Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Finanze
Titolo: Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi
Riferimenti: AC N.1807/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 139/2
Data: 19/06/2019
Organi della Camera: Assemblea

Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi

D.L. 34/2019 – A.C. 1807-A

19 giugno 2019

 

 

 

 

I N D I C E

 

Articolo 1 (Maggiorazione dell’ammortamento per beni strumentali nuovi). 3

Articolo 2 (Revisione mini-IRES). 6

Articolo 3 (Maggiorazione deducibilità IMU dalle imposte sui redditi). 10

Articolo 3-bis (Soppressione dell’obbligo di comunicazione proroga cedolare secca e della distribuzione gratuita dei modelli cartacei delle dichiarazioni). 12

Articolo 3-ter (Termini per la presentazione delle dichiarazione IMU e TASI)  14

Articolo 3-quater (Semplificazioni per gli immobili concessi in comodato d'uso)  15

Articolo 3-quinquies (Redditi fondiari percepiti). 17

Articolo 3-sexies (Disposizioni in materia di premi e contributi INAIL
ed in materia di tutela assicurativa INAIL)
. 19

Articolo 4 (Modifiche alla disciplina del Patent box). 21

Articolo 4-bis (Semplificazioni controlli formali delle dichiarazioni dei redditi e termine per la presentazione della dichiarazione telematica). 25

Articolo 4-ter (Impegno cumulativo a trasmettere dichiarazioni o comunicazioni)  27

Articolo 4-quater (Semplificazioni in materia di versamento unitario) 29

Articolo 4-quinquies (Semplificazione in tema di Indici sintetici di affidabilità fiscale) 38

Articolo 4-sexies (Termini di validità della dichiarazione sostitutiva unica) 40

Articolo 4-septies (Conoscenza degli atti e semplificazione). 42

Articolo 4-octies (Obbligo di invito al contraddittorio). 43

Articolo 4-novies (Difesa in giudizio dell'Agenzia delle entrate-Riscossione) 47

Articolo 4-decies (Norme di interpretazione autentica in materia di ravvedimento parziale)  49

Articolo 5, commi 1-5 (Rientro dei cervelli). 53

Articolo 5, comma 5-bis (Ricercatori universitari). 62

Articolo 5-bis (Imposta sostitutiva per titolari di pensione estera
rasferiti nei piccoli comuni del Mezzogiorno)
. 63

Articolo 5-ter (Disposizioni in materia di progetti di innovazione sociale) 67

Articolo 6 (Modifiche al regime dei forfetari). 69

Articolo 6-bis (Semplificazione degli obblighi informativi dei
contribuenti che applicano il regime forfettario)
. 73

Articolo 7 (Incentivi per la valorizzazione edilizia e disposizioni in
materia di vigilanza assicurativa)
. 75

Articolo 7-bis (Esenzione TASI per gli immobili costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita). 80

Articolo 7-ter (Estensione interventi agevolativi Fondo di garanzia
imprese in difficoltà settore edile)
. 81

Articolo 8 (Sisma bonus). 84

Articolo 9 (Trattamento fiscale di strumenti finanziari convertibili). 86

Articolo 10 (Modifiche alla disciplina degli incentivi per gli interventi
di efficienza energetica e rischio sismico)
. 90

Articolo 10, comma 3-bis (Modifiche alla disciplina attuativa degli incentivi per la  produzione di energia termica da fonti rinnovabili ). 94

Articolo 10-bis (Modifiche alla disciplina degli incentivi per la rottamazione e per acquisto veicoli non inquinanti). 96

Articolo 11 (Aggregazioni d’imprese). 99

Articolo 11-bis (Estensione del regime di cd. realizzo controllato) 103

Articolo 12 (Fatturazione elettronica Repubblica di San Marino). 106

Articolo 12-bis (Luci votive). 108

Articolo 12-ter (Semplificazione in materia di termine per l’emissione
della fattura
). 110

Articolo 12-quater (Comunicazioni dei dati delle liquidazioni
periodiche dell'imposta sul valore aggiunto)
. 111

Articolo 12-quinquies (Trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi) 113

Articolo 12-sexies (Cedibilità dei crediti IVA trimestrali). 117

Articolo 12-septies (Semplificazioni in materia di dichiarazioni di
intento relative all’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto)
. 119

Articolo 12-octies (Tenuta della contabilità in forma meccanizzata). 121

Articolo 12-novies (Imposta di bollo virtuale sulle fatture elettroniche) 122

Articolo 13 (Vendita di beni tramite piattaforme digitali). 125

Articolo 13-bis (Reintroduzione della denuncia fiscale per la vendita
di alcolici)
. 130

Articolo 13-ter (Disposizioni in materia di pagamento o deposito dei
diritti doganali)
. 133

Articolo 13-quater (Contrasto all’evasione nel settore turistico) 135

Articolo 14 (Enti associativi assistenziali) 139

Articolo 15 (Estensione della definizione agevolata delle entrate
regionali e degli enti locali)
. 143

Articolo 15-bis (Efficacia delle deliberazioni regolamentari e tariffarie relative alle entrate tributarie degli enti locali). 148

Articolo 15-ter (Misure preventive per sostenere il contrasto
dell'evasione dei tributi locali)
. 151

Articolo 15-quater (Contabilità economico patrimoniale dei piccoli comuni). 152

Articolo 16 (Credito d’imposta per commissioni su pagamenti
elettronici presso i distributori di carburante)
. 154

Articolo 16-bis (Riapertura dei termini per gli istituti agevolativi
relativi ai carichi affidati agli agenti della riscossione)
. 156

Articolo 16-ter (Interpretazione autentica in materia di IMU sulle
società agricole)
. 161

Articolo 16-quater (Contabilizzazione annullamento debiti tributari
da parte degli enti creditori)
. 163

Articolo 16-quinquies, comma 1 (Definizione agevolata carichi
contributivi casse e gestioni previdenziali)
. 164

Articolo 16-quinquies, comma 2 (Misure per il riequilibrio finanziario dell'INPGI)  168

Articolo 17, commi 1-4 (Fondo di garanzia PMI – Sezione speciale “Garanzia sviluppo media impresa”). 170

Articolo 17, comma 2-bis (Intervento del Fondo di garanzia PMI su operazioni di sottoscrizione di “Mini-bond”). 177

Articolo 18 (Norme in materia di semplificazione per la gestione del
Fondo di garanzia per le PMI)
. 179

Articolo 18-bis (Fondo di rotazione per la concessione di finanziamenti
a tasso agevolato - L. n. 394/1981)
. 185

Articolo 18-ter (Piattaforma telematica denominata «Incentivi.gov»). 187

Articolo 18-quater (Disposizioni in materia di Fondi per l’internazionalizzazione)  191

Articolo 19 (Rifinanziamento del Fondo di garanzia per la prima casa). 195

Articolo 19-bis (Norma di interpretazione autentica in materia di
rinnovo dei contratti di locazione a canone agevolato)
197

Articolo 19-ter (Disposizioni relative al Fondo per il credito alle
aziende vittime di mancati pagamenti)
. 199

Articolo 20 (Nuova Sabatini). 205

Articolo 21 (Sostegno alla ricapitalizzazione delle PMI). 211

Articolo 22 (Tempi di pagamento tra le imprese e debiti commerciali
della P.A.)
. 214

Articolo 23 (Cartolarizzazioni). 217

Articolo 24 (Sblocca investimenti idrici nel sud). 226

Articolo 25 (Dismissioni immobiliari enti territoriali). 229

Articolo 26, commi 1-6-bis (Agevolazioni a sostegno di progetti di
ricerca e sviluppo per la riconversione dei processi produttivi
nell'ambito dell'economia circolare)
. 231

Articolo 26, comma 6-ter (Contributi dello Stato a società partecipate) 239

Articolo 26-bis (Disposizioni in materia di rifiuti e di imballaggi). 240

Articolo 26-ter (Agevolazioni fiscali sui prodotti da riciclo e riuso). 242

Articolo 26-quater (Contratto di espansione). 244

Articolo 27 (Società di investimento semplice - SIS). 251

Articolo 28 (Semplificazioni per la definizione dei patti territoriali e
dei contratti d’area)
. 259

Articolo 28-bis (Modalità di calcolo dell’ISEE corrente). 264

Articolo 29, commi 1-9 (Nuove imprese a tasso zero, Smart & Start e Digital Transformation)  266

Articolo 29, commi 9-bis-9-novies (Disposizioni per assicurare lo
sviluppo dei servizi digitali delle pubbliche amministrazioni)
. 272

Articolo 30, commi 1-14-bis, 14-quater e 14-quinquies (Contributi ai comuni per interventi di efficientamento energetico e sviluppo
territoriale sostenibile)
. 283

Articolo 30, comma 14-ter (Interventi vari). 296

Articolo 30-bis (Norme in materia di edilizia scolastica e antincendio). 305

Articolo 30-ter (Agevolazioni per la promozione dell'economia locale mediante la riapertura e l'ampliamento di attività commerciali,
artigianali e di servizi)
. 310

Articolo 30-quater (Imprese radiofoniche private che abbiano svolto attività di informazione di interesse generale). 316

Articolo 31 (Marchi storici). 320

Articolo 32, commi 1-17 (Contrasto all’Italian sounding e incentivi al deposito di brevetti e marchi)  329

Articolo 32, commi 17-bis-17-quinquies (Utilizzo congiunto
dell’emblema dello Stato e del segno distintivo Made in Italy)
. 345


 

Articolo 32-bis (Transazioni su cartelle di pagamento e ingiunzioni
fiscali per somme dovute a INVITALIA per incentivi autoimpiego e autoimprenditorialità)
351

Articolo 33, commi 1 e 2 (Assunzione di personale nelle Regioni a
statuto ordinario e nei Comuni in base alla sostenibilità finanziaria)
. 354

Articolo 33, commi 2-bis-2-quater (Personale educativo degli enti locali). 360

Articolo 33-bis (Potenziamento del sistema di soccorso tecnico
urgente del Corpo nazionale dei vigili del fuoco)
. 362

Articolo 33-ter. 364

(Disposizioni di finanza pubblica di interesse delle Regioni a statuto speciale) 364

Articolo 34 (Piano grandi investimenti nelle Zone economiche speciali). 371

Articolo 35 (Obblighi informativi erogazioni pubbliche). 374

Articolo 36, commi 1, 2, 2-undecies, 2-duodecies e 2-terdecies
(Banche Popolari, Fondo indennizzo risparmiatori, Brexit)
. 381

Articolo 36, commi 2-bis-2-decies (Innovazione di servizi e prodotti finanziari – Regulatory sandbox. Rimborsi spese Comitato educazione finanziaria) 389

Articolo 36-bis (Regime fiscale speciale ELTIF ). 393

Articolo 36-ter (Proroga termine per concedere supporto di liquidità
a Banca Carige)
. 397

Articolo 37 (Ingresso del Ministero dell’economia e delle finanze nel capitale sociale della NewCo Nuova Alitalia). 400

Articolo 38, commi 1, 1-bis-1-sexies e comma 2 (Debiti enti locali – Roma). 408

Articolo 38, commi 1-septies-1-octies e 1-decies-1-terdecies (Comuni capoluogo delle città metropolitane in dissesto, anticipazioni di
tesoreria e durata del piano di riequilibrio finanziario pluriennale)
414

Articolo 38, comma 1-novies (Accantonamento di somme per
trapianti pediatrici e adroterapia tumorale)
. 418

Articolo 38, comma 1-quaterdecies (Contributo al Comune di Alessandria). 419

Articolo 38, comma 1-quinquiesdecies (Differimento termini Rendiconto
di gestione dei Comuni interessati da eventi sismici della provincia di Campobasso e della Città metropolitana di Catania)
. 420

Articolo 38, commi 2-bis–2-quater (Piani di riequilibrio finanziario pluriennale) 421


 

Articolo 38, comma 2-quinquies (Contributo al comune di Campione d’Italia)  427

Articolo 38-bis (Anticipazioni di liquidità agli enti territoriali per il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni). 430

Articolo 38-ter (Procedura di riconoscimento della legittimità dei
debiti fuori bilancio delle regioni)
. 432

Articolo 38-quater (Recepimento dell'accordo integrativo del 15 maggio 2019 tra Governo e Regione Siciliana per il sostegno ai liberi
consorzi e alle città metropolitane regionali)
. 433

Articolo 39 (Implementazione piattaforme informatiche per
l’attuazione del Reddito di cittadinanza)
. 437

Articolo 39-bis (Bonus giovani eccellenze). 440

Articolo 39-ter (Incentivo assunzioni nel Mezzogiorno) 442

Articolo 40 (Misure di sostegno al reddito a seguito della chiusura
della strada SS 3 bis Tiberina E45)
. 443

Articolo 41 (Mobilità in deroga in aree di crisi industriale complessa). 447

Articolo 41-bis (Riconoscimento della pensione di inabilità ai
soggetti che abbiano contratto malattie professionali a causa dell'esposizione all'amianto)
449

Articolo 42 (Controllo degli strumenti di misura in servizio e sulla vigilanza sugli strumenti di misura conformi alla normativa
nazionale ed europea)
. 451

Articolo 43, commi 1-4 (Semplificazione degli adempimenti per la
gestione degli enti del Terzo settore e modificazioni alla disciplina
sugli obblighi di trasparenza dei partiti e movimenti politici)
. 453

Articolo 44 (Semplificazione ed efficientamento dei processi di programmazione, vigilanza ed attuazione degli interventi finanziati
dal Fondo per lo sviluppo e la coesione)
. 469

Articolo 44-bis (Incentivo fiscale per promuovere la crescita
dell’Italia Meridionale)
. 484

Articolo 45, comma 1 (Proroga del termine per la rideterminazione
dei vitalizi regionali)
. 494

Articolo 45, comma 2 (Correzione di errori formali al Testo unico finanziario) 498

Articolo 46 (Ilva di Taranto). 500

Articolo 47, comma 1 (Assunzioni presso il Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti)
507

Articolo 47, commi 1-bis–1-septies (Fondo salva opere). 510

Articolo 47-bis (Misure a sostegno della liquidità delle imprese) 515

Articolo 48, comma 1 (Disposizioni in materia di energia). 517

Articolo 48, commi 1-bis-1-quater (Modifiche ai criteri di
ammissione di progetti di efficienza energetica alla disciplina incentivante)
. 518

Articolo 49 (Credito d'imposta per la partecipazione di PMI a fiere internazionali)  523

Articolo 49-bis (Misure per favorire l’inserimento dei giovani nel
mercato del lavoro)
. 525

Articolo 49-ter (Strutture temporanee sisma centro Italia). 528

Articolo 50 (Disposizioni finanziarie). 530

Articolo 50-bis (Clausola di salvaguardia) 544

Articolo 51 (Entrata in vigore). 545

 

 

 


Articolo 1
(Maggiorazione dell’ammortamento per
beni strumentali nuovi)

 

 

L’articolo 1 reintroduce dal 1° aprile 2019 la misura del cd. superammortamento, ovvero l’agevolazione che consente di maggiorare del 30 per cento il costo di acquisizione a fini fiscali degli investimenti in beni materiali strumentali nuovi.

Rispetto alle norme previgenti, l’articolo introduce un tetto di 2,5 milioni di euro agli investimenti agevolabili.

 

La legge di stabilità per il 2016 (art. 1, commi 91-97 della legge n. 208 del 2015) aveva introdotto un innalzamento del 40 per cento delle quote di ammortamento e dei canoni di locazione di beni strumentali, a fronte di investimenti in beni materiali strumentali nuovi, nonché per quelli in veicoli utilizzati esclusivamente come beni strumentali nell'attività dell'impresa. Tale agevolazione, disposta in origine per gli investimenti in beni materiali strumentali nuovi dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016, è stata prorogata dalla legge di bilancio 2017 (articolo 1, comma 8 della legge n. 232 del 2016) con riferimento alle operazioni effettuate entro il 31 dicembre 2017 ovvero sino al 30 giugno 2018, a condizione che detti investimenti si riferiscano a ordini accettati dal venditore entro la data del 31 dicembre 2017 e che, entro la medesima data, sia anche avvenuto il pagamento di acconti in misura non inferiore al 20 per cento. Con particolare riferimento ai veicoli e agli altri mezzi di trasporto, il beneficio è riconosciuto a condizione che essi rivestano un utilizzo strumentale all'attività di impresa (in pratica sono esclusi gli autoveicoli a deduzione limitata). L’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti con le circolari 26/E del 26 maggio 2016 e 4/E del 30 marzo 2017.

La legge di bilancio 2018 (articolo 1, comma 29 della legge n. 205 del 2017) ha prorogato tale misura agli investimenti effettuati dal 1° gennaio 2018 fino al 31 dicembre 2018, ovvero – a specifiche condizioni - fino al 30 giugno 2019. La misura è stata dunque prorogata al 2018, ma nella misura del 30 per cento in luogo del 40 per cento disposto dalla previgente normativa.

La legge di bilancio 2018 ha chiarito inoltre che sono esclusi da tale previsione gli investimenti in veicoli e gli altri mezzi di trasporto, sia che vengano utilizzati esclusivamente per l’esercizio dell’impresa (la cui deducibilità è integrale), sia che vengano usati con finalità non esclusivamente imprenditoriali: si tratta dei beni di cui all’art. 164, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, D.P.R. n. 917 del 1986, TUIR (aeromobili da turismo, navi e imbarcazioni da diporto, autovetture ed autocaravan, ciclomotori e motocicli, veicoli adibiti ad uso pubblico, a determinate condizioni).

La disposizioni in esame, più in dettaglio, consente ai titolari di reddito d’impresa ed agli esercenti arti e professioni che effettuino investimenti in beni materiali strumentali nuovi dal 1° aprile 2019 fino al 31 dicembre 2019, ovvero entro il 30 giugno 2020 - a condizione che, entro la data del 31 dicembre 2019, l’ordine risulti accettato dal venditore e sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20 per cento del costo di acquisizione – di usufruire dell’aumento del 30 per cento del costo di acquisizione dei predetti beni, con esclusivo riferimento alla determinazione delle quote di ammortamento e dei canoni di locazione finanziaria.

La misura è stata dunque prorogata al 2019 nella medesima percentuale del 30 per cento prevista per il 2018 e con il medesimo perimetro operativo.

Come già disposto dalla legge di bilancio 2018, infatti, le norme in esame escludono dal cd. superammortamento gli investimenti in veicoli e altri mezzi di trasporto, sia che vengano utilizzati esclusivamente per l’esercizio dell’impresa (la cui deducibilità è integrale), sia che vengano usati con finalità non esclusivamente imprenditoriali.

 

Rispetto alle precedenti edizioni del superammortamento, tuttavia, le norme in esame introducono un tetto agli investimenti in beni strumentali nuovi agevolabili: la maggiorazione del costo non si applica infatti sulla parte di investimenti complessivi eccedenti il limite di 2,5 milioni di euro.

 

Con una disposizione di chiusura (analoga all’articolo 1, comma 34 della legge di bilancio 2018) si confermano le esclusioni dal superammortamento disciplinate dall’articolo 1, commi 93 e 97 della legge 28 dicembre 2015, n. 208.

In particolare, sono esclusi dalla possibilità di maggiorare il valore del bene da ammortizzare i beni per i quali il D.M. 31 dicembre 1988 prevede coefficienti di ammortamento inferiori al 6,5 per cento (ammortamento più lungo di 15 esercizi), nonché i fabbricati e le costruzioni e i beni di cui all'allegato 3 annesso alla predetta legge di stabilità 2016; inoltre, le maggiorazioni del costo di acquisizione non producono effetti ai fini dell'applicazione degli studi di settore.

L'allegato 3 citato riguarda a titolo di esempio le condutture utilizzate dalle industrie di imbottigliamento di acque minerali naturali o dagli stabilimenti balneari e termali; le condotte utilizzate dalle industrie di produzione e distribuzione di gas naturale; il materiale rotabile, ferroviario e tramviario; gli aerei completi di equipaggiamento.

Al riguardo si rammenta che l'articolo 9-bis del decreto-legge n. 50 del 2017 ha disciplinato l'introduzione di indici sintetici di affidabilità fiscale dei contribuenti, cui sono correlati specifici benefìci, in relazione ai diversi livelli di affidabilità, prevedendo contemporaneamente la progressiva eliminazione degli effetti derivanti dall'applicazione dei parametri e degli studi di settore. Tale disposizione era stata già inizialmente introdotta dal decreto-legge n. 193 del 2016.

 

Si ricorda inoltre, in questa sede, che la legge di bilancio 2019 (articolo 1, commi da 60 a 65 della legge n. 145 del 2018) ha prorogato e rimodulato il cd. iperammortamento, agevolazione che consente di maggiorare il costo di acquisizione dei beni materiali strumentali nuovi funzionali alla trasformazione tecnologica e/o digitale: innovando la normativa vigente in materia, il beneficio è stato concesso in misura differenziata secondo l’importo degli investimenti effettuati. Tale misura consente di maggiorare il costo di acquisizione dei beni materiali strumentali nuovi funzionali alla trasformazione tecnologica e/o digitale secondo il modello Industria 4.0. Com’è noto, l'espressione Industria 4.0 indica un processo generato da trasformazioni tecnologiche nella progettazione, nella produzione e nella distribuzione di sistemi e prodotti manifatturieri, finalizzato alla produzione industriale automatizzata e interconnessa.


 

Articolo 2
(Revisione mini-IRES)

 

 

L’articolo 2, modificato in Commissione, sostituisce la vigente agevolazione IRES al 15 per cento (cd. mini-IRES), disposta dalla legge di bilancio 2019 in favore di imprese che reinvestono i propri utili o effettuano nuove assunzioni, con un diverso incentivo che prevede una progressiva riduzione dell’aliquota IRES sul reddito di impresa correlata al solo reimpiego degli utili.

Nel corso dell’esame in sede referente l’abbassamento dell’aliquota è stato reso più graduale (cinque periodi d’imposta, in luogo di quattro) sino ad arrivare, a decorrere dal 2023 a regime, ad un’aliquota agevolata pari al 20 per cento, più favorevole del 20,5 originariamente previsto dal decreto-legge a regime, con decorrenza dal 2022. Nella medesima sede è stato specificato il termine per l’emanazione delle disposizioni attuative (90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in esame) delle norme in esame.

 

Più in dettaglio il comma 1 prevede una progressiva riduzione dell’IRES per i soggetti passivi d’imposta (individuati dall’articolo 73, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi - TUIR, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), solo con riferimento agli utili di esercizio accantonati a riserve diverse da quelle di utili non disponibili, nei limiti dell’incremento di patrimonio netto.

Al riguardo, la relazione illustrativa che accompagna il decreto-legge chiarisce che l’agevolazione opera nei limiti dell’incremento di patrimonio netto registrato al termine dell’esercizio di riferimento, rispetto al patrimonio netto esistente al termine dell’esercizio precedente a quello di avvio dell’incentivo. Chiarisce inoltre che l’eventuale eccedenza di utili rispetto al limite di patrimonio netto può divenire potenzialmente agevolabile negli esercizi successivi se e nella misura in cui si registrerà un sufficiente incremento di patrimonio netto.

 

Il testo originario del decreto-legge dispone l’abbassamento al 22,5 per cento per l’anno di imposta 2019, al 21,5 per cento per il 2020 ed al 20,5 per cento dal 2023.

La norma risultante dall’esame in sede referente prevede invece che l’aliquota ordinaria (24 per cento) sia ridotta più gradualmente e, in particolare: per il periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018 e per i tre successivi, rispettivamente, è ridotta di 1,5 punti percentuali, di 2,5 punti percentuali, di 3 e di 3,5 punti percentuali.

 

Di conseguenza, per effetto delle modifiche in Commissione l’aliquota agevolata viene così rimodulata

§  al 22,5 per cento per l’anno di imposta 2019;

§   al 21,5 per cento per il 2020;

§  al 21 per cento per il 2021;

§  al 20,5 per cento per il 2022;

§  al 20 per cento a decorrere dal 2023, a regime.

 

Alla quota di reddito assoggettata all’aliquota ridotta, l’addizionale IRES del 3,5 per cento (di cui all’articolo 1, comma 65, della legge 28 dicembre 2015), prevista per le banche e gli intermediari finanziari, n. 208, si applica in misura corrispondentemente aumentata, al fine di lasciare invariato il livello di imposizione per il settore.

Il comma 2 reca la puntuale definizione di riserve di utili non disponibili (lettera a)), e cioè le riserve formate con utili diversi da quelli realmente conseguiti ai sensi dell’articolo 2433 del codice civile (che disciplina la relativa distribuzione ai soci), in quanto derivanti da processi di valutazione. Rilevano gli utili realizzati a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2018 e accantonati a riserva, a esclusione di quelli destinati a riserve non disponibili.

Viene inoltre definito (lettera b)) l’incremento di patrimonio netto, inteso come la differenza tra:

§  il patrimonio netto risultante dal bilancio d’esercizio del periodo d’imposta di riferimento, senza considerare il risultato netto (positivo o negativo) del conto economico del medesimo esercizio, al netto degli utili accantonati a riserva agevolati nei periodi di imposta precedenti, e

§  il patrimonio netto risultante dal bilancio d’esercizio del periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2018, senza considerare il risultato netto (positivo o negativo) del conto economico del medesimo esercizio.

 

Il Governo al riguardo chiarisce che il meccanismo implica un computo di tipo forfetario, volto a consentire la computabilità degli utili accantonati soltanto nella misura in cui, rispetto al dato del 2018, si sia verificato un incremento patrimoniale, prescindendo completamente dalle cause che hanno determinato la movimentazione del patrimonio netto (che, dunque, possono essere legate tanto a fenomeni di relazioni con i soci - es. apporti o distribuzioni - quanto a fenomeni contabili, quali ad esempio, la correzione di errori materiali rilevati direttamente a patrimonio netto, la valutazione di derivati di copertura di cash flow, etc.).

 

Per salvaguardare l’effettivo reimpiego degli utili accantonati a riserve, il comma 3 stabilisce un meccanismo di riporto dell’eventuale eccedenza di utili: per ciascun periodo d’imposta, la parte degli utili accantonati a riserva agevolabili che eccede l’ammontare del reddito complessivo netto dichiarato è computata in aumento degli utili accantonati a riserva agevolabili dell’esercizio successivo.

Ciò in quanto, per la determinazione dell’importo da assoggettare ad aliquota ridotta, la combinazione tra utile e reddito potrebbe non essere pienamente efficiente ove il reddito sia inferiore all’importo dell’utile rilevante, ovvero se il soggetto presenta perdite pregresse atte a compensare il reddito e a ridurne, quindi, l’ammontare.

 

I commi 4 e 5 recano norme di coordinamento per i soggetti che aderiscono al regime del consolidato nazionale o mondiale o della trasparenza fiscale.

Il comma 4 in particolare prevede che per le società e per gli enti che partecipano al consolidato nazionale (indicati nell’articolo 73, comma 1, lettere a), b) e d), del TUIR: società ed enti residenti nel territorio dello Stato e società non residenti), l’importo su cui spetta l’aliquota ridotta, determinato da ciascun soggetto partecipante al consolidato, è utilizzato dalla società o ente controllante, ai fini della liquidazione dell’imposta dovuta, fino a concorrenza del reddito eccedente le perdite computate in diminuzione. Analoga norma vale per il caso di consolidato mondiale.

 

Gli articoli da 117 a 142 del testo unico delle imposte sui redditi disciplinano gli istituti del consolidato nazionale e del consolidato mondiale. Tali istituti prevedono, per il gruppo di imprese, la determinazione in capo alla società o ente consolidante di un reddito complessivo globale (consolidato nazionale) o di un’unica base imponibile (consolidato mondiale), su opzione facoltativa delle società partecipanti.

 

Ai sensi del comma 5, in caso di opzione per la trasparenza fiscale (articolo 115 TUIR) l’importo su cui spetta l’aliquota ridotta determinato dalla società partecipata è attribuito a ciascun socio in misura proporzionale alla sua quota di partecipazione agli utili. La quota attribuita non utilizzata dal socio è computata in aumento dell'importo su cui spetta l'aliquota ridotta dell'esercizio successivo, determinato ai sensi del presente comma.

 

Le società di capitali possono scegliere di tassare il proprio reddito imputandolo direttamente ai soci per “trasparenza”, adottando, cioè, lo stesso sistema previsto per le società di persone.

Il regime di trasparenza è applicabile:

§  alle società di capitali partecipate da altre società di capitali;

§  alle società a responsabilità limitata a ristretta base azionaria.

 

Il comma 6 estende le norme in commento agli imprenditori individuali, alle società in nome collettivo e in accomandita semplice, e, più in generale, ai soggetti IRPEF in regime d’impresa in contabilità ordinaria.

Il comma 7 permette il cumulo delle agevolazioni in parola con altri benefici concessi, fatta eccezione di quelli che prevedono un regime di determinazione forfetaria del reddito e degli enti del terzo settore che godono della riduzione a metà dell’IRES (ai sensi dell’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601).

 

Si rammenta al riguardo che la predetta riduzione a metà dell’IRES per alcuni enti del terzo settore era stata abrogata dalla legge di bilancio 2019 a decorrere dal 1° gennaio 2019; successivamente, il decreto-legge “semplificazioni” (articolo 1, comma 8-bis del decreto-legge n. 135 del 2018) ha posticipato la predetta abrogazione. Essa non decorre più dal 1° gennaio 2019, ma dal periodo d'imposta di prima applicazione di ulteriori misure di favore nei confronti di enti che svolgono attività aventi finalità sociale. Pertanto, la riduzione a metà dell’IRES per tali enti permane fino all’emanazione di dette misure. Il comma 8-bis, lettera a), ha dunque introdotto il divieto di cumulo di tale beneficio con quelli derivanti dalla tassazione agevolata degli utili reinvestiti e di quelli impiegati per l'assunzione di personale.

 

Il comma 8 rinvia a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze l’adozione di disposizioni di attuazione della disciplina in esame. Nel corso dell’esame in sede referente è stato precisato che detto decreto è emanato entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in commento.

 

Il comma 9, conseguentemente all’introduzione dell’agevolazione in esame, abroga le disposizioni della legge di bilancio 2019 (articolo 1, commi 28-34) che hanno previsto l’applicazione di un’aliquota IRES agevolata al 15 per cento (in luogo dell’ordinaria 24 per cento) a parte del reddito delle imprese che incrementano i livelli occupazionali ed effettuano nuovi investimenti, nonché l’estensione di tale agevolazione alle imprese soggette a IRPEF.

 


 

Articolo 3
(
Maggiorazione deducibilità IMU dalle imposte sui redditi)

 

 

L’articolo 3, interamente sostituito in sede referente, incrementa progressivamente la percentuale deducibile dal reddito d’impresa e dal reddito professionale dell’IMU dovuta sui beni strumentali, sino a raggiungere la totale deducibilità dell’imposta a regime, ovvero a decorrere dal 2023 (più precisamente, dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2022), in luogo di raggiungere – come previsto dal testo originario del decreto-legge - una percentuale di deducibilità a regime (dal 2022) pari al 70 per cento.

 

Si rammenta al riguardo che la suddetta percentuale è stata da ultimo elevata dal 20 al 40 per cento dalla legge di bilancio per il 2019 (articolo 1, comma 12, della legge 30 dicembre 2018, n. 145).

 

Le norme in esame novellano l’articolo 14, comma 1, primo periodo del decreto legislativo 4 marzo 2011, n. 23, che dispone:

§  la deducibilità dell’IMU relativa agli immobili strumentali, sia ai fini della determinazione del reddito di impresa, sia del reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni e l’indeducibilità dell’IMU a fini IRAP. La previgente misura di deducibilità era pari al 40 per cento; come anticipato, nel testo originario del provvedimento in esame si prevedeva un graduale innalzamento della deducibilità sino ad arrivare, a regime (e cioè a decorrere dal 2022), ad una deducibilità del 70 per cento;

§  l’applicazione delle predette regole anche con riferimento all'imposta municipale immobiliare (IMI) della provincia autonoma di Bolzano, istituita con legge provinciale 23 aprile 2014, n. 3, e all'imposta immobiliare semplice (IMIS) della provincia autonoma di Trento, istituita con legge provinciale 30 dicembre 2014, n. 14.

 

Per effetto delle norme in commento, modificate in sede referente, la percentuale di deducibilità è progressivamente innalzata nel tempo, nelle seguenti misure:

§  50 per cento per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018;

§  60 per cento per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019 e, per effetto delle modifiche in Commissione, a quello in corso al 31 dicembre 2020;

§  70 per cento nel periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2021;

§  100 per cento (totale deducibilità) nel periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2022, ossia a regime dal 2023, per effetto delle modifiche in sede referente.

 

 


 

Articolo 3-bis
(Soppressione dell’obbligo di comunicazione proroga cedolare secca e della distribuzione gratuita dei modelli cartacei delle dichiarazioni)

 

 

L’articolo 3-bis dispone l’abrogazione dell’obbligo della comunicazione della proroga della cedolare secca e della relativa sanzione previsti al comma 3 dell’articolo 3 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23. L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 9 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

A tal fine, il comma 1 dell’articolo in commento sopprime l’ultimo periodo del comma 3 dell’articolo 3, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, il quale prevede che in caso di mancata presentazione della comunicazione relativa alla proroga, anche tacita, o alla risoluzione del contratto di locazione per il quale è stata esercitata l'opzione per l'applicazione della cedolare secca, entro trenta giorni dal verificarsi dell'evento, si applica la sanzione nella misura fissa pari a euro 100, ridotta a euro 50 se la comunicazione è presentata con ritardo non superiore a trenta giorni.

 

La “cedolare secca” è un regime facoltativo, che si sostanzia nel pagamento di un’imposta sostitutiva - pari al 21% del canone di locazione annuo stabilito dalle parti - dell’Irpef e delle addizionali (per la parte derivante dal reddito dell’immobile). Non sono dovute l’imposta di registro e l’imposta di bollo, ordinariamente dovute per registrazioni, risoluzioni e proroghe dei contratti di locazione. La cedolare secca non sostituisce l’imposta di registro per la cessione del contratto di locazione. Con la legge di bilancio 2018 è stata prorogata per ulteriori 2 anni (2018 e 2019) l’aliquota ridotta al 10% per i contratti a canone concordato, introdotta dal decreto legge 102/2013 (con un’aliquota pari al 15%) e successivamente ridotta e prorogata nel tempo.

La scelta per la cedolare secca implica la rinuncia alla facoltà di chiedere, per tutta la durata dell’opzione, l’aggiornamento del canone di locazione, anche se è previsto nel contratto, inclusa la variazione accertata dall’Istat dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati dell’anno precedente.

 

Il comma 2 reca la copertura finanziaria disponendo che all'onere derivante dall'attuazione dell’articolo in esame, pari a 0,9 milioni di euro per l'anno 2019 e a 1,8 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2020, si provvede mediante corrispondente utilizzo delle maggiori entrate derivanti dal presente decreto.

Il comma 3 prevede, infine, la soppressione della distribuzione gratuita dei modelli cartacei necessari alla redazione delle dichiarazioni annualmente presentate dalle persone fisiche non obbligate alla tenuta delle scritture contabili prevista dal D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, articolo 1, comma 2 in materia di redazione e sottoscrizione delle dichiarazioni delle imposte sui redditi e di IRAP.

 

A tale proposito si ricorda che il comma 2 dell'articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, stabilisce che i modelli di dichiarazione sono resi disponibili in formato elettronico dall'Agenzia delle entrate in via telematica. I modelli cartacei necessari per la redazione delle dichiarazioni presentate dalle persone fisiche non obbligate alla tenuta delle scritture contabili possono essere gratuitamente ritirati presso gli uffici comunali. Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate possono essere stabilite altre modalità di distribuzione o di invio al contribuente dei modelli di dichiarazione e di altri stampati.


 

Articolo 3-ter
(Termini per la presentazione delle dichiarazione
IMU e TASI)

 

 

L’articolo 3-ter, introdotto in sede referente, intende spostare il termine di presentazione della dichiarazione IMU/TASI dal 30 giugno al 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto impositivo. L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 10 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

Si ricorda che attualmente i soggetti passivi devono presentare la dichiarazione entro il 30 giugno dell'anno successivo a quello in cui il possesso degli immobili ha avuto inizio per quanto attiene l’IMU ed entro il termine del 30 giugno dell'anno successivo alla data di inizio del possesso o della detenzione dei locali e delle aree assoggettabili al tributo Tasi.

 

Il tributo per i servizi indivisibili (TASI) si applica al possesso o alla detenzione a qualsiasi titolo di fabbricati - ad eccezione dell’abitazione principale diversa da quella classificata nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 - e di aree edificabili, mentre sono esclusi i terreni agricoli.

La TASI è dovuta dal titolare del diritto reale e, nel caso in cui l’immobile sia occupato da un soggetto diverso da quest’ultimo, anche dall’occupante (nella misura, stabilita dal comune, compresa tra il 10% e il 30% dell’imposta complessivamente dovuta).

L’imposta municipale propria (IMU) si applica al possesso di fabbricati, escluse le abitazioni principali classificate nelle categorie catastali diverse da A/1, A/8 e A/9, di aree fabbricabili e di terreni agricoli ed è dovuta dal proprietario o dal titolare di altro diritto reale (usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie), dal concessionario nel caso di concessione di aree demaniali e dal locatario in caso di leasing.


 

Articolo 3-quater
(Semplificazioni per gli immobili concessi in comodato d'uso)

 

 

L’articolo 3-quater, introdotto durante l’esame in Commissione, elimina gli obblighi dichiarativi relativi al possesso dei requisiti per fruire delle agevolazioni IMU e TASI per gli immobili concessi in comodato a parenti in linea retta di primo grado, nonché per fruire delle agevolazioni sugli immobili in locazione a canone concordato. L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 22 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

In particolare, il comma 1, lettera a) modifica l’articolo 13, comma 3, lettera 0a) del decreto-legge n. 201 del 2011, che prevede la riduzione al 50 per cento della base imponibile IMU per gli immobili concessi in comodato d’uso a parenti in linea retta, ivi compreso il coniuge del comodatario, in caso di morte di quest’ultimo in presenza di figli minori.

L’agevolazione spetta purché l’immobile sia utilizzato come abitazione principale, il contratto sia registrato e il comodante possieda un solo immobile in Italia e risieda anagraficamente nonché dimori abitualmente nello stesso comune in cui è situato l'immobile concesso in comodato; il beneficio si applica anche nel caso in cui il comodante, oltre all'immobile concesso in comodato, possieda nello stesso comune un altro immobile adibito a propria abitazione principale, ad eccezione delle unità abitative classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9

 

La norma vigente prevede che, per l’applicazione della predetta agevolazione, il soggetto passivo attesti il possesso dei suddetti requisiti nel modello di dichiarazione IMU (di cui all'articolo 9, comma 6, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23); con le modifiche in esame, viene eliminato tale obbligo di attestazione.

Si ricorda in questa sede che le regole sulla base imponibile IMU, di cui all’articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, si applicano anche alla TASI, in virtù del rinvio operato dall’articolo 1, comma 675 della legge n. 147 del 2013.

 

La lettera b) del comma 1 aggiunge un periodo alla fine del comma 6-bis del richiamato articolo 13, che riduce al 75 per cento l’IMU sugli immobili locati a canone concordato (di cui alla legge 9 dicembre 1998, n. 431).

Con le modifiche in commento si chiarisce che per usufruire di detta agevolazione il soggetto passivo è esonerato dall'attestazione del possesso del requisito mediante il modello di dichiarazione (indicato all'articolo 9, comma 6, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23), nonché da qualsiasi altro onere dichiarativo e comunicativo.

Si ricorda che analoga riduzione è prevista per la TASI, ma in tale ipotesi la riduzione d’imposta è specificamente disposta dall’articolo 1, comma 678 della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013), come modificato dall’articolo 1, comma 53 della legge di stabilità 2016 (legge n. 2018 del 2015).

In merito agli obblighi dichiarativi in tema di IMU e TASI, la Circolare n. 2/F del Dipartimento finanze del MEF del 3 giugno 2015 ha rilevato la non necessità di approvare un apposito modello di dichiarazione TASI, essendo a tale scopo valido quello previsto per la dichiarazione dell’imposta municipale propria (IMU), approvato con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 30 ottobre 2012. Ciò in quanto le informazioni necessarie al comune per il controllo e l’accertamento dell’obbligazione tributaria, sia per quanto riguarda l’IMU sia per ciò che concerne la TASI, sono sostanzialmente identiche.

Il Dipartimento finanze del MEF ha rilevato che le medesime esigenze sono alla base dell’ulteriore problematica derivante dall’articolo 1, comma 681, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, in base al quale, per la TASI, “nel caso in cui l’unità immobiliare è occupata da un soggetto diverso dal titolare del diritto reale sull’unità immobiliare, quest’ultimo e l’occupante sono titolari di un’autonoma obbligazione tributaria”. Si è chiarito al riguardo che un’applicazione rigorosa della norma comporterebbe che gli “occupanti” diversi dai titolari del diritto reale sull’immobile - che non hanno, quindi, assolto gli adempimenti dichiarativi in materia di IMU - dovrebbero essere tutti tenuti a presentare la dichiarazione TASI. Tuttavia il DF chiarisce (in linea con quanto affermato nelle istruzioni alla dichiarazione IMU, approvata con D. M. 30 ottobre 2012), con riferimento agli immobili locati per i quali il comune ha deliberato la riduzione dell’aliquota, è stato espressamente affermato che la dichiarazione “non deve essere presentata nel caso di contratti di locazione e di affitto registrati a partire dal 1° luglio 2010, poiché da tale data, ai sensi dell’art. 19, commi 15 e 16, del D. L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, al momento della registrazione devono essere comunicati al competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate anche i relativi dati catastali. Per i contratti di locazione e di affitto registrati precedentemente alla data del 1° luglio 2010, permane, invece, l’obbligo dichiarativo, a meno che i relativi dati catastali non siano stati comunicati al momento della cessione, della risoluzione o della proroga del contratto, ai sensi dello stesso art. 19 del D. L. n. 78 del 2010”. In sostanza, il DF ha chiarito che l’ambito applicativo dell’obbligo dichiarativo TASI si riduce a casi residuali, dal momento che il comune è già a conoscenza delle informazioni relative agli immobili locati; per le medesime esigenze di semplificazione innanzi citate, che nei casi in cui il contribuente sia un soggetto diverso dal titolare del diritto reale sull’immobile, come nelle fattispecie prima illustrate, si possa utilizzare la parte del modello di dichiarazione dedicata alle “Annotazioni” per precisare il titolo (ad esempio “locatario”) in base al quale l’immobile è occupato ed è sorta la propria obbligazione tributaria, ai sensi del citato comma 681 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013.

