Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni
Titolo: Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale
Serie: Progetti di legge   Numero: 322
Data: 21/07/2020
Organi della Camera: I Affari costituzionali

Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale

 

Edizione provvisoria

D.L. 76/2020 - A.S. 1883

 

 

 

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Dossier n. 275

 

 

 

 

 

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Progetti di legge n. 322

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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I N D I C E

 

 

Articolo 1 (Procedure per l’incentivazione degli investimenti pubblici durante il periodo emergenziale in relazione all’aggiudicazione dei contratti pubblici sotto soglia). 9

Articolo 2 (Procedure per l’incentivazione degli investimenti pubblici in relazione all’aggiudicazione dei contratti pubblici sopra soglia). 19

Articolo 3 (Verifiche antimafia e protocolli di legalità). 29

Articolo 4, comma 1 (Conclusione dei contratti pubblici). 36

Articolo 4, commi 2-4 (Ricorsi giurisdizionali). 39

Articolo 5 (Sospensione dell'esecuzione dell'opera pubblica). 43

Articolo 6 (Collegio consultivo tecnico). 49

Articolo 7 (Fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche). 61

Articolo 8, commi 1-4 (Disposizioni urgenti in materia di contratti pubblici). 64

Articolo 8, commi 5 e 6 (Modifiche agli articoli 38, 80, 83 e 183 del codice dei contratti pubblici). 75

Articolo 8, comma 7 (Proroga termini e modifiche al decreto-legge n. 32 del 2019)  82

Articolo 8, comma 8 (Acquisto di beni per l'avvio dell'anno scolastico 2020/2021)  86

Articolo 8, comma 9 (Piani di riorganizzazione della rete ospedaliera e della rete assistenziale territoriale). 89

Articolo 8, comma 10 (Validità dei documenti unici di regolarità contributiva). 91

Articolo 8, comma 11 (Regolamento attuativo settori difesa e sicurezza). 92

Articolo 9 (Misure di accelerazione degli interventi infrastrutturali - Commissari straordinari) 94

Articolo 10 (Semplificazioni ed altre misure in materia edilizia). 104

Novelle al Testo unico dell’edilizia (comma 1). 105

Ulteriori misure in materia edilizia (commi 2-7). 122

Articolo 11 (Accelerazione e semplificazione della ricostruzione pubblica nelle aree colpite da eventi sismici). 158

Articolo 12 (Modifiche alla legge 7 agosto 1990, n. 241). 166

Articolo 13 (Accelerazione del procedimento in conferenza di servizi). 182

Articolo 14 (Disincentivi alla introduzione di nuovi oneri regolatori). 190

Articolo 15 (Agenda per la semplificazione, ricognizione e semplificazione dei procedimenti e modulistica standardizzata). 193

Articolo 16 (Disposizioni per facilitare l’esercizio del diritto di voto degli italiani all’estero nel referendum confermativo del testo di legge costituzionale, recante “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari). 202

Articolo 17 (Stabilità finanziaria degli enti locali). 209

Articolo 18 (Soppressione della disposizione che limitava il potere di ordinanza sindacale durante l'emergenza sanitaria). 213

Articolo 19, comma 1, lettera a) (Organizzazione del sistema universitario). 216

Articolo 19, comma 1, lettera b) (Rendicontazione delle attività di ricerca dei professori e dei ricercatori). 219

Articolo 19, comma 1, lettera c) (Mobilità interuniversitaria). 222

Articolo 19, comma 1, lettera d) (Disposizioni in materia di reclutamento di professori universitari). 224

Articolo 19, comma 1, lettera e) (Assegni di ricerca). 227

Articolo 19, comma 1, lettera f) (Passaggio dei ricercatori universitari a tempo determinato nel ruolo dei professori associati). 229

Articolo 19, comma 2 (Accreditamento dei corsi di studio). 231

Articolo 19, comma 3  (Titoli rilasciati da Scuole superiori a ordinamento speciale)  235

Articolo 19, comma 4 (Fondazioni universitarie di diritto privato). 237

Articolo 19, comma 5 (Valutazione dei titoli nei concorsi relativi all'ammissione dei medici alle scuole di specializzazione). 240

Articolo 19, comma 6 (Agenzia nazionale per la ricerca). 241

Articolo 20 (Disposizioni concernenti il Corpo nazionale dei vigili del fuoco). 244

Articolo 21 (Responsabilità erariale). 252

Articolo 22 (Controllo concomitante della Corte dei conti per accelerare gli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale). 255

Articolo 23 (Modifiche all’articolo 323 del codice penale). 259

Articolo 24 (Identità digitale, domicilio digitale, accesso ai servizi digitali) 263

Articolo 25 (Conservazione dei documenti informatici e gestione dell'identità digitale)  273

Articolo 26 (Piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione) 277

Articolo 27 (Misure per la semplificazione e la diffusione della firma elettronica avanzata e dell’identità digitale per l’accesso ai servizi bancari). 286

Articolo 28 (Semplificazione della notificazione e comunicazione telematica degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale). 295

Articolo 29 (Disposizioni per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici e piattaforma unica nazionale informatica di targhe associate a permessi di circolazione dei titolari di contrassegni). 300

Articolo 30 (Misure di semplificazione in materia anagrafica). 313

Articolo 31 (Sistemi informativi delle pubbliche amministrazioni e lavoro agile; sull'Agenzia per l'Italia digitale; sul difensore civico digitale; obblighi di comunicazione in caso di affidamento di forniture ricadenti nel perimetro di sicurezza nazionale cibernetica; istituzione di una nuova direzione centrale presso il Ministero dell'interno; su una funzione di SOGEI)  316

Articolo 32 (Codice di condotta tecnologica; esperti). 322

Articolo 33 (Disponibilità e interoperabilità dei dati  delle pubbliche amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici). 325

Articolo 34 (Piattaforma digitale nazionale dati). 327

Articolo 35  (In materia di CED delle pubbliche amministrazioni). 331

Articolo 36 (Misure di semplificazione amministrativa per l'innovazione). 334

Articolo 37 (Disposizioni per favorire l’utilizzo della posta elettronica certificata nei rapporti tra Amministrazione, imprese e professionisti). 338

Articolo 38 (Misure di semplificazione per reti e servizi di comunicazioni elettroniche)  343

Articolo 39 (Semplificazioni della misura Nuova Sabatini). 354

Articolo 40 (Semplificazione delle procedure di cancellazione dal registro delle imprese e dall’albo degli enti cooperativi). 358

Articolo 41 (Semplificazione del Sistema di monitoraggio degli investimenti pubblici e riduzione degli oneri informativi a carico delle Amministrazioni pubbliche). 364

Articolo 42 (Semplificazioni dell’attività del Comitato interministeriale per la programmazione economica). 369

Articolo 43 (Semplificazioni in agricoltura). 376

Articolo 44 (Misure a favore degli aumenti di capitale). 380

Articolo 45 (Proroga dei termini per assicurare la continuità del servizio svolto da Alitalia - Società Aerea Italiana S.p.A. e Alitalia Cityliner S.p.A. in amministrazione straordinaria)  384

Articolo 46 (Semplificazioni in materia di Zone Economiche Speciali). 388

Articolo 47 (Accelerazione nell'utilizzazione dei fondi nazionali ed europei per gli investimenti nella coesione e nelle riforme). 394

Articolo 48, commi 1-3 (Disposizioni urgenti in materia di funzionalità delle Autorità di sistema portuale). 396

Articolo 48, commi 4 e 5 (Disposizioni urgenti in materia di digitalizzazione della logistica portuale). 401

Articolo 48, commi 6 e 7 (Disposizioni in materia croceristica e in materia di regime IVA relativo alla locazione, anche finanziaria, e al noleggio di imbarcazioni da diporto)  403

Articolo 49 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle infrastrutture stradali ed autostradali). 406

Articolo 50 (Razionalizzazione delle procedure di valutazione dell'impatto ambientale)  414

Articolo 51 (Semplificazioni per interventi di incremento della sicurezza di infrastrutture stradali, autostradali, ferroviarie e idriche). 435

Articolo 52 (Semplificazioni delle procedure per interventi e opere nei siti oggetto di bonifica) 437

Articolo 53 (Semplificazione delle procedure nei siti di interesse nazionale). 442

Articolo 54 (Misure di semplificazione in materia di interventi contro il dissesto idrogeologico) 447

Articolo 55 (Semplificazione in materia di zone economiche ambientali). 454

Articolo 56 (Disposizioni di semplificazione in materia di interventi su progetti o impianti alimentati da fonti di energia rinnovabile e di taluni nuovi impianti, nonché di spalma incentivi e di controlli). 462

Articolo 57 (Semplificazione delle norme per la realizzazione di punti e stazioni di ricarica di veicoli elettrici). 472

Articolo 58 (Trasferimenti statistici di energia rinnovabile dall’Italia ad altri paesi)  480

Articolo 59 (Meccanismo dello scambio sul posto altrove per piccoli comuni). 483

Articolo 60  (Semplificazione dei procedimenti autorizzativi delle infrastrutture delle reti energetiche nazionali). 487

Articolo 61 (Semplificazione dei procedimenti autorizzativi delle infrastrutture della rete di distribuzione elettrica). 494

Articolo 62 (Semplificazione dei procedimenti per l’adeguamento di impianti di produzione e accumulo di energia). 497

Articolo 63 (Programma straordinario di manutenzione del territorio forestale e montano, interventi infrastrutturali irrigui e bacini di raccolta delle acque). 501

Articolo 64 (Semplificazioni per il rilascio delle garanzie sui finanziamenti a favore di progetti del green new deal). 514

Articolo 65 (Entrata in vigore). 518

 


Articolo 1
(Procedure per l’incentivazione degli investimenti pubblici durante il periodo emergenziale in relazione all’aggiudicazione dei contratti pubblici sotto soglia)

 

 

La disposizione interviene in materia di procedure relative all’aggiudicazione dei contratti pubblici sotto soglia, ai fini dell’incentivazione degli investimenti pubblici durante il periodo emergenziale.

Il comma 1 individua l'ambito applicativo della norma, stabilendo che, in deroga alle disposizioni del codice, si applichino le procedure di affidamento di cui ai commi 2, 3 e 4 della disposizione in esame, qualora la determina a contrarre o altro atto equivalente di avvio del procedimento sia adottato entro il 31 luglio 2021.  In tali casi, l’aggiudicazione o l’individuazione definitiva del contraente avviene entro il termine di due mesi dalla data di adozione dell’atto di avvio del procedimento, aumentato a quattro mesi nei casi di procedura negoziata senza bando, e vengono fatte salve le ipotesi in cui la procedura sia sospesa per effetto di provvedimenti dell’autorità giudiziaria. Il mancato rispetto dei termini previsti può essere valutato ai fini della responsabilità del responsabile unico del procedimento per danno erariale e - qualora imputabili all’operatore economico - i ritardi costituiscono causa di esclusione dell’operatore dalla procedura o di risoluzione del contratto per inadempimento.

Il comma 2 stabilisce le procedure per l'affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture, nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l’attività di progettazione, di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea; si prevede: l'affidamento diretto per lavori, servizi e forniture di importo inferiore a 150.000 euro; la procedura negoziata senza bando di cui all’articolo 63 del Codice, previa consultazione di almeno cinque operatori economici (ovvero di un numero superiore di operatori, graduato a seconda dell'importo del contratto), nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, che tenga conto anche di una diversa dislocazione territoriale delle imprese invitate, e con l'individuazione degli operatori economici in base ad indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici. L’avviso sui risultati della procedura di affidamento contiene anche l’indicazione dei soggetti invitati.

Il comma 3 prevede che gli affidamenti diretti possono essere realizzati tramite determina a contrarre, o atto equivalente; per gli affidamenti mediante procedura negoziata senza bando, le stazioni appaltanti procedono con propria scelta all'aggiudicazione sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa ovvero del prezzo più basso, nel rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento. Nel caso di aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso, si procede all’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia.

Il comma 4 dispone che per le modalità di affidamento di cui al presente articolo la stazione appaltante non richiede le garanzie provvisorie previste dal codice, salvo che, in considerazione della tipologia e specificità della singola procedura, ricorrano particolari esigenze; in tal caso, la stazione appaltante le indica nell’avviso di indizione della gara o in altro atto equivalente. Nel caso in cui sia richiesta la garanzia provvisoria, il relativo ammontare è comunque dimezzato.

Il comma 5 prevede che le disposizioni dell'articolo si applichino anche alle procedure per l'affidamento dei servizi di organizzazione, gestione e svolgimento delle prove dei concorsi pubblici di cui agli articoli 247 e 249 del decreto-legge n. 34 del 2020, fino all'importo di 750.000 euro.

 

L’articolo 1 interviene in materia di procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici sotto soglia.

Si indica il fine di incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici, nonché di far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale del COVID-19.

Nel dettaglio, si prevede che, in deroga agli articoli 36, comma 2, e 157, comma 2, del codice dei contratti pubblici, si applichino le procedure di affidamento dettate dalla disposizione in esame, ai commi 2, 3 e 4.

Si ricorda che articoli 36 reca i contratti sotto soglia, prevedendo al co. 2 le modalità con cui le stazioni appaltanti procedono all'affidamento di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie europee di cui all'articolo 35, mentre l'art. 157 norma gli altri incarichi di progettazione e connessi. Per una più ampia ricostruzione della normativa del codice richiamata ed oggetto di deroga, si veda il box in calce alla presente scheda.

In ordine all'ambito applicativo della disposizione, si prevede tale applicazione in deroga per le fattispecie in cui la determina a contrarre o altro atto di avvio del procedimento equivalente sia adottato entro il 31 luglio 2021.

In tali casi, l’aggiudicazione o l’individuazione definitiva del contraente avviene entro i seguenti termini:

Ø  due mesi dalla data di adozione dell’atto di avvio del procedimento

Ø   tale termine è aumentato a quattro mesi nei casi di procedura negoziata senza bando (ai sensi del successivo comma 2, lettera b). 

Vengono comunque fatte salve le ipotesi in cui la procedura sia sospesa per effetto di provvedimenti dell’autorità giudiziaria.

Possono essere valutati ai fini della responsabilità del responsabile unico del procedimento per danno erariale:

-         il mancato rispetto dei termini previsti

-          la mancata tempestiva stipulazione del contratto

-         e il tardivo avvio dell’esecuzione dello stesso.

Inoltre qualora tali ritardi siano imputabili all’operatore economico, costituiscono causa di esclusione dell’operatore dalla procedura o di risoluzione del contratto per inadempimento che viene senza indugio dichiarata dalla stazione appaltante e opera di diritto.

Si valuti l’opportunità di chiarire la disposizione con riferimento alla fattispecie del ritardo imputabile all’operatore economico, valutando in particolare di definire le modalità con cui sia accertato il profilo dell'imputabilità del ritardo stesso, cui si riconnette la risoluzione di diritto o l'esclusione dell'operatore.

 

In base al comma 2, le stazioni appaltanti procedono all’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture, nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l’attività di progettazione, di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea di cui all’articolo 35 del codice, secondo le seguenti modalità:

a)      affidamento diretto per lavori, servizi e forniture di importo inferiore a 150.000 euro e, comunque, per servizi e forniture nei limiti delle soglie di cui all'articolo 35 del codice dei contratti pubblici

Si valuti l'opportunità di chiarire la disciplina applicabile ai servizi e alle forniture, alla luce della previsione di cui alla successiva lettera b) che prevede, a tale riguardo, la procedura negoziata senza bando per importi pari o superiori a 150.000 euro e inferiori alle soglie di rilevanza comunitaria.

b)     la procedura negoziata senza bando, di cui all’articolo 63 del Codice, previa consultazione di almeno cinque operatori economici (ovvero di un numero superiore di operatori, graduato a seconda dell'importo del contratto, come di seguito specificato) ove esistenti; si prevede a tal fine il rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, che tenga conto anche di una diversa dislocazione territoriale delle imprese invitate, e l'individuazione degli operatori economici in base ad indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, per le seguenti fattispecie di affidamenti:

Ø  affidamento di servizi e forniture di importo pari o superiore a 150.000 euro fino alle soglie comunitarie di cui all’articolo 35 del codice;

Ø  affidamento di lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 350.000 euro;

Ø  si prevede invece la previa consultazione di almeno dieci operatori per lavori di importo pari o superiore a 350.000 euro ma inferiore a un milione di euro;

Ø   ovvero di almeno quindici operatori per lavori di importo pari o superiore a un milione di euro fino alle soglie europee.

 

La norma specifica che l’avviso sui risultati della procedura di affidamento contiene anche l’indicazione dei soggetti invitati.

Viene fatto fermo quanto previsto dagli articoli 37 e 38 del Codice.

In estrema sintesi, l'art. 37 del codice reca le "Aggregazioni e centralizzazione delle committenze", norma in vigore dal 18 giugno 2019. La disposizione detta le norme sulle centrali di committenza e le centrali di committenza qualificate. Le stazioni appaltanti, fermi restando gli obblighi di utilizzo di strumenti di acquisto e di negoziazione, anche telematici, previsti dalle vigenti disposizioni in materia di contenimento della spesa, possono procedere direttamente e autonomamente all'acquisizione di forniture e servizi di importo inferiore a 40.000 euro e di lavori di importo inferiore a 150.000 euro, nonché attraverso l'effettuazione di ordini a valere su strumenti di acquisto messi a disposizione dalle centrali di committenza e dai soggetti aggregatori. Per effettuare procedure di importo superiore alle soglie sopra indicate, le stazioni appaltanti devono essere in possesso della necessaria qualificazione ai sensi dell'articolo 38. Si rammenta che tale art. 38 reca le disposizioni sulla qualificazione di stazioni appaltanti e centrali di committenza, ed è novellata dal presente decreto-legge (si veda il co. 5 dell'art. 8, infra).

Le stazioni appaltanti possono acquisire lavori, forniture o servizi mediante impiego di una centrale di committenza qualificata. La stazione appaltante, nell'ambito delle procedure gestite dalla centrale di committenza di cui fa parte, è responsabile del rispetto del codice per le attività ad essa direttamente imputabili, e la centrale di committenza che svolge esclusivamente attività di centralizzazione delle procedure di affidamento per conto di altre amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori è tenuta al rispetto delle disposizioni del codice. Si dettano norme sulla responsabilità in solido delle stazioni appaltanti, che provvedono altresì ad individuare un unico responsabile del procedimento. Sull'applicabilità delle disposizioni di tale disposizione, era intervenuto l'art. 1, comma 1, lett. a), D.L.  n. 32 del 2019, come convertito, stabilendo al riguardo non trovassero applicazione, a titolo sperimentale, talune norme del codice dei contratti pubblici.

 

Si segnala che l'ANAC, con Atto 26/02/2020, n. 2, Atto di segnalazione concernente l'articolo 93, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50 e s.m.i. e gli articoli 36, comma 2, lettera a) e 98 del medesimo decreto, ha rilevato l'opportunità di modificare l'articolo 36, comma 2, lettera a) del codice, prevedendo che per gli affidamenti diretti di importo inferiore a 40.000 euro, fermi restando gli altri obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente, non sia obbligatoria la pubblicazione dell'avviso sui risultati della procedura di affidamento previsto dall'articolo 98 del Codice.

 

Il comma 3 prevede che gli affidamenti diretti possono essere realizzati tramite determina a contrarre, o atto equivalente, che contenga gli elementi descritti nell’articolo 32, comma 2, del codice.

Tale comma dispone in materia di determina a contrarre. Si prevede che prima dell'avvio delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, le stazioni appaltanti, in conformità ai propri ordinamenti, decretano o determinano di contrarre, individuando gli elementi essenziali del contratto e i criteri di selezione degli operatori economici e delle offerte. Nella procedura di cui all'articolo 36, comma 2, lettere a) e b), la stazione appaltante può procedere ad affidamento diretto tramite determina a contrarre, o atto equivalente, che contenga, in modo semplificato, l'oggetto dell'affidamento, l'importo, il fornitore, le ragioni della scelta del fornitore, il possesso da parte sua dei requisiti di carattere generale, nonché il possesso dei requisiti tecnico-professionali, ove richiesti.

Si ricorda che tali contenuti, nel quadro della normativa richiamata del codice, sono previsti con riferimento ai casi dei contratti sotto soglia (in base al richiamo all'art. 36, co. 2 lett. a e b), con riferimento specificamente ad  affidamenti: di importo inferiore a 40.000 euro, per cui si procede mediante affidamento diretto anche senza previa consultazione di due o più operatori economici o per i lavori in amministrazione diretta, e  per affidamenti di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro per i lavori, o alle soglie di cui all'articolo 35 per le forniture e i servizi, mediante affidamento diretto previa valutazione di tre preventivi, ove esistenti, per i lavori, e, per i servizi e le forniture, di almeno cinque operatori economici individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti.

 

La disposizione prevede poi che, per gli affidamenti mediante procedura negoziata, senza bando, di cui al comma 2, lettera b), le stazioni appaltanti, nel rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento, procedono con propria scelta all'aggiudicazione dei relativi appalti, sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa ovvero del prezzo più basso.

Si prevede che, nel caso di aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso, le stazioni appaltanti procedono all’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi dell’articolo 97, commi 2, 2-bis e 2-ter, del codice, anche qualora il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore a cinque.

L'art. 97 del Codice dei contratti pubblici (modificato dal D.L. n. 32 del 2019, c.d. Sbloccacantieri, convertito dalla L. n. 55 del 2019) fissa le metodologie per il calcolo della soglia ai fini dell'individuazione delle offerte anomale, cioè le offerte che presentino un ribasso tale da mettere in dubbio la sua affidabilità, nell'ipotesi di applicazione del criterio di aggiudicazione del prezzo più basso. Le metodologie di calcolo della soglia di anomalia mirano a non rendere tale soglia predeterminabile da parte degli offerenti.

Il comma 2 dell'articolo 97 reca la metodologia di calcolo da utilizzare in caso vi siano quindici o più offerte ammesse. Esso prevede il calcolo della somma e della media dei ribassi percentuali di tutte le offerte, escludendo il 10% dei maggior ribassi e rialzi (cosiddetto taglio delle ali, in relazione al quale si dovrà considerare il 10% arrotondato all'unità superiore). Nell'effettuare il taglio delle ali, le offerte di uguale valore di ribasso sono da considerare distintamente e se, effettuando il calcolo, sono presenti più offerte di uguale valore delle offerte da accantonare, le suddette offerte sono comunque da accantonare (lett. a)). Si calcola quindi lo scarto medio dei ribassi percentuali che superano la media dei ribassi (lett. b)). Si sommano la media aritmetica e lo scarto medio dei ribassi, ottenendo così un primo valore della soglia (lett. c)). Tale valore viene diminuito di un valore percentuale pari al prodotto delle prime due cifre decimali della somma dei ribassi (di cui alla lett. a)) applicata allo scarto medio dei ribassi (lett. d)). Si ottiene così la soglia di anomalia.

Il comma 2-bis reca la procedura di calcolo da utilizzare quando le offerte ammesse siano in numero inferiore a quindici. Peraltro, si rammenta che il comma 3-bis, come modificato, stabilisce che il calcolo viene effettuato per un numero di offerte ammesse pari o superiore a cinque.

Si prevede che prevede che un decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti possa rideterminare le modalità di calcolo, al fine di rendere non predeterminabili dagli offerenti i parametri di riferimento per il calcolo della soglia di anomalia (comma 2-ter).

Si ricorda che i criteri di aggiudicazione dell'appalto sono normati dall'art. 95 del codice; la previsione prevede che essi garantiscono la possibilità di una concorrenza effettiva e sono accompagnati da specifiche che consentono l'efficace verifica delle informazioni fornite dagli offerenti al fine di valutare il grado di soddisfacimento dei criteri di aggiudicazione delle offerte.

 

Il comma 4 dispone che per le modalità di affidamento di cui al presente articolo la stazione appaltante non richiede le garanzie provvisorie previste dal codice, salvo che, in considerazione della tipologia e specificità della singola procedura, ricorrano 'particolari esigenze' che ne giustifichino la richiesta: in tal caso, la stazione appaltante le indica nell’avviso di indizione della gara o in altro atto equivalente.

Nel caso in cui sia richiesta la garanzia provvisoria, il relativo ammontare è dimezzato rispetto a quello previsto dal medesimo articolo 93.

 

L'articolo 93 reca le Garanzie per la partecipazione alla procedura. Si dispone che l'offerta è corredata da una garanzia fideiussoria, denominata "garanzia provvisoria" pari al 2 per cento del prezzo base indicato nel bando o nell'invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, a scelta dell'offerente. Al fine di rendere l'importo della garanzia proporzionato e adeguato alla natura delle prestazioni oggetto del contratto e al grado di rischio ad esso connesso, la stazione appaltante può motivatamente ridurre l'importo della cauzione sino all'1 per cento ovvero incrementarlo sino al 4 per cento. Nel caso di procedure di gara realizzate in forma aggregata da centrali di committenza, l'importo della garanzia è fissato nel bando o nell'invito nella misura massima del 2 per cento del prezzo base. In caso di partecipazione alla gara di un raggruppamento temporaneo di imprese, la garanzia fideiussoria deve riguardare tutte le imprese del raggruppamento medesimo.

In base all'ultimo periodo del co. 1 di tale disposizione, nei casi di cui all'articolo 36, comma 2, lettera a), inerente i contratti sotto soglia, è facoltà della stazione appaltante non richiedere le garanzie.

Si dettano le modalità per il rilascio della garanzia fideiussoria e i contenuti della stessa. Si ricorda che la garanzia deve avere efficacia per almeno centottanta giorni dalla data di presentazione dell'offerta, ma il bando o l'invito possono richiedere una garanzia con termine di validità maggiore o minore, in relazione alla durata presumibile del procedimento, e possono altresì prescrivere che l'offerta sia corredata dall'impegno del garante a rinnovare la garanzia, su richiesta della stazione appaltante nel corso della procedura, per la durata indicata nel bando, nel caso in cui al momento della sua scadenza non sia ancora intervenuta l'aggiudicazione. La garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto dopo l'aggiudicazione dovuta ad ogni fatto riconducibile all'affidatario o all'adozione di informazione antimafia interdittiva, ed è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto.

La normativa del codice detta un articolato quadro di riduzioni percentuali delle garanzie provvisorie, in costanza di particolari caratteristiche e processi di conformità attuati dagli operatori economici, in un'ottica premiale.

 

In materia di garanzia provvisoria, si segnala che l'ANAC, con Atto 26/02/2020, n. 2 - Atto di segnalazione concernente l'articolo 93, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50 e gli articoli 36, comma 2, lettera a) e 98 del Codice, ha segnalato l'opportunità di estendere la deroga prevista dall'articolo 93, primo comma, ultimo periodo, a tutti gli affidamenti di importo inferiore a una determinata soglia, indipendentemente dalla tipologia di procedura di selezione utilizzata.

 

Il comma 5 prevede che le disposizioni dell'articolo si applichino anche alle procedure per l'affidamento dei servizi di organizzazione, gestione e svolgimento delle prove dei concorsi pubblici di cui agli articoli 247 e 249 del decreto-legge 34 del 2020, fino all'importo di euro 750.000, indicato dalla lettera d), comma 1, dell'articolo 35 del codice (per gli appalti di servizi sociali e di altri servizi specifici elencati all'allegato IX). 

 

Si ricorda che il D.L. n. 34 del 2020, recante Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 (c.d. decreto rilancio) ha recato al Capo XII norme sulle accelerazioni dei concorsi. In particolare, la Sezione I di tale Capo concerne norme per il decentramento e la digitalizzazione delle procedure, recando all'art. 247 disposizioni sulla semplificazione e svolgimento in modalità decentrata e telematica delle procedure concorsuali della Commissione RIPAM, e all'articolo 249 sulla semplificazione e lo svolgimento in modalità decentrata e telematica delle procedure concorsuali delle pubbliche amministrazioni.

 

In relazione alle norme del Codice richiamate o oggetto di deroga in base alla disposizione in esame, si ricorda che l'uso della procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara è disciplinato dall'art. 63 del codice.

Nei casi e nelle circostanze indicati, le amministrazioni aggiudicatrici possono aggiudicare appalti pubblici mediante una procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, dando conto con adeguata motivazione, nel primo atto della procedura, della sussistenza dei relativi presupposti.

Il co. 2 della norma detta i casi di appalti pubblici di lavori, forniture e servizi, in cui la procedura negoziata senza previa pubblicazione può - nel sistema codicistico -essere utilizzata:

a) qualora non sia stata presentata alcuna offerta o alcuna offerta appropriata, né alcuna domanda di partecipazione o alcuna domanda di partecipazione appropriata, in esito all'esperimento di una procedura aperta o ristretta, purché le condizioni iniziali dell'appalto non siano sostanzialmente modificate e purché sia trasmessa una relazione alla Commissione europea, su sua richiesta;

b) quando i lavori, le forniture o i servizi possono essere forniti unicamente da un determinato operatore economico per una delle seguenti ragioni:1) lo scopo dell'appalto consiste nella creazione o nell'acquisizione di un'opera d'arte o rappresentazione artistica unica;2) la concorrenza è assente per motivi tecnici;3) la tutela di diritti esclusivi, inclusi i diritti di proprietà intellettuale. Le eccezioni di cui ai punti 2) e 3) si applicano solo quando non esistono altri operatori economici o soluzioni alternative ragionevoli e l'assenza di concorrenza non è il risultato di una limitazione artificiale dei parametri dell'appalto; c) nella misura strettamente necessaria quando, per ragioni di estrema urgenza derivante da eventi imprevedibili dall'amministrazione aggiudicatrice, i termini per le procedure aperte o per le procedure ristrette o per le procedure competitive con negoziazione non possono essere rispettati.

Il comma 3 reca i casi di appalti pubblici di forniture in cui la procedura è consentita: a) qualora i prodotti oggetto dell'appalto siano fabbricati esclusivamente a scopo di ricerca, di sperimentazione, di studio o di sviluppo, salvo che si tratti di produzione in quantità volta ad accertare la redditività commerciale del prodotto o ad ammortizzare i costi di ricerca e di sviluppo; b) nel caso di consegne complementari effettuate dal fornitore originario e destinate al rinnovo parziale di forniture o di impianti o all'ampliamento; c) per forniture quotate e acquistate sul mercato delle materie prime; d) per l'acquisto di forniture o servizi a condizioni particolarmente vantaggiose, da un fornitore che cessa definitivamente l'attività commerciale oppure dagli organi delle procedure concorsuali.

 La procedura è, altresì, consentita negli appalti pubblici relativi ai servizi qualora l'appalto faccia seguito ad un concorso di progettazione e debba, in base alle norme applicabili, essere aggiudicato al vincitore o ad uno dei vincitori del concorso, nonché per nuovi lavori o servizi consistenti nella ripetizione di lavori o servizi analoghi, già affidati all'operatore economico aggiudicatario dell'appalto iniziale dalle medesime amministrazioni aggiudicatrici, a condizione che tali lavori o servizi siano conformi al progetto a base di gara e che tale progetto sia stato oggetto di un primo appalto aggiudicato secondo procedura aperta.

Le amministrazioni aggiudicatrici individuano gli operatori economici da consultare sulla base di informazioni riguardanti le caratteristiche di qualificazione economica e finanziaria e tecniche e professionali desunte dal mercato, nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza, rotazione, e selezionano almeno cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei (co. 6). L'amministrazione aggiudicatrice sceglie l'operatore economico che ha offerto le condizioni più vantaggiose, ai sensi dell'articolo 95, previa verifica del possesso dei requisiti di partecipazione previsti per l'affidamento di contratti di uguale importo mediante procedura aperta, ristretta o mediante procedura competitiva con negoziazione.

In deroga a tale disposizione sono stati adottati l'art. 86-bis, commi 1 e 4, D.L. 17 marzo 2020, n. 18; l'art. 48, comma 2, del medesimo D.L. n. 18/2020, e sull'applicabilità delle disposizioni ha disposto l'art. 72, comma 2, lett. a), del D.L. n. 18: questo ha previsto, in considerazione dell'esigenza di contenere con immediatezza gli effetti negativi sull'internazionalizzazione del sistema Paese in conseguenza della diffusione del Covid-19, che agli interventi di cui al comma 1 della disposizione, nonché a quelli inclusi nel piano straordinario di cui all'articolo 30 del decreto-legge n. 133 del 2014 si applicano, fino al 31 dicembre 2020, la disposizione  per cui i contratti di forniture, lavori e servizi possono essere aggiudicati con la procedura di cui all'articolo 63, comma 6, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, vale a dire la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara.

Si ricorda che il modulo procedimentale della procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando di gara consente alla p.a. di contrarre direttamente con un operatore economico le condizioni del contratto, prescindendo dall’osservanza di particolari forme procedimentali, con un livello di libertà di azione che si avvicina a quello dei soggetti privati nell’ambito delle fasi pre-negoziali nel diritto civile (Caringella, Il sistema del diritto amministrativo, 2019). La dottrina evidenzia che la procedura si caratterizza per l’assenza di particolari vincoli procedurali, quali la preventiva pubblicità e per la selezione sostanzialmente discrezionale degli operatori comunque nel rispetto dei principi di trasparenza e concorrenza e rotazione.

 

L'articolo 36 del Codice, in materia di contratti sotto soglia, oggetto di deroga, prevede al comma 2 che, fermo restando quanto previsto dagli articoli 37 e 38 e salva la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie, le stazioni appaltanti procedono all'affidamento di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie europee di cui all'articolo 35, secondo le seguenti modalità:

a) per affidamenti di importo inferiore a 40.000 euro, mediante affidamento diretto anche senza previa consultazione di due o più operatori economici o per i lavori in amministrazione diretta;

b) per affidamenti di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro per i lavori, o alle soglie di cui all'articolo 35 per le forniture e i servizi, mediante affidamento diretto previa valutazione di tre preventivi, ove esistenti, per i lavori, e, per i servizi e le forniture, di almeno cinque operatori economici individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti. I lavori possono essere eseguiti anche in amministrazione diretta, fatto salvo l'acquisto e il noleggio di mezzi, per i quali si applica comunque la procedura di cui al periodo precedente. L'avviso sui risultati della procedura di affidamento contiene l'indicazione anche dei soggetti invitati;

c) per affidamenti di lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 350.000 euro, mediante la procedura negoziata di cui all'articolo 63 previa consultazione, ove esistenti, di almeno dieci operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici. L'avviso sui risultati della procedura di affidamento contiene l'indicazione anche dei soggetti invitati;

c-bis) per affidamenti di lavori di importo pari o superiore a 350.000 euro e inferiore a 1.000.000 di euro, mediante la procedura negoziata di cui all'articolo 63 previa consultazione, ove esistenti, di almeno quindici operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici. L'avviso sui risultati della procedura di affidamento contiene l'indicazione anche dei soggetti invitati;

d) per affidamenti di lavori di importo pari o superiore a 1.000.000 di euro e fino alle soglie europee, mediante ricorso alle procedure di cui all'articolo 60, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 97, comma 8 del Codice.

Si ricorda inoltre che il co. 7 di tale art. 36 rinvia al regolamento di cui all'articolo 216, comma 27-octies del codice, con cui sono stabilite le modalità relative alle procedure di affidamento dei contratti sotto soglia, alle indagini di mercato, nonché per la formazione e gestione degli elenchi degli operatori economici, e in cui sono anche indicate specifiche modalità di rotazione degli inviti e degli affidamenti e di attuazione delle verifiche sull'affidatario scelto senza svolgimento di procedura negoziata. Si prevede che fino alla data di entrata in vigore del regolamento si applichi la disposizione transitoria prevista dal suddetto co. 27-octies dell'art. 216 del codice. E' il caso di ricordare che tale disposizione - a seguito degli interventi recati con il D.L. sblocca cantieri - ha previsto che nelle more dell'adozione, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione, di un regolamento unico recante disposizioni di esecuzione, attuazione e integrazione del codice, rimangano nel frattempo efficaci le linee guida e i decreti adottati in attuazione delle previgenti disposizioni indicate. Il regolamento reca, in particolare, disposizioni, tra le materie indicate, alla lettera d) il riferimento alle procedure di affidamento e realizzazione dei contratti di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie comunitarie.

L'art. 157, anch'esso oggetto di deroga ai sensi del co. 1 della norma in esame, reca norme sugli altri incarichi di progettazione e connessi, prevedendo che gli incarichi di progettazione relativi ai lavori indicati nonché di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, di direzione dei lavori, di direzione dell'esecuzione, di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di collaudo di importo pari o superiore alle soglie di cui all'articolo 35, sono affidati secondo le modalità di cui alla Parte II, Titolo I, II, III e IV del codice. Nel caso in cui il valore delle attività di progettazione, coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, direzione dei lavori, direzione dell'esecuzione e coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione sia pari o superiore complessivamente la soglia di cui all'articolo 35, l'affidamento diretto della direzione dei lavori e coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione al progettista è consentito soltanto per particolari e motivate ragioni e ove espressamente previsto dal bando di gara della progettazione.  Gli incarichi di progettazione, di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, di direzione dei lavori, di direzione dell'esecuzione, di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di collaudo di importo pari o superiore a 40.000 e inferiore a 100.000 euro possono essere affidati dalle stazioni appaltanti a cura del responsabile del procedimento, nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, e secondo la procedura prevista dall'articolo 36, comma 2, lettera b); l'invito è rivolto ad almeno cinque soggetti, se sussistono in tale numero aspiranti idonei nel rispetto del criterio di rotazione degli inviti. Gli incarichi di importo pari o superiore a 100.000 euro sono affidati secondo le modalità di cui alla Parte II, Titoli III e IV del codice. La disposizione vieta l'affidamento di attività di progettazione, direzione lavori, direzione dell'esecuzione, coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione, collaudo, indagine e attività di supporto per mezzo di contratti a tempo determinato o altre procedure diverse da quelle previste dal codice.

 


Articolo 2
(Procedure per l’incentivazione degli investimenti pubblici in relazione all’aggiudicazione dei contratti pubblici sopra soglia)

 

 

L’articolo 2 disciplina le procedure applicabili ai contratti pari o superiori alle soglie comunitarie, prevedendo che le procedure di cui al presente articolo si applichino qualora l’atto di avvio del procedimento amministrativo, la determina a contrarre o altro atto equivalente, sia adottato entro il 31 luglio 2021.

Il comma 2 prevede, salvo quanto previsto dal successivo comma 3, che le stazioni appaltanti procedono all’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l’attività di progettazione, di importo pari o superiore alle soglie europee, mediante la procedura aperta, ristretta o, previa motivazione sulla sussistenza dei presupposti previsti dalla legge, della procedura competitiva con negoziazione sia per i settori ordinari sia per i settori speciali, con i termini ridotti di cui all’articolo 8, comma 1, lettera c). Il comma 3 prevede l'applicazione della procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara per l’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l’attività di progettazione, di opere di importo pari o superiore alle soglie comunitarie nella misura strettamente necessaria quando - per ragioni di estrema urgenza derivanti dagli effetti negativi della crisi causata dalla pandemia COVID-19 - i termini, anche abbreviati, previsti dalle procedure ordinarie non possono essere rispettati. Il comma 4 indica una serie di settori per i quali - per quanto non espressamente disciplinato dall'articolo - si opera in deroga ad ogni disposizione di legge, salvo il rispetto della legge penale e dei voncoli espressamente indicati; si tratta di settori quali l'edilizia scolastica e universitaria, sanitaria e carceraria, delle infrastrutture per la sicurezza pubblica e dei trasporti, nonché delle infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali, lacuali e idriche, ivi compresi gli interventi inseriti nei contratti di programma ANAS-Mit 2016-2020 e RFI-Mit 2017 – 2021 e relativi aggiornamenti; si indicano altresì gli interventi funzionali alla realizzazione della transizione energetica. In base al comma 5, per ogni procedura di appalto è nominato un responsabile unico del procedimento che, con propria determinazione adeguatamente motivata, valida ed approva ciascuna fase progettuale o di esecuzione del contratto, anche in corso d’opera. Il comma 6 prevede la pubblicazione degli atti delle stazioni appaltanti sui rispettivi siti istituzionali, con richiamo della normativa in materia di trasparenza. Il ricorso ai contratti secretati di cui all’articolo 162 del codice è limitato ai casi di 'stretta necessità' e richiede una specifica motivazione.

 

 

Nel dettaglio, il comma 1 definisce l'ambito applicativo della disposizione, prevedendo che essa reca le procedure di affidamento e la disciplina dell’esecuzione dei contratti in relazione per le fattispecie in cui la determina a contrarre o altro atto di avvio del procedimento equivalente sia adottato entro il 31 luglio 2021.

In tali casi, l’aggiudicazione o l’individuazione definitiva del contraente avviene entro sei mesi dalla data di adozione dell’atto di avvio del procedimento. Sono fatte salve le ipotesi in cui la procedura sia sospesa per effetto di provvedimenti dell’autorità giudiziaria.

Il mancato rispetto dei termini in parola, nonché la mancata tempestiva stipulazione del contratto e il tardivo avvio dell’esecuzione dello stesso:

§  possono essere valutati ai fini della responsabilità del responsabile unico del procedimento per danno erariale

§   qualora imputabili all’operatore economico, costituiscono causa di esclusione dell’operatore dalla procedura o di risoluzione del contratto per inadempimento che viene senza indugio dichiarata dalla stazione appaltante e opera di diritto.

La disposizione ricalca quanto in tal senso previsto anche dall'articolo 1, co. 1, in materia di contratti pubblici sotto soglia.

Si valuti di chiarire la disposizione con riferimento alla fattispecie del ritardo imputabile all’operatore economico, valutando in particolare di definire le modalità con cui sia accertato il profilo dell'imputabilità del ritardo stesso, cui si riconnette la risoluzione di diritto o l'esclusione dell'operatore.

Si indica il fine di incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici, nonché di far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale del COVID-19.

 

Il comma 2 prevede - salvo quanto previsto al successivo comma 3 - che le stazioni appaltanti procedono all’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l’attività di progettazione, di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea mediante la procedura aperta, ristretta o - previa motivazione sulla sussistenza dei presupposti previsti dalla legge - la procedura competitiva con negoziazione sia per i settori ordinari sia per i settori speciali.

Si tratta, della procedura competitiva con negoziazione, di cui:

-per i settori ordinari, agli articoli 61 e 62 del codice;

- per i settori speciali, agli articoli 123 e 124 del codice;

In ogni caso si prevedono i termini ridotti in casi di urgenza di cui all’articolo 8, comma 1, lettera c).

Tale lettera c) prevede, in relazione alle procedure ordinarie, si applichino le riduzioni dei termini procedimentali per ragioni di urgenza (di cui agli articoli 60, comma 3, 61, comma 6, 62 comma 5, 74, commi 2 e 3, del codice) e che nella motivazione del provvedimento che dispone la riduzione dei termini non è necessario dar conto delle ragioni di urgenza, che si considerano comunque sussistenti. Per approfondimenti si rinvia alla relativa scheda di lettura.

 

In materia, si ricorda che i «settori ordinari» dei contratti pubblici sono i settori diversi da quelli del gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti, servizi postali, sfruttamento di area geografica in cui operano le stazioni appaltanti come definite dall'articolo 3 del Codice. I «settori speciali» dei contratti pubblici sono infatti i settori del gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti, servizi postali, sfruttamento di area geografica, come definiti dalla parte III del codice dei contrati pubblici di cui al D. Lgs. n. 50 del 2016.

L'articolo 35 del Codice reca, unitamente ai metodi di calcolo del valore stimato degli appalti, al comma 1, le soglie di rilevanza comunitaria.

 

Le soglie di rilevanza comunitaria sono le seguenti: 

a)    euro 5.225.000, importo successivamente rideterminato in euro 5.548.000 a decorrere dal 1° gennaio 2018, quindi, con effetto dal 1° gennaio 2020, in 5.350.000 euro, per gli appalti pubblici di lavori e per le concessioni;

b)    euro 135.000, importo successivamente rideterminato in euro 144.000 a decorrere dal 1° gennaio 2018, quindi,  con effetto dal 1° gennaio 2020, in 139.000 euro, per gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati dalle amministrazioni aggiudicatrici che sono autorità governative centrali indicate nell'allegato III del codice dei contratti pubblici; se gli appalti pubblici di forniture sono aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici operanti nel settore della difesa, questa soglia si applica solo agli appalti concernenti i prodotti menzionati nell'allegato VIII del codice;

c)    euro 209.000 importo successivamente rideterminato in euro 221.000 a decorrere dal 1° gennaio 2018, quindi,  con effetto dal 1° gennaio 2020, in 214.000 euro, per gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici sub-centrali; tale soglia si applica anche agli appalti pubblici di forniture aggiudicati dalle autorità governative centrali che operano nel settore della difesa, allorché tali appalti concernono prodotti non menzionati nell'allegato VIII del codice;

d)    euro 750.000 per gli appalti di servizi sociali e di altri servizi specifici elencati all'allegato IX del codice.

 

Nei settori speciali, le soglie di rilevanza comunitaria sono:

a)    euro 5.225.000, importo successivamente rideterminato in euro 5.548.000 a decorrere dal 1° gennaio 2018, quindi, con effetto dal 1° gennaio 2020, in 5.350.000 euro, per gli appalti di lavori;

b)    euro 418.000, importo successivamente rideterminato in euro 443.000 a decorrere dal 1° gennaio 2018, quindi, con effetto dal 1° gennaio 2020, in 428.000 euro, per gli appalti di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione;

c)    euro 1.000.000 per i contratti di servizi, per i servizi sociali e altri servizi specifici elencati all'allegato IX del codice.

Si ricorda che, ai sensi del comma 3, le predette soglie sono periodicamente rideterminate con provvedimento della Commissione europea, direttamente applicabile alla data di entrata in vigore a seguito della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.

 

 

In relazione alle norme del Codice richiamate dalla norma in esame, si rammenta che l'art. 61 reca la procedura ristretta. Nelle procedure ristrette qualsiasi operatore economico può presentare una domanda di partecipazione in risposta a un avviso di indizione di gara. A seguito della valutazione da parte delle amministrazioni aggiudicatrici delle informazioni fornite, soltanto gli operatori economici invitati possono presentare un'offerta. Le amministrazioni aggiudicatrici possono limitare il numero di candidati idonei da invitare a partecipare alla procedura. Il termine minimo per la ricezione delle offerte è di trenta giorni dalla data di trasmissione dell'invito a presentare offerte. Nel caso di pubblicazione di avviso di preinformazione non utilizzato per l'indizione di una gara, il termine minimo per la presentazione delle offerte può essere ridotto a dieci giorni purché siano rispettate tutte le condizioni previste in norma. Le amministrazioni aggiudicatrici indicate possono comunque fissare il termine per la ricezione delle offerte di concerto con i candidati selezionati, purché questi ultimi dispongano di un termine identico per redigere e presentare le loro offerte ma, in assenza di un accordo, il termine non può essere inferiore a dieci giorni dalla data di invio dell'invito a presentare offerte. Il co. 6 dell'articolo dispone che quando, per motivi di urgenza debitamente motivati è impossibile rispettare i termini minimi previsti al presente articolo, l'amministrazione aggiudicatrice può fissare: a) per la ricezione delle domande di partecipazione, un termine non inferiore a quindici giorni dalla data di trasmissione del bando di gara; b) un termine di ricezione delle offerte non inferiore a dieci giorni a decorrere dalla data di invio dell'invito a presentare offerte.

L'art. 62 reca la procedura competitiva con negoziazione. Nelle procedure competitive con negoziazione qualsiasi operatore economico può presentare una domanda di partecipazione in risposta a un avviso di indizione di gara contenente le informazioni indicate in norma, fornendo le informazioni richieste dall'amministrazione aggiudicatrice per la selezione qualitativa. Nei documenti di gara le amministrazioni aggiudicatrici individuano l'oggetto dell'appalto fornendo una descrizione delle loro esigenze, illustrando le caratteristiche richieste per le forniture, i lavori o i servizi da appaltare, specificando i criteri per l'aggiudicazione dell'appalto e indicano altresì quali elementi della descrizione definiscono i requisiti minimi che tutti gli offerenti devono soddisfare e - precisa il comma 3 vigente - le informazioni fornite devono essere sufficientemente precise per permettere agli operatori economici di individuare la natura e l'ambito dell'appalto e decidere se partecipare alla procedura. Si stabiliscono le norme procedurali. Il termine minimo per la ricezione delle domande di partecipazione è di trenta giorni dalla trasmissione del bando di gara o, se è utilizzato come mezzo di indizione di una gara un avviso di preinformazione, dalla data d'invio dell'invito a confermare interesse. I termini sono ridotti nei casi previsti dal codice (di cui all'articolo 61, commi 4, 5 e 6). Il termine minimo per la ricezione delle offerte iniziali è di trenta giorni dalla trasmissione dell'invito. Solo gli operatori economici invitati dall'amministrazione aggiudicatrice, in seguito alla valutazione delle informazioni fornite, possono presentare un'offerta iniziale che costituisce la base per la successiva negoziazione e le amministrazioni aggiudicatrici possono limitare il numero di candidati idonei da invitare a partecipare alla procedura, ai sensi dell'articolo 91 del codice.

In tale procedura, le amministrazioni aggiudicatrici negoziano con gli operatori economici le loro offerte iniziali e tutte le successive da essi presentate, tranne le offerte finali di cui al successivo comma 12, per migliorarne il contenuto, mentre i requisiti minimi e i criteri di aggiudicazione non sono soggetti a negoziazione. Le amministrazioni aggiudicatrici possono aggiudicare appalti sulla base delle offerte iniziali senza negoziazione se previsto nel bando di gara o nell'invito a confermare interesse. Nel corso delle negoziazioni le amministrazioni aggiudicatrici garantiscono la parità di trattamento fra tutti gli offerenti, con garanzia della riservatezza. Le procedure competitive con negoziazione possono svolgersi in fasi successive per ridurre il numero di offerte da negoziare applicando i criteri di aggiudicazione specificati nel bando di gara, nell'invito a confermare interesse o in altro documento di gara: nel bando di gara, nell'invito a confermare interesse o in altro documento di gara, l'amministrazione aggiudicatrice indica se si avvale di tale facoltà. Infine, quando le amministrazioni aggiudicatrici intendono concludere le negoziazioni, esse informano gli altri offerenti e stabiliscono un termine entro il quale possono essere presentate offerte nuove o modificate, verificando la  conformità ai requisiti minimi prescritti e valutando le offerte finali in base ai criteri di aggiudicazione; aggiudicano l'appalto ai sensi degli articoli 95, 96 e 97 del codice.

L'articolo 123 reca la "Scelta delle procedure", prevedendo che nell'aggiudicazione di appalti di forniture, di lavori o di servizi, gli enti aggiudicatori utilizzano procedure di affidamento aperte, ristrette o negoziate precedute da indizione di gara in conformità alle disposizioni di cui alla presente sezione. Gli enti aggiudicatori possono altresì ricorrere a dialoghi competitivi e partenariati per l'innovazione in conformità alle disposizioni relative ai settori speciali. Fatto salvo quanto disposto dall'articolo 122, le procedure di affidamento di cui al presente capo, sono precedute dalla pubblicazione di un avviso di indizione di gara con le modalità e nel rispetto dei termini stabiliti dal  codice. Si dettano le modalità della gara. L'articolo 124 reca la procedura negoziata con previa indizione di gara nell'ambito del Titolo VI, relativo ai Regimi particolari di appalto, nel Capo I relativo agli appalti nei settori speciali.

 

Il comma 3 detta norme per il ricorso alla procedura negoziata per l’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l’attività di progettazione, per opere di importo pari o superiore alle soglie comunitarie. Si tratta della procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara rispettivamente previste per i settori ordinari e per i settori speciali.

Si stabilisce che essa può essere utilizzata nella misura strettamente necessaria quando - per ragioni di estrema urgenza derivanti dagli effetti negativi della crisi causata dalla pandemia COVID-19 o dal periodo di sospensione delle attività determinato dalle misure di contenimento adottate - i termini, anche abbreviati, previsti dalle procedure ordinarie non possono essere rispettati.

La disposizione reca quindi il riferimento, quale presupposto dell'adozione di tale modulo procedimentale nella fattispecie in esame, al criterio della 'misura strettamente necessaria', a sua volta collegato alla impossibilità di rispettare i termini, anche abbreviati, previsti dalle procedure ordinarie. Tuttavia non appare menzionato nel comma se di tale criterio debba essere data specifica evidenza da parte del soggetto pubblico, nell'ambito della scelta della procedura in parola.

Si valuti di chiarire la formulazione della disposizione con particolare riferimento al criterio della misura strettamente necessaria ivi previsto, al fine di meglio definire i profili applicativi della norma.

Si ricorda che l'articolo 63 del codice disciplina i casi di uso della procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, in cui le amministrazioni aggiudicatrici possono aggiudicare appalti pubblici mediante una procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, dando conto con adeguata motivazione, nel primo atto della procedura, della sussistenza dei relativi presupposti (per una più ampia sintesi, si veda la scheda relativa all'art. 1). L'art. 125 del Codice norma invece l'uso della procedura negoziata senza previa indizione di gara nei settori speciali.

 

Il comma 4 stabilisce poi disposizioni di deroga alla normativa vigente (fatti salvi i profili specificati) in relazione sia ai casi previsti dal comma 3 sia ad una ampia serie di settori espressamente elencati, quali:

ü  edilizia scolastica e universitaria

ü  edilizia sanitaria e carceraria

ü  infrastrutture per la sicurezza pubblica

ü  trasporti e infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali, lacuali e idriche, ivi compresi gli interventi inseriti nei contratti di programma ANAS-Mit 2016-2020 e RFI-Mit 2017 – 2021 e relativi aggiornamenti

ü  nonché gli interventi funzionali alla realizzazione della transizione energetica

ü   e per i contratti relativi o collegati ad essi, 'per quanto non espressamente disciplinato dall'articolo in esame'.

 

Con riferimento al settore dell'edilizia scolastica, va peraltro rammentato che l'art. 7-ter del D.L. n. 22 del 2020 (Misure urgenti sulla regolare conclusione e l'ordinato avvio dell'anno scolastico e sullo svolgimento degli esami di Stato, nonché in materia di procedure concorsuali e di abilitazione e per la continuità della gestione accademica) ha recato misure urgenti per interventi di riqualificazione dell'edilizia scolastica, prevedendo che - per garantire la rapida esecuzione di interventi di edilizia scolastica, anche in relazione all'emergenza da COVID-19 - fino al 31 dicembre 2020 i sindaci e i presidenti delle province e delle città metropolitane operano, nel rispetto dei princìpi derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea, con i poteri dei commissari di cui all'articolo 4, commi 2 e 3, del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, ivi inclusa la deroga a una serie di disposizioni del Codice dei contratti pubblici. Si tratta deli articoli 32, commi 8, 9, 11 e 12, 33, comma 1, 37, 77, 78 e 95, comma 3, e dell'articolo 60 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, con riferimento al termine minimo per la ricezione delle offerte per tutte le procedure sino alle soglie europee, che è stabilito in dieci giorni dalla data di trasmissione del bando di gara. Inoltre, i sindaci e i presidenti delle province e delle città metropolitane: vigilano sulla realizzazione dell'opera e sul rispetto della tempistica programmata; possono promuovere gli accordi di programma e le conferenze di servizi, o parteciparvi, anche attraverso un proprio delegato; possono invitare alle conferenze di servizi tra le amministrazioni interessate anche soggetti privati, qualora ne ravvisino la necessità; promuovono l'attivazione degli strumenti necessari per il reperimento delle risorse. Per approfondimenti, si veda il seguente dossier.

 

Sono quindi ivi compresi gli interventi inseriti nei contratti di programma ANAS-Mit 2016-2020 e RFI-Mit 2017 – 2021 e relativi aggiornamenti.

Si ricorda che è stato di recente all'esame del Parlamento lo schema di aggiornamento 2018-2019 al Contratto di programma - parte investimenti 2017-2021 tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Rete ferroviaria italiana (Atto del Governo n. 160); per approfondimenti, si veda il relativo dossier.

 

In base a quanto previsto, in tali settori - per quanto non espressamente disciplinato dall'articolo 2 qui in esame - le stazioni appaltanti operano in deroga ad ogni disposizione di legge per l’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l’attività di progettazione, e per l’esecuzione dei relativi contratti.

 

Viene comunque fatto salvo il rispetto delle seguenti leggi e normative:

- legge penale

-disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159

-vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'Unione europea e dei principi di cui agli articoli 30, 34 e 42 del Codice;

Si tratta dei principi per l'aggiudicazione e l'esecuzione di appalti e concessioni (Art. 30), dei criteri di sostenibilità energetica e ambientale (art. 34), di conflitto di interesse (art. 42).

- disposizioni in materia di subappalto.

 

Si segnala che il comma 4 sembra delineare un ambito applicativo, con riferimento alla generale deroga ivi prevista, che riguarda quindi:

-         le fattispecie di cui al precedente comma 3, relativo ai medi grandi contratti pubblici (pari o superiori alle soglie, a cui le procedure senza bando ivi previste si applicano - per espressa previsione - ove strettamente necessarie e per 'ragioni di estrema urgenza');

-         inoltre, i settori elencati nel comma 4: questi sembrerebbero quindi esentati dalla valutazione di stretta necessità e dalle ragioni di estrema urgenza, invece previsti al co. 3.

Tuttavia, va osservato come lo stesso co. 4 rechi la formula "per quanto non espressamente disciplinato dal presente articolo", espressione che appare riferibile a tutti i commi e a tutte le previsioni dell'articolo in esame.

Alla luce della formulazione del comma 4, si valuti di chiarire la disciplina applicabile ai settori ivi indicati, al fine di chiarire il coordinamento sostanziale tra le previsioni del co. 3 e la deroga di natura più generale recata dal comma 4 della disposizione.

 

 

In base al comma 5, per ogni procedura di appalto è nominato un responsabile unico del procedimento che, con propria determinazione adeguatamente motivata, valida ed approva ciascuna fase progettuale o di esecuzione del contratto, anche in corso d’opera.

 

Si ricorda che l'art. 31 del Codice disciplina ruolo e funzioni del RUP negli appalti e nelle concessioni.

A tale riguardo, il D.L. 32 del 2019, c.d. Sblocca cantieri, ha recato modifiche a tale disposizione, attribuendo al regolamento unico di attuazione del Codice - in luogo delle linee guida emanate dall’ANAC - il compito di definire la disciplina di maggiore dettaglio sui compiti specifici del Responsabile unico del procedimento (RUP), sui presupposti e sulle modalità di nomina, e sugli ulteriori requisiti di professionalità, rispetto a quanto disposto dal Codice in relazione alla complessità dei lavori; e l'importo massimo e la tipologia dei lavori, servizi e forniture per i quali il RUP può coincidere con il progettista, con il direttore dei lavori o con il direttore dell'esecuzione. Si è previsto che fino alla data di entrata in vigore del citato Regolamento, si applicasse, in merito alle funzioni del RUP, la disposizione transitoria prevista dal comma 27-octies dell’art. 216 del Codice, introdotto dal medesimo D.L. 32 e dunque dalle linee guida n. 3 dell’Anac.

Si segnala che con Atto 26/03/2019, n. 5 dell'ANAC, Atto di segnalazione concernente possibili criticità relative alla funzione di RUP quale progettista, verificatore, validatore del progetto e direttore dei lavori o dell'esecuzione (approvato dal Consiglio dell'Autorità con delibera n. 212 del 26 marzo 2019), l'Autorità ha formulato alcune proposte di modifica normativa, con particolare riferimento ai possibili incarichi di progettazione, verifica della progettazione e validazione che possono essere assegnati al responsabile unico del procedimento (RUP), in un'ottica di semplificazione delle procedure di affidamento, per quanto concerne i cosiddetti servizi tecnici.

 

Il comma 6 prevede la pubblicazione degli atti delle stazioni appaltanti adottati ai sensi del presente articolo, e del relativo aggiornamento degli atti, sui rispettivi siti istituzionali, nella sezione «Amministrazione trasparente» con applicazione della disciplina di cui al decreto legislativo n. 33 del 2013. Nella medesima sezione, sono altresì pubblicati gli ulteriori atti indicati all'articolo 29, comma 1, del codice in materia di trasparenza.

Il D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 ha dettato il "Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni".

L'art. 29 del Codice, in materia di principi di trasparenza, in vigore dal 19 aprile 2019 (con le modifiche apportate dal D.L. 32 del 2019) prevede che tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori relativi alla programmazione di lavori, opere, servizi e forniture, nonché alle procedure per l'affidamento di appalti pubblici di servizi, forniture, lavori e opere, di concorsi pubblici di progettazione, di concorsi di idee e di concessioni, compresi quelli tra enti nell'ambito del settore pubblico di cui all'articolo 5, alla composizione della commissione giudicatrice e ai curricula dei suoi componenti - ove non considerati riservati ai sensi dell'articolo 53 ovvero secretati ai sensi dell'articolo 162 del Codice - devono essere pubblicati e aggiornati sul profilo del committente, nella sezione "Amministrazione trasparente", con l'applicazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. Nella stessa sezione sono pubblicati anche i resoconti della gestione finanziaria dei contratti al termine della loro esecuzione. Gli atti recano, prima dell'intestazione o in calce, la data di pubblicazione sul profilo del committente; i termini cui sono collegati gli effetti giuridici della pubblicazione decorrono dalla data di pubblicazione sul profilo del committente.

 

La norma specifica che il ricorso ai contratti secretati di cui all’articolo 162 del codice è limitato ai casi di 'stretta necessità' e richiede una specifica motivazione.

In materia di contratti secretati, l'articolo 162 del codice stabilisce che le disposizioni del presente codice relative alle procedure di affidamento possono essere derogate:

a) per i contratti al cui oggetto, atti o modalità di esecuzione è attribuita una classifica di segretezza;

b) per i contratti la cui esecuzione deve essere accompagnata da speciali misure di sicurezza, in conformità a disposizioni legislative, regolamentari o amministrative.

Il comma 2 della norma del codice prevede che, ai fini della deroga di cui al comma 1, lettera a) della stessa, le amministrazioni e gli enti usuari attribuiscono, con provvedimento motivato, le classifiche di segretezza ai sensi dell'articolo 42 della legge 3 agosto 2007, n. 124, ovvero di altre norme vigenti, mentre ai fini della deroga di cui al comma 1, lettera b), le amministrazioni e gli enti usuari dichiarano, con provvedimento motivato, i lavori, i servizi e le forniture eseguibili con speciali misure di sicurezza individuate nel predetto provvedimento.

I contratti secretati sono eseguiti da operatori economici in possesso dei requisiti previsti dal codice e del nulla osta di sicurezza, ai sensi e nei limiti di cui all'articolo 42, comma 1-bis, della legge n. 124 del 2007. L'affidamento avviene previo esperimento di gara informale a cui sono invitati almeno cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all'oggetto del contratto e sempre che la negoziazione con più di un operatore economico sia compatibile con le esigenze di segretezza e sicurezza (co. 3 e 4).

Si ricorda che la Corte dei conti, tramite un proprio ufficio (per la cui costituzione si veda la Deliberazione 8 giugno 2016, n. 1/DEL/2016) organizzato in modo da salvaguardare le esigenze di riservatezza, esercita il controllo preventivo sulla legittimità e sulla regolarità dei contratti in parola, nonché sulla regolarità, correttezza ed efficacia della gestione, dandone conto, in base al co. 5 della disposizione del codice, entro il 30 giugno di ciascun anno con una relazione al Parlamento.

Si ricorda che il recente art. 5, comma 1-bis, D.L. 30 aprile 2020, n. 28 (Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l'introduzione del sistema di allerta Covid-19), convertito, con modificazioni, dalla L. 25 giugno 2020, n. 70, ha previsto che in relazione all'accresciuta esigenza di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti pubblici di carattere strategico, l'ufficio di cui all'articolo 162, comma 5, del codice dei contratti pubblici assume la denominazione di Sezione centrale per il controllo dei contratti secretati e svolge, oltre alle funzioni ivi previste, anche il controllo preventivo di cui all'articolo 42, comma 3-bis, del regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 novembre 2015, n. 5 (Disposizioni per la tutela amministrativa del segreto di Stato e delle informazioni classificate e a diffusione esclusiva); in base a tale disposizione, ai fini degli adempimenti connessi al rilascio delle abilitazioni di sicurezza, le stazioni appaltanti, quando indicono una gara o una procedura di affidamento che comporti l'accesso ad informazioni con classifica 'riservatissimo' o superiore, per il tramite dei rispettivi organi centrali di sicurezza ne danno tempestiva notizia all'UCSe, allegando il provvedimento motivato di segretazione, registrato dalla Corte dei conti, comunicando altresì, al termine della fase di aggiudicazione, i nominativi degli operatori economici risultati aggiudicatari. La Sezione centrale in questione si avvale di una struttura di supporto di livello non dirigenziale, nell'ambito della vigente dotazione organica del personale amministrativo e della magistratura contabile. In base alla normativa, il Consiglio di presidenza della Corte dei conti, su proposta del Presidente, definisce criteri e modalità per salvaguardare le esigenze di massima riservatezza nella scelta dei magistrati da assegnare alla Sezione centrale e nell'operatività della stessa. Analoghi criteri e modalità sono osservati dal segretario generale nella scelta del personale di supporto da assegnare alla Sezione medesima. Con riferimento a quanto previsto dall'articolo 162, comma 5, secondo periodo, del codice di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, si è previsto che la relazione è trasmessa al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.

 

 

 


Articolo 3
(Verifiche antimafia e protocolli di legalità)

 

 

L’articolo 3 mira a semplificare il sistema delle verifiche antimafia, introducendo norme transitorie, applicabili fino al 31 luglio 2021, che consentono alle pubbliche amministrazioni: a) di corrispondere ai privati agevolazioni o benefici economici, anche in assenza della documentazione antimafia, con il vincolo della restituzione laddove in esito alle verifiche antimafia dovesse essere pronunciata una interdittiva (comma 1); b) di stipulare contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture sulla base di una informativa antimafia liberatoria provvisoria, valida per 30 giorni, con il vincolo del recesso se le verifiche successive dovessero comportare una interdittiva antimafia (commi 2 e 4). La disposizione consente inoltre di eseguire le verifiche antimafia attingendo a tutte le banche dati disponibili (comma 3) e demanda al Ministro dell’Interno l’individuazione, con decreto, di ulteriori misure di semplificazione per quanto riguarda la verifiche che competono alle prefetture (comma 5). Per tutto il resto, continuerà ad applicarsi la disciplina generale del Codice antimafia (comma 6), integrata dalla previsione di protocolli di legalità. Il comma 7 dell’articolo 3, intervenendo sul Codice antimafia, prevede infatti che il Ministero dell’interno possa stipulare protocolli con le associazioni di categoria e grandi imprese per estensione, anche ai rapporti tra privati, la disciplina sulla documentazione antimafia attualmente limitata ai rapporti tra i privati e un interlocutore pubblico.

 

 

Il Libro II del Codice antimafia (d.lgs. 159/2011) prevede un sistema di documentazione antimafia volto a impedire l’accesso a finanziamenti pubblici e la stipulazione di contratti con le pubbliche amministrazioni da parte di imprese e soggetti privati su cui grava il sospetto di infiltrazione da parte della criminalità organizzata.

Il sistema è incentrato intorno all'art. 67, il quale dispone che l'applicazione, con provvedimento definitivo, di una delle misure di prevenzione previste dal Libro I, titolo II, capo II del codice (ovvero sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, divieto di soggiorno in uno o più comuni diversi da quelli di residenza o di dimora abituale, obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale) comporta la decadenza di diritto da licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, attestazioni, abilitazioni ed erogazioni rilasciate da soggetti pubblici, nonché il divieto di concludere contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, e relativi subappalti e subcontratti.

La conoscenza di tali situazioni si esplica attraverso la documentazione antimafia di cui all'art. 84 del codice, la quale comprende:

- la comunicazione antimafia, che consiste nell'attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67;

- l'informazione antimafia, che, oltre ad attestare la sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67, è volta altresì ad attestare la sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi di società o imprese.

L'informazione viene richiesta prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell'articolo 67, il cui valore sia:
- pari o superiore a quello determinato dalla legge in attuazione delle direttive comunitarie in materia di opere e lavori pubblici, servizi pubblici e pubbliche forniture;
- superiore a 150.000 euro per le concessioni di acque pubbliche o di beni demaniali per lo svolgimento di attività imprenditoriali, ovvero per la concessione di contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre erogazioni dello stesso tipo per lo svolgimento di attività imprenditoriali;
- superiore a 150.000 euro per l'autorizzazione di subcontratti, cessioni, cottimi, concernenti la realizzazione di opere o lavori pubblici o la prestazione di servizi o forniture pubbliche.

 

Le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico, nonché i concessionari di lavori o di servizi pubblici hanno l'obbligo, a norma dell'art. 83 del codice, di acquisire tale documentazione attraverso la consultazione della banca dati nazionale o, in taluni casi, tramite richiesta alla prefettura territorialmente competente prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell'articolo 67.

In base all’art. 87 del Codice antimafia, il rilascio della documentazione antimafia è immediatamente conseguente alla consultazione della Banca dati nazionale unica quando non emerge a carico dei soggetti ivi censiti la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto ovvero anche il tentativo di infiltrazione mafiosa. In tali casi, la documentazione antimafia è rilasciata dalla Prefettura che può accertare la corrispondenza dei motivi ostativi emersi dalla consultazione della banca dati nazionale unica alla situazione aggiornata del soggetto sottoposto agli accertamenti. Qualora tali verifiche diano esito positivo, il prefetto rilascia la comunicazione antimafia interdittiva ovvero, nel caso in cui le verifiche medesime diano esito negativo, il prefetto rilascia la comunicazione antimafia liberatoria attestando che la stessa è emessa utilizzando il collegamento alla banca dati nazionale unica.

Nei casi di urgenza, ed esclusi i casi in cui è richiesta l'informazione antimafia, i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi o forniture ed i provvedimenti di rinnovo conseguenti a provvedimenti già disposti, sono stipulati, autorizzati o adottati previa acquisizione di apposita autodichiarazione con la quale l'interessato attesti che nei propri confronti non sussistono le cause di divieto, di decadenza o di sospensione di cui all'articolo 67 (art. 89 del codice).

Lo stesso Codice, all’articolo 92, commi 2-4, dispone che i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni sono corrisposti sotto condizione risolutiva e le PP.AA. e gli enti pubblici revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, nel caso di accertamento delle cause interdittive.

 

 

In particolare, il comma 1, al fine di sostenere e rilanciare il sistema economico, afferma sussistere – fino al 31 luglio 2021 – una situazione di urgenza che, ai sensi dell’art. 92, comma 3 del Codice antimafia (d.lgs. n. 159 del 2011), consente alle pubbliche amministrazioni di corrispondere alle imprese e ai privati benefici economici comunque denominati (erogazioni, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, prestiti, agevolazioni e pagamenti), anche in assenza della documentazione antimafia, qualora il rilascio della stessa non sia immediatamente conseguente alla consultazione della banca dati nazionale. I benefici sono erogati sotto condizione risolutiva: ciò comporta che laddove dovesse sopraggiungere una interdittiva antimafia, i benefici dovrebbero essere restituiti.

La disposizione fa salve le misure analoghe già introdotte dai provvedimenti d’urgenza emanati per far fronte all’emergenza Covid-19.

 

In particolare, vengono fatte salve le previsioni:

-          dell’art. 1-bis del decreto-legge n. 23 del 2020 che, nell’ambito dei finanziamenti erogati da SACE s.p.a. (società di Cassa Depositi e Presiti), consente agli interessati di autocertificare l’assenza delle cause ostative di cui all’art. 67 del Codice antimafia (comma 1) e prevede, per la prevenzione dei tentativi di infiltrazioni criminali, la sottoscrizione di un protocollo d’intesa tra Ministero dell’interno, MEF e SACE S.p.A. per disciplinare i controlli antimafia, anche attraverso procedure semplificate;

-          dell’art. 13 del decreto-legge n. 23 del 2020 che, nell’ambito del potenziamento dell’intervento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, prevede che, se il rilascio della documentazione antimafia non è immediatamente conseguente alla consultazione della banca dati nazionale unica, il finanziamento sia comunque concesso all’impresa sotto condizione risolutiva. Ciò comporta che se viene successivamente emessa una interdittiva antimafia, l’agevolazione sarà revocata pur mantenendo l’efficacia della garanzia, a tutela del soggetto erogatore del finanziamento;

-          dell’art. 25 del decreto-legge n. 34 del 2020 che, in relazione all’erogazione di un contributo a fondo perduto a favore dei soggetti esercenti attività d’impresa e di lavoro autonomo, consente agli interessati di autocertificare l’assenza delle cause ostative di cui all’art. 67 del Codice antimafia, e all’amministrazione di procedere all’erogazione in via d’urgenza, salve le ulteriori verifiche; per procedere a tali verifiche, anche attraverso procedure semplificate, si prevede in particolare che Ministero dell’Interno, MEF e Agenzia delle entrate debbano stipulare un apposito protocollo d’intesa. Se le verifiche danno esito negativo, l’Agenzia delle entrate dovrà procedere alle attività di recupero del contributo e la presentazione dell’autocertificazione non veritiera è punita con la reclusione da 2 a 6 anni;

-          dell’art. 26 del decreto-legge n. 34 del 2020, che consente l’accesso alle misure di sostegno al rafforzamento patrimoniale delle imprese di medie dimensioni (crediti d’imposta e Fondo Patrimonio PMI) a patto che il legale rappresentante dell’impresa attesti, sotto la propria responsabilità, di non trovarsi nelle condizioni ostative previste dall’art. 67 del Codice antimafia, salvo il successivo obbligo di verifica;

-          dell’art. 27 del decreto-legge n. 34 del 2020, che nell’ambito degli interventi del “Patrimonio Destinato”, costituito da Cassa depositi e prestiti, consente l’accesso alle prestazioni anche in assenza dell’informativa antimafia – quando la stessa non sia immediatamente conseguente alla consultazione della banca dati unica – previa autocertificazione del legale rappresentante che attesta di non trovarsi in una condizione ostativa ai sensi dell’art. 67 del Codice. Anche in questo caso, il successivo rilascio della informazione antimafia interdittiva comporterà la risoluzione del contratto di finanziamento.

 

Il comma 2, sempre fino al 31 luglio 2021, consente di stipulare, approvare o autorizzare contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture, sulla base di una informativa antimafia provvisoria.

L’informativa liberatoria dovrà essere rilasciata a seguito della mera consultazione delle banche dati,  anche laddove da tale consultazione dovesse emergere che il soggetto non è censito. Potrà evidentemente essere negata - con conseguente rilascio dell’interdittiva antimafia - solo se a seguito della consultazione della banca dati dovessero emergere i provvedimenti definitivi di applicazione di una misura di prevenzione (di cui all’art. 67 del Codice) o un tentativo di infiltrazione mafiosa desumibile dall’applicazione di misure cautelari o da una condanna per specifici delitti, dalla proposta di applicazione di una misura di prevenzione, o dall’omessa denuncia di un reato di concussione o estorsione da parte di un soggetto per il quale è pendente l’applicazione di una misura di prevenzione (di cui all’art. 84, comma 4, lett. a), b) e c), del Codice).

L’informativa provvisoria consente la stipula, l’approvazione o l’autorizzazione dei contratti e subcontratti che saranno però sottoposti a condizione risolutiva.

In base al comma 4, infatti, laddove dalle verifiche successive dovesse scaturire una informazione interdittiva antimafia, i contratti sarebbero risolti di diritto, salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite. Sul punto, la disposizione riprende il contenuto dell’art. 92, comma 3, del Codice e fa salve le disposizioni:

-         dell’art. 94, commi 3 e 4, del Codice, che esclude la revoca o il recesso nel caso in cui l'opera sia in corso di ultimazione ovvero, in caso di fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell'interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi;

-         dell’art. 32, comma 10, del decreto-legge n. 90 del 2014, che consente al prefetto, a fronte dell’emissione di una interdittiva antimafia, di ordinare la straordinaria e temporanea gestione dell’impresa (rinnovazione degli organi sociali mediante la sostituzione del soggetto coinvolto o diretta gestione prefettizia) limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto ovvero dell'accordo contrattuale o della concessione se sussiste l'urgente necessità di assicurare il completamento dell'esecuzione.

 

Il comma 2 afferma che le ulteriori verifiche ai fini del rilascio della documentazione antimafia dovranno essere completate entro 30 giorni. La disposizione, pur affermando il carattere provvisorio della liberatoria antimafia, non connette allo spirare del termine di 30 giorni specifiche conseguenze. A fronte di una eventuale inerzia dell’amministrazione chiamata a effettuare le verifiche, pertanto, i contratti stipulati sulla base dell’informativa provvisoria potranno conservare piena efficacia.

 

Il comma 3, per potenziare i controlli antimafia, consente oltre alla consultazione della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia (di cui all’art. 96 del Codice), anche la consultazione di tutte le ulteriori banche dati disponibili.

Andrebbe valutata l’opportunità di specificare a quali banche dati si riferisca la disposizione.

 

Il comma 5 demanda a un decreto del Ministro dell’Interno – da emanare entro 15 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge - l’individuazione di ulteriori misure di semplificazione per quanto riguarda la competenza delle Prefetture in materia di rilascio della documentazione antimafia.

 

Il comma 6 conferma che, per quanto non espressamente disposto dai commi precedenti, alla documentazione antimafia continuano ad applicarsi le disposizioni del Codice antimafia.

 

Infine, il comma 7 inserisce nel Codice antimafia un nuovo articolo 83-bis, rubricato “Protocolli di legalità”, con il fine dichiarato dalla relazione illustrativa di dare un fondamento normativo ai protocolli che già da tempo stipula il Ministero dell’interno con le associazioni di categoria e di consentire così la possibile estensione anche ai rapporti tra privati della disciplina sulla documentazione antimafia.

 

Si ricorda che prima dell’entrata in vigore del decreto-legislativo n. 218 del 2012, il comma 1 dell’art. 87 del Codice Antimafia prevedeva espressamente la possibilità che a chiedere la comunicazione antimafia fosse un soggetto privato. A seguito dell’abrogazione di tale previsione, l’informativa antimafia non può essere richiesta dai privati, in relazione a rapporti con altri privati, ma unicamente dalla pubblica amministrazione e dai soggetti pubblici.

I protocolli già siglati dal Ministero dell’Interno, volti a estendere l’applicazione della disciplina delle verifiche antimafia anche ai rapporti tra privati sono stati conseguentemente dichiarati illegittimi.

In particolare, il Consiglio di Stato, con la recente sentenza n. 452 del 20 gennaio 2020, ha accolto il ricorso di un'impresa oggetto di una richiesta di comunicazione antimafia avanzata alla Prefettura di Brescia da Confindustria Venezia nell'ambito di un “Protocollo di legalità" siglato tra il Ministero dell’interno e Confindustria. I giudici di Palazzo Spada hanno precisato che secondo il comma 1 dell'art. 83 del Codice, i soggetti che devono acquisire la documentazione antimafia prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, sono le Pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici; il legislatore ha infatti previsto che il potere del Perfetto intervenga quando il privato entra in rapporto con l'Amministrazione. Nel caso di rapporti tra privati, invece, «la normativa antimafia nulla prevede». «Tale vuoto normativo – spiega il Collegio - non può certo essere colmato dal Protocollo della legalità e dal suo Atto aggiuntivo, entrambi stipulati tra il Ministero dell'interno e Confindustria»; «Si tratta, infatti di un atto stipulato tra due soggetti, che finirebbe per estendere ad un soggetto terzo, estraneo a tale rapporto, effetti inibitori, che la legge ha espressamente voluto applicare ai soli casi in cui il privato in odore di mafia contragga con una parte pubblica». Gli stessi giudici amministrativi peraltro auspicano un ritorno alla normativa precedente al 2012: «occorre interrogarsi se le istituzioni non possano valutare il ritorno alla originaria formulazione del Codice Antimafia, nel senso che l'informazione antimafia possa essere richiesta anche da un soggetto privato ed anche per rapporti esclusivamente tra privati». Soltanto un tale intervento infatti potrebbe, in vicende come quella oggi in esame, permettere l'applicabilità generalizzata della documentazione antimafia.

 

In merito la Relazione illustrativa afferma che: “La norma risponde anche ad esigenze sistematiche sorte a seguito delle statuizioni contenute nella sentenza del Consiglio di Stato n. 452/2020 senza, tuttavia, accogliere l’ipotesi di reintrodurre la documentazione antimafia in tutti i rapporti tra privati, ma individuando nei protocolli di legalità lo strumento per interventi più snelli e mirati in tale ambito: in tal senso, i protocolli, nel rispondere ad un’esigenza da più parti sentita, operano una significativa semplificazione rispetto all’articolo 87, comma 1, del Codice antimafia nella formulazione previgente al decreto legislativo 15 novembre 2012, n. 218, pur intervenendo nell’ambito della medesima tipologia di rapporti”.

 

In particolare, il comma 1 del nuovo art. 83-bis consente al Ministero dell’interno di sottoscrivere protocolli o intese, anche con imprese di rilevanza strategica o con associazioni di categoria, per estendere il ricorso alla documentazione antimafia disciplinata dal Codice antimafia anche nei rapporti tra privati, o nei rapporti tra associazioni di categoria e privati, ad esempio in relazione a contratti che superino determinate soglie di valore.

In base al comma 3, le stazioni appaltanti devono prevedere negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto dei protocolli di legalità costituisce causa di esclusione dalla gara o di risoluzione del contratto.

 

Inoltre, il comma 2 del nuovo art. 83-bis equipara al rilascio dell’informazione antimafia liberatoria l’iscrizione dell’interessato:

 

-         nelle c.d. white list istituite presso ogni prefettura ai sensi della Legge Severino (art. 1, commi 52-57, legge n. 190 del 2012);

 

In base alla legge del 2012 presso ogni prefettura deve essere istituito un elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa, con lo scopo di rendere più efficaci i controlli antimafia nei confronti di operatori economici operanti in settori maggiormente esposti a rischi di infiltrazione mafiosa (dalle attività di trasporto di materiali a discarica per conto di terzi al trasporto, anche transfrontaliero, e smaltimento di rifiuti per conto di terzi; dall’estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti ai noli a freddo di macchinari, all’autotrasporto per conto di terzi alla guardiania dei cantieri). Le modalità di istituzione e aggiornamento degli elenchi sono state disciplinate dal D.P.C.M. 18 aprile 2013. In questi settori “a rischio” l'iscrizione nella white list costituisce la modalità obbligatoria attraverso la quale è possibile acquisire la documentazione antimafia nei confronti delle imprese, modalità che "tiene luogo della comunicazione e dell'informazione antimafia liberatoria anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti e subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per le quali essa è stata disposta " (c.d. effetto-equipollenza).

 

-         nell’anagrafe antimafia degli esecutori prevista per gli interventi di ricostruzione nei territori colpiti dal sisma del centro Italia (art. 30, d.l. n. 189 del 2016).

 

Il provvedimento citato ha previsto l’istituzione di un apposito elenco tenuto da una Struttura di Missione del Ministero dell’Interno, a cui debbono obbligatoriamente iscriversi online tutti gli operatori economici interessati a partecipare, a qualunque titolo e per qualsiasi attività, agli interventi di ricostruzione, pubblica e privata, nei 140 Comuni del cratere del Sisma (Abruzzo, Lazio, Marche, Umbria).

La Struttura, in deroga al Codice Antimafia, è competente a eseguire le verifiche finalizzate al rilascio, da parte della stessa Struttura, dell'informazione antimafia per i contratti, di qualunque valore o importo.

All’anagrafe possono essere iscritti di diritto tutti gli imprenditori già iscritti nelle white list della legge Severino. L’iscrizione dell’anagrafe, che ha una validità di 12 mesi, tiene luogo delle verifiche antimafia anche per gli eventuali ulteriori contratti, subappalti e subcontratti conclusi o approvati durante il periodo di validità dell'iscrizione medesima.

 


Articolo 4, comma 1
(Conclusione dei contratti pubblici)

 

 

L'articolo 4, al comma 1, novella l’articolo 32 del codice dei contratti pubblici, in materia di procedure per la conclusione del contratto di affidamento, prevedendo tra l'altro che la stipulazione del contratto 'deve avere luogo'  entro sessanta giorni successivi al momento in cui è divenuta efficace l'aggiudicazione e che la mancata stipulazione del contratto nel termine previsto deve essere motivata con specifico riferimento all’interesse della stazione appaltante e all'interesse nazionale alla sollecita esecuzione del contratto.

 

In particolare si recano due novelle al comma 8 di tale norma:

 

Ø  al primo periodo, si specifica che la stipulazione del contratto di appalto o di concessione deve avere luogo - anziché 'ha luogo', come previsto dal testo sino ad ora vigente - entro sessanta giorni successivi al momento in cui è divenuta efficace l'aggiudicazione, (salvo diverso termine previsto nel bando o nell'invito ad offrire, ovvero l'ipotesi di differimento); inoltre, con riferimento alla suddetta ipotesi di differimento espressamente concordata con l'aggiudicatario, se ne specifica la valenza purché essa sia comunque 'giustificata dall’interesse alla sollecita esecuzione del contratto', così restringendo i casi in cui possa sussistere un'ipotesi di differimento concordata tra le parti (lett. a);

Ø  si aggiungono al comma 8 della norma novellata, dopo il primo periodo, una serie di disposizioni (lett. b).

Nel dettaglio, si dispone che la mancata stipulazione del contratto nel termine previsto deve essere motivata con specifico riferimento all’interesse della stazione appaltante e all'interesse nazionale alla sollecita esecuzione del contratto e viene valutata ai fini della responsabilità erariale e disciplinare del dirigente preposto.

Si ricorda che norme in tema di responsabilità erariale sono recate dall'articolo 21 del decreto in esame, cui si rinvia.

 

Inoltre, la pendenza di un ricorso giurisdizionale nel cui ambito non sia stata disposta o inibita la stipulazione del contratto, non costituisce giustificazione adeguata per la mancata stipulazione del contratto nel termine previsto. Viene tuttavia fatto salvo quanto previsto dai commi 9 e 11 dell'articolo 32 del codice, in materia rispettivamente di termine minimo da rispettare dall'invio dell'ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione nonché in materia di domanda cautelare.

 

La relazione illustrativa al decreto evidenzia che si tratta di una norma diretta ad evitare che, anche in accordo con l’aggiudicatario, venga ritardata o rinviata la stipulazione del contratto per pendenza di ricorsi giurisdizionali o per altri motivi, precisando che l'espresso richiamo ai commi 9 e 11 dell'articolo 32 consente di ritenere "adeguatamente salvaguardati lo stand still sostanziale analogamente a quello processuale, con la conseguenza che se la mera pendenza del ricorso giurisdizionale non costituisce un fatto idoneo a giustificare la sospensione della procedura di appalto o la mancata stipulazione del contratto, nel caso in cui sia adottato un provvedimento giurisdizionale di sospensione della procedura la stazione appaltante non può stipulare il contratto e il ritardo nella stipulazione deve ritenersi senz’altro giustificato".

 

Si ricorda che in base al co. 9 della norma richiamato, il contratto non può comunque essere stipulato prima di trentacinque giorni dall'invio dell'ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione.

In base al co. 11 richiamato in disposizione, se è proposto ricorso avverso l'aggiudicazione con contestuale domanda cautelare, il contratto non può essere stipulato, dal momento della notificazione dell'istanza cautelare alla stazione appaltante e per i successivi venti giorni, a condizione che entro tale termine intervenga almeno il provvedimento cautelare di primo grado o la pubblicazione del dispositivo della sentenza di primo grado in caso di decisione del merito all'udienza cautelare ovvero fino alla pronuncia di detti provvedimenti se successiva. L'effetto sospensivo sulla stipula del contratto cessa quando, in sede di esame della domanda cautelare, il giudice si dichiara incompetente o fissa con ordinanza la data di discussione del merito senza concedere misure cautelari o rinvia al giudizio di merito l'esame della domanda cautelare, con il consenso delle parti, da intendersi quale implicita rinuncia all'immediato esame della domanda cautelare.

Va ricordato che disposizioni di deroga a quanto disposto dalle disposizioni qui richiamate sono state recate con l'art. 7-ter, comma 1, lett. a), del D.L. 8 aprile 2020, n. 22, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 giugno 2020, n. 41, in materia di interventi di riqualificazione dell'edilizia scolastica.

Si rammenta peraltro che base al co. 10 della norma novellata, il termine dilatorio previsto dal co. comma 9 non si applica in tali casi: a) se, a seguito di pubblicazione di bando o avviso con cui si indice una gara o dell'inoltro degli inviti nel rispetto del presente codice, è stata presentata o è stata ammessa una sola offerta e non sono state tempestivamente proposte impugnazioni del bando o della lettera di invito o queste impugnazioni risultano già respinte con decisione definitiva; b) nel caso di un appalto basato su un accordo quadro, di appalti specifici basati su un sistema dinamico di acquisizione, nel caso di acquisto effettuato attraverso il mercato elettronico nei limiti indicati e nel caso di affidamenti ai sensi dell'articolo 36, comma 2, lettere a) e b) del codice.

 

Infine, si prevede che le stazioni appaltanti hanno facoltà di stipulare contratti di assicurazione della propria responsabilità civile derivante dalla conclusione del contratto e dalla prosecuzione o sospensione della sua esecuzione.

 

In relazione alla materia trattata dalla disposizione, va ricordato che, in base al co. 8 sino ad ora vigente, una volta divenuta efficace l'aggiudicazione, e fatto salvo l'esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti, la stipulazione del contratto di appalto o di concessione ha luogo entro i successivi sessanta giorni, salvo diverso termine previsto nel bando o nell'invito ad offrire, ovvero l'ipotesi di differimento espressamente concordata con l'aggiudicatario.

In base alla norma sino ad ora vigente, se la stipulazione del contratto non avviene nel termine fissato, l'aggiudicatario può, mediante atto notificato alla stazione appaltante, sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto. All'aggiudicatario non spetta alcun indennizzo, salvo il rimborso delle spese contrattuali documentate. Nel caso di lavori, se è intervenuta la consegna dei lavori in via di urgenza e nel caso di servizi e forniture, se si è dato avvio all'esecuzione del contratto in via d'urgenza, l'aggiudicatario ha diritto al rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione dei lavori ordinati dal direttore lavori, ivi comprese quelle per opere provvisionali. Nel caso di servizi e forniture, se si è dato avvio all'esecuzione del contratto in via d'urgenza, l'aggiudicatario ha diritto al rimborso delle spese sostenute per le prestazioni espletate su ordine del direttore dell'esecuzione. L'esecuzione d'urgenza di cui al presente comma è ammessa esclusivamente nelle ipotesi di eventi oggettivamente imprevedibili, per ovviare a situazioni di pericolo per persone, animali o cose, ovvero per l'igiene e la salute pubblica, ovvero per il patrimonio, storico, artistico, culturale ovvero nei casi in cui la mancata esecuzione immediata della prestazione dedotta nella gara determinerebbe un grave danno all'interesse pubblico che è destinata a soddisfare, ivi compresa la perdita di finanziamenti comunitari.

 

 

 

 


Articolo 4, commi 2-4
(Ricorsi giurisdizionali)

 

 

I commi 2-4 dell'articolo 4 - oltre a prevedere specifiche disposizioni processuali con riguardo al contenzioso relativo alle procedure di affidamento di cui agli articoli 1 e 2 del decreto-legge - recano alcune modifiche alla disciplina processuale del c.d. rito appalti incidendo sui tempi di decisione.

 

 

Più nel dettaglio il comma 2 dell'articolo 4 dispone l'applicazione del comma 2 dell’articolo 125 del Codice del processo amministrativo (decreto legislativo n. 104 del 2010 di seguito c.p.a.) in caso di impugnazione degli atti relativi alle procedure di affidamento di cui agli articoli 1 e 2, comma 2, del decreto qui in conversione (si rinvia alle relative schede di lettura), qualora rientranti nell’ambito applicativo dell’articolo 119, comma 1, lettera a), c.p.a.

 

La lett. a) del comma 1 dell'art. 119 c.p.a. richiama i giudizi aventi ad oggetto le controversie relative ai provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture nonché i provvedimenti di ammissione ed esclusione dalle competizioni professionistiche delle società o associazioni sportive professionistiche, o comunque incidenti sulla partecipazione a competizioni professionistiche. Come chiarito dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. plen., 3 giugno 2011 n. 10), l'ambito di applicazione della disciplina processuale dettata dagli artt. 120-125 c.p.a., trattandosi di disciplina “specialissima”, deve essere inteso in senso restrittivo. Non possono dunque essere attratte in tale ambito le controversie che, pur essendo affidate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e ricollegandosi all'affidamento di contratti pubblici, non investono l'affidamento (anche a titolo di concessione: Cons. St., Sez. III, 29 maggio 2015 n. 2704) di lavori, servizi e forniture (si pensi, in particolare, alle concessioni di beni: Cons. St.,Sez. VI, 28 maggio 2015, n. 2679Cons. St., Sez. VI, 21 maggio 2014, n. 2620; sulla distinzione tra concessioni per lo sfruttamento economico di beni demaniali e concessione di servizi si v. Corte giust. UE, Sez., V, 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15). L'applicabilità del rito speciale alle concessioni disciplinate dal Codice dei contratti è invece ormai espressamente riconosciuta dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (v. sentenza 27 luglio 2016, n. 22).

 

Il comma 2 dell'articolo 125 c.p.a. (vedi amplius infra) stabilisce un particolare onere motivazionale della decisione cautelare inteso a verificare l'impatto della pronuncia sull'interesse pubblico legato all'esecuzione dell'appalto. E' opportuno ricordare peraltro che il comma 8-ter dell'art. 120 c.p.a. ha previsto - si attraverso il rinvio ai criteri degli articoli 121 e 122, sia mediante la menzione delle "esigenze imperative connesse a un interesse generale all'esecuzione del contratto" - la necessità di considerare adeguatamente l'interesse pubblico implicato. 

 

 

Il comma 3 interviene in materia di contenzioso relativo alle opere inserite nel programma di rilancio delineato dal Governo. In particolare si prevede che in caso di impugnazione degli atti relativi alle procedure di affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture, nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l'attività di progettazione, di opere di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza comunitaria (ex art. 35 del codice dei contratti pubblici) la cui realizzazione è necessaria per il superamento della fase emergenziale o per far fronte agli effetti negativi derivanti dalle misure di contenimento (art. 2, comma 3 del d.l. in esame) il comma 3 dell'articolo in esame dispone l'applicazione dell'intero articolo 125 c.p.a. (estendendo quindi non solo la previsione relativa all'onere motivazionale della pronuncia cautelare, ma anche quella riguardante i limiti alla caducazione del contratto in seguito alla accertata illegittimità della aggiudicazione).

 

L'art. 125 c.p.a., già ricordato, detta disposizioni processuali specifiche per le controversie relative ad infrastrutture strategiche ed insediamenti produttivi disciplinati dagli artt. 161-181 del D.Lgs. n. 163/2006.  Per questi ricorsi non si applica l'art. 122 c.p.a. e cioè la possibilità per il giudice amministrativo, fuori dalle ipotesi espressamente previste dagli artt. 121, comma 1, e 123, comma 3, c.p.a., di dichiarare comunque inefficace il contratto, fissandone la decorrenza: è escluso, cioè, il potere decisorio residuale di dichiarare l'inefficacia del contratto, per cui il giudice può esercitare tale potere solo in presenza delle cc.dd. "gravi violazioni". Fuori dai casi delle "gravi violazioni", la sospensione o l'annullamento dell'affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipulato ed "il risarcimento del danno eventualmente dovuto avviene solo per equivalente". Con riguardo ai limiti alla tutela demolitoria è opportuno ricordare che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 160 del 2019, pur avendo sottolineato come la Costituzione non imponga l'indefettibilità di tale forma di tutela, ha rilevato tuttavia come l'esclusione della pienezza della tutela debba essere pur sempre collegata alla protezione di interessi qualificati. L'art. 125 c.p.a. stabilisce inoltre, come anticipato (vedi supra con riguardo al comma 2 dell'art. in commento) il parametro che il giudice deve seguire nell'esercizio del potere cautelare: deve tener conto delle "probabili conseguenze del provvedimento stesso per tutti gli interessi che possono essere lesi, nonché del preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell'opera" e "si valuta anche la irreparabilità del pregiudizio per il ricorrente, il cui interesse va comunque comparato con quelli del soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione delle procedure". In altri termini la norma stabilisce un particolare onere motivazionale della decisione cautelare, inteso a verificare l'impatto della pronuncia sull'interesse pubblico legato all'esecuzione dell'appalto.

 

 

Il comma 4 modifica l’art. 120 c.p.a. che prevede disposizioni specifiche applicabili al rito degli appalti pubblici - modificandone i commi 6 (lett. a) e 9 (lett. c).

 

Il diritto processuale amministrativo contempla ora due diversi riti in materia di appalti: il rito ordinario e il rito abbreviato (questo rito, disciplinato dall'art. 120 c.p.a., si applica a determinate materie, tassativamente indicate dall’art. 119 c.p.a.,).

Si ricorda che l'art. 1, comma 22, lett. a), del decreto-legge n. 32/2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 155/2019 (cd. "Sblocca cantieri")", ha abrogato i commi 2-bis e 6-bis dell'art.120 c.p.a., che recavano disciplina del rito c.d. super accelerato (già introdotto nel 2016), applicabile con riguardo alle impugnazioni degli atti di ammissione ed esclusione dei concorrenti da una gara di appalto.

L'art. 1, comma 23, del medesimo decreto-legge n. 32 ha disposto l'applicazione del nuovo regime (successivo all'abrogazione di cui al precedente comma 22) ai processi iniziati dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 32 (vale a dire il 18 giugno 2019).

 

La lettera a) interviene sul comma 6 dell'art. 120 c.p.a.

 

Il comma 6 previgente l’entrata in vigore del decreto-legge in esame stabiliva che ferma restando la possibilità, in presenza dei presupposti, di definire il giudizio già in sede cautelare, il giudizio fosse definito comunque con sentenza semplificata ad una udienza fissata d’ufficio dal TAR e dal Consiglio di Stato entro 45 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente (la PA e i controinteressati). La segreteria del giudice avvisa immediatamente le parti della data dell’udienza a mezzo di posta elettronica certificata. In caso di esigenze istruttorie o quando è necessario integrare il contraddittorio o assicurare il rispetto di termini a difesa, la definizione del merito viene rinviata, con l'ordinanza che dispone gli adempimenti istruttori o l'integrazione del contraddittorio o dispone il rinvio per l'esigenza di rispetto dei termini a difesa, ad una udienza da tenersi non oltre trenta giorni.

 

Il decreto-legge in esame modifica il primo periodo del comma 6, prevedendo come "regola" la definizione del giudizio in esito all'udienza cautelare (ex art. 60 c.p.a) anche in deroga al primo periodo del comma 1 dell'articolo 74 (che prevede che nel caso in cui ravvisi la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, il giudice decide con sentenza in forma semplificata).

 

L'art. 60 c.p.a. stabilisce che in sede di decisione della domanda cautelare, purché siano trascorsi almeno venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso, il collegio, accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata, salvo che una delle parti dichiari che intende proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di competenza, ovvero regolamento di giurisdizione. Se la parte dichiara che intende proporre regolamento di competenza o di giurisdizione, il giudice assegna un termine non superiore a trenta giorni. Ove ne ricorrano i presupposti, il collegio dispone l'integrazione del contraddittorio o il rinvio per consentire la proposizione di motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di competenza o di giurisdizione e fissa contestualmente la data per il prosieguo della trattazione.

 

La lettera b) interviene sul comma 9 dell'art. 120 c.p.a.

 

Il comma 9, nella formulazione vigente prima dell'entrata in vigore del d.l. in conversione, prevedeva che il Tribunale amministrativo regionale depositasse entro trenta giorni dall'udienza di discussione la sentenza con la quale definisce il giudizio, riconoscendo alle parti la possibilità di chiedere l'anticipata pubblicazione del dispositivo (entro due giorni dall'udienza). Si tratta, comunque, di termini di natura meramente ordinatoria, alla cui inosservanza l'organo di autogoverno della giustizia amministrativa correla specifiche conseguenze soltanto in presenza di ulteriori condizioni (Delibera n. 15 del 5 febbraio 2016).

Lo specifico richiamo al Tar lasciava valido, per la sentenza di appello, il più stretto termine di 23 giorni, derivante dal principio generale della dimidiazione dei termini ordinari, in forza dell'art. 119, comma 2 c.p.a.

 

Il comma 9, come riscritto dal decreto-legge, accelerando ulteriormente la fase decisoria, stabilisce che il giudice (ricomprendendo quindi anche il giudizio d'appello) depositi la sentenza con la quale definisce il giudizio (sia di primo grado che d'appello), entro quindici giorni dall’udienza di discussione. Nei casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa, il giudice deve:

·        pubblicare il dispositivo nel termine di quindici giorni, indicando anche le domande eventualmente accolte e le misure per darvi attuazione;

·        depositare, comunque, la sentenza entro trenta giorni dall’udienza.

E' quindi eliminata la previsione della pubblicazione rapida del dispositivo entro due giorni dall'udienza.


Articolo 5
(Sospensione dell'esecuzione dell'opera pubblica)

 

 

L'articolo 5 detta disposizioni a carattere transitorio, fino al 31 luglio 2021, applicabili agli appalti il cui valore sia pari o superiore alla soglia comunitaria, per disciplinare i casi di sospensione dell'esecuzione dell'opera pubblica nelle fattispecie previste ed esclusivamente per il tempo strettamente necessario al loro superamento (co. 1). La sospensione è in ogni caso disposta dal responsabile unico del procedimento e si dispongono diverse modalità per gestire le fattispecie contemplate dalla disposizione in materia di sospensione (co. 2 e 3).  Nel caso in cui la prosecuzione dei lavori, per qualsiasi motivo, ivi incluse la crisi o l’insolvenza dell’esecutore, non possa proseguire con il soggetto designato, la stazione appaltante, previo parere del collegio consultivo tecnico, dichiara senza indugio la risoluzione del contratto, che opera di diritto (co.4); tali disposizioni applicano anche in caso di ritardo dell’avvio o dell’esecuzione dei lavori, non giustificato dalle esigenze descritte al comma 1 della norma, che abbia una durata per un numero di giorni indicata al comma 5. Le parti non possono invocare l’inadempimento della controparte o di altri soggetti per sospendere l’esecuzione dei lavori di realizzazione dell’opera ovvero le prestazioni connesse alla tempestiva realizzazione dell’opera, e si dettano criteri per la valutazione in sede giudiziale, sia in fase cautelare che di merito. In ogni caso, si stabilisce per legge che l’interesse economico dell’appaltatore o la sua eventuale sottoposizione a procedura concorsuale o di crisi non può essere ritenuto prevalente rispetto all’interesse alla realizzazione dell’opera pubblica (co. 6).

 

 

Il comma 1 reca disposizioni in relazione alle ipotesi in cui è possibile sospendere l’esecuzione dell’opera pubblica, indicandole in modo specifico in un'ottica di limitazione di tali possibilità di sospendere dell’esecuzione delle opere pubbliche.

Nel dettaglio, si prevede che, fino al 31 luglio 2021, in deroga all’articolo 107 del codice dei contratti pubblici, la sospensione, volontaria o coattiva, dell’esecuzione di lavori diretti alla realizzazione delle opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie comunitarie, anche se già iniziati, può avvenire - esclusivamente per il tempo strettamente necessario al loro superamento - per le seguenti ragioni:

a)      cause previste da disposizioni di legge penale, dal codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, nonché da vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea;

b) gravi ragioni di ordine pubblico, salute pubblica o dei soggetti coinvolti nella realizzazione delle opere, ivi incluse le misure adottate per contrastare l’emergenza sanitaria globale da COVID-19;

c) gravi ragioni di ordine tecnico, idonee a incidere sulla realizzazione a regola d’arte dell’opera, in relazione alle modalità di superamento delle quali non vi è accordo tra le parti;

d) gravi ragioni di pubblico interesse.

 

Le disposizioni in esame operano in deroga all'art. 107 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 50/2016, il quale riconduce la possibilità di sospensione dei lavori alle seguenti fattispecie:

ü  il direttore dei lavori può disporre la sospensione dell'esecuzione del contratto in tutti i casi in cui ricorrano circostanze speciali che impediscono in via temporanea che i lavori procedano utilmente a regola d'arte, e che non siano prevedibili al momento della stipulazione del contratto (comma 1);

ü  il RUP può disporre la sospensione dei lavori per ragioni di necessità o di pubblico interesse, tra cui l'interruzione di finanziamenti per esigenze sopravvenute di finanza pubblica, disposta con atto motivato delle amministrazioni competenti (comma 2);

ü  si provvede alla sospensione parziale dei lavori non eseguibili, qualora, successivamente alla consegna dei lavori, insorgano, per cause imprevedibili o di forza maggiore, circostanze che impediscano parzialmente il regolare svolgimento dei lavori; l'esecutore è tenuto a proseguire le parti di lavoro eseguibili (comma 4);

ü  sospensioni totali o parziali dei lavori possono essere disposte dalla stazione appaltante per cause diverse da quelle di cui ai commi 1, 2 e 4 (comma 6).

In relazione alle cause di sospensione, la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. I, 21 giugno 2007, n. 14510) ha precisato come la sospensione debba ritenersi legittima solo allorché sia disposta per motivi di pubblico interesse o per necessità, o sia giustificata da fatti obiettivi non imputabili alla Pubblica Amministrazione committente o da esigenze non previste né prevedibili con l’ordinaria diligenza.

Sul punto la Cassazione è ritornata anche più recentemente (Cass. civ. Sez. I, Ord. del 14 giugno 2018, n. 15700): "occorre premettere che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la sospensione dei lavori, che non è consentita in nessun caso all'appaltatore (Cass. n. 9794 del 1994; n. 9246 del 2012), può essere disposta dall'Amministrazione nelle ipotesi previste dal D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 30 (ed analogamente dal D.P.R. n. 554 del 1999, art. 133; D.M. n. 145 del 2000, art. 24 e del D.P.R. n. 207 del 2010, art. 159), in concorrenza di "cause di forza maggiore, condizioni climatologiche od altre simili circostanze speciali" (comma 1), o quando sussistano "ragioni di pubblico interesse o necessità" (comma 2), e, mentre in riferimento alla prima ipotesi la sospensione deve cessare non appena vengano meno le circostanze che l'hanno determinata, per la seconda ipotesi la norma si limita ad individuare una durata massima, variabile in proporzione alla durata complessiva dei lavori, e comunque non superiore a sei mesi complessivi, trascorsa la quale è riconosciuta all'appaltatore la facoltà di chiedere lo scioglimento del contratto, e, nel caso in cui l'Amministrazione si sia a ciò opposta, il conseguente diritto alla rifusione dei maggiori oneri; disciplina differente che si giustifica in funzione della diversa natura delle ragioni sottese all'adozione del provvedimento di sospensione, obiettivamente riscontrabili nel primo caso - e quindi suscettibili di accertamento anche da parte del Giudice ordinario - e non sindacabili nel secondo, senza ciò si traduca nell'invasione dello ambito riservato all'apprezzamento discrezionale dell'Amministrazione (cfr. Cass. n. 16366 del 2014)".

 

In base al comma 2, la sospensione è in ogni caso disposta dal responsabile unico del procedimento.

Si dispongono diverse modalità di gestire le fattispecie contemplate dalla disposizione, in materia di sospensione:

ü  Nelle ipotesi inerenti sospensioni per cause previste da disposizioni di legge penale, dal codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione nonché da vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea - previste dal comma 1, lettera a) - la norma specifica che si provvede ai sensi del comma 4 in materia di risoluzione di diritto del contratto e conseguente scelta delle modalità di prosecuzione.

ü  Nelle ipotesi invece inerenti gravi ragioni di ordine pubblico, salute pubblica o di pubblico interesse - previste dal comma 1, lettere b) e d) della norma - la norma prevede che le stazioni appaltanti provvedono su determinazione del collegio consultivo tecnico, organo previsto del decreto in esame, con funzione di dirimere le questioni che insorgano nell'esecuzione dell'opera, in base a quanto previsto dall’articolo 6 del decreto-legge (alla cui scheda si rinvia).    Si prevede il termine di quindici giorni dalla comunicazione allo stesso collegio consultivo tecnico della sospensione dei lavori, e di successivi- dieci giorni per autorizzare la prosecuzione dei lavori.

Viene fatto salvo il caso di assoluta e motivata incompatibilità tra causa della sospensione e prosecuzione dei lavori.

 Inoltre, la norma riporta che la prosecuzione dei lavori è autorizzata 'nel rispetto delle esigenze sottese ai provvedimenti di sospensione adottati'.

La formulazione a tale riguardo potrebbe essere chiarita, laddove si fa riferimento al provvedimento di autorizzazione a proseguire nel 'rispetto delle esigenze sottese alla sospensione', al fine di meglio definire gli aspetti applicativi della disposizione.

 

In base al comma 3, nelle ipotesi di sospensione per gravi ragioni di ordine tecnico (previste dal comma 1, lettera c) il collegio consultivo tecnico - entro quindici giorni dalla comunicazione della sospensione dei lavori ovvero della causa che potrebbe determinarla - adotta una determinazione con cui accerta l’esistenza di una causa tecnica di legittima sospensione dei lavori; indica inoltre le modalità, tra quelle indicate al successivo comma 4, con cui proseguire i lavori e le eventuali modifiche necessarie da apportare per la realizzazione dell’opera a regola d’arte. In base alla norma, la stazione appaltante provvede nei successivi cinque giorni.

 

Il comma 4 prevede che nel caso in cui la prosecuzione dei lavori, per qualsiasi motivo, ivi incluse la crisi o l’insolvenza dell’esecutore anche in caso di concordato con continuità aziendale ovvero di autorizzazione all’esercizio provvisorio dell’impresa, non possa proseguire con il soggetto designato, la stazione appaltante, previo parere del collegio consultivo tecnico dichiara senza indugio la risoluzione del contratto, in deroga alla procedura di cui all’articolo 108, commi 3 e 4, del codice dei contratti pubblici . La risoluzione opera di diritto.

La disposizione in esame prevede tuttavia ciò avvenga "salvo che per gravi motivi tecnici ed economici sia comunque, anche in base al citato parere" del collegio consuntivo "possibile o preferibile proseguire con il medesimo soggetto".

La formulazione potrebbe essere chiarita, atteso che si fa riferimento a gravi motivi tecnici ed economici che inducano a ritenere possibile 'o preferibile' la prosecuzione con il soggetto esecutore insolvente o in crisi, al fine di meglio definire i profili applicativi della disposizione.

 

La stazione appaltante provvede secondo una delle seguenti modalità:

a) procede all’esecuzione in via diretta dei lavori, anche avvalendosi, nei casi consentiti dalla legge, previa convenzione, di altri enti o società pubbliche;

b) interpella progressivamente i soggetti che hanno partecipato alla originaria procedura di gara come risultanti dalla relativa graduatoria, al fine di stipulare un nuovo contratto per l’affidamento del completamento dei lavori, se tecnicamente ed economicamente possibile e alle medesime condizioni proposte dall’operatore economico interpellato;

c) indìce una nuova procedura per l’affidamento del completamento dell’opera;

d) propone alle autorità governative la nomina di un commissario straordinario per lo svolgimento delle attività necessarie al completamento

dell’opera ai sensi dell’articolo 4 del decreto-legge n. 32 del 2019 (c.d. sblocca cantieri).

 

Le disposizioni in esame operano in deroga all'art. 108, commi 3 e 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 50/2016, i quali prevedono una specifica procedura per ciascuna delle due seguenti ipotesi di risoluzione del contratto da parte della stazione appaltante: 1) di accertamento di un grave inadempimento alle obbligazioni contrattuali da parte dell'appaltatore, tale da comprometterne la buona riuscita delle prestazioni (comma 3); 2) di ritardata esecuzione delle prestazioni per negligenza dell'appaltatore rispetto alle previsioni del contratto (comma 4).

Il successivo comma 5 precisa che, nel caso di risoluzione del contratto, l'appaltatore ha diritto soltanto al pagamento delle prestazioni relative ai lavori, servizi o forniture regolarmente eseguiti, decurtato degli oneri aggiuntivi derivanti dallo scioglimento del contratto.

Inoltre, nel caso di risoluzione per grave inadempimento dell'appaltatore, in sede di liquidazione finale dei lavori, servizi o forniture riferita all'appalto risolto, l'onere da porre a carico dell'appaltatore è determinato anche in relazione alla maggiore spesa sostenuta per affidare ad altra impresa i lavori ove la stazione appaltante non si sia avvalsa della facoltà prevista dall'articolo 110, comma 1, vale a dire della facoltà di interpellare i soggetti che hanno partecipato all'originaria procedura di gara (comma 8).

 

Il comma 5 stabilisce che le disposizioni del comma 4 si applicano anche in caso di ritardo dell’avvio o dell’esecuzione dei lavori, non giustificato dalle esigenze descritte al comma 1 della norma, che abbia una durata di compiuta realizzazione per un numero di giorni

Ø  pari o superiore a un decimo del tempo previsto o stabilito per la realizzazione dell’opera

Ø   e, comunque, pari ad almeno trenta giorni per ogni anno previsto o stabilito per la realizzazione dell’opera, da calcolare a decorrere dall’entrata in vigore del decreto in esame.

 

In base al comma 6 dispone che - fatta salva l’esistenza di uno dei casi di sospensione di cui al comma 1 - le parti non possono invocare l’inadempimento della controparte o di altri soggetti per sospendere l’esecuzione dei lavori di realizzazione dell’opera ovvero le prestazioni connesse alla tempestiva realizzazione dell’opera.

 Si dettano criteri per la valutazione in sede giudiziale, sia in fase cautelare che di merito; a tal fine il giudice tiene conto:

ü  delle "probabili conseguenze" del provvedimento stesso per tutti gli interessi che possono essere lesi

ü  nonché del preminente interesse nazionale o locale alla sollecita realizzazione dell'opera

ü  inoltre, in base alla norma, ai fini dell'accoglimento della domanda cautelare, il giudice valuta anche la irreparabilità del pregiudizio per l’operatore economico, il cui interesse va comunque comparato con quello del soggetto pubblico alla celere realizzazione dell’opera.

In ogni caso, si stabilisce per legge che l’interesse economico dell’appaltatore o la sua eventuale sottoposizione a procedura concorsuale o di crisi non può essere ritenuto prevalente rispetto all’interesse alla realizzazione dell’opera pubblica.

Si segnala che la disposizione risulta quindi preordinare criteri di valutazione da adottare in sede giudiziale, senza specificamente intervenire sulla normativa in materia processuale.

In relazione a ipotesi di sospensione disposte dalla stazione appaltante, l'art. 10, comma 2, del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti n. 49/2018 - recante "Regolamento recante: «Approvazione delle linee guida sulle modalità di svolgimento delle funzioni del direttore dei lavori e del direttore dell'esecuzione»" - stabilisce che nel contratto sia inserita una clausola penale ai sensi della quale il risarcimento dovuto all'esecutore nel caso di sospensioni totali o parziali dei lavori disposte per cause diverse da quelle di cui ai commi 1, 2 e 4 dell'articolo 107 deve essere quantificato sulla base di determinati criteri, enunciati allo stesso art. 10, comma 2, del decreto ministeriale.

Inoltre, il successivo art. 23, comma 2, del decreto ribadisce che il contratto deve contenere una clausola penale nella quale sia quantificato il risarcimento dovuto all'esecutore nel caso di sospensioni totali o parziali delle prestazioni disposte per cause diverse da quelle di cui ai commi 1, 2 e 4 dell'articolo 107 del codice, con applicazione dei criteri di quantificazione di cui all'articolo 10, comma 2, in quanto compatibili.

Infine, l'art. 10, comma 6, del suddetto decreto ministeriale dispone che il direttore dei lavori sia responsabile nei confronti della stazione appaltante di un'eventuale sospensione illegittima dal medesimo ordinata per circostanze non previste dall'articolo 107 del codice.

Sulla sospensione in assenza delle cause previste dalla legge, inoltre, la Cassazione si è espressa nella menzionata sent. 21 giugno 2007, n. 14510: "(...) qualora la sospensione dei lavori sia stata disposta dall'Amministrazione in assenza di una delle cause previste dalla legge e solo per ovviare al proprio comportamento negligente (...) l'Amministrazione, se non ritenga di provvedere alla risoluzione unilaterale del contatto (L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 345, all. F), è tenuta, perdurando la ingiustificata sospensione dei lavori, a risarcire i danni subiti dall'appaltatore, senza che rilevi la mancata opzione per lo scioglimento del contratto, poiché tale facoltà è riconosciuta all'appaltatore solo nel caso di sospensione legittima disposta per motivi di pubblico interesse o necessità la quale superi un quarto della durata complessiva prevista per l'esecuzione dei lavori e comunque sia superiore ai sei mesi complessivi".

 

 

 


Articolo 6
(Collegio consultivo tecnico)

 

 

L'articolo 6 prevede, fino al 31 luglio 2021, per i lavori relativi ad opere pubbliche pari o superiore alle soglie di rilevanza europea, la obbligatoria costituzione presso ogni stazione appaltante di un collegio consultivo tecnico: questo va costituito prima dell'avvio dell'esecuzione o comunque non oltre dieci giorni da tale data, ovvero entro trenta giorni per i contratti la cui esecuzione sia già iniziata. Il collegio ha funzioni in materia di sospensione dell'esecuzione dell'opera pubblica e di assistenza per la rapida risoluzione delle controversie o delle dispute tecniche che possono insorgere nel corso dell'esecuzione (co. 1).

Il comma 2 dispone sulla composizione del collegio, formato, a scelta della stazione appaltante, da tre o cinque componenti, in caso di motivata complessità dell'opera e di eterogeneità delle professionalità richieste. I membri sono dotati di esperienza e qualificazione professionale adeguata alla tipologia dell'opera, tra ingegneri, architetti, giuristi ed economisti con comprovata esperienza nel settore degli appalti maturata per effetto del conseguimento di un dottorato di ricerca ovvero di una dimostrata pratica professionale per almeno cinque anni nel settore di riferimento. Si dettano inoltre le modalità di nomina.

Il comma 3 dispone sulle modalità operative del collegio, prevedendo che l’inosservanza delle determinazioni del collegio viene valutata ai fini della responsabilità del soggetto agente per danno erariale e costituisce, salvo prova contraria, grave inadempimento degli obblighi contrattuali; l’osservanza, invece, delle determinazioni del collegio consultivo è causa di esclusione della responsabilità del soggetto agente per danno erariale, fatto salvo il dolo. Le determinazioni del collegio consultivo tecnico hanno la natura del lodo contrattuale previsto dalle norme del codice di procedura civile in materia di arbitrato irrituale, salva diversa e motivata volontà espressamente manifestata in forma scritta dalle parti stesse.

Il comma 4 prevede, anche per le opere diverse da quelle di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea, la facoltà per le parti di nominare comunque un collegio consultivo tecnico con tutti o parte dei compiti descritti ai commi precedenti: le parti possono a tal fine stabilire l’applicabilità di tutte o parte delle disposizioni di cui all’articolo 5.

Il comma 5 attribuisce - anche per la fase antecedente alla esecuzione del contratto - la facoltà alle stazioni appaltanti, tramite il loro RUP, di costituire un collegio consultivo tecnico formato da tre componenti per risolvere problematiche tecniche o giuridiche di ogni natura. Si dettano in tal caso le modalità di scelta dei tre componenti. Le funzioni di componente del collegio consultivo tecnico nominato ai sensi del comma 5 non sono incompatibili con quelle di componente del collegio nominato ai sensi del primo comma, in materia di collegi obbligatori.

Il comma 6 disciplina lo scioglimento del collegio consultivo tecnico, al termine dell'esecuzione del contratto ovvero, nelle ipotesi in cui non ne è obbligatoria la costituzione, in data anteriore su accordo delle parti. Dal 31 luglio 2021, il collegio può essere sciolto in qualsiasi momento, su accordo tra le parti, nelle ipotesi in cui ne è prevista l'obbligatoria costituzione.

Il comma 7 reca disposizioni sui compensi dei componenti del collegio consultivo tecnico.

Il comma 8 stabilisce dei limiti agli incarichi per i componenti e le decadenze in caso di ritardo nell’adozione di determinazioni.

Il comma 9 abroga le disposizioni del D.L. n. 32 del 2019[1] (c.d. sblocca cantieri) che aveva recato la disciplina concernente l’eventuale costituzione, la composizione e i poteri del collegio consultivo tecnico.

 

 

Collegi consultivi tecnici obbligatori

Nel dettaglio, il comma 1 prevede la obbligatoria costituzione, fino al 31 luglio 2021 e per i lavori diretti alla realizzazione delle opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea, di un collegio consultivo tecnico presso ogni stazione appaltante.

Il Collegio ha i compiti previsti all’articolo 5 del decreto - in materia di sospensione dell'esecuzione dell'opera pubblica - e  funzioni di assistenza per la rapida risoluzione delle controversie o delle dispute tecniche di ogni natura suscettibili di insorgere nel corso dell'esecuzione del contratto stesso.

In relazione ai termini di costituzione, si prevede che il Collegio vada  costituito:

Ø  prima dell'avvio dell'esecuzione, o comunque non oltre dieci giorni da tale data

Ø  entro il termine di trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge per i contratti la cui esecuzione sia già iniziata alla data di entrata in vigore del presente decreto.

Si segnala quindi che l'obbligo di costituzione, anche per le opere già in fase di esecuzione, risulta generalizzato, non tenendo conto della fase di esecuzione dell'opera medesima.

 

 

Il comma 2 dispone che il collegio consultivo tecnico è formato, a scelta della stazione appaltante, da:

Ø  tre componenti, o cinque in caso di motivata complessità dell'opera e di eterogeneità delle professionalità richieste

Ø  i membri sono dotati di esperienza e qualificazione professionale adeguata alla tipologia dell'opera, tra ingegneri, architetti, giuristi ed economisti con comprovata esperienza nel settore degli appalti delle concessioni e degli investimenti pubblici, anche in relazione allo specifico oggetto del contratto e alla specifica conoscenza di metodi e strumenti elettronici quali quelli di modellazione per l'edilizia e le infrastrutture (BIM), maturata per effetto del conseguimento di un dottorato di ricerca ovvero di una dimostrata pratica professionale per almeno cinque anni nel settore di riferimento.

Si ricorda che il Building Information Modeling (BIM) per le opere pubbliche in attuazione quanto previsto dal Decreto BIM, previsto dal D.M. n. 560 del 1 dicembre 2017, ha stabilito le modalità e i tempi di progressiva introduzione, da parte delle stazioni appaltanti, delle amministrazioni concedenti e degli operatori economici, dell’obbligatorietà dei metodi e degli strumenti elettronici specifici, quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture, nelle fasi di progettazione, costruzione e gestione delle opere e relative verifiche.

Ø  I componenti del collegio possono essere scelti dalle parti di comune accordo, ovvero le parti possono concordare che ciascuna di esse nomini uno o due componenti e che il terzo o il quinto componente, con funzioni di presidente, sia scelto dai componenti di nomina di parte.

Ø  Nel caso di mancanza di accordo tra le parti sulla nomina del presidente entro il termine indicato al comma 1, questo è designato entro i successivi cinque giorni:

-  dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per le opere di interesse nazionale,

- dalle regioni, dalle province autonome di Trento e Bolzano o dalle città metropolitane per le opere di rispettivo interesse.

Il collegio consultivo tecnico si intende costituito al momento della designazione del terzo o del quinto componente. All'atto della costituzione è fornita al collegio consultivo 'copia' dell'intera documentazione inerente al contratto.

Si valuti di chiarire se si fa riferimento a copia cartacea ovvero anche in formato digitale.

 

Il comma 3 stabilisce che, nell’adozione delle proprie determinazioni, il collegio consultivo può:

Ø  operare anche in videoconferenza o con qualsiasi altro collegamento da remoto e può procedere ad audizioni informali delle parti per favorire, nella risoluzione delle controversie o delle dispute tecniche eventualmente insorte, la scelta della migliore soluzione per la celere esecuzione dell’opera a regola d’arte;

Ø  può altresì convocare le parti per consentire l'esposizione in contraddittorio delle rispettive ragioni.

La disposizione non appare chiarire le modalità di tali convocazione; peraltro, sanzioni in termini di responsabilità delle parti vengono previste dalla disposizione, nel successivo periodo, in relazione alle 'determinazioni' del Collegio consultivo (non con specifico riferimento alla convocazione delle parti).

Si valuti di chiarire le modalità della prevista convocazione, anche al fine di chiarirne la valenza ed il carattere, se vincolante, per le parti contrattuali.

 L’inosservanza delle determinazioni del collegio consultivo tecnico viene valutata ai fini della responsabilità del soggetto agente per danno erariale e costituisce, salvo prova contraria, grave inadempimento degli obblighi contrattuali.

Si ricorda che in base all'art. 64 del codice del processo amministrativo, in materia di disponibilità, onere e valutazione della prova spetta alle parti l'onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni. Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite.

Si segnala che la previsione normativa in esame risulta quindi incidere sull'onere probatorio, presumendo la sussistenza di un 'grave' inadempimento contrattuale per colui che non osservi le determinazioni del collegio.

 

L’osservanza, invece, delle determinazioni del collegio consultivo tecnico è ex lege causa di esclusione della responsabilità del soggetto agente per danno erariale, fatto salvo il dolo.

Si ricorda che norme in materia di responsabilità erariale sono recate all'articolo 21 del testo del decreto in esame, alla cui scheda si rinvia.

 

 

Le determinazioni del collegio consultivo tecnico hanno la natura del lodo contrattuale previsto dall’articolo 808-ter del codice di procedura civile, concernente l’arbitrato irrituale, salva diversa e motivata volontà espressamente manifestata in forma scritta dalle parti stesse.

 

Nel disciplinare l’Arbitrato irrituale, il citato art. 808-ter c.p.c. prevede che, con espressa disposizione scritta, le parti possano stabilire, in deroga a quanto disposto dall'articolo 824-bis in tema di efficacia del lodo, che la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale. In assenza, si applicano le disposizioni previste. L’articolo in esame stabilisce, altresì, che il lodo contrattuale sia annullabile dal giudice competente, secondo le disposizioni del Libro I, nelle seguenti circostanze:

1) se la convenzione dell'arbitrato è invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel procedimento arbitrale;

2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale;

3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell'articolo 812 c.p.c. (il quale, nel disciplinare l’Incapacità di essere arbitro, stabilisce che non possa essere arbitro chi è privo, in tutto o in parte, della capacità legale di agire);

4) se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo;

5) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio. Al lodo contrattuale non si applica l'articolo 825 c.p.c., concernente il deposito del lodo.

 

Sul piano delle modalità di adozione delle determinazioni del Collegio, si prevede che:

Ø  salva diversa previsione di legge, le determinazioni del collegio consultivo tecnico sono adottate con atto scritto recante le sottoscrizioni della maggioranza dei componenti

Ø  in ordine ai termini, si prevede l'adozione entro il termine di quindici giorni dalla data della comunicazione dei quesiti, con atto recante succinta motivazione che può essere integrata nei successivi quindici giorni, sottoscritta dalla maggioranza dei componenti.

Ø  in caso di particolari esigenze istruttorie, le determinazioni possono essere adottate entro venti giorni dalla comunicazione dei quesiti.

La disposizione prevede dunque due termini, rispettivamente di quindici e venti giorni, per l'assunzione di determinazioni, il secondo dei quali per il caso di ' particolari esigenze istruttorie'.

Si segnala che la norma indica come decorrenza dei termini la comunicazione dei quesiti, di cui non vi è menzione nei precedenti periodi del comma, che regolano l'attività del Collegio rispetto alle parti.

Si valuti di specificare la fattispecie delle 'particolari esigenze istruttorie' cui si riconnette il termine più lungo, anche ai fini di chiarire i profili applicativi della disposizione.

Si valuti inoltre di chiarire, sul piano della formulazione, il profilo della comunicazione dei quesiti e le relative modalità, atteso che da essa  decorrono i termini previsti.

 

In base alla disposizione, le decisioni sono assunte a maggioranza.

 

Collegi consultivi tecnici facoltativi

Il comma 4 prevede la facoltà, per le opere diverse da quelle di cui al primo comma, per le parti di nominare comunque un collegio consultivo tecnico con tutti o parte dei compiti descritti ai commi precedenti.

Le parti possono anche stabilire l’applicabilità di tutte o parte delle disposizioni di cui all’articolo 5 del decreto in esame, in materia di sospensione dell'esecuzione dell'opera (alla cui scheda si rinvia).

Si valuti di chiarire, per la fattispecie in esame, il profilo della applicabilità parziale delle disposizioni di legge, prevista dall'ultimo periodo del co. 4, al fine di meglio definire i profili applicativi della previsione.

 

Collegi nella fase antecedente all'esecuzione

Il comma 5 regola la fase antecedente alla esecuzione del contratto, per la quale le stazioni appaltanti, tramite il loro responsabile unico del procedimento, hanno comunque facoltà di costituire un collegio consultivo tecnico: esso in tal caso è formato da tre componenti per risolvere problematiche tecniche o giuridiche di ogni natura suscettibili di insorgere anche nella fase antecedente alla esecuzione del contratto, ivi comprese:

- le determinazioni delle caratteristiche delle opere

- le altre clausole e condizioni del bando o dell’invito

- nonché la verifica del possesso dei requisiti di partecipazione, dei criteri di selezione e di aggiudicazione.

Si dettano le modalità di scelta dei tre componenti in tale fattispecie, così prevedendo:

Ø  due componenti sono nominati dalla stazione appaltante

Ø   il terzo componente è nominato:

- dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per le opere di interesse nazionale

- dalle regioni, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano o dalle città metropolitane per le opere di interesse locale.

L'ultimo periodo del comma prevede che, ferma l’eventuale necessità di sostituzione di uno dei componenti designati dalla stazione appaltante con uno di nomina privata, le funzioni di componente del collegio consultivo tecnico nominato ai sensi del comma 5 non sono incompatibili con quelle di componente del collegio nominato ai sensi del primo comma, in materia di Collegi obbligatori.

Si valuti di chiarire la disposizione, laddove si fa riferimento - per inciso - alla eventuale necessità di 'sostituzione di uno dei componenti designati dalla stazione appaltante con uno di nomina privata'.

 

Scioglimento del collegio

In base al comma 6, lo scioglimento del collegio consultivo tecnico è previsto

Ø  al termine dell'esecuzione del contratto

Ø  ovvero, nelle ipotesi in cui non ne è obbligatoria la costituzione, in data anteriore su accordo delle parti.

Si valuti di chiarire la fattispecie in cui non si addivenga ad accordo sullo scioglimento, nel caso in cui non sia prevista come obbligatoria la sussistenza del Collegio.

Ø  dal 31 luglio 2021, nelle ipotesi in cui ne è obbligatoria la costituzione, il collegio può essere sciolto in qualsiasi momento, su accordo tra le parti.

La relazione illustrativa afferma a tale riguardo che il testo prevede - nelle ipotesi in cui ne è obbligatoria la costituzione-  che il collegio dal 31 luglio 2021 possa essere sciolto in qualsiasi momento, su accordo tra le parti. Si ricorda, al riguardo, che il comma 1 prevede l'obbligatorietà della costituzione di tale organi 'sino' a tale data.

Si valuti di chiarire, a tale riguardo, la previsione con riferimento all'ipotesi di mancato accordo tra le parti, al fine di coordinare la stessa con i profili temporali stabiliti dal comma 1, che delinea la costituzione di tale organo come obbligatoria solo sino al 31 luglio 2021.

 

 

 

Compensi

Il comma 7 stabilisce, al primo periodo, che i componenti del collegio consultivo tecnico hanno diritto a un compenso a carico delle parti e proporzionato al valore dell’opera, al numero, alla qualità e alla tempestività delle determinazioni assunte.

Si segnala che la parametrazione del compenso viene ancorata, tra gli altri, ai criteri della 'qualità' e 'tempestività' delle determinazioni assunte, non risultando chiaro in disposizione quale organo sia deputato a svolgere tale valutazione di qualità.

La norma non appare inoltre chiarire la misura della indicata proporzione rispetto al valore dell’opera.

In mancanza di determinazioni o pareri ad essi spetta un gettone unico onnicomprensivo. In caso di ritardo nell’assunzione delle determinazioni è prevista una decurtazione del compenso - stabilito in base al primo periodo citato - che va da un decimo a un terzo, per ogni ritardo.

Il compenso è liquidato dal collegio consultivo tecnico unitamente all’atto contenente le determinazioni, salva la emissione di parcelle di acconto, in applicazione delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico, di cui all’articolo 9 del D.L. n. 1 del 2012[2] (recante Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), aumentate fino a un quarto.

In base alla disposizione, non è ammessa la nomina di consulenti tecnici d’ufficio. I compensi dei membri del collegio sono computati all’interno del quadro economico dell’opera.

 

Il menzionato articolo 9, in vigore dal 29 agosto 2017, reca Disposizioni sulle professioni regolamentate. In particolare, il comma 1 ha abrogato le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico, mentre il comma 2, ferma restando predetta abrogazione, ha stabilito che, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista venisse determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante, da adottare entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione al D.L. 1/2012. Entro il medesimo termine, il comma 2 demandava a un decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il compito di stabilire i parametri per oneri e contribuzioni alle casse professionali e agli archivi precedentemente basati sulle tariffe, salvaguardando l'equilibrio finanziario delle casse previdenziali professionali. Ai fini della determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all'architettura e all'ingegneria, il medesimo comma ha previsto che si applichino i parametri individuati con il decreto di cui al primo periodo, da emanarsi di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, definendo con il medesimo decreto anche le classificazioni delle prestazioni professionali relative ai predetti servizi. In attuazione di quanto così disposto, sono stati emanati i seguenti provvedimenti: per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, il D.M. 20 luglio 2012, n. 140[3]; per gli iscritti all'albo dei consulenti del lavoro, il D.M. 21 febbraio 2013, n. 46[4] e, per le professioni dei medici veterinari, farmacisti, psicologi, infermieri, ostetriche e tecnici sanitari di radiologia medica, il D.M. 19 luglio 2016, n. 165[5], nonché infine il D.M. 27 novembre 2012, n. 265[6].

Il comma 4 ha precisato che il compenso per le prestazioni professionali è pattuito, nelle forme previste dall'ordinamento, al momento del conferimento dell'incarico professionale. Il professionista deve rendere noto obbligatoriamente, in forma scritta o digitale, al cliente il grado di complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell'incarico e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell'esercizio dell'attività professionale. In ogni caso la misura del compenso è previamente resa nota al cliente obbligatoriamente, in forma scritta o digitale, con un preventivo di massima, deve essere adeguata all'importanza dell'opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi.

 

Limiti agli incarichi

Il comma 8 stabilisce dei limiti agli incarichi per i componenti, prevedendo che ogni componente del collegio consultivo tecnico non può ricoprire più di cinque incarichi contemporaneamente e comunque non può svolgere più di dieci incarichi ogni due anni.

Si segnala che i limiti, in base alla formulazione della norma, riguardano il numero di incarichi e non risultano parametrati al valore delle opere.

In caso di ritardo nell’adozione di tre determinazioni o di ritardo superiore a sessanta giorni nell’assunzione anche di una sola determinazione, i componenti del collegio non possono essere nuovamente nominati come componenti di altri collegi per la durata di tre anni decorrenti dalla data di maturazione del ritardo.

Si segnala al riguardo che la previsione dei collegi viene prevista dalla norma, almeno nei suoi profili di obbligatorietà di costituzione, fino al 31 luglio 2021 (co. 1), mentre la sanzione di divieto di nomina, per registrati ritardi, viene prevista per l'arco temporale di un triennio, dunque oltre la data indicata al comma 1 della disposizione.

 Il ritardo ingiustificato nell’adozione anche di una sola determinazione è invece causa di decadenza del collegio e, in tal caso, la stazione appaltante può assumere le determinazioni di propria competenza prescindendo dal parere del collegio.

 

Il comma 9 abroga quindi le disposizioni del D.L. n. 32 del 2019[7] (c.d. sblocca cantieri) che aveva recato la disciplina concernente l’eventuale costituzione, la composizione e i poteri del collegio consultivo tecnico.

In particolare, si interviene sull’articolo 1 del D.L. 32 (finalizzato al rilancio del settore dei contratti pubblici, all'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici), abrogandone i commi da 11 a 14, recanti la disciplina concernente l’eventuale costituzione, la composizione e i poteri del collegio consultivo tecnico, organo con funzioni di assistenza per la rapida risoluzione delle controversie suscettibili di insorgere nel corso dell’esecuzione del contratto.

Il citato articolo 1 reca Modifiche al codice dei contratti pubblici e sospensione sperimentale dell'efficacia di disposizioni in materia di appalti pubblici e in materia di economia circolare, con vigenza dal 18 giugno 2019.

I menzionati commi 11-14 del medesimo articolo 1 disciplinano il collegio consultivo tecnico. Si ricorda peraltro che tale organo era stato originariamente previsto dall’art. 207 del D.lgs. 50/2016 e poi abrogato c.d. dal correttivo 56 (D.lgs. 19 aprile 2017 n. 56 art. 121).

In particolare, il comma 11 disponeva che, fino alla data di entrata in vigore del regolamento unico recante disposizioni di esecuzione, attuazione e integrazione del Codice dei contratti pubblici (di cui all'art. 216, co. 27-octies, del D. Lgs. n. 50 del 2016), al fine di prevenire controversie relative all'esecuzione del contratto le parti possono convenire che prima dell'avvio dell'esecuzione, o comunque non oltre 90 giorni da tale data, sia costituito un collegio consultivo tecnico con funzioni di assistenza per la rapida risoluzione delle controversie di ogni natura suscettibili di insorgere nel corso dell'esecuzione del contratto stesso.

Il comma 12 disponeva in merito alla composizione del collegio consultivo tecnico, che deve essere formato da 3 membri dotati di esperienza e qualificazione professionale adeguata alla tipologia dell'opera. I componenti del collegio - si prevedeva con lo sblocca cantieri - possono essere scelti dalle parti di comune accordo, ovvero le parti possono concordare che ciascuna di esse nomini un componente e che il terzo membro sia scelto dai due componenti di nomina di parte; in ogni caso, tutti i componenti devono essere approvati dalle parti medesime. Il collegio consultivo tecnico si intende costituito al momento della sottoscrizione dell'accordo da parte dei componenti designati e delle parti contrattuali; all'atto della costituzione è fornita al collegio consultivo copia dell'intera documentazione inerente al contratto.

Il comma 13 abrogato disponeva che, nel caso in cui insorgano controversie, il collegio consultivo possa procedere all'ascolto informale delle parti per favorire la rapida risoluzione delle controversie eventualmente insorte. Può altresì convocare le parti per consentire l'esposizione in contraddittorio delle rispettive ragioni. L'eventuale accordo delle parti che accolga la proposta di soluzione indicata dal collegio consultivo si prevedeva non avesse natura transattiva, salva diversa volontà delle parti.

 

Il Dispute Board nell'esperienza internazionale

L'individuazione di organi per la rapida risoluzione delle controversie o delle dispute suscettibili di insorgere nel corso dell'esecuzione dei contratti si rinvengono nella prassi della contrattualistica internazionale; si forniscono di seguito elementi, anche di tipo comparato, in tale ambito.

I Metodi alternativi di risoluzione delle controversie, noti anche come ADR (acronimo di Alternative Dispute Resolution), consistono in una serie di tecniche e procedimenti (ad es. mediazione, negoziazione, arbitrato) di soluzione di controversie di tipo legale attinenti a diritti disponibili, alternativi rispetto al giudizio amministrato dagli organi giurisdizionali pubblici. Negli ultimi decenni il ricorso alle ADR, specie nel contenzioso di ambito commerciale, ha vissuto un forte incremento, rispetto al ricorso alla giustizia ordinaria, perché si ritiene comunemente che esse abbiano il vantaggio di consentire una veloce ed efficace risoluzione dei conflitti insorti, con costi inferiori e maggiore riservatezza.

In epoca moderna il ricorso alle ADR si è affermato prima nei Paesi anglosassoni, a partire dagli anni 1970, quando negli Stati Uniti si cominciò a ricercare metodi non giurisdizionali di gestione dei contenziosi.

In particolare, i DRB, acronimo per Dispute Resolution Board, si configurano quali sistemi di gestione delle liti diffusi nell'ambito dei contratti internazionali di durata. Vengono utilizzati soprattutto nei contratti di appalto internazionale e nelle joint venture. Le procedure DRB prevedono che la gestione della controversia venga affidata ad organi sociali gerarchicamente superiori a quelli fra i quali è insorto il contrasto, oppure a terzi. Compito degli organi incaricati o del terzo è quello di valutare la situazione e concordare o proporre rimedi che consentano di superare l'impasse evitando l'attivazione di una procedura contenziosa, giudiziale o arbitrale. A seconda dei soggetti chiamati ad esperire il tentativo di soluzione, i DRB possono suddividersi fra:

rimedi endocontrattuali quando intervengono gli organi sociali

sistemi alternativi di soluzione delle controversie (ADR) quando è previsto l'intervento di un soggetto terzo, estraneo ai soggetti in lite.

Caso tipico di adozione dei DRB sono le dispute insorte in sede di esecuzione di contratti di appalto. Può infatti accadere che, al momento della effettiva realizzazione delle opere, si presentino condizioni non previste, implicanti difficoltà o costi inattesi: in tali circostanze, l'intervento del DRB permette alle parti di rinegoziare il contratto originario, agevolando aggiustamenti economici di vario tipo. Le parti possono raggiungere un accordo, normalmente di carattere meramente tecnico – operativo, fondato su valutazioni non necessariamente giuridiche, ma di opportunità, che eseguiranno spontaneamente al pari del contratto iniziale, in quanto espressione diretta della loro volontà. In difetto di accordo, o di mancata esecuzione di quanto stabilito, alla parte interessata non resterà che far ricorso all'ordinario sistema di soluzione delle controversie. Di qui il limite di tali sistemi, di essere fondati esclusivamente sulla volontà delle parti e di non consentire l'esecuzione forzata. I sistemi DRB sono stati adottati con successo, ad es., nei contratti che regolavano la realizzazione del tunnel sotto la Manica, il progetto Eurotunnel. Non è quindi un caso che le varie Condizioni FIDIC (Fédération Internationale Des Ingenieurs Civiles) li prevedano espressamente.

L'International Chamber of Commerce ha introdotto l'1 settembre 2004, le ICC Dispute Board Rules utili per trarre suggerimenti operativi prima di adottare un DRB. Il Regolamento contiene tre differenti tipi di DRB

il Dispute Review Board (DRB)

il Dispute Adjudication Board (DAB)

il Combined Dispute Board (CDB).

Il Dispute Review Board prevede che il terzo, o i terzi nominati, emetta una "Recommendation" che le parti potranno accettare ed eseguire, o rifiutare entro un certo termine. In caso di rifiuto, la parte interessata potrà attivare l'arbitrato o la procedura contrattualmente concordata. Non vi è nessun impegno ad eseguire la decisione del terzo se non la si condivide.

Il Dispute Adjudication Board prevede un maggior impegno delle parti in relazione all'esecuzione della soluzione proposta dal Board, che viene definita "Decision": in tal caso, l'attivazione della procedura arbitrale o giudiziale non esime la parte dall'esecuzione della decisione del Board.

Da ultimo, il Combined Resolution Board si configura quale soluzione intermedia, nel senso che il Board emette di regola semplici raccomandazioni, fatta salva la congiunta richiesta delle parti di rendere una decisione.

Come avvenuto in aree del diritto degli affari, già dai primi anni del Novecento anche nell’ambito degli appalti internazionali si è fatto ricorso a modelli contrattuali proposti dalla varie associazioni di categorie o, comunque, a modelli non legati ad una legge nazionale, venendosi così a creare una legge degli appalti comune e priva di collegamento con la legge di uno stato: la lex constructionis o ius ingeniorum. Con tale locuzione si intende l’insieme di contratti standardizzati, guide tecniche e lodi arbitrali che il settore delle costruzioni ha prodotto nel corso degli anni. I modelli contrattuali costituiscono la parte più importante del diritto degli appalti internazionali, grazie alla forza di regolare i rapporti tra le parti coinvolte nel contratto senza avere alcun legame con una legge nazionale. L’utilizzo di contratti standard predisposti da operatori del settore è ormai invalso nella prassi; specie per quanto concerne contratti internazionali di progetti complessi, in diversi paesi, esistono associazioni che preparano documenti di questo tipo. Ad esempio FIDIC (Federation Internationale Des Ingenieurs-Conseils) Conditions of Contract e EJCDC (Engineers Joint Contract Documents Committee) Standard General Conditions of the Construction Contracts.

La Federazione FIDIC rappresenta a livello mondiale l’industria del cd. “consulting engineering”, mettendo a disposizione servizi intellettuali tecnologici nel campo della costruzione e dell’ambiente. La prima pubblicazione di un formato standard delle condizioni contrattuali per lavori meccanici ed elettrici, utilizzabile per l’uso in contratti di fornitura e montaggio d’impianti e macchinari, è avvenuta nel 1963. EJCDC è una coalizione di organizzazioni operanti nel campo della realizzazione progetti che produce documenti contrattuali di qualità, con la partecipazione di consulenze legali attraverso l’esperienza e la conoscenza di ingegneri, esperti di contratti, clienti e professionisti nel campo della costruzione e ne favorisce la divulgazione e l’uso. A queste associazioni si aggiungono organizzazioni private che offrono, tra i loro servizi, la fornitura di condizioni generali standard per diverse tipologie di contratto e la possibilità di un loro adeguamento a fronte di specifiche esigenze.

I modelli più condivisi e utilizzati sono quelli offerti dalla FIDIC, contenuti nei diversi libri (principalmente, Red Book, Yellow Book, Silver Book) che l’associazione di categoria offre a seconda del tipo di contratto che si deve adottare. Sebbene questi modelli, o le clausole in essi contenute, possano subire delle correzioni nel corso delle trattative, essi rappresentano il fondamento della negoziazione tra le parti e le accompagnano dall’inizio al termine della fase contrattuale. Nonostante la non appartenenza ad un ordinamento specifico, i modelli FIDIC sono legati ad cultura giuridica di common law, connessione dovuta principalmente alla struttura del contratto di diritto anglosassone che, essendo self- regulatory, conserva un impianto idoneo ad essere modellato a seconda delle esigenze del caso specifico o delle necessità tecnico-economiche delle parti.

 


Articolo 7
(Fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche)

 

 

L’articolo 7 prevede, al fine di evitare che la mancanza temporanea di risorse pubbliche ostacoli la regolare e tempestiva realizzazione dell’opera in esecuzione, l’istituzione, a decorrere dall’anno 2020, di un Fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie comunitarie previste dal Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50), che non può essere utilizzato per la realizzazione di nuove opere da parte delle stazioni appaltanti. Per l’anno 2020, lo stanziamento del Fondo è pari a 30 milioni di euro e, per gli anni successivi, è finanziato da risorse provenienti dalla legge di bilancio. Con decreti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sono disciplinate le modalità di funzionamento del Fondo e l’assegnazione e l’erogazione delle risorse su richiesta delle stazioni appaltanti.

 

Di seguito sono descritti gli interventi previsti dalla norma in esame, che risulta in più punti analoga al “Fondo salva opere” istituito dall’art. 47, commi 1-bis – 1-septies del D.L. 34/2019 (cd. Decreto “Crescita”). Per approfondire si rinvia al seguente link.

 

Fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche (commi 1 e 2)

Il comma 1 istituisce un Fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, a decorrere dall’anno 2020, da utilizzare, nei casi di maggiori fabbisogni finanziari, per esigenze motivate nel rispetto della normativa vigente, ovvero per temporanee insufficienti disponibilità finanziarie annuali, al fine di garantire la regolare e tempestiva prosecuzione della realizzazione dell’opera.

Il Fondo non può essere attivato per finanziare nuove opere, e il suo utilizzo non può essere reiterato, a esclusione del caso in cui la carenza delle risorse derivi da una accelerazione della realizzazione delle opere rispetto al cronoprogramma aggiornato di cui al successivo comma 3.

Il Fondo è destinato alla prosecuzione delle opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie di cui all’articolo 35 del Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. 50/2016), cioè pari o superiori a 5.350.000 euro.

Il comma 2 stabilisce per l’anno 2020 uno stanziamento del Fondo pari a 30 milioni di euro.

Per gli anni successivi, il Fondo si alimenta:

-         per un importo corrispondente al 5 per cento delle maggiori risorse stanziate nella prima delle annualità del bilancio, nel limite massimo di 100 milioni di euro, per la realizzazione da parte delle Amministrazioni centrali e territoriali di nuove opere e infrastrutture o per il rifinanziamento di quelle già previste a legislazione vigente;

-         dalle risorse disponibili in bilancio anche in conto residui, destinate al finanziamento dell’opera, e non più necessarie in quanto anticipate a valere sul Fondo (lett. a), comma 2);

-         dalle somme corrispondenti ad eventuali anticipazioni del Fondo alla stazione appaltante, per residui passivi caduti in perenzione, mediante utilizzo di quota parte delle somme da iscrivere sul Fondo di cui all’articolo 34-ter, comma 5, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge finanziaria 2010), con la legge di bilancio successiva alla eliminazione dal Conto del patrimonio dei predetti residui passivi (lett. b), comma 2).

Il citato comma 5 dell’art. 34-ter prevede, in apposito allegato al Rendiconto generale dello Stato, la quantificazione per ciascun Ministero dell'ammontare dei residui passivi perenti eliminati. Annualmente, successivamente al giudizio di parifica della Corte dei conti, con la legge di bilancio, le somme corrispondenti agli importi di cui sopra possono essere reiscritte, del tutto o in parte, in bilancio su base pluriennale, in coerenza con gli obiettivi programmati di finanza pubblica, su appositi Fondi da istituire con la medesima legge, negli stati di previsione delle amministrazioni interessate.

 

Accesso e operatività del Fondo (commi 3-5)

Il comma 3 consente alle stazioni appaltanti di chiedere di accedere al Fondo quando, sulla base dell'aggiornamento del cronoprogramma finanziario dell’opera, risulti, per l’esercizio in corso, un fabbisogno finanziario aggiuntivo non prevedibile rispetto alle risorse disponibili per la regolare e tempestiva prosecuzione dei lavori.    

Il comma 4 prevede l’individuazione delle modalità operative di accesso e utilizzo del Fondo e i criteri di assegnazione delle risorse, attraverso un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da emanarsi di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze e da adottarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge.

Il comma 5 stabilisce che le risorse sono assegnate su richiesta delle stazioni appaltanti, previa verifica da parte delle amministrazioni finanziatrici dell’aggiornamento del cronoprogramma finanziario dell’opera e dell’impossibilità di attivare i meccanismi di flessibilità di bilancio ai sensi della normativa contabile vigente.

Il comma 5 prevede, altresì, l’assegnazione delle suddette risorse con l’emanazione di decreti del MIT, da adottare con cadenza trimestrale, nei limiti delle disponibilità annuali del Fondo, secondo i criteri previsti dal decreto di cui al comma 4.

 

Copertura degli oneri del Fondo (commi 6 e 7)

Il comma 6 provvede alla copertura dei previsti 30 milioni di euro per l’anno 2020, riducendo lo stanziamento del fondo speciale di conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2020-2022, dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2020, allo scopo parzialmente utilizzando i seguenti accantonamenti:

- 17 milioni del Ministero dell'economia e delle finanze;

- 0,7 milioni del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;

- 1,7 milioni del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca;

- 1,7 milioni di euro del Ministero dell’interno;

- 0,9 milioni del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;

- 8 milioni del Ministero della salute.

 

Il comma 7 autorizza il MEF ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio anche nel conto dei residui.

 


Articolo 8, commi 1-4
(Disposizioni urgenti in materia di contratti pubblici)

 

 

L'articolo 8, ai commi 1-4, reca una serie di disposizioni in materia di procedure pendenti disciplinate dal codice dei contratti pubblici ovvero avviate a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 luglio 2021. Il comma 1 prevede che è sempre autorizzata la consegna dei lavori in via di urgenza e, nel caso di servizi e forniture, l'esecuzione del contratto in via d'urgenza fermo restando quanto previsto dall’articolo 80 del codice sui motivi di esclusione (lett. a). Le stazioni appaltanti possono prevedere, a pena di esclusione dalla procedura, l’obbligo per l’operatore economico di procedere alla visita dei luoghi, nonché alla consultazione sul posto dei documenti di gara e relativi allegati esclusivamente laddove detto adempimento sia strettamente indispensabile in ragione della tipologia, del contenuto o della complessità dell’appalto da affidare (lett. b). In relazione alle procedure ordinarie, si applicano le riduzioni dei termini procedimentali per ragioni di urgenza previste dalle disposizioni del codice indicate (lett. c). Si stabilisce la possibilità di avvio delle procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture anche in mancanza di una specifica previsione nei documenti di programmazione già adottati, a condizione che entro trenta giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore del presente decreto si provveda ad un aggiornamento in conseguenza degli effetti dell’emergenza COVID-19 (lett. d).

Il comma 2 prevede, in relazione alle procedure disciplinate dal codice dei contratti pubblici per le quali sia scaduto entro il 22 febbraio 2020 il termine per la presentazione delle offerte, che le stazioni appaltanti provvedono all’adozione dell’eventuale provvedimento di aggiudicazione entro la data del 31 dicembre 2020, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 103 del decreto-legge Cura Italia in materia di sospensione dei termini.

In base al comma 3, le stazioni appaltanti provvedono entro il 31 dicembre 2020 all’aggiudicazione degli appalti basati su accordi-quadro, che siano efficaci alla data di entrata in vigore del decreto ovvero all’esecuzione degli stessi.

Il comma 4 reca poi una serie di disposizioni con riferimento ai lavori in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore del presente decreto.

 

 

Il comma 1, lettere a)-d), detta una serie di disposizioni in relazione alle procedure pendenti disciplinate dal codice dei contratti pubblici ovvero avviate a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 luglio 2021.

Nel dettaglio si definisce l'ambito applicativo delle norme recate dal comma 1 con riferimento alle procedure:

Ø   i cui bandi o avvisi di indizione di una gara sono già stati pubblicati alla data di entrata in vigore del presente decreto

Ø   nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, in cui alla data di entrata in vigore del presente decreto siano già stati inviati gli inviti a presentare le offerte o i preventivi, ma non siano scaduti i relativi termini

Ø   e in ogni caso per le procedure disciplinate dal codice avviate a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 luglio 2021.

 

Per tali procedure si prevede che:

a)      è sempre autorizzata la consegna dei lavori in via di urgenza e, nel caso di servizi e forniture, l'esecuzione del contratto in via d'urgenza ai sensi dell’articolo 32, comma 8, del codice dei contratti pubblici, fermo restando quanto previsto dall’articolo 80 del medesimo codice, sui motivi di esclusione;

L’articolo 32, comma 8, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, è novellato dal comma 5 dell'articolo 8 del decreto-legge semplificazioni, qui in esame, alla cui scheda si rinvia.

b)     le stazioni appaltanti possono prevedere, a pena di esclusione dalla procedura, l’obbligo per l’operatore economico di procedere alla visita dei luoghi, nonché alla consultazione sul posto dei documenti di gara e relativi allegati ai sensi e per gli effetti dell’articolo 79, comma 2, del codice, esclusivamente laddove detto adempimento sia strettamente indispensabile in ragione della tipologia, del contenuto o della complessità dell’appalto da affidare;

L'articolo 79 del Codice reca disposizioni sulla fissazione di termini. Nel fissare i termini per la ricezione delle domande di partecipazione e delle offerte, le amministrazioni aggiudicatrici tengono conto in particolare della complessità dell'appalto e del tempo necessario per preparare le offerte, fatti salvi i termini minimi stabiliti da una serie di disposizioni.

In particolare, il comma 2 della norma prevede che quando le offerte possono essere formulate soltanto a seguito di una visita dei luoghi o dopo consultazione sul posto dei documenti di gara e relativi allegati, i termini per la ricezione delle offerte, comunque superiori ai termini minimi stabiliti negli articoli 60, 61, 62, 64 e 65, sono stabiliti in modo che gli operatori economici interessati possano prendere conoscenza di tutte le informazioni necessarie per presentare le offerte.

La relazione illustrativa, richiamando la giurisprudenza amministrativa in ordina all’obbligo di sopralluogo, strumentale a una completa ed esaustiva conoscenza dello stato dei luoghi, funzionale alla miglior valutazione degli interventi da effettuare in modo da formulare, con maggiore precisione, la migliore offerta tecnica (si veda: Cons. Stato, Sez. V, 19 febbraio 2018 n. 1037, nonché Cons. Stato, Sez. VI, 23 giugno 2016 n. 2800, in base al quale la verifica dei luoghi può dirsi funzionale anche alla redazione dell’offerta, onde incombe sull’impresa l’onere di effettuare tale sopralluogo con la dovuta diligenza, in modo da poter modulare la propria offerta sulle concrete caratteristiche dei locali) evidenzia come, proprio in relazione alla funzione del sopralluogo come delineata dalla giurisprudenza amministrativa e al fine di evitare ostacoli alla concorrenza, si prevede che siffatto obbligo può essere previsto esclusivamente laddove sia strettamente necessario in considerazione della tipologia, della complessità o del contenuto dell’appalto da affidare.

 

c)      in relazione alle procedure ordinarie, si applicano le riduzioni dei termini procedimentali per ragioni di urgenza di cui agli articoli 60, comma 3, 61, comma 6, 62 comma 5, 74, commi 2 e 3, del codice.

In particolare:

ü  l'art. 60, comma 3, prevede - con riferimento alle procedure aperte - che le amministrazioni aggiudicatrici possano fissare un termine non inferiore a 15 giorni a decorrere dalla data di invio del bando di gara se, per ragioni di urgenza debitamente motivate dall'amministrazione aggiudicatrice, il termine minimo di 35 giorni dalla data di trasmissione del bando di gara, stabilito dal comma 1, non può essere rispettato;

ü  l'art. 61, comma 6, - con riferimento alle procedure ristrette - conferisce facoltà all'amministrazione aggiudicatrice di fissare: 1) per la ricezione delle domande di partecipazione, un termine non inferiore a 15 giorni dalla data di trasmissione del bando di gara; 2) per la ricezione delle offerte, un termine non inferiore a 10 giorni a decorrere dalla data di invio dell'invito a presentare offerte, qualora, per motivi di urgenza debitamente motivati, sia impossibile rispettare i termini minimi (rispettivamente) fissati - dal medesimo art. 61 - in 30 giorni dalla data di trasmissione del bando di gara per la ricezione delle domande di partecipazione (comma 2) e in 30 giorni dalla data di trasmissione dell'invito a presentare offerte per la ricezione delle offerte (comma 3);

ü  l'art. 62, comma 5, - con riferimento alle procedure competitive con negoziazione - prevede che il termine minimo per la ricezione delle offerte iniziali sia di 30 giorni dalla data di trasmissione dell'invito. Tale termine tuttavia è ridotto nei casi previsti dall'articolo 61, commi 4 (pubblicazione di un avviso di preinformazione non utilizzato per l'indizione di una gara), 5 (fissazione del termine per la ricezione delle offerte di concerto con i candidati selezionati) e 6 (fissazione di termini ridotti da parte dell'amministrazione aggiudicatrice quando, per motivi di urgenza debitamente motivati, sia impossibile rispettare i termini minimi);

ü  l'art. 74, commi 2 e 3, prevedono: 1) il comma 2, che il termine per la presentazione delle offerte è prorogato di 5 giorni (fatta eccezione per i casi di urgenza debitamente dimostrati di cui ai sopra menzionati articoli 60, comma 3, 61, comma 6 e 62, comma 5), qualora determinati documenti di gara - causa l'impossibilità di offrire accesso gratuito, illimitato e diretto per via elettronica - siano trasmessi per posta elettronica certificata o strumenti analoghi negli altri Stati membri ovvero, in caso di impossibilità, per vie diverse da quella elettronica; 2) il comma 3, che il termine per la presentazione delle offerte è prorogato di 5 giorni (fatta eccezione per i casi di urgenza debitamente dimostrati di cui ai sopra menzionati articoli 60, comma 3, 61, comma 6 e 62, comma 5), qualora l'accesso a determinati documenti di gara sia limitato in ragione del fatto che le amministrazioni aggiudicatrici hanno inteso avvalersi della facoltà di proteggere la natura riservata di talune informazioni.

§  Nella motivazione del provvedimento che dispone la riduzione dei termini non è necessario dar conto delle ragioni di urgenza, che si considerano comunque sussistenti.

 

d)     si stabilisce la possibilità di avvio delle procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture anche in mancanza di una specifica previsione nei documenti di programmazione già adottati, a condizione che entro trenta giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore del presente decreto si provveda ad un aggiornamento in conseguenza degli effetti dell’emergenza COVID-19.

Si valuti di specificare, sul piano della formulazione, che l'aggiornamento riguarda la programmazione già approvata.

