualmente con scadenze prestabilite.

In base alla normativa vigente, la verifica annuale, basata sui dati dell'anno accademico 2019/2020, per il mantenimento dei requisiti di riconoscimento sarebbe prevista a settembre 2020, mentre quella sulla permanenza dei requisiti di accreditamento a marzo 2021. Si valuti l'opportunità di esplicitare che la previsione riguarda le verifiche in questione.

 


 

Articolo 19, comma 6-quinquies
(Modifica all’articolo 25 del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162)

 

 

Il comma 6-quinquies, inserito nel corso dell’esame al Senato, dispone una modifica al comma 4-novies dell’articolo 25 del D.L. n. 162 del 30 dicembre 2019[90] (cd. proroga termini), riguardante la disciplina del riconoscimento dei contributi a sostegno delle aziende ospedaliero-universitarie.

 

La modifica in esame prescrive un nuovo termine ordinatorio per la sottoscrizione del protocollo di intesa tra azienda ospedaliera e regione, necessario a consentire l'erogazione dei contributi previsti, prevedendo che la citata sottoscrizione debba avvenire entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge 16 luglio 2020, n.76[91] in esame,  anziché dall’entrata in vigore della legge regionale con la quale è definita la costituzione dell'azienda ospedaliero-universitaria.

 

Si ricorda che l’articolo 25 del richiamato decreto-legge n. 162, al comma 4-novies, ha autorizzato, per il decennio dal 2020 al 2029, una ulteriore spesa di 8 milioni di euro annui, a valere sulle risorse per il finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato, finalizzato alla copertura degli oneri connessi all’uso a titolo gratuito da parte delle aziende ospedaliero-universitarie (AOU) dei beni demaniali o comunque in uso gratuito e perpetuo alle Università, già destinati in modo prevalente all'attività assistenziale.

Le disposizioni richiamate dal comma 4-novies fanno riferimento alla costituzione dell’azienda ospedaliera-universitaria prevista dal D. Lgs. n. 517 del 1999[92], con il quale è stata disciplinata la collaborazione fra Servizio sanitario nazionale e Università per pervenire al modello aziendale unico di azienda ospedaliero-universitaria con autonoma personalità giuridica, successivamente ad un quadriennio di sperimentazione che avrebbe dovuto trasformare in tale modello la realtà, da un lato, delle aziende ospedaliere universitarie integrate con il Servizio sanitario nazionale (SSN) aventi origine dalla trasformazione dei policlinici universitari a gestione diretta, e, dall’altro, delle aziende ospedaliere integrate con l'università derivanti dai presidi ospedalieri, nei quali insiste la prevalenza del corso di laurea medicina e chirurgia.

Si sottolinea che l'attuale diffusione dell'Istituto dell'Azienda ospedaliera universitaria integrata presenta alla base del suo funzionamento gli atti aziendali di diritto privato per l’esercizio dell’attività assistenziale ed i protocolli di intesa per regolare i rapporti di cooperazione tra Università e Regione, come indicato nelle linee guida contenute nel DPCM 24 maggio 2001 concernenti tali protocolli di intesa, in particolare per lo svolgimento delle attività assistenziali delle università nel quadro della programmazione nazionale e regionale. Le linee guida sottolineano la partecipazione attiva degli atenei alla programmazione sanitaria regionale allo scopo di assicurare il pieno svolgimento delle funzioni didattico-scientifiche delle facoltà di medicina e chirurgia in un quadro di integrazione tra attività assistenziale ed obiettivi di programmazione regionale.


 

Articolo 20
(Disposizioni concernenti il Corpo nazionale dei vigili del fuoco)

 

 

L’articolo 20, modificato nel corso dell’esame al Senato, reca disposizioni in favore del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, con la finalità, tra le altre, di operare una valorizzazione retributiva del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

In particolare, l’articolo in esame:

-        modifica l’articolo 6 del D.lgs. 13 ottobre 2005 n. 217 prevedendo che il periodo di permanenza minimo nella sede di prima assegnazione per i vigili del fuoco, dopo lo svolgimento del corso di formazione, sia ridotto da cinque a due anni;

-        ridefinisce la misura delle componenti fisse e continuative del trattamento economico del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (stipendio, indennità di rischio assegno di specificità);

-        incrementa la misura delle componenti di natura accessoria dei vigili del fuoco, compresi quelle destinate al personale che espleta funzioni specialistiche;

-        ridefinisce la retribuzione del personale direttivo e dirigente del Corpo.

 

 

Nel dettaglio, l’articolo 20 utilizza le risorse finanziarie del fondo istituito dalla legge di bilancio 2020 (L. 160/2019, art. 1, comma 122) allo scopo, come ricordato, di adottare provvedimenti normativi volti alla valorizzazione del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, anche nell'ottica di una maggiore armonizzazione del trattamento economico con quello del personale delle Forze di polizia.

 

Come specificato dalla relazione illustrativa, tale “valorizzazione, non ponendosi l’obiettivo di una equiordinazione del personale dei vigili del fuoco a quello delle forze di polizia e ferme restando le rispettive specifiche previsioni ordinamentali proprie di ciascun comparto di negoziazione, tuttavia - alla luce delle risorse che complessivamente sono state stanziate a regime dal Legislatore - consente di perseguire una maggiore armonizzazione con il trattamento economico globale delle corrispondenti qualifiche degli operatori della sicurezza”.

Inoltre, la relazione illustrativa chiarisce che la disposizione in esame contribuisce a fronteggiare la crisi economica legata all’emergenza epidemiologica da Covid-19.

 

Componenti fisse del trattamento economico (commi 1 e 2)

Il comma 1 ridefinisce, per il biennio 2020-2021 ed a regime, dal 2022 in poi, le componenti fisse del trattamento economico del personale del Corpo dei vigili del fuoco, ossia lo stipendio, l’indennità di rischio e mensile e l’assegno di specificità.

I nuovi importi sono indicati per singolo ruolo e qualifica nell’allegato A al provvedimento in esame, che sostituisce la tabella C allegata al decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217, con le misure per l’anno 2020, per l’anno 2021 e con quelle in vigore a regime, dall’anno 2022.

 

Il comma 2 stabilisce che gli effetti retributivi derivanti dall’applicazione della tabella C di cui al comma 1, costituiscono miglioramenti economici ai sensi dell'articolo 12, comma 5, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, e dell’articolo 261 del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217.

Pertanto, i miglioramenti economici introdotti dall’articolo in esame comportano il riassorbimento, fino a concorrenza del relativo importo, degli assegni personali in godimento da due determinate unità di personale.

Si tratta in primo luogo del personale del Corpo forestale dello Stato assegnato al Corpo nazionale dei vigili del fuoco dopo lo scioglimento del Corpo forestale ad opera del D.Lgs. 177/2016. A tale personale è stato attribuito, a decorrere dall'effettivo transito, un assegno ad personam (art. 12, comma 5, D.Lg. 177/2016) come previsto dalla legge delega che chiarisce che l’assegno è riassorbibile con i successivi miglioramenti economici (L. 124/2015, art. 8, comma 1, lettera a), numero 2).

Inoltre, la diposizione riguarda il personale del Corpo dei vigili del fuoco che, a seguito di promozioni a qualifiche iniziali dei ruoli superiori ovvero di operazioni di primo inquadramento abbia conseguito a titolo di assegni fissi e continuativi, ivi compresi gli scatti convenzionali, un trattamento economico inferiore a quello in godimento, e che pertanto gli sia stata attribuita la differenza sotto forma di assegno ad personam pensionabile. Anche in questo caso la legge prevede che l’assegno è riassorbibile con i successivi miglioramenti economici (D.Lgs. 217/2005, art. 261: clausola di salvaguardia retributiva).

 

Come riportato nella relazione illustrativa al ddl di conversione (S. 1183), sono state oggetto di ridefinizione, pertanto, le misure dei seguenti istituti retributivi:

-        lo stipendio tabellare, dove, a seguito di una comparazione effettuata tra le qualifiche del personale della Polizia di Stato e quelle dei ruoli operativi del Corpo nazionale (allegato C della relazione tecnica), si è adeguata la misura dell’emolumento fino a concorrenza di quanto percepito dalla corrispondente qualifica. A tale proposito, si è utilizzato il valore parametrico in uso nel comparto Forze armate/Forze di polizia. L’adeguamento ha riguardato anche alcune qualifiche dei ruoli dei dirigenti e dei direttivi. Per quest’ultima tipologia di personale, relativamente alle qualifiche apicali di direttore vice dirigente non è stato possibile trovare una puntuale comparazione poiché negli ordinamenti del comparto Forze armate/Forze di polizia, a seguito della recente revisione, le corrispondenti qualifiche (Vice questore aggiunto per la Polizia di Stato) appartengono ai ruoli dirigenziali;

-        l’indennità di rischio prevista per il personale non dirigente dei ruoli con funzioni operative  è stata comparata all’istituto dell’indennità mensile pensionabile (IPM) previsto nel comparto Forze armate/Forze di polizia. Nel rispetto del principio di armonizzazione degli elementi della retribuzione del personale appartenente ai ruoli operativi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco con quello appartenente alle Forze di polizia, parallelamente all’attribuzione di una misura dell’indennità di rischio di pari valore rispetto all’istituto dell’IPM, cessa di essere attribuita al compimento dei 22 e dei 28 anni di servizio la maggiorazione dell’indennità di rischio istituita ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del D.P.R. n. 335 del 1990, trattandosi di un istituto per il quale non si riscontra alcuna corrispondenza negli istituti retributivi del comparto Forze armate/Forze di polizia. La misura di tale emolumento viene pertanto riassorbita nelle nuove misure previste per l’indennità di rischio;

-        l’indennità mensile prevista per il personale non dirigente, dei ruoli tecnico-professionali è stata comparata all’istituto dell’indennità di rischio attribuito ai ruoli operativi ed omologata per tutte le qualifiche alla misura del 52 per cento dell’indennità di rischio attribuita alla corrispondente qualifica operativa. In tal modo, si è operato un necessario riallineamento delle misure percepite dalle diverse qualifiche tecnico-professionali ed individuato un rapporto percentuale, ritenuto corretto in ragione della diversa natura delle mansioni richieste, con l’analogo istituto attribuito alla componente operativa del Corpo nazionale e, per proprietà transitiva, al comparto Forze armate/Forze di polizia;

-        l’assegno di specificità previsto per il personale non dirigente è stato comparato all’istituto dell’assegno di funzione previsto nel comparto Forze armate/Forze di polizia. Dalla comparazione sono emerse, oltre alle differenti misure degli assegni, anche diversi requisiti per l’attribuzione degli stessi. L’assegno di specificità, infatti, viene attribuito e aumentato al compimento di 14, 22 e 28 anni di servizio mentre per la fruizione dell’assegno di funzione sono necessari, rispettivamente, 17, 27 e 32 anni. Pertanto, con l’obiettivo di procedere ad un’armonizzazione della misura del beneficio, si è operata una quantificazione, sia per l’assegno di funzione che per quello di specificità, dell’importo complessivo cumulato corrisposto al dipendente durante la carriera. Tale conteggio è stato effettuato assumendo il valore medio di 34 anni di servizio, per entrambi i comparti, che hanno regimi pensionistici (per requisiti anagrafici e contributivi) assimilabili. In tal modo, le nuove misure dell’assegno di specificità previste per il personale dei ruoli operativi determinano, in termini cumulati, una piena armonizzazione tra i benefici complessivi spettanti al personale dei due comparti di riferimento. Per quanto concerne il personale dei ruoli tecnico-professionali, le nuove misure dell’assegno risultano commisurate al 45 per cento del beneficio attribuito al personale operativo di pari qualifica.

 

Durata del periodo di permanenza minimo nella sede di prima assegnazione (comma 2-bis)

Il comma 2-bis – aggiunto nel corso dell’esame al Senato – modifica l’articolo 6 del d.lgs. 13 ottobre 2005 n. 217 prevedendo che il periodo di permanenza minimo nella sede di prima assegnazione per i vigili del fuoco, dopo lo svolgimento del corso di formazione, sia ridotto da cinque a due anni.

In base al vigente articolo 6, gli allievi vigili del fuoco frequentano un corso di formazione al termine del quale gli allievi che hanno superato l’esame teorico pratico, acquisito il giudizio di idoneità al servizio, sono nominati allievi vigili del fuoco in prova e avviati all'espletamento del periodo di applicazione pratica.

Al termine della stessa, gli allievi vigili del fuoco in prova conseguono la nomina a vigile del fuoco, sulla base di un giudizio di idoneità formulato dal dirigente del comando o dell'ufficio presso cui hanno prestato servizio. Essi prestano giuramento e sono immessi nel ruolo secondo la graduatoria finale del periodo di formazione.

L’articolo 6 prevede che il periodo minimo di permanenza nella sede di prima assegnazione abbia una durata minima, attualmente fissata in cinque anni dal comma 3 6 e ridotta a due anni in base alla modifica in commento.

 

 

Trattamento accessorio (commi 3-6)

I commi da 3 a 6 recano disposizioni volte ad incrementare le risorse destinate agli istituti retributivi di natura accessoria, e a ridefinire quelli destinati al personale che espleta funzioni specialistiche.

 

Il comma 3 dispone l’incremento del lavoro straordinario per un numero di ore pari a 55.060 per l’anno 2021 e di 401.900 ore annue a decorrere dall’anno 2022, con l’obiettivo di fronteggiare imprevedibili e indilazionabili esigenze di servizio, connesse all’attività di soccorso tecnico urgente e alle ulteriori attività istituzionali del Corpo compreso l’addestramento operativo.

 

La relazione illustrativa quantifica la spesa annua (al lordo degli oneri a carico dello Stato) per euro 1.095.975 per l’anno 2021 e per euro 7.999.820 a decorrere dall’anno 2022.

Si ricorda che da ultimo l'attribuzione annua di ore di lavoro straordinario è stata elevata a 259.890 ore per l'anno 2019 e a 340.000 ore a decorrere dall'anno 2020. Con oneri pari a 380.000 euro per l'anno 2019 e a 1.910.000 euro annui a decorrere dall'anno 2020 (D.L. 53/2019, art. 8-ter che ha così aumento il monte ore in precedenza fissato dalla L. 246/2000, art. 11).

 

Il comma 4 incrementa il fondo di amministrazione del personale non direttivo e non dirigente del Corpo di euro 693.011 dal 1° gennaio 2020, di euro 3.772.440 dal 1° gennaio 2021 e di euro 13.972.000 a decorrere dal 1° gennaio 2022.

 

La somma – si legge nella relazione illustrativa - è destinata ad una operazione complessiva di razionalizzazione e potenziamento degli istituti retributivi accessori finanziati con il fondo, da attuarsi mediante accordi negoziali volti a valorizzare le funzioni e i compiti d’istituto del personale del Corpo nazionale (quali, ad esempio, la reperibilità e i turni di soccorso).

 

Il comma 5 destina risorse per armonizzare il sistema delle indennità al personale che espleta funzioni specialistiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco con quello del personale delle Forze di Polizia, incrementando quanto già stanziato per la medesima finalità dall’articolo 17-bis, comma 5, del D.Lgs. n. 97 del 2017, come segue:

§  euro 1.161.399 per l’anno 2021 ed euro 3.871.331 a decorrere dall’anno 2022 per il settore aeronavigante;

§  euro 400.153 per l’anno 2021 ed euro 1.333.843 a decorrere dall’anno 2022 per il settore dei sommozzatori;

§  euro 552.576 per l’anno 2021 ed euro 1.841.920 a decorrere dall’anno 2022 per il settore nautico, compreso il personale che svolge servizio antincendi lagunare.

 

Il comma 6 corrisponde al personale appartenente al ruolo dei vigili del fuoco e al ruolo dei capi squadra e dei capi reparto, nonché al personale appartenente alle corrispondenti qualifiche dei ruoli speciali antincendio boschivo (AIB) a esaurimento e dei ruoli delle funzioni specialistiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che matura negli anni 2021 e 2022 un’anzianità di effettivo servizio di almeno 32 anni, un assegno una tantum rispettivamente di euro 300 e di euro 400.

 

Personale dirigente e direttivo

I commi 7, 8 e 9 recano interventi di valorizzazione delle retribuzioni del personale dirigente e direttivo.

 

Come riportato dalla relazione illustrativa, per tali categorie di personale è risultato più complesso procedere ad una puntuale armonizzazione con le corrispondenti tipologie del comparto Forze armate/Forze di polizia. Ciò in quanto l’analisi condotta ha denotato l’esistenza di differenze importanti, sia dal punto di vista ordinamentale (nel comparto Forze armate/Forze di polizia per quanto attiene il personale direttivo, come indicato in precedenza, la recente revisione dell’ordinamento ha dato luogo alla “dirigenzializzazione” delle figure direttive apicali), che dal punto di vista della struttura retributiva (per la dirigenza). Pertanto, al fine di raggiungere l’obiettivo di valorizzazione espresso dal Legislatore, si è operato un potenziamento della componente retributiva accessoria di entrambe le categorie.

 

Il comma 7 incrementa il fondo per la retribuzione di rischio e posizione e di risultato del personale dirigente di livello non generale come segue:

§  la quota variabile della retribuzione di rischio e posizione di euro 52.553 dal 1°gennaio 2021 e di euro 363.938 a decorrere dal 1° gennaio 2022;

§  la retribuzione di risultato di euro 23.346 dal 1°gennaio 2021 e di euro 161.675 a decorrere dal 1°gennaio 2022.

 

Il comma 8 incrementa il medesimo fondo del personale dirigente di livello generale per le seguenti misure:

§  la quota variabile della retribuzione di rischio e posizione di euro 14.494 dal 1°gennaio 2021 e di euro 100.371 a decorrere dal 1°gennaio 2022;

§  la retribuzione di risultato di euro 4.659 dal 1°gennaio 2021 e di euro 32.267 a decorrere dal 1°gennaio 2022.

 

Il comma 9 incrementa il fondo di produttività del personale direttivo per l’importo di euro 715.341 per l’anno 2021 e di euro 3.390.243 a decorrere dall’anno 2022.

L’incremento è destinato, previo accordo negoziale di cui all’articolo 230 del D.Lgs. 217/2005, anche al finanziamento della spesa connessa al conferimento delle posizioni organizzative istituite dagli articoli 199 (per il personale appartenente ai ruoli direttivi) e 223 (per il personale del ruolo dei direttivi aggiunti) del medesimo decreto.

 

Si ricorda che in entrambi i casi le posizioni organizzative sono individuate con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per la pubblica amministrazione, al fine di incrementare il livello di funzionalità e di efficienza del Corpo nazionale e di razionalizzare il modello organizzativo delle strutture centrali e periferiche dell'amministrazione dell'interno.

Come indicato nella relazione illustrativa, l’incremento è destinato ad elevare di circa il 30 per cento la media della retribuzione accessoria erogata al personale direttivo che svolge funzioni operative, nonché ad incrementare quella del personale direttivo speciale ad esaurimento e del personale direttivo e direttivo speciale dei ruoli tecnico-professionali.

 

Altri interventi in materia di trattamento economico

Il comma 10 dispone a decorrere dal 2021 l’assorbimento del beneficio della maggiorazione della indennità di rischio del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco istituita con il D.P.R. 335/1990, art. 64, in virtù dei nuovi importi delle indennità di rischio rideterminati nella Tabella C ai sensi del comma 1 del presente articolo.

 

Il comma 11 prevede la destinazione, per le medesime finalità di cui ai commi 4 (fondi di amministrazione del personale non direttivo e non dirigente), 7 (fondo per la retribuzione di rischio e posizione e di risultato del personale dirigente di livello non generale), 8 (fondo per la retribuzione di rischio e posizione e di risultato del personale dirigente di livello generale) e 9 (fondo di produttività del personale direttivo), ai fondi di incentivazione del personale delle risorse indicate nell’Allegato B come segue.

 

 

Disposizioni finali e finanziarie

Il comma 12 reca una norma di interpretazione autentica che prevede l’applicazione della clausola di salvaguardia retributiva generale di cui al citato articolo 261 del D.Lgs. 217/2005 (vedi sopra comma 2) anche al personale appartenente al gruppo sportivo vigili del fuoco Fiamme rosse e alla banda musicale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco in servizio alla data del 31 dicembre 2017, in occasione degli inquadramenti di cui agli articoli 124 (che ha istituito e articolato i ruoli della banda musicale) e 129 (istituzione e articolazione del ruolo degli atleti del gruppo sportivo vigili del fuoco Fiamme Rosse) del medesimo D.lgs. 217/2005.

Si ricorda che l’articolo 14-sexies del D.Lgs. 97/2017 ha introdotto una speciale clausola di salvaguardia per il personale appartenente al gruppo sportivo e alla banda musicale secondo la quale si applicano e continuano ad applicarsi, laddove più favorevoli, le disposizioni in materia di trattamenti retributivi e previdenziali previsti per il personale del Corpo nazionale che espleta funzioni operative.

Secondo la relazione illustrativa, la disposizione è utile per evitare un potenziale contenzioso.

 

Il comma 13 reca una nuova clausola di salvaguardia retributiva che ricalca quella contenuta nel citato articolo 261 del D.Lgs. 217/2005, prevedendo anche in questo caso la corresponsione di un assegno ad personam riassorbibile in presenza di eventuali trattamenti retributivi sfavorevoli.

 

Il comma 14 provvede alla quantificazione degli oneri introdotti dall’articolo in esame e alla conseguente copertura finanziaria.

I nuovi oneri sono stabiliti in misura pari a:

§  euro 65 milioni per l’anno 2020;

§  euro 120 milioni per l’anno 2021;

§   euro 164,5 milioni a decorrere dall’anno 2022;

Essi sono comprensivi degli oneri indiretti, definiti ai sensi dell’articolo 17, comma 7, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 e pari a:

§  3,161 milioni di euro per l’anno 2020;

§  5,8 milioni di euro per l’anno 2021;

§  7,6 milioni di euro a decorrere dal 2022.

 

La copertura è assicurata facendo ricorso alle risorse stanziate dal Fondo per la valorizzazione del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco ai sensi dell’articolo 1, comma 133, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (legge di bilancio 2019).

 

La disposizione da ultimo citata ha istituito un Fondo - sullo stato di previsione del Ministero dell'interno - finalizzato alla "valorizzazione" del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nella prospettiva di una maggiore armonizzazione del trattamento economico rispetto a quello del personale delle Forze di Polizia. La dotazione prevista per tale Fondo è di 65 milioni per il 2020; 120 milioni per il 2021; 165 milioni a decorrere dal 2022. A fini di parziale copertura (a decorrere dal medesimo anno 2020) sono ridotte di 10 milioni annui le risorse di cui all'articolo 1, comma 1328, primo periodo, della legge n. 296 del 2006 n. 296, iscritte nello stato di previsione del Ministero dell'interno. Il richiamato comma della legge finanziaria 2007 ha disposto - al fine di ridurre il costo a carico dello Stato del servizio antincendi negli aeroporti - un addizionale sui diritti d'imbarco sugli aeromobili (di 50 centesimi di euro a passeggero imbarcato), e che un apposito Fondo, alimentato dalle società aeroportuali in proporzione al traffico generato, concorra (per 30 milioni annui) al medesimo fine (con destinazione al centro di responsabilità «Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile» dello stato di previsione del Ministero dell'interno).

 

Restano nella disponibilità del Fondo 500 mila euro a decorrere dall’anno 2022, che con successivi provvedimenti – si precisa nel comma in esame - potranno essere destinati alla valorizzazione del personale operativo anche attraverso le nuove modalità assunzionali di cui all’articolo 1, comma 138, della legge del 27 dicembre 2019, n. 160. Tale disposizione prevede che nuove modalità assunzionali nella qualifica di vigile del fuoco potranno essere previste facendo ricorso a provvedimenti normativi volti alla valorizzazione del Corpo, utilizzando il citato Fondo istituto presso il Ministero dell’interno.

 

Il comma 15 stabilisce la decorrenza giuridica ed economica delle disposizioni dell’articolo in esame a partire dal 1° gennaio 2020, precisando che, ai fini previdenziali, gli incrementi hanno effetto esclusivamente con riferimento ai periodi contributivi maturati a decorrere dalla medesima data.

 

Infine, il comma 16 autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

 


 

Articolo 20-bis
(Disposizioni concernenti il personale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti)

 

 

L'articolo 20-bis, introdotto dal Senato, contiene disposizioni per il personale degli Uffici delle Motorizzazioni Civili ai fini della ammissione al ruolo di esaminatore per le prove teoriche e pratiche per il conseguimento della patente di guida.

 

Il comma 1 dell'articolo 20-bis prevede che, nelle more del passaggio dalla qualifica di ''addetto'' a quella di ''assistente'', il personale in servizio presso la Motorizzazione Civile che ha superato il corso di abilitazione per il ruolo di esaminatore, indetto con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 12 aprile 2018, in materia di ''Corsi di qualificazione per esaminatori per il conseguimento delle abilitazioni alla guida'', venga ammesso all'esercizio del ruolo di esaminatore per le prove teoriche e pratiche per il conseguimento della patente di guida.

A legislazione vigente, gli esami di idoneità per patenti e certificati di abilitazione professionale sono effettuati dai dipendenti in servizio presso il Dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali ed il personale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, secondo un quadro di riferimento esposto dalla Tabella IV.1 - articolo 332 che fa parte integrante del Decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, recante il Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada. La presente versione di questa Tabella, che nel corso degli anni è stata ripetutamente rinnovata, da ultimo è stata delineata dall'articolo 1, comma 2, del  Decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 2017, n. 141. Ai sensi dell'articolo 332, comma 2, del citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 495/1992, qualora i profili professionali elencati nella Tabella succitata siano sostituiti da nuovi profili professionali, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con proprio provvedimento, deve stabilire l'equiparazione tra i profili professionali precedenti e quelli sostitutivi.  

 

Mediante il comma 1 dell'articolo 20-bis si intende sopperire alla carenza di organico degli Uffici delle Motorizzazioni Civili, anche in considerazione dell'emergenza sanitaria causata dall'epidemia di Coronavirus.

 

Gli Uffici delle Motorizzazioni Civili fanno capo alla Direzione Generale per la Motorizzazione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Svolgono attività di controllo tecnico e amministrativo e, in base al  Decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1972, n. 5 sono articolati su base provinciale. Le competenze degli uffici territoriali della Motorizzazione Civile sono delineate dalla legge 1 dicembre 1986, n. 870.

 

La questione dei tempi di attesa era stata rappresentata dalla risoluzione n. 8-00079 approvata dalla Commissione IX (Trasporti) della Camera dei Deputati in materia.  Allo scopo di smaltire il cronico arretrato degli Uffici provinciali della Motorizzazione Civile, specie per quanto concerne gli esami di guida, la citata Risoluzione 8-00079 suggeriva tra l’altro di bandire nuovi concorsi, di accelerare le procedure di assunzione, di valutare l'opportunità di coinvolgere personale qualificato proveniente da altri settori, come ad esempio dalle Forze armate o dalle Forze di polizia impegnando il Governo a riferire sulle misure adottate.

Il problema della carenza di organico è emerso già nel dibattito parlamentare. Una memoria sulle criticità nell'erogazione dei servizi di motorizzazione ai cittadini e alle imprese, consegnata dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in occasione dell'audizione presso la Commissione IX della Camera dei Deputati svoltasi il 4 dicembre 2019, puntualizzava che negli ultimi vent'anni, per effetto di pensionamenti, spending review e mancato turn over, il personale del Ministero si è quasi dimezzato (a ottobre 2019 era di circa settemila unità) e la sua età media, risulta intorno ai 55 anni.

 

In materia di organizzazione del Ministero nonché di dotazione organica del suo personale, si veda il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 11 febbraio 2014, n. 72. Più di recente,  la legge 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di bilancio per il 2018), articolo 1, commi 565-567, al fine di svolgere le necessarie ed indifferibili attività in materia di sicurezza stradale di valutazione dei requisiti tecnici dei conducenti, di controlli sui veicoli e sulle attività di autotrasporto, e di fornire adeguati livelli di servizio ai cittadini e alle imprese, ha autorizzato il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ad assumere a tempo indeterminato, in deroga alla normativa vigente, per mezzo di concorsi pubblici, 200 unità di personale nel triennio 2018-2020 (80 unità nel 2018, 60 nel 2019 e 60 nel 2020), rimodulando contestualmente la dotazione organica delle aree. Successivamente, altre assunzioni straordinarie sono state previste dalla  legge 16 novembre 2018, n. 130 (che ha convertito il decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109) nella misura di 200 unità, e dalla legge 28 giugno 2019, n. 58 (di conversione del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34) per altre 100 unità. La citata memoria presentata dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti alla Commissione IX della Camera dei Deputati nel dicembre 2019 ha evidenziato altresì che, sempre per ovviare alle carenze di personale, si stava procedendo anche allo scorrimento delle graduatorie del Formez e di Enti locali (grazie ad apposite Convenzioni stipulate con questi ultimi).

In relazione alle difficoltà specificamente legate al Coronavirus, con decreto datato 20 maggio 2020 il Ministero ha emanato delle Linee guida per l'accesso ai servizi (sportello), operazioni tecniche sui veicoli ed esami di patente.

 

Il secondo comma dell'articolo 20-bis pone la clausola dell'invarianza finanziaria, prevedendo che le amministrazioni interessate provvederanno all'attuazione delle disposizioni in oggetto nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

 

 


 

Articolo 21
(Responsabilità erariale)

 

 

L'articolo 21, come modificato dal Senato, interviene in materia di responsabilità amministrativa-contabile. Oltre a prevedere che per la prova del dolo sia necessaria la dimostrazione della volontà dell'evento dannoso, la disposizione limita con riguardo ai fatti commessi dal 17 luglio 2020 al 31 dicembre 2021 la responsabilità per danno erariale conseguente ad azioni del soggetto agente al solo dolo. 

 

Più nel dettaglio la disposizione, al comma 1, modifica l'articolo 1 della legge n. 20 del 1994 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), rubricato "azione di responsabilità".

 

Il comma 1 dell'articolo 1 della legge n. 20 del 1994, nella formulazione vigente prima dell'entrata in vigore del decreto-legge in conversione, sancisce il carattere personale della responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica; limitando la responsabilità ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave, ferma restando l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali.

Il decreto-legge in conversione integra l'articolo 1, comma 1 della legge n. 20 del 1994, precisando che la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell'evento dannoso.

 

In proposito la relazione illustrativa precisa che finalità dell'intervento è quello di considerare “il dolo... riferito all’evento dannoso in chiave penalistica e non in chiave civilistica, come invece risulta da alcuni orientamenti della giurisprudenza contabile che hanno ritenuto raggiunta la prova del dolo inteso come dolo del singolo atto compiuto”.

La volontà del legislatore sembrerebbe quindi quella di escludere ipotesi di dolo che non siano conformi al dettato dell’art. 43 c.p., secondo il quale “Il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione… è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”.