Articolo 3-quinquies
(
Redditi fondiari percepiti)

 

 

L’articolo 3-quinquies, introdotto in Commissione, consente al contribuente - per i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo stipulati a decorrere dal 1° gennaio 2020 - di usufruire della detassazione dei canoni non percepiti senza dover attendere la conclusione del procedimento di convalida di sfratto, ma provandone la mancata corresponsione in un momento antecedente, ovvero mediante l’ingiunzione di pagamento o l’intimazione di sfratto per morosità. L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 24 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

Si ricorda che l’articolo 26 del TUIR reca le regole generale sul computo a fini fiscali dei redditi fondiari. Con particolare riferimento ai redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, le norme vigenti stabiliscono che, se essi non vengono percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento, a partire della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore.

 

Per effetto delle norme in commento (comma 1) in luogo di far decorrere la detassazione dal momento della conclusione del procedimento di convalida di sfratto per morosità, si dispone che la mancata percezione possa essere comprovata dall’intimazione di sfratto per morosità o dall’ingiunzione di pagamento.

Ai canoni non riscossi dal locatore nei periodi d’imposta di riferimento e percepiti in periodi d’imposta successivi si applica la tassazione separata di cui all’articolo 21 del TUIR, con le regole previste per i redditi conseguiti a titolo di rimborso di imposte, o di oneri dedotti dal reddito complessivo ovvero per i quali si è fruito della detrazione in periodi di imposta precedenti (articolo 17, comma 1, lettera n-bis) del TUIR).

Di conseguenza, per tali redditi l'imposta è determinata applicando all'ammontare percepito l'aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo netto del contribuente nel biennio anteriore all'anno in cui essi sono percepiti.

 

Ai sensi del comma 2, le norme introdotte hanno effetti per i contratti stipulati a decorrere dal 1° gennaio 2020. Per i contratti stipulati prima dell'entrata in vigore delle disposizioni in commento resta fermo, per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell'ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità, il riconoscimento di un credito di imposta di pari ammontare.

 

Il comma 3 reca la copertura finanziaria disponendo che all'onere derivante dall'attuazione dell’articolo in esame, pari a 9,1 milioni di euro per l'anno 2020; 26,7 milioni di euro per l'anno 2021; 39,3 milioni di euro per l'anno 2022; 28,5 milioni di euro per l'anno 2023; 18,6 milioni di euro per l'anno 2024; 4,4 milioni di euro per l'anno 2025, si provvede con le maggiori entrate derivanti dal presente decreto.


 

Articolo 3-sexies
(Disposizioni in materia di premi e contributi INAIL
ed in materia di tutela assicurativa INAIL)

 

 

L’articolo 3-sexies - inserito in sede referente - estende a regime, a decorrere dal 2023, un meccanismo di riduzione dei premi e contributi per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali già previsto per gli anni 2019-2021 (mentre resta escluso l'anno 2022) e sopprime alcune modifiche alla disciplina sulla tutela assicurativa contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali - modifiche introdotte di recente dalla L. 30 dicembre 2018, n. 145.

Ai fini della copertura degli oneri finanziari, si provvede mediante una riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica ed una riduzione del "Fondo per la revisione del sistema pensionistico attraverso l'introduzione di ulteriori forme di pensionamento anticipato e misure per incentivare l'assunzione di lavoratori giovani".

Le risorse stanziate dal presente articolo 3-sexies sono aggiuntive rispetto a quelle già previste dall'articolo 1, comma 128, della L. 27 dicembre 2013, n. 147, ai fini della riduzione degli stessi premi e contributi, per gli anni successivi al 2013. Resta fermo che le riduzioni sono stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta dell'INAIL.

Le risorse aggiuntive in oggetto sono pari a 630 milioni di euro per il 2023, 640 milioni per il 2024, 650 milioni per il 2025, 660 milioni per il 2026, 671 milioni per il 2027, 682 milioni per il 2028, 693 milioni per il 2029, 704 milioni per il 2030 e 715 milioni annui a decorrere dal 2031. Si ricorda che per il triennio 2019-2021 le corrispondenti risorse aggiuntive sono pari a 410 milioni di euro per il 2019, 525 milioni per il 2020 e 600 milioni per il 2021[1].

Si estende, di conseguenza, a regime anche la disciplina di cui all'articolo 1, comma 1124, della citata L. n. 145, che concerne l'attività di monitoraggio sugli effetti finanziari delle riduzioni in esame.

Ai fini della copertura finanziaria dei nuovi oneri, si dispone:

§  una riduzione, nella misura di 26 milioni di euro per il 2023, del Fondo per interventi strutturali di politica economica;

§  una riduzione, nella misura di 604 milioni di euro per il 2023, 454 milioni per il 2024, 541 milioni per il 2025, 548 milioni per il 2026, 558 milioni per il 2027, 566 milioni per il 2028, 576 milioni per il 2029, 584 milioni per il 2030 e 594 milioni annui a decorrere dal 2031, del "Fondo per la revisione del sistema pensionistico attraverso l'introduzione di ulteriori forme di pensionamento anticipato e misure per incentivare l'assunzione di lavoratori giovani". Tale riduzione concerne la quota delle risorse del suddetto Fondo non impiegate dalle misure in materia previdenziale di cui al D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 marzo 2019, n. 26.

Inoltre, come accennato, il presente articolo sopprime alcune modifiche alla disciplina sulla tutela assicurativa contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, modifiche introdotte - con decorrenza dal 2019 - dalla citata L. n. 145 del 2018. Le novelle ora oggetto di soppressione  concernono - in termini che sono parsi problematici a molti operatori in fase attuativa - il rapporto tra gli indennizzi corrisposti dall'INAIL e il risarcimento ulteriore del danno (nei casi in cui, in base alla normativa, sussista la responsabilità civile del datore di lavoro per il risarcimento di tale quota ulteriore) nonché le azioni di regresso o di surrogazione, da parte dell'INAIL, verso il datore di lavoro o verso l'impresa di assicurazione - nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore e i natanti.

 

 

 

 

 


 

Articolo 4
(Modifiche alla disciplina del
Patent box)

 

 

L’articolo 4 mira a semplificare le procedure di fruizione della tassazione agevolata sui redditi derivanti dall’utilizzo di taluni beni immateriali, cosiddetta patent-box, consentendo ai contribuenti di determinare e dichiarare direttamente il proprio reddito agevolabile in alternativa alla procedura di accordo preventivo e in contraddittorio con l’Agenzia delle entrate.

 

In particolare, il comma 1, primo periodo, dell’articolo 4 stabilisce che, a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore della legge, i soggetti titolari di reddito di impresa che optano per il regime agevolativo patent box (disciplinato dall’articolo 1, commi da 37 a 45, della legge 23 dicembre 2014, n. 190) possono scegliere in alternativa alla procedura prevista dall’articolo 31-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (ovvero mediante accordo preventivo e in contraddittorio con l’Agenzia delle entrate) di determinare e dichiarare direttamente il reddito agevolabile rimandando il relativo confronto con l’amministrazione finanziaria a una successiva fase di controllo.

I soggetti che esercitano l’opzione indicano le informazioni necessarie alla predetta determinazione del reddito agevolabile in un’idonea documentazione predisposta in un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate che dovrà essere emanato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con il quale sono, altresì, definite le ulteriori disposizioni attuative dell’articolo in esame.

 

Si ricorda che la legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014, commi 37-45) ha introdotto un regime opzionale con tassazione agevolata sui redditi derivanti dall'utilizzo di taluni beni immateriali. Le imprese possono optare per un regime fiscale di favore (cd. patent box), consistente nell'esclusione dal reddito del 50 per cento dei redditi derivanti dall'utilizzazione di alcune tipologie di beni (software protetto da copyright, brevetti industriali, disegni e modelli, nonché processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili) nonché delle plusvalenze derivanti dalla loro cessione, se il 90 per cento del corrispettivo è reinvestito. Possono esercitare l'opzione i soggetti titolari di reddito d'impresa, indipendentemente dal tipo di contabilità adottata e dal titolo giuridico in virtù del quale avviene l'utilizzo dei beni. L'opzione ha durata per cinque esercizi sociali ed è irrevocabile e rinnovabile.

Il decreto-legge n. 50 del 2017 ha escluso i marchi dal novero dei beni agevolabili; sono stati invece inclusi nel novero dei redditi che beneficiano del regime speciale anche quelli derivanti dall'utilizzo congiunto di beni immateriali, legati da vincoli di complementarietà, a specifiche condizioni di legge. È stata contestualmente inserita una clausola di grandfathering, che consente di conservare i benefici del patent box secondo la disciplina originaria relativamente alle opzioni esercitate per i primi due periodi d'imposta, per tutto il quinquennio di validità delle stesse e, comunque, non oltre il 30 giugno 2021.

Si segnala che la procedura vigente prevede (articolo 1, comma 39, legge 23 dicembre 2014, n. 190) che in caso di utilizzo diretto dei beni che danno diritto all’agevolazione fiscale il contributo economico di tali beni alla produzione del reddito complessivo beneficia dell'esclusione a condizione che lo stesso sia determinato sulla base di un apposito accordo. In tali ipotesi la procedura di ruling ha ad oggetto la determinazione, in via preventiva e in contraddittorio con l'Agenzia delle entrate delle componenti positive e negative di reddito derivante dall’utilizzo dei beni sopradescritti.

Tale accordo con l’Agenzia delle entrate, sempre secondo quanto disposto dal comma 39, deve essere conforme alla procedura finalizzata alla stipula di accordi preventivi per le imprese con attività internazionale (articolo 31-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600) che prevede, tra l’altro, che la richiesta di accordo preventivo è presentata al competente ufficio della Agenzia delle entrate, secondo quanto stabilito con provvedimento del direttore della medesima Agenzia. Con il medesimo provvedimento sono definite le modalità con le quali il competente ufficio procede alla verifica del rispetto dei termini dell'accordo e del sopravvenuto mutamento delle condizioni di fatto e di diritto su cui l'accordo si basa.

Sul regime fiscale in esame l'Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti operativi con la circolare n. 36/E del 1° dicembre 2015 e la circolare n. 11/E del 7 aprile 2016. Per una ricognizione del regime opzionale di tassazione agevolata si consiglia la consultazione della sezione del sito dell'Agenzia delle entrate dedicata al patent box nonché la scheda presente sul sito istituzionale del Ministero dello sviluppo economico “Patent box: tassazione agevolata sui redditi derivanti dall’utilizzo di taluni beni immateriali”.

 

Il secondo periodo del comma 1 stabilisce che i soggetti che esercitano l’opzione ripartiscono la variazione in diminuzione in tre quote annuali di pari importo da indicare nella dichiarazione dei redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive relativa al periodo di imposta in cui viene esercitata tale opzione e in quelle relative ai due periodi d’imposta successivi.

 

Il comma 2 dispone che in caso di rettifica del reddito escluso dal concorso alla formazione del reddito d'impresa determinato direttamente dai soggetti che hanno optato per il regime agevolativo da cui derivi una maggiore imposta o una differenza del credito, la sanzione per infedele dichiarazione (articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 47) non si applica qualora nel corso di accessi, ispezioni, verifiche o di altra attività istruttoria, il contribuente consegni all'Amministrazione finanziaria la documentazione indicata nel provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate di cui al comma 1 idonea a consentire il riscontro della corretta determinazione della quota di reddito escluso sia con riferimento all'ammontare dei componenti positivi di reddito, ivi inclusi quelli impliciti derivanti dall'utilizzo diretto dei beni indicati, sia con riferimento ai criteri e alla individuazione dei componenti negativi riferibili ai predetti componenti positivi.

 

Il comma 2 pertanto esclude espressamente l’applicazione della sanzione per infedele dichiarazione nel caso di rettifica da parte del contribuente idonea a consentire il riscontro della corretta determinazione della quota di reddito escluso. Si ricorda che l’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 prevede che se nella dichiarazione delle imposte sui redditi e dell'imposta regionale sulle attività produttive è indicato, ai fini delle singole imposte, un reddito o un valore della produzione imponibile inferiore a quello accertato, o, comunque, un'imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore a quello spettante, si applica la sanzione amministrativa dal novanta al centoottanta per cento della maggior imposta dovuta o della differenza del credito utilizzato. La stessa sanzione si applica se nella dichiarazione sono esposte indebite detrazioni d'imposta ovvero indebite deduzioni dall'imponibile, anche se esse sono state attribuite in sede di ritenuta alla fonte.

 

Il comma 3 stabilisce l’obbligo per il contribuente che detiene la documentazione prevista dal provvedimento richiamato al comma 1 di darne comunicazione all'Amministrazione finanziaria nella dichiarazione relativa al periodo d'imposta per il quale si beneficia dell'agevolazione.

 

Il comma 4 prevede che le disposizioni dell’articolo in esame si applicano anche in caso di attivazione della procedura ordinaria basata sull’accordo preventivo e in contraddittorio con l’Agenzia delle entrate (articolo 31-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600) a condizione che non sia stato concluso il relativo accordo, previa comunicazione all'Agenzia delle entrate dell'espressa volontà di rinuncia alla medesima procedura.

Anche i soggetti che esercitano l'opzione con tali ultime modalità ripartiscono la somma delle variazioni in diminuzione, relative ai periodi di imposta di applicazione dell'agevolazione, ovvero a quelli compresi fra la data di presentazione dell’istanza di accordo e l’esercizio dell’opzione, in tre quote annuali di pari importo da indicare nella dichiarazione dei redditi e dell'imposta regionale sulle attività produttive relativa al periodo di imposta in cui viene esercitata tale opzione e in quelle relative ai due periodi d'imposta successivi.

 

Il comma 5 mantiene ferma la possibilità per tutti i contribuenti che intendono accedere al regime agevolativo e che intendono integrare la propria dichiarazione in materia di imposte di applicare le disposizioni previste al comma 2, ovvero le esimenti sanzionatorie in caso di rettifica, mediante la presentazione di una dichiarazione integrativa (articolo 2, comma 8 del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322) nella quale deve essere data indicazione del possesso della documentazione idonea per ciascun periodo d'imposta oggetto di integrazione.

 

Si ricorda che l’articolo 2, comma 8 del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, in materia di dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all'imposta regionale sulle attività produttive e all'imposta sul valore aggiunto, prevede che salva l'applicazione delle sanzioni, e ferma restando l'applicazione della diminuzione della sanzione per ravvedimento, le dichiarazioni dei redditi, dell'imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti d'imposta possono essere integrate per correggere errori od omissioni, compresi quelli che abbiano determinato l'indicazione di un maggiore o di un minore imponibile o, comunque, di un maggiore o di un minore debito d'imposta ovvero di un maggiore o di un minore credito, mediante successiva dichiarazione da presentare utilizzando modelli conformi a quelli approvati per il periodo d'imposta cui si riferisce la dichiarazione.

 

Tale dichiarazione integrativa deve essere presentata comunque prima della formale conoscenza dell'inizio di qualunque attività di controllo relativa al regime agevolativo patent box.

 

Il comma 6 stabilisce infine che in assenza della comunicazione attestante il possesso della documentazione idonea, in caso di rettifica del reddito non ci si può avvalere delle esimenti sanzionatorie illustrate, ma si applica la sanzione per infedele dichiarazione disciplinata dall'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, in materia di violazioni relative alla dichiarazione delle imposte sui redditi e dell'imposta regionale sulle attività produttive.


 

Articolo 4-bis
(
Semplificazioni controlli formali delle dichiarazioni dei redditi e termine per la presentazione della dichiarazione telematica)

 

L’articolo 4-bis, introdotto in sede referente, con l’obiettivo esplicito di dare attuazione allo Statuto dei diritti del contribuente (articolo 6, legge 27 luglio 2000 n. 212), reca una norma di semplificazione del controllo formale delle dichiarazioni dei redditi e una proroga del termine per la presentazione delle dichiarazioni in materia di imposte sui redditi e di imposta regionale sulle attività produttive. L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 5 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

 

Si segnala che già l’articolo 6, comma 4, della legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente) prevede che non possono essere richiesti documenti o informazioni già necessariamente in possesso dell’Amministrazione, la quale è tenuta d’ufficio ad acquisire o produrre il documento in questione o copia di esso. Un’analoga norma è contenuta anche all’articolo 7, comma 1, lettera f) del decreto-legge n. 70 del 2011.

 

A tal fine, il comma 1 - inserendo un nuovo comma 3-bis all’articolo 36-ter del D.P.R. 600 del 1973 (decreto IVA) - vieta all’amministrazione finanziaria di chiedere ai contribuenti, in sede di controllo formale delle dichiarazioni dei redditi, certificazioni e documenti relativi a informazioni disponibili nell’anagrafe tributaria o dati trasmessi da parte di soggetti terzi in ottemperanza a obblighi dichiarativi, certificativi o comunicativi, come ad esempio i dati acquisiti per la predisposizione della dichiarazione precompilata.

L’anagrafe tributaria, istituita con il decreto del presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 605, è la banca dati utilizzata per la raccolta e l'elaborazione dei dati relativi alla fiscalità dei contribuenti italiani.

 

È possibile richiedere tali dati qualora la richiesta riguardi la verifica della sussistenza di requisiti soggettivi che non emergono dalle informazioni presenti nella stessa anagrafe, ovvero elementi di informazione in possesso dell'Amministrazione finanziaria non conformi a quelli dichiarati dal contribuente.

Inoltre, sempre al comma 1, si specifica che eventuali richieste documentali effettuate dall'amministrazione per dati già in proprio possesso saranno considerate inefficaci.

 

L’articolo 36-ter del D.P.R. 600 del 1973 (decreto IVA) reca la disciplina del controllo formale delle dichiarazioni stabilendo che gli uffici periferici dell'amministrazione finanziaria, procedono, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione, al controllo formale delle dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai sostituti d'imposta, sulla base dei criteri selettivi fissati dal Ministro delle finanze, tenendo anche conto di specifiche analisi del rischio di evasione e delle capacità operative dei medesimi uffici. In particolare, al comma 3, è previsto che il contribuente o il sostituto d'imposta è invitato, anche telefonicamente o in forma scritta o telematica, a fornire chiarimenti in ordine ai dati contenuti nella dichiarazione e ad eseguire o trasmettere ricevute di versamento e altri documenti non allegati alla dichiarazione o difformi dai dati forniti da terzi.

 

Il comma 2 prevede lo slittamento del termine per la presentazione delle dichiarazioni in materia di imposte sui redditi e di imposta regionale sulle attività produttive delle persone fisiche e giuridiche individuate dai commi 1 e 2 dell’articolo 2 del D.P.R. n. 322 del 1998.

In particolare, il comma 2, lettera a), dispone che le persone fisiche e le società o le associazioni, come le società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice, devono presentare la dichiarazione in via telematica entro il 30 novembre (rispetto all’attuale 30 settembre) dell'anno successivo a quello di chiusura del periodo di imposta.

La lettera b) prevede inoltre che i contribuenti soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche presentano la dichiarazione in via telematica entro l'ultimo giorno dell’undicesimo mese (rispetto all’attuale nono mese) successivo a quello di chiusura del periodo d'imposta.

 


 

Articolo 4-ter
(Impegno cumulativo a trasmettere
dichiarazioni o comunicazioni)

 

 

L’articolo 4-ter, introdotto in sede referente, semplifica il sistema di gestione degli impegni alla trasmissione telematica, modificando l’articolo 3 del D.P.R. n. 322 del 1998 che disciplina le modalità di presentazione e gli obblighi di conservazione delle dichiarazioni. L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 6 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

In particolare, la lettera a), comma 1, dell’articolo in esame stabilisce che, per i soggetti abilitati dall'Agenzia delle entrate alla trasmissione dei dati contenuti nelle dichiarazioni, l'omissione ripetuta della trasmissione di dichiarazioni o di comunicazioni su cui è stato rilasciato l'impegno cumulativo a trasmettere costituisce grave irregolarità e pertanto è causa di revoca dell’abilitazione.

 

Si ricorda che il richiamato articolo 3 del D.P.R. n. 322 del 1998 stabilisce che le dichiarazioni sono presentate all'Agenzia delle entrate in via telematica ovvero per il tramite di una banca convenzionata o di un ufficio della Poste italiane S.p.a., anche tramite soggetti abilitati. Ai sensi del comma 4, l'abilitazione è revocata quando nello svolgimento dell'attività di trasmissione delle dichiarazioni vengono commesse gravi o ripetute irregolarità, ovvero in presenza di provvedimenti di sospensione irrogati dall'ordine di appartenenza del professionista o in caso di revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività da parte dei centri di assistenza fiscale.

 

La lettera b) prevede la possibilità per il contribuente/sostituto d’imposta di conferire all’intermediario un incarico alla predisposizione di più dichiarazioni e comunicazioni a fronte del quale quest’ultimo rilascia un impegno unico a trasmettere. A tal fine l’intermediario rilascia al contribuente o al sostituto di imposta, anche se non richiesto, l'impegno cumulativo a trasmettere in via telematica all'Agenzia delle entrate i dati contenuti nelle dichiarazioni o comunicazioni.

 

L'impegno cumulativo può essere contenuto nell'incarico professionale sottoscritto dal contribuente se sono indicate le dichiarazioni e le comunicazioni per le quali il soggetto intermediario si impegna a trasmettere in via telematica alla Agenzia delle entrate i dati in esse contenuti.

 

L'impegno si intende conferito per la durata indicata nell'impegno stesso o nel mandato professionale e comunque fino al 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui è stato rilasciato, salvo revoca espressa da parte del contribuente o del sostituto d'imposta.

 

Il comma 2 contiene la clausola di invarianza finanziaria,  disponendo che le amministrazioni interessate provvedano alle attività relative all’attuazione del presente articolo nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.


 

Articolo 4-quater
(
Semplificazioni in materia di versamento unitario)

 

 

L’articolo 4-quater, introdotto durante l’esame in Commissione, amplia al versamento delle tasse sulle concessioni governative e delle tasse scolastiche l’ambito applicativo del modello di pagamento unificato F24, vale a dire il modulo fiscale con il quale è possibile effettuare il pagamento di molte imposte e tributi previsti dal nostro sistema economico, attraverso il ricorso ai relativi codici tributo.

È inoltre modificata la procedura di versamento e attribuzione del gettito dell’addizionale comunale all’IRPEF, disponendo che Il versamento è effettuato dai sostituti d'imposta cumulativamente per tutti i comuni di riferimento.

L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 7 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

Si ricorda che l’articolo 17, comma 2, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, disciplina la materia del versamento unitario prevedendo che il versamento unitario e la compensazione riguardano i crediti e i debiti relativi:

a) alle imposte sui redditi, alle relative addizionali e alle ritenute alla fonte riscosse mediante versamento diretto ai sensi dell'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602; per le ritenute di cui al secondo comma del citato art. 3 resta ferma la facoltà di eseguire il versamento presso la competente sezione di tesoreria provinciale dello Stato; in tal caso non è ammessa la compensazione;

b) all'imposta sul valore aggiunto dovuta ai sensi degli articoli 27 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e quella dovuta dai soggetti di cui all'art. 74;

c) alle imposte sostitutive delle imposte sui redditi e dell'imposta sul valore aggiunto;

d) all'imposta prevista dall'art. 3, comma 143, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662;

e) ai contributi previdenziali dovuti da titolari di posizione assicurativa in una delle gestioni amministrate da enti previdenziali, comprese le quote associative;

f) ai contributi previdenziali ed assistenziali dovuti dai datori di lavoro e dai committenti di prestazioni di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'art. 49, comma 2, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917;

g) ai premi per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dovuti ai sensi del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124;

h) agli interessi previsti in caso di pagamento rateale ai sensi dell'art. 20;

h-bis) al saldo per il 1997 dell'imposta sul patrimonio netto delle imprese, istituita con decreto-legge 30 settembre 1992, n. 394, e del contributo al Servizio sanitario nazionale di cui all'art. 31 della legge 28 febbraio 1986, n. 41;

h-ter) alle altre entrate individuate con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, e con i Ministri competenti per settore;

h-quater) al credito d'imposta spettante agli esercenti sale cinematografiche;

h-quinquies) alle somme che i soggetti tenuti alla riscossione dell'incremento all'addizionale comunale debbono riversare all'INPS, ai sensi dell'articolo 6-quater del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7.

 

In particolare, il comma 1 dell’articolo in esame estende l’utilizzo del modello F24 al versamento delle tasse sulle concessioni governative e delle tasse scolastiche

Attualmente le tasse in questione sono versate tramite bollettino di conto corrente postale e quindi i cittadini non possono usufruire di modalità di pagamento telematiche e devono produrre l’originale del bollettino pagato all’ente competente al controllo dell’adempimento. L’utilizzo del modello F24 consente di effettuare i pagamenti con modalità telematiche, nonché di introdurre i dati relativi al pagamento delle tasse scolastiche nella dichiarazione precompilata.

 

Il modello F24 deve essere utilizzato da tutti i contribuenti, titolari e non titolari di partita Iva, per il versamento di tributi, contributi e premi. Il modello è definito “unificato” perché permette al contribuente di effettuare con un’unica operazione il pagamento delle somme dovute, compensando il versamento con eventuali crediti. I contribuenti titolari di partita Iva hanno l’obbligo di utilizzare, anche tramite intermediari (professionisti, associazioni di categoria, Caf, ecc.), modalità telematiche di pagamento.

Si ricorda che con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 17 marzo 2016 era stata prevista un’estensione dell’utilizzo del modello F24 a partire dal 1° aprile 2016 per l’imposta sulle successioni, l’imposta ipotecaria, l’imposta catastale, le tasse ipotecarie, l’imposta di bollo, l’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili e i tributi speciali, nonché i relativi accessori, interessi e sanzioni, dovuti in relazione alla presentazione della dichiarazione di successione.

 

Il comma 2 stabilisce che le disposizioni di cui al comma 1 acquistano efficacia a decorrere dal primo giorno del sesto mese successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge ed è applicabile a decorrere dal 2020.

 

Il comma 3 intende sostituire il bollettino di CCP con il modello F24 (articoli 17 e seguenti del d.lgs. n. 241/97), come modalità di versamento dell’IRAP e dell’addizionale regionale all’IRPEF, per alcune tipologie residuali di enti pubblici che non possono utilizzare altre modalità di versamento.

Attualmente le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici effettuano i pagamenti dell’IRAP e dell’addizionale regionale all’IRPEF tramite:

a)   versamento diretto sulle apposite contabilità speciali intestate alle Regioni;

b)   modello “F24 enti pubblici”, se dispongono di un conto aperto presso la Banca d’Italia;

c)   bollettino di conto corrente postale (CCP).

Detti enti già utilizzano il modello F24 (di cui agli articoli 17 e seguenti del d.lgs. n. 241/97) per il versamento della generalità dei tributi e contributi, ma non possono includervi l’IRAP e l’addizionale regionale all’IRPEF, in virtù delle disposizioni di cui all’articolo 1, commi 4 e 6, del decreto interministeriale n. 421 del 1998, che prevedono espressamente l’utilizzo del bollettino di CCP.

Vengono a tal fine modificati i citati commi 4 e 6 dell’articolo 1 del decreto interministeriale n. 421 del 1998.

 

Il comma 4 modifica la procedura di versamento e attribuzione del gettito dell’addizionale comunale all’IRPEF, disponendo cheil versamento è effettuato dai sostituti d'imposta cumulativamente per tutti i comuni di riferimento. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione in esame, sono definite le modalità per l'attuazione del presente comma e per la ripartizione giornaliera, da parte dell'Agenzia delle entrate in favore dei comuni, dei versamenti effettuati dai contribuenti e dai sostituti d'imposta a titolo di addizionale comunale all'IRPEF, avendo riguardo anche ai dati contenuti nelle relative dichiarazioni fiscali.

 

Il comma 5 dispone che alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dall'attuazione dei commi 1, 2 e 3, pari a 1,535 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2020, si provvede mediante corrispondente utilizzo delle maggiori entrate derivanti dal presente decreto.

 

Il comma 6, infine, stabilisce che le amministrazioni interessate provvedono alle attività relative all'attuazione del comma 4 nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

 

 


 

Articolo 4-quinquies
(Semplificazione in tema di Indici sintetici di affidabilità fiscale)

 

 

L’articolo 4-quinquies, introdotto in sede referente, prevede che i contribuenti interessati dall’applicazione degli ISA - indici sintetici di affidabilità fiscale - non debbano dichiarare, a tali fini, dati già contenuti negli altri quadri dei modelli di dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi, fermo restando che il calcolo degli indici di affidabilità viene effettuato sulla base delle variabili contenute nelle Note tecniche e metodologiche approvate con decreto ministeriale.

L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 11 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

 

A tal fine all’articolo 9-bis del decreto legge n. 50 del 2017 è inserito il nuovo comma 4-bis.

Si ricorda che al fine di favorire l'emersione spontanea delle basi imponibili e di stimolare l'assolvimento degli obblighi tributari da parte dei contribuenti e il rafforzamento della collaborazione tra questi e l'Amministrazione finanziaria, anche con l'utilizzo di forme di comunicazione preventiva rispetto alle scadenze fiscali, l’articolo 9-bis del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50, ha previsto l’istituzione degli indici sintetici di affidabilità fiscale per gli esercenti attività di impresa, arti o professioni.

Gli indici, elaborati con una metodologia basata su analisi di dati e informazioni relativi a più periodi d'imposta, rappresentano la sintesi di indicatori elementari tesi a verificare la normalità e la coerenza della gestione aziendale o professionale, anche con riferimento a diverse basi imponibili, ed esprimono su una scala da 1 a 10 il grado di affidabilità fiscale riconosciuto a ciascun contribuente, anche al fine di consentire a quest'ultimo, sulla base dei dati dichiarati entro i termini ordinariamente previsti, l'accesso a uno specifico regime premiale.

Gli indici si applicano a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2018 (comma 931 della legge n. 205 del 2017). Contestualmente all'adozione degli indici cessano di avere effetto, al fine dell'accertamento dei tributi, le disposizioni relative agli studi di settore (articolo 7-bis del decreto legge n. 193 del 2016).

 

Inoltre, si prevede che l’Agenzia delle entrate rende disponibili, ai soggetti esercenti attività di impresa e di lavoro autonomo, i dati in suo possesso utili per l’applicazione degli ISA nell’area riservata del suo sito internet istituzionale.

 

L’articolo prevede che le disposizioni di semplificazione si applicano a partire dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2020.

 

Il comma 2, infine, dispone che alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dall'attuazione dell’articolo, pari a 0,5 milioni di euro per l'anno 2019, si provvede mediante corrispondente utilizzo delle maggiori entrate derivanti dal presente decreto.

 


 

Articolo 4-sexies
(Termini di validità della dichiarazione sostitutiva unica)

 

 

L’articolo 4-sexies, introdotto in Commissione. estende i termini di validità dei dati contenuti nella dichiarazione sostitutiva unica (DSU); in sostanza, a decorrere dal 1° gennaio 2020 la DSU ha validità dal momento della presentazione fino al successivo 31 dicembre (rispetto al vigente 31 agosto). L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 12 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

 

Si ricorda che la dichiarazione sostitutiva unica (DSU) è stata introdotta dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, in materia di definizioni di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate.

Si tratta di un documento che contiene le informazioni di carattere anagrafico, reddituale e patrimoniale necessarie a descrivere la situazione economica del nucleo familiare per la richiesta di prestazioni sociali agevolate.

In particolare ai fini della certificazione Isee (l'indicatore che serve per valutare e confrontare la situazione economica dei nuclei familiari che intendono richiedere una prestazione sociale agevolata) è necessario compilare la dichiarazione sostitutiva unica (DSU), come disciplinata dall’articolo 10 del D.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159 che revisiona le modalità di determinazione e di applicazione dell'Isee, prevedendo tra l’altro, che la dichiarazione va presentata all'Ente che fornisce la prestazione sociale agevolata, o anche al Comune o ad un centro di assistenza fiscale (CAF) o alla sede INPS competente per territorio. La dichiarazione può essere anche presentata direttamente dal richiedente per via telematica sul sito dell'INPS utilizzando il PIN dispositivo.

Si segnala che in relazione alla compilazione della dichiarazione sostituiva unica (DSU), la legge di stabilità 2015 (legge 190/2014), al comma 314, ha ampliato la sfera delle informazioni che gli operatori finanziari sono obbligati a comunicare all'Anagrafe Tributaria, includendovi anche il valore medio di giacenza annuo di depositi e conti correnti bancari.

Più di recente, il DL. 91/2018 (L. 108/2018), in materia di DSU ha posticipato dal 2018 al 2019 l’obbligo di precompilazione da parte dell'INPS, sopprimendo la previsione che, a regime, la modalità precompilata sia l'unica ammessa. Inoltre, viene differita dal 1° settembre 2018 al 1° gennaio 2019 la decorrenza del principio secondo cui una DSU presentata è valida fino al 31 agosto dell'anno successivo (e pertanto, da settembre, i dati sui redditi e i patrimoni devono essere aggiornati, con riferimento all'anno precedente).

 

In dettaglio, l’articolo in esame stabilisce che a decorrere dal 1° gennaio 2020 la DSU ha validità dal momento della presentazione fino al successivo 31 dicembre (rispetto al vigente 31 agosto).

Inoltre in ciascun anno, all'avvio del periodo di validità fissato al 1° gennaio (rispetto all’attuale 1° settembre), i dati sui redditi e i patrimoni presenti in DSU sono aggiornati prendendo a riferimento il secondo anno precedente (rispetto al termine vigente dell’anno precedente).

 

L’articolo, infine, specifica che resta comunque ferma la possibilità di aggiornare i dati prendendo a riferimento i redditi e i patrimoni dell'anno precedente qualora vi sia convenienza per il nucleo familiare.

Le modifiche in commento sono introdotte mediante sostituzione dell’articolo 10, comma 4 del d.lgs. 147 del 2017 per l'introduzione di una misura nazionale di contrasto alla povertà.

 

Per una panoramica della disciplina della dichiarazione sostitutiva unica si rinvia al tema web Riforma ISEE del Servizio studi della Camera dei deputati e alla pagina ISEE del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

 

 


 

Articolo 4-septies
(
Conoscenza degli atti e semplificazione)

 

 

L’articolo 4-septies, introdotto in sede referente, impegna l’Amministrazione finanziaria ad assumere iniziative volte a garantire la diffusione degli strumenti necessari ad assolvere correttamente gli adempimenti richiesti ai contribuenti. Prevede, inoltre, che tale documentazione sia messa a disposizione con congruo anticipo, almeno sessanta giorni prima del termine concesso al contribuente per l’adempimento al quale si riferiscono.

L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 15 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

In particolare, il comma 1, lettera a) sostituisce il comma 3 dell’articolo 6 dello Statuto dei diritti del contribuente (legge n. 212 del 2000), prevedendo che l'amministrazione finanziaria assume iniziative volte a garantire che i modelli di dichiarazione, le relative istruzioni, i servizi telematici, la modulistica e i documenti di prassi amministrativa siano messi a disposizione del contribuente con idonee modalità di comunicazione e pubblicità, almeno sessanta giorni prima del termine assegnato al contribuente per l'adempimento al quale si riferiscono.

 

L’articolo 5, comma 1, della legge 27 luglio 2000 n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), già stabilisce che l’amministrazione finanziaria deve assumere idonee iniziative volte a consentire la completa e agevole conoscenza delle disposizioni legislative e amministrative vigenti in materia tributaria.

 

Viene quindi introdotto un nuovo comma 3-bis al predetto articolo 6, il quale - ricalcando sostanzialmente quanto previsto dal comma 3 vigente - prevede che i modelli e le relative istruzioni devono essere comprensibili anche ai contribuenti sforniti di conoscenze in materia tributaria. L’amministrazione finanziaria deve assicurare che il contribuente possa adempiere le obbligazioni tributarie con il minor numero di adempimenti e nelle forme meno costose e più agevoli (comma 1, lettera b)).

 

Il nuovo comma 3-ter dell’articolo 6 sopra menzionato dispone infine che le amministrazioni interessate provvedono alle attività relative all'attuazione dei commi 3 e 3-bis nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Articolo 4-octies
(Obbligo di invito al contraddittorio)

 

 

L’articolo 4-octies, inserito durante l’esame in Commissione, introduce nell’ambito dell’accertamento fiscale - previsto dal Capo II del decreto legislativo n. 218 del 1997 - un nuovo obbligo per l’Amministrazione finanziaria, che è tenuta ad avviare, necessariamente e nei casi espressamente previsti, un contraddittorio con il contribuente per definire in via amministrativa la pretesa tributaria.

L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 16 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

Parte della giurisprudenza ha riconosciuto l’immanenza del principio del contraddittorio endoprocedimentale nel nostro ordinamento amministrativo e tributario (articolo 7, legge n. 241 del 1990, principi europei e articoli 5, 6, 7, 10, dello Statuto del contribuente).

La Corte di Cassazione sezioni unite, Sentenza 29 luglio 2013, n. 18184, ad esempio, aveva sottolineato che: il contraddittorio procedimentale è andato assumendo, in giurisprudenza e in dottrina (e nella stessa legislazione), proprio con specifico riferimento alla materia tributaria, un valore sempre maggiore, quale strumento diretto non solo a garantire il contribuente, ma anche ad assicurare il migliore esercizio della potestà impositiva, il quale, nell’interesse anche dell’ente impositore, risulterà tanto più efficace, quanto più si rivelerà conformato ed adeguato – proprio in virtù del dialogo tra le parti, ove reso possibile – alla situazione del contribuente, con evidenti riflessi positivi anche in termini di deflazione del contenzioso (se non, ancor prima, nel senso di indurre l’amministrazione ad astenersi da pretese tributarie ritenute alfine infondate).

Si segnala, inoltre, che l’ordinamento vigente già prevede forme di contraddittorio endoprocedimentale, quali quelle attivate mediante inviti a comparire per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento ai sensi dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, inviti a comparire nell’ambito del procedimento di accertamento con adesione di cui agli articoli 5 e 11 del d.lgs. n. 218/1997, richieste di chiarimenti nell’ambito del procedimento di accertamento finalizzato alla contestazione dell’abuso del diritto ai sensi dell’art. 10-bis del 27 luglio 2000, n. 212, inviti a comparire nell’ambito del procedimento di determinazione sintetica del reddito complessivo delle persone fisiche, per fornire dati e notizie rilevanti e ai fini dell’avvio del procedimento di accertamento con adesione ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 (art. 38, settimo comma del D.P.R. n. 600/1973).

 

In particolare il comma 1 del nuovo articolo 5-ter del decreto legislativo n. 218 del 1997 (introdotto dal comma 1, lettera b)) stabilisce che l’ufficio procedente dell’Agenzia delle entrate, fuori dai casi in cui sia stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, prima di emettere un avviso di accertamento, notifica un invito a comparire per l'avvio del procedimento di definizione dell'accertamento.

Viene introdotto pertanto un obbligo generalizzato del contraddittorio prima dell'emissione dell’avviso di accertamento.

 

Si ricorda che in base all’articolo 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 nell’invito a comparire, sono indicati:

a)    i periodi di imposta suscettibili di accertamento;

b)   il giorno e il luogo della comparizione per definire l'accertamento con adesione;

c)    le maggiori imposte, ritenute, contributi, sanzioni ed interessi dovuti;

d)   i motivi che hanno dato luogo alla determinazione delle maggiori imposte, ritenute e contributi di cui alla lettera c).

Si ricorda, inoltre, che in base all’articolo 42 del D.P.R. 29/09/1973, n.600, l'avviso di accertamento, ovvero l’atto mediante il quale l’ufficio notifica formalmente la pretesa tributaria al contribuente a seguito di un’attività di controllo sostanziale, deve recare l'indicazione dell'imponibile o degli imponibili accertati, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute di acconto e dei crediti d'imposta, e deve essere motivato in relazione ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e in relazione a quanto stabilito dalle disposizioni di cui ai precedenti articoli che sono state applicate, con distinto riferimento ai singoli redditi delle varie categorie e con la specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici e delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni.

 

Il comma 2 del richiamato articolo 5-ter dispone che sono esclusi dal procedimento dell'invito obbligatorio gli avvisi di accertamento parziale e gli avvisi di rettifica parziale.

 

Si segnala che l’articolo 41-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, in merito all’accertamento parziale, prevede che gli uffici dell’Agenzia delle entrate, qualora dagli accessi, ispezioni e verifiche risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggior ammontare di un reddito parzialmente dichiarato che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile, possono limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, il reddito od il maggior reddito imponibile. Si tratta dei casi in cui gli uffici hanno il possesso di elementi certi, che non necessitano di una specifica valutazione, ovvero di un’attività istruttoria, da cui desumere errori od omissioni di elementi reddituali.

L’articolo 54, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, decreto IVA, stabilisce che se vi è pericolo per la riscossione dell'imposta l'ufficio può provvedere, prima della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale, all'accertamento delle imposte non versate in tutto o in parte.

 

Il comma 3 prevede che in caso di mancata adesione, l’avviso di accertamento è specificatamente motivato in relazione ai chiarimenti forniti e ai documenti prodotti dal contribuente nel corso del contraddittorio.

 

Il comma 4 introduce una specifica deroga all’obbligo del contraddittorio in tutti i casi di particolare e motivata urgenza e nelle ipotesi di fondato pericolo per la riscossione. In tali casi l’ufficio può notificare direttamente l’avviso di accertamento senza che sia preceduto dall’invito.

 

Il comma 5 dispone che fuori dai casi di cui al comma 4, il mancato avvio del contraddittorio comporta l’invalidità dell’avviso di accertamento qualora, a seguito di impugnazione, il contribuente dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato.

 

Il comma 6 specifica che restano ferme le disposizioni che prevedono la partecipazione del contribuente prima dell’emissione di un avviso di accertamento.

 

Conseguentemente, il comma 1, lettera a), dell’articolo in esame inserisce un nuovo comma all’articolo 5 del decreto legislativo n. 218 del 1997 (comma 3-bis), che introduce una deroga ai termini ordinari di decadenza per la notificazione dell’avviso di accertamento.

La deroga opera per l’avviso preceduto da un invito al contraddittorio di iniziativa dell’ufficio, sia obbligatorio che non, ovvero preceduto da un’istanza del contribuente a seguito di processo verbale.

In tali casi, qualora tra la data di comparizione indicata nell’invito a comparire e quella di decadenza dell'amministrazione dal potere di notificazione dell'atto impositivo intercorrano meno di novanta giorni, il termine di decadenza per la notificazione dell'atto impositivo è automaticamente prorogato, in deroga a quello ordinario, di centoventi giorni.

 

In base all’articolo 43 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, gli avvisi di accertamento relativi alle imposte sui redditi devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.

 

La lettera c) dell’articolo in esame modifica l’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 218 del 1997, aggiungendo che anche nel caso di notifica di un avviso di accertamento preceduto da un invito obbligatorio, ai sensi del nuovo articolo 5-ter, il contribuente non può più formulare, prima della presentazione del ricorso, un’istanza di accertamento con adesione.

 

Il vigente articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, prevede che il contribuente nei cui confronti sia stato notificato avviso di accertamento o di rettifica, non preceduto dall'invito può formulare anteriormente all'impugnazione dell'atto innanzi la commissione tributaria provinciale, istanza in carta libera di accertamento con adesione, indicando il proprio recapito, anche telefonico.