Nell'ambito del Titolo III del codice in materia di Pianificazione programmazione e progettazione, l'art. 21 reca disposizioni sul programma degli acquisti e sulla programmazione dei lavori pubblici, prevedendo che le amministrazioni aggiudicatrici adottano il programma biennale degli acquisti di beni e servizi e il programma triennale dei lavori pubblici, nonché i relativi aggiornamenti annuali. I programmi sono approvati nel rispetto dei documenti programmatori e in coerenza con il bilancio e, per gli enti locali, secondo le norme che disciplinano la programmazione economico-finanziaria degli enti. Le opere pubbliche incompiute sono inserite nella programmazione triennale di cui al comma 1, ai fini del loro completamento ovvero per l'individuazione di soluzioni alternative quali il riutilizzo, anche ridimensionato, la cessione a titolo di corrispettivo per la realizzazione di altra opera pubblica, la vendita o la demolizione. Il programma triennale dei lavori pubblici e i relativi aggiornamenti annuali contengono i lavori il cui valore stimato sia pari o superiore a 100.000 euro e indicano, previa attribuzione del codice unico di progetto, i lavori da avviare nella prima annualità. Per i lavori di importo pari o superiore a 1.000.000 euro, ai fini dell'inserimento nell'elenco annuale, le amministrazioni aggiudicatrici approvano preventivamente il progetto di fattibilità tecnica ed economica.  Nell'elencazione delle fonti di finanziamento sono indicati anche i beni immobili disponibili che possono essere oggetto di cessione. Sono, altresì, indicati i beni immobili nella propria disponibilità concessi in diritto di godimento, a titolo di contributo, la cui utilizzazione sia strumentale e tecnicamente connessa all'opera da affidare in concessione.

Il co.6 disciplina poi il programma biennale di forniture e servizi e i relativi aggiornamenti annuali, che contengono gli acquisti di beni e di servizi di importo unitario stimato pari o superiore a 40.000 euro. Nell'ambito del programma, le amministrazioni aggiudicatrici individuano i bisogni che possono essere soddisfatti con capitali privati. Le amministrazioni pubbliche comunicano, entro il mese di ottobre, l'elenco delle acquisizioni di forniture e servizi d'importo superiore a 1 milione di euro che prevedono di inserire nella programmazione biennale al Tavolo tecnico indicato, con pubblicazione sul profilo del committente, sul sito informatico del MIT e dell'Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. In attuazione della normativa del codice è stato adottato il D.M. 16 gennaio 2018, n. 14.

Si ricorda che disposizioni di deroga sono state dettate con l'art. 86-bis, commi 1 e 4, D.L. 17 marzo 2020, n. 18 e con l'art. 48, comma 2, del medesimo D.L. n. 18/2020, come sostituito dall'art. 109, comma 1, D.L. 19 maggio 2020, n. 34, in relazione ai specifici settori per l'emergenza Covid.

 

Il comma 2 prevede, in relazione alle procedure disciplinate dal codice dei contratti pubblici per le quali sia scaduto entro il 22 febbraio 2020 il termine per la presentazione delle offerte, che le stazioni appaltanti provvedono all’adozione dell’eventuale provvedimento di aggiudicazione entro la data del 31 dicembre 2020.

Viene fatto fermo quanto previsto dall’articolo 103 del decreto-legge Cura Italia, n. 18 del 2020, in materia di sospensione dei termini.

Si ricorda che l’articolo 103 del decreto – legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, ha disposto con efficacia retroattiva la sospensione di tutti i termini inerenti lo svolgimento di procedimenti amministrativi e dei procedimenti disciplinari pendenti alla data del 23 febbraio 2020 o iniziati successivamente a tale data, per il periodo compreso tra la medesima data e quella del 15 aprile 2020 (co. 1 e 5). La disposizione, con portata generale, prevede le sole eccezioni dei termini stabiliti da specifiche disposizioni dei decreti-legge sull’emergenza epidemiologica in corso, e dei relativi decreti di attuazione, nonché dei termini relativi a pagamenti di stipendi, pensioni, retribuzioni, emolumenti per prestazioni a qualsiasi titolo, indennità da prestazioni assistenziali o sociali comunque denominate nonché di contributi, sovvenzioni e agevolazioni alle imprese (co. 3 e 4). Rientrano nella sospensione, tra gli altri, anche i termini relativi ai processi esecutivi e alle procedure concorsuali, nonché ai termini di notificazione dei processi verbali, di esecuzione del pagamento in misura ridotta, di svolgimento di attività difensiva e per la presentazione di ricorsi giurisdizionali (co. 1-bis). Con la disposizione è stata altresì disposta la proroga della validità di tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati, a condizione che siano in scadenza tra il 31 gennaio e il 31 luglio 2020, per i successivi 90 giorni dalla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza, disposizione estesa alle SCIA e alle autorizzazioni paesaggistiche e ambientali (co. 2). Sono dettate norme ad hoc per la proroga della validità e dei termini delle convenzioni di lottizzazione e dei contratti che hanno ad oggetto l’esecuzione di lavori edili nonché altre disposizioni di sospensione di termini. Ulteriori disposizioni di proroga sono state assunte al riguardo; in particolare l'articolo 37 del decreto-legge n. 23 dell'8 aprile 2020 ha previsto che il termine del 15 aprile 2020 previsto dai commi 1 e 5 dell'art. 103 del decreto-legge n. 18 del 17 marzo 2020 è prorogato al 15 maggio 2020. Un'ulteriore proroga è stata prevista all'art. 41 del D.L. 34/2020, in materia di misure urgenti a sostegno del meccanismo dei Certificati Bianchi, con ulteriore proroga al 30 novembre 2020.

 

 

Le determinazioni dell'ANAC su sospensione dei termini e procedure di gara

 

Si segnala al riguardo che l'ANAC con Atto 09/04/2020, n. 4, ha emanato un Atto di segnalazione concernente l'applicazione dell'articolo 103, comma 1, del decreto-legge n. 18 del 17/3/2020 come modificato dal decreto-legge n. 23 del 2020 nel settore dei contratti pubblici. L'Autorità richiama l'attenzione sulle peculiarità delle procedure di gara e sulla loro rilevanza per l'economia del Paese, suggerendo la previsione di specifiche misure volte a contemperare le contrapposte esigenze di agevolare l'adempimento delle attività di competenza delle amministrazioni pubbliche, in vigenza delle misure restrittive anticontagio, e favorire la celere ripresa delle attività economiche, scongiurando la paralisi generalizzata delle attività produttive. "Tale esigenza si manifesta in maniera ancora più pregnante se si considera la recente proroga del periodo di sospensione dei termini inizialmente previsto nel decreto-legge n. 18 del 17/3/2020 e la possibilità che il ritorno alla normalità sia operato per fasi temporali differenziate", afferma la segnalazione, che evidenzia il rischio che una sospensione generalizzata delle procedure di gara - comprese le procedure negoziate in via d'urgenza e quelle (anche diverse dalle procedure negoziate) indette dagli enti del SSN a fronte di un maggiore fabbisogno - comporti un vero e proprio blocco dell'attività amministrativa, a danno degli utenti.

In ragione della circostanza che la formulazione ampia del comma 1 dell'art. 103 del d.l. n. 18/2020 (riferita a tutti i procedimenti amministrativi avviati su istanza di parte o d'ufficio) non consente, in sede interpretativa, di eccettuare dall'ambito applicativo della norma le procedure di gara né rimettere tale valutazione alle singole stazioni appaltanti (in ragione di criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, avendo riguardo alle finalità e alle caratteristiche tecniche dell'affidamento), l'Autorità Nazionale Anticorruzione ha adottato altresì la delibera n. 312 del 9 aprile 2020 con la quale sono state fornite prime indicazioni in merito all'incidenza delle misure di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19 sullo svolgimento delle procedure di evidenza pubblica di cui al  codice dei contratti pubblici e sull'esecuzione delle relative prestazioni. Con  tale delibera, l'Autorità ha evidenziato l'opportunità che le stazioni appaltanti adottino ogni misura organizzativa idonea ad assicurare comunque la ragionevole durata e la celere conclusione della procedura, compatibilmente con la situazione di emergenza in atto, valutando l'opportunità di rispettare, anche in pendenza della disposta sospensione e limitatamente alle attività di esclusiva pertinenza della stessa, i termini endoprocedimentali, finali ed esecutivi originariamente previsti, nei limiti in cui ciò sia compatibile con le misure di contenimento della diffusione del Covid-19. Infine, nella citata delibera, sono stati offerti suggerimenti anche con riferimento alla fase di esecuzione del contratto volti a scongiurare che le difficoltà operative direttamente connesse all'emergenza sanitaria potessero dar luogo all'applicazione di penali per i ritardi nell'esecuzione.

Si evidenzia che la Commissione Europea, nella Comunicazione (2020/C 108 I/01) ha individuato le opzioni e i margini di manovra possibili a norma del quadro dell'UE in materia di appalti pubblici per l'acquisto di forniture, servizi e lavori necessari per affrontare la situazione di emergenza sanitaria in atto, ritenendo gli strumenti già previsti dalle Direttive europei già idonei, di per sé, a fronteggiare le necessità correlate alla situazione contingente.

L'atto di segnalazione dell'ANAC evidenzia quindi la necessità di adottare specifiche misure in luogo di una generalizzata applicazione della sospensione dei termini disposta dai decreti-legge nn. 18 e 23 del 2020.

Con Comunicato 09/04/2020 l'ANAC ha altresì fornito indicazioni in merito all'attuazione delle misure di trasparenza di cui alla legge n. 190 del 2012, e al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, nella fase dell'emergenza epidemiologica da Covid-19 e all'attività di vigilanza e consultiva dell'ANAC, ricordando che la prevista sospensione di termini può applicarsi anche ai termini per la pubblicazione dei dati di cui alla citata normativa.

 

 

 

Il comma 3 detta disposizioni in relazione agli accordi – quadro di cui all’articolo 54 del codice, che siano efficaci alla data di entrata in vigore del presente decreto. In tal caso, le stazioni appaltanti provvedono, entro il 31 dicembre 2020, all’aggiudicazione degli appalti basati su tali accordi-quadro ovvero all’esecuzione degli stessi nei modi previsti dai commi da 2 a 6 del medesimo articolo 54. Viene previsto il vincolo dei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente e viene fatto fermo quanto previsto dal citato articolo 103 del D.L. Cura Italia.

 

L'art. 54 del Codice dei contratti pubblici disciplina gli accordi quadro. Le stazioni appaltanti possono infatti concludere accordi quadro nel rispetto delle procedure del codice; la durata di un accordo quadro non supera i quattro anni per gli appalti nei settori ordinari e gli otto anni per gli appalti nei settori speciali, salvo in casi eccezionali, debitamente motivati in relazione, in particolare, all'oggetto dell'accordo quadro.

Si ricorda che nei settori ordinari, gli appalti basati su un accordo quadro sono aggiudicati secondo le procedure previste dall'art. 54 co. 2, 3 e 4. Tali procedure sono applicabili solo tra le amministrazioni aggiudicatrici, individuate nell'avviso di indizione di gara o nell'invito a confermare interesse, e gli operatori economici parti dell'accordo quadro concluso. Gli appalti basati su un accordo quadro non comportano in nessun caso modifiche sostanziali alle condizioni fissate nell'accordo quadro. Nell'ambito di un accordo quadro concluso con un solo operatore economico, gli appalti sono aggiudicati entro i limiti delle condizioni fissate nell'accordo quadro stesso e l'amministrazione aggiudicatrice può consultare per iscritto l'operatore economico parte dell'accordo quadro, chiedendogli di completare, se necessario, la sua offerta (co. 3). Il co. 4 disciplina le modalità di esecuzione dell'accordo. Nel dettaglio, si procede: a) secondo i termini e le condizioni dell'accordo quadro, senza riaprire il confronto competitivo, se l'accordo quadro contiene tutti i termini che disciplinano la prestazione dei lavori, dei servizi e delle forniture, nonché le condizioni oggettive per determinare quale degli operatori economici parti dell'accordo quadro effettuerà la prestazione. Tali condizioni sono indicate nei documenti di gara per l'accordo quadro. L'individuazione dell'operatore economico parte dell'accordo quadro che effettuerà la prestazione avviene sulla base di decisione motivata in relazione alle specifiche esigenze dell'amministrazione; b) se l'accordo quadro contiene tutti i termini che disciplinano la prestazione dei lavori, dei servizi e delle forniture, in parte senza la riapertura del confronto competitivo, vi si procede qualora tale possibilità sia stata stabilita dall'amministrazione aggiudicatrice nei documenti di gara per l'accordo quadro. La scelta se alcuni specifici lavori, forniture o servizi debbano essere acquisiti a seguito della riapertura del confronto competitivo o direttamente alle condizioni di cui all'accordo quadro avviene in base a criteri oggettivi, che sono indicati nei documenti di gara per l'accordo quadro. Tali documenti di gara precisano anche quali condizioni possono essere soggette alla riapertura del confronto competitivo; c) riaprendo il confronto competitivo tra gli operatori economici parti dell'accordo quadro, se l'accordo quadro non contiene tutti i termini che disciplinano la prestazione dei lavori, dei servizi e delle forniture. In base al co. 5, i confronti competitivi (di cui alle lettere b) e c), del comma 4) si basano sulle stesse condizioni applicate all'aggiudicazione dell'accordo quadro, se necessario precisandole, e su altre condizioni indicate nei documenti di gara per l'accordo, secondo la procedura indicata al co. 5. Infine, il co. 6 stabilisce che, nei settori speciali, gli appalti basati su un accordo quadro sono aggiudicati in base a regole e criteri oggettivi che possono prevedere la riapertura del confronto competitivo tra gli operatori economici parti dell'accordo quadro concluso, garantendo parità di trattamento tra gli operatori economici parti dell'accordo. In base alla previsione normativa, l'ente aggiudicatore non può ricorrere agli accordi quadro in modo da eludere l'applicazione del codice o in modo da ostacolare, limitare o distorcere la concorrenza.

 

 

Il comma 4 reca disposizioni con riferimento ai lavori in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore del presente decreto.

§  Si disciplinano gli obblighi del direttore dei lavori, il quale adotta, in relazione alle lavorazioni effettuate, lo stato di avanzamento dei lavori (SAL). Si segnala che ciò avviene anche in deroga alle specifiche clausole contrattuali (lett a, co. 4).

In relazione alla scansione temporale, si prevede che:

- il SAL della direzione lavori sia fatto entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto

- il certificato di pagamento venga emesso contestualmente e comunque entro cinque giorni dall’adozione del SAL.

- il pagamento venga poi effettuato entro quindici giorni dall’emissione del certificato di pagamento.

§  Sono riconosciuti - a valere sulle somme a disposizione della stazione appaltante indicate nei quadri economici dell’intervento e, ove necessario, utilizzando anche le economie derivanti dai ribassi d’asta - i maggiori costi derivanti dall’adeguamento e dall’integrazione, da parte del coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione, del piano di sicurezza e coordinamento. Ciò in attuazione delle misure di contenimento previste per l'emergenza sanitaria da Covid-19 (lett. b).

Si richiamano in tal senso le norme sulle misure urgenti per evitare la diffusione del COVID-19 di cui agli articoli 1 e 2 del decreto – legge n. 6 del 2020 - ora abrogati -e dall’articolo 1 del decreto – legge n. 19 del 2020 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35).

Si ricorda che l'art. 1 del D.L. n. 19 reca le Misure urgenti per evitare la diffusione del COVID-19, prevedendo un'ampia serie di limitazioni e vincoli per contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, che possono essere adottate, secondo quanto previsto dal suddetto D.L. 19, per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte (fino al 31 luglio 2020, termine dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 26 del 1° febbraio 2020, e con possibilità di modularne l'applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l'andamento epidemiologico del predetto virus. Il comma 2 elenca una articolata serie di misure  che possono quindi essere adottate, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso.

Il rimborso di detti oneri avviene in occasione del pagamento del primo SAL successivo all’approvazione dell’aggiornamento del piano di sicurezza e coordinamento recante la quantificazione degli oneri aggiuntivi.

§  Si stabilisce che il rispetto delle misure di contenimento ove impedisca, anche solo parzialmente, il regolare svolgimento dei lavori ovvero la regolare esecuzione dei servizi o delle forniture costituisce causa di forza maggiore, ai sensi dell’articolo 107, comma 4, del codice dei contratti pubblici in materia di sospensione parziale dell'esecuzione (lett. c).

La disposizione di cui alla lettera c) del comma 4, fa riferimento alle misure di contenimento previste dall’articolo 1 già citato del decreto – legge n. 6 del 2020 e dall’articolo 1 del D.L. n. legge n. 19 del 2020; si aggiunge qui il riferimento alle misure di contenimento derivanti dai relativi provvedimenti attuativi delle norme indicate.

Inoltre, qualora il rispetto delle misure di contenimento impedisca di ultimare i lavori, i servizi o le forniture nel termine contrattualmente previsto, costituisce circostanza non imputabile all’esecutore ai sensi del comma 5 del citato articolo 107 ai fini della proroga del termine contrattuale, ove richiesta.

La disposizione prevede che non si applicano gli obblighi di comunicazione all’ANAC e le relative sanzioni (previste dal terzo e dal quarto periodo del comma 4 dell’articolo 107 del codice) in materia di tardiva comunicazione.

La relazione illustrativa, con riferimento alla non applicazione di tali obblighi comunicativi, evidenzia che in considerazione della qualificazione della pandemia COIVD- 19 come “fatto notorio” e della cogenza delle misure di contenimento disposte dalle competenti Autorità, non si applichino, anche in funzione di semplificazione procedimentale, gli obblighi in parola di comunicazione all’Autorità nazionale anticorruzione.

 

L'articolo 107 del Codice dei contratti pubblici reca norme sulla sospensione dell'esecuzione del contratto, prevedendo che, in tutti i casi in cui ricorrano circostanze speciali che impediscono in via temporanea che i lavori procedano utilmente a regola d'arte, e che non siano prevedibili al momento della stipulazione del contratto, il direttore dei lavori può disporre la sospensione dell'esecuzione del contratto; a tal fine, il verbale di sospensione compilato, se possibile con l'intervento dell'esecutore o di un suo legale rappresentante, reca l'indicazione delle ragioni che hanno determinato l'interruzione dei lavori, nonché dello stato di avanzamento dei lavori, delle opere la cui esecuzione rimane interrotta e delle cautele adottate affinché alla ripresa le stesse possano essere continuate ed ultimate senza eccessivi oneri, della consistenza della forza lavoro e dei mezzi d'opera esistenti in cantiere al momento della sospensione. Il verbale è inoltrato al responsabile del procedimento entro cinque giorni dalla data della sua redazione (co. 1).

In particolare, il comma 4 della disposizione - richiamato nella norma in esame- dispone, per l'ipotesi in cui successivamente alla consegna dei lavori insorgano, per cause imprevedibili o di forza maggiore, circostanze che impediscano parzialmente il regolare svolgimento dei lavori, l'esecutore è tenuto a proseguire le parti di lavoro eseguibili, mentre si provvede alla sospensione parziale dei lavori non eseguibili, dandone atto in apposito verbale. Le contestazioni dell'esecutore in merito alle sospensioni dei lavori sono iscritte a pena di decadenza nei verbali di sospensione e di ripresa dei lavori, salvo che per le sospensioni inizialmente legittime, per le quali è sufficiente l'iscrizione nel verbale di ripresa dei lavori; qualora l'esecutore non intervenga alla firma dei verbali o si rifiuti di sottoscriverli, deve farne espressa riserva sul registro di contabilità. La normativa del codice prevede, sempre al co. 4, che quando la sospensione supera il quarto del tempo contrattuale complessivo il responsabile del procedimento dà avviso all'ANAC e, in caso di mancata o tardiva comunicazione l'ANAC irroga una sanzione amministrativa alla stazione appaltante di importo compreso tra 50 e 200 euro per giorno di ritardo.

In base al comma 5 dell'art. 107, l'esecutore che per cause a lui non imputabili non sia in grado di ultimare i lavori nel termine fissato può richiederne la proroga, con congruo anticipo rispetto alla scadenza del termine contrattuale, e la sua concessione non pregiudica i diritti spettanti all'esecutore per l'eventuale imputabilità della maggiore durata a fatto della stazione appaltante. Sull'istanza di proroga decide il responsabile del procedimento, sentito il direttore dei lavori, entro trenta giorni dal suo ricevimento. L'esecutore deve ultimare i lavori nel termine stabilito dagli atti contrattuali, decorrente dalla data del verbale di consegna ovvero, in caso di consegna parziale dall'ultimo dei verbali di consegna. L'ultimazione dei lavori, appena avvenuta, è comunicata dall'esecutore per iscritto al direttore dei lavori, il quale procede subito alle necessarie constatazioni in contraddittorio. L'esecutore non ha diritto allo scioglimento del contratto né ad alcuna indennità qualora i lavori, per qualsiasi causa non imputabile alla stazione appaltante, non siano ultimati nel termine contrattuale e qualunque sia il maggior tempo impiegato.

 

Si ricorda che con Atto 29/04/2020, n. 5 l'Autorità nazionale anticorruzione ha emanato l'Atto di segnalazione concernente l'articolo 107 del codice e gli articoli 10, 14 e 23 del decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 7 marzo 2018, n. 49, nel quale si segnala l'opportunità di prevedere, nelle norme di prossima emanazione inerenti alla situazione emergenziale, una specifica indicazione che consenta alle stazioni appaltanti di emettere lo Stato di avanzamento lavori anche in deroga alle disposizioni della documentazione di gara e del contratto, limitatamente alle prestazioni eseguite sino alla data di sospensione delle attività.

 


Articolo 8, commi 5 e 6
(Modifiche agli articoli 38, 80, 83 e 183 del codice dei contratti pubblici)

 

 

L'articolo 8, comma 5, reca modifiche al codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50 del 2016. Le novelle riguardano le disposizioni sulla qualificazione delle stazioni appaltanti e centrali di committenza (art. 38 del codice), sui motivi di esclusione in relazione ad irregolarità relative al pagamento delle imposte e tasse ovvero di contributi previdenziali (art. 80), sui livelli delle coperture assicurative contro i rischi professionali richieste dalle stazioni appaltanti (art. 83), sulla finanza di progetto (art. 183). Il comma 6 dispone in ordine alla decorrenza temporale di tali modifiche.

 

 

Qualificazione di stazioni appaltanti e centrali di committenza (co. 5, lettera a))

 

Il comma 5, lett. a), modifica l'art. 38 del codice dedicato alla qualificazione delle stazioni appaltanti e centrali di committenza. Il comma 1 di tale art. 38 prevede l’istituzione, presso l'ANAC, che ne assicura la pubblicità, di un apposito elenco delle stazioni appaltanti qualificate di cui fanno parte anche le centrali di committenza. La qualificazione è conseguita in rapporto ai bacini territoriali, nonché alla tipologia e complessità del contratto e per fasce d'importo. Con la modifica in esame è stato espunto il riferimento nel testo agli "ambiti di attività" in relazione al conseguimento della qualificazione.

Si ricorda che in base all'art. 38 la qualificazione ha ad oggetto il complesso delle attività che caratterizzano il processo di acquisizione di un bene, servizio o lavoro in relazione a una serie di ambiti, indicati al comma 3 della norma (anch'esso novellato dalla disposizione in esame).

Tali ambiti sono elencati dal successivo comma 3 dell'art. 38. Essi sono, secondo la novella:

1.      capacità di progettazione;

2.      capacità di affidamento;

3.      capacità di verifica sull'esecuzione e controllo dell'intera procedura, ivi incluso il collaudo e la messa in opera.

La norma in esame ha infatti espunto il riferimento alla "capacità di programmazione" dall'ambito di attività di cui al primo punto, previsto invece dal testo previgente.

 

Secondo quanto rappresentato dalla relazione illustrativa, la modifica al comma 1 ha inteso risolvere un dubbio interpretativo della norma, in quanto il combinato disposto del comma 1 e del comma 3, prima della modifica, non chiariva se la qualificazione dovesse riguardare ogni singolo ambito di attività o dovesse essere unica per tutti gli ambiti elencati. Con la novella si intenderebbe quindi chiarire che la qualificazione è unica per tutti e tre gli ambiti. Inoltre, continua la relazione illustrativa, è stato soppresso il riferimento alla "programmazione" in quanto tale ambito di attività risulta maggiormente attinente "alla sfera politico/amministrativa di competenza dell’ente territoriale".

 

Inoltre, il nuovo comma 3-bis, introdotto dalla norma in esame, richiede alle centrali di committenza e ai soggetti aggregatori la qualificazione almeno nei primi due ambiti - inerenti         alla capacità di progettazione e alla capacità di affidamento (v. sopra punti 1 e 2) - stabilendo che le attività correlate al terzo ambito possono essere effettuate direttamente dai soggetti per i quali sono svolte le aggiudicazioni, purché qualificati almeno in tale terzo ambito.

La disposizione specifica, con una novella al comma 3 dell'articolo 38 del Codice, che è comunque fatto salvo quanto previsto dalla nuova disposizione del comma 3-bis qui introdotto.

 

Come osserva la relazione illustrativa, tale disposizione consente alle stazioni appaltanti di qualificarsi per il solo ambito inerente l’esecuzione e controllo dell'intera procedura, ivi incluso il collaudo e la messa in opera, nel caso in cui esse procedano ad affidare la gestione della progettazione e dell’affidamento del contratto a centrali di committenza, ovvero a soggetti aggregati, qualificati almeno negli ambiti inerenti la capacità di progettazione o di affidamento.

 

I criteri da utilizzare ai fini della qualificazione sono individuati da un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato ai sensi del comma 2 dell'art. 38. Una modifica prevede che tale DPCM, con il quale sono definiti i requisiti tecnico organizzativi per l'iscrizione all'elenco, sia adottato d'intesa con la Conferenza unificata, la quale nel testo finora vigente ricopriva un ruolo meramente consultivo.

 

Il DPCM è adottato su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per la semplificazione della pubblica amministrazione, sentita l'ANAC e, secondo la novella recata dalla disposizione in esame, di intesa con la Conferenza unificata.

Si ricorda, inoltre, che sono iscritti di diritto nell'elenco dei soggetti qualificati il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, compresi i Provveditorati interregionali per le opere pubbliche, CONSIP S.p.a., INVITALIA - Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa S.p.a., nonché i soggetti aggregatori regionali di cui all'articolo 9 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66.

 

Infine, ulteriori modifiche riguardano il comma 4 dell'art. 38, il quale elenca i requisiti previsti per la qualificazione suddividendoli in requisiti di base e requisiti premianti.

Tra i requisiti di base la norma in esame inserisce la disponibilità di piattaforme telematiche nella gestione di procedure di gara, contestualmente espungendola dai requisiti premianti.

Si ricorda che in base al comma 4 in parola, i requisiti sono individuati sulla base dei seguenti parametri:

a) requisiti di base, quali: 1) strutture organizzative stabili deputate agli ambiti di cui al comma 3; 2) presenza nella struttura organizzativa di dipendenti aventi specifiche competenze in rapporto alle attività di cui al comma 3; 3) sistema di formazione ed aggiornamento del personale; 4) numero di gare svolte nel quinquennio con indicazione di tipologia, importo e complessità, numero di varianti approvate, verifica sullo scostamento tra gli importi posti a base di gara e consuntivo delle spese sostenute, rispetto dei tempi di esecuzione delle procedure di affidamento, di aggiudicazione e di collaudo; 5) rispetto dei tempi previsti per i pagamenti di imprese e fornitori come stabilito dalla vigente normativa ovvero rispetto dei tempi previsti per i pagamenti di imprese e fornitori, secondo gli indici di tempestività; 5-bis) assolvimento degli obblighi di comunicazione dei dati sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture che alimentano gli archivi detenuti o gestiti dall'Autorità; 5-ter) per i lavori, adempimento a quanto previsto in materia di procedure di monitoraggio sullo stato di attuazione delle opere pubbliche, di verifica dell'utilizzo dei finanziamenti nei tempi previsti e costituzione del Fondo opere e del Fondo progetti, e dall'articolo 29, comma 3 del Codice.

La lettera b) del comma reca invece i requisiti premianti, quali:1) valutazione positiva dell'ANAC in ordine all'attuazione di misure di prevenzione dei rischi di corruzione e promozione della legalità;2) presenza di sistemi di gestione della qualità e conformità certificati; 3) disponibilità di tecnologie telematiche nella gestione di procedure di gara: requisito che viene espunto, per effetto della novella, da tale lettera; 4) livello di soccombenza nel contenzioso; 5) applicazione di criteri di sostenibilità ambientale e sociale nell'attività di progettazione e affidamento.

 

 

Motivi di esclusione (co. 5, lett. b))

 

La lettera b) modifica la disciplina dei motivi di esclusione recata dall’art. 80 del codice dei contratti pubblici. Si prevede una novella all'art. 80 del codice, il quale disciplina l'esclusione dell'operatore da parte della stazione appaltante in presenza delle irregolarità ivi indicate.

Il comma 4 dell'articolo 80 disciplina i casi di esclusione per gravi violazioni (definitivamente accertate in quanto contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione) commesse dall'operatore economico concernenti gli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse o di contributi previdenziali. La disposizione riscrive il quinto periodo del comma.

Integrando tale previsione, la novella consente alla stazione appaltante di escludere un operatore economico dalla procedura quando essa sia a conoscenza, e possa adeguatamente dimostrare, che l'operatore non abbia ottemperato ai suddetti obblighi e che tale mancato pagamento costituisca una grave violazione.

 

Si ricorda che l’articolo 80, comma 4, del Codice nel testo previgente dispone in particolare che un operatore economico è escluso dalla partecipazione ad una procedura d’appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, degli obblighi relativi al pagamento di imposte, tasse o contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui è stabilito. L’articolo 80, comma 4, precisa che costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione. Costituiscono gravi violazioni in materia contributiva e previdenziale quelle ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC) ovvero delle certificazioni rilasciate dagli enti previdenziali di riferimento non aderenti al sistema dello sportello unico previdenziale.

Il quinto periodo nella formulazione previgente dell'articolo 80 prevedeva che il comma non si applica quando l'operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, purché il pagamento o l'impegno siano stati formalizzati prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande.

 

La novella mira a superare una contestazione sollevata con la procedura di infrazione n. 2018/2273, in quanto l'art. 80, comma 4, nel testo finora vigente, non consentiva di escludere un operatore economico che ha violato gli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali qualora tale violazione, pur non essendo stata stabilita da una decisione giudiziaria o amministrativa avente effetto definitivo, possa essere comunque adeguatamente dimostrata dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore. Tale possibilità è esplicitamente previsto all’articolo 38, paragrafo 5, della direttiva 2014/23/UE.

 

Si ricorda che il comma 4 dell'articolo 80 in materia di motivi di esclusione era stato già modificato dal D.L. n. 32 del 2019 (c.d. decreto Sblocca cantieri, segnatamente dall'art. 1, comma 1, lett. n), n. 4); tale modifica non era stata confermata dalla legge di conversione (L. 14 giugno 2019, n. 55). Per approfondimenti, si veda il relativo dossier sulle disposizioni dello sblocca cantieri, poi non convertite in legge.

 

Si ricorda poi che il sopra richiamato articolo 38, paragrafo 5, primo e secondo comma, della direttiva 2014/23/UE stabilisce quanto segue:

“Le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), escludono un operatore economico dalla partecipazione a una procedura di aggiudicazione di una concessione qualora siano a conoscenza del fatto che l’operatore economico non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali e se ciò è stato stabilito da una decisione giudiziaria o amministrativa avente effetto definitivo e vincolante secondo la legislazione del paese in cui è stabilito o dello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore.

Inoltre, le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), possono escludere o possono essere obbligati dagli Stati membri a escludere dalla partecipazione a una procedura di aggiudicazione di una concessione un operatore economico se l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore può dimostrare con qualunque mezzo adeguato che l’operatore economico non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali.”

La medesima disposizione figura nell’articolo 57, paragrafo 2, primo e secondo comma, della direttiva 2014/24/UE.

 

In base alla disposizione ora in esame, l'esclusione ex comma 4 non si applica quando:

§  l'operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, ricalcandosi in ciò la normativa vigente

§  ovvero, secondo disposizione introdotta dall'articolo 8 in esame, quando il debito tributario o previdenziale sia comunque integralmente estinto

In base alla nuova formulazione, si applica tale disciplina purché l'estinzione, il pagamento o l'impegno si siano perfezionati anteriormente alla scadenza del termine per la presentazione delle domande.

Si fa notare che, rispetto alla previsione previgente, la formulazione della novella prevede il 'perfezionamento' - anziché la formalizzazione - con riferimento a tutte le fattispecie di: estinzione, pagamento o impegno; la norma previgente faceva invece riferimento al dato della formalizzazione del pagamento o dell'impegno entro il termine previsto.

Sotto tale profilo, si valuti di chiarire la formulazione della lettera b) in esame, laddove si prevede - quale esimente dalla fattispecie di esclusione dalla procedura di aggiudicazione - l'elemento del 'perfezionamento' di un impegno, al fine di chiarire in concreto i profili applicativi della norma.

 

 

Adeguatezza della copertura assicurativa (co. 5, lett. c))

 

La lett. c) dell'art. 8 in esame, modifica l'art. 83 del codice. Il comma 4 dell'art. 83 prevede che, per gli appalti di servizi e forniture, le stazioni appaltanti, nel bando di gara, possano richiedere un livello adeguato di copertura assicurativa contro i rischi professionali. Il nuovo comma 5-ter, inserito dalla norma in esame, prevede che tale valutazione sia condotta dalla stazione appaltante sulla base della polizza assicurativa contro i rischi professionali già posseduta dall’operatore economico e in corso di validità. Nel caso di polizze assicurative di importo inferiore al valore dell’appalto, le stazioni appaltanti possono richiedere che, a corredo dell’offerta, sia documentato l’impegno dell’impresa assicuratrice ad adeguare il valore della polizza assicurativa a quello dell’appalto, in caso di aggiudicazione.

 

Come osserva la relazione illustrativa, il carattere generale della disposizione previgente ha generato la prassi di richiedere una polizza assicurativa commisurata al valore dell'appalto, inducendo gli operatori a stipulare nuove polizze, al solo fine della partecipazione alla gara, per ottemperare a tali richieste delle stazioni appaltanti. Peraltro, continua la relazione, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto, anche nel quadro legislativo precedente la modifica, "che il requisito in questione possa essere soddisfatto gradualmente" (ad es. T.A.R. Brescia, sez. I, 27 febbraio 2017, n. 282, il quale ha ritenuto illogica la richiesta di produrre in sede di offerta il contratto di assicurazione per la responsabilità civile professionale con un massimale rapportato al valore dell'appalto, trattandosi di richiesta da applicare al solo aggiudicatario).

 

 

Finanza di progetto (lett. d))

 

Infine, con una modifica all'art. 183 in materia di finanza di progetto, si consente agli operatori economici di presentare, alle amministrazioni aggiudicatrici, proposte relative alla realizzazione in concessione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità, incluse le strutture dedicate alla nautica da diporto, anche se presenti negli strumenti di programmazione approvati dall'amministrazione aggiudicatrice.

Si prevede, quindi, che il progetto di fattibilità eventualmente modificato, sia inserito negli strumenti di programmazione, qualora non vi sia già presente.

I contratti di partenariato pubblico privato (PPP) sono principalmente disciplinati dal Codice dei contratti pubblici. In particolare la Parte IV del Codice reca la disciplina generale di tali istituti, mentre la Parte III contiene le norme in materia di contratti di concessione di lavori e di servizi, che costituiscono le principali forme contrattuali di PPP, in attuazione della direttiva 2014/23/UE, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione.

Si ricorda che l’articolo 180 del Codice, che specifica le caratteristiche del partenariato pubblico privato, al comma 8 include nella tipologia dei contratti di PPP la finanza di progetto; la finanza di progetto costituisce una delle modalità di finanziamento dei contratti di PPP le cui procedure di affidamento per le concessioni e gli altri contratti di PPP sono indicate all’art. 183.

In tale ambito, l’articolo 183 del Codice dei contratti pubblici disciplina due

peculiari modalità di affidamento delle concessioni di lavori e di servizi tramite finanza di progetto: a) l’affidamento di opere/servizi previsti nei documenti di programmazione dell’amministrazione aggiudicatrice (art. 183, commi 1-14); b) l’affidamento di opere/servizi non previsti nei documenti di

programmazione dell’amministrazione aggiudicatrice (art. 183, comma 15).

Si ricorda che l’art. 183, che si riferisce espressamente all’affidamento delle concessioni di lavori, è applicabile anche alle concessioni di servizi in virtù del richiamo operato dall’art. 179, comma 3 del Codice.

 

Con la novella in esame, osserva la relazione illustrativa, si intende "assicurare la migliore fattibilità dei progetti ovvero rimediare alla potenziale inerzia dell’amministrazione" riguardo alla possibilità che i progetti già inseriti negli strumenti di programmazione non siano pienamente adeguati o, se adeguati, potrebbero non essere messi a gara per inerzia. La novella prevede quindi la possibilità di presentare progetti "alternativi, migliorati e affinati" rispetto a quelli già previsti dai citati strumenti. Tale disposizione, continua la relazione, "amplia così l’ambito applicativo dell’istituto del promotore, valorizzando gli strumenti di partenariato pubblico privato nella prospettiva di una più efficiente infrastrutturazione del Paese".

 

Il comma 6 stabilisce che le novelle di cui al comma 5 si applicano alle procedure i cui bandi o avvisi di indizione sono pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge. Qualora non sia prevista la pubblicazione, le norme in esame si applicano alle procedure in cui, alla medesima data, non sono ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte o i preventivi.

 

 


Articolo 8, comma 7
(Proroga termini e modifiche al decreto-legge n. 32 del 2019)

 

 

L'articolo 8, comma 7, novella alcune disposizioni contenute nell'art. 1 del decreto-legge n. 32 del 2019. Esso proroga al 31 dicembre 2021 il termine di sospensione dell'applicazione di talune norme del codice dei contratti pubblici concernenti, rispettivamente, il divieto di c.d. appalto integrato e i criteri di selezione dei componenti delle commissioni per la valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico. Proroga al 30 novembre 2021 il termine per la presentazione al Parlamento della relazione sulle deroghe al codice previste dal D.L. n. 32 medesimo. Inoltre, proroga al 31 dicembre 2021 talune disposizioni recanti l'estensione ai settori ordinari di procedure di esame previste per i settori speciali. Ulteriori modifiche riguardano la disciplina concernente i pareri del Consiglio superiore dei lavori pubblici.

 

Il comma 7, lettera a), proroga il termine di cui all'art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 32 del 2019 (c.d. sblocca cantieri, convertito dalla legge 14 giugno 2019, n. 55), il quale, nelle more della riforma complessiva del settore e comunque nel rispetto dei principi e delle norme sancite dall'Unione europea (in particolare delle direttive su appalti e concessioni, nn. 2014/23/UE, 2014/24/UE, 2014/25/UE), dispone che fino al 31 dicembre 2021 (in luogo del 31 dicembre 2020, come previsto prima della modifica), non trovano applicazione, a titolo sperimentale, le seguenti norme del Codice dei contratti pubblici:

·        art. 37, comma 4, che disciplina le modalità con cui i comuni non capoluogo di provincia devono provvedere agli acquisti di lavori, servizi e forniture.

Tale comma 4 prevede che, qualora la stazione appaltante sia un comune non capoluogo di provincia (ferme restando le facilitazioni previste dai commi 1 e 2 dello stesso articolo 37 per gli acquisti di importo contenuto), esso proceda secondo una delle seguenti modalità:

a) ricorrendo a una centrale di committenza o a soggetti aggregatori qualificati;

b) mediante unioni di comuni costituite e qualificate come centrali di committenza, ovvero associandosi o consorziandosi in centrali di committenza nelle forme previste dall'ordinamento;

c) ricorrendo alla stazione unica appaltante costituita presso le province, le città metropolitane ovvero gli enti di area vasta.

·        art. 59, comma 1, quarto periodo, ove viene stabilito il divieto di “appalto integrato” (salvo le eccezioni contemplate nel periodo stesso), cioè il divieto di affidamento congiunto della progettazione e dell’esecuzione dei lavori.

In deroga a tale divieto, l’art. 216, comma 4-bis, del Codice, ha già introdotto una disposizione transitoria volta a prevedere la non applicazione del divieto per le opere i cui progetti definitivi risultino definitivamente approvati dall'organo competente alla data di entrata in vigore del Codice (19 aprile 2016) con pubblicazione del bando entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della disposizione (vale a dire entro il 20 maggio 2018, dato che il comma 4-bis è stato introdotto dall’art. 128 del D.Lgs. 56/2017, pubblicato nella G.U. del 5 maggio 2017 ed entrato in vigore dopo 15 giorni dalla pubblicazione, come previsto dall’art. 131 del medesimo decreto legislativo).

Si fa notare che, in relazione al tema dell’appalto integrato, erano emerse posizioni per la reintroduzione dell'istituto, nel corso delle audizioni svolte nell’ambito dell’indagine conoscitiva svolta dall’8a Commissione (Lavori pubblici) del Senato sull'applicazione del Codice dei contratti pubblici. In particolare l’ANCI ha sottolineato (v. documento consegnato nel corso dell’audizione del 12 marzo 2019) che “l’obbligo di dover andare in gara con la sola progettazione esecutiva ha rappresentato un ostacolo al percorso di crescita degli investimenti, tanto più se legato alla difficoltà di individuare risorse e figure professionali per le sole progettazioni”.

Si ricorda che nei considerando della c.d. direttiva appalti (n. 2014/24/UE) si legge che “vista la diversità degli appalti pubblici di lavori, è opportuno che le amministrazioni aggiudicatrici possano prevedere sia l'aggiudicazione separata che l'aggiudicazione congiunta di appalti per la progettazione e l'esecuzione di lavori. La presente direttiva non è intesa a prescrivere un'aggiudicazione separata o congiunta degli appalti”.

 

·        art. 77, comma 3, quarto periodo, quanto all'obbligo di scegliere i commissari tra gli esperti iscritti all'albo istituito presso l'ANAC di cui all'art. 78. Viene precisato che resta però fermo l'obbligo di individuare i commissari secondo regole di competenza e trasparenza, preventivamente individuate da ciascuna stazione appaltante.

Si ricorda, in estrema sintesi, che l’art. 77 prevede - per i casi di aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa - che la valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico sia affidata ad una commissione giudicatrice, composta da esperti nello specifico settore cui afferisce l'oggetto del contratto. A tal fine, l’art. 78 ha previsto la creazione presso l'ANAC di un Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici, al fine di rafforzare regole di garanzia, trasparenza ed imparzialità.

Nelle more dell’adozione della disciplina in materia di iscrizione all'Albo, l’art. 216, comma 12, ha disposto che “la commissione giudicatrice continua ad essere nominata dall'organo della stazione appaltante competente ad effettuare la scelta del soggetto affidatario del contratto, secondo regole di competenza e trasparenza preventivamente individuate da ciascuna stazione appaltante”.

Con le Linee Guida n. 5 dell'ANAC sono stati dettati i criteri di scelta dei commissari di gara e di iscrizione degli esperti nell’Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici e dal 10 settembre 2018 nel sito dell’ANAC è stato reso disponibile il servizio online per l’iscrizione all’albo.

Si ricorda inoltre che con Atto di segnalazione n. 1 del 9 gennaio 2019 della Autorità nazionale anticorruzione concernente la disciplina dell'Albo nazionale dei componenti delle commissioni giudicatrici di cui all'art. 77 del codice, l'ANAC aveva già segnalato al Governo e al Parlamento l'opportunità di apportare urgenti modifiche alla disciplina in tema di nomina delle commissioni giudicatrici di cui all'art. 77 del Codice. Tale modifica - ha evidenziato l'Autorità - "si rende necessaria alla luce della mancata o insufficiente iscrizione, da parte dei professionisti interessati, nelle sottosezioni dell'Albo dei commissari, circostanza che renderebbe, di fatto, non attuabile la modalità di nomina dei componenti del seggio di gara prevista dalle norme sopra richiamate".

 

 

La lettera b) proroga il termine di cui all'art. 1, comma 2, del DL n. 32 del 2019. Esso prevede che entro il 30 novembre 2021 (in luogo del 30 novembre 2020) il Governo presenti alle Camere una relazione sugli effetti della sospensione recata dal D.L. 32, qui sopra sunteggiata, al fine di consentire al Parlamento di valutare l'opportunità del mantenimento o meno della sospensione stessa.

 

La lettera c) proroga il termine di cui all'art. 1, comma 3, del DL n. 32 del 2019. Tale comma 3, come modificato, prevede che anche per i settori ordinari, fino al 31 dicembre 2021 (in luogo del 31 dicembre 2020), trovi applicazione la disposizione prevista, per i settori speciali, dall'art. 133, comma 8, del codice dei contratti pubblici, la quale consente agli enti aggiudicatori - limitatamente alle procedure aperte - di espletare l'operazione di esame delle offerte prima dell'operazione di verifica dell'idoneità degli offerenti.

Resta fermo - ai sensi dell'art. 133, comma 8 - che tale facoltà può essere esercitata se specificamente prevista nel bando di gara o nell'avviso con cui si indice la gara. Inoltre le amministrazioni aggiudicatrici che si avvalgono di tale possibilità devono garantire che la verifica dell'assenza di motivi di esclusione e del rispetto dei criteri di selezione sia effettuata in maniera imparziale e trasparente, in modo che nessun appalto sia aggiudicato a un offerente che avrebbe dovuto essere escluso oppure che non soddisfa i criteri di selezione stabiliti dall'amministrazione aggiudicatrice.

Resta salva, infine, a seguito dell'aggiudicazione, la necessità di verificare il possesso dei requisiti richiesti ai fini della stipula del contratto.

 

La lettera d), riscrive l'art. 1, comma 7, del DL n. 32 del 2019. La nuova formulazione prevede la deroga, sino al 31 dicembre 2021, delle disposizioni recate dall'art. 215, comma 3, del Codice. Si prevede, secondo la novella:

§  che siano sottoposti al parere obbligatorio del Consiglio Superiore dei Lavori pubblici (ex art. 215, co. 3, del Codice) i soli progetti di fattibilità tecnica ed economica di competenza statale (o comunque finanziati per almeno il 50% dallo Stato), di importo pari o superiore a 100 milioni;

§  che per progetti di importo da 50 a 100 milioni il parere sia reso dai comitati tecnici amministrativi (C.T.A) presso i Provveditorati interregionali per le opere pubbliche;

§  che per i lavori pubblici inferiori a 50 milioni si prescinda dal parere ex art. 215, co. 3.

Il comma 7, nel testo finora vigente elevava, fino alla data del 31 dicembre 2020, da 50 a 75 milioni di euro i limiti di importo per l'espressione del parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici; la norma faceva riferimento, al riguardo, anche ai fini dell'eventuale esercizio delle competenze alternative e dei casi di particolare rilevanza e complessità. Per importi inferiori a 75 milioni di euro si prevedeva che il parere fosse espresso dai comitati tecnici amministrativi (c.d. C.T.A.) presso i provveditorati interregionali per le opere pubbliche.

 

La RT alla disposizione ora in esame afferma come, tenuto conto dell’impatto positivo di alcune disposizioni derogatorie al codice dei contratti, introdotte in via sperimentale, si proceda con la disposizione esaminata a prorogarne alcune e modificare le soglie economiche relative al rilascio del parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici che si prevede debba essere richiesto sul progetto di fattibilità tecnica ed economica.

 

 


Articolo 8, comma 8
(Acquisto di beni per l'avvio dell'anno scolastico 2020/2021)

 

 

L'articolo 8, comma 8, affida - fino alla scadenza dello stato di emergenza - al Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19 l'acquisizione e distribuzione delle apparecchiature e dei dispositivi di protezione individuale, nonché dei beni strumentali, compresi gli arredi scolastici, per garantire l’ordinato avvio dell’anno scolastico 2020/2021 e il contrasto dell’eventuale emergenza nelle istituzioni scolastiche statali. Si provvede nel limite delle risorse a valere sul Fondo emergenze nazionali, versate su un'apposita contabilità speciale. Le procedure di affidamento possono essere anche avviate prima del trasferimento delle predette risorse alla contabilità speciale.

 

L'art. 122 del D.L. 18/2020 (L. 27/2020) prevede la nomina di un Commissario straordinario per l'attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell'emergenza epidemiologica COVID-19, definendone l'ambito delle competenze. La finalità è assicurare la più elevata risposta sanitaria all'emergenza.

Le competenze sono definite nel modo che segue:

§  organizzare, acquisire e produrre ogni genere di beni strumentali utili a contenere l'emergenza, nonché programmare e organizzare ogni attività connessa. Rientrano tra tali compiti: il reperimento delle risorse umane e strumentali necessarie; l'individuazione dei fabbisogni; l'acquisizione e distribuzione di farmaci, apparecchiature, dispositivi medici e di protezione individuale. Nell'esercizio di queste attività il Commissario può avvalersi di soggetti attuatori e di società in house nonché delle centrali di acquisto;

§  provvedere (raccordandosi con le regioni e le aziende sanitarie) al potenziamento della capienza delle strutture ospedaliere (anche mediante l'allocazione delle dotazioni infrastrutturali), con particolare riferimento ai reparti di terapia intensiva e sub-intensiva;

§  disporre la requisizione e circa la gestione di beni mobili, mobili registrati e immobili (anche tramite il Capo del Dipartimento per la protezione civile o se necessario ai prefetti territorialmente competenti);

§  adottare ogni intervento utile per preservare e potenziare le filiere produttive dei beni necessari per il contrasto e il contenimento dell’emergenza;

§  provvedere alla costruzione di nuovi stabilimenti - o alla riconversione di quelli esistenti tramite il commissariamento di rami d'azienda - per la produzione dei beni necessari per il contenimento, anche organizzando la raccolta di fondi occorrenti e definendo le modalità di acquisizione e di utilizzazione dei fondi privati destinati all’emergenza, organizzandone la raccolta e controllandone l’impiego;

§  organizzare e svolgere le attività propedeutiche alla concessione degli aiuti per far fronte all’emergenza sanitaria, da parte delle autorità competenti nazionali ed europee, nonché tutte le operazioni di controllo e di monitoraggio dell’attuazione delle misure;

§  provvedere alla gestione coordinata del Fondo di solidarietà dell’Unione europea (FSUE, di cui al regolamento (CE) 2012/2002) e delle risorse del Fondo di sviluppo e coesione destinato all’emergenza.

I provvedimenti possono essere adottati "in deroga a ogni disposizione vigente, nel rispetto della Costituzione, dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea".

Per approfondimenti, v. il dossier, sull'A.C. 2463 (conversione del D.L. 18/2020, ultima lettura parlamentare).

Con D.P.C.M. 18 marzo 2020 è stato nominato Commissario straordinario il dott. Domenico Arcuri (v. il Comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri sulla GU n.73 del 20 marzo 2020).

 

In dettaglio, si stabilisce che il suddetto Commissario straordinario procede ad acquistare e distribuire apparecchiature e dispositivi di protezione individuale, nonché i necessari beni strumentali, compresi gli arredi scolastici, utili a garantire l’ordinato avvio dell’anno scolastico 2020-2021, nonché a contenere e contrastare l’eventuale emergenza nelle istituzioni scolastiche statali. Come descritto dalla relazione illustrativa, si estendono i poteri speciali del Commissario anche agli acquisti riferiti al settore scolastico.

Tra le funzioni commissariali rientra, come si è detto, l'acquisto di beni strumentali o comunque la stipulazione di atti negoziali, volti a fronteggiare l'emergenza epidemiologica. Per tali contratti di acquisto o atti negoziali, l'art. 122, co. 8, del D.L. 18/2020 dispone che il Commissario, come i soggetti attuatori, sono esentati dall'applicazione dell'art. 29 del D.P.C.M. 22 novembre 2010, recante “Disciplina dell’autonomia finanziaria e contabile della Presidenza del Consiglio”. Si tratta della disciplina del controllo di regolarità amministrativa e contabile, interno alla Presidenza del Consiglio. Del pari è prevista, per i contratti ed atti negoziali di cui qui si tratta, altresì l'esenzione dal controllo della Corte dei conti. Sono mantenuti invece gli obblighi di rendicontazione.

 

Si afferma inoltre che il Commissario straordinario opera "fino alla scadenza dello stato di emergenza"; al riguardo si segnala anzitutto che l'art. 122, co. 4 del D.L. 18/2020 precisa invece che "il Commissario opera fino alla scadenza del predetto stato di emergenza e delle relative eventuali proroghe". Si valuti dunque una integrazione del testo.

Stante la delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, l'attuale scadenza dello stato di emergenza è fissata al 31 luglio 2020. Al riguardo, si ricorda peraltro che secondo l'art. 1, co. 1, del D.L. 19/2020 (L. 35/2020), per contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, possono essere adottate specifiche misure, per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 luglio 2020, termine dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, e con possibilità di modularne l'applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l'andamento epidemiologico del predetto virus.

 

Inoltre, potrebbe non essere chiaro se la conclusione dell'attività del Commissario straordinario in coincidenza con l'attuale scadenza dello stato di emergenza si riferisca solo all'indizione dei bandi di gara o al perfezionamento dei contratti di acquisto oppure anche alla distribuzione dei relativi beni acquistati, che potrebbe essere successiva rispetto alla suddetta data del 31 luglio 2020. Si valuti l'opportunità di un chiarimento al riguardo.

 

In ambito scolastico, il 9 luglio 2020 il Commissario straordinario ha già indetto una gara in procedura semplificata e di massima urgenza per l’acquisizione e la distribuzione di 2.000.000 kit rapidi qualitativi per l’effettuazione di test sierologici sull’intero territorio nazionale, prioritariamente destinati agli operatori scolastici. Il 20 luglio 2020 il Commissario straordinario ha indetto una ulteriore gara in procedura aperta semplificata e di massima urgenza per l’acquisizione e la distribuzione di banchi scolastici e sedute attrezzate sull’intero territorio nazionale.  

 

La disposizione in commento stabilisce che il Commissario provvede nel limite delle risorse assegnate allo scopo con delibera del Consiglio dei ministri a valere sul Fondo per le emergenze nazionali di cui all’art. 44 del d.lgs. 1/2018, recante il Codice della protezione civile. Le risorse sono versate sull’apposita contabilità speciale intestata al Commissario.

Con la delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 di dichiarazione dello stato di emergenza sono stati stanziati 5 milioni di euro a valere sul Fondo per le emergenze nazionali. Con delibera 6 aprile 2020 e con delibera 20 aprile 2020 sono stati previsti ulteriori stanziamenti in favore del Commissario straordinario a valere sul suddetto Fondo, pari, rispettivamente, a 450 milioni di euro e a 900 milioni di euro. Successivamente, l'art. 18, co. 3, del D.L. 18/2020 ha incrementato, per l'anno 2020, il suddetto Fondo di 1.650 milioni di euro. L'art. 14, co. 1, del D.L. 34/2020 ha nuovamente incrementato, per l'anno 2020, il suddetto Fondo di 1.500 milioni di euro, di cui 1.000 milioni di euro da destinare agli interventi di competenza del Commissario straordinario per l'emergenza, da trasferire sull'apposita contabilità speciale ad esso intestata.

 

Si specifica poi che le procedure di affidamento dei contratti pubblici possono essere avviate dal Commissario anche precedentemente al trasferimento alla contabilità speciale delle suddette risorse.


Articolo 8, comma 9
(Piani di riorganizzazione della rete ospedaliera e della rete assistenziale territoriale)

 

 

Il comma 9 consente al Commissario straordinario, preposto al rafforzamento della risposta sanitaria all'emergenza da Covid-19, di avviare le procedure di affidamento dei contratti pubblici necessari per dare attuazione ai piani di riorganizzazione della rete ospedaliera e della rete assistenziale territoriale, anche prima che siano disponibili gli importi a tal fine autorizzati nella contabilità speciale intestata al medesimo Commissario straordinario.

 

L'articolo 122 del decreto-legge n. 18 del 2020 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2020) prevede la nomina di un Commissario straordinario per l'attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell'emergenza epidemiologica COVID-19, definendone l'ambito delle competenze. La finalità è assicurare la più elevata risposta sanitaria all'emergenza.

Le competenze sono definite nel modo che segue:

§  organizzare, acquisire e produrre ogni genere di beni strumentali utili a contenere l'emergenza, nonché programmare e organizzare ogni attività connessa. Rientrano tra tali compiti: il reperimento delle risorse umane e strumentali necessarie; l'individuazione dei fabbisogni; l'acquisizione e distribuzione di farmaci, apparecchiature, dispositivi medici e di protezione individuale. Nell'esercizio di queste attività il Commissario può avvalersi di soggetti attuatori e di società in house nonché delle centrali di acquisto;

§  provvedere (raccordandosi con le regioni e le aziende sanitarie) al potenziamento della capienza delle strutture ospedaliere (anche mediante l'allocazione delle dotazioni infrastrutturali), con particolare riferimento ai reparti di terapia intensiva e sub-intensiva;

§  disporre la requisizione e la gestione di beni mobili, mobili registrati e immobili (anche tramite il Capo del Dipartimento per la protezione civile o se necessario ai prefetti territorialmente competenti);

§  adottare ogni intervento utile per preservare e potenziare le filiere produttive dei beni necessari per il contrasto e il contenimento dell’emergenza;

§  provvedere alla costruzione di nuovi stabilimenti - o alla riconversione di quelli esistenti tramite il commissariamento di rami d'azienda - per la produzione dei beni necessari per il contenimento, anche organizzando la raccolta di fondi occorrenti e definendo le modalità di acquisizione e di utilizzazione dei fondi privati destinati all’emergenza, organizzandone la raccolta e controllandone l’impiego;

§  organizzare e svolgere le attività propedeutiche alla concessione degli aiuti per far fronte all’emergenza sanitaria, da parte delle autorità competenti nazionali ed europee, nonché tutte le operazioni di controllo e di monitoraggio dell’attuazione delle misure;

§  provvedere alla gestione coordinata del Fondo di solidarietà dell’Unione europea (FSUE, di cui al regolamento (CE) 2012/2002) e delle risorse del Fondo di sviluppo e coesione destinato all’emergenza.

 

Per approfondimenti, v. il dossier, sull'A.C. 2463 (conversione del DL n. 18, ultima lettura parlamentare).

 

Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è stato nominato Commissario straordinario il dott. Domenico Arcuri (v. il Comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri sulla GU n.73 del 20 marzo 2020).

 

Si ricorda che, in ragione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, l’articolo 1 del decreto-legge n. 34 del 2020 ("Decreto Rilancio", convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77 del 2020) prevede che, per il 2020, le regioni e le province autonome adottino piani di potenziamento e riorganizzazione della rete assistenziale, recanti specifiche misure di identificazione e gestione dei contatti con soggetti positivi al virus COVID-19 e di organizzazione dell'attività di sorveglianza attiva, indirizzate a un monitoraggio costante e a un tracciamento precoce dei casi positivi e dei suddetti contatti, ai fini della relativa identificazione, dell'isolamento e del trattamento.

L'articolo 2 dello stesso decreto-legge n. 34 del 2020 è inteso alla realizzazione di un rafforzamento strutturale della rete ospedaliera del Servizio sanitario nazionale, mediante l'adozione, da parte di ogni regione o provincia autonoma, di un piano di riorganizzazione stabile che garantisca l'incremento di attività in regime di ricovero in terapia intensiva e in aree di assistenza ad alta intensità di cure. In particolare, si prevede che: sia reso strutturale sul territorio nazionale un incremento nella misura di almeno 3.500 posti letto di terapia intensiva; le regioni e le province autonome programmino una riqualificazione di 4.225 posti letto di area semi-intensiva, con relativa dotazione impiantistica idonea a supportare le apparecchiature di ausilio alla ventilazione, prevedendo che tali postazioni siano fruibili sia in regime ordinario sia in regime di trattamento infettivologico ad alta intensità di cure; in via aggiuntiva, fino al 31 dicembre 2020 e in ogni caso per un periodo massimo di 4 mesi dalla data di attivazione, si rendano disponibili 300 posti letto di terapia intensiva, suddivisi in 4 strutture movimentabili, ciascuna delle quali dotata di 75 posti letto, da allocare in aree attrezzabili preventivamente individuate da parte di ciascuna regione e provincia autonoma.

Per approfondimenti, v. il dossier sull'A.S. 1874 (conversione del DL n. 34, ultima lettura parlamentare).

 

 

 


Articolo 8, comma 10
(Validità dei documenti unici di regolarità contributiva)

 

 

Il comma 10 dell'articolo 8 prevede che la proroga della validità dei documenti unici di regolarità contributiva - DURC, già stabilita dalla legislazione vigente per quelli in scadenza tra il 31 gennaio 2020 e il 31 luglio 2020, non sia applicabile quando sia richiesto di produrre il DURC - oppure di dichiararne il possesso o comunque quando sia necessario indicare, dichiarare o autocertificare la regolarità contributiva - ai fini della selezione del contraente o per la stipulazione del contratto relativamente a lavori, servizi o forniture previsti o in qualunque modo disciplinati dal presente decreto-legge.

 

La proroga di validità del DURC a cui fa riferimento il presente comma 10 è posta dalla norma più ampia di cui all'art. 103, comma 2, del decreto-legge n. 18 del 2020 ("Cura Italia", convertito dalla legge n. 27 del 2020). Quest'ultima[8] prevede che tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi, comunque denominati, compresi i termini di inizio e di ultimazione dei lavori, in scadenza tra il 31 gennaio 2020 e il 31 luglio 2020, conservino la loro validità per i novanta giorni successivi alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19.

Si ricorda che quest'ultimo stato di emergenza è stato dichiarato fino al 31 luglio 2020 dalla delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020.

 

Si ricorda che l'art. 1, co. 1175, della legge finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006), ha disposto che, a decorrere dal 1° luglio 2007, i benefìci normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale sono subordinati al possesso, da parte dei datori di lavoro, del documento unico di regolarità contributiva, fermi restando gli altri obblighi di legge ed il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali, nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti.

Il D.M. 30 gennaio 2015, richiamato dal comma in esame, reca la disciplina relativa al DURC.


Articolo 8, comma 11
(Regolamento attuativo settori difesa e sicurezza)

 

 

Il comma 11 dell'articolo 8 prevede che con regolamento, da emanarsi entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione, sia definita la disciplina esecutiva, attuativa e integrativa delle disposizioni concernenti le materie di cui al decreto legislativo n. 208 del 2011 relativo ai lavori, servizi e forniture nei settori della difesa e sicurezza. Il regolamento è adottato su proposta del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e acquisiti i pareri del Consiglio superiore dei lavori pubblici e del Consiglio di Stato.

 

Il comma 11 interviene sull’articolo 4 del decreto legislativo 15 novembre 2011, n. 208, che disciplina gli appalti nei settori della difesa e sicurezza, riscrivendone il comma 1.

 

Il decreto legislativo n. 208 del 2011 reca la Disciplina dei contratti pubblici relativi ai lavori, servizi e forniture nei settori della difesa e sicurezza, in attuazione della direttiva 2009/81/CE.

In particolare, l'art. 4, in materia di regolamenti, prevedeva che con D.P.R. (la norma prevedeva un regolamento, da emanarsi con decreto del Presidente della Repubblica, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo), su proposta del Ministro della difesa, di concerto con i Ministri per le politiche europee, degli affari esteri, delle infrastrutture e dei trasporti, dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze, acquisito il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, sentito il Consiglio di Stato, che si pronuncia entro quarantacinque giorni dalla richiesta, fosse definita la disciplina esecutiva e attuativa delle disposizioni concernenti le materie di cui all'articolo 2, comma 1, lettere a), c) ed e), limitatamente agli istituti che richiedono una disciplina speciale rispetto a quella contenuta nei regolamenti di esecuzione previsti ai sensi delle disposizioni del codice. In attuazione di tale previsione, è stato adottato il D.P.R. 13 marzo 2013, n. 49, recante il Regolamento per la disciplina delle attività del Ministero della difesa in materia di lavori, servizi e forniture militari.

 

 

Il nuovo testo prevede che con regolamento, da emanarsi con decreto del Presidente della Repubblica, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione, su proposta del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, acquisiti i pareri del Consiglio superiore dei lavori pubblici e del Consiglio di Stato, che si pronuncia entro quarantacinque giorni dalla richiesta, sia definita la disciplina esecutiva, attuativa e integrativa delle disposizioni concernenti le materie di cui all'articolo 2, comma 1, lettere a), c) ed e), del D. Lgs. relativo ai lavori, servizi e forniture nei settori della difesa e sicurezza.

 

Si ricorda che l'art. 2 della normativa in questione in materia di finalità e ambito di applicazione, dispone che il decreto legislativo disciplini i contratti nei settori della difesa e della sicurezza, anche non militare, aventi per oggetto:

a) forniture di materiale militare e loro parti, di componenti o di sottoassiemi;

b) forniture di materiale sensibile e loro parti, di componenti o di sottoassiemi;

c) lavori, forniture e servizi direttamente correlati al materiale di cui alla lettera a), per ognuno e per tutti gli elementi del suo ciclo di vita;

d) lavori, forniture e servizi direttamente correlati al materiale di cui alla lettera b), per ognuno e per tutti gli elementi del suo ciclo di vita;

e) lavori e servizi per fini specificatamente militari;

f) lavori e servizi sensibili.

 

Rispetto al testo vigente prima del decreto-legge in esame, viene meno - nella nuova previsione - il concerto con i seguenti Ministri:

-         il Ministro per le politiche europee

-         il Ministro degli esteri

-         il Ministro dello sviluppo economico

-         il Ministro dell'economia e delle finanze.

Inoltre, il regolamento recherà non solo la disciplina esecutiva e attuativa - come già previsto - ma anche la disciplina integrativa delle disposizioni concernenti le materie di cui all'articolo 2, comma 1, lettere a), c) ed e), del D. Lgs. in parola.

La disposizione prevede che l'adozione di tale regolamentazione esecutiva, attuativa e integrativa sia anche "in relazione alle disposizioni del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, applicabili al presente decreto".

Si valuti l’opportunità di chiarire la formulazione della disposizione in esame, atteso che il decreto-legge in esame appare recare un quadro di disposizioni speciali rispetto alla disciplina del codice dei contratti pubblici, piuttosto che delineare una serie di disposizioni del codice che si applicano al presente decreto.

 

 

 

 


Articolo 9
(Misure di accelerazione degli interventi infrastrutturali - Commissari straordinari)

 

 

L’articolo 9 reca una serie di disposizioni finalizzate: alla revisione, all’ampliamento e alla proroga della disciplina dei commissari previsti dal decreto “sblocca cantieri” (comma 1); alla ridefinizione delle possibilità di avvalimento per la progettazione e l’esecuzione di interventi di mitigazione del rischio idrogeologico (comma 2); all’attribuzione dei poteri dei commissari “sblocca cantieri” a tutti i commissari per opere pubbliche o infrastrutture, salvo alcune eccezioni indicate (comma 3).

 

Disciplina dei commissari “sblocca cantieri” (comma 1)

 

Il comma 1 dell’articolo in esame apporta una serie di modifiche e integrazioni alla disciplina dei commissari straordinari introdotta dai commi 1-5 dell’art. 4 del D.L. 32/2019 (c.d. decreto sblocca cantieri).

L’art. 4, commi 1-5, del decreto-legge “sblocca cantieri” ha introdotto e disciplinato una procedura per l'individuazione degli interventi infrastrutturali ritenuti prioritari nonché per la nomina dei Commissari straordinari onde garantirne la celere realizzazione. In particolare, il comma 1 del citato articolo prevede che l'individuazione degli interventi infrastrutturali ritenuti prioritari avvenga con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministro dell'economia e delle finanze e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari) e che, per tali interventi, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministro dell'economia e delle finanze, dispone la nomina di uno o più Commissari straordinari. Lo stesso comma consente altresì l'emanazione di ulteriori D.P.C.M., con le stesse modalità testè richiamate ed entro il 31 dicembre 2020, con cui il Presidente del Consiglio dei ministri può individuare ulteriori interventi prioritari per i quali disporre la nomina di Commissari straordinari.

I poteri e le attribuzioni dei Commissari sono disciplinati dai successivi commi 2-5. Il comma 2, in particolare, consente ai Commissari di derogare, per l'approvazione dei progetti, a norme di natura amministrativa, fatte salve quelle inerenti alle discipline di natura ambientale e di tutela dei beni culturali, mentre il comma 3 dispone, tra l’altro, che, per l'esecuzione degli interventi, i Commissari straordinari possono essere abilitati ad assumere direttamente le funzioni di stazione appaltante e operano in deroga alle disposizioni di legge in materia di contratti pubblici, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'UE.

Il comma 4 prevede, tra l’altro, che i Commissari straordinari operino in raccordo con InvestItalia, anche con riferimento alla sicurezza delle dighe e delle infrastrutture idriche, e trasmettano al CIPE, in relazione ai progetti approvati, il cronoprogramma dei lavori e il relativo stato di avanzamento. Lo stesso comma estende le modalità e le deroghe previste (fatta eccezione per i procedimenti di tutela di beni culturali e paesaggistici) anche agli interventi dei Commissari straordinari per il dissesto idrogeologico in attuazione del Piano nazionale contro il dissesto, di cui al D.P.C.M. 20 febbraio 2019, e ai Commissari per l'attuazione degli interventi idrici di cui all'art. 1, comma 153, della legge 145/2018.

Il comma 5 prevede che, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri sono stabiliti i termini, le modalità, le tempistiche, l'eventuale supporto tecnico, le attività connesse alla realizzazione dell'opera, e il compenso per i Commissari straordinari, i cui oneri sono posti a carico dei quadri economici degli interventi da realizzare o completare. Lo stesso comma prevede che i compensi dei Commissari sono stabiliti in misura non superiore a quella indicata all'art. 15, comma 3, del D.L. 98/2011 e che gli stessi commissari possono avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di strutture dell'amministrazione centrale o territoriale interessata nonché di società controllate dallo Stato o dalle Regioni.

 

 

La lettera a) del comma 1 provvede a riscrivere il comma 1 dell’art. 4 del D.L. 32/2019, ove viene disciplinata la procedura per addivenire all’individuazione degli interventi da commissariare e alla nomina dei relativi commissari, al fine di prevedere:

·      la proroga dei termini per l’emanazione dei decreti di individuazione degli interventi e di nomina dei relativi commissari;

Il termine per l’emanazione dei primi decreti di domina, scaduto inutilmente nel dicembre 2019 (vale a dire centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 32/2019), viene differito al 31 dicembre 2020, mentre il termine per l’adozione di ulteriori decreti di nomina, fissato al 31 dicembre 2020[9], viene prorogato al 30 giugno 2021.

·      la modifica degli interventi infrastrutturali oggetto di commissariamento;

A differenza del testo previgente, che prevede la nomina di commissari straordinari per gli interventi infrastrutturali ritenuti prioritari, il nuovo testo risultante dalla riscrittura operata dalla lettera in esame fa riferimento agli interventi infrastrutturali caratterizzati da un elevato grado di complessità progettuale, da una particolare difficoltà esecutiva o attuativa, da complessità delle procedure tecnico-amministrative o comportanti un rilevante impatto sul tessuto socio-economico a livello nazionale, regionale o locale, per la cui realizzazione o completamento si rende necessario la nomina di uno o più Commissari straordinari.

Si fa notare che nella seduta dell’Assemblea del Senato del 13 febbraio 2020, in risposta all'interrogazione 3-01385, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ha evidenziato che “lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di individuazione delle opere da commissariare e di nomina dei commissari è stato già predisposto e nei prossimi giorni sarà inviato alla Presidenza del Consiglio dei ministri per il relativo iter previsto dalla legge” e che tale decreto riguarda “ventuno opere prioritarie che, per la complessità delle procedure o per i riflessi sul territorio nonché per le implicazioni occupazionali, richiedono una gestione commissariale speciale capace di accelerarne la realizzazione. Si tratta di sette opere in ambito ferroviario; otto opere in ambito idrico, di cui cinque per la messa in sicurezza e tre per il completamento delle opere idriche; e sei per le opere infrastrutturali stradali”.

Lo stesso Ministro, in risposta all’interrogazione 3-01500, nella seduta dell’Assemblea della Camera del 29 aprile 2020, ha affermato di aver “proposto nel prossimo decreto-legge in materia di semplificazioni apposite misure di accelerazione della spesa, che prevedono anche l'individuazione di 29 opere, che sono però caratterizzate non tanto da una priorità, perché le opere strategiche sono tutte in corso e, peraltro, in molti casi, in stato avanzato, ma sono caratterizzate da un elevato grado di complessità progettuale, da una particolare difficoltà esecutiva o attuativa oppure da complessità delle procedure tecnico-amministrative, con rilevante impatto sul tessuto socio-economico del territorio.”

·      l’eliminazione dell’obbligatorietà del parere delle Commissioni parlamentari;
Viene infatti previsto che tale parere deve essere reso entro 15 giorni dalla richiesta e che, decorso inutilmente tale termine, si prescinde dall’acquisizione del parere stesso.

·      l’intesa con il Presidente della Regione interessata, al fine dell’adozione dei succitati decreti di nomina, nel caso di interventi infrastrutturali di rilevanza esclusivamente regionale o locale.

Si fa notare che tale disposizione consente di accogliere quanto richiesto dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome con l’ordine del giorno approvato nella seduta del 25 luglio 2019. Con tale ordine del giorno la Conferenza ha ribadito “la richiesta di riconoscere i Presidenti di Regioni quali commissari straordinari” e “comunque la necessità che le singole Regioni siano debitamente coinvolte nella nomina dei commissari straordinari di cui all’”art.4 del D.L. 18 aprile 2019, n. 32”.

·      l’identificazione degli interventi di cui all’art. 4 del D.L. 32/2019 con i corrispondenti codici unici di progetto (CUP) relativi all’opera principale e agli interventi ad essa collegati.

Il Codice Unico di Progetto (CUP) è il codice che identifica un progetto d’investimento pubblico ed è lo strumento cardine per il funzionamento del Sistema di Monitoraggio degli Investimenti Pubblici (MIP).

L’art. 11 della legge 3/2003 prevede l’obbligatorietà del CUP per “ogni nuovo progetto di investimento pubblico, nonché ogni progetto in corso di attuazione”.

 

 

La lettera b) del comma 1 provvede a riscrivere il comma 3 dell’art. 4 del D.L. 32/2019, ove sono disciplinati i poteri attribuiti ai commissari, al fine di:

·      limitare i poteri di deroga in materia di contratti pubblici. Viene infatti precisato che la possibilità, per i commissari, di operare in deroga alle disposizioni di legge in materia di contratti pubblici (già contemplata dal testo previgente), non può pregiudicare il rispetto dei seguenti principi previsti dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici):

-   i principi per l'aggiudicazione e l'esecuzione di appalti e concessioni fissati dall’art. 30;

-   i criteri di sostenibilità energetica e ambientale contemplati dall’art. 34;

-   le disposizioni sui conflitti di interesse recate dall’art. 42.

Viene inoltre confermato, quale limite da non oltrepassare nell’operare in deroga alla normativa sui contratti pubblici, quanto già previsto dal testo previgente in relazione alle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione.

·      precisare, in relazione ai vincoli derivanti dal diritto europeo, che non è sufficiente rispettare i vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'UE (come previsto dal testo previgente) ma occorre anche rispettare quelli derivanti dalle direttive europee in materia di appalti (vale a dire le direttive nn. 2014/24/UE e 2014/25/UE) e le norme in materia di subappalto;

·      prevedere che, per l’esercizio delle funzioni di stazione appaltante (già attribuite ai commissari dal testo previgente e confermate dalla riscrittura in esame) con i poteri derogatori testé menzionati, i commissari straordinari provvedono anche a mezzo di ordinanze.

 

 

La lettera c) del comma 1 introduce un nuovo comma 3-bis all’art. 4 del D.L. 32/2019, al fine di:

·      autorizzare l’apertura di apposite contabilità speciali intestate ai commissari, su cui confluiscono le risorse per le spese di funzionamento e di realizzazione degli interventi nel caso svolgano le funzioni di stazione appaltante;

Si fa notare che tale disposizione è analoga a quella introdotta dall’art. 16, comma 1-bis, del D.L. 162/2019. La richiamata disposizione, al fine di consentire l'immediata operatività dei Commissari straordinari nominati ai sensi dell'articolo 4 del D.L. 32/2019, ha infatti previsto che con il decreto di nomina di ciascun Commissario straordinario (verificata la sussistenza dei requisiti di cui all'articolo 44-ter, comma 8, della legge 31 dicembre 2009, n. 196) è autorizzata l'apertura di apposita contabilità speciale intestata al Commissario straordinario, nella quale confluiscono le risorse allo stesso assegnate.

Ciò premesso, si valuti l’opportunità di un coordinamento delle disposizioni in questione.

·      introdurre una serie di disposizioni di carattere contabile, in base alle quali:
- il Commissario predispone e aggiorna, mediante apposito sistema reso disponibile dal Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, il cronoprogramma dei pagamenti degli interventi in base al quale le amministrazioni competenti, ciascuna per la parte di propria competenza, assumono gli impegni pluriennali di spesa a valere sugli stanziamenti iscritti in bilancio riguardanti il trasferimento di risorse alle contabilità speciali;
- conseguentemente il Commissario, nei limiti delle risorse impegnate in bilancio, può avviare le procedure di affidamento dei contratti anche nelle more del trasferimento delle risorse sulla contabilità speciale.
- gli impegni pluriennali possono essere annualmente rimodulati con la legge di bilancio in relazione agli aggiornamenti del cronoprogramma dei pagamenti nel rispetto dei saldi di finanza pubblica.

 
- le risorse destinate alla realizzazione degli interventi sono trasferite, previa tempestiva richiesta del Commissario, alle amministrazioni competenti, sulla contabilità speciale sulla base degli stati di avanzamento dell’intervento comunicati al Commissario;

·      introdurre una serie di disposizioni volte a regolare il controllo dei provvedimenti e dell’attività dei commissari.

Il nuovo comma 3-bis prevede infatti la sottoposizione al controllo preventivo della Corte dei conti, nonché alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, dei provvedimenti di natura regolatoria, ad esclusione di quelli di natura gestionale, adottati dai commissari.

 

Il controllo preventivo di legittimità, rappresenta un’attività volta a verificare la conformità dell’agire provvedimentale della pubblica amministrazione rispetto a parametri di legalità. Nel controllo preventivo, tale verifica interviene in una fase antecedente alla produzione degli effetti dell’atto e il cui esito determina, in caso positivo, la registrazione dell’atto con apposizione del visto e, in caso negativo, la ricusazione del visto. Dal momento dell’apposizione del visto e della registrazione (anche con riserva) l’atto acquista efficacia, cioè produce effetti giuridici.

Quanto all’ambito di applicazione oggettivo, l’articolo 100, comma secondo, della Costituzione, attribuisce alla Corte dei conti il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo. La Corte dei conti, in base alla Costituzione, accerta che gli atti soggetti a controllo siano conformi a norme di legge, in particolare a quelle del bilancio.

Con la riforma del sistema dei controlli introdotta dalla legge n. 20/1994 il legislatore ha previsto un’elencazione tassativa degli atti dell’Esecutivo da assoggettare a controllo preventivo di legittimità (art. 3, comma 1). Successive norme speciali hanno esteso l’ambito di applicazione del controllo per singole tipologie di atti.

 

Viene altresì prevista l’applicazione dell'articolo 3, comma 1-bis, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 e il dimezzamento dei termini di cui all'articolo 27, comma 1, della legge 24 novembre 2000, n. 340.

Viene inoltre stabilito che, in ogni caso, durante lo svolgimento della fase del controllo, l'organo emanante può, con motivazione espressa, dichiararli provvisoriamente efficaci, esecutori ed esecutivi, a norma degli articoli 21-bis, 21-ter e 21-quater, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.

 

La disposizione richiama le relative norme della legge generale sul procedimento amministrativo (L. 241 del 1990):

-       l’articolo 21-bis sull’efficacia, cioè la possibilità di produrre gli effetti giuridici;

-       l’articolo 21-ter sull’esecutorietà, ossia la capacità dell’atto amministrativo di imporsi unilateralmente nella sfera giuridica dei terzi, anche con l’eventuale impiego di mezzi coattivi;

-       l’articolo 21-quater sull’esecutività, che rappresenta la possibilità di porre in essere le attività materiali che danno esecuzione al provvedimento.

 

L’ultimo periodo del comma aggiuntivo di cui trattasi dispone che il monitoraggio degli interventi effettuati dai Commissari straordinari avviene sulla base di quanto disposto dal d.lgs. 229/2011, recante norme in materia di procedure di monitoraggio sullo stato di attuazione delle opere pubbliche, di verifica dell'utilizzo dei finanziamenti nei tempi previsti e costituzione del Fondo opere e del Fondo progetti.

 

La lettera d) del comma 1 riscrive il comma 4 dell’art. 4 del D.L. 32/2019, al fine di:

·      imporre ai commissari non solo la trasmissione al CIPE dei progetti approvati, del cronoprogramma dei lavori e del relativo stato di avanzamento, come già previsto dal testo previgente, ma anche del quadro economico degli interventi;

·      precisare che la trasmissione di tali informazioni deve avvenire per il tramite del Ministero competente;

·      precisare altresì che le informazioni citate devono essere rilevate attraverso il sistema di monitoraggio di cui al d.lgs. n. 229 del 2011;

·      modificare la disposizione, contenuta nell’ultimo periodo del comma 4, che nel testo previgente estende l’applicazione delle modalità e delle deroghe previste dal comma 2 (ad eccezione di quanto ivi previsto per i procedimenti relativi alla tutela di beni culturali e paesaggistici) e dal comma 3, anche agli interventi dei Commissari straordinari per il dissesto idrogeologico in attuazione del Piano nazionale di cui al D.P.C.M. 20 febbraio 2019, e ai Commissari per l'attuazione degli interventi idrici di cui all'articolo 1, comma 153, della legge 145/2018.
Una prima modifica è volta a precisare che l’estensione opera anche riguardo a quanto stabilito dal nuovo comma 3-bis, nonché relativamente alla possibilità di avvalersi di assistenza tecnica nell’ambito del quadro economico dell’opera.
Una seconda modifica è invece volta ad ampliare il novero dei commissari beneficiari dell’estensione di poteri e facoltà di cui trattasi, includendovi anche:
- il Commissario unico nazionale per la depurazione di cui all’art. 2, comma 1, del D.L. 243/2016 e all’art. 5, comma 6, del D.L. 111/2019;
Con il D.P.C.M. 26 aprile 2017, emanato ai sensi dell'art. 2 del D.L. 243/2016, il prof. Enrico Rolle è stato nominato Commissario straordinario unico per il coordinamento e la realizzazione degli interventi funzionali a garantire l'adeguamento, nel minor tempo possibile, alle sentenze di condanna della Corte di giustizia dell'UE in materia di collettamento, fognatura e depurazione delle acque reflue. Successivamente, l’art. 4-septies, comma 1, del D.L. 32/2019 (cd. “sblocca cantieri”), al fine di evitare l'aggravamento delle procedure di infrazione in corso nella stessa materia (n. 2014/2059 e n. 2017/2181), ha attribuito al Commissario unico compiti di coordinamento e realizzazione di interventi funzionali volti a garantire l'adeguamento, nel minor tempo possibile, alla normativa dell'Unione europea dei siti indicati dalle due nuove procedure di infrazione.


L’art. 5, comma 6, del D.L. 111/2019, ha poi previsto la nomina, con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di un nuovo Commissario unico – al fine di accelerare la progettazione e la realizzazione degli interventi di collettamento, fognatura e depurazione di cui all’art. 2 del D.L. 243/2016 e degli ulteriori interventi previsti all’art. 4-septies, comma 1, del D.L. 32/2019 – che subentra in tutte le situazioni giuridiche attive e passive del precedente Commissario nominato con il citato D.P.C.M. 26 aprile 2017, che cessa dal proprio incarico alla data di nomina del nuovo Commissario.
In attuazione di tale disposizione è stato emanato il
D.P.C.M. 11 maggio 2020, con cui si è provveduto alla nomina del prof. Maurizio Giugni a commissario unico e di Stefano Vaccari e Riccardo Costanza a subcommissari.
-
i Commissari per la bonifica dei siti di interesse nazionale (SIN) di cui all’art. 252 del d.lgs. 152/2006 (c.d. Codice dell’ambiente).

L’art. 252 del D.Lgs. 152/2006 disciplina l'individuazione dei siti inquinati di interesse nazionale (SIN), per i quali la procedura di bonifica adottata è quella ordinaria, come prevede l'art. 242 del medesimo decreto, con la competenza in capo al Ministero dell'ambiente, sentito il Ministero dello sviluppo economico. Il numero dei SIN, in seguito all'approvazione del comma 245 della legge di stabilità 2018 (L. 205/2017), che ha qualificato come sito di interesse nazionale il sito Officina Grande Riparazione ETR di Bologna, è pari a 41.

Nella relazione sulle bonifiche nei siti di interesse nazionale, approvata nella scorsa legislatura dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (Doc. XXIII, n. 50), per ogni SIN è presente una scheda informativa che dà conto, tra l’altro, dell’eventuale nomina di commissari.

 

La lettera e) del comma 1 riscrive il comma 5 dell’art. 4 del D.L. 32/2019 – che nel testo previgente demanda ad uno più D.P.C.M. la definizione dei termini, delle modalità, delle tempistiche, dell'eventuale supporto tecnico, delle attività connesse alla realizzazione dell'opera e del compenso per i commissari straordinari, e precisa che i relativi oneri sono posti a carico dei quadri economici degli interventi – al fine di:

·      precisare che i decreti in questione sono gli stessi decreti di nomina previsti e disciplinati dal comma 1;

·      stabilire che nei citati decreti deve essere indicata la quota percentuale del quadro economico degli interventi eventualmente da destinare alle spese di supporto tecnico e al compenso per i commissari;

·      modificare la parte della disposizione che prevede che i commissari possono avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di strutture dell'amministrazione centrale o territoriale interessata nonché di società controllate dallo Stato o dalle Regioni, al fine di:
- precisare che tale avvalimento è possibile per il supporto tecnico e le attività connesse alla realizzazione dell’opera;
- stabilire che i commissari possono avvalersi anche di società controllate da “amministrazioni pubbliche” (come definite dall’art. 1, comma 2, della legge 196/2009);
- precisare che il controllo societario (da parte dello Stato, delle Regioni o delle amministrazioni pubbliche) può essere diretto o indiretto;
- precisare che gli oneri per l’avvalimento sono posti a carico dei quadri economici degli interventi da realizzare o completare nell’ambito della percentuale definita come sopra;

·      introdurre una disposizione che consente ai Commissari straordinari di provvedere alla nomina di un sub-commissario e che ne disciplina il relativo compenso, prevedendo che lo stesso (in linea con quanto già previsto dal testo previgente per i commissari) non può superare la misura prevista dall’art. 15, comma 3, del D.L. 98/2011 ed è posto a carico del quadro economico dell’intervento da realizzare, nell’ambito della quota percentuale di cui sopra.

 

Possibilità di avvalimento per la progettazione e l’esecuzione di interventi di mitigazione del rischio idrogeologico (comma 2)

 

Il comma 2 reca una modifica puntuale al comma 4 dell’art. 7 del D.L. 133/2014 – che consente ai Presidenti delle Regioni di avvalersi di vari soggetti (v. infra) per lo svolgimento di attività di progettazione ed esecuzione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico previsti dagli accordi di programma stipulati ai sensi dell’art. 2, comma 240, della legge 191/2009 – volta ad estendere tale facoltà di avvalimento anche alle medesime attività (di progettazione ed esecuzione) relative ad interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, comunque finanziati a valere su risorse finanziarie nazionali, europee e regionali.

Il testo previgente del comma 4 prevede che i Presidenti delle Regioni – per lo svolgimento di attività di progettazione ed esecuzione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico di cui agli accordi di programma stipulati con le Regioni ai sensi dell'articolo 2, comma 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e nell'esercizio dei poteri di cui all'articolo 10 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 – possono richiedere di avvalersi, sulla base di apposite convenzioni per la disciplina dei relativi rapporti, di tutti i soggetti pubblici e privati, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica prescritte dal codice dei contratti pubblici, ivi comprese società in house delle amministrazioni centrali dello Stato dotate di specifica competenza tecnica, attraverso i Ministeri competenti che esercitano il controllo analogo sulle rispettive società.

Si ricorda che l’art. 10 del D.L. 91/2014 ha, tra l’altro, disposto il subentro dei Presidenti delle Regioni relativamente al territorio di competenza nelle funzioni dei commissari straordinari delegati per il sollecito espletamento delle procedure relative alla realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico individuati negli accordi di programma sottoscritti tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni ai sensi dell'art. 2, comma 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e nella titolarità delle relative contabilità speciali.

 

Attribuzione dei poteri dei commissari “sblocca cantieri” a tutti i commissari per opere pubbliche o infrastrutture (comma 3)

 

Il comma 3 reca una disposizione volta a garantire l’uniformità nelle gestioni commissariali finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche o interventi infrastrutturali assicurando, al contempo, la riduzione dei relativi tempi di esecuzione.

A tal fine viene disposta l’applicazione dei poteri commissariali previsti dai commi 2 e 3 dell’art. 4 del decreto “sblocca cantieri” (D.L. 32/2019) a tutti i commissari nominati per la predetta finalità sulla base di specifiche norme di legge.

 

Sono esclusi dall’applicazione dell’art. 4 del D.L. 32/2019:

-      i commissari nominati con ordinanze di protezione civile;

Si ricorda che l’art. 25, comma 7, del D. Lgs. 1/208 (Codice della protezione civile) dispone che per coordinare l'attuazione delle ordinanze di protezione civile, con i medesimi provvedimenti possono essere nominati commissari delegati che operano in regime straordinario fino alla scadenza dello stato di emergenza di rilievo nazionale.

-     i commissari straordinari del Governo;

L’art. 11 della L. 400/1988 prevede che, al fine di realizzare specifici obiettivi determinati in relazione a programmi o indirizzi deliberati dal Parlamento o dal Consiglio dei ministri o per particolari e temporanee esigenze di coordinamento operativo tra amministrazioni statali, può procedersi alla nomina di commissari straordinari del Governo, ferme restando le attribuzioni dei Ministeri, fissate per legge. Alla nomina si provvede con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri.

-     il Commissario per la ricostruzione del “ponte Morandi”;

L’art. 1 del D.L. 109/2018, in conseguenza del crollo di un tratto del viadotto Polcevera dell'autostrada A10, nel Comune di Genova, noto come ponte Morandi, avvenuto il 14 agosto 2018, al fine di garantire, in via d'urgenza, le attività per la demolizione, la rimozione, lo smaltimento e il conferimento in discarica dei materiali di risulta, nonché per la progettazione, l'affidamento e la ricostruzione dell'infrastruttura e il ripristino del connesso sistema viario, ha previsto la nomina, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di un Commissario straordinario per la ricostruzione. Tale nomina è stata disposta con il D.P.C.M. 4 ottobre 2018 e prorogata con il D.P.C.M. 30 settembre 2019.

-     i commissari per l’edilizia scolastica di cui all’art. 7-ter del D.L. 22/2020;

    In base a tale norma, al fine di garantire la rapida esecuzione di interventi di edilizia scolastica, anche in relazione all'emergenza da COVID-19, fino al 31 dicembre 2020 i sindaci e i presidenti delle province e delle città metropolitane operano, nel rispetto dei princìpi derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea, con una serie di poteri, ivi inclusi i poteri dei commissari di cui all'articolo 4, commi 2 e 3, del D.L. 32/2019.

- i commissari straordinari nominati per l’attuazione di interventi di ricostruzione a seguito di eventi calamitosi.
Il comma in esame precisa però che resta comunque fermo quanto previsto dall’articolo 11 del presente decreto-legge, per l’accelerazione e la semplificazione della ricostruzione pubblica nelle aree colpite da eventi sismici.

 

L’attribuzione di poteri disposta dal comma in esame opera a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e fino all’ultimazione degli interventi medesimi.


Articolo 10
(Semplificazioni ed altre misure in materia edilizia)

 

 

L’articolo 10, comma 1, reca una serie di modifiche al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico dell’edilizia) finalizzate a semplificare le procedure edilizie e assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana. In particolare, le modifiche sono volte a:

§  incentivare gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici, nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti, rimuovendo per essi il vincolo del medesimo sedime e della medesima sagoma, e stabilendo che gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito;

§  ridefinire gli interventi di manutenzione straordinaria e di ristrutturazione edilizia, prevedendo, tra l’altro, che nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono comprese anche le modifiche ai prospetti degli edifici legittimamente realizzati;

§  favorire le attività di edilizia libera con riferimento alle strutture leggere destinate ad essere rimosse alla fine del loro utilizzo;

§  modificare la disciplina in materia di documentazione amministrativa attestante lo stato legittimo dell’immobile;

§  modificare la disciplina in materia di interventi subordinati a permesso di costruire espungendo il riferimento alle modifiche dei prospetti e qualificando come interventi di ristrutturazione edilizia subordinati a permesso di costruire i soli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino modifiche della volumetria complessiva dell’edificio;

§  apportare modifiche in materia di permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici, contributo straordinario per il rilascio del permesso di costruire, formazione del silenzio assenso sulla domanda di permesso di costruire, interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio di attività, mutamento d’uso urbanisticamente rilevante, segnalazione certificata ai fini dell’agibilità, nonché in materia di parziali difformità mediante l’introduzione nel Testo unico del nuovo art. 34-bis in materia di tolleranze costruttive.

I commi da 2 a 7 recano, poi, ulteriori disposizioni non in novella al Testo unico dell’edilizia concernenti una norma di interpretazione autentica in materia di altezza minima e requisiti igienico-sanitari dei locali di abitazione, opere edilizie in regime di comunione e condominio, proroga dei termini di inizio e ultimazione dei lavori, posa in opera di elementi o strutture amovibili, rilascio del titolo edilizio per la concessione dei contributi nei territori colpiti dagli eventi sismici in Italia centrale del 2016 e norme in materia di Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa.

 

Novelle al Testo unico dell’edilizia (comma 1)

 

L’articolo 10, comma 1, reca una serie di modifiche al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) volte a semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonché assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana.

La relazione illustrativa evidenzia che “le misure di semplificazione sono indispensabili per rimettere in moto l’edilizia con positivi effetti sull’occupazione anche dei settori ad essa collegati (ceramica, legno, impiantistica, serramenti ecc.), senza aumentare il consumo del suolo e agevolando gli interventi di ristrutturazione, manutenzione straordinaria, demolizione e ricostruzione” e pone in risalto la finalità di rilanciare il settore edilizio attraverso “una nuova disciplina del governo del territorio che finalmente orienti i piani urbanistici alla rigenerazione in luogo dell’espansione”, riducendo la complessità e i tempi di esame dei relativi procedimenti e creando “nuove opportunità di operare sugli edifici che non presentino un valore storico artistico o testimoniale e che siano caratterizzati piuttosto da una scadente qualità architettonica e da insufficienti requisiti energetici, di sicurezza sismica, igienico sanitari, ecc.”. In tale ottica – aggiunge la relazione illustrativa – “si possono individuare tre principali filoni di intervento: a) la rivisitazione della definizione degli interventi edilizi sul patrimonio edilizio esistente, ed in particolare della manutenzione straordinaria, della ristrutturazione edilizia e degli interventi realizzabili con il permesso di costruire in deroga, agendo sui requisiti, limiti e condizioni che li connotano; b)         la certezza del formarsi del silenzio assenso nonché una nuova modalità di verifica dell’agibilità degli immobili, non a seguito di lavori edilizi; c) la disciplina della valutazione dello stato legittimo del patrimonio edilizio, chiarendo innanzitutto significato e portata di tale verifica preventiva, attualmente prevista dalla modulistica unificata ma non definita e regolata dal Testo unico. Si specifica inoltre che costituiscono tolleranze esecutive le irregolarità geometriche e dimensionali di minima entità, la diversa collocazione di impianti e opere interne e le modifiche alle finiture degli edifici, eseguite durante i lavori per l'attuazione di titoli abilitativi edilizi, a condizione che non comportino violazione della disciplina dell'attività edilizia e non pregiudichino l'agibilità dell'immobile”.

Si segnala che il tema della modifica complessiva del Testo unico dell’edilizia è stato, da ultimo, oggetto della risposta del sottosegretario per le infrastrutture e i trasporti Salvatore Margiotta alla interrogazione a risposta immediata Braga 5-04100 svolta nella VIII Commissione della Camera nella seduta del 10 giugno 2020. In tale occasione, il rappresentante del Governo ha fatto presente che l’apposito tavolo tecnico istituito presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici ha già predisposto una bozza dell’intero provvedimento e che l’ultimazione del testo si dovrebbe concludere entro il mese di luglio.

 

Si illustrano, di seguito, nel dettaglio, le novelle al Testo unico dell’edilizia recate dal comma 1 della disposizione in esame (che sono altresì indicate in grassetto nel testo a fronte riportato in calce alla presente scheda di lettura).

 

Modifiche in materia di deroghe ai limiti di distanza tra fabbricati e di altezza (comma 1, lettera a)

 

Il comma 1, lettera a), della disposizione in esame riscrive il comma 1-ter dell’art. 2-bis del D.P.R. 380/2001, che reca la disciplina delle deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati.

Il primo periodo del nuovo comma 1-ter stabilisce, rispetto alla formulazione previgente, che, nei casi di interventi che comportino la demolizione e ricostruzione di edifici e fermo restando (come già previsto dalla norma previgente) che la ricostruzione è comunque consentita nell’osservanza delle distanze legittimamente preesistenti, non è più richiesto il rispetto:

§  del vincolo del medesimo sedime

§  e del vincolo della medesima sagoma.

Si fa notare che in base all’allegato A all’Intesa ai sensi dell’art. 8, comma 6, della legge n. 131/2003 tra il Governo, le Regioni e i Comuni concernente l’adozione del regolamento edilizio-tipo di cui all’art. 4, comma 1-sexies, del D.P.R. 380/2001 (pubblicata nella G. U. del 16 novembre 2016) la sagoma è “la conformazione planivolumetrica della costruzione fuori terra nel suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali, nonché gli aggetti e gli sporti superiori a 1,50 m.”.

La norma precisa che il rispetto delle distanze legittimamente preesistenti è condizione sufficiente per consentire gli interventi di demolizione e ricostruzione anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini.

La relazione illustrativa sottolinea che la disposizione “affronta una delle limitazioni normative che riducono grandemente la possibilità di operare significativi interventi di rigenerazione urbana nei tessuti urbani consolidati, a causa della difficoltà ad osservare i limiti di distanza tra edifici e pareti finestrate e di altezza stabiliti dal DM n. 1444 del 1968”.

Si ricorda che il comma 1-ter dell’art. 2-bis del D.P.R. 380/2001, nel testo da ultimo modificato dal D.L. 32/2019, convertito, con modificazioni, dalla L. 55/2019 (c.d. decreto “sblocca cantieri”), prevede che in ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest'ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo.

Si ricorda, inoltre, che ai sensi del previgente art. 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. 380/2001 (anch’esso oggetto di novella da parte della disposizione in esame: v. infra), tra gli interventi di sostituzione edilizia erano considerati interventi di ristrutturazione edilizia solo quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione.

In materia di limiti di distanza tra fabbricati, la disciplina generale è contenuta nell’art. 9 (Limiti di distanza tra i fabbricati) del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 prevede che le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:

1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale;

2) nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;

3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la  distanza  minima   pari   all'altezza del fabbricato più alto; la norma  si  applica  anche  quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per  uno sviluppo superiore a ml. 12.

Le distanze minime tra fabbricati - tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) - debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:

  ml. 5 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7;

  ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;

  ml. 10 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.

Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.

 

Il secondo periodo del nuovo comma 1-ter dispone, poi, che gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati, sempre nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti:

§  con ampliamenti fuori sagoma;

§  e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito.

Negli ultimi anni sono stati diverse le misure legislative statali che hanno disposto la possibilità per le regioni di consentire con proprie leggi interventi di ristrutturazione ricostruttiva con ampliamenti volumetrici, concessi quale misura premiale per la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente. Si ricorda, al riguardo, il cd. “piano casa”, misura straordinaria di rilancio del mercato edilizio contenuta nell’art. 11 del D.L. 112/2008 (convertito, con modificazioni, nella L. 133/2008), il cui art. 11, comma 5, lettera b), prevedeva, in particolare, la possibilità di “incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di servizi, spazi pubblici e di miglioramento della qualità urbana, nel rispetto delle aree necessarie per le superfici minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444”. Successivamente, nel 2011, con l’art. 5, comma 9, del D.L. 70/2011 ha espressamente autorizzato le regioni a introdurre normative che disciplinassero interventi di ristrutturazione ricostruttiva con ampliamenti volumetrici, concessi quale misura premiale per la razionalizzazione del patrimonio edilizio, eventualmente anche con delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse e con esclusione degli edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta. Peraltro, con l’art. 5, comma 1, lettera b), del D.L. 32/2019 (cd. decreto “sblocca cantieri”) è stato poi modificato il comma 1-ter all’art. 2-bis del D.P.R. 380/2001 nel senso di imporre, per la ristrutturazione edilizia cd. “ricostruttiva”, il generalizzato limite volumetrico e il vincolo dell’area di sedime, che ora sono superati con le modifiche recate dalla norma in esame. Per una ricostruzione dei profili di costituzionalità della materia con riferimento alla disciplina previgente, si veda la sent. n. 70/2020 della Corte costituzionale, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge regionale Puglia n. 59 del 2018 (sul cd. “Piano Casa Puglia”).

Si fa notare che il comma 1 dell’art. 2-bis del D.P.R. 380/2001 – nel testo previgente alla norma in esame – dispone che, ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al D.M. 1444/1968,  e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell'ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali. Il comma 1-bis – introdotto dal D.L. 32/2019 – specifica che le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i comuni nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio.

Si ricorda, inoltre, che i limiti di altezza massima degli edifici per le diverse zone territoriali omogenee sono stabiliti dall’art. 8 del DM 1444/1968.

Ciò premesso, si valuti l’opportunità di chiarire se la possibilità di superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito comporti anche la possibilità di derogare ai limiti di altezza stabiliti per le diverse zone territoriali dal DM 1444/1968, considerato che il secondo periodo del nuovo comma 1-ter si limita a prescrivere, per gli incentivi volumetrici in questione, il solo rispetto delle distanze legittimamente preesistenti.

 

Il terzo periodo del nuovo comma 1-ter stabilisce, infine, che nelle zone omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione, sono consentiti esclusivamente nell’ambito di piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati, di competenza comunale, fatte salve le previsioni degli strumenti di pianificazione urbanistica vigenti.

 

 

Modifiche in materia di definizione degli interventi di manutenzione straordinaria e di ristrutturazione edilizia (comma 1, lettera b))

 

Il comma 1, lettera b), modifica in più punti l’art. 3 del D.P.R. 380/2001, recante la definizione degli interventi edilizi. In particolare, vengono modificate le definizioni di “manutenzione straordinaria” e di “ristrutturazione edilizia” (contenute, rispettivamente, nelle lettere b) e d) del comma 1 del citato art. 3) – ossia delle categorie di intervento edilizio più direttamente funzionali alle operazioni di recupero e riqualificazione tipiche dei processi di rigenerazione urbana – con l’obiettivo di ampliarne l’ambito applicativo.

Si ricorda che, a norma del previgente art. 3, comma 1, lettera b), del D.P.R. 380/2001 costituiscono "interventi di manutenzione straordinaria" le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso. Nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione di uso.

Ai sensi della previgente lettera d) del citato art. 3, comma 1, sono invece "interventi di ristrutturazione edilizia" quegli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.

Tali interventi, ai sensi dell'art. 22 del D.P.R. 380/2001, sono realizzabili mediante SCIA. E' invece necessario il permesso di costruire (in virtù del disposto dell'art. 10, comma 1, lettera c), del medesimo decreto) o una super-SCIA (in base al disposto dell'art. 23, comma 01) nei casi di "interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42".

 

Più nel dettaglio, il comma 1, lettera b), numero 1, della norma in esame – intervenendo sulla definizione di manutenzione straordinaria di cui all’art. 3, comma 1, lettera b), del D.P.R. 380/2001 – restringe l’ambito di applicazione della previsione secondo cui sono comunque vietati interventi di manutenzione straordinaria che comportino modifiche alle destinazioni d’uso, stabilendo che detti interventi non devono comportare mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso implicanti incremento del carco urbanistico (e dunque ammettendo la possibilità di interventi di manutenzione straordinaria che comportino invece modifiche alle destinazioni d’uso urbanisticamente non rilevanti).

La relazione illustrativa evidenzia che la modifica all’art. 3, comma 1, lettera b), del D.P.R. 380/2001 “costituisce norma di coordinamento rispetto alle previsioni di cui all'art. 23-ter (introdotto dall’art. 17, comma 1, lettera n), del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133)” e che essa è finalizzata a superare l’attuale previsione “che rende incompatibile con gli interventi di manutenzione straordinaria qualsiasi mutamento d’uso, e sostituendola con il riferimento al mutamento d’uso che risulti urbanisticamente rilevante, secondo la definizione di cui al citato articolo 23-ter e sempre che tale passaggio ad una diversa categoria funzionale comporti un aumento del carico urbanistico”.

Si ricorda che il mutamento di destinazione d'uso di un immobile è considerato urbanisticamente rilevante (indipendentemente dal fatto che avvenga con o senza opere a tanto preordinate) quando comporta un cambio di destinazione tra diverse categorie edilizie e, come tale, necessita quindi di un titolo edilizio abilitativo.

L'art. 23-ter del D.P.R. 380/2001 dispone che, salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa, da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle di seguito elencate: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale. Il richiamo alle leggi regionali tiene conto del disposto dell'art. 10 del medesimo Testo unico, ove, tra l'altro, si assoggettano a permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A (ossia, in base all'art. 2 del D.M. 1444/1968, nelle parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti), comportino mutamenti della destinazione d'uso e si dispone che "le regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a segnalazione certificata di inizio attività". Lo stesso articolo, al comma 3, dispone che "le regioni possono altresì individuare con legge ulteriori interventi che, in relazione all'incidenza sul territorio e sul carico urbanistico, sono sottoposti al preventivo rilascio del permesso di costruire".

 

Il comma 1, lettera b), numero 1, aggiunge poi, dopo il secondo periodo dell’art. 3, comma 1, lettera b), del D.P.R. 380/2001, un ulteriore periodo volto a specificare che nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono comprese anche le modifiche ai prospetti degli edifici legittimamente realizzati purché tali modifiche rispettino le seguenti condizioni:

§  siano necessarie per mantenere o acquisire l’agibilità dell’edificio ovvero per l’accesso allo stesso;

§  non pregiudichino il decoro architettonico dell’edificio;

§  l’intervento risulti conforme alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia;

§  e non abbia ad oggetto immobili sottoposti a tutela ai sensi del D. Lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).

La disciplina in materia di tutela dei beni immobili dichiarati di interesse culturale è dettata dagli articoli 10, 13 e 136 del D. Lgs, n. 42/2004. Per i profili che qui interessano, si segnala inoltre che l'art. 142, comma 2, del D. Lgs. n. 42/2004 (rubricato "Aree tutelate per legge") prevede che non rientrano tra le aree tutelate per legge ai sensi del comma 1 quelle che alla data del 6 settembre 1985: a) erano delimitate negli strumenti urbanistici, ai sensi del DM n. 1444/1968, come zone territoriali omogenee A e B (ossia le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante delle stesse, e le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A); b) erano delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del DM n. 1444/1968, come zone territoriali omogenee diverse dalle zone A e B, limitatamente alle parti di esse ricomprese in piani pluriennali di attuazione, a condizione che le relative previsioni siano state concretamente realizzate; le aree che, nei comuni sprovvisti di tali strumenti, ricadevano nei centri edificati perimetrati ai sensi dell'art. 18 della L. 865/1971.

Di rilievo, ai fini della norma in esame, anche la previsione recata dal comma 9 dell'art. 143 del D. Lgs. 42/2004 in base alla quale a far data dall'adozione del piano paesaggistico non sono consentiti, sugli immobili e nelle aree di cui all'art. 134, interventi in contrasto con le prescrizioni di tutela previste nel piano stesso. A far data dalla approvazione del piano le relative previsioni e prescrizioni sono immediatamente cogenti e prevalenti sulle previsioni dei piani territoriali ed urbanistici. Il principio di prevalenza delle previsioni dei piani paesaggistici su quelle contenute negli strumenti urbanistici è, inoltre, ribadito nel comma 3 dell'art. 145 del Codice dei beni culturali.

A favore della riconducibilità delle modifiche ai prospetti (ossia alle aperture sulla sagoma del fabbricato e sulle pareti esterne dello stesso) alla categoria della manutenzione straordinaria (con esclusione, quindi, della necessità del permesso di costruire) si veda Consiglio di Stato, Sez. VI, sent. n. 3370/2018.

 

Il comma 1, lettera b), numero 2, sostituendo il terzo e il quarto periodo all’art. 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. 380/2001, estende, poi, l’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia anche agli interventi:

·        di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche;

La relazione illustrativa sottolinea che tale modifica è volta a “consolidare quanto stabilito dal legislatore con il decreto  legislativo 27 dicembre 2002, n. 301 e con il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 (ma che è stato disconosciuto da talune posizioni giurisprudenziali anche recenti), vale a dire che gli interventi di ristrutturazione ricostruttiva possono prevedere che l’edificio da riedificare presenti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche differenti rispetto a quello originario”.

·        e con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’installazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico.

 

La disposizione in esame mantiene, inoltre, la previsione già vigente secondo cui costituiscono ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza (nuovo quinto periodo della lettera d) ed introduce, nella medesima lettera d), due nuovi periodi volti a prevedere:

·        la possibilità, per gli interventi di ristrutturazione edilizia, di incrementi di volumetria ove espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana (nuovo quarto periodo della lettera d);

·        che gli interventi di demolizione e ricostruzione e di ripristino di edifici crollati o demoliti effettuati sugli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio nonché  su quelli ubicati nelle zone omogenee A, possono considerarsi di ristrutturazione edilizia (e non richiedano dunque il permesso di costruire) a condizione che, oltre al mantenimento della medesima sagoma (condizione già prevista dalla disciplina previgente), sia previsto anche il mantenimento di prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria (nuovo sesto periodo della lettera d).

 

 

Modifiche in materia di attività edilizia libera (comma 1, lettera c))

 

Il comma 1, lettera c), sostituisce la lettera e-bis) del comma 1 dell’art. 6 del D.P.R. 380/2001, recante la disciplina dell’attività edilizia libera fornendo una nuova e più ampia classificazione, quali attività ricadenti in regime di edilizia libera, delle strutture leggere destinate ad essere rimosse alla fine del loro utilizzo.

Si ricorda che l’art. 6, comma 1, del D.P.R. 380/2001, nel far salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, prevede che sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo una serie di interventi rientranti nella tipologia della manutenzione ordinaria (ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera a), del medesimo Testo unico) e dei lavori accessori (ad es. installazione delle pompe di calore di potenza termica utile nominale inferiore a 12 Kw, eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell'edificio, opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo, installazione di  pannelli solari, fotovoltaici, a servizio degli edifici, da realizzare al di fuori della zona A di cui al DM 1444/1968, aree ludiche, elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici, ecc.).

Il citato art. 6 stabilisce altresì che le regioni a statuto ordinario possono estendere la disciplina di cui al presente articolo a interventi edilizi ulteriori rispetto a quelli previsti dal comma 1, esclusi gli interventi di cui all'art. 10, comma 1, soggetti a permesso di costruire e gli interventi di cui all'art. 23, soggetti a segnalazione certificata di inizio attività in alternativa al permesso di costruire, e disciplinano con legge le modalità per l'effettuazione dei controlli.

 

In particolare, la norma in esame:

§  aggiunge le opere stagionali a quelle – già previste nella formulazione previgente -  dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità;

§  innalza da novanta a centottanta giorni il termine entro cui le opere in questione devono essere comunque immediatamente rimosse una volta cessata la temporanea necessità, previa comunicazione di avvio dei lavori all'amministrazione comunale, precisando altresì che detto termine è comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del segnalazione manufatto.

La relazione illustrativa segnala “l’importanza che queste strutture amovibili assumono per talune importanti attività che si svolgono soprattutto nella stagione estiva (bar, trattorie, stabilimenti balneari) e la necessità che la realizzazione e la rimozione di dette strutture sia puntualmente regolamentata dalla legge piuttosto che affidata alla valutazione del singolo Comune, in carenza di una disciplina univoca”.

 

Modifiche in materia di documentazione amministrativa (comma 1, lettera d))

 

Il comma 1, lettera d), numero 1, interviene sull’art. 9-bis del D.P.R. 380/2001.

L’art. 9-bis, nel testo previgente al provvedimento in esame, è rubricato “Documentazione amministrativa” e si compone di un solo comma a norma del quale ai fini della presentazione, del rilascio o della formazione dei titoli abilitativi previsti dal presente testo unico, le amministrazioni sono tenute ad acquisire d'ufficio i documenti, le informazioni e i dati, compresi quelli catastali, che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni e non possono richiedere attestazioni, comunque denominate, o perizie sulla veridicità e sull'autenticità di tali documenti, informazioni e dati.

La norma in esame aggiunge il comma 1-bis, il quale prevede che lo stato legittimo dell'immobile o dell'unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o da quello che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali.

Nella relazione illustrativa si evidenzia che la norma introduce “per la prima volta la definizione di stato legittimo, utilizzata tradizionalmente per la verifica della legittimità dell’immobile, oggetto di intervento edilizio o di alienazione” e che essa “risulta quanto mai opportuna per chiarire l’ambito di dette verifiche e, di conseguenza, anche per perseguire gli abusi”.

Il secondo periodo del nuovo comma 1-bis precisa, poi, che per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto ovvero da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza. Le disposizioni di cui al secondo periodo si applicano altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia.

La relazione illustrativa fa presente che la fattispecie di cui al secondo periodo del nuovo comma 1-bis, relativa al ricorso alle risultanze catastali e ad altre documentazioni di archivio, “era stata già individuata nella modulistica unificata statale e delle regioni”.

 

Conseguentemente, si provvede a modificare la rubrica dell’art. 9-bis inserendovi il riferimento allo “stato legittimo degli immobili”.

 

Modifiche in materia di interventi subordinati a permesso di costruire (comma 1, lettera e))

 

Il comma 1, lettera e), sostituisce la lettera c) del comma 1 dell’art. 10 del D.P.R. 380/2001, che definisce gli interventi di ristrutturazione edilizia soggetti a permesso di costruire.

Ai sensi dell'art. 10 del D.P.R n. 380/2001, nel testo previgente al provvedimento in esame, sono soggetti a permesso di costruire:

a)      gli interventi di nuova costruzione;

b)      gli interventi di ristrutturazione urbanistica;

c)      gli interventi di ristrutturazione edilizia.

In particolare la lettera c), nel testo previgente, definisce gli interventi di ristrutturazione edilizia soggetti a permesso di costruire gli interventi “che portinoad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni”.

 

La nuova formulazione della lettera c) introdotta dalla norma in esame si distingue da quella previgente sotto due profili:

·        espungendo il riferimento alle modifiche dei prospetti contenuto nel testo previgente, qualifica come interventi di ristrutturazione edilizia subordinati a permesso di costruire i soli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino modifiche della volumetria complessiva dell’edificio; la modifica comporta, quindi, che gli interventi di sola modifica dei prospetti non sono più assoggettati a permesso di costruire (ma al diverso titolo abilitativo della SCIA, ai sensi dell'art. 22 del D.P.R. 380/2001);

·        con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, inserisce tra gli interventi di ristrutturazione edilizia subordinati a permesso di costruire anche gli interventi che comportino modificazioni della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti (oltre a quelli, già previsti nella previgente formulazione, che comportino modificazioni della sagoma).

La relazione illustrativa sottolinea che “la novella è volta innanzitutto a specificare che sono subordinati a permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione edilizia che presentino entrambi i seguenti requisiti: la previsione di opere ‘di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente’ e la circostanza che tali opere comportino anche una delle modifiche di particolare rilevanza ivi elencate. Si tratta di una precisazione che era stata introdotta già dal d.lgs. n. 301 del 2002, la cui formulazione tuttavia lasciava adito a differenti interpretazioni, che continuano a considerare sufficiente la presenza di una delle modifiche edilizie qualificate di particolare rilevanza. L’intervento normativo intende dunque ribadire e rendere univoca, dal punto di vista testuale, la citata disposizione legislativa del 2002”.

 

Modifiche in materia di permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici (comma 1, lettera f))

 

Il comma 1, lettera f), interviene in novella all’art 14 del D.P.R. 380/2001 in materia di permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici.

L’art. 14, comma 1, del D.P.R. 380/2001 dispone che il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel D. Lgs. 490/1999 (che recava il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, e abrogato dall’art. 184 del D. Lgs. 42/2004, cui pertanto il rinvio deve intendersi ora effettuato), e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia.

Il comma 1-bis – nel testo previgente alla modifica in esame – dispone che  per gli interventi di ristrutturazione edilizia, attuati anche in aree industriali dismesse, è ammessa la richiesta di permesso di costruire anche in deroga alle destinazioni d'uso, previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l'interesse pubblico, a condizione che il mutamento di destinazione d'uso non comporti un aumento della superficie coperta prima dell'intervento di ristrutturazione, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'art. 31, comma 2, del D.L. 201/2011 (li quale dispone che, secondo la disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali).

Ai sensi del comma 3 del citato art. 14, la deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, nonché, nei casi di cui al comma 1-bis, le destinazioni d'uso, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444.

 

Una prima modifica recata dal comma 1, lettera f), n. 1, consiste nella modifica del comma 1-bis (inserito dall'art. 17, comma 1, lettera e), n. 1), del D.L. 133/2014) mediante la quale per la richiesta di permesso di costruire in deroga per gli interventi di ristrutturazione edilizia si ammette in via generale la deroga alle destinazioni d’uso ammissibili (così come precisato con la modifica al comma 3, su cui v. infra) facendo venir meno il vincolo, contenuto nel previgente comma 1-bis, in base al quale la deroga era ammissibile a condizione che il mutamento di destinazione d’uso non comportasse un aumento della superficie coperta prima dell’intervento di ristrutturazione.

 

La seconda modifica – introdotta dal comma 1, lettera f), n. 2 – riguarda il comma 3 dell’art. 14, ove la previsione che la deroga può riguardare le destinazioni d’uso viene conseguentemente adeguata alla modifica apportata al comma 1-bis, nel senso di stabilire che la deroga può riguardare il mutamento di destinazioni d’uso ammissibili e non solo, come nel testo previgente, i mutamenti che non comportino un aumento della superficie coperta.

 

Modifiche in materia di contributo straordinario per il rilascio del permesso di costruire (comma 1, lettera g))

 

Il comma 1, lettera g), apporta una modifica puntuale alla lettera d-ter) del comma 4, dell’art. 16 del D.P.R. 380/2001, recante la disciplina del contributo per il rilascio del permesso di costruire, finalizzata ad escludere il cambio di destinazione d’uso dai fattori determinativi del maggior valore generato dall’intervento edilizio di cui si debba tener conto ai fini della determinazione del contributo straordinario.

La relazione illustrativa segnala in proposito che “il mero cambio d’uso tra quelli considerati ammissibili dal piano urbanistico generale non presenta (…) tale carattere di attribuzione straordinaria di valore immobiliare”.

Si ricorda che il rilascio del permesso di costruire da parte di una amministrazione comunale comporta per il privato "la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione" (art. 16, comma 1, del D.P.R. 380/2001).

Gli oneri di urbanizzazione sono dovuti "in ragione dell'obbligo del privato di partecipare ai costi delle opere di trasformazione del territorio" (Consiglio di Stato, Sez. V, 23 gennaio 2006, n. 159). Tali oneri - il cui importo è definito con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni in relazione ai parametri definiti dal comma 4 del citato art. 16 - si distinguono in:

·         oneri di urbanizzazione primaria, ovvero relativi a realizzazione di strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell'energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato, cavedi multiservizi e cavidotti per il passaggio di reti di telecomunicazioni;

·         oneri di urbanizzazione secondaria, finalizzati alla realizzazione di asili nido e scuole, mercati di quartiere, delegazioni comunali, edifici religiosi, impianti sportivi di quartiere, aree verdi di quartiere, centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie.

Ai sensi dell’art. 16 del D.P.R. 380/2001 la quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio del permesso di costruire, è corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, e sulla base degli importi definiti periodicamente dalle regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata.

La lettera d-ter) del comma 4 dell'art. 16 del D.P.R. 380/2001 (introdotta dal D.L. 133/2014 ed oggetto di modifica da parte della norma in esame) prevede, tra i parametri ai quali le regioni devono attenersi nella determinazione delle tabelle parametriche per l'incidenza degli oneri di urbanizzazione, il criterio di calcolo secondo cui gli oneri di urbanizzazione sono determinati anche in relazione "alla valutazione del maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d'uso". Tale maggior valore è calcolato dall'amministrazione comunale e “viene suddiviso in misura non inferiore al 50 per cento tra il comune e la parte privata e da quest'ultima versato al comune stesso sotto forma di contributo straordinario, che attesta l'interesse pubblico vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui ricade l'intervento, cessione di aree o immobili da destinare a servizi di pubblica utilità, edilizia residenziale sociale od opere pubbliche". La citata disposizione prevede, inoltre, che sono fatte salve le diverse disposizioni delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici generali comunali con riferimento al valore di tale contributo.

 

In virtù della modifica recata dalla norma in esame, pertanto, per il calcolo del contributo straordinario di cui all’art. 16, comma 4, lettera d-ter), non è più considerato il maggior valore dell’area o dell’immobile generato da un cambio di destinazione d’uso.

La modifica appare, quindi, collegata alle previsioni, illustrate in precedenza, volte a introdurre semplificazioni nei mutamenti delle destinazioni d’uso.

 

Modifiche in materia di riduzione o esonero dal contributo di costruzione (comma 1, lettera h))

Il comma 1, lettera h), modifica il comma 4-bis dell’art. 14 del D.P.R. 380/2001, in materia di riduzione o esonero dal contributo di costruzione.

In particolare, le modifiche al comma 4-bis concernono:

§  la previsione che la riduzione del venti per cento del contributo di costruzione è finalizzata ad agevolare gli interventi di rigenerazione urbana (mentre nel testo previgente la finalità era quella di agevolare gli interventi di “densificazione edilizia”);

§  la estensione dei casi di riduzione del contributo di costruzione a tutti gli interventi di rigenerazione urbana e non solo, come previsto nella formulazione previgente, alle nuove costruzioni nei casi non interessati da varianti urbanistiche, deroghe o cambi di destinazione d'uso comportanti maggior valore rispetto alla destinazione originaria;

§  il riconoscimento ai comuni della facoltà di deliberare ulteriori riduzioni del contributo di costruzione, fino alla completa esenzione dallo stesso.

Nella relazione illustrativa si legge che “la disposizione è tesa a riferire più correttamente questo beneficio agli interventi di rigenerazione urbana, eliminando talune imprecisioni dell’attuale testo, che ne impediscono o limitano l’utilizzo”.

Si ricorda che, in base al testo previgente del comma 4-bis, ai comuni è rimesso soltanto il compito di definire i criteri e le modalità applicative per l'applicazione della riduzione prevista dalla medesima disposizione, senza facoltà di deliberare ulteriori riduzioni o esenzioni. 

La relazione tecnica chiarisce che la riduzione del contributo di costruzione in misura non inferiore al 20 per cento è già prevista a legislazione vigente e la norma in esame, pertanto, “non introduce riduzioni del contributo e non necessita di risorse finanziare per la sua copertura”.

 

 

Modifiche in materia di formazione del silenzio assenso sulla domanda di permesso di costruire (comma 1, lettera i)

 

Il comma 1, lettera i), aggiunge un periodo finale al comma 8 dell’art. 20 del D.P.R. 380/2001 volto a prevedere il rilascio d’ufficio dell’attestazione dell’avvenuta formazione del silenzio assenso da parte dello sportello unico edilizia (SUE).

Si ricorda che il comma 8 dell’art. 20 dispone che, decorso inutilmente il termine per l'adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell'ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all'assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui agli articoli 14 e seguenti della L. 241/1990.

Il periodo aggiuntivo introdotto dalla norma in esame stabilisce, in particolare, che, fermi restando gli effetti comunque prodotti dal silenzio, lo sportello unico per l’edilizia rilascia anche in via telematica, entro quindici giorni dalla richiesta dell’interessato, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento, in assenza di richieste di integrazione documentale o istruttorie inevase e di provvedimenti di diniego; altrimenti, nello stesso termine, comunica all’interessato che tali atti sono intervenuti.

 

Modifica alla disciplina degli interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio di attività (comma 1, lettera l))

 

Il comma 1, lettera l), modifica l’art. 22, comma 1, lettera a), del D.P.R. 380/2001 includendo gli interventi di manutenzione straordinaria relativi ai prospetti tra quelli realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività.

Si ricorda che ai sensi del comma 1 del citato art. 22, nel testo previgente alla modifica in esame, sono realizzabili mediante SCIA (di cui all'art. 19 della L. 241/1990), nonché in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente:

a) gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'art. 3, comma 1, lettera b), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio;

b) gli interventi di restauro e di risanamento conservativo di cui all'art. 3, comma 1, lettera c), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio;

c) gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 3, comma 1, lettera d), diversi da quelli indicati nell'art. 10, comma 1, lettera c).

A norma dei successivi commi 2 e 2-bis, sono, altresì, realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del D. Lgs. 42/2004 e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire, nonché le varianti a permessi di costruire che non configurano una variazione essenziale, a condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie e siano attuate dopo l'acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore.

In virtù della modifica recata dal comma 1, lettera b), n. 1 all’art. 3, comma 1, lettera b), del D.P.R. 380/2001 (su cui v. supra), gli interventi di manutenzione straordinaria relativi ai prospetti realizzabili mediante SCIA sono quelli  necessari per mantenere o acquisire l’agibilità dell’edificio ovvero per l’accesso allo stesso, che non pregiudichino il decoro architettonico dell’edificio, purché l’intervento risulti conforme alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia e non abbia ad oggetto immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

 

Modifica in materia di mutamento d’uso urbanisticamente rilevante (comma 1, lettera m))

 

Il comma 1, lettera m), modifica il comma 2 dell’art. 23-ter del D.P.R. 380/2001, che detta la definizione di destinazione d’uso.

Il comma 1 del citato art. 23-ter stabilisce che, salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa, da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle di seguito elencate: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale.

In particolare, la norma in esame sostituisce, al comma 2 dell’art. 23-ter, il riferimento, quale criterio di determinazione della destinazione d’uso di un fabbricato o di una unità immobiliare, alla destinazione “prevalente in termini di superficie utile” con quello alla destinazione “stabilita dalla documentazione di cui all’articolo 9-bis, comma 1-bis, la quale in forza della modifica operata dal comma 1, lettera b), n. 1 (su cui v. supra) – è rappresentata dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o da quello che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali ovvero, nei casi di immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, dalle informazioni catastali e da ogni altro documento probante (quali riprese fotografiche, estratti cartografici, documenti d’archivio ecc.).

 

Modifiche in materia di segnalazione certificata ai fini dell’agibilità (comma 1, lettera n))

 

Il comma 1, lettera n), aggiunge il comma 7-bis all’art. 24 del D.P.R. 380/2001, volto a stabilire che la segnalazione certificata può essere presentata anche in assenza di lavori al fine di richiedere l’agibilità per immobili legittimamente realizzati che ne siano privi.

L’art. 24 del D.P.R. 380/2001 prevede che la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, nonché la conformità dell'opera al progetto presentato e la sua agibilità sono attestati mediante segnalazione certificata (comma 1). Ai fini dell'agibilità, entro quindici giorni dall'ultimazione dei lavori di finitura dell'intervento, il soggetto titolare del permesso di costruire, o il soggetto che ha presentato la segnalazione certificata di inizio di attività, o i loro successori o aventi causa, presenta allo sportello unico per l'edilizia la segnalazione certificata, per nuove costruzioni, ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali, ed interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di cui al comma 1. La mancata presentazione della segnalazione, nei casi indicati al comma 2, comporta l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da euro 77 a euro 464 (comma 3). Ai fini dell'agibilità, la segnalazione certificata può riguardare anche singoli edifici o singole porzioni della costruzione, purché funzionalmente autonomi, singole unità immobiliari, purché siano completate e collaudate le opere strutturali connesse, siano certificati gli impianti e siano completate le parti comuni e le opere di urbanizzazione primaria.

Più in particolare, il nuovo comma 7-bis dell’art. 23-ter stabilisce che la segnalazione certificata, oltre ai casi già previsti, può altresì essere presentata, in assenza di lavori, per gli immobili legittimamente realizzati privi di agibilità che presentano i requisiti definiti con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro della salute, con il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo e con il Ministro per la pubblica amministrazione, da adottarsi, previa intesa in Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del D. Lgs. 281/1997, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.

La relazione illustrativa segnala che con la novella “s’intende consentire il rilascio dell’agibilità per gli immobili che non siano dotati di tale certificazione e tuttavia presentino adeguati requisiti di sicurezza, igienico-sanitari, di abbattimento delle barriere architettoniche, di risparmio energetico ecc. stabiliti con apposito decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto, assunto di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro della Funzione Pubblica e il Ministro dei Beni Culturali, d’intesa con la Conferenza Unificata”. La relazione illustrativa aggiunge che “tale disposizione, presente in talune legislazioni regionali, agevola la circolazione dei beni immobili e, di conseguenza, facilita la qualificazione del patrimonio edilizio”.

 

 

 

 

Modifiche in materia di parziali difformità e tolleranze costruttive (comma 1, lettere o) e p))

 

Le lettere o) e p) del comma 1 intervengono in merito alla disciplina delle tolleranze costruttive in caso di parziali difformità rispetto al titolo edilizio abilitativo, disponendo, rispettivamente, l’abrogazione del comma 2-ter dell’art. 34 e introducendo una nuova disciplina con il nuovo art. 34-bis.

In base all’art. 34, comma 1, del D.P.R. 380/2001, gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso. Ai sensi del comma 2, quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla L. 392/1978, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale. Le disposizioni dell’art. 34 si applicano anche agli interventi edilizi di cui all'art. 23, comma 01, eseguiti in parziale difformità dalla SCIA.

Nel testo previgente all’entrata in vigore del decreto in esame, il comma 2-ter dell’art. 34 prevedeva che, ai fini dell'applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali.

Tale comma – abrogato dalla norma in esame – viene peraltro sostanzialmente riprodotto (con un ampliamento dell’ambito applicativo) nel comma 1 del nuovo art. 34-bis, introdotto dal comma 1, lettera p).

 

Più nel dettaglio, il nuovo art. 34-bis, rubricato “Tolleranze costruttive”:

§  riproduce la previsione (già contenuta nel comma 2-ter dell’art. 34) secondo cui il mancato rispetto dell'altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo, aggiungendo peraltro alle predette fattispecie anche quella, di tipo residuale, in base alla quale non costituisce violazione edilizia il mancato rispetto di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari (comma 1);

Si valuti l’opportunità di chiarire il riferimento a “ogni altro parametro” della singola unità immobiliare la cui violazione, se contenuta entro il limite del 2 per cento, non costituisce violazione edilizia e se, in particolare, esso ricomprenda anche i prospetti, considerato che gli interventi su questi ultimi sono oggetto di specifiche disposizioni semplificatorie.

§  fuori dai casi di cui al comma 1, e limitatamente agli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del D. Lgs. 42/2004, prevede che costituiscono inoltre tolleranze esecutive le irregolarità geometriche e le modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, nonché la diversa collocazione di impianti e opere interne, eseguite durante i lavori per l'attuazione di titoli abilitativi edilizi, a condizione che non comportino violazione della disciplina urbanistica ed edilizia e non pregiudichino l'agibilità dell'immobile (comma 2);

La relazione illustrativa evidenzia che “In tali ipotesi, rispetto all’opera rappresentata negli elaborati allegati al titolo edilizio, lo stato di fatto evidenzia difformità del tutto irrilevanti perché non incidono sull’aspetto esteriore dell’edificio, sulle strutture portanti dello stesso, sui dimensionamenti e sulle distanze cogenti, non comportano aumenti di superficie e non violano alcuna normativa tecnica, ma riguardano, ad esempio, gli angoli non perfettamente in squadra o le murature non perfettamente allineate, le aperture interne non corrispondenti al progetto depositato, ecc.”. Si tratta – aggiunge la relazione illustrativa – di situazioni non qualificate dalla legge come irrilevanti, che oggi ostacolano le dichiarazioni di legittimità degli immobili in sede di stipula degli atti di trasferimento dei beni “e sono causa di contenzioso in sede di verifica dello stato legittimo ai fini della presentazione di nuovi titoli edilizi”.

§  dispone, per le tolleranze esecutive di cui ai commi 1 e 2 realizzate nel corso di precedenti interventi edilizi, in quanto non costituenti violazioni edilizie, che il tecnico abilitato ne faccia dichiarazione, ai fini dell’attestazione dello stato legittimo degli immobili, nella modulistica relativa a nuove istanze, comunicazioni e segnalazioni edilizie ovvero, con apposita dichiarazione asseverata allegata agli atti aventi per oggetto trasferimento o costituzione, ovvero scioglimento della comunione, di diritti reali (comma 3).

 

Ulteriori misure in materia edilizia (commi 2-7)

 

L’art. 10 reca, inoltre, ai commi da 2 a 7, ulteriori disposizioni non in novella al Testo unico dell’edilizia concernenti una norma di interpretazione autentica in materia di altezza minima e requisiti igienico-sanitari dei locali di abitazione, opere edilizie in regime di comunione e condominio, proroga dei termini di inizio e ultimazione dei lavori, posa in opera di elementi o strutture amovibili, rilascio del titolo edilizio per la concessione dei contributi nei territori colpiti dagli eventi sismici in Italia centrale del 2016 e norme in materia di Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa, che vengono di seguito illustrate nel dettaglio.

 

Interpretazione autentica del D.M. 5 luglio 1975 in materia di altezza minima e requisiti igienico-sanitari dei locali d’abitazione (comma 2)

 

Il comma 2 reca una norma di interpretazione autentica del decreto del Ministro della sanità 5 luglio 1975, recante “Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896 relativamente all'altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali d'abitazione”.

In particolare, il primo periodo del comma 2 dispone che, nelle more dell’approvazione del decreto del Ministro della salute di cui all’art. 20, comma 1-bis, del D.P.R. 380/2001, le disposizioni di cui al D.M. 5 luglio 1975 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 190 del 18 luglio 1975) si interpretano nel senso che i requisiti relativi all’altezza minima e ai requisiti igienico sanitari dei locali di abitazione ivi previsti non si considerano riferiti agli immobili:

§  che siano stati realizzati prima della data di entrata in vigore del medesimo decreto

§  e che siano ubicati nelle zone A o B, di cui al D.M. 1444/1968, o in zone a queste assimilabili, in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali.

Il comma 1-bis dell’art. 20 del D.P.R. 380/2001, inserito dal D. Lgs. 222/2016, dispone che con decreto del Ministro della salute, da adottarsi, previa intesa in Conferenza unificata, entro 90 giorni dall'entrata in vigore della presente disposizione, sono definiti i requisiti igienico-sanitari di carattere prestazionale degli edifici.

L’art. 1 del D.M. 5 luglio 1975 (come modificato dal D.M. 9 giugno 1999) prescrive che l'altezza minima interna utile dei locali adibiti ad abitazione è fissata in m. 2,70, riducibili a m. 2,40 per i corridoi, i disimpegni in genere, i bagni, i gabinetti ed i ripostigli. Nei comuni montani al di sopra dei m. 1000 sul livello del mare può essere consentita, tenuto conto delle condizioni climatiche locali e della locale tipologia edilizia, una riduzione dell'altezza minima dei locali abitabili a m. 2,55. Le altezze minime previste nel primo e secondo comma possono essere derogate entro i limiti già esistenti e documentati per i locali di abitazione di edifici situati in ambito di comunità montane sottoposti ad interventi di recupero edilizio e di miglioramento delle caratteristiche igienico-sanitarie quando l'edificio presenti caratteristiche tipologiche specifiche del luogo meritevoli di conservazione ed a condizione che la richiesta di deroga sia accompagnata da un progetto di ristrutturazione con soluzioni alternative atte a garantire, comunque, in relazione al numero degli occupanti, idonee condizioni igienico-sanitarie dell'alloggio, ottenibili prevedendo una maggiore superficie dell'alloggio e dei vani abitabili ovvero la possibilità di una adeguata ventilazione naturale favorita dalla dimensione e tipologia delle finestre, dai riscontri d'aria trasversali e dall'impiego di mezzi di ventilazione naturale ausiliaria.

Il secondo periodo del comma 2 stabilisce che, ai fini della presentazione e rilascio dei titoli abilitativi per il recupero e la qualificazione edilizia dei medesimi immobili e della segnalazione certificata della loro agibilità, si fa riferimento alle dimensioni legittimamente preesistenti.

Sotto il profilo della formulazione del testo, andrebbe chiarito se per “dimensioni legittimamente preesistenti” si intendano quelle preesistenti alla presentazione della richiesta di titolo abilitativo e della segnalazione certificata per l’agibilità, ovvero preesistenti all’entrata in vigore del D.M. 5 luglio 1975.

 

Disposizioni in materia di opere edilizie in regime di comunione o condominio (comma 3)

 

Il comma 3 riconosce a ciascun partecipante alla comunione o al condominio la facoltà di realizzare a proprie spese ogni opera relative alle seguenti tipologie:

·        opere di rimozione di barriere architettoniche, di cui all’art. 2 della L. 13/1989 (“Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati”);

Si ricorda che l’art. 2, comma 1, della L. 13/1989 stabilisce che le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all'art. 27, primo comma, della L. 118/1971, ed all'art. 1, primo comma, del D.P.R. 384/1978, nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e la installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi all'interno degli edifici privati, sono approvate dall'assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dal secondo comma dell’art. 1120 c.c. Il comma 2 prevede che nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni di cui al comma 1, i portatori di handicap, ovvero chi ne esercita la tutela o la potestà, possono installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l'ampiezza delle porte d'accesso, al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages.

Le citate disposizioni della L. 13/1989 sono state riprodotte in modo sostanzialmente identico nell’art. 78 del D.P.R. 380/2001.

·        opere relative agli incentivi per efficientamento energetico, sisma bonus, fotovoltaico e colonnine di ricarica di veicoli elettrici di cui all’art. 119 del D.L. 34/2020 (alla cui scheda di lettura si rinvia per ulteriori approfondimenti), anche servendosi della cosa comune nel rispetto dei limiti di cui all'art. 1102 del codice civile.

L’art. 1102 c.c. (Uso della cosa comune) dispone che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto e che, a tal fine, può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.

 

Il comma 3 apporta, inoltre, due novelle alla citata L. 13/1989:

§  aggiunge alla fine del comma 1 dell’art. 2, due periodi volti a precisare che le innovazioni di cui al presente comma non sono considerate in alcun caso di carattere voluttuario ai sensi dell’art. 1121, primo comma, c.c. e che per la loro realizzazione resta fermo unicamente il divieto di innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, di cui al quarto comma dell’art. 1120 c.c.;

L’art. 1120 c.c. disciplina la procedura e le maggioranze richieste per disporre le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni del condominio. Il quarto comma, in particolare, vieta “le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino”.

L’art. 1121, primo comma, c.c. dispone che qualora l'innovazione importi una spesa molto gravosa o abbia carattere voluttuario rispetto alle particolari condizioni e all'importanza dell'edificio, e consista in opere, impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata, i condomini che non intendono trarne vantaggio sono esonerati da qualsiasi contributo nella spesa. Secondo la giurisprudenza le innovazioni di cui all'art. 1121 c. c. che hanno natura voluttuaria, sono quelle “prive di utilità” da intendersi in senso oggettivo, dato il testuale riferimento della norma alle particolari condizioni e all'importanza dell'edificio (Cass. civ., 18/01/1984, n. 428).

·        dispone l’abrogazione dell’art. 8.

Si ricorda che l’art. 8 della L. 13/1989 prevede che alle domande ovvero alle comunicazioni al sindaco relative alla realizzazione di interventi di cui alla presente legge, è allegato certificato medico in carta libera attestante l'handicap e dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, dalla quale risultino l'ubicazione della propria abitazione, nonché le difficoltà di accesso.

Si osserva che le disposizioni contenute nell’abrogato art. 8 sono altresì riprodotte in modo sostanzialmente identico nell’art. 81 del D.P.R, 380/2001, che tuttavia non è oggetto di abrogazione da parte della norma in esame.

 

Proroga dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori (comma 4)

 

Il comma 4 prevede la proroga dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all’art. 15 del D.P.R. 380/2001.

Si ricorda che l’art. 15 del D.P.R. 380/2001 disciplina l’efficacia temporale e la decadenza del permesso di costruire. Ai sensi del comma 1, nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori. Il comma 2 prevede che il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari. La proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori è comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate. La realizzazione della parte dell'intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante SCIA. È previsto, inoltre, che il permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio.

Si segnala, inoltre, che l’art. 103, comma 2, del D.L. 18/2020 ha disposto che i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all’art. 15 del D.P.R. 380/2001, in scadenza tra il 31 gennaio 2020 e il 31 luglio 2020, conservano la loro validità per i novanta giorni successivi alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza.

Più in particolare, la norma in esame prevede che per effetto della comunicazione del soggetto interessato di volersi avvalere del presente comma:

§  sono prorogati di tre anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all'art. 15 del D.P.R. 380/2001, come indicati nei permessi di costruire rilasciati o comunque formatisi fino al 31 dicembre 2020, purché i suddetti termini non siano già decorsi al momento della comunicazione dell'interessato e sempre che i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione dell'interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati;

§  sono altresì prorogate di tre anni le segnalazioni certificate di inizio attività presentate entro il 31 dicembre 2020 ai sensi degli articoli 22 e 23 del D.P.R. 380/2001.

 

Posa in opera di elementi o strutture amovibili (comma 5)

 

 Il comma 5 dispone che non è subordinata alle autorizzazioni del Soprintendente o del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo di cui agli articoli 21, 106, comma 2-bis, e 146 del D.lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) la posa in opera di elementi o strutture amovibili sulle pubbliche piazze, vie, strade e sugli altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico (aree di cui all’art. 10, comma 4, lettera g), del medesimo Codice), fatta eccezione per quelli adiacenti a siti archeologici o ad altri beni di particolare valore storico o artistico.

L’art. 21 del Codice dei beni culturali e del paesaggio dispone che sono subordinati ad autorizzazione del Ministero: la rimozione o la demolizione, anche con successiva ricostituzione, dei beni culturali; lo spostamento, anche temporaneo, dei beni culturali mobili, salve alcune ipotesi; lo smembramento di collezioni, serie e raccolte; lo scarto dei documenti degli archivi pubblici e degli archivi privati per i quali sia intervenuta la dichiarazione di interesse culturale, nonché lo scarto di materiale bibliografico delle biblioteche pubbliche, con alcune eccezioni, e delle biblioteche private per le quali sia intervenuta la dichiarazione di interesse culturale; il trasferimento ad altre persone giuridiche di complessi organici di documentazione di archivi pubblici, nonché di archivi privati per i quali sia intervenuta la dichiarazione di interesse culturale.

Al di fuori di tali casi, l'esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali è subordinata ad autorizzazione del soprintendente. Il mutamento di destinazione d'uso dei beni medesimi è comunicato al soprintendente.

L’art. 106 del medesimo Codice stabilisce, anzitutto, al comma 1, che lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono concedere l'uso dei beni culturali che abbiano in consegna, per finalità compatibili con la loro destinazione culturale, a singoli richiedenti. Il comma 2 dispone, a sua volta, che, per i beni in consegna al Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, il Ministero determina il canone dovuto e adotta il relativo provvedimento. Il comma 2-bis prevede, infine, che, per i beni diversi da quelli indicati al comma 2, la concessione in uso è subordinata all'autorizzazione del Ministero, rilasciata a condizione che il conferimento garantisca la conservazione e la fruizione pubblica del bene e sia assicurata la compatibilità della destinazione d'uso con il carattere storico-artistico del bene medesimo.

L’art. 146 del Codice disciplina, infine, l’autorizzazione paesaggistica, prevedendo, in particolare, che i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell’art. 142, o in base alla legge, a termini degli artt. 136, 143, comma 1, lettera d), e 157, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione ed hanno l'obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta documentazione, ed astenersi dall'avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l'autorizzazione. L'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio ed è efficace per un periodo di cinque anni, scaduto il quale l'esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione.

 

Rilascio del titolo edilizio per la concessione dei contributi nei territori colpiti dagli eventi sismici in Italia centrale del 2016 (comma 6)

 

Il comma 6 integra l’art. 12, comma 2, del D.L. 189/2016 disciplinando la procedura per la verifica dei titoli edilizi necessari per il rilascio dei contributi per la ricostruzione privata nei territori dell’Italia centrale colpiti dagli eventi sismici del 2016.

L’art. 12 del D.L. 189/2016 prevede, al comma 1, che, fuori dei casi disciplinati dall'art. 8, comma 4 (interventi di immediata esecuzione), l'istanza di concessione dei contributi è presentata dai soggetti legittimati all'ufficio speciale per la ricostruzione territorialmente competente unitamente alla richiesta del titolo abilitativo necessario in relazione alla tipologia dell'intervento progettato. Il comma 2 stabilisce che, all'esito dell'istruttoria sulla compatibilità urbanistica degli interventi richiesti a norma della vigente legislazione, il Comune rilascia il titolo edilizio.

Nel dettaglio, la norma in esame:

§  precisa che il comune rilascia il titolo edilizio ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. 380/ 2001 (procedimento per il rilascio del permesso di costruire) ovvero verifica i titoli edilizi di cui agli articoli 22 e 23 del medesimo decreto (riguardanti, rispettivamente, gli interventi subordinati a SCIA e gli interventi subordinati a SCIA in alternativa al permesso di costruire);

§  prevede che la conformità urbanistica è attestata dal professionista abilitato o dall’Ufficio comunale tramite i titoli edilizi legittimi dell’edificio preesistente, l’assenza di procedure sanzionatorie o di sanatoria in corso, l’inesistenza di vincoli di inedificabilità assoluta;

§  dispone che nei comuni indicati negli allegati 1, 2 e 2-bis al D.L. 189/2016 gli interventi di ricostruzione di edifici privati in tutto o in parte lesionati, crollati o demoliti, od oggetto di ordinanza di demolizione per pericolo di crollo, sono autorizzati ai sensi e nei limiti di cui all'art. 3-bis, comma 2, del D.L. 123/2019.

A norma dell’art. 3-bis del D.L. 123/2019 le regioni possono adottare programmi straordinari di ricostruzione per i territori dell'Italia centrale maggiormente colpiti dal sisma del 2016. Il comma 2, in particolare, dispone che i In vigore dal 24 dicembre 2019programmi di cui al presente articolo, predisposti dal competente Ufficio speciale per la ricostruzione, autorizzano gli interventi di ricostruzione di edifici pubblici o privati in tutto o in parte lesionati, crollati o demoliti od oggetto di ordinanza di demolizione per pericolo di crollo, anche in deroga ai vigenti strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica, a condizione che detti interventi siano diretti alla realizzazione di edifici conformi a quelli preesistenti quanto a collocazione, ingombro planivolumetrico e configurazione degli esterni, fatte salve le modifiche planivolumetriche e di sedime necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, igienico-sanitaria e di sicurezza. Sono in ogni caso escluse dai citati programmi le costruzioni interessate da interventi edilizi abusivi.

 

 

Modifiche all’art. 12 del D.L. 23/2020 in materia di Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa (comma 7)

 

Il comma 7, modificando l’articolo 12 del decreto- legge 8 aprile 2020, n. 23, introduce alcune disposizioni che specificano i requisiti necessari per le cooperative edilizie a proprietà indivisa ai fini dell’accesso al Fondo solidarietà mutui prima casa. Le norme introdotte stabiliscono altresì un sistema di calcolo dell’importo massimo del mutuo ammissibile e modulano la durata della sospensione delle rate in base alla percentuale di soci assegnatari che si trovano nelle condizioni richieste dalla legge per l’accesso al Fondo.

Preliminarmente si ricorda che il comma 2-ter, lettera a-bis), del decreto- legge 8 aprile 2020, n. 23, estende i benefìci del Fondo solidarietà mutui prima casa (cd. fondo Gasparrini), secondo le modalità agevolate previste dall’articolo 54 del decreto-legge n. 18 del 2020, alle quote di mutuo relative alle unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa adibite ad abitazione principale e alle relative pertinenze dei soci assegnatari, ove si trovino nelle condizioni richieste dalla legge per l’accesso al fondo (in particolare, nelle condizioni di cui all'articolo 2, comma 479, della legge 24 dicembre 2007, n.?244).

 

L’articolo 2 della legge finanziaria 2008 (legge n. 244 del 2007, commi 475 e seguenti) ha istituito il Fondo di solidarietà per i mutui per l'acquisto della prima casa presso il Ministero dell'Economia e delle Finanze. In sintesi, la disciplina del Fondo, modificata in seguito dalla legge n. 92/2012 (riforma del mercato del lavoro) consente ai titolari di un mutuo per l'acquisto della prima casa di beneficiare della sospensione del pagamento delle rate al verificarsi di situazioni di temporanea difficoltà, destinate ad incidere negativamente sul reddito complessivo del nucleo familiare.

Il Fondo, su richiesta del mutuatario che intende avvalersi della facoltà di sospensione per i mutui concessi da intermediari bancari o finanziari, provvede al pagamento degli interessi maturati sul debito residuo durante il periodo di sospensione.

La sospensione può essere chiesta per non più di due volte e per un periodo massimo di diciotto mesi nel corso dell'esecuzione del contratto. In tal caso, la durata del contratto di mutuo e delle garanzie relative viene prorogata di un periodo eguale alla durata della sospensione. Al termine della sospensione, il pagamento delle rate riprende secondo gli importi e con la periodicità originariamente previsti dal contratto, salvo diverso patto eventualmente intervenuto fra le parti per la rinegoziazione delle condizioni del contratto medesimo. La sospensione non comporta l'applicazione di alcuna commissione o spesa di istruttoria ed avviene senza richiesta di garanzie aggiuntive.

La sospensione non può essere chiesta: nel caso di ritardo nei pagamenti superiore a novanta giorni consecutivi, ovvero per i quali sia intervenuta la decadenza dal beneficio del termine o la risoluzione del contratto stesso, anche tramite notifica dell'atto di precetto, o sia stata avviata da terzi una procedura esecutiva sull'immobile ipotecato; nel caso di fruizione di agevolazioni pubbliche; per i mutui relativamente ai quali sia stata stipulata un'assicurazione a copertura del rischio che si verifichino gli eventi che danno diritto al beneficio della sospensione, a specifiche condizioni.

Il beneficio è previsto nelle ipotesi individuate dall’articolo 2, comma 479 della legge n. 244 e, più precisamente, in caso di: cessazione del rapporto di lavoro subordinato, ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, di risoluzione per limiti di età con diritto a pensione di vecchiaia o di anzianità, di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, di dimissioni del lavoratore non per giusta causa; cessazione dei rapporti di lavoro parasubordinato o di rappresentanza commerciale o di agenzia (art. 409 n. 3 del c.p.c.), sempre salva la risoluzione consensuale, il recesso datoriale per giusta causa, il recesso del lavoratore non per giusta causa; morte o riconoscimento di grave handicap ovvero di invalidità civile (ai sensi della legge n. 104 del 1992) non inferiore all'80%; sospensione dal lavoro o riduzione dell'orario di lavoro per un periodo di almeno trenta giorni, anche in attesa dell'emanazione dei provvedimenti di autorizzazione dei trattamenti di sostegno del reddito.

A seguito dell’emergenza legata al diffondersi del COVID-19 il Governo è intervenuto in più occasioni sulla disciplina del Fondo.

Anzitutto l’articolo 26 del decreto-legge n. 9 del 2020 ha consentito di richiedere il beneficio della sospensione del pagamento delle rate del mutuo nell’ulteriore caso di sospensione dal lavoro o riduzione dell'orario di lavoro per un periodo di almeno trenta giorni, anche in attesa dell’emanazione di provvedimenti di autorizzazione dei trattamenti di sostegno del reddito. Le disposizioni dell’articolo 26 sono confluite nel decreto-legge n. 18 del 2020 in sede di conversione in legge di quest’ultimo provvedimento. Successivamente, il richiamato articolo 54 del decreto-legge n. 18 del 2020 ha previsto che, per un periodo di 9 mesi dall’entrata in vigore del decreto legge stesso (vale a dire dal 17 marzo 2020) e in deroga alla ordinaria disciplina del Fondo, ai relativi benefici siano ammessi anche i lavoratori autonomi e i liberi professionisti che autocertifichino di aver registrato, in un trimestre successivo al 21 febbraio 2020 ovvero nel minor lasso di tempo intercorrente tra la data della domanda e la predetta data, un calo del proprio fatturato che sia superiore al 33% del fatturato dell’ultimo trimestre 2019, in conseguenza della chiusura o della restrizione della propria attività operata in attuazione delle disposizioni adottate dall’autorità competente per l’emergenza coronavirus.

In deroga alle norme generali sull’accesso al Fondo, l’articolo 54 chiarisce inoltre che nel caso specifico non è richiesta la presentazione dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE); dispone che il Fondo provveda al pagamento degli interessi compensativi nella misura pari al 50% degli interessi maturati sul debito residuo durante il periodo di sospensione. Viene dunque abbassata la percentuale di interessi corrisposta dal fondo, ma è inclusa nel calcolo di tale onere la cd. componente di spread.

Successivamente sono stati ampliati alcuni requisiti di accesso al Fondo: è aumentato a 400.000 euro l’importo massimo del mutuo e sono inclusi i mutui già ammessi ai benefici per i quali sia ripreso, per almeno tre mesi, il regolare ammortamento delle rate nonché i mutui che fruiscono della garanzia del Fondo di garanzia per la prima casa.  Con il decreto 25 marzo 2020 del MEF sono state adottate le necessarie disposizioni di attuazione sia dell’articolo 54 del decreto-legge n. 18 del 2020, sia del citato articolo 26 del decreto- legge n. 9 del 2020.

 

Il comma 7, lettera a), indica le modalità di calcolo dell’importo massimo del mutuo ammissibile al Fondo previsto per le cooperative edilizie a proprietà indivisa nonché la soglia minima dei soci assegnatari di immobili residenziali che si trovano nelle condizioni richieste dalla legge necessaria per l’accesso al Fondo.

In particolare, la disposizione dell’articolo in esame modificando la lettera a-bis, del richiamato comma 2-ter dell’articolo 12, prevede che l'ammissione ai benefìci del Fondo è estesa alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, per mutui ipotecari erogati alle predette cooperative di importo massimo pari al prodotto tra l’importo di 400.000 euro (indicato alla lettera b) dell’articolo 54) e il numero dei rispettivi soci, qualora almeno il 20% dei soci assegnatari di immobili residenziali e relative pertinenze si trovi, al momento dell’entrata in vigore della disposizione, nelle richiamate condizioni previste dall'articolo 2, comma 479, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.

 

La lettera b), introduce due nuove lettere (a-ter) e a-quater)) al comma 1 del sopra citato articolo 54, che stabiliscono la durata della sospensione delle rate del mutuo per le società cooperativa mutuatarie nonché le modalità di presentazione dell’istanza di sospensione.

La nuova lettera a-ter) prevede che la sospensione delle rate del mutuo stabilita può essere concessa nella misura di:

§  6 mesi, qualora gli eventi di cui all’articolo 2, comma 479, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, verificatisi successivamente al 31 gennaio 2020, riguardano un numero di assegnatari pari ad almeno il 20 per cento dei soci;

§  12 mesi, qualora gli eventi di cui all’articolo 2, comma 479, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, verificatisi successivamente al 31 gennaio 2020, riguardano un numero di assegnatari compreso tra un valore superiore al 20 per cento e fino al 40 per cento dei soci;

§  18 mesi, qualora gli eventi di cui all’articolo 2, comma 479, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, verificatisi successivamente al 31 gennaio 2020, riguardano un numero di assegnatari superiore al 40 per cento dei soci;

 

La nuova lettera a-quater) stabilisce che l’istanza di sospensione è presentata dalla società cooperativa mutuataria alla banca, attraverso il modulo pubblicato, entro 30 giorni dall’entrata in vigore del comma in esame, nel sito internet del gestore del Fondo (articolo 2, comma 475 e seguenti della legge 24 dicembre 2007, n. 244) che riporta l’indicazione dei documenti probatori degli eventi che determinano la richiesta di sospensione, previa delibera assunta dai rispettivi organi deliberativi, con le modalità e nei termini previsti dall’atto costitutivo, dallo statuto o da altri regolamenti interni della medesima società.

 

Si ricorda che gestore del Fondo è la Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici-Consap s.p.a. (società in house del Ministero dell’Economia e delle Finanze). Si segnala, inoltre, che sul sito della Consap sono consultabili le modalità e i documenti necessari ai fini della presentazione dell'istanza di sospensione.

 

Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze possono essere stabilite ulteriori modalità di attuazione delle disposizioni indicate al comma 2-ter.

 

La lettera c) del comma in esame, ai fini di coordinamento con le norme introdotte, abroga il comma 2-quater dell’articolo 12 che stabilisce che con regolamento adottato mediante decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, sono stabilite le modalità di attuazione delle disposizioni e, in particolare, quelle relative all'individuazione della quota di mutuo da sospendere.

 

 

 

 

 

TESTO UNICO DELL’EDILIZIA

(DPR 380/2001)

 

TESTO PREVIGENTE

AL D.L. 76/2020

 

NUOVO TESTO RISULTANTE DALLE MODIFICHE RECATE DAL D.L. 76/2020

 

Art. 2-bis

(Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati)

 

Art. 2-bis

(Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati)

 

1. Ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell'ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali.

1-bis. Le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i comuni nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio.

 

1-ter. In ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest'ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

    1-ter. In ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione è comunque consentita nell’osservanza delle distanze legittimamente preesistenti. Gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, sempre nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti.

Nelle zone omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione, sono consentite esclusivamente nell’ambito di piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati, di competenza comunale, fatte salve le previsioni degli strumenti di pianificazione urbanistica vigenti.

 

Art. 3

 (Definizione degli interventi edilizi)

 

Art. 3

(Definizione degli interventi edilizi)

1. Ai fini del presente testo unico si intendono per:

a) "interventi di manutenzione ordinaria", gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti;

b) "interventi di manutenzione straordinaria", le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso. Nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione di uso;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

c) "interventi di restauro e di risanamento conservativo", gli interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d'uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio;

d) "interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

e) "interventi di nuova costruzione", quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi tali:

e.1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6);

e.2) gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal comune;

e.3) la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato;

e.4) l'installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione;

e.5) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore;

e.6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale;

e.7) la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato;

f) gli "interventi di ristrutturazione urbanistica", quelli rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico - edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale.

     2. Le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi. Resta ferma la definizione di restauro prevista dall'articolo 34 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490.

1. Ai fini del presente testo unico si intendono per:

a) "interventi di manutenzione ordinaria", gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti;

b) "interventi di manutenzione straordinaria", le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso implicanti incremento del carico urbanistico. Nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione di uso. Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono comprese anche le modifiche ai prospetti degli edifici legittimamente realizzati necessarie per mantenere o acquisire l’agibilità dell’edificio ovvero per l’accesso allo stesso, che non pregiudichino il decoro architettonico dell’edificio, purché l’intervento risulti conforme alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia e non abbia ad oggetto immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;

c) "interventi di restauro e di risanamento conservativo", gli interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d'uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio;

 

 

d) "interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché  a quelli ubicati nelle zone omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria.

e) "interventi di nuova costruzione", quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi tali:

e.1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6);

e.2) gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal comune;

e.3) la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato;

e.4) l'installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione;

e.5) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore;

e.6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale;

e.7) la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato;

f) gli "interventi di ristrutturazione urbanistica", quelli rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico - edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale.

2. Le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi. Resta ferma la definizione di restauro prevista dall'articolo 34 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490.

Art. 6 

(Attività edilizia libera)

 

Art. 6 

(Attività edilizia libera)

 

1. Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, i seguenti interventi sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo:

a) gli interventi di manutenzione ordinaria di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a);

a-bis) gli interventi di installazione delle pompe di calore aria-aria di potenza termica utile nominale inferiore a 12 Kw; 

b) gli interventi volti all'eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell'edificio;

c) le opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo che abbiano carattere geognostico, ad esclusione di attività di ricerca di idrocarburi, e che siano eseguite in aree esterne al centro edificato;

d) i movimenti di terra strettamente pertinenti all'esercizio dell'attività agricola e le pratiche agro-silvo-pastorali, compresi gli interventi su impianti idraulici agrari;

e) le serre mobili stagionali, sprovviste di strutture in muratura, funzionali allo svolgimento dell'attività agricola;

e-bis) le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni, previa comunicazione di avvio lavori all'amministrazione comunale;

 

 

 

 

e-ter) le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, che siano contenute entro l'indice di permeabilità, ove stabilito dallo strumento urbanistico comunale, ivi compresa la realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque, locali tombati;

e-quater) i pannelli solari, fotovoltaici, a servizio degli edifici, da realizzare al di fuori della zona A) di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444;

e-quinquies) le aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici.

2. abrogato

3. abrogato

4. abrogato

5. Riguardo agli interventi di cui al presente articolo, l'interessato provvede, nei casi previsti dalle vigenti disposizioni, alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale ai sensi dell'articolo 34-quinquies, comma 2, lettera b), del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 marzo 2006, n. 80.

6. Le regioni a statuto ordinario:

a) possono estendere la disciplina di cui al presente articolo a interventi edilizi ulteriori rispetto a quelli previsti dal comma 1, esclusi gli interventi di cui all'articolo 10, comma 1, soggetti a permesso di costruire e gli interventi di cui all'articolo 23, soggetti a segnalazione certificata di inizio attività in alternativa al permesso di costruire;

b) disciplinano con legge le modalità per l'effettuazione dei controlli.