Il dolo in chiave penalistica è quindi, costituito da due componenti:

In accezione civilistica, il dolo è elemento psicologico soggettivo del fatto illecito, disciplinato dall’articolo 2043 del Codice civile: “Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”, nel caso della responsabilità extracontrattuale; dall’articolo 1125, sempre del codice civile, nel caso dell’inadempimento di un’obbligazione: “Se l'inadempimento o il ritardo non dipende da dolo del debitore, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l'obbligazione”. Il codice civile non disegna, quindi, il dolo con elementi costitutivi specifici, quali quelli indicati dall’articolo 43 del codice penale, ma è comunque connesso all’intenzione del soggetto agente di ottenere un risultato in ogni caso illecito, per violazione del principio neminem laedere o per consapevole e voluto inadempimento contrattuale.

E' opportuno sottolineare come sulla scorta dei riflessi che il dolo è capace di proiettare sull’esito del giudizio ( si veda infra sul piano della solidarietà), parte della giurisprudenza contabile ha  ipotizzato addirittura una particolare declinazione della nozione di dolo (c.d. dolo erariale), in cui: “la consapevolezza e volontà dell’azione od dell’omissione contra legem ha riguardo alla violazione delle norme giuridiche che regolando l’esercizio delle funzioni amministrative ed alle sue conseguenze dannose per le risorse finanziarie pubbliche” (Corte dei conti, sez. III, app. 28 settembre 2004 n. 510). La giurisprudenza successiva, nel rinunciare formalmente all’istituzione di una ulteriore e distinta categoria di dolo, ha esplicitamente fatto riferimento in più pronunce proprio al dolo penalistico ex. art. 43 c.p. (Si vedano tra le altre Corte dei conti, sez. III, app. 28 settembre 2004 n. 510; Corte dei conti sez. I, app. 17/05/2010 n. 356). Come sottolinea la su ricordata relazione illustrativa si è affermato a livello giurisprudenziale anche un altro indirizzo che riconosce l'applicabilità nei giudizi di responsabilità amministrativa del dolo contrattuale o civilistico (si vedano Corte dei conti, sez. giur, Sardegna, sentenza n. 294/09, e Corte dei conti, sentenza n. 25271/2008).

 

Il comma 2 dell'articolo 21, come modificato dal Senato, limita, con riguardo ai fatti commessi dal 17 luglio 2020 (data di entrata in vigore del decreto-legge) al 31 dicembre 2021 (nel testo originario del decreto-legge la limitazione di responsabilità trovava applicazione con riguardo ai fatti commessi dal 17 luglio 2020 al 31 luglio 2020), la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l'azione di responsabilità, ai soli casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente sia stata compiuta con dolo.

Questa limitazione di responsabilità - precisa la disposizione - si applica ai danni cagionati dalle sole condotte attive, mentre nel caso di danni cagionati da omissione o inerzia il soggetto agente continuerà a risponderne sia a titolo di dolo, sia di colpa grave.

 

In proposito la relazione illustrativa precisava come la volontà del legislatore fosse quella di limitare la responsabilità "al solo profilo del dolo per le azioni e non anche per le omissioni, in modo che i pubblici dipendenti abbiano maggiori rischi di incorrere in responsabilità in caso di non fare (omissioni e inerzie) rispetto al fare, dove la responsabilità viene limitata al dolo la responsabilità al solo profilo del dolo".

 

Si tratta di una norma temporanea ed eccezionale che trova applicazione con riguardo solo ai fatti commessi in un determinato periodo di tempo e quindi che non trova applicazione con riguardo ai fatti commessi prima della entrata in vigore del decreto in conversione e pertanto nelle precedenti fasi della crisi epidemiologia.

 

Più in generale è opportuno ricordare che la responsabilità amministrativo-contabile, che condivide con la responsabilità penale - in via tendenziale- i caratteri della personalità e della intrasmissibilità agli eredi, sul piano generale, può definirsi come la "misura" prevista dall’ordinamento contro chi, legato da un rapporto di servizio con la P.A., arrechi un danno suscettibile di valutazione economica allo Stato o ad altro ente od organismo pubblico, con dolo o colpa grave, in violazione dei suoi doveri di servizio.

Gli elementi di specifica caratterizzazione di tale tipo di responsabilità sono:

·       il rapporto di servizio, che lega l’autore dell’illecito all’amministrazione pubblica che risente della sua negativa condotta;

·       l’evento lesivo, che si sostanzia in un danno patrimoniale (illegittimo sacrificio di un bene economico della P.A.) oppure nella violazione di un bene bene-valore fondamentale della contabilità pubblica;

·       lo stato soggettivo di dolo o almeno di colpa grave che ha sostenuto la condotta di chi ha agito, stante l’irrilevanza della semplice colpa.

 

L’illecito contabile, in particolare, per essere legittimamente imputabile al convenuto deve essergli riferibile a titolo di dolo o colpa grave, essendo irrilevante la mera colpa lieve (si veda Corte cost., sentenza 28 novembre 1998, n. 371), la quale può produrre conseguenze dal punto di vista del diritto civile ed amministrativo (e persino di quello penale ove il reato sia previsto come colposo), ma non di quello contabile civile (si veda fra le tante Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Umbria, sentenza n. 67 del 25 settembre 2019).

Sempre con riguardo specificamente ai titoli di imputazione soggettiva delle condotte (fatti e omissioni) secondo la giurisprudenza prevalente la colpa grave (generalizzata dall’art. 1, comma 1, legge 14 gennaio 1994, n. 20), da accertarsi (ex ante al tempo della condotta e non ex post) non in termini psicologici bensì normativi, consiste nell’errore professionale inescusabile dipendente da una violazione di legge, da intendersi in senso ampio, ovvero fondata su imperizia, negligenza e imprudenza  dovendo la stessa sempre essere riferibile ai compiti, mansioni, funzioni e poteri del convenuto, non potendo, invece, essere dedotta dalla mera posizione di vertice, a meno che questa non implichi la necessità di adottare atti specifici puntualmente indicati dalla Procura regionale (Si vedano fra le altre C. conti, sez. riun., 14 settembre 1982, n. 313; sez. riun., 26 maggio 1987, n. 532; sez. riun., 10 giugno 1997, n. 56; sez. riun., 8 maggio 1991, n. 711).

Con riguardo al dolo (vedi supra) esso consiste nella intenzionalità del comportamento produttivo dell’evento lesivo, vale a dire della consapevole volontà di arrecare un danno ingiusto all’Amministrazione (C. conti, sez. III, 20 febbraio 2004, n. 1447). Il dolo peraltro è un coefficiente soggettivo reale, e non normativo come la colpa grave, che necessita per il suo accertamento di una compiuta analisi delle concrete modalità della condotta posta in essere dal presunto responsabile, così come emergono dal complesso degli elementi di fatto acquisiti al processo e che connotano i parametri di rappresentazione e volizione della condotta stessa (C. dei Conti Sez. II App., 09 marzo 2016, n. 252).

E' opportuno sottolineare inoltre che l’imputazione del fatto a titolo di dolo, anziché di colpa grave, risulta decisivo al fine dell’insorgenza della solidarietà passiva nei casi in cui il fatto dannoso sia stato causato dall’azione di più persone, e dei relativi effetti in tema di atti interruttivi della prescrizione. In particolare il comma 1-quinquies dell'art. 1 della legge n. 20 del 1994 precisa che nel caso di fatto dannoso causato da più persone, i soli concorrenti che abbiano conseguito un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo sono responsabili solidalmente. La presenza del dolo è, tutt’altro che irrilevante, facendo venir meno, infatti, una fondamentale norma attenuatrice della responsabilità, quella dell’esclusione della solidarietà passiva, con i correlati effetti specie in tema di atti interruttivi della prescrizione” (Corte dei conti, sez. III, app. 28 settembre 2004 n. 510).

 

 


 

Articolo 22
(Controllo concomitante della Corte dei conti per accelerare gli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale)

 

 

L’articolo 22, comma 1, interviene sulla disciplina dei controlli concomitanti della Corte dei conti, ossia dei controlli che i giudici contabili effettuano sulle gestioni pubbliche statali in corso di svolgimento, introducendo una procedura speciale in caso di accertamento di gravi irregolarità gestionali, ovvero di rilevanti e ingiustificati ritardi nell'erogazione di contributi per la realizzazione dei “principali piani, programmi e progetti relativi agli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale”. In tali casi, il risultato dell’accertamento è immediatamente trasmesso all’amministrazione competente ai fini della responsabilità dirigenziale ai sensi e per gli effetti dell’articolo 21, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

Per l’effettuazione dei controlli, il Consiglio di presidenza della Corte dei conti provvede a individuare gli uffici competenti e ad adottare le misure organizzative conseguenti (comma 2).

 

L’art. 21 del D.Lgs. 165/2001, al comma 1, richiama il mancato raggiungimento degli obiettivi accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione ovvero l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente quali elementi che comportano, previa contestazione e ferma restando l'eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, l'impossibilità di rinnovo dell’incarico dirigenziale.

In relazione alla gravità dei casi, l'amministrazione può inoltre, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, revocare prima della scadenza l'incarico collocando il dirigente a disposizione dei ruoli delle amministrazioni dello Stato ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo.

Al di fuori di tali ipotesi, in caso di colpevole violazione del dovere di vigilanza sul rispetto, da parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard quantitativi e qualitativi fissati dall'amministrazione può essere disposta la decurtazione della retribuzione di risultato di una quota fino all'ottanta per cento (art. 21, comma 1-bis).

I provvedimenti sanzionatori di cui sopra (revoca o mancato rinnovo del contratto e decurtazione salariale), sono adottati sentito il parere del Comitato dei garanti reso entro il termine di 45 giorni dalla richiesta; decorso inutilmente tale termine si prescinde dal parere. Il Comitato è un organismo composto da un consigliere della Corte dei conti e da quattro componenti designati rispettivamente, uno dal Presidente della Commissione di in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, uno dal Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, e due scelti tra dirigenti di uffici dirigenziali generali di cui almeno uno appartenente agli Organismi indipendenti di valutazione (art. 22).

 

La disciplina generale sul controllo concomitante prevede un procedimento più articolato di quello introdotto dall’articolo in esame, consistente in una fase istruttoria da parte della Corte dei conti, anche in contradittorio con l’amministrazione, e la trasmissione di una comunicazione finale al Ministro competente per l’adozione dei provvedimenti conseguenti (vedi ultra).

Di seguito le altre differenze con la disciplina generale:

·       il controllo concomitante sui piani e programmi è effettuata anche a richiesta del Governo, oltre che delle competenti Commissioni parlamentari;

·       la decisione di effettuare il controllo di gestione attualmente è facoltativa, mentre dalla formulazione testuale sembrerebbe che la Corte dei conti sia obbligata al controllo introdotto dall’articolo in esame;

·       la diposizione in esame è finalizzata all’accertamento di gravi irregolarità gestionali e di rilevanti e ingiustificati ritardi nell'erogazione di contributi, relativi alla realizzazione di atti amministrativi (piani, programmi) mentre la disciplina generale sul controllo di gestione ha per oggetto anche le irregolarità riscontrate rispetto a provvedimenti di rango normativo, nazionali e comunitari, e a direttive del Governo;

·       l’oggetto del controllo è circoscritto ai principali piani/programmi relativi a interventi di sostegno e rilancio dell’economia nazionale. Andrebbe in proposito valutata l’opportunità di definire con maggiore determinatezza i piani e programmi oggetto del controllo.

 

 

L’introduzione dei controlli concomitanti è opera della legge n. 15 del 2009 (la c.d. legge “Brunetta”).

L’articolo 11 della legge 15 introduce una nuova forma di controllo, dando la facoltà alla Corte dei conti di effettuare controlli su gestioni pubbliche statali in corso di svolgimento (comma 2). Tale facoltà è estesa anche alle sezioni regionali della Corte medesima, per quanto riguarda le gestioni delle regioni e degli enti locali (comma 3).

Una conferma che si tratti di nuove funzioni viene implicitamente fornita dal comma 9 che reca uno stanziamento ad hoc (5 milioni) per consentire lo svolgimento di tali funzioni.

L’iniziativa di procedere al controllo spetta alla Corte dei conti, anche su richiesta delle competenti Commissioni parlamentari. Nel testo approvato dal Senato (art. 9) prevedeva anche l’iniziativa su richiesta del Consiglio dei ministri, che è stata soppressa nel corso dell’esame della Camera (A.C. 2031).

 

La riforma delle funzioni di controllo della Corte dei Conti realizzata dalla L. 20/1994 si è mossa nella direzione di ridurre i controlli preventivi di legittimità, valorizzando al contempo il controllo sull’attività e sulle gestioni come strumento per la verifica del rispetto dei principi di efficienza, di economicità e di efficacia.

Più in particolare, i tratti fondamentali del modello di controllo prefigurato dalla legge di riforma sono tre. In primo luogo, il controllo preventivo di legittimità è limitato e concentrato sugli atti fondamentali del Governo (e non più su tutti gli atti prodotti dall’amministrazione); in secondo luogo, viene potenziato e generalizzato a tutte le amministrazioni il controllo successivo sulla gestione, da svolgere sulla base di appositi programmi elaborati dalla Corte dei conti, che riferisce al Parlamento nazionale ed ai Consigli regionali sull’esito dei controlli eseguiti.

L’articolo 3, comma 4, prevede che la Corte svolga, anche in corso di esercizio, il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonché sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria, verificando la legittimità e la regolarità delle gestioni, nonché il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione. La Corte, poi, accerta, anche in base all’esito di altri controlli, la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell’azione amministrativa.

La Corte, inoltre, definisce ogni anno i programmi ed i criteri di riferimento del controllo di gestione sulla base delle priorità previamente deliberate dalle competenti Commissioni parlamentari. L’intervento del Parlamento nel procedimento di formazione del programma di controllo di gestione della Corte dei conti è stato introdotto successivamente ad opera della legge finanziaria per il 2007 (art. 1, co. 473).

Ai sensi del comma 6 dell’art. 3 della legge 20, la Corte dei conti riferisce, almeno annualmente, al Parlamento ed ai consigli regionali sull’esito dei controlli eseguiti.

 

L’innovazione apportata dalla introduzione dei controlli concomitanti riguarda sia l’oggetto del controllo, sia il suo contenuto.

Per quanto riguarda l’oggetto del controllo, mentre la normativa previgente prevedeva essenzialmente il controllo sulla gestione del bilancio e del patrimonio, la norma si riferisce più in generale a tutta l’attività gestoria delle amministrazioni pubbliche, anche quella che non ha ricadute immediate sul bilancio o sul patrimonio.

In relazione ai contenuti del controllo, il riferimento alle gestioni in corso di svolgimento fa presupporre che la Corte debba valutare l’adeguatezza della gestione in funzione degli obiettivi prestabiliti prima che questi si realizzino o che si compiano i termini stabiliti per la loro realizzazione. In altre parole alla Corte verrebbe affidato, oltre al controllo sui risultati finali della gestione, anche il controllo degli atti e delle attività predisposti dalle amministrazioni per il perseguimento degli obiettivi loro assegnati volti al conseguimento di quei risultati.

Inoltre, viene introdotta una dettagliata procedura relativa alle conseguenze della nuova forma di controllo.

La normativa previgente prevedeva come unici esiti del controllo di gestione il referto sui controlli eseguiti che la Corte invia annualmente al Parlamento, ai Consigli regionali e alle amministrazioni interessate e le osservazioni che sempre la Corte può inviare in ogni momento alle singole amministrazioni (art. 6, comma. 3, L. 20/1994 sopra citata).

L’esito del controllo in corso di gestione è diverso a seconda se le violazioni riscontrate riguardano obblighi posti da provvedimenti di rango normativo o di altro tipo (piani, programmi ecc.).

Una prima fattispecie considera i casi più gravi in cui le irregolarità sono tali da pregiudicare il conseguimento degli obiettivi previsti da norme nazionali o comunitarie o da direttive governative: in questi casi la Corte qualora accerti “gravi irregolarità gestionali” o “gravi deviazioni da obiettivi, procedure o tempi di attuazione” è tenuta ad individuarne le cause, anche in contraddittorio con l’amministrazione e provvede darne comunicazione al ministro competente. La comunicazione assume la forma di decreto del Presidente della Corte, emanato su proposta della sezione competente e opportunamente motivato.

Una volta raggiunto dalla comunicazione della Corte il ministro interessato può decidere di intervenire disponendo la sospensione dell’impegno di somme stanziate sui relativi capitoli di spesa. Il provvedimento di sospensione è adottato con decreto ministeriale che viene comunicato al Parlamento e alla presidenza della Corte dei conti.

Nulla viene previsto riguardo alla durata della sospensione, né alla destinazione delle somme eventualmente non impegnate.

La seconda fattispecie riguarda il riscontro di “rilevanti ritardi” nella realizzazione di piani e programmi, o nell’erogazione di contributi, o nel trasferimento di fondi. Anche in questi casi la procedura da seguire è analoga a quella prevista per le irregolarità riscontrate nell’attuazione di programmi previsti da provvedimenti normativi: individuazione delle cause in contraddittorio con l’amministrazione e comunicazione al ministro con decreto motivato del Presidente della Corte. Diversi sono invece gli esiti possibili. La proposta prevede due possibilità: il Ministro può adottare, entro 60 giorni (termine che può essere sospeso per il tempo necessario) i provvedimenti idonei a rimuovere gli impedimenti e, contemporaneamente, può decidere anche di sospendere il termine stesso; in alternativa il ministro può scegliere di non ottemperare ai rilievi sollevati dalla Corte e in tal caso è tenuto a comunicarne le ragioni al Parlamento e alla corte stessa.

Il comma 3 ha esteso la nuova forma di controllo in corso di gestione prevista per le amministrazioni statali, anche alle amministrazioni regionali e locali. La funzione di controllo spetta in questo caso alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, previo concerto con il Presidente della Corte. L’oggetto del controllo e le procedure sono analoghe a quelle viste sopra con la differenza che le funzioni del ministro competente si intendono attribuite ai “rispettivi organi di governo” e le comunicazioni non sono rese al Parlamento, bensì alle rispettive assemblee elettive (consigli regionali, provinciali e comunali).

 

Ai sensi del comma 2 dell’articolo in esame, il Consiglio di presidenza della Corte dei conti, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto in esame, provvede a individuare gli uffici competenti e ad adottare le misure organizzative per l’attuazione dei controlli previsti dal comma 1 senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e nell’ambito della vigente dotazione organica del personale amministrativo e della magistratura contabile.

 

Si ricorda che la Corte di conti è dotata di una ampia autonomia finanziaria e organizzativa, quale strumento di indipendenza dell’organo: la Corte stabilisce con proprio regolamento le norme relative all’organizzazione, il funzionamento, la struttura dei bilanci e la gestione delle spese (art. 4, comma 1, L. 20/1994). Inoltre, la Corte, in analogia con tutti gli organi costituzionali, provvede autonomamente alla gestione delle spese il cui stanziamento è iscritto in unico capitolo del bilancio dello Stato allocato nello stato di previsione del Ministero dell’economia. La Corte provvede a redigere il bilancio consuntivo e il rendiconto che trasmette ai Presidenti delle Camere ed è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.


 

Articolo 23
(Modifiche all’articolo 323 del codice penale)

 

 

L’articolo 23 modifica la disciplina del delitto di abuso di ufficio per circoscrivere l’ambito di applicazione della fattispecie. Per determinare l’illiceità della condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, nello svolgimento delle sue funzioni, viene infatti attribuita rilevanza non più alla violazione di norme di legge o di regolamento, bensì alla violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge, dalle quali non residuino margini di discrezionalità per il soggetto agente.

 

L’articolo 23, non modificato nel corso dell’esame in Senato, interviene sul codice penale (art. 323) per modificare la disciplina del delitto di abuso di ufficio, con riferimento all’elemento oggettivo della fattispecie, ossia alla tipologia di violazioni - da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle sue funzioni - che determina l’integrazione del delitto stesso.

 

 

Normativa vigente

D.L: n. 76 del 2020

Codice penale

Libro II – Dei delitti

Titolo II

Dei delitti contro la pubblica amministrazione

Identico

Capo I

Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione

Identico

(Omissis)

 

 

 

Articolo 323

 

Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni .

 

 

 

 

La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità .

Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

 

La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità .

 

 

Come è noto, la condotta delineata dall’art. 323 c.p. - nella formulazione vigente prima dell’entrata in vigore del decreto legge in esame - consiste nel compimento di un’azione, inerente alla funzione o al servizio svolto, posta in essere in violazione di leggi o regolamenti, oltre che nell’inosservanza di obblighi di astensione tipizzati dalla stessa fattispecie penale o da altre fonti normative.

Per la realizzazione del delitto la norma richiede inoltre la configurazione di due eventi alternativi: un ingiusto vantaggio patrimoniale, che il pubblico agente procura a sé o ad altri, oppure un danno ingiusto arrecato a qualcuno. È inoltre necessario che l’autore si rappresenti e voglia la condotta e gli eventi sopracitati nella forma del dolo intenzionale.

Con le modifiche apportate dal decreto legge, l’ambito oggettivo di applicazione della fattispecie è circoscritto in quanto:

·       non sono più sanzionati sul piano penale comportamenti in trasgressione di misure regolamentari, ma solo di “specifiche regole di condotta” previste da norma di rango primario (legge o atto avente forza di legge)

·       ulteriore condizione per la configurazione del delitto è che le regole di condotta violate non contemplino margini di discrezionalità in sede applicativa.

 

Vincolando l’abuso penalmente rilevante alla violazione di specifiche ed espresse regole di condotta la riforma mira dunque a ridurre l’area applicativa dell’incriminazione, escludendo che la violazione di principi generali possa integrare il delitto. Inoltre non integrerà l’abuso d’ufficio penalmente rilevante la violazione di una specifica ed espressa regola di condotta, caratterizzata però da margini di discrezionalità.

In proposito la relazione illustrativa precisa che finalità dell'intervento è quello di “definire in maniera più compiuta la condotta rilevante ai fini del reato di abuso di ufficio”.

Come è noto, la fattispecie dell’abuso d’ufficio è stata riformulata con la legge 16 luglio 1997, n. 234, con l’intento, da un lato, di ovviare alla genericità della figura previgente (che faceva riferimento al pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che “abusa del suo ufficio”) dall’altro lato al fine di limitare il più possibile la facoltà del giudice penale di introdursi con il suo sindacato nei settori riservati istituzionalmente all’attività discrezionale della pubblica amministrazione.

Le prime decisioni della Cassazione, successive alla riforma dell’art. 323 c.p., hanno ritenuto che il delitto in questione non potesse configurarsi se non in presenza di una violazione di norma di legge o di regolamento (ovvero di una omissione del dovere di astenersi ricorrendo un interesse proprio dell'agente o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti). E ciò perché è «stata espunta dall'area della rilevanza penale ogni ipotesi di abuso di poteri o di funzioni non concretantesi nella formale violazione di norme legislative o regolamentari o del dovere di astensione»; tanto che, si concludeva, «non è più consentito al giudice penale entrare nell'ambito della discrezionalità amministrativa, che il legislatore ha ritenuto, anche per esigenze di certezza del precetto penale, di sottrarre a tale sindacato» (così Cass. pen., Sez. VI, sent. 10 novembre 1997, n. 1163). Altre pronunce immediatamente successive alla riforma si erano invece occupate di definire più precisamente la nozione di violazione di norme di legge o di regolamento. A questo riguardo si affermava che, da un lato, è necessario che «la norma violata non sia genericamente strumentale alla regolarità dell’attività amministrativa, ma vieti puntualmente il comportamento sostanziale del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio». Dall’altro lato, si richiedeva che «l’agente violi leggi e regolamenti che di questi atti abbiano i caratteri formali ed il regime giuridico, non essendo sufficiente un qualunque contenuto materialmente normativo della disposizione trasgredita» (Cass. pen., Sez. II, sent. 4 dicembre 1997, n. 877).

È noto tuttavia che nella definizione della legittimità oggettiva della condotta ossia della relazione intercorrente tra illiceità penale e discrezionalità amministrativa, la giurisprudenza sia, in modo sempre più frequente, passata dal controllo di legalità oggettivo, fondato cioè sulla formale difformità dell’atto dai presupposti di ordinamento, ad un accertamento di carattere “soggettivo”, basato sui motivi che avrebbero guidato l’agente pubblico nella propria attività funzionale.

La Corte di cassazione ha infatti ammesso che il vaglio del giudice penale possa riguardare anche il profilo finalistico e che, pertanto, sia da ricondurre alla locuzione “violazione di legge” anche lo sviamento dal fine. Dunque l’abuso d'ufficio sarebbe configurabile, non solo quando la condotta si pone in contrasto con una norma di legge o di regolamento, ma anche quando la stessa contraddica lo specifico fine perseguito dalla norma, concretandosi così in uno svolgimento della funzione o del servizio che oltrepassa ogni possibile scelta discrezionale attribuita al pubblico ufficiale per realizzare tale fine (Cass. pen., Sez. V, sent. 16 giugno 2010, n. 35501).

L’espressione “violazione di norme di legge o di regolamento” comprenderebbe allora anche quelle condotte, che sono formalmente legittime, ma tuttavia sono dirette alla realizzazione di un interesse confliggente con quello per il quale il potere è conferito. ( Cass. pen., Sez. Un., sent. 29 settembre 2011, n. 155), ed in particolare: «ai fini della configurabilità del reato di abuso d'ufficio, sussiste il requisito della violazione di legge non solo quando la condotta del pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che regolano l'esercizio del potere, ma anche quando la stessa risulti orientata alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito, realizzandosi in tale ipotesi il vizio dello sviamento di potere, che integra la violazione di legge poiché lo stesso non viene esercitato secondo lo schema normativo che ne legittima l'attribuzione». Le Sezioni unite considerano quindi in senso “estensivo” l’elemento di fattispecie delittuosa assumendolo integrato non solo rispetto all’ ipotesi di violazione di una specifica violazione di legge, ma anche nel caso in cui sia accertato che la condotta sia stata diretta «alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è conferito». Con riguardo all’interesse perseguito dal pubblico agente secondo le SU dovrebbe risultare in contrasto con lo scopo della legge attributiva del potere: la condotta viene considerata rilevante nell’unico caso in cui sia indirizzata alla “sola” realizzazione di un interesse privatistico. Nello stesso senso C.,Sez. VI Sent., 13/04/2018, n. 19519, che specifica che la violazione di legge cui fa riferimento l'art. 323 c.p. riguarda non solo la condotta del pubblico ufficiale in contrasto con le norme che regolano l'esercizio del potere, ma anche quelle che siano dirette alla realizzazione di un interesse collidente con quello per quale il potere è conferito, ponendo in essere un vero e proprio sviamento della funzione.

Vi sono inoltre decisioni che hanno attribuito al principio di imparzialità ex art. 97 Cost. una valenza prescrittiva, dalla quale ricavare vere e proprie regole di comportamento, deducendo quindi l’idoneità di tale principio ad integrare il concetto di violazione di norme di legge di cui all’art. 323 c.p. ( Cass. pen., Sez. VI, sent. 12 febbraio 2011, n. 27453 dove si legge che «in tema di abuso d'ufficio, il requisito della violazione di norme di legge può essere integrato anche solo dall'inosservanza del principio costituzionale di imparzialità della p.a., per la parte in cui esprime il divieto di ingiustificate preferenze o di favoritismi che impone al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio una precisa regola di comportamento di immediata applicazione». (Nello stesso senso anche: C., Sez. II, sent. 10 giugno 2008, n. 35048; C., Sez. VI Sent., 12.06.2018, n. 49549; C., Sez. VI, 17.2.2011, n. 27453; C., Sez. VI, 20.1.2009, n. 9862; C., Sez. II, 10.6.2008, n. 35048; C., Sez. VI, 12.2.2008, n. 25162).

Ancora, il requisito della violazione di legge è stato riconosciuto  (C. Sez. VI Sent., 11/12/2018, n. 1742) nel caso dell'adozione di un atto formalmente qualificato come di indirizzo politico, ma in concreto avente un contenuto dettagliato e specifico, direttamente eseguibile da parte dei funzionari amministrativi (si trattava di una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile il reato di abuso d'ufficio in relazione ad una delibera di giunta comunale, avente natura di atto endoprocedimentale, con la quale illegittimamente si autorizzava il conferimento di un incarico esterno per lo svolgimento di servizi dell'ente, indicandosi che la selezione avvenisse sulla base di requisiti professionali predeterminati in modo da garantirne il conferimento al soggetto che si intendeva favorire).

Tuttavia si segnala che la Suprema corte (Cass. pen. Sez. V Sent. 13/11/2019, n. 49485) ha, recentemente, ritenuto riscontrabile la violazione di legge in tutte le ipotesi di contrasto tra il provvedimento e le disposizioni normative contenute in fonti di rango primario o secondario che definiscono i profili vincolati, formali o sostanziali, del potere e non, invece, l'eccesso di potere, sotto forma dello sviamento, che ricorre quando, nei provvedimenti discrezionali, il potere viene esercitato per un fine diverso da quello per cui è attribuito.


 

Articolo 23-bis
(Adeguamento dei Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti alle previsioni in materia di amministrazione digitale)

 

 

L'articolo 23-bis (inserito nel corso dell'esame presso il Senato) prevede che i Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti si adeguino alle previsioni in materia di cittadinanza digitale e di accesso ai servizi digitali, recate dal capo I del titolo III del provvedimento in esame, a partire dalla data di cessazione dello stato di emergenza connesso al rischio sanitario da Covid-19, fissata con deliberazione del Consiglio dei Ministri del 29 luglio 2020 (che ha prorogato lo stato di emergenza fino al 15 ottobre 2020).

 

Per i Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, l'articolo in commento individua, quale data di inizio del processo di adeguamento alle previsioni relative al sostegno e alla diffusione dell'amministrazione digitale, la data di cessazione dello stato di emergenza connesso al rischio sanitario da Covid-19 fissata con deliberazione del Consiglio dei Ministri del 29 luglio 2020.

Nello stabilire che l'adeguamento all'amministrazione digitale, per i Comuni in questione, prenda avvio con la cessazione dello stato di emergenza, la disposizione in esame tiene conto delle difficoltà di ordine tecnico infrastrutturale e delle ricadute sull'organizzazione del lavoro conseguenti all'emergenza sanitaria e alle misure adottate per contenere i rischi ad essa connessi.

L'adeguamento all'amministrazione digitale da parte dei Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti è finalizzato a introdurre misure di semplificazione procedimentale volte a snellire gli iter e a eliminare le sovrapposizioni burocratiche.

 

In relazione alla locuzione utilizzata nell'articolo: "alle previsioni del presente capo per il sostegno e la diffusione dell'amministrazione digitale", si precisa che il titolo III del decreto-legge reca "Misure di semplificazione per il sostegno e la diffusione dell'amministrazione digitale".

Nell'ambito del titolo III, il capo I (articoli da 24 a 30) reca disposizioni in materia di cittadinanza digitale e accesso ai servizi digitali della pubblica amministrazione.

 

Con deliberazione del Consiglio dei ministri del 29 luglio 2020 (adottata ai sensi del codice della protezione civile di cui al decreto legislativo n. 1 del 2018) lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili è stato prorogato fino al 15 ottobre 2020.