 

Il comma 2 dell’articolo 4-octies in esame stabilisce che le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 si applicano agli avvisi di accertamento emessi dal 1° luglio 2020.

Il comma 3, infine, dispone che le amministrazioni interessate provvedono alle attività relative all'attuazione del presente articolo nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 


 

Articolo 4-novies
(Difesa in giudizio dell'Agenzia delle entrate-Riscossione)

 

 

L’articolo 4-novies, introdotto in sede referente, ha natura interpretativa e chiarisce che al di fuori della tipologia di controversie convenzionalmente riservate alla difesa dell’Avvocatura dello Stato, l'Agenzia delle entrate-Riscossione può avvalersi, anche innanzi alla magistratura tributaria, di proprio personale interno, o di legali del libero foro, selezionati nel rispetto del Codice degli appalti pubblici.

L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 17 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

 

In particolare, l’articolo in esame stabilisce che la disposizione di cui all'articolo 43, comma quarto, del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, si applica esclusivamente nei casi in cui l’Agenzia delle entrate-Riscossione ritenga di non avvalersi dell’Avvocatura dello Stato nelle controversie alla stessa Avvocatura riservate su base convenzionale.

 

Si ricorda che l'articolo 43, comma quarto, del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, stabilisce che l'Avvocatura dello Stato può assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi avanti le Autorità giudiziarie, i Collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali, di amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati, sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato e che salve le ipotesi di conflitto, ove tali amministrazioni ed enti intendano in casi speciali non avvalersi della Avvocatura dello Stato, debbono adottare apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza.

 

In base a quanto disposto dall’articolo in esame, al di fuori della tipologia di controversie convenzionalmente riservate alla difesa dell’Avvocatura dello Stato, l'Agenzia può avvalersi indifferentemente, anche innanzi alla magistratura tributaria, di proprio personale interno o di legali del libero foro, selezionati nel rispetto del Codice degli appalti pubblici, senza dovere adottare apposita motivata delibera.

 

Si ricorda inoltre che l’articolo 1 del decreto legge 22 ottobre 2016, n. 193 recante disposizioni in materia di soppressione di Equitalia e di patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, al comma 8, prevede che l'Agenzia è autorizzata ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato ai sensi del citato 43, fatte salve le ipotesi di conflitto e comunque su base convenzionale. Lo stesso ente può altresì avvalersi, sulla base di specifici criteri definiti negli atti di carattere generale, di avvocati del libero foro, nel rispetto delle previsioni del Codice degli appalti, ovvero può avvalersi ed essere rappresentato, davanti al tribunale e al giudice di pace, da propri dipendenti delegati, che possono stare in giudizio personalmente; in ogni caso, ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici, l'Avvocatura dello Stato, sentito l'ente, può assumere direttamente la trattazione della causa.

 

L’articolo stabilisce altresì che la delibera motivata da sottoporre all’organo di vigilanza non occorre anche nei casi di indisponibilità da parte dell’Avvocatura di assumere il patrocinio dell’Agenzia.

 

 


 

Articolo 4-decies
(Norme di interpretazione autentica
in materia di ravvedimento parziale)

 

L’articolo 4-decies, introdotto in Commissione, intende estendere l’ambito operativo della disciplina del ravvedimento operoso, contenuta nell’articolo 13 del D.Lgs. n. 472 del 1997, recependo in norma primaria alcuni orientamenti già espressi dalla prassi amministrativa in materia di versamento frazionato dell’imposta o versamento “tardivo” dell’imposta frazionata (cd. ravvedimento parziale).

L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 23 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

 

A tal fine è introdotto nel D.Lgs. n. 472 del 1997 un nuovo articolo 13-bis.

Il primo periodo del comma 1 del nuovo articolo reca una norma interpretativa, con efficacia dunque retroattiva, ai sensi della quale l’istituto del ravvedimento operoso si applica anche nei casi di versamento frazionato delle imposte dovute, purché il versamento della parte dell’imposta e delle sanzioni e interessi sia effettuato nei termini di legge per avvalersi del ravvedimento (indicati all’articolo 13, comma 1 del richiamato D.Lgs. n. 472 del 1997)

 

In sintesi, l’istituto del ravvedimento operoso, disciplinato dall’articolo 13 del D.Lgs. n. 472 del 1997 consente di regolarizzare omessi o insufficienti versamenti e altre irregolarità fiscali beneficiando della riduzione delle sanzioni. Con le modifiche introdotte dalla legge di stabilità 2015 sono stati eliminati alcuni vincoli legislativi al ravvedimento operoso, che influivano sulla tempistica e sulle condizioni per l’accesso all’istituto: detti limiti non operano più e, dunque, oggi il ravvedimento è inibito solo dalla notifica degli atti di liquidazione e di accertamento (comprese le comunicazioni da controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni).

Gli errori, le omissioni e i versamenti carenti possono essere regolarizzati eseguendo spontaneamente il pagamento:

§  dell’imposta dovuta;

§  degli interessi, calcolati al tasso legale annuo dal giorno in cui il versamento avrebbe dovuto essere effettuato a quello in cui viene effettivamente eseguito;

§  della sanzione in misura ridotta.;

La sanzione ridotta è pari (articolo 13, comma 1, rispettivamente lettere a), a-bis), b), b-bis), b-ter), b-quater) e c)):

§  a 1/10 di quella ordinaria nei casi di mancato pagamento del tributo o di un acconto, se esso viene eseguito nel termine di trenta giorni dalla data di scadenza;

§  a 1/9 del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il novantesimo giorno successivo al termine per la presentazione della dichiarazione, oppure, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro novanta giorni dall'omissione o dall'errore;

§  a 1/8 del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è stata commessa la violazione, oppure, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall'omissione o dall'errore;

§  a 1/7 del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione oppure, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro due anni dall'omissione o dall'errore;

§  a 1/6 del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene oltre il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione, oppure, quando non è prevista dichiarazione periodica, oltre due anni dall'omissione o dall'errore;

§  a 1/5 del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene dopo la constatazione della violazione (ai sensi dell'articolo 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4), salvo nei casi di mancata emissione di ricevute fiscali, scontrini fiscali o documenti di trasporto o di omessa installazione degli apparecchi per l'emissione dello scontrino fiscale);

§  a 1/10 del minimo di quella prevista per l'omissione della presentazione della dichiarazione, se questa viene presentata con ritardo non superiore a novanta giorni, oppure a 1/10 del minimo di quella prevista per l'omessa presentazione della dichiarazione periodica prescritta in materia di imposta sul valore aggiunto, se questa viene presentata con ritardo non superiore a trenta giorni.;

Il decreto legislativo n. 158/2015 ha modificato la normativa sulle sanzioni per ritardati od omessi versamenti, prevedendo la riduzione alla metà della sanzione ordinaria per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 90 giorni dalla scadenza. In tali casi, quindi, la sanzione passa dal 30 al 15 per cento.

 Un’ulteriore riduzione della sanzione è prevista per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 15 giorni. In tali casi la sanzione del 15 per cento è ulteriormente ridotta a 1/15 per ogni giorno di ritardo (1 per cento).  In ogni caso, il pagamento e la regolarizzazione non precludono l'inizio o la prosecuzione di accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di controllo e accertamento.

Sull’istituto la prassi amministrativa è intervenuta a più riprese. In particolare l’Agenzia delle entrate, con la risoluzione n. 67/E del 23 giugno 2011, ha operato una distinzione tra rateazione delle somme da ravvedimento e ravvedimento parziale.

L’Agenzia ha escluso che la rateazione possa applicarsi all’istituto del ravvedimento operoso, in quanto si tratta di una modalità di pagamento dilazionato nel tempo di somme dovute dal contribuente, applicabile solo ove normativamente prevista, ed in presenza di presupposti e secondo regole puntualmente disciplinate. In particolare, non è ammissibile che il ravvedimento della violazione si perfezioni con il versamento della cosiddetta “prima rata” di quanto “complessivamente” dovuto a titolo di imposta, interessi e sanzioni, e che il contribuente possa, quindi, beneficiare della riduzione complessiva delle sanzioni applicabili anche quando i versamenti delle rate successive siano effettuati oltre i termini ultimi normativamente previsti.

La predetta circolare del 2011 ha invece consentito il ravvedimento parziale di quanto originariamente e complessivamente dovuto: ai fini del perfezionamento del ravvedimento “parziale”, è necessario che siano corrisposti interessi e sanzioni commisurati alla frazione del debito d’imposta versato tardivamente. Il limite all’effettuazione di tali ravvedimenti scaglionati è rappresentato dall’intervento di controlli fiscali nei confronti del contribuente ovvero dallo scadere del termine per il ravvedimento.

 

Il secondo periodo del comma 1 del nuovo articolo 13-bis  prevede che, ove l’imposta dovuta sia versata in ritardo, e il ravvedimento, con il versamento della sanzione e degli interessi, intervenga successivamente, la sanzione applicabile corrisponde a quella riferita all’integrale tardivo versamento e gli interessi sono dovuti per l’intero periodo di ritardo; la riduzione in caso di ravvedimento è riferita al momento di perfezionamento dello stesso.

Il terzo periodo prevede che, nel caso di versamento tardivo dell’imposta frazionata in scadenze differenti, al contribuente è consentito:

§   ravvedere autonomamente i singoli versamenti, con le riduzioni di cui al precedente periodo;

§  ravvedere il versamento complessivo, applicando alla sanzione la riduzione individuata in base alla data in cui la stessa è regolarizzata.

 

La Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 42/E del 12 ottobre 2016 ha fornito chiarimenti sulla determinazione della sanzione in misura ridotta, ove il ricorso al ravvedimento avvenga successivamente al versamento tardivo del tributo.

Sebbene l’istituto del ravvedimento si perfezioni (anche parzialmente) solo all’esito di un procedimento complesso, consistente sia nella regolarizzazione del comportamento (versamento del tributo), sia nel versamento delle sanzioni, sia nel versamento degli interessi, non è necessario - a parere dell’Agenzia - che ciò avvenga in un unico momento, potendo il versamento della sanzione ridotta essere successivo a quello del versamento del tributo e/o degli interessi. Ai fini della determinazione della riduzione disposta dall’articolo 13, rileva il momento in cui la sanzione è effettivamente regolarizzata; nelle more della definizione, il contribuente accetta il rischio di incorrere nella notifica di un atto di liquidazione o di accertamento ciò che impedirebbe il perfezionamento dell’istituto e, quindi, il beneficio della riduzione sanzionatoria.

Applicando tali principi al caso in cui si assiste a un tardivo (ad esempio 20 giorni) ma integrale versamento del tributo dovuto, senza alcuna corresponsione di sanzioni e interessi, alla luce del tenore dell’articolo 13 del D.lgs. n. 472 del 1997, l’Agenzia ha chiarito che:

§  la sanzione applicabile è quella in cui “ricade” l’integrale tardivo versamento (nel caso ipotizzato la sanzione del 15 per cento disposta 20 dall’articolo 13 del D.lgs. n. 471 del 1997 - sanzione del 30 per cento ridotta alla metà);

§  gli interessi moratori sono dovuti per il periodo del ritardo (venti giorni);

§  la riduzione sanzionatoria applicabile è riferita al momento in cui si perfeziona il ravvedimento (cfr circolare n. 180 del 1998);

§  se, medio tempore, è notificato un atto di liquidazione o di accertamento, il contribuente che non abbia versato ancora sanzioni e interessi perde la possibilità di avvalersi dell’istituto.

Dunque il momento rilevante per valutare la riduzione sanzionatoria da ravvedimento (anche parziale) in concreto applicabile è quello in cui la sanzione viene regolarizzata, ossia quando la stessa viene versata.

 

Infine il comma 2 dell’articolo in commento prevede che le disposizioni del presente articolo si applicano ai soli tributi amministrati dall'Agenzia delle entrate.?

 


 

Articolo 5, commi 1-5
(
Rientro dei cervelli)

 

 

I commi da 1 a 5 dell’articolo 5, modificati in sede referente, interviengono sulle agevolazioni in favore dei lavoratori impatriati e dei docenti e ricercatori che rientrano in Italia, al fine di ampliarne l’ambito applicativo e di chiarire l’operatività dei requisiti richiesti ex lege per l’attribuzione dei relativi benefici fiscali.

In particolare, per quanto riguarda gli impatriati, con riferimento ai soggetti che trasferiscono la residenza in Italia a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto (in sostanza, dall’anno 2020):

§  si incrementa dal 50 al 70 per cento la riduzione dell’imponibile;

§  si semplificano le condizioni per accedere al regime fiscale di favore;

§  si estende il regime di favore anche ai lavoratori che avviano un’attività d’impresa a partire dal periodo d’imposta in corso al 1° gennaio 2020;

§  si introducono maggiori agevolazioni fiscali per ulteriori 5 periodi d’imposta in presenza di specifiche condizioni (numero di figli minorenni, acquisto dell’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, trasferimento della residenza in regioni del Mezzogiorno).

Con riferimento ai docenti e ricercatori che trasferiscono la residenza in Italia a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto (in sostanza, dall’anno 2020):

§  si incrementa da 4 a 6 anni la durata del regime di favore fiscale;

§  si prolunga la durata dell’agevolazione fiscale a 8, 11 e 13 anni, in presenza di specifiche condizioni (numero di figli minorenni e acquisto dell’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia).

Con le modifiche apportate in Commissione è stata introdotta una deroga per i redditi degli sportivi professionisti impatriati, che rimangono detassati al 50 per cento, in luogo del 70 per cento. Inoltre, a tali soggetti non si applicano la maggiorazione dell’agevolazione spettante ai lavoratori impatriati che si trasferiscono nel Mezzogiorno, né la maggiorazione prevista in caso di più figli a carico. Infine, l’applicazione del regime agevolato degli sportivi professionisti viene subordinata al versamento di un contributo pari allo 0,5 per cento dell’imponibile.


 

L’articolo 16 del D.Lgs. n. 147 del 2015 (modificato dalla legge di stabilità 2016, dalla legge di bilancio 2017, dal decreto-legge n. 244 del 2016, dal decreto-legge n. 50 del 2017 e dal decreto-legge n. 148 del 2017) ha inteso disciplinare compiutamente la materia del rientro dei lavoratori all’estero, in particolare concedendo una agevolazione fiscale temporanea ai lavoratori che, non essendo stati residenti in Italia nei cinque periodi di imposta precedenti e impegnandosi a permanere in Italia per almeno due anni, trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato.

Per questi soggetti il reddito di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotto concorre alla formazione del reddito complessivo IRPEF nella misura del cinquanta per cento del proprio ammontare. Per i lavoratori dipendenti, si richiede che l’attività lavorativa sia prestata prevalentemente nel territorio italiano e sia svolta presso un’impresa residente nel territorio dello Stato in forza di un rapporto di lavoro instaurato con questa o con società che direttamente o indirettamente controllano la medesima impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa. Detti lavoratori devono inoltre rivestire ruoli direttivi ovvero essere in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.

Per i lavoratori autonomi non si richiede la presenza di un rapporto di lavoro con un’impresa residente, né lo svolgimento di ruoli direttivi o il possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.

L’agevolazione si applica a decorrere dal periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza nel territorio dello Stato e per i quattro periodi successivi. Per i lavoratori autonomi essa si applica dal 1° gennaio 2017.

L’agevolazione si estende anche ai cittadini di Stati, diversi da quelli appartenenti all’Unione europea, con i quali sia in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito ovvero un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, in possesso di un titolo di laurea, che hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi ventiquattro mesi, ovvero che hanno svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi ventiquattro mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.

L’articolo 16, comma 4, prevede che i lavoratori rientrati in Italia col beneficio della parziale detassazione IRPEF disposta della legge 30 dicembre 2010, n. 238, ove trasferiti entro il 31 dicembre 2015, applicano per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2016 e per quello successivo il regime disposto dalla legge n. 238/2010, nei limiti e alle condizioni indicati dalla legge stessa.

Si ricorda che l’agevolazione della legge n. 238/2010 consiste nella parziale detassazione IRPEF dei redditi di lavoro dipendente, autonomo o d’impresa; tali redditi concorrono alla base imponibile nella misura, rispettivamente, del 20 per cento per le lavoratrici e del 30 per cento per i lavoratori (con detassazione rispettivamente dell’ottanta e del settanta per cento).

In alternativa, essi possono optare per il regime previsto dall’illustrato articolo 16 del D.Lgs. 147/2015. La circolare 23 maggio 2017 dell’Agenzia delle Entrate (cap. 3.5), in merito all’articolo 16, comma 4, ha chiarito che coloro che optano per il regime previsto dall’articolo 16 del D.Lgs. n. 147 del 2015 beneficiano della parziale imponibilità del reddito derivante da lavoro dipendente, da attività di lavoro autonomo o d’impresa, per cinque periodi d’imposta, quindi a partire dal 2016 e fino al 2020. Sul punto è intervenuto l’articolo 8-bis, comma 1 del decreto-legge n. 148 del 2017; esso ha precisato che l’esercizio dell’opzione di cui al comma 4 ha effetto limitatamente al triennio 2017-2020 e non anche per il periodo d’imposta 2016, nel quale si applica la precedente disciplina di cui alla menzionata legge n. 238 del 2010.

Si rammenta inoltre che la legge di bilancio 2017 ha chiarito che l’innalzamento al cinquanta per cento della quota di reddito esente da IRPEF si applica, per i periodi d’imposta dal 2017 al 2020, anche ai lavoratori dipendenti che, nell’anno 2016, hanno trasferito la residenza nel territorio dello Stato (ai sensi dell’articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi, TUIR, di cui al D.P.R. n. 917 del 1986) e ai soggetti che, nel medesimo anno 2016, hanno esercitato la predetta opzione di cui al comma 4 dell’articolo 16.

Il comma 7-bis del decreto-legge n. 50 del 2017, con una norma di interpretazione autentica, ha chiarito che i soggetti che si sono trasferiti in Italia entro il 31 dicembre 2015 (per utilizzare i benefici fiscali previsti dalla legge n. 238 del 2010) e che hanno successivamente optato per il regime agevolativo previsto per i lavoratori rimpatriati (ai sensi del D.Lgs. n. 147 del 2015) decadono dal beneficio fiscale nel caso in cui la residenza in Italia non sia mantenuta per almeno due anni. In tal caso si provvede al recupero dei benefici fruiti, con applicazione delle relative sanzioni e interessi.

 

L'articolo 44 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 reca un'agevolazione fiscale – ai fini IRPEF ed IRAP – diretta ad incentivare il rientro in Italia di docenti e ricercatori residenti all'estero per esercitarvi la loro attività lavorativa. In particolare, il citato articolo 44, al comma 1, prevede che ai fini delle imposte sui redditi sia escluso dalla formazione del reddito di lavoro dipendente o autonomo il novanta per cento degli emolumenti percepiti dai docenti e dai ricercatori che, in possesso di titolo di studio universitario o equiparato e non occasionalmente residenti all'estero, abbiano svolto documentata attività di ricerca o docenza all'estero presso centri di ricerca pubblici o privati o università per almeno due anni continuativi e che vengono a svolgere la loro attività in Italia, acquisendo conseguentemente la residenza fiscale nel territorio dello Stato.

La misura agevolativa è stata oggetto di esame da parte dell'Agenzia delle entrate con la circolare n. 4/E del 15 febbraio 2011 nella quale, al paragrafo 21, è stato precisato che l'agevolazione trova applicazione nei confronti dei ricercatori o docenti che si trovano nelle seguenti condizioni:

- siano in possesso di un titolo di studio universitario o ad esso equiparato;

- non siano occasionalmente residenti all'estero;

- abbiano svolto documentata attività di ricerca o docenza all'estero presso centri di ricerca pubblici o privati o università per almeno due anni continuativi;

- acquisiscano e mantengano la residenza fiscale in Italia per tutto il periodo in cui usufruiscono dell'agevolazione.

 

Con l’interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01717 sono stati richiesti al Governo chiarimenti in merito ai requisiti per fruire dell’agevolazione prevista dall’articolo 44 del decreto-legge n. 78 del 2010. Si è in particolare fatto riferimento alla Circolare interpretativa emanata dall'Agenzia delle entrate del 23 maggio 2017, n. 17/E che, in proposito, ha precisato che l'agevolazione fiscale in esame spetta solo ai ricercatori iscritti all'AIRE, seppure in presenza di tutti i requisiti sostanziali atti a dimostrare la residenza fiscale all'estero e degli altri requisiti previsti per la fruizione dell'agevolazione.

Il Governo, nella risposta all’interrogazione, ha ricordato che la predetta agevolazione spetta a coloro che, in presenza dei menzionati requisiti di legge, acquisiscano e mantengano la residenza fiscale in Italia per tutto il periodo in cui usufruiscono dell'agevolazione: la norma fa espresso riferimento all'acquisizione della residenza fiscale in Italia ai sensi dell'articolo 2 del TUIR e che l'agevolazione è applicabile nel periodo di imposta in cui il docente o ricercatore acquista la residenza in Italia e nei tre periodi di imposta successivi, a condizione che acquisti e mantenga la residenza fiscale in Italia per tutto il periodo in cui usufruisce dell'agevolazione (circolare n. 4/E del 2011).

Il Governo ha altresì ricordato come la Circolare n. 17/E del 23 maggio 2017 ha fornito più ampi chiarimenti con riferimento all'applicazione dei vari regimi agevolativi previsti per le persone fisiche che rientrano in Italia, tra i quali quello previsto dall'articolo 44 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, per docenti e ricercatori In particolare, confermando l'orientamento già espresso con la precedente circolare n. 4/E del 2011, così come per la fruizione delle altre forme agevolative, si richiede che prima del trasferimento nel territorio dello Stato la persona fisica abbia mantenuto la residenza fiscale all'estero per un periodo di tempo minimo, variabile a seconda dell'agevolazione interessata. In particolare, nell'individuare i soggetti che possono beneficiare degli incentivi, diverse norme (tra cui l’articolo 44 in parola) richiedono che questi trasferiscano la residenza in Italia ai sensi dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR). Il richiamo al TUIR implica che debba farsi riferimento al concetto di residenza valido ai fini reddituali. Il citato articolo 2, al comma 2, considera residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d'imposta, cioè per almeno 183 giorni (o 184 giorni in caso di anno bisestile), sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. Le condizioni indicate sono tra loro alternative; pertanto, la sussistenza anche di una sola di esse è sufficiente a far ritenere che un soggetto sia qualificato, ai fini fiscali, residente in Italia. Tenuto conto della rilevanza del solo dato dell'iscrizione nell'anagrafe della popolazione residente, il soggetto che non si è mai cancellato da tale registro non può essere ammesso alle agevolazioni in esame. Come riferito dal Governo ciò implica, per i docenti o ricercatori italiani che fanno rientro nel Paese, che la mancata cancellazione dall'Anagrafe della popolazione residente nel periodo antecedente il trasferimento della residenza fiscale preclude l'accesso all'agevolazione, legittimando, in conformità delle norme vigenti ed alla luce della prassi emanata, il recupero del beneficio fiscale eventualmente fruito.

 

Le norme in commento (comma 1, lettera a) dell’articolo 5) sostituiscono integralmente il comma 1 del richiamato articolo 16 del D.Lgs. n. 147 del 2015, ricomprendendo nell’agevolazione anche i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.

 

Viene inoltre incrementata dal 50 al 70 per cento la percentuale di riduzione dell’imponibile di cui godono i lavoratori impatriati.

Sono poi modificate le condizioni alle quali si applica il regime di favore: è sufficiente che i lavoratori non siano stati residenti in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il predetto trasferimento, che si impegnino a risiedere in Italia per almeno due anni, e che l’attività lavorativa sia prestata prevalentemente nel territorio italiano.

In sostanza, vengono dunque eliminate per tutti i lavoratori impatriati che godono dell’agevolazione le seguenti due condizioni:

§  che l’attività lavorativa sia svolta presso un'impresa residente nel territorio dello Stato in forza di un rapporto di lavoro instaurato con questa o con società che direttamente o indirettamente controllano la medesima impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa;

§  che i lavoratori rivestano ruoli direttivi, ovvero sono in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.

 

Viene poi sostituito (comma 1, lettera b)) il vigente comma 1-bis dell’articolo 16, il quale nella formulazione previgente disapplicava ai lavoratori autonomi le due condizioni eliminate dalla lettera a)).

Al riguardo si segnala che l’Agenzia delle entrate in via interpretativa (cfr. da ultimo la circolare n. 17/E del 23 maggio 2017) ha introdotto la possibilità di applicare il regime agevolativo anche ai redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente. La medesima circolare dell’Agenzia precisa inoltre che è ammesso al beneficio, oltre al lavoratore che si trasferisce in Italia per essere assunto da un’impresa italiana, anche il lavoratore che si trasferisce in Italia per prestare la propria attività presso una stabile organizzazione di una impresa estera della quale è già dipendente, nonché il lavoratore distaccato in Italia in forza di un rapporto di lavoro instaurato all’estero con una società collegata alla società italiana sulla base dei rapporti previsti dalla norma.

 

La lettera b), nel novellare il richiamato comma 1-bis dell’articolo 16, dispone che le menzionate agevolazioni si estendano ai redditi d'impresa prodotti dai lavoratori impatriati, se avviano un'attività d'impresa in Italia a partire dal periodo d'imposta in corso al 1° gennaio 2020.

Le disposizioni trovano applicazione anche per i soggetti di cui all’articolo 16, comma 2, del D.Lgs. n. 147 del 2015: si tratta dei cittadini UE destinatari del previgente regime fiscale per l’incentivo al rientro dei lavoratori (di cui alla legge 30 dicembre 2010, n. 238), nonché dei cittadini di Stati non UE, con i quali sia in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito ovvero un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, in possesso di un diploma di laurea, che hanno svolto continuativamente un'attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall'Italia negli ultimi ventiquattro mesi ovvero che hanno svolto continuativamente un'attività di studio fuori dall'Italia negli ultimi ventiquattro mesi o più, conseguendo un diploma di laurea o una specializzazione post lauream.

 

La lettera c) introduce il comma 3-bis all’articolo 16.

Le norme introdotte estendono i benefici fiscali per i lavoratori impatriati, come modificati dalle norme in esame, per ulteriori cinque periodi di imposta:

§  se i lavoratori hanno almeno un figlio minorenne o a carico, anche in affido preadottivo;

§  se i lavoratori diventano proprietari di almeno un'unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, successivamente al trasferimento in Italia o nei dodici mesi precedenti al trasferimento; l'unità immobiliare può essere acquistata in Italia o nei dodici mesi precedenti al trasferimento e può essere acquistata direttamente dal lavoratore oppure dal coniuge, dal convivente o dai figli, anche in comproprietà.

In entrambi i casi, per il periodo di prolungamento dell’agevolazione, essa consiste nella detassazione a metà dei redditi oggetto del beneficio fiscale (che sono assoggettati dunque a imposta per il cinquanta per cento del loro ammontare).

 

Per i lavoratori che abbiano almeno tre figli minorenni o a carico, anche in affido preadottivo, durante il periodo di prolungamento i redditi agevolabili sono detassati al novanta per cento (concorrono a formare l’imponibile per il dieci per cento del loro ammontare).

 

La lettera d) del comma 1, nell’introdurre il comma 5-bis all’articolo 16, eleva dal 70 al 90 per cento la percentuale di detassazione del reddito (dunque solo il 10 per cento concorre a formare l’imponibile) per i lavoratori impatriati che trasferiscono la residenza in una delle seguenti regioni: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia.

Viene aggiunto anche un nuovo comma 5-ter all’articolo 16, che permette ai cittadini italiani non iscritti all'AIRE (Anagrafe degli italiani residenti all'estero) rientrati in Italia a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019, di accedere ai benefici fiscali per i lavoratori impatriati come modificati dalle norme in esame, purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi per il periodo nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento in Italia.

Le norme in esame chiariscono che, con riferimento ai periodi d’imposta per i quali siano stati notificati atti impositivi ancora impugnabili ovvero oggetto di controversie pendenti in ogni stato e grado del giudizio, nonché per i periodi d’imposta per i quali non sono decorsi i termini di accertamento delle imposte sui redditi (di cui all’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600), ai cittadini italiani non iscritti all’AIRE rientrati in Italia entro il 31 dicembre 2019 spettano i benefici fiscali di cui alle norme in parola, ma nel testo vigente al 31 dicembre 2018, purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi per il periodo di cui al, comma 1, lettera a).

Non si fa luogo, in ogni caso, al rimborso delle imposte versate in adempimento spontaneo.

 

Nel corso dell’esame in Commissione sono stati introdotti all’articolo 16 del d.lgs. n. 147 del 2015 i nuovi commi 5-quater e 5-quinquies.

Il comma 5-quater deroga alla suesposta disciplina agevolativa, sottoponendo a detassazione per il 50 per cento (in luogo del 70 per cento) il reddito degli sportivi professionisti impatriati ed escludendo, per tali soggetti le seguenti maggiorazioni:

§  quella disposta (comma 5-bis, introdotto dal provvedimento in esame) per i lavoratori impatriati che trasferiscono la residenza nel Mezzogiorno (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia);

§  quella spettante (ai sensi del quarto periodo del comma 3-bis, anch’esso introdotto dal provvedimento in commento) nel caso di almeno tre figli minorenni o a carico .

Il comma 5-quinquies subordina l’applicazione del regime fiscale degli sportivi professionisti impatriati, di cui al comma 5-quater, all’applicazione di un contributo pari allo 0,5 per cento dell’imponibile.

Le entrate derivanti dal predetto contributo sono versate in apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnate a un capitolo da istituire nello stato di previsione del MEF, per il successivo trasferimento nel bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri allo scopo di potenziare i settori giovanili. Si affida a un DPCM, su proposta dell’Autorità di Governo delegata per lo Sport e di concerto con il MEF, l’individuazione delle relative modalità di attuazione.

 

Il comma 2 dell’articolo 5 del provvedimento in esame prevede che si applicano ai soggetti che trasferiscono la residenza in Italia - ai sensi dell’articolo 2 TUIR - a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, le nuove norme:

§  sulle percentuali di agevolazione dei redditi e sulle condizioni per l’accesso al beneficio;

§  sulle agevolazioni per le nuove attività di impresa;

§  sul prolungamento del beneficio in presenza di figli o di acquisto immobili residenziali;

§  sull’ampliamento del beneficio nelle regioni del Mezzogiorno.

 

Il comma 3 chiarisce che il regime fiscale agevolativo per ricercatori e docenti residenti all'estero e che desiderano rientrare in Italia si applica nel rispetto della disciplina generale dei cd. aiuti de minimis, contenuta nel regolamento (UE) n. 1407/2013, nonché nel rispetto di quella specifica, stabilita nel regolamento (UE) n. 717/2014, sugli aiuti de minimis nel settore della pesca e dell'agricoltura.

 

Il comma 4 apporta significative modifiche alla disciplina degli incentivi fiscali volti a incoraggiare il rientro in Italia di docenti e ricercatori residenti all'estero per esercitarvi la loro attività lavorativa, di cui al già illustrato articolo 44 del decreto-legge n. 78 del 2010.

 

La lettera a) del comma 4 novella il citato articolo 44, comma 3, per allungare la durata dell’agevolazione.

Con le modifiche proposte, essa si applica nel periodo d'imposta in cui il ricercatore diviene fiscalmente residente nel territorio dello Stato e nei cinque periodi d'imposta successivi, in luogo dei vigenti tre.

 

La lettera b) del comma 4 aggiunge in primo luogo il comma 3-ter all’articolo 44, al fine di prolungare l’agevolazione per casi specifici.

Essa si estende ai sette periodi d'imposta successivi al trasferimento di residenza, sempre che permanga la residenza fiscale in Italia, nel caso di:

§  docenti o ricercatori con un figlio minorenne o a carico, anche in affido preadottivo;

§  docenti e ricercatori che diventino proprietari di almeno un'unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, successivamente al trasferimento in Italia della residenza ai sensi dell'articolo 2 del TUIR o nei dodici mesi precedenti al trasferimento; l'unità immobiliare può essere acquistata direttamente dal docente e ricercatore oppure dal coniuge, dal convivente o dai figli, anche in comproprietà.

Per i docenti e ricercatori che abbiano almeno due figli minorenni o a carico, anche in affido preadottivo, le disposizioni agevolative si estendono ai dieci periodi d'imposta successivi a quello di trasferimento, sempre che permanga la residenza fiscale nel territorio dello Stato.

Ove i docenti o ricercatori abbiano almeno tre figli minorenni o a carico, anche in affido preadottivo, le agevolazioni si prolungano ai dodici periodi d'imposta successivi.

 

La medesima lettera b) del comma 4 aggiunge un comma 3-quater all’articolo 44, al fine di chiarire le modalità di fruizione dell’agevolazione per i soggetti non iscritti all'AIRE.

Ove si tratti di docenti e ricercatori rientrati in Italia a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019, essi possono accedere ai benefici fiscali di cui all’articolo 44, come modificato, purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento in Italia (periodo di cui all'articolo 16, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147).

Con riferimento ai periodi d’imposta in cui siano stati notificati atti impositivi ancora impugnabili ovvero che siano oggetto di controversie pendenti nonché con riferimento ai periodi d’imposta ancora accertabili, ai docenti e ricercatori italiani non iscritti all’AIRE rientrati in Italia entro il 31 dicembre 2019 spettano i benefici fiscali dell’articolo 44 nel testo vigente al 31 dicembre 2018, ovvero non modificato dalle norme in esame, a condizione che abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento in Italia (periodo di cui all'articolo 16, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147). Non si fa luogo, in ogni caso, al rimborso delle imposte versate in adempimento spontaneo.

 

Infine, il comma 5 dell’articolo 5 dispone che le modifiche volte ad allungare la durata dell’agevolazione (comma 4, lettere a) e b)) si applicano ai soggetti che trasferiscono la residenza in Italia a partire a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto in esame.


 

Articolo 5, comma 5-bis
(Ricercatori universitari)

 

 

Il comma 5-bis dell’articolo 5, introdotto nel corso dell’esame in Commissione, estende anche ai contratti per ricercatori universitari a tempo determinato di tipo B la possibilità di prevedere il regime di tempo definito, finora possibile solo per i contratti per ricercatori universitari a tempo determinato di tipo A.

A tal fine, novella l’art. 24, co. 4, della L. 240/2010.

 

L’art. 24, co. 3, della L. 240/2010 – come modificato, da ultimo, dall’art. 1, co. 338, lett. b), della L. 232/2016 (L. di bilancio 2017) – ha individuato due tipologie di contratti di ricerca a tempo determinato. La prima (lett. a)) consiste in contratti di durata triennale, prorogabili per due anni, per una sola volta, previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte (RtD di tipo A). La seconda (lett. b)) consiste in contratti triennali, rinnovabili, riservati a candidati che hanno usufruito dei contratti di tipo A, o che hanno conseguito l’abilitazione scientifica nazionale (ASN), o che sono in possesso del titolo di specializzazione medica, ovvero che, per almeno tre anni anche non consecutivi, hanno usufruito di assegni di ricerca o di borse post-dottorato, oppure di contratti, assegni o borse analoghi in università straniere (nonché, ai sensi dell’art. 29, co. 5, della medesima L. 240/2010, a candidati che hanno usufruito per almeno 3 anni di contratti a tempo determinato stipulati in base all’art. 1, co. 14, della L. 230/2005) (RtD di tipo B).

In base al co. 4 del medesimo art. 24, i contratti di tipo A possono prevedere il regime di tempo pieno o di tempo definito, mentre i contratti di tipo B possono essere stipulati esclusivamente con regime di tempo pieno. L’impegno annuo complessivo per lo svolgimento delle attività di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti è pari a 350 ore per il regime di tempo pieno e a 200 ore per il regime a tempo definito.


 

Articolo 5-bis
(Imposta sostitutiva per titolari di pensione estera trasferiti
nei piccoli comuni del Mezzogiorno)

 

 

L’articolo 5-bis, introdotto in sede referente, modifica il regime fiscale opzionale, che prevede l’applicazione di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF con aliquota al 7 per cento, introdotto dalla legge di bilancio 2019 per i titolari di pensione erogata da fonte estera che trasferiscono la residenza dall’estero nei piccoli comuni del Mezzogiorno.

Le norme in esame:

§  espungono i redditi percepiti da fonte estera, allo scopo di circoscrivere il perimetro dell’agevolazione;

§  allungano da cinque a nove periodi di imposta la validità dell’opzione;

§  consentono di mantenere valida l’opzione anche in caso di versamento tardivo dell’imposta sostitutiva.

 

Introdotto dall’articolo 1, comma 273 e 274 della legge n. 145 del 2019, detto regime opzionale consente alle persone fisiche titolari dei redditi da pensione, erogati da soggetti esteri, ove trasferiscano in Italia la propria residenza in uno dei comuni appartenenti al territorio del Mezzogiorno - con popolazione non superiore ai 20.000 abitanti- di assoggettare i propri redditi di qualunque categoria, percepiti da fonte estera o prodotti all'estero, a una imposta sostitutiva dell’IRPEF con aliquota del 7 per cento, calcolata in via forfettaria, per ciascuno dei periodi di imposta di validità dell'opzione.

A tal fine, è stato inserito nel D.P.R. n. 917 del 1986 (Testo unico delle imposte sui redditi - TUIR) un nuovo articolo 24-ter. Ferma restando l'opzione per l'imposta sostitutiva sui redditi prodotti all'estero realizzati da persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia, già disposta dall'articolo 24-bis del TUIR, il comma 1 del nuovo articolo 24-ter introduce un regime opzionale per le persone fisiche titolari dei redditi da pensione di ogni genere e assegni a esse equiparati erogati da soggetti esteri, che trasferiscono in Italia la propria residenza in uno dei comuni appartenenti al territorio del Mezzogiorno, con popolazione non superiore ai 20.000 abitanti. Essi come anticipato possono optare per l'assoggettamento dei redditi di qualunque categoria, percepiti da fonte estera o prodotti all'estero, a una imposta sostitutiva, calcolata in via forfettaria, con aliquota del 7 per cento per ciascuno dei periodi di imposta di validità dell'opzione.

Il trasferimento della residenza è definito mediante riferimento all'articolo 2, comma 2, del TUIR, per cui si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile (articolo 43). I comuni (con popolazione non superiore ai 20.000 abitanti) appartenenti al territorio del Mezzogiorno sono quelli situati nelle regioni Sicilia, Calabria, Sardegna, Campania, Basilicata, Abruzzo, Molise e Puglia. 

Per quanto riguarda i redditi percepiti da fonte estera o prodotti all'estero, la norma fa riferimento ai criteri di cui all'articolo 165, comma 2, del TUIR, secondo cui i redditi si considerano prodotti all'estero sulla base di criteri reciproci a quelli previsti dall'articolo 23 del medesimo testo unico per individuare quelli prodotti nel territorio dello Stato ai fini dell'applicazione dell'imposta nei confronti dei non residenti.

 

Per effetto dei commi 2, 4 e 5 dell'articolo 24-ter, l'opzione di calcolo dell'imposta sostitutiva in via forfettaria con aliquota del 7 per cento:

§  può essere esercitata dalle persone fisiche che non siano state fiscalmente residenti in Italia nei cinque periodi di imposta precedenti a quello in cui l'opzione diviene efficace, e trasferiscono la residenza da Paesi con i quali sono in vigore accordi di cooperazione amministrativa;

§  è esercitata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui viene trasferita la residenza in Italia ed è efficace a decorrere da tale periodo d'imposta;

§  è valida per i primi cinque periodi di imposta successivi a quello in cui diviene efficace.

Le persone fisiche che trasferiscono la propria residenza optando per il regime d'imposta sostitutiva indicano la giurisdizione o le giurisdizioni in cui hanno avuto l'ultima residenza fiscale prima dell'esercizio di validità dell'opzione. L'Agenzia delle entrate trasmette tali informazioni alle autorità fiscali delle giurisdizioni indicate come luogo di ultima residenza fiscale prima dell'esercizio di validità dell'opzione (comma 3 dell'articolo 24-ter).

Il comma 6 dell'articolo 24-ter stabilisce che l'imposta non è deducibile ed è versata in unica soluzione entro il termine previsto per il versamento del saldo delle imposte sui redditi. Per l'accertamento, la riscossione, il contenzioso e le sanzioni si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste per l'imposta sui redditi. Il comma 8 stabilisce inoltre che soltanto nel caso in cui si manifestata la facoltà di non avvalersi dell'applicazione dell'imposta sostitutiva, per i redditi prodotti nei suddetti Stati o territori esteri si applica il regime ordinario e compete il credito d'imposta per i redditi prodotti all'estero.

L'opzione è revocabile dal contribuente e i suoi effetti cessano laddove venga accertata l'insussistenza dei requisiti e in ogni caso di omesso o parziale versamento dell'imposta sostitutiva nei termini previsti. Tali casi precludono l'esercizio di una nuova opzione (comma 7 dell'articolo 24-ter).

Il comma 274 stabilisce una serie di esenzioni per i soggetti che esercitano l'opzione in esame. In particolare, gli stessi:

§  non sono tenute a presentare la dichiarazione annuale degli investimenti e delle attività di natura finanziaria che detengono all'estero suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, prevista dall'articolo 4 del decreto legge n. 167 del 1990;

§  sono esenti dall'imposta sul valore degli immobili situati all'estero prevista dall'articolo 19, comma 13 del decreto legge n. 201 del 2011;

§  sono esenti dall'imposta sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all'estero prevista dall'articolo 19, comma 18, del decreto legge n. 201 del 2011.

Le modalità applicative del regime sono state individuate dall’Agenzia delle Entrate nel Provvedimento del 31 maggio 2019

 

 

Con una prima modifica (comma 1, lettera a)) si novella l’articolo 24-ter TUIR, comma 1, al fine di espungere dal regime agevolato i redditi percepiti da fonte estera.

Per effetto delle norme in esame, rimangono assoggettati a tassazione opzionale al 7 per cento i redditi di qualunque categoria prodotti all'estero, individuati secondo i criteri reciproci a quelli previsti dal TUIR per rilevare i redditi prodotti nel territorio dello Stato. Si ricorda che, in sostanza, si considerano “prodotti all’estero” i redditi che sarebbero stati considerati prodotti nel territorio dello Stato, se realizzati da soggetti non residenti.

 

Ai sensi dell’articolo 23 TUIR, si considerano prodotti nel territorio dello Stato:

a)    i redditi fondiari;

b)   i redditi di capitale corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti, con esclusione degli interessi e altri proventi derivanti da depositi e conti correnti bancari e postali;

c)    i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato, compresi i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente;

d)   i redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato;

e)    i redditi d'impresa derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni;

f)    i redditi diversi derivanti da attività svolte nel territorio dello Stato e da beni che si trovano nel territorio stesso, nonché le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti, con alcune specifiche esclusioni.