 

Omissis

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

e-bis) le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità e, comunque, entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto, previa comunicazione di avvio dei lavori all'amministrazione comunale;

 

Art. 9-bis

(Documentazione     amministrativa)

Art. 9-bis

(Documentazione amministrativa e stato legittimo degli immobili)

 

1. Ai fini della presentazione, del rilascio o della formazione dei titoli abilitativi previsti dal presente testo unico, le amministrazioni sono tenute ad acquisire d'ufficio i documenti, le informazioni e i dati, compresi quelli catastali, che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni e non possono richiedere attestazioni, comunque denominate, o perizie sulla veridicità e sull'autenticità di tali documenti, informazioni e dati.

 

1. Ai fini della presentazione, del rilascio o della formazione dei titoli abilitativi previsti dal presente testo unico, le amministrazioni sono tenute ad acquisire d'ufficio i documenti, le informazioni e i dati, compresi quelli catastali, che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni e non possono richiedere attestazioni, comunque denominate, o perizie sulla veridicità e sull'autenticità di tali documenti, informazioni e dati.

1-bis. Lo stato legittimo dell'immobile o dell'unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o da quello che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto ovvero da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza. Le disposizioni di cui al secondo periodo si applicano altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia.

 

 

 

 

 

Art. 10

(Interventi subordinati a permesso di costruire)

 

Art. 10

(Interventi subordinati a permesso di costruire)

 

1. Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire:

a) gli interventi di nuova costruzione;

b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica;

c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni.

 

 

2. Le regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a segnalazione certificata di inizio attività.

3. Le regioni possono altresì individuare con legge ulteriori interventi che, in relazione all'incidenza sul territorio e sul carico urbanistico, sono sottoposti al preventivo rilascio del permesso di costruire. La violazione delle disposizioni regionali emanate ai sensi del presente comma non comporta l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 44.

1. Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire:

a) gli interventi di nuova costruzione;

b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica;

c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

2. Le regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a segnalazione certificata di inizio attività.

3. Le regioni possono altresì individuare con legge ulteriori interventi che, in relazione all'incidenza sul territorio e sul carico urbanistico, sono sottoposti al preventivo rilascio del permesso di costruire. La violazione delle disposizioni regionali emanate ai sensi del presente comma non comporta l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 44.

 

Art. 14

(Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici)

 

Art. 14

(Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici)

1. Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia.

1-bis. Per gli interventi di ristrutturazione edilizia, attuati anche in aree industriali dismesse, è ammessa la richiesta di permesso di costruire anche in deroga alle destinazioni d'uso, previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l'interesse pubblico, a condizione che il mutamento di destinazione d'uso non comporti un aumento della superficie coperta prima dell'intervento di ristrutturazione, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'articolo 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni.

2. Dell'avvio del procedimento viene data comunicazione agli interessati ai sensi dell'articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

3. La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, nonché, nei casi di cui al comma 1-bis, le destinazioni d'uso, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444.

 

 1. Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia.

1-bis. La richiesta di permesso di costruire in deroga è ammessa anche per gli interventi di ristrutturazione edilizia, previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l'interesse pubblico, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'articolo 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.

 

 

 

 

 

 

 

2. Dell'avvio del procedimento viene data comunicazione agli interessati ai sensi dell'articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

3. La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, nonché le destinazioni d'uso ammissibili, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444.

Art. 16

(Contributo per il rilascio del permesso di costruire)

 

Art. 16

(Contributo per il rilascio del permesso di costruire)

 

 1. Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo.

2. La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto dell'articolo 2, comma 5, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune.

2-bis. Nell'ambito degli strumenti attuativi e degli atti equivalenti comunque denominati nonché degli interventi in diretta attuazione dello strumento urbanistico generale, l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria di cui al comma 7, di importo inferiore alla soglia di cui all'articolo 28, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, funzionali all'intervento di trasformazione urbanistica del territorio, è a carico del titolare del permesso di costruire e non trova applicazione il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

3. La quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio, è corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione della costruzione.

4. L'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni in relazione:

a) all'ampiezza ed all'andamento demografico dei comuni;

b) alle caratteristiche geografiche dei comuni;

c) alle destinazioni di zona previste negli strumenti urbanistici vigenti;

d) ai limiti e rapporti minimi inderogabili fissati in applicazione dall'articolo 41-quinquies, penultimo e ultimo comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modifiche e integrazioni, nonché delle leggi regionali;

d-bis) alla differenziazione tra gli interventi al fine di incentivare, in modo particolare nelle aree a maggiore densità del costruito, quelli di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), anziché quelli di nuova costruzione;

d-ter) alla valutazione del maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d'uso. Tale maggior valore, calcolato dall'amministrazione comunale, è suddiviso in misura non inferiore al 50 per cento tra il comune e la parte privata ed è erogato da quest'ultima al comune stesso sotto forma di contributo straordinario, che attesta l'interesse pubblico, in versamento finanziario, vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui ricade l'intervento, cessione di aree o immobili da destinare a servizi di pubblica utilità, edilizia residenziale sociale od opere pubbliche.

4-bis. Con riferimento a quanto previsto dal secondo periodo della lettera d-ter) del comma 4, sono fatte salve le diverse disposizioni delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici generali comunali.

5. Nel caso di mancata definizione delle tabelle parametriche da parte della regione e fino alla definizione delle tabelle stesse, i comuni provvedono, in via provvisoria, con deliberazione del consiglio comunale, secondo i parametri di cui al comma 4, fermo restando quanto previsto dal comma 4-bis.

6. Ogni cinque anni i comuni provvedono ad aggiornare gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, in conformità alle relative disposizioni regionali, in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale.

7. Gli oneri di urbanizzazione primaria sono relativi ai seguenti interventi: strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell'energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato.

7-bis. Tra gli interventi di urbanizzazione primaria di cui al comma 7 rientrano i cavedi multiservizi e i cavidotti per il passaggio di reti di telecomunicazioni, salvo nelle aree individuate dai comuni sulla base dei criteri definiti dalle regioni.

8. Gli oneri di urbanizzazione secondaria sono relativi ai seguenti interventi: asili nido e scuole materne, scuole dell'obbligo nonché strutture e complessi per l'istruzione superiore all'obbligo, mercati di quartiere, delegazioni comunali, chiese e altri edifici religiosi, impianti sportivi di quartiere, aree verdi di quartiere, centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie. Nelle attrezzature sanitarie sono ricomprese le opere, le costruzioni e gli impianti destinati allo smaltimento, al riciclaggio o alla distruzione dei rifiuti urbani, speciali, pericolosi, solidi e liquidi, alla bonifica di aree inquinate.

9. Il costo di costruzione per i nuovi edifici è determinato periodicamente dalle regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata, definiti dalle stesse regioni a norma della lettera g) del primo comma dell'articolo 4 della legge 5 agosto 1978, n. 457. Con lo stesso provvedimento le regioni identificano classi di edifici con caratteristiche superiori a quelle considerate nelle vigenti disposizioni di legge per l'edilizia agevolata, per le quali sono determinate maggiorazioni del detto costo di costruzione in misura non superiore al 50 per cento. Nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, ovvero in eventuale assenza di tali determinazioni, il costo di costruzione è adeguato annualmente, ed autonomamente, in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Il contributo afferente al permesso di costruire comprende una quota di detto costo, variabile dal 5 per cento al 20 per cento, che viene determinata dalle regioni in funzione delle caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della loro destinazione ed ubicazione.

10. Nel caso di interventi su edifici esistenti il costo di costruzione è determinato in relazione al costo degli interventi stessi, così come individuati dal comune in base ai progetti presentati per ottenere il permesso di costruire. Al fine di incentivare il recupero del patrimonio edilizio esistente, per gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), i comuni hanno comunque la facoltà di deliberare che i costi di costruzione ad essi relativi siano inferiori ai valori determinati per le nuove costruzioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

    d-ter) alla valutazione del maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica o in deroga. Tale maggior valore, calcolato dall'amministrazione comunale, è suddiviso in misura non inferiore al 50 per cento tra il comune e la parte privata ed è erogato da quest'ultima al comune stesso sotto forma di contributo straordinario, che attesta l'interesse pubblico, in versamento finanziario, vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui ricade l'intervento, cessione di aree o immobili da destinare a servizi di pubblica utilità, edilizia residenziale sociale od opere pubbliche.

 

Art. 17

(Riduzione o esonero dal contributo di costruzione)

 

Art. 17

(Riduzione o esonero dal contributo di costruzione)

1. Nei casi di edilizia abitativa convenzionata, relativa anche ad edifici esistenti, il contributo afferente al permesso di costruire è ridotto alla sola quota degli oneri di urbanizzazione qualora il titolare del permesso si impegni, a mezzo di una convenzione con il comune, ad applicare prezzi di vendita e canoni di locazione determinati ai sensi della convenzione-tipo prevista dall'articolo 18.

2. Il contributo per la realizzazione della prima abitazione è pari a quanto stabilito per la corrispondente edilizia residenziale pubblica, purché sussistano i requisiti indicati dalla normativa di settore.

3. Il contributo di costruzione non è dovuto:

a) per gli interventi da realizzare nelle zone agricole, ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell'articolo 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153;

b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari;

c) per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici;

d) per gli interventi da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità;

e) per i nuovi impianti, lavori, opere, modifiche, installazioni, relativi alle fonti rinnovabili di energia, alla conservazione, al risparmio e all'uso razionale dell'energia, nel rispetto delle norme urbanistiche, di tutela dell'assetto idrogeologico, artistico-storica e ambientale.

4. Per gli interventi da realizzarsi su immobili di proprietà dello Stato, nonché per gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'articolo 6, comma 2, lettera a), qualora comportanti aumento del carico urbanistico, il contributo di costruzione è commisurato alla incidenza delle sole opere di urbanizzazione, purché ne derivi un aumento della superficie calpestabile.

4-bis. Al fine di agevolare gli interventi di densificazione edilizia, per la ristrutturazione, il recupero e il riuso degli immobili dismessi o in via di dismissione, il contributo di costruzione è ridotto in misura non inferiore al venti per cento rispetto a quello previsto per le nuove costruzioni nei casi non interessati da varianti urbanistiche, deroghe o cambi di destinazione d'uso comportanti maggior valore rispetto alla destinazione originaria. I comuni definiscono, entro novanta giorni dall'entrata in vigore della presente disposizione, i criteri e le modalità applicative per l'applicazione della relativa riduzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

4-bis. Al fine di agevolare gli interventi di rigenerazione urbana, di ristrutturazione, nonché di recupero e riuso degli immobili dismessi o in via di dismissione, il contributo di costruzione è ridotto in misura non inferiore del 20 per cento rispetto a quello previsto dalle tabelle parametriche regionali. I comuni hanno la facoltà di deliberare ulteriori riduzioni del contributo di costruzione, fino alla completa esenzione dallo stesso.

Art. 20

(Procedimento per il rilascio del permesso di costruire)

Art. 20

(Procedimento per il rilascio del permesso di costruire)

 

Omissis

8. Decorso inutilmente il termine per l'adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell'ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all'assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui agli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Omissis

8. Decorso inutilmente il termine per l'adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell'ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all'assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui agli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241. Fermi restando gli effetti comunque prodotti dal silenzio, lo sportello unico per l’edilizia rilascia anche in via telematica, entro quindici giorni dalla richiesta dell’interessato, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento, in assenza di richieste di integrazione documentale o istruttorie inevase e di provvedimenti di diniego; altrimenti, nello stesso termine, comunica all’interessato che tali atti sono intervenuti.

Art. 22

(Interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio di attività)

 

                         Art. 22

(Interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio di attività)

 

1. Sono realizzabili mediante la segnalazione certificata di inizio di attività di cui all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente:

a) gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio;

b) gli interventi di restauro e di risanamento conservativo di cui all'articolo 3, comma 1, lettera c), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio;

c) gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), diversi da quelli indicati nell'articolo 10, comma 1, lettera c).

2. Sono, altresì, realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai fini dell'attività di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini dell'agibilità, tali segnalazioni certificate di inizio attività costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell'intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori.

2-bis. Sono realizzabili mediante segnalazione certificata d'inizio attività e comunicate a fine lavori con attestazione del professionista, le varianti a permessi di costruire che non configurano una variazione essenziale, a condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie e siano attuate dopo l'acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore.

 

3. abrogato.

4. Le regioni a statuto ordinario con legge possono ampliare o ridurre l'ambito applicativo delle disposizioni di cui ai commi precedenti. Restano, comunque, ferme le sanzioni penali previste all'articolo 44.

5. abrogato

     6. La realizzazione degli interventi di cui al presente Capo che riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica, paesaggistico-ambientale o dell'assetto idrogeologico, è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative. Nell'ambito delle norme di tutela rientrano, in particolare, le disposizioni di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490.

7. E' comunque salva la facoltà dell'interessato di chiedere il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione degli interventi di cui al presente Capo, senza obbligo del pagamento del contributo di costruzione di cui all'articolo 16, salvo quanto previsto dall'ultimo periodo del comma 1 dell'articolo 23. In questo caso la violazione della disciplina urbanistico-edilizia non comporta l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 44 ed è soggetta all'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 37.

1. Sono realizzabili mediante la segnalazione certificata di inizio di attività di cui all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente:

a) gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio o i prospetti;

b) gli interventi di restauro e di risanamento conservativo di cui all'articolo 3, comma 1, lettera c), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio;

c) gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), diversi da quelli indicati nell'articolo 10, comma 1, lettera c).

2. Sono, altresì, realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai fini dell'attività di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini dell'agibilità, tali segnalazioni certificate di inizio attività costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell'intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori.

2-bis. Sono realizzabili mediante segnalazione certificata d'inizio attività e comunicate a fine lavori con attestazione del professionista, le varianti a permessi di costruire che non configurano una variazione essenziale, a condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie e siano attuate dopo l'acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore.

3. abrogato.

4. Le regioni a statuto ordinario con legge possono ampliare o ridurre l'ambito applicativo delle disposizioni di cui ai commi precedenti. Restano, comunque, ferme le sanzioni penali previste all'articolo 44.

5. abrogato

6. La realizzazione degli interventi di cui al presente Capo che riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica, paesaggistico-ambientale o dell'assetto idrogeologico, è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative. Nell'ambito delle norme di tutela rientrano, in particolare, le disposizioni di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490.

7. E' comunque salva la facoltà dell'interessato di chiedere il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione degli interventi di cui al presente Capo, senza obbligo del pagamento del contributo di costruzione di cui all'articolo 16, salvo quanto previsto dall'ultimo periodo del comma 1 dell'articolo 23. In questo caso la violazione della disciplina urbanistico-edilizia non comporta l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 44 ed è soggetta all'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 37.

Art. 23-ter

(Mutamento d'uso urbanisticamente rilevante)

Art. 23-ter

     (Mutamento d'uso urbanisticamente rilevante)

 

      1. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa, da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate:

a) residenziale;

a-bis) turistico-ricettiva;

b) produttiva e direzionale;

c) commerciale;

d) rurale.

2. La destinazione d'uso di un fabbricato o di una unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile.

 

3. Le regioni adeguano la propria legislazione ai princìpi di cui al presente articolo entro novanta giorni dalla data della sua entrata in vigore. Decorso tale termine, trovano applicazione diretta le disposizioni del presente articolo. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito.

 

 

 

 

 

 

1. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa, da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate:

a) residenziale;

a-bis) turistico-ricettiva;

b) produttiva e direzionale;

c) commerciale;

d) rurale.

2. La destinazione d'uso dell'immobile o dell'unità immobiliare è quella stabilita dalla documentazione di cui all’articolo 9-bis, comma 1-bis.

3. Le regioni adeguano la propria legislazione ai princìpi di cui al presente articolo entro novanta giorni dalla data della sua entrata in vigore. Decorso tale termine, trovano applicazione diretta le disposizioni del presente articolo. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito.

Art. 24

(Agibilità)

 

Art. 24

(Agibilità)

 

1. La sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, nonché la conformità dell'opera al progetto presentato e la sua agibilità sono attestati mediante segnalazione certificata.

2. Ai fini dell'agibilità, entro quindici giorni dall'ultimazione dei lavori di finitura dell'intervento, il soggetto titolare del permesso di costruire, o il soggetto che ha presentato la segnalazione certificata di inizio di attività, o i loro successori o aventi causa, presenta allo sportello unico per l'edilizia la segnalazione certificata, per i seguenti interventi:

a) nuove costruzioni;

b) ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali;

c) interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di cui al comma 1.

3. La mancata presentazione della segnalazione, nei casi indicati al comma 2, comporta l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da euro 77 a euro 464.

4. Ai fini dell'agibilità, la segnalazione certificata può riguardare anche:

a) singoli edifici o singole porzioni della costruzione, purché funzionalmente autonomi, qualora siano state realizzate e collaudate le opere di urbanizzazione primaria relative all'intero intervento edilizio e siano state completate e collaudate le parti strutturali connesse, nonché collaudati e certificati gli impianti relativi alle parti comuni;

b) singole unità immobiliari, purché siano completate e collaudate le opere strutturali connesse, siano certificati gli impianti e siano completate le parti comuni e le opere di urbanizzazione primaria dichiarate funzionali rispetto all'edificio oggetto di agibilità parziale.

5. La segnalazione certificata di cui ai commi da 1 a 4 è corredata dalla seguente documentazione:

a) attestazione del direttore dei lavori o, qualora non nominato, di un professionista abilitato che assevera la sussistenza delle condizioni di cui al comma 1;

b) certificato di collaudo statico di cui all'articolo 67 ovvero, per gli interventi di cui al comma 8-bis del medesimo articolo, dichiarazione di regolare esecuzione resa dal direttore dei lavori;

c) dichiarazione di conformità delle opere realizzate alla normativa vigente in materia di accessibilità e superamento delle barriere architettoniche di cui all'articolo 77, nonché all'articolo 82;

d) gli estremi dell'avvenuta dichiarazione di aggiornamento catastale;

e) dichiarazione dell'impresa installatrice, che attesta la conformità degli impianti installati negli edifici alle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico prescritte dalla disciplina vigente ovvero, ove previsto, certificato di collaudo degli stessi.

6. L'utilizzo delle costruzioni di cui ai commi 2 e 4 può essere iniziato dalla data di presentazione allo sportello unico della segnalazione corredata della documentazione di cui al comma 5. Si applica l'articolo 19, commi 3 e 6-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241.

7. Le Regioni, le Province autonome, i Comuni e le Città metropolitane, nell'ambito delle proprie competenze, disciplinano le modalità di effettuazione dei controlli, anche a campione e comprensivi dell'ispezione delle opere realizzate.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

      7-bis. La segnalazione certificata può altresì essere presentata, in assenza di lavori, per gli immobili legittimamente realizzati privi di agibilità che presentano i requisiti definiti con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti predisposto di concerto con il Ministro della salute, con il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo e con il Ministro per la pubblica amministrazione, da adottarsi, previa intesa in Conferenza unificata, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.

Art. 34

(Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire)

 

Art. 34

(Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire)

 

1. Gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell'ufficio. Decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell'abuso.

2. Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.

2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all'articolo 23, comma 01, eseguiti in parziale difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività.

2-ter. Ai fini dell'applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali.

 

1. Gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell'ufficio. Decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell'abuso.

2. Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.

2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all'articolo 23, comma 01, eseguiti in parziale difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività.

2-ter. abrogato

 

 

Art. 34-bis

(Tolleranze costruttive)

 

1. Il mancato rispetto dell'altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo. 

    2. Fuori dai casi di cui al comma 1, limitatamente agli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, costituiscono inoltre tolleranze esecutive le irregolarità geometriche e le modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, nonché la diversa collocazione di impianti e opere interne e le modifiche alle finiture degli edifici, eseguite durante i lavori per l'attuazione di titoli abilitativi edilizi, a condizione che non comportino violazione della disciplina urbanistica ed edilizia e non pregiudichino l'agibilità dell'immobile.

3. Le tolleranze esecutive di cui ai commi 1 e 2 realizzate nel corso di precedenti interventi edilizi, non costituendo violazioni edilizie, sono dichiarate dal tecnico abilitato, ai fini dell’attestazione dello stato legittimo degli immobili, nella modulistica relativa a nuove istanze, comunicazioni e segnalazioni edilizie ovvero, con apposita dichiarazione asseverata allegata agli atti aventi per oggetto trasferimento o costituzione, ovvero scioglimento della comunione, di diritti reali.

 

 


Articolo 11
(Accelerazione e semplificazione della ricostruzione pubblica nelle aree colpite da eventi sismici)

 

 

L'articolo 11 interviene in materia di accelerazione e semplificazione della ricostruzione pubblica nelle aree colpite da eventi sismici, prevedendo, al co. 1, che le disposizioni del presente decreto recanti semplificazioni e agevolazioni procedurali o maggiori poteri commissariali si applichino, senza pregiudizio dei poteri e delle deroghe già previsti dalla legislazione vigente, a tutte le gestioni commissariali in corso.

Il comma 2 attribuisce poi al Commissario straordinario per la ricostruzione del centro Italia un potere di ordinanza in deroga a ogni disposizione di legge diversa da quella penale, su un elenco di interventi ed opere urgenti e di particolare criticità, anche relativi alla ricostruzione dei centri storici dei comuni maggiormente colpiti, individuati anch'essi con ordinanza del Commissario. Il Commissario straordinario può nominare fino a due sub-commissari, dettandosi disposizioni sui relativi compensi, e autorizzando la spesa di 100.000 euro per il 2020 e 200 mila euro annui a decorrere dal 2021.

Il comma 3 prevede che, fermo restando il protocollo di intesa tra il Commissario straordinario del Governo per la ricostruzione, il Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo ed il presidente della Conferenza episcopale italiana (CEI), i lavori di competenza delle diocesi e degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, di importo non superiore alla soglia comunitaria per singolo lavoro, seguono le procedure previste per la ricostruzione privata sia per l’affidamento sia per la  progettazione che dei lavori. Resta ferma la disciplina degli interventi immediati sul patrimonio culturale di cui all’articolo 15-bis del DL n. 189 del 2016.

 

Gestioni commissariali in corso

Più nel dettaglio la disposizione, al comma 1, prevede che le disposizioni del presente decreto recanti semplificazioni e agevolazioni procedurali o maggiori poteri commissariali, si applicano alle gestioni commissariali in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, finalizzate alla ricostruzione e al sostegno delle aree colpite da eventi sismici verificatisi sul territorio nazionale.

Si afferma che ciò avviene senza pregiudizio dei poteri e delle deroghe già previsti dalla legislazione vigente.

La norma specifica che l'ambito applicativo alle varie gestioni commissariali comprende anche le procedure relative:

-         alla scelta del contraente o all’aggiudicazione di pubblici lavori, servizi e forniture;

-          nonché concernenti le valutazioni ambientali;

-         ovvero, ai procedimenti amministrativi 'di qualunque tipo'.

 

 

Poteri di ordinanza del Commissario straordinario per la ricostruzione in Centro Italia

 

Il comma 2 stabilisce che - senza pregiudizio di quanto previsto dal comma 1 -  il Commissario straordinario di cui all’articolo 2 del DL n. 189 del 2016 relativo agli eventi sismici del Centro Italia del 2016, individua con propria ordinanza gli interventi e le opere urgenti e di particolare criticità, anche relativi alla ricostruzione dei centri storici dei comuni maggiormente colpiti. Per tali interventi, si stabilisce che i poteri di ordinanza attribuiti al Commissario dall’articolo 2, comma 2, del medesimo DL 189/2016 sono esercitabili in deroga a ogni disposizione di legge diversa da quella penale. Si specifica trattarsi degli interventi nei comuni di cui agli allegati 1, 2 e 2-bis del decreto-legge n. 189 del 2016.

Si tratta, quanto all'Allegato 1, dell'Elenco dei Comuni colpiti dal sisma del 24 agosto 2016, per l'Allegato 2 dell'Elenco dei Comuni colpiti dal sisma del 26 e del 30 ottobre 2016 e per l'Allegato 2-bis dell'Elenco dei Comuni colpiti dal sisma del 18 gennaio 2017.

E' fatto salvo dalla disposizione, oltre al rispetto della legge penale, il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, del codice dei beni culturali, nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, ivi inclusi quelli derivanti dalle direttive 2014/24/UE (sugli appalti pubblici) e 2014/25/UE (sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali).

 

Si ricorda che il Decreto-Legge 17 ottobre 2016, n. 189 ha recato Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016, convertito con modificazioni dalla Legge 15 dicembre 2016, n. 229.

In base al comma 2 dell'articolo 2 del D.L. 189 citato, le ordinanze del Commissario sono emanate per l'esercizio delle funzioni di cui al comma 1 della medesima norma - che elenca una serie di f sentiti i Presidenti delle Regioni interessate nell'ambito della cabina di coordinamento (di cui all'articolo 1, comma 5), e sono comunicate al Presidente del Consiglio dei ministri. In relazione all'articolo 2, comma 2, del D.L. 189, si ricorda poi che modifiche in relazione alla governance della gestione post sisma e al potere ordinanziale erano state recate dall'art. 37, comma 1, lett. a), n. 1-bis), del D.L. n. 109 del 2018. Il co. 2 dell'articolo 2 in parola ha infatti previsto che per l'esercizio delle funzioni previste, il Commissario straordinario provvede anche a mezzo di ordinanze, nel rispetto della Costituzione, dei principi generali dell'ordinamento giuridico e delle norme dell'ordinamento europeo, e che le ordinanze sono emanate sentiti i Presidenti delle Regioni interessate nell'ambito della cabina di coordinamento di cui all'articolo 1, comma 5, e sono comunicate al Presidente del Consiglio dei ministri.

Va segnalato che la Corte costituzionale, con sentenza  n. 246 del 2019 (pubblicata in Gazz. Uff. 4 dicembre 2019, n. 49 - Prima serie speciale), ha al riguardo dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità costituzionale della previsione citata in materia di poteri di ordinanza del Commissario, nella parte in cui ha previsto che le ordinanze del commissario straordinario in parola sono adottate sentiti i Presidenti delle Regioni interessate anziché previa intesa con gli stessi.

Si ricorda che con il D.P.C.M. 14 febbraio 2020, l'avvocato Giovanni Legnini, è stato nominato Commissario straordinario del Governo ai fini della ricostruzione nelle regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria interessate dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016. E' stata inoltre stabilita l'impignorabilità delle risorse assegnate alla gestione commissariale per i territori colpiti da eventi sismici, in tal caso, fino al 31 dicembre 2020 (art. 39 del D.L. 109/18).

In considerazione dell’esigenza di continuità dell’azione del commissario straordinario, la Corte in pronuncia ha fatto salvi gli effetti utili dell’azione amministrativa già posta in essere per la situazione emergenziale.

Si ricorda che oggetto del giudizio di costituzionalità - che era stato promosso con ricorsi della Regione Marche e della Regione Umbria - era l’art. 37, comma 1, lettera a), numero 1-bis), e lettera b-ter), del decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109 (Disposizioni urgenti per la città di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze), convertito, con modificazioni, in legge 16 novembre 2018, n. 130, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale.

Con tale pronuncia, la Corte ha evidenziato come, la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato, deve prevedere un idoneo coinvolgimento delle Regioni; ciò deve valere 'a doppio titolo': da una parte, la chiamata in sussidiarietà a livello centrale di funzioni amministrative in materia di «protezione civile» in caso di emergenza di rilievo nazionale richiede il rispetto del principio di leale collaborazione; dall’altra parte, tale necessario coinvolgimento viene in rilievo anche perché l’avvio della ricostruzione incrocia altresì la competenza concorrente delle Regioni in materia di «governo del territorio».

 

In base alla disposizione in esame, sembrano delinearsi:

-         una prima ordinanza del Commissario, volta ad individuare gli interventi ritenuti urgenti nell'ambito degli indicati Comuni di cui ai diversi Allegati al D.L. 189;

A tale riguardo, la disposizione non prefigura uno specifico iter procedimentale per l'adozione dell'ordinanza, invece previsto per le ordinanze ai sensi dell'art.2, comma 2, del DL 189.

Considerato che tale potere di ordinanza è esercitato nelle materie legislative concorrenti "protezione civile" e "governo del territorio",  si valuti la possibilità di prevedere un idoneo coinvolgimento delle regioni interessate.

Al riguardo, la richiamata sentenza della Corte costituzionale (la n.246 del 2019, v. supra), se da un lato riconosce la legittimità[10] di un intervento legislativo statale più penetrante rispetto alla  disciplina di principio riservata allo Stato nelle citate materie in cui la competenza è concorrente, dall'altro richiama l'esigenza di prevedere un adeguato coinvolgimento delle regioni, attraverso lo strumento dell'intesa[11], non ritenendo in quell'occasione rispettosa del principio di leale collaborazione la previsione di un mero parere.

 

-         su tali interventi, l'articolo in esame risulta delineare un potere di ordinanza, che ha i presupposti e i confini del potere ordinanziale già previsto dal D.L. 189 - segnatamente dall'articolo 2, co. 2, dello stesso - ma che opera in deroga al quadro normativo (con le eccezioni previste).

 

L’elenco di tali interventi e opere è comunicato al Presidente del Consiglio dei ministri, che può impartire direttive.

Inoltre, per il coordinamento e la realizzazione degli interventi e delle opere in questione, il Commissario straordinario può nominare fino a due sub-commissari, responsabili 'di uno o più interventi', il cui compenso è determinato in misura non superiore a quella indicata all’articolo 15, comma 3, del DL n. 98 del 2011[12].

Alla luce della formulazione della disposizione, si valuti l’opportunità di chiarire se la nomina dei subcommissari riguardi la singola opera o intervento, ovvero sia relativa all'elenco individuato dal Commissario.

Inoltre, parrebbe suscettibile di approfondimento l'eventuale rapporto fra gli istituendi subcommissari, da  un lato,  e i vicecommissari e la cabina di coordinamento, di cui all'art.1, comma 5, del D.L. n. 189 (non inciso dal decreto legge in esame)[13].

Il suddetto D.L.n. 98 reca Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria. Nel disciplinare la Liquidazione degli enti dissestati e misure di razionalizzazione dell'attività dei commissari straordinari, il citato articolo 15 del DL 98/2011, al comma 3 stabilisce che, a decorrere dal 1° gennaio 2012, il compenso dei commissari o sub commissari sia composto da una parte fissa e da una parte variabile. La parte fissa non può superare 50 mila euro annui; la parte variabile, strettamente correlata al raggiungimento degli obiettivi e al rispetto dei tempi di realizzazione degli interventi ricadenti nell'oggetto dell'incarico commissariale, non può superare 50 mila euro annui. Con la medesima decorrenza si è stabilito di procedere alla rideterminazione dei compensi previsti per gli incarichi di commissario e sub commissario conferiti prima di tale data; la violazione delle disposizioni del comma in esame costituisce responsabilità per danno erariale.

A tal fine è autorizzata la spesa di 100.000 euro per il 2020 e 200 mila euro annui a decorrere dal 2021. Ai relativi oneri si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2020, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero medesimo.

Il Commissario straordinario può altresì individuare, ai sensi dell’articolo 15 del DL n. 189 del 2016, il soggetto attuatore competente, che agisce sulla base delle ordinanze commissariali di cui al presente comma della disposizione in esame.

 

Più nel dettaglio, quanto alla richiamata normativa del D.L. 189 del 2016 in materia di terremoti, si ricorda che il menzionato articolo 2 del DL n. 189 disciplina le Funzioni del Commissario straordinario e dei vice commissari, in particolare precisando, al comma 1, i compiti del Commissario straordinario e le relative modalità di svolgimento (quali: stretto raccordo con il Capo del Dipartimento della protezione civile, coordinamento delle attività disciplinate dal DL, coordinamento degli interventi di ricostruzione e riparazione degli immobili privati, sovraintendenza dell’attività dei vice commissari di concessione, erogazione dei contributi, vigilanza sulla fase attuativa degli interventi, ricognizione e determinazione, di concerto con Regioni e Mibact, del quadro complessivo dei danni e stima del relativo fabbisogno finanziario, definizione della programmazione delle risorse nei limiti di quelle assegnate, coordinamento degli interventi di ricostruzione e riparazione di opere pubbliche, tenuta e gestione della contabilità speciale a lui appositamente intestata, esercizio del controllo su ogni altra attività prevista dal DL nei territori colpiti). Il parimenti menzionato comma 2 del medesimo articolo 2 precisa che, per l'esercizio delle sue funzioni, il Commissario straordinario provveda anche a mezzo di ordinanze, nel rispetto della Costituzione, dei principi generali dell'ordinamento giuridico e delle norme dell'ordinamento europeo. Si prevede che le ordinanze siano emanate sentiti i Presidenti delle Regioni interessate nell'ambito della cabina di coordinamento della ricostruzione e siano comunicate al Presidente del Consiglio dei ministri.

Come sopra segnalato, la Corte costituzionale, con sentenza  n. 246 del 2019 (pubblicata in Gazz. Uff. 4 dicembre 2019, n. 49 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità costituzionale della previsione in materia di poteri di ordinanza del Commissario, nella parte in cui prevede che le ordinanze del commissario straordinario sono adottate sentiti i Presidenti delle Regioni interessate anziché previa intesa con gli stessi.

La citata cabina di coordinamento della ricostruzione (disciplinata dall'articolo 1, comma 5, del DL 189/2016), presieduta dal Commissario straordinario, ha il compito di concordare i contenuti dei provvedimenti da adottare e di assicurare l'applicazione uniforme e unitaria in ciascuna Regione delle ordinanze e direttive commissariali, nonché di verificare periodicamente l'avanzamento del processo di ricostruzione. Alla cabina di coordinamento partecipano, oltre al Commissario straordinario, i Presidenti delle Regioni, in qualità di vice commissari (si prevede infatti espressamente che i Presidenti delle Regioni interessate operino in qualità di vice commissari per gli interventi di cui al DL, in stretto raccordo con il Commissario straordinario, che può delegare loro le funzioni a lui attribuite dal DL), ovvero, in casi del tutto eccezionali, uno dei componenti della Giunta regionale munito di apposita delega motivata, oltre ad un rappresentante dei comuni per ciascuna delle regioni interessate, designato dall'ANCI regionale di riferimento.

 

Il citato articolo 15 del DL 189/2016 disciplina i Soggetti attuatori degli interventi relativi alle opere pubbliche e ai beni culturali. In particolare, il comma 1 individua i soggetti attuatori degli interventi per la riparazione, il ripristino con miglioramento sismico o la ricostruzione delle opere pubbliche e dei beni culturali. A tal fine vengono individuati i seguenti enti: Regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, anche attraverso gli Uffici speciali per la ricostruzione; Mibact; Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; Agenzia del demanio; Diocesi e Comuni, limitatamente agli interventi sugli immobili di proprietà di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti; Università, limitatamente agli interventi sugli immobili di proprietà e di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria). Per lo svolgimento di tali interventi, il comma 1-bis consente ai comuni di avvalersi, in qualità di responsabile unico del procedimento, dei dipendenti assunti con contratti di lavoro a tempo determinato, in deroga ai vincoli di contenimento della spesa di personale. Il comma 2 consente al Presidente della Regione-vice commissario di delegare lo svolgimento dell’attività necessaria alla loro realizzazione ai Comuni o agli altri enti locali interessati. Riguardo gli interventi su immobili di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, di importo superiore alla soglia di rilevanza europea o per i quali non si siano proposte le diocesi, il comma 3 stabilisce che la funzione di soggetto attuatore venga svolta dal Mibact o dagli altri soggetti individuati. Infine il comma 3-bis statuisce in ordine ai lavori di   competenza delle diocesi di importo non superiore a 600.000 euro per singolo lavoro, prevedendo che per essi si seguano le procedure previste per la ricostruzione privata, delegando ad ordinanza commissariale, sentiti il presidente della CEI e il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo,  le modalità di attuazione del comma in esame, dirette ad assicurare il controllo, l'economicità e la trasparenza nell'utilizzo delle risorse pubbliche, nonché le priorità di intervento e il metodo di calcolo del costo del progetto. Si prevede altresì l’istituzione di un tavolo tecnico presso la struttura commissariale per definire le procedure adeguate alla natura giuridica delle diocesi ai fini della realizzazione delle opere di importo superiore a 600.000 euro e inferiore alla soglia di rilevanza europea.

 

Nel disciplinare la Struttura del Commissario straordinario e misure per il personale impiegato in attività emergenziali, l’articolo 50 del DL 189/2016 stabilisce, al comma 6, per gli esperti di cui all'articolo 2, comma 3, del DPR 9 settembre 2016[14], ove provenienti da altra amministrazione pubblica, può essere disposto il collocamento fuori ruolo nel numero massimo di cinque unità. Al fine di garantire l'invarianza finanziaria, all'atto del collocamento fuori ruolo e per tutta la sua durata, è reso indisponibile, nella dotazione organica dell'amministrazione di appartenenza, un numero di posti equivalente dal punto di vista finanziario. Il Commissario straordinario nomina con proprio provvedimento gli esperti di cui all'articolo 2, comma 3, del DPR 9 settembre 2016. L’articolo 2 del predetto DPR, stabilisce: al comma 1, che, per l'esercizio dei compiti assegnati, il Commissario straordinario si avvale delle risorse strumentali messe a disposizione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri; al comma 2, che il Commissario si avvale, altresì, di una struttura posta alle sue dirette dipendenze, alla quale può essere assegnato personale appartenente ad amministrazioni pubbliche, anche in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o altro analogo istituto previsto dai rispettivi ordinamenti, con trattamento economico fondamentale a carico delle stesse; al comma 3, che il contingente di personale assegnato alla struttura del Commissario straordinario è così costituito: tre dirigenti appartenenti ai ruoli delle amministrazione pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni; sei unità di personale appartenente alla Categoria A del personale della Presidenza del Consiglio dei Ministri o di livello equiparato, se proveniente da altre amministrazioni pubbliche; otto unità di personale appartenente alla Categoria B del personale del comparto della Presidenza del Consiglio dei Ministri o di livello equiparato, se proveniente da altre pubbliche amministrazioni; fino a dieci esperti, compreso un consigliere giuridico, da scegliere tra persone di comprovata competenza professionale ed esperienza e da nominare ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303.

 

Il comma 3 prevede infine che, fermo restando il protocollo di intesa, firmato il 21 dicembre 2016, tra il Commissario straordinario del Governo per la ricostruzione, il Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo ed il presidente della Conferenza episcopale italiana (CEI), i lavori di competenza delle diocesi e degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, di importo non superiore alla soglia comunitaria per singolo lavoro, seguono le procedure previste per la ricostruzione privata sia per l’affidamento sia per la  progettazione che dei lavori.

L’art. 15, comma 3-bis, del D.L. 189/16, finora vigente, prevedeva che i lavori di competenza delle Diocesi (previsti al comma 1, lettera e), dell’articolo 15 del D.L. 189/16), di importo non superiore a 600.000 euro per singolo intervento, seguono le procedure previste per la ricostruzione privata, di cui al comma 13 dell'articolo 6 del D.L. 189/16, che prevede una procedura concorrenziale intesa all'affidamento dei lavori alla migliore offerta per imprese iscritte nella Anagrafe antimafia, di cui all'articolo 30, comma 6 del D.L. 189/16, in numero non inferiore a tre. Gli esiti della procedura concorrenziale, completi della documentazione stabilita con provvedimenti adottati ai sensi dell'articolo 2, comma 2, sono prodotti dall'interessato in ogni caso prima dell'emissione del provvedimento di concessione del contributo.

Rimane fermo quanto stabilito Protocollo d'intesa, firmato il 21 dicembre 2016, tra il Commissario straordinario del Governo per la ricostruzione, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e il presidente della Conferenza episcopale italiana (CEI), il quale individua modalità e termini per il recupero dei beni culturali di interesse religioso danneggiati dagli eventi sismici che hanno colpito le regioni Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo a partire dal 24 agosto 2016.

Si ricorda che l’art. 15, comma 1, del D.L. 189/16, per la riparazione, il ripristino con miglioramento sismico o la ricostruzione delle opere pubbliche e dei beni culturali, di cui all'articolo 14, comma 1 del medesimo D.L. 189/16, individua, tra i soggetti attuatori degli interventi, le Diocesi e i Comuni, limitatamente agli interventi sugli immobili di proprietà di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, sottoposti alla giurisdizione dell'Ordinario diocesano di cui alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 14 e di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria di cui all'articolo 35 del codice dei contratti pubblici. La richiamata lett. a) fa riferimento, tra l'altro, alle chiese e agli edifici di culto di proprietà di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, di interesse storico-artistico ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio (di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004), anche se formalmente non dichiarati tali ai sensi dell'articolo 12 del medesimo codice e utilizzati per le esigenze di culto.

 

Resta ferma la disciplina degli interventi immediati sul patrimonio culturale di cui all’articolo 15-bis del DL n. 189 del 2016.

In materia di beni culturali, si vedano altresì le modalità relative agli interventi di messa in sicurezza dettate con l'Ordinanza 5 maggio 2017, n. 23 e l'Ordinanza 21 giugno 2017, n. 32.

 

In materia di ricostruzione privata, oltre alle norme dettate dal già citato D.L. 189, successive disposizioni sono intervenute, da ultimo con il D.L. 123 del 2019, che all'articolo 2 ha recato norme per la ricostruzione pubblica e privata e all'articolo 3 disposizioni per la semplificazione e accelerazione della ricostruzione privata a seguito di eventi sismici.

Con riferimento al quadro normativo recato in materia di gestione e ricostruzione post sisma, si ricorda che, oltre alla normativa recata dal citato D.L. 189, più di recente disposizioni urgenti per l'accelerazione e il completamento delle ricostruzioni in corso nei territori colpiti da eventi sismici sono state recate con il D.L. 24/10/2019, n. 123 (per approfondimenti, si veda il relativo dossier) nonché da diversi decreti-legge: per un quadro delle diverse gestioni commissariali in corso e della relativa normativa adottata, si veda il focus "Terremoti" a cura della Camera.

 

 

 


Articolo 12
(Modifiche alla legge 7 agosto 1990, n. 241)

 

 

L’articolo 12 reca alcune modifiche alla legge generale sul procedimento amministrativo (L. n. 241 del 1990), in funzione di semplificazione e accelerazione dell’azione amministrativa.

Alcune misure riguardano i termini del procedimento amministrativo e prevedono l’obbligo per le amministrazioni di misurare e rendere pubblici i tempi effettivi di conclusione dei procedimenti (comma 1, lett. a), n. 1), e lett. l)), nonché per le p.a. statali l’obbligo di aggiornare i termini dei procedimenti di rispettiva competenza, prevedendo una riduzione della loro durata (comma 2). Al fine di incentivare il rispetto dei termini procedimentali, nonché di garantire la piena operatività dei meccanismi di silenzio assenso, viene stabilita l’inefficacia di alcuni provvedimenti adottati fuori termine (comma 1, lett. a), n. 2)).

Un secondo gruppo di disposizioni introducono misure volte a favorire e rafforzare l’uso della telematica nel procedimento amministrativo (comma 1, lett. b), c) e d)).

Viene modificata la disciplina della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, sostituendo l’interruzione dei termini del procedimento, attualmente prevista, con la sospensione degli stessi ed introducendo altre modifiche sulla motivazione del diniego al fine di evitare i rischi di plurime reiterazioni del procedimento con il medesimo esito sfavorevole (comma 1, lett. e) e lett. i)).

Con ulteriori novelle alla legge 241/1990 in materia di attività consultiva delle pubbliche amministrazioni, si prevede che in caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere, ancorché si tratti di un parere obbligatorio, l’amministrazione richiedente procede indipendentemente dall’espressione del parere (comma 1, lett. f)). Viene introdotto un meccanismo per superare l’inerzia delle amministrazioni proponenti per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi (comma 1, lett. g)).

Infine, si interviene in materia di autocertificazione per aggiornare la normativa e valorizzarne l’applicazione (comma 1, lett. h) e comma 3).

 

Nell’intenzione espressa nella relazione illustrativa le modifiche alla legge n. 241 del 1990 sono unite dalla finalità di garantire maggiore certezza e speditezza all’azione amministrativa, mediante correttivi e aggiustamenti ad alcuni istituti disciplinati della legge, individuati sulla base delle criticità applicative emerse.

 

La legge 241/1990 sancisce regole generali valide per tutti i procedimenti amministrativi che si svolgono nell’ambito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali. Tale disciplina è stata oggetto negli anni di un continuo processo di revisione da parte del legislatore per adeguare la fisionomia normativa degli istituti alle esigenze emerse nella prassi applicativa e nella giurisprudenza.

L’intervento di maggior rilievo si è avuto nel corso della XIV legislatura, in particolare ad opera della legge n. 15/2005, che ha ampiamente novellato la legge introducendo l’intero Capo IV-bis, che disciplina l’efficacia e l’invalidità del provvedimento, nonché gli istituti di autotutela amministrativa.

Nella XVI legislatura ulteriori correzioni a vari aspetti della disciplina generale del procedimento sono state apportate dalla legge n. 69/2009, nonché da alcune disposizioni del D.L. 5/2012 (c.d. decreto Semplifica Italia) e della L. 190/2012 (c.d. legge anticorruzione), con la duplice finalità di rafforzare gli strumenti di tutela a disposizione dei privati nei confronti delle pubbliche amministrazioni e dei privati che esercitano funzioni amministrative, nonché di assicurare maggiore certezza e celerità per l’adozione del provvedimento finale.

Nel corso della XVII legislatura è stato approvato un ulteriore pacchetto di riforme, animato dall'intento di semplificare l’organizzazione della pubblica amministrazione, riconducibile in prevalenza alle disposizioni della legge n. 124/2015 e dei decreti attuativi. Gli interventi hanno riguardato la disciplina della conferenza di servizi, il regime delle autorizzazioni amministrative e la segnalazione certificata di inizio attività (c.d. SCIA), i termini dei procedimenti, nonché la disciplina dell’autotutela amministrativa (revoca, sospensione, annullamento d'ufficio degli atti amministrativi). Tra le novità di rilievo, vi è la previsione in via generale del meccanismo del silenzio assenso anche nei rapporti tra amministrazioni o tra amministrazioni e gestori di beni o servizi pubblici.

 

Modifiche in materia di termini dei procedimenti amministrativi

Con la lettera a) sono apportate alcune integrazioni all’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, che disciplina i termini di conclusione del procedimento amministrativo.

Con una prima disposizione viene aggiunto all’articolo 2 un comma 4-bis, che obbliga le pubbliche amministrazioni a misurare e rendere pubblici i tempi effettivi di conclusione dei procedimenti amministrativi di maggiore impatto per i cittadini e per le imprese, comparandoli con i termini previsti dalla normativa vigente.

 

In materia, è utile richiamare che, in base alla L. 190 del 2012 (art. 1, co. 9) le pubbliche amministrazioni sono tenute nel piano di prevenzione della corruzione a definire le modalità di monitoraggio del rispetto dei termini, previsti dalla legge o dai regolamenti, per la conclusione dei procedimenti. Altra disposizione della stessa legge impone alle amministrazioni di provvedere comunque al monitoraggio periodico del rispetto dei tempi procedimentali attraverso la tempestiva eliminazione delle anomalie. I risultati del monitoraggio devono essere consultabili nel sito web istituzionale di ciascuna amministrazione (art. 1, co. 28). Parallelamente l’obbligo di pubblicazione di questi dati era stato inserito nel Codice della trasparenza delle p.a. (D.Lgs. n. 33 del 2013) con una disposizione, poi abrogata nel 2016 (D.Lgs. 97 del 2016).

 

Si ricorda inoltre che il D.L. 9 febbraio 2012, n. 5 (c.d. "Semplifica Italia"), ha previsto l’adozione di un Programma per la misurazione e la riduzione dei tempi dei procedimenti amministrativi e degli oneri regolatori gravanti su imprese e su cittadini, ivi inclusi gli oneri amministrativi, adottato con d.p.c.m. 28 maggio 2014, previa intesa in Conferenza unificata. Il Programma si integrava con l’Agenda per la semplificazione condivisa tra Stato, Regioni e autonomie, a cui era assegnato il compito di individuare, sulla base degli esiti delle attività di misurazione, sia i più rilevanti interventi di riduzione degli oneri e dei tempi da adottare, che le misure per assicurare effettività agli interventi già adottati.

 

Il nuovo comma 4-bis rinvia infine ad un d.p.c.m., da adottare su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e previa intesa in Conferenza unificata, per la definizione delle modalità e dei criteri di misurazione dei tempi effettivi di conclusione dei procedimenti.

 

Alla luce della ricostruzione normativa, andrebbe valutata l’opportunità di procedere ad un coordinamento della previsione in esame con le vigenti disposizioni cha abbiano introdotto obblighi analoghi, al fine di evitare incertezze applicative.

Andrebbe altresì valutata l’opportunità di specificare i criteri per l’individuazione dei procedimenti che la norma indica come “di maggiore impatto per cittadini e le imprese”.

 

In connessione a quanto previsto dal nuovo art. 2, co. 4-bis, della legge, con la successiva lettera l) si prevede l’inserimento delle disposizioni relative all’obbligo per le amministrazioni di misurare i tempi effettivi di conclusione dei procedimenti tra quelle che, ai sensi dell’articolo 29, co. 2-bis, della legge sul procedimento, attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. m), Cost. (si v. infra).

 

Una seconda modifica all’articolo 2 della legge n. 241 del 1990, introducendo un nuovo comma 8-bis, stabilisce l’inefficacia di alcuni provvedimenti adottati fuori termine, al fine di incentivare il rispetto dei termini procedimentali ed evitare l’adozione di “atti tardivi”, rendendo effettivo il meccanismo del silenzio-assenso.

La sanzione dell’inefficacia è prevista per le determinazioni relative “ai provvedimenti, alle autorizzazioni, ai pareri, ai nulla osta e agli atti di assenso comunque denominati”, adottate dopo la scadenza dei termini di cui:

§  all’art. 14-bis, comma 2, lettera c), della L. 241 del 1990, relativo alle determinazioni delle amministrazioni coinvolte in sede di conferenza di servizi semplificata che devono essere adottate entro il termine comunicato dall’amministrazione procedente, non superiore a 45 giorni o 90 giorni in caso di amministrazioni preposte alla cura di interessi sensibili: la legge qualifica la mancata comunicazione della determinazione nei termini come assenso senza condizioni (art. 14-bis, comma 4)

§  all’articolo 17-bis, commi 1 e 3, relativo l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati, di competenza di altre amministrazioni pubbliche ovvero di gestori di beni o servizi pubblici per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi da parte di una pubblica amministrazione: anche in questo caso è prevista la formazione del silenzio assenso decorso il termine di 30 giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento o di 90 nel caso di amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili;

§  all’articolo 20, comma 1, che stabilisce che nei procedimenti a istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi, esclusi quelli disciplinati dall’art. 19 (SCIA), per il rilascio di provvedimenti amministrativi, «il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda», se la stessa amministrazione non comunica all’interessato, nel termine indicato dall’art. 2, co. 2 e 3, il provvedimento di diniego ovvero se, entro 30 giorni dalla presentazione dall’istanza, non indice una conferenza di servizi. La legge prevede alcune eccezioni in relazione a determinati interessi pubblici, a casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali e ad altre eccezioni singolarmente individuate.

 

È altresì disposta l’inefficacia delle determinazioni adottate successivamente all’ultima riunione di cui all’art. 14-ter, comma 7, relativo ai lavori della conferenza di servizi simultanea, che si concludono non oltre 45 giorni decorrenti dalla prima riunione o 90 giorni nel caso in cui siano coinvolte amministrazioni preposte alla cura di interessi sensibili (art. 14-ter, comma 2). Anche in questo caso, sono introdotti meccanismi di silenzio assenso: infatti, all’esito dell’ultima riunione, l’amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento. Si considera acquisito l'assenso senza condizioni delle amministrazioni il cui rappresentante non abbia partecipato alle riunioni ovvero, pur partecipandovi, non abbia espresso la propria posizione ovvero abbia espresso un dissenso non motivato o riferito a questioni che non costituiscono oggetto della conferenza.

 

In tutti i casi finora elencati, l’inefficacia del provvedimento è pertanto funzionale a garantire la piena operatività delle norme che già qualificano il silenzio come assenso.

 

A tale riguardo, si ricorda che con una disposizione transitoria, il D.L. 34 del 2020 (c.d. decreto rilancio) ha introdotto alcune disposizioni tese ad accelerare e semplificare i procedimenti amministrativi avviati in relazione all’emergenza COVID-19. Tra queste, si prevede fino al 31 dicembre 2020 l’obbligo di adottare entro trenta giorni il provvedimento conclusivo del procedimento nei casi di formazione del silenzio endoprocedimentale tra amministrazioni (art. 264, comma 1, lett. e)). La norma è stata motivata osservando che “nella prassi accade di frequente che la formazione del silenzio non “sblocchi” il procedimento ma si attenda ugualmente l’assunzione di un atto da parte dell’amministrazione coinvolta”.

 

Il nuovo comma 8-bis prevede peraltro anche una diversa ipotesi, in cui l’inefficacia è prevista per i provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di cui all’articolo 19, commi 3 e 6-bis, della L. 241 del 1990 in caso di applicazione della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), adottati dopo la scadenza dei termini ivi previsti.

 

Si ricorda che la PA può intervenire, con poteri inibitori, repressivi e conformativi, sulle attività avviate sulla base di una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). In particolare, ai sensi dell'art. 19, co. 3 e 6-bis, L. 241/1990, l’amministrazione entro 60 giorni dalla segnalazione (30 per la SCIA edilizia), ove accerti la carenza di requisiti o presupposti per l’esercizio dell’attività, ne inibisce la prosecuzione e ne rimuove gli eventuali effetti dannosi.

Qualora vi sia la possibilità di regolarizzazione, l’amministrazione competente invita il privato a conformare l’attività intrapresa alla normativa vigente, qualora sia possibile, mediante un atto motivato, con il quale sono prescritte le misure necessarie, ovvero sospende l'attività in caso di attestazioni non veritiere o di pericolo per la tutela dell'interesse pubblico in materia di ambiente, paesaggio, beni culturali, salute, sicurezza pubblica o difesa nazionale. Il termine per provvedere alla regolarizzazione dell’attività non può essere inferiore a 30 giorni. Decorso il termine senza che le misure siano state adottate, l’attività s’intende vietata.

L’atto motivato dell’amministrazione interrompe il termine di 60 giorni dalla segnalazione (30 per la SCIA edilizia) che ricomincia a decorrere dalla data in cui il privato comunica l’adozione delle misure richieste.

 

Sul punto, merita sottolineare che attualmente la  legge n. 241 del 1990 stabilisce che, decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di inibitoria, l’amministrazione può comunque intervenire, vietando la prosecuzione dell’attività, rimuovendone gli effetti, ovvero chiedendo al privato di conformarsi alla normativa vigente, purché ricorrano i presupposti per l’annullamento d’ufficio ai sensi dell’art. 21-nonies della legge (art. 19, co. 4). Si ritiene che in virtù di questo rinvio tali poteri sono esercitabili entro i successivi diciotto mesi.

Andrebbe pertanto valutata l’opportunità di coordinare la nuova disposizione sull’inefficacia del provvedimento inibitorio tardivo e quella che lo legittima in presenza di determinati presupposti.

 

Contestualmente all’inefficacia degli atti tardivi in tutti i casi descritti, il nuovo comma 8-bis, introdotto dalla disposizione in esame, fa salvo il potere di annullamento d’ufficio previsto dall’articolo 21-nonies, della legge n. 241 del 1990, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni.

 

L’annullamento d’ufficio rimuove il provvedimento di primo grado. Secondo la giurisprudenza consolidata, recepita nella legge 241/1990, i presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d'ufficio, che ha effetti ex tunc, sono: a) l'illegittimità originaria del provvedimento, ex art. 21-octies della legge 241/1990; b) l'interesse pubblico concreto e attuale alla sua rimozione, diverso dal mero ripristino della legalità e c) l'assenza di posizioni consolidate in capo ai destinatari. L'esercizio del potere di autotutela è espressione di discrezionalità che non esime l'amministrazione dal dare conto, sia pure in modo sintetico, della sussistenza dei menzionati presupposti.

Ai sensi dell’art. 21-nonies, co. 1, della L. 241 del 1990 l’annullamento d’ufficio va adottato «entro un termine ragionevole». Tale termine non deve essere comunque superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione del provvedimento di primo grado per i casi di annullamento d’ufficio dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, anche ove si tratti di provvedimenti formatisi a seguito di silenzio-assenso.

 

 

A completamento delle disposizioni relative ai termini procedimentali, il comma 2 dell’articolo in commento richiede alle pubbliche amministrazioni statali di verificare e rideterminare in riduzione i termini di durata dei procedimenti di loro competenza ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 241 entro il 31 dicembre 2020.

 

La disciplina generale dei termini dei procedimenti amministrativi

 

La legge generale sul procedimento amministrativo (L. 241/1990, art. 2) stabilisce un principio di carattere generale in base al quale tutti i procedimenti che conseguono obbligatoriamente ad una istanza e quelli attivati d’ufficio devono necessariamente concludersi con un provvedimento espresso adottato in termini definiti.

Ciascuna amministrazione statale fissa i termini di conclusione dei procedimenti di propria competenza con singoli regolamenti adottati nella forma di decreto del Presidente della Consiglio su proposta del Ministro competente. In ogni caso, il termine non può eccedere i 90 giorni. Anche gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di propria competenza, sempre nel limite dei 90 giorni.

In mancanza di determinazione di termini, il procedimento deve concludersi entro 30 giorni, a meno che un diverso termine sia stabilito per legge. È ammessa in generale la possibilità per la PA di sospendere il termine per un periodo non superiore a 30 giorni

La legge ammette, inoltre, anche la possibilità di prevedere termini superiori ai 90 giorni in considerazione della «sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento». In questi casi, tuttavia, il termine massimo di durata non può oltrepassare comunque i 180 giorni (ad esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l'immigrazione). I termini per la conclusione del procedimento decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte.

Oltre alla disciplina generale dei termini procedimentali per le amministrazioni statali e gli enti pubblici nazionali prevista dalla L. 241 del 1990, occorre considerare che esistono norme speciali previste da leggi di settore.

La legge disciplina anche le conseguenze del mancato rispetto dei termini procedimentali e del tardivo adempimento da parte dell’amministrazione procedente.

Innanzitutto il mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento può attivare un potere sostitutivo da attivarsi entro i termini prestabiliti. Ai sensi degli art. 2, co.9-bis e seguenti, L. 241/1990, infatti, qualora il termine per la conclusione del procedimento sia inutilmente decorso, l’interessato può rivolgersi ad una figura interna all’amministrazione, titolare del potere sostitutivo, che appunto si sostituisce al dirigente o al funzionario inadempiente e concluda il procedimento medesimo o attraverso le strutture competenti o ricorrendo alla nomina di un commissario. In ogni caso, il provvedimento finale dovrà essere adottato entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto.

Inoltre, la mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente (art. 2, co. 9, L. 241 del 1990).

Per i casi di ritardo doloso o colposo del termine di conclusione del procedimento, la legge prevede il risarcimento del danno ingiusto cagionato in favore del privato (c.d. danno da ritardo ex art. 2-bis, co. 1, L. 241 del 1990).

Dal 2013 la legge prevede anche l’ipotesi di un indennizzo da ritardo determinato dalla pubblica amministrazione (che può essere sia quella che ha dato avvio al procedimento, sia altra amministrazione, che intervenga nel corso del procedimento e che abbia causato il ritardo), ma anche dai soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative, nella conclusione di procedimenti ad istanza di parte: a differenza del risarcimento l’indennizzo non può essere richiesto nei procedimenti avviati d'ufficio, presuppone il decorso del tempo quale mero nesso causale e deve essere preceduto dall'attivazione del potere sostitutivo (art. 2-bis, co. 1-bis, L. 241 del 1990).

 

 

Modifiche in materia di digitalizzazione del procedimento

La lettera b) modifica l’articolo 3-bis della legge n. 241 del 1990, introdotto con la riforma del 2005, che richiede alle amministrazioni di incentivare l’uso della telematica nei rapporti tra amministrazioni e tra queste e i privati.

La novella sostituisce la formulazione della disposizione prevedendo a livello generale un obbligo più stringente e perentorio, in base al quale le amministrazioni “agiscono mediante strumenti informatici e telematici”.

 

Sul punto si ricorda che l’art. 41 del CAD reca disposizioni relative alla digitalizzazione del procedimento amministrativo. Vi si prevede che i procedimenti amministrativi siano gestisti dalle pubbliche amministrazioni "utilizzando le tecnologie dell'informazione e della comunicazione". A tale fine gli atti, i documenti e i dati del procedimento sono raccolti nel fascicolo informatico. All'atto della comunicazione dell'avvio del procedimento, l’amministrazione comunica agli interessati le modalità per esercitare in via telematica i diritti di partecipazione al procedimento (visione degli atti e presentazione di memorie e documenti). Il CAD stabilisce esplicitamente che le modalità di costituzione del fascicolo informatico garantiscano l'esercizio in via telematica dei diritti previsti dalla legge n. 241 del 1990 (in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) e dall'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo n. 33 del 2013 (accesso civico). Le Linee guida per la costituzione, l'identificazione, l'accessibilità attraverso i suddetti servizi e l'utilizzo del fascicolo sono dettate dall’AgID.

 

Con la modifica introdotta dalla lettera c) all’articolo 5, comma 3, della legge n. 241 del 1990, si prevede l’obbligo di comunicare il domicilio digitale del responsabile del procedimento, oltre che l’unità organizzativa responsabile e il nominativo del responsabile (come attualmente stabilito dalla norma) ai soggetti interessati e controinteressati al provvedimento finale, ai quali è inviata la comunicazione di avvio del procedimento, nonché, su richiesta, a chiunque vi abbia interesse.

 

Si ricorda in proposito che l’art. 3-bis del CAD sancisce l'obbligo di dotarsi di un domicilio digitale, per le amministrazioni pubbliche ed i gestori di servizi pubblici, se di pubblico interesse, nonché le società a controllo pubblico.

A decorrere dal 1° gennaio 2013, salvo i casi in cui è prevista dalla normativa vigente una diversa modalità di comunicazione o di pubblicazione in via telematica, le amministrazioni pubbliche e i gestori o esercenti di pubblici servizi comunicano con il cittadino esclusivamente tramite il domicilio digitale dallo stesso dichiarato, senza oneri di spedizione a suo carico. Ogni altra forma di comunicazione non può produrre effetti pregiudizievoli per il destinatario. L’utilizzo di differenti modalità di comunicazione rientra tra i parametri di valutazione della performance dirigenziale.

Il domicilio digitale deve essere posto presso un servizio di posta elettronica certificata o presso un servizio di recapito certificato qualificato, come definito dal Regolamento eIDAS, secondo le modalità stabilite dalle linee guida - che altresì determinano le modalità di comunicazione delle variazioni di domicilio digitale che intervengano. Vi è l'obbligo, per chiunque ne sia titolare, di un uso diligente del domicilio digitale.

 

In via analoga, la successiva lettera d) interviene sulle modalità e sui contenuti della comunicazione di avvio del procedimento, disciplinati dall’articolo 8 della legge 241.

Rispetto alla disciplina finora vigente, la disposizione introduce due novità. Con la prima si inserisce il domicilio digitale dell’amministrazione tra i contenuti necessari della comunicazione di avvio.

Con la seconda si rende obbligatorio comunicare le diverse modalità telematiche con le quali è possibile prendere visione degli atti, accedere al fascicolo informatico di cui al citato articolo 41 del CAD (si v. supra) ed esercitare in via telematica i diritti previsti dalla legge.

Tra le modalità con cui si potrà accedere agli atti la disposizione richiama il punto di accesso telematico di cui all’articolo 64-bis del CAD (nuova lettera d) dell’art. 8, co. 2, della L. 241 del 1990).

 

Il punto telematico di accesso ai servizi pubblici, introdotto con il correttivo del Codice dell’amministrazione digitale di cui al D.Lgs. 179/2016, rappresenta l’interfaccia universale attraverso la quale cittadini e imprese interagiscono con le pubbliche amministrazioni, i gestori di servizi pubblici per i profili di pubblico interesse e talune società a controllo pubblico (cioè i soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, del CAD).

Questi ultimi devono rendere fruibili tutti i propri servizi in rete attraverso tale punto unico di accesso telematico, in conformità alle modalità tecnico-operative individuate dall’AgID.

A tal fine le p.a., i fornitori di identità digitali e i prestatori dei servizi fiduciari qualificati, devono progettare e sviluppare i propri sistemi e servizi in modo da garantirne l'integrazione e l'interoperabilità, nonché a esporre per ogni servizio le relative interfacce applicative. Inoltre, al fine di garantire la verifica degli standard e livelli qualitativi definiti dal CAD, i soggetti summenzionati adottano gli strumenti di analisi individuati dalle linee guida AgID.

 

È obbligatorio continuare a comunicare anche l’ufficio in cui si può prendere visione degli atti, ma solo in via subordinata, ossia ove gli atti non siano disponibili o accessibili mediante modalità telematiche (nuova lettera d-bis) dell’art. 8, co. 2, della L. 241 del 1990).

 

Modifiche in materia di comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza

La lettera e) modifica la disciplina relativa alla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, di cui all’articolo 10-bis della legge 241 del 1990.

In base a tale disposizione, nei procedimenti ad istanza di parte, l’amministrazione, qualora sia orientata ad un provvedimento negativo, deve comunicare tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento dell’istanza (c.d. preavviso di rigetto). Entro il termine di dieci giorni dalla comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto osservazioni, corredate eventualmente da documenti. Tra i motivi che ostano all’accoglimento dell’istanza il legislatore impedisce di addurre inadempienze o ritardi che sono attribuibili all’amministrazione.

 

La lettera in commento sostituisce il terzo e il quarto periodo del citato articolo, innovando sotto tre profili.

In primo luogo, si modifica il regime degli effetti del preavviso di rigetto sui termini del procedimento La novella dispone, infatti, che la comunicazione sospende, invece che interrompere (come attualmente previsto), i termini di conclusione del procedimento, che ricominciano a decorrere dieci giorni dopo la presentazione delle osservazioni o, in mancanza delle stesse, dalla scadenza del termine per presentare le osservazioni.

 

Si ricorda che in caso di “sospensione” i termini non vengono azzerati e nel computo dei termini si deve, dunque, tener conto sia del periodo trascorso dalla data di presentazione dell’istanza a quello dell’intervenuta sospensione sia del successivo periodo. Finora, invece, il preavviso di rigetto determinava una “interruzione”, per cui i termini del procedimento vengono azzerati e l’intero termine decorre nuovamente dalla data di presentazione delle osservazioni e dalla scadenza del termine per presentarle.

 

Resta fermo che dell’eventuale mancato accoglimento delle osservazioni dell’istante è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Sul punto, che tuttavia era già acclarato, la novella specifica nel testo che tale compito spetta al responsabile del procedimento o all’autorità competente. Con un’ulteriore specificazione, si prevede che, in tal caso, la motivazione del provvedimento finale di diniego indica “i soli motivi ostativi ulteriori che sono conseguenza delle osservazioni”.

 

In terzo luogo, è aggiunta una disposizione in base alla quale, in caso di annullamento in giudizio del provvedimento di rigetto dell’istanza, l’amministrazione, nell’esercitare nuovamente il suo potere, “non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall’istruttoria del provvedimento annullato”.

In base a quanto emerge dalla relazione illustrativa, la finalità della disposizione è di evitare che l’annullamento conseguente al mancato accoglimento delle osservazioni del privato a seguito del preavviso di diniego determini “plurime reiterazioni dello stesso esito sfavorevole con motivazioni ogni volta diverse, tutte ostative”. L’intento è dunque di ricondurre l’intera vicenda ad un’unica impugnazione giurisdizionale, “evitando che il privato sia costretto a proporre tanti ricorsi quante sono le ragioni del diniego”, non comunicate nel medesimo provvedimento.

 

Le modifiche così introdotte si collegano a quella di cui alla lettera i), che interviene sull’articolo 21-octies, comma 2, della L. 241/1990, in materia di annullabilità del provvedimento amministrativo, stabilendo che al provvedimento adottato in violazione dell’articolo 10-bis sul preavviso di diniego non si applica la norma di cui all’art. 21-octies, co. 2, secondo periodo, che esclude l’annullabilità in caso in mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. L’effetto della disposizione è dunque di consentire l’annullabilità del provvedimento in ogni caso, con la sola eccezione dei vizi formali.

 

Ai sensi dell’articolo 21-octies, comma 1, della legge 241/1990, il provvedimento amministrativo è annullabile nei casi ‘classici’ di illegittimità per violazione di legge, eccesso di potere e incompetenza. Ai sensi del successivo comma 2, non sono annullabili quei provvedimenti che presentino vizi cd. formali (violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti) o relativi alla mancata comunicazione di avvio del procedimento, qualora dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

 

Stante la formulazione letterale della disposizione, si valuti l’opportunità di chiarire se l’annullabilità è esclusa solo per l’ipotesi di mancata comunicazione dei motivi ostativi ovvero anche per tutte le altre ipotesi di violazione dell’articolo 10-bis, come riformulato dalle disposizioni in esame.

 

Modifiche in materia di pareri e silenzio-assenso tra amministrazioni

In materia di attività consultiva delle pubbliche amministrazioni, la lettera f) modifica il comma 2 dell’articolo 16, della legge 241 del 1990, prevedendo, con una chiara finalità di speditezza del procedimento, che in caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere, ancorché si tratti di un parere obbligatorio, o senza che l’organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, l’amministrazione richiedente procede indipendentemente dall’espressione del parere.

Attualmente, invece, l’articolo 16 opera una distinzione stabilendo che in caso di inutile decorrenza del termine, l’amministrazione richiedente, ove si tratti di parere facoltativo, deve senz'altro procedere indipendentemente da esso. Altrimenti, ossia in caso di parere obbligatorio, ha la facoltà di procedere: così dispone il primo periodo dall’art. 16, co. 2, che viene soppresso dalla disposizione in commento.

 

L'articolo 16 della legge generale sul procedimento amministrativo (L. 241 del 1990), come riformulato dalla L. 69/2009, stabilisce che gli organi consultivi delle pubbliche amministrazioni sono tenuti a rendere i pareri obbligatori ad essi richiesti entro venti giorni dal ricevimento della richiesta. In caso di pareri facoltativi, sono tenuti a dare immediata comunicazione alle amministrazioni richiedenti del termine entro il quale il parere sarà reso, che comunque non può superare i venti giorni dal ricevimento della richiesta. Tali termini non si applicano in caso di pareri che debbano essere rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini. Un'ulteriore novità introdotta con la riforma del 2009 è data dall'obbligo di trasmissione del parere con mezzi telematici.

 

La lettera g) introduce alcune modifiche all’articolo 17-bis della legge sul procedimento, che disciplina in via generale il meccanismo del silenzio-assenso tra amministrazioni pubbliche.

 

Si ricorda che nell’ambito delle misure di semplificazione introdotte dalla legge n.124 del 2015, è stato introdotto il meccanismo di silenzio assenso (già regolato nei rapporti tra privati e amministrazione dall'art. 20, L. 241/1990) anche nei rapporti tra amministrazioni pubbliche.

In virtù del nuovo istituto, nei casi in cui per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi da parte di una pubblica amministrazione sia prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati, di competenza di altre amministrazioni pubbliche ovvero di gestori di beni o servizi pubblici, le amministrazioni o i gestori competenti sono tenuti a comunicare le rispettive decisioni entro il termine di trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento, decorso il quale senza che sia stato comunicato l'atto di assenso, concerto o nulla osta, lo stesso si intende acquisito (art. 17-bis, L. 241/1990, introdotto dall'art. 3, L. 124/2015).

Il termine di trenta giorni è suscettibile di una sola interruzione qualora l'amministrazione o il gestore che deve rendere il proprio assenso faccia presenti esigenze istruttorie o presenti richieste di modifica, che devono essere motivate e formulate in modo puntuale entro il termine stesso. In seguito all'interruzione del termine, l'assenso, il concerto o il nulla-osta sono resi nei successivi trenta giorni dalla ricezione degli elementi istruttori o dello schema di provvedimento. In caso di conflitto tra amministrazioni statali coinvolte, spetta al Presidente del Consiglio decidere sulle modifiche da apportare al provvedimento, previa deliberazione del Consiglio dei ministri.

Si applica il silenzio assenso decorsi novanta giorni anche per i pareri e i nulla osta di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini.

L'unica eccezione prevista all'applicazione del silenzio assenso è rappresentata dai casi in cui l'adozione di un provvedimento espresso sia richiesta da disposizioni del diritto dell'Unione europea.

 

Rispetto alla disciplina vigente, la novella:

1) sostituisce la rubrica dell’articolo 17-bis, che ora reca “Effetti del silenzio e dell’inerzia nei rapporti tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici”, sottolineando così l’ampliamento delle fattispecie disciplinate dalla norma per effetto delle nuove previsioni;

2) introduce al comma 1 dell’art. 17-bis la previsione in base alla quale, nei casi in cui, per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi, è prevista la proposta di una o più amministrazioni pubbliche diverse da quella competente ad adottare l’atto, questa deve essere trasmessa entro 30 giorni dal ricevimento della richiesta. Tale disposizione non si applica nei casi in cui la proposta riguardi amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili;

3) conseguentemente, in via analoga alla disciplina vigente per l’acquisizione del concerto o nulla osta, dispone che, nei casi di cui sopra, qualora l’amministrazione proponente rappresenti esigenze istruttorie, motivate e formulate in modo puntuale, si applica lo stesso termine di cui al quarto periodo del comma 1 dell’art. 17, in base al quale (per la diversa ipotesi di esigenze istruttorie o richieste di modifica) l’assenso, concerto o nulla osta è reso nei 30 giorni successivi dalla ricezione degli elementi istruttori o dello schema di provvedimento.

Resta fermo in ogni caso che non sono ammesse per entrambe le fattispecie ulteriori interruzioni.

 

Alla luce della formulazione letterale della disposizione ed al fine di evitare incertezze applicative,  si valuti l’opportunità di chiarire se la rappresentazione delle esigenze istruttorie comporti interruzione del termine di 30 giorni per la trasmissione della proposta e da quando torni a decorrere tale termine.

 

4) dispone che, qualora la proposta non sia trasmessa nei termini, l’amministrazione competente ha facoltà di procedere. In tal caso, l’inerzia dell’amministrazione proponente comporta che lo schema di provvedimento, corredato della relativa documentazione, sia trasmesso alla stessa al fine di acquisirne l’assenso, al quale si applica la disciplina di cui al medesimo art. 17-bis.

 

Modifiche in materia di autocertificazione

La lettera h) novella l’articolo 18 della legge sul procedimento amministrativo, dedicato al fenomeno dell’autocertificazione, che rappresenta uno degli strumenti del processo di semplificazione amministrativa.

Per incentivare la sostituibilità delle certezze pubbliche mediante atti privati, nel 1990 la legge n. 241 aveva introdotto un rinvio espresso all’obbligo delle pubbliche amministrazioni di adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge misure organizzative in materia di autocertificazione e di presentazione di atti e documenti, richiamando le disposizioni della legge n. 15/1968,  che aveva dettato una prima disciplina organica della documentazione amministrativa (art. 18, comma 1). 

 

Per la parte restante l’articolo 18 della legge n. 241 del 1990 dispone che i documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l'istruttoria del procedimento, sono acquisiti d'ufficio quando sono in possesso dell'amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni. L'amministrazione procedente può richiedere agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti (comma 2). Parimenti sono accertati d'ufficio dal responsabile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare (comma 3).

 

La lettera in commento opera una manutenzione di tale disposizione rendendo permanente l’obbligo delle amministrazioni di adottare le misure organizzative di cui sopra, e sostituendo il riferimento alla legge del 1968 con quello al Testo unico sulla documentazione amministrativa di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

 

Il testo unico sulla documentazione amministrativa, adottato in attuazione della delega contenuta nell'art. 7, primo comma, lett. c), legge n. 50 del 1999 è un testo unico a carattere misto, contenente sia disposizioni legislative che regolamentari, concepito con la finalità di coordinare e raccordare i diversi interventi normativi succedutisi in tema di produzione, circolazione, redazione e presentazione di documenti facenti fede pubblica. Esso, in particolare, raccoglie e coordina, da un lato, le norme in materia di documentazione amministrativa e, dall'altro, le norme di redazione e gestione dei documenti informatici.

 

In secondo luogo, la lettera h) inserisce nell’articolo 18 una nuova disposizione, ai sensi della quale nei procedimenti avviati su istanza di parte, che hanno ad oggetto l’erogazione di benefici economici comunque denominati, indennità, prestazioni previdenziali e assistenziali, erogazioni, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, prestiti, agevolazioni da parte di pubbliche amministrazioni, ovvero il rilascio di autorizzazioni e nulla osta comunque denominati, le dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47 del DPR 28 dicembre 2000, n. 445 sostituiscono ogni tipo di documentazione comprovante tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalla normativa di riferimento (nuovo comma 3-bis dell’articolo 18).

A tale riguardo, si ricorda che con una disposizione transitoria, il D.L. 34 del 2020 (c.d. decreto rilancio) ha introdotto alcune disposizioni, che ampliano fino al 31 dicembre 2020 la possibilità per cittadini ed imprese di utilizzare le dichiarazioni sostitutive per comprovare tutti i requisiti oggettivi e soggettivi richiesti a corredo delle istanze di erogazione di benefici economici comunque denominati da parte di pubbliche amministrazioni, in relazione all’emergenza COVID-19, anche in deroga alla legislazione vigente in materia. Tale decreto ha inoltre disposto, con modifiche del Testo unico, un incremento dei controlli ex post sulle dichiarazioni sostitutive ed un inasprimento delle sanzioni in caso di dichiarazioni mendaci (art. 264, co. 1, lett. a) e co. 2, lett. a)).

 

 

La dichiarazione sostitutiva di certificazione è un documento sottoscritto dall'interessato senza nessuna particolare formalità e presentato in sostituzione dei certificati: tali dichiarazioni possono riferirsi solo agli stati, qualità personali e fatti tassativamente elencati nell’articolo 46 del D.P.R. 445/2000. La dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà è il documento, sottoscritto dall'interessato, concernente stati, qualità personali e fatti, a sua diretta conoscenza e non ricompresi nell'elencazione dell'articolo 46: in questo caso l'atto deve essere sottoscritto con firma autenticata (articolo 47 del Testo unico).

L’elenco degli stati, dei fatti e delle qualità personali attestabili con dichiarazione sostitutiva di certificazione viene indicato specificamente dall’art. 46 del Testo unico. Si può attestare con dichiarazione sostitutiva di certificazione:

a) data e il luogo di nascita;

b) residenza;

c) cittadinanza;

d) godimento dei diritti civili e politici;

e) stato di celibe, coniugato, vedovo o stato libero;

f) stato di famiglia;

g) esistenza in vita;

h) nascita del figlio, decesso del coniuge, dell'ascendente o discendente;

i) iscrizione in albi, in elenchi tenuti da pubbliche amministrazioni;

l) appartenenza a ordini professionali;

m) titolo di studio, esami sostenuti;

n) qualifica professionale posseduta, titolo di specializzazione, di abilitazione, di formazione, di aggiornamento e di qualificazione tecnica;

o) situazione reddituale o economica anche ai fini della concessione dei benefici di qualsiasi tipo previsti da leggi speciali;

p) assolvimento di specifici obblighi contributivi con l'indicazione dell'ammontare corrisposto;

q) possesso e numero del codice fiscale, della partita IVA e di qualsiasi dato presente nell'archivio dell'anagrafe tributaria;

r) stato di disoccupazione;

s) qualità di pensionato e categoria di pensione;

t) qualità di studente;

u) qualità di legale rappresentante di persone fisiche o giuridiche, di tutore, di curatore e simili;

v) iscrizione presso associazioni o formazioni sociali di qualsiasi tipo;

z) tutte le situazioni relative all'adempimento degli obblighi militari, ivi comprese quelle attestate nel foglio matricolare dello stato di servizio;

aa) di non aver riportato condanne penali e di non essere destinatario di provvedimenti che riguardano l'applicazione di misure di sicurezza e di misure di prevenzione, di decisioni civili e di provvedimenti amministrativi iscritti nel casellario giudiziale ai sensi della vigente normativa;

bb) di non essere a conoscenza di essere sottoposto a procedimenti penali;

bb-bis) di non essere l'ente destinatario di provvedimenti giudiziari che applicano le sanzioni amministrative di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231;

cc) qualità di vivenza a carico;

dd) tutti i dati a diretta conoscenza dell'interessato contenuti nei registri dello stato civile;

ee) di non trovarsi in stato di liquidazione o di fallimento e di non aver presentato domanda di concordato.

 

La dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà si differenzia da quella sopra per il fatto che con il ricorso ad essa l’interessato non sostituisce una certificazione, ma un atto di notorietà, che appartiene alla categoria delle verbalizzazioni.

Ai sensi dell’art. 47 del testo unico, con la dichiarazione sostituiva dell’atto di notorietà possono essere attestati:

-          stati, fatti e qualità personali a diretta conoscenza dell’interessato;

-          stati, qualità personali e fatti relativi ad altri soggetti di cui si abbia diretta conoscenza, con dichiarazione resa nell'interesse proprio del dichiarante. Tale principio risponde ad esigenze di certezza del diritto e di rispetto della privacy;

-          fatti, qualità personali e stati a conoscenza del diretto interessato, non compresi nell’elenco dei dati autocertificabili con dichiarazione sostitutiva di certificazione;

-          lo smarrimento di documenti di riconoscimento o attestanti stati e qualità personali dell’interessato, ai fini del rilascio dei duplicati di documenti, nei casi in cui la legge non preveda la denuncia all’autorità giudiziaria.

 

 

La disposizione conferma il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, escludendo pertanto che l’uso dell’autocertificazione possa derogare a quanto previsto dalla normativa richiamata.

 

In particolare, il Libro II del codice antimafia (D.Lgs. 159/2011) prevede un sistema di documentazione antimafia volto a impedire l’accesso a finanziamenti pubblici e la stipulazione di contratti con le pubbliche amministrazioni da parte di imprese e soggetti privati su cui grava il sospetto di infiltrazione da parte della criminalità organizzata.

 

Le novità in materia di autocertificazione sono da porre in relazione alle disposizioni del comma 3 dell’articolo in esame, che autorizza gli enti locali a gestire in forma associata in ambito provinciale o metropolitano l’attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 18 della legge 241/1990, come integrato dal decreto in esame.

 Le province e le città metropolitane definiscono, nelle assemblee dei sindaci delle province e nelle conferenze metropolitane, appositi protocolli per organizzare lo svolgimento delle funzioni conoscitive, strumentali e di controllo, connesse all’attuazione delle norme di semplificazione della documentazione e dei procedimenti amministrativi.

 

In relazione all’applicabilità delle disposizioni ai procedimenti di competenza delle regioni e degli enti locali, si ricorda che l’articolo 29, della legge 241/1990 ascrive ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione le disposizioni della legge concernenti gli obblighi per PA di garantire la partecipazione dell’interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di concluderlo entro il termine prefissato e di assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa, nonché quelle relative alla durata massima dei procedimenti (comma 2-bis).

Ai LEP sono ricondotte anche le disposizioni concernenti la dichiarazione di inizio attività (ora SCIA) e il silenzio assenso (nonché la conferenza di servizi), salva la possibilità di individuare, con intese in sede di Conferenza unificata, casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano. Con le modifiche introdotte dal d.lgs. 126 (art. 3, co. 1, lett. f)) anche le disposizioni concernenti la presentazione di istanze, segnalazioni e comunicazioni di cui all’art. 18-bis) sono ricondotte ai LEP (comma 2-ter).

Nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, le regioni e gli enti locali, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter, ma possono prevedere livelli ulteriori di tutela (comma 2-quater).

Mentre per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano vige l’obbligo di adeguare la propria legislazione alle disposizioni concernenti la dichiarazione di inizio attività (ora SCIA) e il silenzio assenso (nonché la conferenza di servizi), secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione (comma 2-quinquies).

 

 

 

 

 

 


Articolo 13
(Accelerazione del procedimento in conferenza di servizi)

 

 

L’articolo 13 prevede una procedura di conferenza di servizi straordinaria, utilizzabile fino al 31 dicembre 2021. In questo tempo determinato, le pubbliche amministrazioni hanno facoltà, in caso di conferenza di servizi decisoria, di procedere mediante una conferenza semplificata in modalità asincrona, che prevede una tempistica più rapida rispetto a quella ordinaria.

 

La relazione illustrativa (ma non la previsione normativa) evidenzia che la finalità della norma è quella di «introdurre semplificazioni procedimentali volte a fronteggiare gli effetti negativi, di natura sanitaria ed economica, derivanti dalle misure di contenimento e dall’emergenza sanitaria globale del Covid-19».

 

La procedura straordinaria di conferenza di servizi può essere utilizzata (si tratta dunque di una facoltà, non di un obbligo) fino al 31 dicembre 2021, in tutti i casi in cui debba essere indetta una conferenza di servizi decisoria.

Ai sensi dell’articolo 14, co. 2, della legge generale sul procedimento amministrativo (L. n. 241 del 1990), la conferenza decisoria è sempre obbligatoria quando la conclusione positiva del procedimento, ovvero lo svolgimento di un'attività privata, è subordinata all'acquisizione di più pareri, intese, concerti, nulla osta o altri atti di assenso, comunque denominati, da adottare a conclusione di distinti procedimenti di competenza di diverse amministrazioni, inclusi i gestori di beni o servizi pubblici.

 

Si ricorda che il Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire, nel parere n. 1640 del 13 luglio 2016, i rapporti tra la conferenza di servizi e il silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche (introdotto dalla L. n. 124/2015 e disciplinato dall'art. 17-bis della L. n. 241/1990), precisando che si forma il silenzio assenso quando è necessario acquisire l'assenso di una sola amministrazione, mentre opera la conferenza di servizi quando è necessario acquisire l'assenso di due o più amministrazioni.

 

In tali casi, la disposizione in esame autorizza le p.a. a procedere utilizzando la procedura di conferenza semplificata di cui all’art. 14-bis della L. 241 del 1990, come rimodulata in via eccezionale dalla disposizione in commento.

 

 

La conferenza di servizi semplificata nella L. 241 del 1990

 

Con le modifiche introdotte dal D.Lgs. 127/2016 la conferenza di servizi decisoria si svolge di norma in forma semplificata e in modalità "asincrona", ossia senza riunione, mediante la semplice trasmissione per via telematica, tra le amministrazioni partecipanti, delle comunicazioni, delle istanze con le relative documentazioni e delle determinazioni.

Il relativo procedimento è delineato dal nuovo articolo 14-bis, della L. 241/1990, in base al quale:

-          la conferenza è indetta dall'amministrazione procedente entro 5 giorni lavorativi dall'inizio del procedimento d'ufficio o, se il procedimento è a iniziativa di parte, dal ricevimento della domanda. L'amministrazione procedente è tenuta a comunicare l'oggetto della determinazione, corredata dalla relativa documentazione o le credenziali informatiche per accedervi in via telematica, nonché tutti i termini del procedimento;

-          le amministrazioni coinvolte possono richiedere integrazioni documentali e chiarimenti non acquisibili tramite documenti in possesso di pubbliche amministrazioni, entro un termine perentorio stabilito dall'amministrazione procedente, e comunque non superiore a 15 giorni;

-          entro il termine perentorio stabilito dall'amministrazione procedente, e comunque non superiore a 45 giorni, le amministrazioni coinvolte sono tenute a rendere le proprie determinazioni relative alla decisione oggetto della Conferenza. Resta fermo l'obbligo di rispettare il termine finale di conclusione del procedimento ai sensi dell'art. 2, L. 241/1990. Tali determinazioni sono formulate in termini di assenso o dissenso congruamente motivato e indicano, ove possibile, le modifiche eventualmente necessarie ai fini dell'assenso. Quando tra le amministrazioni coinvolte nella conferenza vi sono quelle preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute, il termine per le determinazioni è di 90 giorni, sempre che norme di legge o regolamenti non stabiliscono un termine diverso;

-          la mancata comunicazione delle determinazioni di cui sopra entro il termine perentorio previsto, ovvero la comunicazione di una determinazione priva dei requisiti indicati, equivalgono ad assenso senza condizioni, fatti salvi i casi in cui disposizioni del diritto dell'UE richiedono l'adozione dei provvedimenti espressi.

-          scaduto il termine per la comunicazione delle determinazioni, l'amministrazione procedente, entro 5 giorni lavorativi, adotta la determinazione motivata di conclusione della conferenza. La determinazione di conclusione è positiva nel caso siano pervenuti atti di assenso non condizionati, o qualora le condizioni indicate possono essere accolte senza necessità di apportare modifiche sostanziali alla decisione oggetto della conferenza: in tali ipotesi, la determinazione sostituisce ad ogni effetto tutti gli atti di assenso di competenza delle amministrazioni coinvolte. La determinazione di conclusione della conferenza sarà negativa in presenza di atti di dissenso non ritenuti superabili ed, in tal caso, avrà l'effetto di rigetto della domanda.

 

I correttivi al modello definito dalla L. 241 del 1990 sono tre.

Con il primo (comma 1, lett. a)), si stabilisce che tutte le amministrazioni coinvolte rilasciano le determinazioni di competenza entro il termine perentorio di sessanta giorni. Rispetto alla disciplina ordinaria, tale prescrizione comporta un termine unico per tutte le amministrazioni, ivi incluse le amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili (tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali, tutela della salute e della pubblica incolumità), per le cui determinazioni è normalmente previsto un termine più lungo, pari a novanta giorni (art. 14-bis, co. 2, lett. c)).

 

In secondo luogo (comma 1, lett. b)), rispetto alla disciplina ordinaria si stabiliscono alcune semplificazioni per i casi diversi dalle ipotesi di cui all’articolo 14-bis, comma 5, ossia quei casi in cui, in sede di conferenza semplificata, l'amministrazione procedente ha acquisito atti di dissenso che indicano condizioni o prescrizioni che richiedono modifiche sostanziali alla decisione finale che la stessa ritiene possibile superare mediante esame contestuale degli interessi coinvolti.

Attualmente, in tali casi, l’amministrazione procedente svolge una riunione in modalità sincrona, che si svolge in una data che cade tra il 45° giorno ed il 55° giorno dall’indizione della conferenza semplificata (art. 14-bis, co. 6) e segue la disciplina di cui all’art. 14-ter per la conferenza simultanea.

In via temporanea, fino al 31 dicembre 2021, invece, in tali casi l’amministrazione procedente potrà svolgere, entro trenta giorni decorrenti dalla scadenza del termine per il rilascio delle determinazioni di competenza delle singole amministrazioni, una riunione telematica di tutte le amministrazioni coinvolte nella quale prende atto delle rispettive posizioni e procede senza ritardo alla stesura della determinazione motivata conclusiva della conferenza di servizi.

 

Secondo la disciplina della conferenza dell’art. 14 ter, invece, i lavori della conferenza di servizi simultanea si concludono non oltre quarantacinque giorni dalla prima riunione che si svolge, ove possibile, anche in via telematica.

 

Restano ferme le modalità di cui all’articolo 14-ter, comma 4, per cui ove alla conferenza siano coinvolte amministrazioni dello Stato e di altri enti territoriali, a ciascun livello le amministrazioni convocate alla riunione sono rappresentate da un unico soggetto abilitato ad esprimere definitivamente e in modo univoco e vincolante la posizione delle amministrazioni stesse (cd. rappresentante unico). Il rappresentante unico delle amministrazioni statali è nominato dal Presidente del Consiglio o, in caso di amministrazioni periferiche, dal Prefetto. Fermo restando il rappresentante unico, le singole amministrazioni statali possono comunque intervenire in funzione di supporto.

Verso la determinazione conclusiva della conferenza può essere proposta opposizione dalle amministrazioni di cui all’articolo 14-quinquies, della legge n. 241 del 1990, ossia quelle preposte alla cura di interessi sensibili, ai sensi e nei termini ivi indicati.

Come previsto invia generale dall’art. 14-ter, comma 7, della L. n. 241 del 1990, si considera in ogni caso acquisito l’assenso senza condizioni delle amministrazioni che non abbiano partecipato alla riunione ovvero, pur partecipandovi, non abbiano espresso la propria posizione, ovvero abbiano espresso un dissenso non motivato o riferito a questioni che non costituiscono oggetto della conferenza.

 

Infine (comma 2), nei casi di cui agli articoli 1 e 2 del decreto, relativi alle procedure per l’incentivazione degli investimenti pubblici durante il periodo emergenziale (si v., supra), ove si renda necessario riconvocare la conferenza di servizi sul livello successivo di progettazione tutti i termini sono ridotti della metà e gli ulteriori atti di autorizzazione, di assenso e i pareri comunque denominati, eventualmente necessari in fase di esecuzione, sono rilasciati in ogni caso nel termine di sessanta giorni dalla richiesta.

 

 

Nell'ambito della riforma della pubblica amministrazione approvata nel corso della legislatura, (c.d. legge Madia) il Parlamento ha delegato il Governo a ridefinire e semplificare la disciplina della conferenza di servizi con l'obiettivo, tra gli altri, di rendere più celeri i tempi della conferenza, nonché assicurare che qualsiasi tipo di conferenza abbia una durata certa (art. 2, L. 124/2015). In attuazione della delega, il D.Lgs. 30 giugno 2016, n. 127 ha riscritto la disciplina della conferenza, riformulando integralmente gli articoli da 14 a 14-quinquies della L. n. 241/1990.

 

L'istituto della conferenza di servizi, la cui disciplina generale è stabilita nella legge n. 241 del 1990 (artt. 14-15), è stato modificato più volte e parzialmente riformato dalla legge n. 127/1997 (artt. 9-15) che ha novellato la legge 241/1990. Successivamente, modifiche di rilievo sono state apportate dalla legge n. 15/2005 (artt. 8-13), dalla legge n. 69/2009 (art. 9), dal D.L. n. 78/2010 (art. 49), dal D.L. n. 70/2011 (art.5), dal D.L. n. 179/2012 (art. 33-octies) e dal D.L. n. 133/2014 (art. 25).

 

Il riordino generale della disciplina mantiene ferma la distinzione tra conferenza di servizi istruttoria e decisoria, ridefinendo le ipotesi di convocazione obbligatoria della conferenza.

Come nella disciplina previgente, la conferenza istruttoria è sempre facoltativa, in quanto può essere indetta dall'amministrazione procedente quando ritenga opportuno effettuare un esame contestuale degli interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo o in più procedimenti amministrativi connessi (riguardanti medesime attività o risultati). Le forme in cui si svolge tale conferenza sono quelle previste per la conferenza semplificata o, in alternativa, possono essere definite direttamente dall'amministrazione procedente (art. 14, co. 1).

La conferenza decisoria è sempre obbligatoria quando la conclusione positiva del procedimento, ovvero lo svolgimento di un'attività privata, è subordinata all'acquisizione di più pareri, intese, concerti, nulla osta o altri atti di assenso, comunque denominati, da adottare a conclusione di distinti procedimenti di competenza di diverse amministrazioni, inclusi i gestori di beni o servizi pubblici (art. 14, co. 2).

Si prevede inoltre - confermando un'ipotesi già consolidata - che possa essere indetta la conferenza di servizi preliminare per progetti di particolare complessità e di insediamenti produttivi di beni e servizi. La peculiarità di questa conferenza è di essere convocata su richiesta del soggetto interessato, corredata da uno studio di fattibilità, al fine di verificare, prima della presentazione di un'istanza o di un progetto definitivo, quali siano le condizioni per ottenere, alla loro presentazione, i necessari atti di assenso. La conferenza preliminare si svolge secondo le disposizioni che regolano la conferenza semplificata, con abbreviazione dei termini fino alla metà (art. 14, co. 3).

Per tutte le tipologie di conferenza è introdotta la regola in base alla quale l'indizione della conferenza è comunicata ai soggetti già destinatari della comunicazione di avvio del procedimento, ai quali è riconosciuta la facoltà di intervenire nel procedimento (art. 14, co. 5).

 

La conferenza di servizi semplificata

Con le modifiche introdotte dal D.Lgs. 127/2016 la conferenza di servizi decisoria si svolge di norma in forma semplificata e in modalità "asincrona", ossia senza riunione, mediante la semplice trasmissione per via telematica, tra le amministrazioni partecipanti, delle comunicazioni, delle istanze con le relative documentazioni e delle determinazioni.

Il relativo procedimento è delineato dal nuovo articolo 14-bis, della L. 241/1990, in base al quale:

-          la conferenza è indetta dall'amministrazione procedente entro 5 giorni lavorativi dall'inizio del procedimento d'ufficio o, se il procedimento è a iniziativa di parte, dal ricevimento della domanda. L'amministrazione procedente è tenuta a comunicare l'oggetto della determinazione, corredata dalla relativa documentazione o le credenziali informatiche per accedervi in via telematica, nonché tutti i termini del procedimento;

-          le amministrazioni coinvolte possono richiedere integrazioni documentali e chiarimenti non acquisibili tramite documenti in possesso di pubbliche amministrazioni, entro un termine perentorio stabilito dall'amministrazione procedente, e comunque non superiore a 15 giorni;

-          entro il termine perentorio stabilito dall'amministrazione procedente, e comunque non superiore a 45 giorni, le amministrazioni coinvolte sono tenute a rendere le proprie determinazioni relative alla decisione oggetto della Conferenza. Resta fermo l'obbligo di rispettare il termine finale di conclusione del procedimento ai sensi dell'art. 2, L. 241/1990. Tali determinazioni sono formulate in termini di assenso o dissenso congruamente motivato e indicano, ove possibile, le modifiche eventualmente necessarie ai fini dell'assenso. Quando tra le amministrazioni coinvolte nella conferenza vi sono quelle preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute, il termine per le determinazioni è di 90 giorni, sempre che norme di legge o regolamenti non stabiliscono un termine diverso;

-          la mancata comunicazione delle determinazioni di cui sopra entro il termine perentorio previsto, ovvero la comunicazione di una determinazione priva dei requisiti indicati, equivalgono ad assenso senza condizioni, fatti salvi i casi in cui disposizioni del diritto dell'UE richiedono l'adozione dei provvedimenti espressi.

-          scaduto il termine per la comunicazione delle determinazioni, l'amministrazione procedente, entro 5 giorni lavorativi, adotta la determinazione motivata di conclusione della conferenza. La determinazione di conclusione è positiva nel caso siano pervenuti atti di assenso non condizionati, o qualora le condizioni indicate possono essere accolte senza necessità di apportare modifiche sostanziali alla decisione oggetto della conferenza: in tali ipotesi, la determinazione sostituisce ad ogni effetto tutti gli atti di assenso di competenza delle amministrazioni coinvolte. La determinazione di conclusione della conferenza sarà negativa in presenza di atti di dissenso non ritenuti superabili ed, in tal caso, avrà l'effetto di rigetto della domanda.

 

La conferenza di servizi simultanea

Fuori dalle ipotesi considerate, è prevista la conferenza in forma simultanea ed in modalità sincrona, con riunione in presenza delle diverse amministrazioni coinvolte (ossia la conferenza di servizi nel senso tradizionale in cui finora è stata intesa). Tale modalità, disciplinata dal nuovo articolo 14-ter della L. n. 241/1990, è destinata ad operare:

1)      nei casi di particolare complessità della decisione da assumere, su iniziativa dell'amministrazione procedente che indice la conferenza entro 5 giorni lavorativi dall'inizio del procedimento d'ufficio o dal ricevimento della domanda e convoca la riunione entro i successivi 45 giorni. L'amministrazione può avviare la conferenza in forma simultanea anche su richiesta motivata delle altre amministrazioni o del privato, avanzata entro 15 giorni dall'indizione di quella semplificata: in tal caso, la riunione ha luogo nei successivi 45 giorni (art. 14-bis, co. 7);

2)      qualora, in sede di conferenza semplificata, l'amministrazione procedente ha acquisito atti di dissenso che indicano condizioni o prescrizioni che richiedono modifiche sostanziali alla decisione finale che la stessa ritiene possibile superare mediante esame contestuale degli interessi coinvolti. In tal caso, la riunione in modalità sincrona si svolge in una data - preventivamente fissata dall'amministrazione procedente - che cade tra il 45° giorno ed il 55° giorno dall’indizione della conferenza semplificata (art. 14-bis, co. 6).

In caso di conferenza simultanea, la nuova disciplina prevede che, ove alla conferenza siano coinvolte amministrazioni dello Stato e di altri enti territoriali, a ciascun livello le amministrazioni convocate alla riunione sono rappresentate da un unico soggetto abilitato ad esprimere definitivamente e in modo univoco e vincolante la posizione delle amministrazioni stesse (cd. rappresentante unico). Il rappresentante unico delle amministrazioni statali è nominato dal Presidente del Consiglio o, in caso di amministrazioni periferiche, dal Prefetto. Ciascuna regione e ciascun ente locale definisce autonomamente le modalità di designazione del rappresentante unico delle amministrazioni riconducibili a quella regione o a quell'ente (art. 14-ter, co. 4-5).

I lavori della conferenza simultanea si concludono non oltre 45 giorni decorrenti dalla data della prima riunione (90 giorni nel caso in cui siano coinvolte amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o della tutela della salute). Anche in questo caso, sono introdotti meccanismi di silenzio assenso: infatti, si considera acquisito l'assenso senza condizioni delle amministrazioni il cui rappresentante non abbia partecipato alle riunioni ovvero, pur partecipandovi, non abbia espresso la propria posizione ovvero abbia espresso un dissenso non motivato o riferito a questioni che non costituiscono oggetto della conferenza.

Entro il termine predetto, l'amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione della conferenza sulla base delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti alla conferenza tramite i rispettivi rappresentanti.

Il riferimento alle "amministrazioni" e non "ai rappresentanti" chiarisce che le posizioni delle amministrazioni si sommano ai fini del computo, senza ridursi a unità in ragione della figura del "rappresentante unico".

 

La determinazione motivata di conclusione del procedimento

Il novellato articolo 14-quater della L. 241/1990 ribadisce il contenuto decisorio ed il valore provvedimentale della determinazione motivata di conclusione del procedimento. Pertanto la determinazione di conclusione della conferenza sostituisce ad ogni effetto tutti gli atti di assenso di competenza delle amministrazioni, nonché dei gestori di beni e servizi interessati (comma 1).

L'efficacia della determinazione motivata è immediata in caso di approvazione unanime. Ove l'approvazione invece segua alla valutazione delle posizioni prevalenti, l'efficacia è sospesa ove siano stati espressi dissensi qualificati per tutto il tempo necessario all'esperimento della procedura di opposizione disciplinata dall'art. 14-quinquies (comma 3).

Le amministrazioni, i cui atti sono sostituiti dalla determinazione motivata di conclusione della conferenza, possono sollecitare, dando congrua motivazione, l'amministrazione procedente ad assumere, previa indizione di un'altra conferenza, determinazioni di via di autotutela (revoca od annullamento d'ufficio). Per poter fare richiesta di revoca è tuttavia necessario che l'amministrazione richiedente abbia partecipato alla conferenza o si sia espressa nei termini (comma 2).

Il nuovo articolato precisa che i termini di efficacia di tutti i pareri, autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati acquisiti nell'ambito della conferenza decorrono dalla data di comunicazione della determinazione motivata di conclusione della conferenza (comma 4).

 

La procedura di superamento del dissenso qualificato

La nuova disciplina riscrive il meccanismo per il superamento dei dissensi delle amministrazioni preposte alla tutela di interessi cd. qualificati (ossia la tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali, nonchè la tutela della salute e della pubblica incolumità), nonchè di regioni e o province autonome, abbreviando anche in tal caso i termini.

Innanzitutto, ai sensi del nuovo articolo 14-quinquies della L. n. 241 del 1990, l'opposizione può essere proposta, dalle amministrazioni portatrici di interessi qualificati, solo a condizione di avere espresso "in modo inequivoco" il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della conferenza. In caso di regioni o province autonome è necessario che il rappresentante, intervenendo in materia spettante alla rispettiva competenza, abbia manifestato un dissenso motivato in seno alla conferenza (comma 2). Si stabilisce, inoltre, che per le amministrazioni statali l'opposizione deve essere proposta dal Ministro.

L'opposizione è indirizzata al Presidente del Consiglio e sospende l'efficacia della determinazione motivata di conclusione della conferenza (comma 3). Il Presidente del Consiglio dà impulso alla composizione degli interessi. Infatti, entro quindici giorni dalla ricezione dell'opposizione, la Presidenza del Consiglio indice una riunione cui partecipano tutte le amministrazioni coinvolte nella precedente conferenza. Nel principio di leale collaborazione, i partecipanti formulano proposte per individuare una soluzione condivisa. Se si raggiunge l'accordo, la soluzione rinvenuta sostituisce a tutti gli effetti la determinazione motivata di conclusione della conferenza (comma 4). Questo supplemento di comune vaglio e confronto di interessi può avere a sua volta una ulteriore 'coda', allorché un accordo non sia raggiunto nella prima riunione, e nell'antecedente conferenza abbiano partecipato amministrazioni regionali o provinciali autonome. Ebbene, in tal caso può essere indetta - entro i successivi quindici giorni - una seconda riunione (comma 5). Nel caso la o le riunioni conducano ad una intesa, essa forma il contenuto di una nuova determinazione motivata di conclusione della conferenza, da parte dell'amministrazione procedente.

Qualora, invece, all'esito di tali riunioni e, comunque non oltre quindici giorni dallo svolgimento della riunione, l'intesa non si consegua, si apre una seconda fase. Infatti, entro i successivi quindici giorni, la questione è rimessa al Consiglio dei ministri, il quale delibera con la partecipazione del Presidente della Regione o Provincia autonoma interessata. Ove il Consiglio dei ministri respinga l'opposizione, la determinazione motivata di conclusione della conferenza (che era rimasta sospesa nella sua efficacia, a seguito dell'opposizione) acquista efficacia in via definitiva, a decorrere dal momento in cui è comunicato il rigetto dell'opposizione.

Il Consiglio dei ministri può accogliere parzialmente l'opposizione, modificando in tale caso il contenuto della determinazione di conclusione della conferenza (comma 6).

 


Articolo 14
(Disincentivi alla introduzione di nuovi oneri regolatori)

 

 

L’articolo 14, al fine di disincentivare l’introduzione di nuovi oneri regolatori, dispone che, qualora gli atti normativi statali introducano un nuovo onere che non trova compensazione con una riduzione di oneri di pari valore, tale onere è qualificato come onere fiscalmente detraibile.

 

A tal fine, la disposizione aggiunge un comma 1-bis all’articolo 8 della legge 11 novembre 2011, n. 180 (c.d. statuto delle imprese) che contiene il principio della compensazione degli oneri regolatori, informativi e amministrativi.

In esso si afferma che «negli atti normativi e nei provvedimenti amministrativi a carattere generale che regolano l'esercizio di poteri autorizzatori, concessori o certificatori, nonché l'accesso ai servizi pubblici o la concessione di benefici, non possono essere introdotti nuovi oneri regolatori, informativi o amministrativi a carico di cittadini, imprese e altri soggetti privati senza contestualmente ridurne o eliminarne altri, per un pari importo stimato, con riferimento al medesimo arco temporale».

 

Il bilancio annuale degli oneri introdotti ed eliminati

 

Inoltre, il citato articolo 8 ha introdotto l’obbligo per le amministrazioni statali di trasmettere alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, entro il 31 gennaio di ogni anno, una relazione sul bilancio complessivo degli oneri amministrativi, a carico di cittadini e imprese, introdotti ed eliminati con gli atti normativi approvati nel corso dell’anno precedente, ivi compresi quelli introdotti con atti di recepimento di direttive dell'Unione europea che determinino livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive medesime, come valutati nelle relative analisi di impatto della regolamentazione (il c.d. regulatory budget).

L’individuazione degli oneri e la stima dei costi amministrativi è effettuata sulla base dei criteri e delle metodologie definiti nelle linee guida di cui al Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 gennaio 2013, che forniscono alle amministrazioni una guida operativa per la predisposizione della relazione sul bilancio degli oneri.

Sulla base delle relazioni verificate, il Dipartimento della funzione pubblica predispone una relazione complessiva, contenente il bilancio annuale degli oneri amministrativi introdotti e eliminati, pubblicata nel sito istituzionale del Governo entro il 31 marzo di ciascun anno.

L’ultima relazione complessiva contenente il bilancio annuale degli oneri amministrativi, introdotti od eliminati, pubblicata riguarda l’anno 2018.

Se gli oneri introdotti sono superiori a quelli eliminati, il Governo adotta, entro novanta giorni dalla pubblicazione della Relazione, i provvedimenti necessari a “tagliare oneri di pari importo”, assicurando il pareggio di bilancio, attraverso regolamenti di delegificazione adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 2 della legge n. 400/1988 per gli oneri previsti da leggi; attraverso regolamenti governativi ex articolo 17, comma 1, della medesima legge n. 400 del 1988 per la riduzione di oneri previsti da regolamenti; attraverso d.P.C.m. adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988 per la riduzione di oneri amministrativi previsti da regolamenti ministeriali.

L'articolo 8 non si applica con riferimento agli atti normativi in materia tributaria, creditizia e di giochi pubblici.

 

 

La novità rispetto al vigente quadro normativo consiste nella qualificazione come onere fiscalmente detraibile attribuita ad un nuovo onere regolatorio, qualora quest'ultimo non trovi compensazione con una riduzione di oneri di pari valore.

Il campo di applicazione del nuovo comma 1-bis non è pienamente sovrapponibile a quello del comma 1, in quanto riguarda gli oneri regolatori introdotti da atti normativi di competenza statale (legge e atto con forza di legge, regolamenti governativi e ministeriali e altri decreti ministeriali di natura normativa) e non anche da provvedimenti amministrativi generali.

Al fine di disincentivare l’introduzione di nuovi oneri regolatori, la disposizione prevede la qualificazione di onere fiscalmente detraibile in relazione al costo derivante dall’introduzione degli oneri regolatori, compresi quelli informativi e amministrativi ed esclusi quelli che costituiscono livelli minimi per l’attuazione della regolazione europea, qualora non contestualmente compensato con una riduzione stimata di oneri di pari valore,

Tale qualificazione opera in via automatica, salva deroga espressa, e richiede in ogni caso la previa quantificazione delle minori entrate, nonché l’individuazione di un’idonea copertura finanziaria con norma di rango primario (quindi per ogni atto normativo secondario che introduca nuovi oneri regolatori occorre che una norma di rango primario intervenga per la definizione della copertura finanziaria oltre che della quantificazione).

Riguardo alla previsione che richiede la previa quantificazione delle minori entrate e l’individuazione di un’idonea copertura andrebbe valutata l’esigenza di definire le modalità applicative e la relativa procedura (con particolare riferimento alle modalità e ai soggetti competenti alla verifica e alle conseguenze in caso di inadempimento della previsione).

 

In relazione alla tipologia degli oneri di cui si tratta, si ricorda che il citato articolo 8 dello Statuto delle imprese, accanto agli oneri amministrativi e informativi, menziona, senza definirli, gli oneri regolatori. Nella disposizione in commento si afferma che nella categoria degli oneri regolatori sono inclusi gli oneri amministrativi ed informativi, mentre sono esclusi quelli che costituiscono livelli minimi per l’attuazione della regolazione europea. Si valuti l’opportunità di specificare ulteriormente la nozione di oneri regolatori o di rinviare ad un atto di attuazione la definizione delle indicazioni.

 

Sempre secondo l'articolo 8 della L. n. 180/2011, per oneri amministrativi si intendono "i costi degli adempimenti cui cittadini ed imprese sono tenuti nei confronti delle pubbliche amministrazioni nell'ambito del procedimento amministrativo, compreso qualunque adempimento comportante raccolta, elaborazione, trasmissione, conservazione e produzione di informazioni e documenti alla pubblica amministrazione".

In base all'articolo 14, comma 5-bis, della L. 28 novembre 2005, n. 246 (comma introdotto dalla citata L. n. 180), per onere informativo si intende qualunque adempimento comportante raccolta, elaborazione, trasmissione, conservazione e produzione di informazioni e documenti alla pubblica amministrazione.

 

In relazione alla qualificazione di un onere come fiscalmente detraibile che assume una valenza stringente e puntuale, date le ricadute di natura erariale, la disposizione fa riferimento "all'introduzione" di oneri regolatori, Andrebbe pertanto chiarito se il principio della detraibilità fiscale di nuovi o maggiori oneri non oggetto di compensazione possa applicarsi anche rispetto al livello di oneri già previsti a normativa vigente nelle stesse materie; in tale ipotesi interpretativa, sembrerebbe preclusa la possibilità di determinazione, con atti normativi secondari, di nuovi o maggiori oneri, qualora manchino norme di rango primario che quantifichino le minori entrate e individuino la relativa copertura finanziaria.

 

La qualificazione dell’onere non compensato come fiscalmente detraibile è previsione contenuta anche in altri disegni di legge governativi presentati nell’attuale legislatura (A.S. n. 1252, A.S. n. 1312, A.S. 1338, A.C. 1812), recanti deleghe al Governo.

 

Da ultimo, la disposizione precisa che per gli atti normativi di iniziativa governativa, la stima del predetto costo è inclusa nell’ambito dell’analisi di impatto della regolamentazione (AIR) di cui all’articolo 14 della legge 14 novembre 2005, n. 246, conformemente a quanto già previsto per la valutazione degli oneri informativi.

 

Sul punto, merita ricordare che lo Statuto delle imprese ha introdotto - accanto alla misurazione degli oneri amministrativi - una serie di strumenti volti a prevenire il proliferare di nuovi oneri a carico di cittadini e imprese, mediante meccanismi di controllo ex ante sull'introduzione di nuovi adempimenti amministrativi. In particolare, l'articolo 6 dello Statuto ha modificato la disciplina generale sulla relazione dell'analisi dell'impatto della regolamentazione (AIR), prevedendo che essa debba dare conto, tra l'altro, della valutazione dell'impatto sulle PMI e degli oneri informativi e dei relativi costi amministrativi, introdotti o eliminati a carico di cittadini e imprese.

 

 


Articolo 15
(Agenda per la semplificazione, ricognizione e semplificazione dei procedimenti e modulistica standardizzata)

 

 

L’articolo 15 dispone, al comma 1, ulteriori misure di semplificazione amministrativa, con particolare riguardo a: l’adozione di una Agenda per la semplificazione per il periodo 2020-2023 entro il 30 settembre 2020; il completamento della ricognizione dei procedimenti amministrativi da parte dello Stato, le Regioni e le autonomie locali, finalizzata ad individuare i diversi regimi applicabili e ad applicare ulteriori misure di semplificazione; l’estensione dell’ambito di applicazione della modulistica unificata e standardizzata.

Con il comma 2 è soppresso l’obbligo di approvazione dei bilanci preventivi e consuntivi della Scuola nazionale dell’amministrazione (SNA) da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

 

A tal fine sono apportate, in primo luogo, una serie di modifiche all’articolo 24 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, che ha introdotto disposizioni in materia di semplificazioni amministrative.

 

Con la modifica di cui alla lettera a) si prevede l’adozione di una Agenda per la semplificazione per il periodo 2020-2023 concernente le linee di indirizzo e il programma di interventi di semplificazione per la ripresa a seguito dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, condivisi tra Stato, regioni, province autonome e autonomie locali, nonché il cronoprogramma per la loro attuazione.

 

Si ricorda che in relazione all'attività delle pubbliche amministrazioni, il D.L. 34 del 2020 (c.d. decreto rilancio) contiene alcune disposizioni tese ad accelerare e semplificare i procedimenti amministrativi, in particolare quelli aventi ad oggetto l'erogazione di benefici economici, avviati in relazione all'emergenza da COVID-19 (art. 264).

In particolare, tra l'altro, si prevede fino al 31 dicembre 2020:

-          l'ampliamento della possibilità di presentare dichiarazioni sostitutive, in tutti i procedimenti che hanno ad oggetto erogazioni di denaro comunque qualificate ovvero prestiti e finanziamenti da parte della pubblica amministrazione;

-          una riduzione dei termini per l'esercizio dell'autotutela da parte delle Amministrazioni e la sospensione, salvo che per eccezionali ragioni, della possibilità per l'Amministrazione di revocare in via di autotutela il provvedimento, con riguardo ai procedimenti sopra citati;

-          semplificazioni per gli interventi, anche edilizi, necessari ad assicurare l'ottemperanza alle misure di sicurezza prescritte per fare fronte all'emergenza sanitaria COVID-19.

Con la medesima finalità, sono introdotte a regime:

-          modifiche al dPR 445 del 2000 che rafforzano i controlli ex post sulle dichiarazioni sostitutive ed determinano inasprimento delle sanzioni in caso di dichiarazioni mendaci presentate dagli interessati ai benefici;

-          modifiche al Codice dell'amministrazione digitale (D.Lgs. 82 del 2005) in materia di fruibilità dei dati delle pubbliche amministrazioni e di gestione della Piattaforma Digitale Nazionale Dati;

-          disposizioni in base alle quali nell'ambito di verifiche, ispezioni e controlli sulle attività dei privati, la pubblica amministrazione "non può richiedere la produzione di informazioni, atti o documenti in possesso della stessa o di altra pubblica amministrazione". È nulla ogni sanzione disposta nei confronti dei privati per omessa esibizione di documenti già in possesso delle PA.

 

 

L’Agenda deve essere adottata entro il 30 settembre 2020 con le modalità già stabilite dall’art. 24 del D.L. 90 del 2014, ossia approvata dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e previa intesa in sede di Conferenza unificata. Restano ferme le ulteriori modalità di attuazione e monitoraggio dell’Agenda che non sono oggetto di esplicita modifica (si v. infra).

 

L’Agenda per la semplificazione

 

Alla fine del 2014, con le previsioni dell’art. 24 del D.L. 90/2014, l’attuazione delle politiche di semplificazione ha acquisito un nuovo strumento: l’Agenda per la semplificazione 2015-2017.

In base alla norma (comma 1), l'Agenda per la semplificazione contiene le linee di indirizzo condivise tra Stato, regioni, province autonome e autonomie locali e il cronoprogramma per la loro attuazione. L’Agenda prevede anche la possibilità di sottoscrivere intese ed accordi in sede di Conferenza unificata per il coordinamento delle attività delle diverse amministrazioni interessate, nonché le forme di consultazione dei cittadini, delle imprese e delle loro associazioni. La norma prevede inoltre che il Ministro riferisca entro il 30 aprile di ciascun anno alla Commissione per la semplificazione.

Non tutte le azioni richiedevano nuovi interventi normativi (ed anzi l'Agenda era ispirata all'esigenza di dare concreta attuazione a disposizioni legislative già adottate in passato, rimaste sulla carta o non ancora attuate completamente). Tuttavia nei casi in cui un intervento sulla normazione primaria fosse richiesto, si è fatto ricorso (per lo più) a grandi deleghe settoriali, relative alla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, al fisco e alla riforma del mercato del lavoro.

L’Agenda ha previsto 37 misure prioritarie di semplificazione (individuate all'esito di un processo di condivisione tra i vari livelli istituzionali di governo, con una interlocuzione con i portatori di interessi). in cinque settori strategici di intervento: la cittadinanza digitale, il welfare e la salute, il fisco, l’edilizia, l’impresa.

Per la cittadinanza digitale l'agenda proponeva la realizzazione dello SPID, l'identità digitale; l'attivazione da parte di tutte le pubbliche amministrazioni, centrali e locali, dei pagamenti digitali; la marca da bollo on line; la fatturazione elettronica.

Nel settore del welfare e della salute si prevedevano una semplificazione degli adempimenti per le persone con disabilità; la prenotazione per via telematica o per telefono delle prestazioni sanitarie e l'accesso ai referti on line o in farmacia.

Per il fisco si faceva riferimento alla realizzazione della dichiarazione dei redditi precompilata, alla presentazione telematica delle dichiarazioni di successione, con contestuale voltura catastale e alla verifica dell'attuazione delle semplificazioni fiscali.

Nell'edilizia veniva prospettata la realizzazione di moduli unici semplificati (modulo unico per l'edilizia libera, "super DIA" edilizia, autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità).

Per le imprese si proponevano l'introduzione di una modulistica SUAP (sportello unico delle attività produttive) semplificata e standardizzata; linee guida per agevolare l'impresa; il modulo per l'autorizzazione unica ambientale.

Nel dicembre 2017 è stato raggiunto un accordo in sede di Conferenza unificata per l’aggiornamento 2018-2020 dell’Agenda per la semplificazione, che ha avuto una focalizzazione specifica sulle azioni nei settori edilizia ed impresa. L’aggiornamento si pone l’obiettivo di: sviluppare ulteriormente la semplificazione e la standardizzazione delle procedure e della modulistica, nonché l’attività degli sportelli unici; porre in essere nuovi interventi di semplificazione e correggere quelli già adottati, anche attraverso la misurazione degli oneri burocratici e la consultazione dei soggetti interessati (stakeholder).

Sono in particolare previsti interventi nei settori dell’edilizia e dell’impresa. Tra le altre cose, l’aggiornamento prevede la creazione di una “rete di semplificatori” e la sperimentazione di forme di tutoraggio tra amministrazioni; una verifica sistematica del funzionamento degli sportelli unici delle attività produttive (SUAP); l’incentivazione di interventi di “rigenerazione” urbana e territoriale; la riduzione del cd. gold-plating (vale a dire della prassi di introdurre, in sede di recepimento della normativa dell’Unione europea, ulteriori adempimenti non previsti da tale normativa).

Lo stato di avanzamento dell’attuazione dell’Agenda è stato reso pubblico attraverso il sito www.italiasemplice.gov.it

L'attuazione delle misure è sottoposta a monitoraggio finalizzato a esaminare periodicamente lo stato di avanzamento delle iniziative e a verificare l'effettivo raggiungimento degli obiettivi di ciascuna azione. Alle attività di monitoraggio possono partecipare anche cittadini e imprese, mediante: uno spazio, sul sito istituzionale, per commenti sugli interventi in corso, diretto a raccogliere opinioni, segnalazioni di criticità o di buone pratiche; una consultazione telematica permanente, diretta a raccogliere suggerimenti utili alla programmazione di nuovi interventi nell'ambito degli aggiornamenti periodici dell'Agenda.

 

 

 

La lettera b) inserisce i nuovi commi 1-bis e 1-ter nel citato articolo 24, ai sensi del quale entro centocinquanta giorni “dall’entrata in vigore del decreto”, lo Stato, le Regioni e le autonomie locali, sentite le associazioni imprenditoriali, devono completare la ricognizione dei procedimenti amministrativi al fine di individuare i diversi regimi applicabili.

 

In particolare, l’individuazione concerne:

a) le attività soggette ad autorizzazione, giustificate da motivi imperativi di interesse generale, e le attività soggette ai regimi giuridici di cui agli articoli 19 (SCIA), 19-bis (SCIA unica o condizionata) e 20 (silenzio-assenso) della legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero al mero obbligo di comunicazione. Tale opera di ricognizione è stata avviata, in attuazione della legge delega di riforma della PA n. 124 del 2015, dal D.Lgs. 122 del 2016 (c.d. SCIA “, su cui, si v. il box infra).

 

b) i provvedimenti autorizzatori, gli adempimenti e le misure incidenti sulla libertà di iniziativa economica ritenuti non indispensabili, fatti salvi quelli imposti dalla normativa dell’Unione europea e quelli posti a tutela di princìpi e interessi costituzionalmente rilevanti;

 

c) i procedimenti da semplificare;

 

d) le discipline e tempi uniformi per tipologie omogenee di procedimenti;

 

e) i procedimenti per i quali l’autorità competente può adottare un’autorizzazione generale;

 

f) i livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti per l’adeguamento alla normativa dell’Unione europea. Tali livelli sono attualmente definiti dall’art. 14, co. 24-ter, della L. 246/2005 (si v. infra), pertanto la disposizione non appare innovare l’ordinamento e, pertanto, andrebbe valutata l’opportunità di chiarire la finalità dell’intervento legislativo.

 

Si ricorda che, in base all'articolo 14, commi da 24-bis a 24-quater, della L. 28 novembre 2005, n. 246, gli atti di recepimento di direttive europee non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse, salva l'ipotesi in cui l'amministrazione dia conto delle circostanze eccezionali in relazione alle quali si renda necessario il superamento del livello minimo di regolazione europea. Quest'ultima fattispecie deve essere previamente valutata nella suddetta AIR o comunque, per gli atti normativi non sottoposti ad AIR, in base ai metodi di analisi adottati (per la redazione dell'AIR e della VIR) con direttive del Presidente del Consiglio dei Ministri.

In particolare, secondo il comma 24-ter del citato articolo 14, costituiscono livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive europee:

a) l'introduzione o il mantenimento di requisiti, standard, obblighi e oneri non strettamente necessari per l'attuazione delle direttive;

b) l'estensione dell'ambito soggettivo o oggettivo di applicazione delle regole rispetto a quanto previsto dalle direttive, ove comporti maggiori oneri amministrativi per i destinatari;

c) l'introduzione o il mantenimento di sanzioni, procedure o meccanismi operativi più gravosi o complessi di quelli strettamente necessari per l'attuazione delle direttive.

I commi 5 e 8 del citato articolo 14 della L. n. 246, e successive modificazioni, ed il regolamento di cui al D.P.C.M. 15 settembre 2017, n. 169, individuano i casi di esclusione dell'AIR, tra cui l'ipotesi in cui l'amministrazione proponente chieda al DAGL (Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri) l'esenzione in relazione al ridotto impatto dell'intervento.

 

Gli esiti della ricognizione sono trasmessi al Presidente del Consiglio di ministri e al Ministro per la pubblica amministrazione, alla Conferenza delle regioni e delle province autonome, all’Unione delle province italiane e all’Associazione nazionale dei comuni italiani.

La disposizione non specifica, all’esito della ricognizione, gli strumenti e le modalità con cui si potrà intervenire per attuare le misure di semplificazione richiamate.

 

Con riguardo alle previsioni del comma 1-bis è utile richiamare le norme più recenti approvate al fine di liberalizzare alcune attività e di semplificare i procedimenti amministrativi, mediante attività di ricognizione e individuazione di regimi applicabili.

 

In particolare, la legge delega di riforma delle pubbliche amministrazioni (legge n. 124/2015) ha introdotto alcune disposizioni volte a semplificare i procedimenti amministrativi in favore dei cittadini e delle imprese. Con tale finalità, ha previsto infatti (art. 5):

1.      la precisa individuazione dei procedimenti oggetto di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) o di silenzio assenso, nonché quelli per i quali è necessaria l'autorizzazione espressa e di quelli per quali è sufficiente una comunicazione preventiva;

2.      l'introduzione di una disciplina generale delle attività non assoggettate ad autorizzazione preventiva espressa.

In sede di attuazione, sono stati adottati due decreti legislativi. Il primo di essi (D.Lgs. 30 giugno 2016, n. 126) contiene alcune disposizioni generali applicabili ai procedimenti relativi alle attività non assoggettate ad autorizzazione espressa (c.d. SCIA 1). Nel decreto è stata anche introdotta una clausola in base alla quale le attività private non espressamente individuate ai sensi dei medesimi decreti o non specificamente oggetto di disciplina da parte della normativa europea, statale e regionale, sono libere.

Ulteriore novità di rilievo è rappresentata dalla introduzione di una disciplina per le ipotesi in cui per lo svolgimento di un’attività soggetta a SCIA siano necessarie altre SCIA, comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche, ovvero atti di assenso o pareri da parte di altre amministrazioni. Per evitare che la stessa SCIA diventi più complicata del procedimento ordinario a causa dei numerosi atti presupposti, lo schema di decreto prevede una concentrazione dei regimi amministrativi.

L'attuazione della delega è proseguita con il decreto legislativo 5 novembre 2016, n. 222 (cd. SCIA 2), che provvede alla mappatura e alla individuazione delle attività oggetto di procedimento di mera comunicazione o segnalazione certificata di inizio attività o di silenzio assenso, nonché quelle per le quali è necessario il titolo espresso e introduce le conseguenti disposizioni normative di coordinamento.

In particolare, il decreto riporta nella tabella A allegata la ricognizione delle attività e dei procedimenti nei settori del commercio e delle attività assimilabili, dell'edilizia e dell'ambiente (per un totale di 246 attività/procedimenti). Per ciascun procedimento o attività, la tabella indica il regime amministrativo applicabile (autorizzazione, silenzio assenso, SCIA, SCIA unica, SCIA condizionata, comunicazione) l'eventuale concentrazione dei regimi e i riferimenti normativi. Le amministrazioni, nell'ambito delle rispettive competenze, possono ricondurre le attività non espressamente elencate nella tabella, anche in ragione delle loro specificità territoriali, a quelle corrispondenti, pubblicandole sul proprio sito istituzionale (art. 2, co. 6, D.Lgs. 222/2016).

La ricognizione può essere integrata e completata con decreti successivi, previsti dalla legge delega, i cui termini tuttavia sono scaduti senza l’adozione di ulteriori decreti. Inoltre, si prevede che la tabella sia aggiornata periodicamente, con decreto del Ministro delegato per la pubblica amministrazione, previa intesa in Conferenza unificata, al fine di tener conto delle disposizioni di legge intervenute successivamente (art. 2, co. 7, D.Lgs. 222/2016).

Le regioni e gli enti locali, nel disciplinare i regimi amministrativi di loro competenza, devono adeguarsi ai livelli di semplificazione e alle garanzie assicurate ai privati dal decreto, nonché possono prevedere livelli ulteriori di semplificazione.

 

 

Le lettere c), d) ed e) del comma 1 dell’articolo in esame introducono alcune modifiche all’art. 24 del D.L. 90 del 2014 in relazione agli obblighi di adozione per le p.a. della modulistica unificata e standardizzata su tutto il territorio nazionale per la presentazione di istanze, dichiarazioni e segnalazioni da parte dei cittadini e delle imprese.

 

In particolare, al comma 2 viene soppresso il termine di operatività (entro centottanta giorni dall’entrata in vigore del DL 90) dell’obbligo delle amministrazioni statali, ove non abbiano già provveduto, di adottare i moduli unificati con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, sentita la Conferenza unificata. In tal modo, si rende l’obbligo a carattere generale e valido in ogni momento (lettera c)).

Inoltre, le lettere d) ed e), sopprimendo ai commi 3 e 4 dell’articolo 24 del D.L. 90 del 2014, ogni riferimento “all'edilizia e all'avvio di attività produttive”, estendono i settori di applicazione degli accordi o intese in sede di Conferenza unificata finalizzati ad adottare, tenendo conto delle specifiche normative regionali, una modulistica unificata e standardizzata su tutto il territorio nazionale per la presentazione alle pubbliche amministrazioni regionali e agli enti locali di istanze, dichiarazioni e segnalazioni.

 

Le pubbliche amministrazioni regionali e locali utilizzano i moduli unificati e standardizzati nei termini fissati con tali accordi o intese; i cittadini e le imprese li possono comunque utilizzare decorsi trenta giorni dai medesimi termini.

Si ricorda che, ai sensi del comma 4 del citato articolo 24, gli accordi sulla modulistica conclusi in sede di Conferenza unificata sono rivolti ad assicurare la libera concorrenza, costituiscono livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, assicurano il coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale al fine di agevolare l'attrazione di investimenti dall’estero.

 

 

 

La modulistica unificata nel decreto SCIA 1

 

Ulteriori disposizioni per garantire l’informazione di cittadini e imprese sono successivamente stabilite dal D.Lgs. 126/2016, che in attuazione della delega contenuta nella L. 124 del 2015 (art. 5) disciplina la predisposizione da parte delle p.a. di moduli unificati e standardizzati che definiscono in maniera esaustiva, per tipologia di procedimento, i contenuti tipici e la relativa organizzazione dei dati, delle istanze, delle segnalazioni e delle comunicazioni oggetto dei decreti di attuazione dell'art. 5, nonché i contenuti della documentazione da allegare (art. 2, co. 1). Tali moduli devono prevedere la possibilità del privato di indicare l'eventuale domicilio digitale per le comunicazioni con l'amministrazione.

Per quanto concerne le modalità relative alla predisposizione dei moduli, i moduli sono adottati dalle amministrazioni statali con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previo parere della Conferenza unificata. Mentre sono necessari accordi o intese in sede di Conferenza unificata, per adottare una modulistica unificata e standardizzata su tutto il territorio nazionale per la presentazione alle pubbliche amministrazioni regionali e agli enti locali di istanze, dichiarazioni e segnalazioni con riferimento all'edilizia e all'avvio di attività produttive.

In sede di attuazione, sono stati raggiunti in sede di Conferenza unificata gli accordi del 4 maggio e del 6 luglio 2017 sulla modulistica unificata e semplificata per le attività commerciali, artigianali ed edilizie (per attività quali esercizi di vicinato e di vendita, bar, ristoranti, attività di acconciatore e/o estetista, panifici, tintolavanderie, autorimesse e autoriparatori). Successivamente, l'accordo del 22 febbraio 2018 ha adottato ulteriori moduli unificati e semplificati relativi ad altre attività commerciali ed assimilate (commercio all'ingrosso, alimentare e non alimentare; facchinaggio; imprese di pulizia, disinfezione, disinfestazione, derattizzazione e sanificazione; agenzie di affari di competenza del Comune).

Con l'Accordo del 17 aprile 2019 sono stati approvati nuovi moduli relativi a: somministrazione di alimenti e bevande all'interno di associazioni e circoli aderenti a enti o organizzazioni nazionali aventi finalità assistenziali e che hanno natura di enti non commerciali; strutture ricettive alberghiere; struttura ricettive all'aria aperta  Con l'Accordo del 25 luglio 2019 sono stati approvati tre nuovi moduli unificati e standardizzati relativi a: autoscuole; somministrazione di alimenti e bevande all’interno di associazioni e circoli aderenti e non aderenti che hanno natura commerciale. Con l'Accordo del 18 dicembre 2019 è stato modificato il termine del 31 dicembre 2019 previsto dall'Accordo del 25 luglio 2019 relativamente all'adozione della modulistica per le autoscuole, prorogandolo al 31 marzo 2020.

Secondo quanto emerge dal Rapporto di monitoraggio per la semplificazione 2018-2020, tutte le regioni hanno adeguato, in relazione alle specifiche normative regionali, i contenuti informativi dei moduli.

 

Per le amministrazioni destinatarie delle istanze, segnalazioni e comunicazioni è introdotto l'obbligo di pubblicare sul proprio sito istituzionale i moduli e, per ciascuna tipologia di procedimento, l'elenco degli stati, qualità personali e fatti oggetto di dichiarazione sostitutiva, di certificazione o di atto di notorietà, nonché delle attestazioni e asseverazioni dei tecnici abilitati o delle dichiarazioni di conformità dell'Agenzia delle imprese, necessari a corredo della segnalazione, indicando le norme che ne prevedono la produzione (art. 2, co. 2). L'obbligo di pubblicazione si intende assolto anche attraverso il link alle piattaforme telematiche in uso o alla modulistica adottata dalle regioni. Tale regime di pubblicità si affianca agli altri obblighi di trasparenza concernenti i procedimenti amministrativi disciplinati in generale dal cd. Codice della trasparenza delle pubbliche amministrazioni (D.Lgs. n. 33/2013, in particolare art. 35).

In caso di omessa pubblicazione dei moduli e della relativa documentazione, il decreto prevede l'attivazione di poteri sostitutivi tra i diversi livelli amministrativi (art. 2, co. 3). Ed, in particolare, in caso di omessa pubblicazione dei documenti:

da parte degli enti locali, le regioni assegnano agli enti interessati, anche su segnalazione del cittadino, un termine per provvedere, decorso inutilmente il quale adottano le misure sostitutive. Per le modalità si fa rinvio, senza ulteriori specificazioni, alla disciplina statale e regionale applicabile nella relativa materia;

da parte delle regioni, si provvede in via sostitutiva con le modalità dell'art. 8 della L. 131/2003, che ha disciplinato il potere sostitutivo da parte del governo in attuazione dell'art. 120 Cost.

A garanzia dei privati e dei principi di semplificazione e trasparenza del procedimento, è fatto divieto all'amministrazione procedente di chiedere informazioni o documenti ulteriori rispetto a quelli indicati nei moduli pubblicati sul sito istituzionale, nonché di richiedere documenti in possesso di una pubblica amministrazione. Eventuali richieste integrative di documentazione all'interessato possono essere rivolte solo in caso di mancata corrispondenza del contenuto dell'istanza, della segnalazione o comunicazione e dei relativi allegati a quanto indicato nei moduli pubblicati sul proprio sito (art. 2, co. 4).

Infine, il decreto ha introdotto le sanzioni per la mancata pubblicazione delle informazioni e dei documenti indicati, nonché per la richiesta di integrazioni documentali non corrispondenti alle informazioni e ai documenti pubblicati, stabilendo che tali fattispecie "costituiscono illecito disciplinare punibile con la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da tre giorni a sei mesi" (art. 2, co. 5).

 

 

Il comma 2 dell’articolo in commento modifica la disciplina organizzativa della Scuola nazionale dell’amministrazione (SNA), disponendo la soppressione dell’obbligo di approvazione dei bilanci preventivi e consuntivi da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

A tal fine si modifica il comma 6 dell’articolo 16, comma 6, del D.Lgs. 1° dicembre 2009 n. 178, sopprimendo le parole: “per l’approvazione” sono soppresse. All’esito della modifica, permane solo l’obbligo in capo alla Scuola di trasmissione dei bilanci entro dieci giorni dalla deliberazione del Comitato di gestione, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Considerato l’oggetto della disposizione rispetto al complesso delle norme contenute nell’articolo 15, andrebbe valutata l’opportunità di una diversa collocazione della disposizione.

 

La Scuola nazionale dell’amministrazione (SNA), originariamente denominata Scuola superiore della pubblica amministrazione (SSPA) è un’istituzione di alta cultura e formazione, posta nell’ambito e sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio. Istituita nel 1957, le norme fondamentali della Scuola sono attualmente contenute nel d.lgs. n. 178/2009 che ha integralmente sostituito la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 287/1999, come modificato dal d.lgs. n. 381/2003.

Nel corso della XVII legislatura, sono state poste le basi per una complessiva riforma dell’ordinamento della Scuola. Dapprima, infatti, il D.P.R. 70 del 2013 aveva istituito il Sistema unico del reclutamento e della formazione pubblica, in cui la Scuola nazionale dell’amministrazione (come è stata ridenominata) assumeva un ruolo di coordinamento delle attività di formazione e reclutamento poste in essere dalle singole Scuole. Successivamente, il decreto-legge n. 90 del 2014 ha disposto la soppressione di cinque scuole di formazione delle pubbliche amministrazioni e la contestuale assegnazione delle funzioni di reclutamento e di formazione, nonché delle risorse, degli organismi soppressi alla SNA (articolo 21). In attuazione di queste disposizioni, con D.P.C.M. 24 dicembre 2014 sono state individuate e trasferite tali risorse alla Scuola nazionale.

In base alla normativa vigente, la Scuola è dotata di autonomia organizzativa e contabile nei limiti delle proprie risorse economico-finanziarie. Tra i compiti primari della Scuola sono da ricordare: il reclutamento dei dirigenti e dei funzionari dello Stato; l’attività formativa iniziale dei dirigenti dello Stato; la formazione permanente dei dirigenti e dei funzionari dello Stato; la formazione, con gli oneri a carico dei committenti, di dipendenti di amministrazioni pubbliche diverse da quelle statali, di soggetti gestori di servizi pubblici e di istituzioni ed imprese private; lo svolgimento di attività di ricerca, analisi e documentazione finalizzata al perseguimento dell'eccellenza nell'attività di formazione legata ai processi di riforma ed innovazione della pubblica amministrazione.

 

Il comma 3 reca una clausola di neutralità finanziaria, per cui all’attuazione delle disposizioni previste dall’articolo in commento si provvede nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente.


Articolo 16
(Disposizioni per facilitare l’esercizio del diritto di voto degli italiani all’estero nel referendum confermativo del testo di legge costituzionale, recante “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari)

 

 

L’articolo 16, reca alcune disposizioni che intervengono sulle procedure relative al voto degli italiani all’Estero per il referendum confermativo sul testo della legge costituzionale di riduzione del numero dei seggi parlamentari del 20 e 21 settembre 2020.

Si prevede quanto segue:

§  l’anticipazione di 48 ore del termine entro il quale devono pervenire agli uffici consolari le buste contenenti le schede elettorali inviate dagli elettori all’estero (martedì 15 anziché giovedì 17 settembre);

§  la possibilità che la spedizione delle buste con le schede votate dagli italiani all’estero all’Ufficio centrale per la circoscrizione Estero avvenga con valigia diplomatica non accompagnata da un corriere;

§  l’aumento del numero di elettori necessario per la costituzione dei seggi elettorali con la conseguente diminuzione del numero dei seggi medesimi;

§  l’aumento del 50% dell’onorario in favore dei componenti dei seggi elettorali.

 

La relazione illustrativa evidenzia che la disposizione intende far fronte alle severe limitazioni del traffico aereo imposte dalle misure di contenimento della diffusione del COVID-19 disposte dai vari Paesi del mondo e alla necessità di ridurre il numero di seggi elettorali, in modo da contenere il più possibile il numero di persone presenti nei locali adibiti allo scrutinio e quindi le possibilità di contagio. L'incremento degli onorari da corrispondere ai membri dei seggi elettorali è disposta in virtù dei più gravosi carichi di lavoro derivanti dal maggior numero di elettori e quindi di schede elettorali da scrutinare per ogni seggio.

 

Nel dettaglio, in primo luogo (lett. a), viene anticipato di 48 ore il termine entro il quale devono pervenire le buste contenenti le schede elettorali inviate dagli elettori agli uffici consolari. La legge per il voto degli italiani all’Estero prevede che le buste pervenute non oltre le ore 16, ora locale, del giovedì precedente la data delle votazioni sono spedite dagli uffici consolari all’Ufficio centrale per la circoscrizione Estero, costituito presso la Corte di appello d Roma, unitamente agli elenchi degli elettori ammessi al voto per corrispondenza (L. 459/2001, art. 12, comma 7, primo periodo). Le buste pervenute oltre tale termine sono distrutte (L. 459/2001, art. 12, comma 8). La disposizione in esame anticipa tale termine al martedì precedente la data delle votazioni.

 

Inoltre, (lett. b) si prevede che il Ministero degli affari esteri possa disporre che la spedizione delle buste con le schede votate dagli italiani all’estero all’Ufficio centrale per la circoscrizione Estero avvenga con valigia diplomatica non accompagnata: la norma generale vigente dispone che le buste sono inviate con una spedizione unica, per via aerea e con valigia diplomatica (L. 459/2001, art. 12, comma 7, secondo periodo). Il regolamento di attuazione specifica che la valigia è accompagnata (DPR 104/2003, n. 18).

 

Per bolgetta o valigia diplomatica (o consolare) si intende la valigia, il collo ed ogni contenitore proveniente dalle Amministrazioni centrali degli Esteri e diretto alle Rappresentanze Diplomatiche e Consolari, e viceversa, caratterizzato esternamente da marchi, nella specie sigillo a piombo e ceralacca, attestanti il carattere ufficiale della spedizione che non può contenere oggetti diversi da documenti, corrispondenza oppure oggetti destinati esclusivamente ad un uso ufficiale. La bolgetta diplomatica può essere accompagnata da un incaricato con funzioni di corriere e munito dell’apposita lettera di accreditamento ed in questo caso è esente da controlli.

In caso di valigie diplomatiche non accompagnate da un corriere, queste sono sottoposte a controllo radioscopico, ma non possono essere né aperte, né trattenute, tranne nel caso in cui dal controllo radioscopico o da un sospetto fondato emerga che ci sia presenza di armi di esplosivi (Ministero degli affari esteri, Manuale sul trattamento riservato al corpo diplomatico accreditato presso la Repubblica Italiana, 2013).

Il fondamento giuridico-internazionale di tale disciplina, riconducibile al principio ne impediatur legatio, si rinviene nell'art. 27 della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 18 aprile 1961 e nell'art. 35 della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 24 aprile 1962 (la cui ratifica è intervenuta ai sensi della legge 9 agosto 1967, n. 804).

 

Per quanto riguarda i seggi elettorali istituiti presso l’ufficio centrale per la circoscrizione Estero (lett. c), si ne aumenta il numero minimo e massimo di elettori necessario per la sua costituzione, esclusivamente per il voto degli italiani all’estero per il referendum costituzionale: da un minimo di 8.000 ad un massimo di 9.000 elettori ammessi al voto per corrispondenza, rispetto alla forbice 2.000-3.000 previsto dalla normativa vigente (L. 459/2001, art. 13, comma 1). Di conseguenza il numero di seggi risulta diminuito: la relazione tecnica prevede una riduzione da 1.516 un numero compreso tra 500 e 550 seggi. 

 

Si ricorda che originariamente la legge prevedeva la costituzione di un seggio ogni 5.000 elettori. Il numero di elettori è stato poi diminuito ad opera del D.L. 24/2008 (art. 1).

 

Infine, viene aumentato del 50% l’onorario in favore dei componenti dei seggi elettorali presso l’ufficio centrale per la circoscrizione Estero che svolgeranno le operazioni di scrutinio dei voti per il referendum costituzionale degli italiani all’Estero (lett. d).

In conseguenza della riduzione del numero dei seggi si avrà una riduzione anche del numero complessivo di componenti dei seggi valutata nella relazione tecnica da 9.096 a 3.000/3.300 unità, con risparmi di spesa rispetto alla legislazione vigente stimati in circa 449.150 euro.

 

L’importo degli onorari dei componenti gli uffici elettorali di sezione è fissato dalla legge 13 marzo 1980, n. 7.

Per il referendum costituzionale sulla riduzione dei parlamentari il Ministero dell’interno aveva provveduto a indicare i relativi compensi dei componenti i seggi quando era stata fissata la data di convocazione dei comizi elettorali per il 29 marzo 2020, data poi rinviata (si veda la Circolare F.L. 6 febbraio 2020, n. 3).

Nella tabella che segue sono indicati l’importo degli onorari dei componenti gli uffici elettorali di sezione della circoscrizione Estero in occasione delle consultazioni referendarie previsti dalla legge vigente e l’importo rideterminato ai sensi della disposizione in esame.

 

 

L. 7/1980

D.L. 76/2020

Presidenti

€ 130

€ 195

Scrutatori e Segretari

€ 104

€ 156

 

Nella tabella che segue la quantificazione degli oneri secondo la relazione tecnica.

 

 

Due leggi di revisione costituzionale (17 gennaio 2000, n. 1, e 23 gennaio 2001, n. 1) hanno attribuito ai cittadini italiani residenti all'estero il diritto di eleggere, nell'ambito di una circoscrizione Estero, sei senatori e dodici deputati.

La legge 27 dicembre 2001, n. 459, ha attuato la previsione costituzionale disciplinando l'esercizio del voto (per corrispondenza) e l'attribuzione (con sistema proporzionale) dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero.

La legge ha stabilito inoltre che, con le medesime modalità previste per le elezioni politiche, i cittadini italiani all'estero possano esprimere il proprio voto anche nei referendum abrogativi e in quelli costituzionali previsti, rispettivamente, dagli articoli 75 e 138 della Costituzione.

Il quadro normativo è completato dal regolamento di attuazione adottato con il decreto del Presidente della Repubblica 2 aprile 2003, n. 104.

 

Votano per le elezioni politiche e per i referendum i cittadini italiani iscritti nelle liste elettorali dei cittadini italiani residenti all’estero. A tal fine, il regolamento di attuazione (D.P.R. 104/2003, art. 5, comma 8) prevede che, dopo la realizzazione dell’elenco aggiornato con le modalità ivi previste, entro il 60° giorno antecedente la data delle votazioni, il Ministero dell’interno trasmette, in via informatica, al Ministero degli affari esteri (MAE) l’elenco provvisorio dei cittadini residenti all’estero aventi diritto di voto.

Una volta ricevuto l’elenco provvisorio, il Ministero degli affari esteri lo distribuisce, per via telematica, agli uffici consolari i quali provvedono ad una serie di adempimenti preliminari (quali la cancellazione degli elettori nel frattempo deceduti e degli irreperibili) per poi procedere all’invio agli elettori residenti all’estero e aventi diritto al voto del plico contenente il certificato e la scheda elettorale.

L’invio del plico deve avere luogo – in base a quanto prescritto dalla legge n. 459/2001 (art. 12, comma 3) - non oltre il 18° giorno antecedente la data delle elezioni.

Pertanto il termine di 60 giorni previsto dal regolamento di attuazione della legge n. 459/2001 per la trasmissione al MAE e, quindi, agli uffici consolari, dell’elenco provvisorio dei cittadini residenti all’estero è volto a fare in modo che tali uffici abbiano 42 giorni di tempo per espletare i suddetti adempimenti preliminari.

Ricevuto il plico, ciascun elettore esprime il proprio voto sulla scheda elettorale e la spedisce, utilizzando le apposite buste, all’ufficio consolare competenze non oltre il 10° giorno precedente la data stabilita per le votazioni in Italia (art. 12, comma 6).

Le buste pervenute non oltre le ore 16, ora locale, del giovedì precedente la data delle votazioni sono poi spedite dagli uffici consolari all’Ufficio centrale per la circoscrizione estero, costituito presso la Corte di appello d Roma, unitamente agli elenchi degli elettori ammessi al voto per corrispondenza (art. 12, comma 7, primo periodo). Le buste sono inviate con una spedizione unica, per via aerea e con valigia diplomatica (art. 12, comma 7, secondo periodo)

La legge consente altresì agli elettori residenti all’estero di esercitare l’opzione per il voto in Italia (L.459/2001, art.1, comma 3).

L’opzione per il voto in Italia deve essere comunicata per iscritto alla rappresentanza diplomatica o consolare nella circoscrizione consolare di residenza entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello previsto per la scadenza naturale della legislatura e, in caso di scioglimento anticipato delle Camere o di indizione di referendum popolare, entro il decimo giorno dall’indizione delle elezioni (L. 459/2001, art. 4, commi 1 e 2).

Nel caso abbiano esercitato l’opzione i cittadini votano nel comune presso il quale sono iscritti come cittadini italiani all’estero (i residenti all’estero sono infatti iscritti in uno speciale elenco dell’anagrafe del comune presso il quale essi hanno avuto l’ultima residenza in Italia; nel caso in cui tali cittadini non siano mai stati residenti in Italia, il comune che li registra come residenti all’estero è il comune di Roma Capitale).

La legge prescrive che il MAE debba comunicare, senza ritardo, al Ministero dell'interno i nominativi degli elettori che hanno esercitato il diritto di opzione per il voto in Italia; almeno 30 giorni prima della data stabilita per le votazioni in Italia il Ministero dell'interno comunica i nominativi degli elettori che hanno esercitato l'opzione per il voto in Italia ai comuni di ultima residenza in Italia.

La legge 52/2015 ha introdotto la possibilità anche per gli elettori che si trovano temporaneamente all’estero per lavoro, studio o cure mediche di esercitare il diritto di voto per corrispondenza per la circoscrizione Estero, previa opzione in tal senso. Possono votare nel Paese estero in cui si trovano temporaneamente, sempre che il loro soggiorno sia dovuto ai medesimi motivi, anche gli elettori iscritti all’AIRE, e residenti in un altro Paese estero (L. 459/2001, art. 4-bis, introdotto dall’art. 2, comma 37, della L. 52/2015). Per esercitare il diritto di voto, l’interessato deve trovarsi temporaneamente all’estero per un periodo di almeno tre mesi nel quale ricade la data di svolgimento delle elezioni e deve presentare una apposita richiesta, in cui indica i motivi per cui si trova temporaneamente all’estero; la richiesta è valida per un’unica consultazione elettorale e deve pervenire al comune di iscrizione elettorale entro il 32° giorno prima della data delle elezioni. Anche i familiari conviventi con i cittadini temporaneamente all’estero possono votare per corrispondenza con le medesime modalità (L. 459/2001, art. 4-bis, commi 1 e 2).

Una volta ricevute le richieste di opzione, i comuni sono tenuti a trasmettere immediatamente al Ministero dell’intero l’elenco degli elettori temporaneamente all’estero che hanno scelto di votare nel Paese in cui si trovano, previa annotazione nelle liste sezionali elettorali. Il Ministero dell’interno entro il 28° giorno antecedente la data delle elezioni, comunica l’elenco degli optanti al Ministero degli affari esteri, che a sua volta trasmette i loro nominativi agli uffici consolari competenti. Gli uffici consolari inseriscono tali nominativi in elenchi speciali (L. 459/2001, art. 4-bis, comma 3).

Coloro che hanno optato per il voto all’estero votano per corrispondenza nella circoscrizione Estero e ricevono il plico elettorale (contenente il certificato elettorale, la scheda elettorale e la relativa busta nonché una busta affrancata, unitamente alle indicazioni delle modalità di voto e delle liste dei candidati della ripartizione di appartenenza) all’indirizzo postale che hanno indicato al momento dell’esercizio dell’opzione. Le schede sono scrutinate congiuntamente a quelle dei cittadini italiani residenti all’estero iscritti nelle relative liste elettorali.

 

Nella Gazzetta Ufficiale del 12 ottobre 2019 è stato pubblicato il testo della legge costituzionale, che prevede la riduzione del numero dei parlamentari: da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori elettivi. Sono a tal fine modificati gli articoli 56, secondo comma, e 57, secondo comma, della Costituzione.

Il testo è stato approvato dal Senato, in seconda votazione, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, nella seduta dell'11 luglio 2019, e dalla Camera dei deputati, in seconda votazione, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, nella seduta dell'8 ottobre 2019. Essendosi verificate le condizioni previste dall’art. 138 Cost., il testo di legge sarà sottoposto a referendum popolare confermativo.

In un primo tempo lo svolgimento del referendum era stato fissato per il 29 marzo 2020 (D.P.R. 28 gennaio 2020 pubblicato nella G.U. 29 gennaio 2020, n. 23). Successivamente, in considerazione di quanto disposto con il DPCM 4 marzo 2020, recante misure per il contrasto, il contenimento, l’informazione e la prevenzione sull’intero territorio nazionale del diffondersi del virus COVID-19, il decreto di indizione è stato revocato (D.P.R. 5 marzo 2020, pubblicato nella G.U. 6 marzo 2020, n. 57).

Il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 ha prorogato il termine di indizione del referendum costituzionale prevedendo che la consultazione referendaria possa essere indetta entro 240 giorni (anziché 60 come prevede la legge) dalla comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum che lo ha ammesso (comunicazione avvenuta il 23 gennaio 2020). Dal momento che il referendum si deve svolgere in una domenica compresa tra il 50° e il 70° giorno successivo all’emanazione del decreto di indizione, il termine ultimo per tenere la consultazione referendaria è quindi domenica 22 novembre 2020. A sua volta, il decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26 che ha disposto il rinvio delle consultazioni elettorali previste per il 2020, ha previsto, a seguito di una modifica adottata nel corso dell'esame della Camera, l'applicazione del principio dell'election day anche ai fini dello svolgimento del referendum sul testo di legge costituzionale che dispone la riduzione del numero dei parlamentari.

Con il D.P.R. 17 luglio 2020 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18 luglio 2020, n. 180) sono stati convocati i comizi elettorali per il 20 e 21 settembre 2020.

 

Il testo di legge costituzionale dispone per ciascuno dei due rami del Parlamento, una riduzione pari – in termini percentuali – al 36,5 per cento degli attuali componenti elettivi.

Nel dettaglio, l’articolo 1 modifica l’articolo 56 della Costituzione, che stabilisce in 630 il numero attuale dei deputati, 12 dei quali eletti nella circoscrizione Estero (secondo comma).

A seguito delle modificazioni proposte, il numero complessivo dei deputati scende a 400 ed il numero degli eletti nella circoscrizione Estero diviene pari a 8 deputati.

Per il Senato, l’articolo 2 novella l’articolo 57 della Costituzione, determinando in 200 (anziché 315) il numero dei senatori elettivi. Entro tale numero, i senatori da eleggere nella circoscrizione Estero scendono a 4. La riduzione di formato numerico complessivo importa la riduzione del numero minimo di senatori eletti per Regione. La proposta di legge individua tale numero minimo – alla luce della riduzione a 200 del numero di senatori eletti - in tre senatori per Regione o Provincia autonoma, lasciando al contempo immodificata la previsione vigente dell’articolo 57, terzo comma della Costituzione relativa alle rappresentanze del Molise (2 senatori) e della Valle d’Aosta (1 senatore).

L’articolo 3 della proposta di legge incide sull’articolo 59, secondo comma, della Costituzione, prevedendo espressamente che il numero di cinque senatori a vita nominati per alti meriti dal Presidente della Repubblica, sia numero massimo riferito alla permanenza in carica di tal novero di senatori.


Articolo 17
(Stabilità finanziaria degli enti locali)

 

 

L’articolo 17 dispone il rinvio di termini e la temporanea disapplicazione di disposizioni nell’ambito della procedura di riequilibrio finanziario pluriennale degli enti locali.

 

Il comma 1, in ragione della emergenza Covid-19, rinvia il termine per la deliberazione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale degli enti locali, prevista dall’articolo 243-bis, comma 5, del decreto legislativo n.267/2000 (Testo unico degli enti locali – TUEL).

Tale termine, rinviato da ultimo al 30 giugno 2020 dall’articolo 107 del decreto-legge n. 18 del 2020[15], viene ulteriormente rinviato al 30 settembre 2020. I comuni, nei confronti dei quali i termini sono scaduti alla data del 30 giugno, sono rimessi nei termini.

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 243-bis del TUEL, i comuni e le province per i quali sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario, possono ricorrere, con deliberazione consiliare, alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale. Tale deliberazione è trasmessa, entro 5 giorni dalla data di esecutività, alla competente sezione regionale della Corte dei conti e al Ministero dell'interno.

In particolare, il comma 5 dispone che il consiglio dell'ente locale, entro il termine perentorio di novanta giorni dalla data di esecutività della delibera di ricorso alla procedura di risanamento finanziario, delibera un piano di riequilibrio finanziario pluriennale di durata compresa tra quattro e venti anni, compreso quello in corso, corredato del parere dell'organo di revisione economico-finanziario.

L’articolo 107, comma 7, del decreto-legge n. 18 del 2020 ha rinviato al 30 giugno 2020 una serie di termini riguardanti la procedura di dissesto finanziario e la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale degli enti locali, tra i quali quello previsto per la deliberazione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale, previsto dall'articolo 243-bis, comma 5, del TUEL.

 

Il comma 2 sospende fino al 30 giugno 2021 l’applicazione della procedura che conduce alla deliberazione di dissesto, in caso di mancata presentazione del piano di riequilibrio entro il termine previsto dall’articolo 243-bis, comma 5. Tale sospensione si applica nel caso in cui l’ente locale abbia presentato, in data successiva al 31 dicembre 2017 e fino al 31 gennaio 2020, un piano di riequilibrio riformulato o rimodulato, ancorché in corso di approvazione a norma delle leggi vigenti in materia.

 

L’articolo 243-quater, comma 7, del TUEL prevede che la mancata presentazione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale entro il termine di cui all'articolo 243-bis, comma 5, il diniego dell'approvazione del piano, l'accertamento da parte della competente Sezione regionale della Corte dei conti di grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi intermedi fissati dal piano, ovvero il mancato raggiungimento del riequilibrio finanziario dell'ente al termine del periodo di durata del piano stesso, comportano l'applicazione dell'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 149 del 2011, ovvero l'assegnazione al consiglio dell'ente, da parte del Prefetto, del termine non superiore a venti giorni per la deliberazione del dissesto. Decorso infruttuosamente il suddetto termine, il Prefetto nomina un commissario per la deliberazione dello stato di dissesto e dà corso alla procedura per lo scioglimento del consiglio dell'ente.

 

Il comma 3 inserisce alla fine dell’articolo 243-quater del TUEL il comma 7-quater nel quale si prevede che il richiamato comma 7 trova applicazione, limitatamente all’accertamento da parte della competente sezione regionale della Corte dei Conti del grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi intermedi fissati dal piano, a decorrere dal 2019 o dal 2020, avendo quale riferimento il piano eventualmente riformulato o rimodulato, deliberato dall’ente locale in data successiva al 31 dicembre 2017 e fino al 31 gennaio 2020. Gli eventuali procedimenti in corso, unitamente all’efficacia degli eventuali provvedimenti già adottati, sono sospesi fino all’approvazione o al diniego della rimodulazione o riformulazione deliberata dall’ente locale.

 

Il comma 4 sopprime due norme della legge di bilancio per il 2018 nelle quali sono definite le condotte degli enti locali che costituiscono reiterazione del mancato rispetto degli obiettivi, le quali comportano l’applicazione della procedura che può condurre alla deliberazione di dissesto.

In particolare, la lettera a) abroga il comma 850 dell’articolo 1 della legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio per il 2018), il quale prevede, per gli enti locali per i quali la Corte dei conti ha già accertato il grave mancato rispetto degli obiettivi intermedi fissati dal piano originario, che l’ulteriore mancato rispetto degli obiettivi fissati dal piano riformulato configura l’ipotesi della reiterazione e comporta pertanto l'applicazione dell'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 149 del 2011, con l'assegnazione al consiglio dell'ente, da parte del Prefetto, del termine non superiore a venti giorni per la deliberazione del dissesto[16].

 

La lettera b) sopprime l’ultimo periodo del comma 889 della legge n. 205 del 2017.

Si ricorda che i commi 888-889 apportano modifiche alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, disciplinata dai commi 243-bis e seguenti del TUEL, per gli enti locali per i quali sussistono squilibri strutturali del bilancio tali da provocare il dissesto finanziario, modificando il termine di durata del piano ed introducendo criteri per determinarne la durata massima.