Ai fini della disposizione in commento, il 16 ottobre 2020 costituisce, pertanto, la data a decorrere dalla quale i Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti sono tenuti a dare inizio al processo di adeguamento alle previsioni in materia di amministrazione digitale.

Al riguardo, si ricorda che - con riferimento all'accesso telematico ai servizi della pubblica amministrazione, di cui all'articolo 64-bis del Codice dell'amministrazione digitale (decreto legislativo n 82 del 2005), novellato dall'articolo 24 del decreto-legge n. 76 - si prevede che le pubbliche amministrazioni (di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001), al fine di dare attuazione al medesimo articolo 64-bis, avviino i relativi progetti di trasformazione digitale entro il 28 febbraio 2021 (comma 1-quater, inserito nell'articolo 64-bis dall'art. 24, comma 1, lett. f), n. 2), del decreto-legge in esame).


 

Articolo 24
(Identità digitale, domicilio digitale, accesso ai servizi digitali)

 

 

L'articolo 24 reca un insieme molteplice di disposizioni, su più materie e profili come: l'estensione dell'ambito del diritto di accesso digitale; il domicilio digitale (per il caso di sua inattività o non disponibilità per l'utente, e in tali casi le comunicazioni circa la copia analogica dei documenti); gli indici nazionali dei domicili digitali, altresì con previsione di un divieto di comunicazioni commerciali, se sprovviste di autorizzazione del titolare del domicilio digitale lì raccolto; sistema pubblico di identità digitale (SPID) e carta d'identità elettronica; identità digitale, quanto a verifica ed effetti; gestori dell'identità digitale accreditati.

Prevede che le amministrazioni pubbliche dal 28 febbraio 2021 utilizzino esclusivamente le identità digitali e la carta di identità elettronica, ai fini dell'identificazione dei cittadini che accedano ai propri servizi in rete.

Inoltre, le pubbliche amministrazioni hanno l'obbligo di rendere fruibili i propri servizi in rete tramite applicazione su dispositivi mobili attraverso il punto di accesso telematico (il riferimento è all'applicazione IO). A tale fine, le amministrazioni sono tenute ad avviare i correlativi progetti di trasformazione digitale - onde attuare la fruibilità dei loro servizi su dispositivi mobili - entro il 28 febbraio 2021.

Medesimo termine è prescelto quale momento di decorrenza (così differito rispetto a quello previgente) dell'obbligo per i prestatori di servizi di pagamento abilitati di utilizzare esclusivamente la piattaforma PagoPA, per i pagamenti verso le pubbliche amministrazioni.

E ancora da quel termine (28 febbraio 2021) è posto per le amministrazioni il divieto di rilasciare o rinnovare credenziali per l'identificazione e l'accesso dei cittadini ai propri servizi in rete, diverse da SPID, carta d'identità elettronica o carta nazionale dei servizi.

Infine, viene posta specifica previsione circa il rinnovo anticipato per le carte d'identità elettroniche.

 

Con questo articolo si apre il titolo III del decreto-legge, mirante al sostegno e alla diffusione dell'amministrazione digitale - e di questo il capo I, che tratta di cittadinanza digitale ed accesso ai servizi digitali della pubblica amministrazione.

Le disposizioni sono redatte, in ampia misura, come novelle al decreto legislativo n. 82 del 2005 recante il Codice dell'amministrazione digitale.

È inciso, di questo, intanto l'articolo 3-bis, relativo all'identità digitale e al domicilio digitale.

Il suo comma 01 tratta del diritto di accedere ai servizi in rete della pubblica amministrazione, da parte di cittadini e imprese.

Nel dettato previgente rispetto al decreto-legge, si faceva riferimento ai servizi resi dalle amministrazioni pubbliche e dai gestori di servizi pubblici (mediante rinvio all'articolo 2, comma 2, lettere a) e b) del Codice).

Ora tale rinvio viene soppresso, talché implicitamente vengono ricompresi i servizi resi anche dalle società a controllo pubblico (se non quotate in borsa), ossia i soggetti di cui all'articolo, comma 2, lettera c) del Codice.

Ancora l'articolo 3-bis nel testo previgente menzionava un diritto di accesso digitale dell'utente, mediante la sua identità digitale.

La novella aggiunge la menzione altresì del punto di accesso telematico ai servizi della pubblica amministrazione (di cui all'articolo 64-bis del Codice).

Si tratta, in altri termini, dell'applicazione IO, che consente di accedere anche da smartphone a comunicazioni delle pubbliche amministrazioni e di effettuar loro pagamenti con tale modalità.

In breve, per questa parte la rivisitazione dell'articolo 3-bis porta ad estendere il raggio d'azione del diritto di accesso digitale lì formulato.

 

Sono novellati anche altri commi, di quel medesimo articolo 3-bis del Codice.

Questo prevede - per le amministrazioni pubbliche tutte, per i professionisti tenuti all'iscrizione in albi ed elenchi, per i soggetti tenuti all'iscrizione nel registro delle imprese - l'obbligo di dotarsi di un domicilio digitale.

Chiunque ha facoltà di eleggere il proprio domicilio digitale, da iscrivere in un indice nazionale che ne serbi l'elenco.

E un cittadino privato (il quale non sia professionista iscritto in un albo né imprenditore iscritto nel registro delle imprese) ha facoltà di richiedere la cancellazione del proprio domicilio digitale dall'elenco che costituisce l'indice nazionale dei domicili digitali (delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato). Così il comma 1-bis del citato articolo 3-bis, quale previgente.

Ebbene, la novella sostituisce, a quest'ultima previsione, altra, volta a disciplinare il caso di domicilio digitale non più attivo.

Essa dispone che si proceda alla cancellazione d'ufficio (dall'indice-elenco) del domicilio digitale inattivo, secondo modalità fissate in Linee guida stabilite dall'Agenzia per l'Italia digitale (AgID).

Le medesime Linee guida definiscono le modalità di gestione e di aggiornamento dell'indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato diversi da professionisti o imprenditori, anche nei casi di decesso del titolare del domicilio digitale eletto o di impossibilità sopravvenuta di avvalersi del domicilio. Così la novella al comma 1-quater (il quale tratta dell'obbligo di fare un uso diligente del proprio domicilio digitale).

Ancora dell'articolo 3-bis del Codice, è novellato il comma 3-bis, il quale demanda a decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato preposto alla materia (sentiti l'AgID e il Garante per la protezione dei dati personali e acquisito il parere della Conferenza unificata) di stabilire la data a decorrere dalla quale avvengano esclusivamente in forma elettronica le comunicazioni tra le pubbliche amministrazioni e coloro che non abbiano provveduto a eleggere un domicilio digitale.

Con lo stesso decreto sono determinate le modalità con le quali ai predetti soggetti possa essere reso disponibile un domicilio digitale. E sono individuate altre modalità con le quali, per superare il divario digitale, i documenti possano essere consegnati a coloro che non abbiano accesso ad un domicilio digitale.

La novella incide su questa 'clausola di garanzia' per i non domiciliati digitali, sì da ricomprendervi (oltre alla consegna) anche la messa a disposizione dei documenti.

In tale ambito muove anche la modifica del comma 4-bis (ancora entro l'articolo 3-bis del Codice).

Esso prevede che fino alla data da cui è stabilito decorra l'esclusività in forma elettronica delle comunicazioni tra le pubbliche amministrazioni e i non domiciliati digitali, le amministrazioni pubbliche possano predispor loro comunicazioni come documenti informatici sottoscritti con firma digitale o firma elettronica qualificata o avanzata, da conservare nei propri archivi, ed inviar loro, per posta ordinaria o raccomandata con avviso di ricevimento, copia analogica di tali documenti (sottoscritti con firma autografa sostituita a mezzo stampa, predisposta secondo le disposizioni di cui al decreto legislativo n. 39 del 1993 - "Norme in materia di sistemi informativi automatizzati delle amministrazioni pubbliche" - all'articolo 3, che prescrive l'indicazione della fonte e del soggetto responsabile).

Rispetto a tale previgente dettato, la novella reca una duplice modificazione.

Da un lato, estende l'ambito di applicazione della 'clausola di garanzia' al caso - oltre che di assenza di domicilio digitale, come già previsto - di sua non attività, non funzionamento o non raggiungibilità.

Dall'altro, amplia lo spettro della comunicazione ai cittadini non raggiungibili su domicilio digitale, prevedendo - oltre all'invio di copia analogica, come già previsto - la trasmissione di un avviso con le indicazioni delle modalità con le quali i documenti informatici siano messi a disposizione e consegnati al destinatario.

Infine la novella al comma 4-quinquies (ancora dell'articolo 3-bis) mira a rendere solo transitoria - fino all’adozione delle Linee guida dell'AgID sulle modalità di elezione del domicilio digitale nonché la realizzazione dell'indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato, non tenuti all'iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese - la facoltà di elezione di un domicilio speciale, diverso da quello digitale prescelto.

Si ricorda al riguardo che l'articolo 3-bis, comma 4-quinquies prevede che il domicilio speciale per determinati atti o affari (ai sensi dell'articolo 47 del Codice civile) possa essere eletto anche presso un domicilio digitale diverso da quello di cui al comma 1-ter (di cui si è fin qui discorso). In tal caso, ferma restando la validità ai fini delle comunicazioni elettroniche aventi valore legale, colui che lo abbia eletto non può opporre eccezioni relative alla forma e alla data della spedizione e del ricevimento delle comunicazioni o notificazioni ivi indirizzate.

 

Altra novella incide sull'articolo 6-bis del Codice, sì da ricomprendere nell'indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti anche i domicili digitali dei professionisti diversi da quelli (cui l'articolo 6-bis circoscrive l'indice) presenti presso il registro delle imprese o gli ordini e collegi professionali.

L'inclusione ora consentita permane condizionata al fatto che siano domicili comunque iscritti in elenchi o registri detenuti dalle pubbliche amministrazioni e istituiti con legge dello Stato.

Correlativamente si viene a prevedere che anche le pubbliche amministrazioni (al pari degli ordini e collegi professionali) debbano comunicare all'indice nazionale gli indirizzi di propria competenza, relativi ai professionisti.

La relazione del disegno di legge di conversione specifica come la nuova disposizione possa valere, ad esempio, per i professionisti abilitati all'assistenza tecnica innanzi alle Commissioni tributarie, i quali non sono iscritti in albi o elenchi tenuti da ordini o collegi professionali (talché, in assenza della nuova previsione, essi dovrebbero eleggere un domicilio digitale nell'elenco, altro, delle persone fisiche).

L'elenco di tali soggetti è tenuto, si ricorda, dal Dipartimento delle finanze, Direzione della giustizia tributaria, del Ministero dell'economia e delle finanze (ed i requisiti di iscrizione sono oggetto del regolamento di quel dicastero, decreto ministeriale 5 agosto 2019, n. 106).

 

Le novelle incidenti sull'articolo 6-quater del Codice - e dunque relative all'indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato, non tenuti all'iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese - inseriscono nell'intestazione dell'articolo i professionisti, non tenuti ad iscriversi in albi o - come si aggiunge - in elenchi o registri.

Ferma la loro 'confluenza' comunque entro tale indice nazionale, la facoltà di eleggere un domicilio digitale professionale e un domicilio digitale personale diversi tra loro, è fatta salva - per il professionista non iscritto in albi, registri o elenchi professionali. 

 

Altresì modificato è l'articolo 6-quinquies del Codice.

Esso prevede che la consultazione on line dell'indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti, dell'indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi, dell'indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche, sia consentita a chiunque senza necessità di autenticazione (e gli elenchi sono realizzati in formato aperto).

Dispone però - al comma 3, nel testo previgente - che in assenza di preventiva autorizzazione del titolare dell'indirizzo, sia vietato l'utilizzo dei domicili digitali "per finalità diverse dall'invio di comunicazioni aventi valore legale o comunque connesse al conseguimento di finalità istituzionali" delle pubbliche amministrazioni.

Tale formulazione è sostituita ora da altra, intesa a scandire il divieto (in assenza dell'autorizzazione del titolare del domicilio digitale) di invio di comunicazioni commerciali.

La previsione, volta a contrastare il fenomeno dell'invio di comunicazioni indesiderate, assume così come suo 'target' le comunicazioni commerciali, disponendo in modo tale che il divieto dell'uso del domicilio digitale senza il preventivo consenso del destinatario si riferisca a qualsivoglia mittente.

Il divieto attiene appunto all'invio, senza il consenso dei destinatari, di comunicazioni commerciali ossia di tutte le forme di comunicazione destinate, in modo diretto o indiretto, a promuovere beni, servizi o l'immagine di un'impresa, di un'organizzazione o di un soggetto che eserciti un'attività agricola, commerciale, industriale, artigianale o una libera professione.

Tale è la definizione che delle comunicazioni commerciali dà l'articolo 2, comma 1, lettera f), del decreto legislativo n. 70 del 2003 ("Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico").

In materia valgono beninteso le disposizioni di tutela altresì presenti nel Codice della privacy (decreto legislativo n. 196 del 2003: cfr. suoi articoli 23-24 e 130) e in taluni casi nel Codice del consumo (decreto legislativo n. 206 del 2005: cfr. suo articolo 26).

Le sanzioni avverso comunicazioni commerciali non sollecitate sono disciplinate dal medesimo decreto legislativo n. 70 del 2003 (all'articolo 21) nonché, a livello di fonti dell'Unione europea, dal Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati n. 2016/679.

 

Altro articolo del Codice dell'amministrazione digitale inciso da una serie di novelle è l'articolo 64, avente ad oggetto il cd. SPID (Sistema pubblico per la gestione delle identità digitali e modalità di accesso ai servizi erogati in rete dalle pubbliche amministrazioni).

Il sistema SPID è costituito come insieme aperto di soggetti pubblici e privati che, previo accreditamento da parte dell'AgID, identificano gli utenti per consentire loro l'accesso ai servizi in rete - nonché per consentire loro il compimento di attività, viene a prevedere una prima novella.

L'accesso ai servizi in rete erogati dalle pubbliche amministrazioni che richiedono identificazione informatica, avviene tramite SPID - nonché tramite carta d'identità elettronica, aggiunge altra novella, tesa dunque a valorizzare quest'ultimo strumento digitale.

È altresì riconosciuta ai soggetti privati la facoltà di avvalersi del sistema SPID per la gestione dell'identità digitale dei propri utenti - nonché la facoltà di avvalersi della carta d'identità elettronica, aggiunge ulteriore novella.

L'adesione al sistema SPID per la verifica dell'accesso ai propri servizi erogati in rete per i quali sia richiesto il riconoscimento dell'utente, esonera i soggetti privati da un obbligo generale di sorveglianza delle attività sui propri siti. Medesimo effetto esonerante - aggiunge altra novella - ha l'utilizzo della carta elettronica digitale.

Sono tutte novelle tese ad equiparare allo SPID la carta d'identità elettronica, distogliendola dalla 'residualità' in cui, in qualche sorta, la poneva la previsione del comma 2-nonies di questo medesimo articolo 64 del Codice, il quale viene infatti novellato, onde espungervi la menzione della carta d'identità elettronica. Talché nella nuova stesura esso prevede che l'accesso ai servizi in rete erogati dalle pubbliche amministrazioni che richiedano identificazione informatica "può avvenire anche" con la carta nazionale dei servizi.  Si intende che gli strumenti principe di accesso siano, e con pari valenza, lo SPID o la carta d'identità elettronica.

Altra novella, consegnata ad un aggiuntivo comma 2-undecies ancora di questo articolo 64 del Codice, concerne i gestori dell'identità digitale accreditati.

O più esattamente, concerne la loro iscrizione in un apposito elenco pubblico - che si viene ora a prevedere con norma espressa.

Tale elenco è tenuto da AgID e consultabile anche in via telematica.

Un novello comma 2-duodecies concerne l'identità digitale, per un duplice profilo: suoi effetti, se verificata; suo contenuto, quanto ad elementi attestati.

La verifica dell'identità digitale deve avvenire con livello di garanzia almeno "significativo" (secondo la previsione dell'articolo 8, paragrafo 2, del Regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento e del Consiglio europeo del 23 luglio 2014, in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari nelle transazioni elettroniche nel mercato interno; in quell'articolo 8 si 'graduano' i livelli di garanzia in basso, significativo, elevato).

Ebbene, se così verificata, l'identità digitale produce, nelle transazioni elettroniche o per l’accesso ai servizi in rete, gli effetti del documento di riconoscimento equipollente.

È l'articolo 35 ("Documenti di identità e di riconoscimento") del d.P.R. n. 445 del 2000 ("Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa") a prevedere che in tutti i casi in cui sia richiesto un documento di identità, esso può sempre essere sostituito dal documento di riconoscimento equipollente. E sono equipollenti alla carta di identità: il passaporto, la patente di guida, la patente nautica, il libretto di pensione, il patentino di abilitazione alla conduzione di impianti termici, il porto d'armi, le tessere di riconoscimento (purché munite di fotografia e di timbro o di altra segnatura equivalente), rilasciate da un'amministrazione dello Stato.

In tale trama di equipollenze si inserisce la identità digitale (purché verificata con livello di garanzia almeno significativo). L'intento della previsione è una contrazione di oneri amministrativi per gli utenti, finora chiamati, sovente, a trasmettere copia del documento d'identità nell'accedere a servizi in rete della pubblica amministrazione.

Quanto al profilo 'contenutistico', l'identità digitale - prosegue la novella - 

attesta gli attributi qualificati dell'utente, ivi compresi i dati relativi al possesso di abilitazioni o autorizzazioni richieste dalla legge ovvero stati, qualità personali e fatti contenuti in albi, elenchi o registri pubblici o comunque accertati da soggetti titolari di funzioni pubbliche.

Ulteriori modalità applicative sono demandate a Linee guida approntate da AgID.

 

Assai rilevante, per l'impatto quanto a conseguenze 'pratiche' per gli utenti, è la novella incidente sul comma 3-bis ancora di questo articolo 64 del Codice.

Essa prevede che le amministrazioni pubbliche (quelle enumerate dall'articolo 2, comma 2, lettera a) del Codice) dal 28 febbraio 2021 utilizzino esclusivamente le identità digitali e la carta di identità elettronica, ai fini dell'identificazione dei cittadini che accedano ai propri servizi on-line.

Quanto alla data a decorrere dalla quale quelle medesime amministrazioni utilizzino esclusivamente quegli strumenti per l'accesso ai propri servizi da parte delle imprese e dei professionisti, la sua determinazione è demandata a decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione.

Con la medesima tipologia di atto è previsto sia determinata altresì la data di decorrenza dell'utilizzo esclusivo di quegli strumenti (si è ricordato, identità digitali e carta d'identità elettronica) per l'accesso ai servizi resi da: gestori di servizi pubblici; società a controllo pubblico (ossia i soggetti enumerati dall'articolo 2, comma 2, lettere rispettivamente b) e c) del Codice).

 

Le novelle che incidono sull'articolo 64-bis - relativo all'accesso telematico ai servizi della pubblica amministrazione - del Codice di fatto concernono la applicazione Io, già sopra ricordata.

Si viene a prevedere (mediante l'introduzione di un novello comma 1-ter) che le amministrazioni pubbliche (i soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, lettera a) del Codice: dunque non anche i gestori di servizi pubblici o le società a controllo pubblico, di cui alle lettere b) e c) di quel medesimo comma 2) abbiano l'obbligo di rendere fruibili i propri servizi in rete tramite applicazione su dispositivi mobili anche attraverso il punto di accesso telematico.

Possono esentare da tale obbligo solo impedimenti di natura tecnologica, i quali debbono essere attestati dalla società di cui all’articolo 8, comma 2 del decreto-legge n. 135 del 2018.

Si tratta della società gestrice della piattaforma tecnologica per l'interconnessione per i pagamenti elettronici, la quale ha assunto il nome "PagoPA".

Essa è una delle infrastrutture abilitanti previste dal Piano Triennale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione (altre sono: Sistema Pubblico di Identità Digitale; Carta d'Identità Elettronica; Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente); è mirata a che cittadini ed imprese effettuino i pagamenti verso pubbliche amministrazioni e gestori di servizi di pubblica utilità, tramite un sistema unitario ed avvalendosi del maggior numero possibile di canali di pagamento (non configura un mero sistema di pagamenti on line, potendo integrare al suo interno modalità tradizionali di pagamento attraverso un canale unico per la condivisione di modalità di incasso, rendicontazione e gestione delle ricevute).

Le amministrazioni pubbliche (quelle sopra ricordate) hanno dunque l'obbligo di rendere fruibili tutti i loro servizi anche in modalità digitale - e salvo impedimenti, tale fruibilità deve essere pertanto assicurata mediante la applicazione su dispositivi mobili.

Le amministrazioni hanno obbligo di "avviare" i progetti di trasformazione digitale, onde attuare la fruibilità dei loro servizi su dispositivi mobili, entro il 28 febbraio 2021.

La violazione delle disposizioni così dettate comporta una valutazione negativa della performance dirigenziale (non già responsabilità dirigenziale e disciplinare ai sensi degli articoli 21 e 55 del decreto legislativo n. 165 del 2001), con la conseguente 'sanzione' di una riduzione non inferiore al 30 per cento della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale.

Si aggiunge il divieto di attribuire premi o incentivi nelle medesime strutture.  

Si tratta di previsione 'sanzionatoria', analoga a quella che si avrà modo di reperire in altre disposizioni del decreto-legge miranti a dare impulso alla digitalizzazione della pubblica amministrazione (cfr. infra gli articoli 32, 33 e 34)

           

In correlazione alle modifiche sopra sunteggiate, le novelle incidenti sull'articolo 65 del Codice sono di coordinamento, là dove scandiscono che la validità di istanze e dichiarazioni presentate alle pubbliche amministrazioni in via telematica sia comunque riconosciuta, se tale presentazione avvenga mediante:

-        lo SPID;

-        la carta d'identità elettronica;

-        la carta nazionale dei servizi;

-        l'applicazione IO (dunque mediante il punto di accesso telematico per dispositivi mobili, cui si è fatto cenno a proposito dell'articolo 64-bis del Codice).

Permane immutata la previsione che le istanze e dichiarazioni possano essere altresì sottoscritte e presentate unitamente alla copia del documento d'identità (benché su tale disposizione siano destinate ad 'impattare' le novelle all'articolo 64 del Codice, sopra ricordate).

E permane la previsione che sottoscrizione e presentazione di istanze e dichiarazioni siano valide altresì se effettuate dal proprio domicilio digitale - che novella di coordinamento prevede sia iscritto in uno degli elenchi di cui all’articolo 6-bis, 6-ter o 6-quater del Codice (come si è innanzi ricordato, sono: l'indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti; l'indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi; l'indice nazionale di persone fisiche o professionisti o enti di diritto privato, non tenuti all'iscrizioni in albi o elenchi professionali né nel registro delle imprese).

La novella disciplina del pari il caso di assenza di un domicilio digitale iscritto in uno degli elenchi.

Vale allora la comunicazione da un indirizzo elettronico eletto presso un servizio di posta elettronica certificata o un servizio elettronico di recapito certificato qualificato (come definito dal Regolamento dell'Unione europea eIDAS più volte innanzi ricordato).

E la trasmissione così effettuata (dunque in assenza di un domicilio digitale iscritto) costituisce elezione di domicilio digitale.

 

Ulteriori modifiche incidono sulle disposizioni transitorie recata dal decreto legislativo n. 217 del 2017, il quale ha formulato integrazioni e correzioni rispetto alla rivisitazione del Codice dell'amministrazione digitale realizzata con il decreto legislativo n. 179 del 2016.

Del decreto legislativo n. 217, l'articolo 65 prevede (al comma 2) un termine di decorrenza per l'obbligo per i prestatori di servizi di pagamento abilitati di utilizzare esclusivamente la piattaforma PagoPA, per i pagamenti verso le pubbliche amministrazioni.

Tale termine era lì stabilito nel 30 giugno 2020.

Ebbene, tale termine è differito al 28 febbraio 2021.

Altra modifica sopprime la previsione (contenuta nel comma 4, secondo periodo di questo articolo 65 del decreto legislativo n. 217) della cessazione della gestione da parte di AgID dell'indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche (e ora dei professionisti) e degli altri enti di diritto privato non tenuti all'iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese, una volta intervenuto il completamento dell'Anagrafe nazionale della popolazione residente.

Sopprimendo quella previsione, viene così mantenuta la gestione AgID dell'elenco dell'indice nazionale dei domicili digitali dei soggetti non tenuti all'iscrizione in albi elenchi registri professionali o al registro delle imprese.

Infine è soppressa una disposizione transitoria che era relativa alla prima applicazione - oramai superata - onde inserire i domicili digitali di professionisti e imprese sia entro il correlativo indice nazionale sia entro l'indice delle persone fisiche.

 

Altra novella riscrive l'articolo 36 (relativo a carta d'identità e documenti elettronici) del già citato d.P.R. n. 445 del 2000 (recante il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa).

La disposizione previgente al decreto-legge prevedeva: "la carta di identità, ancorché su supporto cartaceo, può essere rinnovata a decorrere dal centottantesimo giorno precedente la scadenza".

La modifica sopprima il riferimento al supporto cartaceo. Pertanto l'anticipato rinnovo è consentito per qualsiasi tipologia di carta d'identità.

Non solo: si prevede altresì che le carte di identità rilasciate su supporto cartaceo e le carte di identità elettroniche (rilasciate in conformità al decreto ministeriale 7 novembre 2007 recante “regole tecniche della Carta d’identità elettronica”) possano essere rinnovate ancorché in corso di validità, anche prima del centottantesimo giorno precedente la scadenza.

Può dirsi questa una forma di 'incentivo' affinché si realizzi, da parte degli utenti, il passaggio dalla carta d'identità cartacea a quella elettronica, la quale ha non la sola funzione certificatoria dell'identità bensì anche di consentire l'accesso ai servizi delle pubbliche amministrazioni in rete (come si è ricordato innanzi, a proposito del novellato articolo 64 del Codice).

 

Chiude questo articolo tutto di novelle una disposizione invece 'finale', secondo cui le pubbliche amministrazioni (di cui all’articolo 2, comma 2, lettera a) del Codice) dal 28 febbraio 2021 hanno divieto di rilasciare o rinnovare credenziali per l'identificazione e l'accesso dei cittadini ai propri servizi in rete, diverse da SPID, carta d'identità elettronica o carta nazionale dei servizi.

Rimane fermo l'utilizzo di quelle già rilasciate fino alla loro naturale scadenza e, comunque, non oltre il 30 settembre 2021.

 


 

Articolo 24-bis
(Semplificazione nell'accesso ai servizi di bigliettazione elettronica dei Comuni e degli enti locali)

 

 

L'articolo 24-bis, introdotto al Senato, dispone che i Comuni assicurino l'interoperabilità degli strumenti di pagamento elettronico dei biglietti dei servizi di trasporto pubblico di linea all'interno dei rispettivi territori, anche attraverso convenzioni con soggetti privati per realizzare piattaforme digitali.

 

In dettaglio il comma 1 pone come finalità della norma la digitalizzazione dei processi della pubblica amministrazione, la semplificazione delle modalità di corresponsione delle somme dovute ai Comuni per l'utilizzo dei servizi di trasporto pubblico di linea, il contrasto all'evasione e la riduzione dei titoli di viaggio cartacei.

Per tali finalità, il comma 2 conferisce ai Comuni la facoltà di sottoscrivere specifici accordi o convenzioni con soggetti privati al fine di realizzare specifiche piattaforme digitali nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, anche per tramite dei soggetti di cui all'articolo 8, comma 1, del DL n. 179/2012, cioè le aziende di trasporto pubblico locale.

Si ricorda infatti che la norma richiamata ha previsto che le aziende di trasporto pubblico locale promuovano l'adozione di sistemi di bigliettazione elettronica interoperabili a livello nazionale e di biglietti elettronici integrati nelle città metropolitane. In attuazione di tale disposizione è stato emanato il D.M. 27 ottobre 2016, n. 255Regolamento recante regole tecniche per l'adozione di sistemi di bigliettazione elettronica interoperabili nel territorio nazionale”, nell’ambito del quale è contenuta la definizione di “sistema di bigliettazione elettronica – SBE”, quale insieme coordinato e integrato dei sistemi, sottosistemi e dispositivi, di terra e di bordo, periferici e centrali, fissi e portatili, hardware e software, atto a gestire e regolare, in forma automatizzata e secondo date scelte architetturali e tecnologiche, tutte le interazioni tra l'azienda di trasporto e l'utenza, volte all'accesso ed alla fruizione dei servizi di trasporto pubblico locale. Il regolamento (art. 5) prevede altresì l’obbligo per le aziende di trasporto pubblico locale di pubblicare sui propri siti internet, con formato dati di tipo aperto, l'elenco dei titoli di viaggio interoperabili e dei titoli di viaggio integrati resi disponibili, le relative modalità e punti di acquisto, nonché la descrizione e gli orari della rete e dei servizi offerti, anche in forma integrata.

 

Il comma 3 rinvia quindi ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di intesa con la Conferenza Unificata e sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge di conversione, la definizione, nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, delle modalità operative per assicurare:

a) la interoperabilità dei sistemi di pagamento, anche tramite piattaforme elettroniche realizzate nelle forme del Libro verde relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni, di cui alla Comunicazione della Commissione del 30 aprile 2004 [COM (2004)327];

Si ricorda che il Libro Verde del 2004, la successiva Comunicazione del 2005 (COM n. 569) e la Comunicazione interpretativa del 5/2/2008 [2008/C 91/02], individuano gli elementi distintivi dei contratti di PPP, che non hanno né una definizione né una regolamentazione cogente nel diritto dell'Unione europea. Tra gli ambiti di applicazione dei contratti PPP vi è quello del trasporto pubblico locale.

 

b) l'interazione di sistemi esistenti con metodi di pagamento elettronico, secondo principi di trasparenza e libera concorrenza.

 

Il comma 4 reca la clausola di invarianza finanziaria che non prevede nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 


 

Articolo 25
(Conservazione dei documenti informatici e gestione dell'identità digitale)

 

 

L'articolo 25 reca una serie di novelle incidenti su una duplice disciplina, circa il servizio di: conservazione dei documenti informatici; gestione dell'identità digitale.

 

Per un primo riguardo, esso apporta una serie di novelle al Codice dell'amministrazione digitale (recato dal decreto legislativo n. 82 del 2005).

Per intendere tali modifiche vale esordire da quella incidente sull'articolo 34, comma 1-bis del Codice, secondo il quale - nel testo previgente al presente decreto-legge - le pubbliche amministrazioni possono procedere alla conservazione dei documenti informatici: a) all'interno della propria struttura organizzativa; b) affidandola, in modo totale o parziale, nel rispetto della disciplina vigente, ad altri soggetti, pubblici o privati accreditati come conservatori presso l'AgID.

Su tale lettera b) incide la novella, mirante a porre una disciplina in parte più analitica.

Essa prevede che la conservazione dei documenti informatici da parte di soggetti esterni all'amministrazione interessata debba uniformarsi - nel rispetto della disciplina europea - alle Linee guida contenenti le regole tecniche e di indirizzo per l'attuazione del presente Codice (ne tratta il suo articolo 71) nonché ad un regolamento, le une come l'altro adottati dall'Agenzia per l'Italia digitale (AgID).