Indipendentemente dalle summenzionate condizioni (di cui alle lettere c), d), e) e f)), il comma 2 dell’articolo 23 considera prodotti nel territorio dello Stato, se corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti:

a)    le pensioni, gli assegni ad esse assimilati e le indennità di fine rapporto;

b)   alcuni i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente;

c)    i compensi per l'utilizzazione di opere dell'ingegno, di brevetti industriali e di marchi d'impresa nonché di processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico;

d)   i compensi conseguiti da imprese, società o enti non residenti per prestazioni artistiche o professionali effettuate per loro conto nel territorio dello Stato.

Con una seconda modifica (comma 1, lettera b)) si allunga da cinque a nove il numero di periodi di imposta in cui l’opzione è efficace (articolo 24-ter, comma 4 TUIR).

 

Una terza modifica (comma 1, lettera c)) sostituisce integralmente il comma 7 dell’articolo 24-ter TUIR, che regola la validità dell’opzione nel tempo.

Resta fermo che l'opzione è revocabile dal contribuente e che, nel caso di revoca, sono fatti salvi gli effetti prodotti nei periodi d'imposta precedenti. Resta inoltre ferma la cessazione degli effetti dell'opzione laddove sia accertata l'insussistenza dei requisiti previsti dal presente articolo ovvero detti requisiti vengano meno.

Con le modifiche apportate dalle norme in esame, pur rimanendo fermo che gli effetti dell’opzione cessano in caso di omesso o parziale versamento dell'imposta sostitutiva di cui al comma 1 nella misura e nei termini di legge, si consente al contribuente di sanare tale irregolarità, con prosecuzione degli effetti dell’opzione, mediante il versamento dell’imposta sostitutiva entro la scadenza del pagamento del saldo relativo al periodo d’imposta successivo a quello cui si riferisce l’omissione.

In tale ipotesi rimane ferma la disciplina delle sanzioni previste per i ritardati ovvero omessi versamenti diretti (articolo 13. D.Lgs. n. 471 del 1997).

 

Si demanda a un provvedimento del direttore dell’agenzia delle entrate la definizione delle modalità applicative del regime in esame (nuovo comma 8-bis del predetto articolo 24-ter TUIR, introdotta dalla lettera d) del comma 1).


 

Articolo 5-ter
(Disposizioni in materia di progetti di innovazione sociale)

 

 

L’articolo 5-ter introdotto in corso di esame in sede referente alla Camera dei deputati, esenta da imposizione fiscale, per l’anno 2019, le somme, configurate quali "contributi in natura", che il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha erogato e deve tuttora erogare nell'ambito della gestione dell'Avviso 84/Ric del 2 marzo 2012, "Progetti di innovazione sociale".

La disposizione in esame modifica l'art. 60-ter del D.L. n. 50/2017, recante "Disposizioni di semplificazione per progetti di social innovation" che, al fine di conseguire un più adeguato ed efficace sviluppo e la completa realizzazione dei progetti cofinanziati, autorizzava il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca a trasferire la proprietà intellettuale dei progetti, nonché la proprietà dei beni strumentali e delle attrezzature realizzati e acquisiti nell'ambito degli stessi e la relativa gestione e utilizzazione a favore delle amministrazioni pubbliche, nell'ambito delle regioni meno sviluppate, a titolo gratuito e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

La disposizione in oggetto esplicita, altresì, che essa persegue la finalità di promuovere e garantire l'occupazione dei giovani e lo sviluppo della ricerca scientifica nell'ambito dei processi di innovazione sociale[2] (comma 1).

 

Secondo quanto riportato dalla Relazione illustrativa allegata all’emendamento presentato in Commissione, “l'Avviso in questione era volto in via principale a finanziare progetti innovativi nei settori della società dell'informazione e dello sviluppo sostenibile, da svilupparsi mediante attività di ricerca industriale e attività non prevalenti di sviluppo sperimentale. Più particolarmente, la linea di intervento "Progetti di innovazione sociale" prevedeva la presentazione , da parte di giovani di età inferiore ai 30 anni, residenti nelle regioni che rientravano nell'Obiettivo convergenza dei Fondi strutturali, di progetti di innovazione sociale, orientati alla messa a punto di idee tecnologicamente innovative per la soluzione di problematiche presenti nel tessuto urbano di riferimento, afferenti agli ambiti individuati dall' Avviso medesimo per i progetti di Ricerca e Sviluppo. Il finanziamento concesso dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca ai progetti risultati meritevoli trovava copertura a valere sul Fondo Europeo di Sviluppo Regionale e sul Fondo di Rotazione.

Infine, con riferimento alla locuzione “contributi in natura”, si ricorda che, ai sensi dell’articolo 51 del Regolamento (CE) n. 1828/2006 della Commissione dell’8 /12/2006, “ i contributi in natura di un beneficiario pubblico o privato costituiscono una spesa rimborsabile se soddisfano le seguenti condizioni: a) consistono nella fornitura di terreni o immobili, in attrezzature o materie prime, in attività di ricerca o professionali o in prestazioni volontarie non retribuite; b) il loro valore può essere oggetto di valutazioni e audit indipendenti. In caso di prestazioni volontarie non retribuite, il relativo valore viene determinato tenendo conto del tempo prestato e delle tariffe orarie e giornaliere in vigore per l'attività corrispondente.”

 

Alle minori entrate derivanti dal comma l, pari a 0,55 milioni di euro nel 2019, si dà copertura mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2019-2021, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2019, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell’Istruzione, dell'università e della  ricerca (comma 2).

 

 

 

 


 

Articolo 6
(Modifiche al regime dei forfetari)

 

 

L’articolo 6, modificato in sede referente, stabilisce che anche i contribuenti che applicano il regime forfettario o che applicheranno, a partire dal 2020, il nuovo regime sostitutivo delle imposte sui redditi e dell’IRAP, e che si avvalgono dell’impiego di dipendenti e collaboratori, devono effettuare le ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente e sui redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.

Nel corso dell’esame in Commissione è stato introdotto il comma 3-bis, che conferisce efficacia retroattiva espressa alla disciplina sanzionatoria più favorevole, introdotta dalla legge di bilancio 2018, prevista nel caso di applicazione dell’IVA in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore. Per effetto delle modifiche in esame, la sanzione in misura fissa e il diritto a mantenere la detrazione - salvo frode fiscale - si applicano anche ai casi antecedenti il 1° gennaio 2018.

 

Le disposizioni di cui ai commi 1-3 sono conseguenti alle modifiche apportate dall’articolo 1, comma 9, della legge n. 145 del 2018 (legge di bilancio 2019), che ha introdotto la possibilità anche per i contribuenti in regime forfettario di avvalersi dell’impiego di dipendenti e collaboratori, eliminando la soglia di 5.000 euro riferita alle spese sostenute per l’impiego di lavoratori al di sopra della quale non era consentito l’accesso al regime forfettario.

 

Il comma 54, lettere b), previgente la modifica introdotta dalla legge di bilancio 2019, disponeva che per accedere al regime forfettario fosse necessario non aver sostenuto spese complessivamente superiori a 5.000 euro lordi per lavoro accessorio, lavoro dipendente e per compensi erogati ai collaboratori, anche assunti per l’esecuzione di specifici progetti. L'art. 1, comma 9, lett. a), della legge di bilancio 2019 ha sostituito interamente il comma 54 richiamato disponendo come unico requisito che i contribuenti applicano il regime forfetario se nell'anno precedente hanno conseguito ricavi ovvero hanno percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a euro 65.000.

 

In particolare, il comma 1 dell’articolo in esame modifica l’articolo 1, comma 69, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di bilancio 2015) che stabilisce che i contribuenti che applicano il regime forfetario non sono tenuti a operare le ritenute alla fonte di cui al titolo III del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973.

In considerazione della possibilità introdotta dalla legge di bilancio 2019, ovvero che dal 2019 i contribuenti che applicano il regime forfettario possono avvalersi dell’impiego di dipendenti e collaboratori, la norma chiarisce che il datore di lavoro in regime forfettario è tenuto a effettuare le ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente e sui redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente disposte agli articoli 23 e 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 in materia di accertamento, che disciplinano rispettivamente la ritenuta sui redditi di lavoro dipendente e quella sui redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.

 

Si ricorda che in base all’articolo 23 richiamato sono soggetti a ritenuta i redditi di lavoro dipendente.

Rientrano nell’applicazione della ritenuta sia le somme e i valori che il datore di lavoro corrisponde direttamente, sia le somme e i valori che, in relazione al rapporto di lavoro, sono erogati da terzi rispetto al rapporto di lavoro stesso.

La ritenuta è applicata con modalità differenti a seconda delle diverse specie di somme e valori corrisposti.

In particolare, la ritenuta è applicata:

§  sulla parte imponibile delle somme e dei valori corrisposti al lavoratore dipendente al netto delle detrazioni per carichi di famiglia e per lavoro e con esclusione delle somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro e delle indennità sostitutive corrisposte agli addetti ai cantieri edili. Le ritenute devono essere effettuate per ciascun periodo di paga, in base alle aliquote Irpef, ragguagliando i corrispondenti scaglioni annui di reddito al periodo di paga;

§  sulle mensilità aggiuntive e sui compensi della stessa natura, in base alle aliquote Irpef, ragguagliando a mese i corrispondenti scaglioni annui di reddito;

§  sugli emolumenti arretrati relativi ad anni precedenti corrisposti nel biennio precedente, effettuando le detrazioni;

§  sulla parte imponibile del trattamento di fine rapporto e delle indennità equipollenti e delle altre indennità e somme;

§  sulla parte imponibile delle somme e dei valori, non compresi nel Tfr, corrisposti agli eredi del lavoratore dipendente, con l'aliquota stabilita per il primo scaglione di reddito.

 

L’articolo 24, sui redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente stabilisce che si applicano, in quanto compatibili, tutte le disposizioni dell'articolo 23.

 

Si ricorda inoltre che in base all’articolo 50 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, Testo unico delle imposte sui redditi, sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente, tra gli altri:

§  i compensi percepiti, entro i limiti dei salari correnti maggiorati del 20 per cento, dai lavoratori soci delle cooperative di produzione e lavoro, delle cooperative di servizi, delle cooperative agricole e di prima trasformazione dei prodotti agricoli e delle cooperative della piccola pesca;

§  le indennità e i compensi percepiti a carico di terzi dai prestatori di lavoro dipendente per incarichi svolti in relazione a tale qualità, ad esclusione di quelli che per clausola contrattuale devono essere riversati al datore di lavoro e di quelli che per legge devono essere riversati allo Stato;

§  le somme da chiunque corrisposte a titolo di borsa di studio o di assegno, premio o sussidio per fini di studio o di addestramento professionale, se il beneficiario non è legato da rapporti di lavoro dipendente nei confronti del soggetto erogante;

§  le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società, associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica, alla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili, alla partecipazione a collegi e commissioni, nonché quelli percepiti in relazione ad altri rapporti di collaborazione aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita;

§  i compensi percepiti dai soggetti impegnati in lavori socialmente utili in conformità a specifiche disposizioni normative.

 

Il comma 2 prevede che in deroga alla regola generale che stabilisce che le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo (articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, Statuto del contribuente) le disposizioni di cui al comma 1 hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2019.

Il comma dispone inoltre che l’ammontare complessivo delle ritenute di cui al comma 1, relative alle somme già corrisposte precedentemente alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, è trattenuto, a valere sulle retribuzioni corrisposte a partire dal terzo mese successivo a quello di entrata in vigore del presente decreto-legge, in tre rate mensili di uguale importo.

 

Il comma 3 introduce un’analoga disposizione anche per i contribuenti che ricadono nel nuovo regime sostitutivo delle imposte sui redditi e dell’IRAP previsto dalla legge di bilancio 2019 applicabile nel caso di ricavi/compensi che vanno da 65.001 a 100.000 euro.

La disposizione integra la disciplina dell’imposta sostitutiva per esercenti attività d’impresa, arti e professioni in forma individuale (articolo 1, comma 17 e seguenti della legge di bilancio 2019), chiarendo che anche i contribuenti che applicano l’imposta sostitutiva sono tenuti a effettuare le ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente e sui redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente di cui, rispettivamente, agli articoli 23 e 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973.

 

Si ricorda che i commi da 17 a 22 introducono a decorrere dal 1° gennaio 2020 un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP, con aliquota al 20 per cento, per gli imprenditori individuali, gli artisti e i professionisti con ricavi fino a 100.000 euro che non ricadono nel regime forfettario.

Il comma 21 della legge di bilancio 2019 in particolare stabilisce che i contribuenti persone fisiche che applicano l'imposta sostitutiva di cui al comma 17 non sono tenuti a operare le ritenute alla fonte di cui al titolo III del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600; tuttavia, nella dichiarazione dei redditi, i medesimi contribuenti persone fisiche indicano il codice fiscale del percettore dei redditi per i quali all'atto del pagamento degli stessi non è stata operata la ritenuta e l'ammontare dei redditi stessi.

 

Nel corso dell’esame in Commissione è stato introdotto il comma 3-bis, che conferisce efficacia retroattiva espressa alla disciplina sanzionatoria più favorevole prevista dalla legge in caso di applicazione dell’IVA in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, contenuta nell’articolo 1, comma 935, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di bilancio 2018).

Il richiamato comma 935 ha modificato la normativa sulle violazioni degli obblighi di dichiarazione Iva - di cui all’articolo 6 del d. Lgs. 471 del 1997 - introducendo al comma 6 una sanzione amministrativa specifica a carico del cessionario/committente, compresa fra 250 e 10.000 euro, nel caso di applicazione dell'imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente/prestatore. In tal modo, per le predette ipotesi:

non si applica più la norma generale, che prevede una sanzione proporzionale pari al novanta per cento della detrazione per chi computa illegittimamente in detrazione l'imposta assolta;

rimane fermo il diritto del cessionario/committente alla detrazione, di cui si consente il recupero solo nel caso di frode fiscale.

La giurisprudenza di legittimità si è pronunciata sul punto affermando che la previsione del comma 935, nella parte in cui prevede che, in caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, reso fermo il diritto del cessionario o committente alla detrazione, ai sensi degli artt. 19 e seguenti del D.P.R. n. 633/1972, non ha efficacia retroattiva né può ad essa riconoscersi valore di norma interpretativa (Corte di Cassazione, sentenza 24001 del 2018).

 

Con le modifiche in esame si novella il comma 935 della legge di bilancio 2018, attribuendo espressamente efficacia retroattiva al predetto sistema sanzionatorio.  Di conseguenza, le sanzioni ridotte in misura fissa e la possibilità di mantenere la detrazione - salva la frode fiscale - si applicano anche ai casi verificatisi prima dell'entrata in vigore della legge di bilancio 2018, ossia prima del 1° gennaio 2018.

Articolo 6-bis
(Semplificazione degli obblighi informativi dei contribuenti
che applicano il regime forfettario)

 

 

L’articolo 6-bis, introdotto in sede referente e relativo agli obblighi informativi posti a carico di coloro che intendono accedere al cd. regime forfettario (articolo 1, comma 73, legge n. 190 del 2014), prevede che tali oneri informativi non comprendano dati ed informazioni già presenti, alla data di approvazione dei modelli di dichiarazione dei redditi, nelle banche dati a disposizione dell'Agenzia delle Entrate, ovvero che siano da comunicare o dichiarare alla stessa entro la data di presentazione dei medesimi modelli di dichiarazione dei redditi.

L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 3 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

Si ricorda che la legge di stabilità 2015, che ha introdotto il regime forfettario, nel disporre l’esclusione per i contribuenti che applicano il regime forfettario dall’applicazione degli studi di settore (ora ISA – indici di affidabilità fiscale), ha stabilito che con il provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate recante approvazione dei modelli da utilizzare per la dichiarazione dei redditi sono individuati, per i contribuenti che applicano il regime forfettario, specifici obblighi informativi relativamente all'attività svolta.

Al riguardo si segnala che a partire dal quadro RS del modello di dichiarazione “Unico 2016–PF”, approvato con il Provvedimento del 29 gennaio 2016 del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, è previsto un nuovo prospetto denominato “Regime forfettario per gli esercenti attività d’impresa, arti e professioni - Obblighi informativi”.

 

L’articolo in esame, secondo quanto previsto dallo Statuto dei diritti del contribuente (art. 6, legge 27 luglio 2000, n. 212), dispone che al contribuente che intende avvalersi del regime forfettario non possano, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell'amministrazione finanziaria.

Si ricorda, in tema di regime forfettario che la legge di bilancio 2019 ha modificato il comma 54 della legge di stabilità 2015 elevando a 65.000 euro il limite dei ricavi conseguiti o compensi percepiti nell'anno precedente per accedere al regime forfettario, disciplinato dai commi da 55 a 89 della stessa legge. Tale soglia di accesso è valida per tutti i contribuenti interessati e sostituisce i precedenti valori soglia dei ricavi/compensi percepiti - fissati tra 25.000 e 50.000 euro - differenziati sulla base del codice ATECO che contraddistingue l’attività esercitata (riportati nell’Allegato 4 della legge di stabilità 2015).

Per una ricognizione completa della disciplina del regime forfettario si rinvia al focus Il regime forfettario agevolato del Portale della documentazione, nonché alla circolare dell’Agenzia delle entrate 10/E del 4 aprile 2016.

In tema di fatturazione elettronica, si ricorda, inoltre, che la stessa legge di bilancio 2018 che ha disposto, a decorrere dal 1° gennaio 2019, l'introduzione della fatturazione elettronica obbligatoria, ha previsto alcuni esoneri, tra i quali i soggetti che applicano il regime forfettario.

 

Il comma 2 dispone che le amministrazioni interessate provvedono alle attività relative all'attuazione del presente articolo nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.


 

Articolo 7
(Incentivi per la valorizzazione edilizia e disposizioni
in materia di vigilanza assicurativa)

 

 

L’articolo 7, modificato in sede referente, reca un regime di tassazione agevolata per incentivare gli interventi su vecchi edifici, allo scopo di conseguire classi energetiche elevate e nel rispetto delle norme antisismiche. Esso consiste nell’applicazione in misura fissa dell'imposta di registro e delle imposte ipotecaria e catastale sui trasferimenti di detti beni.

Con le modifiche apportate in Commissione:

§  la misura opera anche per le operazioni esenti da IVA, ai sensi dell’articolo 10 del D.P.R. n. 633 del 1972;

§  l’agevolazione si applica in caso di successiva alienazione di fabbricati suddivisi in più unità immobiliari, ove sia alienato almeno il 75 per cento del volume del nuovo fabbricato;

§  l’agevolazione è estesa, oltre al caso di demolizione e ricostruzione degli edifici con successiva vendita, anche agli interventi di manutenzione straordinaria, di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia dei fabbricati e loro successiva alienazione;

§  si inserisce la classe energetica NZEB – Near Zero Energy Building tra quelle che possono essere conseguite con gli interventi agevolati;

§  si chiarisce che rimane ferma la misura fissa dell’imposta ipotecaria nel caso di apposizione di vincolo sui beni immobili delle imprese assicurative;

Sono infine ampliati i poteri di intervento dell’IVASS nei confronti delle medesime imprese.

 

In particolare, il comma 1, primo periodo dell’articolo 7 dispone in via temporanea (sino al 31 dicembre 2021) l’applicazione dell'imposta di registro e delle imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di duecento euro ciascuna, per i trasferimenti di interi fabbricati a favore di imprese di costruzione o di ristrutturazione immobiliare che entro i successivi dieci anni provvedono:

§  alla demolizione e ricostruzione degli stessi, anche con variazione volumetrica rispetto al fabbricato preesistente ove le norme urbanistiche vigenti consentano tale variazione oppure, per effetto delle modifiche apportate in sede referente, agli interventi di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo, nonché agli interventi di ristrutturazione edilizia, come definiti dal TU edilizia (D.P.R. n. 380 del 2001, articolo 3, comma 1, lettere da b) a d));

§  all'alienazione degli stessi.

 

Nel corso dell’esame in sede referente è stato specificato che l’agevolazione opera anche in caso di operazioni esenti da IVA, ai sensi dell’articolo 10 del D.P.R. n. 633 del 1972, e che anche nel caso di successiva alienazione di fabbricati suddivisi in più unità immobiliari, ove sia alienato almeno il 75 per cento del volume del nuovo fabbricato.

Per accedere alla tassazione agevolata, i predetti interventi devono essere conformi alla normativa antisismica e permettere il conseguimento della classe energetica A o B o, per effetto delle modifiche in Commissione, alla classe NZEB –Near Zero Energy Building.

 

Si segnala in tema di misure antisismiche il recente Aggiornamento delle norme tecniche per le costruzioni, decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 17 gennaio 2018, che fornisce i criteri generali di sicurezza, precisa le azioni che devono essere utilizzate nel progetto, definisce le caratteristiche dei materiali e dei prodotti e, più in generale, tratta tutti gli aspetti attinenti alla sicurezza strutturale delle opere.

Per quanto attiene ai criteri di classificazione degli immobili in funzione della prestazione energetica si rinvia alle linee guida nazionali per l’attestazione della prestazione energetica degli edifici esposte nell’allegato 1 del decreto del Ministero dello sviluppo economico 26 giugno 2015.

Per la classe energetica NZEB si rinvia al Decreto interministeriale 19 giugno 2017, che ha approvato il piano d’azione nazionale per incrementare gli edifici ad energia quasi zero.

 

La norma pertanto, al fine di favorire trasferimenti di fabbricati da sottoporre ad interventi di recupero, introduce un incentivo fiscale rispetto all’attuale regime: l’importo complessivo e fisso del trasferimento è di 600 euro in luogo dell’applicazione dell’imposta di registro dei trasferimenti immobiliari pari al 9% del valore dell’immobile dichiarato, più ipotecarie e catastali complessivamente pari a 100 euro.

 

Si ricorda che il decreto legislativo n. 23 del 2011 in materia di federalismo fiscale municipale è intervenuto sul regime fiscale dei trasferimenti immobiliari. L’articolo 10 del decreto legislativo ha introdotto, a partire dal 1° gennaio 2014, un'aliquota unica, pari al 9 per cento per l’imposta di registro relativa ai trasferimenti immobiliari, ad eccezione della casa adibita ad abitazione principale non di lusso, cui si applica l'aliquota agevolata del 2 per cento (in luogo del precedente 3 per cento); in tutti casi l'imposta, comunque, non può essere inferiore a 1.000 euro. Pertanto, attualmente per gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e per gli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, l’aliquota di imposta di registro è al 9 per cento.

Successivamente, l'articolo 26, comma 2, del decreto legge n. 104 del 2013 ha disposto che sono soggetti a ciascuna delle imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di 50 euro le operazioni di vendita di immobili tra privati o impresa con vendita esente da Iva, mentre ha elevato da 168 a 200 euro l'importo di ciascuna delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in tutti quei casi in cui esso sia stabilito in misura fissa da disposizioni vigenti anteriormente al 1° gennaio 2014.

Per una panoramica sulla tassazione applicabile, ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale, agli atti di trasferimento o di costituzione a titolo oneroso di diritti reali immobiliari si consiglia la consultazione della circolare n. 2/E del 21 febbraio 2014 dell’Agenzia delle entrate che reca chiarimenti in materia di trasferimenti immobiliari alla luce della nuova disciplina introdotta nel corso del 2014.

 

Si prevede quindi un regime sanzionatorio in caso di mancato rispetto delle condizioni d’accesso all’agevolazione: qualora, entro i dieci anni successivi al trasferimento a imprese di costruzione o di ristrutturazione immobiliare a condizioni agevolate, non si provveda alla demolizione e ricostruzione degli immobili trasferiti, conformemente alla normativa antisismica e con il conseguimento della classe energetica A o B, nonché all’alienazione degli stessi, sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonché una sanzione pari al 30 per cento delle stesse imposte. Sono altresì dovuti gli interessi di mora a decorrere dall'acquisto dell'immobile.

 

 

Nel corso dell’esame in sede referente è stato introdotto un nuovo comma 1-bis.

Con una prima modifica viene chiarito che rimane ferma, per i fabbricati ai quali si applica il suddetto regime agevolato, la previsione delle imposte ipotecarie in misura fissa per le iscrizioni e le annotazioni conseguenti all’apposizione di un vincolo sugli immobili delle imprese di assicurazione, in seno alle procedure di crisi aziendale, come attualmente già previsto dall’articolo 333 del Codice delle assicurazioni private - CAP, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209.

Il richiamato articolo 333 a sua volta si riferisce all’iscrizione di vincolo effettuata i sensi dell’articolo 224, comma 1 del CAP.

L’articolo 224 prevede che nel caso di crisi d’impresa, ove sia apposto un vincolo su beni immobili, l'IVASS ordini alla conservatoria dei registri immobiliari l'iscrizione d’ipoteca a tutela dei crediti di assicurazione o di riassicurazione sui beni immobili e sui diritti immobiliari di godimento dell'impresa di assicurazione o di riassicurazione localizzati nel territorio nazionale.

 

Con una seconda modifica si novella l'articolo 188, comma 3-bis del CAP, relativo ai poteri di intervento dell’IVASS nei confronti delle singole imprese assicurative.

In primo luogo si chiarisce che, nell’esercizio dei propri poteri d’intervento, l'IVASS può adottare misure preventive o correttive:

§  nei confronti anche delle singole imprese di assicurazione o riassicurazione (modifica all’articolo 188, comma 3-bis, alinea);

§  tra l’altro, ai fini della salvaguardia della stabilità del sistema finanziario nel suo complesso e del contrasto di rischi sistemici, ai sensi di quanto previsto dalle disposizioni dell'ordinamento europeo relative alla vigilanza macroprudenziale del sistema finanziario dell'Unione europea.

Inoltre (articolo 188, comma 3-bis, lettera b)) tra le misure specifiche che possono essere adottate dall’Istituto - oltre al divieto di effettuare determinate operazioni anche di natura societaria - viene introdotta la possibilità di disporre limitazioni, restrizioni temporanee o differimenti per determinate tipologie di operazioni o facoltà esercitabili dai contraenti.

 

Si ricorda che (articolo 3 del Codice delle assicurazioni private) lo scopo principale della vigilanza è l'adeguata protezione degli assicurati e degli aventi diritto alle prestazioni assicurative; a tal fine l'IVASS persegue la sana e prudente gestione delle imprese di assicurazione e riassicurazione, nonché, unitamente alla Consob, ciascuna secondo le rispettive competenze, la loro trasparenza e correttezza nei confronti della clientela.

Il medesimo articolo 3 CAP dispone che altro obiettivo della vigilanza, ma subordinato al precedente, è la stabilità del sistema e dei mercati finanziari.

Sulla base di quanto previsto dagli articoli 5 e 6 del CAP, l'IVASS svolge le funzioni di vigilanza sul settore assicurativo mediante l'esercizio dei poteri di natura autorizzativa, prescrittiva, accertativa, cautelare e repressiva previsti dal medesimo CAP.

L’IVASS, nell’esercizio delle funzioni di vigilanza (articolo 5 CAP), è parte del SEVIF, (Sistema Europeo della Vigilanza Finanziaria) e partecipa alle attività che esso svolge, tenendo conto della convergenza degli strumenti e delle prassi di vigilanza in ambito europeo.

Nell’espletamento delle sue funzioni l’istituto prende in considerazione il potenziale impatto delle sue decisioni sulla stabilità dei sistemi finanziari dell’Unione europea, soprattutto in situazioni di emergenza, tenendo conto delle informazioni disponibili al momento, anche avvalendosi degli opportuni scambi di informazioni con le Autorità Europee e le Autorità di vigilanza degli altri Stati membri. In periodi di turbolenze eccezionali sui mercati finanziari, l’IVASS deve tenere conto dei potenziali effetti prociclici derivanti dai suoi interventi.

L'IVASS adotta ogni regolamento necessario per la sana e prudente gestione delle imprese o per la trasparenza e la correttezza dei comportamenti dei soggetti vigilati e, allo stesso fine, rende nota ogni utile raccomandazione o interpretazione. L’istituto effettua le attività necessarie per promuovere un appropriato grado di protezione del consumatore e per sviluppare la conoscenza del mercato assicurativo, comprese le indagini statistiche ed economiche e la raccolta di elementi per l'elaborazione delle linee di politica assicurativa.

L'IVASS esercita le funzioni di vigilanza (articolo 6 CAP) nei confronti:

delle imprese, comunque denominate e costituite, che esercitano nel territorio della Repubblica attività di assicurazione o di riassicurazione in qualsiasi ramo e in qualsiasi forma, ovvero operazioni di capitalizzazione e di gestione di fondi collettivi costituiti per l'erogazione di prestazioni in caso di morte, in caso di vita o in caso di cessazione o riduzione dell'attività lavorativa;

dei gruppi assicurativi e dei conglomerati finanziari nei quali sono incluse imprese di assicurazione e di riassicurazione in conformità alla specifica normativa ad essi applicabile;

dei soggetti, enti e organizzazioni che in qualunque forma svolgono funzioni parzialmente comprese nel ciclo operativo delle imprese di assicurazione o di riassicurazione limitatamente ai profili assicurativi e riassicurativi, fermi restando i poteri nei confronti delle imprese di assicurazione o di riassicurazione per le attività esternalizzate;

degli intermediari di assicurazione e di riassicurazione e di ogni altro operatore del mercato assicurativo

 

Per perseguire l'obiettivo istituzionale della stabilità del mercato assicurativo, l'Istituto esercita l'attività di vigilanza, sia per gli aspetti micro-prudenziali, tesa a verificare la sana e prudente gestione delle singole imprese e dei gruppi assicurativi, nonché per gli aspetti macro-prudenziali, per analizzare l’andamento dei fattori macroeconomici e, in generale, dei possibili fattori esterni o tematiche specifiche che possono avere un impatto sulle imprese e sul mercato assicurativo nel suo complesso.

Con riferimento all’attività di vigilanza macroprudenziale, l’Istituto analizza l’andamento sia delle principali grandezze assicurative che di alcuni fattori, soprattutto di carattere macroeconomico, valutando i possibili impatti che gli stessi possono avere sul settore assicurativo e sul più generale contesto economico-finanziario di riferimento.

 

Stante il suesposto assetto normativo, per effetto delle modifiche apportate in sede referente, l’IVASS può intervenire non solo sulle singole imprese, ma anche su un insieme di imprese; l’Istituto può esercitare il predetto potere di intervento sulle imprese, singolarmente intese o come insieme, allo scopo di salvaguardare la stabilità del sistema finanziario nel suo complesso e del contrasto di rischi sistemici. In tale contesto, viene introdotto un ulteriore e specifico potere di intervento, consistente nel disporre limitazioni, restrizioni temporanee o differimenti per determinate tipologie di operazioni o facoltà esercitabili dai contraenti.


 

Articolo 7-bis
(Esenzione TASI per gli immobili costruiti e
destinati dall’impresa costruttrice alla vendita)

 

 

L’articolo 7-bis, introdotto in Commissione, esenta dal pagamento del tributo per i servizi indivisibili (Tasi) i fabbricati costruiti e destinati alla vendita a decorrere dal 1° gennaio 2022.

L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 19 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

In particolare il comma 1 dispone che sono esentati dal pagamento della TASI i fabbricati costruiti e destinati dall'impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati. L’esenzione si applica a decorrere dal 1° gennaio 2022.

 

Si ricorda che attualmente i fabbricati in esame sono esenti da IMU ma soggetti a TASI con un’aliquota ridotta dell’1 per mille. I comuni possono azzerare o aumentare l’aliquota fino a un massimo del 2,5 per mille.

 

Si ricorda che nella vigente disciplina (comma 678 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147) è previsto che per i fabbricati costruiti e destinati dall'impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati, l'aliquota Tasi da pagare è ridotta allo 0,1 per cento. I comuni inoltre possono modificare la suddetta aliquota, in aumento, sino allo 0,25 per cento o, in diminuzione, fino all'azzeramento.

Si ricorda inoltre che la Tasi, il tributo per i servizi indivisibili comunali, istituita dalla legge di bilancio 2014, è a carico sia del possessore che dell'utilizzatore dell'immobile, escluse le unità immobiliari destinate ad abitazione principale dal possessore nonché dall'utilizzatore e dal suo nucleo familiare, ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9.

Si segnala, infine, che l’IMU a decorrere dal 2014, articolo2 decreto legge 31 agosto 2013, n. 102, non è dovuta per i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita (c.d. beni merce) fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati e per i fabbricati rurali ad uso strumentale.

 

Il comma 2 stabilisce che agli oneri derivanti dall'attuazione dell’articolo in esame, pari a 15 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2022, si provvede con le maggiori entrate derivanti dal presente decreto.

 


 

Articolo 7-ter
(Estensione interventi agevolativi
Fondo di garanzia imprese in difficoltà settore edile)

 

 

L’articolo 7-ter, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, consente, per le piccole e medie imprese del settore edile, specifiche condizioni di accesso alla Sezione speciale del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese istituita dall’articolo 1 del D.L. 135/2018. Tale Sezione speciale è stata istituita, dalla citata norma, per le PMI che siano titolari di crediti certificati nei confronti delle pubbliche Amministrazioni e siano in difficoltà nella restituzione di finanziamenti già contratti con banche e intermediari finanziari. La norma novella in più punti l’articolo 1 del D.L. n. 135/2018.

Con la novella, alle PMI edili l’accesso alla Sezione speciale è ora altresì consentito qualora esse siano titolari di finanziamenti erogati da banche e da altri intermediari finanziari di cui al TUB assistiti da garanzia ipotecaria di primo grado su beni immobili civili, commerciali ed industriali, le cui posizioni creditizie, non coperte da altra garanzia pubblica, siano state certificate come inadempienze probabili entro la data dell’11 febbraio 2019, come risultante dalla centrale dei rischi della Banca d’Italia (nuovo comma 6-bis dell’articolo 1 del D.L. n. 135/2018).

La garanzia della sezione speciale copre, nella misura indicata dal decreto ministeriale attuativo della stessa, un importo non superiore all’80 percento dell’esposizione alla data dell’11 febbraio 2019 e fino ad un importo massimo di 2,5 milioni di euro. La garanzia avrà carattere sussidiario ed il piano di rientro del finanziamento da parte dell’impresa dovrà essere approvato dal Consiglio di gestione del Fondo. Con il citato decreto ministeriale, sono stabilite le modalità di valutazione degli ulteriori requisiti sopra indicati (nuovo comma 6-ter del D.L. n. 135/2018).

 

Nel dettaglio l’articolo 7-ter, alla lettera b) – attraverso l’introduzione di due nuovi commi 6-bis e 6-ter all’articolo 1 del D.L. n. 135/2018 - consente alle PMI edili – la cui attività rientra nei codici ATECO F41 ed F42 – l’accesso alla Sezione speciale anche qualora siano titolari di finanziamenti erogati da banche e da altri intermediari finanziari di cui al TUB (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, D.Lgs. n. 385/1993) assistiti da garanzia ipotecaria di primo grado su beni immobili civili, commerciali ed industriali, le cui posizioni creditizie, non coperte da altra garanzia pubblica, siano state certificate come inadempienze probabili entro la data dell’11 febbraio 2019, come risultante dalla centrale dei rischi della banca d’Italia (nuovo comma 6-bis, introdotto nell’articolo 1 del D.L. n. 135/2018).

 

Si ricorda in proposito che l’articolo 1, comma 1 del D.L. n. 135/2018 – nel testo vigente -  consente l’accesso alla Sezione speciale del Fondo di garanzia alle PMI che, contemporaneamente, sono titolari di crediti certificati nei confronti delle PP.AA. e in difficoltà nella restituzione delle rate di finanziamenti già contratti con banche e intermediari finanziari. Lo stesso articolo 1, commi da 2 a 6 del D.L. n. 135 dispone poi che l’intervento in garanzia della Sezione speciale:

§  è rilasciata a condizioni di mercato, su finanziamenti già concessi alla PMI, da una banca o da un intermediario finanziario, non già coperti da garanzia pubblica ed anche assistiti da ipoteca sugli immobili aziendali, classificati dalla stessa banca o intermediario finanziario come «inadempienze probabili» alla data di entrata in vigore del presente decreto, come risultante dalla Centrale dei rischi della Banca d'Italia (comma 2);

§  presuppone la sussistenza di un credito certificato verso la Pubblica Amministrazione e l’importo massimo garantito non potrà comunque essere superiore a 2,5 milioni (comma 3);

§  è subordinato alla sottoscrizione tra la banca o l'intermediario finanziario e la PMI di un piano, di durata massima non superiore a 20 anni, per il rientro del finanziamento qualificato come inadempimento probabile (comma 4);

§  copre, nella misura massima dell’80%, il minore tra l’importo del finanziamento non rimborsato e l’ammontare dei crediti certificati (comma 5);

§  cessa con l'avvenuto pagamento da parte della P.A. dei crediti certificati e in ogni caso, comporta un rimborso non superiore all'80 per cento della perdita registrata dalla banca o dall'intermediario (comma 5);

§  è concesso a fronte del versamento alla medesima sezione, da parte della banca o intermediario, di un premio che può essere posto a carico della PMI beneficiaria in misura non superiore a un quarto del suo importo (comma 6).

Inoltre, l’efficacia del regime di aiuto istituito dalla norma in esame è condizionata alla preventiva notificazione alla Commissione europea (comma 8).

La Sezione viene dotata di 50 milioni di euro a valere sulle disponibilità del medesimo Fondo (comma 1).

Viene demandato ad un decreto di natura regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, la definizione, anche in deroga alle condizioni di ammissibilità e disposizioni di carattere generale del Fondo di garanzia, delle modalità, misura, condizioni e limiti per la concessione, escussione e liquidazione della garanzia, nonché i casi di revoca della stessa. Allo stesso decreto è demandata la fissazione delle percentuali di accantonamento a valere sulle risorse della sezione speciale e i parametri per definire il premio in linea con i valori di mercato della garanzia (comma 7).

 

Per le imprese edili titolari dei predetti crediti e finanziamenti, la garanzia della sezione speciale copre, nella misura indicata dal decreto ministeriale attuativo della stessa, comunque un importo non superiore all’80 percento dell’esposizione alla data dell’11 febbraio 2019 e fino ad un importo massimo di 2,5 milioni di euro. La garanzia della Sezione speciale avrà carattere sussidiario ed il piano di rientro del finanziamento da parte dell’impresa dovrà essere approvato dal Consiglio di gestione del Fondo. Con il decreto ministeriale attuativo della misura sono stabilite le modalità di attestazione dei crediti e le indicazioni sulle modalità di valutazione degli ulteriori requisiti previsti ai fini dell’accesso delle imprese edili alla Sezione dalla norma in esame (nuovo comma 6-ter, introdotto nell’articolo 1 del D.L. n. 135/2018).

 

Contestualmente, l’articolo in esame:

§  alla lettera c) specifica, attraverso una novella al comma 7 dell’articolo 1 del D.L. n. 135 - che il decreto ministeriale attuativo della normativa primaria della Sezione speciale rechi anche le modalità, misura, condizioni e limiti per la concessione, escussione e liquidazione della garanzia, nonché i casi di revoca anche con riferimento alle imprese del settore edile;

§  alla lettera a) modifica la attuale rubrica dell’articolo 1 del D.L. n. 135/2018 in “Sostegno alle piccole e medie imprese creditrici delle pubbliche amministrazioni e a quelle operanti nel settore edile”.

 

Per una descrizione analitica delle modalità di funzionamento del Fondo di garanzia PMI si rinvia alla scheda di lettura dell’articolo 17.


 

Articolo 8
(Sisma
bonus)

 

 

L’articolo 8 estende le detrazioni previste per gli interventi di rafforzamento antisismico realizzati mediante demolizione e ricostruzione di interi edifici anche all'acquirente delle unità immobiliari ricomprese nelle zone classificate a rischio sismico 2 e 3.

 

In particolare, l’articolo estende i benefici previsti all'articolo 16, comma 1-septies, del decreto legge 4 giugno 2013, n. 63, anche agli immobili situati nelle zone classificate a rischio sismico 2 e 3.

 

Si segnala in proposito che sul sito istituzionale del Dipartimento della Protezione Civile - Presidenza del Consiglio dei Ministri è consultabile la mappa della classificazione sismica suddivisa per comune. In estrema sintesi giova ricordare che la Zona 1 è la zona più pericolosa, in cui la probabilità che capiti un forte terremoto è alta; la Zona 2 è una zona in cui forti terremoti sono possibili; la Zona 3 è una zona in cui i forti terremoti sono meno probabili rispetto alle zone 1 e 2; la Zona 4 è la zona meno pericolosa: la probabilità che capiti un terremoto è molto bassa.

Le zone sono state individuate secondo i criteri definiti dall’ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3519 del 28 aprile 2006.

 

I benefici richiamati consistono nelle detrazioni per le spese di rafforzamento antisismico nel caso di demolizione e ricostruzione di interi edifici, anche con variazione volumetrica rispetto a quella preesistente, eseguiti da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare, che provvedono, entro 18 mesi dal termine lavori, alla successiva alienazione dell'immobile.

La detrazione è pari al 75 per cento o all'85 per cento (a seconda della riduzione del rischio sismico rispettivamente pari a uno o due classi) del prezzo di acquisto dell'unità immobiliare per un importo di spesa massimo di 96.000 euro e spetta all'acquirente delle singole unità immobiliari.

 

Si ricorda che in luogo della detrazione, i beneficiari possono optare per la cessione del credito alle imprese che hanno effettuato gli interventi ovvero ad altri soggetti privati, esclusi gli istituti di credito e intermediari finanziari.

La detrazione è ripartita in cinque quote annuali di pari importo e viene concessa per le spese sostenute dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2021.

Per una ricostruzione generale delle detrazioni previste per interventi antisismici si consiglia la consultazione della guida realizzata dall’Agenzia delle entrate Sisma bonus: le detrazioni per gli interventi antisismici (febbraio 2019).


 

Articolo 9
(Trattamento fiscale di strumenti finanziari convertibili)

 

 

L’articolo 9 prevede che il maggiore o minor valore di strumenti finanziari con determinate caratteristiche (definite dal comma 2), derivante dall'attuazione di specifiche clausole contrattuali, non costituisca, per i relativi emittenti, reddito imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle società (IRES) e del valore della produzione netta (IRAP).

 

L'articolo 2, comma 22-bis, del decreto legge n. 138 del 2011, aveva previsto che i maggiori o minori valori derivanti dall'attuazione di specifiche previsioni contrattuali degli strumenti finanziari (diversi da azioni e titoli similari) rilevanti in materia di adeguatezza patrimoniale ai sensi della normativa comunitaria e delle discipline prudenziali nazionali, emessi da intermediari vigilati dalla Banca d'Italia o da soggetti vigilati dall'IVASS dopo il 1° gennaio 2014 (il comma 22-bis è stato inserito con legge n. 147 del 2013, legge di bilancio 2014), non partecipassero alla formazione del reddito imponibile degli emittenti ai fini dell'IRES e dell'IRAP.

 

L'articolo in esame estende a tutti gli emittenti il trattamento fiscale appena richiamato, specificando ulteriormente le caratteristiche di cui devono essere dotati gli strumenti finanziari e, contestualmente, provvede all'abrogazione della disciplina speciale contenuta nell'articolo 2, comma 22-bis, del decreto legge n. 138 del 2011.