In particolare, l’ultimo periodo del comma 889 (oggetto di soppressione da parte della disposizione in commento) dispone che per gli enti per i quali la Corte di conti abbia già accertato il grave mancato rispetto degli obiettivi intermedi del piano originario, un ulteriore mancato rispetto degli obiettivi del nuovo piano comporti per l’ente, ai sensi del descritto comma 7 dell’articolo 243- quater, l’avvio della procedura per deliberare lo stato di dissesto.

 

 

L’articolo 243-bis del TUEL - come modificato da ultimo dall’art. 1, commi 888-889, della legge n. 205/2017 - stabilisce che gli enti locali per i quali sussistano squilibri di bilancio in grado di provocarne il dissesto finanziario possono ricorrere, con deliberazione consiliare, alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale ed entro i successivi novanta giorni (decorrenti dalla data di esecutività della delibera) approvare un piano di riequilibrio finanziario pluriennale di durata compresa tra quattro e venti anni, compreso quello in corso, corredato del parere dell'organo di revisione economico-finanziario.

La durata massima del piano di riequilibrio finanziario pluriennale è determinata sulla base del rapporto tra le passività da ripianare e l'ammontare degli impegni di spesa corrente (Titolo I) del rendiconto dell'anno precedente a quello di deliberazione del ricorso alla procedura di riequilibrio o dell'ultimo rendiconto approvato. Il piano di riequilibrio deve contenere tutte le misure necessarie a superare lo squilibrio.

Una volta deliberato, entro 10 giorni il piano deve essere trasmesso alla Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali (prevista dall’articolo 155 del TUEL), per l’istruttoria, ed alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti, ai fini dell’approvazione dello stesso entro 30 giorni, secondo le procedure stabilite dall’articolo 243-quater. In caso di approvazione del piano, la Corte dei Conti vigila sull'esecuzione dello stesso, adottando in sede di controllo, effettuato ai sensi dell'art. 243-bis, comma 6, lettera a), apposita pronuncia.

Ai fini del riequilibrio, l’ente interessato può avvalersi anche di una apposita anticipazione, prevista dall’articolo 243-ter. Questa è erogata dallo Stato a valere sul Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali, con predeterminati massimali (300 euro per abitante per i comuni e 20 euro per abitante per le province) e deve essere restituita entro 10 anni. In caso di accesso al Fondo, l’ente locale deve adottare alcune specifiche misure di riequilibrio statuite dall’articolo 243-bis, consistenti nella riduzione delle spese per il personale, di quelle per prestazioni di servizi e di trasferimenti, nonché nel blocco dell’indebitamento.

Sulla suesposta disciplina sono successivamente intervenute numerose integrazioni e modifiche normative, principalmente volte a consentire agli enti locali, che avevano già attivato la procedura di riequilibrio, la facoltà di riformulazione e/o rimodulazione dei piani di riequilibrio, per lo più legate all’esigenza di coordinamento tra i contenuti del piano di riequilibrio e gli eventuali effetti peggiorativi derivanti dall’adozione degli adempimenti previsti per il passaggio al sistema di contabilità armonizzata, di cui al D.Lgs. n. 118/2011, connessi principalmente al riaccertamento straordinario dei residui.

 

 

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 18 del 14 febbraio 2019 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 714 dell’articolo 1 della legge n. 208/2015 (come sostituito dall’art. 1, comma 434, della legge n. 232/2016), che aveva dato facoltà agli enti locali che avevano presentato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale prima dell’approvazione del rendiconto per l’esercizio 2014 e che non avevano ancora provveduto ad effettuare il riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi (richiesto dall’art. 3, comma 7, del D.Lgs. n. 118/2011 di armonizzazione contabile), di rimodulare il rispettivo piano, scorporando dal piano la quota di disavanzo risultante dalla revisione straordinaria dei residui richiesta dalla procedura di riequilibrio finanziario, limitatamente ai residui antecedenti al 1º gennaio 2015 (ex art. 243-bis, comma 8, lett. e) del TUEL), e ripianando tale quota in un arco temporale di trenta anni (periodo ben più ampio di quello previsto dalla normativa allora vigente, che limitava la durata del piano di rientro ad un periodo massimo di 10 anni; attualmente, la durata del piano di riequilibrio finanziario è compresa tra quattro e venti anni).

A seguito della sentenza n. 18 del 2019, il legislatore è intervenuto con il decreto-legge n. 34 del 2019. In particolare, l’articolo 38, comma 2-bis, consente agli enti locali che hanno proposto la rimodulazione/riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi del comma 714 (dichiarato incostituzionale), di riproporre il piano, al fine di adeguarlo alla normativa vigente. I piani riproposti devono contenere il ricalcolo complessivo del disavanzo da ripianare, già oggetto del piano modificato, nel rispetto della disciplina vigente (comma 2-ter). Le rimodulazioni dei piani di riequilibrio di cui ai commi precedenti, in ragione della situazione di eccezionale urgenza, sono oggetto di approvazione o di diniego della competente Sezione della Corte dei conti entro 20 giorni dalla ricezione dell’atto deliberativo del Consiglio comunale (comma 2-quater).

L’articolo 38 del decreto-legge n. 162 del 2019 ha introdotto alcune disposizioni finalizzate ad assicurare una maggior disponibilità di risorse di cassa per l’anno 2020 agli enti locali in situazione di predissesto i quali, a seguito dell’applicazione dei più restrittivi criteri derivanti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2019, hanno dovuto procedere alla riproposizione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale, con conseguente incremento della quota annuale di ripiano. La norma consente, a tal fine, ai suddetti enti locali, di richiedere al Ministero dell’interno, entro il 31 gennaio 2020, un incremento dell’anticipazione già ricevuta a valere sul Fondo di rotazione, appositamente previsto dal TUEL a sostegno dei piani di riequilibrio, da restituire in quote annuali di pari importo per un periodo di dieci anni.

 

Articolo 18
(Soppressione della disposizione che limitava il potere di ordinanza sindacale durante l'emergenza sanitaria)

 

L'articolo 18 restituisce ai sindaci la pienezza dei poteri di ordinanza dei sindaci previsti dall'ordinamento vigente prima dell'introduzione dei limiti dettati in relazione all'emergenza da Covid-19.

Nello specifico, esso sopprime l'art.3, comma 2, del decreto-legge n.19 del 2020, con cui erano dettati tali limiti.

La disposizione soppressa prevedeva che i sindaci non potessero adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l'emergenza: i) in contrasto con le misure statali e regionali; ii) che eccedessero i limiti di oggetto che valgono per i provvedimenti regionali (cui al comma 1 del medesimo articolo 3 del DL n.19).

I provvedimenti regionali, ai sensi del comma 1 dell'art.3 del DL n.19, incontrano i seguenti limiti: possono essere adottati solo nelle more dell'adozione dei DPCM; hanno un'efficacia che si esaurisce con l'adozione di questi ultimi; devono far fronte a specifiche situazioni sopravvenute che prefigurino un aggravamento del rischio sanitario nel proprio territorio; sono tenuti ad introdurre misure più restrittive di quelle già in essere; devono riguardare ambiti di propria competenza, senza poter incidere sulle attività produttive e su quelle di rilevanza strategica per l'economia. Un'interpretazione sistematica dell'articolo 3 era parsa consentire di ritenere estensibili alle ordinanze sindacali tutti gli indicati limiti previsti per i provvedimenti regionali, sebbene il richiamo letterale, recato al comma 2, ai soli "limiti di oggetto" avrebbe potuto far sorgere il dubbio in ordine all'applicabilità dei limiti ulteriori (quali l'esigenza che le ordinanze sindacali fossero emesse solo nelle more dell'adozione dei DPCM e che dovessero perdere efficacia al momento dell'adozione di questi ultimi).

In combinato disposto con il comma 3 del citato articolo del DL n.19, le ordinanze sindacali incontravano i medesimi limiti anche nel caso in cui fossero poste in essere per ragioni di sanità, in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente.

 

Come si legge nella relazione illustrativa al presente decreto-legge, la finalità dell'articolo in commento è quello di "ripristinare pienamente i poteri extra ordinem attribuiti ai sindaci dall’articolo 50[17] del Testo unico degli enti locali (TUEL), in modo che gli stessi possano adottare tutte le misure contingibili e urgenti eventualmente necessarie per evitare nuove situazioni di rischio per la salute e l’incolumità delle proprie comunità", "[e]ssendo ora venuta meno la ratio sottesa alla norma" di cui si dispone l'abrogazione.

 

L'abrogazione del comma 2 dell'art.3 del DL n.19 fa venire dunque meno i richiamati limiti a cui era sottoposto il potere di ordinanza sindacale nelle fasi cruciali di contrasto alla diffusione dell'epidemia in corso, che invece continuano ad applicarsi (ai sensi dei commi 1 e 3 dell'art.3 del DL n.19)) ai provvedimenti regionali[18].

Si determina pertanto un'asimmetria fra potere di ordinanza dei sindaci   e il potere delle regioni di adottare atti, incluse le ordinanze, la cui coerenza complessiva parrebbe suscettibile di approfondimento.

Ciò con particolare riferimento alla gestione delle emergenze nelle materie igiene e sanità pubblica e polizia veterinaria,  di cui all'art. 32 della legge n.833 del 1978 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), che attribuisce ai sindaci e ai presidenti di regione poteri di ordinanza  a seconda dell'estensione territoriale delle emergenze stesse[19].

 

 

 

In relazione all'emergenza sanitaria, i poteri di ordinanza dei sindaci (così come del resto delle regioni, specie nella prima fase) erano stati circoscritti rispetto a quanto prevede l'ordinamento in via generale, anche al fine di rafforzare il coordinamento in capo al Presidente del Consiglio dei ministri volto a garantire l'adozione di misure tendenzialmente uniformi sul territorio, nel rispetto del principio di sussidiarietà.

Si ricorda che in funzione di contrasto alle emergenze, incluse quelle di carattere sanitario, il sindaco gode di ampi poteri di ordinanza (che con il presente articolo riacquistano la loro pienezza anche con riferimento all'emergenza sanitaria in corso), sulla base delle seguenti disposizioni:

-          art. 32, comma terzo, della legge n. 833/1978: il sindaco emette ordinanze di carattere contingibile e urgente, con efficacia estesa al territorio comunale[20] in materia di igiene e sanità pubblica;

-          art. 117, comma 1, del decreto legislativo n. 112/1998: "In caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale[21] le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale [...];

-          art. 50, comma 5, del Tuel: "[..] in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale";

-          l'art. 54, comma 4, del TUEL attribuisce ai sindaci (quali ufficiali del Governo), la facoltà di adottare con atto motivato e previa comunicazione al prefetto "provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana".

Le ordinanze, si ricorda, sono provvedimenti che consentono di derogare al diritto vigente, a condizione che presentino determinate caratteristiche: abbiano un'efficacia limitata nel tempo, prevedano un'adeguata motivazione (in cui siano esplicitati la necessità dell'intervento, l'attualità e l'imminenza del pericolo che si intende fronteggiare, la mancanza di strumenti di intervento alternativi),  rechino un contenuto conforme alla Costituzione e ai principi dell'ordinamento e rispettoso dei vincoli dell'ordinamento dell'Unione europeo, dispongano misure rispettose del principio di ragionevolezza e  proporzionalità  rispetto allo scopo perseguito. Si tratta di provvedimenti che, in quanto diretti a far fronte ad una situazione emergenziale e non previamente tipizzabile, presentano necessariamente un contenuto atipico e derogatorio della normativa vigente.

Sia la capacità derogatoria alla normativa statale e regionale sia il carattere di atipicità dei richiamati provvedimenti erano venuti meno con la disposizione recata all'art.3, comma 2, del DL n.19/2020 soppresso dall'articolo in esame.

Per completezza di informazione, una disposizione per molti aspetti analoga era stata già introdotta nell'ordinamento, nelle primissime fasi dell'emergenza, con l'art. 35 del DL n. 9/2020 (peraltro abrogato proprio dal DL n.19, all'art. 5, comma 1, lett. b)). Esso stabiliva che a seguito dell'adozione delle misure statali di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, non potessero essere adottate e, ove adottate fossero inefficaci, le ordinanze sindacali contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l'emergenza predetta in contrasto con le misure statali.

 

 


Articolo 19, comma 1, lettera a)
(Organizzazione del sistema universitario)

 

 

L'articolo 19, comma 1, lettera a), elimina le condizioni, previste dalla legislazione vigente, cui è subordinata la possibilità, per le università, di derogare alle norme generali relative all'organizzazione interna, sperimentando modelli organizzativi e funzionali diversi. Di conseguenza, tale possibilità è consentita a tutti gli atenei e non solo a quelli che raggiungono determinati requisiti di bilancio e di risultati nella didattica e nella ricerca. I criteri e le modalità di ammissione alla sperimentazione e la verifica dei risultati sono stabiliti con decreto, fermo restando il rispetto del limite massimo delle spese di personale. A tal fine, si novella l'art. 1 della L. 240/2010.

 

Preliminarmente si ricorda che la L. 240/2010 ha riformato il sistema universitario su vari fronti (solo per citarne alcuni: organizzazione, reclutamento, stato giuridico, trattamento economico, diritto allo studio, valutazione). In base all'art. 1, co. 1, della L. 240/2010, le università sono "sede primaria di libera ricerca e di libera formazione nell'ambito dei rispettivi ordinamenti e sono luogo di apprendimento ed elaborazione critica delle conoscenze; operano, combinando in modo organico ricerca e didattica, per il progresso culturale, civile ed economico della Repubblica". In attuazione delle disposizioni di cui all'art. 33 e al titolo V della parte II della Costituzione, ciascuna università opera ispirandosi a principi di autonomia e di responsabilità. La L. 240/2010 ha previsto peraltro numerose deleghe (art. 5, co. 1, L. 240/2010) in materia di:

a) valorizzazione della qualità e dell'efficienza delle università e conseguente introduzione di meccanismi premiali nella distribuzione delle risorse pubbliche sulla base di criteri definiti ex ante, anche mediante previsione di un sistema di accreditamento periodico delle università; valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti; valorizzazione della figura dei ricercatori; realizzazione di opportunità uniformi, su tutto il territorio nazionale, di accesso e scelta dei percorsi formativi. In attuazione della delega prevista dalla presente lettera si vedano il d.lgs. 19/2012 e il d.lgs. 68/2012;

b) revisione della disciplina concernente la contabilità; previsione di meccanismi di commissariamento in caso di dissesto finanziario degli atenei. In attuazione di tale delega si vedano il d.lgs. 199/2011, il d.lgs. 18/2012 e il d.lgs. 49/2012.

c) introduzione, sentita l'Agenzia di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), di un sistema di valutazione ex post delle politiche di reclutamento degli atenei. In attuazione della delega si veda il d.lgs. 49/2012;

d) revisione della normativa di principio in materia di diritto allo studio e contestuale definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) erogate dalle università statali. In attuazione della delega si veda il d.lgs. 68/2012.

 

In dettaglio, il comma 1, lett. a), novella l'art. 1, co. 2, della L. 240/2010 recante i principi ispiratori della riforma. La norma vigente dispone che, sulla base di accordi di programma con il Ministero dell'università e della ricerca, le università possono sperimentare propri modelli funzionali e organizzativi, ivi comprese modalità di composizione e costituzione degli organi di governo e forme sostenibili di organizzazione della didattica e della ricerca su base policentrica, diverse da quelle indicate nell'art. 2 della L. 240/2010, a condizione che:

§  abbiano conseguito la stabilità e sostenibilità del bilancio;

§  abbiano conseguito risultati di elevato livello nel campo della didattica e della ricerca.

§  Il Ministero, con decreto di natura non regolamentare, definisce i criteri per l'ammissione alla sperimentazione e le modalità di verifica periodica dei risultati conseguiti. Tale decreto non risulta emanato.

La relazione illustrativa presentata in prima lettura afferma che "l’esigenza di subordinare l’accesso a tale modello alla sussistenza di determinate condizioni, volte ad  assicurare la virtuosità della gestione organizzativa delle università, è già soddisfatta dalla previsione che demanda al Ministero la definizione delle condizioni di ammissibilità, mentre la locuzione presente nelle disposizioni vigenti rimanda ad una espressione, dal contenuto non univocamente riconducibile ad una fattispecie tipica, che ha determinato, finora, la mancata applicazione delle disposizioni in esame".

 

In virtù della novella apportata dalla disposizione in commento, si sopprimono le due condizioni previste (stabilità di bilancio e risultati in didattica e ricerca), consentendo a tutte le università - previo accordo di programma con il Ministero - di poter sperimentale modelli organizzativi diversi rispetto a quelli dettati dalla L.240/2010. Tale deroga include anche la composizione e la costituzione degli organi di governo e forme di organizzazione della didattica e della ricerca su base policentrica.

Si ricorda che in base all'art. 2 della L. 240/2010, gli organi di governo delle università sono:

1) rettore;

2) senato accademico;

3) consiglio di amministrazione;

4) collegio dei revisori dei conti;

5) nucleo di valutazione;

6) direttore generale.

Per maggiori informazioni si veda qui.

 

            La disposizione in esame demanda la definizione dei criteri per l'ammissione alla sperimentazione e delle modalità di verifica periodica dei risultati - tra cui parrebbe inclusa l'individuazione delle tipologie e degli ambiti relativi ai modelli organizzativi e funzionali ammessi alla sperimentazione - ad un decreto del Ministero (rectius: del Ministro) dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze (a legislazione vigente, come si è detto, si prevede un decreto di natura non regolamentare del solo Ministro dell'università e della ricerca).

Resta fermo il rispetto del limite massimo delle spese di personale, previsto dall'art.5, co. 6, del d.lgs. 49/2012.

L'art. 5 del d.lgs. 49/2012, al co. 1, dispone che l'indicatore per l'applicazione del limite massimo alle spese di personale delle università è calcolato rapportando le spese complessive di personale di competenza dell'anno di riferimento alla somma algebrica dei contributi statali per il funzionamento assegnati nello stesso anno e delle tasse, soprattasse e contributi universitari. Secondo il co. 6, tale limite massimo dell'indicatore è pari all'80 per cento.

Le definizioni necessarie per il calcolo dell'indicatore sono le seguenti:

§  per spese complessive di personale si intende la somma algebrica delle spese di competenza dell'anno di riferimento, comprensive degli oneri a carico dell'amministrazione, al netto delle entrate derivanti da finanziamenti esterni da parte di soggetti pubblici e privati, relative a:

a) assegni fissi per il personale docente e ricercatore a tempo indeterminato e determinato;

b) assegni fissi per il personale dirigente, tecnico-amministrativo e per i collaboratori ed esperti linguistici a tempo indeterminato e a tempo determinato;

c) trattamento economico del direttore generale;

d) fondi destinati alla contrattazione integrativa;

e) contratti per attività di insegnamento;

§  per contributi statali per il funzionamento si intende la somma algebrica delle assegnazioni di competenza nell'anno di riferimento del Fondo di finanziamento ordinario (FFO), del Fondo per la programmazione del sistema universitario, per la quota non vincolata nella destinazione, e di eventuali ulteriori assegnazioni statali con carattere di stabilità;

§  per tasse, soprattasse e contributi universitari si intende il valore delle riscossioni totali, nell'anno di riferimento, per qualsiasi forma di tassa, soprattassa e contributo universitario a carico degli iscritti ai corsi dell'ateneo di qualsiasi livello, ad eccezione delle tasse riscosse per conto di terzi. Tale valore è calcolato al netto dei rimborsi effettuati agli studenti nello stesso periodo.


Articolo 19, comma 1, lettera b)
(Rendicontazione delle attività di ricerca dei professori e dei ricercatori)

 

 

L'articolo 19, comma 1, lettera b), precisa la cadenza temporale della quantificazione figurativa delle attività di ricerca, studio e insegnamento di professori e ricercatori al fine della rendicontazione delle attività di ricerca, stabilendo che essa avviene su base mensile. A tal fine, novella l'art. 6, co. 1, della L. 240/2010.

 

Preliminarmente, si rammenta che, secondo l'art. 6 della L. 240/2010, il regime di impegno dei professori e dei ricercatori è a tempo pieno o a tempo definito.

Ai fini della rendicontazione dei progetti di ricerca, la quantificazione figurativa delle attività annue di ricerca, di studio e di insegnamento, con i connessi compiti preparatori, di verifica e organizzativi, è pari a 1.500 ore annue per i professori e i ricercatori a tempo pieno e a 750 ore per i professori e i ricercatori a tempo definito.

Tale disposizione ha definito per tutte le università il tempo produttivo annuo ai fini del calcolo del costo del personale per la rendicontazione delle attività di ricerca. Detto parametro è particolarmente necessario per la partecipazione ai progetti di ricerca europei ed internazionali.

Con riferimento al programma quadro europeo Horizon 2020 (H2020), adottato con il regolamento (UE) n. 1291 dell'11 dicembre 2013 per il settennio 2014-2020, sono state dettate linee guida con l'Annotated Model Grant Agreement - AGA (costantemente aggiornato) nel General Model Grant Agreement per H2020 in materia di costo del personale. L'art. 6.2, lettera A, del General Model Grant Agreement (GMGA) stabilisce le modalità con cui i beneficiari possono individuare il tempo produttivo annuo[22] ai fini della rendicontazione delle spese per il personale di cui al successivo art. 18 del GMGA. Quest'ultimo detta, fra l'altro, le modalità di registrazione delle ore lavorate, che deve essere "identificabile e registrabile", secondo i cosiddetti timesheet (per coloro i quali non svolgono esclusivamente attività connesse al progetto di ricerca), che possono essere compilati e firmati mensilmente.

A fronte di tali previsioni, molte università adottano il timesheet "integrato", che riporta, oltre alle ore lavorate sui singoli progetti di ricerca, anche le ore relative all’esecuzione di tutte le altre attività eseguite dal personale (ad esempio attività istituzionali, di didattica e altre attività di ricerca), che insieme concorrono alla definizione del monte ore complessivo annuo di ciascuna risorsa di personale.

Tali timesheet integrati sono, attualmente, predisposti mensilmente e su base giornaliera.

           

In virtù della novella in commento, si inserisce la previsione per cui la suddetta quantificazione figurativa, qualora non diversamente richiesto dai soggetti finanziatori, avviene su base mensile.

 

La relazione illustrativa afferma che l'intervento in esame "semplifica le modalità di rendicontazione delle attività dei progetti di ricerca, svolte dai professori e ricercatori universitari. Attualmente, infatti, in assenza di una specifica disposizione chiarificatrice sul punto, la rendicontazione è svolta, prudenzialmente, su base giornaliera, quand’anche ciò non sia previsto nei bandi emessi per i singoli progetti. Si segnala, al riguardo, che l’onere amministrativo connesso alle attività di rendicontazione nelle modalità appena indicate è assolutamente rilevante, impegnando notevoli risorse degli uffici amministrativi delle università. Tale onere, peraltro, non appare proporzionato rispetto all’obiettivo, indicato dalle vigenti disposizioni di derivazione unionale, che si ritiene di poter raggiungere attraverso la disposizione in commento: al riguardo si rammenta infatti che le disposizionali nazionali ed unionali stabiliscono la inderogabilità della certificazione delle attività svolte dai professori universitari per le attività di ricerca secondo un monte ore su base annuale, che ben può essere quantificato con rendicontazioni mensili".

 

In argomento, si rammenta inoltre che, in base all'art. 18, co. 5 e 6, della L. 240/2010, la partecipazione ai gruppi e ai progetti di ricerca delle università, qualunque ne sia l'ente finanziatore, e lo svolgimento delle attività di ricerca presso le università sono riservati esclusivamente:

a) ai professori e ai ricercatori universitari, anche a tempo determinato;

b) ai titolari degli assegni di ricerca;

c) agli studenti dei corsi di dottorato di ricerca, nonché a studenti di corsi di laurea magistrale nell'ambito di specifiche attività formative;

d) ai professori a contratto;

e) al personale tecnico-amministrativo in servizio presso le università e a soggetti esterni purché in possesso di specifiche competenze nel campo della ricerca;

f) ai dipendenti di altre amministrazioni pubbliche, di enti pubblici o privati, di imprese, ovvero a titolari di borse di studio o di ricerca banditi sulla base di specifiche convenzioni e senza oneri finanziari per l'università ad eccezione dei costi diretti relativi allo svolgimento dell'attività di ricerca e degli eventuali costi assicurativi.

Alla partecipazione ai progetti di ricerca finanziati dall'Unione europea o da altre istituzioni straniere, internazionali o sovranazionali, e allo svolgimento delle relative attività si applicano le norme previste dai relativi bandi.

 

Quanto alle ulteriori previsioni in materia di stato giuridico, si rammenta che, secondo l'art. 6 della L. 240/2010, i professori, sulla base di criteri e modalità stabiliti con regolamento di ateneo, sono tenuti a riservare annualmente a compiti didattici e di servizio agli studenti, inclusi l'orientamento e il tutorato, nonché ad attività di verifica dell'apprendimento, non meno di 350 ore in regime di tempo pieno e non meno di 250 ore in regime di tempo definito.

I ricercatori di ruolo, sulla base di criteri e modalità stabiliti con regolamento di ateneo, sono tenuti a riservare annualmente a compiti di didattica integrativa e di servizio agli studenti, inclusi l'orientamento e il tutorato, nonché ad attività di verifica dell'apprendimento, fino ad un massimo di 350 ore in regime di tempo pieno e fino ad un massimo di 200 ore in regime di tempo definito.

L'opzione per l'uno o l'altro regime di tempo pieno o tempo definito è esercitata su domanda dell'interessato all'atto della presa di servizio ovvero, nel caso di passaggio dall'uno all'altro regime, con domanda da presentare al rettore almeno sei mesi prima dell'inizio dell'anno accademico dal quale far decorrere l'opzione e comporta l'obbligo di mantenere il regime prescelto per almeno un anno accademico.

Le modalità per l'autocertificazione e la verifica dell'effettivo svolgimento dell'attività didattica e di servizio agli studenti dei professori e dei ricercatori sono definite con regolamento di ateneo. Fatta salva la competenza esclusiva delle università a valutare positivamente o negativamente le attività dei singoli docenti e ricercatori, l'ANVUR stabilisce criteri oggettivi di verifica dei risultati dell'attività di ricerca. Tali criteri sono stati adottati dall'ANVUR con delibera n. 132 del 2016. In caso di valutazione negativa, i professori e i ricercatori sono esclusi dalle commissioni di abilitazione, selezione e progressione di carriera del personale accademico, nonché dagli organi di valutazione dei progetti di ricerca.


Articolo 19, comma 1, lettera c)
(Mobilità interuniversitaria)

 

 

L’articolo 19, comma 1, lettera c), introduce una disciplina transitoria in materia di mobilità interuniversitaria dei professori e dei ricercatori, disponendo che, fino al 31 dicembre 2020, i trasferimenti tra professori e ricercatori consenzienti possono avvenire anche attraverso scambi contestuali tra soggetti con qualifica diversa.

Inoltre, puntualizza che i trasferimenti fra sedi universitarie sono computati nella quota di un quinto dei posti di ruolo disponibili destinata alla chiamata di soggetti in servizio presso altre università.

 

A tal fine, novella il comma 3 dell’articolo 7 della L. 240/2010, aggiungendo, alla fine, due ulteriori periodi.

 

La relazione illustrativa evidenzia, anzitutto, che la possibilità di trasferimento fra soggetti con qualifica diversa rappresenta una misura il cui impatto atteso sul sistema è auspicabilmente molto rilevante, ma che è ragionevole proporre, inizialmente, per un periodo definito, al fine di valutarne, successivamente, l’eventuale riproposizione a regime. 

Evidenzia, quindi che, con la procedura transitoria che consente di effettuare lo scambio anche tra docenti di università diverse che non sono in possesso della stessa qualifica, le università possono chiamare docenti a un costo pari al delta assunzionale tra il costo del docente trasferito e quello del docente chiamato.

Infine, sottolinea che la disposizione promuove la migliore allocazione delle risorse finanziarie di quelle università che, attraverso il trasferimento, ad altro ateneo, dei docenti con qualifica più alta in cambio di docenti con qualifica più bassa, vogliano o debbano conseguire una riduzione del costo complessivo del personale.

 

L’art. 7, co. 3, della L. 240/2010 dispone, anzitutto, al primo periodo, che, al fine di incentivare la mobilità interuniversitaria del personale accademico, ai professori e ai ricercatori che prendono servizio presso atenei aventi sede in altra regione rispetto a quella della sede di provenienza, o nella stessa regione se previsto da un accordo di programma approvato dal Ministero ovvero, a seguito delle procedure di federazione e fusione di atenei di cui all'art. 3, in una sede diversa da quella di appartenenza, possono essere attribuiti incentivi finanziari, a carico del fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO).

Il secondo periodo – come modificato, prima dell’intervento in questione, da ultimo, dall'art. 1, co. 461, della L. 147/2013 – dispone che la mobilità interuniversitaria è altresì favorita prevedendo la possibilità di effettuare trasferimenti di professori e ricercatori consenzienti attraverso lo scambio contestuale di docenti in possesso della stessa qualifica tra due sedi universitarie, con l'assenso delle università interessate.

 

Nel quadro esposto si prevede ora, anzitutto, che, fino al 31 dicembre 2020, lo scambio, sempre su base consenziente e con l’assenso delle università interessate, può riguardare anche soggetti con qualifica diversa, nei limiti delle facoltà assunzionali delle università interessate, che sono conseguentemente adeguate a seguito degli stessi trasferimenti[23].

 

Si puntualizza, altresì, che (tutti) i trasferimenti di cui al comma 3 sono computati nella quota di un quinto dei posti disponibili di professore di ruolo da riservare, nell'ambito della programmazione triennale, ai sensi dell’art. 18, co. 4, della stessa L. 240/2010 – che peraltro viene novellato dall’art. 19, co. 1, lett. d), del decreto-legge in esame –, alla chiamata di soggetti esterni all’università.

Al riguardo, più ampiamente, si veda la scheda riferita all’art. 19, comma 1, lett. d).

 

Per completezza, si ricorda che lo stesso art. 7, co. 4, della L. 240/2010 prevede che, in caso di cambiamento di sede, i professori, i ricercatori di ruolo e i ricercatori a tempo determinato responsabili di progetti di ricerca finanziati da soggetti diversi dall'università di appartenenza conservano la titolarità dei progetti e dei relativi finanziamenti, ove scientificamente possibile e con l'accordo del committente di ricerca.

Si ricorda, altresì, che, sulla base del co. 5, è intervenuto il DM 166 del 26 aprile 2011, recante criteri e modalità per favorire la mobilità interregionale dei professori universitari che hanno prestato servizio presso corsi di laurea o sedi soppresse a seguito di procedure di razionalizzazione dell'offerta didattica.

 


Articolo 19, comma 1, lettera d)
(Disposizioni in materia di reclutamento di professori universitari)

 

 

L’articolo 19, comma 1, lettera d), reca novità concernenti il reclutamento dei professori universitari, con specifico riferimento alla puntualizzazione della platea dei soggetti che, avendovi prestato servizio, non rientrano nella quota di un quinto dei posti disponibili di professore di ruolo riservata a soggetti esterni all’università.

 

A tal fine, novella l’art. 18, co. 4, della L. 240/2010.

 

Preliminarmente, si ricorda che, in base all’art. 18 della L. 240/2010 – come modificato dall'art. 49 del D.L. 5/2012 (L. 35/2012) – la chiamata dei professori di prima e di seconda fascia è disciplinata dalle università con proprio regolamento, nel rispetto dei principi da esso indicati. In particolare, possono essere ammessi al procedimento di chiamata:

•          studiosi in possesso dell'abilitazione scientifica nazionale (ASN) per il settore concorsuale, ovvero per uno dei settori concorsuali ricompresi nel macrosettore cui afferisce il settore concorsuale oggetto del procedimento, e per le funzioni oggetto del procedimento, ovvero per funzioni superiori, purché non siano già titolari delle medesime;

•          professori di prima e di seconda fascia già in servizio;

•          studiosi stabilmente impegnati all'estero in attività di ricerca o insegnamento a livello universitario in posizioni di livello pari a quelle oggetto del bando, sulla base di tabelle di corrispondenza definite, ogni tre anni, con decreto ministeriale emanato sentito il CUN[24].

La proposta di chiamata è effettuata dal dipartimento con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei professori di prima fascia per la chiamata di professori di prima fascia e dei professori di seconda fascia per la chiamata di professori di seconda fascia ed è approvata con delibera del consiglio di amministrazione.

In base al co. 4 dell’art. 18, nel testo previgente le modifiche introdotte dalla disposizione in esame, ciascuna università statale, nell'ambito della programmazione triennale dei reclutamenti, vincola le risorse corrispondenti ad almeno un quinto dei posti disponibili di professore di ruolo alla chiamata di coloro che nell'ultimo triennio non hanno prestato servizio, o non sono stati titolari di assegni di ricerca, ovvero iscritti a corsi universitari nell'università stessa.

 

La relazione illustrativa fa presente che con l’intervento si intende restringere l’ambito di applicazione dell’art. 18, co. 4, della L. 240/2010, riportandolo all’originaria finalità di favorire l’acquisizione di competenze dall’esterno.

In particolare, evidenzia che, in via applicativa, l’espressione “aver prestato servizio” ha originato dubbi interpretativi che, con l’intervento previsto dal decreto-legge, si intende dissipare.

Rileva, infatti, che, sulla base della lettura sistematica delle disposizioni concernenti l’impiego e la mobilità dei professori universitari, appare indubbio che la citata espressione identifichi un rapporto di lavoro subordinato, svolto alle dipendenze dell’università, e non una qualsiasi prestazione lavorativa, anche occasionale, resa da un soggetto non stabilmente incardinato nell’ateneo. In caso contrario, il legislatore non avrebbe individuato, espressamente, la fattispecie degli assegnisti di ricerca, titolari di contratti di lavoro autonomo, in quanto già compresa nella categoria di coloro che a qualsiasi titolo hanno prestato servizio presso l’ateneo.

Ciononostante, ricorda che, in prima istanza, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 3626/2016, aveva espresso un diverso orientamento, sostenendo che la disposizione contenuta nell’art. 18, co. 4, della L. 240/2010 “non può che interpretarsi nel senso che essa sia necessariamente riferita a qualunque genere di rapporto di lavoro, compreso l’insegnamento a contratto e quello ex art. 23 legge cit., giacché altrimenti non avrebbe senso alcuno la espressa comminatoria di esclusione di chi presso la stessa università sia stato assegnista o addirittura mero studente iscritto ai corsi di laurea.” 

Ricorda, altresì, che, successivamente a tale pronuncia, l’art. 1, co. 338, lett. a), della L. 232/2016 ha novellato l’art. 23, co. 4, della L. 240/2010 disponendo che la stipulazione di contratti per attività di insegnamento – pur non dando luogo a diritti in ordine all’accesso ai ruoli universitari – consente di computare le eventuali chiamate di coloro che sono stati titolari dei medesimi contratti nell’ambito della quota riservata di cui all’art. 18, co. 4, della stessa L. 240/2010.

Dunque, con tale intervento i “professori a contratto” sono stati inclusi nella platea dei soggetti comunque esterni all’università, ai quali è riservata la quota dei posti di cui all’art. 18, co. 4, della L. 240/2010.

Nel prosieguo, il Consiglio di Stato con la recente sentenza n. 2175 del 30 marzo 2020 ha ritenuto «che non vi siano ragioni per interrompere il trend evolutivo della interpretazione giurisprudenziale dell’art. 18, comma 4, l. 240/2010 (dopo la novella dell’art. 23 intervenuta nel 2016) che può ritenersi avviato all’interno della Sezione con la (per vero minima, ma comunque registrata e degna di attenta considerazione) apertura manifestata dalla sentenza 6847/2018 e proseguito con la più convinta conferma di cui alla sentenza n. 1561/2019.

In particolare non può ignorarsi che l’intervento normativo del 2016 aveva un duplice scopo, quello di ampliare la disponibilità finanziaria per le università in merito alle chiamate dei professori “esterni”, riducendo eventualmente i “contratti di insegnamento”, ma anche quella di ampliare la platea dei partecipanti alle selezioni ex art. 18, comma 4, l. 241/2010 aprendo la strada ad una più restrittiva interpretazione del sintagma ostativo “rapporto di servizio” contenuto nella norma.

D’altronde, apparirebbe contraddittoria e ingiustificatamente penalizzante nei confronti di una categoria ben definita di “collaboratori universitari” (in senso figurato, s’intende), quali i destinatari di “contratto per attività di insegnamento”, una scelta del legislatore (che deriverebbe dalla novella del 2016) volta a contrarre il budget da utilizzare per i “contratti di insegnamento” onde favorire la “chiamata di professori” dall’esterno, finendo così fatalmente per ridurre le occasioni di stipula di contratti di insegnamento e, nello stesso tempo, ad escludere detta categoria di “collaboratori universitari” dalla platea dei soggetti legittimati a partecipare alle selezioni bandite ai sensi dell’art. 18, comma 4, l. 240/2010».

 

In particolare, il comma 1, lett. d), puntualizza, novellando l’art. 18, co. 4, della L. 240/2010, che, ai fini del computo della quota destinata alla chiamata di soggetti esterni all’università, il servizio non deve essere stato prestato né quale “professore ordinario”, né quale “professore associato di ruolo”, né quale ricercatore a tempo indeterminato, né quale ricercatore a tempo determinato di tipo A o di tipo B.

 

Alla luce di quanto ante ricostruito, si riterrebbe che l’espressione “di ruolo” debba riguardare non solo i professori associati, ma anche i professori ordinari.

Si valuti, pertanto, l’opportunità di una modifica della formulazione del testo, al fine di escludere ulteriori dubbi interpretativi.

 

Restano ferme le previsioni che includono nei soggetti interni all’università i titolari di assegni di ricerca e gli iscritti ai corsi universitari nello stesso ateneo.

 

 


Articolo 19, comma 1, lettera e)
(Assegni di ricerca)

 

 

L'articolo 19, comma 1, lettera e), consente di conferire o rinnovare assegni di ricerca per una durata inferiore ad un anno, ma non inferiore a sei mesi, per lo svolgimento di progetti di ricerca. A tal fine, novella l'art. 22, co. 3, della L. 240/2010.

 

In materia, si ricorda che l’art. 22 della L. 240/2010 ha previsto, per quanto qui interessa, che gli assegni di ricerca possono essere conferiti, nell'ambito delle relative disponibilità di bilancio, da università, istituzioni ed enti pubblici di ricerca e sperimentazione, dall'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) e dall'Agenzia spaziale italiana (ASI), nonché dalle istituzioni il cui diploma di perfezionamento scientifico è stato riconosciuto equipollente al titolo di dottore di ricerca.

Le modalità di conferimento degli assegni sono disciplinate con regolamento dei medesimi soggetti[25]. Possono essere destinatari degli assegni studiosi in possesso di curriculum scientifico professionale idoneo allo svolgimento di attività di ricerca, con esclusione del personale di ruolo dei soggetti sopraindicati. I medesimi soggetti possono stabilire che il dottorato di ricerca o titolo equivalente conseguito all'estero ovvero, per i settori interessati, il titolo di specializzazione di area medica corredato di una adeguata produzione scientifica, costituiscono requisito obbligatorio per l'ammissione al bando; in assenza di tale disposizione, i suddetti titoli costituiscono titolo preferenziale ai fini dell'attribuzione degli assegni.

 

Gli assegni - che non danno luogo a diritti per l'accesso ai ruoli - possono avere una durata compresa tra 1 e 3 anni, sono rinnovabili e non cumulabili con borse di studio a qualsiasi titolo conferite, ad eccezione di quelle concesse da istituzioni nazionali o straniere utili ad integrare, con soggiorni all'estero, l'attività di ricerca dei titolari.

Con la novella in commento, i soggetti sopredescritti possono conferire o rinnovare assegni di durata inferiore a un anno e, in ogni caso, non inferiore a sei mesi, esclusivamente per lo svolgimento di progetti di ricerca, la cui scadenza non consente di conferire assegni di durata annuale.

Tale previsione pare motivata dalla necessità di “coprire” attività di ricerca che non sono strettamente allineate alla periodicità annuale. La medesima esigenza - secondo la relazione illustrativa - "è, altresì, rinvenibile nella possibilità di avviare ab origine assegni di ricerca di durata inferiore all’anno, ma solo quando ciò sia reso necessario dalla durata stessa del residuo periodo di ricerca, che potrebbe essere inferiore alla durata minima dell’assegno, come attualmente prevista".

 

La durata complessiva dei rapporti, compresi gli eventuali rinnovi, non può comunque essere superiore – a seguito della modifica non testuale operata dall'art. 6, co. 2-bis, del D.L. 192/2014 (L. 11/2015) – a 6 anni, ad esclusione del periodo in cui l'assegno è stato fruito in coincidenza con il dottorato di ricerca, nel limite massimo della durata legale del relativo corso[26].

Inoltre, la durata complessiva dei rapporti instaurati con il medesimo soggetto, in quanto titolare di assegni di ricerca e di contratti a tempo determinato – di cui all’art. 24 della stessa L. 240/2010 –, non può essere superiore a 12 anni, anche se i rapporti sono stati non continuativi o sono intercorsi con soggetti differenti.

L'importo degli assegni è determinato dal soggetto che li conferisce, sulla base di un importo minimo stabilito con il DM 9 marzo 2011, n. 102.

 

In argomento, si ricorda che il D.L.34/2020 (L. 77/2020) ha previsto la possibilità di prorogare la durata degli assegni di ricerca in essere al 9 marzo 2020, per il periodo di tempo corrispondente alla eventuale sospensione dell'attività di ricerca (art. 236, co. 6). Inoltre, ha previsto che le procedure per il conferimento degli assegni di ricerca e le procedure di reclutamento già bandite dagli enti pubblici di ricerca possono essere concluse con la valutazione dei candidati e lo svolgimento di prove orali in videoconferenza (art. 250, co. 5).

 

 


Articolo 19, comma 1, lettera f)
(Passaggio dei ricercatori universitari a tempo determinato nel ruolo dei professori associati)

 

 

L’articolo 19, comma 1, lettera f), prevede la possibilità di anticipare già a dopo il primo anno di contratto per ricercatore a tempo determinato di tipo B il passaggio nel ruolo dei professori associati, a determinate condizioni. In particolare, prevede che, in tal caso, la valutazione ha ad oggetto anche lo svolgimento di una prova didattica nell’ambito del settore scientifico-disciplinare di appartenenza del titolare del contratto.

 

A tal fine, novella l’art. 24 della L. 240/2010, inserendo il comma 5-bis.

 

Si ricorda, preliminarmente, che la L. 240/2010 ha confermato, anticipandone la decorrenza, la scelta, già fatta dalla L. 230/2005, di messa ad esaurimento dei ricercatori a tempo indeterminato, prevedendo, invece, all’art. 24 – come modificato, da ultimo, dall’art. 5, co. 1, lett. b), del D.L. 126/2019 (L. 159/2019) – che, nell'ambito delle risorse disponibili per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti, le università possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato.

I destinatari sono scelti mediante procedure pubbliche di selezione disciplinate dalle università con proprio regolamento, nel rispetto dei principi enunciati dalla Carta europea dei ricercatori, di cui alla raccomandazione della Commissione delle Comunità europee 251/2005, e specificamente dei criteri indicati dallo stesso art. 24, tra i quali, per quanto qui più interessa:

- l’ammissione alle procedure dei possessori del titolo di dottore di ricerca o titolo equivalente, ovvero, per i settori interessati, del diploma di specializzazione medica, nonché di eventuali ulteriori requisiti definiti nel regolamento di ateneo, con esclusione dei soggetti già assunti a tempo indeterminato come professori universitari di prima o di seconda fascia o come ricercatori, ancorché cessati dal servizio (co. 2, lett. b));

- la valutazione preliminare dei candidati, effettuata con motivato giudizio analitico sui titoli, sul curriculum e sulla produzione scientifica, compresa la tesi di dottorato, secondo criteri e parametri che sono stati individuati con DM 243/2011; a seguito della valutazione preliminare, ammissione dei candidati comparativamente più meritevoli, in misura compresa tra il 10 e il 20% del numero degli stessi e comunque non inferiore a 6 unità, alla discussione pubblica con la commissione dei titoli e della produzione scientifica; attribuzione di un punteggio ai titoli e a ciascuna delle pubblicazioni presentate. Sono esclusi esami scritti e orali, ad eccezione di una prova orale volta ad accertare l'adeguata conoscenza di una lingua straniera (co. 2, lett. c)).

I contratti sono di due tipologie.

La prima tipologia di contratto (RtD di tipo A) ha durata triennale, prorogabile per due anni (3+2) per una sola volta, previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte, effettuata sulla base di modalità, criteri e parametri definiti con DM 242/2011 (co. 3, lett. a)).

La seconda tipologia (RtD di tipo B) consiste in contratti triennali, rinnovabili, riservati a candidati che hanno usufruito di contratti di cui alla prima tipologia, o che hanno conseguito l’abilitazione scientifica nazionale (ASN), o che sono in possesso del titolo di specializzazione medica, ovvero che, per almeno 3 anni anche non consecutivi, hanno usufruito di assegni di ricerca o di borse post-dottorato, oppure di contratti, assegni o borse analoghi in università straniere (co. 3, lett. b)) (nonché, ai sensi dell’art. 29, co. 5, della medesima L. 240/2010, a candidati che hanno usufruito per almeno 3 anni di contratti a tempo determinato stipulati in base all’art. 1, co. 14, della L. 230/2005).

Nel terzo anno di contratto, il titolare di un contratto RtD di tipo B che abbia conseguito l’ASN è sottoposto, ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato, alla valutazione dell'università, in conformità agli standard qualitativi riconosciuti a livello internazionale, individuati con un apposito regolamento di ateneo nell'ambito dei criteri fissati con DM 344/2011. Se la valutazione ha esito positivo, il titolare del contratto, alla scadenza dello stesso, è inquadrato come professore associato (co. 5).

 

Nel quadro esposto, il comma 1, lettera f), dispone che l’università può consentire il passaggio del ricercatore a tempo determinato di tipo B nel ruolo dei professori associati, qualora abbia le necessarie risorse nella propria programmazione e nei limiti delle risorse assunzionali disponibili per l'inquadramento nella qualifica di professore associato, già dopo il primo anno di contratto, fermo restando il previo esito positivo della valutazione che, in tal caso, comprende anche lo svolgimento di una prova didattica nell’ambito del settore scientifico-disciplinare[27] di appartenenza del titolare del contratto.

 

 


Articolo 19, comma 2
(Accreditamento dei corsi di studio)

 

 

L'articolo 19, comma 2, modifica la disciplina dell'accreditamento dei corsi di studio universitari, attualmente prevista dall'art. 8 del d.lgs. 19/2012, demandando la sua definizione ad un regolamento di delegificazione. A tal fine, novella l'art. 8 del d.lgs. 19/2012.

 

Il d.lgs. 19/2012, in attuazione della delega recata dall'art. 5, co. 1, lett. a), della L. 240/2010, ha introdotto disposizioni sulla valorizzazione dell'efficienza delle università e meccanismi premiali nella distribuzione di risorse pubbliche, sulla base di criteri definiti ex ante, anche mediante la previsione di un sistema di accreditamento periodico delle università e la valorizzazione della figura dei ricercatori a tempo indeterminato non confermati al primo anno di attività.

In particolare, il sistema di accreditamento iniziale e periodico riguarda sia le sedi che i corsi di studio e riguarda le istituzioni universitarie italiane, statali e non statali, comunque denominate, ivi compresi gli istituti universitari a ordinamento speciale e le università telematiche.

 

In attuazione di tali previsioni, sono intervenuti diversi atti normativi secondari. Da ultimo, a decorrere dall'anno accademico 2019/2020, i requisiti per l'accreditamento inziale e periodico delle sedi e dei corsi sono previsti dal D.M. n. 6 del 7 gennaio 2019. Con D.M. n. 989 del 25 ottobre 2019 sono state fornite le Linee generali d'indirizzo della programmazione delle università 2019-2021 e gli indicatori per la valutazione periodica dei risultati. L'art. 6 del D.M. 989/2019, fatta salva la disciplina di cui al D.M. 6/2019 ai fini dell'accreditamento iniziale, rinvia all'allegato 3 in merito alle linee guida per l'istituzione dei corsi di studio da parte delle istituzioni universitarie già esistenti a partire dall'anno accademico 2020/2021.

Per l'accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio universitari sono definiti gli indicatori (oggetto di revisione periodica con cadenza triennale per quanto concerne i corsi di studio) da parte dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), adottati con decreto del Ministro. Da ultimo, si vedano le Linee Guida per la valutazione dell’ANVUR ai fini dell’accreditamento iniziale dei corsi di studio per l’a.a. 2020/2021.

 

L'art. 8, commi 1, 2 e 10, del suddetto d.lgs. 19/2012 è dedicato all'accreditamento iniziale e periodico dei corsi studio e prevede anche un programma quinquennale per l'accreditamento dei corsi già attivati alla data di entrata in vigore del d.lgs. medesimo. I predetti corsi già attivati che non ottengano l'accreditamento iniziale sono soppressi, fatti salvi eventuali accorpamenti o altre misure di razionalizzazione dell'offerta formativa.

I successivi commi 3-9 individuano le fasi della procedura di accreditamento dei corsi di studio, così sintetizzabili:

§  essa ha inizio in concomitanza con l'istituzione di nuovi corsi di studio.

L'art. 9 del D.M. 270/2004 - come modificato dall'art. 17 del d.lgs. 19/2012 - stabilisce che i corsi di studio sono istituiti nel rispetto dei criteri e delle procedure dettate per i regolamenti didattici di ateneo e delle disposizioni vigenti sulla programmazione del sistema universitario. Le università attivano i propri corsi di studio con apposite deliberazioni. Nel caso di mancata conferma dell'accreditamento di uno o più corsi, le università assicurano la possibilità per gli studenti già iscritti di concludere gli studi, conseguendo il relativo titolo e disciplinando le modalità di esercizio della facoltà di opzione per altri corsi di studio accreditati ed attivati. L'attivazione dei corsi di studio è subordinata all'inserimento degli stessi nella banca dati dell'offerta formativa del Ministero, sulla base di criteri stabiliti con apposito decreto ministeriale;

 

§  il nucleo di valutazione interna dell'università verifica se l'istituendo corso è in linea con gli indicatori di accreditamento iniziale definiti dall'ANVUR e, solo in caso di esito positivo di tale verifica, redige una relazione tecnico-illustrativa, che l'università è tenuta a inserire, in formato elettronico, nel sistema informativo e statistico del Ministero;

 

§  entro trenta giorni dalla data di ricevimento della documentazione dell'università, il Ministero la trasmette all'ANVUR che si esprime con parere motivato in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'accreditamento dei corsi di studio nel termine di centoventi giorni decorrente dal ricevimento della documentazione;

 

§  il Ministero può chiedere il riesame della valutazione. L'ANVUR, entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta di riesame, formula un parere definitivo;

 

§  il Ministro, con proprio decreto, concede o nega l'accreditamento, su conforme parere dell'ANVUR.

Il decreto è trasmesso all'università richiedente e al relativo nucleo di valutazione in tempo utile per l'avvio dell'anno accademico successivo a quello in corso e, comunque, non oltre la data del 15 giugno antecedente l'anno accademico di attivazione. L'art. 6 del D.M. n. 989/2019 prevede anche il parere del Comitato regionale di coordinamento competente per territorio, nonché delle Regioni interessate, limitatamente a eventuali istanze relative a corsi di area medico-sanitaria.

L'art. 4 del D.M 6/2019 stabilisce che l'accreditamento iniziale avviene previo parere positivo del CUN sull'ordinamento didattico e verifica da parte dell'ANVUR di appositi requisiti;

 

§  se l'ateneo non istituisce o non attiva il corso accreditato entro i tempi indicati nel decreto ministeriale, ma intende farlo in un momento successivo, deve avanzare una nuova richiesta di accreditamento.

L'art. 4 del D.M. 6/2019 stabilisce infatti che i corsi di studio devono essere attivati non oltre l'anno accademico successivo a quello di riferimento del D.M. di accreditamento, pena la decadenza automatica di quest'ultimo.

Il mancato conseguimento dell'accreditamento iniziale preclude ogni ulteriore fase della procedura di istituzione del nuovo corso o dei nuovi corsi.

 

La novella in commento inserisce il comma 10-bis all'art. 8 del d.lgs. 19/2012, prevedendo anzitutto che con regolamento di delegificazione - per la cui adozione non è previsto un termine - da adottarsi ai sensi dell’art. 17, co. 2, della L. 400/1988, sentiti l’ANVUR, la Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI) e il Consiglio universitario nazionale (CUN), sono definite le modalità di accreditamento dei corsi di studio da istituire presso sedi universitarie già esistenti, in coerenza con gli obiettivi di semplificazione delle procedure e di valorizzazione dell’efficienza delle università.

Con decreto del Ministro dell’università e della ricerca, da adottarsi entro e non oltre la data del 15 aprile precedente all’avvio dell’anno accademico, è prevista la concessione o il diniego dell’accreditamento.

 

Rispetto alla disciplina vigente, si possono notare le seguenti differenze:

-         le modalità di accreditamento (ossia la definizione della procedura di accreditamento) cessano di essere definite da un atto normativo primario, ma sono definite da un regolamento di delegificazione.

L'art. 17, co. 2, della L. 400/1988 stabilisce infatti che con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.

In relazione all'accreditamento iniziale, si valuti l'opportunità di un approfondimento se le norme generali regolatrici della materia siano individuate nella L. 240/2010 e nel citato d.lgs. 19/2012, al cui interno si colloca la novella in esame, oppure se sia necessario un richiamo o formulazione espliciti di disposizioni primarie di riferimento;

-         nell'adozione del regolamento di delegificazione per definire le modalità di accreditamento, sono acquisiti anche i pareri dell'ANVUR, del CUN e della CRUI;

-         non è più previsto il parere conforme dell'ANVUR sul decreto di concessione o diniego dell'accreditamento;

-         si stabilisce, in via legislativa, un nuovo termine per disporre l'accreditamento, non più entro il 15 giugno antecedente l'anno accademico di attivazione (come previsto dal D.M. 6/2019), ma entro il 15 aprile precedente all'avvio dell'anno accademico. Sul piano della formulazione, si valuti l'opportunità di riferire il termine all'anno accademico antecedente l'attivazione del corso.

 

Secondo lo schema tipico del regolamento di delegificazione, si stabilisce poi che, a decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento sulle modalità di accreditamento, sono abrogati i summenzionati commi da 3 a 10 dell'art .8 del d.lgs. 19/2012.

Si segnala che il comma 10 del citato art. 8 non è connesso in senso stretto alla procedura di accreditamento che si intende sostituire, ma attiene alla soppressione (e all'accorpamento) dei corsi già attivati alla data di entrata in vigore del d.lgs. 19/2012 che non hanno ottenuto l'accreditamento iniziale; esso è dunque correlato al comma 2. Si valuti pertanto la congruità della sua abrogazione.

Inoltre, considerato che saranno abrogati i commi da 3 a 10 dell'art. 8 a far data dall'entrata in vigore del regolamento di delegificazione, si valuti l'opportunità di inserire la novella dopo il comma 2, anziché dopo il comma 10.

Infine, sul piano sistematico, si segnala che con la novella in commento si differenzia notevolmente la procedura per l'accreditamento iniziale dei corsi di studio da quella per l'accreditamento iniziale delle sedi, dettata dall'art. 7 del d.lgs. 19/2012, ad oggi pressoché analoghe.

 

 

 


Articolo 19, comma 3
 (Titoli rilasciati da Scuole superiori a ordinamento speciale)

 

 

L'articolo 19, comma 3, equipara al master di secondo livello il titolo finale rilasciato dalle Scuole superiori a ordinamento speciale al termine dei corsi ordinari di durata corrispondente ai corsi di secondo livello dell’ordinamento universitario. Esso stabilisce inoltre che sono ammessi agli esami finali dei corsi delle Scuole superiori ad ordinamento speciale i candidati che abbiano prima conseguito la laurea o la laurea magistrale. Tali previsioni si applicano anche a corsi analoghi attivati dalle Scuole superiori istituite presso gli atenei.

 

Si ricorda preliminarmente che gli Istituti universitari ad ordinamento speciale - disciplinati dal Titolo II del Regio decreto 1592/1933 -, al pari di tutte le università, sono dotati di autonomia amministrativa, didattica e disciplinare e svolgono attività didattiche e di ricerca. Essi hanno un corpo docente permanente e un proprio bilancio.

 

Con particolare riferimento all'offerta formativa, le Scuole erogano corsi di formazione post lauream al termine dei quali l'allievo consegue il titolo di dottore di ricerca (o dicitura equivalente specificata nello statuto), con durata dai tre ai quattro anni. Alcune Scuole sono dedicate esclusivamente alla didattica dottorale, per altre, invece, l’offerta formativa include anche attività pre-dottorali, prevedendo corsi ordinari che si affiancano e integrano l’offerta universitaria della laurea e della laurea magistrale, nonché corsi di master, di primo e secondo livello, e formazione permanente, prevalentemente rivolta a laureati e professionisti. A completamento di questi percorsi tali scuole rilasciano appositi diplomi di licenza, mentre gli atenei partner rilasciano il diploma di laurea, ovvero laurea magistrale o laurea magistrale a ciclo unico. In convenzione con altri atenei, a seconda delle disposizioni statutarie, inoltre, le scuole possono attivare corsi di laurea magistrale (comprese le lauree magistrali a ciclo unico). Riassumendo, esse offrono:

-          didattica universitaria integrativa delle lauree e delle lauree magistrali e corsi di dottorato e post dottorato;

-          corsi di dottorato e post dottorato;

-            corsi di laurea magistrale in convenzione con altre università, oltre alla didattica integrativa e ai corsi di dottorato e post dottorato.

 

La disposizione in esame stabilisce l'equiparazione ex lege tra il titolo finale rilasciato dalle predette Scuole al termine dei corsi ordinari di durata corrispondente ai corsi di secondo livello dell’ordinamento universitario (si intendono i corsi di laurea magistrale/specialistica), nonché ai corsi di laurea magistrale a ciclo unico, da un lato, e il master di secondo livello, dall'altro. Tale previsione riguarda dunque le Scuole superiori che offrono didattica integrativa delle lauree magistrali o magistrali a ciclo unico rispetto ai corsi di atenei con i quali hanno stipulato apposite convenzioni: al termine di questi corsi di secondo livello, lo studente conseguirà dunque un titolo che avrà lo stesso valore di un master di secondo livello.

In base all'art. 3 del D.M. 270/2004 le università rilasciano i seguenti titoli: laurea (L); laurea magistrale (LM), diploma di specializzazione (DS) e il dottorato di ricerca (DR). Le università possono attivare corsi di perfezionamento scientifico e di alta formazione permanente e ricorrente, successivi al conseguimento della laurea o della laurea magistrale, alla conclusione dei quali sono rilasciati i master universitari di primo e di secondo livello. In base all'art. 7 del medesimo D.M. 270/2004 per conseguire il master universitario lo studente deve aver acquisito almeno  60  crediti  oltre  a  quelli  acquisiti per conseguire la laurea o la laurea magistrale.

Qui un approfondimento sul quadro dei titoli italiani dell'istruzione superiore.

 

Si rammenta che l'equipollenza o l'equiparazione tra titoli accademici italiani significa "identificare un’equivalenza esistente tra titoli di studio accademici conseguiti secondo il vecchio e secondo il nuovo ordinamento a livelli diversi". Solitamente, l'equipollenza o l'equiparazione tra titoli diversi rileva per la partecipazione ai concorsi pubblici. Per maggiori approfondimenti si veda qui

 

Si stabilisce altresì che sono in ogni caso ammessi agli esami finali dei corsi delle Scuole superiori a ordinamento speciale, i candidati che abbiano conseguito la laurea o la laurea magistrale. In sostanza, per svolgere l'esame finale dei corsi integrativi presso tali Scuole superiori occorre prima aver conseguito la laurea o la laurea magistrale negli atenei convenzionati con le Scuole medesime.

Considerato che la condizione posta per sostenere gli esami finali presso le Scuole superiori riguarda il conseguimento della laurea o della laurea magistrale, parrebbe intendersi che essa vada riferita al percorso universitario sia di primo sia di secondo livello.

Si valuti se richiamare anche il conseguimento della laurea magistrale e ciclo unico.

 

Le disposizioni summenzionate (riferite sia all'equiparazione che alla possibilità di essere ammessi agli esami finali) si applicano, previa autorizzazione del Ministero dell’università e della ricerca, anche ai corsi analoghi attivati dalle Scuole superiori istituite presso gli atenei, accreditati in conformità alla disciplina di cui all’art. 8 del d.lgs. 19/2012.

Potrebbe essere non chiaro in che termini sia necessaria l'autorizzazione da parte del Ministero dell'università e della ricerca, tenuto conto che l'equiparazione opera ex lege.

Sulla procedura di accreditamento si veda la scheda di lettura riferita all'art.19, co.2, del provvedimento in esame.

 

 


Articolo 19, comma 4
(Fondazioni universitarie di diritto privato)

 

 

L'articolo 19, comma 4, detta una nuova disciplina per il collegio dei revisori legali dei conti delle fondazioni universitarie di diritto privato, modificando in particolare le modalità di nomina del presidente e dei componenti del collegio.

 

Si ricorda che l'art. 59, co. 3, della L. 388/2000 - come modificato dall'art. 1, co. 458, della L. 296/2006 - ha previsto la possibilità, per una o più università, di costituire fondazioni di diritto privato con la partecipazione di enti ed amministrazioni pubbliche e soggetti privati, al fine di svolgere attività strumentali e di supporto alla didattica e alla ricerca.

Con regolamento di delegificazione, adottato si sensi dell'art. 17, co.2, della L. 400/1988, sono stati stabiliti i criteri e le modalità per la costituzione e il funzionamento delle predette fondazioni, e sono state individuate le tipologie di attività e di beni da conferire alle medesime nell'osservanza del criterio della strumentalità rispetto alle funzioni istituzionali, riservate all'università. Tale regolamento è stato emanato con D.P.R. 24 maggio 2001, n. 254.

 

 In base al D.P.R. 254/2001, le fondazioni sono persone giuridiche private senza fini di lucro ed operano esclusivamente nell'interesse degli enti di riferimento. Esse sono dotate di uno statuto deliberato, previa acquisizione del parere del Ministero dell'università e della ricerca, dagli enti di riferimento, che determina:

§  le finalità della fondazione;

§  la composizione, le competenze e la durata dei suoi organi;

§  i criteri in base ai quali altri soggetti, pubblici o privati, possono partecipare e i diritti e doveri a questi spettanti;

§  la destinazione degli avanzi di gestione agli scopi istituzionali;

§  le modalità di erogazione dei servizi a favore degli enti di riferimento;

§  le cause di estinzione della fondazione e le disposizioni relative alla devoluzione del patrimonio.

Gli organi della fondazione sono: il presidente, il consiglio di amministrazione e il collegio dei revisori dei conti. Gli statuti possono prevedere un comitato scientifico. La durata degli organi delle fondazioni, nonché le relative incompatibilità, sono stabilite dai rispettivi statuti.

Le attività che le fondazioni possono svolgere sono:

§  l'acquisizione di beni e servizi alle migliori condizioni di mercato;

§  lo svolgimento di attività strumentali e di supporto della didattica e della ricerca scientifica e tecnologica, con specifico riguardo:

Ø  alla promozione e sostegno finanziario alle attività didattiche, formative e di ricerca;

Ø  alla promozione e allo svolgimento di attività integrative e sussidiarie alla didattica ed alla ricerca;

Ø  alla realizzazione di servizi e di iniziative diretti a favorire le condizioni di studio;

Ø  alla promozione e supporto delle attività di cooperazione scientifica e culturale degli enti di riferimento con istituzioni nazionali ed internazionali;

Ø  alla realizzazione e gestione, nell'àmbito della programmazione degli enti di riferimento, di strutture di edilizia universitaria e di altre strutture di servizio strumentali e di supporto all'attività istituzionale degli enti di riferimento;

Ø  alla promozione e attuazione di iniziative a sostegno del trasferimento dei risultati della ricerca, della creazione di nuove imprenditorialità originate dalla ricerca, della valorizzazione economica dei risultati delle ricerche, anche attraverso la tutela brevettale;

Ø  al supporto all'organizzazione di stages e di altre attività formative, nonché ad iniziative di formazione a distanza.

Qui l'elenco delle fondazioni universitarie sul sito internet del Ministero dell'università e della ricerca.

 

Con specifico riguardo al collegio dei revisori dei conti, organo di controllo della fondazione che svolge le funzioni previste dal Codice  civile  per  il collegio sindacale, la disciplina vigente è dettata dall'art. 11 del citato D.P.R. 254/2001. Detto articolo viene abrogato dalla disposizione in commento, che detta nuove modalità di nomina del collegio dei revisori. Pertanto, mentre tutta la disciplina delle fondazioni, comprese le norme inerenti i suoi organi, resta dettata da una fonte secondaria (il D.P.R. 254/2001), la sola disciplina del collegio dei revisori diventa oggetto di una fonte primaria (la disposizione in commento). Si valuti l'opportunità di un approfondimento.

 

Nel merito, rispetto alla disciplina vigente (di cui, come si è detto, all'art. 11 del citato D.P.R. 254/2001), resta confermato che gli statuti stabiliscano le modalità di nomina, la composizione, la competenza e il funzionamento del collegio.

Si prevede poi che il collegio dei revisori è costituito dal presidente e dai componenti titolari e supplenti. Con riferimento al presidente del collegio dei revisori, la disposizione in esame semplifica le modalità di nomina, stabilendo che esso sia nominato dalla fondazione e individuato tra i soggetti che sono iscritti nel registro dei revisori legali e che hanno svolto, per almeno cinque anni, funzioni di revisore legale presso istituzioni universitarie. In base alla legislazione vigente, invece, il presidente è designato dagli enti di riferimento con le modalità previste per la nomina del presidente dell'organo di revisione degli enti medesimi.

 

Quanto ai componenti titolari e supplenti, si conferma il numero minimo di tre e massimo di cinque per i componenti titolari, e un numero adeguato di componenti supplenti per assicurare il normale funzionamento dell'organo. Viene invece modificato il meccanismo per la loro nomina: in base alla disposizione in commento, almeno due componenti titolari del collegio sono nominati dalla fondazione (a legislazione vigente invece sono designati dagli enti di riferimento), su designazione del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero dell’università e della ricerca, e sono individuati, prioritariamente, tra i dipendenti delle predette amministrazioni, e, in ogni caso, tra coloro che sono in possesso del requisito di iscrizione nel registro dei revisori legali. Rispetto alla disciplina vigente, si amplia quindi la platea dei soggetti designabili in quanto detti componenti possono anche non essere dipendenti dei due Ministeri citati, ma sono "prioritariamente" individuati tra tali dipendenti. Inoltre, viene meno per i componenti del collegio il requisito consistente nell'aver svolto, per almeno cinque anni, funzioni di revisione contabile presso istituzioni universitarie (questo requisito, come spiegato supra, resta solo per il presidente).

 

La relazione illustrativa sottolinea che le modifiche nella composizione del collegio sono motivate dall’attuale difficoltà nel costituirli. Afferma, infatti, che "la necessità di intervenire con urgenza e con norma di rango primario, per quanto [...] la disciplina di cui trattasi è contenuta in norma regolamentare, è determinata dalla circostanza per la quale, sulla base delle disposizioni vigenti, si è reso oltremodo difficoltoso individuare tutti i componenti dei collegi in parola, con ciò determinando effetti negativi sulla continuità delle attività delle fondazioni".    

 

 


Articolo 19, comma 5
(Valutazione dei titoli nei concorsi relativi all'ammissione dei medici alle scuole di specializzazione)

 

 

Il comma 5 dell'articolo 19 modifica la disciplina (finora di natura regolamentare[28]) che esclude alcune categorie di soggetti dal riconoscimento dei titoli ai fini delle graduatorie per l'ammissione dei medici alle scuole di specializzazione. La modifica consiste in un'estensione dell'ambito dei soggetti esclusi, costituito finora dai concorrenti già in possesso (sempre con riferimento all'area medica) di un diploma di specializzazione o di un contratto di formazione specialistica; l'estensione riguarda i dipendenti medici delle strutture del Servizio sanitario nazionale o delle strutture private dallo stesso accreditate nonché i soggetti in possesso del diploma di formazione specifica per medico di medicina generale[29].

Si ricorda che i dipendenti medici summenzionati possono beneficiare di una quota di riserva nei bandi concorsuali in oggetto, qualora il Ministro dell'università e della ricerca, su proposta del Ministro della salute, autorizzi, per specifiche esigenze del Servizio sanitario nazionale, l'ammissione alle scuole di tali soggetti in sovrannumero, nei limiti del dieci per cento in più rispetto al numero dei posti oggetto del bando e della capacità recettiva delle singole scuole (ferma restando la condizione del superamento delle prove di ammissione); più in particolare, la quota può concernere il personale medico di ruolo in servizio in strutture sanitarie diverse da quelle inserite nella rete formativa della scuola[30].

Le relazioni illustrativa e tecnica allegate al disegno di legge di conversione del presente decreto osservano che le estensioni di cui al comma 5 sono intese a ridurre il fenomeno della migrazione da un corso di specializzazione ad un altro, fenomeno che finora è stato reso più agevole dal computo dei titoli nei termini suddetti e che determina una dispersione di risorse finanziarie (in relazione al trattamento economico corrisposto per corsi non completati).

 

Si ricorda che i concorsi in oggetto sono per titoli ed esami. I titoli rilevanti sono costituiti dal voto di laurea, dalla media ponderata complessiva dei voti degli esami sostenuti (in seno al corso di laurea), da un'eventuale tesi di laurea di carattere sperimentale e dall'eventuale titolo di dottore di ricerca (in una disciplina di ambito medico-sanitario)[31].

 


Articolo 19, comma 6
(Agenzia nazionale per la ricerca)

 

 

L’articolo 19, comma 6, modifica la disciplina relativa alla designazione dei membri della commissione di valutazione da costituire per la selezione del direttore e dei membri del comitato direttivo dell’Agenzia nazionale per la ricerca istituita dalla legge di bilancio 2020.

 

Al riguardo, si ricorda, preliminarmente, che l’art. 1, co. 240-248 e 250-252, della L. 160/2019 (L. di bilancio 2020) ha istituito l’Agenzia nazionale per la ricerca (ANR), sottoposta alla vigilanza della Presidenza del Consiglio e del Ministero (ora, a seguito del D.L. 1/2020-L. 12/2020) dell’università e della ricerca, dotata di autonomia statutaria, organizzativa, tecnico-operativa e gestionale.

In particolare, l’Agenzia:

§  promuove il coordinamento delle attività di ricerca di università, enti e istituti di ricerca pubblici, incrementando la sinergia e la cooperazione tra di essi e con il sistema economico-produttivo, pubblico e privato;

§  promuove e finanzia progetti di ricerca da realizzare in Italia ad opera di soggetti pubblici e privati, anche esteri, altamente strategici per lo sviluppo sostenibile e l’inclusione sociale;

§  valuta l’impatto dell’attività di ricerca, tenendo conto dei risultati dell’attività dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), in particolare al fine di incrementare l’economicità, l’efficacia e l’efficienza del finanziamento pubblico nel settore, nonché per attrarre finanziamenti provenienti dal settore privato;

§  favorisce l’internazionalizzazione delle attività di ricerca;

§  definisce un piano di semplificazione delle procedure amministrative e contabili relative ai progetti di ricerca.

 

Gli organi dell'ANR sono costituiti da direttore, comitato direttivo, comitato scientifico e collegio dei revisori dei conti. In particolare:

§  il direttore – che dura in carica 4 anni – è il legale rappresentante dell'Agenzia, la dirige e ne è responsabile, presiede il comitato direttivo e svolge gli ulteriori compiti attribuitigli dallo statuto.
Egli è nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri ed è scelto dallo stesso tra studiosi, italiani o stranieri, di elevata qualificazione scientifica, con una profonda conoscenza del sistema della ricerca in Italia e all’estero e con pluriennale esperienza in enti o organismi, pubblici o privati, operanti nel settore della ricerca, nell’ambito di una rosa di 25 nominativi, preventivamente selezionati da una commissione di valutazione;

§  il comitato direttivo, i cui compiti non sono stati indicati, è composto da 8 membri, anche in questo caso selezionati tra studiosi, italiani o stranieri, di elevata qualificazione scientifica, con una profonda conoscenza del sistema della ricerca in Italia e all’estero e con pluriennale esperienza in enti o organismi, pubblici o privati, operanti nel settore della ricerca, nell’ambito di una rosa di 25 nominativi, preventivamente selezionati dalla medesima commissione di valutazione che seleziona i nominativi per la nomina del direttore. Di tali membri, uno è scelto dal Ministro dell’università e della ricerca, uno dal Ministro dello sviluppo economico, uno dal Ministro della salute, uno dal Ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, uno dalla Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI), uno dal Consiglio universitario nazionale (CUN), uno dalla Consulta dei Presidenti degli enti pubblici di ricerca e uno dall'Accademia dei lincei. La composizione del comitato direttivo deve assicurare la parità di genere.

Anche i membri del comitato direttivo sono nominati con DPCM e durano in carica per 4 anni;

§  il comitato scientifico vigila sul rispetto dei principi di libertà e autonomia della ricerca scientifica ed è composto da 5 membri nominati dal direttore all'interno di una rosa di 25 nominativi, preventivamente selezionati da parte di un’altra commissione di valutazione sulla base di criteri di competenza e professionalità. La composizione del comitato scientifico deve garantire una rappresentanza del genere meno rappresentato non inferiore al 45%;

§  il collegio dei revisori dei conti svolge le funzioni di controllo amministrativo e contabile ed è composto da 3 membri effettivi e 2 supplenti, nominati con decreto del Ministro dell’università e della ricerca. Un membro effettivo, che assume le funzioni di Presidente, e un membro supplente sono designati dal Ministro dell'economia e delle finanze. I componenti del collegio durano in carica 3 anni e possono essere rinnovati una sola volta.

 

La commissione di valutazione incaricata di selezionare la rosa nell’ambito della quale sono scelti il direttore dell’Agenzia e i membri del comitato direttivo è istituita con DPCM ed è composta da 5 membri di alta qualificazione scelti, rispettivamente, dal Ministro dell’università e della ricerca, dal presidente del Consiglio direttivo dell’ANVUR, dal presidente dell’European Research Council, dal presidente dell’European Science Foundation, nonché, in base al testo dell’art. 1, co. 254, della L. 160/2019 vigente prima delle modifiche apportate dal decreto-legge in esame, dal vice presidente del Comitato di esperti per la politica della ricerca (CEPR)[32].

 

Rispetto a tali previsioni, si dispone, ora, novellando l’art. 1, co. 254, della L. 160/2019, che – fermo restando che quattro dei cinque membri sono designati, uno ciascuno, dal Ministro dell'università e della ricerca, dal presidente del Consiglio direttivo dell'ANVUR, dal presidente dell'European Research Council e dal presidente dell'European Science Foundation – il quinto membro è designato dal presidente della CRUI, d’intesa con il presidente della Consulta dei presidenti degli enti pubblici di ricerca[33] (e non più dal vice presidente del CEPR).

 

Al riguardo, la relazione illustrativa evidenzia che la modifica è finalizzata ad aggiornare la disposizione contenuta nella L. 160/2019 a seguito della “soppressione del Comitato di esperti per la politica della ricerca (CEPR)”.

 

Si tratterebbe, piuttosto, di una mancata ricostituzione del Comitato. In argomento, si rammenta, infatti, che il CEPR - istituito presso il MIUR dall’art. 3 del d.lgs. 204/1998, poi modificato dall'art. 11, co. 2, del d.lgs. 381/1999, con funzioni di consulenza e di studio su problemi riguardanti la politica e lo stato della ricerca nazionale e internazionale – è stato costituito, da ultimo, con DPCM 27 dicembre 2013, per la durata di 3 anni prevista dall’art. 3, co. 2, del decreto ministeriale 17 dicembre 2009, n. 10803, con il quale il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha provveduto a disciplinare l’attività del CEPR in vista della relativa costituzione.

Qui il sito del CEPR.

 

Per completezza si ricorda che lo statuto dell’Agenzia, che ne disciplina le attività e le regole di funzionamento, deve essere approvato con DPCM, su proposta del Ministro dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, che sarebbe dovuto essere emanato entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge.

Il medesimo DPCM deve definire, altresì, la dotazione organica dell’Agenzia, nel limite massimo di 34 unità complessive, di cui 3 dirigenti di seconda fascia, nonché i compensi spettanti ai componenti degli organi di amministrazione e controllo.

Al personale dell’Agenzia si applicano le disposizioni del d.lgs. 165/2001 – recante le norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche – ed il contratto collettivo del comparto Istruzione e Ricerca.

 


Articolo 20
(Disposizioni concernenti il Corpo nazionale dei vigili del fuoco)

 

 

L’articolo 20 reca disposizioni volte alla valorizzazione retributiva del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

In particolare, l’articolo in esame:

§  ridefinisce la misura delle componenti fisse e continuative del trattamento economico del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (stipendio, indennità di rischio assegno di specificità);

§  incrementa la misura delle componenti di natura accessoria dei vigili del fuoco, compresi quelle destinate al personale che espleta funzioni specialistiche;

§  ridefinisce la retribuzione del personale direttivo e dirigente del Corpo.

 

La disposizione utilizza le risorse finanziarie del fondo istituito dalla legge di bilancio 2020 (L. 160/2019, art. 1, comma 122) allo scopo appunto di adottare provvedimenti normativi volti alla valorizzazione del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, anche nell'ottica di una maggiore armonizzazione del trattamento economico con quello del personale delle Forze di polizia.

 

Come specificato dalla relazione illustrativa, tale “valorizzazione, non ponendosi l’obiettivo di una equiordinazione del personale dei vigili del fuoco a quello delle forze di polizia e ferme restando le rispettive specifiche previsioni ordinamentali proprie di ciascun comparto di negoziazione, tuttavia - alla luce delle risorse che complessivamente sono state stanziate a regime dal Legislatore - consente di perseguire una maggiore armonizzazione con il trattamento economico globale delle corrispondenti qualifiche degli operatori della sicurezza”.

Inoltre, la relazione illustrativa chiarisce che la disposizione in esame contribuisce a fronteggiare la crisi economica legata all’emergenza epidemiologica da Covid-19.

Componenti fisse del trattamento economico (commi 1 e 2)

Il comma 1 ridefinisce, per il biennio 2020-2021 ed a regime, dal 2022 in poi, le componenti fisse del trattamento economico del personale del Corpo dei vigili del fuoco, ossia lo stipendio, l’indennità di rischio e mensile e l’assegno di specificità.

I nuovi importi sono indicati per singolo ruolo e qualifica nell’allegato A al provvedimento in esame, che sostituisce la tabella C allegata al decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217, con le misure per l’anno 2020, per l’anno 2021 e con quelle in vigore a regime, dall’anno 2022.

 

Il comma 2 stabilisce che gli effetti retributivi derivanti dall’applicazione della tabella C di cui al comma 1, costituiscono miglioramenti economici ai sensi dell'articolo 12, comma 5, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, e dell’articolo 261 del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217.

Pertanto, i miglioramenti economici introdotti dall’articolo in esame comportano il riassorbimento, fino a concorrenza del relativo importo, degli assegni personali in godimento da due determinate unità di personale.

Si tratta in primo luogo del personale del Corpo forestale dello Stato assegnato al Corpo nazionale dei vigili del fuoco dopo lo scioglimento del Corpo forestale ad opera del D.Lgs. 177/2016. A tale personale è stato attribuito, a decorrere dall'effettivo transito, un assegno ad personam (art. 12, comma 5, D.Lg. 177/2016) come previsto dalla legge delega che chiarisce che l’assegno è riassorbibile con i successivi miglioramenti economici (L. 124/2015, art. 8, comma 1, lettera a), numero 2).

Inoltre, la diposizione riguarda il personale del Corpo dei vigili del fuoco che, a seguito di promozioni a qualifiche iniziali dei ruoli superiori ovvero di operazioni di primo inquadramento abbia conseguito a titolo di assegni fissi e continuativi, ivi compresi gli scatti convenzionali, un trattamento economico inferiore a quello in godimento, e che pertanto gli sia stata attribuita la differenza sotto forma di assegno ad personam pensionabile. Anche in questo caso la legge prevede che l’assegno è riassorbibile con i successivi miglioramenti economici (D.Lgs. 217/2005, art. 261: clausola di salvaguardia retributiva).

 

Come riportato nella relazione illustrativa, sono state oggetto di ridefinizione, pertanto, le misure dei seguenti istituti retributivi:

-          lo stipendio tabellare, dove, a seguito di una comparazione effettuata tra le qualifiche del personale della Polizia di Stato e quelle dei ruoli operativi del Corpo nazionale (allegato C della relazione tecnica), si è adeguata la misura dell’emolumento fino a concorrenza di quanto percepito dalla corrispondente qualifica. A tale proposito, si è utilizzato il valore parametrico in uso nel comparto Forze armate/Forze di polizia. L’adeguamento ha riguardato anche alcune qualifiche dei ruoli dei dirigenti e dei direttivi. Per quest’ultima tipologia di personale, relativamente alle qualifiche apicali di direttore vice dirigente non è stato possibile trovare una puntuale comparazione poiché negli ordinamenti del comparto Forze armate/Forze di polizia, a seguito della recente revisione, le corrispondenti qualifiche (Vice questore aggiunto per la Polizia di Stato) appartengono ai ruoli dirigenziali;

-          l’indennità di rischio prevista per il personale non dirigente dei ruoli con funzioni operative  è stata comparata all’istituto dell’indennità mensile pensionabile (IPM) previsto nel comparto Forze armate/Forze di polizia. Nel rispetto del principio di armonizzazione degli elementi della retribuzione del personale appartenente ai ruoli operativi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco con quello appartenente alle Forze di polizia, parallelamente all’attribuzione di una misura dell’indennità di rischio di pari valore rispetto all’istituto dell’IPM, cessa di essere attribuita al compimento dei 22 e dei 28 anni di servizio la maggiorazione dell’indennità di rischio istituita ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del D.P.R. n. 335 del 1990, trattandosi di un istituto per il quale non si riscontra alcuna corrispondenza negli istituti retributivi del comparto Forze armate/Forze di polizia. La misura di tale emolumento viene pertanto riassorbita nelle nuove misure previste per l’indennità di rischio;

-          l’indennità mensile prevista per il personale non dirigente, dei ruoli tecnico-professionali è stata comparata all’istituto dell’indennità di rischio attribuito ai ruoli operativi ed omologata per tutte le qualifiche alla misura del 52 per cento dell’indennità di rischio attribuita alla corrispondente qualifica operativa. In tal modo, si è operato un necessario riallineamento delle misure percepite dalle diverse qualifiche tecnico-professionali ed individuato un rapporto percentuale, ritenuto corretto in ragione della diversa natura delle mansioni richieste, con l’analogo istituto attribuito alla componente operativa del Corpo nazionale e, per proprietà transitiva, al comparto Forze armate/Forze di polizia;

-          l’assegno di specificità previsto per il personale non dirigente è stato comparato all’istituto dell’assegno di funzione previsto nel comparto Forze armate/Forze di polizia. Dalla comparazione sono emerse, oltre alle differenti misure degli assegni, anche diversi requisiti per l’attribuzione degli stessi. L’assegno di specificità, infatti, viene attribuito e aumentato al compimento di 14, 22 e 28 anni di servizio mentre per la fruizione dell’assegno di funzione sono necessari, rispettivamente, 17, 27 e 32 anni. Pertanto, con l’obiettivo di procedere ad un’armonizzazione della misura del beneficio, si è operata una quantificazione, sia per l’assegno di funzione che per quello di specificità, dell’importo complessivo cumulato corrisposto al dipendente durante la carriera. Tale conteggio è stato effettuato assumendo il valore medio di 34 anni di servizio, per entrambi i comparti, che hanno regimi pensionistici (per requisiti anagrafici e contributivi) assimilabili. In tal modo, le nuove misure dell’assegno di specificità previste per il personale dei ruoli operativi determinano, in termini cumulati, una piena armonizzazione tra i benefici complessivi spettanti al personale dei due comparti di riferimento. Per quanto concerne il personale dei ruoli tecnico-professionali, le nuove misure dell’assegno risultano commisurate al 45 per cento del beneficio attribuito al personale operativo di pari qualifica.

 

Trattamento accessorio (commi 3-6)

I commi da 3 a 6 recano disposizioni volte ad incrementare le risorse destinate agli istituti retributivi di natura accessoria, e a ridefinire quelli destinati al personale che espleta funzioni specialistiche.

 

Il comma 3 dispone l’incremento del lavoro straordinario per un numero di ore pari a 55.060 per l’anno 2021 e di 401.900 ore annue a decorrere dall’anno 2022, con l’obiettivo di fronteggiare imprevedibili e indilazionabili esigenze di servizio, connesse all’attività di soccorso tecnico urgente e le ulteriori attività istituzionali del Corpo compreso l’addestramento operativo.

 

La relazione illustrativa quantifica la spesa annua (al lordo degli oneri a carico dello Stato) per euro 1.095.975 per l’anno 2021 e per euro 7.999.820 a decorrere dall’anno 2022.

Si ricorda che da ultimo l'attribuzione annua di ore di lavoro straordinario è stata elevata a 259.890 ore per l'anno 2019 e a 340.000 ore a decorrere dall'anno 2020. Con oneri pari a 380.000 euro per l'anno 2019 e a 1.910.000 euro annui a decorrere dall'anno 2020 (D.L. 53/2019, art. 8-ter che ha così aumento il monte ore in precedenza fissato dalla L. 246/2000, art. 11).

 

Il comma 4 incrementa il fondo di amministrazione del personale non direttivo e non dirigente del Corpo di euro 693.011 dal 1° gennaio 2020, di euro 3.772.440 dal 1° gennaio 2021 e di euro 13.972.000 a decorrere dal 1° gennaio 2022.

 

La somma – si legge nella relazione illustrativa - è destinata ad una operazione complessiva di razionalizzazione e potenziamento degli istituti retributivi accessori finanziati con il fondo, da attuarsi mediante accordi negoziali volti a valorizzare le funzioni e i compiti d’istituto del personale del Corpo nazionale (quali, ad esempio, la reperibilità e i turni di soccorso).

 

Il comma 5 destina risorse per armonizzare il sistema delle indennità al personale che espleta funzioni specialistiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco con quello del personale delle Forze di Polizia, incrementando quanto già stanziato per la medesima finalità dall’articolo 17-bis, comma 5, del D.Lgs. n. 97 del 2017, come segue:

§  euro 1.161.399 per l’anno 2021 ed euro 3.871.331 a decorrere dall’anno 2022 per il settore aeronavigante;

§  euro 400.153 per l’anno 2021 ed euro 1.333.843 a decorrere dall’anno 2022 per il settore dei sommozzatori;

§  euro 552.576 per l’anno 2021 ed euro 1.841.920 a decorrere dall’anno 2022 per il settore nautico, compreso il personale che svolge servizio antincendi lagunare.

 

Il comma 6 corrisponde al personale appartenente al ruolo dei vigili del fuoco e al ruolo dei capi squadra e dei capi reparto, nonché al personale appartenente alle corrispondenti qualifiche dei ruoli speciali antincendio (AIB) a esaurimento e dei ruoli delle funzioni specialistiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che matura negli anni 2021 e 2022 un’anzianità di effettivo servizio di almeno 32 anni, un assegno una tantum rispettivamente di euro 300 e di euro 400.

 

Personale dirigente e direttivo

I commi 7, 8 e 9 recano interventi di valorizzazione delle retribuzioni del personale dirigente e direttivo.

 

Come riportato dalla relazione illustrativa, per tali categorie di personale è risultato più complesso procedere ad una puntuale armonizzazione con le corrispondenti tipologie del comparto Forze armate/Forze di polizia. Ciò in quanto l’analisi condotta ha denotato l’esistenza di differenze importanti, sia dal punto di vista ordinamentale (nel comparto Forze armate/Forze di polizia per quanto attiene il personale direttivo, come indicato in precedenza, la recente revisione dell’ordinamento ha dato luogo alla “dirigenzializzazione” delle figure direttive apicali), che dal punto di vista della struttura retributiva (per la dirigenza). Pertanto, al fine di raggiungere l’obiettivo di valorizzazione espresso dal Legislatore, si è operato un potenziamento della componente retributiva accessoria di entrambe le categorie.

 

Il comma 7 incrementa il fondo per la retribuzione di rischio e posizione e di risultato del personale dirigente di livello non generale come segue:

§  la quota variabile della retribuzione di rischio e posizione di euro 52.553 dal 1°gennaio 2021 e di euro 363.938 a decorrere dal 1° gennaio 2022;

§  la retribuzione di risultato di euro 23.346 dal 1°gennaio 2021 e di euro 161.675 a decorrere dal 1°gennaio 2022.

 

Il comma 8 incrementa il medesimo fondo del personale dirigente di livello generale per le seguenti misure:

§  la quota variabile della retribuzione di rischio e posizione di euro 14.494 dal 1°gennaio 2021 e di euro 100.371 a decorrere dal 1°gennaio 2022;

§  la retribuzione di risultato di euro 4.659 dal 1°gennaio 2021 e di euro 32.267 a decorrere dal 1°gennaio 2022.

 

Il comma 9 incrementa il fondo di produttività del personale direttivo per l’importo di euro 715.341 per l’anno 2021 e di euro 3.390.243 a decorrere dall’anno 2022.

L’incremento è destinato, previo accordo negoziale di cui all’articolo 230 del D.Lgs. 217/2005, anche al finanziamento della spesa connessa al conferimento delle posizioni organizzative istituite dagli articoli 199 (per il personale appartenente ai ruoli direttivi) e 223 (per il personale del ruolo dei direttivi aggiunti) del medesimo decreto.

 

Si ricorda che in entrambi i casi le posizioni organizzative sono individuate con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per la pubblica amministrazione, al fine di incrementare il livello di funzionalità e di efficienza del Corpo nazionale e di razionalizzare il modello organizzativo delle strutture centrali e periferiche dell'amministrazione dell'interno.

Come indicato nella relazione illustrativa, l’incremento è destinato ad elevare di circa il 30 per cento la media della retribuzione accessoria erogata al personale direttivo che svolge funzioni operative, nonché ad incrementare quella del personale direttivo speciale ad esaurimento e del personale direttivo e direttivo speciale dei ruoli tecnico-professionali.

Altri interventi in materia di trattamento economico

Il comma 10 dispone a decorrere dal 2021 l’assorbimento del beneficio della maggiorazione della indennità di rischio del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco istituita con il D.P.R. 335/1990, art. 64, in virtù dei nuovi importi delle indennità di rischio rideterminati nella Tabella C ai sensi del comma 1 del presente articolo.

 

Il comma 11 prevede la destinazione, per le medesime finalità di cui ai commi 4 (fondi di amministrazione del personale non direttivo e non dirigente), 7 (fondo per la retribuzione di rischio e posizione e di risultato del personale dirigente di livello non generale), 8 (fondo per la retribuzione di rischio e posizione e di risultato del personale dirigente di livello generale) e 9 (fondo di produttività del personale direttivo), ai fondi di incentivazione del personale delle risorse indicate nell’Allegato B come segue.

 

 

Disposizioni finali e finanziarie

Il comma 12 reca una norma di interpretazione autentica che prevede l’applicazione della clausola di salvaguardia retributiva generale di cui al citato articolo 261 del D.Lgs. 217/2005 (vedi sopra comma 2) anche al personale appartenente al gruppo sportivo vigili del fuoco Fiamme rosse e alla banda musicale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco in servizio alla data del 31 dicembre 2017, in occasione degli inquadramenti di cui agli articoli 124 (che ha istituito e articolato i ruoli della banda musicale) e 129 (istituzione e articolazione del ruolo degli atleti del gruppo sportivo vigili del fuoco Fiamme Rosse) del medesimo D.lgs. 217/2005.

Si ricorda che l’articolo 14-sexies del D.Lgs. 97/2017 ha introdotto una speciale clausola di salvaguardia per il personale appartenente al gruppo sportivo e alla banda musicale secondo la quale si applicano e continuano ad applicarsi, laddove più favorevoli, le disposizioni in materia di trattamenti retributivi e previdenziali previsti per il personale del Corpo nazionale che espleta funzioni operative.

Secondo la relazione illustrativa, la disposizione è utile per evitare un potenziale contenzioso.

 

Il comma 13 reca una nuova clausola di salvaguardia retributiva che ricalca quella contenuta nel citato articolo 261 del D.Lgs. 217/2005, prevedendo anche in questo caso la corresponsione di un assegno ad personam riassorbibile in presenza di eventuali trattamenti retributivi sfavorevoli.

 

Il comma 14 provvede alla quantificazione degli oneri introdotti dall’articolo in esame e alla conseguente copertura finanziaria.

I nuovi oneri sono stabiliti in misura pari a:

§  euro 65 milioni per l’anno 2020;

§  euro 120 milioni per l’anno 2021;

§   euro 164,5 milioni a decorrere dall’anno 2022;

Essi sono comprensivi degli oneri indiretti, definiti ai sensi dell’articolo 17, comma 7, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 e pari a:

§  3,161 milioni di euro per l’anno 2020;

§  5,8 milioni di euro per l’anno 2021;

§  7,6 milioni di euro a decorrere dal 2022.

 

La copertura è assicurata facendo ricorso alle risorse stanziate dal Fondo per la valorizzazione del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco ai sensi dell’articolo 1, comma 133, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (legge di bilancio 2019).

 

La disposizione da ultimo citata ha istituito un Fondo - sullo stato di previsione del Ministero dell'interno - finalizzato alla "valorizzazione" del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nella prospettiva di una maggiore armonizzazione del trattamento economico rispetto a quello del personale delle Forze di Polizia. La dotazione prevista per tale Fondo è di 65 milioni per il 2020; 120 milioni per il 2021; 165 milioni a decorrere dal 2022. A fini di parziale copertura (a decorrere dal medesimo anno 2020) sono ridotte di 10 milioni annui le risorse di cui all'articolo 1, comma 1328, primo periodo, della legge n. 296 del 2006 n. 296, iscritte nello stato di previsione del Ministero dell'interno. Il richiamato comma della legge finanziaria 2007 ha disposto - al fine di ridurre il costo a carico dello Stato del servizio antincendi negli aeroporti - un addizionale sui diritti d'imbarco sugli aeromobili (di 50 centesimi di euro a passeggero imbarcato), e che un apposito Fondo, alimentato dalle società aeroportuali in proporzione al traffico generato, concorra (per 30 milioni annui) al medesimo fine (con destinazione al centro di responsabilità «Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile» dello stato di previsione del Ministero dell'interno).

 

Restano nella disponibilità del Fondo 500 mila euro a decorrere dall’anno 2022, che con successivi provvedimenti – si precisa nel comma in esame - potranno essere destinati alla valorizzazione del personale operativo anche attraverso le nuove modalità assunzionali di cui all’articolo 1, comma 138, della legge del 27 dicembre 2019, n. 160. Tale disposizione prevede che nuove modalità assunzionali nella qualifica di vigile del fuoco potranno essere previste facendo ricorso a provvedimenti normativi volti alla valorizzazione del Corpo, utilizzando il citato Fondo istituto presso il Ministero dell’interno.

 

Il comma 15 stabilisce la decorrenza giuridica ed economica delle disposizioni dell’articolo in esame a partire dal 1° gennaio 2020, precisando che, ai fini previdenziali, gli incrementi hanno effetto esclusivamente con riferimento ai periodi contributivi maturati a decorrere dalla medesima data.

 

Infine, il comma 16 autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


Articolo 21
(Responsabilità erariale)

 

 

L'articolo 21 interviene in materia di responsabilità amministrativa-contabile. Oltre a prevedere che per la prova del dolo sia necessaria la dimostrazione della volontà dell'evento dannoso, la disposizione limita con riguardo ai fatti commessi dal 17 luglio 2020 al 31 luglio 2021, la responsabilità per danno erariale conseguente ad azioni del soggetto agente al solo dolo. 

 

Più nel dettaglio la disposizione, al comma 1, modifica l'articolo 1 della legge n. 20 del 1994 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), rubricato "azione di responsabilità".

 

Il comma 1 dell'articolo 1 della legge n. 20 del 1994, nella formulazione vigente prima dell'entrata in vigore del decreto-legge in conversione, sancisce il carattere personale della responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica; limitando la responsabilità ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave, ferma restando l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali.

Il decreto-legge in conversione integra l'articolo 1, comma 1 della legge n. 20 del 1994, precisando che la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell'evento dannoso.

 

In proposito la relazione illustrativa precisa che finalità dell'intervento è quello di considerare “il dolo... riferito all’evento dannoso in chiave penalistica e non in chiave civilistica, come invece risulta da alcuni orientamenti della giurisprudenza contabile che hanno ritenuto raggiunta la prova del dolo inteso come dolo del singolo atto compiuto”.

La volontà del legislatore sembrerebbe quindi quella di escludere ipotesi di dolo che non siano conformi al dettato dell’art. 43 c.p., secondo il quale “Il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione… è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”.

Il dolo in chiave penalistica è quindi, costituito da due componenti:

In accezione civilistica, il dolo è elemento psicologico soggettivo del fatto illecito, disciplinato dall’articolo 2043 del Codice civile: “Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”, nel caso della responsabilità extracontrattuale; dall’articolo 1125, sempre del codice civile, nel caso dell’inadempimento di un’obbligazione: “Se l'inadempimento o il ritardo non dipende da dolo del debitore, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l'obbligazione”. Il codice civile non disegna, quindi, il dolo con elementi costitutivi specifici, quali quelli indicati dall’articolo 43 del codice penale, ma è comunque connesso all’intenzione del soggetto agente di ottenere un risultato in ogni caso illecito, per violazione del principio neminem laedere o per consapevole e voluto inadempimento contrattuale.

E' opportuno sottolineare come sulla scorta dei riflessi che il dolo è capace di proiettare sull’esito del giudizio ( si veda infra sul piano della solidarietà), parte della giurisprudenza contabile ha  ipotizzato addirittura una particolare declinazione della nozione di dolo (c.d. dolo erariale), in cui: “la consapevolezza e volontà dell’azione od dell’omissione contra legem ha riguardo alla violazione delle norme giuridiche che regolando l’esercizio delle funzioni amministrative ed alle sue conseguenze dannose per le risorse finanziarie pubbliche” (Corte dei conti, sez. III, app. 28 settembre 2004 n. 510). La giurisprudenza successiva, nel rinunciare formalmente all’istituzione di una ulteriore e distinta categoria di dolo, ha esplicitamente fatto riferimento in più pronunce proprio al dolo penalistico ex. art. 43 c.p. (Si vedano tra le altre Corte dei conti, sez. III, app. 28 settembre 2004 n. 510; Corte dei conti sez. I, app. 17/05/2010 n. 356). Come sottolinea la su ricordata relazione illustrativa si è affermato a livello giurisprudenziale anche un altro indirizzo che riconosce l'applicabilità nei giudizi di responsabilità amministrativa del dolo contrattuale o civilistico (si vedano Corte dei conti, sez. giur, Sardegna, sentenza n. 294/09, e Corte dei conti, sentenza n. 25271/2008).

 

Il comma 2 dell'articolo 21 limita, con riguardo ai fatti commessi dal 17 luglio 2020 (data di entrata in vigore del decreto-legge) al 31 luglio 2021, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l'azione di responsabilità, ai soli casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente  sia stata compiuta con dolo. Questa limitazione di responsabilità - precisa la disposizione - si applica ai danni cagionati dalle sole condotte attive, mentre nel caso di danni cagionati da omissione o inerzia il soggetto agente continuerà a risponderne sia a titolo di dolo, sia di colpa grave.

 

In proposito come precisa la relazione illustrativa la volontà del legislatore è quella di limitare la responsabilità "al solo profilo del dolo per le azioni e non anche per le omissioni, in modo che i pubblici dipendenti abbiano maggiori rischi di incorrere in responsabilità in caso di non fare (omissioni e inerzie) rispetto al fare, dove la responsabilità viene limitata al dolo la responsabilità al solo profilo del dolo".

 

Si tratta di una norma temporanea ed eccezionale che trova applicazione con riguardo solo ai fatti commessi dalla entrata in vigore del decreto in conversione e fino al 31 luglio 2021 e quindi che non trova applicazione con riguardo ai fatti commessi nelle precedenti fasi della crisi epidemiologia.

 

Più in generale è opportuno ricordare che la responsabilità amministrativo-contabile, che condivide con la responsabilità penale - in via tendenziale- i caratteri della personalità e della intrasmissibilità agli eredi, sul piano generale, può definirsi come la "misura" prevista dall’ordinamento contro chi, legato da un rapporto di servizio con la P.A., arrechi un danno suscettibile di valutazione economica allo Stato o ad altro ente od organismo pubblico, con dolo o colpa grave, in violazione dei suoi doveri di servizio.

Gli elementi di specifica caratterizzazione di tale tipo di responsabilità sono:

·         il rapporto di servizio, che lega l’autore dell’illecito all’amministrazione pubblica che risente della sua negativa condotta;

·         l’evento lesivo, che si sostanzia in un danno patrimoniale (illegittimo sacrificio di un bene economico della P.A.) oppure nella violazione di un bene bene-valore fondamentale della contabilità pubblica;

·         lo stato soggettivo di dolo o almeno di colpa grave che ha sostenuto la condotta di chi ha agito, stante l’irrilevanza della semplice colpa.

 

L’illecito contabile, in particolare, per essere legittimamente imputabile al convenuto deve essergli riferibile a titolo di dolo o colpa grave, essendo irrilevante la mera colpa lieve (si veda Corte cost., sentenza 28 novembre 1998, n. 371), la quale può produrre conseguenze dal punto di vista del diritto civile ed amministrativo (e persino di quello penale ove il reato sia previsto come colposo), ma non di quello contabile civile (si veda fra le tante Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Umbria, sentenza n. 67 del 25 settembre 2019).

Sempre con riguardo specificamente ai titoli di imputazione soggettiva delle condotte (fatti e omissioni) secondo la giurisprudenza prevalente la colpa grave (generalizzata dall’art. 1, comma 1, legge 14 gennaio 1994, n. 20), da accertarsi (ex ante al tempo della condotta e non ex post) non in termini psicologici bensì normativi, consiste nell’errore professionale inescusabile dipendente da una violazione di legge, da intendersi in senso ampio, ovvero fondata su imperizia, negligenza e imprudenza  dovendo la stessa sempre essere riferibile ai compiti, mansioni, funzioni e poteri del convenuto, non potendo, invece, essere dedotta dalla mera posizione di vertice, a meno che questa non implichi la necessità di adottare atti specifici puntualmente indicati dalla Procura regionale (Si vedano fra le altre C. conti, sez. riun., 14 settembre 1982, n. 313; sez. riun., 26 maggio 1987, n. 532; sez. riun., 10 giugno 1997, n. 56; sez. riun., 8 maggio 1991, n. 711).

Con riguardo al dolo (vedi supra) esso consiste nella intenzionalità del comportamento produttivo dell’evento lesivo, vale a dire della consapevole volontà di arrecare un danno ingiusto all’Amministrazione (C. conti, sez. III, 20 febbraio 2004, n. 1447). Il dolo peraltro è un coefficiente soggettivo reale, e non normativo come la colpa grave, che necessita per il suo accertamento di una compiuta analisi delle concrete modalità della condotta posta in essere dal presunto responsabile, così come emergono dal complesso degli elementi di fatto acquisiti al processo e che connotano i parametri di rappresentazione e volizione della condotta stessa (C. dei Conti Sez. II App., 09 marzo 2016, n. 252).

E' opportuno sottolineare inoltre che l’imputazione del fatto a titolo di dolo, anziché di colpa grave, risulta decisivo al fine dell’insorgenza della solidarietà passiva nei casi in cui il fatto dannoso sia stato causato dall’azione di più persone, e dei relativi effetti in tema di atti interruttivi della prescrizione. In particolare il comma 1-quinquies dell'art. 1 della legge n. 20 del 1994 precisa che nel caso di fatto dannoso causato da più persone, i soli concorrenti che abbiano conseguito un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo sono responsabili solidalmente. La presenza del dolo è, tutt’altro che irrilevante, facendo venir meno, infatti, una fondamentale norma attenuatrice della responsabilità, quella dell’esclusione della solidarietà passiva, con i correlati effetti specie in tema di atti interruttivi della prescrizione” (Corte dei conti, sez. III, app. 28 settembre 2004 n. 510).

 


Articolo 22
(Controllo concomitante della Corte dei conti per accelerare gli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale)

 

 

L’articolo 22, comma 1, interviene sulla disciplina dei controlli concomitanti della Corte dei conti, ossia dei controlli che i giudici contabili effettuano sulle gestioni pubbliche statali in corso di svolgimento, introducendo una procedura speciale in caso di accertamento di gravi irregolarità gestionali, ovvero di rilevanti e ingiustificati ritardi nell'erogazione di contributi per la realizzazione dei “principali piani, programmi e progetti relativi agli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale”. In tali casi, il risultato dell’accertamento è immediatamente trasmesso all’amministrazione competente ai fini della responsabilità dirigenziale ai sensi e per gli effetti dell’articolo 21, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

Per l’effettuazione dei controlli, il Consiglio di presidenza della Corte dei conti provvede a individuare gli uffici competenti e ad adottare le misure organizzative conseguenti (comma 2).

 

L’art. 21 del D.Lgs. 165/2001, al comma 1, richiama il mancato raggiungimento degli obiettivi accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione ovvero l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente quali elementi che comportano, previa contestazione e ferma restando l'eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, l'impossibilità di rinnovo dell’incarico dirigenziale.

In relazione alla gravità dei casi, l'amministrazione può inoltre, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, revocare prima della scadenza l'incarico collocando il dirigente a disposizione dei ruoli delle amministrazioni dello Stato ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo.

Al di fuori di tali ipotesi, in caso di colpevole violazione del dovere di vigilanza sul rispetto, da parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard quantitativi e qualitativi fissati dall'amministrazione può essere disposta la decurtazione della retribuzione di risultato di una quota fino all'ottanta per cento (art. 21, comma 1-bis).

I provvedimenti sanzionatori di cui sopra (revoca o mancato rinnovo del contratto e decurtazione salariale), sono adottati sentito il parere del Comitato dei garanti reso entro il termine di 45 giorni dalla richiesta; decorso inutilmente tale termine si prescinde dal parere. Il Comitato è un organismo composto da un consigliere della Corte dei conti e da quattro componenti designati rispettivamente, uno dal Presidente della Commissione di in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, uno dal Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, e due scelti tra dirigenti di uffici dirigenziali generali di cui almeno uno appartenente agli Organismi indipendenti di valutazione (art. 22).

 

La disciplina generale sul controllo concomitante prevede un procedimento più articolato di quello introdotto dall’articolo in esame, consistente in una fase istruttoria da parte della Corte dei conti, anche in contradittorio con l’amministrazione, e la trasmissione di una comunicazione finale al Ministro competente per l’adozione dei provvedimenti conseguenti (vedi ultra).

Di seguito le altre differenze con la disciplina generale:

·        il controllo concomitante sui piani e programmi è effettuata anche a richiesta del Governo, oltre che delle competenti Commissioni parlamentari;

·        la decisione di effettuare il controllo di gestione attualmente è facoltativa, mentre dalla formulazione testuale sembrerebbe che la Corte dei conti sia obbligata al controllo introdotto dall’articolo in esame;

·        la diposizione in esame è finalizzata all’accertamento di gravi irregolarità gestionali e di rilevanti e ingiustificati ritardi nell'erogazione di contributi, relativi alla realizzazione di atti amministrativi (piani, programmi) mentre la disciplina generale sul controllo di gestione ha per oggetto anche le irregolarità riscontrate rispetto a provvedimenti di rango normativo, nazionali e comunitari, e a direttive del Governo;

·        l’oggetto del controllo è circoscritto ai principali piani/programmi relativi a interventi di sostegno e rilancio dell’economia nazionale. Andrebbe in proposito valutata l’opportunità di definire con maggiore determinatezza i piani e programmi oggetto del controllo.

 

 

L’introduzione dei controlli concomitanti è opera della legge n. 15 del 2009 (la c.d. legge “Brunetta”).

L’articolo 11 della legge 15 introduce una nuova forma di controllo, dando la facoltà alla Corte dei conti di effettuare controlli su gestioni pubbliche statali in corso di svolgimento (comma 2). Tale facoltà è estesa anche alle sezioni regionali della Corte medesima, per quanto riguarda le gestioni delle regioni e degli enti locali (comma 3).

Una conferma che si tratti di nuove funzioni viene implicitamente fornita dal comma 9 che reca uno stanziamento ad hoc (5 milioni) per consentire lo svolgimento di tali funzioni.

L’iniziativa di procedere al controllo spetta alla Corte dei conti, anche su richiesta delle competenti Commissioni parlamentari. Nel testo approvato dal Senato (art. 9) prevedeva anche l’iniziativa su richiesta del Consiglio dei ministri, che è stata soppressa nel corso dell’esame della Camera (A.C. 2031).

 

La riforma delle funzioni di controllo della Corte dei Conti realizzata dalla L. 20/1994 si è mossa nella direzione di ridurre i controlli preventivi di legittimità, valorizzando al contempo il controllo sull’attività e sulle gestioni come strumento per la verifica del rispetto dei principi di efficienza, di economicità e di efficacia.

Più in particolare, i tratti fondamentali del modello di controllo prefigurato dalla legge di riforma sono tre. In primo luogo, il controllo preventivo di legittimità è limitato e concentrato sugli atti fondamentali del Governo (e non più su tutti gli atti prodotti dall’amministrazione); in secondo luogo, viene potenziato e generalizzato a tutte le amministrazioni il controllo successivo sulla gestione, da svolgere sulla base di appositi programmi elaborati dalla Corte dei conti, che riferisce al Parlamento nazionale ed ai Consigli regionali sull’esito dei controlli eseguiti.

L’articolo 3, comma 4, prevede che la Corte svolga, anche in corso di esercizio, il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonché sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria, verificando la legittimità e la regolarità delle gestioni, nonché il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione. La Corte, poi, accerta, anche in base all’esito di altri controlli, la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell’azione amministrativa.

La Corte, inoltre, definisce ogni anno i programmi ed i criteri di riferimento del controllo di gestione sulla base delle priorità previamente deliberate dalle competenti Commissioni parlamentari. L’intervento del Parlamento nel procedimento di formazione del programma di controllo di gestione della Corte dei conti è stato introdotto successivamente ad opera della legge finanziaria per il 2007 (art. 1, co. 473).

Ai sensi del comma 6 dell’art. 3 della legge 20, la Corte dei conti riferisce, almeno annualmente, al Parlamento ed ai consigli regionali sull’esito dei controlli eseguiti.

 

L’innovazione apportata dalla introduzione dei controlli concomitanti riguarda sia l’oggetto del controllo, sia il suo contenuto.

Per quanto riguarda l’oggetto del controllo, mentre la normativa previgente prevedeva essenzialmente il controllo sulla gestione del bilancio e del patrimonio, la norma si riferisce più in generale a tutta l’attività gestoria delle amministrazioni pubbliche, anche quella che non ha ricadute immediate sul bilancio o sul patrimonio.

In relazione ai contenuti del controllo, il riferimento alle gestioni in corso di svolgimento fa presupporre che la Corte debba valutare l’adeguatezza della gestione in funzione degli obiettivi prestabiliti prima che questi si realizzino o che si compiano i termini stabiliti per la loro realizzazione. In altre parole alla Corte verrebbe affidato, oltre al controllo sui risultati finali della gestione, anche il controllo degli atti e delle attività predisposti dalle amministrazioni per il perseguimento degli obiettivi loro assegnati volti al conseguimento di quei risultati.

Inoltre, viene introdotta una dettagliata procedura relativa alle conseguenze della nuova forma di controllo.

La normativa previgente prevedeva come unici esiti del controllo di gestione il referto sui controlli eseguiti che la Corte invia annualmente al Parlamento, ai Consigli regionali e alle amministrazioni interessate e le osservazioni che sempre la Corte può inviare in ogni momento alle singole amministrazioni (art. 6, comma. 3, L. 20/1994 sopra citata).

L’esito del controllo in corso di gestione è diverso a seconda se le violazioni riscontrate riguardano obblighi posti da provvedimenti di rango normativo o di altro tipo (piani, programmi ecc.).

Una prima fattispecie considera i casi più gravi in cui le irregolarità sono tali da pregiudicare il conseguimento degli obiettivi previsti da norme nazionali o comunitarie o da direttive governative: in questi casi la Corte qualora accerti “gravi irregolarità gestionali” o “gravi deviazioni da obiettivi, procedure o tempi di attuazione” è tenuta ad individuarne le cause, anche in contraddittorio con l’amministrazione e provvede darne comunicazione al ministro competente. La comunicazione assume la forma di decreto del Presidente della Corte, emanato su proposta della sezione competente e opportunamente motivato.

Una volta raggiunto dalla comunicazione della Corte il ministro interessato può decidere di intervenire disponendo la sospensione dell’impegno di somme stanziate sui relativi capitoli di spesa. Il provvedimento di sospensione è adottato con decreto ministeriale che viene comunicato al Parlamento e alla presidenza della Corte dei conti.

Nulla viene previsto riguardo alla durata della sospensione, né alla destinazione delle somme eventualmente non impegnate.

La seconda fattispecie riguarda il riscontro di “rilevanti ritardi” nella realizzazione di piani e programmi, o nell’erogazione di contributi, o nel trasferimento di fondi. Anche in questi casi la procedura da seguire è analoga a quella prevista per le irregolarità riscontrate nell’attuazione di programmi previsti da provvedimenti normativi: individuazione delle cause in contraddittorio con l’amministrazione e comunicazione al ministro con decreto motivato del Presidente della Corte. Diversi sono invece gli esiti possibili. La proposta prevede due possibilità: il Ministro può adottare, entro 60 giorni (termine che può essere sospeso per il tempo necessario) i provvedimenti idonei a rimuovere gli impedimenti e, contemporaneamente, può decidere anche di sospendere il termine stesso; in alternativa il ministro può scegliere di non ottemperare ai rilievi sollevati dalla Corte e in tal caso è tenuto a comunicarne le ragioni al Parlamento e alla corte stessa.

Il comma 3 ha esteso la nuova forma di controllo in corso di gestione prevista per le amministrazioni statali, anche alle amministrazioni regionali e locali. La funzione di controllo spetta in questo caso alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, previo concerto con il Presidente della Corte. L’oggetto del controllo e le procedure sono analoghe a quelle viste sopra con la differenza che le funzioni del ministro competente si intendono attribuite ai “rispettivi organi di governo” e le comunicazioni non sono rese al Parlamento, bensì alle rispettive assemblee elettive (consigli regionali, provinciali e comunali).

 

Ai sensi del comma 2 dell’articolo in esame, il Consiglio di presidenza della Corte dei conti, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto in esame, provvede a individuare gli uffici competenti e ad adottare le misure organizzative per l’attuazione dei controlli previsti dal comma 1 senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e nell’ambito della vigente dotazione organica del personale amministrativo e della magistratura contabile.

 

Si ricorda che la Corte di conti è dotata di una ampia autonomia finanziaria e organizzativa, quale strumento di indipendenza dell’organo: la Corte stabilisce con proprio regolamento le norme relative all’organizzazione, il funzionamento, la struttura dei bilanci e la gestione delle spese (art. 4, comma 1, L. 20/1994). Inoltre, la Corte, in analogia con tutti gli organi costituzionali, provvede autonomamente alla gestione delle spese il cui stanziamento è iscritto in unico capitolo del bilancio dello Stato allocato nello stato di previsione del Ministero dell’economia. La Corte provvede a redigere il bilancio consuntivo e il rendiconto che trasmette ai Presidenti delle Camere ed è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.


Articolo 23
(Modifiche all’articolo 323 del codice penale)

 

 

L’articolo 23 modifica la disciplina del delitto di abuso di ufficio per circoscrivere l’ambito di applicazione della fattispecie. Per determinare l’illiceità della condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, nello svolgimento delle sue funzioni, viene infatti attribuita rilevanza non più alla violazione di norme di legge o di regolamento, bensì alla violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge, dalle quali  non residuino margini di discrezionalità per il soggetto agente.

 

L’articolo 23 interviene sul codice penale (art.323) per modificare la disciplina del delitto di abuso di ufficio, con riferimento all’elemento oggettivo della fattispecie, ossia alla tipologia di violazioni - da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle sue funzioni - che determina l’integrazione del delitto stesso.

 

 

Normativa vigente

D.L: n. 76 del 2020

Codice penale

Libro II – Dei delitti

Titolo II

Dei delitti contro la pubblica amministrazione

Identico

Capo I

Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione

Identico

(Omissis)

 

 

 

Articolo 323

 

Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni .

 

 

 

 

La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità .

Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

 

La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità .

 

 

Come è noto, la condotta delineata dall’art. 323 c.p. - nella formulazione vigente prima dell’entrata in vigore del decreto legge in esame - consiste nel compimento di un’azione, inerente alla funzione o al servizio svolto, posta in essere in violazione di leggi o regolamenti, oltre che nell’inosservanza di obblighi di astensione tipizzati dalla stessa fattispecie penale o da altre fonti normative.

Per la realizzazione del delitto la norma richiede inoltre la configurazione di due eventi alternativi: un ingiusto vantaggio patrimoniale, che il pubblico agente procura a sé o ad altri, oppure un danno ingiusto arrecato a qualcuno. È inoltre necessario che l’autore si rappresenti e voglia la condotta e gli eventi sopracitati nella forma del dolo intenzionale.

Con le modifiche apportate dal decreto legge, l’ambito oggettivo di applicazione della fattispecie è circoscritto in quanto:

·        non sono più sanzionati sul piano penale comportamenti in trasgressione di misure regolamentari, ma solo di “specifiche regole di condotta” previste da norma di rango primario (legge o atto avente forza di legge)

·        ulteriore condizione per la configurazione del delitto è che le regole di condotta violate non contemplino margini di discrezionalità in sede applicativa.

 

Vincolando l’abuso penalmente rilevante alla violazione di specifiche ed espresse regole di condotta la riforma mira dunque a ridurre l’area applicativa dell’incriminazione, escludendo che la violazione di principi generali possa integrare il delitto. Inoltre non integrerà l’abuso d’ufficio penalmente rilevante la violazione di una specifica ed espressa regola di condotta, caratterizzata però da margini di discrezionalità.

In proposito la relazione illustrativa precisa che finalità dell'intervento è quello di “definire in maniera più compiuta la condotta rilevante ai fini del reato di abuso di ufficio”.

Come è noto, la fattispecie dell’abuso d’ufficio è stata riformulata con la legge 16 luglio 1997, n. 234, con l’intento, da un lato, di ovviare alla genericità della figura previgente (che faceva riferimento al pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che “abusa del suo ufficio”) dall’altro lato al fine di limitare il più possibile la facoltà del giudice penale di introdursi con il suo sindacato nei settori riservati istituzionalmente all’attività discrezionale della pubblica amministrazione.

Le prime decisioni della Cassazione, successive alla riforma dell’art. 323 c.p., hanno ritenuto che il delitto in questione non potesse configurarsi se non in presenza di una violazione di norma di legge o di regolamento (ovvero di una omissione del dovere di astenersi ricorrendo un interesse proprio dell'agente o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti). E ciò perché è «stata espunta dall'area della rilevanza penale ogni ipotesi di abuso di poteri o di funzioni non concretantesi nella formale violazione di norme legislative o regolamentari o del dovere di astensione»; tanto che, si concludeva, «non è più consentito al giudice penale entrare nell'ambito della discrezionalità amministrativa, che il legislatore ha ritenuto, anche per esigenze di certezza del precetto penale, di sottrarre a tale sindacato» (così Cass. pen., Sez. VI, sent. 10 novembre 1997, n. 1163). Altre pronunce immediatamente successive alla riforma si erano invece occupate di definire più precisamente la nozione di violazione di norme di legge o di regolamento. A questo riguardo si affermava che, da un lato, è necessario che «la norma violata non sia genericamente strumentale alla regolarità dell’attività amministrativa, ma vieti puntualmente il comportamento sostanziale del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio». Dall’altro lato, si richiedeva che «l’agente violi leggi e regolamenti che di questi atti abbiano i caratteri formali ed il regime giuridico, non essendo sufficiente un qualunque contenuto materialmente normativo della disposizione trasgredita» (Cass. pen., Sez. II, sent. 4 dicembre 1997, n. 877).

È noto tuttavia che nella definizione della legittimità oggettiva della condotta ossia della relazione intercorrente tra illiceità penale e discrezionalità amministrativa, la giurisprudenza sia, in modo sempre più frequente, passata dal controllo di legalità oggettivo, fondato cioè sulla formale difformità dell’atto dai presupposti di ordinamento, ad un accertamento di carattere “soggettivo”, basato sui motivi che avrebbero guidato l’agente pubblico nella propria attività funzionale.

La Corte di cassazione ha infatti ammesso che il vaglio del giudice penale possa riguardare anche il profilo finalistico e che, pertanto, sia da ricondurre alla locuzione “violazione di legge” anche lo sviamento dal fine. Dunque l’abuso d'ufficio sarebbe configurabile, non solo quando la condotta si pone in contrasto con una norma di legge o di regolamento, ma anche quando la stessa contraddica lo specifico fine perseguito dalla norma, concretandosi così in uno svolgimento della funzione o del servizio che oltrepassa ogni possibile scelta discrezionale attribuita al pubblico ufficiale per realizzare tale fine (Cass. pen., Sez. V, sent. 16 giugno 2010, n. 35501).

L’espressione “violazione di norme di legge o di regolamento” comprenderebbe allora anche quelle condotte, che sono formalmente legittime, ma tuttavia sono dirette alla realizzazione di un interesse confliggente con quello per il quale il potere è conferito. ( Cass. pen., Sez. Un., sent. 29 settembre 2011, n. 155), ed in particolare: «ai fini della configurabilità del reato di abuso d'ufficio, sussiste il requisito della violazione di legge non solo quando la condotta del pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che regolano l'esercizio del potere, ma anche quando la stessa risulti orientata alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito, realizzandosi in tale ipotesi il vizio dello sviamento di potere, che integra la violazione di legge poiché lo stesso non viene esercitato secondo lo schema normativo che ne legittima l'attribuzione». Le Sezioni unite considerano quindi in senso “estensivo” l’elemento di fattispecie delittuosa assumendolo integrato non solo rispetto all’ ipotesi di violazione di una specifica violazione di legge, ma anche nel caso in cui sia accertato che la condotta sia stata diretta «alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è conferito». Con riguardo all’interesse perseguito dal pubblico agente secondo le SU dovrebbe risultare in contrasto con lo scopo della legge attributiva del potere: la condotta viene considerata rilevante nell’unico caso in cui sia indirizzata alla “sola” realizzazione di un interesse privatistico. Nello stesso senso C.,Sez. VI Sent., 13/04/2018, n. 19519, che specifica che la violazione di legge cui fa riferimento l'art. 323 c.p. riguarda non solo la condotta del pubblico ufficiale in contrasto con le norme che regolano l'esercizio del potere, ma anche quelle che siano dirette alla realizzazione di un interesse collidente con quello per quale il potere è conferito, ponendo in essere un vero e proprio sviamento della funzione.

Vi sono inoltre decisioni che hanno attribuito al principio di imparzialità ex art. 97 Cost. una valenza prescrittiva, dalla quale ricavare vere e proprie regole di comportamento, deducendo quindi l’idoneità di tale principio ad integrare il concetto di violazione di norme di legge di cui all’art. 323 c.p. ( Cass. pen., Sez. VI, sent. 12 febbraio 2011, n. 27453 dove si legge che «in tema di abuso d'ufficio, il requisito della violazione di norme di legge può essere integrato anche solo dall'inosservanza del principio costituzionale di imparzialità della p.a., per la parte in cui esprime il divieto di ingiustificate preferenze o di favoritismi che impone al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio una precisa regola di comportamento di immediata applicazione». (Nello stesso senso anche: C., Sez. II, sent. 10 giugno 2008, n. 35048; C., Sez. VI Sent., 12.06.2018, n. 49549; C., Sez. VI, 17.2.2011, n. 27453; C., Sez. VI, 20.1.2009, n. 9862; C., Sez. II, 10.6.2008, n. 35048; C., Sez. VI, 12.2.2008, n. 25162).

Ancora, il requisito della violazione di legge è stato riconosciuto  (C. Sez. VI Sent., 11/12/2018, n. 1742) nel caso dell'adozione di un atto formalmente qualificato come di indirizzo politico, ma in concreto avente un contenuto dettagliato e specifico, direttamente eseguibile da parte dei funzionari amministrativi (si trattava di una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile il reato di abuso d'ufficio in relazione ad una delibera di giunta comunale, avente natura di atto endoprocedimentale, con la quale illegittimamente si autorizzava il conferimento di un incarico esterno per lo svolgimento di servizi dell'ente, indicandosi che la selezione avvenisse sulla base di requisiti professionali predeterminati in modo da garantirne il conferimento al soggetto che si intendeva favorire).

Tuttavia si segnala che la Suprema corte (Cass. pen. Sez. V Sent. 13/11/2019, n. 49485) ha, recentemente, ritenuto riscontrabile la violazione di legge in tutte le ipotesi di contrasto tra il provvedimento e le disposizioni normative contenute in fonti di rango primario o secondario che definiscono i profili vincolati, formali o sostanziali, del potere e non, invece, l'eccesso di potere, sotto forma dello sviamento, che ricorre quando, nei provvedimenti discrezionali, il potere viene esercitato per un fine diverso da quello per cui è attribuito.

 

 

 


Articolo 24
(Identità digitale, domicilio digitale, accesso ai servizi digitali)

 

 

L'articolo 24 reca un insieme molteplice di disposizioni, su più materie e profili come: l'estensione dell'ambito del diritto di accesso digitale; il domicilio digitale (per il caso di sua inattività o non disponibilità per l'utente, e in tali casi le comunicazioni circa la copia analogica dei documenti); gli indici nazionali dei domicili digitali, altresì con previsione di un divieto di comunicazioni commerciali, se sprovviste di autorizzazione del titolare del domicilio digitale lì raccolto; sistema pubblico di identità digitale (SPID) e carta d'identità elettronica; identità digitale, quanto a verifica ed effetti; gestori dell'identità digitale accreditati.

Prevede che le amministrazioni pubbliche dal 28 febbraio 2021 utilizzino esclusivamente le identità digitali e la carta di identità elettronica, ai fini dell'identificazione dei cittadini che accedano ai propri servizi on-line.

Inoltre, le pubbliche amministrazioni hanno l'obbligo di rendere fruibili i propri servizi in rete tramite applicazione su dispositivi mobili attraverso il punto di accesso telematico (il riferimento è all'applicazione IO). A tale fine, le amministrazioni sono tenute ad avviare i correlativi progetti di trasformazione digitale - onde attuare la fruibilità dei loro servizi su dispositivi mobili - entro il 28 febbraio 2021.

Medesimo termine è prescelto quale momento di decorrenza (così differito rispetto a quello previgente) dell'obbligo per i prestatori di servizi di pagamento abilitati di utilizzare esclusivamente la piattaforma PagoPA, per i pagamenti verso le pubbliche amministrazioni.

E ancora da quel termine (28 febbraio 2021) è posto per le amministrazioni il divieto di rilasciare o rinnovare credenziali per l'identificazione e l'accesso dei cittadini ai propri servizi in rete, diverse da SPID, carta d'identità elettronica o carta nazionale dei servizi.

Infine, viene posta specifica previsione circa il rinnovo anticipato per le carte d'identità elettroniche.

 

Con questo articolo si apre il titolo III del decreto-legge, mirante al sostegno e alla diffusione dell'amministrazione digitale - e di questo il capo I, che tratta di cittadinanza digitale ed accesso ai servizi digitali della pubblica amministrazione.

Le disposizioni sono redatte, in ampia misura, come novelle al decreto legislativo n. 82 del 2005 recante il Codice dell'amministrazione digitale.

È inciso, di questo, intanto l'articolo 3-bis, relativo all'identità digitale e al domicilio digitale.

Il suo comma 01 tratta del diritto di accedere ai servizi in rete della pubblica amministrazione, da parte di cittadini e imprese.

Nel dettato previgente rispetto al decreto-legge, si faceva riferimento ai servizi resi dalle amministrazioni pubbliche e dai gestori di servizi pubblici (mediante rinvio all'articolo 2, comma 2, lettere a) e b) del Codice).

Ora tale rinvio viene soppresso, talché implicitamente vengono ricompresi i servizi resi anche dalle società a controllo pubblico (se non quotate in borsa), ossia i soggetti di cui all'articolo, comma 2, lettera c) del Codice.

Ancora l'articolo 3-bis nel testo previgente menzionava un diritto di accesso digitale dell'utente, mediante la sua identità digitale.

La novella aggiunge la menzione altresì del punto di accesso telematico ai servizi della pubblica amministrazione (di cui all'articolo 64-bis del Codice).

Si tratta, in altri termini, dell'applicazione IO, che consente di accedere anche da smartphone a comunicazioni delle pubbliche amministrazioni e di effettuar loro pagamenti con tale modalità.

In breve, per questa parte la rivisitazione dell'articolo 3-bis porta ad estendere il raggio d'azione del diritto di accesso digitale lì formulato.

 

Sono novellati anche altri commi, di quel medesimo articolo 3-bis del Codice.

Questo prevede - per le amministrazioni pubbliche tutte, per i professionisti tenuti all'iscrizione in albi ed elenchi, per i soggetti tenuti all'iscrizione nel registro delle imprese - l'obbligo di dotarsi di un domicilio digitale.

Chiunque ha facoltà di eleggere il proprio domicilio digitale, da iscrivere in un indice nazionale che ne serbi l'elenco.

E un cittadino privato (il quale non sia professionista iscritto in un albo né imprenditore iscritto nel registro delle imprese) ha facoltà di richiedere la cancellazione del proprio domicilio digitale dall'elenco che costituisce l'indice nazionale dei domicili digitali (delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato). Così il comma 1-bis del citato articolo 3-bis, quale previgente.

Ebbene, la novella sostituisce, a quest'ultima previsione, altra, volta a disciplinare il caso di domicilio digitale non più attivo.

Essa dispone che si proceda alla cancellazione d'ufficio (dall'indice-elenco) del domicilio digitale inattivo, secondo modalità fissate in Linee guida stabilite dall'Agenzia per l'Italia digitale (AgID).

Le medesime Linee guida definiscono le modalità di gestione e di aggiornamento dell'indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato diversi da professionisti o imprenditori, anche nei casi di decesso del titolare del domicilio digitale eletto o di impossibilità sopravvenuta di avvalersi del domicilio. Così la novella al comma 1-quater (il quale tratta dell'obbligo di fare un uso diligente del proprio domicilio digitale).

Ancora dell'articolo 3-bis del Codice, è novellato il comma 3-bis, il quale demanda a decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato preposto alla materia (sentiti l'AgID e il Garante per la protezione dei dati personali e acquisito il parere della Conferenza unificata) di stabilire la data a decorrere dalla quale avvengano esclusivamente in forma elettronica le comunicazioni tra le pubbliche amministrazioni e coloro che non abbiano provveduto a eleggere un domicilio digitale.

Con lo stesso decreto sono determinate le modalità con le quali ai predetti soggetti possa essere reso disponibile un domicilio digitale. E sono individuate altre modalità con le quali, per superare il divario digitale, i documenti possano essere consegnati a coloro che non abbiano accesso ad un domicilio digitale.

La novella incide su questa 'clausola di garanzia' per i non domiciliati digitali, sì da ricomprendervi (oltre alla consegna) anche la messa a disposizione dei documenti.

In tale ambito muove anche la modifica del comma 4-bis (ancora entro l'articolo 3-bis del Codice).

Esso prevede che fino alla data da cui è stabilito decorra l'esclusività in forma elettronica delle comunicazioni tra le pubbliche amministrazioni e i non domiciliati digitali, le amministrazioni pubbliche possano predispor loro comunicazioni come documenti informatici sottoscritti con firma digitale o firma elettronica qualificata o avanzata, da conservare nei propri archivi, ed inviar loro, per posta ordinaria o raccomandata con avviso di ricevimento, copia analogica di tali documenti (sottoscritti con firma autografa sostituita a mezzo stampa, predisposta secondo le disposizioni di cui al decreto legislativo n. 39 del 1993 - "Norme in materia di sistemi informativi automatizzati delle amministrazioni pubbliche" - all'articolo 3, che prescrive l'indicazione della fonte e del soggetto responsabile).

Rispetto a tale previgente dettato, la novella reca una duplice modificazione.

Da un lato, estende l'ambito di applicazione della 'clausola di garanzia' al caso - oltre che di assenza di domicilio digitale, come già previsto - di sua non attività, non funzionamento o non raggiungibilità.

Dall'altro, amplia lo spettro della comunicazione ai cittadini non raggiungibili su domicilio digitale, prevedendo - oltre all'invio di copia analogica, come già previsto - la trasmissione di un avviso con le indicazioni delle modalità con le quali i documenti informatici siano messi a disposizione e consegnati al destinatario.

Infine la novella al comma 4-quinquies (ancora dell'articolo 3-bis) mira a rendere solo transitoria - fino all’adozione delle Linee guida dell'AgID sulle modalità di elezione del domicilio digitale nonché la realizzazione dell'indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato, non tenuti all'iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese - la facoltà di elezione di un domicilio speciale, diverso da quello digitale prescelto.

Si ricorda al riguardo che l'articolo 3-bis, comma 4-quinquies prevede che il domicilio speciale per determinati atti o affari (ai sensi dell'articolo 47 del Codice civile) possa essere eletto anche presso un domicilio digitale diverso da quello di cui al comma 1-ter (di cui si è fin qui discorso). In tal caso, ferma restando la validità ai fini delle comunicazioni elettroniche aventi valore legale, colui che lo abbia eletto non può opporre eccezioni relative alla forma e alla data della spedizione e del ricevimento delle comunicazioni o notificazioni ivi indirizzate.

 

Altra novella incide sull'articolo 6-bis del Codice, sì da ricomprendere nell'indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti anche i domicili digitali dei professionisti diversi da quelli (cui l'articolo 6-bis circoscrive l'indice) presenti presso il registro delle imprese o gli ordini e collegi professionali.

L'inclusione ora consentita permane condizionata al fatto che siano domicili comunque iscritti in elenchi o registri detenuti dalle pubbliche amministrazioni e istituiti con legge dello Stato.

Correlativamente si viene a prevedere che anche le pubbliche amministrazioni (al pari degli ordini e collegi professionali) debbano comunicare all'indice nazionale gli indirizzi di propria competenza, relativi ai professionisti.

La relazione del disegno di legge di conversione specifica come la nuova disposizione possa valere, ad esempio, per i professionisti abilitati all'assistenza tecnica innanzi alle Commissioni tributarie, i quali non sono iscritti in albi o elenchi tenuti da ordini o collegi professionali (talché, in assenza della nuova previsione, essi dovrebbero eleggere un domicilio digitale nell'elenco, altro, delle persone fisiche).

L'elenco di tali soggetti è tenuto, si ricorda, dal Dipartimento delle finanze, Direzione della giustizia tributaria, del Ministero dell'economia e delle finanze (ed i requisiti di iscrizione sono oggetto del regolamento di quel dicastero, decreto ministeriale 5 agosto 2019, n. 106).

 

Le novelle incidenti sull'articolo 6-quater del Codice - e dunque relative all'indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato, non tenuti all'iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese - inseriscono nell'intestazione dell'articolo i professionisti, non tenuti ad iscriversi in albi o - come si aggiunge - in elenchi o registri.

Ferma la loro 'confluenza' comunque entro tale indice nazionale, la facoltà di eleggere un domicilio digitale professionale e un domicilio digitale personale diversi tra loro, è fatta salva - per il professionista non iscritto in albi, registri o elenchi professionali. 

 

Altresì modificato è l'articolo 6-quinquies del Codice.

Esso prevede che la consultazione on line dell'indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti, dell'indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi, dell'indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche, sia consentita a chiunque senza necessità di autenticazione (e gli elenchi sono realizzati in formato aperto).

Dispone però - al comma 3, nel testo previgente - che in assenza di preventiva autorizzazione del titolare dell'indirizzo, sia vietato l'utilizzo dei domicili digitali "per finalità diverse dall'invio di comunicazioni aventi valore legale o comunque connesse al conseguimento di finalità istituzionali" delle pubbliche amministrazioni.

Tale formulazione è sostituita ora da altra, intesa a scandire il divieto (in assenza dell'autorizzazione del titolare del domicilio digitale) di invio di comunicazioni commerciali.

La previsione, volta a contrastare il fenomeno dell'invio di comunicazioni indesiderate, assume così come suo 'target' le comunicazioni commerciali, disponendo in modo tale che il divieto dell'uso del domicilio digitale senza il preventivo consenso del destinatario si riferisca a qualsivoglia mittente.

Il divieto attiene appunto all'invio, senza il consenso dei destinatari, di comunicazioni commerciali ossia di tutte le forme di comunicazione destinate, in modo diretto o indiretto, a promuovere beni, servizi o l'immagine di un'impresa, di un'organizzazione o di un soggetto che eserciti un'attività agricola, commerciale, industriale, artigianale o una libera professione.

Tale è la definizione che delle comunicazioni commerciali dà l'articolo 2, comma 1, lettera f), del decreto legislativo n. 70 del 2003 ("Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico").

In materia valgono beninteso le disposizioni di tutela altresì presenti nel Codice della privacy (decreto legislativo n. 196 del 2003: cfr. suoi articoli 23-24 e 130) e in taluni casi nel Codice del consumo (decreto legislativo n. 206 del 2005: cfr. suo articolo 26).

Le sanzioni avverso comunicazioni commerciali non sollecitate sono disciplinate dal medesimo decreto legislativo n. 70 del 2003 (all'articolo 21) nonché, a livello di fonti dell'Unione europea, dal Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati n. 2016/679.

 

Altro articolo del Codice dell'amministrazione digitale inciso da una serie di novelle è l'articolo 64, avente ad oggetto il cd. SPID (Sistema pubblico per la gestione delle identità digitali e modalità di accesso ai servizi erogati in rete dalle pubbliche amministrazioni).

Il sistema SPID è costituito come insieme aperto di soggetti pubblici e privati che, previo accreditamento da parte dell'AgID, identificano gli utenti per consentire loro l'accesso ai servizi in rete - nonché per consentire loro il compimento di attività, viene a prevedere una prima novella.

L'accesso ai servizi in rete erogati dalle pubbliche amministrazioni che richiedono identificazione informatica, avviene tramite SPID - nonché tramite carta d'identità elettronica, aggiunge altra novella, tesa dunque a valorizzare quest'ultimo strumento digitale.

È altresì riconosciuta ai soggetti privati la facoltà di avvalersi del sistema SPID per la gestione dell'identità digitale dei propri utenti - nonché la facoltà di avvalersi della carta d'identità elettronica, aggiunge ulteriore novella.

L'adesione al sistema SPID per la verifica dell'accesso ai propri servizi erogati in rete per i quali sia richiesto il riconoscimento dell'utente, esonera i soggetti privati da un obbligo generale di sorveglianza delle attività sui propri siti. Medesimo effetto esonerante - aggiunge altra novella - ha l'utilizzo della carta elettronica digitale.

Sono tutte novelle tese ad equiparare allo SPID la carta d'identità elettronica, distogliendola dalla 'residualità' in cui, in qualche sorta, la poneva la previsione del comma 2-nonies di questo medesimo articolo 64 del Codice, il quale viene infatti novellato, onde espungervi la menzione della carta d'identità elettronica. Talché nella nuova stesura esso prevede che l'accesso ai servizi in rete erogati dalle pubbliche amministrazioni che richiedano identificazione informatica "può avvenire anche" con la carta nazionale dei servizi.  Si intende che gli strumenti principe di accesso siano, e con pari valenza, lo SPID o la carta d'identità elettronica.

Altra novella, consegnata ad un aggiuntivo comma 2-undecies ancora di questo articolo 64 del Codice, concerne i gestori dell'identità digitale accreditati.

O più esattamente, concerne la loro iscrizione in un apposito elenco pubblico - che si viene ora a prevedere con norma espressa.

Tale elenco è tenuto da AgID e consultabile anche in via telematica.

Un novello comma 2-duodecies concerne l'identità digitale, per un duplice profilo: suoi effetti, se verificata; suo contenuto, quanto ad elementi attestati.

La verifica dell'identità digitale deve avvenire con livello di garanzia almeno "significativo" (secondo la previsione dell'articolo 8, paragrafo 2, del Regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento e del Consiglio europeo del 23 luglio 2014, in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari nelle transazioni elettroniche nel mercato interno; in quell'articolo 8 si 'graduano' i livelli di garanzia in basso, significativo, elevato).

Ebbene, se così verificata, l'identità digitale produce, nelle transazioni elettroniche o per l’accesso ai servizi in rete, gli effetti del documento di riconoscimento equipollente.

È l'articolo 35 ("Documenti di identità e di riconoscimento") del d.P.R. n. 445 del 2000 ("Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa") a prevedere che in tutti i casi in cui sia richiesto un documento di identità, esso può sempre essere sostituito dal documento di riconoscimento equipollente. E sono equipollenti alla carta di identità: il passaporto, la patente di guida, la patente nautica, il libretto di pensione, il patentino di abilitazione alla conduzione di impianti termici, il porto d'armi, le tessere di riconoscimento (purché munite di fotografia e di timbro o di altra segnatura equivalente), rilasciate da un'amministrazione dello Stato.

In tale trama di equipollenze si inserisce la identità digitale (purché verificata con livello di garanzia almeno significativo). L'intento della previsione è una contrazione di oneri amministrativi per gli utenti, finora chiamati, sovente, a trasmettere copia del documento d'identità nell'accedere a servizi in rete della pubblica amministrazione.

Quanto al profilo 'contenutistico', l'identità digitale - prosegue la novella - 

attesta gli attributi qualificati dell'utente, ivi compresi i dati relativi al possesso di abilitazioni o autorizzazioni richieste dalla legge ovvero stati, qualità personali e fatti contenuti in albi, elenchi o registri pubblici o comunque accertati da soggetti titolari di funzioni pubbliche.

Ulteriori modalità applicative sono demandate a Linee guida approntate da AgID.

 

Assai rilevante, per l'impatto quanto a conseguenze 'pratiche' per gli utenti, è la novella incidente sul comma 3-bis ancora di questo articolo 64 del Codice.

Essa prevede che le amministrazioni pubbliche (quelle enumerate dall'articolo 2, comma 2, lettera a) del Codice) dal 28 febbraio 2021 utilizzino esclusivamente le identità digitali e la carta di identità elettronica, ai fini dell'identificazione dei cittadini che accedano ai propri servizi on-line.

Quanto alla data a decorrere dalla quale quelle medesime amministrazioni utilizzino esclusivamente quegli strumenti per l'accesso ai propri servizi da parte delle imprese e dei professionisti, la sua determinazione è demandata a decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione.

Con la medesima tipologia di atto è previsto sia determinata altresì la data di decorrenza dell'utilizzo esclusivo di quegli strumenti (si è ricordato, identità digitali e carta d'identità elettronica) per l'accesso ai servizi resi da: gestori di servizi pubblici; società a controllo pubblico (ossia i soggetti enumerati dall'articolo 2, comma 2, lettere rispettivamente b) e c) del Codice).

 

Le novelle che incidono sull'articolo 64-bis - relativo all'accesso telematico ai servizi della pubblica amministrazione - del Codice di fatto concernono la applicazione Io, già sopra ricordata.

Si viene a prevedere (mediante l'introduzione di un novello comma 1-ter) che le amministrazioni pubbliche (i soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, lettera a) del Codice: dunque non anche i gestori di servizi pubblici o le società a controllo pubblico, di cui alle lettere b) e c) di quel medesimo comma 2) abbiano l'obbligo di rendere fruibili i propri servizi in rete tramite applicazione su dispositivi mobili anche attraverso il punto di accesso telematico.

Possono esentare da tale obbligo solo impedimenti di natura tecnologica, i quali debbono essere attestati dalla società di cui all’articolo 8, comma 2 del decreto-legge n. 135 del 2018.

Si tratta della società gestrice della piattaforma tecnologica per l'interconnessione per i pagamenti elettronici, la quale ha assunto il nome "PagoPA".

Essa è una delle infrastrutture abilitanti previste dal Piano Triennale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione (altre sono: Sistema Pubblico di Identità Digitale; Carta d'Identità Elettronica; Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente); è mirata a che cittadini ed imprese effettuino i pagamenti verso pubbliche amministrazioni e gestori di servizi di pubblica utilità, tramite un sistema unitario ed avvalendosi del maggior numero possibile di canali di pagamento (non configura un mero sistema di pagamenti on line, potendo integrare al suo interno modalità tradizionali di pagamento attraverso un canale unico per la condivisione di modalità di incasso, rendicontazione e gestione delle ricevute).

Le amministrazioni pubbliche (quelle sopra ricordate) hanno dunque l'obbligo di rendere fruibili tutti i loro servizi anche in modalità digitale - e salvo impedimenti, tale fruibilità deve essere pertanto assicurata mediante la applicazione su dispositivi mobili.

Le amministrazioni hanno obbligo di "avviare" i progetti di trasformazione digitale, onde attuare la fruibilità dei loro servizi su dispositivi mobili, entro il 28 febbraio 2021.

La violazione delle disposizioni così dettate comporta una valutazione negativa della performance dirigenziale (non già responsabilità dirigenziale e disciplinare ai sensi degli articoli 21 e 55 del decreto legislativo n. 165 del 2001), con la conseguente 'sanzione' di una riduzione non inferiore al 30 per cento della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale.

Si aggiunge il divieto di attribuire premi o incentivi nelle medesime strutture.  

Si tratta di previsione 'sanzionatoria', analoga a quella che si avrà modo di reperire in altre disposizioni del decreto-legge miranti a dare impulso alla digitalizzazione della pubblica amministrazione (cfr. infra gli articoli 32, 33 e 34)

           

In correlazione alle modifiche sopra sunteggiate, le novelle incidenti sull'articolo 65 del Codice sono di coordinamento, là dove scandiscono che la validità di istanze e dichiarazioni presentate alle pubbliche amministrazioni in via telematica sia comunque riconosciuta, se tale presentazione avvenga mediante:

-         lo SPID;

-         la carta d'identità elettronica;

-         la carta nazionale dei servizi;

-         l'applicazione IO (dunque mediante il punto di accesso telematico per dispositivi mobili, cui si è fatto cenno a proposito dell'articolo 64-bis del Codice).

Permane immutata la previsione che le istanze e dichiarazioni possano essere altresì sottoscritte e presentate unitamente alla copia del documento d'identità (benché su tale disposizione siano destinate ad 'impattare' le novelle all'articolo 64 del Codice, sopra ricordate).

E permane la previsione che sottoscrizione e presentazione di istanze e dichiarazioni siano valide altresì se effettuate dal proprio domicilio digitale - che novella di coordinamento prevede sia iscritto in uno degli elenchi di cui all’articolo 6-bis, 6-ter o 6-quater del Codice (come si è innanzi ricordato, sono: l'indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti; l'indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi; l'indice nazionale di persone fisiche o professionisti o enti di diritto privato, non tenuti all'iscrizioni in albi o elenchi professionali né nel registro delle imprese).

La novella disciplina del pari il caso di assenza di un domicilio digitale iscritto in uno degli elenchi.

Vale allora la comunicazione da un indirizzo elettronico eletto presso un servizio di posta elettronica certificata o un servizio elettronico di recapito certificato qualificato (come definito dal Regolamento dell'Unione europea eIDAS più volte innanzi ricordato).

E la trasmissione così effettuata (dunque in assenza di un domicilio digitale iscritto) costituisce elezione di domicilio digitale.

 

Ulteriori modifiche incidono sulle disposizioni transitorie recata dal decreto legislativo n. 217 del 2017, il quale ha formulato integrazioni e correzioni rispetto alla rivisitazione del Codice dell'amministrazione digitale realizzata con il decreto legislativo n. 179 del 2016.

Del decreto legislativo n. 217, l'articolo 65 prevede (al comma 2) un termine di decorrenza per l'obbligo per i prestatori di servizi di pagamento abilitati di utilizzare esclusivamente la piattaforma PagoPA, per i pagamenti verso le pubbliche amministrazioni.

Tale termine era lì stabilito nel 30 giugno 2020.

Ebbene, tale termine è differito al 28 febbraio 2021.

Altra modifica sopprime la previsione (contenuta nel comma 4, secondo periodo di questo articolo 65 del decreto legislativo n. 217) della cessazione della gestione da parte di AgID dell'indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche (e ora dei professionisti) e degli altri enti di diritto privato non tenuti all'iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese, una volta intervenuto il completamento dell'Anagrafe nazionale della popolazione residente.

Sopprimendo quella previsione, viene così mantenuta la gestione AgID dell'elenco dell'indice nazionale dei domicili digitali dei soggetti non tenuti all'iscrizione in albi elenchi registri professionali o al registro delle imprese.

Infine è soppressa una disposizione transitoria che era relativa alla prima applicazione - oramai superata - onde inserire i domicili digitali di professionisti e imprese sia entro il correlativo indice nazionale sia entro l'indice delle persone fisiche.

 

Altra novella riscrive l'articolo 36 (relativo a carta d'identità e documenti elettronici) del già citato d.P.R. n. 445 del 2000 (recante il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa).

La disposizione previgente al decreto-legge prevedeva: "la carta di identità, ancorché su supporto cartaceo, può essere rinnovata a decorrere dal centottantesimo giorno precedente la scadenza".

La modifica sopprima il riferimento al supporto cartaceo. Pertanto l'anticipato rinnovo è consentito per qualsiasi tipologia di carta d'identità.

Non solo: si prevede altresì che le carte di identità rilasciate su supporto cartaceo e le carte di identità elettroniche (rilasciate in conformità al decreto ministeriale 7 novembre 2007 recante “regole tecniche della Carta d’identità elettronica”) possano essere rinnovate ancorché in corso di validità, anche prima del centottantesimo giorno precedente la scadenza.

Può dirsi questa una forma di 'incentivo' affinché si realizzi, da parte degli utenti, il passaggio dalla carta d'identità cartacea a quella elettronica, la quale ha non la sola funzione certificatoria dell'identità bensì anche di consentire l'accesso ai servizi delle pubbliche amministrazioni in rete (come si è ricordato innanzi, a proposito del novellato articolo 64 del Codice).

 

Chiude questo articolo tutto di novelle una disposizione invece 'finale', secondo cui le pubbliche amministrazioni (di cui all’articolo 2, comma 2, lettera a) del Codice) dal 28 febbraio 2021 hanno divieto di rilasciare o rinnovare credenziali per l'identificazione e l'accesso dei cittadini ai propri servizi in rete, diverse da SPID, carta d'identità elettronica o carta nazionale dei servizi.

Rimane fermo l'utilizzo di quelle già rilasciate fino alla loro naturale scadenza e, comunque, non oltre il 30 settembre 2021.


Articolo 25
(Conservazione dei documenti informatici e gestione dell'identità digitale)

 

 

L'articolo 25 reca una serie di novelle incidenti su una duplice disciplina, circa il servizio di: conservazione dei documenti informatici; gestione dell'identità digitale.

 

Per un primo riguardo, esso apporta una serie di novelle al Codice dell'amministrazione digitale (recato dal decreto legislativo n. 82 del 2005).

Per intendere tali modifiche vale esordire da quella incidente sull'articolo 34, comma 1-bis del Codice, secondo il quale - nel testo previgente al presente decreto-legge - le pubbliche amministrazioni possono procedere alla conservazione dei documenti informatici: a) all'interno della propria struttura organizzativa; b) affidandola, in modo totale o parziale, nel rispetto della disciplina vigente, ad altri soggetti, pubblici o privati accreditati come conservatori presso l'AgID.

Su tale lettera b) incide la novella, mirante a porre una disciplina in parte più analitica.

Essa prevede che la conservazione dei documenti informatici da parte di soggetti esterni all'amministrazione interessata debba uniformarsi - nel rispetto della disciplina europea - alle Linee guida contenenti le regole tecniche e di indirizzo per l'attuazione del presente Codice (ne tratta il suo articolo 71) nonché ad un regolamento, le une come l'altro adottati dall'Agenzia per l'Italia digitale (AgID).

Il regolamento determina i criteri per la fornitura dei servizi di conservazione dei documenti informatici, affinché sia assicurata la conformità dei documenti conservati agli originali nonché la qualità e la sicurezza del sistema di conservazione.

Le Linee guida determinano i requisiti di qualità, di sicurezza e organizzazione, che i soggetti conservatori debbono possedere.

Fino all'adozione del regolamento e delle Linee guida, in materia di conservazione dei documenti informatici si applicano le disposizioni vigenti al momento dell'entrata in vigore del decreto-legge.

 

Altra novella incide - a fini di mero coordinamento rispetto a quella testé esposta - sull'articolo 14-bis, comma 2, lettera i) del Codice.

Esso tratta della specifica funzione di vigilanza dell'AgID su: i servizi fiduciari (in qualità di organismo a tal fine designato, ai sensi dell'articolo 17 del regolamento UE 910/2014 in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche: cd. regolamento eIDAS, acronimo per Electronic Identification and Trust Services Regulation); i gestori di posta elettronica certificata; i soggetti, pubblici e privati, che partecipano al Sistema pubblico per la gestione delle identità digitali (SPID, di cui all'articolo 64 del Codice); "i conservatori di documenti informatici accreditati".

Quest'ultima dicitura è sostituita dal rinvio all'articolo 34, comma 1-bis come sopra riscritto, il quale menziona i soggetti che ottemperino alle condizioni lì previste.

 

Altra novella incide sull'articolo 29 del Codice dell'amministrazione digitale. Vi si intersecano le materie della conservazione dei documenti digitale e della gestione dell'identità digitale.

Vale riportare il comma 1 di questo articolo 29 del Codice, nel testo previgente al decreto-legge.

"I soggetti che intendono fornire servizi fiduciari qualificati o svolgere l'attività di gestore di posta elettronica certificata o di gestore dell'identità digitale di cui all'articolo 64 presentano all'AgID domanda di qualificazione, secondo le modalità fissate dalle Linee guida. I soggetti che intendono svolgere l'attività di conservatore di documenti informatici presentano all'AgID domanda di accreditamento, secondo le modalità fissate dalle Linee guida".

Ebbene la novella restringe il 'campo' della disposizione alla fornitura di servizi e alla loro qualificazione, espungendo - per ragioni diverse - sia i gestori dell'identità digitale sia i soggetti chiamati alla conservazione dei documenti informatici (ed il loro accreditamento).

Per i gestori dell'identità digitale: la loro qualificazione è già oggetto dell'articolo 64 relativo allo SPID (al comma 2-sexies, lettera b)) del Codice (che ne demanda la disciplina a decreto del Presidente del Consiglio).

L'espunzione dall'articolo 29 del Codice dunque mira ad un coordinamento normativo, onde evitare una 'duplicazione' di previsioni non in tutto collimanti.

Per i fornitori di servizi di conservazione dei documenti informatici: il loro accreditamento quale previsto dal su riferito previgente articolo 29 (e disciplinato in "Linee Guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici” disposte da AgID e notificate in sede europea) è stato ricusato dalla Commissione europea. Essa ha invitato l'Italia a rimuovere gli ostacoli all'esercizio dell'attività dei fornitori dei servizi di conservazione in uno Stato membro (Notification 2019/0540/I), tenuto conto che nella disciplina comunitaria, i servizi di conservazione non figurano inclusi tra quelli fiduciari qualificati, quali previsti dal Regolamento (UE) n. 910/2014 (eIDAS).

Di qui la nuova formulazione sopra ricordata dell'articolo 34 del Codice, la quale fa riferimento al possesso di requisiti e a criteri di fornitura, non già ad un meccanismo di accreditamento in senso stretto - così come l'espunzione della conservazione di documenti da questo articolo 29.

Quest'ultimo articolo - il cui oggetto viene dunque circoscritto alla fornitura di servizi, altri dalla gestione dell'identità digitale e dalla conservazione di documenti informatici - è altresì rivisitato là dove disciplina la qualificazione dei fornitori di servizi.

Si viene infatti a prevedere che i soggetti fornitori debbano possedere, ai fini della qualificazione, i requisiti di cui all'articolo 24 del Regolamento (UE) 23 luglio 2014, n. 910/2014, in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno. Quell'articolo 24 della fonte comunitaria disciplina i requisiti per i prestatori di servizi qualificati.

Inoltre si prevede che un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, o del Ministro delegato per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione, sentita l’AgID, disciplini i requisiti di onorabilità, affidabilità, tecnologici e organizzativi, beninteso compatibili con la disciplina europea, nonché garanzie assicurative adeguate, rispetto all'attività svolta.

Di coordinamento rispetto a quanto sopra novellato è la modifica all'articolo 30, comma 1 del Codice, onde chiarire che l'iscrizione (da parte dell'AgID) del richiedente la qualificazione in un apposito elenco di fiducia pubblico, concerna solo i prestatori di servizi fiduciari qualificati e i gestori di posta elettronica certificata (non anche i gestori dell'identità digitale e i conservatori di documenti informatici).

Rimane fermo il contenuto precettivo di quell'articolo 30, circa la responsabilità di tutti quei soggetti, tenuti al risarcimento qualora cagionino danno ad altri nello svolgimento della loro attività, ove non provino di avere adottato tutte le misure idonee ad evitarlo.

 

La novella incidente sull'articolo 32-bis, comma 1, del Codice concerne le sanzioni, introducendo una specifica previsione riguardante i soggetti tenuti agli obblighi inerenti alla conservazione dei documenti informatici.

Rispetto ad una generale sanzione (per i prestatori di servizi fiduciari qualificati, i gestori di posta elettronica certificata, i gestori dell'identità digitale) irrogabile per un importo ricompreso tra 40.000 e 400.000 euro (fermo restando il diritto al risarcimento del maggior danno), si viene a prevedere, per i soggetti preposti alla conservazione, una sanzione più contenuta, tra un minimo ed un massimo di 4.000 e 40.000 euro.

 

Infine è novellato l'articolo 44, comma 1-ter, del Codice, onde introdurre la 'clausola': "in tutti i casi in cui la legge prescrive obblighi di conservazione, anche a carico di soggetti privati".

Ebbene in tali casi, si intende, valgono i requisiti lì tratteggiati per la gestione e la conservazione dei documenti informatici (secondo caratteristiche di autenticità, integrità, affidabilità, leggibilità, reperibilità, secondo le modalità indicate nelle Linee guida).

 

            Altro ordine di novelle incide sul decreto legislativo n. 141 del 2010 ("Attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo VI del testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993) in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi").

            Una prima novella ne modifica in particolare l'articolo 30-ter, il quale istituisce (nell'ambito del Ministero dell'economia e delle finanze) un sistema pubblico di prevenzione (basato su un archivio centrale informatizzato) sul piano amministrativo delle frodi nel settore del credito al consumo e dei pagamenti dilazionati o differiti, con specifico riferimento al furto di identità.

Secondo la disposizione previgente, partecipano al sistema di prevenzione delle frodi (SCIPAFI nell'acronimo) vari soggetti, come le banche e gli intermediari finanziari iscritti nell'albo, i fornitori di servizi di comunicazione elettronica, i fornitori di servizi digitali, i soggetti autorizzati ad attività di vendita a clienti finali di energia elettrica e di gas naturale, i fornitori di servizi interattivi associati o di servizi di accesso condizionato (secondo la definizione che ne dà il decreto legislativo n. 177 del 2006, Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici), le imprese di assicurazione, javascript:wrap.link_replacer.scroll('97')i gestori di sistemi di informazioni creditizie e le imprese che offrono servizi assimilabili alla prevenzione, sul piano amministrativo, delle frodi (in base ad apposita convenzione con il Ministero dell'economia e delle finanze).

La novella integra tale previsione, introducendovi la menzione dei gestori dell'identità digitale (di cui all'articolo 64 del Codice).

Analoga integrazione è poi dettata con riferimento all'articolo 30-quater del decreto legislativo n. 141 del 2010, onde consentire ai gestori dell'identità digitale l'accesso gratuito all'archivio centrale informatizzato (su cui fa perno, si è ricordato, il sistema pubblico di prevenzione delle frodi) - limitatamente alle verifiche propedeutiche al rilascio delle credenziali di accesso al sistema SPID.

 

 

 


Articolo 26
(Piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione)

 

 

L'articolo 26 disciplina le modalità di funzionamento della Piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione.

 

L'istituzione della piattaforma è stata prevista dall'articolo 1, commi 402 e 403 della legge n. 160 del 2019 (legge di bilancio 2020).

Quella legge si è limitata a porre un'autorizzazione di spesa (2 milioni annui, a decorrere dal 2020) e ad affidare lo sviluppo della piattaforma alla Presidenza del Consiglio.

Ha previsto che quest'ultima proceda poi tramite la società per azioni interamente partecipata dallo Stato, la cui costituzione è stata disposta dall'articolo 8, comma 2 del decreto-legge n. 135 del 2018 (ossia: PagoPA). Tale società è il gestore della piattaforma.

PagoPA affida lo sviluppo della piattaforma (anche attraverso il riuso di infrastrutture tecnologiche esistenti) a SOGEI (la società di cui all'articolo 83, comma 15, del decreto-legge n. 112 del 2008).