Il regolamento determina i criteri per la fornitura dei servizi di conservazione dei documenti informatici, affinché sia assicurata la conformità dei documenti conservati agli originali nonché la qualità e la sicurezza del sistema di conservazione.

Le Linee guida determinano i requisiti di qualità, di sicurezza e organizzazione, che i soggetti conservatori debbono possedere.

Fino all'adozione del regolamento e delle Linee guida, in materia di conservazione dei documenti informatici si applicano le disposizioni vigenti al momento dell'entrata in vigore del decreto-legge.

 

Altra novella incide - a fini di mero coordinamento rispetto a quella testé esposta - sull'articolo 14-bis, comma 2, lettera i) del Codice.

Esso tratta della specifica funzione di vigilanza dell'AgID su: i servizi fiduciari (in qualità di organismo a tal fine designato, ai sensi dell'articolo 17 del regolamento UE 910/2014 in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche: cd. regolamento eIDAS, acronimo per Electronic Identification and Trust Services Regulation); i gestori di posta elettronica certificata; i soggetti, pubblici e privati, che partecipano al Sistema pubblico per la gestione delle identità digitali (SPID, di cui all'articolo 64 del Codice); "i conservatori di documenti informatici accreditati".

Quest'ultima dicitura è sostituita dal rinvio all'articolo 34, comma 1-bis come sopra riscritto, il quale menziona i soggetti che ottemperino alle condizioni lì previste.

 

Altra novella incide sull'articolo 29 del Codice dell'amministrazione digitale. Vi si intersecano le materie della conservazione dei documenti digitale e della gestione dell'identità digitale.

Vale riportare il comma 1 di questo articolo 29 del Codice, nel testo previgente al decreto-legge.

"I soggetti che intendono fornire servizi fiduciari qualificati o svolgere l'attività di gestore di posta elettronica certificata o di gestore dell'identità digitale di cui all'articolo 64 presentano all'AgID domanda di qualificazione, secondo le modalità fissate dalle Linee guida. I soggetti che intendono svolgere l'attività di conservatore di documenti informatici presentano all'AgID domanda di accreditamento, secondo le modalità fissate dalle Linee guida".

Ebbene la novella restringe il 'campo' della disposizione alla fornitura di servizi e alla loro qualificazione, espungendo - per ragioni diverse - sia i gestori dell'identità digitale sia i soggetti chiamati alla conservazione dei documenti informatici (ed il loro accreditamento).

Per i gestori dell'identità digitale: la loro qualificazione è già oggetto dell'articolo 64 relativo allo SPID (al comma 2-sexies, lettera b)) del Codice (che ne demanda la disciplina a decreto del Presidente del Consiglio).

L'espunzione dall'articolo 29 del Codice dunque mira ad un coordinamento normativo, onde evitare una 'duplicazione' di previsioni non in tutto collimanti.

Per i fornitori di servizi di conservazione dei documenti informatici: il loro accreditamento quale previsto dal su riferito previgente articolo 29 (e disciplinato in "Linee Guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici” disposte da AgID e notificate in sede europea) è stato ricusato dalla Commissione europea. Essa ha invitato l'Italia a rimuovere gli ostacoli all'esercizio dell'attività dei fornitori dei servizi di conservazione in uno Stato membro (Notification 2019/0540/I), tenuto conto che nella disciplina comunitaria, i servizi di conservazione non figurano inclusi tra quelli fiduciari qualificati, quali previsti dal Regolamento (UE) n. 910/2014 (eIDAS).

Di qui la nuova formulazione sopra ricordata dell'articolo 34 del Codice, la quale fa riferimento al possesso di requisiti e a criteri di fornitura, non già ad un meccanismo di accreditamento in senso stretto - così come l'espunzione della conservazione di documenti da questo articolo 29.

Quest'ultimo articolo - il cui oggetto viene dunque circoscritto alla fornitura di servizi, altri dalla gestione dell'identità digitale e dalla conservazione di documenti informatici - è altresì rivisitato là dove disciplina la qualificazione dei fornitori di servizi.

Si viene infatti a prevedere che i soggetti fornitori debbano possedere, ai fini della qualificazione, i requisiti di cui all'articolo 24 del Regolamento (UE) 23 luglio 2014, n. 910/2014, in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno. Quell'articolo 24 della fonte comunitaria disciplina i requisiti per i prestatori di servizi qualificati.

Inoltre si prevede che un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, o del Ministro delegato per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione, sentita l’AgID, disciplini i requisiti di onorabilità, affidabilità, tecnologici e organizzativi, beninteso compatibili con la disciplina europea, nonché garanzie assicurative adeguate, rispetto all'attività svolta.

Di coordinamento rispetto a quanto sopra novellato è la modifica all'articolo 30, comma 1 del Codice, onde chiarire che l'iscrizione (da parte dell'AgID) del richiedente la qualificazione in un apposito elenco di fiducia pubblico, concerna solo i prestatori di servizi fiduciari qualificati e i gestori di posta elettronica certificata (non anche i gestori dell'identità digitale e i conservatori di documenti informatici).

Rimane fermo il contenuto precettivo di quell'articolo 30, circa la responsabilità di tutti quei soggetti, tenuti al risarcimento qualora cagionino danno ad altri nello svolgimento della loro attività, ove non provino di avere adottato tutte le misure idonee ad evitarlo.

 

La novella incidente sull'articolo 32-bis, comma 1, del Codice concerne le sanzioni, introducendo una specifica previsione riguardante i soggetti tenuti agli obblighi inerenti alla conservazione dei documenti informatici.

Rispetto ad una generale sanzione (per i prestatori di servizi fiduciari qualificati, i gestori di posta elettronica certificata, i gestori dell'identità digitale) irrogabile per un importo ricompreso tra 40.000 e 400.000 euro (fermo restando il diritto al risarcimento del maggior danno), si viene a prevedere, per i soggetti preposti alla conservazione, una sanzione più contenuta, tra un minimo ed un massimo di 4.000 e 40.000 euro.

 

Infine è novellato l'articolo 44, comma 1-ter, del Codice, onde introdurre la 'clausola': "in tutti i casi in cui la legge prescrive obblighi di conservazione, anche a carico di soggetti privati".

Ebbene in tali casi, si intende, valgono i requisiti lì tratteggiati per la gestione e la conservazione dei documenti informatici (secondo caratteristiche di autenticità, integrità, affidabilità, leggibilità, reperibilità, secondo le modalità indicate nelle Linee guida).

 

          Altro ordine di novelle incide sul decreto legislativo n. 141 del 2010 ("Attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo VI del testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993) in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi").

          Una prima novella ne modifica in particolare l'articolo 30-ter, il quale istituisce (nell'ambito del Ministero dell'economia e delle finanze) un sistema pubblico di prevenzione (basato su un archivio centrale informatizzato) sul piano amministrativo delle frodi nel settore del credito al consumo e dei pagamenti dilazionati o differiti, con specifico riferimento al furto di identità.

Secondo la disposizione previgente, partecipano al sistema di prevenzione delle frodi (SCIPAFI nell'acronimo) vari soggetti, come le banche e gli intermediari finanziari iscritti nell'albo, i fornitori di servizi di comunicazione elettronica, i fornitori di servizi digitali, i soggetti autorizzati ad attività di vendita a clienti finali di energia elettrica e di gas naturale, i fornitori di servizi interattivi associati o di servizi di accesso condizionato (secondo la definizione che ne dà il decreto legislativo n. 177 del 2006, Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici), le imprese di assicurazione, javascript:wrap.link_replacer.scroll('97')i gestori di sistemi di informazioni creditizie e le imprese che offrono servizi assimilabili alla prevenzione, sul piano amministrativo, delle frodi (in base ad apposita convenzione con il Ministero dell'economia e delle finanze).

La novella integra tale previsione, introducendovi la menzione dei gestori dell'identità digitale (di cui all'articolo 64 del Codice).

Analoga integrazione è poi dettata con riferimento all'articolo 30-quater del decreto legislativo n. 141 del 2010, onde consentire ai gestori dell'identità digitale l'accesso gratuito all'archivio centrale informatizzato (su cui fa perno, si è ricordato, il sistema pubblico di prevenzione delle frodi) - limitatamente alle verifiche propedeutiche al rilascio delle credenziali di accesso al sistema SPID.

 


 

Articolo 26
(Piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione)

 

 

L'articolo 26 disciplina le modalità di funzionamento della Piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione.

 

L'istituzione della piattaforma è stata prevista dall'articolo 1, commi 402 e 403 della legge n. 160 del 2019 (legge di bilancio 2020).

Quella legge si è limitata a porre un'autorizzazione di spesa (2 milioni annui, a decorrere dal 2020) e ad affidare lo sviluppo della piattaforma alla Presidenza del Consiglio.

Ha previsto che quest'ultima proceda poi tramite la società per azioni interamente partecipata dallo Stato, la cui costituzione è stata disposta dall'articolo 8, comma 2 del decreto-legge n. 135 del 2018 (ossia: PagoPA). Tale società è il gestore della piattaforma.

PagoPA affida lo sviluppo della piattaforma (anche attraverso il riuso di infrastrutture tecnologiche esistenti) a SOGEI (la società di cui all'articolo 83, comma 15, del decreto-legge n. 112 del 2008).

Quella così delineata è una piattaforma digitale per l'utilizzo da parte delle amministrazioni pubbliche (di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001) onde effettuare le notificazioni con valore legale di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni ai destinatari (le persone fisiche, le persone giuridiche, gli enti, le associazioni e ogni altro soggetto pubblico o privato, residenti o aventi sede legale nel territorio italiano ovvero all'estero se titolari di codice fiscale attribuito ai sensi del d.P.R. n. 605 del 1973).

La legge n. 160 del 2020 non è andata oltre tale scarna disciplina (invero, il tentativo di introdurne una più articolata fu presente in una proposta emendativa approvata in sede referente presso il Senato in prima lettura del disegno di legge di bilancio 2020, A.S. n. 1586-annesso: proposta tuttavia che fu poi dichiarata, per questa ordinamentale parte, inammissibile dalla Presidenza del Senato).

Ad una più puntuale, analitica disciplina delle modalità di funzionamento della piattaforma è ora volto il presente articolo del decreto-legge.

 

Esso incide - con il suo comma 19 - direttamente sul dettato della legge n. 160 del 2019 sopra ricordato, per un riguardo.

Viene a prevedere che PagoPa affidi "in tutto o in parte" lo sviluppo della piattaforma al fornitore del servizio universale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 261 del 1999, anche attraverso il riuso dell'infrastruttura tecnologica esistente, di proprietà di quel medesimo fornitore.

Il decreto legislativo n. 261 citato ha dato attuazione alla direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio.

Il suo articolo 3 tratta del servizio universale (il quale, si ricorda, è affidato a Poste italiane spa)[93].

Dunque la novella modifica il soggetto affidatario dello sviluppo della piattaforma. Scompare la menzione di Sogei (che era espressa mediante il rinvio all'articolo 83, comma 15, del decreto-legge n. 112 del 2008), sostituita da quella di Poste italiane spa (espressa mediante il rinvio all'articolo 3 del decreto legislativo n. 261 del 1999).

Peraltro quest'ultimo soggetto è inteso quale affidatario da PagoPa "in tutto o in parte" dello sviluppo della piattaforma.

 

Dopo il richiamo alla norma istitutiva della piattaforma - recato dal comma 1 - si rinviene in questo articolo del decreto-legge - al comma 2 - una enumerazione a fini definitori, di quel che si intenda per: gestore della piattaforma; piattaforma; amministrazioni; destinatari; delega e delegati (da parte dei destinatari, in ordine all'accesso alla piattaforma); avviso di avvenuta ricezione; identificativo unifico della notificazione (ossia il codice univoco attribuito dalla piattaforma ad ogni notificazione richiesta dalle amministrazioni); avviso di mancato recapito (con indicazione e delle sue ragioni e delle modalità di acquisizione del documento informatico oggetto della notificazione).

La piattaforma digitale per effettuare le notificazioni con valore legale è utilizzata delle amministrazioni pubbliche (di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001)[94]. Se ne avvalgono altresì gli agenti della riscossione nonché (limitatamente agli atti emessi nell'esercizio di attività ad essi affidati) gli altri soggetti preposti all'accertamento e alla riscossione dei tributi e delle altre entrate per conto degli enti locali (ne dà enumerazione l'articolo 52, comma 5, lettera b), numeri 1), 2), 3) e 4) del decreto legislativo n. 446 del 1997).

Le amministrazioni pubbliche - nell'accezione così definita - hanno facoltà - non già obbligo - di rendere disponibili sulla piattaforma i documenti informatici ai fini della notificazione di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni (anche in materia tributaria) - ed anche per atti per i quali non viga un obbligo di notificazione al destinatario. Così prevede il comma 3.

Resta dunque ferma - può aggiungersi - la possibilità, per le amministrazioni, di effettuare la notificazione con le modalità previste dagli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile o secondo le modalità previste dalle leggi speciali.

La formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici resi disponibili sulla piattaforma, avviene nel rispetto del Codice dell'amministrazione digitale (decreto legislativo n. 82 del 2005) e delle Linee guida adottate in sua attuazione dall'Agenzia per l'Italia Digitale (AgID).

Il gestore della piattaforma assicura l'autenticità, l'integrità, l'immodificabilità, la leggibilità e la reperibilità dei documenti informatici resi disponibili dalle amministrazioni.

Il gestore della piattaforma rende a sua volta disponibili i documenti ai destinatari, ai quali assicura l'accesso alla piattaforma, personalmente o mediante delegati, per il reperimento, la consultazione e l'acquisizione dei documenti informatici resi disponibili ai fini della notificazione dalle amministrazioni.

Ciascuna amministrazione individua le modalità per garantire l'attestazione di conformità agli originali analogici delle copie informatiche di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni (gli agenti della riscossione e gli altri soggetti per l'accertamento e la riscossione di tributi individuano e nominano i dipendenti incaricati di attestare la conformità agli originali).

I dipendenti incaricati di attestare la conformità sono pubblici ufficiali (ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 23, comma 2, del Codice dell'amministrazione digitale, riferito all'efficacia probatoria della copia, pari a quella dell'originale).

Per quanto riguarda le attività testé ricordate in capo al gestore della piattaforma, esse possono essere svolte - prosegue il comma 3 - anche con l'applicazione di tecnologie basate su registri distribuiti (come definite dall'articolo 8-ter del decreto-legge n. 135 del 2018).

 

Tecnologie basate su registri distribuiti sono le tecnologie e i protocolli informatici che usino un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittografiche, tali da consentire la registrazione, la convalida, l'aggiornamento e l'archiviazione di dati sia in chiaro sia ulteriormente protetti da crittografia, verificabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modificabili. Si tratta della tecnologia chiamata Blockchain, uno strumento tecnologico che consente la creazione e gestione di registri (database) distribuiti, in grado di registrare e gestire transazioni di vario tipo (sia finanziarie sia aventi ad oggetto beni o servizi di altra natura), le quali vengono controllate, validate e condivise da tutti i c.d. nodi che fanno parte della rete.

Si tratta in sostanza di un protocollo che consente che sulla rete internet, invece che sole informazioni, possano essere condivise e archiviate anche transazioni di valori, o meglio, di cd. asset digitali. Si realizza quindi attraverso le blockchain un grande registro pubblico di tipo distribuito, innovativo rispetto ai 'tradizionali' sistemi di archiviazione che consistono di database centralizzati presso un unico soggetto gestore e 'garante', ovvero presso un'autorità centrale, che provveda a garantire la transazione e ad archiviare e custodire i dati. La blockchain consente viceversa la creazione di database distribuiti, basati sulla tecnologia dei cd Distributed Ledger (DLT, dove Ledger sta per Libro Mastro) strutturati in blocchi di informazioni, ciascuno dei quali contiene un certo numero di transazioni che, a seguito di un articolato procedimento di validazione e controllo (che verifica ad esempio che il soggetto sia effettivamente titolare di un certo diritto, come la valuta o il bene che vuole vendere), vengano validate in tutti i loro elementi attraverso strumenti matematici complessi (funzioni di hash) da parte dei nodi della rete ed entrano conseguentemente a far parte della catena di blocchi (blockchain) che rende queste transazioni certe, immodificabili. Si viene così a creare uno "storico" nel tempo di tutte le modifiche avvenute.

La memorizzazione di un documento informatico attraverso l'uso di tecnologie blockchain produce gli effetti giuridici della validazione temporale elettronica, ai sensi dell'articolo 41 del Regolamento UE n. 910/2014 in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno (cd. Regolamento eIDAS). La validazione temporale elettronica qualificata rilasciata in uno Stato membro è riconosciuta quale validazione temporale elettronica qualificata in tutti gli Stati membri.

Spetta all'AgID l’individuazione degli standard tecnici che le tecnologie blockchain debbono possedere, affinché tali tecnologie possano produrre gli effetti giuridici della validazione temporale elettronica.

 

Per ogni atto, provvedimento, avviso o comunicazione oggetto di notificazione reso disponibile dall’amministrazione attraverso la piattaforma, il comma 4 prescrive al gestore di questa l'invio al destinatario dell'avviso di avvenuta ricezione.

Con tale avviso il gestore comunica l'esistenza e l'identificativo univoco della notificazione (IUN), nonché le modalità di accesso alla piattaforma e di acquisizione del documento oggetto di notificazione.

Secondo il comma 5, l'avviso di avvenuta ricezione è inviato (in formato elettronico, con modalità telematica) ai destinatari titolari di un indirizzo di posta elettronica certificata o di un servizio elettronico di recapito certificato qualificato: a) inserito in uno degli indici nazionali degli elenchi dei domicili digitali di persone fisiche o professionisti o imprese o pubbliche amministtazioni (cfr. gli articoli 6-bis, 6-ter e 6-quater del Codice dell'amministrazione digitale); b) eletto come domicilio speciale per determinati atti o affari (cfr. l'articolo 3-bis, comma 4-quinquies, del Codice o altre disposizioni di legge) se a tali atti o affari sia riferita la notificazione; c) eletto per la ricezione delle notificazioni delle pubbliche amministrazioni effettuate tramite piattaforma.

Dunque la disposizione figura la possibilità di un domicilio ad hoc per le notificazioni. Questo in via transitoria, tenuto conto della novella che ha inciso quel comma 4-quinquies, operata dall'articolo 24 del decreto-legge, articolo teso a valorizzare una comunicazione digitale delle pubbliche amministrazione verso una domiciliazione digitale, confluita negli indici nazionali.

Ancora, si prevede - dal comma 6 - che qualora la casella di posta elettronica certificata o il servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultano saturi, il gestore della piattaforma effettui un secondo tentativo di consegna, decorsi almeno sette giorni dal primo invio.

Se anche a seguito di tale tentativo risulta la saturazione o anche emerga che l'indirizzo elettronico del destinatario non sia valido o attivo, il gestore rende disponibile (in apposita area riservata) per ciascun destinatario della notificazione, l'avviso di mancato recapito del messaggio.

Il gestore dà inoltre notizia al destinatario dell'avvenuta notificazione dell'atto a mezzo di lettera raccomandata, senza ulteriori adempimenti a proprio carico.

Queste previsioni si riferiscono a destinatari titolari di un indirizzo di posta elettronica certificata o di un servizio elettronico di recapito certificato qualificato, valevoli come domicilio digitale (sia esso 'ordinario' o speciale).

Per destinatari diversi ossia destinatari privi di un domicilio digitale, provvede il comma 7.

Esso prevede che l'avviso di avvenuta ricezione sia notificato (senza ritardo) in formato cartaceo, a mezzo posta, direttamente dal gestore della piattaforma (con le modalità previste dalla legge n. 890 del 1982, la quale disciplina le notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari).

L'avviso contiene l'indicazione delle modalità con le quali sia possibile accedere alla piattaforma e l’identificativo univoco della notificazione (IUN) mediante il quale il destinatario possa ottenere la copia cartacea degli atti oggetto di notificazione.

Agli stessi destinatari, ove abbiano comunicato un indirizzo email non certificato, un numero di telefono o un altro analogo recapito digitale diverso, il gestore della piattaforma invia un "avviso di cortesia" in modalità informatica, contenente le stesse informazioni dell'avviso di avvenuta ricezione.

L'avviso di cortesia è reso disponibile altresì tramite il punto di accesso di cui all’articolo 64-bis del Codice dell'amministrazione digitale (è l'applicazione IO, di cui è fatto cenno sopra, a proposito dell'articolo 24 decreto-legge).

 

Il comma 8 concerne l'autenticazione alla piattaforma, ai fini dell'accesso.

Essa avviene tramite il sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale di cittadini e imprese (SPID, di cui all’articolo 64 del Codice) ovvero tramite la Carta d’identità elettronica (CIE, di cui all’articolo 66 del Codice).

L'accesso all'area riservata - dove sono consentiti il reperimento, la consultazione e l’acquisizione dei documenti informatici oggetto di notifica - è assicurato anche tramite l'applicazione IO (il punto di accesso di cui all’articolo 64-bis del Codice).

I destinatari possono conferire apposita delega per l'accesso alla piattaforma a uno o più delegati - ma è materia la cui definizione è demandata al d.P.C.m. (o decreto del Ministro delegato per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione) attuativo previsto dal comma 15 infra.

 

Il comma 9 ha per oggetto il termine di perfezionamento della notificazione.

Esso è differenziato, per l'amministrazione notificante e per il destinatario.

Per l'amministrazione notificante, la notificazione si perfeziona nella data in cui il documento informatico sia reso disponibile sulla piattaforma (ed aggiunge il comma 10, tale messa a disposizione impedisce qualsiasi decadenza dell'amministrazione e interrompe il termine di prescrizione correlato alla notificazione: si pone qui una deroga al regime ordinariamente recettizio dell'atto interruttivo della prescrizione).

Per il destinatario, il termine è diversificato, a seconda delle modalità della notificazione (telematica o cartacea per posta) e se sia avvenuta la ricezione oppur no.

E dunque, per il destinatario la notificazione si perfeziona:

- il settimo giorno successivo alla data di consegna dell'avviso di avvenuta ricezione in formato elettronico (risultante dalla ricevuta che il gestore della casella di posta elettronica certificata o del servizio elettronico di recapito certificato qualificato del destinatario trasmette al gestore della piattaforma; se l'avviso è consegnato al destinatario dopo le ore 21.00, il termine di sette giorni si computa a decorrere dal giorno successivo);

- il quindicesimo giorno successivo alla data del deposito dell'avviso di mancato recapito digitale, nei casi di casella postale satura, non valida o non attiva;

- il decimo giorno successivo al perfezionamento della notificazione dell'avviso di avvenuta ricezione in formato cartaceo.

Non figura una espressa previsione per il caso di mancato recapito in formato cartaceo, talché la fattispecie pare da ritenersi rinviare alla previsione della legge n. 890 del 1982 (all'articolo 8).

Rispetto al termine sopra indicato, la notificazione telematica si perfeziona in data anteriore, se anteriore sia stato l'accesso da parte del destinatario (o suo delegato) al documento informatico oggetto di notificazione, tramite la piattaforma.

 

Il comma 11 ha riguardo alle attestazioni opponibili a terzi che il gestore della piattaforma renda disponibili (sulla medesima piattaforma) alle amministrazioni e ai destinatari.

Tali attestazioni concernono:

ü  la data di messa a disposizione dei documenti informatici sulla piattaforma, da parte delle amministrazioni;

ü  l'indirizzo del destinatario risultante, alla data dell’invio dell’avviso di avvenuta ricezione, da uno degli elenchi degli indici nazionali dei domicili digitali o eletto ai fini della notificazione;

ü  la data di invio e di consegna al destinatario dell'avviso di avvenuta ricezione in formato elettronico;

ü  la data di ricezione del messaggio di mancato recapito alle caselle di posta elettronica certificata o al servizio elettronico di recapito certificato qualificato, se risultanti saturi, non validi o non attivi;

ü  la data in cui il gestore della piattaforma ha reso disponibile l'avviso di mancato recapito del messaggio;

ü  la data in cui il destinatario ha avuto accesso al documento informatico oggetto di notificazione;

ü  il periodo di malfunzionamento che si sia prodotto nell'attività della piattaforma;

ü  la data di ripristino delle funzionalità della piattaforma, superato il malfunzionamento.

Il gestore della piattaforma - aggiunge il comma 12 - rende altresì disponibile la copia informatica dell'avviso di avvenuta ricezione cartaceo e degli atti relativi alla notificazione ai sensi della legge n. 890 del 1982, dei quali attesta la conformità agli originali.

 

Il comma 13 dispone per l'eventualità di malfunzionamento della piattaforma.

Qualora esso renda impossibile alle amministrazioni l'inoltro telematico dei documenti informatici destinati alla notificazione, o renda impossibile ai destinatari e delegati l'accesso, il reperimento, la consultazione e l'acquisizione dei documenti informatici depositati, si hanno alcuni effetti.

Ossia si determinano:

-        la sospensione del termine di prescrizione dei diritti dell'amministrazione correlati agli atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni oggetto di notificazione, scadenti nel periodo di malfunzionamento, sino al settimo giorno successivo alla comunicazione di avvenuto ripristino delle funzionalità della piattaforma;

-        la proroga del termine di decadenza di diritti, poteri o facoltà dell'amministrazione o dei destinatari correlati agli atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni oggetto di notificazione, scadenti nel periodo di malfunzionamento, sino al settimo giorno successivo alla comunicazione di avvenuto ripristino delle funzionalità della piattaforma.

 

Le spese di notificazione tramite la piattaforma sono da porre a carico del destinatario, e sono destinate alle amministrazioni e al gestore della piattaforma - nonché al fornitore del servizio universale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 261 del 1999 (Poste italiane spa, come ricordato sopra, in avvio di ricognizione).

Così il comma 14, il quale peraltro demanda maggiore determinazione a d.P.C.m. (o decreto del Ministro delegato per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione), con il concerto del Ministero dell'economia e delle finanze.

 

Ampia parte dell'attuazione delle disposizioni di questo articolo del decreto-legge relativo alla piattaforma delle notificazioni digitali è demandata ad uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (o del Ministro delegato per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione), sentiti il Ministro dell’economia e delle finanze e il Garante per la protezione dei dati personali per gli aspetti di competenza.

Ed è prescritta l'acquisizione del parere in sede di Conferenza unificata

Questa 'componentistica' attuativa è oggetto del comma 15 - il quale prescrive per la sua adozione il termine di centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge (termine non già riferito all'entrata in vigore della legge di conversione).

Il medesimo comma passa in rassegna i contenuti da disciplinare: l'infrastruttura tecnologica della piattaforma e il piano dei test per la verifica del corretto funzionamento; le modalità di adesione delle amministrazioni alla piattaforma; lo sviluppo secondo i criteri di accessibilità di cui alla legge 9 gennaio 2004, n. 4 (recante "Disposizioni per favorire e semplificare l'accesso degli utenti e, in particolare, delle persone con disabilità agli strumenti informatici"); le regole tecniche e le modalità con le quali le amministrazioni identificano i destinatari e rendono disponibili telematicamente sulla piattaforma i documenti informatici oggetto di notificazione; le modalità con le quali il gestore della piattaforma attesti e certifichi, con valore legale opponibile ai terzi, una serie di elementi (v. supra il comma 11); i casi di malfunzionamento della piattaforma, nonché le modalità con le quali il gestore della piattaforma attesti così il malfunzionamento come il ripristino della funzionalità; le modalità di accesso alla piattaforma e di consultazione degli atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni da parte dei destinatari e dei delegati (nonché le modalità con le quali il gestore della piattaforma attesti la data e l'ora in cui il destinatario o il delegato accedono, tramite la piattaforma, all’atto oggetto di notificazione); le modalità con le quali i destinatari eleggano il domicilio digitale presso la piattaforma; le modalità di delega, da parte del destinatario, dell'accesso alla piattaforma (nonché le modalità di accettazione e rinunzia delle deleghe); altre varie modalità, circa il recapito digitale ai fini della ricezione dell'avviso di cortesia o l'ottenimento della copia cartacea degli atti oggetto di notificazione, per i destinatari percettori dell'avviso di avvenuta ricezione notificato in formato cartaceo).

Tra gli elementi da disciplinare in siffatta via attuativa, sono altresì i tempi e le modalità di conservazione dei documenti informatici resi disponibili sulla piattaforma.

Aggiunge il comma 16 che un atto del Capo della competente struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri provveda - ultimati i test e le prove tecniche di corretto funzionamento della piattaforma - a fissare il termine a decorrere dal quale le amministrazioni possano aderire alla piattaforma.

 

Il comma 17 esclude alcune tipologie di notificazione dalla piattaforma.

Esso prevede che la notificazione a mezzo della piattaforma non si applichi a:

ü  gli atti del processo civile, penale, per l’applicazione di misure di prevenzione, amministrativo, tributario e contabile, nonché i provvedimenti e le comunicazioni ad essi connessi;

ü  gli atti della procedura di espropriazione forzata (disciplinata dal titolo II, capi II e IV, del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973) diversi da quelli di cui agli articoli - del medesimo d.P.R. - 50, commi 2 e 3 (circa la notifica dell'avviso che contiene l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo, per il caso di inutile decorso del termine decorrente dalla notifica della cartella di pagamento), e 77, comma 2-bis (relativo alla notifica da parte dell'agente della riscossione al proprietario dell'immobile di una comunicazione preventiva, contenente l'avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà iscritta l'ipoteca sugli immobili del debitore). Insomma, sono esclusi dalla notificazione a mezzo della piattaforma gli atti dell'espropriazione forzata, ad eccezione dell'avviso di intimazione e del preavviso di iscrizione ipotecaria, i quali sono invece inclusi;

ü  gli atti dei procedimenti di competenza delle autorità provinciali di pubblica sicurezza relativi a pubbliche manifestazioni, misure di prevenzione personali e patrimoniali, autorizzazioni e altri provvedimenti a contenuto abilitativo, soggiorno, espulsione e allontanamento dal territorio nazionale degli stranieri e dei cittadini dell’Unione europea, o comunque gli atti di ogni altro procedimento a carattere preventivo in materia di pubblica sicurezza, nonché i provvedimenti e alle comunicazioni ad essi connessi.

 

Si è menzionato l'articolo 50 ("Termine per l'inizio dell'esecuzione"), comma 3, del d.P.R. n. 602 del 1973 ("Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito").

Esso prevede che il concessionario proceda ad espropriazione forzata quando sia inutilmente decorso il termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento (salve le disposizioni relative alla dilazione ed alla sospensione del pagamento). Se l'espropriazione non sia iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, l'espropriazione stessa deve essere preceduta dalla notifica di un avviso contenente contiene l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni. Tale avviso è redatto in conformità al modello approvato con decreto del Ministero delle finanze e perde efficacia "trascorsi centottanta giorni dalla data della notifica".

Quest'ultima previsione è novellata dal comma 18, il quale sostituisce al termine di centottanta giorni, il termine di un anno.