 

Come esposto nella Relazione illustrativa del Governo, la modifica normativa deriva dalla necessità di adeguarsi alle richieste della Commissione europea, la quale ha ritenuto che il riconoscimento di un trattamento fiscale in relazione agli utili derivanti da svalutazioni e da conversioni di strumenti finanziari rilevanti in materia di adeguatezza patrimoniale potrebbe presentare criticità sotto il profilo della disciplina europea in materia di aiuti di Stato. Tale disposizione concederebbe un vantaggio selettivo a banche e assicurazioni soggette a vigilanza, prevedendo la deducibilità delle sopravvenienze nel patrimonio netto, che concorrerebbero invece di regola alla formazione del reddito imponibile. Le autorità europee hanno pertanto chiesto di allineare per tutti gli emittenti il trattamento fiscale in caso di conversione o svalutazioni di strumenti finanziari aventi determinate caratteristiche. L’indagine effettuata dalla Commissione europea ha riguardato altri Stati membri dell’Unione europea, cui pure sono state chieste modifiche alle normative nazionali sul trattamento fiscale degli strumenti finanziari convertibili in azioni ritenute non compatibili con le regole europee sulla concorrenza tra imprese già a partire dal 2019, ragione dell’urgenza per l’adozione della misura in questione.

 

A tal fine, il comma 1 dell'articolo 9 stabilisce che i maggiori o minori valori che derivano dall'attuazione di specifiche previsioni contrattuali che governano gli strumenti finanziari, diversi da azioni e titoli similari, le cui ulteriori caratteristiche sono indicate nel successivo comma 2, non concorrono alla formazione del reddito imponibile degli emittenti ai fini dell'IRES e dell'IRAP.

 

Di conseguenza, viene eliminata qualsiasi distinzione fra diverse categorie di emittenti mentre permangono e, anzi, vengono dettagliate dal comma 2, le distinzioni basate sulle caratteristiche degli strumenti finanziari.

 

Pertanto, le seguenti condizioni devono essere verificate affinché i maggiori o minori valori degli strumenti finanziari possano essere esclusi dal calcolo della base imponibile per le richiamate imposte:

§  la variazione di valore o la conversione degli strumenti finanziari deriva dall’attuazione di specifiche previsioni contrattuali (comma 1);

§  gli strumenti finanziari sono diversi, sotto il profilo tributario, da azioni e titoli similari (comma 1);

§  gli strumenti sono stati emessi ed il corrispettivo è stato integralmente versato (lettera a) del comma 2);

§  gli strumenti non sono stati sottoscritti o acquistati né dalla società emittente né da società da essa controllate o nelle quali essa detenga il 20 per cento o più dei diritti di voto o del capitale (lettera b) del comma 2);

§  l’acquisto degli strumenti non è stato finanziato, né direttamente né indirettamente, dalla società emittente (lettera c) del comma 2);

§  nell’ordine di distribuzione delle somme ricavate in caso di liquidazione dell’attivo è previsto che gli strumenti abbiano lo stesso rango, o un rango superiore, rispetto alle azioni e siano subordinati alla soddisfazione dei diritti di tutti gli altri creditori (lettera d) del comma 2);

§  gli strumenti non sono oggetto di alcuna disposizione, contrattuale o di altra natura, che ne migliori il grado di subordinazione rispetto agli altri creditori in caso di risoluzione, assoggettamento a procedura concorsuale o liquidazione (lettera e) del comma 2);

§  gli strumenti sono privi di scadenza (sono "perpetui") e non vi è alcun incentivo contrattuale al rimborso per l’emittente (lettera f) del comma 2);

§  gli strumenti non possono essere rimborsati o riacquistati dall’emittente prima di 5 anni dalla data di emissione (lettera g) del comma 2);

§  nel caso in cui siano contrattualmente previste clausole ("opzioni") che prevedono la possibilità di rimborso anticipato o di riacquisto, tali opzioni devono poter essere esercitate unicamente dall'emittente (lettera h) del comma 2). Le citate disposizioni non devono in alcun modo contenere indicazioni, né esplicite né implicite, relative all'eventuale riacquisto o rimborso, garantendo la massima discrezionalità da parte dell'emittente (lettera i) del comma 2);

§  la società emittente deve avere la possibilità discrezionale di annullare, in qualsiasi momento, i pagamenti relativi agli strumenti. Le distribuzioni annullate non sono cumulabili e l’annullamento delle distribuzioni non costituisce un caso di insolvenza da parte della società emittente (lettera l) del comma 2);

§  le disposizioni che governano gli strumenti prescrivono, alternativamente, che al verificarsi di un determinato evento connesso al livello (inadeguato) di patrimonializzazione della società:

à il valore nominale degli strumenti sia svalutato in via permanente o temporanea;

à gli strumenti siano convertiti in azioni;

à vengano realizzate operazioni in grado di produrre effetti equivalenti a quelli di cui ai precedenti due punti (lettera m) del comma 2).

 

Tali condizioni configurano una serie di significative limitazioni dei diritti del creditore tali da rendere la sua posizione assimilabile a quella di un azionista. D'altra parte, il rendimento atteso in caso di sottoscrizione di tali strumenti dovrebbe risultare significativamente superiore rispetto a quello di altri strumenti di debito privi delle clausole elencate dal comma 2, proprio in ragione della maggiore rischiosità dell'investimento. Allo stesso tempo, tali strumenti finanziari possono consentire alla società emittente di ottenere fonti di finanziamento stabili, in grado di offrire ampi margini di discrezionalità, fino all'annullamento dei pagamenti previsti, in caso sia necessario affrontare una crisi aziendale.

Il comma 3 prevede, inoltre, alcuni obblighi procedurali a carico degli emittenti, all'adempimento dei quali è condizionata la possibilità escludere dalla formazione del reddito imponibile degli emittenti ai fini dell'IRES e dell'IRAP i maggiori o minori valori derivanti dall'attuazione di specifiche previsioni contrattuali relative agli strumenti finanziari appena descritti.

In particolare, gli emittenti devono:

§  indicare di aver emesso gli strumenti finanziari (conformi alle condizioni definite dall'articolo in esame) nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui è avvenuta l’emissione;

§  fornire separata evidenza, nella relativa dichiarazione dei redditi, dei maggiori o minori valori che non concorrono alla formazione del proprio reddito imponibile ai fini dell'IRES e IRAP, al fine di consentire l’accertamento della conformità dell’operazione con le disposizioni dell’articolo 10-bis della legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente) che disciplinano l'abuso del diritto o elusione fiscale.

 

Con il comma 4, infine, viene abrogato il comma 22-bis dell’articolo 2 del decreto legge n. 138 del 2011, i cui precetti normativi sono inclusi nelle disposizioni dell'articolo in esame. Allo stesso tempo, si prevede una disposizione transitoria con la quale vengono estesi gli obblighi di dichiarazione previsti dal comma 3 agli strumenti finanziari emessi in virtù del comma abrogato.


 

Articolo 10
(Modifiche alla disciplina degli incentivi per gli interventi di efficienza energetica e rischio sismico)

 

 

L’articolo 10, modificato in sede referente, introduce la possibilità per il soggetto che sostiene le spese per gli interventi di cui agli articoli 14 e 16 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63 (rispettivamente, interventi di efficienza energetica e di riduzione del rischio sismico) di ricevere, in luogo dell'utilizzo della detrazione, un contributo anticipato dal fornitore che ha effettuato l'intervento, sotto forma di sconto sul corrispettivo spettante. Tale contributo è recuperato dal fornitore sotto forma di credito d'imposta, di pari ammontare, da utilizzare in compensazione, in cinque quote annuali di pari importo, senza l'applicazione dei limiti di compensabilità.

Per effetto delle modifiche apportate in Commissione, i fornitori che hanno effettuato le due tipologie di intervento a loro volta hanno facoltà di cedere il credito d’imposta ai propri fornitori di beni e servizi. Nella medesima sede referente, analoga facoltà è stata concessa ai beneficiari di detrazioni per interventi di realizzazione di opere finalizzate al conseguimento di risparmi energetici, con installazione di impianti basati sull'impiego delle fonti rinnovabili di energia, nonché ai relativi fornitori.

 

Il comma 1 inserisce il nuovo comma 3.1 all'articolo 14 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, in materia di detrazioni fiscali per interventi di efficienza energetica, che dispone la possibilità per il soggetto che sostiene le spese per interventi di efficienza energetica di ricevere un contributo anticipato dal fornitore che ha effettuato l'intervento sotto forma di sconto sul corrispettivo spettante.

In particolare, il comma introdotto stabilisce che il soggetto avente diritto alle detrazioni può optare, in luogo dell'utilizzo diretto delle detrazioni, per un contributo di pari ammontare, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, anticipato dal fornitore che ha effettuato gli interventi e a quest'ultimo rimborsato sotto forma di credito d'imposta da utilizzare in compensazione, in cinque quote annuali di pari importo, senza l'applicazione dei limiti di compensabilità, ovvero senza l’applicazione del limite generale di compensabilità di crediti di imposta e contributi (articolo 34 della legge 23 dicembre 2000, n. 388) pari a 700.000 euro, né del limite di 250.000 euro applicabile ai crediti di imposta agevolativi da indicare nel quadro RU della dichiarazione dei redditi (all'articolo 1, comma 53, della legge 24 dicembre 2007, n. 244).

L’ultimo periodo, inserito in sede referente, prevede inoltre che il fornitore dell’intervento ha a sua volta facoltà di cedere il credito di imposta ai propri fornitori di beni e servizi, con esclusione della possibilità di ulteriori cessioni da parte di questi ultimi. Il comma, infine, esclude in ogni caso la possibilità di cessione ad istituti di credito e a intermediari finanziari.

Durante l’esame in sede referente è stato inoltre introdotto il comma 3-ter, che consente ai beneficiari della detrazione per gli interventi di realizzazione di opere finalizzate al conseguimento di risparmi energetici, con particolare riguardo all'installazione di impianti basati sull'impiego delle fonti rinnovabili di energia (articolo 16-bis, comma 1, lettera h) del TUIR), di cedere il proprio credito ai fornitori di beni e servizi necessari alla realizzazione dei predetti interventi; tali soggetti possono a loro volta cedere il credito ai propri fornitori, con l’esclusione di ulteriori cessioni da parte di questi ultimi. Come per gli altri interventi disciplinati dalle norme in esame, è esclusa la cessione dei crediti a istituti di credito e intermediari finanziari.

 

Si ricorda che l’agevolazione per la riqualificazione energetica degli edifici, prevista dall'articolo 14 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, consiste nel riconoscimento di detrazioni d’imposta (originariamente del 55 per cento, poi elevata dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2019 al 65 per cento) delle spese sostenute, da ripartire in 10 quote annuali di pari importo, entro un limite massimo diverso in relazione a ciascuno degli interventi previsti.

L’agevolazione fiscale consiste in detrazioni dall’Irpef (Imposta sul reddito delle persone fisiche) o dall’Ires (Imposta sul reddito delle società) ed è concessa quando si eseguono interventi che aumentano il livello di efficienza energetica degli edifici esistenti. Le percentuali di detrazione variano a seconda che l’intervento riguardi la singola unità immobiliare o gli edifici condominiali e dell’anno in cui è stato effettuato.

Le detrazioni sono riconosciute se le spese sono state sostenute per:

§  la riduzione del fabbisogno energetico per il riscaldamento;

§  il miglioramento termico dell’edificio (coibentazioni - pavimenti - finestre, comprensive di infissi);

§  l’installazione di pannelli solari;

§  la sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale.

 

Per la maggior parte degli interventi richiamati la detrazione è pari al 65%, per altri spetta nella misura del 50%. In particolare, dal 1° gennaio 2018 la detrazione è pari al 50% per le seguenti spese:

§  acquisto e posa in opera di finestre comprensive di infissi e di schermature solari

§  sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaie a condensazione con efficienza almeno pari alla classe A di prodotto (dal 2018 gli impianti dotati di caldaie a condensazione con efficienza inferiore alla classe A sono esclusi dall’agevolazione. Se, invece, oltre ad essere in classe A, sono anche dotate di sistemi di termoregolazione evoluti è riconosciuta la detrazione più elevata del 65%.)

§  acquisto e posa in opera di impianti di climatizzazione invernale dotati di generatori di calore alimentati da biomasse combustibili.

 

Per le spese per interventi sulle parti comuni degli edifici condominiali e per quelli effettuati su tutte le unità immobiliari di cui si compone il singolo condominio, sostenute dal 1º gennaio 2017 al 31 dicembre 2021, sono state riconosciute detrazioni più elevate quando si riescono a conseguire determinati indici di prestazione energetica. In tal caso, infatti, è possibile usufruire di una detrazione del 70 o del 75% da calcolare su un ammontare complessivo delle spese non superiore a 40.000 euro moltiplicato per il numero di unità immobiliari che compongono l’edificio.

Per una ricognizione completa della disciplina si consiglia la guida fiscale: Le agevolazioni fiscali per il risparmio energetico, realizzata dalla Agenzia delle entrate.

 

Si ricorda, inoltre, che l'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio1997, n. 241, in materia di compensazione, prevede che i contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all'INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate. Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva. La compensazione del credito annuale o relativo a periodi inferiori all'anno dell'imposta sul valore aggiunto, per importi superiori a 5.000 euro annui, può essere effettuata a partire dal decimo giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione o dell'istanza da cui il credito emerge.

 

Il comma 2 inserisce il nuovo comma 1-octies all'articolo 16 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, che introduce una disciplina per il contributo anticipato dal fornitore, analoga a quella descritta al comma 1 in materia di interventi di efficienza energetica, anche per gli interventi di adozione di misure antisismiche.

In sede referente, in analogia a quanto disposto per gli interventi di riqualificazione energetica, è stato inserito un nuovo periodo al comma 2 che dispone che anche il fornitore che ha effettuato gli interventi antisismici ha a sua volta facoltà di cedere il credito di imposta ai propri fornitori di beni e servizi, con esclusione della possibilità di ulteriori cessioni da parte di questi ultimi. È esclusa in ogni caso la possibilità di cessione ad istituti di credito e a intermediari finanziari.

 

Si ricorda l'articolo 16 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, prevede che per le spese sostenute dal 1º gennaio 2017 al 31 dicembre 2021, per interventi di adozione di misure antisismiche, le cui procedure di autorizzazione sono state attivate a partire dal 1° gennaio 2017, spetta una detrazione del 50%. La detrazione va calcolata su un ammontare complessivo di 96.000 euro per unità immobiliare per ciascun anno e deve essere ripartita in 5 quote annuali di pari importo, nell’anno in cui sono state sostenute le spese e in quelli successivi.

Si può usufruire di una maggiore detrazione nei seguenti casi:

§  quando dalla realizzazione degli interventi deriva una riduzione del rischio sismico, che determini il passaggio ad una classe di rischio inferiore, la detrazione spetta nella misura del 70% delle spese sostenute;

§  se dall’intervento deriva il passaggio a due classi di rischio inferiori, la detrazione spetta nella misura dell’80% delle spese sostenute;

§  75% delle spese sostenute per gli interventi antisismici effettuati sulle parti comuni di edifici condominiali nel caso di passaggio a una classe di rischio inferiore;

§  85% delle spese sostenute per gli interventi antisismici effettuati sulle parti comuni di edifici condominiali nel caso di passaggio a due classi di rischio inferiore.

 

Se gli interventi per la riduzione del rischio sismico che danno diritto alle più elevate detrazioni del 70 o dell’80% sono effettuati nei comuni che si trovano in zone classificate a rischio sismico 1, mediante demolizione e ricostruzione di interi edifici, chi compra l’immobile nell’edificio ricostruito può usufruire di una detrazione pari al:

§  75% del prezzo di acquisto della singola unità immobiliare, come riportato nell’atto pubblico di compravendita, se dalla realizzazione degli interventi deriva una riduzione del rischio sismico che determini il passaggio a una classe di rischio inferiore;

§  85% del prezzo della singola unità immobiliare, risultante nell’atto pubblico di compravendita, se la realizzazione degli interventi comporta una riduzione del rischio sismico che determini il passaggio a due classi di rischio inferiore.

Si ricorda inoltre che l’articolo 8 del provvedimento in esame estende le detrazioni previste per gli interventi di rafforzamento antisismico realizzati mediante demolizione e ricostruzione di interi edifici anche all'acquirente delle unità immobiliari ricomprese nelle zone classificate a rischio sismico 2 e 3.

Il comma 3 stabilisce che con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono definite le modalità attuative delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2, comprese quelle relative all'esercizio dell'opzione da effettuarsi d'intesa con il fornitore.

 

Per una ricostruzione complessiva delle misure delle detrazioni per interventi antisismici si consiglia la consultazione della guida Sisma bonus: le detrazioni per gli interventi antisismici realizzato dall’Agenzia delle entrate.


 

Articolo 10, comma 3-bis
(Modifiche alla disciplina attuativa degli incentivi
per la
 produzione di energia termica da fonti rinnovabili )

 

 

Nel corso dell’esame in sede referente è stato inserito un nuovo comma 3-bis, dell’articolo 10 che interviene sull’articolo 28, comma 2, lettera d), del D. Lgs. n. 28 del 2011, il quale prevede che i decreti interministeriali ai quali è demandata l’attuazione dei meccanismi di erogazione dei contributi per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili e per interventi di efficienza energetica di piccole dimensioni (allo stato, D.M. 16 febbraio 2016, cd. “Conto termico”), debbano stabilire – tra l’altro – gli eventuali obblighi di monitoraggio a carico del soggetto beneficiario (lettera d)).

La nuova disposizione introduce la precisazione secondo la quale i predetti eventuali obblighi di monitoraggio debbano essere stabiliti prevedendo, in particolare, che, qualora gli interventi incentivanti siano stati eseguiti su impianti di amministrazioni pubbliche, queste, nel caso di scadenza del contratto di gestione nell’arco di cinque anni successivi all’ottenimento degli stessi incentivi, assicurino il mantenimento dei requisiti mediante clausole contrattuali da inserire nelle condizioni di assegnazione del nuovo contratto.

 

Si ricorda che il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, dispone l’attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE. L’articolo 28 del suddetto decreto legislativo reca, segnatamente, la disciplina dei contributi per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili e per interventi di efficienza energetica di piccole dimensioni. Il comma 1 dell’articolo 28 prevede i seguenti criteri generali per la concessione degli incentivi:

a) l'incentivo ha lo scopo di assicurare una equa remunerazione dei costi di investimento ed esercizio ed è commisurato alla produzione di energia termica da fonti rinnovabili, ovvero ai risparmi energetici generati dagli interventi;

b) il periodo di diritto all'incentivo non può essere superiore a dieci anni e decorre dalla data di conclusione dell'intervento;

c) l'incentivo resta costante per tutto il periodo di diritto e può tener conto del valore economico dell'energia prodotta o risparmiata;

d) l'incentivo può essere assegnato esclusivamente agli interventi che non accedono ad altri incentivi statali, fatti salvi i fondi di garanzia, i fondi di rotazione e i contributi in conto interesse;

e) gli incentivi sono assegnati tramite contratti di diritto privato fra il GSE e il soggetto responsabile dell'impianto, sulla base di un contratto-tipo definito dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del primo dei decreti di cui al comma 2.

Il comma 2 dello stesso articolo prevede che le modalità di attuazione dei predetti meccanismi di incentivazione sia disposta con decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e, per i profili di competenza, con il Ministro delle politiche agricole e forestali, previa intesa con Conferenza unificata.

Tale norma tipizza, in parte, il contenuto dei predetti decreti, prevedendo che essi stabiliscano, tra l’altro e per quanto di interesse, alla lettera f), oggetto della modifica in esame: “gli eventuali obblighi di monitoraggio a carico del soggetto beneficiario”.

In attuazione dell’articolo 28, comma 2 del D.Lgs. n. 28/2011, è stato adottato il Decreto interministeriale 16 febbraio 2016, cd. Conto termico 2.0., il quale disciplina l’incentivazione della produzione di energia termica da impianti a fonti rinnovabili ed interventi di efficienza energetica di piccole dimensioni.

 


 

Articolo 10-bis
(Modifiche alla disciplina degli incentivi per la rottamazione
e per acquisto veicoli non inquinanti)

 

 

L’articolo 10-bis, introdotto in Commissione, modifica la disciplina degli incentivi per l’acquisto di motocicli elettrici e ibridi nuovi, previa rottamazione di analoghi più inquinanti, che era stata introdotta dalla legge di bilancio 2019. La nuova disciplina estende l’incentivo all’acquisto di ciclomotori e motoveicoli, sia elettrici che ibridi, di tutte le categorie L a prescindere dalla potenza, mentre la misura del contributo, pari al 30% e che può arrivare ad un massimo di 3.000 euro, rimane invariata. Viene inoltre previsto che per usufruire dell’incentivo è consentito rottamare, oltre alle categorie già previste euro zero, 1 e 2, anche un analogo veicolo euro 3, nonché i ciclomotori che siano stati dotati di targa obbligatoria, come previsto dalla apposita normativa del 2011.

 

In dettaglio con il comma 1, lett. a) si sostituisce il comma 1057 della legge di bilancio 2019, prevedendo che il contributo per l’acquisto di un ciclomotore o motoveicolo elettrico o ibrido, anziché alle sole categorie L1e ed L3e, sia riconosciuto per tutte le seguenti categorie di ciclomotori e motoveicoli:

§  L1e: veicoli a due ruote di cilindrata fino a 50 cc con velocità massima di 45 km/h;

§  L2e: veicoli a tre ruote di cilindrata fino a 50 cc e con velocità massima di 45 km/h;

§  L3e: veicoli a due ruote di cilindrata superiore a 50 cc o con velocità massima superiore a 45 km/h;

§  L4e: veicoli a tre ruote asimmetriche rispetto all'asse longitudinale mediano, con cilindrata superiore a 50 cc o con velocità massima superiore ai 45 km/h (motocicli con carrozzetta laterale);

§  L5e: veicoli a tre ruote simmetriche rispetto all'asse longitudinale mediano, di cilindrata superiore ai 50 cc o con velocità massima superiore ai 45 km/h;

§  L6e: quadricicli leggeri, con massa a vuoto è inferiore o pari a 350 kg, esclusa la massa delle batterie per i veicoli elettrici, con velocità massima fino a 45 km/h e con cilindrata fino aa 50 cm³ per i motori ad accensione comandata; o con potenza massima netta fino a 4 kW per gli altri motori, a combustione interna; o la cui potenza nominale continua massima è inferiore o uguale a 4 kW per i motori elettrici.;

§  L7e: i quadricicli, diversi da quelli di cui alla categoria L6e, la cui massa a vuoto è inferiore o pari a 400 kg (550 kg per i veicoli destinati al trasporto di merci), esclusa la massa delle batterie per i veicoli elettrici, e la cui potenza massima netta del motore è inferiore o uguale a 15 kW.

Quindi, oltre che a tutti i veicoli a due ruote, l’incentivo è esteso anche tricicli a motore, alle motocarrozzette e ai quadricicli a motore.

Si ricorda che l’attuale formulazione del comma 1057 della legge di bilancio 2019 (legge n. 145 del 2018) prevede un contributo pari al 30% del prezzo di acquisto sino ad un massimo di 3.000 euro, a chi acquista, nel 2019, in Italia, anche in locazione finanziaria, un veicolo elettrico o ibrido nuovo di fabbrica, di potenza inferiore o uguale a 11kW, delle categorie L1e e L3e a fronte della consegna per la rottamazione un veicolo delle medesime categorie di cui siano proprietari o utilizzatori (in caso di locazione finanziaria, da almeno 12 mesi) qualora il veicolo consegnato per la rottamazione appartenga di categoria 0, 1 e 2. Il contributo è corrisposto dal venditore mediante compensazione con il prezzo di acquisto. Per la concessione del contributo, il comma 1063 della legge di bilancio 2019 ha autorizzato la spesa di euro 10 milioni per l'anno 2019 e previsto che il Ministero dell'economia e delle finanze effettui il monitoraggio dell'applicazione del credito d'imposta. La disciplina attuativa di tali disposizioni è stata dettata dal decreto interministeriale 20 marzo 2019.

 

In base alla nuova disposizione, per usufruire del contributo viene prevista, oltre alla rottamazione di un analogo veicolo delle categorie euro 0, 1, 2, anche la rottamazione di un analogo veicolo euro 3, ovvero di un ciclomotore che sia stato oggetto di targatura obbligatoria in base al decreto ministeriale 2 febbraio 2011. Viene richiesto di essere proprietari o intestatari da almeno dodici mesi dei veicoli da rottamare, ovvero che sia intestatario o proprietario, da almeno dodici mesi, un familiare convivente. Rimane invariata la possibilità di usufruire del contributo anche in caso di acquisto in locazione finanziaria del veicolo nuovo ed è necessaria l’immatricolazione in Italia.

Si ricorda che in base all’articolo 97 del Codice della strada, come novellato con decorrenza 30 luglio 2010 dalla legge n. 120 del 2010, i ciclomotori, per circolare, devono essere muniti di:

a) un certificato di circolazione, contenente i dati di identificazione e costruttivi del veicolo, nonché quelli della targa e dell'intestatario;

b) una targa, che identifica l'intestatario del certificato di circolazione.

Il richiamato decreto ministeriale 2 febbraio 2011 ha stabilito la calendarizzazione delle operazioni di rilascio dei certificati di circolazione e delle targhe per ciclomotori per poter circolare (conclusasi nel 2012), per i proprietari di ciclomotori già immessi in circolazione anteriormente alla data del 14 luglio 2006.

 

Con il comma 1, lett. b) viene modificato il comma 1062, lettera c) della legge di bilancio 2019, che ha introdotto in capo alle imprese costruttrici o importatrici, l'obbligo di conservare specifica documentazione fino al 31 dicembre del 5° anno successivo a quello di emissione della fattura di vendita del nuovo veicolo, nonché di trasmettere tale documentazione al venditore.

L'obbligo di conservazione riguarda i seguenti documenti:

a)    copia della fattura di vendita e atto di acquisto;

b)   copia del libretto, della carta di circolazione e del foglio complementare o del certificato di proprietà del veicolo usato o, in assenza, copia dell'estratto cronologico;

c)    l'originale del certificato di proprietà relativo alla cancellazione per demolizione, rilasciato dallo sportello telematico dell'automobilista.

A tale ultima lettera c) si aggiunge un periodo in base al quale oltre al certificato di proprietà l’obbligo riguarda, in sua mancanza evidentemente, il certificato di cessazione dalla circolazione rilasciato dall’ufficio della motorizzazione.


 

Articolo 11
(Aggregazioni d’imprese)

 

 

L’articolo 11 ripropone, per le operazioni di aggregazione di imprese condotte fino al 31 dicembre 2022, il cd. bonus aggregazione. L’agevolazione in commento consente, a fronte dell'effettuazione di operazioni di fusione, scissione o conferimento di azienda, il riconoscimento fiscale dell'avviamento e del maggior valore attribuito ai beni strumentali, materiali e immateriali, fino alla soglia di cinque milioni di euro. Viene introdotta pertanto una deroga al regime di neutralità fiscale che caratterizza tali operazioni, in base al quale il maggior valore attribuito ai beni è riconosciuto ai fini fiscali solo dopo l’applicazione e il pagamento delle imposte sulle medesime plusvalenze.

 

Il beneficio in parola è stato per la prima volta introdotto dalla legge finanziaria 2007 (articolo 1, commi da 242 a 249 legge n. 296 del 2006) ed è stato successivamente riproposto, con alcune modifiche, dall’articolo 4 del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5.

 

Come anticipato, le norme in esame derogano al regime di neutralità fiscale delle operazioni aziendali straordinarie: tale principio di neutralità, recato dagli articoli 172 e 173 del TUIR, prevede che l’avanzo o il disavanzo da concambio o da annullamento siano fiscalmente irrilevanti. Pertanto, i beni delle società fuse, incorporate o scisse assumono - ai fini delle imposte sui redditi - in capo alla società incorporante, risultante dalla fusione ovvero beneficiaria della scissione, l’ultimo valore fiscalmente riconosciuto che avevano presso la società originaria prima dell’operazione.

 

Il comma 1 disciplina l’agevolazione fiscale con riferimento alle operazioni di aggregazione aziendale realizzate attraverso fusioni o scissioni, a decorrere dal 1° maggio 2019 fino al 31 dicembre 2022.

 

In merito all’ambito soggettivo, il beneficio spetta se il soggetto risultante dalla predetta operazione straordinaria sia uno dei seguenti soggetti passivi IRES: società per azioni, società in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperative, società di mutua assicurazione, società europee e società cooperative europee residenti nel territorio dello Stato (articolo 73, comma 1, lettera a) del TUIR, Testo Unico delle Imposte sui Redditi, di cui al D.P.R. n. 917 del 1986).

Non rileva, pertanto, la natura giuridica delle società o imprese che vengono fuse o scisse – che possono essere anche imprese individuali o società di persone - ma esclusivamente la natura giuridica del soggetto risultante dall’operazione di fusione o scissione.

Oggetto dell’agevolazione sono i maggiori valori di avviamento e quelli attribuiti ai beni strumentali materiali e immateriali delle aziende che partecipano alla fusione o scissione, i quali vengono riconosciuti ai fini fiscali senza il pagamento di alcuna imposta.

Rispetto alle analoghe disposizioni contenute nel decreto-legge n. 5 del 2009 viene espressamente indicato l’avviamento tra i valori affrancabili.

 

Le condizioni poste per l’applicazione del beneficio sono:

§  l’imputazione in bilancio del disavanzo di concambio in corrispondenza dei maggiori valori affrancati. Il beneficio, invece, non opera relativamente ai maggiori valori iscritti per effetto dell’imputazione del disavanzo da annullamento.

Il disavanzo da concambio misura l'eccedenza dell'aumento di capitale sociale deliberato dalla società incorporante o beneficiaria, rispetto al patrimonio netto della società incorporata o scissa recepito nelle sue scritture contabili. Esso esprime, dal punto di vista economico, i maggiori valori di mercato rispetto al valore dei beni iscritti nei bilanci delle società fuse o incorporate. Poiché il capitale sociale è rappresentato da azioni (o strumenti similari), il disavanzo da concambio è riferibile al differente valore economico delle azioni scambiate tra le società che partecipano alla fusione o scissione.

Il disavanzo da annullamento, pur originando dalla differenza tra valori economici e valori nominali, è collegato all’annullamento di azioni e pertanto presuppone un rapporto di partecipazione;

§  l’ammontare complessivo dei valori gratuitamente affrancati non può, in ogni caso, essere superiore a 5 milioni di euro.

 

Il comma 2 applica il beneficio in esame anche alle aggregazioni effettuate attraverso i conferimenti di azienda (articolo 176 del TUIR), anch’esse effettuate fino al 31 dicembre 2022, sempre nel limite di 5 milioni di euro.

Si tratta delle operazioni mediante le quali un soggetto (conferente) trasferisce un bene o un servizio ad una società (conferitaria) ricevendo quale corrispettivo, in luogo del denaro, una partecipazione al capitale sociale della società o ente in cui ha effettuato l’apporto.

 

Il comma 3 individua i requisiti necessari per la fruizione dell’agevolazione in commento. In particolare:

1)   le imprese che partecipano all’aggregazione devono operare da almeno due anni;

2)   sono escluse le aggregazioni di partecipazioni che appartengono allo stesso gruppo societario;

3)   sono escluse le aggregazioni tra soggetti legati tra loro da un rapporto di partecipazione superiore al 20 per cento ovvero per i quali esista un rapporto di controllo anche indiretto ai sensi dell’articolo 2359, comma primo, n. 1) del codice civile, e cioè le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria.

 

Il maggior valore attribuito all’avviamento e ai beni strumentali viene riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP a decorrere dall’esercizio successivo a quello dell’operazione di aggregazione.

 

Ai sensi del comma 4, il beneficio si applica qualora le imprese interessate all’aggregazione si trovino o si siano trovate ininterrottamente, nei due anni precedenti l’operazione, nelle condizioni richieste dai precedenti commi.

La circolare dell’Agenzia delle entrate n. 16 del 21 marzo 2007 emanata in relazione al bonus aggregazioni introdotto dalla legge finanziaria 2007 ha fornito chiarimenti circa il comma 245 recante analoga disposizione a quella contenuta nel comma 4 in commento. In proposito, la circolare ha precisato che la congiunzione "o" assume funzione non disgiuntiva ma aggiuntiva. Ne deriva che il beneficio potrà essere concesso solo a condizione che le imprese partecipanti alle descritte operazioni di aggregazione aziendale possiedano i requisiti soggettivi e oggettivi (richiesti ai fini del riconoscimento fiscale) non solo al momento in cui viene posta in essere l'operazione di fusione, scissione o conferimento ma che li abbiano posseduti ininterrottamente anche nel corso dei due anni precedenti l'operazione stessa.

 

Il comma 5 dispone l’applicazione della normativa generale prevista per le imposte sui redditi in materia di liquidazione, accertamento, riscossione, rimborsi, sanzioni e contenzioso tributario.

 

I commi 6 e 7 recano disposizioni di natura antielusiva prevedendo la decadenza dall’agevolazione nelle ipotesi in cui, entro i successivi quattro anni, la società risultante dall’aggregazione:

§  effettui una ulteriore operazione straordinaria (trasformazione, fusione, scissione, conferimento, scambi di partecipazioni);

§  ceda i beni oggetto dell’affrancamento gratuito.

Nella dichiarazione dei redditi del periodo d’imposta in cui si verifica la decadenza, la società è tenuta a liquidare e versare l’IRES e l’IRAP dovute sul maggior reddito, relativo anche ai periodi d’imposta precedenti. Su tali imposte non sono applicate né sanzioni né interessi (comma 7).

Ai sensi del comma 6, tuttavia, il contribuente può proporre istanza di interpello ai sensi dell’articolo 11 dello Statuto del contribuente (legge n. 212 del 2000).

 

Ai sensi del citato articolo 11, il contribuente può interpellare l'amministrazione per ottenere una risposta riguardante fattispecie concrete e personali relativamente a: a) l'applicazione delle disposizioni tributarie, quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione di tali disposizioni e la corretta qualificazione di fattispecie alla luce delle disposizioni tributarie applicabili alle medesime; b) la sussistenza delle condizioni e la valutazione della idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l'adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti; c) l'applicazione della disciplina sull'abuso del diritto ad una specifica fattispecie.


 

Articolo 11-bis
(Estensione del regime di cd. realizzo controllato)

 

 

L’articolo 11-bis, introdotto in sede referente, estende l’applicazione del regime di cd. realizzo controllato, previsto dal TUIR nel caso di scambio di partecipazioni di controllo mediante conferimento, anche alle operazioni di scambio che non riguardano partecipazioni di controllo in presenza di specifiche circostanze.

Per effetto delle norme in esame, in presenza di alcuni requisiti e in ragione delle modalità con cui le quote scambiate vengono contabilizzate nei bilanci delle società coinvolte, dall’operazione di scambio non emergono plusvalenze soggette a imposta (cd. neutralità fiscale indotta).

 

La nozione di scambio di partecipazioni è contenuta nella direttiva 2009/133/Ce del Consiglio, del 19 ottobre 2009, che qualifica come scambio di azioni l’operazione mediante la quale una società acquisisce nel capitale sociale di un’altra società una partecipazione il cui effetto sia quello di conferire la maggioranza dei diritti di voto di questa società o, se dispone già di tale maggioranza, acquisisce un’ulteriore partecipazione, in cambio dell’assegnazione ai soci di quest’ultima, in contropartita dei loro titoli, di titoli rappresentativi del capitale sociale della prima società ed eventualmente di un saldo in contanti che non superi il 10 per cento  del valore nominale o, in mancanza del valore nominale, della parità contabile dei titoli assegnati in cambio (articolo 2, comma 1, lettera e) della direttiva).

L’articolo 177 del TUIR – Testo Unico delle imposte sui Redditi, di cui al D.P.R. 917 del 1986, disciplina la realizzazione mediante permuta (comma 1) e mediante conferimento (comma 2).

Con riferimento alla permuta, lo scambio avviene quando un soggetto IRES (più precisamente società ed enti commerciali residenti in Italia, cd. acquirente), acquista o integra una partecipazione di controllo ovvero incrementa, in virtù di un obbligo legale o di un vincolo statutario, la percentuale di controllo in un altro soggetto IRES (società ed enti commerciali residenti, cd. soggetto scambiato), attribuendo ai soci di quest’ultimo proprie azioni. In tal caso lo scambio non dà luogo a componenti positivi o negativi del reddito imponibile, a condizione che il costo delle azioni o quote date in permuta sia attribuito alle azioni o quote ricevute in cambio. L’eventuale conguaglio in denaro concorre a formare il reddito del percipiente, ferme rimanenti le esenzioni di legge (totale, prevista dall’articolo 87 TUIR e parziale, di cui agli articoli 58 e 68, comma 3, TUIR).

Lo scambio di partecipazioni mediante conferimento, invece, è regolato dal successivo comma 2, in base al quale le azioni o quote ricevute a seguito di conferimenti in società, mediante i quali la società conferitaria acquisisce il controllo di una società (ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, n. 1, del codice civile) ovvero incrementa, in virtù di un obbligo legale o di un vincolo statutario, la percentuale di controllo, sono valutate, ai fini della determinazione del reddito del conferente, in base alla corrispondente quota delle voci di patrimonio netto formato dalla società conferitaria per effetto del conferimento.

Con specifico riferimento alla disciplina dello scambio di partecipazioni attuato mediante conferimento (come chiarito nella Risoluzione n. 43 del 2017 dell’Agenzia delle entrate) tale disposizione, pur non prevedendo un regime di neutralità fiscale delle operazioni di conferimento rientranti nel relativo ambito di applicazione, definisce un criterio per la valutazione della azioni o delle quote ricevute dal conferente in relazione esclusivamente alla contabilizzazione dell’operazione effettuata dalla società conferitaria.

In altri termini, in applicazione del principio della “neutralità indotta”, nel caso di conferimento è possibile non fare emergere alcuna plusvalenza imponibile, qualora il valore di iscrizione della partecipazione e, pertanto, l’incremento di patrimonio netto effettuato dalla società conferitaria, riconducibile al singolo conferimento, risulti pari all’ultimo valore fiscale – presso ciascun soggetto conferente – della partecipazione conferita. Si tratta del regime del “realizzo controllato”, che fa dipendere i suoi effetti, sul piano fiscale, dal comportamento contabile adottato dalla società conferitaria.

 

Le norme in esame introducono un nuovo comma 2-bis all’articolo 177 TUIR, ai sensi del quale, se la società conferitaria non acquisisce il controllo di una società, né incrementa, in virtù di un obbligo legale o di un vincolo statutario, la percentuale di controllo, si applica comunque il regime del cd. realizzo controllato, al ricorrere congiuntamente delle due seguenti condizioni:

a)   le partecipazioni conferite rappresentano, complessivamente, una percentuale di diritti di voto esercitabili nell'assemblea ordinaria superiore al 2 o al 20 per cento, ovvero una partecipazione al capitale od al patrimonio superiore al 5 o al 25 per cento, secondo che si tratti di titoli negoziati in mercati regolamentati o di altre partecipazioni;

b)  le partecipazioni sono conferite in società, esistenti o di nuova costituzione, interamente partecipate dal conferente. Per i conferimenti di partecipazioni detenute in società la cui attività consiste in via esclusiva o prevalente nell'assunzione di partecipazioni (cd. holding), le predette percentuali si riferiscono a tutte le società indirettamente partecipate che esercitano un'impresa commerciale, secondo la definizione rilevante ai fini del TUIR. Esse si determinano, relativamente al conferente, tenendo conto della eventuale demoltiplicazione prodotta dalla catena partecipativa.

Ai fini dell’applicazione della disciplina dell’esenzione delle plusvalenze (citato articolo 87 TUIR, per cui si veda infra), la condizione dell’ininterrotto possesso decorre dal primo giorno del sessantesimo mese precedente quello dell'avvenuta cessione dell'avvenuta cessione delle partecipazioni conferite, in luogo del dodicesimo. Si considerano cedute per prime le azioni o quote acquisite in data più recente.

 

Il regime della partecipation exemption - PEX disciplinato dall’articolo 87 TUIR si applica ai soggetti IRES (di cui all’art. 73 del TUIR: società di capitali, società cooperative, alle società di mutua assicurazione, alle società in nome collettivo e in accomandita semplice, enti pubblici e privati diversi dalle società, relativamente all'attività di impresa commerciale da essi esercitata, inclusi i consorzi e le associazioni non riconosciute). Scopo delle norme è consentire ai gruppi societari di gestire il proprio portafoglio azionario senza carichi fiscali; la plusvalenza viene tassata solo quando percepita dagli azionisti sotto forma di dividendo.

Ai sensi della normativa PEX, le plusvalenze concorrono alla formazione del reddito imponibile del soggetto IRES solo nella misura del 5 per cento; l’imponibile fiscale viene dunque decurtato del 95 per cento.

Le condizioni per l’applicazione di tale regime sono le seguenti:

a)   possesso della partecipazione ininterrotto dal primo giorno del dodicesimo mese precedente quello dell’avvenuta cessione, considerando cedute per prime le azioni o quote acquisite in data più recente;

b)   qualifica delle partecipazioni tra le immobilizzazioni finanziarie, nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso;

c)   residenza fiscale della società partecipata in uno Stato o territorio diverso da quelli a regime fiscale privilegiato;

d)   esercizio, da parte della società partecipata, di un’impresa commerciale secondo la definizione generale del TUIR.

 

 


 

Articolo 12
(Fatturazione elettronica Repubblica di San Marino)

 

 

L’articolo 12 intende estendere l’obbligo di fatturazione in modalità elettronica anche ai rapporti commerciali tra operatori italiani e sammarinesi, come già avviene dal 1°gennaio 2019 in Italia, per tutte le operazioni poste in essere tra soggetti residenti o stabiliti nel territorio dello Stato italiano.

 

L’attuale disciplina dell'imposta sul valore aggiunto nei rapporti di scambio tra la Repubblica italiana e la Repubblica di San Marino è rinvenibile nel decreto del Ministero delle finanze del 24 dicembre 1993 che prevede, agli articoli 1 e 8, che gli operatori economici italiani e sammarinesi che cedono beni ad operatori economici aventi sede, residenza o domicilio nell’altro territorio sono tenuti ad emettere fattura in quadruplice esemplare.

 

Si ricorda che la legge di bilancio 2018 ha previsto, in luogo del previgente regime opzionale, l'obbligo di emettere soltanto fatture elettroniche attraverso il Sistema di Interscambio per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate tra soggetti residenti o stabiliti nel territorio dello Stato italiano a partire dal 1° gennaio 2019, sia nel caso in cui la cessione del bene o la prestazione di servizio è effettuata tra due operatori Iva (operazioni B2B, cioè Business to Business), sia nel caso in cui la cessione/prestazione è effettuata da un operatore Iva verso un consumatore finale (operazioni B2C, cioè Business to Consumer).