Quella così delineata è una piattaforma digitale per l'utilizzo da parte delle amministrazioni pubbliche (di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001) onde effettuare le notificazioni con valore legale di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni ai destinatari (le persone fisiche, le persone giuridiche, gli enti, le associazioni e ogni altro soggetto pubblico o privato, residenti o aventi sede legale nel territorio italiano ovvero all'estero se titolari di codice fiscale attribuito ai sensi del d.P.R. n. 605 del 1973).

La legge n. 160 del 2020 non è andata oltre tale scarna disciplina (invero, il tentativo di introdurne una più articolata fu presente in una proposta emendativa approvata in sede referente presso il Senato in prima lettura del disegno di legge di bilancio 2020, A.S. n. 1586-annesso: proposta tuttavia che fu poi dichiarata, per questa ordinamentale parte, inammissibile dalla Presidenza del Senato).

Ad una più puntuale, analitica disciplina delle modalità di funzionamento della piattaforma è ora volto il presente articolo del decreto-legge.

 

Esso incide - con il suo comma 19 - direttamente sul dettato della legge n. 160 del 2019 sopra ricordato, per un riguardo.

Viene a prevedere che PagoPa affidi "in tutto o in parte" lo sviluppo della piattaforma al fornitore del servizio universale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 261 del 1999, anche attraverso il riuso dell'infrastruttura tecnologica esistente, di proprietà di quel medesimo fornitore.

Il decreto legislativo n. 261 citato ha dato attuazione alla direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio.

Il suo articolo 3 tratta del servizio universale (il quale, si ricorda, è affidato a Poste italiane spa)[34].

Dunque la novella modifica il soggetto affidatario dello sviluppo della piattaforma. Scompare la menzione di Sogei (che era espressa mediante il rinvio all'articolo 83, comma 15, del decreto-legge n. 112 del 2008), sostituita da quella di Poste italiane spa (espressa mediante il rinvio all'articolo 3 del decreto legislativo n. 261 del 1999).

Peraltro quest'ultimo soggetto è inteso quale affidatario da PagoPa "in tutto o in parte" dello sviluppo della piattaforma.

 

Dopo il richiamo alla norma istitutiva della piattaforma - recato dal comma 1 - si rinviene in questo articolo del decreto-legge - al comma 2 - una enumerazione a fini definitori, di quel che si intenda per: gestore della piattaforma; piattaforma; amministrazioni; destinatari; delega e delegati (da parte dei destinatari, in ordine all'accesso alla piattaforma); avviso di avvenuta ricezione; identificativo unifico della notificazione (ossia il codice univoco attribuito dalla piattaforma ad ogni notificazione richiesta dalle amministrazioni); avviso di mancato recapito (con indicazione e delle sue ragioni e delle modalità di acquisizione del documento informatico oggetto della notificazione).

La piattaforma digitale per effettuare le notificazioni con valore legale è utilizzata delle amministrazioni pubbliche (di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001)[35]. Se ne avvalgono altresì gli agenti della riscossione nonché (limitatamente agli atti emessi nell'esercizio di attività ad essi affidati) gli altri soggetti preposti all'accertamento e alla riscossione dei tributi e delle altre entrate per conto degli enti locali (ne dà enumerazione l'articolo 52, comma 5, lettera b), numeri 1), 2), 3) e 4) del decreto legislativo n. 446 del 1997).

Le amministrazioni pubbliche - nell'accezione così definita - hanno facoltà - non già obbligo - di rendere disponibili sulla piattaforma i documenti informatici ai fini della notificazione di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni (anche in materia tributaria) - ed anche per atti per i quali non viga un obbligo di notificazione al destinatario. Così prevede il comma 3.

Resta dunque ferma - può aggiungersi - la possibilità, per le amministrazioni, di effettuare la notificazione con le modalità previste dagli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile o secondo le modalità previste dalle leggi speciali.

La formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici resi disponibili sulla piattaforma, avviene nel rispetto del Codice dell'amministrazione digitale (decreto legislativo n. 82 del 2005) e delle Linee guida adottate in sua attuazione dall'Agenzia per l'Italia Digitale (AgID).

Il gestore della piattaforma assicura l'autenticità, l'integrità, l'immodificabilità, la leggibilità e la reperibilità dei documenti informatici resi disponibili dalle amministrazioni.

Il gestore della piattaforma rende a sua volta disponibili i documenti ai destinatari, ai quali assicura l'accesso alla piattaforma, personalmente o mediante delegati, per il reperimento, la consultazione e l'acquisizione dei documenti informatici resi disponibili ai fini della notificazione dalle amministrazioni.

Ciascuna amministrazione individua le modalità per garantire l'attestazione di conformità agli originali analogici delle copie informatiche di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni (gli agenti della riscossione e gli altri soggetti per l'accertamento e la riscossione di tributi individuano e nominano i dipendenti delegati ad attestare la conformità agli originali).

I dipendenti incaricati di attestare la conformità sono pubblici ufficiali (ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 23, comma 2, del Codice dell'amministrazione digitale, riferito all'efficacia probatoria della copia, pari a quella dell'originale).

Per quanto riguarda le attività testé ricordate in capo al gestore della piattaforma, esse possono essere svolte - prosegue il comma 3 - anche con l'applicazione di tecnologie basate su registri distribuiti (come definite dall'articolo 8-ter del decreto-legge n. 135 del 2018).

 

Tecnologie basate su registri distribuiti sono le tecnologie e i protocolli informatici che usino un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittografiche, tali da consentire la registrazione, la convalida, l'aggiornamento e l'archiviazione di dati sia in chiaro sia ulteriormente protetti da crittografia, verificabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modificabili. Si tratta della tecnologia chiamata Blockchain, uno strumento tecnologico che consente la creazione e gestione di registri (database) distribuiti, in grado di registrare e gestire transazioni di vario tipo (sia finanziarie sia aventi ad oggetto beni o servizi di altra natura), le quali vengono controllate, validate e condivise da tutti i c.d. nodi che fanno parte della rete.

Si tratta in sostanza di un protocollo che consente che sulla rete internet, invece che sole informazioni, possano essere condivise e archiviate anche transazioni di valori, o meglio, di cd. asset digitali. Si realizza quindi attraverso le blockchain un grande registro pubblico di tipo distribuito, innovativo rispetto ai 'tradizionali' sistemi di archiviazione che consistono di database centralizzati presso un unico soggetto gestore e 'garante', ovvero presso un'autorità centrale, che provveda a garantire la transazione e ad archiviare e custodire i dati. La blockchain consente viceversa la creazione di database distribuiti, basati sulla tecnologia dei cd Distributed Ledger (DLT, dove Ledger sta per Libro Mastro) strutturati in blocchi di informazioni, ciascuno dei quali contiene un certo numero di transazioni che, a seguito di un articolato procedimento di validazione e controllo (che verifica ad esempio che il soggetto sia effettivamente titolare di un certo diritto, come la valuta o il bene che vuole vendere), vengano validate in tutti i loro elementi attraverso strumenti matematici complessi (funzioni di hash) da parte dei nodi della rete ed entrano conseguentemente a far parte della catena di blocchi (blockchain) che rende queste transazioni certe, immodificabili. Si viene così a creare uno "storico" nel tempo di tutte le modifiche avvenute.

La memorizzazione di un documento informatico attraverso l'uso di tecnologie blockchain produce gli effetti giuridici della validazione temporale elettronica, ai sensi dell'articolo 41 del Regolamento UE n. 910/2014 in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno (cd. Regolamento eIDAS). La validazione temporale elettronica qualificata rilasciata in uno Stato membro è riconosciuta quale validazione temporale elettronica qualificata in tutti gli Stati membri.

Spetta all'AgID l’individuazione degli standard tecnici che le tecnologie blockchain debbono possedere, affinché tali tecnologie possano produrre gli effetti giuridici della validazione temporale elettronica.

 

Per ogni atto, provvedimento, avviso o comunicazione oggetto di notificazione reso disponibile dall’amministrazione attraverso la piattaforma, il comma 4 prescrive al gestore di questa l'invio al destinatario dell'avviso di avvenuta ricezione.

Con tale avviso il gestore comunica l'esistenza e l'identificativo univoco della notificazione (IUN), nonché le modalità di accesso alla piattaforma e di acquisizione del documento oggetto di notificazione.

Secondo il comma 5, l'avviso di avvenuta ricezione è inviato (in formato elettronico, con modalità telematica) ai destinatari titolari di un indirizzo di posta elettronica certificata o di un servizio elettronico di recapito certificato qualificato: a) inserito in uno degli indici nazionali degli elenchi dei domicili digitali di persone fisiche o professionisti o imprese o pubbliche amministtazioni (cfr. gli articoli 6-bis, 6-ter e 6-quater del Codice dell'amministrazione digitale); b) eletto come domicilio speciale per determinati atti o affari (cfr. l'articolo 3-bis, comma 4-quinquies, del Codice o altre disposizioni di legge) se a tali atti o affari sia riferita la notificazione; c) eletto per la ricezione delle notificazioni delle pubbliche amministrazioni effettuate tramite piattaforma.

Dunque la disposizione figura la possibilità di un domicilio ad hoc per le notificazioni. Questo in via transitoria, tenuto conto della novella che ha inciso quel comma 4-quinquies, operata dall'articolo 24 del decreto-legge, articolo teso a valorizzare una comunicazione digitale delle pubbliche amministrazione verso una domiciliazione digitale, confluita negli indici nazionali.

Ancora, si prevede - dal comma 6 - che qualora la casella di posta elettronica certificata o il servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultano saturi, il gestore della piattaforma effettui un secondo tentativo di consegna, decorsi almeno sette giorni dal primo invio.

Se anche a seguito di tale tentativo risulta la saturazione o anche emerga che l'indirizzo elettronico del destinatario non sia valido o attivo, il gestore rende disponibile (in apposita area riservata) per ciascun destinatario della notificazione, l'avviso di mancato recapito del messaggio.

Il gestore dà inoltre notizia al destinatario dell'avvenuta notificazione dell'atto a mezzo di lettera raccomandata, senza ulteriori adempimenti a proprio carico.

Queste previsioni si riferiscono a destinatari titolari di un indirizzo di posta elettronica certificata o di un servizio elettronico di recapito certificato qualificato, valevoli come domicilio digitale (sia esso 'ordinario' o speciale).

Per destinatari diversi ossia destinatari privi di un domicilio digitale, provvede il comma 7.

Esso prevede che l'avviso di avvenuta ricezione sia notificato (senza ritardo) in formato cartaceo, a mezzo posta, direttamente dal gestore della piattaforma (con le modalità previste dalla legge n. 890 del 1982, la quale disciplina le notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari).

L'avviso contiene l'indicazione delle modalità con le quali sia possibile accedere alla piattaforma e l’identificativo univoco della notificazione (IUN) mediante il quale il destinatario possa ottenere la copia cartacea degli atti oggetto di notificazione.

Agli stessi destinatari, ove abbiano comunicato un indirizzo email non certificato, un numero di telefono o un altro analogo recapito digitale diverso, il gestore della piattaforma invia un "avviso di cortesia" in modalità informatica, contenente le stesse informazioni dell'avviso di avvenuta ricezione.

L'avviso di cortesia è reso disponibile altresì tramite il punto di accesso di cui all’articolo 64-bis del Codice dell'amministrazione digitale (è l'applicazione IO, di cui è fatto cenno sopra, a proposito dell'articolo 24 decreto-legge).

 

Il comma 8 concerne l'autenticazione alla piattaforma, ai fini dell'accesso.

Essa avviene tramite il sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale di cittadini e imprese (SPID, di cui all’articolo 64 del Codice) ovvero tramite la Carta d’identità elettronica (CIE, di cui all’articolo 66 del Codice).

L'accesso all'area riservata - dove sono consentiti il reperimento, la consultazione e l’acquisizione dei documenti informatici oggetto di notifica - è assicurato anche tramite l'applicazione IO (il punto di accesso di cui all’articolo 64-bis del Codice).

I destinatari possono conferire apposita delega per l'accesso alla piattaforma a uno o più delegati - ma è materia la cui definizione è demandata al d.P.C.m. (o decreto del Ministro delegato per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione) attuativo previsto dal comma 15 infra.

 

Il comma 9 ha per oggetto il termine di perfezionamento della notificazione.

Esso è differenziato, per l'amministrazione notificante e per il destinatario.

Per l'amministrazione notificante, la notificazione si perfeziona nella data in cui il documento informatico sia reso disponibile sulla piattaforma (ed aggiunge il comma 10, tale messa a disposizione impedisce qualsiasi decadenza dell'amministrazione e interrompe il termine di prescrizione correlato alla notificazione: si pone qui una deroga al regime ordinariamente recettizio dell'atto interruttivo della prescrizione).

Per il destinatario, il termine è diversificato, a seconda delle modalità della notificazione (telematica o cartacea per posta) e se sia avvenuta la ricezione oppur no.

E dunque, per il destinatario la notificazione si perfeziona:

- il settimo giorno successivo alla data di consegna dell'avviso di avvenuta ricezione in formato elettronico (risultante dalla ricevuta che il gestore della casella di posta elettronica certificata o del servizio elettronico di recapito certificato qualificato del destinatario trasmette al gestore della piattaforma; se l'avviso è consegnato al destinatario dopo le ore 21.00, il termine di sette giorni si computa a decorrere dal giorno successivo);

- il quindicesimo giorno successivo alla data del deposito dell'avviso di mancato recapito digitale, nei casi di casella postale satura, non valida o non attiva;

- il decimo giorno successivo al perfezionamento della notificazione dell'avviso di avvenuta ricezione in formato cartaceo.

Non figura una espressa previsione per il caso di mancato recapito in formato cartaceo, talché la fattispecie pare da ritenersi rinviare alla previsione della legge n. 890 del 1982 (all'articolo 8).

Rispetto al termine sopra indicato, la notificazione telematica si perfeziona in data anteriore, se anteriore sia stato l'accesso da parte del destinatario (o suo delegato) al documento informatico oggetto di notificazione, tramite la piattaforma.

 

Il comma 11 ha riguardo alle attestazioni opponibili a terzi che il gestore della piattaforma renda disponibili (sulla medesima piattaforma) alle amministrazioni e ai destinatari.

Tali attestazioni concernono:

ü  la data di messa a disposizione dei documenti informatici sulla piattaforma, da parte delle amministrazioni;

ü  l'indirizzo del destinatario risultante, alla data dell’invio dell’avviso di avvenuta ricezione, da uno degli elenchi degli indici nazionali dei domicili digitali o eletto ai fini della notificazione;

ü  la data di invio e di consegna al destinatario dell'avviso di avvenuta ricezione in formato elettronico;

ü  la data di ricezione del messaggio di mancato recapito alle caselle di posta elettronica certificata o al servizio elettronico di recapito certificato qualificato, se risultanti saturi, non validi o non attivi;

ü  la data in cui il gestore della piattaforma ha reso disponibile l'avviso di mancato recapito del messaggio;

ü  la data in cui il destinatario ha avuto accesso al documento informatico oggetto di notificazione;

ü  il periodo di malfunzionamento che si sia prodotto nell'attività della piattaforma;

ü  la data di ripristino delle funzionalità della piattaforma, superato il malfunzionamento.

Il gestore della piattaforma - aggiunge il comma 12 - rende altresì disponibile la copia informatica dell'avviso di avvenuta ricezione cartaceo e degli atti relativi alla notificazione ai sensi della legge n. 890 del 1982, dei quali attesta la conformità agli originali.

 

Il comma 13 dispone per l'eventualità di malfunzionamento della piattaforma.

Qualora esso renda impossibile alle amministrazioni l'inoltro telematico dei documenti informatici destinati alla notificazione, o renda impossibile ai destinatari e delegati l'accesso, il reperimento, la consultazione e l'acquisizione dei documenti informatici depositati, si hanno alcuni effetti.

Ossia si determinano:

-         la sospensione del termine di prescrizione dei diritti dell'amministrazione correlati agli atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni oggetto di notificazione, scadenti nel periodo di malfunzionamento, sino al settimo giorno successivo alla comunicazione di avvenuto ripristino delle funzionalità della piattaforma;

-         la proroga del termine di decadenza di diritti, poteri o facoltà dell'amministrazione o dei destinatari correlati agli atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni oggetto di notificazione, scadenti nel periodo di malfunzionamento, sino al settimo giorno successivo alla comunicazione di avvenuto ripristino delle funzionalità della piattaforma.

 

Le spese di notificazione tramite la piattaforma sono da porre a carico del destinatario, e sono destinate alle amministrazioni e al gestore della piattaforma - nonché al fornitore del servizio universale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 261 del 1999 (Poste italiane spa, come ricordato sopra, in avvio di ricognizione).

Così il comma 14, il quale peraltro demanda maggiore determinazione a d.P.C.m. (o decreto del Ministro delegato per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione), con il concerto del Ministero dell'economia e delle finanze.

 

Ampia parte dell'attuazione delle disposizioni di questo articolo del decreto-legge relativo alla piattaforma delle notificazioni digitali è demandata ad uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (o del Ministro delegato per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione), sentiti il Ministro dell’economia e delle finanze e il Garante per la protezione dei dati personali per gli aspetti di competenza.

Ed è prescritta l'acquisizione del parere in sede di Conferenza unificata

Questa 'componentistica' attuativa è oggetto del comma 15 - il quale prescrive per la sua adozione il termine di centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge (termine non già riferito all'entrata in vigore della legge di conversione).

Il medesimo comma passa in rassegna i contenuti da disciplinare: l'infrastruttura tecnologica della piattaforma e il piano dei test per la verifica del corretto funzionamento; le modalità di adesione delle amministrazioni alla piattaforma; lo sviluppo secondo i criteri di accessibilità di cui alla legge 9 gennaio 2004, n. 4 (recante "Disposizioni per favorire e semplificare l'accesso degli utenti e, in particolare, delle persone con disabilità agli strumenti informatici"); le regole tecniche e le modalità con le quali le amministrazioni identificano i destinatari e rendono disponibili telematicamente sulla piattaforma i documenti informatici oggetto di notificazione; le modalità con le quali il gestore della piattaforma attesti e certifichi, con valore legale opponibile ai terzi, una serie di elementi (v. supra il comma 11); i casi di malfunzionamento della piattaforma, nonché le modalità con le quali il gestore della piattaforma attesti così il malfunzionamento come il ripristino della funzionalità; le modalità di accesso alla piattaforma e di consultazione degli atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni da parte dei destinatari e dei delegati (nonché le modalità con le quali il gestore della piattaforma attesti la data e l'ora in cui il destinatario o il delegato accedono, tramite la piattaforma, all’atto oggetto di notificazione); le modalità con le quali i destinatari eleggano il domicilio digitale presso la piattaforma; le modalità di delega, da parte del destinatario, dell'accesso alla piattaforma (nonché le modalità di accettazione e rinunzia delle deleghe); altre varie modalità, circa il recapito digitale ai fini della ricezione dell'avviso di cortesia o l'ottenimento della copia cartacea degli atti oggetto di notificazione, per i destinatari percettori dell'avviso di avvenuta ricezione notificato in formato cartaceo).

Tra gli elementi da disciplinare in siffatta via attuativa, sono altresì i tempi e le modalità di conservazione dei documenti informatici resi disponibili sulla piattaforma.

Aggiunge il comma 16 che un atto del Capo della competente struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri provveda - ultimati i test e le prove tecniche di corretto funzionamento della piattaforma - a fissare il termine a decorrere dal quale le amministrazioni possano aderire alla piattaforma.

 

Il comma 17 esclude alcune tipologie di notificazione dalla piattaforma.

Esso prevede che la notificazione a mezzo della piattaforma non si applichi a:

ü  gli atti del processo civile, penale, per l’applicazione di misure di prevenzione, amministrativo, tributario e contabile, nonché i provvedimenti e le comunicazioni ad essi connessi;

ü  gli atti della procedura di espropriazione forzata (disciplinata dal titolo II, capi II e IV, del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973) diversi da quelli di cui agli articoli - del medesimo d.P.R. - 50, commi 2 e 3 (circa la notifica dell'avviso che contiene l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo, per il caso di inutile decorso del termine decorrente dalla notifica della cartella di pagamento), e 77, comma 2-bis (relativo alla notifica da parte dell'agente della riscossione al proprietario dell'immobile di una comunicazione preventiva, contenente l'avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà iscritta l'ipoteca sugli immobili del debitore). Insomma, sono esclusi dalla notificazione a mezzo della piattaforma gli atti dell'espropriazione forzata, ad eccezione dell'avviso di intimazione e del preavviso di iscrizione ipotecaria, i quali sono invece inclusi;

ü  gli atti dei procedimenti di competenza delle autorità provinciali di pubblica sicurezza relativi a pubbliche manifestazioni, misure di prevenzione personali e patrimoniali, autorizzazioni e altri provvedimenti a contenuto abilitativo, soggiorno, espulsione e allontanamento dal territorio nazionale degli stranieri e dei cittadini dell’Unione europea, o comunque di ogni altro procedimento a carattere preventivo in materia di pubblica sicurezza, nonché i provvedimenti e alle comunicazioni ad essi connessi.

 

Si è menzionato l'articolo 50 ("Termine per l'inizio dell'esecuzione"), comma 3, del d.P.R. n. 602 del 1973 ("Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito").

Esso prevede che il concessionario proceda ad espropriazione forzata quando sia inutilmente decorso il termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento (salve le disposizioni relative alla dilazione ed alla sospensione del pagamento). Se l'espropriazione non sia iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, l'espropriazione stessa deve essere preceduta dalla notifica di un avviso contenente contiene l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni. Tale avviso è redatto in conformità al modello approvato con decreto del Ministero delle finanze e perde efficacia "trascorsi centottanta giorni dalla data della notifica".

Quest'ultima previsione è novellata dal comma 18, il quale sostituisce al termine di centottanta giorni, il termine di un anno.

 

Già in avvio della disamina del presente articolo del decreto-legge si è ricordato il contenuto del comma 19, che ha modificato il soggetto preposto allo sviluppo della piattaforma (v. supra), individuandolo nel fornitore del servizio universale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 261 del 1999.

Il comma 20 aggiunge che del medesimo fornitore si avvalga altresì il gestore della piattaforma, "anche" per effettuare la spedizione dell'avviso di avvenuta ricezione e la consegna della copia cartacea degli atti oggetto di notificazione, nonché per garantire su tutto il territorio nazionale l'accesso universale alla piattaforma e al nuovo servizio di notificazione digitale.

 

Infine il comma 21 pone una clausola di invarianza finanziaria, in ordine all'adesione delle pubbliche amministrazioni alla piattaforma.

Ed il comma 22 richiama la vigente autorizzazione di spesa per il finanziamento della piattaforma, pari a 2 milioni di euro a decorrere dall'anno 2020 (secondo previsione dell'articolo 1, comma 403 della legge n. 160 del 2019).


Articolo 27
(Misure per la semplificazione e la diffusione della firma elettronica avanzata e dell’identità digitale per l’accesso ai servizi bancari)

 

 

L’articolo 27, ai commi 1 e 2, interviene sulle procedure di verifica dell’identità dell’utente ai fini del rilascio della firma elettronica avanzata, individuando tre strumenti alternativi di identificazione per l’effettuazione di tale verifica:

·        credenziali attribuite dal soggetto che eroga la firma elettronica avanzata all’utente che la richiede già identificato dall’intermediario bancario e finanziario;

·        Sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale (SPID) basato, almeno, sul secondo livello di sicurezza di autenticazione informatica;

·        carta di identità elettronica.

 

Il comma 3 apporta alcune semplificazioni in materia di obblighi antiriciclaggio.

Viene eliminata la necessità di riscontrare in ogni caso il documento di identità del cliente, ai fini dell’assolvimento degli obblighi di adeguata verifica previsti dalla legge, ove l’identificazione avvenga a distanza, previo rispetto delle condizioni di sicurezza e attendibilità imposte dagli standard nazionali ed europei. Inoltre, per l’instaurazione rapporti continuativi relativi a carte di pagamento e dispositivi analoghi è prevista una speciale modalità di identificazione e verifica a distanza dell’identità del cliente, che consiste nell’esecuzione di un bonifico, disposto dallo stesso cliente da identificare, verso un conto di pagamento intestato al soggetto tenuto all’obbligo di identificazione.

 

La disciplina della firma elettronica è contenuta nel cosiddetto regolamento europeo eIDAS, (regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 luglio 2014, in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno e che abroga la direttiva 1999/93/CE).

Secondo la definizione contenuta nel regolamento per “Firma Elettronica Avanzata” (FEA) si intende una firma elettronica che soddisfi i seguenti requisiti:

-          è connessa unicamente al firmatario;

-          è idonea a identificare il firmatario;

-          è creata mediante dati per la creazione di una firma elettronica che il firmatario può, con un elevato livello di sicurezza, utilizzare sotto il proprio esclusivo controllo;

-          è collegata ai dati sottoscritti in modo da consentire l’identificazione di ogni successiva modifica di tali dati.

Una tipologia particolare di FEA è la Firma Elettronica Qualificata (FEQ) che in aggiunta a quelle della firma elettronica avanzata possiede le seguenti caratteristiche:

-          è creata su un dispositivo qualificato per la creazione di una firma elettronica;

-          è basata su un certificato elettronico qualificato ha effetto giuridico equivalente a quello di una firma autografa.

 

Il comma 1 introduce tre procedure finalizzate alla verifica dell’identità dei richiedenti la FEA, facendo esplicitamente salve le regole tecniche di cui all’articolo 20, comma 3, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale – CAD) in materia di generazione, apposizione e verifica della stessa firma, oltre che la disciplina del regolamento eIDAS.

 

Le regole tecniche, previste dall’art. 20, comma 2 del CAD, sono state adottate con il D.P.C.M. 22 febbraio 2013 recante regole tecniche in materia di generazione, apposizione e verifica delle firme elettroniche avanzate, qualificate e digitali, ai sensi degli articoli 20, comma 3, 24, comma 4, 28, comma 3, 32, comma 3, lettera b), 35, comma 2, 36, comma 2, e 71.

Secondo tali regole tecniche la realizzazione di soluzioni di firma elettronica avanzata è libera e non è soggetta ad alcuna autorizzazione preventiva (art. 55, comma 1).

La firma elettronica avanzata garantisce (art. 56):

-          l'identificazione del firmatario del documento;

-          la connessione univoca della firma al firmatario;

-          il controllo esclusivo del firmatario del sistema di generazione della firma, ivi inclusi i dati biometrici eventualmente utilizzati per la generazione della firma medesima;

-          la possibilità di verificare che il documento informatico sottoscritto non abbia subito modifiche dopo l'apposizione della firma;

-          la possibilità per il firmatario di ottenere evidenza di quanto sottoscritto;

-          l'individuazione del soggetto che l’ha rilasciata;

-          l'assenza di qualunque elemento nell'oggetto della sottoscrizione atto a modificarne gli atti, fatti o dati nello stesso rappresentati;

-          la connessione univoca della firma al documento sottoscritto.

 

Ai fini del rilascio della FEA l’utente deve essere identificato, dal soggetto abilitato al rilascio, in modo certo tramite un valido documento di riconoscimento di cui deve essere conservata copia per almeno 20 anni (art. 57).

La firma elettronica avanzata realizzata in conformità con le disposizioni delle presenti regole tecniche, è utilizzabile limitatamente ai rapporti giuridici intercorrenti tra il sottoscrittore e il soggetto che ha rilasciato la firma (art. 60).

 

Il comma 1 amplia le modalità di identificazione dell’utente, ai fini del rilascio della FEA prevedendo tre soluzioni già riconosciute dall’ordinamento.

 

La prima prevede (comma 1, lettera a), una procedura di identificazione elettronica basata su credenziali, in grado di soddisfare i requisiti di sicurezza previsti dall’articolo 4 del Regolamento delegato (UE) 2018/389 di integrazione della Direttiva (UE) 2015/2366 (cd. direttiva PSD2 relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno), attribuite dal soggetto che eroga la firma elettronica avanzata all’utente che la richiede già identificato dall’intermediario bancario e finanziario, ai sensi articolo 19 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, che disciplina le modalità di adempimento dell’obbligo di adeguata verifica della clientela ai fini della normativa antiriciclaggio (cfr. il commento al comma 3).

 

Il citato regolamento delegato integra la direttiva PSD2 (seconda direttiva sui servizi di pagamento: direttiva UE 2015/2366) individuando le norme tecniche di regolamentazione per l'autenticazione forte del cliente e gli standard aperti di comunicazione comuni e sicuri. L’articolo 4, in sintesi, tra le misure di autenticazione “forte” del cliente prevede la generazione di un codice di autenticazione; a tal fine, i prestatori di servizi di pagamento devono adottare misure di sicurezza al fine di garantire il soddisfacimento dei seguenti requisiti: nessuna informazione può essere ricavata dalla comunicazione del codice di autenticazione; non è possibile generare un nuovo codice di autenticazione sulla base della conoscenza di un altro codice di autenticazione generato in precedenza; il codice di autenticazione non può essere contraffatto.

Per ulteriori informazioni sulla materia, si rinvia al tema web su pagamenti e antiriciclaggio

 

La seconda (comma 1, lettera b) introduce la possibilità di identificare l’utente che richiede la firma elettronica avanzata mediante il Sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale (SPID), di cui all’articolo 64 del CAD, basato, almeno, sul secondo livello di sicurezza di autenticazione informatica.

 

Il Sistema pubblico di identità digitale (SPID) è volto a consentire l'accesso a qualunque servizio con un solo pin (Personal Identification Number), universalmente accettato, in modo che il cittadino possa autenticarsi una sola volta presso uno dei gestori di identità digitali ed utilizzare tale autenticazione con qualunque erogatore di servizi on line, pubblico e privato, italiano e dell'Unione europea.

Lo SPID è stato introdotto nell’ordinamento dal decreto-legge 69 del 2013 (conv. dalla legge 98/2013, art. 17-ter che ha novellato l’art. 64 del CAD - Codice dell’amministrazione digitale, D.Lgs. 82/2005).

Secondo quanto previsto dal CAD, l’identità digitale di un soggetto consiste nella rappresentazione informatica della corrispondenza tra esso e i suoi attributi identificativi, verificata attraverso l'insieme dei dati raccolti e registrati in forma digitale.

Ai sensi dell’articolo 64 del CAD il sistema SPID è finalizzato all’identificazione degli utenti (cittadini e imprese) per consentire loro l’accesso ai servizi in rete forniti sia da parte delle pubbliche amministrazioni, sia dei privati.

Il sistema è costituito mettendo insieme i soggetti pubblici e privati (identity provider) che gestiscono i servizi di registrazione e di rilascio delle credenziali e degli strumenti di accesso in rete a cittadini e imprese per conto delle pubbliche amministrazioni, in qualità di erogatori di servizi in rete, ovvero, direttamente, su richiesta degli interessati.

È inoltre riconosciuta alle imprese la facoltà di avvalersi del sistema SPID per la verifica dell’accesso ai propri servizi erogati in rete da parte dei rispettivi utenti: l’adesione esonera l’impresa dall’obbligo generale di sorveglianza delle attività sui propri siti, ai sensi del D.Lgs. n. 70/2003 (art. 17), che riguarda in particolare il commercio elettronico.

 

Con il DPCM 24 ottobre 2014 adottato su proposta del Ministro delegato per l’innovazione tecnologica e del Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell’economia e sentito il Garante per la protezione dei dati personali, sono state definite le prime modalità attuative dello SPID quali:

-        le caratteristiche del sistema, che comprendono il modello architetturale e organizzativo, nonché gli standard tecnologici e le soluzioni per garantire l’interoperabilità delle credenziali e degli strumenti di accesso nei riguardi di cittadini e imprese;

-        le modalità di adesione da parte di cittadini e imprese in qualità di utenti di servizi in rete, nonché quelle delle imprese in qualità di erogatori di servizi in rete;

-        le modalità di accreditamento da parte dell’Agenzia per l’Italia digitale dei soggetti che gestiscono la registrazione e l’accesso in rete, c.d. gestori dell’identità digitale (comma 2-ter);

-        i tempi e le modalità di adozione del sistema SPID da parte delle pubbliche amministrazioni in qualità di erogatori di servizi in rete.

 

Il citato DPCM ha tra l’altro individuato tre livelli di sicurezza di autenticazione informatica dello SPID:

-        primo livello, corrispondente al Level of Assurance LoA2 dello standard ISO/IEC DIS 29115, in cui il gestore dell'identità digitale rende disponibili sistemi di autenticazione informatica a un solo fattore (ad esempio la password);

-        secondo livello, corrispondente al Level of Assurance LoA3 dello standard ISO/IEC DIS 29115, in cui il gestore dell'identità digitale rende disponibili sistemi di autenticazione informatica a due fattori, non basati necessariamente su certificati digitali;

-        terzo livello, corrispondente al Level of Assurance LoA4 dello standard ISO/IEC DIS 29115, in cui il gestore dell'identità digitale rende disponibili sistemi di autenticazione informatica a due fattori basati su certificati digitali.

 

Si ricorda che alcuni certificatori già utilizzano lo SPID con credenziali di livello 2 come sistema di riconoscimento per il rilascio della firma digitale (fonte AGID).

 

La terza soluzione (comma 1, lettera c) consiste nella possibilità di identificare l’utente che richiede la firma elettronica utilizzando un sistema di identificazione elettronica, basato su credenziali di livello almeno «significativo», nell’ambito di un regime di identificazione elettronica notificato, con esito positivo, ai sensi dell’articolo 9 del Regolamento (UE) n. 910/2014.

Come esplicitato dalla relazione illustrativa, si tratta dei sistemi di identificazione elettronica in relazione ai quali i singoli Stati membri hanno attivato e completato il processo di notifica, previsto dal Regolamento eIDAS, a garanzia dell’interoperabilità tra le diverse identità elettroniche europee, e in particolare riguarda la Carta di identità elettronica, tramite la quale sarà dunque possibile identificare l’utente ed erogare la firma elettronica avanzata, così rafforzando la diffusione e l’utilizzo di tale strumento di semplificazione.

 

La carta di identità elettronica è stata introdotta dalla legge 127/1997, che ha previsto la sostituzione della carta di identità cartacea con un documento realizzato su supporto informatico, contenente, oltre ai dati personali, il codice fiscale e, con l’accordo dell’interessato, l’indicazione del gruppo sanguigno. La CIE oltre a mantenere la funzione del documento cartaceo attestante l’identità della persona, ha la funzione di strumento di accesso ai servizi innovativi che le pubbliche amministrazioni locali e nazionali metteranno a disposizione per via telematica. La carta dovrà funzionare e dovrà poter essere utilizzata allo stesso modo su tutto il territorio nazionale.

Il passaggio decisivo verso la definizione della carta d’identità quale carta di servizi si ha con la modifica alla legge 127 operata dalla legge 191/1998, con cui viene previsto che la carta possa contenere, oltre ai dati personali, codice fiscale e gruppo sanguigno, anche altri dati che consentano l’erogazione al cittadino di quei servizi che ne richiedano l’identificazione, nonché tutte le informazioni, tra cui la chiave biometrica, necessarie per il suo utilizzo assieme alla firma digitale. Tra gli obiettivi dell’informatizzazione del documento di identità, la legge individua la possibilità del trasferimento elettronico dei pagamenti tra soggetti privati e pubbliche amministrazioni.

Le disposizioni sulla carta di identità e sui documenti elettronici sono in seguito confluite nell’art. 36 del testo unico sulla documentazione amministrativa (D.P.R. 445/2000) e, successivamente, nell’art. 66 del Codice dell’amministrazione digitale, che costituisce la norma di riferimento per la materia.

Nel 1999, viene approvato il regolamento che reca le regole tecniche e le modalità di rilascio (D.P.R. 22 ottobre 1999, n. 437, Regolamento recante caratteristiche e modalità per il rilascio della carta di identità elettronica e del documento di identità elettronico). Con il decreto del Ministro dell’interno 19 luglio 2000 sono state dettate le regole tecniche e di sicurezza relative alla carta d'identità e al documento d'identità elettronico.

Il quadro normativo è completato dal decreto del Ministro dell’interno 23 dicembre 2015 (recante le modalità tecniche di emissione della Carta d’identità elettronica) e dal decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 25 maggio 2016 (recante la determinazione del corrispettivo a carico del richiedente la carta d’identità elettronica).

Si ricorda inoltre il DL 78/2015 (art. 10, commi 3, 4 e 5) che interviene sulla disciplina della carta di identità elettronica CIE che non è più definito quale documento obbligatorio di identificazione. Inoltre, viene definitivamente superato il progetto di unificazione della CIE e della tessera sanitaria nel Documento digitale unificato (DDU) previsto dal DL 70/2011. Il provvedimento provvede inoltre a stanziare le risorse necessarie per coprire le spese previste per l’implementazione del progetto CIE.

Da ultimo, l'articolo 1, comma 811 della legge di bilancio 2019 (L. 145/2018) ha integrato la disposizione di cui all'art. 7-vicies ter, comma 2-bis del D.L. 43/2005, al fine di consentire al Ministero dell'interno di stipulare convenzioni ai fini della riduzione degli oneri amministrativi e di semplificazione delle modalità di richiesta, gestione e rilascio della carta d'identità elettronica, nel limite di spesa di 750 mila euro a decorrere dal 2019.

È all’esame della camera una  proposta di legge A.C. 432 volta a potenziare l'utilizzo della carta di identità elettronica (CIE) come strumento di accertamento dell'identità del cittadino e di accesso del cittadino stesso ai servizi in rete.

In particolare, si definisce la CIE quale strumento che assicura al massimo livello di sicurezza il riconoscimento dell'identità fisica e digitale del cittadino e si prescrive di dotare le autorità di pubblica sicurezza degli strumenti informatici necessari per garantire l'immediato riconoscimento della persona.

 

Il comma 2, prevede l’obbligo, in capo ai soggetti che erogano le soluzioni di firma elettronica avanzata, di conservare, per venti anni, le registrazioni informatiche riferite al processo di identificazione in base al quale è stata attribuita la firma elettronica avanzata.

 

Con il comma 3 si introducono modifiche al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, che contiene le norme nazionali di recepimento della disciplina unionale in materia di prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo di cui alla direttiva (UE) 2015/849 (c.d. IV direttiva AML), come da ultimo emendata dalla direttiva (UE) 2018/843 (c.d. V direttiva AML).

Per ulteriori informazioni sulla materia, si rinvia al tema web su pagamenti e antiriciclaggio.

 

La relazione illustrativa del Governo chiarisce che l’obiettivo delle modifiche è quello di eliminare oneri ulteriori e non necessari, cd. goldplating, imposti dal diritto nazionale, allo scopo di semplificare e rendere meno oneroso l’adempimento degli obblighi di adeguata verifica dei clienti nel caso di instaurazione di rapporti contrattuali a distanza, mediante l’utilizzo di strumenti di pagamento digitali, fermo restando il rispetto degli standard e delle regole imposte dal diritto europeo.

 

In sintesi, le modifiche di cui alle lettere a) e b) eliminano la necessità di riscontrare in ogni caso il documento di identità del cliente, ai fini dell’assolvimento degli obblighi di adeguata verifica disposti dalla normativa antiriciclaggio, ove l’identificazione avvenga a distanza, previa adeguata verifica identificativa secondo le condizioni di sicurezza e attendibilità imposte dagli standard nazionali ed europei.

 

La lettera a) interviene sull’articolo 1, comma 2, lettera n) del citato decreto legislativo n. 231, norma che contiene le definizioni rilevanti ai fini della citata disciplina.

Per effetto delle modifiche in commento, gli estremi del documento di identificazione sono espunti dal novero dei dati identificativi delle persone fisiche. 

 

La lettera b) sostituisce la lettera a) dell’articolo 18, comma 1, del D.Lgs. n. 231 del 2007, relativa alle modalità con cui è assolto l’obbligo di adeguata verifica della clientela.

Analogamente alla lettera a), con le modifiche in commento si elimina dalla norma il riferimento al riscontro di un documento d'identità o di altro documento di riconoscimento equipollente ai sensi della normativa vigente.

Di conseguenza, l’identificazione del cliente e la verifica della sua identità ai fini degli obblighi antiriciclaggio avviene sulla base di documenti, dati o informazioni ottenuti da una fonte affidabile e indipendente; resta fermo che le medesime misure si attuano nei confronti dell’esecutore, anche in relazione alla verifica dell’esistenza e dell’ampiezza del potere di rappresentanza in forza del quale opera in nome e per conto del cliente. 

 

Il Governo nella relazione illustrativa rammenta che il previgente articolo 18 del decreto legislativo n. 231 del 2007 imponeva, in ogni caso, l’esibizione del documento di identità come criterio generale di adeguata verifica della clientela, anche quando tale verifica fosse effettuata a distanza tramite gli strumenti di verifica dell’identità digitale con livello di sicurezza almeno significativo, previsti dal regolamento (UE) n. 910/2014 per l’accesso ai servizi che presuppongono l’identificazione sicura del cliente.

Al riguardo l’esecutivo rileva che l’obbligo di trasmettere la fotocopia del documento di identità o equipollente del cliente, anche se l’identità della persona è stata verificata a distanza, in via digitale, con gli strumenti idonei e sicuri previsti dalla normativa europea, non è prevista dall’articolo 13 della direttiva (UE) 2015/849, come da ultimo emendata dalla direttiva (UE) 2018/843.

 L’articolo 13, comma 1, lettera a) della direttiva citata dispone che l’adeguata verifica della clientela sia assolta mediante l’adempimento del dovere di identificare il cliente e verificarne l'identità sulla base di documenti, dati o informazioni ottenuti da una fonte attendibile e indipendente, compresi, se disponibili, i mezzi di identificazione elettronica o i pertinenti servizi fiduciari di cui al citato regolamento (UE) n. 910/2014 o altre procedure di identificazione a distanza o elettronica sicure, regolamentate, riconosciute, approvate o accettate dalle autorità nazionali competenti.

Il Governo al riguardo puntualizza che la semplificazione riguarda esclusivamente i casi di verifica della clientela a distanza, per come questa è già consentita dalla legge, all’articolo 19 del decreto legislativo n. 231 del 2007; resta immutata la previsione dell’articolo 19, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo n. 231 del 2007, che impone l’obbligo di riscontrare il documento di identità e i suoi estremi in tutti i casi di verifica in presenza del cliente.

 

L’intervento di cui alla lettera c), n. 1, modifica l’articolo 19, comma 1, lettera a), numero 2 del D. Lgs. n. 231 del 2007, che ritiene assolto l'obbligo di identificazione anche senza la presenza fisica del cliente qualora quest’ultimo possieda una identità digitale avente specifiche caratteristiche.

 

In particolare, ai sensi delle norme vigenti, l’obbligo di identificazione si considera assolto, anche a distanza, se il cliente possiede un'identità digitale, di livello massimo di sicurezza, nell'ambito dello SPID - Sistema pubblico per la gestione delle identità digitali e modalità di accesso ai servizi erogati in rete dalle pubbliche amministrazioni (di cui all'articolo 64 del decreto legislativo n. 82 del 2005), ovvero se il cliente possiede un'identità digitale di livello massimo di sicurezza o di un certificato per la generazione di firma digitale, rilasciati nell'ambito di un regime di identificazione elettronica compreso nell'elenco pubblicato dalla Commissione europea a norma dell'articolo 9 del regolamento eIDAS (regolamento UE n. 910/2014 in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno) ovvero se il cliente è identificato per mezzo di procedure di identificazione elettronica sicure e regolamentate ovvero autorizzate o riconosciute dall'Agenzia per l'Italia digitale.

 

L’articolo 9, comma 2 del regolamento 910/2014 prevede che la Commissione pubblica nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea un elenco dei regimi di identificazione elettronica notificati dagli Stati membri.

 

Le modifiche in esame, come chiarito alla relazione illustrativa, intendono semplificare le modalità di adempimento degli obblighi di adeguata verifica attraverso l’utilizzo di strumenti di identificazione a distanza attraverso due interventi:

§  si prevede che gli strumenti di identificazione soddisfino un livello di garanzia almeno significativo, in luogo dell’attuale previsione di un “livello massimo di sicurezza”;

§  si corregge una imprecisione della formulazione attuale della norma, che fa riferimento all’elenco pubblicato dalla Commissione europea ai sensi dell’articolo 9 del regolamento (UE) n. 910/2014 (eIDAS); esso riguarda i regimi di identificazione elettronica notificati, ma non la firma digitale (in particolare, la firma elettronica qualificata), come erroneamente inteso dalla formulazione vigente.

 

L’intervento di cui alla lettera c), n. 2, introduce un punto 4-bis al già citato articolo 19, comma 1, lettera a) del D.Lgs. n. 231 del 2007.

L’intervento è volto a chiarire che, per la sola ipotesi di instaurazione di rapporti continuativi relativi a carte di pagamento e dispositivi analoghi, nonché a strumenti di pagamento basati su dispositivi di telecomunicazione, digitali o informatici -  con esclusione dei casi in cui tali carte, dispositivi o strumenti sono utilizzabili per generare l’informazione necessaria a effettuare direttamente un bonifico o un addebito diretto verso e da un conto di pagamento – sia prevista una speciale modalità di identificazione e verifica a distanza dell’identità.

Tale identificazione consiste nell’esecuzione di un bonifico, disposto dallo stesso cliente da identificare, verso un conto di pagamento intestato al soggetto tenuto all’obbligo di identificazione, a condizione che il bonifico sia disposto previa identificazione elettronica basata su credenziali che assicurano i requisiti previsti dall’articolo 4 del regolamento delegato (UE) 2018/389 della Commissione del 27 novembre 2017.

 

Il citato regolamento integra la direttiva PSD2 (seconda direttiva sui servizi di pagamento: direttiva UE 2015/2366) individuando le norme tecniche di regolamentazione per l'autenticazione forte del cliente e gli standard aperti di comunicazione comuni e sicuri. L’articolo 4, in sintesi, tra le misure di autenticazione “forte” del cliente prevede la generazione di un codice di autenticazione.

A tal fine, i prestatori di servizi di pagamento devono adottare misure di sicurezza al fine di garantire il soddisfacimento dei seguenti requisiti: nessuna informazione può essere ricavata dalla comunicazione del codice di autenticazione; non è possibile generare un nuovo codice di autenticazione sulla base della conoscenza di un altro codice di autenticazione generato in precedenza; il codice di autenticazione non può essere contraffatto.

 

A parere del Governo, la norma intende evitare il ripetersi di non necessari adempimenti di identificazione dei clienti, ove stati questi siano stati già svolti dal prestatore del servizio di radicamento del conto di provenienza del bonifico.

 


Articolo 28
(Semplificazione della notificazione e comunicazione telematica degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale)

 

 

L'articolo 28 interviene sulla disciplina concernente la comunicazione al Ministero della giustizia, da parte delle pubbliche amministrazioni, dell'indirizzo di posta elettronica certificata (PEC), da utilizzare per la ricezione di comunicazioni e notificazioni. La norma in esame prevede la possibilità di comunicare gli indirizzi PEC di organi o articolazioni, anche territoriali, delle pubbliche amministrazioni. Si prevede, inoltre, la possibilità di comunicare ulteriori indirizzi PEC delle amministrazioni che si costituiscono in giudizio tramite i propri dipendenti.

Sono infine disciplinati i casi di mancata comunicazione dell'indirizzo PEC.

 

Il comma 1, lettera a), reca modifiche all'art. 16, comma 12, del D.L. n. 179 del 2012 (convertito dalla legge n. 221 del 2012). Esso stabilisce che le pubbliche amministrazioni comunichino al Ministero della giustizia l'indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) per la ricezione di comunicazioni e notificazioni, entro il 30 novembre 2014. Tale temine, scaduto, è espunto dalla disposizione in esame.

 

La comunicazione è effettuata in conformità alle disposizioni del regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione, nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, emanato con il decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44, in attuazione dell'art. 4 del D.L. n. 193 del 2009. Inoltre, l'indirizzo PEC deve essere conforme a quanto previsto dal regolamento di cui al d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, recante "Disposizioni per l'utilizzo della posta elettronica certificata".

 

Secondo la norma in esame, con tali modalità possono essere comunicati:

§  indirizzi PEC di organi o articolazioni, anche territoriali, delle pubbliche amministrazioni. Questi indirizzi possono essere utilizzati per eseguire le comunicazioni o notificazioni per via telematica nel caso in cui sia stabilito presso tali uffici l'obbligo di notifica degli atti introduttivi di giudizio in relazione a specifiche materie, ovvero in caso di autonoma capacità o legittimazione processuale;

§  ulteriori indirizzi PEC utilizzabili, per le medesime finalità, in caso di costituzione in giudizio tramite propri dipendenti. Tali indirizzi sono riportati in una speciale sezione dell'elenco degli indirizzi PEC presso il Ministero della giustizia e dovranno essere corrispondenti a specifiche aree organizzative omogenee, presso cui è eletto domicilio ai fini del giudizio.

 

Le Linee guida AgID dell’Indice dei domicili digitali delle Pubbliche Amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi prevedono che ogni ente deve inserire e mantenere aggiornati i propri dati organizzati nelle seguenti sezioni:

a. Ente;

b. Aree Organizzative Omogenee (AOO);

c. Unità Organizzative (UO).

Per ciascuna sezione le Linee guida indicano le informazioni obbligatorie.

 

Si segnala che l'art. 16, comma 12, fa riferimento alle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Esse sono: tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al d.lgs. n. 300 del 1999.

 

 

Il comma 1, lettera b) modifica il comma 13 dell'art. 16 del D.L. n. 179 del 2012, prevedendo che, in caso di mancata comunicazione ai sensi del comma 12,

§  le comunicazioni e notificazioni a cura della cancelleria si effettuino ai sensi dei commi 6 e 8 dell'art. 16 medesimo;

§  le notificazioni ad istanza di parte si effettuino ai sensi dell'articolo 16-ter, comma 1-ter (v. infra).

 

L'art. 16, comma 6, del d.l. 179 del 2012, qui richiamato, stabilisce che le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto ad istituire o comunicare l'indirizzo PEC, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. Le stesse modalità si adottano nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario. A tale riguardo si ricorda che l'art. 16, comma 4, stabilisce che nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria dovranno essere effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procederà, nel procedimento penale, per le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, c.p.p.. La notifica avviene quindi via PEC a persona diversa dall'imputato a condizione che tale soggetto sia in possesso di indirizzo PEC incluso in pubblici elenchi e comunque accessibile alle pubbliche amministrazioni. La relazione di notificazione viene redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alle cancellerie. Sulla base di tale precisazione si dovrebbe quindi escludere che le parti private possano fare uso della PEC. L'art 150 c.p.p. prevede che, "quando lo consigliano circostanze particolari", il giudice, con proprio decreto, può disporre la notificazione a persona diversa dall'imputato mediante mezzi comunque idonei a garantire la conoscibilità dell'atto (quindi anche PEC o altri mezzi). L'art. 149 prevede la possibilità da parte del giudice di disporre, anche su richiesta di parte, che, in casi di urgenza, le persone diverse dall'imputato siano avvisate o convocate a mezzo del telefono, a cura della cancelleria o, quando ciò risulti impossibile, con telegramma. L'art. 151, comma 2, prevede che la consegna di copia all'interessato, da parte della segreteria, di atti del pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari, abbia valore di notificazione.

L'art. 16, comma 8, qui richiamato, stabilisce che quando non si può procedere secondo quanto stabilito dal comma 4,

§  nei procedimenti civili si applicano l'articolo 136, terzo comma, e gli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile, concernenti le notificazioni nel processo civile; 

§  nei procedimenti penali, si applicano gli articoli 148 e seguenti del codice di procedura penale (v. sopra).

 

 

Il comma 1, lettera c), reca modifiche all'art. 16-ter del medesimo D.L. n. 179 del 2012.

Tale articolo 16-ter, al comma 1, riferisce la nozione di "pubblici elenchi" per notificazioni e comunicazioni (in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale) a quanto stabilito dagli articoli:

§  6-bis (Indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti), 6-quater (Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato, non tenuti all'iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese) e 62 (Anagrafe nazionale della popolazione residente - ANPR) del CAD;

§  16, comma 12, del decreto-legge n. 179 del 2012, qui novellato;

§  16, comma 16, del decreto-legge n. 185 del 2008 (registro delle imprese corredato dagli indirizzi PEC o analogo indirizzo di posta elettronica);

§  nonché al registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della giustizia.

 

Introducendo un nuovo comma 1-ter all'art. 16-ter, si prevede che in caso di mancata indicazione nell'elenco di indirizzi PEC, la notificazione degli atti alle pubbliche amministrazioni (in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale) è validamente effettuata, a tutti gli effetti, al domicilio digitale indicato nell'Indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi, di cui all'articolo 6-ter del CAD. Ove risultino nell'Indice più domicili digitali facenti capo alla stessa amministrazione pubblica, la notificazione è effettuata presso l'indirizzo PEC primario, ivi indicato nella sezione ente dell'amministrazione pubblica destinataria, secondo le previsioni delle Linee guida di AgID (Agenzia per l'Italia digitale, Det. 4 aprile 2019, n. 97, recante "Adozione delle Linee Guida dell'Indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici - IPA").

Tali disposizioni trovano applicazione anche alla giustizia amministrativa (ai sensi della modifica recata dalla norma in esame al comma 1-bis dell'art. 16-ter).

Rimane ferma la disciplina recata dal testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato di cui al R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611.

 

Le già citate Linee guida AgID dell’Indice dei domicili digitali delle Pubbliche Amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi prevedono che, all'interno della sezione "Ente", debba essere indicato un indirizzo PEC primario.

 

Si ricorda infine, per completezza di informazione, che il medesimo art. 16, comma 12, del D.L. n. 179, precisa che l’elenco presso il Ministero della giustizia, contenente gli indirizzi PEC delle pubbliche amministrazioni è consultabile esclusivamente dal Ministero della giustizia, dagli UNEP (Uffici notificazioni e protesti del ministero della giustizia) e dagli avvocati.

 

Il comma 2 dell'articolo in esame, demanda ad un provvedimento del responsabile dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, da adottare nel termine di novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, la definizione delle specifiche tecniche per l’attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 16, comma 12, come modificato dal presente articolo. Rimane fermo quanto previsto dal comma 1-ter dell'art. 16-ter, introdotto dal presente articolo.

 

In tema di giustizia digitale, si segnala che l’articolo 221 del decreto-legge n. 34 del 2020 ("decreto rilancio"), oltre alle disposizioni di carattere temporaneo connesse all'emergenza da Covid-19, efficaci fino al 31 ottobre 2020, introduce disposizioni a regime concernenti il deposito con modalità telematica di istanze e atti presso gli uffici del pubblico ministero, nella fase delle indagini preliminari, da parte dei difensori e della polizia giudiziaria.

Più nel dettaglio la norma:

§  demanda ad un decreto del Ministro della giustizia non avente natura regolamentare - previo accertamento da parte del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero  della funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici - l’autorizzazione del deposito con modalità telematica, presso gli uffici del pubblico ministero, di memorie, documenti, richieste e istanze da parte del difensore dell’indagato una volta ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini preliminari ( art. 415-bis, comma 3, c.p.p[36]), nonché di atti e documenti da parte degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria;

§  quanto alle modalità del deposito rinvia ad un provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, anche in deroga alle disposizioni del regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione;

Si tratta del D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, emanato ai sensi dell'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n.?193, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 febbraio 2010, n.?24.

§  stabilisce che il deposito si intende eseguito al momento del rilascio della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali, secondo le modalità stabilite dal provvedimento direttoriale suddetto.

 


Articolo 29
(Disposizioni per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici e piattaforma unica nazionale informatica di targhe associate a permessi di circolazione dei titolari di contrassegni)

 

L'articolo 29, comma 1, apporta modifiche alla legge 9 gennaio 2004, n. 4, recante "Disposizioni per favorire l'accesso delle persone con disabilità agli strumenti informatici", già modificata dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 106, di recepimento della direttiva (UE) n. 2016/2102 relativa all'accessibilità dei siti web e delle applicazioni mobili degli enti pubblici.  Le modifiche formulate sono volte ad estendere gli obblighi di accessibilità già previsti dalla normativa vigente anche ai soggetti privati che offrono servizi al pubblico attraverso siti web o applicazioni mobili, con un fatturato medio, negli ultimi tre anni di attività, superiore a novecento milioni di euro.

Il comma 2 modifica l’articolo 1, commi 489 e 491, della legge 28 dicembre 2018, n. 145, recante il "Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021", al fine di destinare il Fondo per l'accessibilità e la mobilità delle persone con disabilità alla realizzazione di una piattaforma unica nazionale informatica di targhe associate a permessi di circolazione dei titolari di contrassegni rilasciati ai sensi dell’articolo 381, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 ("Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada").

 

L'articolo 29 apporta ulteriori modifiche alla legge 9 gennaio 2004 n. 4 recante "Disposizioni per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici", già modificata dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 106 di recepimento della direttiva (UE) 2016/2102 relativa all'accessibilità dei siti web e delle applicazioni mobili degli enti pubblici.

Come evidenziato nella relazione illustrativa, le modifiche formulate sono principalmente volte a estendere gli obblighi di accessibilità già previsti dalla normativa vigente anche ai soggetti privati che offrono servizi al pubblico attraverso siti web o applicazioni mobili.

 

Il comma 1, lettera a), modifica l’articolo 1, comma 2, della citata legge n. 4 del 2004, precisando che il diritto di accesso delle persone con disabilità deve essere tutelato e garantito non solo per i servizi informatici e telematici della pubblica amministrazione, ma anche con riferimento alle strutture e ai servizi aperti o forniti al pubblico attraverso i nuovi sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione in rete.

 

Il comma 1, lettera b), reca una modifica di coordinamento normativo mediante il richiamo all’articolo 2, comma 1, lettera a-quinquies, della citata legge, del novellato articolo 3, nuovo comma 1-bis, al fine di includere nel novero dei soggetti erogatori destinatari degli obblighi di accessibilità anche i soggetti identificati dalla successiva lettera c) della norma.

 

Il comma 1, lettera c), inserisce infatti all'articolo 3 il nuovo comma 1-bis in cui viene precisato che gli obblighi derivanti dalla legge 4/2004 si applicano anche ai soggetti giuridici, diversi da quelli di cui all’articolo 3, comma 1, che offrono servizi al pubblico attraverso siti web o applicazioni mobili, con un fatturato medio, negli ultimi tre anni di attività, superiore a novecento milioni di euro.

 

Seguono norme di coordinamento volte a rendere effettivo il sistema già previsto dalla legge 4/2004 anche per i nuovi destinatari delle disposizioni vigenti.

 

Il comma 1, lettera d), modifica l'articolo 4, comma 1, della legge 4/2004 precisando che l'obbligo di motivare adeguatamente la mancata considerazione dei requisiti di accessibilità è esteso anche all’acquisizione di beni o alla fornitura di servizi effettuata dai soggetti di cui all’articolo 3, comma 1-bis.

Modifica inoltre l'articolo 4, comma 2, estendendo ai soggetti di cui all'articolo 3, comma 1-bis, la sanzione della nullità per i contratti per la realizzazione e la modifica di siti web e applicazioni mobili conclusi in violazione dei requisiti di accessibilità. Tali requisiti sono stabiliti dalle linee guida emanate dall'Agenzia per l'Italia digitale, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281

 

Le Linee guida sull’accessibilità degli strumenti informatici, così come disposto dall’art. 11 della L. 4/2004, hanno lo scopo di definire:

  1. i requisiti tecnici per l’accessibilità degli strumenti informatici, ivi inclusi i siti web e le applicazioni mobili;
  2. le metodologie tecniche per la verifica dell’accessibilità degli strumenti informatici;
  3. il modello della dichiarazione di accessibilità;
  4. la metodologia di monitoraggio e valutazione della conformità degli strumenti informatici alle prescrizioni in materia di accessibilità;
  5. le circostanze in presenza delle quali si determina un onere sproporzionato.

 

Le amministrazioni pubbliche dovranno: effettuare le verifiche dell’accessibilità degli strumenti informatici (siti web e app), al fine di valutarne lo stato di conformità; compilare e pubblicare una "dichiarazione di accessibilità" (sotto la responsabilità del Responsabile per la transizione al digitale – RTD) tramite la procedura online resa disponibile dall'Agenzia. Nella dichiarazione potranno essere previste eventuali deroghe all’accessibilità (come il ricorso all’onere sproporzionato); predisporre un "meccanismo di feedback" per consentire ai cittadini di inviare una segnalazione di prima istanza.

L’Agenzia effettua il monitoraggio dei siti web e delle app su un campione rappresentativo, relazionando ogni 3 anni alla Commissione europea sui risultati del monitoraggio.

 

Il comma 1, lettera e), modifica il primo comma dell’articolo 7, che disciplina i compiti amministrativi dell'Agenzia per l'Italia digitale, precisando che le disposizioni di cui all'articolo 7 troveranno applicazione "nei confronti dei soggetti di cui all’articolo 3, comma 1", e non dunque nei confronti dei soggetti erogatori previsti dal nuovo articolo 3, comma 1-bis.

 

Il comma 1, lettera f), modifica l’articolo 9, comma 1, limitando ai soggetti di cui all’articolo 3, comma 1, la responsabilità dirigenziale e la responsabilità disciplinare, ai sensi degli articoli 21 e 55 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 ("Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche"), ferme restando le eventuali responsabilità penali e civili previste dalle norme vigenti.

Il medesimo comma 1, lettera f) introduce inoltre, dopo il comma 1 dell'articolo 9, il comma 1-bis.

Fermo restando il diritto del soggetto discriminato ad agire contro la discriminazione, ai sensi della legge 1° marzo 2006, n. 67 recante "Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni", il nuovo comma prevede una sanzione amministrativa per l’inosservanza degli obblighi previsti da parte dei soggetti di cui all’articolo 3, comma 1-bis. L’inosservanza delle disposizioni è accertata e sanzionata dall’Agenzia per l'Italia digitale. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II, della legge 24 novembre 1981, n. 689 ("Modifiche al sistema penale"). Se a seguito dell'istruttoria l'Agenzia per l'Italia digitale ravvisa violazioni, fissa il termine per l'eliminazione delle infrazioni stesse da parte del trasgressore. In caso di inottemperanza alla diffida di cui al periodo precedente, l'Agenzia per l'Italia digitale applica la sanzione amministrativa pecuniaria fino al cinque per cento del fatturato.

 

L’Agenzia per l'Italia digitale (AGID) è stata istituita ai sensi dell'articolo 19 del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1 della legge 7 agosto 2012, n. 134, e successive modifiche ed integrazioni.

L'Agenzia ha personalità giuridica di diritto pubblico ed è dotata di autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria. È sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, o del Ministro da lui delegato, e al controllo della Corte dei conti.

L'attività dell'Agenzia è disciplinata dal decreto istitutivo, dalle norme del suo statuto e dalle norme regolamentari emanate nell'esercizio della propria autonomia. Svolge le funzioni e i compiti ad essa attribuiti al fine di perseguire il massimo livello di utilizzo delle tecnologie digitali nell'organizzazione della pubblica amministrazione e nel rapporto fra questa, i cittadini e le imprese, nel rispetto dei principi di legalità, imparzialità e trasparenza e secondo criteri di efficienza, economicità ed efficacia.

L'Agenzia è inoltre preposta alla realizzazione degli obiettivi dell’Agenda digitale italiana, in coerenza con gli indirizzi dettati dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro delegato, e con l’Agenda digitale europea.

 

L’Agenda digitale europea è stata concepita come una delle sette iniziative faro della strategia Europa 2020, che ha fissato gli obiettivi per la crescita nell’Unione europea da raggiungere entro il 2020.

Lanciata nel 2010, l’Agenda digitale europea propone di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) per favorire l’innovazione, la crescita economica e il progresso offerti da un mercato digitale unico. Le aree d’azione delineate dalla Commissione europea sono sette: realizzazione del mercato unico digitale, miglioramento dell’interoperabilità e degli standard, rafforzamento della fiducia e della sicurezza online, promozione di un accesso veloce a Internet disponibile per tutti, incremento degli investimenti in ricerca e innovazione, integrazione, alfabetizzazione e sviluppo delle competenze digitali, attivazione dei benefici dell’ICT per l’Europa.

Al fine di garantire un ambiente digitale equo, aperto e sicuro, la Commissione ha inoltre avviato la strategia per il mercato unico digitale, basata su tre pilastri: fornire ai consumatori e alle imprese un migliore accesso ai beni e servizi digitali in tutta Europa; creare le condizioni ideali che consentano alle reti e servizi digitali di prosperare; massimizzare il potenziale di crescita dell'economia digitale.

 

La direttiva (UE) 2016/2102 relativa all'accessibilità dei siti web e delle applicazioni mobili degli enti pubblici mira al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri riguardanti le prescrizioni in materia di accessibilità dei siti web e delle applicazioni mobili degli enti pubblici, consentendo così a tali siti e applicazioni di essere maggiormente accessibili agli utenti, in particolare alle persone con disabilità.

Al "considerando n. 34" la direttiva evidenzia tuttavia che gli Stati membri dovrebbero essere incoraggiati a estendere l'applicazione della medesima direttiva agli enti privati che offrono strutture e servizi aperti o forniti al pubblico, anche nei settori della sanità, dei servizi per l'infanzia, dell'inclusione sociale e della sicurezza sociale, nonché nel settore dei servizi di trasporto e dell'elettricità, del gas, dell'energia termica, dell'acqua, del servizi delle comunicazioni elettroniche e dei servizi postali, con particolare riguardo ai servizi di cui agli articoli da 8 a 13 della direttiva 2014/25/UE sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali.

La direttiva (UE) 2016/2102 stabilisce le norme cui gli Stati membri devono conformarsi per assicurare che i siti web, indipendentemente dal dispositivo utilizzato per l'accesso, e le applicazioni mobili degli enti pubblici soddisfino le prescrizioni in materia di accessibilità di cui all'articolo 4 della direttiva stessa. In base a tale articolo, gli Stati membri devono provvedere affinché gli enti pubblici adottino le misure necessarie per rendere più accessibili i loro siti web e le loro applicazioni mobili di modo che siano "percepibili, utilizzabili, comprensibili e solidi".

L’articolo 1, oltre alle finalità della direttiva, individua gli ambiti esclusi dalla sua applicazione. In particolare sono esclusi i siti web e applicazioni mobili delle emittenti di servizio pubblico (il cui regime di accessibilità è più adeguatamente disciplinato dalle norme relative al settore di riferimento) e i siti web e applicazioni mobili di ONG che non forniscono servizi pubblici essenziali per il pubblico (o specificamente per persone disabili) per le quali l’onere di adempiere alle prescrizioni della direttiva è ritenuto, nell’ambito del "considerando n. 25", sproporzionato. Gli Stati membri possono inoltre escludere dall'applicazione della direttiva i siti web e le applicazioni mobili di scuole, giardini d'infanzia o asili nido, ad eccezione dei contenuti relativi a funzioni amministrative essenziali online.

L’articolo 2 precisa che gli Stati membri possono mantenere o introdurre misure conformi al diritto dell'Unione che vadano al di là delle prescrizioni minime per l'accessibilità web di siti internet e applicazioni mobili stabilite dalla direttiva.

L’articolo 5 consente di non applicare i principi di accessibilità nel caso in cui ciò determini oneri sproporzionati. Secondo il "considerando n. 39" per misure che imporrebbero un onere sproporzionato si dovrebbero intendere le misure che imporrebbero a un ente pubblico un onere organizzativo o finanziario eccessivo, o metterebbero a rischio la sua capacità di adempiere al suo scopo o di pubblicare le informazioni necessarie o pertinenti per i suoi compiti e servizi, pur tenendo conto del probabile beneficio o danno che ne deriverebbe per i cittadini, in particolare per le persone con disabilità. La mancanza di carattere prioritario, di tempo o di conoscenze non possono tuttavia essere considerati un motivo legittimo per derogare alle norme in tema di accessibilità.

Per valutare la sussistenza di oneri sproporzionati le pubbliche amministrazioni valutano l’onere tenendo conto delle dimensioni, delle risorse e della natura dell'ente pubblico interessato e della stima dei costi e dei benefici per l'ente pubblico interessato in rapporto ai benefici previsti per le persone con disabilità, e qualora l’onere sia sproporzionato indicano nell’apposito documento di accessibilità quali siano le parti delle prescrizioni in materia di accessibilità cui non è stato possibile conformarsi e se del caso fornire alternative accessibili.

L’articolo 6 sancisce una presunzione di conformità alle prescrizioni in tema di accessibilità per i contenuti dei siti web e delle applicazioni mobili che rispettano le norme armonizzate (o parte di esse), i cui riferimenti sono stati pubblicati dalla Commissione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea in conformità del regolamento (UE) n. 1025/2012 sulla normazione europea, nonché per le applicazioni mobili che rispettano le specifiche tecniche definite dalla Commissione, in assenza di norme armonizzate, o parti di esse. Sono inoltre presunti conformi i contenuti dei siti web che, in assenza di norme armonizzate, soddisfano i requisiti pertinenti, o parti di essi, della norma europea EN 301 549 V1.1.2 (2015-04) concernente i requisiti di accessibilità per l’acquisizione di prodotti e servizi ITC, nonché i contenuti delle applicazioni mobili che soddisfano i requisiti pertinenti, o parti di esse, della medesima norma tecnica in assenza sia di norme armonizzate che di specifiche tecniche.

L’articolo 8 disciplina il monitoraggio sulla conformità dei siti web e delle applicazioni mobili degli enti pubblici alle prescrizioni in materia di accessibilità cui sono tenuti gli Stati membri individuandone il regime. Entro il 23 dicembre 2021 e successivamente ogni tre anni, gli Stati membri sono tenuti a presentare alla Commissione una relazione sugli esiti del monitoraggio, includendo i dati misurati.

La direttiva, il cui termine per il recepimento era il 23 settembre 2018, è stata recepita con il decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 106, il quale ha provveduto all'adeguamento della disciplina vigente.

 

Nel 2018 la Commissione europea ha adottato due decisioni di esecuzione per l'attuazione della direttiva (UE) 2016/2102: la decisione di esecuzione (UE) 2018/1523 che istituisce un modello di dichiarazione di accessibilità e la decisione di esecuzione (UE) 2018/1524 che stabilisce una metodologia di monitoraggio e definisce le disposizioni riguardanti la presentazione delle relazioni degli Stati membri. Nello stesso anno, la Commissione europea ha inoltre pubblicato la decisione di esecuzione (UE) 2018/2048 relativa alla norma armonizzata per i siti web e le applicazioni mobili. La Commissione europea ha anche istituito un gruppo di esperti per l'attuazione della direttiva sull'accessibilità del web, facilitare la cooperazione fra gli Stati membri e le parti interessate e scambiare le migliori pratiche (WADEX).

L'attuale norma armonizzata è EN 301 549 V2.1.2 (2018-08), in linea con le recenti Linee guida per l'accessibilità dei contenuti web WCAG 2.1.

La norma EN 301 549 si basa sulle linee guida per l'accessibilità ai contenuti del web, elaborate dal Consorzio mondiale del Web (W3C) nell'ambito dell'iniziativa per l'accessibilità del web. Esse si rivolgono a tutti i fornitori di contenuti web, gli scrittori, gli sviluppatori e i progettisti.

I contenuti accessibili dovrebbero rispettare i quattro principi dell'accessibilità del web:

  1. percepibilità – il contenuto dovrebbe essere disponibile in almeno uno dei sensi dell'utente. Ad esempio, per gli utenti ipovedenti le immagini vengono descritte con un testo alternativo;
  2. utilizzabilità – il contenuto può essere controllato attraverso vari strumenti. Ad esempio, le persone che non sono in grado di utilizzare un mouse possono utilizzare solo la tastiera;
  3. comprensibilità – utilizzo di un linguaggio chiaro e semplice e di interfacce prevedibili e coerenti, il che aiuta le persone con disabilità cognitive o di lettura;
  4. solidità – il sito web o l'applicazione dovrebbero funzionare adeguatamente su diversi browser, dispositivi e piattaforme, compresa la tecnologia assistiva.

 

Per quanto riguarda la normativa europea, si segnala inoltre il regolamento (UE) 2015/2120, di modifica alla direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica, che ha stabilito misure riguardanti l’accesso a un’Internet aperta.

 

Nella relazione illustrativa il Governo evidenzia che l’emergenza sanitaria in corso ha rivelato quanto sia essenziale la possibilità di accedere e utilizzare i servizi digitali, in particolare per coloro che a causa di disabilità necessitano, senza discriminazioni, di tecnologie o configurazioni particolari, ad esempio, per ordinare un farmaco on line oppure richiedere assistenza medica. Sottolinea quindi che l’accessibilità e la fruibilità dei siti web o applicazioni mobili devono divenire in via ordinaria principi e tecniche da rispettare nella progettazione, nella costruzione, nella manutenzione e nell'aggiornamento di siti internet e di applicazioni mobili per rendere il loro contenuto più accessibile agli utenti, in particolare alle persone con disabilità, in ottemperanza al principio di uguaglianza ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione.

 

L'articolo 29, comma 2, apporta le seguenti modifiche all'articolo 1 della legge del 28 dicembre 2018 n. 145 ("Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021): 

 

a)      l'articolo 1, comma 489, viene modificato al fine destinare il Fondo per l'accessibilità e la mobilità delle persone con disabilità all’istituzione di una piattaforma unica nazionale informatica, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nell’ambito dell’archivio nazionale dei veicoli, previsto dall’articolo 226 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 recante il "Nuovo codice per la strada"[37], per consentire la verifica delle targhe associate a permessi di circolazione dei titolari di contrassegni, rilasciati ai sensi dell’articolo 381, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 ("Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada")[38], al fine di  agevolare la mobilità, sull’intero territorio nazionale, delle persone titolari dei predetti contrassegni.

 

La relazione illustrativa evidenzia che la piattaforma è volta ad agevolare la mobilità delle persone titolari dei contrassegni, su tutto il territorio nazionale, con particolare riferimento alla circolazione stradale nelle zone a traffico limitato e nelle particolari strade e/o corsie dove vigono divieti e limitazioni. Ad oggi, l’accesso è garantito nelle zone e strade del Comune di residenza della persona titolare del contrassegno, mentre negli altri Comuni è necessario richiedere autorizzazioni preventive o comunicazioni posteriori per evitare di incorrere in sanzioni improprie. Osserva quindi che, con la costituzione della piattaforma, sarà possibile verificare, sull’intero territorio nazionale, che la targa associata a un contrassegno sia abilitata a circolare ed accedere nelle zone a traffico limitato.

 

L'articolo 1, comma 489, della legge 145/2018 ha istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il "Fondo per l'accessibilità e la mobilità delle persone con disabilità", al fine di garantire l'attuazione della legge 3 marzo 2009, n. 18, e dell'articolo 9, paragrafo 1, lettera a), sull'accessibilità ai trasporti, e dell'articolo 20, sulla mobilità personale, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità è stata approvata il 13 dicembre 2006 ed entrata in vigore il 3 maggio 2008. L’Italia ha ratificato e resa esecutiva la Convenzione con la legge n. 18 del 3 marzo 2009; con il medesimo provvedimento, all'articolo 3, ha inoltre istituito l’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità.

In base al citato comma 489, il Fondo è stato destinato alla copertura finanziaria di interventi volti all'innovazione tecnologica delle strutture, contrassegno e segnaletica per la mobilità delle persone con disabilità di cui all'articolo 381 del regolamento di cui al DPR 495/1992. La dotazione del Fondo per il 2019 è pari 5 milioni di euro. Sono stati previsti successivi decreti annuali volti a definire gli interventi finalizzati alla prevenzione dell'uso indebito del contrassegno di parcheggio per disabili e alla definizione di interventi finalizzati all'innovazione tecnologica delle strutture, contrassegno e segnaletica per la mobilità delle persone con disabilità.

 

b)     Viene sostituito l'articolo 1, comma 491, al fine di consentire l'istituzione della piattaforma unica nazionale informatica[39]. Il nuovo comma stabilisce che, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dell'interno, sentite le associazioni delle persone con disabilità comparativamente più rappresentative a livello nazionale, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 ("Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato - città ed autonomie locali"), da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono definite le procedure per l’istituzione della piattaforma di cui al comma 489, nel rispetto dei principi applicabili al trattamento dei dati personali, previsti dagli articoli 5 e 9, paragrafo 2, lettera g), del regolamento (UE) n. 679/2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, e dagli articoli 2-sexies e 2-septies del Codice in materia di protezione dei dati personali di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, nonché previo parere del Garante per la protezione dei dati personali e delle prescrizioni adottate ai sensi dell’articolo 2-quinquiesdecies del medesimo Codice.

 

Il regolamento (UE) n. 679/2016 stabilisce le norme relative alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché le norme relative alla libera circolazione di tali dati ("regolamento generale sulla protezione dei dati"). Finalità del regolamento è la protezione dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche, in particolare il diritto alla protezione dei dati personali.

I principi applicabili al trattamento dei dati personali sono definiti all'articolo 5, ai sensi del quale i dati personali devono essere:

·         trattati in modo lecito, corretto e trasparente nei confronti dell'interessato ("liceità, correttezza e trasparenza");

·         raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime, e successivamente trattati in modo che non sia incompatibile con tali finalità; un ulteriore trattamento dei dati personali a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici non è considerato incompatibile con le finalità iniziali ("limitazione della finalità");

·         adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati ("minimizzazione dei dati");

·         esatti e, se necessario, aggiornati; devono essere adottate tutte le misure ragionevoli per cancellare o rettificare tempestivamente i dati inesatti rispetto alle finalità per le quali sono trattati ("esattezza");

·         conservati in una forma che consenta l'identificazione degli interessati per un arco di tempo non superiore al conseguimento delle finalità per le quali sono trattati; i dati personali possono essere conservati per periodi più lunghi a condizione che siano trattati esclusivamente a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici, fatta salva l'attuazione di misure tecniche e organizzative adeguate a tutela dei diritti e delle libertà dell'interessato ("limitazione della conservazione");

·         trattati in maniera da garantire un'adeguata sicurezza dei dati personali, compresa la protezione, mediante misure tecniche e organizzative adeguate, da trattamenti non autorizzati o illeciti e dalla perdita, dalla distruzione o dal danno accidentali ("integrità e riservatezza").

Il titolare del trattamento è competente per il rispetto di tali principi e in grado di comprovarlo ("responsabilizzazione").

L'articolo 9 del regolamento vieta il trattamento di dati personali che rivelino l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l'appartenenza sindacale, nonché il trattamento di dati genetici, di dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, di dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all'orientamento sessuale della persona.

Tale divieto non si applica, fra l'altro, se il trattamento è necessario per motivi di interesse pubblico rilevante sulla base del diritto dell'Unione o degli Stati membri; in tal caso il trattamento deve essere proporzionato alla finalità perseguita, rispettare l'essenza del diritto alla protezione dei dati e prevedere misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell'interessato (articolo 9, paragrafo 2, lettera g).

 

Il decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 recante il "Codice in materia di protezione dei dati personali", è stato riformato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, recante "Disposizioni per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679".

L'articolo 2-sexies ("trattamento di categorie particolari di dati personali necessario per motivi di interesse pubblico rilevante") al comma 1 stabilisce che i trattamenti delle categorie particolari di dati personali di cui all'articolo 9, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 679/2016 necessari per motivi di interesse pubblico rilevante ai sensi del paragrafo 2, lettera g), del medesimo articolo, sono ammessi qualora siano previsti dal diritto dell'Unione europea ovvero, nell'ordinamento interno, da disposizioni di legge o, nei casi previsti dalla legge, di regolamento che specifichino i tipi di dati che possono essere trattati, le operazioni eseguibili e il motivo di interesse pubblico rilevante, nonché le misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell'interessato.

Fermo quanto previsto dal comma 1, si considera rilevante l'interesse pubblico relativo a trattamenti effettuati da soggetti che svolgono compiti di interesse pubblico o connessi all'esercizio di pubblici poteri nelle seguenti materie:

a) accesso a documenti amministrativi e accesso civico;

b) tenuta degli atti e dei registri dello stato civile, delle anagrafi della popolazione residente in Italia e dei cittadini italiani residenti all'estero, e delle liste elettorali, nonché rilascio di documenti di riconoscimento o di viaggio o cambiamento delle generalità;

c) tenuta di registri pubblici relativi a beni immobili o mobili;

d) tenuta dell'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida e dell'archivio nazionale dei veicoli;

e) cittadinanza, immigrazione, asilo, condizione dello straniero e del profugo, stato di rifugiato;

f) elettorato attivo e passivo ed esercizio di altri diritti politici, protezione diplomatica e consolare, nonché documentazione delle attività istituzionali di organi pubblici, con particolare riguardo alla redazione di verbali e resoconti dell'attività di assemblee rappresentative, commissioni e di altri organi collegiali o assembleari;

g) esercizio del mandato degli organi rappresentativi, ivi compresa la loro sospensione o il loro scioglimento, nonché l'accertamento delle cause di ineleggibilità, incompatibilità o di decadenza, ovvero di rimozione o sospensione da cariche pubbliche;

h) svolgimento delle funzioni di controllo, indirizzo politico, inchiesta parlamentare o sindacato ispettivo e l'accesso a documenti riconosciuto dalla legge e dai regolamenti degli organi interessati per esclusive finalità direttamente connesse all'espletamento di un mandato elettivo;

i) attività dei soggetti pubblici dirette all'applicazione, anche tramite i loro concessionari, delle disposizioni in materia tributaria e doganale, comprese quelle di prevenzione e contrasto all'evasione fiscale[40];

l) attività di controllo e ispettive;

m) concessione, liquidazione, modifica e revoca di benefici economici, agevolazioni, elargizioni, altri emolumenti e abilitazioni;

n) conferimento di onorificenze e ricompense, riconoscimento della personalità giuridica di associazioni, fondazioni ed enti, anche di culto, accertamento dei requisiti di onorabilità e di professionalità per le nomine, per i profili di competenza del soggetto pubblico, ad uffici anche di culto e a cariche direttive di persone giuridiche, imprese e di istituzioni scolastiche non statali, nonché rilascio e revoca di autorizzazioni o abilitazioni, concessione di patrocini, patronati e premi di rappresentanza, adesione a comitati d'onore e ammissione a cerimonie ed incontri istituzionali;

o) rapporti tra i soggetti pubblici e gli enti del terzo settore;

p) obiezione di coscienza;

q) attività sanzionatorie e di tutela in sede amministrativa o giudiziaria;

r) rapporti istituzionali con enti di culto, confessioni religiose e comunità religiose;

s) attività socio-assistenziali a tutela dei minori e soggetti bisognosi, non autosufficienti e incapaci;

t) attività amministrative e certificatorie correlate a quelle di diagnosi, assistenza o terapia sanitaria o sociale, ivi incluse quelle correlate ai trapianti d'organo e di tessuti nonché alle trasfusioni di sangue umano;

u) compiti del servizio sanitario nazionale e dei soggetti operanti in ambito sanitario, nonché compiti di igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro e sicurezza e salute della popolazione, protezione civile, salvaguardia della vita e incolumità fisica;

v) programmazione, gestione, controllo e valutazione dell'assistenza sanitaria, ivi incluse l'instaurazione, la gestione, la pianificazione e il controllo dei rapporti tra l'amministrazione ed i soggetti accreditati o convenzionati con il servizio sanitario nazionale;

z) vigilanza sulle sperimentazioni, farmacovigilanza, autorizzazione all'immissione in commercio e all'importazione di medicinali e di altri prodotti di rilevanza sanitaria;

aa) tutela sociale della maternità ed interruzione volontaria della gravidanza, dipendenze, assistenza, integrazione sociale e diritti dei disabili;

bb) istruzione e formazione in ambito scolastico, professionale, superiore o universitario;

cc) trattamenti effettuati a fini di archiviazione nel pubblico interesse o di ricerca storica, concernenti la conservazione, l'ordinamento e la comunicazione dei documenti detenuti negli archivi di Stato negli archivi storici degli enti pubblici, o in archivi privati dichiarati di interesse storico particolarmente importante, per fini di ricerca scientifica, nonché per fini statistici da parte di soggetti che fanno parte del sistema statistico nazionale (Sistan);

dd) instaurazione, gestione ed estinzione, di rapporti di lavoro di qualunque tipo, anche non retribuito o onorario, e di altre forme di impiego, materia sindacale, occupazione e collocamento obbligatorio, previdenza e assistenza, tutela delle minoranze e pari opportunità nell'ambito dei rapporti di lavoro, adempimento degli obblighi retributivi, fiscali e contabili, igiene e sicurezza del lavoro o di sicurezza o salute della popolazione, accertamento della responsabilità civile, disciplinare e contabile, attività ispettiva.

Per i dati genetici, biometrici e relativi alla salute il trattamento avviene comunque nel rispetto di quanto stabilito dall'articolo 2-septies:

1. In attuazione di quanto previsto dall'articolo 9, paragrafo 4, del regolamento, i dati genetici, biometrici e relativi alla salute, possono essere oggetto di trattamento in presenza di una delle condizioni di cui al paragrafo 2 del medesimo articolo ed in conformità alle misure di garanzia disposte dal Garante, nel rispetto di quanto previsto dal presente articolo.

2. Il provvedimento che stabilisce le misure di garanzia di cui al comma 1 è adottato con cadenza almeno biennale e tenendo conto:

a) delle linee guida, delle raccomandazioni e delle migliori prassi pubblicate dal Comitato europeo per la protezione dei dati e delle migliori prassi in materia di trattamento dei dati personali;

b) dell'evoluzione scientifica e tecnologica nel settore oggetto delle misure;

c) dell'interesse alla libera circolazione dei dati personali nel territorio dell'Unione europea.

3. Lo schema di provvedimento è sottoposto a consultazione pubblica per un periodo non inferiore a sessanta giorni.

4. Le misure di garanzia sono adottate nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 9, paragrafo 2, del Regolamento, e riguardano anche le cautele da adottare relativamente a:

a) contrassegni sui veicoli e accessi a zone a traffico limitato;

b) profili organizzativi e gestionali in ambito sanitario;

c) modalità per la comunicazione diretta all'interessato delle diagnosi e dei dati relativi alla propria salute;

d) prescrizioni di medicinali.

5. Le misure di garanzia sono adottate in relazione a ciascuna categoria dei dati personali di cui al comma 1, avendo riguardo alle specifiche finalità del trattamento e possono individuare, in conformità a quanto previsto al comma 2, ulteriori condizioni sulla base delle quali il trattamento di tali dati è consentito. In particolare, le misure di garanzia individuano le misure di sicurezza, ivi comprese quelle tecniche di cifratura e di pseudonomizzazione, le misure di minimizzazione, le specifiche modalità per l'accesso selettivo ai dati e per rendere le informazioni agli interessati, nonché le eventuali altre misure necessarie a garantire i diritti degli interessati.

6. Le misure di garanzia che riguardano i dati genetici e il trattamento dei dati relativi alla salute per finalità di prevenzione, diagnosi e cura nonché quelle di cui al comma 4, lettere b), c) e d), sono adottate sentito il Ministro della salute che, a tal fine, acquisisce il parere del Consiglio superiore di sanità. Limitatamente ai dati genetici, le misure di garanzia possono individuare, in caso di particolare ed elevato livello di rischio, il consenso come ulteriore misura di protezione dei diritti dell'interessato, a norma dell'articolo 9, paragrafo 4, del regolamento, o altre cautele specifiche.

7. Nel rispetto dei principi in materia di protezione dei dati personali, con riferimento agli obblighi di cui all'articolo 32 del regolamento, è ammesso l'utilizzo dei dati biometrici con riguardo alle procedure di accesso fisico e logico ai dati da parte dei soggetti autorizzati, nel rispetto delle misure di garanzia di cui al presente articolo.

8. I dati personali di cui al comma 1 non possono essere diffusi.

 

Infine, l'articolo 2-quinquiesdecies, con riguardo ai trattamenti svolti per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico che possono presentare rischi elevati ai sensi dell'articolo 35 del Regolamento, stabilisce che il Garante per la protezione dei dati personali può, sulla base di quanto disposto dall'articolo 36, paragrafo 5, del medesimo Regolamento e con provvedimenti di carattere generale adottati d'ufficio, prescrivere misure e accorgimenti a garanzia dell'interessato, che il titolare del trattamento è tenuto ad adottare.

L'articolo 35 del regolamento prescrive che, quando un tipo di trattamento, allorché prevede in particolare l'uso di nuove tecnologie, considerati la natura, l'oggetto, il contesto e le finalità del trattamento, può presentare un rischio elevato per i diritti e le libertà delle persone fisiche, il titolare del trattamento effettui, prima di procedere al trattamento, una valutazione dell'impatto dei trattamenti previsti sulla protezione dei dati personali. Una singola valutazione può esaminare un insieme di trattamenti simili che presentano rischi elevati analoghi.

La valutazione d'impatto sulla protezione dei dati è richiesta in particolare nei casi seguenti:

a) una valutazione sistematica e globale di aspetti personali relativi a persone fisiche, basata su un trattamento automatizzato, compresa la profilazione, e sulla quale si fondano decisioni che hanno effetti giuridici o incidono in modo analogo significativamente su dette persone fisiche;

b) il trattamento, su larga scala, di categorie particolari di dati personali di cui all'articolo 9, paragrafo 1, o di dati relativi a condanne penali e a reati;

c) la sorveglianza sistematica su larga scala di una zona accessibile al pubblico.

L'articolo 36, paragrafo 5, stabilisce che il diritto degli Stati membri può prescrivere che i titolari del trattamento consultino l'autorità di controllo, e ne ottengano l'autorizzazione preliminare, in relazione al trattamento da parte di un titolare del trattamento per l'esecuzione, da parte di questi, di un compito di interesse pubblico, tra cui il trattamento con riguardo alla protezione sociale e alla sanità pubblica.

 

Per la costituzione della piattaforma, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti può avvalersi anche della società di cui all'articolo 83, comma 15, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

 

L'articolo 83, comma 15, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 prevede che, al fine di garantire la continuità delle funzioni di controllo e monitoraggio dei dati fiscali e finanziari, i diritti dell'azionista della società di gestione del sistema informativo dell'amministrazione finanziaria, ai sensi dell'articolo 22, comma 4, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, sono esercitati dal Ministero dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 6, comma 7, del regolamento di riorganizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 gennaio 2008, n. 43, che provvede agli atti conseguenti in base alla legislazione vigente.

L'articolo 22, comma 4, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 prevede a sua volta che le attività di manutenzione, conduzione e sviluppo del sistema informativo del Ministero delle finanze possono essere affidate in concessione, in conformità alle disposizioni di cui all'articolo 6, comma 1, della legge 11 marzo 1988, n. 66, a società specializzate aventi comprovata esperienza pluriennale nella realizzazione e conduzione tecnica dei sistemi informativi complessi, con particolare riguardo al preminente interesse dello Stato alla sicurezza e segretezza.

Ai sensi dell'articolo 6, comma 7, del regolamento di riorganizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze[41], la Direzione VII - finanza e privatizzazioni - si articola in uffici dirigenziali non generali e svolge le seguenti funzioni:

a) monitoraggio e gestione delle partecipazioni azionarie dello Stato;

b) esercizio dei diritti dell'azionista;

c) gestione dei processi di societarizzazione, privatizzazione e dismissione, compresa la relativa attività istruttoria e preparatoria;

d) regolamentazione dei settori in cui operano le società partecipate in relazione all'impatto su queste ultime.

 

Si precisa infine che, dall'attuazione dell'articolo 1, comma 491, non dovranno derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ma vi si provvederà con le risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente.


Articolo 30
(Misure di semplificazione in materia anagrafica)

 

 

L'articolo 30 novella l'articolo 62 - riferito all'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR) - del Codice dell'amministrazione digitale.

Insieme, novella alcune disposizioni del regolamento anagrafico della popolazione residente (d.P.R. n. 223 del 1989). Sono novelle di disposizioni regolamentari recate con fonte legislativa.

 

Il comma 1 novella l'articolo 62 del Codice, il quale ha istituito, presso il Ministero dell'interno, l'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR), quale unitaria base di dati (di interesse nazionale) subentrante ai preesistenti Indice nazionale delle anagrafi ed Anagrafe della popolazione italiana residente all'estero (con modalità di subentro ad esse, determinate dal d.P.C.m. n. 194 del 2014).

L'ANPR assicura ai Comuni la disponibilità dei dati, degli atti e degli strumenti per lo svolgimento delle funzioni di competenza statale attribuite al sindaco e mette a disposizione dei Comuni un sistema di controllo, gestione e interscambio dei dati.

Secondo la disposizione previgente - su cui incide una prima novella recata dall'articolo del decreto-legge in esame - l'ANPR consente "esclusivamente" ai Comuni la certificazione dei dati anagrafici anche in modalità telematica.

Sono le certificazioni che (fatti salvi i divieti di comunicazione di dati che siano stabiliti da speciali disposizioni di legge) l'articolo 33 del d.P.R. n. 223 del 1989 (recante il regolamento anagrafico della popolazione residente) prevede siano rilasciate dall'ufficiale di anagrafe, a chiunque ne faccia richiesta, previa identificazione, in relazione a: la residenza, lo stato di famiglia degli iscritti nell'anagrafe nazionale della popolazione residente, nonché ogni altra informazione ivi contenuta.

La novella sopprime quell'"esclusivamente". Viene così meno l'esclusività in capo ai Comuni della funzione di rilascio della certificazione.

A seguire, altra novella infatti dispone che la certificazione dei dati anagrafici in modalità telematica sia assicurata dal Ministero dell'Interno tramite l’ANPR mediante l'emissione di documenti digitali muniti di sigillo elettronico qualificato, ai sensi del Regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014.

È quest'ultimo il regolamento eIDAS in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno, più volte ricordato supra quale sovra-ordinata disciplina della materia dell'identità digitale e della validazione dei dati correlativi. E lì si dispone in ordine alla sigillatura elettronica qualificata, secondo prescrizioni che la novella è volta a 'recepire', pertanto.

Rimane invariata la vigente previsione secondo cui i Comuni inoltre possono consentire, anche mediante apposite convenzioni, la fruizione dei dati anagrafici da parte dei soggetti aventi diritto. L'ANPR assicura alle pubbliche amministrazioni e ai gestori di servizi pubblici (i soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, lettere a) e b) del Codice dell'amministrazione digitale), l'accesso ai dati contenuti nell'ANPR.

Altra novella aggiunge la previsione che l'ANPR attribuisca a ciascun cittadino un codice identificativo univoco, per garantire la circolarità anagrafica e l'interoperabilità con le altre banche dati delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di servizi pubblici.

L'adeguamento anche tecnico della piattaforma di funzionamento dell'ANPR è demandato in via applicativa ad uno o più decreti del Ministro dell'interno, d'intesa con il Ministro per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione e il Ministro per la pubblica amministrazione, sentito il Garante per la protezione dei dati personali e l'Agenzia per l’Italia digitale.

Tale strumento applicativo deve assicurare una evoluzione della piattaforma, commisurata ai servizi resi disponibili dall'ANPR alle pubbliche amministrazioni e agli organismi erogatori pubblici servizi.

In breve, questo novero di disposizioni mira ad un servizio che renda accessibile (anche da remoto) in via diretta ai cittadini tramite l'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR), la produzione dei certificati anagrafici in modalità telematica.

La relazione illustrativa del disegno di legge di conversione ricorda che i Comuni transitati in ANPR ad oggi sono 5.933.

 

Il comma 2 va ad incidere sul d.P.R. n. 223 del 1989, il quale reca il nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente.

Si noti come si abbiano in tal modo modificazioni di disposizioni di regolamento effettuate con disposizioni di legge, talché verrebbero a coesistere entro il medesimo dettato normativo parti aventi forza formale diversa, di legge (ora introdotte mediante novelle) e regolamentare.

Ad ogni modo, si viene a prevedere quanto segue.

 L'articolo 13, comma 3 del regolamento prevede che dichiarazioni anagrafiche rese dai responsabili siano sottoscritte di fronte all'ufficiale d'anagrafe ovvero inviate al Comune competente, corredate dalla necessaria documentazione (secondo le modalità di invio e sottoscrizione delle istanze previste dall'articolo 38 del d.P.R. n. 445 del 2000, recante il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa). Il Comune pubblica sul proprio sito istituzionale gli indirizzi, anche di posta elettronica, ai quali inoltrare le dichiarazioni.

Ebbene, si viene a prevedere ora che talune dichiarazioni anagrafiche siano rese "anche" in modalità telematica attraverso i servizi resi disponibili dall'ANPR.

Sono le dichiarazioni relative a:

a) trasferimento di residenza da altro comune o dall'estero ovvero trasferimento di residenza all'estero;

b) costituzione di nuova famiglia o di nuova convivenza, ovvero mutamenti intervenuti nella composizione della famiglia o della convivenza;

c) cambiamento di abitazione.

Quanto a formulazione lessicale del dettato, circa la modalità telematica su servizi ANPR, parrebbe suscettibile di verifica se si tratti di facoltà sostitutiva, non già obbligo aggiuntivo, posta la locuzione "anche".

Ancora in tema di certificati anagrafici, l'articolo 33 del citato d.P.R. n. 223 del 1989 prevede che i certificati concernenti la residenza, lo stato di famiglia degli iscritti nell'anagrafe nazionale della popolazione residente nonché ogni altra informazione ivi contenuta, possano essere rilasciati anche da ufficiali d'anagrafe di Comuni diversi da quello in cui risieda la persona cui i certificati si riferiscono.

La novella aggiunge che siffatto rilascio di certificati anagrafici in modalità telematica sia effettuato mediante i servizi dell'ANPR (con le modalità indicate nell'articolo 62, comma 3, del Codice dell'amministrazione digitale, come novellato nel modo esaminato supra).

Infine l'articolo 35 del citato d.P.R. n. 223 del 1989 dispone che i certificati anagrafici contengano: l'indicazione del Comune e della data di rilascio; l'oggetto della certificazione; le generalità delle persone cui la certificazione si riferisce; la firma dell'ufficiale di anagrafe.

La novella prevede che la firma dell'ufficiale di anagrafe sia sostituita dal sigillo elettronico qualificato (previsto dal citato Regolamento (UE) n. 910/2014 cd. eIDAS), nelle certificazioni rilasciate in modalità telematica mediante i servizi dell’ANPR.

 

Il comma 3 prevede che l'attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo sia operata con le risorse stanziate nello stato di previsione del Ministero dell'interno per la realizzazione della piattaforma ANPR.


 

Articolo 31
(Sistemi informativi delle pubbliche amministrazioni e lavoro agile; sull'Agenzia per l'Italia digitale; sul difensore civico digitale; obblighi di comunicazione in caso di affidamento di forniture ricadenti nel perimetro di sicurezza nazionale cibernetica; istituzione di una nuova direzione centrale presso il Ministero dell'interno; su una funzione di SOGEI)

 

 

L'articolo 31 detta plurime disposizioni.

Esse incidono sul Codice dell'amministrazione digitale, onde porre previsioni in materia di lavoro agile.

Concernono inoltre l'Agenzia per l'Italia digitale (Agid), nonché, per un profilo procedimentale, il difensore civico digitale.

Inoltre escludono le centrali di committenza - in caso di affidamento di forniture di beni o servizi ricadenti nel perimetro di sicurezza nazionale cibernetica - dall'obbligo di comunicazione al Centro di valutazione e certificazione nazionale (CVCN), istituito presso il Ministero dello sviluppo economico.

Infine è istituita una Direzione Centrale per l'innovazione tecnologica per l’amministrazione generale, presso il Ministero dell'interno.

E si prevede una funzione per SOGEI di "innovation procurement broker".

 

Un primo ordine di disposizioni - recata dal comma 1, lettera a) di questo articolo del decreto-legge - incide sull'articolo 12 del Codice dell'amministrazione digitale, introducendovi previsioni attinenti al lavoro agile (cd. smart working).

Siffatto articolo 12 del Codice detta norme generali per l'uso delle tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni nell'azione amministrativa.

Esso prevede che le pubbliche amministrazioni utilizzino le tecnologie dell'informazione e della comunicazione per la realizzazione degli obiettivi di efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, trasparenza, semplificazione e partecipazione, nel rispetto dei principi di uguaglianza e di non discriminazione, nonché per l'effettivo riconoscimento dei diritti dei cittadini e delle imprese, con interoperabilità dei sistemi ed integrazione dei processi di servizio fra le diverse amministrazioni.

Tra le novelle apportate a questo articolo del Codice dell'amministrazione digitale già dal decreto legislativo n. 179 del 2016, ha figurato l'introduzione di un comma 3-bis, secondo cui le pubbliche amministrazioni (nell'enumerazione che di queste dà l'articolo 2, comma 2 del Codice) favoriscono l'uso da parte dei lavoratori di dispositivi elettronici personali, o personalizzabili se di proprietà delle amministrazioni, al fine di ottimizzare la prestazione lavorativa, nel rispetto delle condizioni di sicurezza nell'utilizzo.

La novella dettata ora dal decreto-legge aggiunge, in questo comma 3-bis, un periodo a seguire, per il caso di uso di dispositivi elettronici personali.

Ebbene, le amministrazioni sono tenute ad adottare ogni misura atta a garantire la sicurezza e la protezione delle informazioni e dei dati (beninteso nel rispetto della disciplina in materia di trattamento dei dati personali), anche sulla scorta delle migliori pratiche e degli standard nazionali e internazionali per la protezione delle proprie reti.

Inoltre, le amministrazioni devono promuovere la consapevolezza dei lavoratori sull'uso sicuro dei dispositivi (anche attraverso la diffusione di apposite linee guida), disciplinando altresì l'uso di webcam e microfoni.

A tale previsione si salda l'altra novella, consegnata ad un aggiuntivo comma 3-ter (entro questo articolo 12 del Codice).

Vi si persegue una maggiore diffusione del lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato.

A tal fine le pubbliche amministrazioni (di cui all'articolo 2, comma 2, lettera a), del Codice: sono pertanto esclusi i gestori di servizi pubblici e le società a controllo pubblico) acquistano beni e progettano e sviluppano i sistemi informativi e i servizi informatici, con modalità idonee a consentire ai lavoratori l'accesso da remoto ad applicativi, dati e informazioni necessari allo svolgimento della prestazione lavorativa, nel rispetto dello Statuto dei lavoratori (di cui alla legge n. 300 del 1970) nonché delle normative in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di tutela (recate dal decreto legislativo n. 81 del 2008 e dalla legge n. 81 del 2017).

Le amministrazioni - si ribadisce - devono assicurare un adeguato livello di sicurezza informatica, in linea con le migliori pratiche e gli standard nazionali ed internazionali per la protezione delle proprie reti, nonché promuovere (anche attraverso la diffusione di apposite linee guida) la consapevolezza dei lavoratori sull'uso sicuro degli strumenti impiegati, con particolare riguardo a quelli erogati tramite fornitori di servizi in cloud, anche disciplinando la tipologia di attività che possano essere svolte con tali modalità da remoto.

 

In tema di lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni, disposizioni specifiche figurano entro il decreto-legge n. 34 del 2020 (cd. 'decreto-rilancio'): cfr. il suo articolo 263.

 

Il comma 1, lettera b) incide sull'articolo 14 del Codice, relativo ai rapporti e raccordi di Stato, regioni ed autonomie locali in materia di amministrazione digitale.

Lo Stato disciplina il coordinamento dell'amministrazione statale, regionale e locali (ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera r) della Costituzione) e detta le regole tecniche necessarie per garantire la sicurezza e l'interoperabilità dei sistemi informatici e dei flussi informativi per la circolazione e lo scambio dei dati e per l'accesso ai servizi erogati in rete dalle amministrazioni.

Il dettato della norma previgente prevedeva che fosse l'Agenzia per l'Italia digitale (di seguito AgID) ad assicurare il coordinamento informatico dell'amministrazione statale, regionale e locale, con la finalità di progettare e monitorare l'evoluzione strategica del sistema informativo della pubblica amministrazione, favorendo l'adozione di infrastrutture e standard che riducano i costi sostenuti dalle amministrazioni e migliorino i servizi erogati.

La novella ora apportata dal decreto-legge trasla la competenza dall'AgID alla Presidenza del Consiglio (la quale semmai può avvalersi, ed è una facoltà, dell'AgID), in linea con il processo di convogliamento in capo alla Presidenza del Consiglio delle funzioni in materia di 'governo' della trasformazione digitale (al quale ha dato particolare impulso il decreto-legge n. 135 del 2018: cfr. suo articolo 8).

Ancora, la novella aggiunge in fine la duplice menzione sia dell'adeguato livello di sicurezza informatica (in linea con le migliori pratiche e gli standard nazionali ed internazionali per la protezione delle proprie reti) sia della promozione della consapevolezza dei lavoratori sull'uso sicuro dei sistemi informativi (anche attraverso la diffusione di apposite linee guida che disciplinino altresì la tipologia di attività che possono essere svolte).

 

Il comma 1, lettera c) incide sull'articolo 14-bis del Codice, relativo all'Agenzia per l'Italia digitale (AgID).

Essa è preposta - com'è noto - alla realizzazione degli obiettivi dell'Agenda Digitale Italiana, in coerenza con gli indirizzi dettati dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro delegato, e con l'Agenda digitale europea. Emana Linee guida contenenti regole, standard e guide tecniche; elabora il Piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione, contenente la fissazione degli obiettivi e l'individuazione dei principali interventi di sviluppo e gestione dei sistemi informativi delle amministrazioni pubbliche; monitora le attività svolte dalle amministrazioni; svolge alcune altre funzioni, puntualmente elencate dall'articolo 14-bis.

Tra questa figurava - nel testo previgente rispetto alla presente disposizione del decreto-legge - la definizione di criteri e modalità per il monitoraggio sull'esecuzione dei contratti, su richiesta della medesima AgID. Tale previsione è ora espunta.

Per difetto di coordinamento con l'evoluzione normativa più recente (la quale ha teso a valorizzare la funzione della Presidenza del Consiglio e delle sue strutture preposte ad uno sviluppo della innovazione tecnologica e della trasformazione digitale) figurava altresì una previsione 'di chiusura', che AgID svolgesse ogni altra funzione prevista da leggi e regolamenti già attribuita, tra gli altri, al Dipartimento per l'innovazione tecnologica della Presidenza del Consiglio dei ministri.

Anche tale previsione è ora espunta.

 

Il comma 1, lettera d) incide sull'articolo 17, comma 1-quater del Codice, relativo al difensore civico digitale.

Quella disposizione ha istituito presso l'AgID l'ufficio del difensore civico per il digitale.

Chiunque può presentare al difensore civico per il digitale (attraverso apposita area presente sul sito istituzionale dell'AgID) segnalazioni relative a presunte violazioni del Codice e di ogni altra norma in materia di digitalizzazione ed innovazione della pubblica amministrazione da parte di pubbliche amministrazioni.

Ricevuta la segnalazione, il difensore civico, se la ritiene fondata, "invita il soggetto responsabile della violazione a porvi rimedio tempestivamente e comunque non oltre trenta giorni" - così prevedeva il dettato previgente rispetto al presente decreto-legge.

Quest'ultimo interviene con una novella, secondo la quale il termine massimo di trenta giorni è riferito all' "avvio delle attività necessarie a porre rimedio", non già al "porre rimedio".

Il termine perentorio per la conclusione delle attività riparatorie è da determinarsi da parte del difensore civico digitale, tenendo conto della loro complessità tecnologica.

Inoltre è aggiunta la previsione che il mancato avvio delle attività necessarie a porre rimedio rilevi ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili e comporti responsabilità dirigenziale e disciplinare, ai sensi degli articoli 21 e 55 del decreto legislativo n. 165 del 2001.

 

Il comma 2 novella disposizione (ossia l'articolo 1, comma 6, lettera a)) del decreto-legge n. 105 del 2019, il quale ha istituito il perimetro di sicurezza nazionale cibernetica.

Tale è l'insieme delle reti, dei sistemi informativi e dei servizi informatici delle amministrazioni pubbliche, degli enti e degli operatori pubblici e privati aventi una sede nel territorio nazionale, da cui dipenda l'esercizio di una funzione essenziale dello Stato ovvero la prestazione di un servizio essenziale per il mantenimento di attività civili, sociali o economiche fondamentali per gli interessi dello Stato, dal cui malfunzionamento, interruzione, anche parziali, ovvero utilizzo improprio, possa derivare un pregiudizio per la sicurezza nazionale.

Il decreto-legge n. 105 del 2019 demanda la propria attuazione in parte ad un d.P.C.m (nonché ad un atto amministrativo del Presidente del Consiglio recante la puntuale enumerazione dei soggetti del perimetro di sicurezza nazionale cibernetica: atto non soggetto a pubblicazione né sottoponibile a diritto di accesso), in parte a regolamento governativo (avente la forma di d.P.R.).

Tra i profili demandati a quest'ultimo, vi è la determinazione di procedure, modalità e termini, secondo cui i soggetti del perimetro di sicurezza nazionale cibernetica ovvero le centrali di committenza alle quali essi facciano ricorso, che intendano procedere all'affidamento di forniture di beni, sistemi e servizi ICT destinati a essere impiegati su reti, sistemi informativi e servizi informatici del perimetro di sicurezza, ne diano comunicazione al Centro di valutazione e certificazione nazionale (CVCN), istituito presso il Ministero dello sviluppo economico - comunicazione comprensiva della valutazione del rischio associato all'oggetto della fornitura, anche in relazione all'ambito di impiego.

Per centrali di committenza si intende Consip spa o gli altri soggetti aggregatori, incluse le centrali di committenza regionali (ai sensi dell'articolo 1, comma 512 della legge n. 208 del 2015).

Ebbene, la formulazione testé sunteggiata quale previgente al presente decreto-legge, prevedeva come attribuito alle centrali di committenza il compito di dare la comunicazione al CVCN dell'affidamento della fornitura, con insita una valutazione del rischio associato.

La novella riscrive la disposizione, onde porre l'obbligo di comunicazione al CVCN e di valutazione del rischio, esclusivamente in capo al soggetto che sia parte del perimetro di sicurezza nazionale cibernetica (anche quando esso si avvalga di una centrale di committenza), non già alla centrale di committenza, in quanto - si legge nella relazione - verosimilmente sprovvista delle adeguate conoscenze tecniche.

 

Infine i commi 3 e 4 prevedono l'istituzione di una Direzione Centrale per l'innovazione tecnologica per l’amministrazione generale, presso il Ministero dell'interno (nell'ambito del Dipartimento per le politiche del personale dell'Amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie).

Compito della nuova Direzione centrale è assicurare la funzionalità delle attività di innovazione tecnologica e di digitalizzazione, nonché dei sistemi informativi del Ministero dell'interno e delle Prefetture-UTG.

Alla nuova Direzione è preposto un dirigente di livello generale dell’area delle funzioni centrali.

Conseguentemente la dotazione organica del Ministero dell'interno è incrementata di un posto di funzione dirigenziale di livello generale, da assegnare al personale dell'area delle funzioni centrali (si ricorda che l'attuale numero complessivo dei posti dirigenziali generali di pubblica sicurezza è di 32 unità, secondo la determinazione recata dal d.P.R. n. 335 del 1982, il quale reca l'ordinamento del personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia, alla Tabella A).

I maggiori oneri sono compensati - al fine di assicurare l'invarianza finanziaria, che la disposizione prescrive - con la soppressione di un numero di posti di funzione dirigenziale di livello non generale della medesima area, equivalente sul piano finanziario.

Alle modifiche della dotazione organica si provvede con regolamento governativo (ai sensi dell'articolo 17, comma 4-bis della legge n. 400 del 1988: dunque su proposta del Ministro competente, d'intesa con il Presidente del Consiglio dei ministri e con il Ministro dell'economia).

Si ricorda che l'articolo 240 del decreto-legge n. 34 del 2020 (cd. 'decreto rilancio') istituisce entro il Ministero dell'interno un'altra direzione generale, preposta allo sviluppo della sicurezza telematica. Tale nuova istituita Direzione generale per lo sviluppo della prevenzione e tutela informatiche è collocata entro il Dipartimento della pubblica sicurezza.

 

Il comma 5 concerne SOGEI (ossia la società di cui all'articolo 83, comma 15, del decreto-legge n. 112 del 2008) ed il suo coinvolgimento nei progetti di trasformazione digitale.

Si prevede che SOGEI - nell'ambito dei progetti e delle attività da essa gestiti - provveda alla definizione e allo sviluppo di servizi e prodotti innovativi operando, anche in favore delle amministrazioni committenti, in qualità di "innovation procurement broker".

Parrebbe suscettibile di approfondimento il ricorso a tale locuzione in lingua inglese, là dove il dettato della disposizione sarebbe tenuto ad operare una intelligibile definizione e delimitazione di materia o competenza, che non si direbbero rinvenibili in altre disposizioni legislative.

In tale ambito, ad ogni modo, si prevede che SOGEI - per l'acquisizione dei beni e dei servizi funzionali alla realizzazione di progetti ad alto contenuto innovativo - non si avvalga Consip S.p.A. nella sua qualità di centrale di committenza.

È in tal modo posta una espressa deroga alla prescrizione che SOGEI si avvalga (sulla base di apposita convenzione disciplinante i relativi rapporti nonché i tempi e le modalità di realizzazione delle attività) di Consip S.p.A, nella sua qualità di centrale di committenza, per le acquisizioni di beni e servizi (disposizione, questa, recata dall'articolo 4, comma 3-ter, ultimo periodo, del decreto-legge n. 95 del 2012).

Si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge: "Attribuendo espressamente a Sogei il ruolo di innovation broker, si intende escludere dall'ambito di applicazione della Convenzione in essere con Consip tutte le acquisizioni contraddistinte da un significativo grado di innovatività, così da consolidare, in prospettiva, il ruolo strategico di Sogei nell'ambito della conduzione dei progetti e della gestione dei dati, delle applicazioni e delle infrastrutture informatiche della PA, anche in vista di una futura definizione normativa (e regolamentazione) degli innovation broker operanti nel settore pubblico".

 

Del pari nella relazione illustrativa si legge, circa siffatta funzione di innovation procurement broker: "la disposizione fa riferimento a una categoria introdotta, a livello comunitario, nell’ambito delle azioni della Urban Agenda for the EU, ancora non regolata da alcuna fonte normativa dell’Unione europea, che ricomprende “qualsiasi istituzione con la capacità e l’obiettivo di far incontrare domanda e offerta di innovazione”. Si evidenzia che, a livello nazionale, tale figura è stata recentemente definita, nell’ambito del Piano triennale AgID 2019-2021, come «figura di raccordo che opera per facilitare l’incontro tra domanda pubblica di soluzioni innovative e l’offerta di mercato»".

 

Il comma 6 indi pone una clausola di invarianza finanziaria.

 


Articolo 32
(Codice di condotta tecnologica; esperti)

 

 

L'articolo 32 prevede (mediante l'introduzione di un apposito articolo entro il Codice dell'amministrazione digitale) un codice di condotta tecnologica, chiamato a definire modalità di elaborazione, sviluppo e attuazione dei servizi digitali delle pubbliche amministrazioni.

Finalità del codice di condotta tecnologica è un raccordo sul piano tecnico, entro una cornice omogenea, delle diverse iniziative di innovazione tecnologica e trasformazione digitale che siano intraprese dalle pubbliche amministrazioni.

Si prevede inoltre che il codice rechi alcune indicazioni circa l'utilizzo da parte delle amministrazioni di esperti di comprovata competenza in processi complessi di trasformazione digitale.

 

Un novello articolo 13-bis, intitolato "Codice di condotta tecnologica ed esperti", è così inserito entro il Codice dell'amministrazione digitale (il più volte citato decreto legislativo n. 82 de 2005).

L'intento è un coordinamento dello sviluppo dei sistemi informativi e dell'offerta dei servizi in rete delle pubbliche amministrazioni su tutto il territorio nazionale.

La disposizione ha riguardo solo alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 2, comma 2, lettera a) del Codice dell'amministrazione digitale: sono pertanto esclusi i gestori di servizi pubblici e le società a controllo pubblico (v. infra l'articolo 34, per maggior ragguaglio sulla valenza contenutistica dei diversi richiami all'articolo 2 di quel Codice).

Il codice di condotta tecnologica è adottato - entro sessanta giorni dalla data di entrata della disposizione (scadenza riferita alla vigenza del decreto-legge, non della legge di conversione) - dal Capo dipartimento della struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri competente per la trasformazione digitale.

Ai fini dell'adozione del codice, sono previamente sentiti l'Agenzia per l'Italia digitale e il Nucleo per la sicurezza cibernetica (di cui all'articolo 12, comma 6, del decreto legislativo n. 65 del 2018, recante "Attuazione della direttiva UE 2016/1148 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2016, recante misure per un livello comune elevato di sicurezza delle reti e dei sistemi informativi nell'Unione"; ma per maggior dettaglio sulla composizione ed attività del Nucleo, cfr. gli articoli 8 e 9 del d.P.C.m. 17 febbraio 2017, "Direttiva recante indirizzi per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica nazionali").

È inoltre acquisito il parere della Conferenza unificata.

Il codice di condotta tecnologica disciplina le modalità di progettazione, sviluppo e implementazione dei progetti, sistemi e servizi digitali delle amministrazioni pubbliche.

Beninteso, tale codice deve muovere nel rispetto della disciplina in materia di perimetro nazionale di sicurezza cibernetica (il quale è stato istituito dal decreto-legge n. 105 del 2019).

Le pubbliche amministrazioni - si è ricordato quali siano quelle interessate - dunque progettano, realizzano e sviluppano i propri sistemi informatici e servizi digitali, "nel rispetto" del codice di condotta tecnologica (e nell'ambito delle risorse disponibili).

Le medesime pubbliche amministrazioni possono avvalersi - senza maggiori oneri di finanza pubblica - di esperti, i quali presentino comprovata esperienza e qualificazione professionale nello sviluppo e nella gestione di processi complessi di trasformazione tecnologica e progetti di trasformazione digitale.

Le pubbliche amministrazioni possono avvalersi singolarmente o in forma associata, di tali esperti.

Il codice di condotta tecnologica "indica" le principali attività (compresa la formazione del personale) che gli esperti svolgano in collaborazione con il responsabile per la transizione digitale dell'amministrazione pubblica interessata (di cui all'articolo 17 del Codice dell'amministrazione digitale).

Ancora, il codice di condotta tecnologica disciplina, degli esperti: il limite massimo di durata dell'incarico; i requisiti di esperienza e qualificazione professionale; il trattamento economico massimo.

 

L'articolo del decreto-legge in esame dispone esso stesso che la realizzazione e lo sviluppo dei sistemi informativi da parte delle pubbliche amministrazioni comunque assicurino l'integrazione con le piattaforme abilitanti previste dal Codice dell'amministrazione digitale (agli articoli 5, 62, 64 e 64-bis, dunque nell'ordine: per l'effettuazione di pagamenti con modalità informatiche ossia la piattaforma PagoPA; l'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR); il sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale di cittadini e imprese (SPID); il Punto di accesso telematico ai servizi digitali della pubblica amministrazione, realizzato con l'applicazione IO).

Altra prescrizione formulata dall'articolo è che i sistemi informativi consentano l'accesso da remoto ad applicativi, dati e informazioni necessari allo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile.

Deve beninteso essere al contempo assicurato un adeguato livello di sicurezza informatica, in linea con le migliori pratiche e gli standard nazionali ed internazionali per la protezione delle proprie reti.

La disposizione sollecita inoltre la promozione della consapevolezza dei lavoratori sull'uso sicuro dei sistemi informativi, anche attraverso la diffusione di apposite linee guida, e con la disciplina delle tipologie di attività che possano essere svolte.

Sono previsioni che in qualche misura ripetono quanto già dettato, in materia di lavoro agile, entro l'articolo 31 del decreto-legge.

 

Per quanto concerne la vigilanza sull'ottemperanza alle indicazioni del codice di condotta tecnologica, essa è affidata all'Agenzia per l'Italia digitale (AgID), la quale può altresì diffidare i soggetti a conformare la propria condotta agli obblighi lì previsti.

Quanto al profilo della 'sanzione', si prevede che la violazione del codice di condotta tecnologica in ordine alla progettazione, realizzazione e sviluppo di servizi digitali e sistemi informatici abbia una specifica rilevanza ai fini della misurazione e valutazione della performance individuale del dirigente responsabile.

Ne discende per i dirigenti responsabili delle strutture competenti la riduzione, non inferiore al 30 per cento, della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei dirigenti competenti, oltre al divieto di attribuire premi o incentivi nell'ambito delle medesime strutture.

Si tratta di 'sanzione' analoga a quella prevista dall'articolo 24 del decreto-legge (in sede di novella all'articolo 64-bis del Codice) circa l'implementazione dell'applicazione IO, nonché all'articolo 33, circa l'inadempimento dell'obbligo di disponibilità dei dati, ed all'articolo 34, circa la disponibilità dei dati sulla Piattaforma digitale nazionale dati.

 


Articolo 33
(Disponibilità e interoperabilità dei dati  delle pubbliche amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici)

 

 

L'articolo 33 dispone in ordine alla disponibilità di dati delle pubbliche amministrazioni, predisponendo un meccanismo 'sanzionatorio' per i dirigenti responsabili di inadempimento (lettera a)).

E dispone circa un obbligo per i concessionari di servizi pubblici, di rendere disponibili all'amministrazione concedente i dati acquisiti nella fornitura del servizio agli utenti (lettera b)).

 

La disponibilità dei dati delle pubbliche amministrazioni è oggetto dell'articolo 50 del Codice dell'amministrazione digitale.

Esso prevede che i dati delle pubbliche amministrazioni siano formati, raccolti, conservati, resi disponibili e accessibili con l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, onde ne siano consentite la fruizione e riutilizzazione (alle condizioni fissate dall'ordinamento) da parte delle altre pubbliche amministrazioni e dei privati (salvi i limiti alla conoscibilità dei dati previsti, le norme in materia di protezione dei dati personali, il rispetto della normativa comunitaria in materia di riutilizzo delle informazioni del settore pubblico).

Pertanto i dati trattati dalle pubbliche amministrazioni sono resi accessibili e fruibili alle altre amministrazioni, quando l'utilizzazione del dato sia necessaria per lo svolgimento dei compiti istituzionali dell'amministrazione richiedente (senza oneri a carico di quest'ultima, salvo per la prestazione di elaborazioni aggiuntive).

Le pubbliche amministrazioni certificanti detentrici dei dati ne assicurano la fruizione da parte delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di servizi pubblici, attraverso la predisposizione di accordi quadro.

Ebbene, rispetto a tale dettato dell'articolo 50 del Codice, si viene ora a porre una disciplina per il caso di mancata stipulazione degli accordi quadro.

Con l'introduzione di un novello comma 3-ter, si viene a prevedere che in assenza di accordi quadro, il Presidente del Consiglio dei ministri (o il Ministro delegato per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione) stabilisca un termine entro il quale le pubbliche amministrazioni interessate provvedano a rendere disponibili, accessibili e fruibili i dati alle altre amministrazioni pubbliche.

Si viene inoltre a prevede che il mancato adempimento dell'obbligo di mettere a disposizione i dati costituisca per i dirigenti responsabili delle competenti strutture elemento di valutazione negativa della performance, tale da tradursi nella riduzione, non inferiore al 30 per cento, della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei dirigenti competenti, oltre al divieto di attribuire premi o incentivi nell’ambito delle medesime strutture.

Analogo meccanismo 'sanzionatorio' è presente anche altrove nel decreto-legge, sia all'articolo 24 (in sede di novella all'articolo 64-bis del Codice) circa l'implementazione dell'applicazione IO, sia all'articolo 32 circa l'inottemperanza al codice di condotta tecnologica, sia all'articolo 34 circa l'obbligo di rendere disponibili i dati sulla Piattaforma digitale nazionale dati.

 

Altra novella consiste nell'introduzione entro il Codice dell'amministrazione digitale di un nuovo articolo 50-quater, relativo alla disponibilità dei dati generati nella fornitura di servizi in concessione.

Si viene a porre un obbligo - per le pubbliche amministrazioni che affidino lo svolgimento di servizi in concessione - di prevedere, nei contratti e nei capitolati, l'obbligo del concessionario di rendere disponibili all'amministrazione concedente tutti i dati acquisiti e generati nella fornitura del servizio agli utenti e relativi anche all'utilizzo da parte degli utenti del servizio medesimo.

I dati devono essere di tipo aperto, vale a dire (secondo la definizione che ne dà l'articolo 1, comma 1, lettera l-ter del Codice) presentare le seguenti caratteristiche: 1) sono disponibili secondo i termini di una licenza o di una previsione normativa che ne permetta l'utilizzo da parte di chiunque, anche per finalità commerciali, in formato disaggregato; 2) sono accessibili attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, in formati aperti (ossia resi pubblici, documentati esaustivamente e neutri rispetto agli strumenti tecnologici necessari per la fruizione dei dati stessi), sono adatti all'utilizzo automatico da parte di programmi per elaboratori e sono provvisti dei relativi metadati; 3) sono resi disponibili gratuitamente attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, oppure sono resi disponibili ai costi marginali sostenuti per la loro riproduzione e divulgazione (salvo i casi di tariffazione, secondo la disciplina posta dal decreto legislativo n. 36 del 2006 all'articolo 7).


Articolo 34
(Piattaforma digitale nazionale dati)

 

 

L'articolo 34 riscrive l'articolo 50-ter del Codice dell'amministrazione digitale (decreto legislativo n. 82 del 2005).

Quell'articolo del Codice - introdottovi dal decreto legislativo n. 217 del 2017 - ha istituzionalizzato il progetto di Piattaforma Digitale Nazionale Dati, già introdotto nel Piano triennale per l'informatica 2017-2019.

Ha disciplinato la promozione della progettazione, dello sviluppo e della sperimentazione di una Piattaforma Digitale Nazionale Dati, finalizzata a favorire la conoscenza e l'utilizzo del patrimonio informativo detenuto dalle amministrazioni pubbliche per finalità istituzionali, nonché la condivisione dei dati tra i soggetti che abbiano diritto ad accedervi, ai fini della semplificazione degli adempimenti amministrativi dei cittadini e delle imprese[42].

 

Una riscrittura dell'articolo 50-ter è invero già disposta dal decreto-legge n. 34 del 2020 (cd. 'decreto rilancio': cfr. il suo articolo 264, comma 2, lettera c)).

Esso ha inteso estendere l'operatività della Piattaforma digitale circa i dati detenuti dalle pubbliche amministrazioni - di cui all'articolo 1, comma 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001, richiamate ai sensi dell'articolo 2, comma 2, lettera a) del Codice citato - ai gestori di servizi pubblici, ivi comprese le società quotate, in relazione ai servizi di pubblico interesse (articolo 2, comma 2, lettera b) del Codice), nonché alle società a controllo pubblico, come definite nel decreto legislativo n. 175 del 2016, escluse le società quotate (articolo 2, comma 2, lettera c) del medesimo Codice).

Ulteriori modifiche recate dal decreto-legge n. 34 sono dirette a sostituire (conseguentemente all'articolo 8 del decreto-legge n. 135 del 2018) il riferimento al Commissario straordinario per l'attuazione dell'Agenda digitale con la Presidenza del Consiglio dei ministri, nella parte in cui l'articolo 50-ter individua il soggetto deputato a gestire la Piattaforma. Con un'ulteriore novella, si menziona non più la “sperimentazione” della Piattaforma bensì, appunto, la sua “gestione”.

Tale impianto permane nella nuova formulazione dell'articolo 50-ter recata dal decreto-legge qui in esame - benché venga ora meno l'esclusione dal campo di applicazione della Piattaforma dei dati detenuti dalle Autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione (esclusione prevista nella previgente formulazione dell'articolo 50-ter citato).

Quel che si aggiunge ora, e con norma primaria, è soprattutto una più puntuale determinazione della Piattaforma, quanto a definizione giuridica e modalità operativa.

 

La Piattaforma viene qui definita quale infrastruttura tecnologica che renda possibile l'interoperabilità dei sistemi informativi e delle basi di dati delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di servizi pubblici (e delle società a controllo pubblico purché non quotate, potrebbe intendersi, sulla scorta delle previsioni del decreto-legge n. 34 citato).

Siffatta interoperabilità è resa possibile mediante l'accreditamento, l'identificazione e la gestione dei livelli di autorizzazione dei soggetti abilitati ad operare sulla Piattaforma.

Quest'ultima inoltre assicura la raccolta e conservazione delle informazioni circa gli accessi e le transazioni realizzati per suo tramite.

La condivisione di dati e informazioni avviene attraverso la messa a disposizione e l'utilizzo da parte dei soggetti accreditati, di "interfacce di programmazione delle applicazioni" (API, nell'acronimo di Application Programming Interface, ossia uno strumento di programmazione che 'interfaccia', rendendoli comunicanti, programmi o piattaforme altrimenti incompatibili).

Le interfacce - ancora si viene a prevedere - sono sviluppate dai soggetti abilitati con il supporto della Presidenza del Consiglio dei ministri e in conformità alle Linee guida AgID in materia di interoperabilità. E sono raccolte in un “catalogo API”, reso disponibile, ai soggetti accreditati, dalla medesima Piattaforma.

Le pubbliche amministrazioni - nell'accezione ampia di cui all'articolo 2, comma 2, del Codice dell'amministrazione digitale - sono tenute ad accreditarsi alla Piattaforma, a sviluppare le interfacce e a rendere disponibili le proprie basi dati. Questo, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Dunque la Piattaforma fa perno sulla condivisione dei dati attraverso interfacce di programmazione delle applicazioni - non già sull'acquisizione di dati detenuti dalle varie amministrazioni convergenti verso un 'centro'.

Le linee guida circa: gli standard tecnologici; i criteri di sicurezza, di accessibilità, di disponibilità e di interoperabilità per la gestione della piattaforma; il processo di accreditamento; la fruizione del catalogo API - sono tutti elementi che l'AgID definirà, sentito il Garante per la protezione dei dati personali ed acquisito il parere della Conferenza unificata.

L'accesso dei dati da parte della Piattaforma non modifica la titolarità del dato, ferme restando le specifiche responsabilità del trattamento in carico al soggetto gestore della Piattaforma ovvero ai soggetti fruitori dei servizi di accesso ed elaborazione.

 

In fase di prima applicazione, la Piattaforma assicura prioritariamente l'interoperabilità con i seguenti sistemi informativi:

ü  l'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) (di cui all’articolo 5 del decreto-legge n. 201 del 2011);

ü  la banca dati nazionale unica della documentazione antimafia (di cui all’articolo 96 del decreto legislativo n. 159 del 2011);

ü  l'Anagrafe nazionale della popolazione residente (di cui all'articolo 62 del Codice dell'amministrazione digitale);

ü  le banche dati dell'Agenzie delle entrate, individuate dal Direttore della medesima Agenzia.

Nella Piattaforma non confluiscono i dati attinenti a ordine e sicurezza pubblica, difesa e sicurezza nazionale, polizia giudiziaria e polizia economico finanziaria.

 

Definito il 'perimetro' della Piattaforma e i suoi connotati, la disposizione si sofferma sugli 'obblighi' delle pubbliche amministrazioni.

Si tratta di tutte le pubbliche amministrazioni menzionate dall'articolo 2 del Codice dell'amministrazione digitale, dunque: le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 (nel rispetto del riparto di competenza di cui all'articolo 117 della Costituzione), ivi comprese le autorità di sistema portuale, nonché le autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione (autorità queste ultime che la previgente formulazione dell'articolo 50-ter del Codice invece escludeva dalla Piattaforma); gestori di servizi pubblici, ivi comprese le società quotate, in relazione ai servizi di pubblico interesse; società a controllo pubblico (come definite nel decreto legislativo n. 175 del 2016, escluse le società quotate).

Ebbene, tali soggetti sono tenuti - si è ricordato - ad accreditarsi alla Piattaforma, a sviluppare le interfacce e a rendere disponibili le proprie basi dati.

Peraltro questi soggetti possono continuare ad utilizzare anche i sistemi di interoperabilità già previsti dalla legislazione vigente.

           

Di questo articolo, il comma 4 fa menzione di una "strategia nazionale dati".

Si intende con ciò la determinazione di tipologie, limiti, finalità e modalità di messa a disposizione - su richiesta della Presidenza del Consiglio - dei dati aggregati e anonimizzati di cui siano titolari le pubbliche amministrazioni.

La determinazione di quest'insieme di elementi è demandata a d.P.C.m., di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze e il Ministero dell'interno, sentito il Garante per la protezione dei dati personali e acquisito il parere della Conferenza Unificata.

 

Non manca in quest'articolo - al pari che negli articoli 24, 32 e 33 del medesimo decreto-legge (circa l'implementazione dell'applicazione IO, l'inottemperanza al codice di condotta tecnologica, la messa in disponibilità dei dati da parte delle pubbliche amministrazioni) - disposizione 'sanzionatoria', per l'inadempimento dell'obbligo di rendere disponibili e accessibili le proprie basi dati ovvero i dati aggregati e anonimizzati.

È ribadita la medesima previsione posta in quelle altre disposizioni citate: l'inadempimento costituisce mancato raggiungimento di uno specifico risultato e di un rilevante obiettivo da parte dei dirigenti responsabili delle strutture competenti.

Essa comporta la riduzione, non inferiore al 30 per cento, della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei dirigenti competenti, oltre al divieto di attribuire premi o incentivi nell’ambito delle medesime strutture.

 

Il comma 6 specifica che l'accesso ai dati attraverso la Piattaforma digitale nazionale dati non modifica la disciplina relativa alla titolarità del trattamento.

Rimangono ferme le specifiche responsabilità in capo così al soggetto gestore della Piattaforma come ai soggetti accreditati che trattino i dati in qualità di titolari autonomi del trattamento.

È, questa, materia oggetto del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 20169 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati.

Di tale fonte è in particolare l'articolo 28 a disciplinare il responsabile del trattamento e i suoi obblighi.

 

Seguono in ultimo una clausola di invarianza di risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, nonché alcune modifiche di raccordo con la nuova disciplina, incidenti sull'articolo 60 (relativo alle basi di dati di interesse nazionale) del Codice dell'amministrazione digitale, onde 'convogliare' entro la Piattaforma l'obbligo delle pubbliche amministrazioni responsabili delle basi di dati di interesse nazionale, di consentire il pieno utilizzo delle informazioni alle altre pubbliche amministrazioni, beninteso secondo criteri di sicurezza e di gestione.

 

In conclusiva sintesi, la Piattaforma digitale nazionale dati mira a sviluppare l'interoperabilità dei dati pubblici tra pubbliche amministrazioni, a standardizzare e promuovere il riutilizzo dei dati, ad alimentare processi di analisi dati.

 


Articolo 35
(In materia di CED delle pubbliche amministrazioni)

 

 

L'articolo 35 prevede che la Presidenza del Consiglio dei ministri promuova lo sviluppo di una infrastruttura ad alta affidabilità distribuita sul territorio nazionale, destinata alle pubbliche amministrazioni e volta alla razionalizzazione e al consolidamento dei loro CED.

L’articolo pone alle amministrazioni pubbliche un obbligo di 'migrazione' dei loro CED (perseguendo una maggiore diffusione altresì di soluzioni cloud).

Disciplina le funzioni dell'Agenzia per l'Italia digitale circa il censimento dei CED e la strategia di sviluppo delle infrastrutture digitali delle amministrazioni.

 

L'articolo novella disposizioni dell'articolo 33-septies ("Consolidamento e razionalizzazione dei siti e delle infrastrutture digitali del Paese") del decreto-legge n.179 del 2012 ("Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese").

Si fa riferimento ai Centri per l'elaborazione delle informazioni (CED) della pubblica amministrazione.

Per CED si intende il sito che ospita un impianto informatico atto all'erogazione di servizi interni alle amministrazioni pubbliche e servizi erogati esternamente dalle amministrazioni pubbliche (al minimo comprendenti apparati di calcolo, apparati di rete per la connessione e apparati di memorizzazione di massa, prevedeva la disposizione, peraltro ora incisa anch'essa qui da novella: talché il riferimento diviene ora a "uno o più sistemi informatici"; non più ad apparati bensì a "risorse" di calcolo; non più ad apparati bensì a "sistemi" di memorizzazione di massa).

Il compito di censire i CED della pubblica amministrazione spetta all'Agenzia per l'Italia digitale.

Rispetto a tale impianto normativo, il decreto-legge aggiunge la previsione che la Presidenza del Consiglio dei ministri promuova lo sviluppo di un'infrastruttura ad alta affidabilità distribuita sul territorio nazionale, volta alla razionalizzazione e consolidamento dei CED e destinata alle pubbliche amministrazioni.

L'intento è mettere in sicurezza le infrastrutture digitali delle pubbliche amministrazioni di cui al Codice dell'amministrazione digitale all'articolo 2, comma 2, lettere a) e c) (rispettivamente, amministrazioni pubbliche e società a controllo pubblico purché non quotate; non è menzionata la lettera b), dunque i gestori di servizi pubblici); garantire "la qualità, la sicurezza, la scalabilità, l’efficienza energetica, la sostenibilità economica e la continuità operativa" dei sistemi e dei servizi digitali; tutelare l'autonomia tecnologica del Paese.

È posta una previsione analoga per le amministrazioni così centrali come locali (le quali sono, le une e le altre, oggetto della ricognizione delle amministrazioni pubbliche operata annualmente dall'ISTAT con proprio provvedimento, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale entro il 30 settembre: così l'articolo 1, comma 3 della legge n. 196 del 2009).

Ebbene, quelle amministrazioni ricevono ora obbligo di "migrare" i loro CED (nel rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa).

Siffatta migrazione - che deve conformarsi a disciplina dettata dall'AgID - avviene verso una triplice, alternativa destinazione:

ü  l'infrastruttura ad alta affidabilità, sopra ricordata;

ü  altra infrastruttura propria già esistente, comunque rispondente ai dettati posti dall'AgID;

ü  soluzioni cloud per la pubblica amministrazione, per servizi da essa erogati.

Per le amministrazioni centrali, è prevista, oltre a quella triplice destinazione, un'ulteriore alternativa: un polo strategico per l'attuazione e la conduzione dei progetti e la gestione dei dati, delle applicazioni e delle infrastrutture delle amministrazioni centrali di interesse nazionale previsti dal piano triennale di razionalizzazione dei CED delle pubbliche amministrazioni - polo impiantato da SOGEI quale società di gestione del sistema informativo dell'amministrazione finanziaria (ai sensi dell'83, comma 15, del decreto-legge n. 112 del 2008).

Così i commi 1 e 1-bis dell'articolo 33-septies del decreto-legge n. 179 del 2012, quali rispettivamente novellato e introdotto dal presente articolo del decreto-legge.

Rimane invariato il comma 3 di quell'articolo 33-septies, il quale esclude dall'applicazione delle disposizioni i CED soggetti alla gestione di dati classificati secondo la normativa in materia di tutela amministrativa delle informazioni coperte da segreto di Stato e di quelle classificate nazionali secondo le direttive dell'Autorità nazionale per la sicurezza (ANS) che esercita le sue funzioni tramite l'Ufficio centrale per la segretezza (UCSe) del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DE).

 

Già la disposizione previgente del decreto-legge n. 179 del 2012 attribuisce ad AgID la definizione di un censimento dei CED della pubblica amministrazione e l'elaborazione di linee guida finalizzate alla definizione di un piano triennale di razionalizzazione dei CED.

La disposizione viene ora riscritta - qual novello comma 1-ter - aggiungendo che il censimento dei CED sia realizzato con cadenza triennale e sia effettuato anche con il supporto dell'Istituto Nazionale di Statistica.

Inoltre l'AgID definisce un piano triennale, che la previsione previgente riferiva alla razionalizzazione dei CED (con accento sulla interoperabilità, efficienza, sicurezza, rapidità di erogazione dei servizi ai cittadini) e che ora si prevede confluisca entro il Piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione (disciplinato, si ricorda, dall'articolo 14-bis del Codice dell'amministrazione digitale), onde definire la strategia di sviluppo delle infrastrutture digitali delle amministrazioni di cui all’articolo 2, comma 2, lettere a) e c) del Codice dell'amministrazione digitale (sopra citato).

Beninteso, siffatte determinazioni sono tenute a rispettare la disciplina in tema di perimetro di sicurezza nazionale cibernetica (posta dal decreto-legge n. 105 del 2019).

Si viene a prevedere l'intesa della competente struttura della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Altresì deve essere definita la strategia di adozione del modello cloud per la pubblica amministrazione, alle quali le amministrazioni si attengano.

Per questa parte - se relativa alla strategia di sviluppo delle infrastrutture digitali e della strategia di adozione del modello cloud delle amministrazioni locali - è "sentita" la Conferenza unificata.

Con la integrale sostituzione del comma 4 (v. infra) dell'articolo 33-septies, viene meno la configurazione di una intesa della Conferenza unificata, circa la razionalizzazione dei CED.

Ancora riguardo le funzioni di AgID, è dettata una riformulazione circa i contenuti della sua attività regolatoria, mediante - si specifica ora - un regolamento (adottato d'intesa con la competente struttura della Presidenza del Consiglio).

Tale atto stabilisce (nel rispetto della disciplina introdotta dal decreto-legge n. 105 del 2019) i livelli minimi di sicurezza, capacità elaborativa, risparmio energetico e affidabilità delle infrastrutture digitali per la pubblica amministrazione.

Definisce, inoltre, le caratteristiche di qualità, di sicurezza, di performance, "scalabilità" (che in questo lessico digitale denota la capacità di un sistema di incrementare o diminuire prestazioni e risorse unicamente in base a necessità o richieste specifiche), interoperabilità, portabilità dei servizi cloud per la pubblica amministrazione.

 

Seguono infine alcune soppressioni o novelle (ancora riferite all'articolo 33-septies del decreto-legge n. 179 del 2012), di mero coordinamento rispetto alle nuove previsioni introdotte.

È altresì soppresso l'articolo 1, comma 407 della n. 160 del 2019, recante la seguente previsione: "Al fine di conseguire risparmi di spesa e di accrescere la qualità, la sicurezza, l'efficienza energetica e la continuità operativa dei Centri per l'elaborazione delle informazioni (CED) della pubblica amministrazione centrale, come definiti dall'articolo 33-septies, comma 2, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 [...] il Presidente del Consiglio dei ministri, o il Ministro delegato, adotta un atto di indirizzo, coordinamento e impulso per la razionalizzazione e il consolidamento degli stessi CED".

 

A chiusura è posta una clausola di invarianza, secondo cui all'attuazione dell'articolo le amministrazioni pubbliche provvedono con le risorse disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

Articolo 36
(Misure di semplificazione amministrativa per l'innovazione)

 

 

L'articolo 36 definisce un procedimento autorizzatorio speciale - facoltativo, semplificato, accentrato presso la Presidenza del Consiglio ma con coinvolgimento del Ministero per lo sviluppo economico - per le attività di sperimentazione condotte da imprese, università, enti di ricerca, se attinenti alla trasformazione digitale ed alla innovazione tecnologica.

 

Destinatarie della disposizione sono dunque "imprese", come recita la disposizione, che intendano "sperimentare iniziative" (beninteso non vietate dalla legge), innovative in ambito tecnologico e di digitalizzazione.

L'articolo è diretto anche alle università, enti di ricerca, società con caratteristiche di spin off o di start up universitari (ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto legislativo n. 297 del 1999), perseguenti quella sperimentazione.

Il comma 1 pone l'obiettivo della trasformazione digitale della pubblica amministrazione nonché dello sviluppo e diffusione delle "tecnologie emergenti". Non fornisce una enumerazione dei settori in cui si estrinsechi tale progettualità innovativa.

 

Le imprese sperimentatrici di attività tecnologiche o di digitalizzazione innovative "possono" presentare - è dunque una loro facoltà, non obbligo - i relativi progetti alla Presidenza del Consiglio, presso la struttura di questa competente per la trasformazione digitale.

Contestualmente i soggetti interessati formulano la richiesta di una temporanea deroga alle norme statali impeditive della sperimentazione.

Beninteso, vi sono norme sottratte al procedimento derogatorio così congegnato.

Ne dà enumerazione il comma 3.

Sono:

ü  disposizioni a tutela della salute, dell'ambiente, dei beni culturali e paesaggistici;

ü  disposizioni penali o del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo n. 159 del 2011.

Né possono essere violati o elusi vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all’Unione europea o da obblighi internazionali.

 

La presentazione del progetto alla Presidenza del Consiglio deve contenere una serie di indicazioni (titolare della richiesta e responsabile della sperimentazione; i connotati innovativi, la durata, le finalità; i risultati e benefici attesi; modalità di valutazione e monitoraggio; rischi connessi).

 

Si ricorda che l'articolo 8, comma 1-ter del decreto-legge n. 135 del 2018 ha previsto - a decorrere dal 1°(gradi) gennaio 2020 - che al fine di garantire l'attuazione degli obiettivi dell'Agenda digitale italiana, le funzioni i compiti i poteri, innanzi conferiti (dall'art. 63 del decreto legislativo n. 179 del 2016) al Commissario straordinario per l'attuazione dell'Agenda digitale, siano attribuiti al Presidente del Consiglio dei ministri (o al Ministro delegato), che li esercita per il tramite delle strutture della Presidenza del Consiglio dei ministri.

E novella lì introdotta dall'art. 1, comma 401 della legge n. 160 del 2019, ha aggiunto che per il medesimo fine attuativo nonché per lo sviluppo e la diffusione dell'uso delle tecnologie tra cittadini, imprese e pubblica amministrazione, il Presidente del Consiglio dei ministri (o il Ministro delegato) "individua, promuove e gestisce" progetti di innovazione tecnologica e di trasformazione digitale di rilevanza strategica e di interesse nazionale. Tale svolgimento dei progetti di innovazione tecnologica e trasformazione digitale avviene mediante la competente struttura per l'innovazione della Presidenza del Consiglio.

A seguito dell'approvazione del decreto-legge n. 135 del 2018, si è proceduto alla istituzione del Dipartimento per la trasformazione digitale, quale struttura di supporto al Presidente del Consiglio per la promozione ed il coordinamento delle azioni del Governo finalizzate alla definizione di una strategia unitaria in materia di trasformazione digitale e di modernizzazione del Paese attraverso le tecnologie digitali.

Esso dà attuazione alle direttive del Presidente in materia e assicura il coordinamento e l'esecuzione dei programmi di trasformazione digitale (d.P.C.m. 19 giugno 2019).

Il Governo in carica annovera tra i suoi componenti, quale ministro senza portafoglio, un Ministro per la innovazione tecnologica e la digitalizzazione (cfr. il d.P.C.m. del 26 settembre 2019, recante "Delega di funzioni al Ministro senza portafoglio, dott.ssa Paola Pisano").

 

È dunque la struttura della Presidenza del Consiglio competente per la trasformazione digitale, a disporre circa l'autorizzazione sui progetti di sperimentazione e sulle domande di temporanea deroga di normative.

È tuttavia previsto un coinvolgimento del Ministero dello sviluppo economico - secondo le modalità previste dal comma 2.

Intanto la decisione ultima della struttura della Presidenza del Consiglio, ai fini autorizzatori, è d'intesa con tale dicastero.

Ed è affidato al Ministero dello sviluppo economico il vaglio istruttorio (sentito il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) circa le domande.

Esso esamina le domande nel termine di trenta giorni dal ricevimento.

Il termine può essere interrotto, onde acquisire maggiori chiarimenti e integrazioni (obbligatori se richiesti, pena il rigetto della domanda).

Il vaglio istruttorio si conclude con una relazione contenente o proposta di approvazione o "preavviso di diniego".

L'autorizzazione è resa infine (dalla struttura della Presidenza del Consiglio d'intesa col Ministero per lo sviluppo economico, si è ricordato) per i progetti che presentino profili innovativi sul piano tecnologico, con positivo impatto sulla qualità della vita e dell'ambiente, e con prospettive di "successo".

La medesima autorizzazione alla sperimentazione determina, di questa: la durata, non superiore ad un anno (prorogabile, una sola volta: non è specificato il lasso temporale di tale eventuale proroga); le modalità di svolgimento; le misure per mitigare eventuali rischi.

Non si applicano le disposizioni della legge n. 241 del 1990 relative alla segnalazione certificata di inizio attività (cd. Scia: cfr. art. 19 della legge n. 241) e di silenzio assenso (cfr. art. 20). Dunque l'accoglimento della domanda non può essere tacito, e ad esso è condizionato l'avvio dell'attività di sperimentazione.

L'autorizzazione sostituisce ad ogni effetto tutti gli atti di assenso, permessi, autorizzazioni, nulla osta, comunque denominati, se di competenza di altre amministrazioni statali.

Circa un coinvolgimento 'consultivo' di altre amministrazioni, se interessate, la disposizione fa richiamo alle disposizioni della legge n. 241 relative alle conferenze di servizi (cfr. suo art. 14), alla conferenza semplificata (art. 14-bis), alla conferenza simultanea (art. 14-ter), alla decisione della conferenza di servizi ed ai rimedi per le amministrazioni dissenzienti (art. 14-quater ed art. 14-quinquies).

Per tutte queste fattispecie procedimentali, è disposto il dimezzamento dei termini lì previsti.

 

Il comma 4 attribuisce alla struttura della Presidenza del Consiglio competente per la trasformazione digitale - d'intesa con il Ministero per lo sviluppo economico - altresì la vigilanza sulla sperimentazione in corso (pena la revoca dell'autorizzazione, innanzi a talune inottemperenze) - nonché la valutazione, anche sulla scorta di una documentata relazione presentata dalla impresa sperimentatrice (aggiunge il comma 5).

In quest'ultima competenza è insita anche la proposta (nella forma di parere indirizzato al Presidente del Consiglio o del Ministro delegato) di eventuali interventi normativi, profilatisi opportuni nelle materie ed attività oggetto di sperimentazione.

A tale sollecitazione il Presidente del Consiglio o il Ministro delegato (di concerto con il Ministro competente per materia) danno seguito - entro un termine di novanta giorni, giunge a prevedere il comma 6 - promuovendo le "iniziative normative e regolamentari" eventualmente necessarie.

 

L'autorizzazione ricevuta dall'impresa "non esclude o attenua" la sua responsabilità per danni cagionati a terzi nella sperimentazione.

L'impresa permane responsabile, in via esclusiva (comma 7).

 

Lo speciale procedimento autorizzatorio approntato da questo articolo del decreto-legge non si applica ad alcune tipologie di attività.

Di tali attività escluse dà enumerazione il comma 8. Esse concernono la sperimentazione in materia di:

ü  attività di tecno-finanza (FinTech) volte al perseguimento (mediante nuove tecnologie quali l'intelligenza artificiale e i registri distribuiti) dell'innovazione di servizi e di prodotti nei settori finanziario, creditizio, assicurativo e dei mercati regolamentati - cfr. l'articolo 36, commi da 2-bis a 2-decies, del decreto-legge n. 34 del 2019, che ha demandato una più puntuale disciplina a regolamento del Ministro dell'economia e delle finanze, sentite la Banca d'Italia, la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (CONSOB) e l'Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni (IVASS), per definire le condizioni e le modalità di svolgimento di una sperimentazione (cd. regulatory sandbox), e presso il Ministero dell'economia ha previsto inoltre l'istituzione di un apposito Comitato Fin-Tech, disciplinandone la composizione e prevedendone una funzione di 'raccordo' anche con associazioni di categoria, imprese, enti e soggetti operanti nel settore della tecno-finanza);

ü  raccolta del risparmio, credito, finanza, moneta, moneta elettronica, sistema dei pagamenti, assicurazioni e di ogni altro servizio finanziario oggetto di autorizzazione ai sensi di disposizioni dell'Unione europea (o di disposizioni nazionali che danno attuazione a disposizioni dell'Unione europea);

ü  sicurezza nazionale;

ü  anagrafica, di stato civile, di carta d'identità elettronica;

ü  elettorale e referendaria;

ü  procedimenti di competenza delle autorità provinciali di pubblica sicurezza (dunque prefetture e questure) relativi a pubbliche manifestazioni, misure di prevenzione personali e patrimoniali, autorizzazioni e altri provvedimenti a contenuto abilitativo, soggiorno, espulsione e allontanamento dal territorio nazionale degli stranieri e dei cittadini dell'Unione europea, o comunque di ogni altro procedimento a carattere preventivo in materia di pubblica sicurezza, e ai provvedimenti e alle comunicazioni ad essi connessi.

 

Infine il comma 9 reca clausola di invarianza finanziaria delle disposizioni di questo articolo del decreto-legge.

 


Articolo 37
(Disposizioni per favorire l’utilizzo della posta elettronica certificata nei rapporti tra Amministrazione, imprese e professionisti)

 

 

Il comma 1 interviene sulla vigente disciplina relativa all'obbligo da parte delle imprese societarie di comunicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata digitale al registro delle imprese. Tale obbligo prevede ora che le imprese costituite in forma societaria comunichino il proprio domicilio digitale al registro delle imprese entro il 1° ottobre 2020, se non già comunicato in precedenza.

Ulteriori disposizioni riguardano la procedura di iscrizione del domicilio digitale da parte di imprese di nuova costituzione o già iscritte nel registro, l’indicazione di un nuovo domicilio digitale in caso di domicilio inattivo.

È disciplinata la procedura di iscrizione del domicilio digitale dei professionisti iscritti in albi ed elenchi.

Il comma 1 in esame abroga infine la vigente disciplina relativa all’uso della posta elettronica certificata da parte delle pubbliche amministrazioni.

Il comma 2, novellando la disciplina vigente in materia, disciplina la procedura di iscrizione del domicilio digitale da parte di una nuova impresa individuale o di imprese individuali già attive e non soggette a procedura concorsuale.

 

In particolare, il comma 1 novella in più punti l’articolo 16 del D.L. n. 185/2008 (L. n. 2/2009), al fine di garantire il diritto di usare, in modo accessibile ed efficace, fermi restando i diritti delle minoranze linguistiche riconosciute, le soluzioni e gli strumenti previsti dal Codice dell'amministrazione digitale (d.lgs. 82/2005) nei rapporti con:

- le pubbliche amministrazioni, ivi comprese le autorità di sistema portuale, nonché le autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione;

- i gestori di servizi pubblici, ivi comprese le società quotate, in relazione ai servizi di pubblico interesse;

- determinate tipologie di società a controllo pubblico, anche ai fini dell'esercizio dei diritti di accesso e della partecipazione al procedimento amministrativo.

Inoltre, il fine è anche quello di favorire il percorso di semplificazione e di maggiore certezza delle comunicazioni telematiche tra imprese, professionisti e pubbliche amministrazioni nel rispetto della disciplina europea e fermo quanto previsto nel Codice dell'amministrazione digitale (d.lgs. 82/2005).

In particolare:

a) con la novella al comma 6 viene introdotto l'obbligo per le imprese costituite in forma societaria di indicare il proprio domicilio digitale[43], il quale va comunicato entro il 1° ottobre 2020 al registro delle imprese, se non già comunicato in precedenza. L'iscrizione del domicilio digitale nel registro delle imprese e le sue successive eventuali variazioni sono esenti dall'imposta di bollo e dai diritti di segreteria.

L'attuale disciplina dettata dal comma 6 prevede che le imprese costituite in forma societaria sono tenute a indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata nella domanda di iscrizione al registro delle imprese o analogo indirizzo di posta elettronica basato su tecnologie che certifichino data e ora dell'invio e della ricezione delle comunicazioni e l'integrità del contenuto delle stesse, garantendo l'interoperabilità con analoghi sistemi internazionali. Entro tre anni dalla data di entrata in vigore del D.L. 185/2008 tutte le imprese, già costituite in forma societaria alla medesima data di entrata in vigore, avrebbero dovuto comunicare al registro delle imprese l'indirizzo di posta elettronica certificata. L'iscrizione dell'indirizzo di posta elettronica certificata nel registro delle imprese e le sue successive eventuali variazioni sono esenti dall'imposta di bollo e dai diritti di segreteria;

b) con la novella al comma 6-bis, che ne modifica il primo periodo, si prevede che l'ufficio del registro delle imprese che riceve una domanda di iscrizione da parte di un'impresa costituita in forma societaria che non ha iscritto il proprio domicilio digitale, in luogo dell'irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria per omessa esecuzione di denunce, comunicazioni e depositi[44], sospende la domanda, in attesa che essa sia integrata con il domicilio digitale.

Sono altresì introdotte allo stesso comma 6-bis ulteriori disposizioni, in base alle quali, fatto salvo quanto previsto dal primo periodo per le imprese di nuova costituzione, le imprese costituite in forma societaria, che non hanno indicato il proprio domicilio digitale entro il 1° ottobre 2020, o il cui domicilio digitale è stato cancellato dall’ufficio del registro delle imprese ai sensi del comma 6-ter (sul quale si veda infra), sono sottoposti alla suddetta sanzione prevista dall’articolo 2630 del codice civile, in misura raddoppiata. L’ufficio del registro delle imprese, contestualmente all’erogazione della sanzione, assegna d’ufficio un nuovo e diverso domicilio digitale, acquisito tramite gara nazionale bandita dalla Consip S.p.A. in conformità alle linee guida adottate dall’Agenzia per l’Italia digitale ed in coerenza con la normativa vigente. I costi sostenuti per l’acquisto del domicilio digitale sono a valere sui ricavati delle sanzioni riscosse in virtù del presente comma, fino alla loro concorrenza.

Nell'attuale formulazione, il comma 6-bis prevede che l'ufficio del registro delle imprese che riceve una domanda di iscrizione da parte di un'impresa costituita in forma societaria che non ha iscritto il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, in luogo dell'irrogazione della sanzione prevista dall'articolo 2630 del codice civile, sospende la domanda per tre mesi, in attesa che essa sia integrata con l'indirizzo di posta elettronica certificata;

c) è introdotto il nuovo comma 6-ter, il quale prevede che il Conservatore dell’ufficio del registro delle imprese che rileva, anche a seguito di segnalazione, un domicilio digitale inattivo, chiede alla società di provvedere all’indicazione di un nuovo domicilio digitale entro il termine di trenta giorni. Decorsi trenta giorni da tale richiesta senza che vi sia opposizione da parte della stessa società, procede con propria determina alla cancellazione dell’indirizzo dal registro delle imprese ed avvia contestualmente la procedura di cui al comma 6-bis. Contro il provvedimento del Conservatore è ammesso reclamo al giudice del registro di cui all’articolo 2189 del codice civile;

d) con le modifiche al comma 7, si prevede che i professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato comunicano ai rispettivi ordini o collegi il domicilio digitale. Gli ordini e i collegi pubblicano in un elenco riservato, consultabile in via telematica esclusivamente dalle pubbliche amministrazioni, i dati identificativi degli iscritti e il relativo domicilio digitale. I revisori legali e le società di revisione legale iscritti nell'apposito registro comunicano il proprio domicilio digitale al Ministero dell'economia e delle finanze o al soggetto incaricato della tenuta del registro.

L'attuale formulazione del comma 7 fa riferimento alla comunicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata. Esso dispone che i professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato comunicano ai rispettivi ordini o collegi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata o analogo indirizzo di posta elettronica di cui al comma 6 entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Gli ordini e i collegi pubblicano in un elenco riservato, consultabile in via telematica esclusivamente dalle pubbliche amministrazioni, i dati identificativi degli iscritti con il relativo indirizzo di posta elettronica certificata. I revisori legali e le società di revisione legale iscritti nell'apposito registro comunicano il proprio indirizzo di posta elettronica certificata al Ministero dell'economia e delle finanze o al soggetto incaricato della tenuta del registro.

e) il comma 7-bis viene interamente sostituito. La nuova formulazione prevede che il professionista che non comunica il proprio domicilio digitale all’albo o elenco di appartenenza è obbligatoriamente soggetto a diffida ad adempiere, entro trenta giorni, da parte del Collegio o Ordine di appartenenza. In caso di mancata ottemperanza alla diffida, il Collegio o Ordine di appartenenza commina la sanzione della sospensione dal relativo albo o elenco fino alla comunicazione dello stesso domicilio. L’omessa pubblicazione dell’elenco riservato, il rifiuto reiterato di comunicare alle pubbliche amministrazioni i dati identificativi degli iscritti e il relativo domicilio digitale, ovvero la reiterata inadempienza dell’obbligo di comunicare all’indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti l’elenco dei domicili digitali ed il loro aggiornamento a norma dell’articolo 6 del DM 19 marzo 2013, costituiscono motivo di scioglimento e di commissariamento del collegio o dell’ordine inadempiente ad opera del Ministero vigilante sui medesimi.

Nell'attuale versione, il comma 7-bis prevede che l'omessa pubblicazione dell'elenco riservato previsto dal comma 7, ovvero il rifiuto reiterato di comunicare alle pubbliche amministrazioni i dati previsti dal medesimo comma, costituiscono motivo di scioglimento e di commissariamento del collegio o dell'ordine inadempiente;

f) è disposta l'abrogazione della disciplina - recata dai commi 8, 9 e 10 - relativa all’uso della posta elettronica certificata da parte delle pubbliche amministrazioni quale ordinario e tendenzialmente unico strumento di comunicazione, in alternativa all’invio postale di documenti cartacei.

 

Ai sensi del comma 8, l’obbligo di istituire una casella di posta certificata o analogo indirizzo di posta elettronica come definito al vigente comma 6, per ciascun registro di protocollo, di cui all’art. 47 del Codice dell'amministrazione digitale è esteso a tutte le amministrazioni pubbliche. Non è posto un termine per l’osservanza a tale obbligo (che pertanto è da intendersi come immediata): ad esso si aggiunge, quale ulteriore adempimento, la comunicazione di tali caselle al CNIPA (Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione), che provvede alla loro pubblicazione in un elenco consultabile per via telematica. A tutto ciò occorre provvedere nell’ambito delle risorse disponibili e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Il comma 9 completa la disciplina disponendo che, per le amministrazioni che abbiano adempiuto a tali obblighi e per i soggetti indicati dai vigenti commi 6 e 7 dell’articolo 16 in esame, ovvero le imprese costituite in forma societaria nonché i professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato, l’invio di comunicazioni tramite posta elettronica certificata non richiede che il destinatario dichiari previamente la propria disponibilità ad accettarne l’utilizzo.