 

Già in avvio della disamina del presente articolo del decreto-legge si è ricordato il contenuto del comma 19, che ha modificato il soggetto preposto allo sviluppo della piattaforma (v. supra), individuandolo nel fornitore del servizio universale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 261 del 1999.

Il comma 20 aggiunge che del medesimo fornitore si avvalga altresì il gestore della piattaforma, "anche" per effettuare la spedizione dell'avviso di avvenuta ricezione e la consegna della copia cartacea degli atti oggetto di notificazione, nonché per garantire su tutto il territorio nazionale l'accesso universale alla piattaforma e al nuovo servizio di notificazione digitale.

 

Infine il comma 21 pone una clausola di invarianza finanziaria, in ordine all'adesione delle pubbliche amministrazioni alla piattaforma.

Ed il comma 22 richiama la vigente autorizzazione di spesa per il finanziamento della piattaforma, pari a 2 milioni di euro a decorrere dall'anno 2020 (secondo previsione dell'articolo 1, comma 403 della legge n. 160 del 2019).


 

Articolo 27
(Misure per la semplificazione e la diffusione della firma elettronica avanzata e dell’identità digitale per l’accesso ai servizi bancari)

 

 

L’articolo 27, ai commi 1 e 2, interviene sulle procedure di verifica dell’identità dell’utente ai fini del rilascio della firma elettronica avanzata, individuando tre strumenti alternativi di identificazione per l’effettuazione di tale verifica:

·       credenziali attribuite dal soggetto che eroga la firma elettronica avanzata all’utente che la richiede già identificato dall’intermediario bancario e finanziario;

·       Sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale (SPID) basato, almeno, sul secondo livello di sicurezza di autenticazione informatica;

·       carta di identità elettronica.

Il comma 3 apporta alcune semplificazioni in materia di obblighi antiriciclaggio.

Viene eliminata la necessità di riscontrare in ogni caso il documento di identità del cliente, ai fini dell’assolvimento degli obblighi di adeguata verifica previsti dalla legge, ove l’identificazione avvenga a distanza, previo rispetto delle condizioni di sicurezza e attendibilità imposte dagli standard nazionali ed europei. Inoltre, per l’instaurazione rapporti continuativi relativi a carte di pagamento e dispositivi analoghi è prevista una speciale modalità di identificazione e verifica a distanza dell’identità del cliente, che consiste nell’esecuzione di un bonifico, disposto dallo stesso cliente da identificare, verso un conto di pagamento intestato al soggetto tenuto all’obbligo di identificazione.

Nel corso dell’esame al Senato è stato aggiunto il comma 3-bis per effetto del quale la piena operatività della riforma delle banche popolari è posticipata dal 31 dicembre 2020 al 31 dicembre 2021.

 

 

La disciplina della firma elettronica è contenuta nel cosiddetto regolamento europeo eIDAS, (regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 luglio 2014, in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno e che abroga la direttiva 1999/93/CE).

Secondo la definizione contenuta nel regolamento per “Firma Elettronica Avanzata” (FEA) si intende una firma elettronica che soddisfi i seguenti requisiti:

-        è connessa unicamente al firmatario;

-        è idonea a identificare il firmatario;

-        è creata mediante dati per la creazione di una firma elettronica che il firmatario può, con un elevato livello di sicurezza, utilizzare sotto il proprio esclusivo controllo;

-        è collegata ai dati sottoscritti in modo da consentire l’identificazione di ogni successiva modifica di tali dati.

Una tipologia particolare di FEA è la Firma Elettronica Qualificata (FEQ) che in aggiunta a quelle della firma elettronica avanzata possiede le seguenti caratteristiche:

-        è creata su un dispositivo qualificato per la creazione di una firma elettronica;

-        è basata su un certificato elettronico qualificato ha effetto giuridico equivalente a quello di una firma autografa.

 

Il comma 1 introduce tre procedure finalizzate alla verifica dell’identità dei richiedenti la FEA, facendo esplicitamente salve le regole tecniche di cui all’articolo 20, comma 3, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale – CAD) in materia di generazione, apposizione e verifica della stessa firma, oltre che la disciplina del regolamento eIDAS.

 

Le regole tecniche, previste dall’art. 20, comma 2 del CAD, sono state adottate con il D.P.C.M. 22 febbraio 2013 recante regole tecniche in materia di generazione, apposizione e verifica delle firme elettroniche avanzate, qualificate e digitali, ai sensi degli articoli 20, comma 3, 24, comma 4, 28, comma 3, 32, comma 3, lettera b), 35, comma 2, 36, comma 2, e 71.

Secondo tali regole tecniche la realizzazione di soluzioni di firma elettronica avanzata è libera e non è soggetta ad alcuna autorizzazione preventiva (art. 55, comma 1).

La firma elettronica avanzata garantisce (art. 56):

-        l'identificazione del firmatario del documento;

-        la connessione univoca della firma al firmatario;

-        il controllo esclusivo del firmatario del sistema di generazione della firma, ivi inclusi i dati biometrici eventualmente utilizzati per la generazione della firma medesima;

-        la possibilità di verificare che il documento informatico sottoscritto non abbia subito modifiche dopo l'apposizione della firma;

-        la possibilità per il firmatario di ottenere evidenza di quanto sottoscritto;

-        l'individuazione del soggetto che l’ha rilasciata;

-        l'assenza di qualunque elemento nell'oggetto della sottoscrizione atto a modificarne gli atti, fatti o dati nello stesso rappresentati;

-        la connessione univoca della firma al documento sottoscritto.

 

Ai fini del rilascio della FEA l’utente deve essere identificato, dal soggetto abilitato al rilascio, in modo certo tramite un valido documento di riconoscimento di cui deve essere conservata copia per almeno 20 anni (art. 57).

La firma elettronica avanzata realizzata in conformità con le disposizioni delle presenti regole tecniche, è utilizzabile limitatamente ai rapporti giuridici intercorrenti tra il sottoscrittore e il soggetto che ha rilasciato la firma (art. 60).

 

Il comma 1 amplia le modalità di identificazione dell’utente, ai fini del rilascio della FEA prevedendo tre soluzioni già riconosciute dall’ordinamento.

 

La prima prevede (comma 1, lettera a), una procedura di identificazione elettronica basata su credenziali, in grado di soddisfare i requisiti di sicurezza previsti dall’articolo 4 del Regolamento delegato (UE) 2018/389 di integrazione della Direttiva (UE) 2015/2366 (cd. direttiva PSD2 relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno), attribuite dal soggetto che eroga la firma elettronica avanzata all’utente che la richiede già identificato dall’intermediario bancario e finanziario, ai sensi articolo 19 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, che disciplina le modalità di adempimento dell’obbligo di adeguata verifica della clientela ai fini della normativa antiriciclaggio (cfr. il commento al comma 3).

 

Il citato regolamento delegato integra la direttiva PSD2 (seconda direttiva sui servizi di pagamento: direttiva UE 2015/2366) individuando le norme tecniche di regolamentazione per l'autenticazione forte del cliente e gli standard aperti di comunicazione comuni e sicuri. L’articolo 4, in sintesi, tra le misure di autenticazione “forte” del cliente prevede la generazione di un codice di autenticazione; a tal fine, i prestatori di servizi di pagamento devono adottare misure di sicurezza al fine di garantire il soddisfacimento dei seguenti requisiti: nessuna informazione può essere ricavata dalla comunicazione del codice di autenticazione; non è possibile generare un nuovo codice di autenticazione sulla base della conoscenza di un altro codice di autenticazione generato in precedenza; il codice di autenticazione non può essere contraffatto.

Per ulteriori informazioni sulla materia, si rinvia al tema web su pagamenti e antiriciclaggio

 

La seconda (comma 1, lettera b) introduce la possibilità di identificare l’utente che richiede la firma elettronica avanzata mediante il Sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale (SPID), di cui all’articolo 64 del CAD, basato, almeno, sul secondo livello di sicurezza di autenticazione informatica.

 

Il Sistema pubblico di identità digitale (SPID) è volto a consentire l'accesso a qualunque servizio con un solo pin (Personal Identification Number), universalmente accettato, in modo che il cittadino possa autenticarsi una sola volta presso uno dei gestori di identità digitali ed utilizzare tale autenticazione con qualunque erogatore di servizi on line, pubblico e privato, italiano e dell'Unione europea.

Lo SPID è stato introdotto nell’ordinamento dal decreto-legge 69 del 2013 (conv. dalla legge 98/2013, art. 17-ter che ha novellato l’art. 64 del CAD - Codice dell’amministrazione digitale, D.Lgs. 82/2005).

Secondo quanto previsto dal CAD, l’identità digitale di un soggetto consiste nella rappresentazione informatica della corrispondenza tra esso e i suoi attributi identificativi, verificata attraverso l'insieme dei dati raccolti e registrati in forma digitale.

Ai sensi dell’articolo 64 del CAD il sistema SPID è finalizzato all’identificazione degli utenti (cittadini e imprese) per consentire loro l’accesso ai servizi in rete forniti sia da parte delle pubbliche amministrazioni, sia dei privati.

Il sistema è costituito mettendo insieme i soggetti pubblici e privati (identity provider) che gestiscono i servizi di registrazione e di rilascio delle credenziali e degli strumenti di accesso in rete a cittadini e imprese per conto delle pubbliche amministrazioni, in qualità di erogatori di servizi in rete, ovvero, direttamente, su richiesta degli interessati.

È inoltre riconosciuta alle imprese la facoltà di avvalersi del sistema SPID per la verifica dell’accesso ai propri servizi erogati in rete da parte dei rispettivi utenti: l’adesione esonera l’impresa dall’obbligo generale di sorveglianza delle attività sui propri siti, ai sensi del D.Lgs. n. 70/2003 (art. 17), che riguarda in particolare il commercio elettronico.

 

Con il DPCM 24 ottobre 2014 adottato su proposta del Ministro delegato per l’innovazione tecnologica e del Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell’economia e sentito il Garante per la protezione dei dati personali, sono state definite le prime modalità attuative dello SPID quali:

-       le caratteristiche del sistema, che comprendono il modello architetturale e organizzativo, nonché gli standard tecnologici e le soluzioni per garantire l’interoperabilità delle credenziali e degli strumenti di accesso nei riguardi di cittadini e imprese;

-       le modalità di adesione da parte di cittadini e imprese in qualità di utenti di servizi in rete, nonché quelle delle imprese in qualità di erogatori di servizi in rete;

-       le modalità di accreditamento da parte dell’Agenzia per l’Italia digitale dei soggetti che gestiscono la registrazione e l’accesso in rete, c.d. gestori dell’identità digitale (comma 2-ter);

-       i tempi e le modalità di adozione del sistema SPID da parte delle pubbliche amministrazioni in qualità di erogatori di servizi in rete.

 

Il citato DPCM ha tra l’altro individuato tre livelli di sicurezza di autenticazione informatica dello SPID:

-       primo livello, corrispondente al Level of Assurance LoA2 dello standard ISO/IEC DIS 29115, in cui il gestore dell'identità digitale rende disponibili sistemi di autenticazione informatica a un solo fattore (ad esempio la password);

-       secondo livello, corrispondente al Level of Assurance LoA3 dello standard ISO/IEC DIS 29115, in cui il gestore dell'identità digitale rende disponibili sistemi di autenticazione informatica a due fattori, non basati necessariamente su certificati digitali;

-       terzo livello, corrispondente al Level of Assurance LoA4 dello standard ISO/IEC DIS 29115, in cui il gestore dell'identità digitale rende disponibili sistemi di autenticazione informatica a due fattori basati su certificati digitali.

 

Si ricorda che alcuni certificatori già utilizzano lo SPID con credenziali di livello 2 come sistema di riconoscimento per il rilascio della firma digitale (fonte AGID).

 

La terza soluzione (comma 1, lettera c) consiste nella possibilità di identificare l’utente che richiede la firma elettronica utilizzando un sistema di identificazione elettronica, basato su credenziali di livello almeno «significativo», nell’ambito di un regime di identificazione elettronica notificato, con esito positivo, ai sensi dell’articolo 9 del Regolamento (UE) n. 910/2014.

Come esplicitato dalla relazione illustrativa, si tratta dei sistemi di identificazione elettronica in relazione ai quali i singoli Stati membri hanno attivato e completato il processo di notifica, previsto dal Regolamento eIDAS, a garanzia dell’interoperabilità tra le diverse identità elettroniche europee, e in particolare riguarda la Carta di identità elettronica, tramite la quale sarà dunque possibile identificare l’utente ed erogare la firma elettronica avanzata, così rafforzando la diffusione e l’utilizzo di tale strumento di semplificazione.

 

La carta di identità elettronica è stata introdotta dalla legge 127/1997, che ha previsto la sostituzione della carta di identità cartacea con un documento realizzato su supporto informatico, contenente, oltre ai dati personali, il codice fiscale e, con l’accordo dell’interessato, l’indicazione del gruppo sanguigno. La CIE oltre a mantenere la funzione del documento cartaceo attestante l’identità della persona, ha la funzione di strumento di accesso ai servizi innovativi che le pubbliche amministrazioni locali e nazionali metteranno a disposizione per via telematica. La carta dovrà funzionare e dovrà poter essere utilizzata allo stesso modo su tutto il territorio nazionale.

Il passaggio decisivo verso la definizione della carta d’identità quale carta di servizi si ha con la modifica alla legge 127 operata dalla legge 191/1998, con cui viene previsto che la carta possa contenere, oltre ai dati personali, codice fiscale e gruppo sanguigno, anche altri dati che consentano l’erogazione al cittadino di quei servizi che ne richiedano l’identificazione, nonché tutte le informazioni, tra cui la chiave biometrica, necessarie per il suo utilizzo assieme alla firma digitale. Tra gli obiettivi dell’informatizzazione del documento di identità, la legge individua la possibilità del trasferimento elettronico dei pagamenti tra soggetti privati e pubbliche amministrazioni.

Le disposizioni sulla carta di identità e sui documenti elettronici sono in seguito confluite nell’art. 36 del testo unico sulla documentazione amministrativa (D.P.R. 445/2000) e, successivamente, nell’art. 66 del Codice dell’amministrazione digitale, che costituisce la norma di riferimento per la materia.

Nel 1999, viene approvato il regolamento che reca le regole tecniche e le modalità di rilascio (D.P.R. 22 ottobre 1999, n. 437, Regolamento recante caratteristiche e modalità per il rilascio della carta di identità elettronica e del documento di identità elettronico). Con il decreto del Ministro dell’interno 19 luglio 2000 sono state dettate le regole tecniche e di sicurezza relative alla carta d'identità e al documento d'identità elettronico.

Il quadro normativo è completato dal decreto del Ministro dell’interno 23 dicembre 2015 (recante le modalità tecniche di emissione della Carta d’identità elettronica) e dal decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 25 maggio 2016 (recante la determinazione del corrispettivo a carico del richiedente la carta d’identità elettronica).

Si ricorda inoltre il DL 78/2015 (art. 10, commi 3, 4 e 5) che interviene sulla disciplina della carta di identità elettronica CIE che non è più definito quale documento obbligatorio di identificazione. Inoltre, viene definitivamente superato il progetto di unificazione della CIE e della tessera sanitaria nel Documento digitale unificato (DDU) previsto dal DL 70/2011. Il provvedimento provvede inoltre a stanziare le risorse necessarie per coprire le spese previste per l’implementazione del progetto CIE.

Da ultimo, l'articolo 1, comma 811 della legge di bilancio 2019 (L. 145/2018) ha integrato la disposizione di cui all'art. 7-vicies ter, comma 2-bis del D.L. 43/2005, al fine di consentire al Ministero dell'interno di stipulare convenzioni ai fini della riduzione degli oneri amministrativi e di semplificazione delle modalità di richiesta, gestione e rilascio della carta d'identità elettronica, nel limite di spesa di 750 mila euro a decorrere dal 2019.

È all’esame della camera una  proposta di legge A.C. 432 volta a potenziare l'utilizzo della carta di identità elettronica (CIE) come strumento di accertamento dell'identità del cittadino e di accesso del cittadino stesso ai servizi in rete.

In particolare, si definisce la CIE quale strumento che assicura al massimo livello di sicurezza il riconoscimento dell'identità fisica e digitale del cittadino e si prescrive di dotare le autorità di pubblica sicurezza degli strumenti informatici necessari per garantire l'immediato riconoscimento della persona.

 

Il comma 2, prevede l’obbligo, in capo ai soggetti che erogano le soluzioni di firma elettronica avanzata, di conservare, per venti anni, le registrazioni informatiche riferite al processo di identificazione in base al quale è stata attribuita la firma elettronica avanzata.

 

Con il comma 3 si introducono modifiche al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, che contiene le norme nazionali di recepimento della disciplina unionale in materia di prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo di cui alla direttiva (UE) 2015/849 (c.d. IV direttiva AML), come da ultimo emendata dalla direttiva (UE) 2018/843 (c.d. V direttiva AML).

Per ulteriori informazioni sulla materia, si rinvia al tema web su pagamenti e antiriciclaggio.

 

La relazione illustrativa del Governo chiarisce che l’obiettivo delle modifiche è quello di eliminare oneri ulteriori e non necessari, cd. goldplating, imposti dal diritto nazionale, allo scopo di semplificare e rendere meno oneroso l’adempimento degli obblighi di adeguata verifica dei clienti nel caso di instaurazione di rapporti contrattuali a distanza, mediante l’utilizzo di strumenti di pagamento digitali, fermo restando il rispetto degli standard e delle regole imposte dal diritto europeo.

 

In sintesi, le modifiche di cui alle lettere a) e b) eliminano la necessità di riscontrare in ogni caso il documento di identità del cliente, ai fini dell’assolvimento degli obblighi di adeguata verifica disposti dalla normativa antiriciclaggio, ove l’identificazione avvenga a distanza, previa adeguata verifica identificativa secondo le condizioni di sicurezza e attendibilità imposte dagli standard nazionali ed europei.

 

La lettera a) interviene sull’articolo 1, comma 2, lettera n) del citato decreto legislativo n. 231, norma che contiene le definizioni rilevanti ai fini della citata disciplina.

Per effetto delle modifiche in commento, gli estremi del documento di identificazione sono espunti dal novero dei dati identificativi delle persone fisiche. 

 

La lettera b) sostituisce la lettera a) dell’articolo 18, comma 1, del D.Lgs. n. 231 del 2007, relativa alle modalità con cui è assolto l’obbligo di adeguata verifica della clientela.

Analogamente alla lettera a), con le modifiche in commento si elimina dalla norma il riferimento al riscontro di un documento d'identità o di altro documento di riconoscimento equipollente ai sensi della normativa vigente.

Di conseguenza, l’identificazione del cliente e la verifica della sua identità ai fini degli obblighi antiriciclaggio avviene sulla base di documenti, dati o informazioni ottenuti da una fonte affidabile e indipendente; resta fermo che le medesime misure si attuano nei confronti dell’esecutore, anche in relazione alla verifica dell’esistenza e dell’ampiezza del potere di rappresentanza in forza del quale opera in nome e per conto del cliente. 

 

Il Governo nella relazione illustrativa rammenta che il previgente articolo 18 del decreto legislativo n. 231 del 2007 imponeva, in ogni caso, l’esibizione del documento di identità come criterio generale di adeguata verifica della clientela, anche quando tale verifica fosse effettuata a distanza tramite gli strumenti di verifica dell’identità digitale con livello di sicurezza almeno significativo, previsti dal regolamento (UE) n. 910/2014 per l’accesso ai servizi che presuppongono l’identificazione sicura del cliente.

Al riguardo l’esecutivo rileva che l’obbligo di trasmettere la fotocopia del documento di identità o equipollente del cliente, anche se l’identità della persona è stata verificata a distanza, in via digitale, con gli strumenti idonei e sicuri previsti dalla normativa europea, non è prevista dall’articolo 13 della direttiva (UE) 2015/849, come da ultimo emendata dalla direttiva (UE) 2018/843.

 L’articolo 13, comma 1, lettera a) della direttiva citata dispone che l’adeguata verifica della clientela sia assolta mediante l’adempimento del dovere di identificare il cliente e verificarne l'identità sulla base di documenti, dati o informazioni ottenuti da una fonte attendibile e indipendente, compresi, se disponibili, i mezzi di identificazione elettronica o i pertinenti servizi fiduciari di cui al citato regolamento (UE) n. 910/2014 o altre procedure di identificazione a distanza o elettronica sicure, regolamentate, riconosciute, approvate o accettate dalle autorità nazionali competenti.

Il Governo al riguardo puntualizza che la semplificazione riguarda esclusivamente i casi di verifica della clientela a distanza, per come questa è già consentita dalla legge, all’articolo 19 del decreto legislativo n. 231 del 2007; resta immutata la previsione dell’articolo 19, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo n. 231 del 2007, che impone l’obbligo di riscontrare il documento di identità e i suoi estremi in tutti i casi di verifica in presenza del cliente.

 

L’intervento di cui alla lettera c), n. 1, modifica l’articolo 19, comma 1, lettera a), numero 2 del D. Lgs. n. 231 del 2007, che ritiene assolto l'obbligo di identificazione anche senza la presenza fisica del cliente qualora quest’ultimo possieda una identità digitale avente specifiche caratteristiche.

 

In particolare, ai sensi delle norme vigenti, l’obbligo di identificazione si considera assolto, anche a distanza, se il cliente possiede un'identità digitale, di livello massimo di sicurezza, nell'ambito dello SPID - Sistema pubblico per la gestione delle identità digitali e modalità di accesso ai servizi erogati in rete dalle pubbliche amministrazioni (di cui all'articolo 64 del decreto legislativo n. 82 del 2005), ovvero se il cliente possiede un'identità digitale di livello massimo di sicurezza o di un certificato per la generazione di firma digitale, rilasciati nell'ambito di un regime di identificazione elettronica compreso nell'elenco pubblicato dalla Commissione europea a norma dell'articolo 9 del regolamento eIDAS (regolamento UE n. 910/2014 in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno) ovvero se il cliente è identificato per mezzo di procedure di identificazione elettronica sicure e regolamentate ovvero autorizzate o riconosciute dall'Agenzia per l'Italia digitale.

 

L’articolo 9, comma 2 del regolamento 910/2014 prevede che la Commissione pubblica nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea un elenco dei regimi di identificazione elettronica notificati dagli Stati membri.

 

Le modifiche in esame, come chiarito alla relazione illustrativa, intendono semplificare le modalità di adempimento degli obblighi di adeguata verifica attraverso l’utilizzo di strumenti di identificazione a distanza attraverso due interventi:

§  si prevede che gli strumenti di identificazione soddisfino un livello di garanzia almeno significativo, in luogo dell’attuale previsione di un “livello massimo di sicurezza”;

§  si corregge una imprecisione della formulazione attuale della norma, che fa riferimento all’elenco pubblicato dalla Commissione europea ai sensi dell’articolo 9 del regolamento (UE) n. 910/2014 (eIDAS); esso riguarda i regimi di identificazione elettronica notificati, ma non la firma digitale (in particolare, la firma elettronica qualificata), come erroneamente inteso dalla formulazione vigente.

 

L’intervento di cui alla lettera c), n. 2, introduce un punto 4-bis al già citato articolo 19, comma 1, lettera a) del D.Lgs. n. 231 del 2007.

L’intervento è volto a chiarire che, per la sola ipotesi di instaurazione di rapporti continuativi relativi a carte di pagamento e dispositivi analoghi, nonché a strumenti di pagamento basati su dispositivi di telecomunicazione, digitali o informatici -  con esclusione dei casi in cui tali carte, dispositivi o strumenti sono utilizzabili per generare l’informazione necessaria a effettuare direttamente un bonifico o un addebito diretto verso e da un conto di pagamento – sia prevista una speciale modalità di identificazione e verifica a distanza dell’identità.

Tale identificazione consiste nell’esecuzione di un bonifico, disposto dallo stesso cliente da identificare, verso un conto di pagamento intestato al soggetto tenuto all’obbligo di identificazione, a condizione che il bonifico sia disposto previa identificazione elettronica basata su credenziali che assicurano i requisiti previsti dall’articolo 4 del regolamento delegato (UE) 2018/389 della Commissione del 27 novembre 2017.

 

Il citato regolamento integra la direttiva PSD2 (seconda direttiva sui servizi di pagamento: direttiva UE 2015/2366) individuando le norme tecniche di regolamentazione per l'autenticazione forte del cliente e gli standard aperti di comunicazione comuni e sicuri. L’articolo 4, in sintesi, tra le misure di autenticazione “forte” del cliente prevede la generazione di un codice di autenticazione.

A tal fine, i prestatori di servizi di pagamento devono adottare misure di sicurezza al fine di garantire il soddisfacimento dei seguenti requisiti: nessuna informazione può essere ricavata dalla comunicazione del codice di autenticazione; non è possibile generare un nuovo codice di autenticazione sulla base della conoscenza di un altro codice di autenticazione generato in precedenza; il codice di autenticazione non può essere contraffatto.

 

A parere del Governo, la norma intende evitare il ripetersi di non necessari adempimenti di identificazione dei clienti, ove stati questi siano stati già svolti dal prestatore del servizio di radicamento del conto di provenienza del bonifico.

 

 

Il nuovo comma 3-bis, aggiunto nel corso dell’esame al Senato, modificando l’articolo 1, comma 2 del decreto-legge n. 3 del 2015, ha l’effetto di posticipare la piena operatività della riforma delle banche popolari dal 31 dicembre 2020 al 31 dicembre 2021.

 

Si ricorda al riguardo che il decreto-legge n. 34 del 2019 ha fissato, da ultimo, al 31 dicembre 2020 il termine per l'attuazione della riforma delle banche popolari, prevista dal decreto legge n. 3 del 2015.

Si tratta in particolare del termine per adeguare l'attivo delle banche popolari ai nuovi requisiti massimi richiesti dal Testo Unico Bancario, oppure per deliberarne la trasformazione in società per azioni. Con la riforma del 2015 è stato infatti stabilito che l'attivo di una banca popolare non possa superare la soglia di 8 miliardi di euro e, trascorso un anno dal superamento di tale limite, ove lo stesso non sia stato ridotto al di sotto della soglia né sia stata deliberata la trasformazione in società per azioni o la liquidazione, vengono previsti rilevanti poteri di intervento da parte dell'autorità di vigilanza, che può proporre la revoca dell'autorizzazione e la liquidazione coatta amministrativa della banca.

Per ulteriori informazioni si rinvia alla documentazione web e al dossier di ricerca sulle riforme del sistema bancario in Italia e in Europa.


 

 

Articolo 27-bis
(Modifiche all’articolo 55 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, misure per la semplificazione dell’identificazione di acquirenti di S.I.M.)

 

 

L'articolo 27-bis, introdotto al Senato, esclude l’obbligo di identificazione per le SIM installate senza possibilità di essere estratte, per la fornitura di servizi Internet of Things (IoT).

 

In dettaglio si modifica l’articolo 55 del codice delle comunicazioni elettroniche (D. Lgs. n. 259 del 2003), con l’aggiunta di un comma 7-bis, in base al quale l’obbligo di identificazione dei richiedenti SIM, previsto dal comma 7 dell’articolo 55, non si applica alle schede SIM utilizzate per la fornitura di servizi di tipo Internet of Things, che siano installate senza possibilità di essere estratte, all’interno degli oggetti connessi e che, anche se disinstallate, non possono essere utilizzate per effettuare traffico voce, inviare SMS o fruire di servizi di connessione ad Internet.

Si ricorda che il comma 7 dell’articolo 55, obbliga ogni impresa a rendere disponibili, anche per via telematica, al centro di elaborazione dati del Ministero dell'interno gli elenchi di tutti i propri abbonati e di tutti gli acquirenti del traffico prepagato della telefonia mobile, che sono identificati prima dell'attivazione del servizio, al momento della consegna o messa a disposizione della occorrente scheda elettronica (S.I.M.). Le imprese adottano tutte le necessarie misure affinché venga garantita l'acquisizione dei dati anagrafici riportati su un documento di identità, nonché del tipo, del numero e della riproduzione del documento presentato dall'acquirente ed assicurano il corretto trattamento dei dati acquisiti. L'autorità giudiziaria ha facoltà di accedere per fini di giustizia a tali elenchi, in possesso del centro di elaborazione dati del Ministero dell'interno.

Si ricorda che l’Internet of Things (IoT), consente di unire mondi fisici e virtuali in cui gli oggetti e le persone sono interconnessi attraverso le reti di comunicazione, creando ambienti intelligenti. Secondo uno studio della Commissione europea il valore di mercato della IoT nella UE dovrebbe superare 1.181 miliardi di euro nel 2020. Per approfondimenti si veda anche il documento di lavoro della Commissione UE sulle tecnologie digitali emergenti dell'aprile 2018.

La legge di Bilancio per il 2019 (l. n. 145 del 2018), all'articolo 1, comma 226, ha previsto l'istituzione di un Fondo per favorire lo sviluppo delle tecnologie e delle applicazioni di Intelligenza Artificiale, blockchain e Internet of Things, con una dotazione di 15 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021, per finanziare progetti di ricerca e sfide competitive in questi campi.


 

Articolo 28
(Semplificazione della notificazione e comunicazione telematica degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale)

 

 

L'articolo 28, in relazione al quale il Senato ha approvato una modifica formale, interviene sulla disciplina concernente la comunicazione al Ministero della giustizia, da parte delle pubbliche amministrazioni, dell'indirizzo di posta elettronica certificata (PEC), da utilizzare per la ricezione di comunicazioni e notificazioni. La norma in esame prevede la possibilità di comunicare gli indirizzi PEC di organi o articolazioni, anche territoriali, delle pubbliche amministrazioni. Si prevede, inoltre, la possibilità di comunicare ulteriori indirizzi PEC delle amministrazioni che si costituiscono in giudizio tramite i propri dipendenti.

Sono infine disciplinati i casi di mancata comunicazione dell'indirizzo PEC.

 

Il comma 1, lettera a), reca modifiche all'art. 16, comma 12, del D.L. n. 179 del 2012 (convertito dalla legge n. 221 del 2012). Esso stabilisce che le pubbliche amministrazioni comunichino al Ministero della giustizia l'indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) per la ricezione di comunicazioni e notificazioni, entro il 30 novembre 2014. Tale temine, scaduto, è espunto dalla disposizione in esame.

 

La comunicazione è effettuata in conformità alle disposizioni del regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione, nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, emanato con il decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44, in attuazione dell'art. 4 del D.L. n. 193 del 2009. Inoltre, l'indirizzo PEC deve essere conforme a quanto previsto dal regolamento di cui al d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, recante "Disposizioni per l'utilizzo della posta elettronica certificata".

 

Secondo la norma in esame, con tali modalità possono essere comunicati:

§  indirizzi PEC di organi o articolazioni, anche territoriali, delle pubbliche amministrazioni. Questi indirizzi possono essere utilizzati per eseguire le comunicazioni o notificazioni per via telematica nel caso in cui sia stabilito presso tali uffici l'obbligo di notifica degli atti introduttivi di giudizio in relazione a specifiche materie, ovvero in caso di autonoma capacità o legittimazione processuale;

§  ulteriori indirizzi PEC utilizzabili, per le medesime finalità, in caso di costituzione in giudizio tramite propri dipendenti. Tali indirizzi sono riportati in una speciale sezione dell'elenco degli indirizzi PEC presso il Ministero della giustizia e dovranno essere corrispondenti a specifiche aree organizzative omogenee, presso cui è eletto domicilio ai fini del giudizio.