Per una panoramica completa in materia di fatturazione elettronica, comprensiva degli ultimi interventi legislativi, si rinvia al tema web Iva e fatturazione elettronica del Servizio studi della Camera dei deputati.

 

L’articolo 12 in esame prevede che le modalità per l’introduzione del richiamato obbligo sono demandate a un decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze in base ad accordi con la Repubblica di San Marino, secondo quanto previsto dall’articolo 71 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in materia di operazioni con lo Stato della Città del Vaticano e con la Repubblica di San Marino.

La norma fa comunque salvi gli esoneri dall'obbligo generalizzato di fatturazione elettronica previsti da specifiche disposizioni di legge.

 

Si ricorda, a titolo di esempio, che sono esonerati dall’obbligo di fatturazione elettronica:

§  coloro che applicano il regime forfettario (commi 54-89, art. 1, legge 190/2014);

§  coloro che applicano il regime di vantaggio (commi 1 e 2, art. 27, decreto legge 98/2011);

§  coloro che applicano il regime speciale degli agricoltori (articolo 34, comma 6 del D.P.R. 633/72);

§  le associazioni sportive e relative sezioni non aventi scopo di lucro, affiliate alle federazioni sportive nazionali o agli enti nazionali di promozione sportiva riconosciuti ai sensi delle leggi vigenti, che svolgono attività sportive dilettantistiche (articoli 1 e 2 della legge n. 398 del 1991).

 

L’ultimo periodo della norma stabilisce che con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate sono emanate le regole tecniche necessarie per l'attuazione delle disposizioni dell’articolo in esame.


 

Articolo 12-bis
(Luci votive)

 

 

L’articolo 12-bis, introdotto in sede referente, inserisce tra le attività qualificate come “commercio al minuto” a fini IVA anche le prestazioni di gestione del servizio delle lampade votive nei cimiteri, con efficacia decorrente dal 1° gennaio 2019.

Dall’assimilazione discende uno specifico regime di adempimenti IVA: in particolare, tali attività sono esonerate dall’obbligo di emettere fattura, salvo richiesta in tal senso proveniente dal cliente.

 

Si rammenta al riguardo che, nella risposta alla richiesta di consulenza giuridica n. 4 del 2018, l’Agenzia delle entrate aveva chiarito che, con riferimento al servizio di illuminazione elettrica con lampade votive nei cimiteri gestito direttamente dai Comuni nei confronti degli utenti, l’Ente locale è tenuto, in quanto soggetto passivo IVA a tutti gli obblighi previsti dalla legge in ordine alla fatturazione, registrazione, liquidazione, versamento e dichiarazione delle operazioni svolte in esercizio d’impresa o a esse equiparate e, di conseguenza, anche agli adempimenti relativi all’emissione di fattura elettronica.

 

A tale scopo il comma 1 dell’articolo modifica l’articolo 22, comma 1 del D.P.R. IVA (D.P.R. n. 633 del 1972), inserendovi il nuovo numero 6-quater).

 

Dalla qualifica di un’attività come “commercio al minuto” discende uno specifico regime degli adempimenti IVA, con particolare riferimento alla fatturazione ed alla trasmissione dei corrispettivi. L’articolo 22 del D.P.R. IVA chiarisce che per il commercio al minuto l'emissione della fattura non è obbligatoria, se non è richiesta dal cliente non oltre il momento di effettuazione dell'operazione. In assenza di fattura, i corrispettivi devono essere certificati mediante il rilascio di ricevuta fiscale (di cui all'articolo 8 della legge 10 maggio 1976, n. 249) ovvero di scontrino fiscale (di cui alla legge 26 gennaio 1983) n. 18, con l'osservanza delle relative discipline, come stabilito dalla legge n. 413 del 1991. Anche per tali soggetti, in ogni caso, ove sia richiesta dal cliente, vi è l’obbligo di emissione della fattura elettronica dal 1° gennaio 2019 in luogo della ricevuta o dello scontrino fiscale. Per i primi sei mesi del 2019 i commercianti al minuto possono trasmettere la fattura elettronica al Sistema di Interscambio entro il termine della liquidazione del periodo di effettuazione dell’operazione.

Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate, qualora il cliente chieda l’emissione della fattura al momento di effettuazione dell’operazione, l’esercente può alternativamente: in caso di fattura differita, emettere una ricevuta fiscale o uno scontrino fiscale da utilizzare come documenti idonei per l’emissione di una “fattura differita” ai sensi dell'articolo 21, comma 4, terzo periodo, lettera a), del D.P.R. IVA; in caso di fattura immediata, trasmettere al SdI entro i termini della liquidazione periodica, la fattura recante l’indicazione della data di effettuazione dell’operazione e rilasciare al cliente, al momento di effettuazione dell’operazione, apposita quietanza (ex art. 1199 del codice civile) che assume rilevanza solo commerciale e non fiscale.

Sotto un diverso profilo (articolo 2 del D.Lgs. n. 127 del 2015, come modificato nel tempo e, in particolare, dal decreto-legge n. 119 del 2018 e dalla legge di bilancio 2019) dal 1° gennaio 2020 i soggetti che effettuano le operazioni qualificate come commercio al minuto o attività assimilate (di cui al citato articolo 22 del DPR IVA) devono memorizzare elettronicamente e trasmettere telematicamente all'Agenzia delle entrate i dati relativi ai corrispettivi giornalieri (cd. scontrino elettronico). Tali disposizioni si applicano con una tempistica differenziata: in particolare, la loro operatività è anticipata al 1° luglio 2019 per i soggetti con un volume d'affari superiore a 400.000 euro.

Per il periodo d'imposta 2019 restano valide le opzioni per la memorizzazione elettronica e la trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi esercitate entro il 31 dicembre 2018. Le norme specificano il regime sanzionatorio per la mancata osservanza di tali obblighi e sanciscono quali adempimenti sono sostituiti dal cd. scontrino elettronico; inoltre, le operazioni di cui al citato articolo 22, ove effettuate in zone individuate con apposito decreto ministeriale, possono essere documentate mediante ricevuta fiscale o scontrino, con l'osservanza delle relative discipline. Il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 10 maggio 2019 ha sancito specifici esoneri dagli adempimenti legati allo scontrino elettronico, in ragione della tipologia di attività esercitata e con specifici limiti di tempo.

 

Il comma 2 chiarisce che le attività di gestione del servizio delle lampade votive nei cimiteri restano soggette all'obbligo di certificazione del corrispettivo mediante scontrino o ricevuta fiscale, ai sensi dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1996, n. 696.

Il comma 3 stabilisce che le norme in esame si applichino retroattivamente, a decorrere dal 1° gennaio 2019.


 

Articolo 12-ter
(Semplificazione in materia di termine
per l’emissione della fattura
)

 

 

L’articolo 12-ter, introdotto in Commissione, modifica il termine per l’emissione della fattura previsto dal decreto legge 23 ottobre 2018, n. 119 in tema di disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria (decreto fiscale), prevedendo che a decorrere dal 1° luglio 2019 la fattura deve essere emessa entro 12 giorni (non più 10) dal momento dell’effettuazione dell’operazione di cessione del bene o di prestazione del servizio.

L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 1 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

 

Si ricorda che l’articolo 11 del decreto legge 23 ottobre 2018, n. 119ha introdotto una norma di valenza generale che consente, a decorrere dal 1° luglio 2019, l'emissione delle fatture entro 10 giorni dall'effettuazione delle operazioni, mentre la previgente disciplina (articolo 21, comma 4, del D.P.R. n. 633 del 1972 in materia d’imposta sul valore aggiunto) disponeva che la fattura doveva essere emessa al momento dell'effettuazione dell'operazione, ovvero entro le ore 24 dalla cessione del bene o dalla prestazione del servizio.

 

L’articolo in esame, pertanto, allunga ulteriormente i termini per l’emissione della fattura: la fattura elettronica si considera emessa se risulta trasmessa attraverso il Sistema di Interscambio entro 12 giorni dalla data dell'effettuazione dell'operazione.

 

Per una panoramica completa della disciplina della fatturazione elettronica si rinvia al tema web IVA e fatturazione elettronica del Servizio studi della Camera dei deputati.

 


 

Articolo 12-quater
(Comunicazioni dei dati delle liquidazioni periodiche
dell'imposta sul valore aggiunto)

 

 

L’articolo 12-quater, introdotto in sede referente, modifica i termini di comunicazione dei dati contabili delle liquidazioni trimestrali IVA per il quarto trimestre. Si consente di effettuare tale comunicazione insieme con la dichiarazione annuale IVA che, in tal caso, deve essere presentata entro il mese di febbraio dell'anno successivo a quello di chiusura del periodo d'imposta.

L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 2 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

Restano fermi gli ordinari termini di versamento dell'imposta dovuta in base alle liquidazioni periodiche effettuate, così come non è modificato il termine per la comunicazione dei dati relativi al secondo trimestre (16 settembre).

 

La disposizione dell’articolo 12-quater pertanto, mediante sostituzione dell'articolo 21-bis, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, intende semplificare gli adempimenti previsti per il contribuente in materia di comunicazione dei dati contabili delle liquidazioni trimestrali IVA, stabilendo che i contribuenti che presentano la dichiarazione annuale IVA entro il 28 febbraio hanno la facoltà di effettuare anche la comunicazione relativa al quarto trimestre all’interno della dichiarazione annuale IVA. La norma intende evitare così al contribuente un doppio adempimento comunicativo/dichiarativo tra la comunicazione dei dati della liquidazione periodica IVA del quarto trimestre e la dichiarazione annuale IVA, senza incidere sui termini, né sui tempi di liquidazione e controllo, né di versamento delle imposte.

 

La normativa vigente prevede che i soggetti passivi IVA devono presentare il modello “Comunicazione delle liquidazioni periodiche IVA” per comunicare i dati contabili riepilogativi delle liquidazioni periodiche dell’imposta (art. 21-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78). Sono esonerati dalla presentazione della comunicazione i soggetti passivi non obbligati alla presentazione della dichiarazione annuale IVA o all’effettuazione delle liquidazioni periodiche, sempre che, nel corso dell’anno, non vengano meno le condizioni di esonero. L’obbligo di invio della comunicazione non ricorre in assenza di dati da indicare mentre sussiste nell'ipotesi in cui occorra evidenziare il riporto di un credito proveniente dal trimestre precedente.

In base ai commi 1 e 1-bis del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 100, in materia di dichiarazioni e versamenti periodici, entro il giorno 16 di ciascun mese, il contribuente determina la differenza tra l'ammontare complessivo dell'imposta sul valore aggiunto esigibile nel mese precedente, risultante dalle annotazioni eseguite o da eseguire nei registri relativi alle fatture emesse o ai corrispettivi delle operazioni imponibili, e quello dell'imposta, risultante dalle annotazioni eseguite, nei registri relativi ai beni ed ai servizi acquistati, sulla base dei documenti di acquisto di cui è in possesso e per i quali il diritto alla detrazione viene esercitato nello stesso mese. Entro il medesimo termine può essere esercitato il diritto alla detrazione dell'imposta relativa ai documenti di acquisto ricevuti e annotati entro il 15 del mese successivo a quello di effettuazione dell'operazione, fatta eccezione per i documenti di acquisto relativi ad operazioni effettuate nell'anno precedente. Il contribuente, qualora richiesto dagli organi dell'Amministrazione finanziaria, fornisce gli elementi in base ai quali ha operato la liquidazione periodica.

Si segnala inoltre che in base all’articolo 73, primo comma, lettera e) del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in materia di imposta sul valore aggiunto, il Ministro dell'economia e delle finanze, con propri decreti, può determinare le modalità ed i termini per l'emissione, numerazione e registrazione delle fatture, le liquidazioni periodiche e i versamenti relativi alle somministrazioni di acqua, gas, energia elettrica e simili e all'esercizio di impianti di lampade votive.

Infine si ricorda anche che, in base al successivo articolo 74 del medesimo D.P.R. n. 633, gli enti e le imprese che prestano servizi al pubblico con caratteri di uniformità, frequenza e diffusione tali da comportare l'addebito dei corrispettivi per periodi superiori al mese possono essere autorizzati, con decreto del Ministro delle finanze, ad eseguire le liquidazioni periodiche e i relativi versamenti trimestralmente anziché mensilmente. La stessa autorizzazione può essere concessa agli esercenti impianti di distribuzione di carburante per uso di autotrazione e agli autotrasportatori di cose per conto terzi.

Il modello di comunicazione deve essere presentato esclusivamente per via telematica, direttamente dal contribuente o tramite intermediari abilitati (art. 3, commi 2-bis e 3, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322). Il modello deve essere presentato entro l’ultimo giorno del secondo mese successivo a ogni trimestre. La comunicazione relativa al secondo trimestre è presentata entro il 16 settembre e quella relativa all’ultimo trimestre è presentata entro l’ultimo giorno del mese di febbraio. Se il termine di presentazione della comunicazione scade di sabato o in giorni festivi, lo stesso è prorogato al primo giorno feriale successivo.

L’obbligo di comunicazione non è venuto meno a seguito dell’entrata in vigore della fatturazione elettronica dal 1° gennaio 2019 (stabilito dai commi 909 e 916 della legge di bilancio 2018).

 


 

Articolo 12-quinquies
(Trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi)

 

 

L’articolo 12-quinquies, introdotto in sede referente, autorizza la trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi giornalieri, da parte dei commercianti al minuto e dei soggetti assimilati, entro dodici giorni dall’effettuazione dell’operazione. Viene eliminata la norma che consente l’individuazione di specifiche aree in cui è possibile documentare i corrispettivi mediante ricevuta o scontrino.

In relazione alla lotteria legata allo scontrino fiscale, si raddoppia la possibilità di vincita per le transazioni effettuate con carta di debito e credito rispetto alle transazioni effettuate per mezzo di contanti.

Si prorogano al 30 settembre i termini per i versamenti delle imposte dirette, dell’IRAP e dell’IVA, scadenti tra il 30 giugno e il 30 settembre 2019, per i soggetti nei confronti dei quali sono stati approvati gli indici sintetici di affidabilità fiscaleISA e che dichiarano ricavi o compensi di ammontare non superiore al limite stabilito.

Trasmissione telematica dei corrispettivi

Come anticipato, il comma 1 dell’articolo in esame autorizza la trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi giornalieri, da parte dei commercianti al minuto e dei soggetti assimilati, entro dodici giorni dall’effettuazione dell’operazione.

 

Si ricorda in via preliminare che l’articolo 2 del D.Lgs. n. 127 del 2015, come modificato nel tempo - in particolare dal decreto-legge n. 119 del 2018 e dalla legge di bilancio 2019 - dispone che dal 1° gennaio 2020 i soggetti che effettuano le operazioni qualificate come commercio al minuto o attività assimilate (di cui al citato articolo 22 del DPR IVA) memorizzino elettronicamente e trasmettano telematicamente all'Agenzia delle entrate i dati relativi ai corrispettivi giornalieri (cd. scontrino elettronico).

Tali disposizioni si applicano con una tempistica differenziata. In particolare, l’operatività dello scontrino elettronico è anticipata al 1° luglio 2019 per i contribuenti con volume d'affari superiore a 400.000 euro.

Le norme recano uno specifico regime sanzionatorio per la mancata osservanza di tali obblighi e sanciscono quali adempimenti sono sostituiti dal cd. scontrino elettronico.

Il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 10 maggio 2019 ha individuato, in coerenza con le norme di legge, esoneri temporanei dagli adempimenti legati allo scontrino elettronico, in ragione della tipologia di attività svolta dai contribuenti.

Ai sensi del vigente comma 6-ter dell’articolo 2, le operazioni dei commercianti al minuto e dei soggetti assimilati possono essere documentate mediante ricevuta o scontrino cartacei, con l'osservanza delle relative discipline, ove effettuate in zone individuate con apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico.

 

La norma in commento sostituisce integralmente il predetto comma 6-ter che, nella nuova formulazione, dispone in linea generale che i dati relativi ai corrispettivi giornalieri dei commercianti al minuto e assimilati siano trasmessi telematicamente all’Agenzia delle entrate entro dodici giorni dall’effettuazione della relativa operazione (determinata ai sensi delle regole generali in tema di IVA, ossia ai sensi dell’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633).

Rimangono fermi la memorizzazione giornaliera dei dati relativi ai corrispettivi nonché i termini di effettuazione delle liquidazioni periodiche IVA (ai sensi dell’articolo 1, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 100).

Nel primo semestre di vigenza dell’obbligo di memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei corrispettivi, decorrente dal 1° luglio 2019 per i soggetti con volume di affari superiore a euro 400.000 e dal 1° gennaio 2020 per gli altri soggetti, non si applicano le sanzioni previste dalla legge (articolo 2, comma 6), ove la trasmissione telematica sia effettuata entro il mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, fermi restando i termini di liquidazione dell’imposta sul valore aggiunto.

 

Si ricorda che il comma 6 dell’articolo 2 del D.Lgs. n. 127 del 2015 stabilisce che, in caso di mancata memorizzazione o di omissione della trasmissione, ovvero nel caso di memorizzazione o trasmissione con dati incompleti o non veritieri, si applichino le sanzioni previste per la mancata emissione di ricevuti e scontrini  e quelle per la reiterazione di dette violazioni (rispettivamente articolo 6, comma 3, e articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471).

Ai sensi del comma 3 dell’articolo 6, nel caso di mancata emissione di ricevute fiscali, scontrini fiscali o documenti di trasporto ovvero nell'emissione di tali documenti per importi inferiori a quelli reali, la sanzione è in ogni caso pari al cento per cento dell'imposta corrispondente all'importo non documentato. La stessa sanzione si applica in caso di omesse annotazioni su apposito registro dei corrispettivi relativi a ciascuna operazione in caso di mancato o irregolare funzionamento degli apparecchi misuratori fiscali. Se non constano omesse annotazioni, la mancata tempestiva richiesta di intervento per la manutenzione è punita con sanzione amministrativa da euro 250 a euro 2.000.

Nel caso di contestazione (articolo 12, comma 2), nel corso di un quinquennio, quattro distinte violazioni dell'obbligo di emettere la ricevuta fiscale o lo scontrino fiscale compiute in giorni diversi, anche se non sono state irrogate sanzioni accessorie, è disposta la sospensione della licenza o dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività ovvero dell'esercizio dell'attività medesima per un periodo da tre giorni ad un mese. Il provvedimento di sospensione è immediatamente esecutivo. Se l'importo complessivo dei corrispettivi oggetto di contestazione eccede la somma di euro 50.000 la sospensione è disposta per un periodo da un mese a sei mesi.

 

La relazione illustrativa dell’emendamento che ha introdotto l’articolo in esame - presentato dai Relatori - chiarisce che, dalle consultazioni con l’AGCOM, risulta che l’entità della popolazione “scoperta” da connettività telematica adeguata per la trasmissione giornaliera dei corrispettivi è esigua, e che le aree sprovviste di copertura non sono delimitabili né in termini di circoscrizioni amministrative né in termini geografici.

La previsione di una deroga (con decreto ministeriale) allo scontrino elettronico, valevole per specifiche zone, viene così sostituita da un requisito temporale per l’invio telematico dei dati dei corrispettivi giornalieri, compatibile con la carenza di connettività alle reti. 

 

Lotteria degli scontrini

Il comma 2 dell’articolo 12-quinquies modifica la disciplina della cd. lotteria degli scontrini, introdotta dalla legge di bilancio 2017.

 

I commi 540-544 della legge di bilancio 2017 (legge n. 232 del 2016) hanno previsto che il codice fiscale del cliente sia indicato su scontrini e fatture, a richiesta, per istituire una lotteria nazionale sui medesimi documenti. L’avvio della cd. lotteria scontrini è stato rinviato nel tempo, da ultimo (articolo 18 del decreto-legge n. 119 del 2018) al 1° gennaio 2020.

La lotteria è riservata ai soli contribuenti maggiorenni, residenti nel territorio dello Stato, che effettuano acquisti di beni o servizi, fuori dall’esercizio di attività di impresa, arte o professione, presso esercenti che trasmettono telematicamente i corrispettivi. Per partecipare all’estrazione è necessario che i contribuenti, al momento dell’acquisto, comunichino il proprio codice fiscale all’esercente e che quest’ultimo trasmetta all’Agenzia delle entrate i dati della singola cessione o prestazione. L’attuazione della lotteria è demandata a un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, d’intesa con l’Agenzia delle entrate, con particolare riferimento alla disciplina delle modalità tecniche relative alle operazioni di estrazione, l'entità e il numero dei premi messi a disposizione, nonché ogni altra disposizione necessaria per l'attuazione della lotteria.

 

Con le modifiche in esame viene novellata la norma (articolo 1, comma 542 della legge di bilancio 2017) che – per incentivare l'utilizzo di strumenti di pagamento elettronici - dispone un innalzamento della probabilità di vincita dei premi della lotteria scontrini, se le transazioni sono effettuate attraverso strumenti che consentano il pagamento con carta di debito e di credito. In particolare le norme in esame elevano la percentuale di aumento delle probabilità di vincita dal venti al cento per cento, rispetto alle transazioni effettuate mediante denaro contante.

Di conseguenza, con le modifiche in commento, per le transazioni effettuate con carta di debito e credito raddoppia la possibilità di vincita alla lotteria scontrini.

 

Versamenti dei soggetti ISA

Il comma 3 rinvia al 30 settembre i termini per i versamenti delle imposte dirette, dell’IRAP e dell’IVA, scadenti tra il 30 giugno e il 30 settembre 2019, per i soggetti nei confronti dei quali sono stati approvati gli indici sintetici di affidabilità fiscaleISA, purché dichiarino ricavi o compensi di ammontare non superiore al limite stabilito, per ciascun indice, dal decreto ministeriale di approvazione.

 

Il decreto-legge n. 50 del 2017 (articolo 9-bis) ha introdotto i cd. indici sintetici di affidabilità fiscale dei contribuenti, cui sono correlati specifici benefici, in relazione ai diversi livelli di affidabilità, prevedendo contemporaneamente la progressiva eliminazione degli effetti derivanti dall'applicazione dei parametri e degli studi di settore. La legge di bilancio 2018 (comma 931) ha differito l'avvio della nuova disciplina al periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2018.

Per ulteriori informazioni si rinvia all’approfondimento e alla scheda informativa dell’Agenzia delle entrate, che individua anche gli ISA approvati.

 

Ai sensi del comma 4, le norme sui versamenti dei soggetti ISA si applicano anche ai soggetti che partecipano a società, associazioni e imprese, ai sensi delle norme del TUIR in materia di redditi prodotti in forma associata (articolo 5 TUIR), nonché di quelle che consentono di optare per il regime di cd. trasparenza fiscale (articoli 115 e 116 TUIR).


 

Articolo 12-sexies
(Cedibilità dei crediti IVA trimestrali)

 

 

L’articolo 12-sexies, introdotto in sede referente, consente la cessione del credito IVA anche trimestrale, oltre che di quello annuale, già prevista dall’articolo articolo 5, comma 4-ter, del decreto-legge 14 marzo 1988, n. 70.

L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 4 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

 

La cessione del credito Iva è un istituto che permette di monetizzare un credito chiesto a rimborso, per ottenere immediatamente liquidità. Si ricorda che l’art. 38-bis del D.P.R. 633 del 1972 (decreto IVA) stabilisce che i rimborsi IVA sono eseguiti, su richiesta fatta in sede di dichiarazione annuale, entro tre mesi dalla presentazione della dichiarazione. Sulle somme rimborsate si applicano gli interessi in ragione del 2 per cento annuo, con decorrenza dal novantesimo giorno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, non computando il periodo intercorrente tra la data di notifica della richiesta di documenti e la data della loro consegna, quando superi quindici giorni.

 

La cessione a terzi del credito Iva annuale, preventivamente chiesto a rimborso nel quadro VR della dichiarazione Iva, deve risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata da notaio. Questo atto deve tra l’altro contenere l’esatta individuazione delle parti e dell’importo del credito ceduto (risoluzione 6 settembre 2006, n. 103).

Il creditore, cedente dell’eccedenza di Iva, poi, ha l’obbligo di notificare (ai sensi dell’articolo 1264 c.c.) formalmente all’ufficio dell’agenzia delle Entrate competente l’avvenuta cessione – che può essere anche parziale – del credito (articolo 69 del Regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440).

 

Si ricorda che già la giurisprudenza (si veda, ad esempio, la Corte d'appello di Venezia - sentenza n. 2252 del 2 ottobre 2013) si era espressa nel senso che anche il credito Iva trimestrale costituisce un credito certo, liquido ed esigibile, non una mera aspettativa di rimborso e pertanto è cedibile come qualsiasi altro credito.

 

Il comma 2 stabilisce che la disposizione in esame si applica ai crediti chiesti a rimborso a decorrere dal 1° gennaio 2020.

 

Il comma 3, infine, dispone che le amministrazioni interessate provvedono alle attività relative all'attuazione del presente articolo nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.


 

Articolo 12-septies
(Semplificazioni in materia di dichiarazioni di intento relative all’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto)

 

 

L’articolo 12-septies, introdotto in Commissione, modifica la disciplina delle dichiarazioni di intento prevista dal decreto legge 29 dicembre 1983, n. 746, in materia di imposta sul valore aggiunto.

L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 14 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

 

In particolare, il comma 1, lettera a) - modificando l’articolo 1 del decreto-legge n. 746 del 1983 - stabilisce che, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, l'intento di avvalersi della facoltà di effettuare acquisti o importazioni senza applicazione dell'imposta risulti da apposita dichiarazione, redatta in conformità al modello approvato con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, trasmessa per via telematica all'Agenzia medesima che rilascia ricevuta telematica con indicazione del protocollo di ricezione. La dichiarazione può riguardare anche più operazioni e gli estremi del protocollo di ricezione della dichiarazione devono essere indicati nelle fatture emesse in base ad essa, ovvero devono essere indicati dall'importatore nella dichiarazione doganale. Per la verifica di tali indicazioni al momento dell'importazione, l'Agenzia delle entrate mette a disposizione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli la banca dati delle dichiarazioni d'intento, per dispensare l'operatore dalla consegna in dogana della copia cartacea delle dichiarazioni di intento e delle ricevute di presentazione.

 

Nella normativa vigente la procedura è così disciplinata: l'intento di avvalersi della facoltà di effettuare acquisti o importazioni senza applicazione della imposta deve risultare da apposita dichiarazione, contenente l'indicazione del numero di partita IVA del dichiarante nonché l'indicazione dell'ufficio competente nei suoi confronti, trasmessa telematicamente all'Agenzia delle entrate, che rilascia apposita ricevuta telematica.

La dichiarazione, unitamente alla ricevuta di presentazione rilasciata dall'Agenzia delle entrate, sarà consegnata al fornitore o prestatore, ovvero in dogana. L'Agenzia delle entrate mette a disposizione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli la banca dati delle dichiarazioni d'intento per dispensare dalla consegna in dogana della copia cartacea delle predette dichiarazioni e delle ricevute di presentazione, prima dell'effettuazione della operazione; la dichiarazione può riguardare anche più operazioni tra le stesse parti. Nella prima ipotesi, il cedente o prestatore riepiloga nella dichiarazione IVA annuale i dati contenuti nelle dichiarazioni d'intento ricevute.

 

La lettera b) del comma 1 dell’articolo in commento abroga la norma (comma 2, articolo 1, del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746) che richiede che la dichiarazione dalla quale risultava l'intento di avvalersi della facoltà di effettuare acquisti o importazioni senza applicazione della imposta sia redatta in duplice esemplare, progressivamente numerata dal dichiarante e dal fornitore o prestatore, annotata entro i quindici giorni successivi a quello di emissione o ricevimento in apposito registro e conservata, e che gli estremi della dichiarazione siano indicati nelle fatture emesse in base ad essa.

 

Il comma 2, in merito alle violazioni relative alle esportazioni, interviene sulle sanzioni comminate al cedente o al prestatore che effettuano cessioni o prestazioni senza aver prima riscontrato telematicamente l'avvenuta presentazione all'Agenzia delle entrate della dichiarazione. La sanzione amministrativa è la stessa attualmente prevista per chi effettua operazioni senza addebito d'imposta, in mancanza della dichiarazione d'intento: dal cento al duecento per cento dell'imposta.

Pertanto il cedente o il prestatore che effettua cessioni (anche tramite commissionari, di beni diversi dai fabbricati e dalle aree edificabili) o prestazioni di servizi rese a soggetti che, avendo effettuato cessioni all'esportazione od operazioni intracomunitarie, si avvalgono della facoltà di acquistare, anche tramite commissionari, o importare beni e servizi senza pagamento dell'imposta, deve riscontrare telematicamente sul sito dell'Agenzia delle entrate l'avvenuta presentazione prima di effettuare le operazioni stesse.

 

Il comma 3 prevede che con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, sono definite le modalità operative per l’attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo.

 

Il comma 4, infine, stabilisce che l’applicazione delle norme di cui ai commi 1 e 2 decorre dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

 


 

Articolo 12-octies
(
Tenuta della contabilità in forma meccanizzata)

 

 

L’articolo 12-octies, introdotto in sede referente, prevede che sia esteso anche a tutti i registri contabili aggiornati con sistemi elettronici, in qualsiasi supporto, l’obbligo di stampa cartacea soltanto all’atto del controllo e su richiesta dell'organo procedente, attualmente previsto per i soli registri IVA.

L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 20 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

La norma in vigore, comma 4-quater dell'articolo 7, del decreto-legge 10 giugno 1994, n. 357, stabilisce infatti che la tenuta dei registri delle fatture con sistemi elettronici sia in ogni caso considerata regolare - in difetto di trascrizione su supporti cartacei - nei termini di legge se in sede di accesso, ispezione o verifica gli stessi risultano aggiornati sui predetti sistemi elettronici e vengono stampati a seguito della richiesta avanzata dagli organi procedenti e in loro presenza.

 


 

Articolo 12-novies
(Imposta di bollo virtuale sulle fatture elettroniche)

 

 

L’articolo 12-novies, introdotto in Commissione, consente all’Agenzia delle entrate, già in fase di ricezione delle fatture elettroniche, di verificare con procedure automatizzate la corretta annotazione dell’assolvimento dell’imposta di bollo, avendo riguardo alla natura e all’importo delle operazioni indicate nelle fatture stesse. L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 21 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

In particolare, il comma 1, primo periodo, prevede che l’Agenzia delle entrate, ove rilevi che sulle fatture elettroniche non sia stata apposta la specifica annotazione di assolvimento dell’imposta di bollo, possa integrare le fatture stesse con procedure automatizzate, già in fase di ricezione sul Sistema di interscambio (disciplinato dall’articolo 1, commi 211 e 212, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, legge finanziaria 2008).

L’Agenzia include nel calcolo dell’imposta dovuta, da rendere noto a ciascun soggetto passivo IVA (ai sensi dell’articolo 6, comma 2, del D.M. del 16 giugno 2014), sia l’imposta dovuta in base a quanto correttamente dichiarato nella fattura, sia il maggior tributo calcolato sulle fatture nelle quali non è stato correttamente indicato l’assolvimento dell’imposta.

 

La richiamata legge finanziaria 2008 ha stabilito che la trasmissione delle fatture elettroniche destinate all’amministrazione dello Stato debba avvenire attraverso il Sistema di Interscambio (SdI). Il DM del 7 marzo 2008 ha individuato l'Agenzia delle Entrate quale gestore del Sistema di Interscambio e la Sogei quale apposita struttura dedicata ai servizi strumentali ed alla conduzione tecnica. Il DM 3 aprile 2013, numero 55, stabilisce le regole in materia di emissione, trasmissione e ricevimento della fattura elettronica e definisce le modalità di funzionamento del Sistema di Interscambio.

Il Sistema di Interscambio, gestito dall'Agenzia delle Entrate, è un sistema informatico in grado di:

§  ricevere le fatture sotto forma di file con le caratteristiche della FatturaPA,

§  effettuare controlli sui file ricevuti,

§  inoltrare le fatture alle Amministrazioni destinatarie.

 

Il secondo periodo stabilisce che nei casi residuali in cui non sia possibile effettuare tale verifica con procedure automatizzate, restano comunque applicabili le ordinarie procedure di regolarizzazione dell’assolvimento dell’imposta di bollo e di recupero del tributo, ai sensi del D.P.R. n. 642 del 1972 che reca il Testo Unico sull’imposta di bollo.

Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 6, comma 2, ultimo periodo, del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 17 giugno 2014, le fatture elettroniche devono riportare una specifica annotazione nel caso in cui sia obbligatorio l’assolvimento dell’imposta di bollo. In base alle disposizioni del medesimo comma 2, il versamento dell’imposta di bollo dovuta su tali fatture è effettuato con cadenza trimestrale, entro il giorno 20 del mese successivo alla chiusura del trimestre in cui sono state emesse le fatture stesse. Per agevolare il pagamento dell’imposta di bollo, ai sensi di quanto previsto dal richiamato comma 2, l’Agenzia delle entrate rende noto ai soggetti passivi IVA, tramite l’area riservata del proprio sito internet, l’ammontare dell’imposta di bollo dovuta, calcolata in base al numero di fatture che recano la suddetta specifica annotazione. Ove nelle fatture elettroniche non sia stato correttamente indicato l’assolvimento dell’imposta di bollo, l’Agenzia delle entrate è tenuta a regolarizzare successivamente le fatture stesse ai fini dell’imposta di bollo e a recuperare l’imposta dovuta secondo le procedure di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642 (che reca la disciplina dell'imposta di bollo). Tali procedure sono state configurate per l’applicazione agli atti in formato cartaceo e dunque appaiono poco efficaci per i documenti digitali, quali le fatture elettroniche, anche in ragione dell’imposta dovuta per ciascun esemplare di esse (pari a 2 euro, secondo l’articolo 13 della Tariffa allegata al DPR n. 642 del 1972).

 

Il terzo periodo stabilisce che in caso di mancato, insufficiente o tardivo pagamento dell'imposta resa nota dall'Agenzia delle entrate si applica la sanzione del 30 per cento del dovuto di cui all'articolo 13, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, generalmente irrogata in caso di mancato o parziale versamento dei tributi alle relative scadenze

 

Si ricorda che l'articolo 13, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, stabilisce che chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell'imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l'ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a novanta giorni, la sanzione di cui al primo periodo è ridotta alla metà. Salva l'applicazione della disciplina del ravvedimento, per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al secondo periodo è ulteriormente ridotta a un importo pari a un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo.

 

L’integrazione automatica della fattura con procedure automatizzate da parte dell’Agenzia, ferma restando l’applicazione della sanzione di cui al terzo periodo, si applica alle fatture inviate dal 1° gennaio 2020 attraverso il Sistema di interscambio.

 

Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono adottate le disposizioni di attuazione del presente articolo, ivi comprese le procedure per il recupero dell'imposta di bollo non versata nonché l’irrogazione delle sanzioni di cui al terzo periodo.

 

L’ultimo periodo stabilisce che le amministrazioni interessate provvedono alle attività relative all'attuazione del presente comma nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. 

 


 

Articolo 13
(Vendita di beni tramite piattaforme digitali)

 

 

L'articolo 13 - modificato in sede referente - prevede che il soggetto passivo che facilita, tramite l'uso di un'interfaccia elettronica, le vendite a distanza di beni importati o le vendite a distanza di beni all’interno dell’Unione europea deve trasmettere all'Agenzia delle entrate, entro il mese successivo a ciascun trimestre, i dati per l’individuazione di ciascun fornitore e le transazioni effettuate per ciascun fornitore (numero totale delle unità vendute in Italia e l'ammontare totale dei prezzi di vendita o il prezzo medio di vendita). In sede referente, è stato specificato che per ciascun fornitore devono essere forniti anche i dati anagrafici completi e il codice identificativo fiscale ove esistente.

In sede referente è stato poi soppresso il comma 2, del testo originario dell’articolo ai sensi del quale il primo invio dei dati doveva essere effettuato nel mese di luglio 2019.

Anche il soggetto passivo che ha facilitato tramite l'uso di un'interfaccia elettronica le vendite a distanza di apparecchi elettronici, nel periodo compreso tra il 13 febbraio 2019 e il 1° maggio 2019, è tenuto a inviare all'Agenzia delle entrate i dati relativi a dette operazioni secondo modalità e termini determinati con provvedimento dell’Agenzia delle entrate (in sede referente, è stato soppresso, per coordinamento con la modifica sopra indicate, il termine di luglio 2019).

 

In sede referente sono state apportate alcune modifiche al comma 1.

 

In particolare, si prevede che il provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate stabilisca - oltre alle modalità - anche i "termini" per la trasmissione dei dati e che questi ultimi comprendano anche i dati anagrafici completi e il codice identificativo fiscale ove esistente.

 

Il comma 1 obbliga quindi il soggetto passivo che facilita, tramite l'uso di un'interfaccia elettronica quale un mercato virtuale, una piattaforma, un portale o mezzi analoghi, le vendite a distanza di beni importati o le vendite a distanza di beni all’interno dell’Unione europea a trasmettere entro il mese successivo a ciascun trimestre, secondo termini e modalità stabiliti con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, per ciascun fornitore i seguenti dati:

a)   la denominazione o i dati anagrafici completi, la residenza o il domicilio, il codice identificativo fiscale ove esistente, l'indirizzo di posta elettronica;

b)  la denominazione, la residenza o il domicilio, l'indirizzo di posta elettronica;

c)   il numero totale delle unità vendute in Italia;

d)  a scelta del soggetto passivo, per le unità vendute in Italia, l’ammontare totale dei prezzi di vendita o il prezzo medio di vendita.

 

Inoltre, in sede referente è stato soppresso il comma 2, il quale disponeva che il primo invio di dati dovesse essere effettuato entro il mese di luglio 2019 (si veda infra la modificazione di analogo tenore proposta al comma 4).

Il soggetto passivo è considerato debitore d’imposta per le vendite a distanza per le quali non ha trasmesso, o ha trasmesso in modo incompleto, i suddetti dati, presenti sulla piattaforma, se non dimostra che l’imposta è stata assolta dal fornitore (comma 3).

Il comma 4 prevede che la disciplina dell'IVA relativa alle cessioni di apparecchi elettronici - introdotta a decorrere dal 13 febbraio 2019 dall’articolo 11-bis, commi da 11 a 15, del D.L. 135/2018 (L. 12/2019) - acquista efficacia a decorrere dal 1° gennaio 2021.

 

I commi da 11 a 15 dell’articolo 11-bis introducono una disciplina diretta a contrastare fenomeni di elusione ed evasione IVA nell'ambito di transazioni commerciali, effettuate tramite piattaforme commerciali online, di determinati beni elettronici (telefoni cellulari, console da gioco, tablet PC e laptop). Nel caso di vendite o cessioni dei predetti beni, facilitate da soggetti passivi che mettono a disposizione di terzi l'uso di un'interfaccia elettronica, una piattaforma, un portale o mezzi analoghi, questi ultimi soggetti – pur non entrando direttamente nella transazione – sono considerati come soggetti che hanno ricevuto e successivamente ceduto tali beni, con conseguente applicazione agli stessi del meccanismo dell’inversione contabile (reverse charge).

La disposizione è indirizzata ai soggetti che gestiscono piattaforme online e che, oltre a vendere direttamente i predetti beni (in riferimento ai quali il versamento dell'IVA è disciplinato dal meccanismo dell'inversione contabile, v. infra), mettono a disposizione le proprie strutture per favorire la vendita di beni di altri soggetti, dai quali ricevono una parte del ricavo derivante dalla transazione.

Per comprendere la portata dei commi in esame è opportuno richiamare il meccanismo dell'inversione contabile, già previsto nell'ordinamento italiano per i medesimi beni cui si riferiscono le modifiche in commento.

Per inversione contabile o reverse charge si intende il trasferimento di una serie di obblighi relativi alle modalità con cui viene assolta l'IVA all'acquirente di beni e servizi (in deroga alla disciplina generale che li demanda al cedente).

L'acquirente risulta al contempo creditore e debitore del tributo, con obbligo di registrare la fattura sia nel registro degli acquisti che in quello delle fatture. Si tratta di un meccanismo ritenuto particolarmente efficace nella prevenzione delle frodi IVA in quanto il cedente, che potrebbe tenere comportamenti a rischio di frode, riceve dall'acquirente esclusivamente l'importo imponibile del bene ceduto (o della prestazione eseguita), con la conseguenza che non si determina in capo ad esso l'obbligo di versare l'IVA dell'operazione eseguita, che, come detto, spetta all'acquirente.

Tale meccanismo è previsto dall'ordinamento italiano (DPR 633 del 1972, art.17, commi 5 e 6) e dall'ordinamento dell'Unione europea (fra le altre direttiva 2010/23/UE, art.199-bis).

Il richiamato art.17, comma 6, include fra le operazioni assoggettabili al meccanismo dell'inversione contabile le cessioni di telefoni cellulari (lettera b)) e le "cessioni di console da gioco, tablet PC e laptop, nonché le cessioni di dispositivi a circuito integrato, quali microprocessori e unità centrali di elaborazione, effettuate prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale" (lettera c)). Tali disposizioni si applicano alle operazioni effettuate fino al 30 giugno 2022 (scadenza così prorogata dal decreto-legge n. 119 del 2018).

Esse sono in linea con l'art.199-bis della citata direttiva, che autorizza gli Stati membri ad adottare tale sistema, fra le altre, per le cessioni di console di gioco, di tablet PC, di laptop e "di telefoni cellulari, concepiti come dispositivi fabbricati o adattati per essere connessi a una rete munita di licenza e funzionanti a frequenze specifiche, con o senza altro utilizzo".

Le cessioni per le quali l'ordinamento italiano prevede inversione contabile (fra cui quelle relative a telefoni cellulari, console da gioco, tablet, PC e laptop) sono quelle effettuate nella fase distributiva che precede il commercio al dettaglio. Nel caso in cui la vendita avvenga dunque nei confronti del consumatore finale, a tali cessioni si applica il regime ordinario (Si vedano in proposito le circolari dell'Agenzia delle entrate n. 59/E/2010 e n. 21/E del 25 maggio 2016).

I commi in esame dettano una disciplina che riguarda cessioni che siano facilitate da soggetti passivi che mettono a disposizione di terzi "l'uso di un'interfaccia elettronica quale un mercato virtuale, una piattaforma, un portale o mezzi analoghi". Tali soggetti non sono parti della transazione (ciò che presupporrebbe una prima acquisizione e una successiva cessione al consumatore finale) e ad essi, ai sensi della normativa richiamata, non si applica l'istituto dell'inversione contabile.

Per effetto delle modifiche in esame, i soggetti passivi che favoriscono le vendite o le cessioni a distanza dei richiamati beni elettronici si considerano come soggetti che hanno ricevuto e successivamente ceduto tali beni (commi 11 e 12).

Sembra dunque evincersi che, con le norme in esame, i soggetti che favoriscono dette transazioni debbano soggiacere al meccanismo dell’inversione contabile.