Il comma 10 assicura la consultazione telematica libera e senza oneri (da parte delle pubbliche amministrazioni, delle imprese e dei cittadini) degli indirizzi di posta elettronica certificata presenti nel registro delle imprese o negli albi o elenchi costituiti ai sensi dell’articolo 16 in commento (il riferimento è ai vigenti commi 6, 7 e 8). L’estrazione di elenchi di indirizzi è peraltro consentita alle sole pubbliche amministrazioni per le comunicazioni relative agli adempimenti amministrativi di loro competenza.

 

Il comma 2 sostituisce il comma 2 dell’articolo 5 (Posta elettronica certificata - indice nazionale degli indirizzi delle imprese e dei professionisti) del D.L. n. 179/2012 (L. n. 221/2012).

Il nuovo comma prevede che l’ufficio del registro delle imprese che riceve una domanda di iscrizione da parte di un’impresa individuale che non ha indicato il proprio domicilio digitale, in luogo dell’irrogazione della sanzione prevista dall’articolo 2630 del codice civile, sospende la domanda in attesa che la stessa sia integrata con il domicilio digitale. Le imprese individuali attive e non soggette a procedura concorsuale che non hanno già indicato, all’ufficio del registro delle imprese competente, il proprio domicilio digitale sono tenute a farlo entro il 1° ottobre 2020. Fatto salvo quanto previsto dal primo periodo relativamente all’ipotesi della prima iscrizione al registro delle imprese o all’albo delle imprese artigiane, le imprese individuali attive e non soggette a procedura concorsuale che non hanno indicato il proprio domicilio digitale entro il 1° ottobre 2020, o il cui domicilio digitale è stato cancellato dall’ufficio del registro delle imprese, sono sottoposte alla sanzione da euro 10 a euro 516 (prevista dall’articolo 2194 del codice civile), in misura triplicata previa diffida a regolarizzare l’iscrizione del proprio domicilio digitale entro il termine di trenta giorni da parte del Conservatore del registro delle imprese. Il Conservatore dell’ufficio del registro delle imprese che rileva, anche a seguito di segnalazione, un domicilio digitale inattivo, chiede all’imprenditore di provvedere all’indicazione di un nuovo domicilio digitale entro il termine di trenta giorni. Decorsi trenta giorni da tale richiesta senza che vi sia opposizione da parte dello stesso imprenditore, procede con propria determina alla cancellazione dell’indirizzo dal registro delle imprese. Contro il provvedimento del Conservatore è ammesso reclamo al giudice del registro. L’ufficio del registro delle imprese, contestualmente all’erogazione della sanzione, assegna d’ufficio un nuovo e diverso domicilio digitale, acquisito tramite gara nazionale bandita dalla Consip S.P.A. in conformità alle linee guida adottate dall’Agenzia per l'Italia digitale ed in coerenza con la normativa vigente. I costi sostenuti per l’acquisto del domicilio digitale sono a valere sui ricavati delle sanzioni riscosse in virtù del presente comma, fino alla loro concorrenza. L’iscrizione del domicilio digitale nel registro delle imprese e le sue successive eventuali variazioni sono esenti dall’imposta di bollo e dai diritti di segreteria.

Nella formulazione vigente, il comma 2 prevede che le imprese individuali attive e non soggette a procedura concorsuale, sono tenute a depositare, presso l'ufficio del registro delle imprese competente, il proprio indirizzo di posta elettronica certificata entro il 30 giugno 2013. L'ufficio del registro delle imprese che riceve una domanda di iscrizione da parte di un'impresa individuale che non ha iscritto il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, in luogo dell'irrogazione della sanzione prevista dall'articolo 2630 del codice civile, sospende la domanda fino ad integrazione della domanda con l'indirizzo di posta elettronica certificata e comunque per quarantacinque giorni; trascorso tale periodo, la domanda si intende non presentata.


Articolo 38
(Misure di semplificazione per reti e servizi di comunicazioni elettroniche)

 

 

L’articolo 38 introduce diverse misure di semplificazione per il dispiegamento delle reti di comunicazione elettronica sia per quanto riguarda le reti in fibra ottica sia per quanto riguarda le reti mobili di telecomunicazioni con particolare riferimento alla procedura generale di autorizzazione (sostituita da una procedura di SCIA), alle modifiche del profilo radioelettrico di impianti già autorizzati, nonché con riferimento al procedimento di verifica preventiva di interesse archeologico (commi 1, lettere a), b), d), comma 2 e comma 4) e agli scavi in microtrincea sul sedime stradale (comma 5).  Sono introdotte specifiche disposizioni di semplificazione per gli impianti di telefonia mobile temporanei (comma 1. lettera c) nonché per l’utilizzo degli impianti in banda cittadina (comma 1, lettere e) e g) e comma 7) e per l’installazione degli impianti di videosorveglianza utilizzati dagli enti locali per le finalità previste dal patto per la sicurezza (comma 3). È stata disposta la soppressione del documento di esercizio delle stazioni radioelettriche (comma 1, lettera f). È infine previsto un divieto per i sindaci di introdurre limitazioni generalizzate alla localizzazione di stazioni radio-base e di introdurre modifiche ai limiti previsti per l’esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici (comma 6).

 

Semplificazioni in materia di realizzazione di reti di comunicazione in fibra e di impianti radioelettrici per le connessioni mobili (comma 1, lettere a) – d) e comma 2)

 

Il comma 1, introduce diverse modifiche al decreto legislativo n. 259 del 2003, Codice delle comunicazioni elettroniche. In particolare:

 

il comma 1, lettera a), modificando l’articolo 86 del decreto legislativo n. 259 del 2003, (si veda il box), fatte salve le previsioni degli articoli 87 e 88 con riferimento alle autorizzazioni per la realizzazione della rete di comunicazioni elettroniche e degli elementi ad essa collegati  per  le  quali  si  attua  il  regime  di  semplificazione  ivi  previsto, precisa che  alla  installazione  di  reti  di  comunicazione  elettronica  mediante  posa  di  fibra  ottica  non  si  applica  la  disciplina  edilizia  e  urbanistica.

 

La previsione prevede pertanto la presentazione di un’unica istanza per gli scavi, l’occupazione del suolo e la realizzazione di eventuali opere civili ai sensi del decreto legislativo n. 259 del 2003, in deroga alle previsioni del testo unico dell’edilizia.

 

il comma 1, lettera b) introduce elementi di semplificazione con riferimento alle modifiche delle caratteristiche degli impianti già provvisti di titolo abilitativo, prevedendo che anche nel caso in cui tali modifiche riguardino il profilo radioelettrico si applichi la previsione dell’articolo 87-ter, comma 1, del decreto legislativo n. 259 del 2003, che subordina la realizzazione dell’intervento alla presentazione di una semplice autocertificazione descrittiva della variazione dimensionale e del rispetto dei limiti, dei valori e degli obiettivi previsti dall'articolo 87, da inviare contestualmente all'attuazione dell'intervento ai medesimi organismi che hanno rilasciato i titoli.

Viene altresì introdotta la previsione che tali organismi si pronunciano entro trenta giorni dal ricevimento dell’autocertificazione.

 

Il comma 1, lettera c) dispone un regime autorizzatorio semplificato per la posa di impianti temporanei di telefonia mobile introducendo un nuovo articolo 87-quater al decreto legislativo n. 259 del 2003.

Il comma 1, del nuovo articolo 87-quater, prevede che  gli impianti  temporanei  di  telefonia  mobile,  necessari  per  il  potenziamento  delle  comunicazioni  mobili  in  situazioni  di  emergenza,  sicurezza, esigenze stagionali, manifestazioni, spettacoli o altri eventi, destinati ad essere rimossi al cessare  delle  anzidette  necessità  e  comunque  entro  e  non  oltre  centoventi  giorni  dalla  loro  collocazione,  possono  essere  installati ed essere attivati previa  comunicazione  di  avvio  lavori  all’amministrazione  comunale qualora,  se entro  trenta  giorni  dalla  presentazione  della  relativa  richiesta  di  attivazione  all’ARPA, non sia stato comunicato dal medesimo ente un provvedimento di diniego.

Il comma 2 del nuovo articolo 87-quater prevede un regime ulteriormente semplificato se la permanenza in esercizio dell’impianto non supera i 7 giorni. In tal caso è prevista semplicemente un’autocertificazione di   attivazione, da   inviare   contestualmente   alla   realizzazione dell’intervento, all’ente locale, alle ARPA, nonché agli ulteriori enti competenti, fermo restando il rispetto dei vigenti limiti di campo elettromagnetico. Nelle ipotesi disciplinate da questo comma la norma precisa che si deroga esplicitamente ai vincoli previsti dalla normativa vigente.

 

Il comma 1, lettera d) modificando l’articolo 88 del decreto legislativo dispone che:

·        l’istanza unica presentata per la realizzazione di opere civili o, comunque, l'effettuazione di scavi e l'occupazione di suolo pubblico funzionali all'installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica avrà valenza di istanza unica effettuata per tutti i profili connessi agli interventi di cui al presente articolo (articolo 88, comma 1);

·        sia modificata la descrizione dell’effetto dell’atto di approvazione degli interventi di scavo e occupazione di suolo pubblico funzionale alla realizzazione di impianti di comunicazione elettronica nell’ambito della conferenza di servizi (per approfondimenti sulla procedura si veda il box infra). Si prevede che tale assenso sostituisca “gli atti di assenso, comunque denominati e necessari per l’effettuazione degli scavi e delle eventuali opere civili indicate nel progetto, di competenza delle amministrazioni, degli enti e dei gestori di beni o servizi pubblici interessati” e non, come nella vigente formulazione, “gli atti di competenza delle singole amministrazioni” (modifiche ai commi 4 e 9);

 

Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa la modifica è effettuata “per eliminare i pareri preliminari resi nelle conferenze di servizi che creano ritardi amministrativi con il rilascio di autorizzazioni postume. Conseguentemente il parere (con la condizione di ottenere l’autorizzazione successivamente) non è più un atto di assenso per effettuare gli scavi”.

 

·        si estende anche all’installazione di altri elementi di rete l’applicazione del termine ridotto di otto giorni per il rilascio dell’autorizzazione nel caso di apertura buche, apertura chiusini per infilaggio cavi o tubi, posa di cavi o tubi aerei su infrastrutture esistenti ed allacciamento utenti (modifica al comma 7).

·        i termini autorizzatori ridotti, di cui all’articolo 87, comma 7 del decreto legislativo n. 259 del 2003, (si veda il box relativo alla ricostruzione delle procedure di autorizzazione all’installazione di reti di comunicazione in fibra e di impianti radioelettrici)  si   applichino   anche   alle   richieste   di   autorizzazione   per   l’esecuzione  di  attraversamenti  e  parallelismi  su  porti,  interporti,  aree  del  demanio  idrico,  marittimo,  forestale  e  altri  beni  immobili  appartenenti  allo  Stato,  alle  Regioni,  agli  enti  locali  e  agli  altri  enti  pubblici (aggiunta di un ulteriore periodo al comma 7).

 

La relazione illustrativa chiarisce le ragioni dell’intervento segnalando che “L’attività di sviluppo delle reti broadband coinvolge necessariamente anche il fondo delle strade su cui sono posati i binari ferroviari (c.d. sedimi ferroviari), con particolare riguardo ai casi di attraversamenti degli stessi. Le singole tipologie di sedime non sono espressamente citate dal Codice delle Comunicazioni elettroniche, per cui a volte gli Enti gestori in molti casi non

riconoscono l’applicazione dei termini e delle condizioni fissate dal CCE, generando problematiche sia sul fronte del rilascio dei permessi che degli oneri richiesti.”

Si segnala a questo proposito che nel testo del comma non sono espressamente menzionati i beni del demanio ferroviario che, tuttavia, secondo una giurisprudenza ampiamente prevalente, devono considerarsi appartenenti al demanio accidentale dello Stato (ex multis, da ultimo si veda: Cass., civ. sez. II, del 1° marzo 2018, n. 4864).

 

Il comma 2 introduce specifiche disposizioni volte ad agevolare il conseguimento degli obiettivi indicati dal comma 2, dell’articolo 82, del decreto-legge n. 18 del 2020 (cosiddetto cura Italia), che stabilisce che le imprese che svolgono attività di fornitura di reti e servizi di comunicazioni elettroniche (…) intraprendano misure e svolgano iniziative atte a potenziare le infrastrutture e a garantire il funzionamento delle reti e l'operatività e continuità dei servizi.

A tale scopo il comma 2, novellando l’articolo 82 del decreto-legge n. 18 del 2020, mediante l’introduzione di due nuovi commi (2-bis) prevede che:

·        alle imprese fornitrici di reti e servizi di comunicazioni elettroniche è consentito effettuare gli interventi di scavo, installazione e manutenzione di reti di comunicazione in fibra ottica mediante la presentazione di una SCIA all’amministrazione locale competente e agli organismi competenti ad effettuare i controlli anche in deroga a quanto disposto dal decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 e dai regolamenti adottati dagli enti locali;

·        La SCIA deve contenere le informazioni di cui ai modelli C e D dell’allegato n. 13 del decreto legislativo n. 259 del 2003 e vale come istanza unica effettuata per tutti i profili connessi alla realizzazione delle infrastrutture oggetto dell’istanza medesima;

I modelli C e D dell’allegato 13 del decreto legislativo n. 259 del decreto legislativo n, 259 del 2003 si riferiscono rispettivamente: all’Istanza di autorizzazione per opere civili, scavi e occupazione di suolo pubblico in aree urbane (modello C) e all’Istanza di autorizzazione per opere civili, scavi e occupazione di suolo pubblico in aree extraurbane (modello D).

·        per il conseguimento dei permessi, autorizzazioni ed atti abilitativi, comunque denominati, relativi alle installazioni delle infrastrutture per impianti radioelettrici di qualunque tecnologia e potenza, si applicano le procedure semplificate di cui all’art. 87-bis del decreto legislativo n. 259 del 2003;

 

L’articolo 87-bis stabilisce che nel caso di installazione di apparati con tecnologia UMTS, sue evoluzioni o altre tecnologie su infrastrutture per impianti radioelettrici preesistenti o di modifica delle caratteristiche trasmissive, fermo restando il rispetto dei limiti, dei valori e degli obiettivi di cui all'articolo 87, è sufficiente la segnalazione certificata di inizio attività, conforme ai modelli predisposti dagli enti locali e, ove non predisposti, al modello B di cui all'allegato n. 13 del decreto legislativo n. 259 del 2003.

 

 

Le procedure di autorizzazione all’installazione di reti di comunicazione in fibra e di impianti radioelettrici

 

La concessione del diritto di installare infrastrutture di comunicazione

 

L’articolo 86 del Codice delle comunicazioni elettroniche stabilisce che le autorità competenti alla gestione del suolo pubblico adottano senza indugio e, in ogni caso, entro sei mesi dalla richiesta, salvo per i casi di espropriazione, le occorrenti decisioni e rispettano procedure semplici, efficaci, trasparenti, pubbliche e non discriminatorie nell'esaminare le domande per la concessione del diritto di installare infrastrutture: su proprietà pubbliche o private ovvero al di sopra o al di sotto di esse, ad un operatore autorizzato a fornire reti pubbliche di comunicazione; su proprietà pubbliche ovvero al di sopra o al di sotto di esse, ad un operatore autorizzato a fornire reti di comunicazione elettronica diverse da quelle fornite al pubblico.

Le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli articoli 87 e 88, e le opere di infrastrutturazione per la realizzazione delle reti di comunicazione elettronica ad alta velocità in fibra ottica in grado di fornire servizi di accesso a banda ultralarga, effettuate anche all'interno degli edifici sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria, pur restando di proprietà degli operatori e ad esse si applica la normativa vigente in materia. Con riferimento a tale profilo si vedano supra le modifiche introdotte dal comma 1, lettera a) dell’articolo in commento.

 

Le attività di scavo per la realizzazione di infrastrutture di comunicazione

 

Il Codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259 del 2003) disciplina all’articolo 88 le autorizzazioni necessarie qualora l'installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica presupponga la realizzazione di opere civili o, comunque, l'effettuazione di scavi e l'occupazione di suolo pubblico.

Sulla base della normativa vigente tali interventi sono assoggettati ad un regime di autorizzazione. La competenza spetta all’ente gestore del suolo pubblico (quindi essenzialmente il comune nei centri urbani). Si prevede che i soggetti interessati siano tenuti a presentare un’apposita istanza unica all'ente locale ovvero alla figura soggettiva pubblica proprietaria delle aree, conforme ai modelli predisposti dagli Enti locali e, ove non predisposti, al modello C di cui all'allegato n. 13. Secondo le previsioni del comma 1, lettera d) si prevede che tale istanza abbia valenza di istanza unica effettuata per tutti i profili connessi agli interventi di cui si tratta.

Il responsabile del procedimento può richiedere, per una sola volta, entro dieci giorni dalla data di ricezione dell'istanza, il rilascio di dichiarazioni e la rettifica od integrazione della documentazione prodotta. Una volta prodotta tale documentazione ricomincia a decorrere il termine di trenta giorni entro i quali l’amministrazione può: 1) pronunciarsi con un provvedimento espresso o 2) convocare una conferenza di servizi.

Il termine è più breve nel caso di attraversamenti di strade e comunque di lavori di scavo di lunghezza inferiore ai duecento metri (10 giorni) e nel caso di apertura buche, apertura chiusini per infilaggio cavi o tubi, posa di cavi o tubi aerei (e all’installazione di altri elementi di rete, secondo la modifica introdotta al comma 1, lettera d), su infrastrutture esistenti ed allacciamento utenti (8 giorni). Per l’estensione di tali termini ridotti ad ulteriori ambiti si veda quanto stabilito dal comma 5 del presente articolo.

Se l’amministrazione non procede nell’uno o nell’altro matura il silenzio assenso.

Qualora venga convocata la conferenza di servizi essa deve concludere il proprio lavoro entro trenta giorni dalla prima convocazione. Qualora il motivato dissenso, a fronte di una decisione positiva assunta dalla conferenza di servizi, sia espresso da un'Amministrazione preposta alla tutela ambientale, alla tutela della salute o alla tutela del patrimonio storico-artistico, la decisione è rimessa al Consiglio dei Ministri. La disposizione disciplina anche l’ipotesi in cui le aree nelle quali devono essere svolti gli interventi siano di proprietà di più enti e soggetti pubblici.

Con riferimento al dispiegamento delle reti a banda ultralarga una specifica semplificazione è stata introdotta dall'art. 8-bis, comma 2, lettera c), del decreto-legge n.135 del 2018, con riguardo alla procedura di autorizzazione ad intervenire su beni culturali, ivi compresi gli interventi in pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico.

Mentre il regime ordinario prevede un termine di 120 giorni per l’autorizzazione all’intervento edilizio, per gli interventi sopra indicati il termine per la decisione è stato ridotto a 90 giorni.

 

La procedura di installazione per impianti radioelettrici

 

L’articolo 87 del Codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259 del 2003) disciplina le procedure per l'installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici e la modifica delle caratteristiche di emissione di questi ultimi.

Anche in tal caso è prevista la necessità di un’autorizzazione rilasciata da parte degli enti locali, previo accertamento, da parte della competente ARPA, della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale in relazione dalla legge 22 febbraio 2001, n. 36, e dai relativi provvedimenti di attuazione.

Gli interessati devono presentare un’istanza, conforme al modello dell'allegato n. 13 del decreto legislativo n. 259 del 2003 corredata della documentazione atta a comprovare il rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, relativi alle emissioni elettromagnetiche.

Il responsabile del procedimento può richiedere, per una sola volta, entro quindici giorni dalla data di ricezione dell'istanza, il rilascio di dichiarazioni e l'integrazione della documentazione prodotta.

Le richieste si intendono accolte qualora, entro novanta giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda non sia stato comunicato un provvedimento di diniego o un parere negativo da parte dell’ARPA.

Nel caso in cui una delle amministrazioni coinvolte nel procedimento esprima il proprio dissenso il responsabile del procedimento convoca, entro trenta giorni dalla data di ricezione della domanda, una conferenza di servizi. La conferenza di servizi deve pronunciarsi entro trenta giorni dalla prima convocazione. Qualora il motivato dissenso, a fronte di una decisione positiva assunta dalla conferenza di servizi, sia espresso da un'Amministrazione preposta alla tutela ambientale, alla tutela della salute o alla tutela del patrimonio storico-artistico, la decisione è rimessa al Consiglio dei Ministri.

Nel caso di installazione di impianti, con tecnologia UMTS od altre, con potenza in singola antenna uguale od inferiore ai 20 Watt, comunque fermo restando il rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità sopra indicati, è riconosciuta come sufficiente la segnalazione certificata di inizio attività, conforme ai modelli predisposti dagli enti locali e, ove non predisposti, al modello B di cui all'allegato n. 13.

Semplificazioni in materia di preventiva verifica dell’interesse archeologico per l’effettuazione di scavi per la realizzazione di reti di telecomunicazioni (comma 4)

Il comma 4 introduce una semplificazione in materia di verifica preventiva di interesse archeologico con riguardo alla realizzazione di interventi di scavo qualora siano utilizzate infrastrutture fisiche esistenti e tecnologie di scavo a basso impatto ambientale in presenza di sottoservizi, novellando il comma 2-bis dell’articolo 7 del decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 33.

Si prevede in particolare che ai fini della verifica preventiva di interesse archeologico prevista dall’articolo 25 del decreto legislativo n. 50 del 2016, e in particolare con riferimento alle ipotesi di cui all’ultimo periodo del comma 1, che stabilisce che non debba essere fornita la documentazione richiesta per la verifica di interesse archeologico, per gli interventi che non comportino nuova edificazione o scavi a quote diverse da quelle già impegnate dai manufatti esistenti, e per i beni immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali sui ben si prevede che l’avvio dei lavori sia subordinato esclusivamente alla trasmissione, da  parte  dell’Operatore  di  comunicazione  elettronica (non più, come nel testo precedentemente vigente, solo da parte dell’operatore di rete),  alla  soprintendenza  e all’autorità  locale  competente (alla quale, l’attuale disposizione non prevedeva dovesse essere trasmessa la documentazione),  di  documentazione  cartografica  prodotta  dall’Operatore  medesimo (nel testo precedentemente vigente tale documentazione doveva essere prodotta dall’ente locale) relativamente  al  proprio tracciato e a quello dei sottoservizi e delle infrastrutture esistenti (tuttavia non è più necessario che venga attestata dall’ente locale, come era invece richiesto dalla disciplina precedentemente vigente, la sovrapposizione dell'intero tracciato ai sottoservizi esistenti), nonché di documentazione fotografica sullo stato attuale della pavimentazione.

La disposizione si applica anche alla realizzazione dei pozzetti accessori alle infrastrutture stesse, qualora essi siano realizzati al di sopra dei medesimi sottoservizi preesistenti. L’operatore di rete comunica, con un preavviso di almeno quindici giorni, l’inizio dei lavori alla soprintendenza competente (che però non deve più, come era invece previsto dalla disciplina precedentemente vigente, esprimere la sua approvazione). Qualora la posa in opera dei sottoservizi interessi spazi aperti nei centri storici, è, altresì, depositato presso la soprintendenza apposito elaborato tecnico che dia conto anche della risistemazione degli spazi oggetto degli interventi.

 

Semplificazioni in materia di scavi sul sedime stradale e autostradale per la posa di infrastrutture in banda larga (comma 5)

 

Il comma 5 prevede ulteriori interventi di semplificazione riferiti in particolare alla posa di infrastrutture in banda larga sul sedime stradale ed autostradale.

Quanto al primo profilo viene modificato l’articolo 5 del decreto legislativo n. 33 del 2016 fine di semplificare e ridurre i termini delle procedure autorizzative per l’istallazione di reti di telecomunicazioni.

Si prevede a questo proposito, attraverso l’aggiunta dei nuovi commi 1-bis, 1-ter e 1-quater, che la posa di infrastrutture a banda ultra larga da parte degli operatori può essere  effettuata  con  la  metodologia  della  micro  trincea  attraverso  l’esecuzione  di  uno  scavo  e  contestuale  riempimento  di  ridotte  dimensioni  (larghezza  da  2,00  a  4,00  cm,  con  profondità  regolabile da 10 cm fino a massimo 35 cm), in ambito urbano ed extraurbano, anche in prossimità del bordo stradale o sul marciapiede (nuovo comma 1-bis). 

Tale possibilità è finalizzata a favorire lo sviluppo delle infrastrutture digitali e minimizzare l’impatto sul sedime stradale e autostradale.

L’Ente  titolare o gestore  della  strada  o  dell’autostrada,  ferme  restando  le  caratteristiche  di  larghezza e profondità proposte dall’operatore in funzione delle esigenze di posa dell’infrastruttura a  banda  ultra  larga,  può  concordare  con  l’operatore  stesso  ulteriori  accorgimenti  in  merito  al  posizionamento dell’infrastruttura e alle concrete modalità di lavorazione in modo da garantire le condizioni di sicurezza e non alterare le prestazioni della sovrastruttura stradale (nuovo comma 1-ter).

L’operatore è tenuto a svolgere le attività di scavo e riempimento a regola d’arte in modo da non arrecare danno all’infrastruttura stradale o autostradale interessata dai lavori (nuovo comma 1-quater).

 

Divieto di introdurre limitazioni generalizzate alla localizzazione di stazioni radio-base e di introdurre modifiche ai limiti previsti per l’esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici (comma 6).

 

Il comma 6, modificando l’articolo 8, comma 6, della legge 22 febbraio 2001 n.36, vieta agli enti locali di introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate del territorio di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche di qualsiasi tipologia e di incidere anche in via indiretta o mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità, riservati allo Stato.

Si conferma per i comuni la possibilità, già prevista dalla disciplina previgente di adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici con riferimento a siti sensibili individuati in modo specifico.

 

Le ulteriori disposizioni di semplificazione:

1.      Comunicazioni in banda cittadina (comma 1, lettere e) e g))

Il comma 1, lettere e) e g) introducono alcune semplificazioni in materia di comunicazioni in banda cittadina.

Il comma 1, lettera g), in particolare abroga l’obbligo, previsto dai commi 3 e 4 dell’articolo 145 del decreto legislativo n. 259 del 2003, di effettuare una apposita dichiarazione al Ministero dello sviluppo economico ai fini dello svolgimento delle comunicazioni in banda cittadina. Tali comunicazioni possono essere effettuate dai cittadini di età non inferiore ai 14 anni dei Paesi dell'Unione europea o dello Spazio Economico Europeo ovvero dei Paesi con i quali siano intercorsi accordi di reciprocità.

 

Secondo i commi 3 e 4 dell’articolo 145 i soggetti legittimati a svolgere comunicazioni in banda cittadina erano tenuti a presentare al Ministero una dichiarazione da cui risultavano: a) cognome, nome, luogo e data di nascita, residenza o domicilio dell'interessato; b) indicazione della sede dell'impianto; c) la eventuale detenzione di apparati mobili e portatili; d) l'assenza di condizioni ostative previste al comma 2 della stesa norma. Per i minorenni non emancipati, era allegata la dichiarazione di consenso e di assunzione delle responsabilità civili da parte di chi esercita la potestà o la tutela.

 

La medesima lettera g) del comma 1 abroga inoltre l’articolo 36 e il comma 2 dell’art. 37 dell’allegato n. 25 al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259.

 

Tali disposizioni prevedevano il versamento di un contributo di 12,00 euro complessivi a titolo di rimborso dei costi sostenuti dal Ministero per le attività di vigilanza, verifica e controllo con riferimento alle attività in banda cittadina (articolo 36) e per le attività assimilate a quelle in banda cittadina, ossia a) i servizi che fanno uso di apparati tipo PMR 446 e le attività di telemetria, telecontrollo e telemisure esercitate nella banda 436,000-436,100 MHz, come stabilito nel piano nazionale di ripartizione delle frequenze. (articolo 37, comma 2).

 

Il comma 1, lettera e), conseguentemente, sopprime il riferimento alla dichiarazione sopra citata e, contenuto all’articolo 105, comma 1, lettera p) del citato decreto legislativo.

 

L’articolo 105 disciplina il cosiddetto libero uso, ossia le apparecchiature che impiegano frequenze di tipo collettivo, senza alcuna protezione, per collegamenti a brevissima distanza con apparati a corto raggio. La lettera p) del comma 1 prevede che per gli apparati per comunicazioni in "banda cittadina - CB" o assimilate, (qualora per queste ultime risultino escluse la possibilità di chiamata selettiva e l'adozione di congegni e sistemi atti a rendere non intercettabili da terzi le notizie scambiate), rientranti tra le apparecchiature in libero uso, sussiste il divieto di effettuare comunicazioni internazionali e la trasmissione di programmi o comunicati destinati alla generalità degli ascoltatori.

 

Il comma 7 prevede la copertura finanziaria degli interventi sopra descritti e dispone che agli oneri derivanti dall’attuazione delle citate disposizioni, e valutati in 280.000 euro annui a decorrere dall’anno 2020, si provveda mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del Fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2020 - 2022, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali”, della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2020, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dello Sviluppo Economico.

 

2.      Soppressione del documento di esercizio delle stazioni radioelettriche (comma 1, lettera f)

Il comma 1, lettera f) ha abrogato l’art. 127 del decreto legislativo n. 259 del 2003 che disciplinava il documento di esercizio delle stazioni radioelettriche.

 

L’articolo 127 del decreto legislativo n.259 del 2003 stabilisce che ogni stazione radioelettrica che operi su frequenza assegnata deve essere munita di apposito documento di esercizio, rilasciato dal Ministero, contenente gli elementi riguardanti la relativa autorizzazione generale, il diritto individuale di uso della frequenza assegnata, nonché i dati significativi della stazione stessa.

 

Il medesimo comma prevede che in sostituzione del presente documento siano riportate nella scheda tecnica allegata alla determina di assegnazione dei diritti d’uso, le caratteristiche tecniche degli apparati necessari al funzionamento delle stazioni radio elettriche di cui all’articolo 126 del decreto legislativo n. 259 del 2003.

 

L’articolo 126 del decreto legislativo n. 259 del 2003 disciplina l'impianto ed esercizio di una stazione radioelettrica richiedente assegnazione di frequenza che è subordinato alla concessione di un relativo diritto individuale di uso.

 

3.      Sistemi di videosorveglianza (comma 3)

Il comma 3 chiarisce che l’installazione e l’esercizio di sistemi di videosorveglianza di cui all’articolo 5, comma 2, lettera a), del decreto-legge n. 14 del 2017 da parte degli enti locali, è considerata attività libera e non soggetta ad autorizzazione generale di cui agli articoli 99 e 104 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259.

 

L’articolo 5, comma 2 del decreto-legge n. 14 del 2017 disciplina le finalità dei patti per la sicurezza urbana. In particolare la lettera a) indica come finalità dei patti: prevenzione e contrasto dei fenomeni di criminalità diffusa e predatoria, attraverso servizi e interventi di prossimità, in particolare a vantaggio delle zone maggiormente interessate da fenomeni di degrado, anche coinvolgendo, mediante appositi accordi, le reti territoriali di volontari per la tutela e la salvaguardia dell'arredo urbano, delle aree verdi e dei parchi cittadini e favorendo l'impiego delle forze di polizia per far fronte ad esigenze straordinarie di controllo del territorio, nonché attraverso l'installazione di sistemi di videosorveglianza.

In via generale gli articoli 99 e 104 del decreto legislativo n. 259 del 2003 prevedono che l’attività di installazione ed esercizio di reti o servizi di comunicazione elettronica ad uso privato è assoggettata ad una autorizzazione generale. Il soggetto interessato presenta al Ministero una dichiarazione resa dalla persona fisica titolare ovvero dal legale rappresentante della persona giuridica, o da soggetti da loro delegati, contenente l'intenzione di installare o esercire una rete di comunicazione elettronica ad uso privato. La dichiarazione costituisce segnalazione certificata di inizio attività (art.99). L’articolo 104 indica le attività soggette obbligatoriamente ad autorizzazione generale.

Come ricorda la relazione illustrativa l’art. 100 del Codice delle comunicazioni elettroniche già prevede l’esclusione da atti di assenso del Ministero dello sviluppo economico per le installazioni effettuate da amministrazioni statali.

La disposizione pertanto consente di superare l’irragionevole regolamentazione differenziata della medesima fattispecie a seconda della natura statale o locale dell’amministrazione che intende conseguire un identico interesse pubblico.


Articolo 39
(Semplificazioni della misura Nuova Sabatini)

 

 

L’articolo 39 introduce alcune modifiche alla misura di sostegno agli investimenti delle imprese c.d. “Nuova Sabatini. In primo luogo, innalza la soglia entro la quale il contributo statale in conto impianti è erogata in un’unica soluzione. Inoltre, semplifica e rende più efficace la misura per le imprese del Mezzogiorno prevedendo un decreto del MiSE, di concerto con il MEF, per la definizione di specifiche modalità operative e l’erogazione del contributo in unica soluzione a conclusione del programma di investimento, nonché la possibilità di utilizzo dei fondi europei.

 

L’articolo in esame apporta talune modifiche alla misura di sostegno agli investimenti delle imprese denominata “Nuova Sabatini

 

Si tratta di una delle principali misure di sostegno agli investimenti delle imprese, adottata nella precedente legislatura con il D.L. n. 69/2013 e volta alla concessione, da parte di banche o intermediari finanziari, alle micro, piccole e medie imprese:

- di finanziamenti agevolati per investimenti in nuovi macchinari, impianti e attrezzature, compresi i cd. investimenti in beni strumentali "Industria 4.0", nonché

- di un correlato contributo statale in conto impianti rapportato agli interessi calcolati sui predetti finanziamenti.

La misura è stata più volte rifinanziata e implementata (si veda infra la ricostruzione normativa).

 

Nel dettaglio, il comma 1, attraverso una modifica dell’articolo 2, comma 4, del D.L. n. 69/2013, innalza da 100.000 a 200.000 euro la soglia entro la quale il contributo statale in conto impianti è erogata in un’unica soluzione, anziché in più quote.

 

Il citato comma 4 prevede che il Ministero dello sviluppo economico concede un contributo, rapportato agli interessi calcolati sui finanziamenti, nella misura massima e con le modalità stabilite da apposito decreto interministeriale. L'erogazione del contributo è effettuata, sulla base delle dichiarazioni prodotte dalle imprese in merito alla realizzazione dell'investimento, in più quote determinate con il citato decreto. In caso di finanziamento di importo non superiore a 100.000 euro (ora 200.000 euro), il contributo viene erogato in un'unica soluzione.

 

Il comma 2, inoltre, interviene sull’articolo 1, comma 226, della legge di bilancio per il 2020 (L. n. 160/2019).

 

Si ricorda che il comma 226 dell’articolo 1 della Legge di bilancio per il 2020:

- rifinanzia di 105 milioni di euro per l’anno 2020, di 97 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2021 al 2024 e di 47 milioni di euro per l’anno 2025 la cd. Nuova Sabatini (primo periodo):

- come nella legge di bilancio per il 2018 e per il 2019, riserva una quota, pari al 30 per cento delle risorse stanziate alla concessione dei contributi statali “maggiorati” del 30 per cento per gli investimenti Industria 4.0 (secondo periodo);

- al fine di rafforzare il sostegno agli investimenti innovativi realizzati dalle micro e piccole imprese nel Mezzogiorno, eleva la maggiorazione dei contributi statali dal 30 per cento al 100 per cento per le micro e piccole imprese che effettuino investimenti “Industria 4.0” nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia nel limite complessivo di 60 milioni di euro a valere sulle risorse autorizzate (terzo periodo).

 

La disposizione in commento, aggiungendo ulteriori periodi al comma 226 dell’articolo 1 della L. n. 160/2019, dispone che i contributi statali  “maggiorati”, nella misura del 100 per cento, in favore delle imprese del Mezzogiorno, sono erogati alle imprese beneficiarie:

- in unica soluzione,

- con modalità procedurali stabilite con decreto, del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

Inoltre, in aggiunta allo stanziamento di 60 milioni di euro (di cui all’articolo 1, comma 226, terzo periodo, della Legge di bilancio per il 2020: vedi supra), l’intervento può essere cofinanziato con risorse rivenienti da fondi strutturali e di investimento europei, anche per sostenere, applicando la medesima maggiorazione del 100 per cento, investimenti diversi da quelli relativi a “Industria 4.0”.

 

Come precisato dalla relazione illustrativa, la disposizione in commento semplifica e rende più efficace la misura per le imprese del Mezzogiorno prevista dalla legge di bilancio 2020, prevedendo: un decreto MiSE, di concerto con il MEF per la definizione di uno strumento dedicato (“Sabatini Sud”) che stabilisca specifiche modalità operative e l’erogazione del contributo in unica soluzione a conclusione del programma di investimento;  la possibilità di utilizzo dei fondi europei.

 

 

Una delle misure cardine di sostegno agli investimenti delle imprese è la cd. Nuova Sabatini, adottata nella scorsa legislatura con il D.L. n. 69/2013 e volta alla concessione, da parte di banche o intermediari finanziari, alle micro, piccole e medie imprese:

- di finanziamenti agevolati per investimenti in nuovi macchinari, impianti e attrezzature, compresi i cd. investimenti in beni strumentali "Industria 4.0", nonché

- di un correlato contributo statale in conto impianti rapportato agli interessi calcolati sui predetti finanziamenti.

Nel corso dell'attuale legislatura, la misura è stata rifinanziata e ulteriormente implementata.

Nel dettaglio, la legge di bilancio 2019 (Legge n. 145/2018) ha rifinanziato l'autorizzazione di spesa finalizzata al contributo statale nella misura di 48 milioni di euro per il 2019, di 96 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2020-2023 e di 48 milioni di euro per il 2024.

Sulle somme autorizzate è stata mantenuta la riserva (30 per cento delle risorse) e la maggiorazione del contributo statale (del 30 per cento) per gli investimenti in beni strumentali cd. "Industria 4.0", nonché il termine per la concessione dei finanziamenti agevolati (fino ad esaurimento delle risorse statali autorizzate) di cui alla legge di bilancio per il 2018. Le risorse non utilizzate per la riserva sopra citata al 30 settembre di ciascun anno, devono rientrare nelle disponibilità complessive della misura (articolo 1, comma 200, Legge n. 145/2018).

Il successivo D.L. n. 34/2019  ha modificato le modalità di funzionamento della "Nuova Sabatini":

- inserendo tra i soggetti abilitati a rilasciare i  finanziamenti agevolati anche gli altri intermediari finanziari iscritti al relativo albo di cui all'articolo 106 del TUB (D.Lgs. 385/1993), che statutariamente operano nei confronti delle PMI;

- innalzando l'importo massimo del finanziamento agevolato concedibile ai beneficiari durante il periodo dell'intervento, portandolo da due a quattro milioni di euro;

- modificando le modalità di erogazione del correlato contributo statale, prevedendo che l'erogazione dello stesso avvenga sulla base delle dichiarazioni prodotte dalle imprese in merito alla realizzazione dell'investimento, e - a fronte di finanziamenti di importo non superiore a 100.000 euro - in un'unica soluzione.

Il D.L. n. 34/2019 ha inoltre esteso la disciplina agevolativa della cd. "Nuova Sabatini" anche alle micro, piccole e medie imprese, costituite in forma societaria, impegnate in processi di capitalizzazione, che intendano realizzare un programma di investimento. Per tali operazioni ha previsto, a date condizioni, un'applicazione in forma maggiorata del relativo contributo statale. Per tale specifico fine, l'intervento statale è stato rifinanziato per 10 milioni per il 2019, per 15 milioni per ciascuno degli anni dal 2020 al 2023 e per 10 milioni per il 2024.

Da ultimo, la Legge di bilancio 2020 (L. n.160/2019, articolo 1, commi 226-229) ha rifinanziato la misura di 105 milioni di euro per l'anno 2020, di 97 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2021 al 2024 e di 47 milioni di euro per l'anno 2025. Sulle somme autorizzate è stata mantenuta la riserva del 30 percento delle risorse e la maggiorazione del contributo statale del 30 percento per gli investimenti in beni strumentali cd. "Industria 4.0".

La maggiorazione del contributo statale per investimenti "Industria 4.0" è stata fissata al 100 per cento per gli investimenti realizzati dalle micro e piccole imprese nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, nel limite complessivo di 60 milioni di euro a valere sulle risorse autorizzate.

Una ulteriore riserva pari al 25 per cento delle risorse autorizzate dalla Legge di bilancio 2020 è destinata alle micro, piccole e medie imprese a fronte dell'acquisto, anche mediante leasing finanziario, di macchinari, impianti e attrezzature nuovi di fabbrica ad uso produttivo, a basso impatto ambientale. Anche per tali operazioni opera dunque una maggiorazione del contributo statale, che viene rapportato, in via convenzionale, sul finanziamento a un tasso annuo del 3,575 per cento (dunque, il contributo statale è maggiorato del 30 per cento rispetto al contributo ordinario). Le risorse delle predette riserve non utilizzate alla data del 30 settembre di ciascun anno rientrano nella disponibilità della misura stessa. Sui finanziamenti concessi, la garanzia del Fondo di garanzia PMI, è concessa in favore delle micro, piccole e medie imprese a titolo gratuito, nel rispetto della normativa in materia di aiuti di Stato.

Per ulteriori approfondimenti, si rinvia all’apposto paragrafo del tema dell’attività parlamentare dedicato al sostegno alle imprese.

 

 

 

 


Articolo 40
(Semplificazione delle procedure di cancellazione dal registro delle imprese e dall’albo degli enti cooperativi)

 

 

L'articolo 40, oltre a semplificare il procedimento di cancellazione delle imprese individuali e delle società di persone dal registro delle imprese, introduce, con riguardo alle società di capitali, una ulteriore ipotesi di cancellazione d'ufficio dal registro stesso. La disposizione apporta poi modifiche alle procedure di cancellazione dalla sezione speciale delle start up innovative e delle piccole e medie imprese innovative. Infine l'articolo 40 interviene in materia di enti cooperativi.

 

L'articolo 40, comma 1, prevede che venga disposto con determinazione del conservatore il provvedimento conclusivo delle procedure d’ufficio disciplinate:

 

·      dal decreto del Presidente della Repubblica 23 luglio 2004, n. 247 (Regolamento di semplificazione del procedimento relativo alla cancellazione di imprese e società non più operative dal registro delle imprese);

 

Il registro imprese è un registro pubblico, un’anagrafe delle imprese, al cui interno si trovano i dati relativi alle imprese regolarmente iscritte. Tale registro, previsto dall’art 2188 del codice civile, è stato istituito con la legge n. 580 del 1993.  La normativa di riferimento di tale registro è rappresentata dal d.P.R. n. 581 del 1995 ovvero il suo regolamento attuativo. L’articolo 7 di tale regolamento individua i soggetti e gli atti che devono essere iscritti nel registro. Il registro è diviso in due sezioni. La prima denominata ordinaria, riguarda la maggior parte delle società: qui si iscrivono le società di capitali (a responsabilità limitata, per azioni, in accomandita per azioni) e le società di persone (in nome collettivo, in accomandita semplice). La seconda sezione invece, denominata speciale, riguarda imprenditori agricoli (articolo 2135 c.c.), piccoli imprenditori (articolo 2083 c.c.) e le società semplici.

 

Il regolamento, approvato con D.P.R. 23 luglio 2004, n. 247, in esecuzione della norma di semplificazione contenuta nell'allegato A n. 9 della legge 24.11.2000, n. 340, disciplina il procedimento di cancellazione dal Registro delle imprese delle sole imprese individuali e delle società di persone.

 

·      dall’art. 2490, sesto comma, del codice civile, (che prevede la cancellazione d'ufficio dal registro delle imprese della società in fase di liquidazione che per oltre tre anni consecutivi non depositi i bilanci);

·      nonché ogni altra iscrizione o cancellazione d’ufficio conseguente alla mancata registrazione obbligatoria a domanda di parte nel registro imprese.

 

Il conservatore deve verificare, nell’ipotesi della cancellazione delle società di persone, tramite accesso alla banca dati dell’Agenzia delle entrate - Ufficio del territorio competente, che nel patrimonio della società da cancellare non rientrino beni immobili. Nel caso in cui siano presenti beni immobili, il conservatore deve sospendere il procedimento e rimettere gli atti al Presidente del Tribunale ai sensi dell’articolo 3, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 23 luglio 2004, n. 247.

 

Il già ricordato D.P.R. 23 luglio 2004, n. 247, nell'occuparsi della cancellazione d'ufficio delle imprese individuali e delle società di persone, non si limita a disciplinarne il procedimento ma ne stabilisce anche i presupposti.

Quanto alle società di persone, i presupposti sono elencati dall'art. 3 che stabilisce l'avvio del procedimento per la cancellazione in caso di irreperibilità presso la sede legale, di mancato compimento di atti di gestione per tre anni, di mancanza del codice fiscale, di mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine semestrale e, infine, per decorrenza del termine di durata in assenza di proroga tacita. In particolare il comma 3 dell'articolo 3 prevede che decorsi trenta giorni dal ricevimento dell'ultima delle lettere raccomandate, ovvero, in caso di irreperibilità presso ciascuno degli indirizzi di cui al comma 2, decorsi quarantacinque giorni dalla affissione della notizia nell'albo camerale senza che gli amministratori abbiano fornito riscontro ai sensi del comma 2, il conservatore trasmette gli atti al Presidente del Tribunale il quale può nominare il liquidatore o, qualora non lo ritenga necessario, può trasmettere direttamente gli atti al giudice del registro per l'adozione delle iniziative necessarie a disporre la cancellazione della società.

 

 

L'articolo 40 prevede, al comma 2, una ulteriore specifica causa di scioglimento senza liquidazione per le società di capitali, consistente nell’omesso deposito dei bilanci di esercizio per cinque anni consecutivi ovvero nel mancato compimento di atti di gestione, nei casi in cui l’inattività e l’omissione si verifichino in concorrenza con almeno una delle seguenti circostanze:

 

·      il permanere dell’iscrizione nel registro delle imprese del capitale sociale in lire;

·      l’omessa presentazione all’ufficio del registro delle imprese dell’apposita dichiarazione per integrare le risultanze del registro delle imprese a quelle del libro soci, limitatamente alle società a responsabilità limitata e alle società consortili a responsabilità limitata.

 

In questi casi il conservatore, dopo aver iscritto d'ufficio la propria determinazione di accertamento della causa di scioglimento senza liquidazione, nel registro delle imprese (comma 3), dà notizia della avvenuta iscrizione agli amministratori, risultanti dal registro delle imprese. Questi hanno sessanta giorni per presentare formale e motivata domanda di prosecuzione dell’attività e per presentare le domande di iscrizione degli atti non iscritti e depositati (comma 4). In caso di formale e motivata domanda di prosecuzione dell’attività il conservatore è tenuto ad iscrivere d’ufficio la propria determinazione di revoca del provvedimento di accertamento della causa di scioglimento senza liquidazione, nel registro delle imprese. In caso contrario, decorso il termine di sessanta giorni, il conservatore del registro delle imprese, verificata altresì l’eventuale cancellazione della partita IVA della società e la mancanza di beni iscritti in pubblici registri, provvede con propria determinazione alla cancellazione della società dal registro medesimo (comma 5).

 

Il comma 6 prevede che ogni determinazione del conservatore del registro delle imprese debba essere comunicata agli interessati entro otto giorni dalla sua adozione. L’interessato, a sua volta, può - entro quindici giorni dalla comunicazione - ricorrere contro la determinazione del conservatore al Giudice del registro delle imprese (comma 7).

 

Il comma 8 dell'articolo 40 impone l'iscrizione nel registro delle imprese con comunicazione unica d’ufficio, disciplinata dall’articolo 9 del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, (conv. L. n. 40 del 2007), al fine della trasmissione immediata all’Agenzia delle entrate, all’lNPS, all’lNAIL, ed agli altri enti collegati dei seguenti atti:

·      delle determinazioni del conservatore non opposte,

·      delle decisioni del giudice del registro adottate ai sensi dell’articolo 2189 del codice civile e

·      delle sentenze del tribunale in caso di ricorso ai sensi del successivo articolo 2192.

 

Il comma 9 modifica il comma 16 dell’articolo 25 (Start-up innovativa e incubatore certificato: finalità, definizione e pubblicità) del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179 (conv. L. n. 221 del 2012) prevedendo che nel caso di perdita dei requisiti prescritti dalla legge (commi 2 e 5 dell'articolo 25 del d.l. n. 179) la start-up innovativa o l’incubatore certificato sono cancellati dalla sezione speciale del registro delle imprese di cui al presente articolo, con provvedimento del Conservatore impugnabile ai sensi dell’articolo 2189, comma 3, del codice civile.

 

L'art. 2189 del codice civile disciplina le modalità di iscrizione nel registro delle imprese. Il comma 3 in particolare prevede che il rifiuto dell'iscrizione debba essere comunicato con raccomandata al richiedente, il quale ricorrere entro otto giorni al giudice del registro, che provvede con decreto.

 

Con il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179  (conv. l. n. 221 del 2012), il legislatore ha introdotto nell'ordinamento un quadro normativo di sostegno alla nascita ed alla crescita di nuove imprese innovative (c.d. start-up innovative) con l'esplicito obiettivo di favorire lo sviluppo tecnologico, la nuova imprenditorialità e l'occupazione, in particolare giovanile. Le misure consistono essenzialmente in semplificazioni alla costituzione di tali società, dunque in deroghe al diritto societario, nella riduzione degli oneri per l'avvio, in agevolazioni fiscali e di sostegno al lavoro (assunzioni di personale) e agevolazioni fiscali agli investimenti nel capitale di rischio delle startup innovative. In questo quadro, il legislatore, con il D.L. n. 179/2012, ha altresì introdotto un sostegno alle società di capitali - incubatori di startup innovative, così definendo le società che forniscono attività di sostegno all'avvio e allo sviluppo di imprese innovative mediante l'offerta di servizi di incubazione fisica (come strutture, anche immobiliari, adeguate ad accogliere startup innovative, quali spazi riservati per poter installare attrezzature di prova, test, verifica o ricerca).

In seguito, il legislatore è intervenuto, non solo implementando le misure a sostegno delle startup innovative introdotte nel 2012, ma anche introducendo una disciplina di sostegno alle PMI innovative "più mature", non iscritte al registro speciale delle startup innovative (D.L. n. 3/2015 e ss. mod. e int.). 

La definizione di start-up innovativa è contenuta nell'articolo 25, comma 2, del D.L. n. 179/2012. Ai sensi di tale norma, è startup innovativa - e dunque accede agli incentivi per essa previsti dal citato D.Lgs. - la società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione, e che sono in possesso dei seguenti requisiti:

  1. le spese in ricerca e sviluppo devono essere pari o superiori al 15% del valore maggiore tra fatturato (valore totale della produzione) e costo (il n. 1, lett. h), comma 2 dell'art. 25 descrive talune le spese da annoverarsi a quelle in ricerca e sviluppo in aggiunta ai criteri dettati dai principi contabili aziendali);
  2. la forza lavoro complessiva è costituita per almeno 1/3 da dottorandi, dottori di ricerca o ricercatori in italia e all'estero presso istituti pubblici o privati (in qualità di collaboratori o dipendenti), oppure per almeno 2/3 da soci o collaboratori a qualsiasi titolo in possesso di laurea magistrale;
  3. l'impresa è titolare, depositaria o licenziataria di un brevetto registrato (diritto di privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a topografia di prodotto a semiconduttori o nuova varietà vegetale) oppure titolare di programma per elaboratore originario registrato, purché tali privative siano riconducibili all'oggetto sociale e all'attività d'impresa.

 

L'articolo 25, comma 4 del D.L. n. 179/2012 consente poi ad una startup innovativa di ottenere, su richiesta, la qualifica di start-up innovativa a vocazione sociale se, in aggiunta al possesso dei requisiti sopra indicati, operi nei settori  individuati dalla normativa nazionale sull'impresa sociale (D.Lgs. n. 112/2017, articolo 2, comma 1, che ha abrogato il D.Lgs. n. 155/2006, articolo 2, comma 1, originariamente citato dal D.L. n. 179; cfr. anche dall Circolare MISE 3677/C del 20 gennaio 2015).

Come evidenzia il Ministero dello sviluppo economico, nella Scheda di sintesi sulla disciplina delle Startup innovative pubblicata a luglio 2019, le modalità di concessione della qualifica di start-up innovativa a vocazione sociale non comporta attualmente benefici di legge aggiuntivi rispetto a quelli previsti per le altre startup  innovative, salvo eventuali misure specifiche a livello regionale e locale (cfr. Circolare 3677/C emanata dal MISE il 20 gennaio 2015). 

 

L'articolo 25, comma 5 del D.L. n. 179/2012 definisce incubatore certificato di start-up innovative una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Societas Europaea, residente fiscalmente in Italia (ex art. 73 TUIR- D.P.R. n. 917/1986) che offre servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up innovative ed è in possesso dei seguenti requisiti:

  1. dispone di strutture, anche immobiliari, adeguate ad accogliere start-up innovative, quali spazi riservati per poter installare attrezzature di prova, test, verifica o ricerca;
  2. dispone di attrezzature adeguate all'attività delle startup innovative, quali sistemi di accesso in banda ultralarga alla rete internet, sale riunioni, macchinari per test, prove o prototipi;
  3. è amministrato o diretto da persone di riconosciuta competenza in materia di impresa e innovazione e ha a disposizione una struttura tecnica e di consulenza manageriale permanente;
  4. ha regolari rapporti di collaborazione con università, centri di ricerca, istituzioni pubbliche e partner finanziari che svolgono attività e progetti collegati a start-up innovative;
  5.  ha adeguata e comprovata esperienza nell'attività di sostegno a start-up innovative.

 

Il Decreto del MISE 22 dicembre 2016, adottato ai sensi dei commi 6 e 7 dell'articolo 25 del D.Lgs. n. 179/2012, ha dettagliato i requisiti  per l'identificazione degli incubatori certificati di start up innovative. Il riconoscimento del possesso dei  requisiti è autocertificato dall'incubatore di start-up innovative mediante dichiarazione sottoscritta dal rappresentante legale  al  momento  dell'iscrizione alla sezione speciale del registro delle imprese istituita sia per le start-up innovative che per gli incubatori certificati, ai sensi dell'articolo 25, commi 8-13 del D.L. n. 179/2012 .

 

 

Il comma 10 dell'articolo 40 interviene sul comma 7 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 3 del 2015 (conv.l. n. 33 del 2015) in materia di piccole e medie imprese innovative, prevedendo anche in questo caso, nell'ipotesi di perdita dei requisiti, la cancellazione dalla sezione speciale del registro delle imprese con provvedimento del Conservatore impugnabile ai sensi dell’articolo 2189, comma 3, del codice civile.

 

Il comma 11 aggiunge un ulteriore comma all’articolo 223-septiesdecies delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie.

 

L'articolo 223-septiesdecies delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie prevede che gli enti cooperativi che non hanno depositato i bilanci di esercizio da oltre cinque anni, qualora non risulti l'esistenza di valori patrimoniali immobiliari, sono sciolti senza nomina del liquidatore con provvedimento dell'autorità di vigilanza da iscriversi nel registro delle imprese. Entro il termine perentorio di trenta giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale i creditori o gli altri interessati possono presentare formale e motivata domanda all'autorità governativa, intesa ad ottenere la nomina del commissario liquidatore; in mancanza, a seguito di comunicazione dell'autorità di vigilanza, il conservatore del registro delle imprese territorialmente competente provvede alla cancellazione della società cooperativa o dell'ente mutualistico dal registro medesimo.

 

Il comma aggiunto dal decreto-legge in conversione stabilisce che ai fini dello scioglimento e cancellazione l'Unioncamere trasmette all’autorità di vigilanza, alla chiusura di ogni semestre solare, l’elenco degli enti cooperativi, anche in liquidazione ordinaria, che non hanno depositato i bilanci di esercizio da oltre cinque anni. Spetta all’autorità di vigilanza verificare l’assenza di valori patrimoniali immobiliari mediante apposita indagine massiva nei pubblici registri, in attuazione delle convenzioni che devono essere all’uopo stipulate con le competenti autorità detentrici dei registri.

 

L'Unioncamere - l'Unione italiana delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura - è l'ente pubblico che unisce e rappresenta istituzionalmente il sistema camerale italiano.

 

Infine il comma 12 aggiunge un ulteriore comma all'articolo 5 della legge n. 400 del 1975.

 

L' articolo 5 della legge n. 400 prevede che nelle vendite dei beni compresi nelle procedure di liquidazione coatta amministrativa degli enti cooperativi, avvenuto il versamento del prezzo da parte dell'acquirente e la stipula dell'atto di vendita, l'autorità di vigilanza - su richiesta del commissario liquidatore vistata dal comitato di sorveglianza, se nominato - debba ordinare con decreto che si cancellino le trascrizioni dei pignoramenti e le iscrizioni ipotecarie nonché le trascrizioni dei sequestri e delle domande giudiziali, esonerando i conservatori dei pubblici registri da ogni responsabilità.

 

La disposizione introdotta dal decreto-legge in conversione stabilisce che l'autorità di vigilanza debba trasmettere il decreto di cancellazione all'indirizzo PEC della Conservatoria competente per territorio che provvede, senza indugio, alla cancellazione dei gravami, delle trascrizioni e delle domande in quello indicate.


Articolo 41
(Semplificazione del Sistema di monitoraggio degli investimenti pubblici e riduzione degli oneri informativi a carico delle Amministrazioni pubbliche)

 

 

L'articolo 41 introduce alcuni nuovi adempimenti informativi relativi al Codice unico di progetto (CUP) in capo alle amministrazioni pubbliche che finanziano o attuano progetti di investimento. Dispone altresì che una quota pari a 900.000 euro annui del fondo per il finanziamento delle unità tecniche di supporto alla programmazione, alla valutazione e al monitoraggio degli investimenti pubblici, ivi compreso il coordinamento del CIPE, sia assegnata al finanziamento delle attività del Sistema di monitoraggio degli investimenti pubblici (MIP). Stabilisce infine che sistemi di gestione e controllo dei Piani di sviluppo e coesione siano improntati a criteri di proporzionalità e semplificazione.

 

Nel dettaglio, il comma 1 aggiunge cinque commi dopo il comma 2 dell'articolo 11 della legge n. 3 del 2003, con la finalità di rafforzare i sistemi di monitoraggio degli investimenti pubblici, garantendo, al contempo, secondo il testo della disposizione, la trasparenza dell’azione amministrativa, la piena attuazione dei princìpi di interoperabilità e unicità dell’invio dei dati e la semplificazione delle modalità di utilizzo del Sistema vigente di monitoraggio degli investimenti pubblici.

 

L'articolo 11 della legge n. 3 del 2003 (recante disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione) ha introdotto il «Codice unico di progetto», a decorrere dal 1º gennaio 2003, per le finalità relative al funzionamento del Sistema di monitoraggio degli investimenti pubblici (di cui all'articolo 1, commi 5 e 6, della legge n. 144 del 1999), e in particolare per la funzionalità della rete di monitoraggio degli investimenti pubblici.

Il Codice unico di progetto è attribuito a ogni nuovo progetto di investimento pubblico, nonché a ogni progetto in corso di attuazione alla predetta data. Le competenti amministrazioni o i soggetti aggiudicatori provvedono a richiederlo in via telematica secondo la procedura definita dal CIPE ai sensi del comma 2 del medesimo articolo 11.

Si riportano di seguito ulteriori informazioni sul CUP tratte dal sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica (DIPE).

 

Il Codice unico di progetto

 

Il Codice Unico di Progetto (CUP) è il codice che identifica un progetto d'investimento pubblico ed è lo strumento cardine per il funzionamento del Sistema di Monitoraggio degli Investimenti Pubblici (MIP). La sua richiesta è obbligatoria per tutta la "spesa per lo sviluppo", inclusi i progetti realizzati utilizzando risorse provenienti da bilanci di enti pubblici o di società partecipate, direttamente o indirettamente, da capitale pubblico e quelli realizzati con operazioni di finanza di progetto, "pura" o "assistita", o comunque che coinvolgono il patrimonio pubblico, anche se realizzati con risorse private. I progetti rientranti nella spesa per lo sviluppo possono consistere in:

-          lavori pubblici (come individuati dalla legge n. 109 del 1994 e successive modificazioni e integrazioni),

-          incentivi a favore di attività produttive,

-          contributi a favore di soggetti privati, diversi da attività produttive,

-          acquisto o realizzazione di servizi (ad esempio corsi di formazione e progetti di ricerca),

-          acquisto di beni finalizzato allo sviluppo,

-          sottoscrizione iniziale o aumento di capitale sociale (compresi spin off), fondi di rischio o di garanzia.

In particolare, la richiesta del CUP è obbligatoria per gli interventi rientranti nel Quadro Strategico Nazionale (QSN), nella programmazione dei Fondi Europei, quali ad esempio Fondi strutturali e di investimento europei (ESIF) 2014-2020 e nel Fondo di Sviluppo e Coesione.

Il CUP è anche uno dei principali strumenti adottati per garantire la trasparenza e la tracciabilità dei flussi finanziari, per prevenire eventuali infiltrazioni criminali e, in particolare, per il Monitoraggio Finanziario delle Grandi Opere, MGO.

 

Sono di seguito illustrati i commi aggiunti, dopo il comma 2, all'articolo 11 della legge n. 3 del 2003:

Il comma 2-bis dispone che gli atti amministrativi anche di natura regolamentare adottati dalle Amministrazioni pubbliche (di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001), che dispongono il finanziamento pubblico o autorizzano l’esecuzione di progetti di investimento pubblico, sono nulli in assenza dei corrispondenti CUP (di cui al comma 1 del medesimo articolo 11) che costituiscono elemento essenziale dell’atto stesso.

Il comma 2-ter impone alle Amministrazioni che emanano atti amministrativi che dispongono il finanziamento pubblico o autorizzano l’esecuzione di progetti di investimento pubblico, di associare, negli atti stessi, il CUP dei progetti autorizzati al programma di spesa, indicando altresì:

-     i finanziamenti concessi a valere su dette misure;

-     la data di efficacia di detti finanziamenti;

-     il valore complessivo dei singoli investimenti.

Il comma attribuisce inoltre al Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica (DIPE), il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato e il Dipartimento per le Politiche di Coesione il compito di concordare le modalità per fornire il necessario supporto tecnico per lo svolgimento dell’attività di cui sopra al fine di garantire la corretta programmazione e il monitoraggio della spesa di ciascun programma e dei relativi progetti finanziati.

Il comma 2-quater stabilisce che i soggetti titolari di progetti d’investimento pubblico debbano dare notizia, con periodicità annuale, in apposita sezione dei propri siti web istituzionali, dell’elenco dei progetti finanziati, indicandone:

-     il CUP;

-     l’importo totale del finanziamento;

-     le fonti finanziarie;

-     la data di avvio del progetto;

-     lo stato di attuazione finanziario e procedurale.

Il comma 2-quinquies stabilisce che ogni anno, entro il 30 giugno, l’Autorità politica delegata agli investimenti pubblici ove nominata, con il supporto del DIPE, presenta al Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) un’informativa sullo stato di attuazione della programmazione degli investimenti pubblici, in base agli esiti dell’applicazione del presente articolo. Entro il medesimo termine, il Ministro per il SUD e la Coesione Territoriale, con il supporto del Dipartimento per le Politiche di Coesione, presenta al CIPE un’informativa sullo stato di attuazione della programmazione degli investimenti pubblici finanziati con le risorse nazionali e comunitarie per lo sviluppo e la coesione.  A tal fine il Dipartimento della Ragioneria dello Stato mette a disposizione del DIPE e del Dipartimento per le Politiche di Coesione, in cooperazione applicativa, i corrispondenti dati rilevati dalle Amministrazioni pubbliche nella banca dati delle Amministrazioni pubbliche (di cui alla legge di contabilità e finanza pubblica - legge n. 196 del 2009), con le riconciliazioni, ove presenti, con i dati di pagamento del Sistema SIOPE PLUS, di cui all’articolo 14 della legge di contabilità e finanza pubblica, e dal sistema della fatturazione elettronica, di cui alla legge n. 244 del 2007.

 

Il Sistema SIOPE PLUS

 

L’articolo 1, comma 533, della legge di bilancio 2017 (legge n. 232 del 2016), ha previsto l’evoluzione della rilevazione SIOPE in SIOPE+, al fine di migliorare il monitoraggio dei tempi di pagamento dei debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche attraverso l’integrazione delle informazioni rilevate da SIOPE con quelle delle fatture passive registrate dalla Piattaforma elettronica (PCC) e, in prospettiva, di seguire l’intero ciclo delle entrate e delle spese.

SIOPE+ chiede a tutte le amministrazioni pubbliche di:

- ordinare incassi e pagamenti al proprio tesoriere o cassiere utilizzando esclusivamente ordinativi informatici emessi secondo lo standard definito dall’AgID;

- trasmettere gli ordinativi informatici al tesoriere/cassiere solo ed esclusivamente per il tramite dell’infrastruttura SIOPE, gestita dalla Banca d’Italia.

Come SIOPE, anche SIOPE+ consente di acquisire informazioni dagli enti “in automatico”, liberando gli enti dall’obbligo di provvedere alla trasmissione alla Piattaforma elettronica PCC di dati riguardanti il pagamento delle fatture, che costituisce la principale criticità dell’attuale sistema di monitoraggio dei debiti commerciali e dei relativi tempi di pagamento, che richiede la comunicazione, da parte di ciascuna amministrazione pubblica.

Oltre ad acquisire informazioni preziose per la finanza pubblica, SIOPE+ ha un impatto positivo sull’efficienza del sistema dei pagamenti pubblici, in quanto la completa dematerializzazione degli incassi e dei pagamenti migliora la qualità dei servizi di tesoreria, favorisce l’eliminazione di eccessive personalizzazioni nel rapporto ente – tesoriere e renderà meno onerosa per le banche l’erogazione di tali servizi, e più contendibile il relativo mercato.

Per ulteriori informazioni sul Sistema SIOPE PLUS si rinvia al sito della Ragioneria generale dello Stato.

 

Fatturazione elettronica verso la pubblica amministrazione (Sistema di interscambio)

 

La Finanziaria 2008 (legge n. 244 del 2007) ha stabilito che la trasmissione delle fatture elettroniche destinate all’amministrazione dello stato debba avvenire attraverso il Sistema di Interscambio (SdI).

Il Decreto Ministeriale del 7 marzo 2008 ha individuato l'Agenzia delle Entrate quale gestore del Sistema di Interscambio e la Sogei quale apposita struttura dedicata ai servizi strumentali ed alla conduzione tecnica.

Il Decreto Ministeriale 3 aprile 2013, numero 55, stabilisce le regole in materia di emissione, trasmissione e ricevimento della fattura elettronica e definisce le modalità di funzionamento del Sistema di Interscambio.

 

 

Il comma 2-sexies prevede che all’attuazione del presente articolo le Amministrazioni provvedono nei limiti delle risorse umane finanziarie e strumentali disponibili allo scopo a legislazione vigente (clausola di neutralità finanziaria).

 

Secondo la relazione illustrativa, le disposizioni sopra illustrate sono finalizzate anche a consentire una visione completa sullo stato di attuazione dei progetti d’investimento pubblico e a superare l’attuale segmentazione delle banche dati riguardanti il monitoraggio degli investimenti pubblici, in stretta osservanza del principio di unicità dell’invio dei dati sancito dall’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 50 del 2016. Si intende pertanto rafforzare il “sistema di monitoraggio degli investimenti pubblici” (c.d. MIP), previsto dall’articolo 1, comma 5, della legge n. 144 del 1999, quale collettore dei flussi informativi rivenienti dalle principali banche dati di monitoraggio nazionale degli investimenti pubblici, con identificazione puntuale tramite codice CUP degli interventi di investimento pubblico compresi nei programmi di spesa adottati dal governo e dalle amministrazioni.

 

Le disposizioni di cui sopra, recate dai commi aggiunti all'articolo 11 della legge n. 3 del 2003, sembrano comportare un rilevante aggravio di oneri informativi a carico delle amministrazioni pubbliche, in apparente contrasto con le finalità dell'articolo in esame. Si valuti un approfondimento.

 

Il comma 2 dell'articolo in esame dispone che una quota pari a 900.000 euro annui, a decorrere dall’anno 2021, del fondo istituito dal comma 7 dell’articolo 1 della legge n. 144 del 1999 per il finanziamento delle unità tecniche di supporto alla programmazione, alla valutazione e al monitoraggio degli investimenti pubblici, ivi compreso il coordinamento del CIPE, sia assegnata al finanziamento delle attività del Sistema di monitoraggio degli investimenti pubblici (MIP) di cui al comma 5 del medesimo articolo 1.

 

Secondo la relazione tecnica, la serie storica dei provvedimenti di riparto del suddetto fondo evidenzia che le risorse assegnate al DIPE non sono mai state inferiori all’importo richiamato nel testo della norma (900.000 euro annui).

 

Il comma 3 dell'articolo in esame dispone l'aggiunta di un comma all’articolo 44 del decreto-legge n. 34 del 2019.

 

L'articolo 44 (Semplificazione ed efficientamento dei processi di programmazione, vigilanza ed attuazione degli interventi finanziati dal Fondo per lo sviluppo e la coesione), comma 1, del decreto-legge n. 34 del 2019 (c.d. "decreto crescita") ha introdotto il "Piano di sviluppo e coesione", cioè un unico Piano operativo per ogni amministrazione in sostituzione della pluralità degli attuali documenti programmatori variamente denominati sottoposto ad opera dell'Agenzia per la coesione territoriale. Ciò al fine di migliorare il coordinamento unitario e la qualità degli investimenti finanziati con le risorse nazionali destinate alle politiche di coesione dei cicli di programmazione 2000/2006, 2007/2013 e 2014/2020, nonché di accelerarne la spesa, per ciascuna Amministrazione centrale, Regione o Città metropolitana titolare di risorse a valere sul Fondo per lo sviluppo e coesione.

 

In particolare, dopo il comma 2, è aggiunto un comma 2-bis in base al quale i sistemi di gestione e controllo dei Piani di sviluppo e coesione sono improntati, sulla base di linee guida definite dall’Agenzia per la coesione territoriale, a criteri di proporzionalità e semplificazione, fermi restando i controlli di regolarità amministrativo contabile degli atti di spesa previsti dalla legislazione vigente.


Articolo 42
(Semplificazioni dell’attività del Comitato interministeriale per la programmazione economica)

 

 

L'articolo 42 reca norme in materia di attività del Comitato interministeriale per la programmazione economica. Il comma 1 novella l’articolo 1, comma 15, del decreto-legge c.d. sblocca cantieri, prevedendo l'estensione anche agli anni 2021 e 2022 della applicazione della disposizione  ivi prevista (originariamente applicabile per gli anni 2019-2020) che ha disciplinato l’approvazione delle varianti ai progetti definitivi approvati dal CIPE relativi alle infrastrutture strategiche, prevedendo che le varianti da apportare ai progetti definitivi in questione siano approvate esclusivamente dal soggetto aggiudicatore, nel caso non superino del 50% il valore del progetto approvato, e dal CIPE, in caso contrario (lettera a).  Si aggiunge poi la previsione che l'approvazione delle varianti sia anche ai fini della localizzazione (lettera b); in caso di approvazione da parte del soggetto aggiudicatore, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti rende una informativa al CIPE (lettera c). Il comma 2 interviene sull’articolo 202 del Codice dei contratti pubblici in materia di finanziamento e riprogrammazione delle risorse per le infrastrutture prioritarie; si prevede che per i finanziamenti approvati dal CIPE senza contestuale approvazione dei progetti, con particolare riferimento a quelli approvati in materia di interventi nel settore dei sistemi di trasporto rapido di massa, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti autorizza l’utilizzo di eventuali ribassi di gara o risorse liberatesi in corso d’opera, previa richiesta e istruttoria presentate dal soggetto attuatore e  contestuale individuazione degli interventi da finanziare nell'ambito della stessa opera. Il comma 3 novella l’articolo 216 del Codice dei contratti pubblici, aggiungendovi una disposizione in base alla quale sono approvate direttamente dal soggetto aggiudicatore le proroghe della dichiarazione di pubblica utilità e del vincolo preordinato all’esproprio in scadenza su progetti già approvati dal CIPE in base al previgente codice. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti rende una informativa al CIPE in merito alle proroghe disposte entro il 31 dicembre di ciascun anno. Il comma 4 interviene sulla normativa contabile (che stabiliva la trasmissione in via telematica alle Camere da parte dei CIPE delle proprie delibere entro dieci giorni dalla registrazione o dalla adozione), prevedendo che il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei ministri trasmetta alle Camere, entro il 30 giugno di ciascun anno, una relazione concernente l’attività e le deliberazioni del CIPE adottate nel corso dell’anno precedente. A decorrere dal 2022 si prevede che la relazione contenga anche le attività svolte in materia di sviluppo sostenibile.

 

Il comma 1 reca una novella all’articolo 1, comma 15, del decreto-legge n. 32 del 2019 (c.d. sblocca cantieri), prevedendo che:

 

Ø  Sia estesa anche agli anni 2021 e 2022 la disposizione transitoria (originariamente applicabile per gli anni 2019-2020) introdotta con il D.L. sblocca cantieri che ha disciplinato l’approvazione delle varianti ai progetti definitivi, approvati dal CIPE, relativi alle infrastrutture strategiche già inserite negli strumenti di programmazione approvati e per i quali la procedura di valutazione di impatto ambientale è stata avviata prima dell’entrata in vigore del Codice. Si ricorda che tale disposizione prevede che le varianti da apportare ai progetti definitivi in questione, sia in sede di redazione del progetto esecutivo sia in fase di realizzazione delle opere, sono approvate esclusivamente dal soggetto aggiudicatore, qualora non superino del 50% il valore del progetto approvato, e dal CIPE, in caso contrario (lettera a);

Ø  È  aggiunta la previsione che l'approvazione delle varianti sia anche ai fini della localizzazione e, ove occorrente, previa convocazione da parte del soggetto aggiudicatore della Conferenza di servizi (lettera b);

Ø  È aggiunta la previsione che, in caso di approvazione da parte del soggetto aggiudicatore, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti rende una informativa al CIPE (lettera c).

Si valuti si specificare, con riferimento alla lettera c), che l'approvazione riguardi le varianti previste dal primo periodo del comma.

 

Più nel dettaglio, si rammenta che il comma 15 novellato ha previsto, nel testo sino ad ora vigente,  che per gli anni 2019 e 2020 per gli interventi di cui all'articolo 216, comma 1-bis, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, sono approvate esclusivamente dal soggetto aggiudicatore le varianti da apportare al progetto definitivo approvato dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), sia in sede di redazione del progetto esecutivo sia in fase di realizzazione delle opere, qualora non superino del 50 per cento il valore del progetto approvato, mentre in caso contrario sono approvate dal CIPE.

In base al disposto del comma 1-bis dell’art. 216 del Codice, i progetti relativi agli interventi ricompresi tra le infrastrutture strategiche, già inseriti negli strumenti di programmazione approvati e per i quali la procedura di VIA sia già stata avviata alla data di entrata in vigore del Codice (vale a dire il 19 aprile 2016), sono approvati secondo la disciplina previgente.

Si rammenta altresì disposizioni erano state recate in materia con un comma 1-ter dell’art. 216 del D.Lgs. 50/2016, introdotto dalla lettera mm), numero 1), del testo iniziale del decreto-legge sblocca cantieri, poi modificato in sede di conversione. Inoltre, disposizioni erano in tale ambito recate dall’art. 169, comma 3, del “vecchio” Codice, in base al quale si prevedeva, per l’approvazione delle varianti ai progetti di infrastrutture strategiche, le indicate  varianti da apportare al progetto definitivo approvato dal CIPE, sia in sede di redazione del progetto esecutivo sia in fase di realizzazione delle opere, “sono approvate esclusivamente dal soggetto aggiudicatore ove non assumano rilievo sotto l'aspetto localizzativo, né comportino altre sostanziali modificazioni rispetto al progetto approvato e non richiedano l’attribuzione di nuovi finanziamenti a carico dei fondi ovvero l'utilizzo di una quota superiore al cinquanta per cento dei ribassi d'asta conseguiti; in caso contrario sono approvate dal CIPE”.

Si ricorda infine che, in relazione alle opere strategiche, il Sistema informativo legge opere strategiche (SILOS) reca dati e informazioni riguardanti il complesso delle infrastrutture e delle opere pubbliche inserite nel corso degli anni negli strumenti di programmazione, già inseriti nella programmazione delle infrastrutture strategiche nel periodo 2001-2014 (a partire dalla cosiddetta “legge obiettivo”, legge n. 443 del 2001), nonché le opere prioritarie individuate dagli allegati ai documenti di economia e finanza (DEF) del 2015, 2017 e 2019. Si ricorda che il Codice dei contratti pubblici (D.lgs. 50/2016) ha abrogato la “legge obiettivo” e ha definito una nuova disciplina per la programmazione e il finanziamento delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari per lo sviluppo.

 

Il comma 2 della disposizione in esame interviene sull’articolo 202 del Codice dei contratti pubblici in materia di finanziamento e riprogrammazione delle risorse per le infrastrutture prioritarie.

Con un nuovo comma 8-bis, si prevede che per i finanziamenti approvati dal CIPE senza contestuale approvazione dei progetti, con particolare riferimento a quelli approvati in materia di interventi nel settore dei sistemi di trasporto rapido di massa ai sensi dell’articolo 5 della legge 26 febbraio 1992, n. 211, è autorizzato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti l’utilizzo di eventuali ribassi di gara o risorse liberatesi in corso d’opera; si prevedono a tal fine:

-         la previa richiesta e istruttoria presentate dal soggetto attuatore

-         la contestuale individuazione degli interventi da finanziare nell'ambito della medesima opera in cui i ribassi e le risorse si sono determinate.

 Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti rende informativa al CIPE in merito a tali autorizzazioni.

La L. 26/02/1992, n. 211 ha recato Interventi nel settore dei sistemi di trasporto rapido di massa. In particolare l'articolo 5 prevede che i programmi di interventi e gli accordi di programma indicati sono trasmessi, previo parere della commissione di cui all'articolo 6, al Ministro per i problemi delle aree urbane il quale, di concerto con il Ministro dei trasporti, li sottopone al Comitato interministeriale per la programmazione economica nel trasporto (CIPET) per l'approvazione nonché per l'individuazione delle eventuali fonti di finanziamento a carico dello Stato e per la determinazione delle quote delle disponibilità di cui all'articolo 9 da destinare annualmente ai singoli interventi. L'articolo 1 della legge in rilievo fa riferimento al trasporto pubblico nelle aree urbane e per favorire l'installazione di sistemi di trasporto rapido di massa a guida vincolata in sede propria e di tramvie, a contenuto tecnologico innovativo atti a migliorare in tali aree la mobilità e le condizioni ambientali.

L'articolo 5 qui richiamato stabilisce che, entro 270 giorni dalla data di approvazione dei programmi di interventi, i soggetti interessati trasmettono al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la progettazione definitiva, indicando contestualmente se intendono procedere secondo quanto previsto dalla normativa ivi indicata.

Contestualmente alla trasmissione della progettazione definitiva dovrà essere presentato un programma temporale delle scadenze relative agli adempimenti successivi del soggetto beneficiario, fino alla consegna dei lavori, per consentire il monitoraggio da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sull'esito degli investimenti finanziati. Il soggetto beneficiario è tenuto a comunicare tempestivamente e a documentare le cause di scostamento rispetto al programma; il conseguimento degli obiettivi di programma costituirà elemento di valutazione nella destinazione di ulteriori contributi per nuovi progetti (co. 2-bis dell'art. 5 cit.).

Nel dettaglio, l'art. 202 del codice dei contratti pubblici reca il finanziamento e riprogrammazione delle risorse per le infrastrutture prioritarie. Il co. 1 prevede, al fine di migliorare la capacità di programmazione e riprogrammazione della spesa per la realizzazione delle infrastrutture di preminente interesse nazionale e in coerenza con l'articolo 10, commi 2 e 4, del decreto legislativo 29 dicembre 2011, n. 229, l'istituzione nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del Fondo per la progettazione di fattibilità delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese, nonché per la project review delle infrastrutture già finanziate; e del Fondo da ripartire per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese.

Tra i fondi possono essere disposte variazioni compensative con decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

Si ricorda che con decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sono definite le modalità di ammissione al finanziamento della progettazione di fattibilità, l'assegnazione delle risorse del Fondo per la progettazione e le modalità di revoca.Inoltre, in base alla relativa normativa di settore, al fine della riprogrammazione della allocazione delle risorse, con una o più delibere del CIPE, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sulla base dei criteri individuati nel Documento pluriennale di pianificazione, e per effetto delle attività di project review, sono individuati i finanziamenti da revocare i cui stanziamenti sono iscritti nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti destinati alle opere di preminente interesse nazionale di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443, ivi incluso il "Fondo da ripartire per la progettazione e la realizzazione delle opere strategiche di preminente interesse nazionale nonché per opere di captazione ed adduzione di risorse idriche".

In attuazione della disposizione sopra citata, il D.M. 10 maggio 2019, n. 171 ha recato la Ripartizione Fondo per la progettazione di fattibilità delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese, nonché per la project review delle infrastrutture già finanziate. Tale decreto del MIT  reca norme sulla destinazione e l'assegnazione delle risorse, nonché sulle modalità di ammissione al finanziamento, di erogazione e monitoraggio delle risorse nonché di revoca delle assegnazioni delle risorse, recando all'Allegato 1 - la Ripartizione delle risorse per gli anni dal 2018 al 2020.

 

La RT afferma che la norma tende ad introdurre semplificazione e accelerazione della spesa, nei casi in cui durante la fase del progetto esecutivo o di realizzazione dell’opera emerga la necessità di utilizzare nell'ambito della medesima opera economia di gara su risorse già assegnate ed autorizzate dal CIPE, senza preventiva approvazione del progetto da parte del Comitato, ritendo bastante l’autorizzazione che può essere data dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che già ha monitorato ed approvato il progetto.

 

Sul sito del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica, è consultabile la banca dati delle delibere adottate dal Cipe.

E' stata emanata il 13 giugno 2019 la Direttiva recante “Linee di indirizzo sulle modalità di programmazione e l’organizzazione dei lavori del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) per il rilancio degli investimenti pubblici (anno 2019)”, consultabile al seguente link.

 

 

Il comma 3 novella inoltre l’articolo 216 del Codice dei contratti pubblici in materia di disposizioni transitorie e di coordinamento.

Con un nuovo comma 27-novies, aggiunto in tale disposizione, si prevede che le proroghe della dichiarazione di pubblica utilità e del vincolo preordinato all’esproprio - in scadenza su progetti già approvati dal CIPE in base al previgente codice (di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163) sono approvate direttamente dal soggetto aggiudicatore.

 Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti rende una informativa al CIPE in merito alle proroghe disposte nel corso dell’anno e ai termini in scadenza nell’anno successivo, entro il 31 dicembre di ciascun anno.

 

La RT al decreto-legge rileva come la mera proroga della dichiarazione di pubblica utilità su progetti già approvati risulti una attività priva di carattere programmatorio bensì una 'sostanziale presa d’atto che ritardi realizzativi, spesso inerenti a ricorsi e contenzioso o a problematiche tecniche, hanno impedito di completare le operazioni di esproprio nei tempi previsti e richiedono più tempo'. Afferma quindi che l’approvazione della proroga da parte del soggetto aggiudicatore permette "di accelerare la realizzazione delle opere senza sostanziale perdita di garanzie per gli espropriandi".

 

Si ricorda che l’articolo 216 del Codice dei contratti pubblici in materia di disposizioni transitorie e di coordinamento ha  previsto, al co. 1-bis, che per gli interventi ricompresi tra le infrastrutture strategiche di cui alla disciplina prevista dall'articolo 163 e seguenti del previgente decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 - già inseriti negli strumenti di programmazione approvati e per i quali la procedura di valutazione di impatto ambientale sia già stata avviata alla data di entrata in vigore del nuovo codice (vale a dire il 19 aprile 2016) - i relativi progetti sono approvati secondo la disciplina previgente. L'articolo citato detta inoltre una serie di disposizioni in materia di regolamentazione transitoria.

 

Il comma 4 interviene sulla normativa contabile. Con una novella all’articolo 6 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, si riscrive totalmente il comma 4, che stabiliva la trasmissione in via telematica alle Camere da parte dei CIPE delle proprie delibere entro dieci giorni dalla data della registrazione da parte della Corte dei conti o dalla adozione. La nuova disposizione prevede invece che il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei ministri trasmette alle Camere, entro il 30 giugno di ciascun anno, una relazione concernente l’attività e le deliberazioni del CIPE adottate nel corso dell’anno precedente.

Si ricorda che la L. n. 196 del 2009 reca la Legge di contabilità e finanza pubblica. L'art. 6 disciplina l'accesso alle banche dati e pubblicità di elementi informativi. In particolare, il co. 4 previgente stabiliva che il Comitato interministeriale per la programmazione economica trasmettesse in via telematica alle Camere le proprie delibere entro dieci giorni dalla data della registrazione da parte della Corte dei conti ovvero, ove questa non sia prevista, entro dieci giorni dalla data della loro adozione.

La RT afferma che la disposizione 'trasforma un adempimento burocratico (mera trasmissione delle deliberazioni) in una “relazione informativa” più compiuta tra Governo e Parlamento in materia di programmazione economica, dalla assegnazione di fondi FSC, agli investimenti pubblici e a tutte le altre procedure di approvazioni o emissione di pareri da parte del CIPE', inserendosi nel quadro del processo di semplificazione delle procedure connesse al rilancio degli investimenti pubblici e permettendo di 'migliorare la qualità dell’informazioni trasmesse al Parlamento tramite relazioni, eliminando la semplice trasmissione di delibere CIPE che sono comunque disponibili essendo pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale e sul sito internet del CIPE'.

A decorrere dal 2022 si prevede che la relazione contenga anche le attività svolte in materia di sviluppo sostenibile.

Si ricorda al riguardo che l'articolo 1-bis del D.L. n. 111 del 2019 (c.d. D.L. clima), come convertito in legge inserito (dalla legge di conversione 12 dicembre 2019, n. 141), ha recato una disposizione in materia di CIPE e di coordinamento delle politiche pubbliche per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, ridenominando il Cipe in Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS) a decorrere dal 1° gennaio 2021.

Tale disposizione del D.L. clima prevede infatti, al fine di assicurare il coordinamento delle politiche pubbliche orientate al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile adottati dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 25 settembre del 2015, che il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) assuma la denominazione di Comitato interministeriale per la programmazione economica e per lo sviluppo sostenibile (CIPESS). A decorrere dalla medesima data, nella legge 27 febbraio 1967, n. 48, recante "Attribuzioni e ordinamento del Ministero del bilancio e della programmazione economica e istituzione del Comitato dei Ministri per la programmazione economica"e in ogni altra disposizione vigente, qualunque richiamo fatto al Comitato interministeriale per la programmazione economica deve intendersi riferito al Comitato interministeriale per la programmazione economica e per lo sviluppo sostenibile (CIPESS).

Il 25 settembre 2015 con la risoluzione A/70/L.1 i 193 Paesi membri delle Nazioni Unite hanno adottato all'unanimità (con la risoluzione 70/1) l'Agenda globale per lo sviluppo sostenibile intitolata "Trasformare il nostro mondo: l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile" e gli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs), impegnandosi a raggiungerli entro il 2030. L'Agenda è un programma d'azione che ingloba 17 Obiettivi per lo sviluppo sostenibile articolati in 169 ‘target' o traguardi che, in vigore dal 1° gennaio 2016, ha sostituito i Millennium Development Goals fissati nel 2000. Gli obiettivi, interconnessi e indivisibili, bilanciano le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: crescita economica, inclusione sociale, tutela dell'ambiente, estendendo l'Agenda 2030 dal solo pilastro sociale degli Obiettivi del Millennio agli altri due pilastri, economico ed ambientale.

Più nel dettaglio, il Titolo II della citata legge sul Cipe (artt. 16-18) detta norme sul Comitato interministeriale per la programmazione economica, disciplinando la costituzione e le attribuzioni del CIPE, l'approvazione da parte del CIPE del programma annuale di attività dell'Istituto centrale di statistica in materia di programmazione economica, la soppressione del Comitato interministeriale per la ricostruzione e delega per il riordinamento degli altri Comitati interministeriali con competenza in materia economica e finanziaria.

Si rammenta che il CIPE è presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri ed è costituito in via permanente dal Ministro dell'economia e delle finanze, che ne è vice presidente, e dai Ministri degli affari esteri, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti, del lavoro e delle politiche sociali, delle politiche agricole alimentari e forestali, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dei beni e delle attività culturali e del turismo e dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nonché dai Ministri delegati per gli affari europei, per la coesione territoriale, e per gli affari regionali in qualità di presidente della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, e dal Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, o un suo delegato, in rappresentanza della Conferenza stessa.

Si ricorda altresì che con Delibera 28 novembre 2018 n. 82 è stato adottato il Regolamento interno del Comitato interministeriale per la programmazione economica (pubblicata in GU Serie Generale n.79 del 03-04-2019).

 

 

 

 


Articolo 43
(Semplificazioni in agricoltura)

 

 

L’articolo 43 contiene una serie di disposizioni volte a semplificare taluni procedimenti amministrativi in ambito agricolo.

Ai commi 1 e 2, prevede che il Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN) sia aggiornato in modo da poter identificare le parcelle agricole e i fascicoli aziendali attraverso applicazioni grafiche e geo-spaziali. Le modalità di attuazione saranno definite da successivi decreti attuativi.

Al comma 3 apporta talune modifiche alla normativa in materia di controlli coordinati nei confronti delle imprese agricole, includendo nel sistema anche le imprese alimentari e mangimistiche e modificando l’ambito oggettivo dell’istituto della diffida ad adempiere.

Al comma 4 interviene sul testo unico del vino, apportando talune modifiche in ordine alle comunicazioni da rendere e alle ipotesi di declassamento e imbottigliamento del vino a denominazione garantita.

Al comma 5 interviene in materia di sanzioni in caso di sospensione o esclusione dal metodo di produzione biologica, inserendo una deroga all’applicabilità delle stesse.

Al comma 6 interviene in ordine al numero di laboratori di cui può avvalersi l’ICQRF per l’espletamento delle analisi a campione sui prodotti.

Al comma 7 viene introdotta la comunicazione individuale, al posto dell’attuale espletata attraverso pubblicazione sul sito dell’INPS, in caso di riconoscimento o di disconoscimento di giornate lavorative intervenuti dopo la compilazione e la pubblicazione dell'elenco nominativo annuale.

 

Più nel dettaglio. l’articolo in esame adotta talune misure necessarie a semplificare l’attività amministrativa relative all’erogazione delle risorse pubbliche in agricoltura.

Esse interessano il Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN) ed hanno riguardo a:

 

a)       l’adozione di un nuovo sistema unico di identificazione delle parcelle agricole basato sullo sviluppo di sistemi digitali che supportino l’utilizzo di applicazioni grafiche e geo-spaziali.

 

La disposizione richiama quanto disposto dall’art. 5 del regolamento delegato n.640/2014 che ha chiesto agli Stati membri di delimitare la superfice agricola sulla base della parcella di riferimento intesa come un’unità fondiaria misurabile, che consenta la localizzazione univoca e che, in linea di principio, sia stabile nel tempo. Le domande di aiuto dovranno essere corredate da informazioni specifiche che consentono di localizzare ogni particella, al fine di stabilire la superficie massima ammissibile per i regimi di sostegno e per le misure connesse alla superficie, determinando l'ubicazione e le dimensioni di alcune aree specifiche, quali quelle di interesse ecologico, di montagna o di quelle soggette a vincoli naturali o specifici.

Il sistema deve essere articolato in modo che a livello nazionale sia possibile effettuare la misurazione standardizzata e l'identificazione unica delle parcelle agricole in tutto lo Stato membro interessato.

 

b)      i fascicoli aziendali, costituenti nel loro insieme l’anagrafe delle aziende agricole, che devono essere confermati o aggiornati annualmente in modalità grafica e geo-spaziale.

 

Il D.P.R n.503 del 1999 ha istituito la Carta dell’agricoltore e del pescatore e l’anagrafe delle aziende agricole. Quest’ultima, ai sensi dell’articolo 1, opera all’interno del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN), integrato con i sistemi informativi regionali, e raccoglie le notizie relative ai soggetti pubblici e privati identificati dal codice fiscale che esercitano l’attività agricola, agroalimentare, forestale e della pesca e che intrattengano a qualsiasi titolo rapporti con la pubblica amministrazione centrale o locale. Il codice fiscale costituisce il codice unico di identificazione delle aziende agricole (CUAA). Il medesimo decreto ha istituito all’articolo 9, nell'ambito dell'anagrafe, il fascicolo aziendale, modello cartaceo ed elettronico riepilogativo dei dati aziendali, finalizzato all'aggiornamento, per ciascuna azienda, delle informazioni richieste.

 

c)       la superficie aziendale, che deve essere dichiarata attraverso l’utilizzo di strumenti grafici e geospaziali ai fini dell’aggiornamento dei fascicoli aziendali, è verificata sulla base del sistema di identificazione della parcella agricola; le particelle catastali individuate dai titoli di conduzione, contenuti nel fascicolo aziendale, possono essere utilizzate ai fini della localizzazione geografica delle superfici.

 

Il comma 2 dispone che il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali adotti i provvedimenti attuativi necessari.

 

Il comma 3 apporta talune modifiche al sistema dei controlli sulle imprese agricole disciplinato dall’articolo 1 del DL n.91/2014:

aggiungendo il riferimento alle imprese alimentari e mangimistiche tra quelle incluse nel regime già previsto per le imprese agricole, consistente nell’istituzione di controlli coordinati attuati attraverso il Registro unico dei controlli (lett. a e b);

modificando l’istituto della diffida ad adempiere (lett. c) in modo da:

renderlo applicabile anche nel caso in cui l’accertamento della violazione avvenga al di fuori della prima volta;

sostituire il termine entro il quale si chiede l’adempimento, spostandolo da venti a non oltre novanta giorni;

specificare che l’eliminazione delle conseguenze dannose della violazione, condizione in base in base alla quale può operare l’istituto della diffida, può avvenire anche tramite comunicazione al consumatore;

aggiungere, infine, che la diffida è applicabile anche ai prodotti già posti in commercio, a condizione che per essi vengano sanate le violazioni contestate.

 

Si ricorda, che allo stato, l’articolo 1 del decreto-legge n.91/2014 prevede che i controlli ispettivi nei confronti delle imprese agricole siano effettuati dagli organi di vigilanza in modo coordinato, tenuto conto del piano nazionale integrato e delle Linee guida sulla semplificazione dei controlli alle imprese. evitando sovrapposizioni e duplicazioni e garantendo l'accesso all'informazione sui controlli. I controlli sono predisposti anche utilizzando i dati contenuti nel Registro unico. Non possono essere oggetto di contestazioni in successive ispezioni gli adempimenti relativi ad annualità per i quali sono già stati effettuati i controlli sia nel caso di attestata regolarità sia nel caso di regolarizzazione conseguente al controllo ispettivo eseguito. Sono fatti salvi i casi in cui l’irregolarità deriva da comportamenti omissivi o irregolari dell'imprenditore, ovvero nel caso emergano atti, fatti o elementi non conosciuti al momento dell'ispezione. Al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni è istituito, dal comma 2, il registro unico dei controlli ispettivi sulle imprese agricole. Ai sensi del comma 3, per le violazioni alle norme in materia agroalimentare, per le quali è prevista l'applicazione della sola sanzione amministrativa pecuniaria, l'organo di controllo incaricato, nel caso in cui accerta per la prima volta l'esistenza di violazioni sanabili, è chiamato a diffidare l'interessato ad adempiere alle prescrizioni violate entro il termine di venti giorni dalla data di ricezione dell'atto di diffida e ad elidere le conseguenze dannose o pericolose dell'illecito amministrativo. Per violazioni sanabili si intendono errori e omissioni formali che comportano una mera operazione di regolarizzazione o violazioni le cui conseguenze dannose o pericolose sono eliminabili. In caso di mancata ottemperanza alle prescrizioni contenute nella diffida entro il termine indicato, l'organo di controllo procede ad effettuare la contestazione.

 

Il comma 4 apporta talune modifiche al testo unico sul vino (legge 12 dicembre 2016, n.238) prevedendo:

- all’articolo 12, la soppressione del termine di cinque giorni antecedente l’inizio dell’attività di produzione del mosto per la prescritta comunicazione al competente ufficio territoriale;

- all’articolo 14, l’eliminazione del termine di cinque giorni antecedente l’elaborazione dei prodotti a base di mosto, vino, vino liquoroso, spumante e bevande spiritose ai fini della comunicazione dell’attività all’Ufficio territoriale competente;

- all’articolo 16, la sostituzione della comunicazione preventiva con la registrazione, in caso di detenzione e confezionamento dei prodotti specificamente elencati dal medesimo articolo e ammessi all’interno degli stabilimenti enologici;

- all’art. 38, la deroga all’obbligo di declassamento di cui al comma 7 – disposto in caso trasferimento di partite di mosti e di vini DOP e IGP al di fuori della zona di produzione delimitata - in caso di provvedimenti adottati dall’Autorità competente in costanza di calamità naturali o condizioni metereologiche sfavorevoli o in caso di adozione di misure sanitarie o fitosanitarie che impediscano temporaneamente agli operatori di rispettare il disciplinare di produzione. Viene, poi, aggiunto un comma 7-bis in base al quale al verificarsi delle predette condizioni è consentito imbottigliare un vino che sarebbe soggetto all’obbligo di rispettare la zona delimitata dal disciplinare al di fuori della pertinente zona geografica.

Il comma 5 modifica i commi 3 e 4 dell’articolo 11 del decreto legislativo 23 febbraio 2018, n.20, che ha dettato disposizioni di razionalizzazione della normativa sui controlli in materia di produzione agricola e agroalimentare biologica. In particolare, viene previsto che le sanzioni applicabili in caso di provvedimento di sospensione della certificazione biologica (comma 3 dell’articolo 11) o di esclusione dal sistema biologico (comma 4 dell’art. 11) non si applicano nel caso in cui la violazione sia avvenuta in un periodo nel quale il territorio sul quale opera il soggetto sanzionato sia stato colpito da calamità naturali o sia stato oggetto di misure sanitarie.

Il comma 6 prevede la possibilità che le analisi sui prodotti oggetto di campionamento possano essere effettuate dai laboratori dell’Ispettorato centrale repressioni frodi (ICQRF) e non solo da un laboratorio come è attualmente previsto dal comma 2 dell’articolo 11 del decreto-legge n.282/1986.

 

L’art.11 richiamato prevede, al comma 1, che per le analisi di sua competenza, l'Ispettorato centrale repressioni frodi si avvale anche degli istituti di ricerca e di sperimentazione agraria nonché della collaborazione tecnico scientifica di istituti universitari e di altri istituti pubblici qualificati, con i quali si stipulano apposite convenzioni di durata triennale. Al comma 2 viene previsto che per l'effettuazione delle analisi di revisione, l'Ispettorato centrale repressione frodi si avvale, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, di uno dei propri laboratori di analisi.

 

Sul comma 7 è intervenuta la Rettifica pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 23 luglio 2020 che ha sostituito il riferimento al comma 6 con quello al comma 7 dell’articolo 38 del decreto-legge n.98 del 2011, mancando nel primo caso, come rilevato nella prima versione della scheda, l’aggancio normativo alle modifiche introdotte. La modifica introdotta attiene alle forme di comunicazione che devono essere seguite in caso di riconoscimento o di disconoscimento di giornate lavorative intervenuti dopo la compilazione e la pubblicazione dell'elenco nominativo annuale da parte dell’l'INPS. Il comma in esame modifica il comma 7 dell’articolo 38 del DL n.98 del 2011 in modo da prevedere che ai lavoratori interessati sia in tal caso assicurata una notifica mediante comunicazione individuale a mezzo raccomandata, posta elettronica certificata o altra modalità idonea a garantire la piena conoscibilità, sostituendo, così, la precedente forma di pubblicità e comunicazione, consistente nella pubblicazione delle variazioni sul sito istituzionale dell’INPS.

 


Articolo 44
(Misure a favore degli aumenti di capitale)

 

 

L’articolo 44 introduce alcune disposizioni ad efficacia temporalmente limitata fino al 30 aprile 2021, volte a rendere più rapide le deliberazioni concernenti l’aumento di capitale nelle società, tramite l’abbassamento del quorum richiesto (commi 1 e 2). Ulteriori disposizioni riguardano il diritto di opzione, che viene riconosciuto ai soci sulle azioni di nuova emissione e sulle obbligazioni convertibili in azioni, in maniera proporzionale al numero di azioni da essi già possedute. Si tratta sia di modifiche a carattere provvisorio (comma 3), destinate ad applicarsi fino alla data del 30 aprile 2021, sia di modifiche destinate a sostituire, a regime, la normativa vigente (comma 4). Queste ultime, oltre ad introdurre alcune precisazioni in merito alle azioni negoziate in sistemi multilaterali di negoziazione e di modalità di determinazione del limite del 10 per cento in ipotesi di azioni senza valore nominale, introducono un nuovo obbligo informativo a carico degli amministratori i quali in un’apposita relazione devono indicare le ragioni dell’esclusione della limitazione del diritto di opzione.

 

 

I commi 1 e 2 recano disposizioni transitorie, la cui efficacia è limitata al 30 aprile 2021,  che consentono alle assemblee delle società per azioni che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, purché costituite con la presenza di almeno la metà del capitale societario, di deliberare con il voto favorevole della maggioranza del capitale rappresentato in assemblea, anziché con la maggioranza rafforzata dei due terzi del capitale rappresentato in assemblea, come richiesto dagli artt. 2368, secondo comma, secondo periodo, e 2369, terzo e settimo comma, c.c.

 

I citati articoli del codice si riferiscono alla convocazione dell'assemblea straordinaria[45] per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. In particolare:

Ø  l'art. 2368, secondo comma, secondo periodo, prevede che, in prima convocazione, l’assemblea straordinaria sia regolarmente costituita quando è rappresentata almeno la metà del capitale sociale e o la maggiore percentuale prevista dallo statuto e le deliberazioni debbano essere prese con il voto favorevole di almeno i due terzi del capitale rappresentato in assemblea;

Ø  l'art. 2369, terzo comma, stabilisce che, per la seconda convocazione, l’assemblea straordinaria sia regolarmente costituita quando è rappresentato oltre un terzo del capitale sociale e le deliberazioni debbano essere prese con il voto favorevole di almeno i due terzi del capitale rappresentato in assemblea;

Ø  l'art. 2369, settimo comma, dispone che, per le convocazioni successive alla seconda, l’assemblea straordinaria sia regolarmente costituita quando è rappresentato almeno un quinto del capitale sociale e le deliberazioni debbano essere prese con il voto favorevole di almeno i due terzi del capitale rappresentato in assemblea.

 

Si specifica che affinché l’assemblea possa deliberare con il voto favorevole della maggioranza del capitale rappresentato in assemblea, essa deve essersi costituita con la presenza di almeno la metà del capitale societario; diversamente, continueranno ad applicarsi le norme ordinarie sopra citate, che prevedono il voto favorevole di almeno i due terzi del capitale rappresentato nell’assemblea medesima.

La norma costituisce diretta applicazione del principio enunciato dall’art. 83 della direttiva UE 1132/2017, secondo cui gli Stati membri possono stabilire che, per l’adozione di talune decisioni - tra cui anche quelle riguardanti l’esclusione o la limitazione del diritto di opzione di cui all’art. 72 della medesima direttiva (e per le quali, in via generale, sarebbe richiesta una maggioranza non inferiore ai due terzi dei voti attribuiti ai titoli rappresentati o al capitale sottoscritto rappresentato) - sia sufficiente la maggioranza semplice dei voti attribuiti ai titoli rappresentati in assemblea o al capitale sottoscritto rappresentato in assemblea purché in essa sia rappresentato almeno la metà del capitale sottoscritto.

 

Come accennato, si tratta di una norma provvisoria, destinata ad avere efficacia dalla data di entrata in vigore del decreto-legge fino al 30 aprile 2021.

Le deliberazioni che possono essere assunte con un quorum meno qualificato nei termini sopra descritti sono quelle collegate ad operazioni di aumento di capitale e precisamente quelle riguardanti:

ü  gli aumenti del capitale sociale attraverso nuovi conferimenti in natura o di crediti (artt. 2440 e 2441 c.c.);

ü  l’esclusione del diritto di opzione, da inserire tramite apposita clausola nello statuto sociale (art. 2441, quarto comma, ultimo periodo, c.c.);

ü  il riconoscimento, a favore degli amministratori, della facoltà di aumentare il capitale sociale (art. 2443 c.c.).

 

I commi 3 e 4 riguardano il diritto di opzione, che normalmente viene riconosciuto ai soci sulle azioni di nuova emissione e sulle obbligazioni convertibili in azioni, in maniera proporzionale al numero di azioni da essi già possedute. Entrambi incidono sull’art. 2441 del codice civile: il comma 3 con una norma di carattere transitorio, destinata ad applicarsi soltanto fino alla data del 30 aprile 2021, mentre il comma 4 con modifiche destinate a sostituire, a regime, la normativa vigente.

 

In particolare, il comma 3 si riferisce agli aumenti di capitale sociale delle società con azioni quotate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione effettuati mediante conferimenti con esclusione del diritto di opzione attualmente regolato dall’art. 2441, comma 4, secondo periodo, c.c.

L’articolo 2441, comma quarto, secondo periodo, c.c. prevede che “nelle società con azioni quotate in mercati regolamentati lo statuto può altresì escludere il diritto di opzione nei limiti del dieci per cento del capitale sociale preesistente, a condizione che il prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato delle azioni e ciò sia confermato in apposita relazione da un revisore legale o da una società di revisione legale”.

 

I mercati regolamentati (la cui organizzazione e disciplina è contenuta nel TUF – Testo Unico Finanziario, di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998; in particolare agli articolo 64 e ss.gg.) sono sistemi in cui, nel rispetto di leggi e regolamenti, vengono immesse da più intermediari, per conto proprio o dei loro clienti, proposte di vendita e di acquisto di strumenti finanziari. Le proposte trovano esecuzione abbinandosi con le proposte di segno contrario (ma compatibili per prezzo e quantità) immesse nel sistema da altri intermediari, senza l'interposizione del gestore del mercato (negoziazione cd.  multilaterale). La caratteristica dei mercati regolamentati riguarda l'ampiezza delle informazioni disponibili per gli investitori relativamente all'emittente gli strumenti finanziari ivi negoziati. Sono gestiti da società di gestione del mercato autorizzate dalla Consob che adottano un regolamento approvato dalla stessa Consob (Borsa Italiana)

Come i mercati regolamentati, i sistemi multilaterali di negoziazione sono autorizzati dalla Consob e disciplinati da regole sottoposte alla stessa Autorità. Ai sensi dell’articolo 1, comma 5-octies, lettera a) del Testo Unico Finanziario – TUF di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, si intende per sistema multilaterale di negoziazione un sistema multilaterale -  ovvero un sistema che consente l'interazione tra interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari - gestito da un'impresa di investimento o da un gestore del mercato che consente l'incontro, al suo interno e in base a regole non discrezionali, di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari.

Le principali differenze rispetto ai mercati regolamentati sono due: i sistemi multilaterali di negoziazione possono essere gestiti anche da soggetti diversi da società di gestione del mercato (banche o SIM), purché autorizzati allo specifico servizio di investimento della gestione di sistemi multilaterali di negoziazione. Anche il set informativo a disposizione è meno ampio rispetto ai mercati regolamentati.

 

Le disposizioni contenute nel comma 3, permettono sino al 30 aprile 2020 di deliberare un aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione in ipotesi di conferimento anche in mancanza di una espressa previsione statutaria e nel limite del venti per cento (in luogo del dieci per cento) del capitale sociale preesistente ovvero, in caso di mancata indicazione del valore nominale, del numero delle azioni preesistenti.

Ulteriore semplificazione è rinvenibile nella riduzione alla metà[46] dei termini di convocazione previsti per l’assemblea dei soci chiamata a discutere e deliberare su tale argomento.

 

Il comma 4 apporta modifiche, a regime, al medesimo art. 2441 del codice civile, sostituendone il secondo, il terzo ed il quarto comma.

In particolare, rispetto alla normativa previgente:

-     si riduce di un giorno il termine concesso per l’esercizio del diritto di opzione, che non può essere inferiore a quattrodici giorni (anziché quindici) decorrenti dalla data di pubblicazione dell’offerta di nuove azioni o obbligazioni convertibili in azioni sul sito internet della società ovvero, in mancanza, dalla data di iscrizione nel registro delle imprese (secondo comma);

-     si prevede che le società possano stabilire che vi sia, da parte del socio, il contestuale esercizio tanto del diritto di opzione quanto del diritto di prelazione sulle azioni non optate, con l’indicazione del numero massimo di azioni sottoscritte; tale norma si applica, oltre che per le azioni quotate nei mercati regolamentati, anche per le azioni negoziate in sistemi multilaterali di negoziazione (terzo comma);

-     si stabilisce che lo statuto societario possa escludere il diritto di opzione non solo nei limiti del dieci per cento del capitale sociale preesistente ma, qualora non vi sia indicazione del valore nominale delle azioni, nei limiti del dieci per cento del numero delle azioni preesistenti (fermo restando, come già previsto in precedenza, che il prezzo di emissione delle azioni debba corrispondere al valore di mercato delle azioni stesse e ciò risulti da apposita relazione redatta da un revisore dei conti o da una società di revisione legale).

-     si richiede un’apposita relazione degli amministratori dalla quale siano desumibili le ragioni che hanno portato alla decisone di escludere o limitare il diritto di opzione; tale relazione deve essere depositata presso la sede sociale e pubblicata sul sito internet della società entro il termine di convocazione dell’assemblea nella quale dovrà deliberarsi l’inserimento nello statuto della suddetta clausola di esclusione/limitazione, fatto salvo quanto eventualmente diversamente stabilito dalle leggi speciali. Anche questa norma si applica tanto alle società le cui azioni sono quotate in mercati regolamentati, quanto alle società le cui azioni sono negoziate in sistemi multilaterali di negoziazione (quarto comma).

 

 


Articolo 45
(Proroga dei termini per assicurare la continuità del servizio svolto da Alitalia - Società Aerea Italiana S.p.A. e Alitalia Cityliner S.p.A. in amministrazione straordinaria)

 

 

 

L’articolo 45 proroga al 31 dicembre 2020 il termine della restituzione del prestito di 400 milioni di euro, di durata semestrale, che era stato concesso in favore delle società Alitalia - Società Aerea Italiana S.p.A. e Alitalia Cityliner S.p.A in amministrazione straordinaria, per le loro indifferibili esigenze gestionali e per l’attuazione del piano di riorganizzazione del commissario.

 

In particolare viene modificato il comma 2, dell’articolo 1, del decreto-legge n. 137 precisando che la restituzione del prestito dovrà avvenire entro il 31 dicembre 2020 e non, come previsto dal testo precedentemente vigente, entro sei mesi dall’erogazione.

La restituzione, secondo quanto previsto dal medesimo comma 2, dell’articolo 1, ricomprenderà capitale e interessi, e sarà effettuata in prededuzione, con priorità rispetto ad ogni altro debito della procedura.

 

Andrebbe conseguentemente valutata l’opportunità di modificare anche il comma 1, dell’articolo 1, del decreto-legge n. 137 del 2020 che continua a prevedere che la durata del prestito sia semestrale.

 

 

I finanziamenti concessi ad Alitalia-Società Aerea Italiana Spa e la loro restituzione

 

Contestualmente all'avvio della procedura di amministrazione straordinaria con il decreto-legge n. 55 del 2017 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 2 maggio 2017), il cui contenuto è stato poi rifuso nell'articolo 50 del decreto legge n. 50 del 2017, si è disposto un primo finanziamento a titolo oneroso di 600 milioni di euro, di durata originariamente fissata in sei mesi, per far fronte alle indilazionabili esigenze gestionali della società stessa e delle altre società del gruppo sottoposte ad amministrazione straordinaria, al fine di evitare l'interruzione del servizio, in considerazione della situazione di grave crisi finanziaria evidenziatasi nel 2016.

 

Il finanziamento è stato concesso con l'applicazione di interessi al tasso Euribor a sei mesi, pubblicato il giorno precedente la data di erogazione, maggiorato di 1.000 punti base (il tasso è di circa il 10%) e se ne è prevista la restituzione entro sei mesi dalla erogazione, in prededuzione, con priorità rispetto ad ogni altro debito della procedura.

Successivamente l'articolo 12 del decreto-legge n. 148 del 2017 ha incrementato di 300 milioni di euro, da erogare nel 2018, il finanziamento oneroso già concesso nelle more dell'esecuzione della procedura di amministrazione straordinaria. La finalità dell'incremento era quella di garantire l'adempimento delle obbligazioni di volo assunte dall'amministrazione straordinaria fino alla data di cessione del complesso aziendale, senza soluzione di continuità del servizio di trasporto aereo, nonché quella di assicurare la regolare prosecuzione dei servizi di collegamento aereo nel territorio nazionale e per il territorio nazionale, nelle more dell'esecuzione della procedura di cessione dei complessi aziendali, nonché allo scopo di consentire la definizione ed il perseguimento del programma della relativa procedura di amministrazione straordinaria. La medesima disposizione ha altresì stabilito che la durata del finanziamento, per la quota erogata nel 2017, fosse prorogata fino al 30 settembre 2018 e che la quota di finanziamento erogata nel 2018 dovesse essere restituita entro il termine dell'esercizio.

 

Il decreto-legge n. 38 del 2018 aveva poi stabilito che il termine per la restituzione delle somme erogate fosse fissato in via unitaria, per le due tranche di finanziamento erogate, al 15 dicembre 2018.

 

Successivamente l'articolo 2 del decreto-legge n. 135 del 2018, convertito dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12, ha abrogato tale ultima disposizione prevedendo che il prestito dovesse essere restituito entro trenta giorni dall'intervenuta efficacia della cessione dei complessi aziendali e comunque entro il 30 giugno 2019. Anche questa disposizione è stata infine abrogata dal decreto-legge n. 34 del 2019.

 

Il finanziamento concesso ad Alitalia sulla base delle citate disposizioni normative è stato notificato, secondo quanto riportato nella relazione tecnica al decreto-legge n. 38 del 2018, a gennaio 2018 alla Commissione europea, in adempimento dell'obbligo di notifica previsto dalle norme dell'Unione europea in materia di aiuti di Stato. Il 23 aprile 2018 la Commissione ha comunicato di avere aperto "un'indagine approfondita per valutare l'eventuale violazione della normativa sugli aiuti di Stato". Nell'aggiornamento della relazione tecnica sul provvedimento presentato il 14 giugno 2018 si dà conto del fatto che il Governo italiano, il 25 maggio 2018, ha presentato le proprie osservazioni alla decisione della Commissione di aprire un'indagine formale. L'Italia ha argomentato che l'intervento non costituisce un aiuto di Stato e che, in ogni caso, sarebbe da considerare un aiuto al salvataggio dell'impresa compatibile con il regime previsto ai sensi dell'articolo 107, comma 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (per un approfondimento sul regime degli aiuti di Stato sulla materia si veda il dossier sul disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 38 del 2018).

 

Il decreto-legge 2 dicembre 2019, n. 137, entrato in vigore il 3 dicembre 2019, infine, per assicurare la continuità del servizio svolto da Alitalia, ha confermato la concessione di un ulteriore finanziamento di 400 milioni € a titolo oneroso (che sostituiva il prestito di 400 milioni € previsto dall'articolo 54, poi soppresso, del D.L. n. 124/2019) per le indifferibili esigenze gestionali e per l'esecuzione del piano di iniziative ed interventi.

 

Con riferimento alle modalità di restituzione del citato ultimo prestito il decreto legge 2 dicembre 2019, n. 137 aveva previsto che la restituzione dei 400 milioni €, per capitale e interessi, avvenga in prededuzione, con priorità rispetto a ogni altro debito della procedura ed entro sei mesi dall'erogazione (quest'ultimo termine è stato introdotto in sede di conversione del decreto-legge ed è quello oggetto di modifica da parte della disposizione in commento).

L'abrogato articolo 54 del D.L. n.124, aveva previsto la restituzione del prestito entro sei mesi dalla erogazione e, in ogni caso, entro 30 giorni dall'intervenuta efficacia della cessione dei complessi aziendali.

 

Il decreto-legge n. 34 del 2019 ha disciplinato invece la restituzione del precedente finanziamento di 900 milioni di euro concesso ad Alitalia in Amministrazione straordinaria.

 

Con riferimento agli interessi sulla somma prestata si è previsto che Alitalia – Società Aerea Italiana S.p.A. in amministrazione straordinaria, corrisponda gli interessi sul finanziamento a titolo oneroso, stimati in 145 milioni di euro nella Relazione illustrativa al decreto, dalla data di effettiva erogazione alla data del decreto del Ministro dello sviluppo economico di autorizzazione alla cessione dei complessi aziendali oggetto delle procedure e, comunque, fino a data non successiva al 31 maggio 2019. Secondo quanto previsto da una modifica introdotta a tale norma dal decreto-legge n. 137 del 2019 gli interessi sono versati all'entrata del bilancio dello Stato con le modalità di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135.

Il testo del decreto-legge n. 34 del 2019 precedente alla modifica introdotta dal decreto-legge n. 137 del 2019 prevedeva che  gli interessi fossero versati all'entrata del bilancio dello Stato entro sessanta giorni dalla data del predetto decreto del Ministro dello sviluppo economico per essere riassegnati ad uno o più capitoli dello stato di previsione della spesa del Ministero dell'economia e delle finanze per essere destinati alla sottoscrizione, nel limite dell'importo maturato a titolo di interessi ai sensi del comma 3, le quote di partecipazione al capitale della società di nuova costituzione.

 

Per quanto riguarda la restituzione del capitale prestato, il comma 6 dell'articolo 37 del decreto-legge n. 34 del 2019 ha ridefinito le modalità ed i tempi di restituzione, novellando l'articolo 2, comma 1 del decreto-legge n.145 del 2018: del finanziamento è prevista la restituzione nell'ambito della procedura di ripartizione dell'attivo dell'amministrazione straordinaria a valere e nei limiti dell'attivo disponibile di Alitalia – Società Aerea Italiana S.p.A. in amministrazione straordinaria.

 

Le modalità che erano state precedentemente definite nell'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 prevedevano la restituzione entro trenta giorni dall'intervenuta efficacia della cessione dei complessi aziendali oggetto delle procedure e non oltre il termine del 30 giugno 2019.

Il decreto-legge n. 38 del 2018 aveva stabilito che il termine per la restituzione delle somme erogate fosse fissato in via unitaria, per le due tranche di finanziamento erogate, al 15 dicembre 2018. Successivamente l'articolo 2 del decreto-legge n. 135 del 2018, convertito dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12, ha abrogato tale ultima disposizione e aveva previsto che il prestito dovesse essere restituito entro trenta giorni dall'intervenuta efficacia della cessione dei complessi aziendali e comunque entro il 30 giugno 2019.

Il comma 5 dell'articolo 37 del decreto-legge n. 34/2019 ha inoltre soppresso la disposizione, contenuta nel comma 1 dell'articolo 50, del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, che prevedeva la restituzione del prestito entro sei mesi dall'erogazione

in prededuzione, con priorità rispetto a ogni altro debito della procedura.

 

Con riferimento alla disciplina europea in materia di aiuti di Stato per le imprese in crisi, applicabile ad Alitalia, si ricordano gli Orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese non finanziarie in difficoltà (2014/C 249/01), adottati ai sensi dell'articolo 107, paragrafo 3, lettera c), del TFUE e che, a seguito della modifica introdotta dalla Comunicazione 2020/C 224/02, pubblicata l’8 luglio 2020, saranno applicabili fino al 31 dicembre 2023.

La modifica introdotta dalla Comunicazione 2020/C 112 I/01 del 4 aprile 2020 al Quadro temporaneo sugli aiuti di Stato, adottata l’8 maggio 2020 (2020/C 91 I/01) ha precisato che alle  imprese  che  erano  già  in  difficoltà  al  31  dicembre  2019  si  applicano  le  regole ordinarie  degli Orientamenti  sugli  aiuti  di  Stato  per  il  salvataggio  e  la  ristrutturazione  di  imprese  non finanziarie in difficoltà.

 

Con riferimento ai prestiti assegnati all’amministrazione straordinaria di Alitalia si ricorda che il finanziamento concesso ad Alitalia, ai sensi del decreto-legge n.50 del 2017 e del decreto-legge n.148 del 2017 è stato notificato a gennaio 2018 alla Commissione europea, in adempimento dell'obbligo di notifica previsto dalle norme dell'Unione europea in materia di aiuti di Stato. Il 23 aprile 2018 la Commissione ha comunicato di avere aperto "un'indagine approfondita per valutare l'eventuale violazione della normativa sugli aiuti di Stato" (SA.48171).

Il Governo italiano, il 25 maggio 2018, ha presentato le proprie osservazioni alla decisione della Commissione di aprire un'indagine formale. L'Italia ha argomentato che l'intervento non costituisce un aiuto di Stato e che, in ogni caso, sarebbe da considerare un aiuto al salvataggio dell'impresa compatibile con il regime previsto ai sensi dell'articolo 107, comma 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. In merito a tale indagine non sono state adottate decisioni.

Con riferimento all’ulteriore prestito di 400 milioni di euro, di cui al decreto-legge n. 137 del 2019, la Commissione europea ha avviato un’ulteriore indagine approfondita (SA.55678).


Articolo 46
(Semplificazioni in materia di Zone Economiche Speciali)

 

 

L'articolo 46, comma 1, lettera a), novella la disciplina delle zone economiche speciali (ZES), al fine di definire i poteri dei Commissari Straordinari del Governo che presiedono i Comitati di indirizzo, identificati quali soggetti per l'amministrazione delle ZES dalla normativa vigente. La norma in esame attribuisce al Commissario poteri di coordinamento ed impulso, nonché di rappresentanza del Comitato di indirizzo. Inoltre, il Commissario è chiamato ad individuare le aree prioritarie nell'ambito dei piani strategici delle ZES e a promuovere la sottoscrizione di appositi protocolli e convenzioni tra le amministrazioni locali e statali. Il Commissario si avvale del supporto dell’Agenzia per la Coesione territoriale, la quale provvede a tali compiti con le risorse previste a legislazione vigente.

La lettera b) pone in capo al Commissario straordinario ulteriori compiti di impulso ai fini del coordinamento - affidato al Comitato di indirizzo - tra gli sportelli unici ed il SUA - Sportello Unico Amministrativo.

La norma interviene, infine, sulla disciplina inerente alla creazione di aree doganali intercluse all'interno delle ZES regionali o interregionali.

 

L'articolo 46, comma 1, lettera a) novella l’articolo 4  del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91 (convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2017, n. 123), concernente l'istituzione di zone economiche speciali (ZES).

 

Il numero 1) della lettera a) in esame modifica il comma 7-bis) del citato articolo 4.

Il nuovo comma prevede che il commissario straordinario del Governo, di cui al comma 6, potrà stipulare, previa autorizzazione del Comitato di indirizzo, accordi o convenzioni quadro con banche e intermediari finanziari, e non più quindi il Segretario generale dell'Autorità di sistema portuale come finora stabilito dalla norma.

 

L'articolo 4, comma 6[47], del decreto-legge n. 91/2017 affida alla regione, o alle regioni nel caso di ZES interregionali, il compito di formulare la proposta di istituzione della ZES, specificando le caratteristiche dell'area identificata.

Il soggetto per l'amministrazione dell'area ZES è identificato in un Comitato di indirizzo composto da un commissario straordinario del Governo, nominato ai sensi dell'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400, che lo presiede, dal Presidente dell'Autorità di sistema portuale, da un rappresentante della regione, o delle regioni nel caso di ZES interregionale, da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei ministri e da un rappresentante del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Nell'ipotesi in cui i porti inclusi nell'area della ZES rientrino nella competenza territoriale di un'Autorità di sistema portuale con sede in altra regione, al Comitato partecipa il Presidente dell'Autorità di sistema portuale che ha sede nella regione in cui è istituita la ZES.

L'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400 prevede che, al fine di realizzare specifici obiettivi determinati in relazione a programmi o indirizzi deliberati dal Parlamento o dal Consiglio dei ministri o per particolari e temporanee esigenze di coordinamento operativo tra amministrazioni statali, può procedersi alla nomina di commissari straordinari del Governo, ferme restando le attribuzioni dei Ministeri, fissate per legge. La nomina è disposta con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. Con il medesimo decreto sono determinati i compiti del commissario e le dotazioni di mezzi e di personale. L'incarico è conferito per il tempo indicato nel decreto di nomina, salvo proroga o revoca. Del conferimento dell'incarico è data immediata comunicazione al Parlamento e notizia nella Gazzetta Ufficiale. Sull'attività del commissario straordinario riferisce al Parlamento il Presidente del Consiglio dei ministri o un ministro da lui delegato.

Ai membri del Comitato di indirizzo non spetta alcun compenso, indennità di carica, corresponsione di gettoni di presenza o rimborsi per spese di missione. Al commissario straordinario del Governo può invece essere corrisposto un compenso nel limite massimo di quanto previsto dall'articolo 15, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.

Il Comitato di indirizzo si avvale del Segretario generale dell'Autorità di sistema portuale per l'esercizio delle funzioni amministrative gestionali di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Agli oneri di funzionamento del Comitato si provvede con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica

I compiti del Comitato di indirizzo sono definiti in dettaglio nell’articolo 8 del Regolamento sull'istituzione delle Zone economiche speciali (ZES), di cui al DPCM  25 gennaio 2018, n. 12.

 

 

Il numero 2) della lettera a) in esame aggiunge, dopo il comma 7-bis, i commi 7-ter e 7-quater.

Il nuovo comma 7-ter prevede che il commissario straordinario del Governo di cui al comma 6, anche avvalendosi del supporto dell’Agenzia per la Coesione territoriale:

a)     assicuri il coordinamento e l’impulso, anche operativo, delle iniziative volte a garantire l’attrazione, l’insediamento e la piena operatività delle attività produttive nell’ambito della ZES, ferme restando le competenze delle amministrazioni centrali e territoriali coinvolte nell’implementazione dei piani di sviluppo strategico, anche nell’ottica di coordinare le specifiche linee di sviluppo dell’area con le prospettive strategiche delle altre ZES istituite e istituende, preservando le opportune specializzazioni di mercato;

b)     operi quale referente esterno del Comitato di indirizzo per l’attrazione e l’insediamento degli investimenti produttivi nelle aree ZES;

c)      contribuisca a individuare, tra le aree identificate all’interno del piano di sviluppo strategico, le aree prioritarie per l’implementazione del piano, e ne curi la caratterizzazione necessaria a garantire gli insediamenti produttivi;

d)     promuova la sottoscrizione di appositi protocolli e convenzioni tra le amministrazioni locali e statali coinvolte nell’implementazione del piano strategico, volti a disciplinare procedure semplificate e regimi procedimentali speciali per gli insediamenti produttivi nelle aree ZES.

 

Il nuovo comma 7-quater reca una clausola di invarianza finanziaria, prevedendo che l'Agenzia per la coesione territoriale provveda alle attività previste dal comma 7-ter con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

Il comma 1, lettera b), novella l'art. 5, comma 1, del medesimo decreto-legge n. 91 del 2017, in materia di agevolazioni e procedure semplificate, destinate alle imprese, nuove o già esistenti, che avviano un programma di attività economiche imprenditoriali o di investimenti di natura incrementale nella ZES.

 

Il numero 1) della lettera b) modifica la lettera a-ter) del comma 1 citato. Tale lettera a-ter) prevede che il Comitato di indirizzo della ZES assicuri il raccordo tra gli sportelli unici istituiti ai sensi della normativa vigente e lo sportello unico di cui alla legge n. 84 del 1994 – SUA (il quale, per tutti i procedimenti amministrativi ed autorizzativi concernenti le attività economiche, ad eccezione di quelli concernenti lo Sportello unico doganale e dei controlli e la sicurezza, svolge funzione unica di front office rispetto ai soggetti deputati ad operare in porto). Il SUA opera quale responsabile unico del procedimento ai sensi della legge n. 241 del 1990 per la fase di insediamento, di realizzazione e di svolgimento dell'attività economica nella ZES. Lo sportello unico è disponibile in formato digitale, in almeno una lingua diversa dall'italiano ed è organizzato sulla base di moduli e formulari standardizzati per la presentazione dell'istanza nei quali è, in particolare, indicata la presenza di eventuali vincoli ambientali, urbanistico/paesaggistici nonché di eventuali termini di conclusione del procedimento.

La disposizione, nel testo finora vigente, prevedeva che il Comitato di indirizzo della ZES assicurasse tale raccordo tra gli sportelli unici entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 135 del 2018 (legge n. 12 del 2019, in vigore dal 13 febbraio 2019), la quale aveva inserito la norma in oggetto. 

Con la presente novella è stato espunto tale termine (scaduto). Si prevede, inoltre, che il Comitato di indirizzo della ZES provveda a tali compiti "su impulso del Commissario straordinario del Governo di cui all’ articolo 4, comma 6" (v. supra).

 

Ulteriore novella (numero 2) riscrive la lettera a-sexies). Quest'ultima prevede che nelle ZES, nonché nelle ZES interregionali (secondo una specificazione introdotta dalla novella in esame) siano istituite aree doganali intercluse ai sensi del Codice doganale europeo (del regolamento (UE) n. 952/2013) e dei relativi atti di delega e di esecuzione. Tali aree consentono di operare, per le merci importate e da esportare, in regime di sospensione dell'IVA.

La perimetrazione di dette aree doganali, il cui piano strategico sia stato presentato dalle regioni proponenti entro l’anno 2019 (secondo la novella del decreto-legge in esame), è proposta da ciascun Comitato di indirizzo entro il 31 dicembre 2020. Questo termine è stato fissato dalla norma in esame. Il testo previgente stabiliva che la proposta dovesse essere presentata trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 135 del 2018 (legge n. 12 del 2019, in vigore dal 13 febbraio 2019), che aveva introdotto la lettera a-sexies) in oggetto.

Si ricorda che, ai sensi dell'art. 4, comma 5, del D.L. n. 91 del 2017, la ZES è istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta delle regioni interessate. Tale proposta è corredata da un piano di sviluppo strategico.

 

Come già prevista dal testo finora vigente, la proposta di perimetrazione è approvata con decreto direttoriale dell'Agenzia delle dogane territorialmente competente, adottato entro trenta giorni dalla proposta.

 

 

 

Le Zone economiche speciali (ZES)

 

Il decreto legge n. 91 del 2017 (art. 4) ha definito all’articolo 4 le procedure e le condizioni per richiedere l’istituzione di Zone economiche speciali (ZES) in alcune aree del Paese, in particolare nelle regioni definite dalla normativa europea come "meno sviluppate" o "in transizione". In Italia sono regioni meno sviluppate (con PIL pro capite inferiore al 75% della media europea) le regioni Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia e Campania. Sono regioni in transizione (con PIL pro capite tra il 75% e il 90% della media europea) le regioni Sardegna, Abruzzo e Molise. La Zona economica speciale è definita come un'area geograficamente delimitata e chiaramente identificata, situata entro i confini dello Stato, costituita anche da aree non territorialmente adiacenti, purché presentino un nesso economico funzionale, e che comprenda almeno un'area portuale con le caratteristiche stabilite dal regolamento (UE) n. 1315 dell'11 dicembre 2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, sugli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T). Tale Regolamento (che in allegato riporta le mappe dei porti della rete centrale e della rete globale) definisce i porti marittimi all’articolo 20 come quelli che soddisfano almeno uno dei seguenti criteri:

a)    il volume totale annuo del traffico passeggeri supera lo 0,1% del volume totale annuo del traffico passeggeri di tutti i porti marittimi dell'Unione;

b)   il volume totale annuo delle merci, per le operazioni di carico di merci sia sfuse che non sfuse, supera lo 0,1% del corrispondente volume totale annuo del carico di merci movimentate in tutti i porti marittimi dell'Unione;

c)    il porto marittimo è situato su un'isola e costituisce il solo punto di accesso ad una regione NUTS 3 nella rete globale;

d)   il porto marittimo è situato in una regione ultraperiferica o periferica, fuori da un raggio di 200 km dal porto più vicino nella rete globale.

In Italia, nelle regioni in cui possono essere istituite le ZES, sono porti della rete centrale: Palermo, Augusta, Gioia Tauro, Cagliari, Taranto, Bari, Napoli. Tra i porti della rete globale rientrano, tra gli altri, Catania, Messina, Milazzo, Siracusa, Trapani, Gela, Reggio Calabria, Villa San Giovanni, Brindisi, Salerno, Olbia, Porto Torres.

Le regioni che presentino tali condizioni possono presentare, in base all’art. 4, comma 4-bis del D.L. n. 91/2017, una proposta di istituzione di ZES nel proprio territorio, o al massimo due proposte ove siano presenti più aree portuali che abbiano le caratteristiche stabilite dal regolamento europeo, accompagnata da un piano di sviluppo strategico. Inoltre, anche le regioni che non posseggano aree portuali possono presentare istanza di istituzione di una ZES, ma solo in forma associativa, qualora contigue, o in associazione con un'area portuale avente le caratteristiche richieste.

Peraltro, in base all’art. 3 del Regolamento attuativo per l’istituzione delle ZES, adottato con DPCM 25 gennaio 2018, n. 12 , tali aree portuali, tenuto conto anche del volume complessivo di merci in transito, sono anche i porti che non presentano le caratteristiche di cui all'articolo 1, lettera c) (quindi quella di area portuale ai sensi del regolamento UE, il quale peraltro non definisce la nozione di area portuale, bensì quella di porto marittimo) purché essi presentino una rilevanza strategica per le attività di specializzazione territoriale che si intende rafforzare e dimostrino un nesso economico funzionale con l'Area portuale.

Lo scopo delle Zone economiche speciali è quello di creare condizioni favorevoli in termini economici, finanziari e amministrativi, che consentano lo sviluppo delle imprese già operanti e l'insediamento di nuove imprese. Tali imprese sono tenute al rispetto della normativa nazionale ed europea, nonché alle prescrizioni adottate per il funzionamento della stessa ZES e beneficiano di speciali condizioni.

In particolare, le imprese che avviano un programma di attività economiche imprenditoriali o effettuano investimenti incrementali all'interno delle ZES usufruiscono di benefici fiscali, nonché di riduzione dei termini dei procedimenti e di semplificazione degli adempimenti rispetto alla normativa vigente, che sono definiti nell’articolo 5 del D.L. n. 91/2017. Il credito d’imposta, in particolare è quello che era stato già concesso dalla legge di Stabilità 2016 (art. 1, co. 98, come successivamente modificato), fino al 31/12/2019, alle imprese che effettuassero l'acquisizione dei beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive ubicate nelle zone assistite delle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna e nelle zone assistite delle regioni Molise e Abruzzo.

Come detto, per le modalità per l'istituzione di una ZES, la sua durata, i criteri generali per l'identificazione e la delimitazione dell'area, i criteri che ne disciplinano l'accesso e le condizioni speciali di beneficio per i soggetti economici ivi operanti o che vi si insedieranno, nonché il coordinamento degli obiettivi di sviluppo, è stato emanato con DPCM  25 gennaio 2018, n. 12 il Regolamento sull'istituzione delle Zone economiche speciali (ZES), entrato in vigore il 27 febbraio 2018, come previsto dal D.L. n. 91/2017. Il DPCM è stato adottato su proposta del Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministro dello sviluppo economico, sentita la Conferenza unificata.

Con il decreto-legge n. 135 del 2018 sono state introdotte misure di ulteriore semplificazione per le Zone economiche speciali.

 

Attualmente risultano istituite quattro ZES: la ZES Calabria (DPCM 21/5/2018), la ZES Campania (DPCM 21/5/2018), la ZES Ionica interregionale Puglia e Basilicata (DPCM 13/6/2019) e la ZES Adriatica interregionale Puglia-Molise (DPCM 5/9/2019).

 


Articolo 47
(Accelerazione nell'utilizzazione dei fondi nazionali ed europei per gli investimenti nella coesione e nelle riforme)

 

 

L’articolo 47 reca disposizioni volte a favorire l’accelerazione nella realizzazione degli interventi finanziati dal Fondo Sviluppo e Coesione e, in generale, degli investimenti comunque finanziati dalle risorse del bilancio europeo, attraverso una accelerazione dei procedimenti amministrativi relativi ad atti ed attività connesse all’utilizzazione delle suddette risorse.

 

A tal fine l’articolo 47 integra la normativa (recata dall’articolo 9 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69) che prevede una corsia preferenziale di tipo istruttorio/amministrativo per gli interventi finanziati da fondi strutturali europei, estendendo gli obblighi di trattazione prioritaria attualmente previsti in capo alle amministrazioni, anche ai procedimenti relativi ad attività connesse all’utilizzazione delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la Coesione e alla realizzazione dei programmi nazionali per le riforme comunque finanziati attraverso il bilancio dell’Unione europea.

 

L’articolo 9 del D.L. n. 69 del 2013 ha introdotto, ai commi da 1 a 3, norme finalizzate ad evitare il rischio di ulteriori ritardi nell’utilizzo delle risorse comunitarie del ciclo di programmazione 2007-2013 - allora in via di conclusione – e a scongiurare dunque il rischio del definanziamento delle risorse medesime.

L’obiettivo è perseguito dal comma 1 stabilendo un obbligo per le amministrazioni pubbliche di trattazione prioritaria di tale materia rispetto ad altre. In particolare, si sancisce l’obbligo per le amministrazioni e le aziende dello Stato anche a ordinamento autonomo (ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le istituzioni universitarie, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, gli enti pubblici non economici nazionali, le agenzie fiscali (di cui al D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300) di dare precedenza, nella trattazione degli affari di propria competenza, ai procedimenti, ai provvedimenti e agli atti, anche non aventi natura provvedimentale, relativi alle attività in qualsiasi modo connesse all’utilizzazione dei fondi strutturali europei, compresi quelli inerenti allo sviluppo rurale e alla pesca, e alla realizzazione dei progetti finanziati con i medesimi fondi.

Con riferimento specifico all’utilizzo dei fondi della programmazione 2007-2013, il comma 2 dava, inoltre, la facoltà al Governo, in caso di inerzia o inadempimento delle amministrazioni pubbliche responsabili degli interventi, di sostituirsi all’amministrazione inerte o inadempiente, ai sensi dell'articolo 120, comma secondo, della Costituzione.

 

Al fine di rafforzare l’efficacia degli obblighi procedimentali in questione, l’articolo 47 in esame – attraverso l’inserimento di un comma 1-bis nell’articolo 9 del D.L. n. 69/2013 - introduce l’obbligo per gli enti e le amministrazioni interessate dalla norma di prevedere, nei sistemi di valutazione delle performance individuali dei dirigenti pubblici interessati, anche obiettivi connessi all’accelerazione dell’utilizzazione dei suddetti fondi.

 

In via preliminare, si ricorda che la misurazione e la valutazione della performance individuale dei dirigenti di livello non generale e del personale responsabile di una unità organizzativa in posizione di autonomia e responsabilità compete ai dirigenti di livello generale.

La valutazione dei dirigenti di vertice è effettuata dall'organo di indirizzo politico-amministrativo, sulla base delle proposte dell’Organismo indipendente di valutazione (OIV) istituito in ogni amministrazione.

Per quanto concerne gli ambiti di valutazione, in base al vigente assetto normativo, la performance individuale dei dirigenti e del personale responsabile di una unità organizzativa in posizione di autonomia e responsabilità viene misurata in base (art. 9 D.Lgs. 150/2009):

a) agli indicatori di performance relativi all’ambito organizzativo di diretta responsabilità;

b) al raggiungimento di specifici obiettivi individuali;

c) alla qualità del contributo assicurato alla performance generale della struttura, alle competenze professionali e manageriali dimostrate ed ai comportamenti organizzativi richiesti per un più efficace esercizio delle funzioni assegnate;

d) alla capacità di valutazione dei propri collaboratori, dimostrata tramite una significativa differenziazione dei giudizi.

Con le modifiche introdotte nel 2017, è stato precisato che nella valutazione complessiva deve essere attribuito un peso prevalente agli indicatori di performance relativi all’ambito organizzativo di diretta responsabilità.

Per quanto riguarda la valutazione dei dirigenti di vertice, la legge stabilisce che la performance individuale dei dirigenti titolari degli incarichi di cui all’art. 19, co. 3 (segretario generale di ministeri e incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali, nonché quelli di livello equivalente) e 4 (incarichi di funzione dirigenziale di livello generale) del D.Lgs. 165/2001, è collegata al raggiungimento di specifici obiettivi, definiti nel contratto individuale e degli obiettivi individuati nella direttiva generale per l’azione amministrativa e la gestione, nonché nel Piano della performance.

La valutazione negativa della performance, purché resa nel rispetto delle disposizioni del D.Lgs. 150, rileva ai fini dell’accertamento della responsabilità dirigenziale e ai fini dell’irrogazione del licenziamento disciplinare per insufficiente rendimento, ai sensi dell’art. 55-quater, co. 1, lett. f-quinquies), del testo unico delle disposizioni sul lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (D.Lgs. 165/2001).

 


Articolo 48, commi 1-3
(Disposizioni urgenti in materia di funzionalità delle Autorità di sistema portuale)

 

L’articolo 48 introduce disposizioni volte a introdurre misure di semplificazione relativamente alle procedure di autorizzazione delle opere da realizzare nelle aree portuali, ai dragaggi e alla riperimetrazione dei siti da bonificare di interesse nazionale rientranti nei limiti territoriali di competenza dell’Autorità.

 

Il comma 1, introduce alcune novelle all’articolo 5 della legge n. 84 del 1994 che disciplina la Programmazione e realizzazione delle opere portuali, il piano regolatore di sistema portuale e il piano regolatore portuale.

 

Si procede innanzi tutto (lettera a) e lettera c)) alla correzione di un riferimento normativo, concernente la conferenza di servizi di cui all’articolo 14-ter della legge n. 241 del 1990 (il riferimento è attualmente all’articolo 14-quater che disciplina le decisioni della conferenza di servizi di cui all’articolo 14-ter). Tale correzione è effettuata al comma 1-quinquies e al comma 2-quinquies dell’articolo 5.

 

Da un punto di vista sostanziale (comma 1, lettera b)) viene modificato il comma 1-sexies dell’articolo 5 prevedendo che il piano regolatore portuale individui anche i beni sottoposti al vincolo preordinato all’esproprio nel rispetto del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001 n. 327.

Viene inoltre precisato che se la realizzazione di un'opera pubblica o di pubblica utilità non è prevista dal piano regolatore portuale, il vincolo preordinato all'esproprio, ai sensi dell’articolo 10, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 può essere disposto dall’Autorità di sistema portuale, mediante una conferenza di servizi ai sensi dell'articolo 14 –ter della legge 7 agosto 1990, n. 241.

 

Il comma 1-sexies dell’articolo 5, della legge n. 84 del 1994 dispone che nei singoli porti ricompresi nelle circoscrizioni territoriali delle Autorità di sistema portuale l'ambito e l'assetto complessivo delle aree destinate a funzioni strettamente portuali e retro-portuali e agli assi di collegamento viario e ferroviario, come individuate nel documento di pianificazione strategica di sistema approvato, quali quelle destinate alle attività commerciali e crocieristiche, al diporto, alla produzione industriale, all'attività cantieristica e alle infrastrutture stradali e ferroviarie, sono delimitati e disegnati dal piano regolatore portuale (PRP), che individua analiticamente anche le caratteristiche e la destinazione funzionale delle aree interessate.

L’articolo 10, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001 stabilisce che “se la realizzazione di un'opera pubblica o di pubblica utilità non è prevista dal piano urbanistico generale, il vincolo preordinato all'esproprio può essere disposto, ove espressamente se ne dia atto, su richiesta dell'interessato ai sensi dell'articolo 14, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero su iniziativa dell'amministrazione competente all'approvazione del progetto, mediante una conferenza di servizi, un accordo di programma, una intesa ovvero un altro atto, anche di natura territoriale, che in base alla legislazione vigente comporti la variante al piano urbanistico”.

Ai sensi dell’articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327, un bene è sottoposto al vincolo preordinato all'esproprio quando diventa efficace l'atto di approvazione del piano urbanistico generale, ovvero una sua variante, che prevede la realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità. Il vincolo ha la durata di cinque anni. Entro tale termine, può essere emanato il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera. Se questa non è tempestivamente dichiarata il vincolo preordinato all'esproprio decade.

 

L’altra modifica sostanziale novella il comma 5 dell’articolo 5 della legge n. 84 del 94 (comma 1, lettera d)).

 

Il comma 5 dell’articolo 5 della legge n. 84 del 1994, come novellato, stabilisce che le modifiche che non alterano in modo sostanziale la struttura del piano regolatore portuale in termini di obiettivi, scelte strategiche e caratterizzazione funzionale delle aree portuali, relativamente al singolo scalo marittimo, costituiscono adeguamenti tecnico-funzionali del piano regolatore portuale.

Gli adeguamenti tecnico-funzionali sono adottati dal Comitato di gestione dell'Autorità di sistema portuale, previa acquisizione della dichiarazione di non contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti da parte del comune o dei comuni interessati, con riferimento esclusivo alle previsioni delle aree destinate a funzioni di interazione porto-città. È successivamente acquisito il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, che si esprime entro quarantacinque giorni, decorrenti dalla ricezione della proposta di adeguamento tecnico-funzionale. Decorso tale termine, il parere si intende espresso positivamente.

 

Rispetto al testo vigente:

·        La dichiarazione di non contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti deve essere acquisita esclusivamente con riferimento alle previsioni delle aree destinate a funzioni di interazione porto-città. Ne consegue che al di fuori di tali aree non è più necessaria l’acquisizione di tale dichiarazione.

·        Con riferimento al parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, si prevede che, decorso il termine di 45 giorni dalla ricezione della proposta di adeguamento tecnico-funzionale, il parere s’intende espresso positivamente, cosa non espressamente prevista dal testo vigente della norma.

·        Viene soppresso l’atto di approvazione dell’adeguamento tecnico funzionale da parte della regione nel cui territorio è ubicato il porto interessato dall'adeguamento medesimo.

 

 

La lettera e) del comma 1 introduce una disposizione (nuovo comma 5-ter) la cui finalità, enunciata nella relazione illustrativa, è quella di prevedere una disciplina organica e unitaria dell’accertamento di conformità urbanistico-edilizia delle opere pubbliche portuali, prevedendo che lo stesso avvenga:

- nell’ambito della stessa procedura di cui al precedente comma 5 (come riscritto dalla lettera d) del comma in esame), nel caso in cui l’approvazione del progetto comporti modifiche plano-batimetriche al piano regolatore portuale;

- oppure, nel caso di assenza di modifiche plano-batimetriche, nell’ambito del procedimento di approvazione del progetto disciplinato dall’art. 27 del D.Lgs. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici). Viene altresì precisato che, in tal caso, l'accertamento di conformità di cui trattasi sostituisce ad ogni effetto tutti gli atti (atti di intesa, pareri, titoli abilitativi anche edilizi, autorizzazioni e nulla osta) previsti da leggi statali e regionali.

L’articolo 27 del D.Lgs. 50/2016 stabilisce che l'approvazione dei progetti da parte delle amministrazioni viene effettuata in conformità alla legge sul procedimento amministrativo e alle disposizioni statali e regionali che regolano la materia e che si applicano le disposizioni in materia di conferenza di servizi.

La dichiarazione di pubblica utilità può essere disposta anche quando l'autorità espropriante approva a tal fine il progetto esecutivo dell'opera pubblica o di pubblica utilità.

In sede di conferenza dei servizi sul progetto di fattibilità tutte le amministrazioni e i soggetti invitati sono obbligati a pronunciarsi sulla localizzazione e sul tracciato dell'opera, anche presentando proposte modificative, nonché a comunicare l'eventuale necessità di opere mitigatrici e compensative dell'impatto. In tale fase, gli enti gestori di servizi pubblici a rete forniscono, contestualmente al proprio parere, il cronoprogramma di risoluzione delle interferenze (per le quali sono previsti specifici adempimenti procedurali). Salvo circostanze imprevedibili, le conclusioni adottate dalla conferenza in merito alla localizzazione o al tracciato, nonché al progetto di risoluzione delle interferenze e alle opere mitigatrici e compensative, non possono essere modificate in sede di approvazione dei successivi livelli progettuali, a meno del ritiro e della ripresentazione di un nuovo progetto di fattibilità. (salva la procedura di manifestazione e risoluzione del dissenso nell’ambito della conferenza di servizi).

L’articolo 27 fa inoltre salve le disposizioni vigenti che stabiliscono gli effetti dell'approvazione dei progetti ai fini urbanistici ed espropriativi.

 

La norma in esame precisa che la nuova disciplina in questione opera in deroga alle vigenti norme che disciplinano:

- l’attività edilizia delle pubbliche amministrazioni (recate dall'art. 7 del D.P.R. 380/2001);

L’art. 7 del D.P.R. 380/2001 (testo unico in materia edilizia), esclude l’applicabilità delle disposizioni sui titoli abilitativi dettate dal medesimo testo unico, per una serie di opere e interventi pubblici (opere e interventi pubblici che richiedano per la loro realizzazione l'azione integrata e coordinata di una pluralità di amministrazioni pubbliche allorché l'accordo delle predette amministrazioni, raggiunto con l'assenso del comune interessato sia pubblicato; opere pubbliche, da eseguirsi da amministrazioni statali o comunque insistenti su aree del demanio statale e opere pubbliche di interesse statale, da realizzarsi dagli enti istituzionalmente competenti, ovvero da concessionari di servizi pubblici, previo accertamento di conformità con le prescrizioni urbanistiche ed edilizie ai sensi del D.P.R. 383/1994; opere pubbliche dei comuni deliberate dal consiglio comunale, ovvero dalla giunta comunale, assistite dalla validazione del progetto).

- e l’accertamento di conformità urbanistico-edilizia delle opere di interesse statale (recate dall'art. 2 del D.P.R. 383/1994).

L’art. 2 del D.P.R. 383/1994 prevede che, per le opere pubbliche oggetto del medesimo regolamento (opere pubbliche, che non siano in contrasto con le indicazioni dei programmi di lavori pubblici, da eseguirsi da amministrazioni statali o comunque insistenti su aree del demanio statale e delle opere pubbliche di interesse statale, da realizzarsi dagli enti istituzionalmente competenti), l'accertamento della conformità alle prescrizioni delle norme e dei piani urbanistici ed edilizi, salvo che per le opere destinate alla difesa militare, è fatto dallo Stato di intesa con la regione interessata, entro sessanta giorni dalla richiesta da parte dell'amministrazione statale competente.

 

Nell’introdurre la nuova disciplina, la lettera in esame dispone che viene in ogni caso fatto salvo quanto stabilito dal comma 5-bis dell’art. 5 della legge n. 84 del 1994.

Il comma 5-bis dell’art. 5 della L. 84/1994 (oltre a disporre che l’esecuzione delle opere nei porti da parte dell’Autorità di sistema portuale è autorizzata ai sensi della normativa vigente) disciplina l'esecuzione di opere nei porti da parte di privati, prevedendo che la stessa è autorizzata, sotto tutti i profili rilevanti, in esito ad apposita conferenza di servizi (di cui viene disciplinato lo svolgimento).

 

               

Il comma 2 proroga da 30 a 45 mesi il termine massimo di deposito dei materiali derivanti dalle attività di dragaggio nonché dalle operazioni di bonifica (senza limitazione di quantitativi, assicurando il non trasferimento degli inquinanti agli ambienti circostanti), previsto dall’articolo 5-bis, comma 5, terzo periodo,  in caso di realizzazione, nell'ambito dell’intervento di dragaggio, di strutture adibite a deposito temporaneo dei sopra citati materiali, prima della loro messa a dimora definitiva.

Tale proroga si applica alle operazioni in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione, nonché a quelle avviate a decorrere dalla medesima data e fino al 30 giugno 2021.

 La finalità dell’intervento è quella di mitigare gli effetti derivanti dalla diffusione del virus COVID-19, nonché di accelerare gli interventi infrastrutturali nelle aree portuali e marinocostiere.

L’art. 5-bis è la disposizione di riferimento in tema di dragaggi nei Sin (siti di bonifica di interesse nazionale) della citata legge n. 84 del 1994.

 

Il comma 3, aggiungendo un ulteriore periodo all’articolo 36-bis, comma 3 del decreto-legge n.83 del 2012, attribuisce alle Autorità di Sistema Portuale la possibilità di richiedere la ridefinizione del perimetro di un Sito di Interesse Nazionale da bonificare (di cui all’articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006) qualora la ridefinizione del perimetro del sito riguarda una porzione ricadente nei limiti territoriali di competenza di un’Autorità di Sistema Portuale.

Per approfondire il tema delle bonifiche, si rinvia alla scheda dell’art. 39 del presente decreto-legge.

Da un punto di vista procedurale la richiesta può essere formulata previo parere degli enti locali interessati acquisito mediante una conferenza di servizi ai sensi dell’articolo 14-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241.

 

L’articolo 36-bis, comma 3, del decreto-legge n. 83 del 2012 prevede che su richiesta della regione interessata, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti gli enti locali interessati, può essere ridefinito il perimetro dei siti di interesse nazionale, fermo restando che rimangono di competenza regionale le necessarie operazioni di verifica ed eventuale bonifica della porzione di siti che, all'esito di tale ridefinizione, esuli dal sito di interesse nazionale.

 

 

 


Articolo 48, commi 4 e 5
(Disposizioni urgenti in materia di digitalizzazione della logistica portuale)

 

 

L’articolo 48, commi 4 e 5, introduce alcune modifiche agli interventi di finanziamento degli interventi per sviluppare la logistica portuale, in particolare prevedendo la destinazione delle risorse anche al completamento degli interventi e allo sviluppo dei nodi del Meridione. La disposizione prevede inoltre la ridefinizione del rapporto con UIRnet, per il completamento e l'implementazione della rete immateriale degli interporti.

 

In dettaglio il comma 4 modifica l’articolo 11-bis del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124, che disciplina il finanziamento degli interventi per la digitalizzazione della logistica portuale.

 

Si prevede in particolare, novellando il comma 1 del citato articolo (comma 4, lettera a):

·        un’autorizzazione di spesa pari 5 milioni di euro a decorrere dall’anno 2020 per finanziare le attività strettamente connesse alla digitalizzazione della logistica del Paese con particolare riferimento ai porti, agli interporti, alle ferrovie, all'autotrasporto, anche per garantire il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità del sistema di mobilità delle merci, nonché per il completamento degli investimenti, con particolare riferimento ai nodi (porti, interporti e piattaforme logistiche) del Mezzogiorno.

 

Tali risorse sono tratte dal Fondo per il finanziamento degli interventi di adeguamento dei porti, di cui all'articolo 18-bis, comma 1, della legge 28 gennaio 1994, n. 84.

Il Fondo è finalizzato ad agevolare la realizzazione delle opere previste nei piani regolatori portuali e nei piani operativi triennali e per il potenziamento della rete infrastrutturale e dei servizi nei porti e nei collegamenti stradali e ferroviari nei porti e gli investimenti necessari alla messa in sicurezza, alla manutenzione e alla riqualificazione strutturale degli ambiti portuali. Per approfondimenti relativi a tale Fondo si veda il paragrafo relativo all’autonomia finanziaria delle Autorità di sistema portuale, pubblicato sul Portale della documentazione, della Camera dei deputati.

 

Rispetto al testo vigente dell’articolo 11-bis, comma 1, è stata aggiunta la finalizzazione di tali risorse anche al completamento degli investimenti, con particolare riferimento ai nodi (porti, interporti e piattaforme logistiche) del Mezzogiorno.

 

Il comma 4, lettera c), aggiungendo un nuovo comma 2-bis all’articolo 11-bis del decreto – legge 26 ottobre 2019, n. 124, autorizza il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a ridefinire il rapporto convenzionale stipulato in attuazione dell’articolo 4-bis del decreto legge 29 dicembre 2016, n. 243, con La società UIRNet SpA, soggetto attuatore unico per la realizzazione e gestione della piattaforma per la gestione della rete logistica nazionale, riconoscendo, nei limiti dell’autorizzazione di spesa recata dal comma 2 del medesimo articolo 4-bis, i soli costi documentati e sostenuti alla data del 31 dicembre 2019.

La definizione di tale rapporto dovrà avvenire entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.

Le risorse che si renderanno disponibili a seguito della ridefinizione del rapporto convenzionale sono destinate alle finalità di digitalizzazione della logistica di cui al comma 1 del medesimo articolo 11-bis, come modificato dalla disposizione in commento.

 

L’articolo 4-bis del decreto-legge n. 243 del 2016 ha ad oggetto la diffusione della logistica digitale nel Mezzogiorno. In particolare la norma incrementa di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2022, il contributo per il completamento e l'implementazione della rete immateriale degli interporti previsto dall'articolo 2, comma 244, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (che aveva assegnato un contributo di 5 milioni di euro per il 2009 e di 10 milioni di euro per il 2010).

La realizzazione dell’intervento è affidata con una specifica convenzione per disciplinare l'utilizzo dei fondi, alla società UIRNet SpA, soggetto attuatore unico per la realizzazione e gestione della piattaforma per la gestione della rete logistica nazionale.

La finalità dell’intervento disposto era quella del completamento degli investimenti, con particolare riferimento ai nodi (porti, interporti e piattaforme logistiche) del Mezzogiorno, riducendo il divario digitale.

 

Conseguentemente il comma 4, lettera b), estende a tutte le disposizioni di cui all’articolo 11-bis la previsione secondo la quale Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti stipula con UIRnet apposito atto convenzionale per disciplinare l'utilizzo delle risorse ivi previste.

 

Il comma 5 prevede che per l’attuazione delle disposizioni del comma 4 il Ministero dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.

 

 

 


Articolo 48, commi 6 e 7
(Disposizioni in materia croceristica e in materia di regime IVA relativo alla locazione, anche finanziaria, e al noleggio di imbarcazioni da diporto)

 

 

L’articolo 48, commi 6 e 7, introduce disposizioni volte a sostenere il settore croceristico, autorizzando la possibilità di svolgere servizi di cabotaggio, per servizi esclusivamente croceristici, alle navi iscritte al registro internazionale, in deroga al divieto, generalmente previsto per tale tipologia di navi, di svolgere i servizi di cabotaggio marittimo (comma 6).

È inoltre introdotta una modifica volta a estendere la previsione dei criteri di effettività ai fini della determinazione della base imponibile ai servizi di locazione, anche finanziaria, noleggio e simili, non a breve termine, di imbarcazioni da diporto (comma 7).

 

In particolare il comma 6 stabilisce che le navi da crociera iscritte nel Registro Internazionale possono effettuare, fino al 31 dicembre 2020, servizi di cabotaggio marittimo, ai sensi dell’articolo 224 del Codice della navigazione, esclusivamente per servizi crocieristici in deroga all'articolo 1, comma 5, del decreto-legge 30 dicembre 1997, n. 457, che esclude le navi iscritte al registro internazionale, salvo alcune eccezioni, dalla possibilità di svolgere servizi di cabotaggio marittimo.

 

Le eccezioni al divieto di svolgere servizi di cabotaggio marittimo riguardano le navi da carico di oltre 650 tonnellate di stazza lorda e nei limiti di un viaggio di cabotaggio mensile quando il viaggio di cabotaggio segua o preceda un viaggio in provenienza o diretto verso un altro Stato, se si osservano i criteri di armamento delle citate navi previsti dall'articolo 2, comma 1, lettere b) e c) della legge n. 457 del 1997. Le predette navi possono effettuare servizi di cabotaggio nel limite massimo di sei viaggi mensili, o viaggi, ciascuno con percorrenza superiore alle cento miglia marine se osservano i criteri di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a), e comma 1-bis della medesima legge e, limitatamente alle navi traghetto ro-ro e ro-ro pax, iscritte nel registro internazionale, adibite a traffici commerciali tra porti appartenenti al territorio nazionale, continentale e insulare, anche a seguito o in precedenza di un viaggio proveniente da o diretto verso un altro Stato. In tal caso deve essere imbarcato esclusivamente personale italiano o comunitario.

 

È necessaria la stipula di un accordo tra le associazioni datoriali e sindacali firmatarie del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per il settore privato dell’industria armatoriale.

La finalità dell’intervento è quella di mitigare gli effetti negativi derivanti dalla diffusione del virus COVID- 19 e di salvaguardare i livelli occupazionali delle imprese esercenti attività crocieristica e di cabotaggio marittimo.

 

L’articolo 224 del Codice della navigazione riserva il servizio di cabotaggio fra i porti della Repubblica è riservato, agli armatori comunitari che impiegano navi registrate in uno Stato membro dell'Unione europea e che battono bandiera del medesimo Stato membro, sempre che tali navi soddisfino tutti i requisiti necessari per l'ammissione al cabotaggio in detto Stato membro.

I servizi di cabotaggio marittimo sono definiti, ai sensi del Regolamento n. 3577/92/CEE che ha liberalizzato i servizi di cabotaggio marittimo, come  i servizi normalmente assicurati dietro compenso e comprendenti in particolare: il "cabotaggio continentale", ossia il trasporto via mare di passeggeri o merci fra i porti situati sul continente o sul territorio principale di un solo e medesimo Stato membro senza scali su isole; i "servizi di approvvigionamento off-shore" ossia il trasporto via mare di passeggeri o merci fra i porti di uno Stato membro e le attrezzature o strutture situate sulla piattaforma continentale di tale Stato membro; il "cabotaggio con le isole" ossia il trasporto via mare di passeggeri o merci fra porti situati sul continente e su una o più isole di un solo e medesimo Stato membro e porti situati sulle isole di un solo e medesimo Stato membro.