 

Le Linee guida AgID dell’Indice dei domicili digitali delle Pubbliche Amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi prevedono che ogni ente deve inserire e mantenere aggiornati i propri dati organizzati nelle seguenti sezioni:

a. Ente;

b. Aree Organizzative Omogenee (AOO);

c. Unità Organizzative (UO).

Per ciascuna sezione le Linee guida indicano le informazioni obbligatorie.

 

Si segnala che l'art. 16, comma 12, fa riferimento alle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Esse sono: tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al d.lgs. n. 300 del 1999.

 

 

Il comma 1, lettera b) modifica il comma 13 dell'art. 16 del D.L. n. 179 del 2012, prevedendo che, in caso di mancata comunicazione ai sensi del comma 12,

§  le comunicazioni e notificazioni a cura della cancelleria si effettuino ai sensi dei commi 6 e 8 dell'art. 16 medesimo;

§  le notificazioni ad istanza di parte si effettuino ai sensi dell'articolo 16-ter, comma 1-ter (v. infra).

 

L'art. 16, comma 6, del d.l. 179 del 2012, qui richiamato, stabilisce che le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto ad istituire o comunicare l'indirizzo PEC, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. Le stesse modalità si adottano nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario. A tale riguardo si ricorda che l'art. 16, comma 4, stabilisce che nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria dovranno essere effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procederà, nel procedimento penale, per le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, c.p.p.. La notifica avviene quindi via PEC a persona diversa dall'imputato a condizione che tale soggetto sia in possesso di indirizzo PEC incluso in pubblici elenchi e comunque accessibile alle pubbliche amministrazioni. La relazione di notificazione viene redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alle cancellerie. Sulla base di tale precisazione si dovrebbe quindi escludere che le parti private possano fare uso della PEC. L'art 150 c.p.p. prevede che, "quando lo consigliano circostanze particolari", il giudice, con proprio decreto, può disporre la notificazione a persona diversa dall'imputato mediante mezzi comunque idonei a garantire la conoscibilità dell'atto (quindi anche PEC o altri mezzi). L'art. 149 prevede la possibilità da parte del giudice di disporre, anche su richiesta di parte, che, in casi di urgenza, le persone diverse dall'imputato siano avvisate o convocate a mezzo del telefono, a cura della cancelleria o, quando ciò risulti impossibile, con telegramma. L'art. 151, comma 2, prevede che la consegna di copia all'interessato, da parte della segreteria, di atti del pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari, abbia valore di notificazione.

L'art. 16, comma 8, qui richiamato, stabilisce che quando non si può procedere secondo quanto stabilito dal comma 4,

§  nei procedimenti civili si applicano l'articolo 136, terzo comma, e gli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile, concernenti le notificazioni nel processo civile; 

§  nei procedimenti penali, si applicano gli articoli 148 e seguenti del codice di procedura penale (v. sopra).

 

 

Il comma 1, lettera c), reca modifiche all'art. 16-ter del medesimo D.L. n. 179 del 2012.

Tale articolo 16-ter, al comma 1, riferisce la nozione di "pubblici elenchi" per notificazioni e comunicazioni (in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale) a quanto stabilito dagli articoli:

§  6-bis (Indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti), 6-quater (Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato, non tenuti all'iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese) e 62 (Anagrafe nazionale della popolazione residente - ANPR) del CAD;

§  16, comma 12, del decreto-legge n. 179 del 2012, qui novellato;

§  16, comma 16, del decreto-legge n. 185 del 2008 (registro delle imprese corredato dagli indirizzi PEC o analogo indirizzo di posta elettronica);

§  nonché al registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della giustizia.

 

Introducendo un nuovo comma 1-ter all'art. 16-ter, si prevede che in caso di mancata indicazione nell'elenco di indirizzi PEC, la notificazione degli atti alle pubbliche amministrazioni (in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale) è validamente effettuata, a tutti gli effetti, al domicilio digitale indicato nell'Indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi, di cui all'articolo 6-ter del CAD. Ove risultino nell'Indice più domicili digitali facenti capo alla stessa amministrazione pubblica, la notificazione è effettuata presso l'indirizzo PEC primario, ivi indicato nella sezione ente dell'amministrazione pubblica destinataria, secondo le previsioni delle Linee guida di AgID (Agenzia per l'Italia digitale, Det. 4 aprile 2019, n. 97, recante "Adozione delle Linee Guida dell'Indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici - IPA").

Tali disposizioni trovano applicazione anche alla giustizia amministrativa (ai sensi della modifica recata dalla norma in esame al comma 1-bis dell'art. 16-ter).

Rimane ferma la disciplina recata dal testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato di cui al R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611.

 

Le già citate Linee guida AgID dell’Indice dei domicili digitali delle Pubbliche Amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi prevedono che, all'interno della sezione "Ente", debba essere indicato un indirizzo PEC primario.

 

Si ricorda infine, per completezza di informazione, che il medesimo art. 16, comma 12, del D.L. n. 179, precisa che l’elenco presso il Ministero della giustizia, contenente gli indirizzi PEC delle pubbliche amministrazioni è consultabile esclusivamente dal Ministero della giustizia, dagli UNEP (Uffici notificazioni e protesti del ministero della giustizia) e dagli avvocati.

 

Il comma 2 dell'articolo in esame, demanda ad un provvedimento del responsabile dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, da adottare nel termine di novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, la definizione delle specifiche tecniche per l’attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 16, comma 12, come modificato dal presente articolo. Rimane fermo quanto previsto dal comma 1-ter dell'art. 16-ter, introdotto dal presente articolo.

 

In tema di giustizia digitale, si segnala che l’articolo 221 del decreto-legge n. 34 del 2020 ("decreto rilancio"), oltre alle disposizioni di carattere temporaneo connesse all'emergenza da Covid-19, efficaci fino al 31 ottobre 2020, introduce disposizioni a regime concernenti il deposito con modalità telematica di istanze e atti presso gli uffici del pubblico ministero, nella fase delle indagini preliminari, da parte dei difensori e della polizia giudiziaria.

Più nel dettaglio la norma:

§  demanda ad un decreto del Ministro della giustizia non avente natura regolamentare - previo accertamento da parte del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero  della funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici - l’autorizzazione del deposito con modalità telematica, presso gli uffici del pubblico ministero, di memorie, documenti, richieste e istanze da parte del difensore dell’indagato una volta ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini preliminari ( art. 415-bis, comma 3, c.p.p[95]), nonché di atti e documenti da parte degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria;

§  quanto alle modalità del deposito rinvia ad un provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, anche in deroga alle disposizioni del regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione;

Si tratta del D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, emanato ai sensi dell'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n.?193, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 febbraio 2010, n.?24.

§  stabilisce che il deposito si intende eseguito al momento del rilascio della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali, secondo le modalità stabilite dal provvedimento direttoriale suddetto.

 

 


 

Articolo 29
(Disposizioni per favorire l'accesso delle persone con disabilità agli strumenti informatici, piattaforma unica nazionale informatica di targhe associate a permessi di circolazione dei titolari di contrassegni)

 

 

L'articolo 29, modificato dal Senato, al comma 1, apporta modifiche alla legge 9 gennaio 2004, n. 4, recante "Disposizioni per favorire l'accesso delle persone con disabilità agli strumenti informatici", già modificata dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 106, di recepimento della direttiva (UE) n. 2016/2102 relativa all'accessibilità dei siti web e delle applicazioni mobili degli enti pubblici.  Le modifiche formulate sono volte ad estendere gli obblighi di accessibilità già previsti dalla normativa vigente anche ai soggetti privati che offrono servizi al pubblico attraverso siti web o applicazioni mobili, con un fatturato medio, negli ultimi tre anni di attività, superiore a cinquecento milioni di euro, secondo quanto proposto con una modifica del Senato (mentre il testo originario del decreto faceva riferimento ad un fatturato di novecento milioni di euro).

Il comma 2 modifica l’articolo 1, commi 489 e 491, della legge 28 dicembre 2018, n. 145, recante il "Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021", al fine di destinare il Fondo per l'accessibilità e la mobilità delle persone con disabilità alla realizzazione di una piattaforma unica nazionale informatica di targhe associate a permessi di circolazione dei titolari di contrassegni rilasciati ai sensi dell’articolo 381, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 ("Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada").

 

L'articolo 29 apporta ulteriori modifiche alla legge 9 gennaio 2004 n. 4 recante "Disposizioni per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici", già modificata dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 106 di recepimento della direttiva (UE) 2016/2102 relativa all'accessibilità dei siti web e delle applicazioni mobili degli enti pubblici.

Come evidenziato nella relazione illustrativa, le modifiche formulate sono principalmente volte a estendere gli obblighi di accessibilità già previsti dalla normativa vigente anche ai soggetti privati che offrono servizi al pubblico attraverso siti web o applicazioni mobili.

 

Il comma 1, lettera a), modifica l’articolo 1, comma 2, della citata legge n. 4 del 2004, precisando che il diritto di accesso delle persone con disabilità deve essere tutelato e garantito non solo per i servizi informatici e telematici della pubblica amministrazione, ma anche con riferimento alle strutture e ai servizi aperti o forniti al pubblico attraverso i nuovi sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione in rete.

 

Il comma 1, lettera b), reca una modifica di coordinamento normativo mediante il richiamo all’articolo 2, comma 1, lettera a-quinquies, della citata legge, del novellato articolo 3, nuovo comma 1-bis, al fine di includere nel novero dei soggetti erogatori destinatari degli obblighi di accessibilità anche i soggetti identificati dalla successiva lettera c) della norma.

 

Il comma 1, lettera c), inserisce infatti all'articolo 3 il nuovo comma 1-bis in cui viene precisato che gli obblighi derivanti dalla legge 4/2004 si applicano anche ai soggetti giuridici, diversi da quelli di cui all’articolo 3, comma 1, che offrono servizi al pubblico attraverso siti web o applicazioni mobili, con un fatturato medio, negli ultimi tre anni di attività, superiore a cinquecento milioni di euro, secondo quanto previsto con una modifica del Senato. Il testo originario del decreto faceva riferimento ad un fatturato di novecento milioni di euro.

Seguono norme di coordinamento volte a rendere effettivo il sistema già previsto dalla legge 4/2004 anche per i nuovi destinatari delle disposizioni vigenti.

 

Il comma 1, lettera d), modifica l'articolo 4, comma 1, della legge 4/2004 precisando che l'obbligo di motivare adeguatamente la mancata considerazione dei requisiti di accessibilità è esteso anche all’acquisizione di beni o alla fornitura di servizi effettuata dai soggetti di cui all’articolo 3, comma 1-bis.

Modifica inoltre l'articolo 4, comma 2, estendendo ai soggetti di cui all'articolo 3, comma 1-bis, la sanzione della nullità per i contratti per la realizzazione e la modifica di siti web e applicazioni mobili conclusi in violazione dei requisiti di accessibilità. Tali requisiti sono stabiliti dalle linee guida emanate dall'Agenzia per l'Italia digitale, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281

 

Le Linee guida sull’accessibilità degli strumenti informatici, così come disposto dall’art. 11 della L. 4/2004, hanno lo scopo di definire:

  1. i requisiti tecnici per l’accessibilità degli strumenti informatici, ivi inclusi i siti web e le applicazioni mobili;
  2. le metodologie tecniche per la verifica dell’accessibilità degli strumenti informatici;
  3. il modello della dichiarazione di accessibilità;
  4. la metodologia di monitoraggio e valutazione della conformità degli strumenti informatici alle prescrizioni in materia di accessibilità;
  5. le circostanze in presenza delle quali si determina un onere sproporzionato.

 

Le amministrazioni pubbliche dovranno: effettuare le verifiche dell’accessibilità degli strumenti informatici (siti web e app), al fine di valutarne lo stato di conformità; compilare e pubblicare una "dichiarazione di accessibilità" (sotto la responsabilità del Responsabile per la transizione al digitale – RTD) tramite la procedura online resa disponibile dall'Agenzia. Nella dichiarazione potranno essere previste eventuali deroghe all’accessibilità (come il ricorso all’onere sproporzionato); predisporre un "meccanismo di feedback" per consentire ai cittadini di inviare una segnalazione di prima istanza.

L’Agenzia effettua il monitoraggio dei siti web e delle app su un campione rappresentativo, relazionando ogni 3 anni alla Commissione europea sui risultati del monitoraggio.

 

Il comma 1, lettera e), modifica il comma 1 dell’articolo 7, che disciplina i compiti amministrativi dell'Agenzia per l'Italia digitale, precisando che le disposizioni di cui all'articolo 7 troveranno applicazione "nei confronti dei soggetti di cui all’articolo 3, comma 1", e non dunque nei confronti dei soggetti erogatori previsti dal nuovo articolo 3, comma 1-bis.

 

Il comma 1, lettera f), modifica l’articolo 9, comma 1, limitando ai soggetti di cui all’articolo 3, comma 1, la responsabilità dirigenziale e la responsabilità disciplinare, ai sensi degli articoli 21 e 55 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 ("Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche"), ferme restando le eventuali responsabilità penali e civili previste dalle norme vigenti.

Il medesimo comma 1, lettera f) introduce inoltre, dopo il comma 1 dell'articolo 9, il comma 1-bis.

Fermo restando il diritto del soggetto discriminato ad agire contro la discriminazione, ai sensi della legge 1° marzo 2006, n. 67 recante "Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni", il nuovo comma prevede una sanzione amministrativa per l’inosservanza degli obblighi previsti da parte dei soggetti di cui all’articolo 3, comma 1-bis. L’inosservanza delle disposizioni è accertata e sanzionata dall’Agenzia per l'Italia digitale. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II, della legge 24 novembre 1981, n. 689 ("Modifiche al sistema penale"). Se a seguito dell'istruttoria l'Agenzia per l'Italia digitale ravvisa violazioni, fissa il termine per l'eliminazione delle infrazioni stesse da parte del trasgressore. In caso di inottemperanza alla diffida di cui al periodo precedente, l'Agenzia per l'Italia digitale applica la sanzione amministrativa pecuniaria fino al cinque per cento del fatturato.

 

L’Agenzia per l'Italia digitale (AGID) è stata istituita ai sensi dell'articolo 19 del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1 della legge 7 agosto 2012, n. 134, e successive modifiche ed integrazioni.

L'Agenzia ha personalità giuridica di diritto pubblico ed è dotata di autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria. È sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, o del Ministro da lui delegato, e al controllo della Corte dei conti.

L'attività dell'Agenzia è disciplinata dal decreto istitutivo, dalle norme del suo statuto e dalle norme regolamentari emanate nell'esercizio della propria autonomia. Svolge le funzioni e i compiti ad essa attribuiti al fine di perseguire il massimo livello di utilizzo delle tecnologie digitali nell'organizzazione della pubblica amministrazione e nel rapporto fra questa, i cittadini e le imprese, nel rispetto dei principi di legalità, imparzialità e trasparenza e secondo criteri di efficienza, economicità ed efficacia.

L'Agenzia è inoltre preposta alla realizzazione degli obiettivi dell’Agenda digitale italiana, in coerenza con gli indirizzi dettati dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro delegato, e con l’Agenda digitale europea.

 

L’Agenda digitale europea è stata concepita come una delle sette iniziative faro della strategia Europa 2020, che ha fissato gli obiettivi per la crescita nell’Unione europea da raggiungere entro il 2020.

Lanciata nel 2010, l’Agenda digitale europea propone di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) per favorire l’innovazione, la crescita economica e il progresso offerti da un mercato digitale unico. Le aree d’azione delineate dalla Commissione europea sono sette: realizzazione del mercato unico digitale, miglioramento dell’interoperabilità e degli standard, rafforzamento della fiducia e della sicurezza online, promozione di un accesso veloce a Internet disponibile per tutti, incremento degli investimenti in ricerca e innovazione, integrazione, alfabetizzazione e sviluppo delle competenze digitali, attivazione dei benefici dell’ICT per l’Europa.

Al fine di garantire un ambiente digitale equo, aperto e sicuro, la Commissione ha inoltre avviato la strategia per il mercato unico digitale, basata su tre pilastri: fornire ai consumatori e alle imprese un migliore accesso ai beni e servizi digitali in tutta Europa; creare le condizioni ideali che consentano alle reti e servizi digitali di prosperare; massimizzare il potenziale di crescita dell'economia digitale.

 

La direttiva (UE) 2016/2102 relativa all'accessibilità dei siti web e delle applicazioni mobili degli enti pubblici mira al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri riguardanti le prescrizioni in materia di accessibilità dei siti web e delle applicazioni mobili degli enti pubblici, consentendo così a tali siti e applicazioni di essere maggiormente accessibili agli utenti, in particolare alle persone con disabilità.

Al "considerando n. 34" la direttiva evidenzia tuttavia che gli Stati membri dovrebbero essere incoraggiati a estendere l'applicazione della medesima direttiva agli enti privati che offrono strutture e servizi aperti o forniti al pubblico, anche nei settori della sanità, dei servizi per l'infanzia, dell'inclusione sociale e della sicurezza sociale, nonché nel settore dei servizi di trasporto e dell'elettricità, del gas, dell'energia termica, dell'acqua, del servizi delle comunicazioni elettroniche e dei servizi postali, con particolare riguardo ai servizi di cui agli articoli da 8 a 13 della direttiva 2014/25/UE sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali.

La direttiva (UE) 2016/2102 stabilisce le norme cui gli Stati membri devono conformarsi per assicurare che i siti web, indipendentemente dal dispositivo utilizzato per l'accesso, e le applicazioni mobili degli enti pubblici soddisfino le prescrizioni in materia di accessibilità di cui all'articolo 4 della direttiva stessa. In base a tale articolo, gli Stati membri devono provvedere affinché gli enti pubblici adottino le misure necessarie per rendere più accessibili i loro siti web e le loro applicazioni mobili di modo che siano "percepibili, utilizzabili, comprensibili e solidi".

L’articolo 1, oltre alle finalità della direttiva, individua gli ambiti esclusi dalla sua applicazione. In particolare sono esclusi i siti web e applicazioni mobili delle emittenti di servizio pubblico (il cui regime di accessibilità è più adeguatamente disciplinato dalle norme relative al settore di riferimento) e i siti web e applicazioni mobili di ONG che non forniscono servizi pubblici essenziali per il pubblico (o specificamente per persone disabili) per le quali l’onere di adempiere alle prescrizioni della direttiva è ritenuto, nell’ambito del "considerando n. 25", sproporzionato. Gli Stati membri possono inoltre escludere dall'applicazione della direttiva i siti web e le applicazioni mobili di scuole, giardini d'infanzia o asili nido, ad eccezione dei contenuti relativi a funzioni amministrative essenziali online.

L’articolo 2 precisa che gli Stati membri possono mantenere o introdurre misure conformi al diritto dell'Unione che vadano al di là delle prescrizioni minime per l'accessibilità web di siti internet e applicazioni mobili stabilite dalla direttiva.

L’articolo 5 consente di non applicare i principi di accessibilità nel caso in cui ciò determini oneri sproporzionati. Secondo il "considerando n. 39" per misure che imporrebbero un onere sproporzionato si dovrebbero intendere le misure che imporrebbero a un ente pubblico un onere organizzativo o finanziario eccessivo, o metterebbero a rischio la sua capacità di adempiere al suo scopo o di pubblicare le informazioni necessarie o pertinenti per i suoi compiti e servizi, pur tenendo conto del probabile beneficio o danno che ne deriverebbe per i cittadini, in particolare per le persone con disabilità. La mancanza di carattere prioritario, di tempo o di conoscenze non possono tuttavia essere considerati un motivo legittimo per derogare alle norme in tema di accessibilità.

Per valutare la sussistenza di oneri sproporzionati le pubbliche amministrazioni valutano l’onere tenendo conto delle dimensioni, delle risorse e della natura dell'ente pubblico interessato e della stima dei costi e dei benefici per l'ente pubblico interessato in rapporto ai benefici previsti per le persone con disabilità, e qualora l’onere sia sproporzionato indicano nell’apposito documento di accessibilità quali siano le parti delle prescrizioni in materia di accessibilità cui non è stato possibile conformarsi e se del caso fornire alternative accessibili.

L’articolo 6 sancisce una presunzione di conformità alle prescrizioni in tema di accessibilità per i contenuti dei siti web e delle applicazioni mobili che rispettano le norme armonizzate (o parte di esse), i cui riferimenti sono stati pubblicati dalla Commissione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea in conformità del regolamento (UE) n. 1025/2012 sulla normazione europea, nonché per le applicazioni mobili che rispettano le specifiche tecniche definite dalla Commissione, in assenza di norme armonizzate, o parti di esse. Sono inoltre presunti conformi i contenuti dei siti web che, in assenza di norme armonizzate, soddisfano i requisiti pertinenti, o parti di essi, della norma europea EN 301 549 V1.1.2 (2015-04) concernente i requisiti di accessibilità per l’acquisizione di prodotti e servizi ITC, nonché i contenuti delle applicazioni mobili che soddisfano i requisiti pertinenti, o parti di esse, della medesima norma tecnica in assenza sia di norme armonizzate che di specifiche tecniche.

L’articolo 8 disciplina il monitoraggio sulla conformità dei siti web e delle applicazioni mobili degli enti pubblici alle prescrizioni in materia di accessibilità cui sono tenuti gli Stati membri individuandone il regime. Entro il 23 dicembre 2021 e successivamente ogni tre anni, gli Stati membri sono tenuti a presentare alla Commissione una relazione sugli esiti del monitoraggio, includendo i dati misurati.

La direttiva, il cui termine per il recepimento era il 23 settembre 2018, è stata recepita con il decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 106, il quale ha provveduto all'adeguamento della disciplina vigente.

 

Nel 2018 la Commissione europea ha adottato due decisioni di esecuzione per l'attuazione della direttiva (UE) 2016/2102: la decisione di esecuzione (UE) 2018/1523 che istituisce un modello di dichiarazione di accessibilità e la decisione di esecuzione (UE) 2018/1524 che stabilisce una metodologia di monitoraggio e definisce le disposizioni riguardanti la presentazione delle relazioni degli Stati membri. Nello stesso anno, la Commissione europea ha inoltre pubblicato la decisione di esecuzione (UE) 2018/2048 relativa alla norma armonizzata per i siti web e le applicazioni mobili. La Commissione europea ha anche istituito un gruppo di esperti per l'attuazione della direttiva sull'accessibilità del web, facilitare la cooperazione fra gli Stati membri e le parti interessate e scambiare le migliori pratiche (WADEX).

L'attuale norma armonizzata è EN 301 549 V2.1.2 (2018-08), in linea con le recenti Linee guida per l'accessibilità dei contenuti web WCAG 2.1.

La norma EN 301 549 si basa sulle linee guida per l'accessibilità ai contenuti del web, elaborate dal Consorzio mondiale del Web (W3C) nell'ambito dell'iniziativa per l'accessibilità del web. Esse si rivolgono a tutti i fornitori di contenuti web, gli scrittori, gli sviluppatori e i progettisti.

I contenuti accessibili dovrebbero rispettare i quattro principi dell'accessibilità del web:

  1. percepibilità – il contenuto dovrebbe essere disponibile in almeno uno dei sensi dell'utente. Ad esempio, per gli utenti ipovedenti le immagini vengono descritte con un testo alternativo;
  2. utilizzabilità – il contenuto può essere controllato attraverso vari strumenti. Ad esempio, le persone che non sono in grado di utilizzare un mouse possono utilizzare solo la tastiera;
  3. comprensibilità – utilizzo di un linguaggio chiaro e semplice e di interfacce prevedibili e coerenti, il che aiuta le persone con disabilità cognitive o di lettura;
  4. solidità – il sito web o l'applicazione dovrebbero funzionare adeguatamente su diversi browser, dispositivi e piattaforme, compresa la tecnologia assistiva.

 

Per quanto riguarda la normativa europea, si segnala inoltre il regolamento (UE) 2015/2120, di modifica alla direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica, che ha stabilito misure riguardanti l’accesso a un’Internet aperta.

 

Nella relazione illustrativa il Governo evidenzia che l’emergenza sanitaria in corso ha rivelato quanto sia essenziale la possibilità di accedere e utilizzare i servizi digitali, in particolare per coloro che a causa di disabilità necessitano, senza discriminazioni, di tecnologie o configurazioni particolari, ad esempio, per ordinare un farmaco on line oppure richiedere assistenza medica. Sottolinea quindi che l’accessibilità e la fruibilità dei siti web o applicazioni mobili devono divenire in via ordinaria principi e tecniche da rispettare nella progettazione, nella costruzione, nella manutenzione e nell'aggiornamento di siti internet e di applicazioni mobili per rendere il loro contenuto più accessibile agli utenti, in particolare alle persone con disabilità, in ottemperanza al principio di uguaglianza ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione.

 

L'articolo 29, comma 2, apporta le seguenti modifiche all'articolo 1 della legge del 28 dicembre 2018 n. 145 ("Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021): 

 

a)     l'articolo 1, comma 489, viene modificato al fine destinare il Fondo per l'accessibilità e la mobilità delle persone con disabilità all’istituzione di una piattaforma unica nazionale informatica, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nell’ambito dell’archivio nazionale dei veicoli, previsto dall’articolo 226 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 recante il "Nuovo codice per la strada"[96], per consentire la verifica delle targhe associate a permessi di circolazione dei titolari di contrassegni, rilasciati ai sensi dell’articolo 381, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 ("Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada")[97], al fine di  agevolare la mobilità, sull’intero territorio nazionale, delle persone titolari dei predetti contrassegni.

 

La relazione illustrativa evidenzia che la piattaforma è volta ad agevolare la mobilità delle persone titolari dei contrassegni, su tutto il territorio nazionale, con particolare riferimento alla circolazione stradale nelle zone a traffico limitato e nelle particolari strade e/o corsie dove vigono divieti e limitazioni. Ad oggi, l’accesso è garantito nelle zone e strade del Comune di residenza della persona titolare del contrassegno, mentre negli altri Comuni è necessario richiedere autorizzazioni preventive o comunicazioni posteriori per evitare di incorrere in sanzioni improprie. Osserva quindi che, con la costituzione della piattaforma, sarà possibile verificare, sull’intero territorio nazionale, che la targa associata a un contrassegno sia abilitata a circolare ed accedere nelle zone a traffico limitato.

 

L'articolo 1, comma 489, della legge 145/2018 ha istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il "Fondo per l'accessibilità e la mobilità delle persone con disabilità", al fine di garantire l'attuazione della legge 3 marzo 2009, n. 18, e dell'articolo 9, paragrafo 1, lettera a), sull'accessibilità ai trasporti, e dell'articolo 20, sulla mobilità personale, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità è stata approvata il 13 dicembre 2006 ed entrata in vigore il 3 maggio 2008. L’Italia ha ratificato e resa esecutiva la Convenzione con la legge n. 18 del 3 marzo 2009; con il medesimo provvedimento, all'articolo 3, ha inoltre istituito l’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità.

In base al citato comma 489, il Fondo è stato destinato alla copertura finanziaria di interventi volti all'innovazione tecnologica delle strutture, contrassegno e segnaletica per la mobilità delle persone con disabilità di cui all'articolo 381 del regolamento di cui al DPR 495/1992. La dotazione del Fondo per il 2019 è pari 5 milioni di euro. Sono stati previsti successivi decreti annuali volti a definire gli interventi finalizzati alla prevenzione dell'uso indebito del contrassegno di parcheggio per disabili e alla definizione di interventi finalizzati all'innovazione tecnologica delle strutture, contrassegno e segnaletica per la mobilità delle persone con disabilità.

 

b)    Viene sostituito l'articolo 1, comma 491, al fine di consentire l'istituzione della piattaforma unica nazionale informatica[98]. Il nuovo comma stabilisce che, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dell'interno, sentite le associazioni delle persone con disabilità comparativamente più rappresentative a livello nazionale, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 ("Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato - città ed autonomie locali"), da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono definite le procedure per l’istituzione della piattaforma di cui al comma 489, nel rispetto dei principi applicabili al trattamento dei dati personali, previsti dagli articoli 5 e 9, paragrafo 2, lettera g), del regolamento (UE) n. 679/2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, e dagli articoli 2-sexies e 2-septies del Codice in materia di protezione dei dati personali di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, nonché previo parere del Garante per la protezione dei dati personali e delle prescrizioni adottate ai sensi dell’articolo 2-quinquiesdecies del medesimo Codice.

 

Il regolamento (UE) n. 679/2016 stabilisce le norme relative alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché le norme relative alla libera circolazione di tali dati ("regolamento generale sulla protezione dei dati"). Finalità del regolamento è la protezione dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche, in particolare il diritto alla protezione dei dati personali.

I principi applicabili al trattamento dei dati personali sono definiti all'articolo 5, ai sensi del quale i dati personali devono essere:

·       trattati in modo lecito, corretto e trasparente nei confronti dell'interessato ("liceità, correttezza e trasparenza");

·       raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime, e successivamente trattati in modo che non sia incompatibile con tali finalità; un ulteriore trattamento dei dati personali a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici non è considerato incompatibile con le finalità iniziali ("limitazione della finalità");

·       adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati ("minimizzazione dei dati");

·       esatti e, se necessario, aggiornati; devono essere adottate tutte le misure ragionevoli per cancellare o rettificare tempestivamente i dati inesatti rispetto alle finalità per le quali sono trattati ("esattezza");

·       conservati in una forma che consenta l'identificazione degli interessati per un arco di tempo non superiore al conseguimento delle finalità per le quali sono trattati; i dati personali possono essere conservati per periodi più lunghi a condizione che siano trattati esclusivamente a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici, fatta salva l'attuazione di misure tecniche e organizzative adeguate a tutela dei diritti e delle libertà dell'interessato ("limitazione della conservazione");

·       trattati in maniera da garantire un'adeguata sicurezza dei dati personali, compresa la protezione, mediante misure tecniche e organizzative adeguate, da trattamenti non autorizzati o illeciti e dalla perdita, dalla distruzione o dal danno accidentali ("integrità e riservatezza").

Il titolare del trattamento è competente per il rispetto di tali principi e in grado di comprovarlo ("responsabilizzazione").

L'articolo 9 del regolamento vieta il trattamento di dati personali che rivelino l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l'appartenenza sindacale, nonché il trattamento di dati genetici, di dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, di dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all'orientamento sessuale della persona.

Tale divieto non si applica, fra l'altro, se il trattamento è necessario per motivi di interesse pubblico rilevante sulla base del diritto dell'Unione o degli Stati membri; in tal caso il trattamento deve essere proporzionato alla finalità perseguita, rispettare l'essenza del diritto alla protezione dei dati e prevedere misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell'interessato (articolo 9, paragrafo 2, lettera g).

 

Il decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 recante il "Codice in materia di protezione dei dati personali", è stato riformato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, recante "Disposizioni per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679".