Nello specifico, si dispone che, se un soggetto passivo facilita le vendite a distanza dei suddetti apparecchi elettronici importati da territori o paesi terzi, di valore intrinseco non superiore a 150 euro (comma 11), ovvero facilita le cessioni dei medesimi beni da un soggetto passivo non stabilito nell’Unione europea a una persona che non è soggetto passivo (comma 12), lo stesso soggetto passivo che favorisce (le vendite o) la cessione sia considerato come avente "ricevuto e ceduto detti beni".

Il comma 13 stabilisce che, ai fini dell'applicazione dei due commi appena richiamati, si presume che la persona che vende i beni tramite l'interfaccia elettronica sia un soggetto passivo e la persona che acquista tali beni non sia un soggetto passivo.

Il comma 14, con il fine di agevolare le azioni di contrasto di fenomeni fraudolenti, pone in capo al soggetto passivo che facilita le vendite a distanza l'onere di conservare la documentazione di tali vendite e di metterla a disposizione delle amministrazioni fiscali degli Stati membri (s'intende dell'Unione europea) in cui dette cessioni sono imponibili.

Nello specifico, dispone che la documentazione debba essere sufficientemente dettagliata sì da consentire la verifica in ordine alla corretta contabilizzazione dell'IVA; che sia a richiesta disponibile in formato elettronico; e che sia conservata per un periodo di 10 anni a decorrere dal 31 dicembre dell'anno in cui l'operazione è stata effettuata.

Ai sensi del comma 15, il soggetto passivo che facilita le vendite a distanza, nel caso in cui stabilito in un paese che non ha sottoscritto alcun accordo di assistenza reciproca con l'Italia, ha l'obbligo di designare un intermediario che agisce in suo nome e per suo conto.

L'art. 3 del DPCM 27 febbraio 2019 (pubblicato nella GU del 5 marzo 2019, n. 54) prevede che per i soggetti passivi che facilitano tramite l'uso di un'interfaccia elettronica le vendite a distanza di telefoni cellulari, console da gioco, tablet PC e laptop, i termini per il versamento dell'imposta sul valore aggiunto, dovuta ai sensi dell'art. 11-bis, commi da 11 a 15, del D.L. 135/2018, da effettuarsi entro il 16 aprile 2019, sono prorogati al 16 maggio 2019, con la maggiorazione dello 0,40 per cento mensile a titolo di interesse corrispettivo.

Tali soggetti trasmettono all'Agenzia delle entrate i dati di cui all'art. 1, co. 3-bis, del d.lgs. 127/2015, relativi alle operazioni dei mesi di marzo e aprile 2019 entro il 31 maggio 2019.

 

Il soggetto passivo che ha facilitato tramite l'uso di un'interfaccia elettronica - quale un mercato virtuale, una piattaforma, un portale o mezzi analoghi - le vendite a distanza di cui al citato articolo 11-bis, commi da 11 a 15, del D.L. 135/2018, nel periodo compreso tra il 13 febbraio 2019 e il 1° maggio 2019 (data di entrata in vigore del decreto-legge in esame), invia i dati relativi a dette operazioni secondo termini e modalità determinati (in base alla nuova formulazione accolta in sede referente) con il medesimo provvedimento dell'Agenzia delle entrate previsto dal comma 1.

Nel testo originario l'invio dei dati era previsto nel mese di luglio 2019.

 

Il comma 5 prevede che le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 si applicano fino al 31 dicembre 2020.


 

Articolo 13-bis
(Reintroduzione della denuncia fiscale
per la vendita di alcolici)

 

 

L’articolo 13-bis, inserito in sede referente, reintroduce l’obbligo di denuncia fiscale per la vendita di alcolici negli esercizi pubblici, negli esercizi di intrattenimento pubblico, negli esercizi ricettivi e nei rifugi alpini, adempimento che era stato eliminato dalla legge sulla concorrenza (legge n. 124 del 2017).

L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 33 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

Viene in particolare modificato l’articolo 29 del Testo Unico Accise – TUA (D.Lgs. n. 504 del 1995), il quale obbliga gli esercenti di impianti di trasformazione, di condizionamento e di deposito di alcol e di bevande alcoliche assoggettati ad accisa all’obbligo di denuncia al competente Ufficio dell'Agenzia delle dogane.

Nella formulazione vigente (articolo 29, comma 2, su cui intervengono le norme in esame) sono soggetti alla denuncia gli esercizi di vendita, ad esclusione degli esercizi pubblici, degli esercizi di intrattenimento pubblico, degli esercizi ricettivi e dei rifugi alpini, ed i depositi di alcol denaturato aventi specifiche caratteristiche.

Con le modifiche in esame si reintroduce l’obbligo di denuncia fiscale per gli esercizi pubblici, gli esercizi di intrattenimento pubblico, negli esercizi ricettivi e per i rifugi alpini; come anticipato, detto adempimento era stato eliminato dalla legge n. 124 del 2017 (legge annuale per il mercato e la concorrenza).

 

La disciplina relativa agli esercizi pubblici è recata dal Capo II del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al Regio decreto n. 773/1931, e successive modificazioni. In particolare, l’art. 86 del citato Testo unico subordina alla licenza del questore gli alberghi, le locande, le pensioni, le trattorie, le osterie, i caffè o gli altri esercizi in cui si vendono al minuto o si consumano vino, birra, liquori od altre bevande anche non alcooliche, nonché le sale pubbliche per biliardi o altri giuochi leciti o stabilimenti di bagni, ovvero locali di stallaggio e simili. La norma prevede inoltre che per la somministrazione di bevande alcooliche presso enti collettivi o circoli privati di qualunque specie, anche se la vendita o il consumo siano limitati ai soli soci, è necessaria la comunicazione al questore e si applicano i medesimi poteri di controllo degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza previsti per le attività di cui al primo comma. Con particolare riferimento agli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, si segnala che essi sono disciplinati dalla L. n. 287/1991, così come modificata dal D.Lgs. n. 59/2010 e successive modificazioni. In particolare, l’art. 1, comma 1, identifica la somministrazione come la vendita per il consumo sul posto, che si esplicita in tutti i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell'esercizio o in una superficie aperta al pubblico, all'uopo attrezzati. L’art. 5 della L. n. 287/1991 enumera poi tra le tipologie di tali esercizi pubblici: a) gli esercizi di ristorazione, per la somministrazione di pasti e di bevande, comprese quelle aventi un contenuto alcoolico superiore al 21 per cento del volume, e di latte (ristoranti, trattorie, tavole calde, pizzerie, birrerie ed esercizi similari); b) gli esercizi per la somministrazione di bevande, comprese quelle alcooliche di qualsiasi gradazione, nonché di latte, di dolciumi, compresi i generi di pasticceria e gelateria, e di prodotti di gastronomia (bar, caffè, gelaterie, pasticcerie ed esercizi similari); c) gli esercizi di cui alle lettere a) e b), in cui la somministrazione di alimenti e di bevande viene effettuata congiuntamente ad attività di trattenimento e svago, in sale da ballo, sale da gioco, locali notturni, stabilimenti balneari ed esercizi similari; d) gli esercizi di cui alla lettera b), nei quali è esclusa la somministrazione di bevande alcoliche di qualsiasi gradazione.

In proposito, si ricorda che il D.L. n. 14/2017, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48, ha introdotto alcune modifiche al citato Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. In particolare, tali norme sono contenute:

§  nell’art. 8, in relazione al potere del sindaco di adottare ordinanze in materia di sicurezza, di natura contingibile o non contingibile, con particolare riferimento agli orari di vendita e di somministrazione di bevande alcoliche;

§  nell’art. 12, relativamente alla facoltà del questore di disporre la sospensione dell’attività dei pubblici esercizi, nelle ipotesi di reiterata inosservanza delle ordinanze emanate ai sensi dell'articolo 50, commi 5 e 7, del TUEL, in materia di orari di vendita e di somministrazione di bevande alcoliche. L’art. 100 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali affida infatti al questore il potere di sospendere la licenza di un esercizio nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l'ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini;

§  nell’art. 12-bis, in relazione al potere del questore di sospendere la licenza di un esercizio per tumulti o gravi disordini.

Si ricorda inoltre che i requisiti per l'esercizio, in qualsiasi forma e limitatamente all'alimentazione umana, di un'attività di commercio al dettaglio relativa al settore merceologico alimentare o di un'attività di somministrazione di alimenti e bevande, sono stati individuati dall'art. 71, co. 6, del D.Lgs. n. 59/2010, come modificato dall'art. 8 del D.Lgs. n. 147/2012.

Anche gli esercizi di intrattenimento pubblico sono assoggettati dall’art. 68 del TULPS alla licenza del questore.

Con riferimento, invece, agli esercizi ricettivi, si ricorda che a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, sulla normativa statale in materia di turismo è stata fatta un'operazione di codifica nel Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo (D.Lgs. 79/2011), il quale reca la disciplina quadro del settore provvedendo al riordino, al coordinamento e all'integrazione delle disposizioni legislative statali vigenti, nel rispetto dell'ordinamento dell'Unione europea e delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali. Esso ha abrogato (art. 3) la vecchia legge-quadro sul turismo del 2001, ma alcune delle norme di questa legge vi sono confluite, senza o con minime modifiche. La Corte Costituzionale (con sentenza n. 80/2012) ha dichiarato l'illegittimità di numerose disposizioni contenute nel citato Codice, tra le quali quelle che provvedevano alla classificazione delle strutture ricettive (articolo 8), in quanto volte all'accentramento da parte dello Stato di funzioni invece rientranti nella competenza legislativa residuale delle Regioni. Rimane comunque in vigore la normativa quadro contenuta nel D.P.C.M. 21 ottobre 2008 – adottato ai sensi dell’art. 2, comma 193, lett. a) della legge n. 244/2007 con intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano che reca la definizione delle tipologie dei servizi forniti dalle imprese turistiche nell'ambito dell'armonizzazione della classificazione alberghiera”.

Con riferimento, infine, ai rifugi alpini, si rileva che la relativa normativa, dapprima contenuta nel Testo organico delle norme sulla disciplina dei rifugi alpini (D.P.R. 918/1957), è stata superata dalla legge quadro sul turismo (L. 217/1983, poi abrogata), che classificava i rifugi come “locali idonei ad offrire ospitalità in zone montane di alta quota, fuori dai centri abitati”. Non sussistendo, allo stato, una normativa che disciplini a livello unitario la materia dei rifugi, le regioni, alle quali è stata demandata la determinazione dei criteri per la classificazione delle strutture, non hanno provveduto in maniera uniforme alla definizione relativa. La localizzazione in zone di montagna di alta quota rappresenta la caratteristica comune presente nelle definizioni contenute nella legislazione regionale sui rifugi alpini.

 


 

Articolo 13-ter
(Disposizioni in materia di pagamento o
deposito dei diritti doganali)

 

 

L’articolo 13-ter, introdotto in sede referente, prevede la possibilità per i contribuenti di pagare i diritti doganali, così come tutti gli altri diritti riscossi dalle Dogane in forza di specifiche disposizioni legislative, mediante strumenti di pagamento tracciabili ed elettronici.

L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 34 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

Viene integralmente sostituito l’articolo 77 del DPR n. 43 del 1973 il quale consente, nella vigente formulazione, di pagare le somme dovute a titolo di diritti doganali in contanti per un importo non superiore a euro 516,46 per ciascuna dichiarazione. È in facoltà del capo della dogana di autorizzare, quando particolari circostanze lo giustificano, il versamento in contanti di più elevati importi, fino al limite massimo di euro 5.164,57.

Per gli importi anzidetti, quando l'operatore non si avvale della facoltà del versamento in contanti, e per gli importi superiori il pagamento o il deposito deve essere eseguito in uno dei modi seguenti:

§  mediante accreditamenti in conto corrente postale, nei limiti di importo stabiliti dall'Amministrazione postale;

§  mediante vaglia cambiari, assegni circolari o assegni bancari a copertura garantita, nonché mediante assegni bancari emessi da istituti ed aziende di credito anche internazionali espressi in euro;

§  mediante bonifico bancario con valuta fissa.

 

Le norme in esame di conseguenza intendono adeguare le modalità di pagamento in dogana al mutato quadro giuridico ed operativo, alle innovazioni tecniche e al più generale sistema di razionalizzazione e semplificazione introdotto dal Codice dell'amministrazione digitale (di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 e successive modifiche, da ultimo per effetto del D.Lgs. 13 dicembre 2017, n.217).

 

A tale scopo, le modifiche all’articolo 77 permettono di pagare presso gli uffici doganali i diritti doganali e ogni altro diritto che la dogana è tenuta a riscuotere in forza di una legge, nonché le relative sanzioni, ovvero il deposito cauzionale di somme a titolo di tali diritti, mediante:

a)   carte di debito, di credito o prepagate e ogni altro strumento di pagamento elettronico disponibile, in conformità alle disposizioni dettate dal Codice dell'amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni;

b)    bonifico bancario;

c)    accreditamenti sul conto corrente postale intestato all'ufficio;

d)    in contanti per un importo non superiore a 300 euro. Resta ferma, come nella formulazione attuale, la facoltà del Direttore dell'Ufficio delle dogane di consentire, quando particolari circostanze lo giustificano, il versamento in contanti di più elevati importi; le modifiche in esame abbassano tuttavia il limite massimo dell’importo autorizzabile, che coincide con il limite massimo consentito dalla normativa vigente sull'utilizzo del contante (ai sensi delle vigenti disposizioni antiriciclaggio, esso è attualmente pari a 3.000 euro ai sensi dell’articolo 49 del D.Lgs. n. 231 del 2007);

e)    assegni circolari non trasferibili, quando particolari circostanze di necessità o urgenza, stabilite con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, lo giustificano.

 

Si rammenta al riguardo che l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha già aderito al Sistema dei pagamenti informatici a favore delle Pubbliche Amministrazioni e dei gestori dei pubblici servizi (c.d. sistema pagoPA).

La proposta in commento riguarda sia i “diritti doganali” intesi nella loro più ristretta accezione (quelli indicati cioè dall’articolo 34 del Testo unico in materia doganale di cui al D.P.R. n. 43/1973), così come tutti i diritti riscossi dalle dogane in forza di specifiche disposizioni legislative (compresi quindi anche i prelievi non direttamente connessi con un’operazione doganale), nonché le somme dovute a titolo di sanzioni.

La norma recepisce i criteri-guida fissati dal citato Decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 anche attraverso le disposizioni recate dall’articolo 15, comma 5-bis, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, che ha introdotto l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di accettare i pagamenti, a qualsiasi titolo dovuti, anche con l’uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, nell’ottica del “conseguimento degli obiettivi di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica” e al fine di garantire “omogeneità di offerta ed elevati livelli di sicurezza”.

 

Il comma 2 dell’articolo in esame rinvia ad un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, di concerto con la Ragioneria generale dello Stato, sentita la Banca d’Italia, l’individuazione delle modalità per il successivo versamento delle somme riscosse in tesoreria.

Articolo 13-quater
(Contrasto all’evasione nel settore turistico)

 

 

L’articolo 13-quater, introdotto in sede referente, reca norme volte a contrastare l’evasione nel settore turistico-ricettivo.

In primo luogo si stabilisce che gli intermediari immobiliari residenti in Italia, appartenenti al medesimo gruppo degli intermediari non residenti che non abbiano nominato un rappresentante fiscale, sono solidalmente responsabili per il pagamento della ritenuta sui canoni e corrispettivi relativi ai contratti di locazione breve.

I dati relativi alle generalità delle persone alloggiate presso le strutture ricettive, forniti dal Ministero dell’interno all’Agenzia delle Entrate in forma anonima e aggregata per struttura ricettiva, sono tramessi ai comuni che hanno istituito l’imposta di soggiorno o il contributo di soggiorno a fini di monitoraggio. Viene istituita una apposita banca dati delle strutture ricettive e degli immobili destinati alle locazioni brevi, identificate secondo un codice alfanumerico, da utilizzare in ogni comunicazione inerente all’offerta e alla promozione dei servizi all’utenza, consentendone l’accesso all’Agenzia delle entrate.

I titolari delle strutture ricettive, gli intermediari e i soggetti che gestiscono portali telematici devono pubblicare il richiamato codice identificativo nelle comunicazioni inerenti all’offerta e alla promozione, pena la sanzione pecuniaria da 500 euro a 5.000 euro.

 

Si ricorda che l’articolo 4, comma 5-bis, del decreto-legge n. 50 del 2017 ha esteso il regime della cd. cedolare secca anche alle locazioni brevi. In particolare, si può optare per l’applicazione della cedolare secca con aliquota al 21 per cento sui redditi derivanti dalle locazioni brevi di immobili ad uso abitativo, se i contratti sono stipulati da persone fisiche al di fuori dell’esercizio d’impresa, direttamente o in presenza di intermediazione immobiliare, anche on line. E’ dettata una specifica disciplina degli obblighi informativi posti a carico degli intermediari; se tali soggetti intervengono anche nella fase del pagamento dei canoni di locazione, sono tenuti ad applicare una ritenuta del 21 per cento all’atto dell’accredito, a titolo di acconto o d’imposta, a seconda che sia stata effettuata o meno l’opzione per la cedolare secca.

Il comma 5-bis dell’articolo 4 sopra richiamato prevede che gli intermediari non residenti, in possesso di una stabile organizzazione in Italia, adempiono all’obbligo di ritenuta d’acconto tramite la stabile organizzazione. I soggetti non residenti privi di stabile organizzazione in Italia, ai fini dell’adempimento del suddetto obbligo di ritenuta, in qualità di responsabili d’imposta, possono nominare un rappresentante fiscale tra i soggetti che operano la ritenuta sui redditi di lavoro dipendente (ai sensi dell’articolo 23 del D.P.R. n. 600 del 1973).

Il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 12 luglio 2017 ha chiarito le modalità di effettuazione della ritenuta da parte degli intermediari, nonché le modalità di adempimento degli obblighi informativi (che riguardano nome, cognome e codice fiscale del locatore, durata del contratto, importo del corrispettivo lordo e indirizzo dell'immobile).

 

Il comma 1 dell’articolo in esame aggiunge un periodo alla fine del comma 5-bis dell’articolo 4 del decreto-legge n. 50 del 2017, volto a chiarire le conseguenze in caso di assenza di nomina del rappresentante fiscale da parte dell’intermediario non residente privo di stabile organizzazione in Italia.

In tal caso gli intermediari residenti nel territorio dello Stato, appartenenti allo stesso gruppo degli intermediari non residenti, sono solidalmente responsabili con questi ultimi per l’effettuazione e il versamento della ritenuta sull’ammontare dei canoni e corrispettivi relativi ai contratti di locazione breve, di sublocazione, nonché dei contratti a titolo oneroso conclusi dal comodatario aventi ad oggetto il godimento dell'immobile da parte di terzi.

 

Il comma 2 prevede che i dati relativi alle generalità delle persone alloggiate presso le strutture ricettive, comunicate dai gestori alla questura, siano forniti dal Ministero dell’interno, in forma anonima e aggregata per struttura ricettiva, all’Agenzia delle entrate affinché siano resi disponibili, anche a fini di monitoraggio, ai comuni che hanno istituito l’imposta di soggiorno o il contributo di soggiorno. Inoltre tali dati sono utilizzati dall’Agenzia delle entrate, unitamente a quelli trasmessi dai soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare (ai sensi del richiamato articolo 4, commi 4 e 5, del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50) ai fini dell’analisi del rischio relativamente ai corretti adempimenti fiscali.

Il comma 3 affida a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno, da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali che si pronuncia entro quarantacinque giorni dalla data di trasmissione, il compito di individuare i criteri, i termini e le modalità per l’attuazione delle predette disposizioni in tema di trasmissione e utilizzo dei dati sulle generalità dei soggetti alloggiati. Decorso il termine di quarantacinque giorni, il decreto può essere comunque adottato.

 

Il comma 4, per migliorare la qualità dell’offerta turistica, assicurare la tutela del turista e contrastare forme irregolari di ospitalità, anche ai fini fiscali, istituisce presso il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo una apposita banca dati delle strutture ricettive, nonché degli immobili destinati alle locazioni brevi presenti sul territorio nazionale, identificate secondo un codice alfanumerico, denominato “codice identificativo”, da utilizzare in ogni comunicazione inerente all’offerta e alla promozione dei servizi all’utenza.

 

Ai sensi del comma 5, con decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame, sono stabiliti:

a)   le norme per la realizzazione e la gestione della banca dati, compresi i dispositivi per la sicurezza e la riservatezza dei dati;

b)   le modalità di accesso alle informazioni contenute nella banca dati;

c)   le modalità per la messa a disposizione delle informazioni contenute nella banca dati agli utenti e alle autorità preposte ai controlli e per la conseguente pubblicazione nel sito internet istituzionale del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo;

d)   i criteri che determinano la composizione del codice identificativo, sulla base della tipologia e delle caratteristiche della struttura ricettiva, nonché della sua ubicazione nel territorio comunale.

 

Il comma 6 affida a un decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in parola, sentiti il Direttore dell’Agenzia delle entrate e il Garante per la protezione dei dati personali, il compito di definire le modalità applicative per l’accesso da parte dell’Agenzia delle entrate ai dati relativi al predetto codice identificativo.

 

Ai sensi del comma 7, i titolari delle strutture ricettive ovvero i soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, nonché i soggetti che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in cerca di un immobile o porzioni di esso con persone che dispongono di unità immobiliari o porzioni di esse da locare, sono tenuti a pubblicare nelle comunicazioni inerenti all’offerta e alla promozione il richiamato codice identificativo.

L’inosservanza delle disposizioni sulla pubblicazione del codice (comma 8) comporta l’applicazione della sanzione pecuniaria da 500 euro a 5.000 euro. In caso di reiterazione della violazione, la sanzione è maggiorata del doppio.

Ai sensi del comma 9, agli oneri derivanti dalla realizzazione della banca dati, pari a 1 milione di euro per l’anno 2019, si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo speciale per la riassegnazione dei residui perenti iscritto nello stato di previsione del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo.

 

 

 

 


 

Articolo 14
(Enti associativi assistenziali)

 

 

L’articolo 14 è stato integralmente sostituito in sede referente.

Le modifiche apportate in Commissione hanno inteso chiarire il perimetro soggettivo dell’agevolazione che opera per determinate categorie di enti non commerciali - prevalentemente associativi - e che consiste nell’esclusione da tassazione diretta dei proventi di talune prestazioni effettuate in diretta attuazione degli scopi istituzionali, in quanto considerate fiscalmente “non commerciali”.

L’articolo chiarisce sia il perimetro operativo dell’agevolazione vigente, sia quello destinato a operare allorché sia attuata la riforma del Terzo settore con l’istituzione del Registro dei relativi enti.

 

Il comma 3 dell’articolo 148 del TUIR – Testo Unico delle Imposte sui Redditi (D.P.R. n. 917 del 1986) – reca un’agevolazione fiscale, ai fini delle imposte dirette, operante in favore di alcuni enti non commerciali prevalentemente associativi. In sostanza si stabilisce la non imponibilità di talune prestazioni rese dai predetti enti, ove sussistano congiuntamente i seguenti presupposti:

§  le attività sono effettuate dagli organismi associativi tassativamente indicati;

§  le cessioni di beni e le prestazioni di servizi sono rese in favore degli iscritti, associati o partecipanti, ovvero di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali;

§  le stesse attività sono effettuate in diretta attuazione degli scopi istituzionali.

In capo agli enti in possesso dei requisiti qualificanti previsti dalle norme di riferimento, ove intendano avvalersi delle disposizioni agevolative di cui all’articolo 148 del TUIR, grava l’onere della comunicazione all’Agenzia delle entrate, mediante apposito modello (cd. Modello EAS), dei dati e delle notizie rilevanti ai fini fiscali.

 

Al riguardo occorre ricordare che il comma 3 è stato oggetto di modifiche nel corso del tempo e, nella specie, da parte del Codice del Terzo Settore (articolo 89, comma 4 del decreto legislativo n. 117 del 2017).

Prima dell'adozione del Codice, il comma 3 dell’articolo 148 TUIR individuava quali destinatari dell’agevolazione le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona.

Le modifiche apportate dall’articolo 89, comma 4 hanno limitato l’ambito soggettivo dell’agevolazione alle associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose e sportive dilettantistiche, eliminando dunque il riferimento alle associazioni assistenziali.

La decorrenza di tale modifica è stata posticipata all’entrata in funzione del nuovo Registro degli enti del Terzo settore.

L’articolo 104, comma 2 del medesimo Codice dispone infatti che il nuovo regime fiscale del Terzo Settore (di cui al Titolo X del Codice, ove è collocato l’articolo 89 sopra richiamato) si applichi – con alcune eccezioni – agli enti iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore, a decorrere dal periodo di imposta successivo all'autorizzazione della Commissione europea e, comunque, non prima del periodo di imposta successivo di operatività del predetto Registro.

Il Registro del Terzo settore non è ancora stato istituito e, pertanto, la novella non è immediatamente entrata in vigore.

 

Sino al 31 dicembre 2018 operava dunque il testo originario del TUIR: sul punto è poi intervenuta la legge di bilancio 2019 (articolo 1, comma 1022 della legge n. 145 del 2018).

La richiamata legge di bilancio ha inteso includere nel novero dei destinatari dell’agevolazione anche le strutture periferiche di natura privatistica, necessarie agli enti pubblici non economici per attuare la funzione di preposto a servizi di pubblico interesse.

Nell’apportare la predetta modifica, il comma 1022 ha trasfuso nel comma 3 del TUIR il testo del comma 3 come modificato dal Codice del Terzo settore, sebbene non in vigore al momento della modifica (in quanto il Registro, come si è detto, non è stato istituito).

 

Le norme in esame dunque sembrano intervenire per sanare la condizione di incertezza sul testo concretamente applicabile, in attesa del completamento della riforma del Terzo Settore.

 

Con le modifiche in commento viene anzitutto ripristinato (comma 1) il testo dell'articolo 148 del TUIR, ante Codice del Terzo settore, incorporandovi la modifica apportata dalla legge di bilancio 2019.

Di conseguenza, per effetto delle norme in esame (articolo 14, comma 1) sono destinatarie dell’agevolazione le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona (comma 3 vigente ante Codice del Terzo settore), nonché le strutture periferiche di natura privatistica necessarie agli enti pubblici non economici per attuare la funzione di preposto a servizi di pubblico interesse (modifiche della Legge di bilancio 2019).

 

Sono escluse dal novero delle associazioni assistenziali quelle di cui all’articolo 51, comma 2, lettera a), TUIR, vale a dire le associazioni aventi esclusivamente fine assistenziale in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, che operino negli ambiti di intervento stabiliti con decreto del Ministro della salute.

 

Il comma 2 della norma in esame apporta le conseguenti modifiche al Codice del terzo settore, novellando il comma 4 dell'articolo 89 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n.117, incorporandovi le modifiche della legge di bilancio 2019.

Il nuovo perimetro dell’agevolazione, come sopra chiarito, è applicabile subordinatamente all’operatività del Registro degli enti del terzo settore e comprende le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, sportive dilettantistiche, nonché le strutture periferiche di natura privatistica necessarie agli enti pubblici non economici.

Dalla nuova formulazione dell'articolo 89 restano pertanto escluse, rispetto all'ambito di applicazione dell'articolo 148 del TUIR delineato dal precedente comma 1, le associazioni culturali, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona.   

 

In tale contesto, si segnala che il regime fiscale applicabile agli enti del terzo settore costituisce uno dei tratti salienti del relativo Codice, ed è rinvenibile negli articoli dal 79 all'89 del decreto legislativo n. 117 del 2017. Tali norme, che come si è già rappresentato non sono ancora in vigore, disegnano il quadro fiscale applicabile agli enti del terzo settore nel contesto del quale l'articolo 89 rappresenta la disposizione coordinamento normativo con altre fonti di natura fiscale. 

Si tratta di un regime che applica specifiche misure di sostegno agli enti diversi dalle imprese sociali, mentre le norme del TUIR relative all’IRES, vengono applicate in quanto compatibili. Al centro della disciplina vi sono i dettagliati criteri per determinare la natura commerciale o non commerciale degli enti del terzo settore, i quali tengono conto delle attività di interesse generale da essi svolte e delle modalità operative concretamente impiegate. Per gli enti non commerciali vengono introdotti benefici non previsti dalle previgenti norme tributarie e un regime fiscale opzionale per la determinazione del reddito d'impresa basato sui coefficienti di redditività (una percentuale variabile che si applica al reddito imponibile su cui viene poi calcolata l’imposta). Uno specifico regime agevolativo viene disposto per coloro che effettuano erogazioni liberali in denaro a favore degli enti del terzo settore non commerciali, che abbiano presentato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali un progetto per sostenere il recupero degli immobili pubblici inutilizzati e dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Più in generale, viene introdotta una disciplina unitaria per le deduzioni e detrazioni previste per chi effettua erogazioni liberali a favore di enti del terzo settore non commerciali e di cooperative sociali.

 

 

 

 

 


 

Articolo 15
(Estensione della definizione agevolata delle
entrate regionali e degli enti locali)

 

 

L’articolo 15 consente alle regioni e agli enti territoriali di disporre la definizione agevolata delle proprie entrate, anche tributarie, non riscosse a seguito di provvedimenti di ingiunzione fiscale notificati negli anni dal 2000 al 2017, mediante l’esclusione delle sanzioni.

 

Il decreto-legge n. 193 del 2016, che ha disciplinato la definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione negli anni compresi tra il 2000 e il 2016, all’articolo 6-ter ha concesso agli enti territoriali di disporre la definizione agevolata delle proprie entrate, consistente nell’esclusione delle sanzioni, e ha demandato ai medesimi enti la relativa disciplina. Tale facoltà riguardava i carichi relativi a entrate non riscosse, oggetto di provvedimenti di ingiunzione fiscale notificati nel periodo compreso fra il 2000 ed il 2016 dall’ente territoriale ovvero da un concessionario incaricato della riscossione, iscritto nell’apposito albo (previsto dalla legislazione vigente, ovvero all’articolo 53 del decreto legislativo n. 446 del 1997).

Successivamente, il decreto-legge n. 148 del 2017 (che ha esteso la definizione agevolata ai carichi affidati fino al 30 settembre 2017) ha riproposto la richiamata facoltà per gli enti territoriali, per le entrate non riscosse a seguito di provvedimenti di ingiunzione fiscale notificati entro il 16 ottobre 2017 (articolo 1, comma 11-quater).

Con riferimento invece alla cd. rottamazione ter (disciplinata dal decreto-legge n. 119 del 2018) il Governo, rispondendo (il 19 dicembre 2018) all'interrogazione in Commissione VI Finanze n. 5-01133, ha rilevato che la definizione agevolata del decreto-legge n. 119 del 2018, che riguarda i carichi affidati fino al 31 dicembre 2017, opera per le cartelle di pagamento relative ai tributi locali solo nel caso in cui l’ente territoriale abbia affidato l’attività di riscossione agli Agenti della riscossione, quali l’Agenzia entrate Riscossione.

 

In sostanza le disposizioni in esame – con una formulazione che riprende il testo dell’articolo 6-ter del decreto-legge n. 193 del 2016 e dell’articolo 1, comma 11-quater del decreto-legge n. 148 del 2017 - estende l’ambito operativo della definizione agevolata alle entrate delle regioni e degli enti territoriali, permettendo a detti enti di avvalersene non più nel solo caso di affidamento dell’attività di riscossione agli Agenti della riscossione (tra cui Agenzia dell’entrate – Riscossione), ma anche di poterla deliberare per i provvedimenti notificati con ingiunzione fiscale sino al 31 dicembre 2017, dunque affidati ai concessionari privati o gestiti direttamente.

 

L’attuale assetto normativo della riscossione degli enti locali è frutto di numerosi interventi normativi succedutisi nel tempo, alla luce di scelte non sempre univoche del legislatore. Da ciò deriva una disciplina estremamente stratificata, le cui fonti sono spesso rinvenibili in provvedimenti d’urgenza e che è stata nel tempo foriera di contenzioso e di incertezze interpretative.

Nel 2016 è stata disposta la complessiva riforma (articoli da 1 a 3 del decreto-legge n. 193 del 2016) della riscossione, con la soppressione di Equitalia S.p.A. dal 1° luglio 2017 e l’istituzione dell’ente pubblico economico strumentale Agenzia delle Entrate – Riscossione (AER) - cui sono state attribuite le funzioni e gli asset di Equitalia. AER è un agente della riscossione abilitato ad operare attraverso le procedure della riscossione tramite ruolo: l’ente può anche svolgere le attività di riscossione delle entrate tributarie e patrimoniali di comuni, province e relative società partecipate (articolo 1, comma 3 del decreto-legge n. 193 del 2016). In particolare, Agenzia delle entrate - Riscossione può continuare l’attività di riscossione per conto degli enti locali, senza il previo espletamento della selezione dell’affidatario, prevista dalla procedura ad evidenza pubblica, essendo sufficiente a tale scopo una semplice delibera consigliare dell’ente locale.

Dunque a decorrere dal 1° luglio 2017 le amministrazioni locali menzionate possono deliberare di affidare al soggetto preposto alla riscossione nazionale le attività di riscossione, spontanea e coattiva, delle entrate tributarie o patrimoniali proprie e delle società da esse partecipate. Con riferimento alla riscossione spontanea delle entrate locali, essa può avvenire in forma diretta, salvo affidamento ad AER, come anticipato in precedenza.

Con riferimento alla riscossione coattiva, alla luce del suesposto quadro normativo gli enti locali possono:

§   effettuare la riscossione coattiva in forma diretta, secondo le disposizioni del D.Lgs. n. 446 del 1997;

§  ricorrere all’affidamento in house a società strumentali;

§  affidare la riscossione coattiva ad Agenzia delle entrate – Riscossione ai sensi delle citate norme del decreto-legge n. 193 del 2016, ma non le attività di accertamento e liquidazione (articolo 35 del decreto-legge n. 50 del 2017) in quanto attività estranee alla missione istituzionale dell’Agenzia delle entrate-Riscossione;

§  affidare la riscossione coattiva a soggetti esterni (ai sensi dell’articolo 52, comma 5 del richiamato D.Lgs. 446/1997), tra i quali i concessionari privati iscritti all'albo dei soggetti abilitati (di cui all'articolo 53 del citato D.Lgs. n. 446 del 1997), previo esperimento di una procedura a evidenza pubblica secondo il Codice dei contratti pubblici (salva l'ipotesi di affidamento in house).

Con riferimento alla gestione diretta, il richiamato articolo 52 del decreto-legge n. 446 del 1997 consente a comuni e province di disciplinare con regolamento tutte le entrate di propria pertinenza, sia di natura tributaria che patrimoniale, nonché e le relative forme di gestione delle attività di liquidazione, accertamento e riscossione. L’articolo 7, comma 2, del decreto-legge n. 70/2011, alla lettera gg-quater) consente ai comuni, in sede di riscossione delle entrate locali, di avvalersi dell’ingiunzione fiscale rinforzata, ovvero quella disciplinata dal regio decreto n. 639 del 1910 ed integrata dalle disposizioni del D.P.R. n. 602 del 1973, se la gestione è svolta direttamente ovvero affidata in concessione ai privati iscritti nell’apposito albo dei soggetti abilitati. L’ingiunzione fiscale è uno strumento che consente di riscuotere le entrate tributarie e patrimoniali dei comuni; a seconda del tipo di entrata riscossa, l’ingiunzione è accompagnata da alcuni atti prodromici tipici (ad esempio l’avviso di accertamento per riscuotere entrate di natura tributaria); si tratta di un atto amministrativo col quale l’ente creditore individua il quantum dovuto intimandone il pagamento. Ove il contribuente non proceda al pagamento o non si opponga entro 30 giorni, l’ingiunzione diviene definitiva, e l’ente può procedere ad esecuzione forzata utilizzando gli strumenti espropriativi previsti dal D.P.R. n. 602 del 1973.

Dall’altro lato, lo strumento tramite il quale attuare il prelievo del credito da riscuotere è la cartella di pagamento, se l’affidatario è Agenzia entrate - Riscossione (ordinaria procedura di riscossione tramite ruolo). I due strumenti appaiono sostanzialmente in linea, con alcune differenze; di conseguenza, la scelta dei comuni in ordine alla gestione della riscossione coattiva implica una preventiva valutazione degli strumenti a disposizione dell’ente locale. L’ingiunzione presenta infatti vantaggi sotto il profilo della rapidità e della snellezza delle procedure; dall’altro lato, l’ente AER ha la possibilità di accedere a un più ampio spettro di strumenti informativi, utili per l’attività di riscossione (accesso diretto a numerose banche dati, ovvero rapporti bancari, rapporti di lavoro presso l'Inps, e ai dati del PRA utili ad attivare le disposizioni sul pignoramento presso terzi ed altre misure cautelari).

 

Più in dettaglio, il comma 1 disciplina la facoltà delle regioni e degli enti locali di deliberare la definizione agevolata delle proprie entrate non riscosse, che siano state oggetto di provvedimenti di ingiunzione fiscale. In particolare occorre che i richiamati provvedimenti siano stati notificati, nel periodo compreso fra il 2000 ed il 2017, dall’ente territoriale ovvero da un concessionario incaricato della riscossione, iscritto nell’apposito albo previsto a legislazione vigente (ai sensi dell’articolo 53 del decreto legislativo n. 446 del 1997).

Nello specifico, l’eventuale definizione agevolata consiste nell’esclusione delle sanzioni relative alle entrate e deve essere disposta – entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in commento (entro il 1° luglio 2019) – con i medesimi atti e procedure con cui gli enti territoriali disciplinano (per gli aspetti di propria competenza) le medesime entrate. Dell’avvenuta adozione dell’atto con cui si dispone la definizione agevolata delle entrate gli enti impositori sono tenuti a dare notizia mediante pubblicazione nei rispettivi siti internet istituzionali, entro i successivi trenta giorni.

Ai sensi del comma 2, il provvedimento con cui è disposta la definizione agevolata deve contemplare i seguenti aspetti:

a)   il numero di rate e la relativa scadenza, fermo restando che in ogni caso il pagamento deve essere completato entro il 30 settembre 2021;

b)   le modalità attraverso le quali il debitore può avanzare l’istanza di avvalersi della definizione agevolata;

c)   il termine entro cui l’interessato è tenuto ad avanzare detta istanza, nonché stabilire che detta istanza debba contenere il riferimento al numero di rate con cui si intende articolare il pagamento; la sussistenza di eventuali giudizi riguardanti i debiti interessati dalla definizione agevolata; la dichiarazione con cui il debitore assume impegno di rinuncia ai giudizi in essere;

d)   il termine entro cui l’ente impositore o il concessionario della riscossione sono tenuti a fornire riscontro all’istanza del debitore, comunicando a quest’ultimo l’ammontare complessivo delle entrate non riscosse al netto dei benefici riconosciuti dall’articolo in esame (cioè al netto delle sanzioni precedentemente applicate), l’ammontare di ciascuna rata e la scadenza delle stesse.

Il comma 3 disciplina gli effetti della presentazione dell’istanza di attivazione della definizione agevolata delle entrate da parte dell’interessato, che consistono nell’immediata sospensione dei termini di prescrizione e decadenza per il recupero delle somme oggetto dell’istanza stessa.

Ai sensi del comma 4, in presenza del mancato, insufficiente o tardivo versamento delle somme dovute (con riferimento sia al pagamento integrale nel caso di soluzione unica, sia al pagamento di una singola rata nel caso di ricorso alla rateizzazione), la definizione non produce effetti e riprendono a decorrere gli ordinari termini di prescrizione e decadenza per il recupero delle somme oggetto dell’istanza. I versamenti eventualmente già effettuati sono acquisiti a titolo di acconto dell’importo complessivamente dovuto.

Il comma 5 dispone l’applicabilità dei commi 16 e 17 dell’articolo 3 del decreto-legge n. 119 del 2018, che riguardano casi in cui non è possibile il ricorso alla definizione agevolata.

 

Ai sensi del richiamato comma 16 dell’articolo 3, sono esclusi dalla definizione agevolata i carichi affidati agli agenti della riscossione relativi:

§  alle somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato (articolo 14 del regolamento CE n. 659/1999);

§  ai crediti derivanti da pronunce di condanna della Corte dei conti;

§  alle multe, le ammende e le sanzioni pecuniarie dovute a seguito di provvedimenti e sentenze penali di condanna;

§  alle sanzioni diverse da quelle irrogate per violazioni tributarie o per violazione degli obblighi relativi ai contributi e ai premi dovuti agli enti previdenziali.

 

Si ricorda in questa sede che l’articolo 11, comma 10-bis del decreto-legge n.8 del 2017 ha introdotto una norma di interpretazione autentica dell’articolo 6, comma 10 del decreto-legge n. 193 del 2016, nella parte che ha escluso dalla procedura di definizione agevolata i carichi relativi alle altre sanzioni amministrative, diverse da quelle irrogate per violazioni tributarie o per violazione degli obblighi relativi ai contributi e ai premi dovuti dagli enti previdenziali. Si chiarisce in particolare che, ai fini dell'accesso alla definizione agevolata, non sono dovute le sanzioni irrogate per violazione degli obblighi relativi ai contributi e ai premi, anche nel caso in cui il debitore sia lo stesso ente previdenziale.

Ai sensi comma 17, per le sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada la definizione si applica limitatamente agli interessi, ivi compresi gli interessi per ritardato pagamento delle somme dovute (ai sensi dell’articolo 27, sesto comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689). L’articolo 27 sopra richiamato prevede che, in caso di ritardo nel pagamento, la somma dovuta è maggiorata di un decimo per ogni semestre a decorrere da quello in cui la sanzione è divenuta esigibile e fino a quello in cui il ruolo è trasmesso all'esattore. La maggiorazione assorbe gli interessi eventualmente previsti dalle disposizioni vigenti.

 

Il comma 6 prevede espressamente l’applicazione delle disposizioni del dell’articolo in esame alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano, in conformità e compatibilmente con le forme e le condizioni speciali dei rispettivi statuti.


 

Articolo 15-bis
(
Efficacia delle deliberazioni regolamentari e tariffarie
relative alle entrate tributarie degli enti locali
)

 

L’articolo 15-bis, introdotto in sede referente, modifica le modalità e i termini di invio delle delibere regolamentari e tariffarie relative alle entrate tributarie dei comuni, delle province e delle città metropolitane. Si introduce in particolare l’obbligo di trasmissione telematica esclusiva delle delibere inerenti ai tributi con determinate specifiche tecniche, in modo tale da consentire il prelievo automatizzato delle informazioni utili per l’assolvimento degli adempimenti relativi al pagamento dei tributi.

L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 18 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

In particolare, il comma 1, lettera a) sostituisce il comma 15 dell’articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, in materia di entrate tributarie degli enti locali, e dispone che a decorrere dall'anno di imposta 2020 tutte le delibere regolamentari e tariffarie relative alle entrate tributarie dei comuni sianoe inviate al Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento delle finanze, esclusivamente per via telematica, mediante inserimento del testo nell'apposita sezione del Portale del federalismo fiscale, per la pubblicazione nel sito informatico.