 

Il comma 7 novellando i commi 725 e 726 della legge di bilancio 2020, introduce disposizioni in tema di regime IVA con riguardo alla localizzazione della prestazione.

In particolare, la lettera a) estende la previsione dei criteri di effettività ai fini della determinazione della base imponibile IVA (già previsti per i servizi di locazione a breve termine di imbarcazioni da diporto) ai servizi di locazione, anche finanziaria, noleggio e simili, non a breve termine, di imbarcazioni da diporto rese a committenti non soggetti passivi.

Pertanto, ai fini dell'applicazione dell’IVA per la prestazione dei servizi di locazione, anche finanziaria, noleggio e simili, anche non a breve termine, di imbarcazioni da diporto, l’effettiva utilizzazione e fruizione del servizio al di fuori della Unione europea va dimostrata attraverso adeguati mezzi di prova e non è presunta.

 

Si ricorda che il comma 725 della legge 27 dicembre 2019, n. 160, dispone che per prevenire casi di doppia imposizione, di non imposizione o di distorsione di concorrenza ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, il luogo della prestazione dei servizi di cui all'articolo 7-quater, comma 1, lettera e) (servizi di locazione, anche finanziaria, noleggio e simili, a breve termine, di mezzi di trasporto quando gli stessi sono messi a disposizione del destinatario nel territorio dello Stato e sempre che siano utilizzate all'interno del territorio dell’Unione) del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, di imbarcazioni da diporto si considera al di fuori dell'Unione europea qualora attraverso adeguati mezzi di prova sia dimostrata l'effettiva utilizzazione e fruizione del servizio al di fuori dell'Unione europea.

 

Con il provvedimento dell'Agenzia delle entrate  del 15 giugno 2020 sono individuati le modalità e i mezzi idonei a dimostrare l'effettiva fruizione e l'effettivo utilizzo del servizio al di fuori dell'Unione europea.

 

 

Inoltre il medesimo comma 7 (lettera b), prevede che la disposizione in questione si applichi dal 1° novembre 2020, anziché, come previsto dal testo precedentemente vigente de comma 726, dal 1° aprile 2020.

 

La disciplina quindi fa riferimento a criteri di effettività per determinare la base imponibile dei servizi da assoggettare a tassazione nello Stato, in sostituzione di quelli forfettari che, in via presuntiva e a fini di semplificazione, erano applicabili in base alla circolare n. 49/E del 7 giugno 2002 dell’Agenzia delle entrate  che aveva fornito le indicazioni necessarie per l'applicazione della disposizione richiamata.

 

In particolare la circolare specificava che considerato che la rilevanza territoriale ai fini dell’assoggettamento ad IVA delle predette prestazioni è limitata all'utilizzo dei mezzi di trasporto in acque territoriali unionali, e tenuto conto della obiettiva difficoltà a seguire con precisione gli spostamenti degli stessi, si è ritenuto utile enucleare alcune percentuali presuntive di tassazione dei relativi corrispettivi basate sulla lunghezza e sul tipo di propulsione.

Tale interpretazione era stata oggetto tuttavia di rilevi da parte dell’Unione europea che, con il parere motivato del 25 luglio 2019 della Commissione europea, ha stabilito che l'attuale normativa UE in materia di IVA autorizza esenzioni fiscali per i servizi quando l'uso e la fruizione effettivi hanno luogo al di fuori dell'Unione, ma non consente di applicare una riduzione forfettaria generale senza una prova del luogo in cui il servizio è effettivamente utilizzato. La Commissione rileva che la base IVA applicabile non può essere determinata attraverso l’applicazione di percentuali indicative del presumibile utilizzo delle imbarcazioni al di fuori delle acque territoriali dell'Unione basate sulla lunghezza e sul tipo di propulsione dell'imbarcazione. Un’applicazione estesa della deroga prevista dall’articolo 59-bis della Direttiva IVA non può costituire la base giuridica di una normativa, come quella italiana, che prevede l’applicazione di percentuali forfettarie di navigazione al di fuori delle acque territoriali dell’Unione europea, senza che sia dimostrato in maniera puntuale il luogo di effettiva utilizzazione.

 


Articolo 49
(Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle infrastrutture stradali ed autostradali)

 

 

L’articolo 49 opera una revisione complessiva della disciplina del sistema di monitoraggio dinamico per la sicurezza di ponti e viadotti e opere similari su strade e autostrade, introdotta dall’art. 14 del D.L. 109/2018 (comma 4). Tale disciplina viene inoltre integrata (dal medesimo comma 4) con la previsione di linee guida per il mantenimento in sicurezza sia per ponti, viadotti e opere similari, che (ai sensi dei commi 1-3) per le gallerie della rete stradale e autostradale. Ulteriori disposizioni sono recate (dal comma 5) per disciplinare la titolarità, in caso di attraversamento a livelli sfalsati tra due strade appartenenti a enti diversi, delle strutture che realizzano l'opera d'arte principale del sottopasso o sovrappasso, comprese le barriere di sicurezza nei sovrappassi.

 

Linee guida per il mantenimento in sicurezza delle gallerie stradali e autostradali (commi 1-3)

I commi 1 e 2 dell’articolo in esame, al fine di assicurare l’omogeneità della classificazione e gestione del rischio, della valutazione della sicurezza e del monitoraggio delle gallerie esistenti lungo la rete stradale e autostradale, prevedono l’adozione di linee guida in materia di programmazione ed esecuzione delle attività di indagine sullo stato di conservazione delle gallerie esistenti lungo le infrastrutture stradali, nonché di esecuzione delle ispezioni e di programmazione degli interventi di manutenzione e di messa in sicurezza delle stesse.

In particolare è prevista l’adozione di due diverse linee guida riguardanti:

- le strade statali o autostrade gestite da Anas S.p.A. o da concessionari autostradali (comma 1);

- le altre infrastrutture stradali (comma 2), vale a dire, in linea di massima, le infrastrutture stradali di competenza di regioni ed enti locali.

 

L’approvazione di tali linee guida deve avvenire con appositi decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici. Il comma 1 prevede che il decreto di approvazione sia adottato entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge.

Si osserva che il comma 2 non fissa invece un termine per l’approvazione delle linee guida relative alle infrastrutture stradali regionali e locali.

 

Per l’emanazione del decreto volto ad approvare le linee guida relative alle infrastrutture stradali regionali e locali, il comma 2 impone la preventiva acquisizione dell’intesa in sede di Conferenza unificata.

 

Nelle more dell’adozione dei decreti citati, il comma 3 stabilisce che:

- continuano ad applicarsi le vigenti disposizioni in materia di ispezioni delle gallerie stradali ed autostradali;

La relazione illustrativa ricorda che il riferimento è alla circolare n. 6736/61/A1 emanata in data 19 luglio 1967 dal Ministero dei Lavori Pubblici, nonché alle ulteriori successive istruzioni operative

- resta ferma la possibilità per il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di individuare specifiche misure e modalità di effettuazione delle ispezioni, in presenza di particolari situazioni di urgenza.

 

Le linee guida, una volta emanate, si affiancheranno a quelle emanate relativamente alla sicurezza dei ponti. Come evidenziato nel comunicato web del 6 maggio 2020, l’Assemblea generale del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici “ha approvato le Linee guida per la classificazione e gestione del rischio, la valutazione della sicurezza ed il monitoraggio dei ponti esistenti. Predisposte dal Gruppo di lavoro istituito ad hoc presso lo stesso Consiglio Superiore, le linee guida saranno oggetto di una applicazione sperimentale in relazione al sistema di monitoraggio anche dinamico dei ponti e viadotti. All'esito di tale sperimentazione, che avverrà sotto la guida dello stesso Consiglio Superiore, le linee guida potranno fornire uno strumento avanzato, univoco ed uniforme per tutti i gestori sul territorio nazionale che, superando il concetto del semplice censimento dei ponti esistenti, mediante un approccio generale, multilivello, multicriterio e multiobiettivo, consentirà la determinazione di una ‘classe di attenzione’ per la gestione del rischio e la verifica di sicurezza delle infrastrutture. Da subito le linee guida costituiranno, inoltre, il riferimento per l'adozione, da parte di ANAS e dei concessionari autostradali, delle azioni da porre in essere in ordine all'approfondimento e alla frequenza delle ispezioni, alla programmazione temporale degli interventi nonché agli eventuali provvedimenti di limitazioni del traffico”.

In relazione a tali linee guida sul monitoraggio dei ponti, nel documento consegnato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti nel corso della sua audizione del 6 maggio 2020 presso l’VIII Commissione (Ambiente) della Camera, si legge che “una volta adottate, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti provvederà ad avviare la sperimentazione del monitoraggio dinamico attraverso l’impiego di apparati per il controllo strumentale costante delle condizioni di sicurezza delle infrastrutture, peraltro previsto dall’articolo 14 del citato decreto-legge n. 109 del 2018”.

Si ricorda che l’art. 14 del D.L. 109/2018 ha demandato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il compito di sovraintendere alla realizzazione e gestione, in via sperimentale, di un sistema di monitoraggio dinamico da applicare alle infrastrutture stradali e autostradali, quali ponti, viadotti, rilevati, cavalcavia e opere similari, individuate dal Ministero stesso con apposito decreto, che presentano condizioni di criticità connesse al passaggio di mezzi pesanti.

Si ricorda altresì che con il D.Lgs. 264/2006, in attuazione della direttiva 2004/54/CE relativa ai requisiti minimi di sicurezza per le gallerie della rete stradale transeuropea, sono state dettate disposizioni finalizzate a garantire un livello minimo sufficiente di sicurezza agli utenti della strada nelle gallerie della rete stradale transeuropea di lunghezza superiore a cinquecento metri già in esercizio, in fase di costruzione o allo stato di progetto. Lo stesso decreto disciplina le funzioni e i poteri ispettivi che, dall’art. 12, comma 4-bis, del D.L. 109/2018, sono stati attribuiti all’ANSFISA. Lo stesso comma prevede che le funzioni e poteri ispettivi citati sono esercitati dall'ANSFISA anche per garantire la sicurezza delle gallerie situate sulle strade non appartenenti alla rete stradale transeuropea. Viene altresì demandata ad un apposito decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'interno e con il Ministero dell'economia e delle finanze, la definizione dei requisiti minimi di sicurezza delle gallerie situate sulle strade non appartenenti alla rete stradale transeuropea, gli obblighi dei soggetti gestori e le relative sanzioni in caso di inosservanza delle disposizioni impartite dall'Agenzia, nonché i profili tariffari a carico dei gestori stessi, determinati sulla base del costo effettivo del servizio.

 

Monitoraggio dinamico per la sicurezza di ponti e viadotti e opere similari su strade e autostrade (comma 4)

Il comma 4 riscrive i primi tre commi dell’art. 14 del D.L. 109/2018 con i quali è stato introdotto in via sperimentale un sistema di monitoraggio dinamico da applicare alle infrastrutture stradali e autostradali, quali ponti, viadotti, rilevati, cavalcavia e opere similari, che presentano condizioni di criticità connesse al passaggio di mezzi pesanti.

Le due principali innovazioni apportate dalla riscrittura consistono:

·      nella limitazione dell’ambito di applicazione del sistema. Il nuovo testo prevede infatti che il sistema in questione non riguarda tutte le strade e le autostrade ma solamente le strade statali o autostrade gestite da Anas S.p.A. o da concessionari autostradali.

·      nell’introduzione di nuove disposizioni volte a prevedere e disciplinare l’adozione di due linee guida finalizzate ad assicurare l’omogeneità della classificazione e gestione del rischio, della valutazione della sicurezza e del monitoraggio di ponti, viadotti, rilevati, cavalcavia e opere similari, collocati, rispettivamente:
- sulle strade e sulle autostrade di cui al punto precedente (linee guida previste dal nuovo testo del primo periodo del comma 1 dell’art. 14)
- o lungo infrastrutture stradali non gestite da Anas né da concessionari autostradali, vale a dire le infrastrutture stradali di competenza di regioni ed enti locali (linee guida previste dal nuovo comma 2 dell’art. 14).
La norma in esame sembra finalizzata a fornire una copertura legislativa esplicita alle linee guida recentemente approvate dal Consiglio superiore dei lavori pubblici ed illustrate nel commento ai commi 1-3 dell’articolo in esame.

Relativamente alle modalità di adozione delle linee guida, le citate disposizioni prevedono l’emanazione di due distinti decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da adottarsi previo parere del Consiglio Superiore dei lavori pubblici e sentito il Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri.

Il primo periodo del comma 1 dell’art. 14 prevede che il decreto ministeriale di adozione sia emanato entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge.

Si osserva che il nuovo testo del comma 2 dell’art. 14 non fissa invece un termine per l’approvazione delle linee guida relative alle infrastrutture stradali regionali e locali.

Si fa altresì notare che, per l’emanazione del decreto volto all’adozione delle linee guida relative alle infrastrutture stradali regionali e locali, il nuovo testo del comma 2 dell’art. 14 impone la preventiva acquisizione dell’intesa in sede di Conferenza unificata.

Si sottolinea, inoltre, che il nuovo testo del comma 2 dell’art. 14 prevede altresì che il decreto ministeriale di adozione delle linee guida definisca anche le modalità della partecipazione dei soggetti gestori (quindi di regioni ed enti locali), nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente, alla sperimentazione del sistema di monitoraggio dinamico previsto dal comma 1 del medesimo articolo.

Ciò parrebbe dimostrare come la effettiva limitazione del campo di applicazione di cui si è detto in precedenza dipenderà dalle modalità di partecipazione che verranno stabilite dal decreto ministeriale in questione. Occorre inoltre notare che il nuovo testo del comma 3 prevede che tutti i gestori (quindi presumibilmente anche regioni ed enti locali) devono fornire i dati occorrenti per l'operatività a regime del sistema di monitoraggio dinamico.

Ciò premesso, si valuti quindi l’opportunità di chiarire l’ambito di applicazione effettivo del sistema di monitoraggio dinamico in questione.

Si fa notare, in proposito, che, come ricordato nel documento consegnato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti nel corso della sua audizione del 6 maggio 2020 presso l’VIII Commissione della Camera, l’ANAS è chiamata a svolgere, sulla propria rete infrastrutturale, “periodiche attività ispettive secondo specifiche procedure integrate con parametri basati sulla vetustà e sullo stato di degrado dell’opera, nonché sull’entità del traffico veicolare”[48]. Nello stesso documento viene sottolineato che “il Ministero ha richiesto ad ANAS di effettuare sorveglianza periodica trimestrale su tutte le opere di scavalco non facenti parte del proprio patrimonio[49], estendendo le verifiche annuali a quelle opere di evidente criticità. Conseguentemente la società dovrà estendere le attività di sorveglianza ed ispettive ad ulteriori 3 mila opere d’arte, la maggior parte delle quali di competenza di piccoli comuni”.

 

Un’ulteriore modifica degna di nota riguarda la realizzazione e gestione del sistema dinamico di monitoraggio.

A differenza del testo previgente, che si limita ad affidare al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il ruolo di sovraintendere al sistema, il nuovo testo del secondo periodo del comma 1 dell’art. 14 prevede che le citate modalità sono demandate al medesimo decreto previsto dal primo periodo del comma 1 per l’adozione delle linee guida. Un’altra novità si riscontra nel fatto che la realizzazione e la gestione del sistema sono affidate al Consiglio superiore dei lavori pubblici, in collaborazione con gli enti del sistema nazionale di protezione civile.

In relazione alla durata del periodo di sperimentazione del sistema, il nuovo testo prevede un periodo non inferiore ai 12 mesi già previsti dal testo previgente.

 

L’ultima modifica riguarda il testo del previgente comma 2 dell’art. 14 (comma 3 nel nuovo testo) ove si prevede, al termine del periodo di sperimentazione, che con apposito decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sono definiti i termini e le modalità con cui i soggetti che a qualsiasi titolo gestiscono infrastrutture stradali e autostradali forniscono al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti i dati occorrenti per l'operatività a regime del sistema di monitoraggio dinamico.

Tale previsione, già recata dal testo previgente, viene integrata al fine di:

- precisare che le modalità di emanazione del decreto sono le stesse previste dal nuovo testo del comma 2, vale a dire che non è richiesta solo la previa intesa in sede di Conferenza unificata (come prevede il testo previgente) ma anche il previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici e del Dipartimento della protezione civile;

- stabilire che con lo stesso decreto ministeriale sono approvati gli adeguamenti alle linee guida di cui ai commi 1 e 2.

 

La relazione tecnica sottolinea, in relazione alla norma in esame, che “rimane invariata la finalità della spesa e gli interventi previsti saranno realizzati con le risorse disponibili a legislazione vigente sul capitolo 7130 (autorizzazione di spesa di cui all’articolo 14 del decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109, convertito con modificazioni dalla legge 16 novembre 2018, n. 130) pari a complessivi 15 milioni di euro di cui 10 milioni di euro disponibili in conto residui relativi all’anno 2019 e non ancora impegnati, né preordinati ad altra finalità, e 5 milioni di euro in conto competenza relativi all’anno 2020, non ancora impegnati, né preordinati ad altra finalità”. Si precisa che la disposizione a cui fa riferimento la relazione tecnica è contenuta nel comma 5 dell’art. 14 del D.L. 109/2018.

 

Titolarità di sottopassi e sovrappassi (comma 5)

Il comma 5 integra il disposto dell’art. 25 del Codice della strada (D.Lgs. 285/1992), che disciplina la realizzazione di opere sopra o sotto la sede stradale (ivi inclusi sottopassi e sovrappassi), con l’aggiunta di quattro commi (da 1-bis a 1-quinquies) finalizzati a disciplinare la titolarità, in caso di attraversamento a livelli sfalsati[50] tra due strade appartenenti a enti diversi, delle strutture che realizzano l'opera d'arte principale del sottopasso o sovrappasso, comprese le barriere di sicurezza nei sovrappassi.

La relazione illustrativa sottolinea che “il crollo del cavalcavia di Annone sulla S.S. n. 36 in provincia di Lecco, ha evidenziato la criticità della mancanza di una specifica disciplina per le opere che realizzano l'interferenza tra due strade di enti proprietari diversi” e che l’assenza di una disciplina di rango primario “non solo determina che le interferenze di nuova realizzazione non possano essere certamente attribuite in modo univoco ad uno specifico ente gestore, ma anche che per tutte le opere d'arte che realizzano le interferenze esistenti si debbano ricercare negli archivi storici gli atti convenzionali relativi alla loro costruzione per risalire all'ente titolare delle strutture su cui ricade la responsabilità della gestione e manutenzione. Conseguentemente, mediante la disposizione in parola si procede ad inserire nell’articolo 25 del Codice della strada una disciplina specifica e puntuale, finalizzata ad individuare, anche in relazione alle strutture esistenti ed in modo assolutamente univoco, la titolarità delle strutture de quibus”.

Si fa altresì notare che la norma in esame appare funzionale all’attivazione del sistema di monitoraggio di cui al precedente comma 4. Nel documento consegnato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti nel corso della sua audizione del 6 maggio 2020 presso l’VIII Commissione della Camera si legge che “a seguito di specifica richiesta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ANAS ha inserito anche ponti, viadotti e cavalcavia di incerta titolarità” nel proprio programma di ispezione. La norma in esame sembra quindi finalizzata a “sanare” questa provvisoria attribuzione di competenze.

 

Il nuovo comma 1-bis dell’art. 25 del Codice della strada prevede che, nel caso di attraversamento testé menzionato e ferma restando l’obbligatorietà della concessione prevista dal comma 1, le strutture che realizzano l'opera d'arte principale del sottopasso o sovrappasso, comprese le barriere di sicurezza nei sovrappassi, sono di titolarità dell'ente che rilascia la concessione qualora la strada interferita sia di tipo superiore, con riferimento ai tipi definiti dall’articolo 2, comma 2, a quello della strada interferente.

Secondo la relazione illustrativa “qualora la strada sottostante interferita sia di rango superiore (come avviene nella maggioranza dei casi), si ritiene necessario, in quanto più efficiente e funzionale ma soprattutto per ragioni di sicurezza stradale, attribuire la titolarità delle opere di interferenza all'ente principale, maggiormente in grado di garantire l'adeguata manutenzione ordinaria e straordinaria delle stesse”.

Si ricorda che il comma 1 dell’art. 25 dispone, tra l’altro, che non possono essere effettuati, senza preventiva concessione dell'ente proprietario, attraversamenti od uso della sede stradale e relative pertinenze con corsi d'acqua, condutture idriche, linee elettriche e di telecomunicazione, sia aeree che in cavo sotterraneo, sottopassi e soprappassi, teleferiche di qualsiasi specie, gasdotti, serbatoi di combustibili liquidi, o con altri impianti ed opere, che possono comunque interessare la proprietà stradale.

In riferimento ai tipi di strade richiamati dal comma 1-bis, si ricorda che l’art. 2, comma 2, del Codice della strada prevede la classificazione delle strade, riguardo alle loro caratteristiche costruttive, tecniche e funzionali, nei seguenti tipi:

A - Autostrade;

B - Strade extraurbane principali;

C - Strade extraurbane secondarie;

D - Strade urbane di scorrimento;

E - Strade urbane di quartiere;

F - Strade locali;

F-bis - Itinerari ciclopedonali.

Il successivo comma 3 indica le caratteristiche minime che identificano le diverse tipologie stradali.

 

Il comma 1-ter disciplina, per ragioni di sicurezza e di importanza dei flussi di traffico, la titolarità di sottopassi e sovrappassi in alcuni casi particolari, prevedendo che:

a)        le strutture dei sottopassi e sovrappassi di strade di tipo A e B con strade di tipo inferiore, comprese le barriere di sicurezza nei sovrappassi, sono di titolarità degli enti proprietari delle strade di tipo A e B, anche quando tali enti rilasciano la concessione all'attraversamento;

b)        nel caso di attraversamento tra strada di tipo A e strada di tipo B, le strutture dei sottopassi e sovrappassi, comprese le barriere di sicurezza nei sovrappassi, sono di titolarità dell'ente proprietario della strada di tipo A;

c)        nel caso di attraversamento tra strade di tipo A appartenenti a enti diversi, la titolarità delle strutture dei sottopassi e sovrappassi, comprese le barriere di sicurezza nei sovrappassi, è indicata nell’atto di concessione di cui al comma 1, che va rinnovato o rilasciato se privo di tale indicazione;

d)        nel caso di attraversamento tra strade di tipo C appartenenti a enti diversi, la titolarità delle strutture dei sottopassi e sovrappassi, comprese le barriere di sicurezza nei sovrappassi, è indicata, con preferenza per l’ente cui appartiene la strada di interesse nazionale, nell’atto di concessione di cui al comma 1, che va rinnovato o rilasciato se privo di tale indicazione.

 

Il comma 1-quater, fermo quanto previsto dai precedenti commi 1-bis e 1-ter, prevede che la titolarità delle strutture delle opere d'arte dei sottopassi e sovrappassi, comprese le barriere di sicurezza nei sovrappassi, è indicata in appositi atti convenzionali:

- stipulati tra gli enti proprietari o tra i gestori delle strade interessate dall’attraversamento a livello sfalsato.

- con cui vengono disciplinati, in relazione alle nuove strutture ovvero a quelle esistenti alla data di entrata in vigore della presente disposizione, modalità e oneri di realizzazione, gestione e manutenzione a carico dell’ente titolare della strada interferente.

La relazione illustrativa sottolinea che gli oneri dovrebbero rimanere a carico degli enti che “hanno richiesto la realizzazione del cavalcavia, poiché di loro esclusivo interesse” e che l’approccio adottato dalla norma in esame “è già adottato da alcune concessionarie autostradali, sulla base di atti convenzionali che, caso per caso, e senza alcun criterio univoco, definiscono oneri e responsabilità delle parti, interferente ed interferita”.

 

Il comma 1-quinquies prevede che, in relazione ai sottopassi e sovrappassi stradali esistenti, gli enti proprietari della strada interferita e di quella interferente provvedono, ove necessario anche mediante trasferimento della titolarità delle opere d’arte da realizzarsi senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, a dare attuazione alle previsioni dei commi precedenti (1-bis, 1-ter e 1-quater) entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.

Lo stesso comma impone agli enti proprietari, nonché ai gestori dei medesimi di procedere, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, alla formazione e all’aggiornamento degli elenchi dei sottopassi e sovrappassi, di cui risultano o divengano titolari in attuazione dei commi precedenti (1-bis, 1-ter e 1-quater).


Articolo 50
(Razionalizzazione delle procedure di valutazione dell'impatto ambientale)

 

 

L’articolo 50 apporta una lunga serie di modifiche alla disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA) contenuta nella parte seconda del d.lgs. 152/2006 (Codice ambientale) volte a perseguire principalmente l’accelerazione delle procedure, soprattutto tramite una riduzione dei termini previgenti (in particolare nell’ambito dei procedimenti di verifica di assoggettabilità a VIA e di rilascio del provvedimento unico ambientale; co. 1, lett. f), n) e o)) e la creazione di una disciplina specifica per la valutazione ambientale, in sede statale, dei progetti necessari per l’attuazione del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (co. 1, lett. c), d) e m)). Diverse modifiche sono inoltre finalizzate ad allineare la disciplina nazionale a quella europea al fine di superare la procedura di infrazione n. 2019/2308 (lett. c), e), l), q) e r)).

Ulteriori modifiche riguardano: la definizione dei contenuti del progetto e dello studio di impatto ambientale (co. 1, lett. a), g) e h)); il coordinamento tra le procedure di VIA e VAS (co. 1, lett. b)); la fase di avvio del procedimento di VIA (co. 1, lett. i)); la disciplina degli Osservatori ambientali per le verifiche di ottemperanza al provvedimento di VIA (co. 1, lett. p), e co. 2); la formazione del personale di supporto della Direzione generale del Ministero dell’ambiente competente in materia di valutazioni e autorizzazioni ambientali (co. 4).

 

Di seguito si illustra il dettaglio delle modifiche.

Si ricorda che la citata disciplina della VIA è stata profondamente modificata, con il d.lgs. 104/2017, al fine di recepire le modifiche apportate, alla legislazione europea in materia, dalla direttiva 2014/52/UE.

Tale recepimento non è stato tuttavia giudicato del tutto adeguato dalla Commissione europea, che in data 12 febbraio 2020 ha avviato, con una lettera di costituzione in mora ai sensi dell’articolo 258 del TFUE, una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia (n. 2019/2308) per non conformità alla normativa europea in materia di valutazione dell'impatto ambientale.

Ad avviso della Commissione. la direttiva 2011/92/UE, come modificata dalla direttiva 2014/52/UE non è correttamente recepita dal decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, e dal successivo decreto legislativo n. 104 del 16 giugno 2017, adottato sulla base della legge delega n. 114/2015, che ha introdotto significative modifiche alla parte seconda del citato decreto legislativo n. 152 del 2006. 

La Commissione ritiene che l’Italia non abbia ottemperato ad alcuni obblighi previsti dalla direttiva riguardanti: le modalità di consultazione del pubblico; la disciplina delle consultazioni transfrontaliere nel caso di progetti proposti in Italia che possano interessare altri Stati membri; la comunicazione di informazioni pratiche sull'accesso al ricorso amministrativo o giurisdizionale; le misure per evitare i conflitti di interesse. 

 

 

Definizione dei contenuti del progetto (co. 1, lett. a), nn. 1)-2), e g))

Il numero 1) della lettera a) del comma 1 dell’articolo in esame interviene sulle definizioni recate dall’art. 5 del Codice ambientale, precisando che, per l’avvio del procedimento, il proponente è tenuto alla presentazione del progetto di fattibilità o, ove disponibile, del progetto definitivo, in luogo degli “elaborati progettuali” a cui fa generico riferimento il testo previgente.

Si ricorda che il testo previgente si limita infatti a prevedere, in particolare, che, ai fini del rilascio del provvedimento di VIA, gli elaborati progettuali presentati dal proponente sono predisposti con un livello informativo e di dettaglio almeno equivalente a quello del progetto di fattibilità.

 

Viene inoltre precisato che il progetto presentato deve in ogni caso consentire la compiuta valutazione dei contenuti dello studio di impatto ambientale ai sensi dell’allegato IV della direttiva VIA (direttiva 2011/92/UE) e non, come prevede genericamente il testo previgente, “degli impatti ambientali”.

Si fa notare che il testo previgente prevede infatti che gli elaborati progettuali abbiano un livello tale da consentire la compiuta valutazione degli impatti ambientali in conformità con quanto definito in esito alla procedura di cui all'articolo 20.

Le disposizioni del testo previgente dell’art. 20 del Codice prevedono una procedura che, attraverso il confronto tra proponente e autorità competente, consente di definire la portata delle informazioni e il livello di dettaglio degli elaborati progettuali necessari allo svolgimento del procedimento di VIA. Tale articolo viene riscritto dalla lettera g) del comma 1 dell’articolo in esame (v. infra) al fine di configurare tale procedura non solo come facoltativa ma anche come esterna al procedimento in questione.

 

Per quanto evidenziato quindi, le norme in esame consentono l’accelerazione del procedimento di valutazione ambientale in quanto eliminano (rendendola esterna al procedimento stesso) la fase, contemplata dal previgente art. 20, finalizzata alla definizione del dettaglio informativo degli elaborati progettuali. In luogo di tale fase viene imposto al proponente di presentare un progetto (di fattibilità o definitivo) che deve in ogni caso consentire la compiuta valutazione dei contenuti dello studio di impatto ambientale ai sensi dell’allegato IV della direttiva VIA (direttiva 2011/92/UE).

La relazione illustrativa sottolinea che “il minor livello di dettaglio degli elaborati progettuali previsto a legislazione vigente incide sulla qualità dello studio di impatto ambientale presentato dai proponenti per l’avvio del procedimento di VIA … con conseguenti ritardi nella procedura dovendo l’Amministrazione richiedere al proponente ulteriori elementi di dettaglio sulle caratteristiche del progetto al fine di poterne valutare compiutamente gli impatti sull’ambiente. Con la proposta in esame, viene rafforzato il livello di dettaglio della progettazione su cui si basa lo studio di impatto ambientale, lasciando comunque al proponente la facoltà di scelta del livello più idoneo per valutare la significatività degli impatti ambientali. Inoltre, in luogo della ‘compiuta valutazione degli impatti ambientali’ in conformità all’articolo 20 (che identifica una specifica, ulteriore procedura per la definizione del livello di dettaglio degli elaborati progettuali ai fini del procedimento di VIA), viene fatto diretto riferimento al fatto che il progetto presentato deve essere comunque tale da consentire la compiuta valutazione dei contenuti dello studio di impatto ambientale che, a sua volta, di fatto rappresenta il documento su cui si concentra l’esame da parte dell’autorità competente ai fini della valutazione dell’impatto ambientale del progetto proposto, nonché unico elaborato previsto dalla vigente normativa europea”.

 

In relazione alla normativa europea precedente richiamata, si ricorda che l’art. 5 della direttiva VIA dispone che, quando è richiesta una valutazione d'impatto ambientale, il committente prepara e trasmette un rapporto di valutazione dell'impatto ambientale. Le informazioni che il committente deve fornire comprendono almeno:

a) una descrizione del progetto, comprendente le informazioni relative alla sua ubicazione e concezione, alle sue dimensioni e alle sue altre caratteristiche pertinenti;

b) una descrizione dei probabili effetti significativi del progetto sull'ambiente:

c) una descrizione delle caratteristiche del progetto e/o delle misure previste per evitare, prevenire o ridurre e, possibilmente, compensare i probabili effetti negativi significativi sull'ambiente;

d) una descrizione delle alternative ragionevoli prese in esame dal committente, adeguate al progetto e alle sue caratteristiche specifiche, con indicazione delle ragioni principali alla base dell'opzione scelta, prendendo in considerazione gli effetti ambientali;

e) una sintesi non tecnica delle informazioni di cui alle lettere da a) a d);

f) qualsiasi informazione supplementare di cui all'allegato IV relativa alle caratteristiche peculiari di un progetto specifico o di una tipologia di progetto e dei fattori ambientali che possono subire un pregiudizio.

 

L’allegato IV elenca e dettaglia le informazioni per il rapporto di valutazione dell'impatto ambientale, in particolare facendo riferimento alle descrizioni: del progetto; delle alternative ragionevoli; degli aspetti pertinenti dello stato attuale dell'ambiente e della sua probabile evoluzione; dei metodi di previsione o dei dati utilizzati per individuare e valutare gli effetti significativi sull'ambiente; delle misure previste per evitare, prevenire, ridurre o, se possibile, compensare gli effetti negativi significativi del progetto sull'ambiente.

Le disposizioni dell’allegato IV citato sono recepite, a livello nazionale, nell’allegato VII alla parte seconda del Codice ambientale.

Si ricorda che a tale allegato VII rinvia, per i contenuti dello studio di impatto ambientale, la definizione di “studio di impatto ambientale” recata dall’art. 5 del Codice ambientale.

 

Il numero 2) della lettera a) reca una disposizione di coordinamento formale conseguente alle modifiche operate dal numero 1).

 

 

Come si è già avuto modo di sottolineare in precedenza, la lettera g) del comma 1 provvede a riscrivere l’art. 20 del Codice ambientale, che disciplina una fase di confronto (attivabile su richiesta del proponente) con l'autorità competente finalizzata a definire la portata delle informazioni e il livello di dettaglio degli elaborati progettuali necessari allo svolgimento del procedimento di VIA.

Nella riscrittura, la lettera in esame apporta le seguenti modifiche:

- viene precisato che l’istanza può essere presentata dal proponente non in qualunque momento (come previsto dal testo previgente), ma prima di presentare il progetto, quindi sostanzialmente prima dell’avvio del procedimento; la fase in questione viene quindi resa esterna al procedimento di valutazione ambientale;

- viene stabilito che l’oggetto del confronto è la definizione della portata e del livello di dettaglio delle informazioni necessarie da considerare per la redazione dello studio di impatto ambientale e non (come previsto dal testo previgente) degli elaborati progettuali;

- viene eliminato il termine di 30 giorni (previsto dal testo previgente) entro il quale l’autorità competente deve pronunciarsi. La motivazione sembra da ricercarsi nel fatto che, essendo la fase facoltativa ed esterna al procedimento di valutazione ambientale, anche in caso di mancata pronuncia dell’autorità competente, il proponente può comunque attivare il procedimento.

 

 

Condizione ambientale del provvedimento di VIA (co. 1, lett. a), n. 3))

Il numero 3) della lettera a) del comma 1 dell’articolo in esame reca la modifica della definizione di “condizione ambientale del provvedimento di VIA” (recata dalla lettera o-quater) del comma 1 dell’art. 5 del Codice ambientale), al fine di precisare che tale condizione vincolante non definisce solamente i requisiti per la realizzazione del progetto o l'esercizio delle relative attività, o le misure previste per evitare, prevenire, ridurre e, se possibile, compensare gli impatti ambientali significativi e negativi nonché, ove opportuno, le misure di monitoraggio (come già previsto dal testo previgente), ma anche le linee di indirizzo da seguire nelle successive fasi di sviluppo progettuale delle opere per garantire l’applicazione di criteri ambientali atti a contenere e limitare gli impatti ambientali significativi e negativi o incrementare le prestazioni ambientali del progetto.

La relazione illustrativa sottolinea che la finalità della norma in esame è quella “di definire un più efficace procedimento di vigilanza e controllo degli impatti ambientali durante tutto l’iter di approvazione di un progetto, atteso che, successivamente all’emanazione del provvedimento di VIA o di verifica di assoggettabilità a VIA, il progetto potrebbe essere sottoposto a successive fasi progettuali, nonché ad ulteriori procedimenti di carattere autorizzativo”.

 

Coordinamento tra VIA e VAS (co. 1, lett. b), nn. 1) e 3))

Il numero 1) della lettera b) integra il disposto dell’art. 6, comma 3-ter, del Codice ambientale, ove sono dettate disposizioni di coordinamento tra le procedure di VIA e VAS e di semplificazione inerenti a progetti di opere e interventi da realizzarsi nell'ambito del Piano regolatore portuale, al fine di estendere l’ambito di applicazione delle stesse anche ai progetti di opere e interventi da realizzarsi nell’ambito del Piano di sviluppo aeroportuale.

La norma previgente dispone che per i progetti di opere e interventi da realizzarsi nell'ambito del Piano regolatore portuale, già sottoposti ad una valutazione ambientale strategica (VAS), e che rientrano tra le categorie per le quali è prevista la VIA, costituiscono dati acquisiti tutti gli elementi valutati in sede di VAS o comunque desumibili dal Piano regolatore portuale. Qualora il Piano regolatore portuale ovvero le rispettive varianti abbiano contenuti tali da essere sottoposti a VIA nella loro interezza secondo le norme europee, tale valutazione è effettuata secondo le modalità e le competenze previste dalla Parte Seconda del presente decreto ed è integrata dalla VAS per gli eventuali contenuti di pianificazione del Piano e si conclude con un unico provvedimento.

Tale disposizione viene integrata estendendo ogni riferimento al piano regolatore portuale anche al piano di sviluppo aeroportuale.

La relazione illustrativa ricorda che “i Piani di sviluppo aeroportuali rientrano tra le tipologie progettuali di cui all’Allegato II alla Parte Seconda del citato decreto n. 152/2006” (si ricorda in proposito il n. 10) dell’allegato II che assoggetta a VIA statale i progetti di aeroporti con piste di atterraggio superiori a 1.500 metri di lunghezza) e che “le procedure di approvazione dei Piani di sviluppo aeroportuali avvengono ai sensi dell’articolo 1, comma 6, della legge n. 351/1995”.

In realtà il riferimento è da intendersi all’art. 1, comma 6, del D.L. 251/1995 (convertito dalla L. 351/1995), ove si dispone che “per l'esecuzione dei lavori aeroportuali finanziati dallo Stato, il Ministero dei trasporti e della navigazione - Direzione generale dell'aviazione civile provvede con le proprie strutture tecniche all'approvazione dei progetti. I piani di sviluppo aeroportuale, approvati dal Ministero dei trasporti e della navigazione - Direzione generale dell'aviazione civile, d'intesa con il Ministero dei lavori pubblici (…,) comprendono la verifica di compatibilità urbanistica e comportano dichiarazione di pubblica utilità, nonché di indifferibilità e di urgenza, e variante agli strumenti urbanistici esistenti. L'approvazione di detti piani comprende ed assorbe, a tutti gli effetti, la verifica di conformità urbanistica delle singole opere in essi contenute”.

 

 

Il numero 3) della lettera b) modifica il comma 12 dell’art. 6 del Codice ambientale, che (ferma restando l’applicazione della disciplina di VIA) esclude la VAS per la localizzazione di singole opere i cui provvedimenti di autorizzazione comportano modifiche di piani elaborati per la pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, al fine di:

- chiarire che il riferimento alla pianificazione territoriale deve intendersi riferito a quella urbanistica;

- estendere l’applicazione del comma 12 in questione anche ai piani regolatori portuali e ai piani di sviluppo aeroportuale (cioè dei piani di cui al comma 3-ter, poc’anzi commentato).

La relazione illustrativa sottolinea che tale estensione è giustificata dal fatto che “per tali piani la procedura di VAS è effettuata nell’ambito del procedimento di approvazione dei medesimi ovvero hanno ad oggetto opere puntuali che sono sottoposte a VIA”.

 

Trasparenza della fase valutativa delle modifiche (co. 1, lett. b), n. 2))

Il numero 2) della lettera b) del comma 1 dell’articolo in esame introduce l’obbligo di tempestiva pubblicazione, sul sito internet istituzionale dell'autorità competente, della documentazione relativa alla fase di valutazione preliminare che deve essere esperita in caso di modifiche, estensioni o adeguamenti tecnici finalizzati a migliorare il rendimento e le prestazioni ambientali dei progetti.

Nello specifico, la norma in esame prevede che tale pubblicazione riguardi:

- l’esito della valutazione preliminare;

- e la documentazione trasmessa dal proponente.

 

L’art. 6, comma 9, del Codice ambientale, prevede che il proponente, in ragione della presunta assenza di potenziali impatti ambientali significativi e negativi, ha la facoltà di richiedere all'autorità competente, trasmettendo adeguati elementi informativi, una valutazione preliminare al fine di individuare l'eventuale procedura da avviare. L'autorità competente, entro trenta giorni dalla presentazione della richiesta di valutazione preliminare, comunica al proponente l'esito delle proprie valutazioni, indicando se le modifiche, le estensioni o gli adeguamenti tecnici devono essere assoggettati a verifica di assoggettabilità a VIA o a VIA.

 

Valutazione statale delle opere attuative del PNIEC (co. 1, lett. c) e d))

Il numero 1) della lettera c) del comma 1 dell’articolo in esame introduce una disposizione (nuovo comma 2-bis dell’art. 7-bis del Codice ambientale) finalizzata all’individuazione, mediante uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, delle tipologie di progetti e delle opere necessarie per l’attuazione del PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima) che devono essere sottoposte a verifica di assoggettabilità o a VIA in sede statale.

In dettaglio, viene previsto che i citati decreti siano emanati:

- entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione;

- su proposta del Ministro dell'ambiente, del Ministro dello sviluppo economico, del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo;

- previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni.

 

La norma in esame precisa altresì che i citati decreti sono successivamente aggiornati, ove necessario, con cadenza semestrale.

Viene inoltre stabilito che i succitati decreti non si limitano ad individuare tipologie progettuali e opere, ma che provvedono anche all’individuazione delle aree non idonee alla realizzazione di tali progetti o opere, tenendo conto delle caratteristiche del territorio, sociali, industriali, urbanistiche, paesaggistiche e morfologiche, con particolare riferimento all’assetto idrogeologico e alle vigenti pianificazioni.

 

Si ricorda che, al fine di pianificare e tracciare le politiche e le misure messe in atto dagli Stati Membri al fine del raggiungimento degli obiettivi in materia di riduzione delle emissioni, incremento dell'efficienza energetica, ricerca e innovazione, sicurezza energetica e sviluppo del mercato interno dell'energia, l’UE ha previsto l’adozione, da parte degli stessi Stati, di strategie a lungo termine e, in particolare, di piani nazionali integrati per l'energia e il clima (PNIEC) che coprono periodi di dieci anni a partire dal decennio 2021-2030. Nell'ambito di questo inquadramento, l'Italia ha inviato, l'8 gennaio 2019, alla Commissione UE la propria proposta di PNIEC, con orizzonte al 2030. La Commissione europea si è pronunciata sul PNIEC dell'Italia con la raccomandazione 18 giugno 2019, pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell'UE del 3 settembre 2019.

Successivamente all'ottenimento del parere della Conferenza unificata (reso nella seduta del 18 dicembre 2019), la versione definitiva del PNIEC è stata trasmessa alla Commissione europea, come segnalato nel comunicato stampa del 21 gennaio 2020 del Ministero dell'ambiente. Come evidenziato in più occasioni dal Governo, gli obiettivi previsti per il 2030, finalizzati all'attuazione dell'Accordo di Parigi, potranno essere raggiunti se saranno implementate le misure previste dal PNIEC.

 

Il numero 2) della lettera c) reca una modifica di coordinamento, prevedendo che quanto disposto dal comma 3 dell’art. 7-bis del Codice ambientale, in merito alla competenza regionale in materia di VIA, fa comunque salva la competenza statale per i progetti attuativi del PNIEC introdotta dal precedente numero 1).

 

La lettera d) prevede, al numero 1), che lo svolgimento delle procedure di valutazione ambientale di competenza statale dei progetti attuativi del PNIEC (individuati in base ai decreti previsti dalla precedente lettera c)) è affidato alla competenza di una specifica Commissione tecnica (“Commissione Tecnica PNIEC”) che viene istituita alle dipendenze funzionali del Ministero dell'ambiente e disciplinata dalla disposizione in esame (nuovo comma 2-bis dell’art. 8 del Codice ambientale).

Si fa notare che la Commissione in questione si va quindi ad affiancare alla Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale - VIA e VAS disciplinata dall’art. 8 e a cui spetta, in via generale, la valutazione ambientale che rientra nella competenza statale.

 

Le disposizioni recate dai numeri 2) e 3) della lettera d) estendono alla nuova Commissione tecnica PNIEC l’applicabilità delle norme sul funzionamento e sui relativi costi dettate per la Commissione VIA-VAS dai commi 4 e 5 dell’art. 8 del Codice ambientale.

Il comma 4 dell’art. 8 ha previsto che con uno o più decreti del Ministro dell'ambiente, sentiti il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro della salute, sono stabiliti per i profili di rispettiva competenza l'articolazione, l'organizzazione, le modalità di funzionamento e la disciplina delle situazioni di inconferibilità, incompatibilità e conflitto di interessi anche potenziale della Commissione VIA-VAS. Il successivo comma 5 prevede l’emanazione, ogni anno, di un decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con cui sono definiti i costi di funzionamento della Commissione VIA-VAS.

 

La relazione illustrativa sottolinea che “l’istituzione di una nuova Commissione nazionale per la valutazione dei progetti attuativi del PNIEC è motivata dalla necessità di garantire uniformità e speditezza ai procedimenti di cui sopra, senza gravare ulteriormente sulle attività in capo all’attuale Commissione Tecnica di Verifica dell’Impatto Ambientale di cui all’art. 8”.

La relazione tecnica evidenzia inoltre che “i costi della nuova Commissione PNIEC, analogamente a quanto già applicato per la Commissione VIA nonché, fino alla soppressione intervenuta con l’articolo 228 del decreto legge n. 34 del 2020, per il Comitato tecnico, saranno coperti con le tariffe di cui all’articolo 33 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, definite con un decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio del mare ai sensi del comma 5 dell’articolo 8 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, opportunamente novellato dalla disposizione in esame, pertanto non si determinano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”[51].

 

Conflitti di interesse e poteri sostitutivi (co. 1, lett. c), nn. 3)-4))

Il numero 3) della lettera c) del comma 1 dell’articolo in esame integra il disposto del comma 6 dell’art. 7-bis del Codice ambientale – ove si disciplina il caso di procedimenti di valutazione ambientale in cui vi sia coincidenza tra autorità competente e autorità proponente – al fine di disporre che le autorità competenti evitano l’insorgenza di situazioni che diano origine a un conflitto di interessi e provvedono a segnalare ogni situazione di conflitto, anche potenziale, alle competenti autorità.

Il testo previgente del citato comma 6 si limita a disporre che, qualora nei procedimenti di VIA o di verifica di assoggettabilità a VIA l'autorità competente coincida con l'autorità proponente di un progetto, le autorità medesime provvedono a separare in maniera appropriata, nell'ambito della propria organizzazione delle competenze amministrative, le funzioni confliggenti in relazione all'assolvimento dei compiti derivanti dal presente decreto.

La relazione illustrativa evidenzia che la norma in esame è volta al superamento della procedura di infrazione 2019/2308.

Si ricorda in proposito che, in base all’art. 9-bis della direttiva VIA, gli Stati membri provvedono affinché l'autorità o le autorità competenti assolvano ai compiti derivanti dalla presente direttiva in modo obiettivo e non si ritrovino in una situazione che dia origine a un conflitto di interessi.

E’ proprio tale disposizione che sembra venire recepita dalla norma in esame.

 

Il successivo numero 4) introduce una disposizione (nuovo comma 8-bis dell’art. 7-bis del Codice ambientale) che disciplina il caso di inerzia delle competenti autorità regionali nella valutazione ambientale degli interventi necessari per il superamento di sentenze di condanna della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

In tale caso, per i progetti sottoposti a verifica di assoggettabilità a VIA o a VIA, viene previsto che lo Stato esercita i poteri sostitutivi di cui all’art. 41 della legge 234/2012.

Il riferimento sembra essere al comma 2-bis di tale art. 41, secondo cui, nel caso di “violazione della normativa europea accertata con sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea di condanna al pagamento di sanzioni a carico della Repubblica italiana, ove per provvedere ai dovuti adempimenti si renda necessario procedere all'adozione di una molteplicità di atti anche collegati tra loro, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, sentiti gli enti inadempienti, assegna a questi ultimi termini congrui per l'adozione di ciascuno dei provvedimenti e atti necessari. Decorso inutilmente anche uno solo di tali termini, il Consiglio dei ministri, sentito il soggetto interessato, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro competente per materia, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario”.

La relazione illustrativa sottolinea che la “necessità di prevedere siffatto potere sostitutivo nel caso in cui la regione non abbia provveduto all’adozione del provvedimento di VIA o di verifica ad assoggettabilità a VIA nei termini previsti trova giustificazione nel fatto che le pronunce di condanna della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sono emesse nei confronti dello Stato italiano, che è chiamato a provvedervi (anche dal punto di vista degli oneri relativi alle sanzioni pecuniarie decise dalla citata Corte) a prescindere dal riparto di competenze interno previsto dall’ordinamento nazionale”.

 

Trasmissione di informazioni tra Stati membri (co. 1, lett. e), n. 1))

Il numero 1) della lettera e) del comma 1 dell’articolo in esame integra il disposto del comma 4 dell’art. 9 del Codice ambientale – ove si disciplina il caso in cui l’autorità competente, su istanza del proponente, decida di non rendere pubblica, per ragioni di segreto industriale o commerciale, parte della documentazione relativa al progetto, allo studio preliminare ambientale o allo studio di impatto ambientale – al fine di disporre che l’invio di informazioni a un altro Stato membro e il ricevimento di informazioni da un altro Stato membro sono soggetti alle restrizioni vigenti nello Stato membro in cui il progetto è proposto.

Si osserva che, poiché l’integrazione in questione sembra riguardare una fattispecie generale non necessariamente connessa al caso considerato dal comma 4, appare opportuna una ricollocazione della norma in esame come comma aggiuntivo dell’art. 9 del Codice ambientale.

 

La relazione illustrativa sottolinea che la finalità della norma in esame è quella di superare la procedura di infrazione 2019/2308.

Si ricorda, in proposito, che l’art. 10 della direttiva VIA dispone, tra l’altro, che, in caso di valutazioni transfrontaliere, “l'invio di informazioni a un altro Stato membro e il ricevimento di informazioni da un altro Stato membro sono soggetti alle restrizioni vigenti nello Stato membro in cui il progetto è proposto”.

 

Informazioni sulle procedure di ricorso (co. 1, lett. e), n. 2))

Il numero 2) della lettera e) introduce una disposizione (nuovo comma 4-bis dell’art. 9 del Codice ambientale) che prevede l’obbligo, in capo all’autorità competente, di pubblicazione sul proprio sito internet istituzionale delle informazioni pratiche sull’accesso alle procedure di ricorso amministrativo e giurisdizionale.

Viene inoltre stabilito che in ogni atto notificato al destinatario deve essere indicato il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere, riproducendo quanto previsto dall’art. 3, comma 4, della legge 241/1990.

 

La relazione illustrativa sottolinea che la finalità della norma in esame è quella di superare la procedura di infrazione 2019/2308.

Si ricorda, in proposito, che l’art. 11, paragrafo 5, della direttiva VIA dispone che “gli Stati membri provvedono a mettere a disposizione del pubblico informazioni pratiche sull'accesso alle procedure di ricorso amministrativo e giurisdizionale” (disposizione, questa, al recepimento della quale sembra indirizzata la norma in esame).

 

 

Procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA (co. 1, lett. f))

La lettera f) del comma 1 riscrive la disciplina del procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA recata dall’art. 19 del Codice ambientale.

Di seguito si illustrano le modifiche principali risultanti dalla riscrittura.

Un primo gruppo di modifiche si riscontra nel nuovo testo del comma 2 che riscrive, integrandolo, il comma 6 del testo previgente, al fine precipuo di fissare termini certi e più brevi per l’acquisizione di eventuali integrazioni documentali.

Viene infatti introdotta una disposizione che impone all’autorità competente di provvedere alla verifica della completezza e dell’adeguatezza della documentazione trasmessa dal proponente, entro 5 giorni dalla ricezione dello studio preliminare ambientale.

Il testo previgente del comma 6 si limita invece a consentire all’autorità competente di richiedere, per una sola volta, chiarimenti e integrazioni al proponente e a fissare un termine per la trasmissione dei chiarimenti e delle integrazioni da parte del proponente.

Tali disposizioni vengono confermate, ma viene prevista una riduzione del termine concesso al proponente, che viene ridotto da 45 a 15 giorni.

Viene altresì confermata la disposizione recata dall’ultimo periodo del comma 6, secondo cui qualora il proponente non trasmetta la documentazione richiesta entro il termine stabilito, la domanda si intende respinta ed è fatto obbligo all'autorità competente di procedere all'archiviazione.

 

Un secondo gruppo di modifiche si riscontra nel nuovo testo del comma 3, che riscrive, integrandolo, il comma 2 del testo previgente, al fine precipuo di fissare un termine certo per la pubblicazione dello studio preliminare ambientale.

Infatti, mentre il testo previgente si limita ad imporre all’autorità competente di provvedere tempestivamente alla pubblicazione sul proprio sito web dello studio preliminare ambientale, il nuovo testo precisa che la citata pubblicazione:

- deve avvenire contestualmente alla ricezione della documentazione, ove ritenuta completa, ovvero delle integrazioni richieste;

- può, in alternativa, avvenire a cura del proponente, trascorso il termine di cui al comma 2, secondo le modalità tecniche di accesso al sito internet istituzionale dell’autorità competente tempestivamente indicate da quest’ultima.

Si osserva che nel comma 2 sono indicati due diversi termini per cui, a fini di chiarezza, sembrerebbe opportuno precisare il termine a cui si fa riferimento, che sembra essere il termine di 15 giorni contemplato dal secondo periodo del comma 2.

 

L’ultimo periodo del nuovo testo del comma 3 ripropone la disposizione recata dal previgente comma 3, secondo cui l'autorità competente provvede ad effettuare la comunicazione per via telematica a tutte le Amministrazioni e a tutti gli enti territoriali potenzialmente interessati dell'avvenuta pubblicazione della documentazione nel proprio sito internet, precisando però che tale comunicazione deve avvenire contestualmente alla pubblicazione dello studio preliminare ambientale.

 

Un’altra rilevante modifica, anch’essa volta all’accelerazione della procedura, si ha nel nuovo testo del comma 4 e consiste nella riduzione da 45 a 30 giorni del termine entro il quale chiunque abbia interesse può presentare le proprie osservazioni all'autorità competente in merito allo studio preliminare ambientale e alla documentazione allegata.

 

La stessa finalità acceleratoria è perseguita dal nuovo testo del comma 6 che riproduce sostanzialmente quanto disposto dal previgente comma 7, con due uniche differenze:

- la riduzione da 30 a 20 giorni del periodo per il quale l'autorità competente può disporre la proroga, per una sola volta e in casi eccezionali, del termine per l'adozione del provvedimento di verifica;

- l’inserimento dell’obbligo di pubblicazione, sul sito internet istituzionale dell’autorità competente, della comunicazione (già prevista dal testo previgente del comma 7) al proponente delle ragioni che giustificano la proroga e della data entro la quale è prevista l'adozione del provvedimento.

 

Una rilevante integrazione si riscontra nel nuovo testo del comma 11 che, oltre a confermare la perentorietà dei termini per il rilascio del provvedimento di verifica di assoggettabilità a VIA sancita del previgente comma 12, introduce un nuovo periodo volto a disciplinare il caso di inerzia nella conclusione del procedimento.

In tale caso viene previsto che il titolare del potere sostitutivo (nominato ai sensi dell’art. 2 della legge 241/1990) provvede al rilascio del provvedimento entro un massimo di 60 giorni.

Viene infatti stabilito che tale titolare debba acquisire, qualora la competente Commissione VIA-VAS non si sia pronunciata, il parere dell’ISPRA entro il termine di 30 giorni, e provvedere al rilascio del provvedimento entro i successivi 30 giorni.

 

Le ultime modifiche meritevoli di nota si riscontrano nel nuovo testo del comma 12 che, nel confermare quanto già previsto dal previgente comma 13 in merito all’obbligo di pubblicazione tempestiva sul web di tutta la documentazione afferente al procedimento, precisa che soggiace al medesimo obbligo qualsiasi informazione raccolta nell’esercizio di tale attività da parte dell’autorità competente e che tutte le informazioni e la documentazione in questione sono accessibili da chiunque.

 

Studio di impatto ambientale (co. 1, lett. h))

Le modifiche operate dalla lettera h) consistono:

- nell’eliminazione del riferimento generico agli “elaborati progettuali”, conseguente alla modifica operata dal numero 1) della lettera a) del comma in esame (n. 1);

- nella precisazione che la pubblicazione della documentazione trasmessa dal proponente deve avvenire entro 5 giorni dalla trasmissione medesima e che la comunicazione dell’avvenuta pubblicazione dev’essere effettuata contestualmente alla pubblicazione stessa (n. 2);

- nella riduzione da 60 a 45 giorni del termine entro il quale, sulla base della documentazione trasmessa dal proponente, l'autorità competente esprime un parere sulla portata e sul livello di dettaglio delle informazioni da includere nello studio di impatto ambientale.

 

Avvio del procedimento di VIA (co. 1, lett. i))

La lettera i) apporta alcune limitate modifiche all’art. 23 del Codice ambientale che disciplina la presentazione dell'istanza e, quindi, l’avvio del procedimento di VIA, nonché la pubblicazione degli atti.

Le modifiche operate dalla lettera in esame consistono:

- nell’eliminazione del riferimento generico agli “elaborati progettuali”, conseguente alla modifica operata dal numero 1) della lettera a) del comma in esame (n. 1);

- nella riduzione da 15 a 10 giorni del termine, decorrente dalla presentazione dell'istanza di VIA, entro il quale l'autorità competente compie una serie di controlli e, in particolare, verifica la completezza della documentazione presentata (n. 2);

- nella precisazione che la pubblicazione della documentazione presentata dal proponente può, in alternativa, avvenire a cura del proponente stesso, secondo le modalità tecniche di accesso al sito internet istituzionale dell’autorità competente tempestivamente indicate da quest’ultima (n. 3);

- nell’introduzione (anch’essa operata dal n. 3)) di una disposizione volta a stabilire che, l’avvio dell’attività istruttoria per i progetti necessari all’attuazione del PNIEC (come individuati dal nuovo comma 2-bis dell’art. 7-bis del Codice ambientale, introdotto dalla lettera c) del comma 1 dell’articolo in esame) da parte della “Commissione tecnica PNIEC” (istituita dalla lettera d)) deve avvenire contestualmente alla pubblicazione della documentazione trasmessa dal proponente.

 

Consultazioni e pareri (co. 1, lett. l))

La lettera l) apporta una serie di modifiche all’art. 24 del Codice ambientale che disciplina la pubblicazione (sul sito web dell’autorità competente) di un avviso al pubblico (che dà notizia della presentazione dell’istanza e della pubblicazione della relativa documentazione) e le successive consultazioni (consultazione del pubblico, acquisizione di pareri e consultazioni transfrontaliere).

Le modifiche operate dalla lettera in esame hanno per lo più carattere acceleratorio. In particolare viene disposto dai numeri 1) e 2):

- il dimezzamento dei termini previsti per la presentazione, da parte del proponente, di controdeduzioni alle osservazioni presentate dal pubblico e ai pareri pervenuti da amministrazioni ed enti pubblici (da 30 a 15 giorni);

- la riduzione dei termini previsti in caso di integrazione della documentazione o per la sospensione dei termini per la presentazione della documentazione integrativa.

Il comma 4 dell’art. 24 dispone che, qualora all'esito della consultazione o della presentazione delle controdeduzioni da parte del proponente si renda necessaria la modifica o l'integrazione degli elaborati progettuali o della documentazione acquisita, l'autorità competente può (per una sola volta) stabilire un nuovo termine per la trasmissione delle integrazioni.

Tale decisione deve avvenire, in base alla modifica recata dalla lettera in esame, entro 20 giorni (anziché i 30 giorni previsti dal testo previgente), ed il nuovo termine per la trasmissione delle integrazioni non può essere superiore ad ulteriori 20 giorni (e non 30, come previsto dal testo previgente).

La disposizione che consente all'autorità competente di concedere, per una sola volta, la sospensione dei termini per la presentazione della documentazione integrativa, viene modificata dalla lettera in esame al fine di ridurre la durata massima della sospensione da 180 a 60 giorni.

 

Il numero 3) della lettera in esame reca una serie di modifiche al comma 5 dell’art. 24 del Codice ambientale, che disciplina la pubblicazione di un nuovo avviso al pubblico che dia conto della documentazione integrativa trasmessa dal proponente.

Una prima modifica (recata dal punto 3.1) è volta ad eliminare la parte della disposizione secondo cui la pubblicazione del nuovo avviso avviene solo qualora l’autorità competente ritenga motivatamente che le integrazioni siano sostanziali e rilevanti per il pubblico. Di conseguenza, la pubblicazione deve avvenire sempre. Viene altresì precisato che l’autorità deve procedere anche alla pubblicazione delle integrazioni sul proprio sito internet istituzionale.

Una seconda modifica (recata dal punto 3.2), di carattere integrativo, è volta a consentire che la pubblicazione del nuovo avviso può avvenire, in alternativa, a cura del proponente, secondo le modalità tecniche di accesso al sito internet istituzionale dell’autorità competente tempestivamente indicate da quest’ultima.

Viene infine ridotto (dal punto 3.3), da 30 a 10 giorni, il termine concesso al proponente per presentare le proprie controdeduzioni alle osservazioni e ai pareri pervenuti sulla documentazione integrativa.

 

Il numero 4) riscrive il comma 7 dell’art. 24 del Codice ambientale, che disciplina la pubblicazione sul sito web dell’autorità competente di tutta la documentazione afferente al procedimento.

Le modifiche operate dalla riscrittura sono volte a precisare che rientrano nella documentazione da pubblicare qualsiasi informazione raccolta e le osservazioni e i pareri comunque espressi.

La riscrittura consente inoltre di precisare che tra i pareri da includere nella pubblicazione rientrano anche quelli emessi in base all’art. 20, vale a dire quelli sull’istanza presentata dal proponente al fine di definire la portata e il livello di dettaglio delle informazioni necessarie da considerare per la redazione dello studio di impatto ambientale.

 

La relazione illustrativa sottolinea che le modifiche recate dai punti 3.1) e 4) sono finalizzate a consentire il superamento della procedura di infrazione n. 2019/2308.

 

Valutazione dell’impatto e provvedimento di VIA (co. 1, lett. m))

La lettera in esame apporta una serie di modifiche e integrazioni all’art. 25 del Codice ambientale che disciplina la fase della valutazione degli impatti ambientali e il provvedimento di VIA.

La relazione illustrativa sottolinea che le modifiche apportate sono finalizzate a garantire certezza dei termini per la conclusione del procedimento di VIA statale. Di seguito si evidenziano anche le ulteriori finalità perseguite dalla norma in esame.

 

Una prima modifica di rilievo è la bipartizione del procedimento di valutazione, attraverso la creazione di una procedura speciale dedicata ai progetti delle opere necessarie all’attuazione del PNIEC.

Ciò avviene mediante:

- la precisazione, inserita (dal numero 1)) all’inizio del comma 2 dell’art. 25 (che disciplina modalità e termini per addivenire al rilascio del provvedimento di VIA), che esclude l’applicabilità di tale disposizione per i progetti necessari all’attuazione del PNIEC. Di conseguenza il comma 2 riguarda solamente i progetti estranei al PNIEC;

- l’inserimento di un nuovo comma 2-bis che reca una disciplina speculare a quella del comma 2 e dedicata ai “progetti PNIEC” (si rinvia, in proposito, al commento al numero 2)).

 

Un’altra modifica riguarda l’ipotesi di inerzia in caso di consultazioni transfrontaliere. In tal caso, con un’integrazione al comma 2, viene stabilito che, decorsi inutilmente i termini senza che la Commissione VIA-VAS si sia espressa, il Direttore generale della competente Direzione Generale del Ministero dell’ambiente provvede, entro sessanta giorni e sulla base del parere dell’ISPRA acquisito entro il termine di trenta giorni, alla trasmissione del provvedimento di VIA al Ministro dell’ambiente per la conseguente adozione.

 

Ulteriori modifiche sono finalizzate al dimezzamento dei termini previsti per l’emanazione del provvedimento di VIA, prevedendo che:

- il Ministro dell'ambiente vi provvede entro un termine che scende da 60 a 30 giorni;

- il concerto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo deve essere reso entro un termine che scende da 30 a 15 giorni dalla richiesta.

 

Viene inoltre stabilito che l'adozione del provvedimento di VIA è rimessa alla deliberazione del Consiglio dei ministri non solo nei casi già previsti dal testo previgente (cioè in caso di inutile decorso del termine per l'adozione del provvedimento di VIA da parte del Ministro dell’ambiente o per l'espressione del concerto da parte del Ministro dei beni e delle attività culturali), ma anche qualora sia inutilmente decorso il termine complessivo di 210 giorni a decorrere dall’avvio del procedimento.

 

Come anticipato in precedenza, il numero 2) della lettera in esame introduce un nuovo comma 2-bis che disciplina la valutazione dei “progetti PNIEC”.

In tal caso viene previsto che:

- la “Commissione tecnica PNIEC” (istituita dalla lettera d)) si esprime entro il termine di 170 giorni dalla pubblicazione della documentazione presentata dal proponente, predisponendo lo schema di provvedimento di VIA;

- nei successivi 30 giorni, il Direttore generale del Ministero dell’ambiente adotta il provvedimento di VIA, previa acquisizione del concerto del competente Direttore generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo entro il termine di quindici giorni;

- nel caso di consultazioni transfrontaliere il provvedimento di VIA è adottato entro il termine già previsto in via generale dall’art. 32, comma 5-bis;

- in caso di inerzia nella conclusione del procedimento, il titolare del potere sostitutivo, acquisito, qualora la competente commissione di cui all’articolo 8 non si sia pronunciata, il parere dell’ISPRA entro il termine di 30 giorni, provvede al rilascio del provvedimento entro i successivi 30 giorni”.

 

Il numero 3) integra il disposto del comma 4 dell’art. 25 al fine di precisare che le condizioni ambientali contenute nel provvedimento di VIA definiscono anche le linee di indirizzo da seguire nelle successive fasi di sviluppo progettuale delle opere per garantire l’applicazione di criteri ambientali atti a contenere e limitare gli impatti ambientali significativi e negativi o incrementare le prestazioni ambientali del progetto.

Si tratta di una modifica di coordinamento che consente di adeguare la norma recata dal citato comma 4 con quanto previsto dal numero 3) della lettera a) del comma 1 dell’articolo in esame.

 

Provvedimento unico in materia ambientale (co. 1, lett. n) e o))

Le lettere n) e o) apportano una serie di modifiche agli articoli 27 e 27-bis del Codice ambientale che disciplinano il contenuto e le modalità di rilascio del provvedimento unico ambientale (rispettivamente statale e regionale) che, su istanza del proponente, può essere emesso dall'autorità competente e che include, oltre al provvedimento di VIA, ogni autorizzazione, intesa, parere, concerto, nulla osta, o atto di assenso in materia ambientale, richiesto dalla normativa vigente per la realizzazione e l'esercizio del progetto.

Le modifiche operate dalla lettera n), che riguardano il provvedimento unico statale, hanno per lo più carattere acceleratorio.

In particolare, il numero numero 1) prevede la riduzione da 15 a 10 giorni del termine di attivazione dell’autorità competente, decorrente dalla presentazione dell'istanza da parte del proponente.

Entro tale termine, secondo quanto previsto dal testo previgente, l'autorità competente è tenuta a compiere una serie di verifiche (in particolare l'avvenuto pagamento del contributo) e a comunicare per via telematica a tutte le amministrazioni ed enti potenzialmente interessati e comunque competenti in materia ambientale l'avvenuta pubblicazione della documentazione nel proprio sito web.

 

Il numero 2) interviene sulla tempistica della pubblicazione dell’avviso al pubblico inerente all’avvio e l’oggetto del procedimento, mediante la riscrittura del comma 6 dell’art. 27 del Codice ambientale.

A differenza del testo previgente, ove non compare un termine preciso (ma si dispone che la pubblicazione avvenga “successivamente” alla verifica della completezza documentale o, in caso di richieste di integrazioni, alla data di ricevimento delle stesse), il nuovo testo prevede che:

- la pubblicazione avvenga entro 5 giorni dalla verifica documentale;

- e che, entro lo stesso termine, l’autorità competente provveda all’indizione di una conferenza di servizi decisoria.

 

In linea con quanto previsto dalle lettere precedenti, la riscrittura in esame introduce altresì un periodo volto a consentire che la pubblicazione può avvenire, in alternativa, a cura del proponente, secondo le modalità tecniche di accesso al sito internet istituzionale dell’autorità competente tempestivamente indicate da quest’ultima.

 

La riscrittura operata dal numero 2) interessa inoltre il periodo relativo alle osservazioni da parte del pubblico interessato, prevedendo:

- il dimezzamento del relativo termine di presentazione (decorrente dalla succitata pubblicazione), che scende da 60 a 30 giorni;

- che le osservazioni medesime possono riguardare non solo la valutazione di impatto ambientale, la valutazione di incidenza ove necessaria e l'autorizzazione integrata ambientale (come disposto dal testo previgente) ma anche tutti gli altri titoli autorizzativi inclusi nel provvedimento unico ambientale.

 

Il numero 3) riscrive il comma 7 dell’art. 27 del Codice ambientale al fine di dimezzare i termini previsti per l’integrazione della documentazione.

Viene infatti previsto che la richiesta di integrazioni possa essere avanzata dall’autorità competente entro 15 giorni (anziché i 30 previsti dal testo previgente) e che la presentazione delle integrazioni stesse avvenga entro un termine perentorio non superiore a 15 giorni (anziché i 30 previsti dal testo previgente). Viene inoltre ridotto da 180 a 90 giorni il periodo di sospensione dei termini per la presentazione della documentazione integrativa che può essere concesso, una sola volta, dall’autorità competente.

Un’altra modifica riguarda la pubblicazione delle integrazioni documentali, che deve avvenire sempre, e immediatamente, e non (come previsto dal testo previgente) solo qualora l’autorità competente motivatamente ritenga che le modifiche o le integrazioni siano sostanziali e rilevanti per il pubblico.

Sono altresì ridotti i termini previsti per il nuovo avviso al pubblico volto a dar conto delle integrazioni in questione, che deve essere pubblicato entro 15 giorni dalla ricezione delle stesse. Viene infatti previsto che l’autorità competente deve disporre entro 5 giorni (anziché i 15 previsti dal testo previgente) dalla ricezione delle integrazioni, che il proponente trasmetta un nuovo avviso al pubblico e che ciò avvenga entro i successivi 10 giorni (anziché i 15 previsti dal testo previgente).

Anche in questo caso viene introdotta una nuova disposizione che consente, in alternativa, la pubblicazione dell’avviso a cura del proponente, secondo le modalità tecniche di accesso al sito internet istituzionale dell’autorità competente tempestivamente indicate da quest’ultima.

 

Il numero 4) provvede a riscrivere il comma 8 dell’art. 27 del Codice, ove è disciplinato il caso di consultazioni transfrontaliere. In tale eventualità, viene previsto che la conferenza di servizi venga indetta nel termine di cui al comma 6 e non, come disposto dal testo previgente, entro dieci giorni dalla scadenza del termine di conclusione della consultazione ovvero dalla data di ricevimento delle eventuali integrazioni documentali.

Per esigenze di maggiore chiarezza, appare opportuno precisare che il termine a cui si fa riferimento è quello indicato nel primo periodo del comma 6, ove viene disposto che l’indizione della conferenza di servizi deve avvenire (nel caso generale) entro 5 giorni dalla verifica della completezza documentale ovvero in caso di richieste di integrazioni dalla data di ricevimento delle stesse.

 

Relativamente alla conferenza di servizi, il nuovo testo risultante dalla riscrittura in esame precisa che:

- deve configurarsi come conferenza decisoria;

- per i “progetti PNIEC” deve contemplare la partecipazione, in ogni caso, del Direttore generale del Ministero dell’ambiente o di un suo delegato e del Direttore generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo o di un suo delegato;

- deve, nell’ambito della propria attività, prendere in considerazione le osservazioni e le informazioni raccolte in sede di consultazione ai sensi dei commi 6 e 7.

 

Un’ultima modifica riguarda la disposizione secondo cui la decisione di rilasciare i titoli autorizzativi “assorbiti” nel provvedimento unico è assunta sulla base del provvedimento di VIA, adottato dal Ministro dell’ambiente di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo.

Il nuovo testo precisa che viene fatto salvo quanto previsto per i progetti “PNIEC”.

 

 

Le modifiche operate dalla lettera o), relative al provvedimento unico regionale, sono decisamente più limitate e riguardano unicamente la tempistica del procedimento. Viene infatti prevista:

- la riduzione da 15 a 10 giorni del termine di attivazione dell’autorità competente, analogamente a quanto previsto per il provvedimento unico statale (v. lettera n), numero 1));

- la riduzione da 60 a 45 giorni del periodo concesso al pubblico per la presentazione delle proprie osservazioni.

Si fa notare che il numero 2) della lettera n) prevede una riduzione diversa (da 60 a 30 giorni) e, inoltre, precisa che le osservazioni del pubblico possono riguardare non solo la valutazione di impatto ambientale, la valutazione di incidenza ove necessaria e l'autorizzazione integrata ambientale (come disposto dal testo previgente) ma anche tutti gli altri titoli autorizzativi inclusi nel provvedimento unico ambientale.

Si valuti l’opportunità di chiarire il motivo che giustifica l’introduzione di tali differenze.

 

Osservatori per le verifiche di ottemperanza (co. 1, lett. p), e co. 2)

La lettera p) del comma 1 dell’articolo in esame integra il disposto del terzo periodo del comma 2 dell’art. 28 del Codice ambientale, ove si consente all'autorità competente di istituire, d'intesa con il proponente e con oneri a carico di quest'ultimo, appositi osservatori ambientali finalizzati a garantire la trasparenza e il supporto per l’effettuazione delle verifiche di ottemperanza alle condizioni ambientali contenute nel provvedimento di VIA.

L’integrazione in esame è volta a:

- demandare ad appositi decreti del Ministro dell’ambiente la definizione delle modalità operative di tali osservatori;

- individuare i criteri che devono informare l’emanazione dei decreti ministeriali citati.

I criteri introdotti prevedono:

a) designazione dei componenti dell’Osservatorio da parte di ciascuna delle Amministrazioni e degli Enti individuati nel decreto di VIA;

b) nomina dei due terzi dei rappresentanti del Ministero dell’ambiente tra soggetti estranei ai ruoli del Ministero e dotati di significativa competenza e professionalità per l’esercizio delle funzioni;

c) previsioni di cause di incandidabilità, incompatibilità e conflitto di interessi;

d) temporaneità dell’incarico, non superiore a quattro anni, non rinnovabile e non cumulabile con incarichi in altri Osservatori;

e) individuazione degli oneri a carico del proponente, fissando un limite massimo per i compensi dei componenti dell’Osservatorio.

 

La relazione illustrativa sottolinea che, a causa della previsione lacunosa recata dal testo previgente, “gli Osservatori sono stati istituiti in questi anni secondo modalità disomogenee e senza seguire una precisa logica, affidandogli compiti non sempre coerenti con la generica finalità imposta dal legislatore. L’effetto di tale confusione normativa è che, in taluni casi, gli Osservatori anziché fungere da strumenti di conoscibilità e pubblicità delle ottemperanze poste in essere dalle imprese esecutrici delle opere, sono divenuti cause di ritardo dei lavori, non comprendendosi la logica di funzionamento e gli obiettivi” e che, per tali motivi, la norma in esame demanda ad appositi decreti del Ministero “il compito di definire le modalità di composizione e funzionamento degli Osservatori secondo una metodica omogenea così da uniformare le previsioni attualmente contraddittorie contenute in diversi decreti ministeriali e decreti di direttori generali”.

 

 

Il comma 2 dell’articolo in esame dispone che, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del primo decreto del Ministro dell’ambiente attuativo della lettera p) testé commentata, gli osservatori ambientali già costituiti sono rinnovati nel rispetto delle modalità fissate dal medesimo decreto, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

Progetti sottoposti a VIA statale (co. 1, lett. q))

La lettera q) modifica l’allegato II alla parte seconda del Codice ambientale, che elenca i progetti sottoposti a VIA statale, al fine di allineare il testo dell’allegato a quello del corrispondente allegato I della direttiva.

Il testo previgente fa infatti riferimento ad una soglia in volume (pari a 40.000 metri cubi), per la capacità complessiva di un impianto di stoccaggio di petrolio, prodotti chimici, prodotti petroliferi e prodotti petrolchimici, oltre la quale l’impianto deve essere sottoposto a VIA statale.

La stessa soglia è invece espressa dalla direttiva in termini di peso e posta pari a 200.000 tonnellate.

La lettera in esame provvede quindi ad allineare il testo con la direttiva ponendo il valore di soglia, oltre la quale diviene obbligatoria la VIA statale, pari a 200.000 tonnellate.

La relazione illustrativa sottolinea che in tal modo si supera il corrispondente rilievo formulato dalla Commissione europea nell’ambito della procedura di infrazione 2019/2308.

 

Consultazioni transfrontaliere (co. 1, lett. r))

La lettera r) reca alcune integrazioni alla disciplina in materia di consultazioni transfrontaliere recata dall’art. 32 del Codice ambientale.

La finalità della lettera in esame è quella, evidenziata nella relazione illustrativa, di superare i rilievi formulati dalla Commissione europea in sede di procedura di infrazione 2019/2308.

L’art. 32 citato prevede che, in caso di piani, programmi, progetti e impianti che possono avere impatti rilevanti sull'ambiente di un altro Stato, o qualora un altro Stato così richieda, il Ministero dell'ambiente, d'intesa con il Ministero per i beni e le attività culturali e con il Ministero degli affari esteri e per suo tramite, provvede (nell’ambito delle procedure di VIA, VAS e AIA) alla notifica dei progetti di tutta la documentazione concernente il piano, programma, progetto o impianto.

 

L’integrazione operata dal numero 1) della lettera in esame è finalizzata ad allineare il testo della norma nazionale a quello previsto dalla direttiva. A tal fine viene precisato che il Ministero deve:

- effettuare la notifica quanto prima e comunque contestualmente all’informativa resa al pubblico interessato;

Si ricorda che l’art. 7 della direttiva VIA prevede che, in caso di possibili impatti transfrontalieri, lo Stato membro nel cui territorio è prevista la realizzazione del progetto trasmette una serie di informazioni allo Stato membro coinvolto, quanto prima e non più tardi del giorno in cui informa il proprio pubblico.

- includere nella notifica le informazioni sulla natura della decisione che può essere adottata.

L’art. 7 della direttiva VIA prevede che allo Stato membro coinvolto da impatti transfrontalieri siano trasmessi, tra l’altro:

a) una descrizione del progetto, corredata di tutte le informazioni disponibili circa il suo eventuale impatto transfrontaliero;

b) informazioni sulla natura della decisione che può essere adottata.

 

Il numero 2) della lettera in esame inserisce un nuovo comma 5-ter all’art. 32 del Codice, che disciplina la procedura da seguire in caso di progetti proposti da altri Stati membri che possono avere effetti significativi sull’ambiente italiano.

In tal caso viene previsto che:

- le informazioni ricevute dall’altro Stato membro sono tempestivamente rese disponibili alle pertinenti autorità italiane ed al pubblico interessato italiano;

- tali soggetti possono esprimere le proprie osservazioni entro 30 giorni;

- il Ministero dell’ambiente, entro 60 giorni, provvede alla redazione e alla trasmissione del proprio parere, unitamente alle osservazioni ricevute, all’autorità competente dell’altro Stato membro.

 

In tal modo viene colmata una lacuna della disciplina recata dall’art. 32: a differenza della direttiva infatti, ove si disciplinano gli obblighi di entrambi le parte coinvolte dal progetto avente impatti transfrontalieri (cioè sia lo Stato in cui è proposto il progetto che quello in cui sono previsti effetti ambientali), il testo previgente della norma nazionale fa unicamente riferimento al caso in cui un progetto in territorio italiano abbia impatti su altri Stati membri.

 

Termine di efficacia delle modifiche introdotte (co. 3)

In base al comma 3, le disposizioni introdotte dal presente articolo si applicano alle istanze presentate a partire dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge.

 

Formazione del personale per valutazioni e autorizzazioni ambientali (co. 4)

Il comma 4 prevede che l’ISPRA, per il tramite della Scuola di specializzazione in discipline ambientali di cui all’art. 17-bis del D.L. 195/2009, assicura, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, tramite appositi protocolli d’intesa con l’autorità competente, la formazione specifica al personale di supporto della Direzione generale del Ministero dell’ambiente competente in materia di valutazioni e autorizzazioni ambientali.

La relazione tecnica segnala che la norma in esame non reca nuovi o maggiori oneri poiché la citata scuola, istituita dall'art. 7, comma 4, della L. 157/1992, e poi ridenominata dall’art. 17-bis del D.L. 195/2009, “opera presso l’ISPRA a valere sulle risorse iscritte nel bilancio di Ispra e che l’attività di formazione rientra tra le attività già ordinariamente svolte, sulla base della convenzione triennale in essere tra il Ministro ed Ispra, nell’ambito delle risorse di cui al capitolo 0050 ‘Contributo a carico dello Stato’ ovvero del trasferimento annuale del Ministero all’ISPRA”.


Articolo 51
(Semplificazioni per interventi di incremento della sicurezza di infrastrutture stradali, autostradali, ferroviarie e idriche)

 

 

L’articolo 51 contiene disposizioni finalizzate all’accelerazione e/o alla semplificazione delle procedure autorizzative ambientali e paesaggistiche, relative agli interventi sulle infrastrutture stradali, autostradali, ferroviarie e idriche esistenti che ricadono nel campo di applicazione della VIA.

 

Il comma 1 prevede l’individuazione, con uno o più D.P.C.M., degli interventi urgenti finalizzati al potenziamento o all’adeguamento della sicurezza delle infrastrutture stradali, autostradali, ferroviarie e idriche esistenti che ricadono nelle categorie progettuali assoggettate, dal d.lgs. 152/2006 (c.d. Codice ambientale):

- a VIA statale (allegato II della parte seconda del Codice ambientale);

- o a verifica di assoggettabilità a VIA statale (allegato II-bis del Codice medesimo).

 

Relativamente alle modalità e ai termini di emanazione dei citati decreti, il comma in esame prevede che gli stessi siano adottati entro il 31 dicembre 2020 su proposta dei Ministri dell'ambiente e delle infrastrutture e dei trasporti.

 

Per gli interventi individuati dal citato decreto, il presente comma prevede una specifica procedura volta a stabilire l’assoggettabilità o meno a VIA o a verifica di assoggettabilità a VIA. Tale procedura si articola nelle seguenti due fasi:

1. il proponente presenta al Ministero dell’ambiente (dandone contestuale comunicazione al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che nei successivi 10 giorni trasmette le proprie osservazioni al Ministero dell’ambiente) gli elementi informativi dell’intervento e quelli del sito, finalizzati a stabilire, in ragione della presunta assenza di potenziali impatti ambientali significativi e negativi, se essi devono essere assoggettati a verifica di assoggettabilità a VIA, a VIA, oppure ne sono esenti (cioè non rientrano nelle categorie di cui ai commi 6 o 7 dell’art. 6 del Codice ambientale);

2. il Ministero dell’ambiente, entro 30 giorni dalla presentazione della richiesta, comunica al proponente l'esito della propria valutazione.

 

Si fa notare che la procedura in esame sembra ricalcare il procedimento di valutazione preliminare già previsto dall’art. 6, comma 9, del Codice ambientale, per le modifiche, le estensioni o gli adeguamenti tecnici finalizzati a migliorare il rendimento e le prestazioni ambientali dei progetti elencati negli allegati II, II-bis, III e IV alla parte seconda del medesimo Codice.

Anche tale procedimento è infatti articolato in due fasi, che prevedono che:

- il proponente, in ragione della presunta assenza di potenziali impatti ambientali significativi e negativi, può richiedere all'autorità competente, trasmettendo adeguati elementi informativi tramite apposite liste di controllo, una valutazione preliminare al fine di individuare l'eventuale procedura da avviare;

- l'autorità competente, entro trenta giorni dalla presentazione della richiesta di valutazione preliminare, comunica al proponente l'esito delle proprie valutazioni, indicando se le modifiche, le estensioni o gli adeguamenti tecnici devono essere assoggettati a verifica di assoggettabilità a VIA, a VIA, ovvero ne sono esentati in quanto non rientrano nelle categorie di cui ai commi 6 o 7 dell’art. 6.

In altre parole, la norma in esame appare finalizzata a rendere obbligatoria, per gli interventi individuati con appositi D.P.C.M., la procedura già prevista dall’art. 6, comma 9, del Codice.

 

Il comma 2 prevede il prolungamento della durata delle autorizzazioni ambientali e paesaggistiche per gli interventi di realizzazione o modifica di infrastrutture stradali, autostradali, ferroviarie e idriche esistenti che ricadono nelle categorie progettuali di cui agli allegati II e II-bis.

Nel dettaglio, per gli interventi in questione, viene previsto che la durata dell’efficacia:

- del provvedimento di VIA non può essere inferiore a 10 anni (invece dei 5 anni previsti in via ordinaria dall’art. 25, comma 5, del Codice ambientale);

- dell’autorizzazione paesaggistica è pari a 10 anni (invece dei 5 anni previsti in via ordinaria dall’art. 146, comma 4, del d.lgs. 42/2004).

 

 


Articolo 52
(Semplificazioni delle procedure per interventi e opere nei siti oggetto di bonifica)

 

 

L‘articolo 52 introduce l’art. 242-ter nel Codice dell’ambiente, al fine di ampliare e semplificare la realizzazione di determinati interventi in aree incluse nel perimetro di terreni che sono oggetto di bonifica, a condizione che tali interventi non pregiudichino né interferiscano con l’esecuzione e il compimento della bonifica, né determinino rischi per la salute dei lavoratori. In tale ambito, si disciplinano, inoltre, le procedure e le modalità di caratterizzazione, scavo e gestione dei terreni movimentati, abrogando, conseguentemente, quanto disposto dai commi da 7 a 10 dell’art. 34 del D.L. 133/2014 (cd. Decreto “Sblocca Italia”), sulla gestione dei materiali di scavo nei siti oggetto di bonifica, per la realizzazione di determinate opere.

 

Di seguito sono analizzati gli interventi previsti dall’art. 242-ter, introdotto dal comma 1 dell’art. 52 in esame al Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006), e quanto stabilito dal comma 2 del medesimo art. 52.

 

Interventi nei siti oggetto di bonifica, condizioni e valutazioni degli interventi (commi 1-3, art. 242-ter)

Il comma 1 del nuovo art. 242-ter elenca gli interventi e le opere che possono essere realizzati nei siti oggetto di bonifica, ivi compresi i siti di interesse nazionale.

La disciplina nazionale per quel che riguarda le attività di bonifica dei siti contaminati è contenuta nel Titolo V della Parte IV del D.lgs. 152/2006 (cd. "Codice ambientale", artt. 239-253 e relativi allegati), dedicata alla gestione dei rifiuti. In sintesi, l’articolo 252 del Codice dell’Ambiente stabilisce che un D.M. del Ministro dell’Ambiente, d'intesa con le regioni interessate, individua i siti di interesse nazionale, in base alle caratteristiche del sito, alle caratteristiche di pericolosità, alla quantità degli inquinanti presenti, al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonché di pregiudizio per i beni ambientali e culturali. Tale operazione, per la quale sono sentiti anche gli enti locali, definisce il perimetro di territorio interessato, assicurando la partecipazione dei responsabili e dei proprietari delle aree da bonificare se diversi dai soggetti responsabili. La procedura di bonifica dei siti di interesse nazionale è attribuita alla competenza del Ministero dell'ambiente, sentito il Ministero dello sviluppo economico. In questa definizione della procedura, il Ministero dell'ambiente può avvalersi anche dell'Ispra, nonché delle agenzie regionali, dell'Istituto superiore di sanità, ovvero di altri soggetti qualificati, pubblici e privati. Per ulteriori approfondimenti si rinvia al seguente link.

 

Gli interventi previsti dal comma 1 riguardano:

- interventi e opere richiesti dalla normativa sulla sicurezza dei luoghi di lavoro;

- manutenzione ordinaria e straordinaria di impianti e infrastrutture, compresi adeguamenti alle prescrizioni autorizzative;

- opere lineari necessarie per l’esercizio di impianti e forniture di servizi;

- altre opere lineari di pubblico interesse;

- sistemazione idraulica;

- mitigazione del rischio idraulico;

- opere per la realizzazione di impianti per la produzione energetica da fonti rinnovabili e di sistemi di accumulo, esclusi gli impianti termoelettrici (fatti salvi i casi di riconversione da un combustibile fossile ad altra fonte meno inquinante o qualora l’installazione comporti una riduzione degli impatti ambientali rispetto all’assetto esistente), incluse le opere con le medesime connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli stessi impianti;

- tipologie di opere e interventi individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all’art. 7-bis del Codice dell’ambiente, cioè gli interventi statali sottoposti a VIA presenti nell’allegato II alla parte seconda del Codice dell’ambiente (in sostanza grandi impianti come raffinerie, elettrodotti, centrali termiche, strade, ferrovie, etc).

Rispetto alle opere previste dal comma 7 dell’art. 34 del D.L. 133/2014 (cd. Decreto “Sblocca Italia”, vedi infra)) il comma 1 in esame amplia la platea degli interventi, allargandola anche alla sistemazione idraulica, alle opere per la mitigazione del rischio idraulico e per la realizzazione di impianti per la produzione energetica da fonti rinnovabili, ed evitando in tal modo l’applicazione, per la realizzazione di tali interventi, della procedura di caratterizzazione del sito (cioè quanto previsto dall’art. 242 del Codice dell’ambiente).

 

Il comma 1 ribadisce quanto già indicato al comma 7 dell’art. 34 del D.L. 133/2014 sul rispetto delle seguenti condizioni, per l’attuazione degli interventi, e cioè:

- che siano realizzati secondo modalità e tecniche che non pregiudichino né interferiscano con l’esecuzione e il completamento della bonifica;

- non determinino rischi per la salute dei lavoratori e degli altri fruitori dell’area nel rispetto del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (Testo unico sulla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro).

 

Il comma 2 introduce una novità rispetto all’art. 34 del D.L. 133/2014, ossia la valutazione del rispetto delle condizioni previste dal comma 1 da parte dell’Autorità competente, ai sensi del citato Titolo V, Parte quarta, del Codice dell’ambiente (ossia la Regione o il Ministero dell’ambiente). Tale verifica viene effettuata nell’ambito dei procedimenti di approvazione ed autorizzazione degli interventi, e, se prevista, nell’ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale dei medesimi interventi.

 

Il comma 3 introduce, inoltre, una procedura semplificata per la realizzazione degli interventi e delle opere individuate dal comma 1, e per le attività di scavo previste dall’articolo 25 del D.P.R. 120/2017, da realizzare nei siti oggetto di bonifica, già oggetto di caratterizzazione.

L’art. 242 del Codice dell’ambiente disciplina le procedure operative ed amministrative per l’effettuazione delle analisi in caso di un evento che potenzialmente potrebbe contaminare un sito; in particolare, sono disciplinate le attività riguardanti le analisi del livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) del sito.

    Si ricorda che la caratterizzazione ambientale di un sito è identificabile con l'insieme delle attività che permettono di ricostruire i fenomeni di contaminazione a carico delle matrici ambientali, in modo da ottenere le informazioni di base su cui prendere decisioni realizzabili e sostenibili per la messa in sicurezza e/o bonifica del sito. Le attività di caratterizzazione devono essere condotte in modo tale da permettere la validazione dei risultati finali da parte delle Pubbliche Autorità in un quadro realistico e condiviso delle situazioni di contaminazione eventualmente emerse.

Il DPR 120/2017, emanato ai sensi dell’art. 8 del D.L. 133/2014 per il riordino dell’intera materia “Terre e rocce da scavo”, individua, tra l’altro, la disciplina per la gestione delle terre e rocce da scavo, anche quando sono prodotte nei siti oggetto di bonifica e per le relative attività di verifica e controllo, poste in capo alle Agenzie di Protezione Ambientale; in particolare, gli artt. 25 e 26 del citato DPR 120/217 sono riferiti specificamente alla gestione delle terre e rocce da scavo prodotte nei siti oggetto di bonifica già caratterizzati ed al loro riutilizzo esclusivamente interno al sito di produzione, per cui il materiale scavato, conforme alle condizioni di utilizzo, appartiene alla fattispecie delle terre e rocce da scavo escluse dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti e non a quella dei sottoprodotti.

Per ulteriori approfondimenti si rinvia alla delibera 54/2019 recante le “Linee guida sull'applicazione della disciplina per l'utilizzo delle terre e rocce da scavo" del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (SNPA)

 Il comma 3, in particolare, stabilisce che il Ministro dell’ambiente, con proprio decreto, per le aree ricomprese nei siti di interesse nazionale, e le regioni per le restanti aree, provvedono all’individuazione delle categorie di interventi che non necessitano della preventiva valutazione da parte dell’Autorità competente ai sensi del Titolo V, Parte quarta, del Codice dell’ambiente.

Tuttavia, in caso di necessaria valutazione da parte dell’Autorità competente, il Ministero dell’ambiente e le regioni interessate definiscono i criteri e le procedure per la predetta valutazione e le modalità di controllo.

Caratterizzazione, scavo e gestione dei terreni movimentati (art. 242-ter, comma 4)

Il comma 4 specifica le procedure e modalità di caratterizzazione, scavo e gestione dei terreni movimentati, ai fini del rispetto delle condizioni previste dal comma 1, in attesa della attuazione di quanto previsto nella procedura semplificata disciplinata dal comma 3.

 

Piano delle indagini preliminari (lett. a), comma 4)

La lettera a) indica le procedure da seguire nel sito, nel caso in cui non sia stata ancora realizzata la caratterizzazione dell'area oggetto dell'intervento con le procedure previste dal citato art. 242 del Codice dell’ambiente.

In tale caso, il soggetto proponente accerta lo stato di potenziale contaminazione del sito mediante un Piano di indagini preliminari.

 

La lettera a) specifica che la proposta di Piano di indagini preliminari, comprensivo della lista degli analiti (cioè delle sostanze da determinare nelle analisi dei siti inquinati) da ricercare, deve essere concordato con l'agenzia di protezione ambientale territorialmente competente che si pronuncia entro e non oltre il termine di 30 giorni dalla richiesta del proponente, eventualmente stabilendo particolari prescrizioni in relazione alla specificità del sito.

Trascorsi 15 giorni dalla scadenza del previsto termine di 30 giorni, il Piano di indagini preliminari può essere concordato con l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), su segnalazione del proponente.

Il proponente, trenta giorni prima dell'avvio delle attività d’indagine, trasmette agli enti interessati il piano con la data di inizio delle operazioni.

Se l'indagine preliminare accerta l'avvenuto superamento delle CSC, anche per un solo parametro, il soggetto proponente provvede a comunicarlo, con le forme e le modalità di cui all’art. 245, comma 2, del Codice dell’ambiente, con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza adottate.

In particolare, il citato art. 245, comma 2 specifica che il proprietario o il gestore dell'area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all’art. 242.

 In sostanza, rispetto a quanto previsto dal comma 8, lett. a) dell’art. 34 del D.L. 133/2014, si disciplina, in luogo della proposta di Piano di dettaglio della caratterizzazione del sito, una proposta di Piano di indagini preliminari del terreno, e si prevede altresì un intervento sostitutivo dell’ISPRA, in caso di mancato intervento delle ARPA in merito alla valutazione del medesimo Piano di indagini preliminari del proponente.

 

Interventi in caso di attività di messa in sicurezza operativa già in essere (lett. b) comma 4)

La lettera b), che ribadisce in modo più chiaro quanto previsto dalla lett. b) del comma 8 dell’art. 34 del D.L. 133/2014, stabilisce - in presenza di attività di messa in sicurezza operativa già in essere - la possibilità da parte del proponente di avviare la realizzazione degli interventi e delle opere di cui al comma 1, previa comunicazione all'agenzia di protezione ambientale territorialmente competente, da effettuarsi con almeno 15 giorni di anticipo rispetto all’avvio delle opere. Al termine dei lavori, l'interessato assicura il ripristino delle opere di messa in sicurezza operativa.

 

Procedura per le attività di scavo (lett. c), comma 4)

La lettera c) dispone, come la lett. c) del comma 8 dell’art. 34 del D.L. 133/2014, l’effettuazione delle attività di scavo con le precauzioni necessarie, al fine di non aumentare i livelli di inquinamento delle matrici ambientali interessate e, in particolare, delle acque sotterranee. La lettera c) prevede altresì la rimozione e la gestione di fonti attive di contaminazione (rifiuti o prodotto libero), rilevate nel corso delle attività di scavo, nel rispetto delle norme in materia di gestione rifiuti.

La disposizione specifica che i terreni e i materiali provenienti dallo scavo sono gestiti nel rispetto del citato D.P.R. 120/2017 (v. supra), anziché della normativa contenuta dai commi 9 e 10 dell’art. 34 del D.L. 133/2014, richiamati dalla lettera c) del comma 8 dell’art. 34 del medesimo D.L. 133/2014.

 

Il comma 5 dell’art. 242-ter, introdotto dalla norma in esame, prevede la cd. clausola di invarianza finanziaria per l’attuazione delle norme descritte.

 

Il comma 2 dell’articolo in esame abroga i citati commi da 7 a 10 dell’art. 34 del D.L. 133/2014 (cd. Decreto “Sblocca Italia”) che tracciano, in particolare, la disciplina da applicare alla gestione dei materiali di scavo nei siti oggetto di bonifica per la realizzazione di determinate opere.


Articolo 53
(Semplificazione delle procedure nei siti di interesse nazionale)

 

 

L’articolo 53 introduce – con una novella all’art. 252 del Codice dell’ambiente, in materia di bonifiche dei siti di interesse nazionale (SIN) –una procedura preliminare che consente l’effettuazione delle indagini preliminari nel sito oggetto di bonifica, per cui, qualora si riscontri un superamento delle contaminazioni, si procede alle successive fasi di caratterizzazione, analisi di rischio e redazione del progetto di bonifica. Il piano di indagini preliminari è predisposto dall’interessato con il coinvolgimento dell’Arpa territorialmente competente (ovvero, in caso di inerzia di quest’ultimo, dell’ISPRA).

Si prevede, altresì, un iter alternativo per la bonifica dei SIN, che unifica le fasi della caratterizzazione e dell’analisi di rischio, al fine di giungere al progetto di bonifica e ridurre i passaggi amministrativi intermedi.

Si prevede poi il rilascio della certificazione di avvenuta bonifica anche per la sola matrice suolo (escludendo le matrici del sottosuolo e delle acque), secondo determinate condizioni, e l’erogazione delle risorse per le bonifiche dei cd. siti “orfani”.

 

Di seguito sono analizzate le modifiche apportate dal comma 1 dell’art. 53 in esame all’art. 252 del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006), che disciplina le bonifiche nei siti di interesse nazionale, e gli interventi previsti dai commi 2 e 3 del medesimo art. 53.

 

Piano delle indagini preliminari (co. 4-bis, art. 252)

 

Il nuovo comma 4-bis, aggiunto all’art. 252 del Codice dell’ambiente, che individua i siti inquinati di interesse nazionale (SIN) per i quali è competente il Ministero dell'ambiente, introduce la procedura per l’approvazione del Piano delle indagini preliminari alla bonifica del sito, nei seguenti termini:

·        presentazione di un Piano di indagini preliminari, comprensivo degli analiti da ricercare, da parte del soggetto responsabile dell’inquinamento o da altro soggetto per l’accertamento dello stato di potenziale contaminazione;

·        termine di 30 giorni dalla richiesta del proponente, per concordare il Piano delle indagini preliminari con l'agenzia di protezione ambientale competente territorialmente, che eventualmente stabilisce particolari prescrizioni in relazione alla specificità del sito;

·        sostituzione dell’agenzia di protezione ambientale con l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), trascorsi 15 giorni dalla scadenza del previsto termine di 30 giorni, per concordare il Piano delle indagini preliminari;

·        trasmissione del Piano, trenta giorni prima dell'avvio delle attività d’indagine, con la data di inizio delle operazioni, al Ministero dell’ambiente, alla regione, al comune, alla provincia e all’agenzia di protezione ambientale competenti.

 

Il comma 4-bis disciplina altresì gli effetti delle indagini preliminari: 

·        ove l'indagine preliminare accerti l'avvenuto superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), anche per un solo parametro, si applicano le procedure degli articoli 242 e 245 (in sintesi, tali articoli disciplinano le procedure da avviare per la bonifica ordinaria dei siti in caso di intervento del soggetto responsabile dell’inquinamento o del soggetto non responsabile);

·        ove, invece, si accerti che il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) non sia stato superato, il medesimo soggetto provvede al ripristino della zona contaminata e ne informa, mediante autocertificazione, il Ministero dell’ambiente, la regione, il  comune, la provincia e l’agenzia di protezione ambientale competenti, entro 90 giorni dalla comunicazione della data di inizio delle attività di indagine.

La suddetta autocertificazione, prevista anche dall’art. 242, comma 2, conclude il procedimento, ferme restando le attività di verifica e di controllo da parte della provincia competente, da avviare nei successivi 15 giorni, previa comunicazione al proponente e agli Enti interessati. In tal caso, le attività di verifica devono concludersi entro e non oltre 90 giorni.

 

La disciplina nazionale sulle attività di bonifica dei siti contaminati è contenuta nel Titolo V della Parte IV del D. Lgs. 152/2006 (cd. "Codice ambientale"), agli artt. da 239 a 253 e nei relativi allegati al Titolo V della Parte quarta. In generale, gli interventi in materia di bonifiche prevedono l'applicazione di una procedura di carattere ordinario (articoli 242 e 252 del decreto legislativo 152/2006), che assegna alle autorità competenti a livello nazionale e regionale l'approvazione del progetto di bonifica, contenente gli interventi previsti a carico del responsabile dell'inquinamento.

L'art. 242 definisce le procedure ordinarie operative ed amministrative, per le bonifiche di competenza regionale o delle province autonome. Dopo lo svolgimento di indagini preliminari da parte del soggetto responsabilie, nel caso in cui la concentrazione soglia dei contaminanti (CSC) presenti nel sito sia superiore ai valori di concentrazione soglia di rischio (CSR), si prevede che il soggetto responsabile sottoponga alla regione il progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale. La regione, acquisito il parere del comune e della provincia interessati mediante apposita conferenza di servizi e sentito il soggetto responsabile, approva il progetto, con eventuali prescrizioni ed integrazioni, entro sessanta giorni dal suo ricevimento.

L'art. 242-bis disciplina la procedura semplificata per le operazioni di bonifica del suolo che l'operatore interessato effettua, a proprie spese, per la riduzione della contaminazione ad un livello uguale o inferiore ai valori di concentrazione soglia di contaminazione.

Ulteriore procedura semplificata per i siti inquinati di modeste dimensioni è disciplinata dall’art. 249 e riportata nell'allegato 4 alla Parte quarta del Codice dell’ambiente.

L'art. 250 stabilisce che, qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti previsti ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi di cui all'art. 242 sono realizzati d'ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione, secondo l'ordine di priorità fissato dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate.

L'art. 252 disciplina le procedure specifiche per i siti di interesse nazionale (SIN) e l'art. 252-bis disciplina la bonifica, la riconversione industriale e lo sviluppo economico dei siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico. 

Per ulteriori approfondimenti si rinvia al seguente link.

 

 

Procedure di caratterizzazione e analisi del rischio del sito e progetto operativo di bonifica (co. 4-ter, art. 252)

 

Il nuovo comma 4-ter dell’art. 252 del Codice ambientale prevede, innovando il testo previgente, l’unificazione in una unica fase delle due procedure, previste nei commi 3 e 4 dell’art. 242, riguardanti il piano di caratterizzazione e l’analisi di rischio sito specifica, che a legislazione vigente sono soggetti, per i siti di interesse nazionale, ad approvazione ministeriale. In tale fase si prevede, altresì, la possibilità di allegare i risultati di applicazione a scala pilota, in campo, di tecnologie di bonifica ritenute idonee.

Nel caso che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito sia superiore ai valori di concentrazione soglia di rischio (CSR), il Ministero dell'ambiente - valutata la suddetta documentazione – approva entro 90 giorni l’analisi di rischio, con il procedimento di cui al comma 4 dell’art. 252 (in cui sono coinvolti il Ministero dell’ambiente, l’ISPRA, l’Istituto superiore di sanità e le ARPA) e, contestualmente, indica le condizioni per l'approvazione del progetto operativo del proponente (previsto all’art. 242, comma 7).

Il Ministero dell’ambiente può motivatamente chiedere la revisione dell’analisi di rischio previa esecuzione di indagini integrative ove necessarie.

Il progetto di bonifica, presentato nei successivi 60 giorni dal proponente, viene approvato dal Ministero dell’ambiente, ai sensi e per gli effetti di cui ai commi 4 e 6 dell’art. 252 (costituendo, in particolare, dichiarazione di pubblica utilità).

Il comma 4-ter introduce, quale novità rispetto al testo vigente, l’attribuzione del potere di esproprio al comune sede dell’opera.

 

Raccordo tra bonifica e VIA

 

Il comma 4-ter prevede, inoltre, il raccordo tra l’iter di approvazione del progetto di bonifica e la procedura di VIA. In particolare, ove il progetto debba essere sottoposto alla procedura di verifica di assoggettabilità o a valutazione di impatto ambientale ai sensi della normativa vigente, il procedimento di approvazione è sospeso fino all'acquisizione della pronuncia dell’autorità competente ai sensi della parte seconda del Codice dell’ambiente. Qualora il progetto sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale di competenza regionale, i titoli abilitativi per la realizzazione e l’esercizio degli impianti e delle attrezzature necessari all'attuazione del progetto operativo sono ricompresi nel provvedimento autorizzatorio unico regionale rilasciato ai sensi dell’art. 27-bis del Codice dell’ambiente.

 

Certificazione di avvenuta bonifica (comma 4-quater, art. 252)

 

Il nuovo comma 4-quater introduce una ulteriore novità costituita dalla certificazione di avvenuta bonifica del sito, disciplinata dall’art. 248 del Codice dell’ambiente, che può essere rilasciata anche per la sola matrice suolo (e non anche per le altre matrici ambientali, cioè sottosuolo e falde acquifere).

La condizione prevista è che risulti accertata l’assenza di interferenze con la matrice acque sotterranee tali da comportare una cross contamination e che non vi siano rischi per la salute dei lavoratori e degli altri fruitori dell'area.

Quanto sopra disposto è applicabile anche per l’adozione da parte dell’autorità competente del provvedimento di conclusione del procedimento di bonifica, nel caso in cui la contaminazione rilevata nella matrice suolo risulti inferiore ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) oppure, se superiore, risulti comunque inferiore ai valori di concentrazione soglia di rischio (CSR) determinate a seguito dell'analisi di rischio sanitario e ambientale sito specifica approvata dall’autorità competente.

La certificazione di avvenuta bonifica per la sola matrice suolo costituisce titolo per lo svincolo delle relative garanzie finanziarie di cui all'art. 242, comma 7.

 

Regime transitorio (comma 2)

 

Il comma 2 dell’articolo in esame introduce un regime transitorio volto a prevedere l’applicabilità della nuova normativa introdotta con il comma 4-ter all’art. 252 anche ai procedimenti in corso. Fatti salvi gli interventi approvati, tali disposizioni sono applicabili anche ai procedimenti in corso su richiesta da presentare nel termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge.

 

Risorse per i “siti orfani” (comma 3)

 

Il comma 3 modifica l’art. 1, comma 800, della legge di bilancio 2019 (L. 30 dicembre 2018, n. 145), che ha incrementato e disciplinato la destinazione delle risorse del Fondo per interventi urgenti di messa in sicurezza e bonifica dei siti di interesse nazionale (SIN), istituito dall’art. 1, comma 476, della L. 208/2015 (legge di stabilità per il 2016), pari a 20.227.042 euro, per ciascuno degli anni dal 2019 al 2024, al fine di velocizzare l’impiego delle risorse previste per cd. siti “orfani” (vale a dire quei siti per i quali le procedure di bonifica sono in carico alla P.A., in quanto i soggetti responsabili della contaminazione non provvedono alla bonifica o non sono individuabili e non vi provvede nemmeno il proprietario del sito né altri soggetti interessati, o siti inquinati per i quali non è stato avviato il procedimento di individuazione del responsabile della contaminazione).

Pertanto, viene previsto che con un decreto di natura non regolamentare il Ministro dell'ambiente, d'intesa con la Conferenza unificata, definisca i criteri e le modalità di trasferimento alle autorità competenti delle suddette risorse a favore della bonifica dei cd. siti “orfani”.

Il previgente testo del comma 800 della legge di bilancio 2019 stabilisce  l’adozione, entro centoventi giorni a partire dal 1° gennaio 2019, da parte del Ministero dell'ambiente, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, di un programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale dei siti oggetto di bonifica.


Articolo 54
(Misure di semplificazione in materia di interventi contro il dissesto idrogeologico)

 

 

L'articolo 54 reca alcune modifiche alla disciplina sulle attribuzioni dei Presidente delle regioni, subentrati ai Commissari straordinari, in materia di interventi straordinari per la mitigazione del rischio idrogeologico.

Esso consente, inoltre, lo svolgimento di Conferenze di servizi con modalità telematiche ai fini della programmazione relativa al Piano di interventi per la mitigazione del dissesto idrogeologico.

Infine, la disposizione in esame attribuisce alcune facoltà alle Autorità distrettuali di bacino, nelle more dell'adozione dei piani stralcio contro il dissesto idrogeologico (PAI).

 

Il comma 1 dell'articolo in esame reca modifiche all'art. 10 del decreto-legge n. 91 del 2014 (convertito dalla legge n. 116 del 2014). Tale articolo 10 prevede il subentro dei Presidenti delle regioni nelle funzioni dei Commissari straordinari delegati, per la realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico individuati negli accordi di programma (sottoscritti tra il Ministero dell'ambiente e le regioni ai sensi dell'articolo 2, comma 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191), prevedendo altresì il subentro degli stessi nella titolarità delle relative contabilità speciali. Il Presidente della regione è titolare dei procedimenti di approvazione e autorizzazione dei progetti (comma 5 dell'art. 10, D.L. n. 116 del 2014).

La novella di cui alla lettera a) integra il comma 6 dell'art. 10, stabilendo che, nel corso del procedimento di rilascio delle autorizzazioni, l'autorità procedente può convocare la Conferenza di servizi, ove lo ritenga necessario. Il termine per il rilascio del parere da parte della Conferenza di servizi è fissato in 30 giorni

La novella di cui alla lettera b), introducendo un nuovo comma 11-ter al medesimo art. 10, consente ai Presidenti delle regioni di avviare le attività di progettazione e quelle prodromiche alla realizzazione degli interventi a seguito dell'assegnazione delle risorse, nei limiti delle stesse, indipendentemente dall'effettiva disponibilità di cassa.

 

Si segnala, preliminarmente, che l'art. 9 del decreto-legge in esame, recante misure di accelerazione degli interventi infrastrutturali, modifica l’articolo 4 del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, incidendo, tra l'altro, sulla disciplina, ivi prevista, relativa ai Commissari straordinari per il dissesto idrogeologico. Si rinvia alla scheda dell'art. 9 per tali profili.

 

I piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico sono stati previsti dall’articolo 2, comma 240 della legge 191 del 2009 (legge finanziaria 2010) e risultano contenuti negli Accordi di programma, sottoscritti dalla regione interessata e dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, finalizzati alla programmazione e al finanziamento di interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico.

In base a quanto previsto dal comma 6 dell'art. 10 del DL 91 del 2014, qui novellato, le autorizzazioni rilasciate dal Presidente della regione ai sensi del comma 5 sostituiscono tutti i visti, i pareri, le autorizzazioni, i nulla osta necessari per l'esecuzione degli interventi, le dichiarazioni di pubblica utilità e costituiscono, eventualmente, variante agli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale.

Sono comunque fatti salvi i pareri e gli atti di assenso di competenza del Ministero dei beni e delle attività culturali previsti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 del 2004). Tali pareri o atti di assenso devono essere comunque rilasciati entro trenta giorni dalla richiesta, decorsi i quali, in mancanza del parere, si provvede alla conclusione del procedimento limitatamente agli interventi previsti dal pertinente accordo di programma.

Si prevede, in caso di occupazioni di urgenza e di eventuali espropriazioni delle aree occorrenti per l’esecuzione delle opere e degli interventi, la riduzione della metà dei termini di legge previsti dal d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, ("Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità"). Al riguardo, si veda il box in chiusura della presente scheda di lettura.

 

Il comma 2 stabilisce che le attività di programmazione necessarie alla definizione del Piano di interventi per la mitigazione del dissesto idrogeologico siano espletate, fino al 31 dicembre 2020, mediante l'indizione di Conferenze di servizi online, al fine di definire - sulla base dei fabbisogni individuati dalle regioni e dalle province autonome - gli elenchi degli interventi da ammettere a finanziamento, suddivisi per liste regionali. La norma fa riferimento agli interventi da realizzare a valere sulle risorse del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Le Conferenze di servizi in oggetto si avvalgono del contributo e della partecipazione dei commissari per l'emergenza, dei commissari straordinari per il dissesto e delle autorità di bacino distrettuale.

Secondo la relazione illustrativa, la norma mira ad accelerare la programmazione degli interventi attraverso l'utilizzo degli strumenti telematici.

 

Il medesimo comma 2 specifica che ai fini dell'ammissione al finanziamento, gli interventi devono essere dotati del Codice unico di progetto degli investimenti pubblici (CUP), di cui all'articolo 11 della legge n. 3 del 2003. I progetti, inoltre, sono sottoposti alle procedure di monitoraggio sullo stato di attuazione delle opere pubbliche, di verifica dell'utilizzo dei finanziamenti nei tempi previsti di cui al decreto legislativo n. 229 del 2011.

L'art. 11 della legge n. 3 del 2003 prevede, per la funzionalità della rete di monitoraggio degli investimenti pubblici, che ogni nuovo progetto di investimento pubblico, nonché ogni progetto in corso di attuazione alla predetta data, sia dotato del CUP. Con la delibera CIPE 27 dicembre 2002, n. 143, sono state definite le modalità di attribuzione del Codice.

 

Per quanto concerne il Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologica (c.d. ProteggItalia), v. infra. Esso prevede, tra l'altro, l'adozione di Piano stralcio recanti interventi urgenti ed indifferibili, definiti per liste regionali, mediante apposite conferenze di servizi, in deroga alla modalità di funzionamento del «Fondo per la progettazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico»[52], definite con il D.P.C.M. 14 luglio 2016.

Inoltre, come affermato nelle premesse alla delibera CIPE n. 35/2019[53] di approvazione del Piano stralcio, la cabina di regia Strategia Italia (istituita con il D.P.C.M. 15 febbraio 2019) ha previsto che Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare possa  ricorrere  al sistema di individuazione e programmazione degli interventi a  valere sulle risorse Fondo Sviluppo e Coesione - FSC, mediante Conferenza di servizi, come già  previsto per il citato Piano stralcio 2019, senza, quindi, la  stipula di accordi di programma, anche per ulteriori iniziative  "a  stralcio" 2019.

Al riguardo, si ricorda che con il D.P.C.M. 2 dicembre 2019 è stato poi approvato il piano operativo per il dissesto idrogeologico per il 2019, per un importo complessivo di 361,9 milioni di euro, a carico delle risorse del FSC 2014- 2020 stanziate a favore del piano operativo «Ambiente» e dei relativi addendum. Tale approvazione, come specificato nell'art. 1 del decreto in questione, avviene "ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 febbraio 2019, e al fine di dare attuazione al Piano operativo «Ambiente» FSC 20142020 - Linea di azione 1.1.1 «Interventi per la riduzione del rischio idrogeologico e di erosione costiera» di cui alle delibere CIPE n. 55/2016, n. 99/2017, n. 11/2018 e n. 31/2018".

 

 

 

Il Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico - Piano ProteggItalia*

 

Con il D.P.C.M. 20 febbraio 2019 è stato approvato il Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale (c.d. ProteggItalia).

Secondo quanto indicato nel comma 3 dell'art. 1 del D.P.C.M. 20 febbraio 2019, tale piano (contenuto nell'allegato A al citato decreto) "persegue la formazione di un quadro unitario, ordinato e tassonomico, concernente l'assunzione dei fabbisogni, la ripartizione relativa ai suddetti ambiti e misure di intervento; la sintesi delle risorse finanziarie disponibili; la ripartizione dei carichi operativi e il piano delle azioni; il sistema di governance e delle collaborazioni istituzionali; il cronoprogramma delle attività; i risultati attesi, anche in termini di impatti e benefici sociali ed economici, una criteriologia più referenziata, conosciuta e maggiormente trasparente di selezione degli interventi; un sistema di reporting, monitoraggio e controllo di gestione, opportunamente potenziato, anche mediante alimentazione e integrazione delle banche dati esistenti".

Lo stesso Piano è articolato "in una pluralità di programmi obiettivo facenti capo a ciascuna delle amministrazioni competenti, che dovranno trovare sintesi preventiva e periodica verifica successiva nel livello più alto di coordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri" (comma 4).

Negli allegati al piano sono esposti "il prospetto ricognitivo analitico delle risorse finanziarie complessive concernenti la materia, recante il quadro composito delle risorse allocate e complessivamente disponibili" (allegato B) e "un documento recante linee guida in materia di semplificazione dei processi, rafforzamento organizzativo e della governance" (allegato C).

In particolare l'allegato B evidenzia un ammontare di risorse disponibili per il triennio 2019-2021 pari a circa 10,9 miliardi di euro.

L'art. 2, comma 1, del D.P.C.M. 20 febbraio 2019, prevede inoltre la predisposizione di un piano stralcio 2019 "recante elenchi settoriali di progetti e interventi infrastrutturali immediatamente eseguibili già nel 2019, aventi carattere di urgenza e indifferibilità, fino alla concorrenza di un ammontare complessivo di 3 miliardi di euro".

In attuazione di quanto previsto dal decreto di approvazione del Piano nazionale, con la delibera CIPE 24 luglio 2019, n. 35 è stato approvato il piano stralcio relativo agli interventi immediatamente cantierabili individuati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per l'ammontare complessivo di 315,1 milioni di euro.

Nella delibera viene precisato che la copertura finanziaria di tale piano stralcio è assicurata nell'ambito delle risorse iscritte nell'anno finanziario 2019, anche in conto residui, sui pertinenti capitoli di bilancio dello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.

 

*Paragrafo estratto da: Camera dei deputati, temaweb "Dissesto idrogeologico"

 

 

Il comma 3 modifica l'art. 68 del codice dell'ambiente (di cui al d.lgs. n. 152 del 2006) dettando una specifica disciplina applicabile nelle more dell'adozione dei piani stralcio contro il dissesto idrogeologico (PAI), ivi previsti.

Tale disciplina consente all’Autorità di bacino distrettuale, d’intesa con la Regione territorialmente competente e previo parere della Conferenza Operativa, di modificare, con proprio atto, la perimetrazione e la classificazione delle aree che presentino rischio o pericolosità, già inserite nei piani stralcio relativi all’assetto idrogeologico emanati dalle soppresse (dall'art. 51 della legge n. 221 del 2015) Autorità di bacino. La disposizione fa riferimento a modifiche derivanti dalla realizzazione di interventi per la mitigazione del rischio, dal verificarsi di nuovi eventi di dissesto idrogeologico o da approfondimenti puntuali del quadro conoscitivo. Queste modifiche sono da considerarsi quali parti integranti degli aggiornamenti dei piani stralcio (nuovo comma 4-bis dell'art. 68). Ai sensi del nuovo comma 4-ter, tali aggiornamenti sono effettuati nel rispetto delle procedure di partecipazione previste dalle norme tecniche di attuazione dei piani di bacino vigenti nel territorio distrettuale e, comunque, garantendo adeguate forme di consultazione e osservazione sulle proposte di modifica. La disposizione in esame prevede che l’Autorità di bacino distrettuale può adottare, nelle more della definizione degli aggiornamenti del PAI e sulla base del parere della Conferenza Operativa, misure di salvaguardia immediatamente vincolanti. Queste ultime restano in vigore sino all'approvazione dell'aggiornamento secondo le modalità di cui al comma 4-bis.

 

I piani stralcio - PAI sono adottati (art. 67 del codice) dalle Autorità di bacino. I PAI individuano le aree a rischio idrogeologico e la perimetrazione delle aree da sottoporre alle misure di salvaguardia, ivi determinate. Ai sensi dell'art. 68, commi 1 e 2, del codice, il progetto di piano stralcio, che non è sottoposto a valutazione ambientale strategica (VAS), deve essere approvato entro e non oltre sei mesi dalla data di adozione del relativo progetto di piano. In vista dell'adozione, le regioni convocano una conferenza programmatica, articolata per sezioni provinciali, o per altro ambito territoriale deliberato dalle regioni stesse, alla quale partecipano le province ed i comuni interessati, unitamente alla regione e ad un rappresentante dell'Autorità di bacino (art. 68, comma 3). La conferenza esprime un parere sul progetto di piano stralcio "con particolare riferimento alla integrazione su scala provinciale e comunale dei contenuti del piano, prevedendo le necessarie prescrizioni idrogeologiche ed urbanistiche" (comma 4).

 

Come accennato, l'art. 51 della legge n. 221 del 2015, riscrivendo l'art. 63 del codice dell'ambiente, ha disciplinato le Autorità di bacino distrettuali, prevedendo al contempo la soppressione delle Autorità di bacino, istituite dalla L. 183/1989, a partire dalla data di adozione del decreto ministeriale (previsto dal medesimo art. 63) al quale è demandato il trasferimento del personale e delle risorse strumentali, ivi comprese le sedi, e finanziarie delle “vecchie” autorità di bacino.

In attuazione di tali disposizioni, è stato emanato D.M. 25 ottobre 2016 ("Disciplina dell'attribuzione e del trasferimento alle Autorità di bacino distrettuali del personale e delle risorse strumentali, ivi comprese le sedi, e finanziarie delle Autorità di bacino, di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183"), indi i DPCM istitutivi delle nuove Autorità[54].

Il comma 10 dell'art. 63 disciplina le funzioni dell'Autorità distrettuale. La lettera a) le attribuisce l'approvazione del Piano di bacino e dei relativi stralci, tra cui il Piano di gestione del bacino idrografico e il Piano di gestione del rischio alluvioni. Questi ultimi sono previsti rispettivamente: dall'articolo 13 della direttiva 2000/60/CE ("direttiva acque") che rinvia, per i contenuti dei piani di gestione, all'Allegato VII; dall'articolo 7 della direttiva 2007/60/CE (relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni) che rinvia, per i contenuti, alla Parte A dell'Allegato alla direttiva medesima. La lettera b) attribuisce all'Autorità la verifica della coerenza con il Piano di bacino dei piani e programmi comunitari, nazionali, regionali e locali.

Il medesimo intervento normativo ha disciplinato (art. 63, commi 5 e 9) la Conferenza istituzionale permanente e la Conferenza operativa, quali organi dell'Autorità di bacino distrettuale. Gli atti di indirizzo, coordinamento e pianificazione delle Autorità di bacino distrettuale vengono adottati in sede di Conferenza istituzionale permanente. In particolare, la Conferenza permanente adotta il Piano di bacino e i suoi stralci. Il comma 9 del più volte richiamato articolo 63 detta le disposizioni sulla Conferenza operativa, composta da rappresentati delle amministrazioni presenti nella conferenza istituzionale permanente. In particolare, la Conferenza operativa è convocata dal Segretario generale, che la presiede, e delibera con la maggioranza dei 3/5 dei presenti. Essa esprime pare sul Piano di bacino e sui relativi stralci ed emana direttive, anche di natura tecnica, sulle attività finalizzate a verificare la coerenza con il Piano di bacino dei piani e programmi comunitari, nazionali, regionali e locali.

L'art. 64 del codice, parimenti riscritto dall'art. 51 citato, disciplina quindi i distretti idrografici.

Per quanto concerne l'art. 51 citato, si veda il dossier sull'A.C. 2093-B della XVII legislatura.

 

Si ricorda, infine, che è all'esame della 13ª Commissione (Territorio, ambiente, beni ambientali) del Senato, il disegno di legge A.S. n. 1422 di iniziativa governativa recante "Disposizioni per il potenziamento e la velocizzazione degli interventi di mitigazione del dissesto idrogeologico e la salvaguardia del territorio - «Legge CantierAmbiente»" e dei disegni di legge congiunti nn. 216 e 993.

Si veda, al riguardo, il dossier del Servizio studi del Senato.

 

Per approfondimenti sul tema del dissesto idrogeologico, si veda il già menzionato temaweb curato dal Servizio studi della Camera dei deputati.

 

Sul tema de rischio idrogeologico, nel PNR 2020 il Governo ha annunciato investimenti volti ad attenuare il rischio idrogeologico, quali il Fondo per il rimboschimento e la tutela ambientale e idrogeologica delle aree interne, istituito con il D.L. 111/2019 ("Decreto clima", convertito con Legge 141/2019) che incentiverà interventi di messa in sicurezza, manutenzione del suolo e rimboschimento, con dotazione pari ad 1 milione di euro per l’anno 2020 e a 2 milioni di euro nel 2021, mentre per quanto concerne l'uso dei fondi strutturali e di investimento europei, esso è pari al 28,4 per cento delle risorse programmate, che ammontano a 1.581 milioni, con risorse articolate su tredici Programmi operativi regionali, che si concentrano su interventi relativi al rischio idrogeologico e all’erosione costiera, nonché sulla riduzione del rischio incendio, vulcanico e sismico.

 

Si sintetizzano di seguito alcune disposizioni del D.P.R. 327/2001 ("Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità") concernenti le tempistiche delle procedure ordinarie e di urgenza.

 

 

Le occupazioni di urgenza e le espropriazioni

 

Come già detto, l'art. 10, comma 6, del decreto-legge n. 91 del 2014, prevede, in caso di occupazioni di urgenza e di eventuali espropriazioni delle aree occorrenti per l’esecuzione delle opere e degli interventi, la riduzione della metà dei termini di legge.

L’articolo 8 del D.P.R. 327/2001 disciplina le fasi del procedimento espropriativo ordinario, mentre l’articolo 9, comma 1 stabilisce che un bene è sottoposto al vincolo preordinato all'esproprio quando diventa efficace l'atto di approvazione del piano urbanistico generale, ovvero una sua variante, che prevede la realizzazione di un'opera pubblica o di pubblica utilità ed ha la durata di cinque anni. Entro tale termine, può essere emanato il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera.

L’art. 20, comma 1 del D.P.R. prevede una procedura ordinaria di esproprio, per cui, divenuto efficace l'atto che dichiara la pubblica utilità, entro i successivi trenta giorni il promotore dell'espropriazione compila l'elenco dei beni da espropriare, con una descrizione sommaria, e dei relativi proprietari, ed indica le somme che offre per le loro espropriazioni. Il comma 2 stabilisce inoltre che ove lo ritenga opportuno in considerazione dei dati acquisiti e compatibile con le esigenze di celerità del procedimento, l'autorità espropriante invita il proprietario e, se del caso, il beneficiario dell'espropriazione a precisare, entro un termine non superiore a venti giorni ed eventualmente anche in base ad una relazione esplicativa, quale sia il valore da attribuire all'area ai fini della determinazione della indennità di esproprio.

L’art. 49 disciplina l'occupazione temporanea di aree non soggette ad esproprio, e in tale ambito l'autorità espropriante può disporre l'occupazione temporanea di aree non soggette al procedimento espropriativo anche individuate ai sensi dell'articolo 12, se ciò risulti necessario per la corretta esecuzione dei lavori previsti.

Queste disposizioni si applicano, in quanto compatibili, nel caso di frane, alluvioni, rottura di argini e in ogni altro caso in cui si utilizzano beni altrui per urgenti ragioni di pubblica utilità.

L’art. 22 stabilisce che, qualora l'avvio dei lavori rivesta carattere di urgenza, tale da non consentire l'applicazione delle disposizioni dell'articolo 20, il decreto di esproprio può essere emanato ed eseguito in base alla determinazione urgente della indennità di espropriazione, senza particolari indagini o formalità. Nel decreto si dà atto della determinazione urgente dell'indennità e si invita il proprietario, nei trenta giorni successivi alla immissione in possesso, a comunicare se la condivide.

Il decreto di esproprio può altresì essere emanato ed eseguito in base alla determinazione urgente della indennità di espropriazione senza particolari indagini o formalità, nei seguenti casi:

a) per gli interventi di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443 (legge obiettivo);

b) allorché il numero dei destinatari della procedura espropriativa sia superiore a 50.

Ancora più accelerata è la procedura determinata nell’articolo 22-bis che stabilisce, qualora l'avvio dei lavori rivesta carattere di particolare urgenza, tale da non consentire, in relazione alla particolare natura delle opere, l'applicazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 20, che può essere emanato, senza particolari indagini e formalità, un decreto motivato che determina in via provvisoria l'indennità di espropriazione, e che dispone anche l'occupazione anticipata dei beni immobili necessari.

Tale procedura viene applicata anche nei casi previsti alle lettere a) e b) dell’articolo 20.


Articolo 55
(Semplificazione in materia di zone economiche ambientali)

 

 

L'articolo 55 reca modifiche alla legge 6 dicembre 1991 (legge quadro sulle aree protette). Le modifiche sono disciplinate dal comma 1, lettere a)-e) che recano disposizioni relative alla nomina del Presidente e del Direttore dell'Ente parco, alla procedura di approvazione del regolamento del parco e del piano parco, agli interventi nelle zone di promozione economica e sociale e all'utilizzo beni demaniali in concessione da parte degli enti gestori delle aree protette.

In particolare, la lettera a) inserisce il divieto di nominare Presidente dell'Ente parco chi ha ricoperto tale carica per due mandati consecutivi, definisce il termine di 5 anni per la durata dell'iscrizione all'albo dei soggetti idonei a ricoprire la carica di Direttore dell'Ente parco e sancisce la possibilità per gli enti parco di stipulare convenzioni con la società Sogesid spa per la realizzazione di servizi.

La lettera b) prevede un meccanismo sostitutivo in caso di inerzia da parte dell'Ente parco nell'adozione del regolamento del parco e fissa dei termini temporali nella procedura di approvazione del regolamento da parte del Ministero dell'ambiente.

La lettera c) interviene sulla procedura di approvazione del piano parco modificandone alcuni termini temporali e integrandola con il processo di valutazione ambientale strategica (VAS).

La lettera d) inserisce diposizioni sugli interventi di natura edilizia nelle aree di promozione economica e sociale.

La lettera e) prevede la concessione gratuita per nove anni all'Ente parco di beni demaniali governativi presenti nel territorio del parco nazionale e la possibilità per quest'ultimo di concederli in un uso a terzi dietro pagamento di un canone.

Il comma 2 dell'articolo in esame chiarisce la decorrenza del termine relativo all'iscrizione dall'albo dei soggetti idonei a ricoprire la carica di Direttore dell'Ente parco e il comma 3 novella un articolo della legge 21 novembre 2000, n. 353 (legge-quadro in materia di incendi boschivi) riguardante il rimboschimento delle aree percorse da fuoco.

 

 

Il comma 1 apporta una serie di modifiche alla legge 6 dicembre 1991, n. 394 (legge quadro sulle aree protette).

Tale legge, come specificato all'articolo 1, reca principi fondamentali per l'istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese, costituito dalle formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche, o gruppi di esse, con rilevante valore naturalistico e ambientale. Per tali territori la legge prevede uno speciale regime di tutela e di gestione. La legge prevede che i territori che usufruiscono di un regime gestionale speciale costituiscono le aree naturali protette e che in dette aree possono essere promosse la valorizzazione e la sperimentazione di attività produttive compatibili. L'articolo 2 classifica le aree protette in parchi nazionali e parchi regionali.

Ai sensi dell'articolo 4-ter del decreto legge 14 ottobre 2019, n. 111 ("Decreto clima", convertito con modificazioni, in legge 12 dicembre 2019, n. 141) ciascuno di parchi nazionali costituisce una zona economica ambientale (ZEA), nell'ambito della quale sono previste forme di sostegno alle imprese, nuove o esistenti che avviano un programma di attività economiche imprenditoriali o di investimenti di natura incrementale compatibili con l’ambiente e in linea con la legge 6 dicembre 1991, n. 394.

Tali modifiche sono disciplinate dalle lettere a)-e) che recano disposizioni relative all'Ente parco, alla procedura di approvazione del regolamento del parco e del piano parco, agli interventi nelle zone di promozione economica e sociale e all'utilizzo beni demaniali in concessione da parte degli enti gestori delle aree protette.

In particolare, la lettera a) interviene sull'articolo 9 recante disposizioni sugli enti parco inserendo una serie di previsioni che riguardano: la nomina del Presidente, la nomina del Direttore e le relative funzioni e la stipula di convenzioni con la società SOGESID spa per la realizzazione di servizi.

Più nel dettaglio:

·         al comma 3, relativo alla nomina del Presidente, viene inserito il divieto di nomina per chi ha ricoperto tale carica per due mandati, anche non consecutivi. L'avvio della procedura di nomina inoltre dovrà essere pubblicato sul sito internet del Ministero dell'ambiente e del territorio e del mare e sul sito dell'ente parco interessato. Infine alla nomina del Presidente si applicherà la stessa disciplina in materia di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico di cui al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39;

·        al comma 11, relativo alla nomina del Direttore, viene inserito un periodo che prevede che l'iscrizione all'albo dei soggetti idonei all'esercizio di tale funzione duri al massimo 5 anni, salvo rinnovo.

·        In base al vigente comma 11, infatti, il direttore dell'ente parco è nominato con decreto del Ministro dell'ambiente da una rosa di tre candidati scelti dal consiglio direttivo da un apposito albo a cui si accede mediante procedura concorsuale per titoli. Il presidente del parco provvede a stipulare con il direttore nominato un apposito contratto di diritto privato per una durata non superiore a cinque anni;

·        dopo il comma 11 viene inserito il comma 11-bis che affida la gestione amministrativa dei parchi nazionali al direttore del parco, che eserciterà le funzioni previste dall'articolo 5 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

·        Il suddetto decreto reca norme sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche le funzioni. In particolare, l'articolo 5 stabilisce che le determinazioni riguardanti l'organizzazione degli uffici e la gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro.

·        Il direttore del parco assicurerà inoltre l'attuazione dei programmi e il conseguimento degli obiettivi fissati dal Presidente e dal Consiglio direttivo in base all'articolo 17, comma 1, lettere da d) a e)-bis del suddetto decreto.

·        L'articolo 17, che disciplina le funzioni dei dirigenti, al comma 1, specifica che tali figure: dirigono, coordinano e controllano l'attività degli uffici (lettera d); concorrono all'individuazione delle risorse e dei profili professionali necessari per lo svolgimento dei compiti dell'ufficio anche al fine dell'elaborazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale (lettera d-bis); provvedono alla gestione del personale e delle risorse finanziarie e strumentali assegnate ai propri uffici (lettera e); effettuano la valutazione del personale assegnato ai propri uffici (lettera e-bis).

·        Infine, il nuovo comma 11-bis introdotto dalla disposizione in esame stabilisce che al direttore del parco spetta l'adozione dei connessi atti anche a rilevanza esterna;

·        dopo il comma 14 viene inserito il comma 14-bis in base al quale, ferma restando la possibilità di affidarsi a procedure di evidenza pubblica per la realizzazione di piani, programmi e progetti, gli enti parco possono avvalersi, mediante stipula di apposite convenzioni, di SOGESID Spa, la società di cui all'articolo 1, comma 503 della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Tali convenzioni non comportano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

·        La SOGESID spa è una società in-house che, in base alla norma richiamata, opera presso il Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare.

L'art. 1, comma 503, della legge n. 296 del 2006 ha stabilito la procedura di trasformazione di SOGESID Spa, al fine di renderla strumentale alle esigenze e finalità del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.

La SOGESID Spa è strumentale anche alle esigenze del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Oltre che per attività di ingegneria finalizzate alla realizzazione di interventi sul territorio (bonifiche, interventi di risanamento idrogeologico, messa in sicurezza di discariche, e così via), il Ministero dell’ambiente si è servito, nel corso degli anni, della SOGESID per le attività di “assistenza tecnica” o di “supporto tecnico-specialistico ed operativo” alle direzioni generali, che si sono sostanziate in prestazioni lavorative rese dal personale della società presso la sede del Ministero in collaborazione diretta con gli uffici ministeriali, attraverso la stipula di numerose convenzioni. Per approfondire i compiti del Ministero dell'ambiente e il ruolo della SOGESID Spa. si rinvia alla Deliberazione 6 agosto 2018, n. 16/2018/G della Corte dei conti.

 

·        Il vigente articolo 9 reca disposizioni sull'Ente parco e sui suoi organi. L'Ente parco ha personalità di diritto pubblico, ha sede legale e amministrativa nel territorio del parco ed è sottoposto alla vigilanza del Ministro dell'ambiente. E' composto da: il Presidente; il Consiglio direttivo; la Giunta esecutiva; il Collegio dei revisori dei conti; la Comunità del parco (organo consultivo disciplinato dall'articolo 10).

·        Il Presidente è nominato con decreto del Ministro dell'ambiente, d'intesa con i presidenti delle regioni o delle province autonome di Trento e di Bolzano nel cui territorio ricada in tutto o in parte il parco nazionale. Coordina l'attività, esplica le funzioni che gli sono delegate dal Consiglio direttivo, adotta i provvedimenti urgenti ed indifferibili che sottopone alla ratifica del Consiglio direttivo nella seduta successiva. Il Consiglio Direttivo è formato dal Presidente e da otto componenti nominati con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare entro 30 giorni dalla comunicazione della rispettiva designazione. I componenti del Consiglio Direttivo sono individuati tra esperti particolarmente qualificati in materia di aree protette e biodiversità in base a modalità dettagliatamente definite. Il Consiglio direttivo elegge i vicepresidenti e la giunta esecutiva, delibera in merito a tutte le questioni generali ed in particolare sui bilanci, che sono approvati dal Ministro dell'ambiente di concerto con il Ministro del tesoro, sui regolamenti e sulla proposta di piano per il parco, esprime parere vincolante sul piano pluriennale economico e sociale (di cui all'articolo 14). Inoltre, delibera lo statuto dell'ente, che definisce l'organizzazione interna, le modalità di partecipazione popolare e le forme di pubblicità degli atti. Il Collegio dei revisori dei conti esercita il riscontro contabile sugli atti dell'Ente parco. E' nominato con decreto del Ministro del tesoro ed è formato da tre componenti scelti tra funzionari della Ragioneria generale dello Stato ovvero tra iscritti nel ruolo dei revisori ufficiali dei conti. Il Direttore del parco è nominato, con decreto, dal Ministro dell'ambiente, scelto in una rosa di tre candidati proposta dal Consiglio direttivo da soggetti iscritti ad un albo di idonei all'esercizio dell'attività di direttore di parco istituito presso il Ministero dell'ambiente, al quale si accede mediante procedura concorsuale per titoli. Gli organi dell'Ente parco durano in carica cinque anni. L'articolo 9 reca inoltre disposizioni sull'indennità di carica del Presidente e dei membri del Consiglio direttivo e sulla pianta organica dell'Ente parco.

 

La lettera b) integra l'articolo 11, che contiene disposizioni sul regolamento del parco adottato dall'ente parco e sulla relativa procedura di approvazione da parte del Ministero dell'ambiente. In particolare, la lettera b) prevede un meccanismo sostitutivo in caso di inerzia da parte dell'ente parco e fissa dei termini temporali nella suddetta procedura di approvazione. Nel dettaglio:

·        al comma 1, in base al quale l'Ente parco adotta il regolamento entro sei mesi dall'adozione del piano parco, viene previsto, in caso di inosservanza del suddetto termine, l'esercizio del potere sostitutivo da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, anche con la nomina tra i suoi ruoli di un commissario ad acta, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, che provvede all'adozione del regolamento entro tre mesi;

·        al comma 6 che prevede l'approvazione del regolamento del parco mediante decreto del Ministero dell'ambiente, previo parere degli enti locali interessati e d'intesa con le regioni e province autonome interessate, la lettera b) fissa un limite temporale di 90 giorni ai fini dell'espressione delle regioni e province autonome, decorsi i quali l'intesa si intende acquisita. Inoltre stabilisce che il regolamento è approvato "su proposta dell'Ente parco".

La lettera c) interviene sulla procedura di approvazione del piano parco disciplinata dall'articolo 12, modificando alcuni termini temporali e integrandola con il processo di valutazione ambientale strategica (VAS). In particolare:

·        al comma 3, precisa che il piano è adottato dall'ente parco invece che dalla regione.  

·        La norma vigente prevede che il piano è predisposto dall'ente parco entro diciotto mesi dalla costituzione dei suoi organi. Il piano, approvato dal Consiglio direttivo, è poi adottato dalla regione entro novanta giorni dal suo inoltro da parte dell'Ente parco;

·        al comma 4, la lettera c) prevede che chiunque possa presentare osservazioni scritte sul piano adottato dal Consiglio direttivo dell'Ente parco entro sessanta giorni dal suo deposito presso le sedi dei comuni, delle comunità montane e delle regioni interessate, invece che entro i quaranta giorni attualmente previsti. Anche il termine per il deposito del piano è ampliato da quaranta a sessanta giorni.

·        Un'altra modifica apportata dalla lettera c) prevede che la regione si pronunci sulle osservazioni presentate entro sessanta giorni - anziché centoventi - dal ricevimento del parere dell'Ente parco sulle osservazioni stesse.

·        Il vigente articolo 12 oltre a prescrivere i contenuti del piano parco, ne disciplina la procedura di approvazione che prevede, come sopra menzionato, la sua predisposizione da parte dell'Ente parco entro diciotto mesi dalla costituzione dei suoi organi, l'approvazione da parte del Consiglio direttivo e l'adozione da parte della regione entro novanta giorni dal suo inoltro da parte dell'Ente parco. Il piano adottato è depositato per quaranta giorni presso le sedi dei comuni, delle comunità montane e delle regioni interessate; chiunque può prenderne visione ed estrarne copia. Entro i successivi quaranta giorni chiunque può presentare osservazioni scritte, sulle quali l'Ente parco esprime il proprio parere entro trenta giorni. Entro centoventi giorni dal ricevimento di tale parere la regione si pronuncia sulle osservazioni presentate e d'intesa con l'Ente parco e con i comuni interessati emana il provvedimento di approvazione. Qualora il piano non venga approvato entro ventiquattro mesi dalla istituzione dell'Ente parco alla regione si sostituisce un comitato misto costituito da rappresentanti del Ministero dell'ambiente e da rappresentanti delle regioni e province autonome, il quale esperisce i tentativi necessari per il raggiungimento di dette intese; qualora le intese in questione non vengano raggiunte entro i successivi quattro mesi, il Ministro dell'ambiente rimette la questione al Consiglio dei ministri che decide in via definitiva.

·        Viene inoltre proposto che in sede di approvazione, la regione tenga conto delle risultanze del parere motivato espresso in sede di VAS, la valutazione ambientale strategica prevista dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e avviata dall'Ente parco in qualità di autorità procedente e nel cui ambito è acquisito il parere, per profili di competenza, del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo.

·        In base all'articolo 5 del suddetto decreto la VAS è il processo che comprende: lo svolgimento di una verifica di assoggettabilità; l'elaborazione del rapporto ambientale; lo svolgimento di consultazioni; la valutazione del piano o del programma, del rapporto e degli esiti delle consultazioni; l'espressione di un parere motivato, l'informazione sulla decisione ed il monitoraggio. Le disposizioni sulla VAS sono contenute nel titolo II della seconda parte del decreto.

Infine, la lettera c) interviene sul potere sostitutivo attualmente previsto in caso di mancata approvazione definitiva del piano entro ventiquattro mesi dall'istituzione dell'Ente parco. La norma vigente, come sopra descritto, prevede che tale potere sia esercitato dal un comitato misto costituito da rappresentanti del Ministero dell'ambiente e da rappresentanti delle regioni e province autonome e se del caso dal Consiglio dei ministri.

Si propone ora che i poteri sostitutivi siano posti in capo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che provvede entro centoventi giorni previa diffida ad adempiere, qualora non sia vigente il piano paesaggistico approvato ai sensi dell'articolo 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 o qualora tale piano non sia stato adeguato ai sensi dell'articolo 156 del medesimo decreto legislativo.

L'articolo 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il codice dei beni culturali e del paesaggio, contiene disposizioni relative all'elaborazione del piano paesaggistico. Quest''ultimo deve comprendere una serie di elementi tra cui: la ricognizione del territorio oggetto di pianificazione, la ricognizione degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse pubblico, la ricognizione delle aree tutelate, eventuali, ulteriori contesti, da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione.  Il piano è oggetto di apposito accordo fra pubbliche amministrazioni ed è approvato con provvedimento regionale entro il termine dallo stesso. L'articolo 156 contiene disposizioni in materia di verifica e adeguamento dei piani paesaggistici.

 

La lettera d) inserisce, dopo l'articolo 13, l'articolo 13-bis che reca una disciplina specifica in materia di interventi nelle zone di promozione economica e sociale. L'articolo prevede che una volta approvati e vigenti il piano parco e il regolamento parco e una volta che le relative disposizioni sono state recepite dai comuni nei rispettivi strumenti urbanistici, gli interventi di natura edilizia nelle zone di cui all'articolo 12, comma 2, lettera d), eccetto quelle appartenenti a Natura 2000, sono autorizzati direttamente dagli enti locali competenti, salvo che non comportino una variante degli strumenti urbanistici vigenti, dandone comunicazione all'Ente parco. In caso di non conformità il direttore del parco annulla il provvedimento autorizzatorio entro quarantacinque giorni dal ricevimento.

Il menzionato articolo 12, comma 2, suddivide il territorio in quattro zone aventi un diverso grado di protezione. Le zone di cui alla lettera d) sono "aree di promozione economica e sociale facenti parte del medesimo ecosistema, più estesamente modificate dai processi di antropizzazione, nelle quali sono consentite attività compatibili con le finalità istitutive del parco e finalizzate al miglioramento della vita socio-culturale delle collettività locali e al miglior godimento del parco da parte dei visitatori".

Le zone Natura 2000 sono individuate sulla base della direttiva 92/43/CEE "Direttiva Habitat" che ha istituito la rete Natura 2000 che rappresenta il principale strumento dell'UE per la conservazione della biodiversità. La rete Natura 2000 è costituita da siti mirati per la conservazione degli habitat e specie elencati. Tali Siti di Importanza Comunitaria (SIC) sono identificati dagli Stati membri e vengono successivamente designati quali Zone Speciali di Conservazione (ZSC).

La direttiva definisce "Sito di importanza comunitaria": un sito che, nella o nelle regioni biogeografiche cui appartiene, contribuisce in modo significativo a mantenere o a ripristinare un tipo di habitat naturale (di cui all'allegato I) o una specie (di cui all'allegato II) in uno stato di conservazione soddisfacente e che può inoltre contribuire in modo significativo alla coerenza di Natura 2000. Per "Zona speciale di conservazione": un sito di importanza comunitaria designato dagli Stati membri mediante un atto regolamentare, amministrativo e/o contrattuale in cui sono applicate le misure di conservazione necessarie al mantenimento o al ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e/o delle popolazioni delle specie per cui il sito è designato.

In base all'articolo 3 della direttiva infatti è costituita una rete ecologica europea coerente di zone speciali di conservazione, denominata Natura 2000. Questa rete, formata dai siti in cui si trovano tipi di habitat naturali elencati nell'allegato I della e habitat delle specie di cui all'allegato II della direttiva, deve garantire il mantenimento ovvero, all'occorrenza, il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, dei tipi di habitat naturali e degli habitat delle specie interessati nella loro area di ripartizione naturale. Ogni Stato membro contribuisce alla costituzione di Natura 2000 designando siti quali zone speciali di conservazione. In base all'articolo 4 ogni Stato propone un elenco di siti, indicante quali tipi di habitat naturali di cui all'allegato I e quali specie locali di cui all'allegato II si riscontrano in detti siti. L'elenco viene trasmesso alla Commissione che elabora, d'accordo con ognuno degli Stati membri, un progetto di elenco dei siti di importanza comunitaria, sulla base degli elenchi degli Stati membri. Dopodiché mediante un'apposita procedura la Commissione fissa l'elenco dei siti selezionati come siti di importanza comunitaria in cui sono evidenziati i siti in cui si riscontrano uno o più tipi di habitat naturali prioritari o una o più specie prioritarie. Lo Stato membro dove si trova un sito scelto come sito di importanza comunitaria "designa tale sito come zona speciale di conservazione il più rapidamente possibile e entro un termine massimo di sei anni, stabilendo le priorità in funzione dell'importanza dei siti per il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, di uno o più tipi di habitat naturali di cui all'allegato I o di una o più specie di cui all'allegato II e per la coerenza di Natura 2000, nonché alla luce dei rischi di degrado e di distruzione che incombono su detti siti".

La lettera e) interviene sull'articolo 15, relativo agli acquisti, alle espropriazioni e agli indennizzi, inserendo, dopo il comma 1 i seguenti commi:

·        comma 1- bis che prevede la possibilità di dare in concessione gratuita per nove anni all'Ente parco i beni demaniali - o aventi il medesimo valore giuridico -  statali e regionali presenti nel territorio del parco nazionale, che non sono stati affidati a soggetti terzi. Sono esclusi i beni demaniali destinati alla difesa e alla sicurezza nazionale. Il periodo fissato può essere ridotto su richiesta dell'Ente parco. Quest'ultimo provvede inoltre alla gestione dei beni demaniali con le risorse disponibili a legislazione vigente;

·        comma 1-ter prevede il rinnovo, allo scadere del termine, del periodo previsto dal comma 1-bis salvo motivato diniego da parte del soggetto competente;

·        comma 1-quater prevede la possibilità per l'Ente parco di concedere tali beni in uso a terzi dietro pagamento di un canone. Inoltre, chiarisce che la concessione gratuita dei beni demaniali all'Ente parco non modifica la titolarità dei beni, che resta in capo al soggetto concedente.

Si valuti il nuovo co. 1-quater, là dove si prevede che l'ente parco possa concedere in uso i beni di cui esso è sua volta concessionario. Inoltre, si valuti la formulazione della disposizione al fine di specificare la titolarità del bene, in capo al concedente, nell'ambito del precedente co. 1-bis, laddove si configura la fattispecie della concessione gratuita in parola.

Il comma 2 prevede che, in sede di prima applicazione, per soggetti che risultano già iscritti all'albo degli idonei all'esercizio di direttore del parco, il termine previsto dall'articolo 9, comma 11, ultimo periodo, come modificato dall'articolo in esame - in relazione al termine di 5 anni per la durata dell'iscrizione all'albo dei soggetti idonei all'esercizio della funzione di Direttore dell'Ente parco - decorre dall'entrata in vigore del presente decreto.

Il comma 3 novella infine l'articolo 10, comma 1 della legge 21 novembre 2000, n. 353 in materia di incendi boschivi, prevedendo che l'autorizzazione al rimboschimento delle aree percorse da fuoco sia emanata dalla direzione generale competente del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e non dal Ministro.

Il suddetto articolo 10 reca una serie di divieti e prescrizioni che riguardano le aree interessate da incendi. Il comma 1 vieta, l tra l'altro le attività di rimboschimento e di ingegneria ambientale sostenute con risorse finanziarie pubbliche, salvo specifica autorizzazione concessa dal Ministro dell'ambiente, per le aree naturali protette statali, o dalla regione competente, negli altri casi, per documentate situazioni di dissesto idrogeologico e nelle situazioni in cui sia urgente un intervento per la tutela di particolari valori ambientali e paesaggistici.

 

La relazione illustrativa al provvedimento afferma che la norma ha la finalità di semplificare il quadro normativo applicabile alle Zone Economiche Speciali, garantire il necessario impulso all’implementazione dei relativi piani strategici, chiarendo in particolare i poteri del Commissario Straordinario del Governo previsto dalla legge vigente e finalizzando la sua azione alla risoluzione delle problematiche organizzative e burocratiche emerse nella prima fase di attuazione di detti Piani.


Articolo 56
(Disposizioni di semplificazione in materia di interventi su progetti o impianti alimentati da fonti di energia rinnovabile e di taluni nuovi impianti, nonché di spalma incentivi e di controlli)

 

 

L’articolo 56 reca disposizioni volte a semplificare e razionalizzare i procedimenti amministrativi per la realizzazione degli impianti a fonti rinnovabili (commi 1-2). Prevede meccanismi volti ad incentivare il potenziamento o la ricostruzione di impianti obsoleti di generazione di energia elettrica da fonti rinnovabili (commi 3-6). Interviene, inoltre, sulla disciplina dei controlli e delle sanzioni in materia di incentivi, al fine di assicurare condizioni di certezza e stabilità per gli investimenti a lungo termine che le imprese effettuano nel settore delle energie rinnovabili (commi 7-8).

 

Nel dettaglio, il comma 1 apporta una serie di modifiche al decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), che ha introdotto misure di semplificazione e razionalizzazione dei procedimenti amministrativi per la realizzazione degli impianti a fonti rinnovabili.

 

Si ricorda che gli iter procedurali previsti dalla normativa vigente per la realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili sono tre:

Autorizzazione Unica (AU): è il provvedimento introdotto dall'articolo 12 del D.Lgs. 387/2003 per l'autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da FER, al di sopra di prefissate soglie di potenza. L'AU, rilasciata al termine di un procedimento unico svolto nell'ambito della Conferenza dei Servizi alla quale partecipano tutte le amministrazioni interessate, costituisce titolo a costruire e a esercire l'impianto e, ove necessario, diventa variante allo strumento urbanistico. Il procedimento unico ha durata massima pari a 90 giorni al netto dei tempi previsti per la procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), laddove necessaria. La competenza per il rilascio dell'Autorizzazione Unica è in capo alle Regioni o alle Province da esse delegate.

Procedura Abilitativa Semplificata (PAS): è la procedura introdotta dal D.Lgs. 28/2011 in sostituzione della Denuncia di Inizio Attività (DIA). La PAS è utilizzabile per la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da FER al di sotto di prefissate soglie di potenza (oltre le quali si ricorre alla AU) e per alcune tipologie di impianti di produzione di caldo e freddo da FER. La PAS deve essere presentata al Comune almeno 30 giorni prima dell'inizio lavori, accompagnata da una dettagliata relazione, a firma di un progettista abilitato, e dagli opportuni elaborati progettuali, attestanti anche la compatibilità del progetto con gli strumenti urbanistici e i regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie. Per la PAS vale il meccanismo del silenzio assenso: trascorso il termine di 30 giorni dalla presentazione della PAS senza riscontri o notifiche da parte del Comune è possibile iniziare i lavori.

Comunicazione al Comune: è l'adempimento previsto per semplificare l'iter autorizzativo di alcune tipologie di piccoli impianti per la produzione di energia elettrica, calore e freddo da FER, assimilabili ad attività edilizia libera. La comunicazione di inizio lavori deve essere accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato. Non è necessario attendere 30 giorni prima di iniziare i lavori.

Per una più ampia disamina dei predetti procedimenti amministrativi, della relativa normativa e delle tipologie di impianti alle quali si applicano, si rinvia al sito istituzionale del GSE.

 

Il comma 1, lettera a), interviene specificamente sull’articolo 4 del citato D.Lgs. n. 28/2011, inserendo un nuovo comma 6-bis, in base al quale, in caso di progetti di modifica di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili afferenti a integrali ricostruzioni, rifacimenti, riattivazioni e potenziamenti, la valutazione di impatto ambientale (VIA) ha ad oggetto solo l’esame delle variazioni dell’impatto sull’ambiente indotte dal progetto proposto.

La norma, pertanto, ha la finalità di semplificare le procedure di VIA degli interventi su impianti esistenti, disponendo che la VIA abbia ad oggetto la variazione di impatto indotta dal progetto rispetto alla situazione ante intervento.

 

Come precisato nella relazione illustrativa, la norma è necessaria alla luce degli obiettivi del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC) trasmesso alla Commissione europea a dicembre 2019 e con il quale il Governo italiano ha definito i propri contributi e le relative misure per contribuire al raggiungimento degli obiettivi comunitari 2030. Tra gli obiettivi, particolarmente ambiziosi sono quelli sulle fonti rinnovabili, ai quali un contributo assai rilevante deve derivare dagli interventi di integrali ricostruzioni, rifacimenti, riattivazioni e potenziamenti richiamati nella norma.

Tale opportunità è connessa al fatto che una buona parte degli impianti esistenti dovrebbe e potrebbe adottare tecnologie più avanzate ed efficienti, ottenendo un incremento di produzione elettrica e anche una riduzione dell’impatto ambientale a parità di potenza installata.

Nel PNIEC, dunque, la semplificazione di autorizzazioni e procedure per il revamping/repowering e per la ricostruzione degli impianti esistenti è esplicitamente indicata tra le azioni di supporto alle FER elettriche.

Si ricorda che l’art. 50 del presente decreto-legge prevede una procedura specifica semplificata di VIA per i progetti considerati necessari all’attuazione del PNIEC, che viene svolta da una Commissione ad hoc.

Secondo quanto indicato nella relazione illustrativa al provvedimento qui in esame, la possibilità di effettuare la valutazione di impatto ambientale per differenza rispetto alla situazione preesistente all’intervento appare razionale (e prospettata nel PNIEC e compatibile con le regole europee e, segnatamente, con la direttiva europea VIA (direttiva 2011/92/UE, testo consolidato con le modifiche apportate dalla direttiva 2014/52/UE).

In ordine alla compatibilità della previsione in oggetto con la direttiva VIA, si fa presente che quest’ultima non prevede specifiche procedure per la valutazione delle sole modifiche progettuali.

 

Per approfondimenti sulla Governance europea e nazionale su energia e clima, gli obiettivi 2030 e il Piano nazionale per l’energia e il clima (PNIEC), si veda l’apposito tema dell’attività parlamentare.

 

Il comma 1, lettera b) interviene sull’articolo 5 del decreto legislativo n. 28 del 2011, recante la disciplina dell’Autorizzazione unica.

Si ricorda preliminarmente che, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, sono soggetti all'autorizzazione unica la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti, nonché le modifiche sostanziali degli impianti stessi.

A tal fine, ai sensi del comma 3, primo periodo, è demandato ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza unificata, l’individuazione, per ciascuna tipologia di impianto e di fonte, degli interventi di modifica sostanziale degli impianti da assoggettare ad autorizzazione unica, fermo restando il rinnovo dell'autorizzazione unica in caso di modifiche qualificate come sostanziali ai sensi del Codice dell’ambiente (D.Lgs. n. 152/2006).

 

Il comma 1, lettera b) qui in commento interviene sul disposto del secondo periodo del comma 3 dell’articolo 5, nella parte in cui esso prevedeva una disciplina transitoria atta ad identificare - nelle more dell’adozione del predetto decreto interministeriale - talune modifiche non sostanziali da sottoporre alla procedura abilitativa semplificata (PAS)[55].

 

La nuova formulazione del secondo periodo del comma 3, pertanto, non detta più una disciplina “transitoria”, applicabile in attesa dell’emanazione del decreto in questione, ma prevede tout court che gli interventi diversi dalla modifica sostanziale, anche relativi a progetti autorizzati e non ancora realizzati, sono assoggettati alla procedura abilitativa semplificata di cui all’articolo 6 (fatto salvo quanto disposto dall'articolo 6-bis: vedi infra, relativamente all’applicazione della nuova procedura semplificata di Dichiarazione di inizio lavori asseverata).

Non vengono comunque considerati sostanziali e sono sottoposti alla comunicazione al Comune (anziché alla PAS) gli interventi da realizzare sui progetti e sugli impianti fotovoltaici ed idroelettrici che non comportano variazioni delle dimensioni fisiche degli apparecchi, della volumetria delle strutture e dell’area destinata ad ospitare gli impianti stessi, né delle opere connesse.

Il secondo periodo del comma 3 dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 28/2011, prima dell’intervento modificativo qui in esame, prevedeva che, fino all’emanazione del decreto interministeriale, non fossero considerati sostanziali e fossero sottoposti alla disciplina di cui all’articolo 6 del D.Lgs. n. 28/2001 (PAS[56]) gli interventi da realizzare sugli impianti fotovoltaici, idroelettrici ed eolici esistenti, a prescindere dalla potenza nominale, che non comportano variazioni delle dimensioni fisiche degli apparecchi, della volumetria delle strutture e dell'area destinata ad ospitare gli impianti stessi, ne' delle opere connesse. Restavano ferme, laddove previste, le procedure di verifica di assoggettabilità e valutazione di impatto ambientale di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (previsione, questa, confermata).

Inoltre, per gli impianti a biomassa, bioliquidi e biogas non venivano considerati sostanziali i rifacimenti parziali e quelli totali non modificativi della potenza termica installata e del combustibile rinnovabile utilizzato.