L'articolo 2-sexies ("trattamento di categorie particolari di dati personali necessario per motivi di interesse pubblico rilevante") al comma 1 stabilisce che i trattamenti delle categorie particolari di dati personali di cui all'articolo 9, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 679/2016 necessari per motivi di interesse pubblico rilevante ai sensi del paragrafo 2, lettera g), del medesimo articolo, sono ammessi qualora siano previsti dal diritto dell'Unione europea ovvero, nell'ordinamento interno, da disposizioni di legge o, nei casi previsti dalla legge, di regolamento che specifichino i tipi di dati che possono essere trattati, le operazioni eseguibili e il motivo di interesse pubblico rilevante, nonché le misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell'interessato.

Fermo quanto previsto dal comma 1, si considera rilevante l'interesse pubblico relativo a trattamenti effettuati da soggetti che svolgono compiti di interesse pubblico o connessi all'esercizio di pubblici poteri nelle seguenti materie:

a) accesso a documenti amministrativi e accesso civico;

b) tenuta degli atti e dei registri dello stato civile, delle anagrafi della popolazione residente in Italia e dei cittadini italiani residenti all'estero, e delle liste elettorali, nonché rilascio di documenti di riconoscimento o di viaggio o cambiamento delle generalità;

c) tenuta di registri pubblici relativi a beni immobili o mobili;

d) tenuta dell'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida e dell'archivio nazionale dei veicoli;

e) cittadinanza, immigrazione, asilo, condizione dello straniero e del profugo, stato di rifugiato;

f) elettorato attivo e passivo ed esercizio di altri diritti politici, protezione diplomatica e consolare, nonché documentazione delle attività istituzionali di organi pubblici, con particolare riguardo alla redazione di verbali e resoconti dell'attività di assemblee rappresentative, commissioni e di altri organi collegiali o assembleari;

g) esercizio del mandato degli organi rappresentativi, ivi compresa la loro sospensione o il loro scioglimento, nonché l'accertamento delle cause di ineleggibilità, incompatibilità o di decadenza, ovvero di rimozione o sospensione da cariche pubbliche;

h) svolgimento delle funzioni di controllo, indirizzo politico, inchiesta parlamentare o sindacato ispettivo e l'accesso a documenti riconosciuto dalla legge e dai regolamenti degli organi interessati per esclusive finalità direttamente connesse all'espletamento di un mandato elettivo;

i) attività dei soggetti pubblici dirette all'applicazione, anche tramite i loro concessionari, delle disposizioni in materia tributaria e doganale, comprese quelle di prevenzione e contrasto all'evasione fiscale[99];

l) attività di controllo e ispettive;

m) concessione, liquidazione, modifica e revoca di benefici economici, agevolazioni, elargizioni, altri emolumenti e abilitazioni;

n) conferimento di onorificenze e ricompense, riconoscimento della personalità giuridica di associazioni, fondazioni ed enti, anche di culto, accertamento dei requisiti di onorabilità e di professionalità per le nomine, per i profili di competenza del soggetto pubblico, ad uffici anche di culto e a cariche direttive di persone giuridiche, imprese e di istituzioni scolastiche non statali, nonché rilascio e revoca di autorizzazioni o abilitazioni, concessione di patrocini, patronati e premi di rappresentanza, adesione a comitati d'onore e ammissione a cerimonie ed incontri istituzionali;

o) rapporti tra i soggetti pubblici e gli enti del terzo settore;

p) obiezione di coscienza;

q) attività sanzionatorie e di tutela in sede amministrativa o giudiziaria;

r) rapporti istituzionali con enti di culto, confessioni religiose e comunità religiose;

s) attività socio-assistenziali a tutela dei minori e soggetti bisognosi, non autosufficienti e incapaci;

t) attività amministrative e certificatorie correlate a quelle di diagnosi, assistenza o terapia sanitaria o sociale, ivi incluse quelle correlate ai trapianti d'organo e di tessuti nonché alle trasfusioni di sangue umano;

u) compiti del servizio sanitario nazionale e dei soggetti operanti in ambito sanitario, nonché compiti di igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro e sicurezza e salute della popolazione, protezione civile, salvaguardia della vita e incolumità fisica;

v) programmazione, gestione, controllo e valutazione dell'assistenza sanitaria, ivi incluse l'instaurazione, la gestione, la pianificazione e il controllo dei rapporti tra l'amministrazione ed i soggetti accreditati o convenzionati con il servizio sanitario nazionale;

z) vigilanza sulle sperimentazioni, farmacovigilanza, autorizzazione all'immissione in commercio e all'importazione di medicinali e di altri prodotti di rilevanza sanitaria;

aa) tutela sociale della maternità ed interruzione volontaria della gravidanza, dipendenze, assistenza, integrazione sociale e diritti dei disabili;

bb) istruzione e formazione in ambito scolastico, professionale, superiore o universitario;

cc) trattamenti effettuati a fini di archiviazione nel pubblico interesse o di ricerca storica, concernenti la conservazione, l'ordinamento e la comunicazione dei documenti detenuti negli archivi di Stato negli archivi storici degli enti pubblici, o in archivi privati dichiarati di interesse storico particolarmente importante, per fini di ricerca scientifica, nonché per fini statistici da parte di soggetti che fanno parte del sistema statistico nazionale (Sistan);

dd) instaurazione, gestione ed estinzione, di rapporti di lavoro di qualunque tipo, anche non retribuito o onorario, e di altre forme di impiego, materia sindacale, occupazione e collocamento obbligatorio, previdenza e assistenza, tutela delle minoranze e pari opportunità nell'ambito dei rapporti di lavoro, adempimento degli obblighi retributivi, fiscali e contabili, igiene e sicurezza del lavoro o di sicurezza o salute della popolazione, accertamento della responsabilità civile, disciplinare e contabile, attività ispettiva.

Per i dati genetici, biometrici e relativi alla salute il trattamento avviene comunque nel rispetto di quanto stabilito dall'articolo 2-septies:

1. In attuazione di quanto previsto dall'articolo 9, paragrafo 4, del regolamento, i dati genetici, biometrici e relativi alla salute, possono essere oggetto di trattamento in presenza di una delle condizioni di cui al paragrafo 2 del medesimo articolo ed in conformità alle misure di garanzia disposte dal Garante, nel rispetto di quanto previsto dal presente articolo.

2. Il provvedimento che stabilisce le misure di garanzia di cui al comma 1 è adottato con cadenza almeno biennale e tenendo conto:

a) delle linee guida, delle raccomandazioni e delle migliori prassi pubblicate dal Comitato europeo per la protezione dei dati e delle migliori prassi in materia di trattamento dei dati personali;

b) dell'evoluzione scientifica e tecnologica nel settore oggetto delle misure;

c) dell'interesse alla libera circolazione dei dati personali nel territorio dell'Unione europea.

3. Lo schema di provvedimento è sottoposto a consultazione pubblica per un periodo non inferiore a sessanta giorni.

4. Le misure di garanzia sono adottate nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 9, paragrafo 2, del Regolamento, e riguardano anche le cautele da adottare relativamente a:

a) contrassegni sui veicoli e accessi a zone a traffico limitato;

b) profili organizzativi e gestionali in ambito sanitario;

c) modalità per la comunicazione diretta all'interessato delle diagnosi e dei dati relativi alla propria salute;

d) prescrizioni di medicinali.

5. Le misure di garanzia sono adottate in relazione a ciascuna categoria dei dati personali di cui al comma 1, avendo riguardo alle specifiche finalità del trattamento e possono individuare, in conformità a quanto previsto al comma 2, ulteriori condizioni sulla base delle quali il trattamento di tali dati è consentito. In particolare, le misure di garanzia individuano le misure di sicurezza, ivi comprese quelle tecniche di cifratura e di pseudonomizzazione, le misure di minimizzazione, le specifiche modalità per l'accesso selettivo ai dati e per rendere le informazioni agli interessati, nonché le eventuali altre misure necessarie a garantire i diritti degli interessati.

6. Le misure di garanzia che riguardano i dati genetici e il trattamento dei dati relativi alla salute per finalità di prevenzione, diagnosi e cura nonché quelle di cui al comma 4, lettere b), c) e d), sono adottate sentito il Ministro della salute che, a tal fine, acquisisce il parere del Consiglio superiore di sanità. Limitatamente ai dati genetici, le misure di garanzia possono individuare, in caso di particolare ed elevato livello di rischio, il consenso come ulteriore misura di protezione dei diritti dell'interessato, a norma dell'articolo 9, paragrafo 4, del regolamento, o altre cautele specifiche.

7. Nel rispetto dei principi in materia di protezione dei dati personali, con riferimento agli obblighi di cui all'articolo 32 del regolamento, è ammesso l'utilizzo dei dati biometrici con riguardo alle procedure di accesso fisico e logico ai dati da parte dei soggetti autorizzati, nel rispetto delle misure di garanzia di cui al presente articolo.

8. I dati personali di cui al comma 1 non possono essere diffusi.

 

Infine, l'articolo 2-quinquiesdecies, con riguardo ai trattamenti svolti per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico che possono presentare rischi elevati ai sensi dell'articolo 35 del Regolamento, stabilisce che il Garante per la protezione dei dati personali può, sulla base di quanto disposto dall'articolo 36, paragrafo 5, del medesimo Regolamento e con provvedimenti di carattere generale adottati d'ufficio, prescrivere misure e accorgimenti a garanzia dell'interessato, che il titolare del trattamento è tenuto ad adottare.

L'articolo 35 del regolamento prescrive che, quando un tipo di trattamento, allorché prevede in particolare l'uso di nuove tecnologie, considerati la natura, l'oggetto, il contesto e le finalità del trattamento, può presentare un rischio elevato per i diritti e le libertà delle persone fisiche, il titolare del trattamento effettui, prima di procedere al trattamento, una valutazione dell'impatto dei trattamenti previsti sulla protezione dei dati personali. Una singola valutazione può esaminare un insieme di trattamenti simili che presentano rischi elevati analoghi.

La valutazione d'impatto sulla protezione dei dati è richiesta in particolare nei casi seguenti:

a) una valutazione sistematica e globale di aspetti personali relativi a persone fisiche, basata su un trattamento automatizzato, compresa la profilazione, e sulla quale si fondano decisioni che hanno effetti giuridici o incidono in modo analogo significativamente su dette persone fisiche;

b) il trattamento, su larga scala, di categorie particolari di dati personali di cui all'articolo 9, paragrafo 1, o di dati relativi a condanne penali e a reati;

c) la sorveglianza sistematica su larga scala di una zona accessibile al pubblico.

L'articolo 36, paragrafo 5, stabilisce che il diritto degli Stati membri può prescrivere che i titolari del trattamento consultino l'autorità di controllo, e ne ottengano l'autorizzazione preliminare, in relazione al trattamento da parte di un titolare del trattamento per l'esecuzione, da parte di questi, di un compito di interesse pubblico, tra cui il trattamento con riguardo alla protezione sociale e alla sanità pubblica.

 

Per la costituzione della piattaforma, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti può avvalersi anche della società di cui all'articolo 83, comma 15, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

 

L'articolo 83, comma 15, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 prevede che, al fine di garantire la continuità delle funzioni di controllo e monitoraggio dei dati fiscali e finanziari, i diritti dell'azionista della società di gestione del sistema informativo dell'amministrazione finanziaria, ai sensi dell'articolo 22, comma 4, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, sono esercitati dal Ministero dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 6, comma 7, del regolamento di riorganizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 gennaio 2008, n. 43, che provvede agli atti conseguenti in base alla legislazione vigente.

L'articolo 22, comma 4, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 prevede a sua volta che le attività di manutenzione, conduzione e sviluppo del sistema informativo del Ministero delle finanze possono essere affidate in concessione, in conformità alle disposizioni di cui all'articolo 6, comma 1, della legge 11 marzo 1988, n. 66, a società specializzate aventi comprovata esperienza pluriennale nella realizzazione e conduzione tecnica dei sistemi informativi complessi, con particolare riguardo al preminente interesse dello Stato alla sicurezza e segretezza.

Ai sensi dell'articolo 6, comma 7, del regolamento di riorganizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze[100], la Direzione VII - finanza e privatizzazioni - si articola in uffici dirigenziali non generali e svolge le seguenti funzioni:

a) monitoraggio e gestione delle partecipazioni azionarie dello Stato;

b) esercizio dei diritti dell'azionista;

c) gestione dei processi di societarizzazione, privatizzazione e dismissione, compresa la relativa attività istruttoria e preparatoria;

d) regolamentazione dei settori in cui operano le società partecipate in relazione all'impatto su queste ultime.

 

Si precisa infine che, dall'attuazione dell'articolo 1, comma 491, non dovranno derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ma vi si provvederà con le risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente.


 

Articolo 29 comma 2-bis
(Semplificazioni in materia di esportazioni di veicoli)

 

 

 L’articolo 29, comma 2-bis, introdotto al Senato, modifica il Codice della strada, con particolare riferimento ai requisiti per la cancellazione dei veicoli ai fini dell’esportazione all’estero. Secondo la nuova formulazione dell’articolo 103, comma 1 secondo periodo, del Codice la cancellazione è consentita a condizione che il veicolo sia in regola con gli obblighi di revisione o sia stato sottoposto, nell'anno in cui ricorre l'obbligo della revisione, a visita e prova per l'accertamento della idoneità alla circolazione ai sensi dell'articolo 75, e che non sia pendente un provvedimento di revisione singola ai sensi dell'articolo 80, comma 7. Si propone conseguentemente una modifica alla rubrica dell’articolo 29.

 

Ai fini dell’esportazione definitiva di veicoli all’estero, l’attuale formulazione dell’articolo 103, comma 1, del Codice della strada, dispone semplicemente che “la cancellazione è disposta a condizione che il veicolo sia stato sottoposto a revisione, con esito positivo, in data non anteriore a sei mesi rispetto alla data di richiesta di cancellazione”.

 

Le differenze rispetto al regime vigente sono le seguenti:

·       il veicolo deve semplicemente risultare in regola con gli obblighi di revisione (non è più previsto che la revisione sia stata effettuata con esito positivo nei sei mesi precedenti);

·       si introduce la possibilità alternativa che il veicolo, nell’anno in cui ricorre l’obbligo della revisione, sia stato sottoposto a visita e prova per l'accertamento della idoneità alla circolazione ai sensi dell'articolo 75;

 

L’articolo 75 del Codice della strada dispone che “I ciclomotori, i motoveicoli, gli autoveicoli, i filoveicoli e i rimorchi, per essere ammessi alla circolazione, sono soggetti all'accertamento dei dati di identificazione e della loro corrispondenza alle prescrizioni tecniche ed alle caratteristiche costruttive e funzionali previste dalle norme del presente codice. Per i ciclomotori costituiti da un normale velocipede e da un motore ausiliario di cilindrata fino a 50 cc³, tale accertamento è limitato al solo motore (comma 1). L'accertamento di cui al comma 1 può riguardare singoli veicoli o gruppi di esemplari dello stesso tipo di veicolo ed ha luogo mediante visita e prova da parte dei competenti uffici delle direzioni generali territoriali del Dipartimento per i trasporti terrestri e del trasporto intermodale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con le modalità stabilite con decreto dallo stesso Ministero. Con il medesimo decreto è indicata la documentazione che l'interessato deve esibire a corredo della domanda di accertamento (comma 2). I veicoli di tipo omologato da adibire a servizio di noleggio con conducente per trasporto di persone di cui all'art. 85 o a servizio di piazza, di cui all'art. 86, o a servizio di linea per trasporto di persone di cui all'art. 87, sono soggetti all'accertamento di cui al comma 2 (comma 4).

 

·       Si vieta la cancellazione per i veicoli per i quali sia pendente un provvedimento di revisione singola ai sensi dell'articolo 80, comma 7.

 

La revisione dei veicoli, ai sensi dell’articolo 80, comma 7, è disposta in caso di incidente stradale nel quale i veicoli a motore o rimorchi abbiano subìto gravi danni in conseguenza dei quali possono sorgere dubbi sulle condizioni di sicurezza per la circolazione. In tal caso gli organi di polizia stradale intervenuti per i rilievi, sono tenuti a darne notizia al competente ufficio del Dipartimento per i trasporti terrestri per la adozione del provvedimento di revisione singola.

 

Viene conseguentemente disposta anche una novella alla rubrica dell’articolo 29, al fine di inserire il riferimento alla semplificazione in materia di esportazione dei veicoli che viene proposta.

Si propone che la rubrica dell’articolo 29 sia la seguente: “Disposizioni per favorire l'accesso delle persone con disabilità agli strumenti informatici e piattaforma unica nazionale informatica di targhe associate a permessi di circolazione dei titolari di contrassegni e semplificazioni in materia di esportazioni di veicoli”.

 


 

Articolo 29-bis
(Accertamenti per il riconoscimento di benefici a portatori di handicap nel settore dei sussidi tecnici e informatici)

 

 

L'articolo 29-bis, introdotto dal Senato, concerne gli accertamenti dei requisiti sanitari ai fini del riconoscimento dei sussidi tecnici e informatici per i soggetti portatori di handicap, anche con riferimento (comma 2) al beneficio dell'aliquota IVA ridotta.

 

In particolare, il comma 1 prevede che i verbali delle commissioni mediche delle aziende sanitarie locali - commissioni competenti, con l'integrazione al loro interno di un medico dell'INPS, agli accertamenti sanitari di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità - riportino anche la sussistenza dei requisiti sanitari per il riconoscimento dei sussidi tecnici e informatici volti a favorire l'autonomia e l'autosufficienza dei soggetti portatori di handicap[101].

Si ricorda in materia che la L. 9 gennaio 2004, n. 4, reca "Disposizioni per favorire e semplificare l'accesso degli utenti e, in particolare, delle persone con disabilità agli strumenti informatici"; cfr., in merito, anche l'articolo 29 del presente decreto e la relativa scheda di lettura.

Il comma 2 demanda ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di natura non regolamentare, da emanarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, una revisione della disciplina di cui al comma 2 dell'articolo 2 del D.M. 14 marzo 1998, relativa alle condizioni per l'applicazione ai soggetti portatori di handicap dell'aliquota IVA ridotta nella misura del 4 per cento, con riferimento alle cessioni e importazioni dei sussidi tecnici ed informatici rivolti a facilitare l'autosufficienza e l'integrazione; si prevede che con la revisione sia riconosciuto il beneficio alla sola condizione della presentazione del certificato attestante l'invalidità funzionale permanente, rilasciato dall'azienda sanitaria locale competente o dalla suddetta commissione medica, sopprimendo la condizione della contestuale presentazione della specifica prescrizione autorizzativa, rilasciata dal medico specialista dell'azienda sanitaria locale di appartenenza, dalla quale risulti il collegamento funzionale tra il sussidio tecnico ed informatico e la menomazione.


 

 

 

Articolo 29-ter

(Semplificazione dei procedimenti di accertamento degli stati invalidanti e dell’handicap)

 

L’articolo 29-ter, inserito nel corso dell’esame al Senato, detta alcune disposizioni di semplificazione nell’ambito dei procedimenti di accertamento degli stati invalidanti e dell’handicap.

 

Più in particolare viene stabilito che le commissioni mediche pubbliche preposte all’accertamento delle minorazioni civili e dell’handicap ai sensi della legge n.104/1992[102], sono autorizzate a redigere verbali sia di prima istanza  che di revisione anche solo sugli atti, senza quindi procedere ad una visita diretta,  in tutti i casi in cui sia presente una documentazione sanitaria che consenta una valutazione obiettiva.  

 

Va ricordato che ai sensi dell’articolo 4 della legge n. 104/1992, gli accertamenti relativi alla minorazione,  alle  difficolta', alla  necessita' dell'intervento  assistenziale  permanente  e  alla capacita' complessiva individuale residua,  di  cui  all'articolo  3 della medesima legge, sono effettuati dalle unita' sanitarie locali mediante le commissioni mediche di cui all'articolo 1 della legge 15 ottobre  1990,  n.  295[103], che sono integrate da un operatore sociale e da un esperto  nei  casi da esaminare, in servizio presso le unita' sanitarie locali.

Ai sensi poi dell’articolo 1 della legge n. 295/1990, gli accertamenti sanitari relativi alle domande per ottenere la pensione, l'assegno o le indennita' d'invalidita' civile, nonche' gli accertamenti sanitari relativi alle domande per

usufruire  di  benefici  diversi  da  quelli  innanzi  indicati  sono effettuati  dalle  unita'  sanitarie  locali.   Nell'ambito  di  ciascuna unita' sanitaria locale operano una o piu' commissioni mediche incaricate di effettuare  gli  accertamenti, composte da un medico specialista in medicina legale che assume le funzioni di presidente e da due medici di  cui  uno  scelto prioritariamente tra gli specialisti in medicina del lavoro. I medici di cui al presente comma  sono  scelti  tra  i  medici  dipendenti  o convenzionati   della   unita'   sanitaria   locale  territorialmente competente. In  sede di accertamento sanitario, la persona interessata puo’ farsi assistere dal proprio medico di fiducia.

 

Viene poi previsto che la valutazione sugli atti può essere richiesta dal diretto interessato o da chi lo rappresenta unitamente alla produzione di documentazione adeguata, o in sede di redazione del certificato medico introduttivo. In tale ultimo caso sarà la commissione preposta all’accertamento ad indicare quale sia la documentazione sanitaria da produrre. Soltanto nelle ipotesi in cui la documentazione non sia sufficiente per una valutazione obiettiva, l’interessato viene convocato a visita diretta.


 

Articolo 30
(Misure di semplificazione in materia anagrafica)

 

 

L'articolo 30 novella l'articolo 62 - riferito all'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR) - del Codice dell'amministrazione digitale.

Insieme, novella alcune disposizioni del regolamento anagrafico della popolazione residente (d.P.R. n. 223 del 1989). Sono novelle di disposizioni regolamentari recate con fonte legislativa.

 

Il comma 1 novella l'articolo 62 del Codice, il quale ha istituito, presso il Ministero dell'interno, l'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR), quale unitaria base di dati (di interesse nazionale) subentrante ai preesistenti Indice nazionale delle anagrafi ed Anagrafe della popolazione italiana residente all'estero (con modalità di subentro ad esse, determinate dal d.P.C.m. n. 194 del 2014).

L'ANPR assicura ai Comuni la disponibilità dei dati, degli atti e degli strumenti per lo svolgimento delle funzioni di competenza statale attribuite al sindaco e mette a disposizione dei Comuni un sistema di controllo, gestione e interscambio dei dati.

Secondo la disposizione previgente - su cui incide una prima novella recata dall'articolo del decreto-legge in esame - l'ANPR consente "esclusivamente" ai Comuni la certificazione dei dati anagrafici anche in modalità telematica.

Sono le certificazioni che (fatti salvi i divieti di comunicazione di dati che siano stabiliti da speciali disposizioni di legge) l'articolo 33 del d.P.R. n. 223 del 1989 (recante il regolamento anagrafico della popolazione residente) prevede siano rilasciate dall'ufficiale di anagrafe, a chiunque ne faccia richiesta, previa identificazione, in relazione a: la residenza, lo stato di famiglia degli iscritti nell'anagrafe nazionale della popolazione residente, nonché ogni altra informazione ivi contenuta.

La novella sopprime quell'"esclusivamente". Viene così meno l'esclusività in capo ai Comuni della funzione di rilascio della certificazione.

A seguire, altra novella infatti dispone che la certificazione dei dati anagrafici in modalità telematica sia assicurata dal Ministero dell'Interno tramite l’ANPR mediante l'emissione di documenti digitali muniti di sigillo elettronico qualificato, ai sensi del Regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014.

È quest'ultimo il regolamento eIDAS in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno, più volte ricordato supra quale sovra-ordinata disciplina della materia dell'identità digitale e della validazione dei dati correlativi. E lì si dispone in ordine alla sigillatura elettronica qualificata, secondo prescrizioni che la novella è volta a 'recepire', pertanto.

Rimane invariata la vigente previsione secondo cui i Comuni inoltre possono consentire, anche mediante apposite convenzioni, la fruizione dei dati anagrafici da parte dei soggetti aventi diritto. L'ANPR assicura alle pubbliche amministrazioni e ai gestori di servizi pubblici (i soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, lettere a) e b) del Codice dell'amministrazione digitale), l'accesso ai dati contenuti nell'ANPR.

Altra novella aggiunge la previsione che l'ANPR attribuisca a ciascun cittadino un codice identificativo univoco, per garantire la circolarità dei dati anagrafici e l'interoperabilità con le altre banche dati delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di servizi pubblici.

L'adeguamento anche tecnico della piattaforma di funzionamento dell'ANPR è demandato in via applicativa ad uno o più decreti del Ministro dell'interno, d'intesa con il Ministro per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione e il Ministro per la pubblica amministrazione, sentiti il Garante per la protezione dei dati personali e l'Agenzia per l’Italia digitale.

A seguito di modifica introdotta nel corso dell'esame presso il Senato, è previsto che su detti decreti esprima il parere anche la Conferenza Stato-Città ed Autonomie locali.

Tale strumento applicativo deve assicurare una evoluzione della piattaforma, commisurata ai servizi resi disponibili dall'ANPR alle pubbliche amministrazioni e agli organismi erogatori pubblici servizi.

In breve, questo novero di disposizioni mira ad un servizio che renda accessibile (anche da remoto) in via diretta ai cittadini tramite l'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR), la produzione dei certificati anagrafici in modalità telematica.

La relazione illustrativa del disegno di legge di conversione ricorda che i Comuni transitati in ANPR ad oggi sono 5.933.

 

Il comma 2 va ad incidere sul d.P.R. n. 223 del 1989, il quale reca il nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente.

Si noti come si abbiano in tal modo modificazioni di disposizioni di regolamento effettuate con disposizioni di legge, talché verrebbero a coesistere entro il medesimo dettato normativo parti aventi forza formale diversa, di legge (ora introdotte mediante novelle) e regolamentare.

Ad ogni modo, si viene a prevedere quanto segue.

 L'articolo 13, comma 3 del regolamento prevede che dichiarazioni anagrafiche rese dai responsabili siano sottoscritte di fronte all'ufficiale d'anagrafe ovvero inviate al Comune competente, corredate dalla necessaria documentazione (secondo le modalità di invio e sottoscrizione delle istanze previste dall'articolo 38 del d.P.R. n. 445 del 2000, recante il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa). Il Comune pubblica sul proprio sito istituzionale gli indirizzi, anche di posta elettronica, ai quali inoltrare le dichiarazioni.

Ebbene, si viene a prevedere ora che talune dichiarazioni anagrafiche siano rese "anche" in modalità telematica attraverso i servizi resi disponibili dall'ANPR.

Sono le dichiarazioni relative a:

a) trasferimento di residenza da altro comune o dall'estero ovvero trasferimento di residenza all'estero;

b) costituzione di nuova famiglia o di nuova convivenza, ovvero mutamenti intervenuti nella composizione della famiglia o della convivenza;

c) cambiamento di abitazione.

Quanto a formulazione lessicale del dettato, circa la modalità telematica su servizi ANPR, parrebbe suscettibile di verifica se si tratti di facoltà sostitutiva, non già obbligo aggiuntivo, posta la locuzione "anche".

Ancora in tema di certificati anagrafici, l'articolo 33 del citato d.P.R. n. 223 del 1989 prevede che i certificati concernenti la residenza, lo stato di famiglia degli iscritti nell'anagrafe nazionale della popolazione residente nonché ogni altra informazione ivi contenuta, possano essere rilasciati anche da ufficiali d'anagrafe di Comuni diversi da quello in cui risieda la persona cui i certificati si riferiscono.

La novella aggiunge che siffatto rilascio di certificati anagrafici in modalità telematica sia effettuato mediante i servizi dell'ANPR (con le modalità indicate nell'articolo 62, comma 3, del Codice dell'amministrazione digitale, come novellato nel modo esaminato supra).

Nel corso dell'esame presso il Senato detta disposizione è stata integrata con la previsione che il rilascio di certificati anagrafici in modalità telematica effettuato mediante i servizi dell'ANPR trovi applicazione a decorrere dall'attivazione del relativo servizio da parte del Ministero dell'interno e di Sogei.

Infine l'articolo 35 del citato d.P.R. n. 223 del 1989 dispone che i certificati anagrafici contengano: l'indicazione del Comune e della data di rilascio; l'oggetto della certificazione; le generalità delle persone cui la certificazione si riferisce; la firma dell'ufficiale di anagrafe.

La novella prevede che la firma dell'ufficiale di anagrafe sia sostituita dal sigillo elettronico qualificato (previsto dal citato Regolamento (UE) n. 910/2014 cd. eIDAS), nelle certificazioni rilasciate in modalità telematica mediante i servizi dell’ANPR.

 

Il comma 3 prevede che l'attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo sia operata con le risorse stanziate nello stato di previsione del Ministero dell'interno per la realizzazione della piattaforma ANPR.


 

Articolo 30-bis
(Misure di semplificazione in materia di autocertificazione)

 

 

L'articolo 30-bis, inserito nel corso dell'esame presso il Senato, estende a tutti i soggetti privati, a prescindere dal loro consenso, l'applicazione delle disposizioni del testo unico in materia di documentazione amministrativa (decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000) che disciplinano la produzione di atti e documenti.

 

La lettera a) dell'unico comma - mediante soppressione delle parole "che vi consentono", collocate, nel testo vigente, in fine all'art. 2, comma 1, del citato testo unico di cui al DPR n. 445 - individua, quale più ampio oggetto delle norme del testo unico, la disciplina della "produzione di atti e documenti agli organi della pubblica amministrazione nonché ai gestori di pubblici servizi nei rapporti tra loro e in quelli con l'utenza, e ai privati" (in luogo, come detto, di "ai privati che vi consentono").

Resta invariato l'ulteriore oggetto delle norme del testo unico, individuato, sempre nel vigente articolo 2, nella disciplina della formazione, rilascio, tenuta e conservazione, gestione, trasmissione di atti e documenti da parte di organi della pubblica amministrazione.

 

La successiva lettera b) novella l'art. 71, comma 4, del testo unico in argomento, al fine di coordinare la disciplina relativa ai controlli sulle dichiarazioni sostitutive presentate ai privati con la modifica intervenuta all'articolo 2 ai sensi della lettera a).

Il vigente comma 4 (disposizione regolamentare) - nell'ambito della disciplina dei controlli effettuati dalle amministrazioni procedenti sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorietà (rispettivamente articoli 46 e 47 del testo unico) - prevede che, nella ipotesi di "dichiarazioni sostitutive presentate ai privati che vi consentono", l'amministrazione competente al rilascio della certificazione, previa definizione di appositi accordi, provveda a fornire, su richiesta del soggetto privato corredata dal consenso del dichiarante, conferma scritta della corrispondenza di quanto dichiarato con i dati da essa custoditi.

In tale contesto, la lettera in commento prevede la soppressione delle parole "che vi consentono", nonché della disposizione relativa alla definizione preliminare di appositi accordi.

 



[1]   Si ricorda che l'articolo 106 del codice dei contratti pubblici, di cui al D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, e successive modificazioni, disciplina le possibilità di modifica di contratti pubblici durante il periodo della loro efficacia, ivi comprese le modifiche derivanti da clausole di revisione dei prezzi.

[2]   Facoltà di cui all'articolo 32, comma 8, del citato codice dei contratti pubblici, e successive modificazioni; essa è esercitata mediante atto notificato alla stazione appaltante.

[3]    In quest'ultimo caso, si tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità, da parte dei contraenti, della contrarietà dell'atto oggetto di revoca all'interesse pubblico sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico.

[4]   Come detto, l'articolo 106 del codice dei contratti pubblici, di cui al D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, e successive modificazioni, disciplina le possibilità di modifica di contratti pubblici durante il periodo della loro efficacia, ivi comprese le modifiche derivanti da clausole di revisione dei prezzi.

[5]   Il comma 2 in esame richiama l'articolo 108 del citato codice dei contratti pubblici, e successive modificazioni - articolo che disciplina la risoluzione dei contratti pubblici da parte delle stazioni appaltanti -.

[6]     Decreto-Legge 18 aprile 2019, n. 32, recante Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici, convertito con modificazioni dalla Legge 14 giugno 2019, n. 55.

[7]     Decreto-Legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, convertito con modificazioni dalla Legge 24 marzo 2012, n. 27.

[8]     Ministero della Giustizia, Decreto 20 luglio 2012, n. 140, Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.

[9]     Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Decreto 21 febbraio 2013, n. 46, Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, dei compensi spettanti agli iscritti all'albo dei consulenti del lavoro.

[10]   Ministero della Salute, Decreto 19 luglio 2016, n. 165, Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate, ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Medici veterinari, farmacisti, psicologi, infermieri, ostetriche e tecnici sanitari di radiologia medica.

[11]   Ministero della Giustizia, Decreto 27 novembre 2012, n. 265, Regolamento recante la determinazione dei parametri per oneri e contribuzioni dovuti alle Casse professionali e agli Archivi a norma dell'articolo 9, comma 2, secondo e terzo periodo, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.

[12]   Decreto-Legge 18 aprile 2019, n. 32, recante Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici, convertito con modificazioni dalla Legge 14 giugno 2019, n. 55.

[13]   Il codice concerne (art. 1, comma 1) i contratti di appalto e di concessione delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori aventi ad oggetto l'acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere, nonché i concorsi pubblici di progettazione.

[14]    Si ricorda che l'art. 81, comma 1, del decreto-legge n. 34 del 2020 aveva previsto una modifica del citato art. 103, comma 2; tale modifica è stata, tuttavia, soppressa dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, di conversione del medesimo decreto n. 34 (tale soppressione ha peraltro efficacia retroattiva).

[15]    Cfr. l'articolo 15, comma 1, del D.L. 30 aprile 2019, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 giugno 2019, n. 60.

[16]   Soglie di cui all’articolo 35 del codice dei contratti pubblici, di cui al D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, e successive modificazioni; i valori delle soglie sono diversi a seconda della tipologia e dell'oggetto del contratto.

      Per i casi in cui i contratti oggetto delle norme transitorie in esame siano inferiori alle soglie di rilevanza comunitaria, cfr. il comma 2 del citato articolo 6 del D.L. n. 35 del 2019.

[17]    Cfr. infra.

[18] Si fa notare che la facoltà concessa dal testo previgente del comma 1 dell’art. 4 del D.L. 32/2019 di individuare ulteriori interventi da commissariare è stata utilizzata ai fini dell’adozione dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante l'individuazione di un intervento infrastrutturale ritenuto prioritario, da adottare su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministro dell'economia e delle finanze, relativo alla ricostruzione del Viadotto di Albiano sul fiume Magra tra le province di La Spezia e Massa Carrara (Atto del Governo n. 173).

[19] Tale Unità tecnica è stata prorogata fino al 31 dicembre 2022 dall'art. 5-bis, comma 1, del D.L. 14 ottobre 2019, n. 111.

[20]            Nello specifico, il Giudice delle leggi, richiamando pregressa giurisprudenza (consolidatasi a partire dalla sentenza n.303 del 2003) afferma che "[i]n caso di calamità di ampia portata, riconosciuta con la dichiarazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale, è possibile la chiamata in sussidiarietà di funzioni amministrative mediante la loro allocazione a livello statale" (Considerando in diritto n.5, quarto capoverso).

[21]            In proposito, la Corte afferma che "[i]l tipico coinvolgimento delle Regioni, in attuazione del principio di leale collaborazione, che governa sia la chiamata in sussidiarità a livello statale, sia l’intreccio delle materie, nella fattispecie, di competenza concorrente, si colloca [..] a livello di codeterminazione di numerosi atti, specificandosi pertanto nella prescrizione della previa intesa (Considerando in diritto n.7, ottavo capoverso)".

[22]            Decreto-Legge 6 luglio 2011, n. 98, Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, convertito con modificazioni dalla Legge 15 luglio 2011, n. 111

[23]            La citata disposizione dispone infatti che i presidenti delle Regioni interessate operino "in qualità di vice commissari per gli interventi di cui al presente decreto, in stretto raccordo con il Commissario straordinario, che può delegare loro le funzioni a lui attribuite dal presente decreto". A tale scopo la norma dispone l'istituzione di una cabina di coordinamento della ricostruzione presieduta dal Commissario straordinario, "con il compito di concordare i contenuti dei provvedimenti da adottare e di assicurare l'applicazione uniforme e unitaria in ciascuna Regione delle ordinanze e direttive commissariali, nonché di verificare periodicamente l'avanzamento del processo di ricostruzione. Alla cabina di coordinamento partecipano, oltre al Commissario straordinario, i Presidenti delle Regioni, in qualità di vice commissari, ovvero, in casi del tutto eccezionali, un assessore regionale, oltre ad un rappresentante dei comuni per ciascuna delle regioni interessate, designato dall'ANCI regionale di riferimento.

 

[25] Si tratta dei seguenti piani: a) opere pubbliche, comprensivo degli interventi sulle opere di urbanizzazione;

b) beni culturali; c) interventi sui dissesti idrogeologici; d) sviluppo delle infrastrutture per il rafforzamento del sistema delle imprese.

[26] Si tratta dei seguenti soggetti attuatori: a) le Regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, anche attraverso gli Uffici speciali per la ricostruzione; b) il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo; c) il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; d) l'Agenzia del demanio; e) le Diocesi e i Comuni, limitatamente agli interventi sugli immobili di proprietà di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, sottoposti alla giurisdizione dell'Ordinario diocesano e di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria; e-bis) le Università, limitatamente agli interventi sugli immobili di proprietà e di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria.

[27] Si tratta delle Regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, ovvero gli enti regionali competenti in materia di edilizia residenziale pubblica, nonché gli enti locali delle medesime Regioni relativamente agli immobili di loro proprietà.

[28] L’art. 15, comma 2, del D.L. 189/2016, include tra i soggetti attuatori anche i Comuni o gli altri enti locali interessati, delegati dalle regioni colpite dal sisma.

[29]   Riguardo alle funzioni dell’Ispettorato, cfr. altresì la fine della presente scheda.

[30]   Riguardo alle funzioni dell’Ispettorato, cfr., come detto, anche la fine della presente scheda.

[31]   Si ricorda che tra le fattispecie generali per le quali è escluso il meccanismo del silenzio-assenso rientrano i procedimenti amministrativi riguardanti la pubblica sicurezza, la salute e la pubblica incolumità.

[32]   Cfr., in materia, i commi 2 e 3 dell’articolo 4 della L. 17 ottobre 1967, n. 977, e successive modificazioni, e l’articolo 1, comma 622, della L. 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni. Si ricorda che la nota dell’Ispettorato nazionale del lavoro dell’11 settembre 2019, prot. n. 7966, specifica che la disciplina richiede il provvedimento autorizzativo in oggetto esclusivamente per le ipotesi rientranti nell’ambito di un rapporto di lavoro.

[33]    Cfr. l’articolo 15, secondo comma, della L. 22 febbraio 1934, n. 370, e l’articolo 9, comma 4, del D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66.

[34]     Cfr. la tabella B del regolamento di cui al D.P.C.M. 22 dicembre 2010, n. 275.

[35]     Riguardo alle funzioni dell’Ispettorato, cfr., come detto, anche la fine della presente scheda.

[36]   Cfr. l’articolo 55, comma 4, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni.

[37]     Le dimissioni in esame prima della conferma sono nulle. Cfr. l’articolo 35, comma 4, del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198.

[38]   Riguardo a tali facoltà, cfr. infra.

[39]  In base alla norma confermata dalla presente novella, in caso di accordo, risultante da verbale sottoscritto dalle parti, il provvedimento di diffida perde efficacia e non trovano applicazione i limiti relativi alle rinunzie e transazioni in materia di lavoro, posti dall’articolo 2113, primo, secondo e terzo comma, del codice civile. Si ricorda che, in via interpretativa, la conciliazione sulle retribuzioni non può avere riflessi sull’imponibile contributivo, che deve essere comunque calcolato secondo quanto accertato dall’organo ispettivo (cfr. la nota n. 5066 del 30 maggio 2019 dell’Ispettorato nazionale del lavoro).

[40]   Tale termine è infatti previsto anche per la promozione del tentativo di conciliazione.

[41]            Il comitato è composto dal direttore della relativa sede territoriale dell'Ispettorato, che lo presiede, dal direttore dell'INPS e dal direttore dell'INAIL del capoluogo della regione in cui sia ubicata la suddetta sede territoriale. Per la disciplina del comitato, cfr. l’articolo 17 del citato D.Lgs. n. 124 del 2004, e successive modificazioni. Per l’attuale ambito interregionale dei comitati, cfr. la circolare dell’Ispettorato nazionale del lavoro n. 4 del 29 dicembre 2016.

[42]   Riguardo alla novella prevista in merito, cfr. infra, sub il numero 3) della presente lettera a)).

[43]   Riguardo alle funzioni dell’Ispettorato, cfr., come detto, anche la fine della presente scheda.

[44]            Procedura di cui all’articolo 13 del citato D.Lgs. n. 124 del 2004, e successive modificazioni.

[45]            Nella fase transitoria, sono previste forme di coordinamento tra l’Ispettorato e i servizi ispettivi di INPS e INAIL (presso tali Istituti è infatti rimasto, in un ruolo ad esaurimento, il personale ispettivo già alle dipendenze degli stessi); tali forme di coordinamento comprendono, in ogni caso, il potere dell'Ispettorato di dettare le linee di condotta e le direttive di carattere operativo, nonché di definire tutta la programmazione ispettiva e le specifiche modalità di accertamento.

[46]  Le competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro dell’Ispettorato concernono dunque: i cantieri edili, le radiazioni ionizzanti, gli impianti ferroviari, la verifica periodica degli ascensori e montacarichi ubicati nelle aziende industriali, i "lavori mediante cassoni in aria compressa", i "lavori subacquei".

[47]     Archivio di cui all'articolo 17 della L. 30 dicembre 1986, n. 936.

[48]    Le comunicazioni in oggetto sono inoltrate dai servizi per l'impiego all'INPS, all'INAIL, agli altri enti previdenziali ed alla Prefettura-Ufficio territoriale di Governo (UTG). Riguardo a tali comunicazioni, cfr. l'articolo 21, primo comma, della L. 29 aprile 1949, n. 264, e successive modificazioni, l'articolo 9-bis, comma 2, del D.L. 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 novembre 1996, n. 608, e successive modificazioni, e l'articolo 4-bis del D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni.

[49]  Cfr., in merito, l'articolo 44, comma 9, del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003, n. 326.

[50]    Si ricorda che l'articolo 1, comma 1, numero 2), lettera c), del D.Lgs. 19 febbraio 2014, n. 17, ha disposto la sostituzione della locuzione "materie prime farmacologicamente attive" - dovunque ricorresse nel citato D.Lgs. n. 219 - con il termine "sostanze attive".

[51]    Con lo studio di fase I ha inizio la sperimentazione del principio attivo sull’uomo, la quale ha lo scopo di fornire una prima valutazione della sicurezza e tollerabilità del medicinale. Per la distinzione delle fasi nella sperimentazione clinica si fa rinvio al sito dell'AIFA.

[52]    Con lo studio di fase II inizia a essere indagata l’attività terapeutica del potenziale farmaco, cioè la sua capacità di produrre sull’organismo umano gli effetti curativi desiderati; questa fase serve inoltre a comprendere quale sarà la dose migliore da sperimentare nelle fasi successive e a determinare l’effetto del farmaco in relazione ad alcuni parametri (come, ad esempio, la pressione sanguigna) considerati indicatori della salute del paziente. Per la distinzione delle fasi nella sperimentazione clinica, cfr., come detto, il sito dell'AIFA.

[53]    La suddetta relazione comprende un complesso di note.

[54]            Cd. Decreto Cura Italia

[55]            Si ricorda che il comma 848 dell’articolo 1 della legge n. 205 del 2017 ha previsto un riaccertamento straordinario dei residui al 31 dicembre 2017 da parte dei comuni che non hanno deliberato il riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi ai sensi dell'art. 3, comma 7, del D.Lgs. n. 118/2011 ovvero da parte dei comuni per i quali la Corte dei conti o i Servizi Ispettivi del Ministero dell’economia e finanze abbiano accertato la sussistenza di residui risalenti ad esercizi precedenti il 2015, non correttamente accertati entro il 1° gennaio 2015. Il comma 849 consente inoltre agli enti che hanno presentato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale o ne hanno conseguito l'approvazione prima del suddetto riaccertamento straordinario, di poter rimodulare o riformulare il predetto piano, entro il 31 luglio 2018, al fine di tenere conto di quanto disposto dal comma precedente, fermi restando i tempi di pagamento dei creditori.

 

[56]     Società Soluzioni per il sistema economico-Sose s.p.a

[57]     Pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 161 del 27 giugno 2020

[58] Il termine dello stato di emergenza, come noto, è stato prorogato dal 31 luglio 2020 al 15 ottobre 2020 con la delibera del Consiglio dei ministri del 29 luglio scorso. Con successivo intervento legislativo (art.1, comma 1, lettere a), del DL n.83 del 2020) tale modifica è stata recepita nell'art.1, comma 1, del DL n.19.

[59] Invero, i poteri di ordinanza, e le relative limitazioni introdotte dalla norma soppressa incidevano sul potere di ordinanza ai sensi anche di altre disposizioni (si veda al riguardo la scheda di approfondimento, subito infra), non soltanto dell'art.50 del TUEL.

[60] In particolare, l'art.32, terzo comma, attribuisce al presidente della giunta regionale e al sindaco il potere di emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a parte del suo territorio comprendente più comuni e al territorio comunale. Qualora l'emergenza riguardi invece l'intero territorio nazionale o a parte di esso (comprendente più regioni), ai sensi del primo comma il potere di ordinanza spetta al Ministro della salute.

[61] Alle regioni spetta invece il potere di emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, con efficacia estesa alla regione o parte del suo territorio comprendente più comuni (art.32, comma terzo). Al Ministro della salute spetta invece "emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente [..] con efficacia estesa all'intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni" (art.32, primo comma).

[62]            Negli altri casi l'adozione dei provvedimenti d'urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell'emergenza stessa e dell'eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali. Peraltro, nell'eventualità di emergenza che interessi il territorio di più comuni, ogni sindaco adotta le misure necessarie fino a quando non intervengano lo Stato o la regione interessata.

[63] Secondo il  General Model Grant Agreement, per calcolare le ore produttive annuali, il beneficiario deve utilizzare una delle tre opzioni seguenti:

-        opzione 1: 1720 ore produttive annue fisse per le persone che lavorano a tempo pieno (o corrispondenti pro quota per le persone che non lavorano a tempo pieno) ("1720 ore fisse");

-        opzione 2: il numero totale di ore lavorate dalla persona nell'anno ("singole ore produttive annuali");

-        opzione 3: il "numero standard di ore annuali" generalmente applicato dal beneficiario per il proprio personale conformemente alle disposizioni contabili interne ("ore produttive annuali standard").

[64]            Sul turn over nel sistema universitario e sulla misura delle assunzioni consentite alle singole università, si veda il tema web Interventi per i professori e i ricercatori universitari, curato dal Servizio Studi della Camera.

[65]            In base all’art. 29, co. 8, della stessa L. 240/2010, all’abilitazione scientifica nazionale è equiparata l'idoneità conseguita ai sensi della L. 210/1998, limitatamente al periodo di durata della stessa.

[66]            Art. 14 del D.L. 90/2014 (L. 114/2014), che ha riferito tale aumento anche alle abilitazioni conseguite nelle tornate 2012 e 2013.

[67]            Da ultimo, è intervenuto il DPR 95/2016.

[68]            Una deroga alla previsione di mandato biennale è stata prevista dall’art. 7-bis del D.L. 22/2020 (L. 41/2020), che ha disposto che le commissioni costituite a seguito dell’avvio della tornata 2018-2020 restano in carica fino al 30 giugno 2021 e che il procedimento di formazione delle commissioni per la tornata ASN 2020-2022 è avviato entro 31 gennaio 2021.

[69]            Le tabelle di corrispondenza sono state definite, da ultimo, con DM 1 settembre 2016, n. 662, successivamente integrato con DM 1 giugno 2017, n. 372.

[70]   Per la disciplina in materia di ricercatori a tempo indeterminato e di ricercatori a tempo determinato di tipo A e di tipo B, si veda la scheda relativa all’art. 19, co. 1, lett. f), f-bis) e f-ter), e co. 6-ter.

[71]   Gli indicatori relativi agli atenei statali sono consultabili nella pagina dedicata del sito del MUR.

[72]   Il punto organico (PO) rappresenta il valore medio a livello di sistema del costo attribuito al professore di I fascia che funge come parametro di riferimento per graduare il costo delle altre qualifiche. Per il personale docente, i punti organico si traducono in: 1 professore I fascia = 1 PO; 1 professore II fascia = 0,7 PO; 1 ricercatore tipo B = 0,5 PO; 1 ricercatore tipo A = 0,4 PO.

[73]            L’art. 6, co. 5-sexies e 5-septies, del D.L. 162/2019 (L. 8/2020) ha autorizzato, in deroga alle vigenti facoltà assunzionali, l’assunzione di ricercatori universitari a tempo determinato di tipo B, a decorrere dal 2021, nel limite di spesa di € 96,5 mln annui dal 2021.

Le risorse, per complessivi 1.607 nuovi ricercatori di tipo B, sono state ripartite tra le università con DM 14 maggio 2020, n. 83.

Successivamente, l’art. 238, co. 1, del D.L. 34/2020 ha previsto l’assunzione, nel 2021, di ulteriori ricercatori universitari a tempo determinato di tipo B, sempre in deroga alle vigenti facoltà assunzionali, nel limite di spesa di € 200 mln annui.

Le modalità di riparto delle risorse tra le università devono essere stabilite con decreto del Ministro dell’università e della ricerca, da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.

In base alla relazione tecnica all’A.S. 2500, si ritiene di poter immettere nel sistema universitario, con decorrenza 1° gennaio 2021, 3.331 nuovi ricercatori.

[74]            In particolare, i regolamenti prevedono la possibilità di attribuire gli assegni mediante le seguenti procedure:

            a)              pubblicazione di un unico bando relativo alle aree scientifiche di interesse del soggetto che intende conferire gli assegni, seguito dalla presentazione, da parte dei candidati, dei progetti di ricerca, corredati dei titoli e delle pubblicazioni, valutati da parte di un'unica commissione, che può avvalersi di esperti revisori di elevata qualificazione italiani o stranieri esterni al soggetto medesimo e che formula, sulla base dei punteggi attribuiti, una graduatoria per ciascuna delle aree interessate;

            b)              pubblicazione di bandi relativi a specifici programmi di ricerca dotati di propri finanziamenti, secondo procedure stabilite dal soggetto che intende conferire gli assegni.

[75]            La titolarità dell'assegno non è compatibile con la partecipazione a corsi di laurea, laurea specialistica o magistrale, dottorato di ricerca con borsa o specializzazione medica, in Italia o all'estero, e comporta il collocamento in aspettativa senza assegni per il dipendente in servizio presso amministrazioni pubbliche.

[76]            Comma introdotto dall'art. 1, co. 635, della L. 205/2017 (L. di bilancio 2018).

[77]            Qui approfondimenti.

[78]            Salva più favorevole disposizione del contratto individuale.

[79]            Emendamento 56.27.

[80]            In base alla relazione tecnica all’A.S. 2500 – relativo al D.L. 34/2020 –, si ritiene di poter immettere nel sistema universitario, con decorrenza 1° gennaio 2021, 3.331 nuovi ricercatori.

[81]            In particolare:

a) 437 posti sono stati attribuiti in relazione alla dimensione dell’ateneo, data dalla media dei docenti in servizio al 31 dicembre 2010 e al 31 dicembre 2019 (da 2 ricercatori per una media fino a 99 docenti, a 15 ricercatori per una media a partire da 3.400 docenti);

b) 700 posti sono stati ripartiti in proporzione alla somma degli studenti iscritti entro il primo anno fuori corso (peso 90%) utilizzati nel riparto della quota costo standard del FFO 2019 e il numero di borse di dottorato del XXXIV ciclo (peso 10%) utilizzato nel riparto del fondo per le borse post-lauream del FFO 2019;

c) 235 posti sono stati ripartiti in base al valore dell’indicatore della qualità della ricerca IRFS concernente la VQR 2011-2014;

d) 235 posti sono stati ripartiti in proporzione al numero di ricercatori di tipo B in servizio al 31 dicembre 2019 in possesso dell’ASN, moltiplicato per un coefficiente che tiene conto del rapporto tra la somma degli studenti di cui alla lettera b) e il numero di docenti in servizio al 31 dicembre 2019, secondo quanto previsto dalla seguente tabella:

 

Rapporto studenti/docenti (X)

Coefficiente moltiplicativo

X<15

1

15<X<30

1,5

X>30

2

 

[82]    Cfr. l'articolo 5, comma 1, del regolamento di cui al D.M. 10 agosto 2017, n. 130.

[83]    Si ricorda che il corso di formazione specifica in medicina generale non rientra nell'ambito delle scuole di specializzazione universitarie in medicina; esso è organizzato dalle regioni o province autonome (cfr., al riguardo, gli articoli 21 e 24 del D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368, e successive modificazioni).

[84]   Ai sensi dell'articolo 35, comma 4, del citato D.Lgs. n. 368. In tale quota di riserva, i decreti ministeriali attuativi e la giurisprudenza considerano inclusi anche i dipendenti medici delle strutture private accreditate dal Servizio sanitario nazionale.

[85]    Riguardo al punteggio relativo ai singoli parametri summenzionati, cfr. il citato articolo 5, comma 1, del regolamento di cui al D.M. n. 130.

[86]            La definizione delle procedure e delle modalità per l'individuazione dei componenti della Commissione di valutazione incaricata di selezionare la rosa nell’ambito della quale sono scelti i membri del comitato scientifico, invece, è stata demandata allo statuto.

[87]            L’istituzione della Consulta dei presidenti degli enti pubblici di ricerca – cui partecipano di diritto tutti i presidenti degli enti o loro delegati – è stata prevista dall’art. 8, co. 1-5, del d.lgs. 218/2016. In particolare, la Consulta è convocata dal Presidente ogni qual volta lo ritenga necessario e almeno una volta all'inizio e alla fine di ogni anno per la condivisione e la verifica delle scelte programmatiche annuali generali di ciascun ente e della loro coerenza con il Programma nazionale della ricerca (PNR). Inoltre, essa formula proposte per la redazione, l'attuazione e l'aggiornamento del PNR alla Presidenza del Consiglio dei ministri e ai Ministeri vigilanti; elabora, per quanto di competenza, proposte alla Presidenza del Consiglio dei ministri sulle tematiche inerenti la ricerca; relaziona periodicamente alla Presidenza del Consiglio dei ministri e ai Ministeri vigilanti sullo stato di attuazione della Carta europea dei ricercatori e del codice di condotta per l'assunzione dei ricercatori.

[88] In base all'art. 4 del D.M. 8 settembre 2016, n. 232, i requisiti vanno dimostrati secondo le seguenti modalità:

-        presenza di un comitato scientifico composto da almeno 9 membri, di cui almeno due terzi costituito da professori universitari ordinari e/o associati;

-        presenza di un direttore a tempo pieno in ogni collegio universitario.

-        sottoscrizione insieme allo studente di un progetto formativo personalizzato da firmarsi unitamente al contratto di ospitalità in fase di ammissione;  

-        compilazione da parte dello studente di questionari di valutazione delle competenze di carattere non formale dallo stesso acquisite nel corso dell'anno;

-        struttura d'accoglienza e infrastrutture idonee allo svolgimento di funzioni residenziali rispondenti ai requisiti e standard minimi a carattere istituzionale, logistico e funzionale non inferiori a quelli previsti per l'accesso ai finanziamenti di cui alla L. 338/2000;

-        presenza di strutture didattiche scientifiche adeguate alle attività formative previste e considerate in rapporto alla numerosità di studenti che il collegio può ospitare;

-        attività di orientamento al lavoro svolta all'interno del collegio documentata attraverso il libretto dello studente e con rendicontazione dei relativi costi a carico dell'Ente;

-        ammissione regolata da bando di concorso, redatto anche in lingua straniera, che preveda criteri di selezione atti a favorire la formazione di un corpo studentesco internazionale, nonché criteri distintivi di merito e/o colloqui/test valutativi e che indichi i servizi alberghieri e formativi che verranno offerti all'utente e la relativa retta annua;

-        presenza di almeno il 75% di studenti in possesso di una media accademica uguale o superiore a quella posseduta dagli studenti iscritti presso l'Università di riferimento del collegio. Nel caso di più università presenti nella città in cui è presente il Collegio, viene assunto il parametro relativo all'università di maggiori dimensioni;

-        presenza, per ogni anno accademico, di studenti stranieri per almeno un semestre;

-        presenza di un responsabile dell'organizzazione e gestione delle attività formative e culturali assunto a tempo pieno.

[89] Secondo l'art. 4 del D.M. 8 settembre 2016, n. 673, i parametri per la dimostrazione dei requisiti per l'accreditamento sono:

-        sussistenza di accordi di collaborazione con associazioni di categoria e/o enti pubblici e/o medie-grandi imprese anche estere per attività formative e di orientamento al lavoro;

-        attività di formazione continua per almeno 20 ore l'anno a dipendente, di cui almeno il 40% in contesto internazionale, rivolta al personale direttivo ed ai formatori dipendenti del collegio;

-        bilancio certificato dei costi di formazione, dal quale evincere le voci relative agli importi sostenuti per i direttori, formatori, docenti, coach, tutor;

-        erogazione, da parte dell'Ente gestore, di un numero di borse di studio e/o agevolazioni a favore degli studenti del Collegio di merito, per un importo globale pari o superiore al 30% della sommatoria delle rette per l'anno accademico di riferimento;

-        sottoscrizione insieme allo studente di un progetto formativo personalizzato da firmarsi unitamente al contratto di ospitalità in fase di ammissione, da realizzarsi nel corso dell'anno accademico di permanenza in collegio, avente determinate caratteristiche;

-        accordi formalizzati con università estere statali e non statali legalmente riconosciute e/o istituzioni internazionali operanti nel settore dell'alta formazione universitaria per la partecipazione documentata degli studenti ad iniziative di mobilità internazionale;

-        partecipazione di almeno il 10% degli studenti ad iniziative di mobilità internazionale;

-        possesso della certificazione EN ISO 9001 per la gestione di collegi universitari di merito e la progettazione ed erogazione di corsi di formazione;

-        fondo di dotazione o patrimonio netto non inferiore a 2 milioni di euro;

-        presenza nello statuto dell'ente, oltre che della espressa previsione che la gestione di collegi universitari è l'esclusiva finalità dell'ente stesso anche della precisazione che eventuali attività commerciali sono comunque a carattere residuale e funzionale rispetto al perseguimento della suddetta finalità.

 

[90]Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle

pubbliche amministrazioni, nonche' di innovazione tecnologica”, convertito dalla Legge n. 8 del 28 febbraio 2020.

[91] Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale.

[92] Disciplina dei rapporti fra Servizio sanitario nazionale ed università, a norma dell'articolo 6 della legge 30 novembre 1998, n. 419.

 

 

[93] Lo "Schema di contratto di programma 2020-2024 tra il Ministero dello sviluppo economico e la società Poste italiane Spa" è transitato in Parlamento per il vaglio consultivo su atti del Governo, quale A.G. n. 128 nella presente legislatura.

[94] Com'è noto, l'articolo 1, comma 2 del decreto legislativo (recante "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche") prevede: "Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI".

 

[95]            L’articolo 415-bis c.p.p. contiene la disciplina relativa all’avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari. Ai sensi del comma 3 l’avviso deve contenere altresì l'avvertimento che l'indagato ha facoltà, entro il termine di venti giorni, di presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore, chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, nonché di presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio.

[96] Presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è istituito l'archivio nazionale delle strade, che comprende tutte le strade distinte per categorie.

[97]. L'articolo 381, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 prevede che, per la circolazione e la sosta dei veicoli a servizio delle persone invalide con capacità di deambulazione impedita, o sensibilmente ridotta, il Comune rilasci apposita autorizzazione in deroga, previo specifico accertamento sanitario. L'autorizzazione è resa nota mediante l'apposito contrassegno invalidi denominato: "contrassegno di parcheggio per disabili" conforme al modello previsto dalla raccomandazione n. 98/376/CE del Consiglio dell'Unione europea del 4 giugno 1998. Il contrassegno è strettamente personale, non è vincolato ad uno specifico veicolo e ha valore su tutto il territorio nazionale. In caso di utilizzazione, lo stesso deve essere esposto, in originale, nella parte anteriore del veicolo, in modo che sia chiaramente visibile per i controlli.

[98] L'articolo 1, comma 491, finora vigente prevedeva che, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro per la famiglia e le disabilità, il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dell'interno, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sentiti l'Automobile Club d'Italia (ACI) e le associazioni delle persone con disabilità comparativamente più rappresentative a livello nazionale, fossero definiti annualmente gli interventi finalizzati alla prevenzione dell'uso indebito dell'autorizzazione di cui all'articolo 381, comma 2, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, nonché per l'innovazione tecnologica delle strutture, del contrassegno e della segnaletica per la mobilità delle persone con disabilità di cui al comma 489.

[99] Lettera così modificata dall'art. 1, comma 681, lett. a), L. 27 dicembre 2019, n. 160 ("Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022"), a decorrere dal 1° gennaio 2020.

[100] Così modificato dall'art. 1, comma 1, lett. e), n. 7, D.P.R. 18 luglio 2011, n. 173.

[101]   La novella in esame richiama l'articolo 3 della L. 5 febbraio 1992, n. 104; si ricorda che, secondo il comma 1 di tale articolo, è "persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione".

 

[102] Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate

[103] Modifiche ed integrazioni all’articolo 3del decreto legge 30 maggio1988, n. 173, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 luglio 1988, n. 291, e successive modificazioni, in materia di revisione delle categorie delle minorazioni e malattie invalidanti.