Tuttavia, come evidenziato dalla relazione illustrativa, il decreto previsto dal comma 3 non è mai stato adottato per la difficoltà di individuare interventi che potessero effettivamente beneficiare di semplificazione, e ciò per un duplice motivo: il primo è che la procedura abilitativa semplificata non esclude l'acquisizione di ogni altro atto di assenso, compresa la VIA ove necessaria. Il secondo, è che una parte rilevante degli interventi di interesse difficilmente si può sottrarre alla VIA: è il caso, ad esempio, delle integrali ricostruzioni di impianti eolici, che si realizzano sostituendo vecchie macchine di altezza dell'ordine di alcune decine di metri con altre che, pure di numero inferiore, sono alte fino a 200 metri. La semplificazione della procedura, in effetti, consiste nell'avere come interlocutore il comune (anziché la regione o la provincia delegata, come nel caso dell'autorizzazione unica) e nel fatto che, decorsi 30 giorni dall'avvio della procedura senza che il comune obietti nulla, i lavori possono iniziare. Considerando che molti impianti sono ubicati in comuni piccoli e piccolissimi, c'è il rischio che il termine di 30 giorni possa decorrere anche nei casi in cui sarebbero da acquisire altri atti di assenso.

L’articolo in esame, alla lettera b), unitamente alla lettera d), dà quindi un'altra soluzione al problema. La lettera d), infatti, introduce nel D.Lgsl n. 28/2011 una nuova modalità abilitativa (articolo 6-bis), ancor più semplice della procedura abilitativa semplificata, circoscrivendone però l'applicazione a precise tipologie di intervento (cfr, oltre per i dettagli). Con la lettera b) si riscrive conseguentemente il secondo periodo del comma 3, eliminando i casi che vengono disciplinati ai sensi della lettera d).

 

Il comma 1, lettera c), dell’articolo in commento, modifica l’articolo 6, comma 11, del D.Lgs. n. 28/2011, relativo alla procedura di Comunicazione al comune, precisando che essa si applica fermo restando l’articolo 6-bis (inserito dalla lettera d), che disciplina la nuova procedura di dichiarazione di inizio lavori asseverata, e l’articolo 7-bis, comma 5 (secondo il quale l’installazione di impianti solari fotovoltaici e termici, aventi determinate caratteristiche ivi richiamate, non è subordinata all'acquisizione di atti amministrativi di assenso, comunque denominati).

 

Il comma 1, lettera d), introduce nel D.Lgs. n. 28/2011 l’articolo 6-bis, che disciplina una nuova modalità abilitativa, ancor più semplice della procedura abilitativa semplificata: la “dichiarazione di inizio lavori asseverata”, per alcuni interventi su impianti esistenti, a bassissimo o nullo impatto ambientale e senza effetti di natura urbanistica.

L’ambito di applicazione della dichiarazione di inizio lavori asseverata è dunque limitato ad alcuni casi circoscritti. In sostanza, quelli previsti dal comma 1 (interventi su talune tipologie di impianti eolici, fotovoltaici e idroelettrici esistenti), dal comma 2 (varianti su progetti in autorizzazione consistenti nelle modifiche richiamate al comma 1) e dal comma 3 (applicazione della dichiarazione per limitati casi di nuovi impianti fotovoltaici).

 

Più nel dettaglio, ai sensi del comma 1, non sono sottoposti a valutazioni ambientali e paesaggistiche, né sottoposti all'acquisizione di atti di assenso comunque denominati, e sono realizzabili a seguito del solo deposito della dichiarazione di inizio lavori asseverata, gli interventi su impianti esistenti e le modifiche di progetti autorizzati che, senza incremento di area occupata dagli impianti e dalle opere connesse e a prescindere dalla potenza elettrica risultante a seguito dell'intervento, ricadono nelle seguenti categorie:

a) impianti eolici: sostituzione della tipologia di rotore che comportano una variazione in aumento delle dimensioni fisiche delle pale e delle volumetrie di servizio non superiore in ciascun caso al 15 per cento;

b) impianti fotovoltaici con moduli a terra: interventi che, anche a seguito della sostituzione dei moduli e degli altri componenti e mediante la modifica del layout dell'impianto, comportano una variazione delle volumetrie di servizio non superiore al 15 per cento e una variazione dell'altezza massima dal suolo non superiore al 20 per cento;

c) impianti fotovoltaici con moduli su edifici: interventi di sostituzione dei moduli fotovoltaici su edifici a uso produttivo, nonché, per gli edifici a uso residenziale, interventi che non comportano variazioni o comportano variazioni in diminuzione dell'angolo tra il piano dei moduli e il piano della superficie su cui i moduli sono collocati;

d) impianti idroelettrici: interventi che, senza incremento della portata derivata, comportano una variazione delle dimensioni fisiche dei componenti e della volumetria delle strutture che li ospitano non superiore al 15 per cento.

Secondo quanto indicato dalla relazione illustrativa, la previsione, contenuta nell’incipit del comma 1 del nuovo articolo 6-bis, laddove afferma che gli interventi in questione “non sono sottoposti a valutazioni ambientali” è compatibile con il diritto dell’Unione europea.

Al riguardo, il riferimento normativo è la direttiva 2011/92/UE, nel testo consolidato con le modifiche apportate dalla direttiva 2014/52/UE. In base a tale direttiva, le opere da sottoporre sempre a VIA sono elencate in allegato I: nessuno degli impianti interessati agli interventi riportati nell’articolo 6-bis di cui al presente testo vi ricade: pertanto, non vi ricadono neanche le modifiche dei medesimi impianti. Gli impianti interessati agli interventi del nuovo articolo 6-bis ricadono invece nell’allegato II della direttiva.

Per i progetti elencati nell'allegato II, l’art. 4, paragrafo 2, della direttiva stabilisce che sono gli Stati membri che “determinano se il progetto debba essere sottoposto a valutazione” e che prendono tale decisione, mediante un esame del progetto caso per caso oppure (come nel caso in esame) tramite soglie o criteri fissati dallo Stato membro, come i criteri che vengono introdotti dalla norma in esame.

 

Ai sensi del comma 2, sono soggetti al medesimo procedimento le varianti consistenti negli interventi sopra elencati e la dichiarazione asseverata non comporta alcuna variazione dei tempi e delle modalità di svolgimento del procedimento autorizzativo e di ogni altra valutazione già avviata, incluse quelle ambientali.

Ai sensi del comma 3, sono soggetti alla nuova procedura anche i progetti di nuovi impianti fotovoltaici con moduli collocati sulle coperture di fabbricati rurali e di edifici a uso produttivo, nonché i progetti di nuovi impianti fotovoltaici i cui moduli sono installati in sostituzione di coperture di fabbricati rurali e di edifici su cui è operata la completa rimozione dell'eternit o dell'amianto, purché si trovino al di fuori di zone che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale (Zona A, D.M. n. 1444/1968) e ad esclusione degli immobili tutelati ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. n. 42/2004).

I commi 4 e 5 precisano in cosa consista la dichiarazione di inizio lavori asseverata e, inoltre, rendono possibile l’esecuzione degli interventi di cui al comma 1 anche su impianti in corso di incentivazione.

Più nel dettaglio, ai sensi del del comma 4, il proprietario dell'immobile o chi abbia la disponibilità degli immobili interessati dall'impianto e dalle opere connesse presenta al Comune una dichiarazione accompagnata da una relazione sottoscritta da un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che attesti il rispetto delle norme di sicurezza, antisismiche e igienicosanitarie. Per gli impianti fotovoltaici di cui al comma 3, alla dichiarazione sono allegati gli elaborati tecnici per la connessione alla rete elettrica redatti dal gestore della rete.

Ai sensi del comma 5, gli interventi di cui al comma 1, possono essere eseguiti anche su impianti in corso di incentivazione.

L'incremento di produzione energetica derivante da un aumento di potenza superiore alle soglie consentite per gli interventi di manutenzione e ammodernamento degli impianti incentivati (articolo 30 del D.M. 23 giugno 2016), è qualificato come ottenuto da potenziamento non incentivato.

Il GSE adegua, conseguentemente, le procedure adottate, e, ove occorra, le modalità di svolgimento delle attività di controllo sulla fruizione degli incentivi (disciplinate dall’articolo 42 del D.Lgs. n. 28/2011, cfr. infra, comma 7).?

 

Il comma 2 dell’articolo 56, intervenendo sull’articolo 12, comma 3 del D.Lgs. n. 387/2003 include gli interventi - anche di demolizione di manufatti o di ripristino ambientale - per la riqualificazione delle aree di insediamento degli impianti, tra le opere connesse alla costruzione e all'esercizio degli impianti a fonte rinnovabile assoggettate ad autorizzazione unica.

 

Nella relazione illustrativa si evidenzia come tale intervento normativo sia ritenuto necessario al fine rendere concreti gli obiettivi prefissati dal PNIEC (crescita della capacità rinnovabile installata in Italia entro il 2030, per circa 9 GW da impianti da fonte eolica e circa 32 GW da impianti da fonte solare) e, allo stesso tempo, supportare la ripresa economica del Paese

 

L’articolo 12, comma 3, del D.Lgs. 387/2003 prevede, in particolare, che la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o dalle province delegate dalla regione, ovvero, per impianti con potenza termica installata pari o superiore ai 300 MW, dal Ministero dello sviluppo economico, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico.

 

I commi da 3 a 6 integrano e completano gli interventi previsti dai commi precedenti al fine di dare ulteriore impulso al settore delle fonti rinnovabili.

Tali norme prevedono una forma di riammissione al sistema di incentivi da parte di produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili, titolari di impianti che beneficiavano regimi incentivanti e che, in seguito all’entrata in vigore del cosiddetto “Spalma-incentivi volontario” (decreto-legge n. 145 del 2013), hanno scelto di continuare a godere del regime incentivante spettante per il periodo di diritto residuo. L’intervento introduce, dunque, un superamento della disposizione secondo la quale, in tal caso, per un periodo di dieci anni decorrenti dal termine del periodo di diritto al regime incentivante, interventi di qualunque tipo realizzati sullo stesso sito non hanno diritto di accesso ad ulteriori strumenti incentivanti, incluso ritiro dedicato e scambio sul posto, a carico dei prezzi o delle tariffe dell'energia elettrica (articolo 1, comma 3, lettera a) del D.L. n. 145/2013).

 

Si ricorda che con il D.L. 145/2013 (articolo 1, commi 3-6), c.d. Destinazione Italia è stato previsto il cosiddetto "spalma-incentivi volontario": misura volta a ridurre i costi dell’energia e, in particolare, a diminuire l'onere annuo dell'incentivazione delle fonti rinnovabili che si scarica sulla componente Asos.

L’intervento è consistito, in sostanza, nel prospettare due opzioni ai produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili titolari di impianti che beneficiavano di Certificati Verdi, Tariffe Onnicomprensive e tariffe premio:

- continuare a godere del regime incentivante spettante per il periodo di diritto residuo (articolo 1, comma 3, lettera a)); in tale ultimo caso, per un periodo di dieci anni decorrenti dal termine del periodo di diritto al regime incentivante, interventi di qualunque tipo realizzati sullo stesso sito non hanno diritto di accesso ad ulteriori strumenti incentivanti, a carico dei prezzi o delle tariffe dell'energia elettrica;

- oppure optare per la fruizione di un incentivo ridotto a fronte di una proroga del periodo di incentivazione (articolo 1, comma 3, lettera b)): accettare, quindi, una “spalmatura” dell’incentivo in godimento su un numero di anni maggiore di quello fissato all’atto dell’accesso al sostegno, con conseguente riduzione dell’incentivo stesso.

 

Come evidenziato nella relazione illustrativa, gli impianti che hanno accettato la “spalmatura” sono una modesta frazione del totale degli impianti incentivati (circa il 2% in potenza) e molti degli impianti che non hanno accettato la spalmatura sono stati realizzati con tecnologie ormai obsolete: sono dunque possibili interventi di potenziamento o integrale ricostruzione che incrementerebbero sensibilmente la produzione energetica a parità di area occupata dall’impianto.

Inoltre, la riammissione di questi impianti ai meccanismi di incentivazione può oggi tramutarsi in un vantaggio per le tariffe e non in un onere, al contrario di quanto era ragionevole ritenere al momento dell’emanazione del decreto-legge n. 145 del 2013.

Si consideri, infatti, come le tariffe incentivanti attualmente riconosciute agli impianti a seguito delle procedure competitive di asta siano prossimi al prezzo di mercato dell’elettricità. Per di più, il meccanismo di incentivazione è strutturato in modo tale da attribuire rilevanza solo alla differenza tra la tariffa aggiudicata e il prezzo di mercato: se questa differenza è positiva, il GSE eroga il corrispondente valore al produttore. Se la differenza è negativa, è il produttore che deve erogare al GSE il corrispondente valore.

 

Nel dettaglio, il comma 3 prevede che i produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili, titolari di impianti che beneficiano degli incentivi di cui all’articolo 1, comma 3, lettera a), del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 , possono partecipare, con progetti di intervento sullo stesso sito dei predetti impianti, ai bandi pubblicati dal GSE successivamente alla data di entrata in vigore del decreto in esame (17 luglio 2020), in applicazione dei provvedimenti attuativi di cui all’articolo 24, comma 5, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28. Il GSE predispone, per tali impianti, separate graduatorie.

Si tratta, dunque, come detto, di una forma di riammissione ai regimi incentivanti dei soggetti che dopo l’entrata in vigore della disciplina del cd. cosiddetto “spalma-incentivi volontario”, hanno deciso – ai sensi della medesima disciplina (all’articolo 1, comma 3, lettera a), D.L. n. 145/2013) di continuare a godere del regime incentivante spettante per il periodo di diritto residuo.

 

L’articolo 24 del D.Lgs. n. 28/2011 stabilisce gli strumenti ed i criteri, generali e specifici, per incentivare la produzione di energia elettrica da impianti alimentati da fonti rinnovabili entrati in esercizio dopo il 31 dicembre 2012 (comma 1).

Le modalità per l'attuazione dei predetti sistemi di incentivazione sono demandate a decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e, per i profili di competenza, con il Ministro delle politiche agricole e forestali, sentite l'Autorità per l'energia elettrica e il gas e la Conferenza unificata (comma 5).

 

La riammissione avviene in coda agli altri impianti e comunque con una penalizzazione sulle tariffe: 5 punti percentuali nel caso di impianti ad asta e 3 punti percentuali per gli impianti a registro, applicati a coloro che non accettarono la spalmatura (comma 4). Le riduzioni non si applicano a coloro che accettarono la spalmatura, esercitando l’opzione di cui all’articolo 1, comma 3, lettera b), del decreto-legge n. 145/2013 (comma 5).

Resta fermo, per gli impianti di cui ai commi 3 e 5, il rispetto delle altre condizioni di partecipazione ai bandi e di formazione delle graduatorie stabilite nei provvedimenti attuativi dell’articolo 24, comma 5, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (comma 6).

 

Il comma 7 apporta talune modifiche all’articolo 42 del decreto legislativo n. 28 del 2011, recante la disciplina dei controlli e delle sanzioni in materia di incentivi. La relazione illustrativa chiarisce come l’intervento sia volto a stabilire condizioni di certezza e stabilità per gli investimenti a lungo termine che le imprese effettuano nel settore delle energie rinnovabili.

 

Il comma 7, lettera a), interviene sul comma 3 del citato articolo 42, in base al quale il GSE – qualora all’esito di attività di controllo (svolte dallo stesso GSE oppure dagli altri soggetti competenti) emergano violazioni rilevanti ai fini dell’erogazione degli incentivi – dispone  il rigetto dell'istanza ovvero la decadenza dagli incentivi, nonché il recupero delle somme già erogate, e trasmette all'Autorità competente l'esito degli accertamenti effettuati ai fini dell’applicazione delle sanzioni di legge.

La modifica consiste nell’inserimento dell’inciso secondo il quale il GSE deve comunque procedere in presenza dei presupposti di cui all’articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, posti a fondamento dell’annullamento d’ufficio dell’atto amministrativo.

 

L’articolo 21-novies (Annullamento d’ufficio) della L. n. 241/1990 e s.m. prevede, in particolare, che il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato a seguito di silenzio-assenso, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. (comma 1)

È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole (comma 2).

I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 (comma 2-bis).

 

Il comma 7, lettera b), modifica il comma 3-bis dell’articolo 42 del D.Lgs. n. 28/2011.

Il testo, come modificato, prevede che nei casi in cui, nell’ambito delle istruttorie di valutazione delle richieste di verifica e certificazione dei risparmi aventi ad oggetto il rilascio di titoli di efficienza energetica ovvero nell’ambito di attività di verifica, ai fini del rigetto dell’istanza di rendicontazione o l’annullamento del provvedimento di riconoscimento dei titoli, siano necessarie le seguenti condizioni:

- che il GSE riscontri la non rispondenza del progetto proposto e approvato alla normativa vigente alla data di presentazione del progetto;

- che tali difformità non derivino da documenti non veritieri ovvero da dichiarazioni false o mendaci rese dal proponente.

Non è più richiesto, come nel testo originario, che le difformità non derivino da documenti non veritieri ovvero da dichiarazioni false o mendaci rese dal proponente.

 

Il comma 7, lettera c), modifica il comma 3-ter del citato articolo 42 al fine di prevedere che, per entrambe le fattispecie indicate dal comma 3-bis (rigetto dell’istanza di rendicontazione o l’annullamento del provvedimento di riconoscimento dei titoli) sono fatte salve le rendicontazioni già approvate relative ai progetti standard, analitici o a consuntivo.

 

Il comma 8 prevede la necessità di applicare quanto disposto nel precedente comma 7 anche ai procedimenti ancora in corso, risolvendo eventuali asincronie temporali di applicazione.

Si prevede, in particolare, che le disposizioni di cui al comma 7 si applicano anche ai progetti di efficienza energetica oggetto di procedimenti amministrativi di annullamento d’ufficio in corso e, su richiesta dell'interessato, a quelli definiti con provvedimenti del GSE di decadenza dagli incentivi, oggetto di procedimenti giurisdizionali pendenti nonché di quelli non definiti con sentenza passata in giudicato alla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame, compresi i ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica per i quali non è intervenuto il parere del Consiglio di Stato di cui all'articolo 11 del DPR 24 novembre 1971, n. 1199.

Il GSE, preso atto della documentazione già nella propria disponibilità e di eventuale documentazione integrativa messa a disposizione dal proponente, dispone la revoca del provvedimento di annullamento entro il termine di 60 giorni consecutivi dalla data di presentazione dell'istanza a cura del soggetto interessato.

Le disposizioni di cui al comma 7 non si applicano nel caso in cui la condotta dell'operatore che ha determinato il provvedimento di decadenza del GSE è oggetto di procedimento penale in corso concluso con sentenza di condanna, anche non definitiva.


Articolo 57
(Semplificazione delle norme per la realizzazione di punti e stazioni di ricarica di veicoli elettrici)

 

 

L’articolo 57 definisce e disciplina la realizzazione di infrastrutture di ricarica per veicoli elettrici in apposite aree di sosta, sia aperte al pubblico, stabilendo per queste il principio del libero accesso non discriminatorio, che in aree private e prevedendo semplificazioni per la loro realizzazione.

 

In dettaglio il comma 1 reca la definizione di “infrastruttura di ricarica di veicoli elettrici”, come l’insieme di strutture, opere e impianti necessari alla realizzazione di aree di sosta dotate di uno o più punti di ricarica per veicoli elettrici.

Le tipologie delle infrastrutture di ricarica e le regole per il loro utilizzo

In base al comma 2, le aree di ricarica possono realizzarsi:

a) all’interno di aree e edifici pubblici e privati, ivi compresi quelli di edilizia residenziale pubblica;

b) su strade private non aperte all’uso pubblico;

c) lungo le strade pubbliche e private aperte all’uso pubblico;

d) all’interno di aree di sosta, di parcheggio e di servizio, pubbliche e private, aperte all’uso pubblico.

 

La prima tipologia, sono i casi delle lettere c) e d) del comma 2; è che le aree di ricarica vengano realizzate in aree aperte all’uso del pubblico, in particolare lungo strade o all’interno di aree di sosta, parcheggio o servizio lungo le strade. In questi casi il comma 3 prevede che la loro realizzazione sia effettuata in conformità a quanto previsto dal Codice della strada (D.Lgs. n. 285/1992) e dal relativo regolamento di esecuzione e di attuazione (DPR n. 495/1992), in particolare in relazione al dimensionamento degli stalli di sosta e la segnaletica orizzontale e verticale, fermo restando il rispetto della normativa vigente in materia di sicurezza. Si prevede inoltre che in tali casi, qualora la realizzazione sia effettuata da soggetti diversi dal proprietario della strada, si applichino anche le disposizioni in materia di autorizzazioni e concessioni previste nel Codice della strada e nel suo regolamento di esecuzione e attuazione.

In proposito si ricorda che l’art. 24, comma 4 del CdS qualifica come pertinenze di servizio le aree di servizio, con i relativi manufatti per il rifornimento ed il ristoro degli utenti, le aree di parcheggio, le aree ed i fabbricati per la manutenzione delle strade o comunque destinati dall'ente proprietario della strada in modo permanente ed esclusivo al servizio della strada e dei suoi utenti. Le pertinenze di servizio sono determinate, secondo le modalità fissate nel regolamento, dall'ente proprietario della strada in modo che non intralcino la circolazione o limitino la visibilità. Il comma 5 stabilisce inoltre che le pertinenze costituite da aree di servizio, da aree di parcheggio e da fabbricati destinate al ristoro possano appartenere anche a soggetti diversi dall'ente proprietario, ovvero essere affidate dall'ente proprietario in concessione a terzi secondo le condizioni stabilite dal regolamento di attuazione.

Peraltro, il comma 5-bis dell’art. 24, stabilisce che per esigenze di sicurezza della circolazione stradale connesse alla congruenza del progetto autostradale, le pertinenze di servizio relative alle autostrade sono previste, secondo le modalità fissate dall'Autorità di regolazione dei trasporti, sentita l'Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali (ora ANSFISA), dai progetti dell'ente proprietario ovvero, se individuato, del concessionario e approvate dal concedente, nel rispetto delle disposizioni in materia di affidamento dei servizi di distribuzione di carbolubrificanti e delle attività commerciali e ristorative nelle aree di servizio autostradali (di cui al comma 5-ter dell'articolo 11 della legge 23 dicembre 1992, n. 498, e successive modificazioni), e d'intesa con le regioni, esclusivamente per i profili di competenza regionale.

Per quanto riguarda le competenze per le autorizzazioni e le concessioni, l’art. 26 del Codice della Strada prevede che le autorizzazioni siano rilasciate dall'ente proprietario della strada o da altro ente da quest'ultimo delegato o dall'ente concessionario della strada in conformità alle relative convenzioni; l'eventuale delega è comunicata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti o al prefetto se trattasi di ente locale. Le autorizzazioni e le concessioni sono di competenza dell'ente proprietario della strada e per le strade in concessione si provvede in conformità alle relative convenzioni. Per i tratti di strade statali, regionali o provinciali, correnti nell'interno di centri abitati con popolazione inferiore a diecimila abitanti, il rilascio di concessioni e di autorizzazioni è di competenza del comune, previo nulla osta dell'ente proprietario della strada.

 

L’ultimo periodo del comma 3 prevede, inoltre, il rispetto delle norme per la realizzazione degli impianti elettrici, con particolare riferimento all’obbligo di dichiarazione di conformità e di progetto elettrico, ove necessario, in base alle leggi vigenti.

Si ricorda che le modalità, anche tecniche, con le quali i punti di ricarica devono essere realizzate sono contenute nel D.Lgs. 16 dicembre 2016, n. 257, di recepimento della Direttiva 2014/94/UE sulla realizzazione di una infrastruttura per i combustibili alternativi (cd. Direttiva AFID - Alternative Fuels Infrastructure Directive). In particolare, l’articolo 4 del Decreto legislativo, ai commi 5 e 6, dispone che i punti di ricarica di potenza standard per i veicoli elettrici, escluse le unità senza fili o a induzione, introdotti o rinnovati a decorrere dal 18 novembre 2017, si conformano almeno alle specifiche tecniche di cui all'allegato I, punto 1.1, dello stesso Decreto e ai requisiti specifici di sicurezza in vigore a livello nazionale. I punti di ricarica di potenza elevata per i veicoli elettrici, escluse le unità senza fili o a induzione, introdotti o rinnovati a decorrere dal 18 novembre 2017, si conformano almeno alle specifiche tecniche di cui all'allegato I, punto 1.2. Fermo quanto sopra disposto, e fatto salvo l'obbligo di rispondere ai requisiti di sicurezza, per i punti di ricarica non accessibili al pubblico è facoltà di adottare standard diversi, ove siano di potenza superiore a quella standard.

Inoltre, ai sensi del comma 8, la ricarica dei veicoli elettrici nei punti di ricarica accessibili al pubblico, ove tecnicamente possibile ed economicamente ragionevole, si avvale di sistemi di misurazione intelligenti.

 

 

Il comma 4 reca inoltre, per tali strutture situate su strade o aree aperte al pubblico, il principio dell’accessibilità in modo non discriminatorio, a tutti gli utenti stradali delle infrastrutture di ricarica, esclusivamente per la sosta di veicoli elettrici in fase di ricarica al fine di garantire una fruizione ottimale dei singoli punti di ricarica.

 

La seconda tipologia di infrastrutture, sono i casi delle lettere a) e b) del comma 2, è che le aree di ricarica vengano invece realizzate all’interno di edifici pubblici o privati e su strade private: in questi casi il comma 3 prevede che si applichi l’articolo 38 del codice della strada, che definisce le varie tipologie di segnaletica stradale, ferma restando l’applicazione delle vigenti norme in materia di sicurezza.

In particolare, si ricorda che il comma 10 dell’art. 38 del CdS, dispone che il campo di applicazione obbligatorio della segnaletica stradale comprenda le strade di uso pubblico e tutte le strade di proprietà privata aperte all'uso pubblico. Nelle aree private non aperte all'uso pubblico, l'utilizzo e la posa in opera della segnaletica, ove adottata, devono essere conformi a quelli prescritti dal regolamento.

 

Il comma 5 novella l’articolo 158, comma, 1, lettera h-bis), del Codice della strada, che vieta la sosta negli spazi riservati alla fermata e alla sosta dei veicoli elettrici in ricarica, prevedendo che in caso di sosta a seguito di completamento di ricarica, la sosta è concessa gratuitamente al veicolo elettrico o ibrido plug-in per un periodo massimo di un’ora. Tale limite temporale non trova applicazione durante le ore notturne, in particolare dalle ore 23 alle ore 7.

Le competenze dei comuni

Il comma 6 rinvia a provvedimenti dei comuni, da adottare entro sei 6 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, in conformità ai propri ordinamenti, come previsto dall’articolo 7 del codice della strada, per disciplinare l’installazione la realizzazione e gestione delle infrastrutture di ricarica a pubblico accesso, stabilendo la localizzazione e la quantificazione in coerenza con i propri strumenti di pianificazione, al fine di garantire un numero adeguato di stalli in funzione della domanda e degli obiettivi di progressivo rinnovo del parco dei veicoli circolanti, prevedendo, ove possibile, l'installazione di almeno un punto di ricarica ogni 1.000 abitanti.

Il comma 7 consente ai comuni di affidare, in regime di autorizzazione o concessione, anche a titolo non oneroso, la realizzazione e gestione di infrastrutture di ricarica a soggetti pubblici e privati sulla base della disciplina di cui ai commi 3 e 4, anche prevedendo una eventuale suddivisione in lotti.

Si prevede inoltre, con il comma 8, che soggetti pubblici o privati possano richiedere al comune, ovvero all’ente proprietario o al gestore della strada, anche in ambito extraurbano, l’autorizzazione o la concessione per la realizzazione e l’eventuale gestione delle infrastrutture di ricarica, anche solo per una strada o un’area a pubblico accesso o per un insieme di esse, qualora il comune non abbia provveduto alla disciplina delle aree di ricarica a pubblico accesso.

Le agevolazioni e le semplificazioni procedurali

Il comma 9 prevede la facoltà dei comuni di concedere la riduzione o l’esenzione del canone di occupazione di suolo pubblico e della TOSAP per i punti di ricarica, nel caso in cui gli stessi eroghino energia di provenienza certificata da energia rinnovabile. In ogni caso, il canone di occupazione di suolo pubblico deve essere calcolato sullo spazio occupato dalle infrastrutture di ricarica senza considerare gli stalli di sosta degli autoveicoli che rimarranno nella disponibilità del pubblico.

In caso di applicazione della riduzione o dell’esenzione il comma 10 dispone che, se a seguito di controlli non siano verificate le condizioni previste, i Comuni possano richiedere il pagamento per l’intero periodo agevolato del canone di occupazione di suolo pubblico e della tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, applicando una maggiorazione a titolo sanzionatorio fino al 30 per cento dell’importo.

Al riguardo si ricorda che la legge di bilancio 2020 (commi 816-836) istituisce, dal 2021, il cd. canone unico patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria, per riunire in una sola forma di prelievo le entrate relative all’occupazione di aree pubbliche e la diffusione di messaggi pubblicitari. Tale canone è destinato a sostituire la vigente disciplina della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP), dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni (ICPDPA), nonché del canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari (CIMP) e del canone per l’occupazione delle strade. Come precisato poi dal decreto-legge milleproroghe 2020 (decreto-legge n. 162 del 2019, articolo 4, comma 3-quater), per il 2020 si applicano le disposizioni in materia di imposta comunale sulla pubblicità, diritto sulle pubbliche affissioni e tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, nonché le norme in materia di canone per l'installazione di mezzi pubblicitari e per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche.

Il decreto-legge n. 34 del 2020 (articolo 181), in ragione dell'emergenza sanitaria, esonera - dal 1° maggio al 31 ottobre 2020 - gli esercizi di ristorazione ovvero per la somministrazione di pasti e di bevande dal pagamento della tassa o del canone dovuti per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (Tosap e Cosap), per favorire la ripresa delle attività turistiche. Viene istituito un fondo per il ristoro dei comuni a fronte della diminuzione delle entrate conseguente a tale esonero. Nel corso dell'esame parlamentare di tale provvedimento, sono stati esonerati dal pagamento della tassa per l'occupazione temporanea di spazi ed aree pubbliche o del relativo canone anche i titolari di concessioni o di autorizzazioni concernenti l'utilizzazione del suolo pubblico per l'esercizio del commercio su aree pubbliche, dal 1° marzo 2020 fino al 30 aprile 2020, con ristoro ai comuni delle minori entrate.

 

Il comma 11 prevede una semplificazione procedurale per la realizzazione delle infrastrutture di ricarica di veicoli elettrici e ibridi plug-in, disponendo che sia sufficiente una dichiarazione sottoscritta dai soggetti interessati da cui risulti l’assenza o la presenza di interferenze con linee di telecomunicazione e il rispetto delle norme che regolano la materia della trasmissione e distribuzione di energia elettrica, al posto del preventivo nulla osta del Ministero, previsto dai commi 2 e 2-bis dell'articolo 95 del Codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259/2003). La dichiarazione va comunicata all’Ispettorato del Ministero competente per territorio ed in tali casi i soggetti interessati non sono tenuti alla stipula degli atti di sottomissione previsti dalla normativa vigente.

Le richiamate disposizioni del Codice delle Comunicazioni elettroniche richiedono infatti il preventivo ottenimento del nulla osta del Ministero sul progetto di costruzione, modifica o spostamento di condutture di energia elettrica a qualunque uso destinate, rilasciato dall'ispettorato del Ministero competente per territorio. Il comma 2-bis prevede per le condutture aeree o sotterranee di energia elettrica di classe zero, di I classe e di II classe, realizzate in cavi cordati ad elica, la sostituzione del nulla osta con l’attestazione di conformità del gestore.

 

Il comma 12 dispone che l’ARERA (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente), entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, definisca le tariffe per la fornitura dell’energia elettrica destinata alla ricarica dei veicoli, applicabili ai punti di prelievo in ambito privato e agli operatori del servizio di ricarica in ambito pubblico secondo quanto previsto dall’articolo 4, comma 9, del D.Lgs. n. 257/2016, in modo da favorire l’uso di veicoli alimentati ad energia elettrica e da assicurare un costo dell'energia elettrica non superiore a quello previsto per i clienti domestici residenti.

 

L’articolo 4, comma 9 del D.Lgs. n. 257/2016 dispone che gli operatori dei punti di ricarica accessibili al pubblico sono considerati, ai fini fiscali (Testo unico delle imposte sulla produzione e sui consumi, D.Lgs. n. 504/1995, dunque, ai fini del pagamento dell’accisa sull’energia elettrica[57]) consumatori finali dell'energia elettrica utilizzata per la ricarica degli accumulatori dei veicoli a trazione elettrica presso infrastrutture pubbliche, aperte al pubblico ovvero di pertinenza di enti o di aziende per i propri dipendenti. Gli operatori dei punti di ricarica accessibili al pubblico possono acquistare energia elettrica da qualsiasi fornitore dell'Unione europea, fermo quanto previsto dall'articolo 53, comma 3, del citato Testo unico[58].

Gli operatori dei punti di ricarica accessibili al pubblico sono autorizzati a fornire ai clienti servizi di ricarica per veicoli elettrici su base contrattuale, anche a nome e per conto di altri fornitori di servizi.

 

Quanto alle tariffe per la fornitura dell’energia elettrica, l’ARERA, sul proprio sito istituzionale evidenzia che, allo stato, per quanto riguarda le componenti della spesa per la fornitura di energia elettrica che riguardano il trasporto e gestione del contatore e gli oneri generali di sistema, a tutti i punti di prelievo non dedicati ad utenze domestiche o di illuminazione pubblica vengono applicate tariffe che dipendono solamente dal livello di tensione della rete elettrica a cui sono connessi e al livello di potenza disponibile, sulla base di quanto stabilito dal Testo Integrato delle disposizioni per l'erogazione dei servizi di trasmissione e distribuzione (TIT, allegato A alla delibera 654/2015/R/eel e s.m.i.

Con delibera ARG/elt 242/10 l'Autorità ha introdotto, e poi ha confermato per il periodo 2016 - 2019 con la delibera 654/2015/R/eel, la possibilità, per gli operatori di punti di ricarica dei veicoli elettrici in luoghi aperti al pubblico, di richiedere l'applicazione di una tariffa monomia in energia (espressa unicamente in c€/kWh) relativamente ai servizi di trasporto e gestione del contatore (tariffa di rete) (tariffa BTVE), limitatamente ai punti di prelievo connessi in bassa tensione e dedicati in via esclusiva alla ricarica di veicoli elettrici.

Per i punti a cui è applicata la tariffa di rete BTVE, anche le componenti a copertura degli oneri generali di sistema hanno struttura monomia.

L'assenza di componenti fisse o in quota potenza (€/punto/anno o c€/kW/anno) rende questa tariffa particolarmente favorevole per l'apertura lungo le strade di nuovi punti di ricarica in aree aperte al pubblico, poiché elimina il peso di costi fissi annuali in capo al gestore del servizio di ricarica.

È tuttavia da considerare – afferma ARERA - che, stante la necessità anche per questi utenti di contribuire alla copertura dei costi dei servizi di rete (trasporto e gestione del contatore) e degli oneri generali di sistema, a fronte dell'eliminazione delle quote fisse delle tariffe, le componenti variabili in energia (c€/kWh) mostrano valori nettamente maggiori di quelli applicabili a utenze con tariffa di tipo "bassa tensione altri usi" (BTA) di pari potenza. Questa struttura tariffaria risulta dunque vantaggiosa fino a quando il volume di energia prelevato rimane complessivamente contenuto. Inoltre, il punto di prelievo deve essere dedicato alla ricarica di veicoli elettrici: non è quindi possibile applicare la tariffa BTVE se l'energia prelevata è utilizzata, oltre che per la ricarica di veicoli elettrici, anche per altri scopi (ad esempio, nel caso di una stazione di servizio già connessa alla rete elettrica, gli usi elettrici per le pompe di combustibile, per l'illuminazione del piazzale e per gli eventuali servizi presenti come il bar o l'autolavaggio).

Le tariffe BTVE non includono i costi dell'attività di ricarica oltre che, naturalmente, il prezzo della materia prima energia. A tale proposito, ARERA invita a consultare il chiarimento pubblicato in data 9 aprile 2020 relativamente ai prezzi applicabili nel mercato di maggior tutela.

 

Il comma 13 dispone inoltre l’obbligo che le concessioni, rilasciate a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ivi compreso il rinnovo di quelle esistenti, prevedano che le aree di servizio vengano dotate delle colonnine di ricarica per i veicoli elettrici.

Conseguentemente, dovranno essere aggiornati il Piano nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica, di cui all’articolo 17-septies del n. 83/2012 e il Piano di ristrutturazione delle aree di servizio autostradali.

Si ricorda che il Piano infrastrutturale per i veicoli alimentati ad energia elettrica (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 2 dicembre 2014), è stato approvato nel 2014 e la sua attuazione è prevista attraverso la stipula di accordi di programma approvati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa delibera del CIPE, a seguito di intesa con la Conferenza unificata. Il CIPE nella seduta del 23 dicembre 2015 ha approvato l'aggiornamento annuale del Piano, approvato con DPCM 18 aprile 2016 (GU ). Con il D.Lgs. n. 257/2016, di recepimento della c.d. direttiva DAFI n. 2014/94, il Piano è confluito nel Quadro strategico nazionale previsto dalla direttiva. Con DPCM 1 febbraio 2018 è stato approvato l’Accordo di programma per la realizzazione della rete infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica. Il MISE con decreto 30 gennaio 2020 ha definito criteri e modalità per favorire la diffusione della tecnologia di integrazione tra i veicoli elettrici e la rete elettrica, denominata vehicle to grid.

Si ricorda che per il finanziamento del Piano nazionale infrastrutturale di ricarica dei veicoli elettrici, era stato istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un apposito fondo, con una dotazione pari a 20 milioni di euro per l'anno 2013 e a 15 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015. In base al comma 9, a valere su tali risorse, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti partecipava al cofinanziamento, fino a un massimo del 50 per cento delle spese sostenute per l'acquisto e per l'installazione degli impianti, dei progetti presentati dalle regioni e dagli enti locali relativi allo sviluppo delle reti infrastrutturali per la ricarica dei veicoli nell'ambito degli accordi di programma previsti dal comma 5.  Una parte del fondo, per un ammontare pari a 5 milioni di euro per l'anno 2013, era stata destinata alla risoluzione delle più rilevanti esigenze nelle aree urbane ad alta congestione di traffico, con ripartizione da definire a seguito di accordo in sede di Conferenza Stato- Regioni.

Con il DL n. 34 del 2019 (art.. 4, co. 7-bis e 7-ter) sono stati definiti gli interventi per realizzare la Piattaforma unica nazionale (PUN) e per gli investimenti del Piano nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli elettrici (Pnire 3). L’art. 8, comma 5 del D.Lgs. n. 257/2016, ha previsto, per la predisposizione della mappa dei punti di rifornimento per i combustibili alternativi per il trasporto stradale, che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, attraverso la Piattaforma unica nazionale (PUN), prevista nell'ambito del PNire, raccolga le informazioni relative ai punti di ricarica o di rifornimento accessibili al pubblico, quali la localizzazione, la tecnologia della presa, la potenza massima erogabile, la tecnologia utilizzata per l'accesso alla ricarica, la disponibilità di accesso, l'identificativo infrastruttura, il proprietario dell'infrastruttura.

Si ricorda altresì che con Dpcm 30 aprile 2019 è stato approvato il Piano Strategico Nazionale della Mobilità Sostenibile.

 

Le semplificazioni amministrative e l’attuazione

Il comma 14 abroga i commi 2-bis e 2-ter dell’articolo 23 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, che prevedono l’applicazione della disciplina della segnalazione certificata di inizio attività (di cui all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni) per la  realizzazione delle infrastrutture di ricarica dei veicoli elettrici, nonché il rinvio (comma 2-ter) ad un  decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per individuare le dichiarazioni, attestazioni, asseverazioni, nonché gli elaborati tecnici da presentare a corredo della segnalazione certificata di inizio attività.

Si ricorda in generale che ai sensi dell’art. 19 della L. 241 del 1990, la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) sostituisce ogni atto di autorizzazione, licenza, permesso, nulla osta il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e dei presupposti previsti dalle norme di settore. La disciplina generale consente l’avvio dell’attività contestualmente alla presentazione della segnalazione allo sportello unico.

Il successivo comma 15 dispone la cessazione dell’efficacia del decreto 3 agosto 2017 del Ministero e delle infrastrutture e dei trasporti, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 290 del 13 dicembre 2017, recante “Individuazione delle dichiarazioni, attestazioni, asseverazioni, nonché degli elaborati tecnici da presentare a corredo della segnalazione certificata di inizio attività per la realizzazione delle infrastrutture di ricarica dei veicoli elettrici”

 

Il comma 16 rinvia ad un regolamento da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto l’adozione di disposizioni integrative e modificative del regolamento di attuazione del Codice della strada, in coerenza con le disposizioni del presente articolo.

 

Il comma 17 reca la clausola di invarianza finanziaria, che dall'attuazione del presente articolo non derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che le amministrazioni pubbliche interessate provvedano alle attività previste con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.


Articolo 58
(Trasferimenti statistici di energia rinnovabile dall’Italia ad altri paesi)

 

 

L’articolo 58 consente di perfezionare accordi intergovernativi nei quali l’Italia sia parte attiva del trasferimento ad altri Stati membri dell’UE di una quota del proprio surplus di produzione di energia da FER rispetto all’obiettivo nazionale al 2020 ed in vista degli obiettivi da FER al 2030. I proventi derivanti dal trasferimento statistico sono attributi alla Cassa per i servizi energetici e ambientali (CSEA) e sono destinati, secondo modalità stabilite dall’ARERA, sulla base di indirizzi adottati dal Ministro dello sviluppo economico, alla riduzione degli oneri generali di sistema.

 

L’articolo in esame sostituisce l’articolo 35 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (recante Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), introducendo una disciplina più ampia, che comprende gli accordi intergovernativi in cui l’Italia sia parte attiva del trasferimento statistico. Inoltre, rende applicabile la disciplina in essa prevista anche agli accordi per trasferimenti statistici che si dovessero rendere necessari in vista degli obiettivi di produzione da FER al 2030.

 

Il vigente articolo 35 prevede la possibilità per l’Italia di concludere accordi intergovernativi con altri Stati membri UE per progetti comuni o trasferimenti statistici, ossia per il trasferimento, a favore dell’Italia, di quantità di energia rinnovabile da Stati membri che hanno raggiunto e superato i propri obiettivi nazionali di produzione da fonti di energia rinnovabile (FER) al 2020.

Detto articolo 35, nel recepire l’articolo 6 della direttiva europea 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, si limitò – in ragione della situazione della produzione da FER in Italia di quegli anni e delle proiezioni allora effettuate – a considerare solo la fattispecie di accordi di trasferimento verso l’Italia e non la fattispecie in cui fosse l’Italia a poter trasferire ad altri Stati membri una quota di proprio surplus produttivo da FER rispetto all’obiettivo nazionale al 2020.

Come evidenziato dalla relazione illustrativa, ad oggi il quadro descritto è sensibilmente cambiato: secondo le stime attualmente disponibili, l’Italia potrà superare il proprio obiettivo 2020 di produzione di energia da FER (17%) ed avere un surplus potenzialmente trasferibile a fini statistici a quegli Stati membri o regioni dell’Unione europea che abbiano un deficit rispetto al proprio obiettivo e che pertanto sarebbero interessati ad esplorare la possibilità di concludere un accordo per trasferimenti statistici di energia da FER nei loro confronti.

L’importanza di tali accordi di trasferimenti statistici è stata ribadita dalla direttiva 2018/2001/UE (articolo 8) sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili che stabilisce gli obiettivi 2030 e ha operato la rifusione della precedente direttiva 2009/28/CE.

Per ulteriori approfondimenti, in particolare sugli obiettivi al 2020 e al 2030 si veda il tema dell’attività parlamentare “Risparmio ed efficienza energetica”.

Si veda altresì il seguente tema dell’attività parlamentare: “Governance europea e nazionale su energia e clima: gli obiettivi 2030. Il Piano nazionale per l’energia ed il clima”.

 

Nello specifico, il nuovo articolo 35 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, si compone di cinque commi.

Il comma 1 prevede che, sulla base di accordi internazionali appositamente stipulati, sono promossi e gestiti con Stati membri progetti comuni e trasferimenti statistici di produzioni di energia da fonti rinnovabili, relativi agli obiettivi 2020 e 2030, nel rispetto dei criteri di cui ai commi seguenti.

 

Il comma 2 riguarda la fattispecie dei trasferimenti statistici da altri Stati membri dell’Unione europea verso l’Italia.

Gli accordi sono promossi allorché, sulla base dei dati statistici di produzione e delle previsioni di entrata in esercizio di nuovi impianti effettuate dal GSE, si prospetta il mancato raggiungimento degli obiettivi 2020 e 2030 (comma 2, lettera a)).

L'onere specifico per il trasferimento statistico e per i progetti comuni è non superiore al valore medio ponderato dell'incentivazione, in Italia, della produzione elettrica da impianti a fonti rinnovabili entrati in esercizio nell'anno precedente a quello di stipula dell'accordo (comma 2, lettera c)). Come chiarito nella relazione illustrativa, il meccanismo di individuazione del costo massimo viene allineato alla spesa di incentivazione degli impianti di più recente entrata in esercizio, in quanto meglio riflessivi dei costi per il raggiungimento degli obiettivi.

Gli accordi sono stipulati e gestiti con modalità che assicurano che l'energia oggetto del trasferimento statistico, ovvero la quota di energia proveniente dal progetto comune, contribuisca al raggiungimento degli obiettivi italiani in materia di fonti rinnovabili (comma 2, lettera c)).

 

Il comma 3 prevede che la copertura dei costi per i trasferimenti statistici e i progetti comuni di cui al comma 1 è assicurata dalle tariffe dell'energia elettrica e del gas naturale, con modalità fissate dall'ARERA successivamente alla stipula di ciascun accordo.

Appare opportuno che la disposizione sulla copertura dei costi per i trasferimenti statistici e i progetti comuni sia riferita al comma 2, riguardante i trasferimenti statistici da altri Stati membri verso l’Italia, che solo in tal caso deve sostenere dei costi.

 

Il comma 4 introduce la nuova fattispecie dei trasferimenti statistici dall’Italia verso altri Stati membri o regioni dell’Unione europea.

L'energia oggetto del trasferimento statistico, ovvero la quota di energia proveniente dal progetto comune, è determinata in modo da assicurare comunque il raggiungimento degli obiettivi italiani (comma 4, lettera a)).

In caso di trasferimenti statistici, la scelta dello Stato o degli Stati membri verso cui ha effetto il trasferimento statistico avviene, a cura del Ministero dello sviluppo economico, mediante valutazione delle manifestazioni di interesse, considerando anche il criterio del migliore vantaggio economico conseguibile (comma 4, lettera b)); come precisato dalla relazione illustrativa, la selezione avverrà una volta nota la quantità di energia rinnovabile in surplus rispetto all’obiettivo al 2020.

I proventi derivanti dal trasferimento statistico sono attributi direttamente alla Cassa per i servizi energetici e ambientali (CSEA) e sono destinati, secondo modalità stabilite dall’ARERA sulla base di indirizzi adottati dal Ministro dello sviluppo economico, alla riduzione degli oneri generali di sistema relativi al sostegno delle fonti rinnovabili ed alla ricerca di sistema elettrico, ovvero ad altre finalità connesse agli obiettivi italiani 2020 e 2030 eventualmente concordati con gli Stati destinatari del trasferimento (comma 4, lettera c)).

 

Il comma 5 prevede che per gli accordi in questione sono in ogni caso stabilite le misure necessarie ad assicurare il monitoraggio dell’energia trasferita.

Il comma 6 dispone che la cooperazione per progetti comuni con altri Stati membri può comprendere operatori privati.


Articolo 59
(Meccanismo dello scambio sul posto altrove per piccoli comuni)

 

L’articolo estende ai comuni con popolazione fino a 20.000 residenti il meccanismo dello scambio sul posto cosiddetto “altrove” previsto dall’articolo 27, comma 4-bis, della legge n. 99 del 2009 (comma 1). Interviene, inoltre, sulle modalità con le quali, a determinate condizioni, il Ministero della difesa può usufruire del servizio dello scambio sul posto altrove (comma 2).

 

Nel dettaglio, il comma 1 estende ai comuni con popolazione fino a 20.000 residenti il meccanismo dello scambio sul posto cosiddetto “altrove”, già previsto dall’articolo 27, comma 4-bis, della legge n. 99 del 2009, come introdotto dall’articolo 1, comma 65, della legge n. 160 del 2019.

 

Segnatamente, il comma 4-bis all’articolo 27 della legge n. 99/2009, introdotto dalla legge di bilancio 2020 (L. n. 160/2019, articolo 1, comma 65), al fine di incentivare l’utilizzazione dell’energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili e fornire un sostegno alle fasce sociali più disagiate, consente agli enti pubblici – strumentali e non – delle regioni che si occupano di edilizia residenziale pubblica convenzionata, agevolata e sovvenzionata di usufruire, a date condizioni, del meccanismo dello scambio sul posto dell’energia elettrica prodotta dagli impianti di cui sono proprietari, senza alcun limite di potenza, a copertura dei consumi di utenze proprie degli enti strumentali e delle utenze degli inquilini dell’edilizia residenziale pubblica, fermo il pagamento, nella misura massima del 30% dell’intero importo, degli oneri generali del sistema elettrico.

I predetti enti, fra i quali ora rientrano – in virtù dell’intervento normativo in esame –  anche i comuni con popolazione fino a 20.000 residenti, non devono tener conto dell’obbligo di coincidenza tra il punto di immissione e il punto di prelievo dell’energia scambiata con la rete: si realizza quindi il cosiddetto scambio sul posto altrove”.

 

La relazione illustrativa evidenzia come la disposizione in esame, nell’ottica di favorire la diffusione delle fonti rinnovabili con modalità che concorrano a distribuire alle collettività i benefici, estenda l’opzione di cui al citato comma 4-bis anche ai comuni con ridotta popolazione, usualmente i più “ricchi” di risorse rinnovabili e di superfici utilizzabili per il relativo sfruttamento. Inoltre, l’intervento consente una gestione organica e unitaria del meccanismo dello scambio altrove, limitandolo a casi specifici di interesse di realtà pubbliche, e dunque senza compromettere la prospettiva di riordino della disciplina dello scambio per gli altri soggetti.

Tale riordino è previsto dal disegno di legge di delegazione europea 2019  attualmente in discussione in Senato (AS 1721) (vedi infra).

 

Si ricorda peraltro che il comma 4 dell’articolo l’articolo 27 della legge n. 99/2009 già prevede una disciplina sullo scambio sul posto “altrove” applicabile ai comuni con popolazione fino a 20.000 residenti.

 

Il comma 4 dell’articolo 27 della legge n. 99/2009 prevede che, per incentivare l'utilizzazione dell'energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili, i comuni con popolazione fino a 20.000 residenti possono usufruire del servizio di scambio sul posto dell'energia elettrica prodotta per gli impianti di cui sono proprietari di potenza non superiore a 200 kW, a copertura dei consumi di proprie utenze, senza tener conto dell'obbligo di coincidenza tra il punto di immissione e il punto di prelievo dell'energia scambiata con la rete e fermo restando il pagamento degli oneri di rete.

Il meccanismo di cui al comma 4 presenta talune differenze sostanziali rispetto a quello previsto dal comma 4-bis: è previsto un limite di potenza degli impianti, che non deve superare i 200 Kw (mentre il comma 4-bis si applica senza alcun limite di potenza degli impianti); resta fermo il pagamento degli oneri di rete (mentre il comma 4-bis prevede che gli oneri di sistema siano dovuti nella misura massima del 30 per cento dell’intero importo).

 

Appare dunque opportuno, ai fini dell’applicazione del meccanismo dello scambio sul posto altrove ai comuni con popolazione fino a 20.000 residenti, operare un coordinamento tra la disciplina di cui ai commi 4 e 4-bis dell’articolo 27 della legge n. 99 del 2009.

 

Il comma 2 dell’articolo in esame modifica il comma 7 dell’articolo 355 del Decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), che disciplina le modalità con le quali, a determinate condizioni, il Ministero della difesa può usufruire del servizio dello scambio sul posto altrove di cui all’articolo 27, comma 4, della legge n. 99 del 2009 (vedi supra).

 

L’articolo 355 del Decreto legislativo n. 66 del 2010 (Codice dell’ordinamento militare) al comma 1 prevede che il Ministero della difesa, nel rispetto del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, allo scopo di soddisfare le proprie esigenze energetiche, nonché per conseguire significative misure di contenimento degli oneri connessi e delle spese per la gestione delle aree interessate, può, fatti salvi i diritti dei terzi, affidare in concessione o in locazione, o utilizzare direttamente, in tutto o in parte, i siti militari, le infrastrutture e i beni del demanio militare o a qualunque titolo in uso o in dotazione all'Esercito italiano, alla Marina militare, all'Aeronautica militare e all'Arma dei carabinieri, con la finalità di installare impianti energetici destinati al miglioramento del quadro di approvvigionamento strategico dell'energia, della sicurezza e dell'affidabilità del sistema, nonché della flessibilità e della diversificazione dell'offerta, nel quadro degli obiettivi comunitari in materia di energia e ambiente. Resta ferma l'appartenenza al demanio dello Stato.

Il comma 7 prevede che il Ministero della difesa, ai fini di quanto previsto dal comma 1, può usufruire per l'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili del servizio di scambio sul posto dell'energia elettrica prodotta secondo le modalità di cui al comma 4, dell'articolo 27, della legge n. 99 del 2009 (vedi supra), anche per impianti di potenza superiore a 200 kW.

 

Dunque, in virtù dell’articolo 355, comma 7, del decreto legislativo n. 66 del 2010 il Ministero della difesa può usufruire, per l'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, del servizio di scambio sul posto dell'energia, anche per impianti di potenza superiore a 200 kW. L’intervento normativo in esame, integrando il predetto comma 7, precisa come ciò debba avvenire “nei limiti del proprio fabbisogno energetico e previo pagamento degli oneri di rete riconosciuti per l’illuminazione pubblica”.

 

Come indicato dalla relazione illustrativa, attesa l’alta valenza strategica del perseguimento dell’autonomia energetica militare mediante la realizzazione (anche grazie ad investimenti privati) di una rete il più possibile autosufficiente, la disposizione in esame è finalizzata ad introdurre la possibilità, per il Ministero della difesa, di usufruire di una riduzione dei costi del servizio di scambio sul posto dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili secondo le modalità di cui al comma 4, dell'articolo 27, della legge n. 99 del 2009, anche per impianti di potenza superiore a 200 kW. Ciò consentirà di innescare un circolo virtuoso e di liberare risorse utili a finanziare i maggiori costi legati alla realizzazione di impianti con caratteristiche tecniche più performanti, meno impattanti sull’ambiente e, a regime, sui costi energetici, nonché idonei a garantire l’autosufficienza anche in situazioni emergenziali. Questa soluzione organizzativa, in ogni caso, non incide sul conto economico del gestore della rete se non in misura positiva, per effetto del riconoscimento del ristoro dei costi sostenuti per l’aggravio sulla rete come nel caso dell’illuminazione pubblica, a cui si fa riferimento.

 

Come evidenzia il GSE, lo Scambio sul Posto (SSP) è una modalità semplificata di accesso al mercato rivolta anche alle PA che rivestono contemporaneamente il ruolo di produttore e di consumatore di energia e che dispongono di un impianto di generazione da FER o di un impianto di cogenerazione riconosciuto “CAR” (cogenerazione ad alto rendimento), alimentato da fonti fossili, di potenza inferiore a 200 kW.

Grazie a questo strumento, le PA posso immettere in rete l’energia elettrica prodotta dai propri impianti che non consumano contestualmente e, nello stesso tempo, prelevare dalla rete quella eventualmente necessaria a coprire il proprio fabbisogno.

Lo SSP permette alle Amministrazioni un reale risparmio sui propri costi energetici. Il GSE riconosce agli enti beneficiari una parziale compensazione economica che valorizza la differenza tra il prezzo riconosciuto all’energia immessa in rete (più basso) e quello corrisposto per l’elettricità prelevata (più alto), comprensiva degli oneri accessori per l’accesso alla rete.

Il cosiddetto SSP “altrove”, a differenza dal “tradizionale” SSP, non prevede l’obbligo di coincidenza tra i punti di produzione e di consumo dell’energia elettrica. In questo caso, ad esempio, per un impianto FV installato su un edificio della PA si può beneficiare dello SSP sia per l’energia elettrica prelevata in corrispondenza dell’edificio stesso, sia per quella prelevata da utenze di edifici (piscine, palestre, uffici comunali, etc.) dislocati altrove.

Si ricorda, infine, che una nuova disciplina dei meccanismi di sostegno all’autoconsumo di energia elettrica da fonti rinnovabili è prevista nella nuova Direttiva (UE) 2018/2001 (cd. RED II), la quale impone agli Stati membri di autorizzare la costituzione dei consumatori in autoconsumatori di energia elettrica rinnovabile assicurando loro un trattamento non discriminatorio e sproporzionato. Gli SM devono predisporre un quadro favorevole alla promozione e agevolazione dello sviluppo dell'autoconsumo, anche in forma collettiva (articoli 21e 22).Tale nuova disciplina è destinata ad impattare sui meccanismi agevolatori vigenti all’autoconsumo.

Si ricorda in proposito che l’articolo 5 del Disegno di legge di delegazione europea 2019 (A.S. 1721) tra i principi e criteri direttivi per il recepimento della Direttiva RED II, prevede il riordino della normativa vigente in materia di configurazioni per l'autoconsumo, ivi inclusi i sistemi efficienti di utenza (SEU) e il meccanismo incentivante dello scambio sul posto. Ciò per favorire la realizzazione di tutti i sistemi di autoconsumo, anche collettivi, da FER. (comma 1, lettera c).

Nelle more del recepimento della Direttiva RED II ed in parziale e anticipata attuazione delle disposizioni ivi contenute, l’articolo 42-bis del D.L. n. 162/2019 (cd. D.L. “Milleproroghe”) convertito, con modificazioni in L. n. 8/2020, autorizza inoltre l’attivazione dell'autoconsumo collettivo da fonti rinnovabili, ovvero la realizzazione delle comunità energetiche rinnovabili, dettandone il relativo quadro agevolativo. I meccanismi di incentivazione per gli autoconsumatori di energia rinnovabile e per le comunità energetiche rinnovabili sono alternativi al meccanismo dello scambio sul posto

 


Articolo 60
(Semplificazione dei procedimenti autorizzativi delle infrastrutture delle reti energetiche nazionali)

 

 

Il comma 1 stabilisce siano autorizzate le infrastrutture di rete facenti parte della rete nazionale di trasmissione dell'energia elettrica e della rete nazionale di trasporto del gas naturale, anche nelle more della approvazione del primo Piano decennale di sviluppo delle rispettive reti in cui sono state inserite.

Tali reti saranno individuate dalla successiva normativa di attuazione da emanare in base all’articolo 50 del provvedimento in esame.

In base al comma 2, le infrastrutture di rete facenti parte della rete nazionale di trasmissione dell'energia elettrica, individuate nei termini sopra descritti o nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC) possono essere sottoposte al dibattito pubblico secondo le modalità previste dalla normativa interna ed europea.

Il comma 3 interviene sulla disciplina relativa alla predisposizione del Piano decennale di sviluppo della rete di trasmissione nazionale.

Il comma 4 modifica alcuni aspetti di dettaglio della disciplina secondaria in materia di espropriazione per pubblica utilità, con riferimento all'espropriazione o asservimento coattivo dei beni gravati da uso civico, alla delega dei poteri espropriativi per opere di minore entità, alla verifica preventiva dell’interesse archeologico per le infrastrutture energetiche lineari e al regime autorizzatorio dei rifacimenti di metanodotti esistenti, a determinate condizioni.

Il comma 5 integra la vigente disciplina riguardante il procedimento di rilascio dell'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio degli elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell'energia elettrica, in relazione all'accertamento degli usi civici da parte delle Regioni interessate, e alle ricostruzioni di linee aeree esistenti che sono sottoposte, a determinate condizioni, al regime di inizio attività, fermi restando i vincoli di esercizio e il rispetto della normativa ambientale e paesaggistica.

Il comma 6 prevede misure relativamente alla Regione Sardegna in temi di rilancio produttivo e di phase out dal carbone.

Il comma 7 consente al MISE di avvalersi, nel limite di dieci unità, di personale dell’area funzionale III, collocato in posizione di comando, e proveniente da altri enti o amministrazioni, per accelerare la realizzazione degli interventi finalizzati a favorire il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione del PNIEC.

 

 

Il comma 1 stabilisce siano autorizzate le infrastrutture di rete facenti parte della rete nazionale di trasmissione dell'energia elettrica e della rete nazionale di trasporto del gas naturale, anche nelle more della approvazione del primo Piano decennale di sviluppo delle rispettive reti in cui sono state inserite.

Tali reti devono essere individuate nei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri previsti dal nuovo comma 2-bis introdotto dall’articolo 50 del provvedimento in esame nell’articolo 7-bis del d.lgs. 152/2006 (Norme in materia ambientale).

L'autorizzazione s'intende concessa ai sensi dell'articolo 1-sexies del D.L. n. 239/2003 (L. n. 290/2003) nonché del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità (DPR n. 327/2001).

 

L'articolo 1-sexies del D.L. n. 239/2003 ha previsto al co. 1 che, al fine di garantire la sicurezza del sistema energetico e di promuovere la concorrenza nei mercati dell'energia elettrica, la costruzione e l'esercizio degli elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell'energia elettrica sono attività di preminente interesse statale e sono soggetti a un'autorizzazione unica comprendente tutte le opere connesse e le infrastrutture indispensabili all'esercizio degli stessi, rilasciata dal Ministero delle attività produttive di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e previa intesa con la regione o le regioni interessate, la quale sostituisce autorizzazioni, concessioni, nulla osta e atti di assenso comunque denominati previsti dalle norme vigenti e comprende ogni opera o intervento necessari alla risoluzione delle interferenze con altre infrastrutture esistenti, costituendo titolo a costruire e ad esercire tali infrastrutture, opere o interventi e ad attraversare i beni demaniali, in conformità al progetto approvato. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio provvede alla valutazione di impatto ambientale e alla verifica della conformità delle opere al progetto autorizzato. Restano ferme, nell'àmbito del presente procedimento unico, le competenze del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in merito all'accertamento della conformità delle opere alle prescrizioni delle norme di settore e dei piani urbanistici ed edilizi.

 

Alle stesse infrastrutture sono applicabili le disposizioni introdotte dall'articolo 50 del provvedimento in esame (alla cui scheda di lettura si rinvia).

 

In base al comma 2, le infrastrutture di rete facenti parte della rete nazionale di trasmissione dell'energia elettrica, individuate nei termini sopra descritti o nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC) che ricadono nell’ambito di applicazione del Regolamento recante modalità di svolgimento, tipologie e soglie dimensionali delle opere sottoposte a dibattito pubblico (DPCM n. 76/2018), possono essere sottoposte al dibattito pubblico secondo le modalità di cui al regolamento (UE) 347 del 2013 (sugli orientamenti per le infrastrutture energetiche transeuropee e che abroga la decisione n. 1364/2006/CE e che modifica i regolamenti (CE) n. 713/2009, (CE) n. 714/2009 e (CE) n. 715/2009).

 

L'art. 1 del DPCM n. 76/2018 prevede che i progetti di fattibilità, ovvero i documenti di fattibilità delle alternative progettuali delle opere, di cui all'Allegato 1, sono sottoposti, nei casi individuati dal DPCM in questione, a dibattito pubblico. Per l'art. 2, co. 1, lett. a), il dibattito pubblico è il processo di informazione, partecipazione e confronto pubblico sull'opportunità, sulle soluzioni progettuali di opere, su progetti o interventi di cui all'Allegato 1 tra i quali rientrano anche gli impianti insediamenti industriali e infrastrutture energetiche per opere che comportano investimenti complessivi superiori ai 300 milioni di euro al netto di IVA del complesso dei contratti previsti.

 

Il comma 3 sostituisce il comma 12 dell’articolo 36 del d.lgs. n. 93/2011 (Attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, del gas naturale e ad una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica, nonché abrogazione delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE).

Rispetto alla formulazione vigente del comma 12 in esame si prescrive che:

-  Terna S.p.A. predisponga ogni due anni, entro il 31 gennaio, il Piano decennale di sviluppo della rete di trasmissione nazionale (attualmente il Piano deve essere predisposto entro il 31 gennaio di ciascun anno);

- il Piano deve essere ora coerente con gli obiettivi in materia di fonti rinnovabili, di decarbonizzazione e di adeguatezza e sicurezza del sistema energetico stabiliti nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC). La formulazione in vigore prevede che esso sia basato sulla domanda e offerta esistenti e previste;

- ai fini dell'approvazione del Piano, viene eliminato ogni riferimento al termine per il rilascio del parere da parte delle Regioni territorialmente interessate dagli interventi in programma. Attualmente il parere deve essere rilasciato entro il termine di cui all'articolo 17, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006, ovvero entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento del Piano nel caso di mancato avvio della procedura VAS;

- il Piano deve ora individuare le linee di sviluppo degli interventi elettrici infrastrutturali da compiere nei dieci anni successivi. Nel testo in vigore, il Piano deve individuare le infrastrutture di trasmissione da costruire o potenziare nei dieci anni successivi;

- ogni anno Terna S.p.A. deve presentare al MISE e all’ARERA un documento sintetico degli interventi di sviluppo della rete coerenti con il Piano di sviluppo da compiere nei successivi tre anni e lo stato di avanzamento degli interventi inclusi nei precedenti Piani. Si tratta di disposizione aggiuntiva rispetto al vigente testo del comma 12.

Il comma 4 modifica alcuni articoli del DPR n. 327/2001, sopra richiamato.

Con la modifica all’articolo 4, comma 1-bis, si specifica che l'opera interrata o che occupi una superficie inferiore al 5 per cento rispetto a quella complessiva oggetto di diritto di uso civico rientra automaticamente nelle ipotesi in cui l'opera pubblica o di pubblica utilità è ritenuta compatibile con l'esercizio dell'uso civico e pertanto i relativi beni, pur gravati da uso civico, possono essere espropriati o asserviti coattivamente senza la necessità di pronunciare il mutamento di destinazione d'uso.

All’articolo 6, è introdotto il nuovo comma 9-bis. Esso prevede che l’autorità espropriante, nel caso di opere di minore entità, può delegare, in tutto o in parte, al soggetto proponente l'esercizio dei propri poteri espropriativi, determinando chiaramente l'ambito della delega nell'atto di affidamento, i cui estremi vanno specificati in ogni atto del procedimento espropriativo. A questo scopo i soggetti cui sono delegati i poteri espropriativi possono avvalersi di società controllate nonché di società di servizi ai fini delle attività preparatorie.

All’articolo 52-quinquies sono introdotti i nuovi commi 2-bis e 2-ter.

Il nuovo comma 2-bis prevede che, nel caso in cui, per le infrastrutture energetiche lineari, venga determinato, nell’ambito della procedura di VIA, che debba svolgersi anche la verifica preventiva dell’interesse archeologico disciplinata dall’articolo 25 del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016), il proponente presenta il piano per l'esecuzione di carotaggi o di prospezioni geofisiche e geochimiche o di saggi archeologici e, ove necessario, per l'esecuzione di sondaggi e di scavi, anche in estensione tali da assicurare una sufficiente campionatura dell'area interessata dai lavori; tale verifica preventiva è realizzata a integrazione della progettazione preliminare o in concomitanza con l’apertura del cantiere o della relativa pista e viene completata con la redazione della relazione archeologica definitiva di cui al citato articolo 25, comma 9 del Codice dei contratti pubblici[59]; la procedura si conclude con l’approvazione del soprintendente di settore territorialmente competente entro un termine non superiore a sessanta giorni dalla data in cui il soggetto proponente ha comunicato gli esiti delle attività svolte in attuazione del piano. Il provvedimento di VIA può essere adottato in pendenza della verifica preventiva dell’interesse archeologico, che deve in ogni caso essere effettuata prima dell’inizio dei lavori.

Il nuovo comma 2-ter prevede che, fermi restando i vincoli di esercizio e il rispetto della normativa ambientale e paesaggistica, sono sottoposti al regime di denuncia di inizio attività i rifacimenti di metanodotti esistenti, necessari per ragioni di obsolescenza, che siano effettuati sul medesimo tracciato, nonché le relative dismissioni dei tratti esistenti. Tenuto conto dei vincoli della normativa tecnica vigente, sono altresì realizzabili tramite regime di denuncia di inizio attività anche i rifacimenti di metanodotti che, restando all’interno della relativa fascia di servitù, si discostino dal tracciato esistente.

Il comma 5 novella l’articolo 1-sexies del D.L. n. 239/2003 (L. n. 290/2003).

Viene integrata la disciplina recata dal comma 3 riguardante il procedimento di rilascio dell'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio degli elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell'energia elettrica. La nuova disposizione prevede che la Regione o le Regioni interessate, entro il termine di conclusione della conferenza di servizi di cui al capo IV della L. n. 241/1990, accertano in via definitiva l’esistenza di usi civici e la compatibilità dell’opera con essi ai fini dell'avvio della procedura di esproprio o asservimento coattivo dei beni gravati da uso civico sulla base del novellato comma 1-bis dell’articolo 4 del DPR n. 327/2001.

 

Il co. 3 dell'art. 1-sexies del D.L. n. 239/2003 ha previsto che l'autorizzazione unica di cui al comma 1 è rilasciata a seguito di un procedimento unico svolto entro il termine di centottanta giorni, nel rispetto dei princìpi di semplificazione e con le modalità di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241. Il procedimento può essere avviato sulla base di un progetto preliminare o analogo purché evidenzi, con elaborato cartografico, le aree potenzialmente impegnate sulle quali apporre il vincolo preordinato all'esproprio, le eventuali fasce di rispetto e le necessarie misure di salvaguardia. Dalla data della comunicazione dell'avviso dell'avvio del procedimento ai comuni interessati, è sospesa ogni determinazione comunale in ordine alle domande di permesso di costruire nell'ambito delle aree potenzialmente impegnate, fino alla conclusione del procedimento autorizzativo. In ogni caso la misura di salvaguardia perde efficacia decorsi tre anni dalla data della comunicazione dell'avvio del procedimento, salvo il caso in cui il Ministero dello sviluppo economico ne disponga, per una sola volta, la proroga di un anno per sopravvenute esigenze istruttorie. Al procedimento partecipano il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e le altre amministrazioni interessate nonché i soggetti preposti ad esprimersi in relazione ad eventuali interferenze con altre infrastrutture esistenti. Per il rilascio dell'autorizzazione, ai fini della verifica della conformità urbanistica dell'opera, è fatto obbligo di richiedere il parere motivato degli enti locali nel cui territorio ricadano le opere di cui al comma 1. Il rilascio del parere non può incidere sul rispetto del termine entro il quale è prevista la conclusione del procedimento.

 

Nell'articolo 1-sexies è altresì introdotto il nuovo comma 4-quinquiesdecies. Esso prevede che, fermi restando i vincoli di esercizio e il rispetto della normativa ambientale e paesaggistica, sono sottoposte al regime di inizio attività previsto al comma 4-sexies le ricostruzioni di linee aeree esistenti, necessarie per ragioni di obsolescenza e realizzate con le migliori tecnologie esistenti, che siano effettuate sul medesimo tracciato o che se ne discostino per un massimo di 15 metri lineari e  non comportino una variazione dell’altezza utile dei sostegni superiore al 20 per cento  rispetto all’esistente. Tenuto conto dei vincoli di fattibilità tecnica e della normativa tecnica vigente, sono altresì realizzabili tramite regime di inizio attività le ricostruzioni di linee in cavo interrato esistenti che siano effettuate sul medesimo tracciato o che si discostino entro il margine della strada impegnata o entro i tre metri dal margine esterno della trincea di posa.

 

Il co. 4-sexies prevede che sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività gli interventi sugli elettrodotti che comportino varianti di lunghezza non superiore a metri lineari 1.500, ovvero metri lineari 3.000 qualora non ricadenti, neppure parzialmente, in aree naturali protette, e che utilizzino il medesimo tracciato, ovvero se ne discostino per un massimo di 60 metri lineari, e componenti di linea, quali, a titolo esemplificativo, sostegni, conduttori, funi di guardia, catene, isolatori, morsetteria, sfere di segnalazione, fondazioni, impianti di terra, aventi caratteristiche analoghe, anche in ragione delle evoluzioni tecnologiche. Sono altresì realizzabili mediante denuncia di inizio attività varianti all'interno delle stazioni elettriche che non comportino aumenti della cubatura degli edifici ovvero che comportino aumenti di cubatura strettamente necessari alla collocazione di apparecchiature o impianti tecnologici al servizio delle stazioni stesse. Tale aumento di cubatura non dovrà superare di più del 30 per cento le cubature esistenti all'interno della stazione elettrica. Tali interventi sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività a condizione che non siano in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti e rispettino le norme in materia di elettromagnetismo e di progettazione, costruzione ed esercizio di linee elettriche, nonché le norme tecniche per le costruzioni.

 

Il comma 6 prevede che, al fine di realizzare il rilancio delle attività produttive nella regione Sardegna, garantendo l’approvvigionamento di energia all’isola a prezzi sostenibili e in linea con quelli del resto d’Italia, assicurando al contempo la compatibilità con l’ambiente e l’attuazione degli obiettivi del PNIEC, in tema di rilancio industriale, di decarbonizzazione dei consumi e di phase out delle centrali a carbone presenti nella regione Sardegna, è considerato parte della rete nazionale di trasporto, anche ai fini tariffari, l’insieme delle infrastrutture di trasporto e rigassificazione di gas naturale liquefatto necessarie al fine di garantire la fornitura di gas naturale mediante navi spola a partire da terminali di rigassificazione italiani regolati e loro eventuali potenziamenti fino ai terminali di rigassificazione da realizzare nella regione stessa. Il gestore della rete nazionale di trasporto attiva una procedura per consentire la presentazione di richieste di allacciamento alla rete nazionale di trasporto a mezzo di tali infrastrutture entro trenta giorni dalla data entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in esame, e avvia le attività propedeutiche alla realizzazione delle stesse infrastrutture.

Il comma 7 consente al MISE di avvalersi, nel limite di dieci unità, di personale dell’area funzionale III con almeno cinque anni di anzianità di servizio nella pubblica amministrazione ed esperienza professionale e competenze adeguate ai profili individuati, e collocato in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o analoga posizione prevista dall'ordinamento di appartenenza, e proveniente:

·      da altre Amministrazioni pubbliche, con esclusione del personale docente educativo, amministrativo, tecnico ed ausiliario delle istituzioni scolastiche;

·      dall'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA);

·      dal Gestore dei servizi energetici S.p.A. (GSE S.p.A.),

·      dalla Ricerca sul sistema energetico S.p.A. (RSE S.p.A.),

·      da altri enti di ricerca.

Il collocamento in fuori ruolo mira ad accelerare la realizzazione degli interventi finalizzati a favorire il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione del PNIEC.

All'atto del collocamento in fuori ruolo è reso indisponibile per tutta la durata dello stesso un numero di posti nella dotazione organica dell'amministrazione di provenienza equivalente dal punto di vista finanziario.


Articolo 61
(Semplificazione dei procedimenti autorizzativi delle infrastrutture della rete di distribuzione elettrica)

 

 

L'articolo 61 prevede l'adozione da parte del Ministro dello sviluppo economico delle linee guida nazionali per la semplificazione dei procedimenti autorizzativi riguardanti la costruzione e l’esercizio delle infrastrutture appartenenti alle reti di distribuzione. Esse assicurano la semplificazione delle procedure autorizzative, tramite l’adozione di una autorizzazione unica comprendente tutte le opere connesse e le infrastrutture indispensabili all'esercizio delle infrastrutture.

Si prevede che le regioni adeguino le rispettive discipline entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore delle linee guida e che siano applicabili i principi generali dell'attività amministrativa, nelle more dell’adozione delle linee guida medesime, ai procedimenti autorizzativi delle infrastrutture appartenenti alle reti di distribuzione.

Le disposizioni in esame prevedono, infine, che il Sistema informativo nazionale federato delle infrastrutture fisiche funzionali ad ospitare reti di comunicazione elettronica venga altresì utilizzato dalle pubbliche amministrazioni per agevolare la procedura di valutazione di impatto dei progetti sul territorio e consentire un celere svolgimento dei procedimenti autorizzativi, attraverso l’inserimento dei dati relativi alle aree vincolate.

 

Il comma 1 prevede l'adozione delle linee guida nazionali per la semplificazione dei procedimenti autorizzativi riguardanti la costruzione e l’esercizio delle infrastrutture appartenenti alle reti di distribuzione.

Le linee guida devono essere adottate dal Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo e con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, acquisita l’intesa della Conferenza unificata, al fine di agevolare lo sviluppo di sistemi di distribuzione elettrica sicuri, resilienti, affidabili ed efficienti, nel rispetto dell'ambiente e dell'efficienza energetica.

Il comma 2 prevede che le linee guida assicurano la semplificazione delle procedure autorizzative, tramite l’adozione di una autorizzazione unica comprendente tutte le opere connesse e le infrastrutture indispensabili all'esercizio delle infrastrutture secondo i principi generali dell'attività amministrativa previsti dalla L. n. 241/1990.

Sono, inoltre, individuati i casi per i quali può trovare applicazione una procedura autorizzativa semplificata tramite denuncia di inizio lavori e i casi in cui, per gli interventi legati al rinnovo, alla ricostruzione ed al potenziamento di reti elettriche esistenti di qualunque tipologia, può trovare applicazione il meccanismo dell’autocertificazione, in ragione del limitato impatto sul territorio nonché sugli interessi dei privati, in virtù della preesistenza dell’impianto e delle limitate modifiche apportate alla tipologia di impianto o al tracciato, essendo le stesse contenute entro 50 metri rispetto al tracciato originario.

Il comma 3 prevede che le regioni adeguano le rispettive discipline entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore delle linee guida. In caso di mancato adeguamento entro il predetto termine, si applicano le linee guida nazionali. Sono fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano che provvedono alle finalità dell'articolo in esame ai sensi dei rispettivi statuti speciali e delle relative norme di attuazione.

Il comma 4 rende applicabili i principi contenuti nella legge n. 241 del 1990 nelle more dell’adozione delle linee guida, ai procedimenti autorizzativi delle infrastrutture appartenenti alle reti di distribuzione.

Il comma 5 introduce il nuovo comma 1-bis nell’articolo 4 del d.lgs. n. 33/2016 (Attuazione della direttiva 2014/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, recante misure volte a ridurre i costi dell'installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità), il quale ha previsto l'istituzione del Sistema informativo nazionale federato delle infrastrutture (SINFI), istituito con il DM 11 maggio 2016 (pubblicato nella GU 139 del 16 giugno 2016).

Il nuovo comma 1-bis prevede che il Sistema informativo nazionale federato delle infrastrutture fisiche funzionali ad ospitare reti di comunicazione elettronica, popolato dei dati previsti dal comma 2[60], viene altresì utilizzato dalle pubbliche amministrazioni per agevolare la procedura di valutazione di impatto dei progetti sul territorio e consentire un celere svolgimento dei procedimenti autorizzativi, attraverso l’inserimento dei dati relativi alle aree vincolate.

 

Ai sensi dell'art. 1, co. 1, del DM 11 maggio 2016, esso stabilisce le regole tecniche per la definizione del contenuto del Sistema informativo nazionale federato delle infrastrutture (SINFI), le modalità di prima costituzione, di raccolta, di inserimento e di consultazione dei dati, nonché le regole per il successivo aggiornamento, lo scambio e la pubblicità dei dati territoriali detenuti dalle singole amministrazioni competenti, dagli altri operatori di rete e da ogni proprietario o gestore di infrastrutture fisiche funzionali ad ospitare reti di comunicazione elettronica, al fine di incentivare gli investimenti infrastrutturali sulla rete a banda ultralarga, in accordo con gli obiettivi dell'Agenda digitale europea e la strategia italiana per la banda ultralarga.

Per l'art. 2, nel SINFI sono contenute e rese accessibili tutte le informazioni relative alle reti pubbliche di comunicazioni e alle infrastrutture fisica presenti sul territorio nazionale, che a far data dall'entrata in vigore del DM, sono trasmesse ed archiviate a qualsiasi titolo e scopo dai detentori o dai titolari delle informazioni. Tutte le amministrazioni pubbliche titolari e detentrici delle informazioni e gli operatori di rete e gestori di infrastruture fisiche, relativamente alle reti pubbliche di comunicazioni e infrastrutture fisiche di propria competenza contribuiscono alla costituzione ed aggiornamento del SINFI secondo i criteri, le modalità e le tempistiche indicate dal DM in esame e dall'allegato A.

L'art. 4 prevede che il MISE, quale soggetto gestore del SINFI, può sottoscrivere Accordi di programma con le amministrazioni che contribuiscono alla costituzione ed aggiornamento dello stesso SINFI senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato. Il MISE si avvale della società in house - Infratel Italia S.p.a. - per le attività tecnico-operative ed il coordinamento, per le medesime attività, di tutti i soggetti pubblici e privati destinatari dell'obbligo di comunicazione dei dati e delle informazioni al SINFI, secondo i termini e le condizioni da precisare ulteriormente in uno specifico atto convenzionale da stipularsi tra il MISE e la società Infratel Italia S.p.a. senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato. Con decreto ministeriale da adottarsi entro 45 giorni dall'entrata in vigore del DM in esame è costituito presso il MISE un Comitato di coordinamento e monitoraggio composto da rappresentanti dei Ministeri, delle autorità competenti, di AGID, delle regioni e dei comuni, quest'ultimi designati rispettivamente dalla Conferenza dei presidenti delle Regioni e dall'ANCI. Il Comitato, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, svolge compiti di indirizzo tecnico, di raccordo operativo tra le amministrazioni che ne fanno parte ed assicura il monitoraggio sullo stato di avanzamento del sistema. Alle riunioni del Comitato possono essere invitati anche i rappresentanti degli operatori di rete e dei gestori di infrastrutture fisiche di volta in volta interessati ai lavori.

L'art. 7 ha previsto che la consultazione e l'accesso alle informazioni raccolte nel SINFI sono consentite agli operatori di rete, alle pubbliche amministrazioni e ad altri soggetti che ne facciano richiesta e ne abbiano interesse. Sono a tal fine attribuiti profili differenziati in funzione dei livelli di accesso e consultazione riconosciuti, in base all'obiettivo specifico della richiesta, a ciascuna di tali categorie di soggetti.

L'art. 8 prevede che al momento del conferimento delle informazioni al SINFI, gli operatori di rete e i gestori di infrastrutture fisiche, al fine di salvaguardare la riservatezza delle informazioni conferite per ragioni connesse alla sicurezza e all'integrità delle reti, alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, alla sanità pubblica, ovvero per la tutela di dati riservati, dei segreti tecnici e commerciali, indicano le informazioni di cui richiedano la sottrazione all'accesso, specificandone i motivi.


Articolo 62
(Semplificazione dei procedimenti per l’adeguamento di impianti di produzione e accumulo di energia)

 

 

L'articolo 62 innova la vigente disciplina relativa alla costruzione e all'esercizio degli impianti di energia elettrica.

In particolare esso:

- definisce gli interventi di modifica sostanziale di impianto esistente i quali sono soggetti all'autorizzazione unica, mentre tutti gli altri interventi sono considerati modifica non sostanziale o ripotenziamento non rilevante e la loro esecuzione è subordinata alla sola comunicazione preventiva al MISE;

- subordina a segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) la realizzazione degli interventi concernenti nuove opere civili o modifica di opere civili esistenti, da effettuare all’interno dell’area di centrale non connessi al funzionamento dell’impianto produttivo e che non comportino un aumento superiore al 30 per cento delle cubature delle opere civili esistenti;

- descrive le diverse procedure di realizzazione degli impianti di accumulo elettrochimico funzionali alle esigenze del settore elettrico.

In tale ambito, sono autorizzati in via principale mediante la procedura abilitativa semplificata gli impianti di accumulo elettrochimico ubicati all’interno di aree ove sono situati impianti industriali di qualsiasi natura, anche non più operativi o in corso di dismissione o ubicati all’interno di aree ove sono situati impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonte fossile di potenza inferiore ai 300MW termici in servizio.

In assenza di una delle condizioni sopra citate, sono autorizzati mediante autorizzazione unica rilasciata dal MISE gli impianti di accumulo elettrochimico ubicati all’interno di aree già occupate da impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonte fossile di potenza maggiore o uguale a 300 MW termici in servizio, nonché gli impianti stand-alone ubicati in aree non industriali e le eventuali connessioni alla rete.

Sono autorizzati mediante autorizzazione unica rilasciata dalla Regione o dal MISE, qualora funzionali a impianti di potenza superiore ai 300 MW termici, gli impianti di accumulo elettrochimico connessi a impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili.

Fatta salva lacquisizione degli atti di assenso previsti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché dei pareri, autorizzazioni o nulla osta da parte degli enti territorialmente competenti, la realizzazione di impianti di accumulo elettrochimico inferiori alla soglia di 10 MW, ovunque ubicati è attività libera e non richiede il rilascio di un titolo abilitativo.

 

In particolare, l'articolo in esame introduce i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater nell'articolo 1 (Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale) del D.L. n. 7/2002 (L. n. 55/2002).

Il nuovo comma 2-bis stabilisce che si intendono interventi di modifica sostanziale di impianto esistente soggetti all'autorizzazione unica di cui al presente articolo quelli che producono effetti negativi e significativi sull’ambiente o una variazione positiva di potenza elettrica superiore al 5 per cento rispetto al progetto originariamente autorizzato. Tutti gli altri interventi sono considerati modifica non sostanziale o ripotenziamento non rilevante e la loro esecuzione è subordinata alla sola comunicazione preventiva al MISE, da effettuare 60 giorni prima della data prevista dell'intervento, fermo restando il pagamento del contributo relativo alle spese per le attività svolte dagli uffici competenti del MISE, quali autorizzazioni, permessi o concessioni, volte alla realizzazione e alla verifica di impianti e di infrastrutture energetiche di competenza statale il cui valore sia di entità superiore a 5 milioni di euro, per le relative istruttorie tecniche e amministrative e per le conseguenti necessità logistiche e operative.

È fatta salva l’acquisizione, ove necessario, dell’autorizzazione per la realizzazione di interventi su immobili ed aree di interesse paesaggistico di cui all’articolo 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42/2004).

Il comma 2-ter prevede che, ferma restando, ove necessario, l’acquisizione della predetta autorizzazione, gli interventi concernenti nuove opere civili o modifica di opere civili esistenti, da effettuare all’interno dell’area di centrale che non risultano connessi al funzionamento dell’impianto produttivo e che non comportino un aumento superiore al 30 per cento delle cubature delle opere civili esistenti, sono realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). Il gestore, almeno 60 giorni prima dell'inizio dei lavori, presenta al MISE, inviandone copia al Comune interessato, la segnalazione certificata di inizio attività, accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dai relativi elaborati progettuali, da una dichiarazione del progettista che attesti la compatibilità del progetto con gli strumenti urbanistici approvati e i regolamenti edilizi vigenti nonché il rispetto delle norme di sicurezza e igienico-sanitarie e dagli eventuali atti di assenso in caso di intervento in aree sottoposte a vincolo. Il MISE, ove riscontri l'assenza in tutto o in parte della documentazione necessaria ai fini della segnalazione certificata di inizio attività, invita il gestore all'integrazione, con sospensione del termine. Qualora il gestore non ottemperi nel termine perentorio di 30 giorni dalla comunicazione del MISE, la segnalazione si intende ritirata definitivamente. Il MISE, ove riscontri l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica al gestore l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento e, in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa lautorità giudiziaria e il consiglio dell’ordine professionale di appartenenza. È comunque fatta salva la facoltà di ripresentare la dichiarazione, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa. Qualora entro i termini sopra indicati non intervengano comunicazioni di non effettuazione dell’intervento, lattività si intende consentita. Ultimato l'intervento, il soggetto incaricato del collaudo trasmette al MISE il certificato di collaudo finale dell’opera. La sussistenza del titolo a effettuare l'intervento è provata con la copia della segnalazione certificata di inizio attività da cui risultino la data di ricevimento della segnalazione stessa, l'elenco dei documenti presentati a corredo del progetto, l'attestazione del professionista abilitato nonché gli atti di assenso eventualmente necessari.

Il nuovo comma 2-quater prevede che la realizzazione degli impianti di accumulo elettrochimico funzionali alle esigenze del settore elettrico, ivi inclusi i sistemi di conversione di energia, i collegamenti alla rete elettrica e ogni opera connessa e accessoria, è autorizzata in base alle seguenti procedure:

a) gli impianti di accumulo elettrochimico ubicati all’interno di aree ove sono situati impianti industriali di qualsiasi natura, anche non più operativi o in corso di dismissione o ubicati all’interno di aree ove sono situati impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonte fossile di potenza inferiore ai 300MW termici in servizio o ubicati presso aree di cava o di produzione e trattamento di idrocarburi liquidi e gassosi in via di dismissione, i quali non comportino estensione delle aree stesse, né aumento degli ingombri in altezza rispetto alla situazione esistente, né richiedano variante agli strumenti urbanistici adottati, sono autorizzati mediante la procedura abilitativa semplificata di cui all’articolo 6 del d.lgs. 28/2011 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE). In assenza di una delle condizioni sopra citate, si applica la seguente procedura.

b) Gli impianti di accumulo elettrochimico ubicati all’interno di aree già occupate da impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonte fossile di potenza maggiore o uguale a 300 MW termici in servizio, nonché gli impianti stand-alone ubicati in aree non industriali e le eventuali connessioni alla rete, sono autorizzati mediante autorizzazione unica rilasciata dal MISE. Nel caso di impianti ubicati all’interno di aree ove sono presenti impianti per la produzione o il trattamento di idrocarburi liquidi e gassosi, lautorizzazione è rilasciata ai sensi della disciplina vigente.

c) Gli impianti di accumulo elettrochimico connessi a impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili sono autorizzati mediante autorizzazione unica rilasciata dalla Regione o dal MISE, qualora funzionali a impianti di potenza superiore ai 300 MW termici, secondo le disposizioni di cui all'articolo 12 del d.lgs. n. 387/2003 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità).

d) La realizzazione di impianti di accumulo elettrochimico inferiori alla soglia di 10 MW, ovunque ubicati, è attività libera e non richiede il rilascio di un titolo abilitativo, fatta salva lacquisizione degli atti di assenso previsti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché dei pareri, autorizzazioni o nulla osta da parte degli enti territorialmente competenti, derivanti da specifiche previsioni di legge esistenti in materia ambientale, di sicurezza e di prevenzione degli incendi e del nulla osta alla connessione dal parte del gestore del sistema di trasmissione nazionale o da parte del gestore del sistema di distribuzione elettrica di riferimento. I soggetti che intendono realizzare gli stessi impianti sono tenuti a inviare copia del relativo progetto al Gestore del sistema di trasmissione nazionale che, entro trenta giorni, può formulare osservazioni nel caso in cui sia richiesta una connessione alla rete elettrica nazionale, inviandole anche agli enti individuati per il rilascio delle autorizzazioni, che devono essere comunicate allo stesso gestore, ai fini del monitoraggio del grado di raggiungimento degli obiettivi nazionali in materia di accumuli di energia previsti dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC). I soggetti che realizzano gli stessi impianti di accumulo sono tenuti a comunicare al gestore della rete di trasmissione nazionale la data di entrata in esercizio degli impianti.


Articolo 63
(Programma straordinario di manutenzione del territorio forestale e montano, interventi infrastrutturali irrigui e bacini di raccolta delle acque)

 

 

Il comma 1 dell'articolo in esame affida al MIPAAF il compito di elaborare un programma straordinario di manutenzione del territorio forestale e montano, composto da due sezioni, la Sezione A e la Sezione B. In base al comma 2, nell’ambito del Parco progetti degli interventi irrigui del MIPAAF, il Ministro approva un Piano straordinario di interventi prioritariamente esecutivi, di manutenzione, anche ordinaria, dei canali irrigui primari e secondari e di adeguamento funzionale delle opere di difesa idraulica. Il comma 3 prevede che tale Piano straordinario disponga il riparto delle risorse necessarie alla realizzazione degli interventi individuati. Il comma 4 prevede che le risorse, necessarie alla realizzazione e alla manutenzione di opere infrastrutturali anche irrigue e di bonifica idraulica, nella disponibilità di Enti irrigui con personalità di diritto pubblico o che svolgono attività di pubblico interesse, non possono essere sottoposte ad esecuzione forzata, da parte dei terzi creditori di tali Enti nei limiti degli importi gravati dal vincolo di destinazione alle singole infrastrutture pubbliche. Il comma 5 prevede che possono essere prorogati fino al 31 dicembre 2020 i contratti di lavoro a tempo determinato del personale dell’EIPLI, in essere alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame e la cui scadenza è prevista tra il 1° agosto 2020 e il 31 dicembre 2020. Il comma 6 prevede che per i "primi interventi" di attuazione dell'articolo in esame si provvede mediante riduzione delle risorse del FSC programmazione 2014-2020 – previa rimodulazione e riduzione delle somme già assegnate al Piano operativo «Agricoltura» di competenza del MIPAAF. Il comma 7 prevede la clausola di invarianza finanziaria.

 

Il comma 1 affida al MIPAAF, al fine del miglioramento della funzionalità delle aree forestali ubicate nelle aree montane ed interne, il compito di elaborare, previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, un programma straordinario di manutenzione del territorio forestale e montano, in coerenza con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile fissati dall’ONU per il 2030 e del Green new deal europeo.

Il programma straordinario è composto da due sezioni, la Sezione A e la Sezione B.

La Sezione A contiene un elenco ed una descrizione di interventi selvicolturali intensivi ed estensivi, di prevenzione selvicolturale degli incendi boschivi, di ripristino e restauro di superfici forestali degradate o frammentate, secondo quanto previsto dall’articolo 7 del Testo unico delle foreste e delle filiere forestali (d.lgs. 34/2018). Tali interventi sono da attuare da parte di imprese agricole e forestali su iniziativa del MIPAAF e delle Regioni e province autonome.

 

L'articolo 7 citato reca la disciplina delle attività di gestione forestale. Il comma 1 definisce quali attività di gestione forestale tutte le pratiche selvicolturali a carico della vegetazione arborea e arbustiva di cui all'articolo 3, comma 2, lettera c) e previste dalle norme regionali, gli interventi colturali di difesa fitosanitaria, gli interventi di prevenzione degli incendi boschivi, i rimboschimenti e gli imboschimenti, gli interventi di realizzazione, adeguamento e manutenzione della viabilità forestale al servizio delle attività agro-silvo-pastorali e le opere di sistemazione idraulico-forestale realizzate anche con tecniche di ingegneria naturalistica, nonché la prima commercializzazione dei prodotti legnosi quali tronchi, ramaglie e cimali, se svolta congiuntamente ad almeno una delle pratiche o degli interventi predetti. Tutte le pratiche finalizzate alla salvaguardia, al mantenimento, all'incremento e alla valorizzazione delle produzioni non legnose, rientrano nelle attività di gestione forestale. Il co. 2 prevede che lo Stato e le regioni, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, sostengono e promuovono le attività di gestione forestale di cui al comma 1. Il co. 3 prevede che le regioni definiscono e attuano le pratiche selvicolturali più idonee al trattamento del bosco, alle necessità di tutela dell'ambiente, del paesaggio e del suolo, alle esigenze socio-economiche locali, alle produzioni legnose e non legnose, alle esigenze di fruizione e uso pubblico del patrimonio forestale anche in continuità con le pratiche silvo-pastorali tradizionali o ordinarie. Per il co. 4, le regioni disciplinano, anche in deroga alle disposizioni del presente articolo, le attività di gestione forestale coerentemente con le specifiche misure in materia di conservazione di habitat e specie di interesse europeo e nazionale. La disposizione di cui al precedente periodo si applica, ove non già autonomamente disciplinate, anche alle superfici forestali ricadenti all'interno delle aree naturali protette di cui all'articolo 2 della L. n. 394 del 1991 (Legge quadro sulle aree protette), o all'interno dei siti della Rete Natura 2000 e di altre aree di particolare pregio e interesse da tutelare.

Il co. 5 prevede che, nell'ambito delle attività di gestione forestale, si applicano le seguenti disposizioni selvicolturali secondo i criteri di attuazione e garanzia stabiliti dalle regioni: a) è sempre vietata la pratica selvicolturale del taglio a raso dei boschi, fatti salvi gli interventi urgenti disposti dalle regioni ai fini della difesa fitosanitaria, del ripristino post-incendio o per altri motivi di rilevante e riconosciuto interesse pubblico, a condizione che sia assicurata la rinnovazione naturale o artificiale del bosco; b) è sempre vietata la pratica selvicolturale del taglio a raso nei boschi di alto fusto e nei boschi cedui non matricinati, fatti salvi gli interventi autorizzati dalle regioni o previsti dai piani di gestione forestale o dagli strumenti equivalenti, nel rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 146 e 149 del codice dei beni e delle attività culturali, purché siano trascorsi almeno cinque anni dall'ultimo intervento, sia garantita un'adeguata distribuzione nello spazio delle tagliate al fine di evitare contiguità tra le stesse, e a condizione che sia assicurata la rinnovazione naturale o artificiale del bosco; c) è sempre vietata la conversione dei boschi governati o avviati a fustaia in boschi governati a ceduo, fatti salvi gli interventi autorizzati dalle regioni e volti al mantenimento del governo a ceduo in presenza di adeguata capacità di rigenerazione vegetativa, anche a fini ambientali, paesaggistici e di difesa fitosanitaria, nonché per garantire una migliore stabilità idrogeologica dei versanti.

Il co. 6 prevede che le regioni individuano, nel rispetto delle norme nazionali e regionali vigenti, gli interventi di ripristino obbligatori da attuare in caso di violazioni delle norme che disciplinano le attività di gestione forestale, comprese le modalità di sostituzione diretta o di affidamento, mediante procedura ad evidenza pubblica ovvero mediante affidamento ad enti delegati dalle stesse per la gestione forestale, dei lavori di ripristino dei terreni interessati dalle violazioni, anche previa occupazione temporanea e comunque senza obbligo di corrispondere alcuna indennità. Nel caso in cui dalle violazioni di cui al precedente periodo derivi un danno o un danno ambientale ai sensi della direttiva 2004/35/CE, dovrà procedersi alla riparazione dello stesso ai sensi della medesima direttiva e della relativa normativa interna di recepimento.

Si ricorda che l'Italia ha recepito la direttiva con il Decreto legislativo n. 152/2006, c.d. Codice dell'Ambiente. I principali obiettivi della direttiva 2004/35/CE sono la prevenzione e la riparazione del danno ambientale, mediante l'istituzione di un quadro per la responsabilità ambientale basato sul principio "chi inquina paga". In particolare, rendendo coloro che hanno danneggiato l'ambiente responsabili della riparazione del danno, la direttiva delinea un sistema volto ad incentivare l'adozione di interventi in via preventiva, al fine di evitare i danni all'ambiente.

La direttiva 2004/35/CE si applica ai danni alla biodiversità (alle specie e agli habitat naturali protetti), alle acque e al terreno causati dalle attività professionali pericolose, attribuendo agli operatori che svolgono tali attività una responsabilità oggettiva dei danni causati; in base a ciò, indipendentemente dal fatto di aver commesso o meno errori, essi dovranno prendere le necessarie misure riparatrici e sostenere tutti i costi attinenti ai danni. Il regime di responsabilità si estende a tutte le risorse idriche dell'Unione, così come sono state definite nella direttiva quadro sull'acqua, nonché a tutte le forme di contaminazione del suolo che rischiano di mettere a repentaglio la salute umana. Agli operatori che svolgono attività professionali diverse da quelle pericolose, la direttiva attribuisce invece una responsabilità per colpa, applicabile quindi solo in caso di errore o di negligenza. Saranno le autorità competenti ad individuare gli operatori responsabili del danno, a valutare l'entità dello stesso e a determinare le misure riparatrici. In caso di inazione da parte degli operatori responsabili, le misure di prevenzione o riparatrici potranno essere adottate dalle autorità competenti. La direttiva prevede inoltre l'istituzione, da parte degli Stati membri, di misure di garanzia finanziaria (ad es. assicurazioni) per consentire agli operatori di assolvere alle responsabilità ad essi incombenti. Contempla poi la possibilità per le persone fisiche o giuridiche interessate dal danno di presentare una richiesta di intervento alle autorità competenti e di avviare eventuali ricorsi. La direttiva non si applica ai danni ambientali rientranti in alcune Convenzioni internazionali (ad es. in materia di inquinamento da idrocarburi o da carburante di navi) e ai danni nucleari. In materia di applicazione del principio 'chi inquina paga', si ricorda come la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (Causa C-534/13, sentenza del 4 marzo 2015) abbia stabilito come il suddetto principio, fissato dalle Direttive UE, ammetta per ciascuno Stato di mantenere livelli di autonomia in relazione alla disciplina di talune fattispecie. In particolare, nella fattispecie in discussione, si è ritenuta conforme al dettato della direttiva europea la legge italiana, secondo la quale, nella lettura delle disposizioni in rilievo, non risulta imposto al proprietario di un terreno di avviare azioni di ripristino (bonifica e/o riparazione) su un sito inquinato a seguito di danno ambientale, ove il proprietario non sia il diretto responsabile di tale inquinamento, prevedendosi invece la sola responsabilità patrimoniale per le spese relative agli interventi effettuati dall'autorità competente, nel limite del valore di mercato del sito determinato dopo l'esecuzione degli interventi stessi. Soffermandosi sulle nozioni in materia di responsabilità ambientale e sulla necessità della sussistenza di un nesso causale tra l'attività dell'operatore e il danno ambientale, la Corte ha quindi precisato che le persone diverse dagli operatori non rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva in materia di danno ambientale e che, quando non può essere accertato alcun nesso causale tra il danno ambientale e l'attività dell'operatore, si rientra nell'ambito del diritto nazionale e non già nel diritto dell'Unione.

Il co. 7 prevede che in attuazione del Regolamento (UE) n. 1143/2014 recante disposizioni volte a prevenire e gestire l'introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive, è vietata la sostituzione dei soprassuoli di specie forestali autoctone con specie esotiche. Le regioni favoriscono la rinaturalizzazione degli imboschimenti artificiali e la tutela delle specie autoctone rare e sporadiche, nonché il rilascio di piante ad invecchiamento indefinito e di necromassa in piedi o al suolo, senza compromettere la stabilità delle formazioni forestali e in particolare la loro resistenza agli incendi boschivi.

Il co. 8 prevede che le regioni, coerentemente con quanto previsto dalla Strategia forestale dell'Unione europea COM (2013) n. 659 del 20 settembre 2013, promuovono sistemi di pagamento dei servizi ecosistemici ed ambientali (PSE) generati dalle attività di gestione forestale sostenibile e dall'assunzione di specifici impegni silvo-ambientali informando e sostenendo i proprietari, i gestori e i beneficiari dei servizi nella definizione, nel monitoraggio e nel controllo degli accordi contrattuali. I criteri di definizione dei sistemi di remunerazione dei servizi ecosistemici ed ambientali (PSE) risultano essere quelli di cui all'articolo 70 della legge 28 dicembre 2015, n. 221, con particolare riguardo ai beneficiari finali del sistema di pagamento indicati alla lettera h) del comma 2 del predetto articolo 70.

Il co. 9 prevede che la promozione di sistemi PSE deve avvenire anche nel rispetto dei seguenti principi e criteri generali: a) la volontarietà dell'accordo, che dovrà definire le modalità di fornitura e di pagamento del servizio; b) l'addizionalità degli interventi oggetto di PSE rispetto alle condizioni ordinarie di offerta dei servizi; c) la permanenza delle diverse funzioni di tutela ambientale presenti prima dell'accordo.

Il co. 10 prevede che le pratiche selvicolturali previste dagli strumenti di pianificazione forestale vigenti, condotte senza compromettere la stabilità delle formazioni forestali e comunque senza il ricorso al taglio raso nei governi ad alto fusto, inclusa l'ordinaria gestione del bosco governato a ceduo, finalizzate ad ottenere la rinnovazione naturale del bosco, la conversione del governo da ceduo ad alto fusto e il mantenimento al governo ad alto fusto, sono ascrivibili a buona pratica forestale e assoggettabili agli impegni silvo-ambientali di cui al comma 8.

Il co. 11 demanda a un decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e d'intesa con la Conferenza Stato-regioni l'adozione delle disposizioni per la definizione di criteri minimi nazionali per il riconoscimento dello stato di abbandono delle attività agropastorali preesistenti per le superfici di cui all'articolo 5, comma 2, lettera a). Le regioni si adeguano alle predette disposizioni entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma in esame.

Il co. 12 prevede che con i piani paesaggistici regionali, ovvero con specifici accordi di collaborazione stipulati tra le regioni e i competenti organi territoriali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ai sensi dell'art. 15 della L. 241/1990 vengono concordati gli interventi previsti ed autorizzati dalla normativa in materia, riguardanti le pratiche selvicolturali, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione, da eseguirsi nei boschi tutelati ai sensi dell'articolo 136 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e ritenuti paesaggisticamente compatibili con i valori espressi nel provvedimento di vincolo. Gli interventi in questione vengono definiti nel rispetto delle linee guida nazionali di individuazione e di gestione forestale delle aree ritenute meritevoli di tutela, da adottarsi con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dei beni delle attività culturali e del turismo, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e d'intesa con la Conferenza Stato-regioni.

Il richiamato articolo 136 del Codice dei beni culturali e del paesaggio disciplina gli immobili ed aree di notevole interesse pubblico, stabilendo che sono soggetti alle disposizioni del Titolo I (Tutela e valorizzazione) per il loro notevole interesse pubblico: a) le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica; b) le ville, i giardini e i parchi, non tutelati dalle disposizioni della Parte seconda del presente codice, che si distinguono per la loro non comune bellezza; c) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale; d) le bellezze panoramiche considerate come quadri e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze.

Il citato articolo 15 della legge sul procedimento amministrativo disciplina gli Accordi fra pubbliche amministrazioni, prevedendo che le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune: la stipula, dal 30 giugno 2014, deve avvenire mediante sottoscrizione con firma digitale o altra firma elettronica, a pena la nullità degli stessi.

Il co. 13 prevede che le pratiche selvicolturali, i trattamenti e i tagli selvicolturali di cui all'articolo 3, comma 2, lettera c) (i tagli, le cure e gli interventi volti all'impianto, alla coltivazione, alla prevenzione di incendi, al trattamento e all'utilizzazione dei boschi e alla produzione di prodotti forestali spontanei non legnosi), eseguiti in conformità alle disposizioni del provvedimento in esame ed alle norme regionali, sono equiparati ai tagli colturali di cui all'articolo 149, comma 1, lettera c), del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Il richiamato articolo 149, co. 1, lettera c), del Codice dei beni culturali e del paesaggio, disciplina gli Interventi non soggetti ad autorizzazione, stabilendo che l'autorizzazione prescritta dall'articolo 146 (autorizzazione paesaggistica), dall'articolo 147 (Autorizzazione per opere da eseguirsi da parte di amministrazioni statali) e dall'articolo 159 (autorizzazione in via transitoria) non è comunque richiesta: 'per il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati dall'articolo 142, comma 1, lettera g), purché previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia'.

 

La Sezione B del programma è destinata al sostegno della realizzazione di piani forestali di area vasta di cui all’articolo 6 del citato Testo unico delle foreste e delle filiere forestali, nell’ambito di quadri programmatici regionali almeno decennali, che consentano di individuare le vocazioni delle aree forestali e organizzare gli interventi migliorativi e manutentivi nel tempo.

 

L'articolo 6 citato disciplina la programmazione e pianificazione forestale.

Il comma 1 concerne la 'Strategia forestale nazionale', che - in attuazione dei principi e delle finalità di cui agli articoli 1 e 2 del provvedimento in esame, nonché degli impegni assunti a livello internazionale ed europeo (specie in riferimento alla Strategia forestale dell'Unione europea) ed in continuità con il Programma quadro per il settore forestale - definisce gli indirizzi nazionali per la tutela, la valorizzazione e la gestione attiva del patrimonio forestale nazionale e per lo sviluppo del settore e delle sue filiere produttive, ambientali e socio-culturali, ivi compresa la filiera pioppicola. La Strategia forestale nazionale è valida 20 anni ed è soggetta a revisione e aggiornamento quinquennale.

In particolare, il comma in esame stabilisce che la predetta Strategia venga approvata con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e il Ministro dello sviluppo economico, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni-province autonome di Trento e Bolzano.

Il comma 2 precisa che le regioni individuano i propri obiettivi e definiscono le relative linee d'azione in coerenza con la Strategia forestale nazionale adottata ai sensi del comma 1. A tal fine, le regioni adottano Programmi forestali regionali e provvedono a revisionarli periodicamente in considerazione delle strategie, dei criteri e degli indicatori da esse individuati tra quelli contenuti nella Strategia forestale nazionale. L'adozione dei Programmi regionali è effettuata in relazione alle specifiche esigenze socio-economiche, ambientali e paesaggistiche, nonché alle necessità di prevenzione del rischio idrogeologico, di mitigazione e di adattamento al cambiamento climatico.

Il comma 3 prevede che, nell'ambito di comprensori territoriali omogenei per caratteristiche ambientali, paesaggistiche, economico-produttive o amministrative, le regioni possono predisporre piani forestali di indirizzo territoriale. Tali piani sono finalizzati all'individuazione, al mantenimento e alla valorizzazione delle risorse silvopastorali, al coordinamento delle attività necessarie alla loro tutela e gestione attiva, nonché al coordinamento degli strumenti di pianificazione forestale di cui al successivo comma 6. Si precisa che tale attività può essere svolta anche in accordo tra più Regioni ed enti locali, in coerenza con quanto previsto dai piani paesaggistici regionali. I piani forestali di indirizzo territoriale concorrono alla redazione dei piani paesaggistici previsti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42/2004).

Il comma 4 stabilisce l'applicabilità delle misure di semplificazione di cui al punto A.20 dell'Allegato A del D.P.R. n. 31 del 2017 - Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata - all'approvazione dei piani forestali di

indirizzo territoriale di cui al precedente comma 3. Il richiamato Allegato A (di cui all'art. 2, comma 1, del citato DPR n. 31 del 2017) elenca gli interventi ed opere in aree vincolate esclusi dall'autorizzazione paesaggistica. In particolare, il punto A.20. reca, nell'ambito degli interventi di cui all'art. 149, comma 1, lettera c) del Codice dei beni culturali e del paesaggio, il seguente elenco: pratiche selvicolturali autorizzate in base alla normativa di settore; interventi di contenimento della vegetazione spontanea indispensabili per la manutenzione delle infrastrutture pubbliche esistenti pertinenti al bosco, quali elettrodotti, viabilità pubblica, opere idrauliche; interventi di realizzazione o adeguamento della viabilità forestale al servizio delle attività agrosilvopastorali e funzionali alla gestione e tutela del territorio, vietate al transito ordinario, con fondo non asfaltato e a carreggiata unica, previsti da piani o strumenti di gestione forestale approvati dalla Regione previo parere favorevole del Soprintendente per la parte inerente la realizzazione o adeguamento della viabilità forestale. Si ricorda che il richiamato articolo 149, co. 1, lettera c), del Codice dei beni culturali e del paesaggio, disciplina gli interventi non soggetti ad autorizzazione, stabilendo che l'autorizzazione prescritta dall'articolo 146 (autorizzazione paesaggistica), dall'articolo 147 (Autorizzazione per opere da eseguirsi da parte di amministrazioni statali) e dall'articolo 159 (autorizzazione in via transitoria) non è comunque richiesta: per il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati dall'articolo 142, comma 1, lettera g), purché previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia.

Il comma 5 stabilisce in capo alle regioni, nel rispetto dell'interesse comune, il compito di garantire e curare l'applicazione dei piani forestali di indirizzo territoriale, anche attraverso forme di sostituzione diretta o di affidamento della gestione delineate dal successivo articolo 12. Il comma in esame individua gli elementi necessari che le regioni sono tenute a definire con i piani forestali di indirizzo territoriale: a) le destinazioni d'uso delle superfici silvo-pastorali ricadenti all'interno del territorio sottoposto a pianificazione, i relativi obiettivi e gli indirizzi di gestione necessari alla loro tutela, gestione e valorizzazione; b) le priorità d'intervento necessarie alla tutela, alla gestione e alla valorizzazione ambientale, economica e socio-culturale dei boschi e dei pascoli ricadenti all'interno del territorio sottoposto a pianificazione; c) il coordinamento tra i diversi ambiti e livelli di programmazione e di pianificazione territoriale e forestali vigenti, in conformità con i piani paesaggistici regionali e con gli indirizzi di gestione delle aree naturali protette, nazionali e regionali, di cui all'articolo 2 della L. n. 394 del 1991 (Legge quadro sulle aree protette), e dei siti della Rete ecologica (Rete Natura 2000) istituita ai sensi della Direttiva 92/43/CEE (cd. Direttiva 'Habitat') relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.

La richiamata Direttiva mira a garantire la biodiversità dell'Unione europea, impegnandosi a conservare: - gli habitat naturali; - la flora e la fauna selvatiche. La Direttiva istituisce, altresì, la rete «Natura 2000», la più ampia rete ecologica a livello globale. Natura 2000 comprende zone speciali di conservazione, designate dai paesi dell'UE nel quadro della presente direttiva. La rete include anche le zone di protezione speciale, classificate ai sensi della Direttiva Uccelli (Direttiva 2009/147/CE); d) gli interventi strutturali e infrastrutturali al servizio del bosco, compresa la localizzazione della rete di viabilità forestale di cui all'articolo 9, e le azioni minime di gestione, governo e trattamento necessari alla tutela e valorizzazione dei boschi e allo sviluppo delle filiere forestali locali; e) gli indirizzi di gestione silvo-pastorale per la redazione degli strumenti di pianificazione di cui al comma 6.

Il comma 6 stabilisce che le regioni promuovano, in attuazione dei Programmi forestali regionali (di cui al comma 2) e coordinatamente con i piani forestali di indirizzo territoriale (di cui al comma 3), ove esistenti, per le proprietà pubbliche e private, la redazione di piani di gestione forestale o di strumenti equivalenti, riferiti a un ambito aziendale o sovraziendale di livello locale, quali strumenti indispensabili a garantire la tutela, la valorizzazione e la gestione attiva delle risorse forestali. Per l'approvazione dei piani di gestione forestale, qualora conformi ai piani forestali di indirizzo territoriale, non è richiesto il parere del Soprintendente per la parte inerente la realizzazione o l'adeguamento della viabilità forestale di cui al già richiamato punto A.20 dell'Allegato A del D.P.R. n. 31 del 2017.

Il comma 7 stabilisce che vengano dettate disposizioni per la definizione dei criteri minimi nazionali di elaborazione dei piani forestali di indirizzo territoriale (di cui al comma 3) e dei piani di gestione forestale, o strumenti equivalenti (di cui al comma 6), al fine di armonizzare le informazioni e permetterne una informatizzazione su scala nazionale. Si prevede che le richiamate disposizioni vengano adottate con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e d'intesa con la Conferenza Stato-regioni-province autonome di Trento e Bolzano. Le regioni sono chiamate ad adeguarsi alle predette disposizioni entro il termine di 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma in esame.

Il comma 8 precisa che le regioni, conformemente a quanto stabilito dal comma precedente, definiscono i criteri di elaborazione, attuazione e controllo dei piani forestali di indirizzo territoriale (di cui al comma 3) e dei piani di gestione forestale o strumenti equivalenti (di cui al comma 6). Esse definiscono, altresì, i tempi minimi di validità degli stessi e i termini per il loro periodico riesame, garantendo che la relativa redazione e attuazione, venga affidata a soggetti di comprovata competenza professionale, nel rispetto delle norme relative ai titoli professionali richiesti per l'espletamento di tali attività.

Il comma 9 stabilisce che, con il fine di promuovere la pianificazione forestale e incentivare la gestione attiva razionale del patrimonio forestale, le regioni possano prevedere un accesso prioritario ai finanziamenti pubblici per il settore forestale a favore delle proprietà pubbliche e private e dei beni di uso collettivo e civico dotati di piani di gestione forestale o di strumenti di gestione forestale equivalenti.

Infine, il comma 10 statuisce che, per l'elaborazione degli indirizzi quadro per la tutela e la gestione dei paesaggi rurali e tradizionali iscritti nel Registro nazionale dei paesaggi rurali di interesse storico, delle pratiche agricole e delle conoscenze tradizionali e ricadenti nei Piani forestali di indirizzo territoriale elaborati dalle regioni, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali si avvalga dell'Osservatorio nazionale del paesaggio rurale, istituito ai sensi del D.P.C.M. n. 105 del 2013. Il comma in esame reca la clausola di

invarianza finanziaria, nel precisare come dall'attuazione della disposizione in esame si faccia fronte nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

In base al comma 2, nell’ambito del Parco progetti degli interventi irrigui del MIPAAF, il Ministro, con proprio decreto, approva un Piano straordinario di interventi prioritariamente esecutivi, di manutenzione, anche ordinaria, dei canali irrigui primari e secondari, di adeguamento funzionale delle opere di difesa idraulica, di interventi di consolidamento delle sponde dei canali o il ripristino dei bordi danneggiati dalle frane, di opere per la laminazione delle piene e regimazione del reticolo idraulico irriguo e individua gli Enti attuatori.

Il comma 3 prevede che tale Piano straordinario sia adottato previa intesa espressa in sede di Conferenza Stato-regioni e disponga il riparto delle risorse necessarie alla realizzazione degli interventi individuati, da attribuire alle Regioni e Province autonome, responsabili della gestione e della rendicontazione dei fondi.

Il comma 4 prevede che le risorse, necessarie alla realizzazione e alla manutenzione di opere infrastrutturali anche irrigue e di bonifica idraulica, nella disponibilità di Enti irrigui con personalità di diritto pubblico o che svolgono attività di pubblico interesse, anche riconosciuti con le modalità di cui all’articolo 863 del codice civile[61], non possono essere sottoposte ad esecuzione forzata, da parte dei terzi creditori di tali Enti nei limiti degli importi gravati dal vincolo di destinazione alle singole infrastrutture pubbliche.

A tal fine l'organo amministrativo di tali Enti, con deliberazione adottata per ogni semestre, quantifica preventivamente le somme oggetto del vincolo. È nullo ogni pignoramento eseguito in violazione del vincolo di destinazione e la nullità è rilevabile anche d'ufficio dal giudice. La impignorabilità viene meno e non è opponibile ai creditori procedenti qualora, dopo la adozione da parte dell'organo amministrativo della deliberazione semestrale di preventiva quantificazione delle somme oggetto del vincolo, siano operati pagamenti o emessi mandati per titoli di spesa diversi da quelli vincolati, senza seguire l'ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, delle deliberazioni di impegno da parte dell'Ente stesso.

Il comma 5 prevede che possono essere prorogati fino al 31 dicembre 2020 i contratti di lavoro a tempo determinato del personale dell’Ente per lo sviluppo dell’irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania e Irpinia (EIPLI), in essere alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame e la cui scadenza è prevista tra il 1° agosto 2020 e il 31 dicembre 2020. La proroga è intesa a garantire la continuità di prestazioni indispensabili alle attività di manutenzione delle infrastrutture irrigue di competenza dell'EIPLI.

 

Al riguardo si ricorda che l'art. 24 del D.L. 34/2019 (L. 58/2019) ha introdotto una serie di modiche al comma 11 dell'articolo 21 del decreto-legge n. 201 del 2011 volte a completare il processo di liquidazione dell'EIPLI e accelerare la costituzione della società che dovrà assumerne le funzioni.

Si veda il dossier n. 123/5, predisposto in occasione dell'esame dell'A.S. 1354.

Si veda inoltre il Dossier n. 570/1, Tomo I, 14 dicembre 2011, del Servizio studi della Camera dei deputati per una ricostruzione delle vicende riguardanti l'EIPLI.

Infine, l'art. 1, comma 327, della L. 160/2019 (legge di bilancio 2020) ha novellato il comma 11 dell'articolo 21 del D.L. 201/2011 (L. 214/2011), specificando che la società alla quale sono state trasferite le funzioni del soppresso Ente con le relative risorse, umane e strumentali, deve essere una società per azioni a totale capitale pubblico e soggetta all'indirizzo e controllo analogo degli enti pubblici soci. Il comma in esame ha altresì previsto il divieto per le società di cui al titolo V del libro quinto del codice civile e per altri soggetti di diritto privato comunque denominati di detenere, neppure indirettamente né a seguito di conferimenti o emissione di nuove azioni, comprese quelle prive del diritto di voto, partecipazioni al capitale della predetta società.

 

Il comma 6 prevede che per i "primi interventi" di attuazione dell'articolo in esame, pari a 50 milioni di euro per il 2020 e 50 milioni di euro per il 2021 si provvede mediante riduzione delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) programmazione 2014-2020 – previa delibera del CIPE volta a rimodulare e ridurre di pari importo, per il medesimo anno o per i medesimi anni, le somme già assegnate con le delibere del medesimo CIPE n. 53/2016, 13/2018 e 12/2019 al Piano operativo «Agricoltura» di competenza del MIPAAF.

 

L'art. 1, comma 703, L. 190/2014 (legge di stabilità 2015) ha ridefinito le modalità di funzionamento del Fondo di sviluppo e coesione (FSC), modificando i principali elementi di governance e di procedura relativamente alle risorse assegnate al Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) per il ciclo di programmazione 2014-2020, con conseguente abrogazione delle analoghe disposizioni vigenti. Si tratta di una disciplina che ha carattere aggiuntivo rispetto alla vigente disciplina sul Fondo, come precisa espressamente il comma 703 medesimo.

In particolare, la lettera c) del comma in esame ha previsto che con delibera del CIPE entro il 30 aprile 2015 avrebbe dovuto essere ripartita la dotazione finanziaria del FSC tra le diverse aree tematiche nazionali (il comma 8 della legge di stabilità 2014 prevedeva la delibera programmatica di ripartizione entro il 1° marzo 2014). Sempre entro il 30 aprile 2015 l'Autorità politica per la coesione disciplina ed istituisce una Cabina di regia, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, composta da rappresentanti delle Amministrazioni interessate e delle Regioni, delle Province autonome di Trento e di Bolzano, incaricata di definire specifici piani operativi per ciascuna area tematica nazionale, con l'indicazione di risultati attesi e azioni e singoli interventi necessari al loro conseguimento, con relativa stima finanziaria. Il lavoro di predisposizione dei predetti piani è coordinato e integrato con l'adozione, tramite piani strategici, della Strategia nazionale di specializzazione intelligente, qualora definiti. La Strategia deve indicare per regione e per area di specializzazione intelligente tempistiche di spesa e un numero limitato di obiettivi associabili a quello generale di crescita per anno da fissare l’anno precedente e un responsabile per regione e per area di specializzazione. I piani operativi sono predisposti tenendo conto che la dotazione complessiva deve essere impiegata per un importo non inferiore all’80 per cento per interventi nelle regioni del sud.

La Cabina di regia è stata istituita con DPCM 25 febbraio 2016 (pubblicato nella GU n. 67 del 21 marzo 2016).

Con la delibera del CIPE n. 25 del 10 agosto 2016, le risorse del FSC 2014-2020 (pari a € 38.716,10 mln) sono state ripartite tra le seguenti aree tematiche: 1. Infrastrutture 21.422,86 milioni di euro; 2. Ambiente 7.505,95 milioni di euro; 3.a Sviluppo economico e produttivo 5.887,16 milioni di euro; 3.b Agricoltura 546,31 milioni di euro; 4. Turismo, cultura e valorizzazione risorse naturali 2.222,13 milioni di euro; 5. Occupazione, inclusione sociale e lotta della povertà, istruzione e formazione 376,10 milioni di euro; 6. Rafforzamento PA 29,75 milioni di euro; 7. Fondo riserva non tematizzato 725,84 milioni di euro.

Inoltre, al netto delle preallocazioni disposte con legge e delle assegnazioni già disposte con proprie delibere dallo stesso CIPE, nonché al netto di quanto da esso assegnato con le delibere n. 26 e n. 27 del 2016, l’importo residuo di 15.274,70 milioni di euro è stato destinato ai Piani operativi, da adottarsi ai sensi della lettera c) dell'art. 1, comma 703, L. 190/2014. Di questi, 15.200,00 milioni di euro sono stati destinati a Piani operativi afferenti le aree tematiche come riportato nella seguente Tabella:

Successivamente, con la delibera del CIPE n. 53 del 1° dicembre 2016, è stato approvato il Piano operativo agricoltura FSC 2014-2020 di competenza del MIPAAF, articolato nei seguenti quattro sotto-piani: 1) Contratti di filiera e contratti di distretto, con un valore di 60 milioni di euro; 2) Interventi nel campo delle infrastrutture irrigue, bonifica idraulica, difesa dalle esondazioni, bacini di accumulo e programmi collegati di assistenza tecnica e consulenza, con un valore di 295 milioni di euro; 3) Multifunzionalità della foresta e uso sostenibile delle risorse rinnovabili nelle aree rurali, con un valore di 5 milioni di euro; 4) Agricoltura 2.0, con un valore di 40 milioni di Euro. La dotazione finanziaria del Piano è pari a 400 milioni di euro ed è posta a valere sulle risorse FSC 2014-2020 destinate all’area tematica «3.b Agricoltura» dalla citata delibera n. 25/2016. Il profilo finanziario dell'assegnazione è il seguente: 50 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2019 e complessivi 250 milioni di euro per il periodo 2020-2023.

Con la delibera del CIPE n. 13 del 28 febbraio 2018, è stato approvato l’Addendum al Piano operativo «Agricoltura» di cui alla delibera del CIPE n. 53 del 2016, per un valore di 12.601.198,45 euro. L’Addendum è finalizzato alla realizzazione del progetto provinciale di una nuova infrastruttura irrigua nei Comuni di Sarentino, San Genesio e Terlano, nella Provincia di Bolzano, in coerenza con il Sottopiano 2 del Piano operativo già approvato. All’Addendum è stato assegnato, ad integrazione della dotazione finanziaria del già approvato Piano operativo «agricoltura», un importo 12.601.198,45 euro a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione 2014-2020. L’articolazione finanziaria annuale dell’assegnazione è la seguente: anno 2018: 100.000 euro; anno 2019: 300.000 euro; anno 2020: 2.000.000 euro; anno 2021: 3.000.000 euro; anno 2022: 3.000.000 euro; anno 2023: 4.201.198,45 euro.

Con la delibera del CIPE n. 69 del 28 novembre 2018, ad integrazione del Piano operativo «Agricoltura», è stato approvato il «Piano di emergenza per il contenimento di Xylella fastidiosa» predisposto dal MIPAAF. Il Piano è finalizzato a contrastare l’espansione del batterio della Xylella che ha colpito il territorio della Regione Puglia, nonché a ripristinare e rilanciare la coltura olivicola e l’economia agricola del territorio interessato. Al citato Piano di emergenza è stato assegnato un importo pari a 30 milioni di euro, a valere sulle disponibilità residue del Fondo per lo sviluppo e la coesione 2014-2020, nell’ambito dell’annualità 2018. Alla luce dell’assegnazione disposta dalla delibera in esame, la dotazione complessiva del Piano operativo «Agricoltura», pari a 430 milioni di euro al netto delle risorse assegnate dalla delibera n. 13 del 2018, presenta la seguente nuova articolazione temporale: 50 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2019 e complessivi 280 milioni di euro per gli anni 2020 e successivi.

Con la delibera del CIPE n. 12 del 4 aprile 2019, a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) 2014-2020, è stata disposta l’integrazione finanziaria del Piano operativo «Agricoltura» per un importo di 100 milioni di euro, da destinare al sottopiano 1 «Contratti di filiera e di distretto». In relazione a tale integrazione finanziaria, la dotazione complessiva del Piano operativo «Agricoltura», al netto delle risorse assegnate dalla delibera n. 13 del 2018, è diventata pari a 530 milioni di euro con il seguente nuovo profilo temporale di spesa: 50 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2019, 50 milioni di euro per il 2020, 50 milioni di euro per il 2021, 100 milioni di euro per il 2022, 100 milioni di euro per il 2023 e 80 milioni di euro per il 2024. All’interno del Piano, la nuova dotazione del sottopiano 1 «Contratti di filiera e di distretto» è stata aggiornata a complessivi 210 milioni di euro.

 

Ai medesimi interventi può concorrere anche quota parte delle risorse assegnate al MIPAAF nel riparto del Fondo finalizzato al rilancio degli investimenti delle Amministrazioni centrali dello Stato e allo sviluppo del Paese, istituito dall’articolo 1, comma 14, della L. n. 160/2019 (legge di bilancio 2020). Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.

Il comma 7 prevede che le amministrazioni provvedono all’attuazione delle disposizioni sopra illustrate con le risorse finanziarie, strumentali ed umane disponibili a legislazione vigente e senza nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica.

 


Articolo 64
(Semplificazioni per il rilascio delle garanzie sui finanziamenti a favore di progetti del
green new deal)

 

 

Il comma 1 prevede che le garanzie dello Stato relative a specifici progetti economicamente sostenibili - la cui concessione è stata prevista dalla legge di bilancio 2020 - possono riguardare, tenuto conto degli indirizzi del CIPE e conformemente alla Comunicazione della Commissione europea in materia di Green deal europeo: a) progetti tesi ad agevolare la transizione verso un’economia pulita e circolare e ad integrare i cicli industriali con tecnologie a basse emissioni per la produzione di beni e servizi sostenibili; b) progetti tesi ad accelerare la transizione verso una mobilità sostenibile e intelligente, con particolare riferimento a progetti volti a favorire l’avvento della mobilità multimodale automatizzata e connessa, idonei a ridurre l’inquinamento e l’entità delle emissioni inquinanti, anche attraverso lo sviluppo di sistemi intelligenti di gestione del traffico, resi possibili dalla digitalizzazione.

Il comma 2 prevede l'assunzione delle garanzie da parte di SACE S.p.A., nel limite di 2.500 milioni di euro per il 2020 e, per gli anni successivi, nel limite di impegni assumibile fissato annualmente dalla legge di approvazione del bilancio dello Stato.

Il comma 3 prevede che il rilascio da parte di SACE S.p.A. delle garanzie di importo pari o superiore a 200 milioni di euro, è subordinato alla decisione assunta dal Ministro dell’economia e delle finanze, sulla base dell'istruttoria trasmessa da SACE S.p.A.

Il comma 4 prevede che sulle obbligazioni di SACE S.p.A. derivanti dalle garanzie è accordata di diritto la garanzia dello Stato a prima richiesta e senza regresso, la cui operatività sarà registrata da SACE S.p.A. con gestione separata.

Il comma 5 prevede che per il 2020 le risorse disponibili del fondo per il Green New Deal istituito dalla legge di bilancio 2020 sono interamente destinate alla copertura delle garanzie dello Stato previste sulle obbligazioni di SACE S.p.A.

Il comma 6 elimina la previsione per cui il primo dei decreti di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare in base alla legge di bilancio 2020, avrebbe dovuto individuare l'organismo competente alla selezione degli interventi da agevolare e avrebbe dovuto stabilire i possibili interventi, i criteri, le modalità e le condizioni per il rilascio delle garanzie.

Il comma 7 prevede che per il 2020 le garanzie possono essere assunte anche in assenza degli indirizzi del CIPE.

 

Il comma 1 prevede che le garanzie e gli interventi previsti dall’articolo 1, comma 86, della L. n. 160/2019 (legge di bilancio 2020), possono riguardare, tenuto conto degli indirizzi che il CIPE può emanare entro il 28 febbraio di ogni anno e conformemente alla Comunicazione della Commissione n. 640 dell’11 dicembre 2019, in materia di Green deal europeo:

a) progetti tesi ad agevolare la transizione verso un’economia pulita e circolare e ad integrare i cicli industriali con tecnologie a basse emissioni per la produzione di beni e servizi sostenibili;

b) progetti tesi ad accelerare la transizione verso una mobilità sostenibile e intelligente, con particolare riferimento a progetti volti a favorire l’avvento della mobilità multimodale automatizzata e connessa, idonei a ridurre l’inquinamento e l’entità delle emissioni inquinanti, anche attraverso lo sviluppo di sistemi intelligenti di gestione del traffico, resi possibili dalla digitalizzazione.

 

In particolare il comma 85 dell'art. 1 della legge di bilancio 2020 ha istituito, nello stato di previsione del MEF, un Fondo da ripartire, con la seguente dotazione: 470 milioni di euro per l'anno 2020; 930 milioni di euro per l'anno 2021; 1.420 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023.

Di tale dotazione, una quota non inferiore a 150 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2020 al 2022 sarà destinata ad interventi coerenti con le finalità previste dall'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 30, di cui fino a 20 milioni di euro per ciascuno dei predetti anni destinati alle iniziative da avviare nelle Zone Economiche Ambientali.

Il comma 85 ha chiarito che il suddetto fondo sarà alimentato con i proventi delle aste delle quote di emissione di CO2 - versati all'entrata del bilancio dello Stato negli anni 2020, 2021 e 2022 - di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 30. Tali proventi saranno a valere sulla quota di pertinenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che viene versata all'entrata del bilancio dello Stato.

L'importo fissato, che resta acquisito dall'erario, è pari a 150 milioni di euro per ciascuno dei predetti anni.

Il comma 86 ha previsto la concessione, da parte del Ministro dell'economia e delle finanze, di una o più garanzie a titolo oneroso e nella misura massima dell'80%, per sostenere specifici programmi di investimento e operazioni, anche in partenariato pubblico/privato, volti a realizzare progetti economicamente sostenibili con i seguenti obiettivi: decarbonizzazione dell'economia; economia circolare; rigenerazione urbana; turismo sostenibile; adattamento e mitigazione dei rischi derivanti dal cambiamento climatico.

Sono inclusi anche, più in generale, i programmi e i progetti innovativi, con elevata sostenibilità ambientale che tengano conto degli impatti sociali.

Si prevedono anche la finalità di supporto all'imprenditoria giovanile e femminile, di riduzione dell'uso della plastica e per la sostituzione della plastica con materiali alternativi.

La concessione di garanzie è riferita anche ad un portafoglio collettivo di operazioni.

Il comma 87 ha previsto la partecipazione indiretta in capitale di rischio e/o debito, anche di natura subordinata, sempre del Ministro dell'economia e delle finanze, a sostegno delle operazioni di cui al comma 86.

Il comma 88 ha demandato ad uno o più decreti di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze la disciplina di attuazione degli interventi illustrati sopra, in ordine a: l'individuazione, sulla base di procedure conformi alle migliori pratiche internazionali, dell'organismo competente a selezionare gli interventi di cui al comma 86; la definizione degli interventi, dei criteri, delle procedure e delle condizioni per il rilascio delle garanzie di cui al comma 86 - anche in coordinamento con gli strumenti incentivanti e di sostegno alla politica industriale gestiti dal Ministero dello sviluppo economico e delle partecipazioni al capitale di rischio e/o debito di cui al comma 87; la ripartizione della quota pubblica nel caso di investimenti

pubblico/privati di cui ai commi 86 e 87, e quello di cui al comma 89, anche per escludere che tali interventi comportino un indebitamento netto da parte delle amministrazioni pubbliche.

In relazione ai suddetti decreti, varati di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro dell'ambiente e del territorio, si specifica che il primo di essi dovrà essere emanato entro 90 giorni dall'entrata in vigore della presente legge.

Per l'attuazione dei commi 86 e 87, il Ministero dell'economia e delle finanze potrà avvalersi di società in-house oppure della Banca europea degli investimenti, in qualità di Banca dell'Unione europea. Per ciascuna delle finalità di cui ai suddetti commi 86 e 87, è autorizzata inoltre l'istituzione di un apposito conto corrente presso la tesoreria centrale.

Specifiche iniziative da avviare nelle Zone economiche ambientali sono definite con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dello sviluppo economico.

 

Il comma 2 prevede l'assunzione delle garanzie da parte di SACE S.p.A., nel limite di 2.500 milioni di euro per il 2020 e, per gli anni successivi, nel limite di impegni assumibile fissato annualmente dalla legge di approvazione del bilancio dello Stato, nell’esercizio delle attribuzioni assegnate alla SACE dall’articolo 2 del d.lgs. n. 143/1998, conformemente ai termini e alle condizioni previsti nella convenzione stipulata tra il MEF e SACE S.p.A. e approvata con delibera del CIPE da adottare entro il 30 settembre 2020, che disciplina:

a) lo svolgimento da parte di SACE S.p.A. dell'attività istruttoria delle operazioni, anche con riferimento alla selezione e alla valutazione delle iniziative in termini di rispondenza agli obiettivi sopra illustrati e di efficacia degli interventi in relazione ai medesimi obiettivi;

b) le procedure per il rilascio delle garanzie e delle coperture assicurative da parte di SACE S.p.A. anche al fine di escludere che da tali garanzie e coperture assicurative possano derivare oneri non previsti in termini di indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche;

c) la gestione delle fasi successive al pagamento dell'indennizzo, incluse le modalità di esercizio dei diritti nei confronti del debitore e l'attività di recupero dei crediti;

d) le modalità con le quali è richiesto al MEF il pagamento dell'indennizzo a valere sul fondo di cui al comma 5 e le modalità di escussione della garanzia dello Stato relativa agli impegni assunti da SACE S.p.A., nonché la remunerazione della garanzia stessa;

e) ogni altra modalità operativa rilevante ai fini dell'assunzione e gestione degli impegni;

f) le modalità con cui SACE S.p.A. riferisce periodicamente al MEF degli esiti della rendicontazione cui i soggetti finanziatori sono tenuti nei riguardi di SACE S.p.A., ai fini della verifica della permanenza delle condizioni di validità ed efficacia della garanzia.

Il comma 3 prevede che il rilascio da parte di SACE S.p.A. delle garanzie di importo pari o superiore a 200 milioni di euro, è subordinato alla decisione assunta con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sulla base dell'istruttoria trasmessa da SACE S.p.A.

Il comma 4 prevede che sulle obbligazioni di SACE S.p.A. derivanti dalle garanzie è accordata di diritto la garanzia dello Stato a prima richiesta e senza regresso, la cui operatività sarà registrata da SACE S.p.A. con gestione separata. La garanzia dello Stato è esplicita, incondizionata, irrevocabile e si estende al rimborso del capitale, al pagamento degli interessi e ad ogni altro onere accessorio, al netto delle commissioni ricevute per le medesime garanzie.

Il comma 5 prevede che per il 2020, le risorse disponibili del fondo istituito dall’articolo 1, comma 85, della L. n. 160/2019 (sul quale si veda supra), sono interamente destinate alla copertura delle garanzie dello Stato previste sulle obbligazioni di SACE S.p.A. mediante versamento sull’apposito conto di tesoreria centrale, istituito ai sensi dell’articolo 1, comma 88, terzo periodo, della citata L. n. 160 del 2019. Sul medesimo conto sono versati i premi riscossi da SACE S.p.A. al netto delle commissioni trattenute da SACE S.p.A. per le attività svolte ai sensi dell'articolo in esame e risultanti dalla contabilità di SACE S.p.A., salvo conguaglio all’esito dell’approvazione del bilancio. Per gli esercizi successivi, le risorse del predetto fondo destinate alla copertura delle garanzie concesse da SACE S.p.A. sono determinate con il decreto istitutivo dell'apposito conto corrente di tesoreria centrale, tenuto conto dei limiti di impegno definiti con la legge di approvazione del bilancio dello Stato.

Il comma 6 elimina la previsione per cui il primo dei decreti di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio 2020, avrebbe dovuto individuare l'organismo competente alla selezione degli interventi da agevolare e avrebbe dovuto stabilire i possibili interventi, i criteri, le modalità e le condizioni per il rilascio delle garanzie. A tal fine è novellato l’articolo 1, comma 88, della L. n. 160/2019.

Il comma 7 prevede che per il 2020, le garanzie possono essere assunte anche in assenza degli indirizzi del CIPE.

 


Articolo 65
(Entrata in vigore)

 

 

L'articolo 65 dispone che il decreto-legge entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Il decreto-legge è dunque vigente dal 17 luglio 2020.  

 

 

 

 



[1]              Decreto-Legge 18 aprile 2019, n. 32, recante Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici, convertito con modificazioni dalla Legge 14 giugno 2019, n. 55.

[2]              Decreto-Legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, convertito con modificazioni dalla Legge 24 marzo 2012, n. 27.

[3]              Ministero della Giustizia, Decreto 20 luglio 2012, n. 140, Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.

[4]              Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Decreto 21 febbraio 2013, n. 46, Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, dei compensi spettanti agli iscritti all'albo dei consulenti del lavoro.

[5]              Ministero della Salute, Decreto 19 luglio 2016, n. 165, Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate, ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Medici veterinari, farmacisti, psicologi, infermieri, ostetriche e tecnici sanitari di radiologia medica.

[6]              Ministero della Giustizia, Decreto 27 novembre 2012, n. 265, Regolamento recante la determinazione dei parametri per oneri e contribuzioni dovuti alle Casse professionali e agli Archivi a norma dell'articolo 9, comma 2, secondo e terzo periodo, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.

[7]              Decreto-Legge 18 aprile 2019, n. 32, recante Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici, convertito con modificazioni dalla Legge 14 giugno 2019, n. 55.

[8]    Si ricorda che l'art. 81, comma 1, del decreto-legge n. 34 del 2020 aveva previsto una modifica del citato art. 103, comma 2; tale modifica è stata, tuttavia, soppressa dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, di conversione del medesimo decreto n. 34 (tale soppressione ha peraltro efficacia retroattiva).

[9] Si fa notare che la facoltà concessa dal testo previgente del comma 1 dell’art. 4 del D.L. 32/2019 di individuare ulteriori interventi da commissariare è stata utilizzata ai fini dell’adozione dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante l'individuazione di un intervento infrastrutturale ritenuto prioritario, da adottare su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministro dell'economia e delle finanze, relativo alla ricostruzione del Viadotto di Albiano sul fiume Magra tra le province di La Spezia e Massa Carrara (Atto del Governo n. 173).

[10]            Nello specifico, il Giudice delle leggi, richiamando pregressa giurisprudenza (consolidatasi a partire dalla sentenza n.303 del 2003) afferma che "[i]n caso di calamità di ampia portata, riconosciuta con la dichiarazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale, è possibile la chiamata in sussidiarietà di funzioni amministrative mediante la loro allocazione a livello statale" (Considerando in diritto n.5, quarto capoverso).

[11]            In proposito, la Corte afferma che "[i]l tipico coinvolgimento delle Regioni, in attuazione del principio di leale collaborazione, che governa sia la chiamata in sussidiarità a livello statale, sia l’intreccio delle materie, nella fattispecie, di competenza concorrente, si colloca [..] a livello di codeterminazione di numerosi atti, specificandosi pertanto nella prescrizione della previa intesa (Considerando in diritto n.7, ottavo capoverso)".

[12]            Decreto-Legge 6 luglio 2011, n. 98, Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, convertito con modificazioni dalla Legge 15 luglio 2011, n. 111

[13]            La citata disposizione dispone infatti che i presidenti delle Regioni interessate operino "in qualità di vice commissari per gli interventi di cui al presente decreto, in stretto raccordo con il Commissario straordinario, che può delegare loro le funzioni a lui attribuite dal presente decreto". A tale scopo la norma dispone l'istituzione di una cabina di coordinamento della ricostruzione presieduta dal Commissario straordinario, "con il compito di concordare i contenuti dei provvedimenti da adottare e di assicurare l'applicazione uniforme e unitaria in ciascuna Regione delle ordinanze e direttive commissariali, nonché di verificare periodicamente l'avanzamento del processo di ricostruzione. Alla cabina di coordinamento partecipano, oltre al Commissario straordinario, i Presidenti delle Regioni, in qualità di vice commissari, ovvero, in casi del tutto eccezionali, un assessore regionale, oltre ad un rappresentante dei comuni per ciascuna delle regioni interessate, designato dall'ANCI regionale di riferimento.

 

[15]            Cd. Decreto Cura Italia

[16]            Si ricorda che il comma 848 dell’articolo 1 della legge n. 205 del 2017 ha previsto un riaccertamento straordinario dei residui al 31 dicembre 2017 da parte dei comuni che non hanno deliberato il riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi ai sensi dell'art. 3, comma 7, del D.Lgs. n. 118/2011 ovvero da parte dei comuni per i quali la Corte dei conti o i Servizi Ispettivi del Ministero dell’economia e finanze abbiano accertato la sussistenza di residui risalenti ad esercizi precedenti il 2015, non correttamente accertati entro il 1° gennaio 2015. Il comma 849 consente inoltre agli enti che hanno presentato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale o ne hanno conseguito l'approvazione prima del suddetto riaccertamento straordinario, di poter rimodulare o riformulare il predetto piano, entro il 31 luglio 2018, al fine di tenere conto di quanto disposto dal comma precedente, fermi restando i tempi di pagamento dei creditori.

 

[17] Invero, i poteri di ordinanza, e le relative limitazioni introdotte dalla norma soppressa incidevano sul potere di ordinanza ai sensi anche di altre disposizioni (si veda al riguardo la scheda di approfondimento, subito infra), non soltanto dell'art.50 del TUEL.

[18] Con riferimento ai poteri delle regioni nella gestione dell'emergenza, occorre peraltro segnalare che l'art.1, comma 16, del DL n.33 del 2020 (successivo al DL n.19) demanda alle regioni l'effettuazione di un monitoraggio, con cadenza giornaliera, dell'evoluzione della   situazione   epidemiologica, in esito al quale è consentito alle stesse di introdurre misure derogatorie, ampliative o restrittive rispetto alle misure di contenimento vigenti, nelle more dell'adozione di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri.

[19] In particolare, l'art.32, terzo comma,  attribuisce al presidente della giunta regionale e al sindaco il potere di emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a parte del suo territorio comprendente più comuni e al territorio comunale. Qualora l'emergenza riguardi invece l'intero territorio nazionale o a parte di esso (comprendente più regioni), ai sensi del primo comma il potere di ordinanza spetta al Ministro della salute.

[20] Alle regioni spetta invece il potere di emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, con efficacia estesa alla regione o parte del suo territorio comprendente più comuni (art.32, comma terzo). Al Ministro della salute spetta invece "emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente [..] con efficacia estesa all'intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni" (art.32, primo comma).

[21]            Negli altri casi l'adozione dei provvedimenti d'urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell'emergenza stessa e dell'eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali. Peraltro, nell'eventualità di emergenza che interessi il territorio di più comuni, ogni sindaco adotta le misure necessarie fino a quando non intervengano lo Stato o la regione interessata.

[22] Secondo il  General Model Grant Agreement, per calcolare le ore produttive annuali, il beneficiario deve utilizzare una delle tre opzioni seguenti:

-          opzione 1: 1720 ore produttive annue fisse per le persone che lavorano a tempo pieno (o corrispondenti pro quota per le persone che non lavorano a tempo pieno) ("1720 ore fisse");

-          opzione 2: il numero totale di ore lavorate dalla persona nell'anno ("singole ore produttive annuali");

-          opzione 3: il "numero standard di ore annuali" generalmente applicato dal beneficiario per il proprio personale conformemente alle disposizioni contabili interne ("ore produttive annuali standard").

[23]            Sul turn over nel sistema universitario e sulla misura delle assunzioni consentite alle singole università, si veda il tema web Interventi per i professori e i ricercatori universitari, curato dal Servizio Studi della Camera.

[24]            Le tabelle di corrispondenza sono state definite, da ultimo, con DM 1 settembre 2016, n. 662, successivamente integrato con DM 1 giugno 2017, n. 372.

[25]            In particolare, i regolamenti prevedono la possibilità di attribuire gli assegni mediante le seguenti procedure:

             a)               pubblicazione di un unico bando relativo alle aree scientifiche di interesse del soggetto che intende conferire gli assegni, seguito dalla presentazione, da parte dei candidati, dei progetti di ricerca, corredati dei titoli e delle pubblicazioni, valutati da parte di un'unica commissione, che può avvalersi di esperti revisori di elevata qualificazione italiani o stranieri esterni al soggetto medesimo e che formula, sulla base dei punteggi attribuiti, una graduatoria per ciascuna delle aree interessate;

             b)               pubblicazione di bandi relativi a specifici programmi di ricerca dotati di propri finanziamenti, secondo procedure stabilite dal soggetto che intende conferire gli assegni.

[26]            La titolarità dell'assegno non è compatibile con la partecipazione a corsi di laurea, laurea specialistica o magistrale, dottorato di ricerca con borsa o specializzazione medica, in Italia o all'estero, e comporta il collocamento in aspettativa senza assegni per il dipendente in servizio presso amministrazioni pubbliche.

[27]            Qui approfondimenti.

[28]    Cfr. l'articolo 5, comma 1, del regolamento di cui al D.M. 10 agosto 2017, n. 130.

[29]    Si ricorda che il corso di formazione specifica in medicina generale non rientra nell'ambito delle scuole di specializzazione universitarie in medicina; esso è organizzato dalle regioni o province autonome (cfr., al riguardo, gli articoli 21 e 24 del D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368, e successive modificazioni).

[30]   Ai sensi dell'articolo 35, comma 4, del citato D.Lgs. n. 368. In tale quota di riserva, i decreti ministeriali attuativi e la giurisprudenza considerano inclusi anche i dipendenti medici delle strutture private accreditate dal Servizio sanitario nazionale.

[31]    Riguardo al punteggio relativo ai singoli parametri summenzionati, cfr. il citato articolo 5, comma 1, del regolamento di cui al D.M. n. 130.

[32]            La definizione delle procedure e delle modalità per l'individuazione dei componenti della Commissione di valutazione incaricata di selezionare la rosa nell’ambito della quale sono scelti i membri del comitato scientifico, invece, è stata demandata allo statuto.

[33]            L’istituzione della Consulta dei presidenti degli enti pubblici di ricerca – cui partecipano di diritto tutti i presidenti degli enti o loro delegati – è stata prevista dall’art. 8, co. 1-5, del d.lgs. 218/2016. In particolare, la Consulta è convocata dal Presidente ogni qual volta lo ritenga necessario e almeno una volta all'inizio e alla fine di ogni anno per la condivisione e la verifica delle scelte programmatiche annuali generali di ciascun ente e della loro coerenza con il Programma nazionale della ricerca (PNR). Inoltre, essa formula proposte per la redazione, l'attuazione e l'aggiornamento del PNR alla Presidenza del Consiglio dei ministri e ai Ministeri vigilanti; elabora, per quanto di competenza, proposte alla Presidenza del Consiglio dei ministri sulle tematiche inerenti la ricerca; relaziona periodicamente alla Presidenza del Consiglio dei ministri e ai Ministeri vigilanti sullo stato di attuazione della Carta europea dei ricercatori e del codice di condotta per l'assunzione dei ricercatori.

[34] Lo "Schema di contratto di programma 2020-2024 tra il Ministero dello sviluppo economico e la società Poste italiane Spa" è transitato in Parlamento per il vaglio consultivo su atti del Governo, quale A.G. n. 128 nella presente legislatura.

[35] Com'è noto, l'articolo 1, comma 2 del decreto legislativo (recante "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche") prevede: "Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI".

 

[36]            L’articolo 415-bis c.p.p. contiene la disciplina relativa all’avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari. Ai sensi del comma 3 l’avviso deve contenere altresì l'avvertimento che l'indagato ha facoltà, entro il termine di venti giorni, di presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore, chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, nonché di presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio.

[37] Presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è istituito l'archivio nazionale delle strade, che comprende tutte le strade distinte per categorie.

[38]. L'articolo 381, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 prevede che, per la circolazione e la sosta dei veicoli a servizio delle persone invalide con capacità di deambulazione impedita, o sensibilmente ridotta, il Comune rilasci apposita autorizzazione in deroga, previo specifico accertamento sanitario. L'autorizzazione è resa nota mediante l'apposito contrassegno invalidi denominato: "contrassegno di parcheggio per disabili" conforme al modello previsto dalla raccomandazione n. 98/376/CE del Consiglio dell'Unione europea del 4 giugno 1998. Il contrassegno è strettamente personale, non è vincolato ad uno specifico veicolo e ha valore su tutto il territorio nazionale. In caso di utilizzazione, lo stesso deve essere esposto, in originale, nella parte anteriore del veicolo, in modo che sia chiaramente visibile per i controlli.

[39] L'articolo 1, comma 491, finora vigente prevedeva che, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro per la famiglia e le disabilità, il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dell'interno, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sentiti l'Automobile Club d'Italia (ACI) e le associazioni delle persone con disabilità comparativamente più rappresentative a livello nazionale, fossero definiti annualmente gli interventi finalizzati alla prevenzione dell'uso indebito dell'autorizzazione di cui all'articolo 381, comma 2, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, nonché per l'innovazione tecnologica delle strutture, del contrassegno e della segnaletica per la mobilità delle persone con disabilità di cui al comma 489.

[40] Lettera così modificata dall'art. 1, comma 681, lett. a), L. 27 dicembre 2019, n. 160 ("Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022"), a decorrere dal 1° gennaio 2020.

[41] Così modificato dall'art. 1, comma 1, lett. e), n. 7, D.P.R. 18 luglio 2011, n. 173.

[42]            Può valere ricordare altresì come l'articolo 13, comma 7 del decreto-legge n. 109 del 2018 abbia previsto che una integrazione con la Piattaforma digitale nazionale dell'Archivio informatico nazionale delle opere pubbliche (AINOP).

[43] L’articolo 1, comma 1, lettera n-ter) del Codice dell'amministrazione digitale definisce il domicilio digitale come un indirizzo elettronico eletto presso un servizio di posta elettronica certificata o un servizio elettronico di recapito certificato qualificato, come definito dal regolamento (UE) 23 luglio 2014 n. 910 in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno e che abroga la direttiva 1999/93/CE, (Regolamento eIDAS),valido ai fini delle comunicazioni elettroniche aventi valore legale.

[44] Tale sanzione è prevista dall'articolo 2630 del codice civile, il quale dispone che chiunque, essendovi tenuto per legge a causa delle funzioni rivestite in una società o in un consorzio, omette di eseguire, nei termini prescritti, denunce, comunicazioni o depositi presso il registro delle imprese, ovvero omette di fornire negli atti, nella corrispondenza e nella rete telematica le informazioni prescritte dall'articolo 2250, primo, secondo, terzo e quarto comma, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 103 euro a 1.032 euro. Se la denuncia, la comunicazione o il deposito avvengono nei trenta giorni successivi alla scadenza dei termini prescritti, la sanzione amministrativa pecuniaria è ridotta ad un terzo. Se si tratta di omesso deposito dei bilanci, la sanzione amministrativa pecuniaria è aumentata di un terzo.

[45] Si ricorda che, ai sensi dell’art. 2365 c.c., l’assemblea straordinaria è chiamata a deliberare sule modificazioni dello statuto, sulla nomina, sulla sostituzione e sui poteri dei liquidatori e su ogni altra materia espressamente attribuita dalla legge alla sua competenza.

 

[46] In tal caso la pubblicazione dell’avviso di convocazione dovrebbe presumibilmente avvenire almeno otto giorni prima della data in cui è fissata l’assemblea, in luogo degli ordinari quindici giorni.

[47]            Comma modificato dalla legge di conversione 3 agosto 2017, n. 123 e dall'art. 22-bis, comma 3, D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2018, n. 136. Successivamente, il comma è stato così sostituito dall'art. 1, comma 316, lett. a), L. 27 dicembre 2019, n. 160, a decorrere dal 1° gennaio 2020.

[48]            In una presentazione del febbraio 2019 curata dal Responsabile Ponti, Viadotti e Gallerie Centro-Sud Italia di ANAS, viene ricordato che nella Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici 19 luglio 1967, n. 6736/61/A1 “sono stabilite le regole per l’ispezione delle strutture mettendo in evidenza l’importanza di ispezioni accurate e periodiche, della vigilanza assidua del patrimonio di opere d’arte stradali e di conseguenza, delle operazioni di manutenzione e ripristino. I punti principali della Circolare del 1967, sono l’esecuzione di una ispezione trimestrale, eseguita da tecnici, e da un’ispezione annuale sui manufatti più importanti eseguita da ingegneri; la Circolare ne illustra le modalità per l’esecuzione e prevede la compilazione di un rapporto d’ispezione e di una scheda con i dati del manufatto e delle sue caratteristiche principali”.

[49]            Sul sito internet dell’ANAS è possibile scaricare l’elenco dei ponti non in gestione Anas, per i quali l’ANAS non dispone della documentazione ufficiale di proprietà.

[50]            Si ricorda che il Codice della strada definisce una “intersezione a livelli sfalsati” come un “insieme di infrastrutture (sovrappassi; sottopassi e rampe) che consente lo smistamento delle correnti veicolari fra rami di strade poste a diversi livelli” (art. 3, co. 1, n. 25), D.Lgs. 285/1992).

[51]            La relazione tecnica ricorda che, in applicazione del regolamento di attuazione dell’art. 33, sono confluiti nelle entrate dello Stato: 5,8 milioni di euro nel 2017; 5,1 milioni nel 2018; 6,6 milioni di euro nel 2019 e 5 milioni di euro nel primo semestre del 2020.

[52] Di cui all'articolo 55 della legge 28 dicembre 2015, n. 221.

[53] Recante "Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 febbraio 2019. Approvazione del piano stralcio relativo agli interventi immediatamente cantierabili individuati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare".

[54] Cfr. per l'Autorità di bacino distrettuale delle Alpi Orientali, il D.P.C.M. 4 aprile 2018; per l'Autorità di bacino distrettuale del fiume Po, il D.P.C.M. 4 aprile 2018; per l'Autorità di bacino distrettuale dell'Appennino Settentrionale, il D.P.C.M. 4 aprile 2018; per l'Autorità di bacino distrettuale dell'Appennino Centrale, il D.P.C.M. 4 aprile 2018; per l'Autorità di bacino distrettuale dell'Appennino Meridionale, il D.P.C.M. 4 aprile 2018.

[55]            Come meglio si dirà in seguito, il secondo periodo del comma 3 richiamava genericamente la disciplina di cui all’articolo 6 del D.Lgs. n. 28/2011 (relativo sia alla PAS che alla Comunicazione al Comune per attività in edilizia libera definite dalle linee guida attuative)

[56] tranne che gli specifici interventi previsti dalla Linee guida attuative sottoposti a mera comunicazione al comune.

[57]  Si ricorda che ai sensi del citato testo unico, art. 52, comma 1, sono obbligati al pagamento dell'accisa sull'energia elettrica:

a) i soggetti che procedono alla fatturazione dell'energia elettrica ai consumatori finali (venditori);

b) gli esercenti le officine di produzione di energia elettrica utilizzata per uso proprio;

c) i soggetti che utilizzano l'energia elettrica per uso proprio con impiego promiscuo, con potenza disponibile superiore a 200 kW intendendosi per uso promiscuo l'utilizzazione di energia elettrica in impieghi soggetti a diversa tassazione;

c-bis) i soggetti che acquistano, per uso proprio, energia elettrica sul mercato elettrico, limitatamente al consumo di detta energia.

 

[58] Tale comma dispone che, qualora i soggetti che procedono alla fatturazione dell'energia elettrica ai consumatori finali (venditori), non abbiano sede nel territorio nazionale, l'accisa sul l’energia elettrica è dovuta dalle società, designate dai medesimi soggetti, aventi sede legale nel territorio nazionale, che devono registrarsi presso il competente Ufficio dell'Agenzia delle dogane prima dell'inizio dell'attività di fornitura dell'energia elettrica ai consumatori finali e ottemperare agli obblighi previsti.

[59] Il co. 9 dell'art. 25 del Codice dei contratti pubblici prevede che la procedura si conclude in un termine predeterminato dal soprintendente in relazione all'estensione dell'area interessata, con la redazione della relazione archeologica definitiva, approvata dal soprintendente di settore territorialmente competente. La relazione contiene una descrizione analitica delle indagini eseguite, con i relativi esiti di seguito elencati, e detta le conseguenti prescrizioni: a) contesti in cui lo scavo stratigrafico esaurisce direttamente l'esigenza di tutela; b) contesti che non evidenziano reperti leggibili come complesso strutturale unitario, con scarso livello di conservazione per i quali sono possibili interventi di reinterro, smontaggio, rimontaggio e musealizzazione, in altra sede rispetto a quella di rinvenimento; c) complessi la cui conservazione non può essere altrimenti assicurata che in forma contestualizzata mediante l'integrale mantenimento in sito.

[60]   Il co. 2 ha previsto che i gestori di infrastruttura fisica e gli operatori di rete, in caso di realizzazione, manutenzione straordinaria sostituzione o completamento della infrastruttura, hanno l'obbligo di comunicare i dati relativi all'apertura del cantiere, al SINFI, con un anticipo di almeno novanta giorni salvo si tratti di interventi emergenziali. Devono altresì mettere a disposizione le seguenti informazioni minime riguardanti le opere di genio civile, in corso o programmate, relative alla loro infrastruttura fisica per le quali è stata rilasciata un'autorizzazione, è in corso una procedura di concessione dell'autorizzazione oppure si prevede di presentare per la prima volta una domanda di autorizzazione alle autorità competenti entro i sei mesi successivi: a) l'ubicazione e il tipo di opere; b) gli elementi di rete interessati; c) la data prevista di inizio dei lavori e la loro durata; d) un punto di contatto.

[61]            L'art. 863 c.c. prevede che nelle forme stabilite per i consorzi di bonifica possono essere costituiti anche consorzi per l'esecuzione, la manutenzione e l'esercizio di opere di miglioramento fondiario comuni a più fondi e indipendenti da un piano generale di bonifica. Essi sono persone giuridiche private. Possono tuttavia assumere il carattere di persone giuridiche pubbliche quando, per la loro vasta estensione territoriale o per la particolare importanza delle loro funzioni ai fini dell'incremento della produzione, sono riconosciuti d'interesse nazionale con provvedimento dell'autorità amministrativa.