Con riferimento alle delibere regolamentari e tariffarie relative alle entrate tributarie delle province e delle città metropolitane, la disposizione si applica a decorrere dall’anno d’imposta 2021.

 

La lettera b) inserisce quattro nuovi commi all’articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 2011, in materia di imposta municipale propria: 15-bis, 15-ter, 15-quater e 15-quinquies.

Il nuovo comma 15-bis prevede che con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno, sentita l’Agenzia per l’Italia digitale (AgID), da adottare entro 90 giorni dall’entrata in vigore della presente legge, previa intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, sono stabilite le specifiche tecniche del formato elettronico da utilizzare per l’invio telematico di cui al comma 15, in modo tale da consentire il prelievo automatizzato delle informazioni utili per l’assolvimento degli adempimenti relativi al pagamento dei tributi, e sono fissate le modalità di attuazione, anche graduale, dell’obbligo di effettuare il predetto invio nel rispetto delle specifiche tecniche medesime.

 

Il comma 15-ter dispone che, a decorrere dall'anno di imposta 2020, le delibere e i regolamenti concernenti i tributi comunali diversi dall’imposta di soggiorno, dall’addizionale comunale all’imposta sul reddito per le persone fisiche, dall’imposta municipale propria (IMU) e dal tributo per i servizi indivisibili (TASI) acquistino efficacia a far data dalla pubblicazione effettuata ai sensi del comma 15, a condizione che detta pubblicazione avvenga entro il 28 ottobre dell'anno a cui la delibera o il regolamento afferisce; a tal fine, il comune è tenuto a effettuare l'invio di cui al primo periodo entro il termine perentorio del 14 ottobre dello stesso anno.

I versamenti dei tributi diversi dall’imposta di soggiorno, dall’addizionale comunale all’IRPEF, dall’IMU e dalla TASI, la cui scadenza è fissata dal comune prima del 1° dicembre di ciascun anno, devono essere effettuati sulla base degli atti applicabili per l’anno precedente. I versamenti dei medesimi tributi la cui scadenza è fissata dal comune a partire dal 1° dicembre di ciascun anno devono essere effettuati sulla base degli atti pubblicati entro il 28 ottobre, a saldo dell'imposta dovuta per l'intero anno, con eventuale conguaglio su quanto già versato. In caso di mancata pubblicazione entro il termine del 28 ottobre, si applicano gli atti adottati per l'anno precedente.

 

Il comma 15-quater stabilisce che, a decorrere dall'anno di imposta 2020, i regolamenti e le delibere di approvazione delle tariffe relativi all’imposta di soggiorno e al contributo di sbarco, al contributo di soggiorno, nonché al contributo previsto a carico dei vettori per l’accesso al comune di Venezia, hanno effetto dal primo giorno del secondo mese successivo a quello della loro pubblicazione effettuata ai sensi del comma 15. Il Ministero dell’economia e delle finanze provvede alla pubblicazione dei regolamenti e delle delibere entro i quindici giorni lavorativi successivi alla data di inserimento nel Portale del federalismo fiscale.

 

Il comma 15-quinquies prevede che, ai fini della pubblicazione, le delibere di variazione dell’aliquota dell'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore sono trasmesse con le modalità di cui al comma 15.

 

Si ricorda che secondo l’articolo 17, comma 2, del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, in materia di Tributi propri connessi al trasporto su gomma, l'aliquota dell'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori (tributo proprio derivato delle province) è pari al 12,5 per cento. A decorrere dall'anno 2011 le province possono aumentare o diminuire l'aliquota in misura non superiore a 3,5 punti percentuali. Gli aumenti o le diminuzioni delle aliquote avranno effetto dal primo giorno del secondo mese successivo a quello di pubblicazione della delibera di variazione sul sito informatico del Ministero dell'economia e delle finanze.

Il comma 2 dell’articolo in esame abroga di conseguenza il comma 2 dell’articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, in materia di potestà tributaria delle province e dei comuni, ai sensi del quale i regolamenti in materia di entrate sono approvati con deliberazione del comune e della provincia non oltre il termine di approvazione del bilancio di previsione e non hanno effetto prima del 1° gennaio dell'anno successivo. Sono dunque abrogate le relative le modalità di trasmissione al MEF.

 

Il comma 3, infine, dispone che le amministrazioni interessate provvedano alle attività relative all'attuazione del presente articolo nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

 

 


 

Articolo 15-ter
(Misure preventive per sostenere il contrasto
dell'evasione dei tributi locali)

 

 

Larticolo 15-ter, inserito durante l’esame in Commissione, consente agli enti locali di subordinare alla verifica della regolarità del pagamento dei tributi locali da parte dei soggetti richiedenti il rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni e dei relativi rinnovi, inerenti attività commerciali o produttive.

L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 35 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

 

In particolare, l’articolo in esame concede la possibilità agli enti locali competenti al rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni e dei relativi rinnovi, alla ricezione di SCIA, uniche o condizionate, inerenti attività commerciali o produttive di disporre con norma regolamentare che il rilascio o rinnovo e la permanenza in esercizio siano subordinati alla verifica della regolarità del pagamento dei tributi locali da parte dei soggetti richiedenti.

 

Per una panoramica dei tributi degli enti locali si rinvia al tema web Le entrate delle regioni e degli enti locali realizzato dal Servizio studi della Camera dei deputati.

 

 

 


 

Articolo 15-quater
(Contabilità economico patrimoniale dei piccoli comuni)

 

 

L’articolo 15-quater, introdotto durante l’esame presso le Commissioni riunite, rinvia di due anni (fino all'esercizio 2019) l’obbligo della tenuta della contabilità economico-patrimoniale per i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti. Con riferimento all’esercizio 2019, i comuni che si avvalgono della facoltà di rinviare la contabilità economico patrimoniale devono allegare al rendiconto 2019 una situazione patrimoniale al 31 dicembre 2019, secondo modalità semplificate determinate da un decreto del MEF, da emanare entro il 31 ottobre 2019.

 

L’articolo 232 del D.Lgs. n. 267/2000 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali- TUEL) dispone, al comma 1, che gli enti locali garantiscono la rilevazione dei fatti gestionali sotto il profilo economico-patrimoniale nel rispetto del principio contabile generale n. 17 della competenza economica e dei principi applicati della contabilità economico-patrimoniale[3].

Al comma 2, concede agli enti locali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti la facoltà di non tenere la contabilità economico-patrimoniale fino all'esercizio 2017.

Tale disposizione, con un’interpretazione tecnica della Commissione ARCONET[4], è stata applicata fino all’esercizio 2017 compreso, quindi con rendicontazione dal 2018. La Commissione Arconet, infatti, rispondendo ad un quesito pubblicato sul sito della RGS (FAQ n. 30), aveva affermato: "Considerata la formulazione poco chiara dell'art. 232 del Tuel citato, gli enti locali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, che hanno disposto (come dispositivo da cui discende la volontà dell'organo) la facoltà di rinviare l'adozione della contabilità economico patrimoniale anche per l'esercizio 2017, interpretando in tal senso l'art. 232 del Tuel, possono approvare e successivamente inviare alla BDAP il rendiconto 2017 senza i prospetti relativi allo stato patrimoniale e al conto economico".

 

La norma in esame, in deroga a tale disposizione, concede agli enti locali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti la facoltà di non tenere la contabilità economico-patrimoniale fino all'esercizio 2019.

Tale rinvio interviene nelle more dell'emanazione di provvedimenti di semplificazione degli adempimenti connessi alla tenuta della contabilità economico patrimoniale e di formulazione della situazione patrimoniale, con riferimento ai comuni con popolazione non superiore ai 5 mila abitanti.

Gli enti che rinviano la contabilità economico patrimoniale con riferimento all’esercizio 2019 devono allegare al rendiconto 2019 una situazione patrimoniale al 31 dicembre 2019 redatta secondo lo schema del rendiconto della gestione riportato nell'allegato n. 10 al decreto legislativo n. 118 del 2011 e secondo modalità semplificate determinate da un apposito decreto  del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dell'interno e la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli Affari regionali, da emanarsi entro il 31 ottobre 2019, anche sulla base delle proposte formulate dalla commissione Arconet.

 

Si ricorda infine che con il comma 831 dell’articolo 1 della legge di bilancio per il 2019 si consente agli enti locali con popolazione fino a 5.000 abitanti di non predisporre il bilancio consolidato.

Il citato comma 831, infatti, ha disposto la soppressione della previsione, da parte dell'articolo 233-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 267 del 2000 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali - TUEL), della scadenza dell'esercizio 2017 quale termine ultimo del periodo entro il quale gli enti locali con popolazione fino a 5.000 abitanti sono esonerati dalla predisposizione del bilancio consolidato.


 

Articolo 16
(
Credito d’imposta per commissioni su pagamenti elettronici presso i distributori di carburante)

 

 

L’articolo 16 chiarisce che il credito di imposta riconosciuto agli esercenti di impianti di distribuzione di carburante sulle commissioni addebitate per le transazioni effettuate tramite sistemi di pagamento elettronico (comma 924 della legge n. 205 del 2017-legge di bilancio 2018) spetta solo a fronte delle commissioni bancarie relative a cessioni di carburanti e non a fronte di transazioni diverse. L’articolo chiarisce inoltre come operare in caso di registrazioni indistinte delle commissioni per pagamenti di carburanti e di altri beni e servizi.

 

In particolare il primo periodo del comma 1, con una norma di natura interpretativa dell’articolo 1 comma 924 della legge di bilancio 2018, specifica che il credito d'imposta, pari al 50 per cento delle commissioni bancarie addebitate agli esercenti di impianti di distribuzione di carburante per acquisti avvenuti tramite mezzi di pagamento elettronici da parte di consumatori e imprese, è riconosciuto esclusivamente alle cessioni di carburanti.

 

Il comma 924 della legge di bilancio 2018 dispone che agli esercenti di impianti di distribuzione di carburante spetta un credito d'imposta pari al 50 per cento del totale delle commissioni addebitate per le transazioni effettuate, a partire dal 1° luglio 2018, tramite sistemi di pagamento elettronico mediante carte di credito.

Il comma 925 stabilisce inoltre che il richiamato credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello di maturazione. A tale proposito si ricorda che l'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio1997, n. 241, in materia di compensazione, prevede che i contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all'INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate. Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva.

 

Sebbene nella relazione tecnica allegata alla legge di bilancio 2018 si facesse riferimento al credito di imposta commisurato alle sole transazioni relative a cessioni di carburanti, il richiamato comma 924 non escludeva esplicitamente le commissioni bancarie su transazioni effettuate da esercenti impianti di distribuzione carburanti in riferimento a beni diversi dai carburanti o in riferimento a servizi. Pertanto, l’articolo ora in esame interviene per limitare l’ambito dell’applicazione del credito di imposta alle sole commissioni bancarie riferibili ad acquisti per carburante.

 

Il secondo periodo del comma 1, in conseguenza di quanto disposto dal primo periodo, chiarisce che qualora gli esercenti di impianti di distribuzione di carburante non contabilizzino separatamente le commissioni addebitate per le transazioni effettuate diverse da quelle per cessioni di carburante, il credito di imposta precedentemente descritto spetta per la quota parte delle commissioni calcolata in base al rapporto tra il volume d’affari annuo derivante da cessioni di carburante e il volume d’affari annuo complessivo.


 

Articolo 16-bis
(Riapertura dei termini per gli istituti agevolativi relativi
ai carichi affidati agli agenti della riscossione)

 

 

L’articolo 16-bis, introdotto in sede referente, riapre al 31 luglio 2019 i termini per aderire:

§  alla cd. rottamazione ter delle cartelle esattoriali, ovvero la definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione tra il 1° gennaio 2000 ed il 31 dicembre 2017;

§  al cd. saldo e stralcio dei debiti fiscali e contributivi delle persone fisiche in difficoltà economica, affidati agli agenti della riscossione tra il 1° gennaio 2000 ed il 31 dicembre 2017.

 

 

L’articolo 3 del decreto-legge n. 119 del 2018 ha disciplinato la definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione (cd. rottamazione ter) nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2000 ed il 31 dicembre 2017, collocandosi nel solco degli interventi già previsti dal decreto-legge n. 193 del 2016 (in relazione ai carichi 2000-2016) e dal decreto-legge n. 148 del 2017 (per i carichi affidati fino al 30 settembre 2017).

Il comma 5 dell’articolo 3 prevedeva che, per aderire alla definizione, fosse presentata entro i1 30 aprile 2019 un’apposita dichiarazione all'agente della riscossione.

Analogamente alle precedenti rottamazioni, il debitore ha beneficiato dell'abbattimento delle sanzioni, degli interessi di mora e delle sanzioni e somme aggiuntive.

Rispetto alle passate rottamazioni:

§  è possibile effettuare il pagamento in cinque anni, a rate e con un tasso di interesse al 2 per cento;

§  è possibile avvalersi della compensazione con i crediti non prescritti, certi liquidi ed esigibili maturati nei confronti della PA;

§  col versamento della prima o unica rata delle somme dovute si estinguono le procedure esecutive già avviate.

Accanto ad alcune specifiche novità, le richiamate norme hanno riprodotto le procedure già utilizzate per le precedenti definizioni agevolate, disponendo che il contribuente presenti apposita dichiarazione all’agente della riscossione; a seguito dell’accoglimento della domanda, l’agente della riscossione comunica al contribuente il quantum dovuto, nonché, in caso di scelta del pagamento dilazionato, il giorno e il mese di scadenza di ciascuna rata.  Le norme hanno consentito l’accesso alla definizione agevolata anche a chi ha aderito alle precedenti “rottamazioni” con pagamento tempestivo del quantum dovuto per la restante parte del debito.

Per ulteriori informazioni si rinvia al tema web sul decreto-legge n. 119 del 2018 e al dossier di documentazione.

 

Il comma 1 delle norme in esame, fatti salvi i debiti già ricompresi in dichiarazioni di adesione presentate entro il 30 aprile 2019, riapre i termini per accedere alla definizione agevolata mediante la presentazione di apposita dichiarazione entro il 31 luglio 2019, con le modalità e in conformità alla modulistica che l'agente della riscossione deve pubblicare sul proprio sito internet entro cinque giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in esame.

Le norme prevedono che si applichino, in tal caso, le disposizioni dell'articolo 3 del decreto-legge n. 119 del 2018, con alcune specificità: in particolare, non trovano applicazione i commi 21, 22, 24 e 24-bis, che disciplinano il trattamento dei soggetti che hanno aderito alle precedenti definizioni agevolate.

 

Inoltre le norme in esame pongono le seguenti deroghe alla disciplina del decreto-legge n. 119 del 2018:

§  in caso di esercizio della facoltà di accedere alla rottamazione, la dichiarazione resa può essere integrata entro la stessa data del 31 luglio 2019;

§  il pagamento delle somme dovute (capitale, interessi legali e aggio per l’agente della riscossione, con l’esclusione di sanzioni e interessi di mora) è effettuato in unica soluzione, entro il 30 novembre 2019, ovvero  nel numero massimo di diciassette rate consecutive, la prima delle quali, di importo pari al 20 per cento delle somme complessivamente dovute ai fini della definizione, scadente il 30 novembre 2019, e le restanti, ciascuna di pari ammontare, scadenti il 28 febbraio, il 31 maggio, il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2020; in tal caso, gli interessi (2 per cento annuo) sono dovuti a decorrere dal 1° dicembre 2019;

§  l'ammontare complessivo delle somme dovute per la definizione, nonché quello delle singole rate, e il giorno e il mese di scadenza di ciascuna di esse, sono comunicati dall'agente della riscossione al debitore entro il 31 ottobre 2019;

§  alla data del 30 novembre 2019, le dilazioni sospese per effetto della presentazione della dichiarazione di adesione sono automaticamente revocate e non possano essere accordate nuove dilazioni, ai sensi della disciplina generale sulla rateizzazione dei debiti tributari (articolo 19 del D.P.R. n. 602/1973);

§  i debiti relativi ai carichi per i quali non è stato effettuato l'integrale pagamento, entro il 7 dicembre 2018, delle somme da versare nello stesso termine (ai sensi dell’articolo 3, comma 23 del decreto-legge n. 119 del 2018, rate dovute per precedente definizione agevolata 2017), possono essere definite in unica soluzione entro il 30 novembre 2019 (in luogo del 31 luglio 2019, come previsto dall’articolo 3, comma 23), ovvero nel numero massimo di nove rate consecutive, la prima delle quali, di importo pari al 20 per cento, scadente il 30 novembre 2019, e le restanti, ciascuna di pari ammontare, scadenti il 28 febbraio, il 31 maggio, il 31 luglio e il 30 novembre degli anni 2020 e 2021. In caso di pagamento rateale, gli interessi sono dovuti a decorrere dal 1° dicembre 2019.

 

Il comma 2 riapre al 31 luglio 2019 i termini per il cd. saldo e stralcio dei debiti fiscali e contributivi dei contribuenti in difficoltà, disciplinato dalla legge di bilancio 2019 (articolo 1, commi da 184 a 198) e il cui termine è scaduto il 30 aprile 2019.

 

I commi da 184 a 199 della legge n. 144 del 2018 consentono di definire in forma ridotta, con una percentuale che varia dal 16 al 35 per cento dell’importo dovuto già “scontato” delle sanzioni e degli interessi di mora, i debiti fiscali e contributivi delle persone fisiche che versino in una grave e comprovata situazione di difficoltà economica, diversi da quelli annullati automaticamente ai sensi del decreto-legge n. 119 del 2018, affidati all’agente della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2017, derivanti dall’omesso versamento di imposte risultanti dalle dichiarazioni. Detti debiti possono essere definiti mediante pagamento del capitale, degli interessi e delle somme spettanti all’agente della riscossione. Gli interessi sono versati in misura differenziata e graduale secondo la condizione economica del debitore. Il pagamento può avvenire in unica soluzione o in più rate.

Secondo la legge, versano in una situazione di grave e comprovata difficoltà economica le persone fisiche con ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) del nucleo familiare non superiore a 20 mila euro, oppure per le quali, alla data di presentazione della dichiarazione di adesione, risulti già aperta la procedura di liquidazione prevista dalla cosiddetta legge sul sovraindebitamento (articolo 14-ter della legge n. 3 del 2012). È possibile presentare richiesta di “saldo e stralcio” per i debiti affidati all’agente della riscossione tra il 1° gennaio 2000 e il 31 dicembre 2017 derivanti esclusivamente dall’omesso versamento delle imposte dovute in autoliquidazione in base alle dichiarazioni annuali e dei contributi previdenziali spettanti alle casse professionali o alle gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi Inps.

Il comma 187 individua le modalità di calcolo delle somme dovute per perfezionare la definizione agevolata.

In particolare, per i soggetti in grave difficoltà economica comprovata mediante ISEE, i già menzionati debiti tributari e contributivi (di cui al comma 184 e al comma 185) possono essere estinti senza corrispondere:

§  le sanzioni comprese in tali carichi;

§  gli interessi di mora (ai sensi dell’articolo 30, comma 1 del D.P.R. n. 602 del 1973). Gli interessi di mora sono oneri aggiuntivi, previsti dalla legge, che si applicano alle somme da pagare in caso di scadenza dei termini previsti. Gli interessi di mora, decorsi inutilmente 60 giorni dalla notifica della cartella/avviso, si applicano giornalmente sulle somme richieste a partire dalla data della notifica e fino alla data del pagamento. A partire dai ruoli consegnati dal 13 luglio 2011, gli interessi di mora non sono più calcolati sulle sanzioni pecuniarie tributarie e sugli altri interessi. La misura degli interessi di mora viene determinata annualmente dall’Agenzia delle Entrate, tenendo conto della media dei tassi bancari attivi stimati dalla Banca d’Italia. Dal 15 maggio 2018 sono pari al 3,01 per cento annuo, mentre dal 1° luglio 2019 essi sono pari al 2,68 per cento in ragione annuale.

§  le sanzioni e le somme aggiuntive dovute sui crediti previdenziali (di cui all’articolo 27, comma 1, del decreto legislativo n. 46 del 1999).

I soggetti interessati versano:

a)   le somme affidate all’agente della riscossione a titolo di capitale e interessi, in misura pari:

1.    al 16 per cento, qualora l’ISEE del nucleo familiare risulti non superiore a 8.500 euro.

2.    al 20 per cento, qualora l’ISEE del nucleo familiare sia compreso tra 8.500 e 12.500 euro;

3.    al 35 per cento, qualora l’ISEE sia superiore a 12.500 euro;

b)  l’aggio maturato a favore dell’agente della riscossione (ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 112 del 1999) ed il rimborso delle spese per le procedure esecutive e di notifica della cartella di pagamento.

Il comma 188 chiarisce che versano comunque in una grave e comprovata situazione di difficoltà economica i soggetti per cui è stata aperta, alla data di presentazione della dichiarazione con cui si richiede l’accesso alla definizione agevolata, una procedura di liquidazione dei beni per sovraindebitamento (articolo 14-ter della legge n. 3 del 2012). 

Tali soggetti estinguono i predetti debiti versando le somme affidate all’agente della riscossione a titolo di capitale e interessi, in misura pari al 10 per cento, nonché le somme maturate in favore dell’agente della riscossione a titolo di aggio e rimborso. A tal fine, alla dichiarazione con cui si richiede l’accesso alla definizione agevolata è allegata copia conforme del decreto di apertura della predetta liquidazione.

Il termine per l’accesso alla procedura è scaduto il 30 aprile 2019, data ultima per la presentazione dell’apposita dichiarazione.  

 

Più in dettaglio il comma 2, facendo salve le richieste presentate entro il 30 aprile 2019, riapre al 31 luglio 2019 i termini per rendere l’apposita dichiarazione di saldo e stralcio dei debiti delle persone fisiche in difficoltà economica.

La relativa dichiarazione di adesione deve essere redatta con le modalità e in conformità alla modulistica che l'agente della riscossione è tenuto a pubblicare, sul proprio sito internet, nel termine massimo di cinque giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame.

Si applica la disciplina sopra citata (commi da 184 a 198 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2019) nonché il comma 1, lettere a) e d), dell’articolo in esame.

Dunque la dichiarazione resa può essere integrata entro la stessa data del 31 luglio 2019 e, alla data del 30 novembre 2019, le dilazioni sospese per effetto della presentazione della dichiarazione di adesione sono automaticamente revocate e non possano essere accordate nuove dilazioni ai sensi della disciplina generale sulla rateizzazione dei debiti tributari (articolo 19 del D.P.R. n. 602/1973).

 

Infine, secondo il comma 3 dell’articolo in commento le norme:

§  si applicano alle dichiarazioni tardive, presentate successivamente al 30 aprile 2019 e anteriormente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in esame;

§  non si applicano ai carichi affidati agli agenti della riscossione a titolo di risorse proprie tradizionali UE, ai sensi dell’articolo 5 del decreto-legge n. 119 del 2018, ovvero quelli concernenti i dazi doganali, i contributi provenienti dall’imposizione di diritti alla produzione dello zucchero (risorse proprie tradizionali UE) nonché l'IVA sulle importazioni.


 

Articolo 16-ter
(Interpretazione autentica in materia di IMU sulle società agricole)

 

 

L’articolo 16-ter, introdotto in sede referente, equipara, con una norma di interpretazione autentica, quindi retroattiva, le società agricole agli imprenditori agricoli a titolo principale (IAP) e ai coltivatori diretti al fine di includerle nelle agevolazioni fiscali riconosciute a questi ultimi ai fini dell’imposta municipale propria.

 

Nel dettaglio, l’articolo aggiuntivo in esame estende le previsioni contenute nel comma 2 dell’art. 13 del decreto-legge n. 201 del 2011 alle società agricole.

L’articolo 13 ha disposto l’anticipazione sperimentale dell’imposta municipale propria, prevendo, al comma 2, le esenzioni dal pagamento, individuate, in generale, nel possesso della prima abitazione, e, in particolare, in alcuni casi specifici quali le cooperative edilizie, i fabbricati destinati ad alloggi sociali, la casa coniugale assegnata al coniuge in caso di separazione e alcune ipotesi di immobili appartenenti alle Forze armate.

Ai fini dell’equiparazione in esame, lo stesso comma 2 ha tenuto ferme le definizioni di cui all’articolo 2 del decreto legislativo n. 504 del 1992, prevedendo che i soggetti richiamati dall’articolo 2, comma 1, lett. b), secondo periodo, del decreto legislativo n. 504 del 1992 dovevano essere individuati nei coltivatori diretti e negli imprenditori agricoli professionali di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n.99.

Il decreto legislativo n. 504/1992 istituì allora l’imposta comunale sugli immobili (ICI), definendo all’articolo 2 cosa debba intendersi per:

- fabbricato (lettera a);

- area fabbricabile (lettera b), dalla quale venivano esclusi i terreni posseduti e condotti dai soggetti indicati nel successivo comma 1 dell’articolo 9, sui quali persisteva l'utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l'esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura ed all'allevamento di animali;

- terreno agricolo (lettera c).

L’art. 9 stabilì che i terreni agricoli posseduti e condotti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli che esplicavano la loro attività a titolo principale erano soggetti all'imposta limitatamente alla parte di valore eccedente 50 milioni di lire e con le seguenti riduzioni:

a) del 70 per cento dell'imposta gravante sulla parte di valore eccedente i predetti 50 milioni di lire e fino a 120 milioni di lire;

b) del 50 per cento di quella gravante sulla parte di valore eccedente 120 milioni di lire e fino a 200 milioni di lire;

c) del 25 per cento di quella gravante sulla parte di valore eccedente 200 milioni di lire e fino a 250 milioni di lire.

Sempre in riferimento a quanto previsto dall’articolo 13 del D.L. n.201 del 2011, il comma 8-bis aveva previsto talune agevolazioni per i terreni posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli.

Il disposto è stato abrogato a decorrere dal 2016, in ragione dell’introduzione, con l’articolo 1, comma 13, della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) dell’esenzione dal pagamento dell'IMU i terreni agricoli:

a)   ricadenti in aree montane o di collina, come individuati ex lege (circolare n. 9 del 14 giugno 1993);

b)   posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola, indipendentemente dalla loro ubicazione;

c)   ubicati nei comuni delle isole minori indipendentemente, dunque, dal possesso e dalla conduzione da parte di specifici soggetti;

d)   con specifica destinazione, ossia con immutabile destinazione agro-silvo-pastorale a proprietà collettiva indivisibile e inusucapibile, dunque indipendentemente in tal caso da ubicazione e possesso.

 


 

Articolo 16-quater
(Contabilizzazione annullamento debiti tributari
da parte degli enti creditori)

 

 

L’articolo 16-quater, introdotto in sede referente, integra la disciplina dell’annullamento automatico dei debiti tributari fino a mille euro risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2010, prevista dall’articolo 4 del decreto-legge n. 119 del 2018, con una norma relativa alla contabilizzazione delle relative poste da parte degli enti creditori, tenuti a tener conto degli effetti negativi del saldo e stralcio ed a vincolare allo scopo le eventuali risorse disponibili.

 

Più in dettaglio detti enti, sulla base degli elenchi trasmessi dall'agente della riscossione, devono adeguare le proprie scritture contabili entro la data del 31 dicembre 2019, tenendo conto degli eventuali effetti negativi già nel corso della gestione e vincolando allo scopo le eventuali risorse disponibili alla data della comunicazione.

 

Si rammenta al riguardo che l'articolo 4 del decreto-legge n. 119 del 2018 ha disposto l’annullamento automatico (comprensivo di capitale, interessi e sanzioni) dei debiti di importo residuo (calcolato al 24 ottobre 2018) fino a mille euro, risultanti dai carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2010, ancorché riferiti a cartelle per cui sia stata richiesta definizione agevolata (ai sensi dell’articolo 3 del medesimo decreto-legge.) L’annullamento è effettuato alla data del 31 dicembre 2018.

Per ulteriori informazioni si rinvia al tema web sul decreto-legge n. 119 del 2018 e al dossier di documentazione.

Ai fini del conseguente discarico, effettuato senza oneri amministrativi a carico dell'ente creditore, e dell’eliminazione dalle relative scritture patrimoniali, l’agente della riscossione è tenuto a trasmettere agli enti interessati l’elenco delle quote annullate su supporto magnetico, ovvero in via telematica, in conformità alle specifiche tecniche di cui all’allegato 1 del decreto direttoriale del Ministero dell’economia e delle finanze del 15 giugno 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 142 del 22 giugno 2015.

 

Ai debiti oggetto di annullamento non si applicano le ordinarie procedure di discarico per inesigibilità (articoli 19 e 20 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112) e, fatti salvi i casi di dolo, non si procede a giudizio di responsabilità amministrativo e contabile.


 

Articolo 16-quinquies, comma 1
(Definizione agevolata carichi contributivi
casse e gestioni previdenziali)

 

 

L’articolo 16-quinquies, introdotto in sede referente, al comma 1 interviene sulla disciplina della definizione agevolata dei carichi fiscali e contributivi per i contribuenti in difficoltà economica contenuta nella legge di bilancio 2019.

In particolare, le norme in esame subordinano l’applicazione della definizione agevolata ai carichi contributivi omessi dagli iscritti alle casse previdenziali professionali a una previa delibera delle casse medesime, soggetta ad approvazione ministeriale, da pubblicare sui siti internet istituzionali entro il 16 settembre 2019 e comunicare, entro la stessa data, all’Agente della riscossione mediante posta elettronica certificata.

 

I commi da 184 a 199 della legge n. 144 del 2018 consentono di definire in forma ridotta, con una percentuale che varia dal 16 al 35 per cento dell’importo dovuto già “scontato” delle sanzioni e degli interessi di mora, i debiti fiscali e contributivi delle persone fisiche che versino in una grave e comprovata situazione di difficoltà economica, diversi da quelli annullati automaticamente ai sensi del decreto-legge n. 119 del 2018, affidati all’agente della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2017, derivanti  dall’omesso versamento di imposte risultanti dalle dichiarazioni.  Detti debiti possono essere definiti mediante pagamento del capitale, degli interessi e delle somme spettanti all’agente della riscossione. Gli interessi sono versati in misura differenziata e graduale secondo la condizione economica del debitore. Il pagamento può avvenire in unica soluzione o in più rate.

Secondo la legge, versano in una situazione di grave e comprovata difficoltà economica le persone fisiche con ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) del nucleo familiare non superiore a 20 mila euro, oppure per le quali, alla data di presentazione della dichiarazione di adesione, risulti già aperta la procedura di liquidazione prevista dalla cosiddetta legge sul sovraindebitamento (articolo 14-ter della legge n. 3 del 2012). È possibile presentare richiesta di “saldo e stralcio” per i debiti affidati all’agente della riscossione tra il 1° gennaio 2000 e il 31 dicembre 2017 derivanti esclusivamente dall’omesso versamento delle imposte dovute in autoliquidazione in base alle dichiarazioni annuali e dei contributi previdenziali spettanti alle casse professionali o alle gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi Inps.

In particolare, il comma 185 disciplina la definizione agevolata dei carichi derivanti dall’omesso versamento dei contributi dovuti dagli iscritti alle casse previdenziali professionali o alle gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi dell’INPS. Possono essere estinti i debiti risultanti dai singoli carichi affidati all'agente della riscossione dal 1° gennaio 2000 alla data del 31 dicembre 2017, con l’esclusione di quelli richiesti a seguito di accertamento, in presenza di una grave e comprovata situazione di difficoltà economica. I contribuenti versano una somma determinata secondo le modalità indicate dal comma 187 o dal comma 188 della medesima legge di bilancio, da utilizzare ai fini assicurativi, secondo le norme che regolano la gestione previdenziale interessata.

Il comma 187 individua le modalità di calcolo delle somme dovute per perfezionare la definizione agevolata.

In particolare, per i soggetti in grave difficoltà economica comprovata mediante ISEE, i già menzionati debiti tributari e contributivi (di cui al comma 184 e al comma 185) possono essere estinti senza corrispondere:

§  le sanzioni comprese in tali carichi;

§  gli interessi di mora (ai sensi dell’articolo 30, comma 1 del D.P.R. n. 602 del 1973). Gli interessi di mora sono oneri aggiuntivi, previsti dalla legge, che si applicano alle somme da pagare in caso di scadenza dei termini previsti. Gli interessi di mora, decorsi inutilmente 60 giorni dalla notifica della cartella/avviso, si applicano giornalmente sulle somme richieste a partire dalla data della notifica e fino alla data del pagamento. A partire dai ruoli consegnati dal 13 luglio 2011, gli interessi di mora non sono più calcolati sulle sanzioni pecuniarie tributarie e sugli altri interessi. La misura degli interessi di mora viene determinata annualmente dall’Agenzia delle Entrate, tenendo conto della media dei tassi bancari attivi stimati dalla Banca d’Italia. Dal 15 maggio 2018 sono pari al 3,01 per cento annuo;

§  le sanzioni e le somme aggiuntive dovute sui crediti previdenziali (di cui all’articolo 27, comma 1, del decreto legislativo n. 46 del 1999).

I soggetti interessati versano:

a)   le somme affidate all’agente della riscossione a titolo di capitale e interessi, in misura pari:

1. al 16 per cento, qualora l’ISEE del nucleo familiare risulti non superiore a 8.500 euro.

2. al 20 per cento, qualora l’ISEE del nucleo familiare sia compreso tra 8.500 e 12.500 euro;

3. al 35 per cento, qualora l’ISEE sia superiore a 12.500 euro;

b)  l’aggio maturato a favore dell’agente della riscossione (ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 112 del 1999) ed il rimborso delle spese per le procedure esecutive e di notifica della cartella di pagamento.

Il comma 188 chiarisce che versano comunque in una grave e comprovata situazione di difficoltà economica i soggetti per cui è stata aperta, alla data di presentazione della dichiarazione con cui si richiede l’accesso alla definizione agevolata, una procedura di liquidazione dei beni per sovraindebitamento (articolo 14-ter della legge n. 3 del 2012). 

Tali soggetti estinguono i predetti debiti versando le somme affidate all’agente della riscossione a titolo di capitale e interessi, in misura pari al 10 per cento, nonché le somme maturate in favore dell’agente della riscossione a titolo di aggio e rimborso. A tal fine, alla dichiarazione con cui si richiede l’accesso alla definizione agevolata è allegata copia conforme del decreto di apertura della predetta liquidazione.

Il comma 1, lettera a) dell’articolo in commento introduce a tal fine un nuovo comma 185-bis alla richiamata legge di bilancio 2019, ai sensi del quale l’applicazione della definizione agevolata ai carichi contributivi omessi dagli iscritti alle casse previdenziali professionali è condizionata a una previa delibera delle casse stesse, soggetta ad approvazione ministeriale, pubblicata sul sito internet istituzionale entro il 16 settembre 2019 e comunicata, entro la stessa data, all’Agente della riscossione mediante posta elettronica certificata.

 

L’articolo 2, comma 3 del decreto legislativo n. 509 del 1994 prevede l’approvazione da parte del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il MEF e con i ministeri rispettivamente competenti ad esercitare la vigilanza per gli enti trasformati in casse previdenziali, di una serie di deliberazioni ed atti delle casse di previdenza private, tra cui le delibere in materia di contributi e prestazioni.

 

Al riguardo si rileva che la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 3916/2019, ha ricordato come il decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 (articolo 4, comma 6-bis) stabilisce che, nell'ambito del potere di adozione di provvedimenti conferito dal decreto legislativo n. 509 del 1994 (articolo 2, comma 2), possono essere adottate dalle casse previdenziali deliberazioni in materia di regime sanzionatorio e di condono per inadempienze contributive, da assoggettare ad approvazione ministeriale ai sensi del richiamato articolo 3, comma 2. Dunque, lo spazio di autonomia delle Casse di previdenza comprende l'adozione di un regime sanzionatorio e di eventuali condoni per inadempienze contributive.

L’ADEPP (Associazione degli enti previdenziali privati) ha reso noto, sul proprio sito internet, che l’Agenzia delle Entrate – Riscossione ha risposto alle sollecitazioni delle Casse di previdenza interessate dalla norma sul cd. saldo e stralcio. L’Agenzia delle Entrate, secondo quanto riferito dall’Associazione, ha confermato di volersi attenere alle indicazioni provenienti dalle Casse, vista la posizione di autonomia riconosciuta dal legislatore a tali enti in funzione della natura giuridica di diritto privato, confermata anche dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 7 del 2016).

In occasione della audizione in Commissione Lavoro al Senato (febbraio 2019), l’Associazione degli enti previdenziali privati aveva chiesto di inserire nella normativa sul saldo e stralcio un rimando ad apposite delibere degli enti.

 

Gli enti di previdenza privati sono stati istituiti ad esito del processo di privatizzazione effettuata con il decreto legislativo n. 509 del 1994 delle casse previdenziali dei liberi professionisti e, successivamente, con la costituzione, per effetto della legge n. 103 del 1996, di nuovi enti volta a estendere la tutela pensionistica a quei soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione, senza vincolo di subordinazione, il cui esercizio è subordinato all’iscrizione ad appositi albi o elenchi.

Nonostante la natura giuridica di diritto privato, essi perseguono finalità di pubblico interesse e costituiscono un elemento fondamentale del sistema previdenziale obbligatorio, sul quale lo Stato esercita la vigilanza. Gli enti gestori di tali forme pensionistiche e assistenziali sono caratterizzati da autonomia gestionale, organizzativa e contabile, garantita dalla loro natura giuridica. Allo stesso tempo, i loro atti più significativi, in particolare quelli di natura contabile, sono soggetti alla vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e agli altri ministeri competenti.  Nell'esercizio della vigilanza il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il MEF e le altre amministrazioni competenti, approva:

§  lo statuto e i regolamenti, nonché le relative integrazioni o modificazioni;

§  le delibere in materia di contributi e prestazioni.

Oltre ai ministeri vigilanti, la legge assegna compiti fondamentali alla Corte dei conti (controllo generale sulla gestione delle assicurazioni obbligatorie, per assicurare la legalità e l'efficacia) e alla Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP), la quale esercita il controllo sugli investimenti e sulla composizione del patrimonio delle casse previdenziali.

Con l'articolo 56, comma 1, della legge n. 88 del 1989 è stata inoltre istituita la Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale. La Commissione vigila:

§  sull'efficienza del servizio in relazione alle esigenze degli utenti, sull'equilibrio delle gestioni, sull'utilizzo dei fondi disponibili, anche con finalità di finanziamento e sostegno del settore pubblico e con riferimento all'intero settore previdenziale ed assistenziale;

§  sulla programmazione dell'attività degli enti e sui risultati di gestione in relazione alle esigenze dell'utenza;

§  sull'operatività delle leggi in materia previdenziale e sulla coerenza del sistema previdenziale allargato con le linee di sviluppo dell'economia nazionale.

 

 

La lettera b) del comma 1 modifica di conseguenza il comma 192 dell’ultima legge di bilancio, norma che individua gli adempimenti a carico dell’Agente della riscossione nei confronti dei debitori che hanno presentato la richiesta di definizione agevolata.

Viene introdotto, tra gli elementi da comunicare al debitore, anche la presenza di delibera favorevole delle casse previdenziali, prevista dal nuovo comma 185-bis.


 

Articolo 16-quinquies, comma 2
(Misure per il riequilibrio finanziario dell'INPGI)

 

 

Il comma 2 dell’articolo 16-quinquies - inserito in sede referente - prevede, in primo luogo, che l'INPGI adotti misure di riforma del regime previdenziale e che, nel caso di mancato conseguimento (tramite esse) di una prospettiva di sostenibilità economico-finanziaria di medio-lungo periodo, siano adottati uno o più regolamenti governativi per l'ampliamento della platea contributiva relativa al medesimo INPGI. In secondo luogo, si stabilisce, con esclusivo riferimento all'INPGI, la sospensione, fino al 31 dicembre 2019, delle norme che prevedono la nomina di un commissario straordinario per il caso in cui un ente di diritto privato (quale l'INPGI) che gestisca forme di previdenza obbligatoria presenti un disavanzo economico-patrimoniale.

 

Più in dettaglio, il comma in esame demanda all'INPGI (Istituto  Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani "Giovanni Amendola") di adottare, entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, misure di riforma del proprio regime previdenziale, intese al riequilibrio finanziario della gestione pensionistica relativa ai giornalisti aventi un rapporto di lavoro dipendente e ad assicurare la sostenibilità economico-finanziaria di medio-lungo periodo della stessa gestione. Le suddette misure devono intervenire in via prioritaria sul contenimento della spesa e, in subordine, sull'incremento delle entrate contributive. Le delibere in esame sono approvate, ai sensi della disciplina generale sull'adozione delle misure in materia di contributi e prestazioni degli enti di diritto privato che gestiscano forme di previdenza obbligatoria, da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze[5]. Per i casi in cui le delibere concernano (come nel caso in esame) lavoratori dipendenti, la norma generale prevede che esse siano adottate sulla base delle determinazioni definite dalla contrattazione collettiva nazionale. Sembrerebbe opportuno chiarire se le nuove misure in oggetto possano essere adottate in deroga a tale fase procedurale.

Il comma in esame prevede altresì che:

§  entro diciotto mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, l'INPGI trasmetta ai Ministeri vigilanti un bilancio tecnico attuariale, che tenga conto degli effetti delle misure adottate;

§  qualora il suddetto bilancio tecnico non evidenzi la sostenibilità economico-finanziaria di medio-lungo periodo della gestione pensionistica relativa ai giornalisti aventi un rapporto di lavoro dipendente, il Governo adotti uno o più "regolamenti di delegificazione", intesi a definire un allargamento della platea contributiva dell'INPGI. Si osserva che tale ampliamento potrebbe determinare una riduzione della platea contributiva di altri enti previdenziali (quale in particolare l'INPS).

Come accennato, il comma in esame sospende fino al 31 dicembre 2019, con esclusivo riferimento all'INPGI, l'efficacia delle norme che prevedono la nomina di un commissario straordinario per il caso in cui un ente di diritto privato che gestisca forme di previdenza obbligatoria presenti un disavanzo economico-patrimoniale.

 

Si ricorda che la normativa richiamata (di cui all'articolo 2, comma 4, del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, e successive modificazioni) prevede che, in caso di disavanzo economico-finanziario, rilevato dai rendiconti annuali e confermato anche dal bilancio tecnico, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e gli altri Ministri competenti, si provveda alla nomina di un commissario straordinario, il quale adotta i provvedimenti necessari per il riequilibrio della gestione. Sino al ristabilimento dell'equilibrio finanziario sono sospesi tutti i poteri degli organi di amministrazione dell'ente.

Ai fini dell'eventuale attivazione della procedura di commissariamento, la Commissione parlamentare per il controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale segnala ai Ministeri vigilanti le situazioni di disavanzo economico-finanziario di cui sia venuta a conoscenza nell'esercizio delle proprie funzioni di controllo dei bilanci degli enti privati suddetti.

 

 


 

Articolo 17, commi 1-4
(Fondo di garanzia PMI – Sezione speciale
“Garanzia sviluppo media impresa”)

 

 

L’articolo 17, ai commi 1-4, istituisce, nell’ambito del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, una sezione speciale destinata alla concessione, a titolo oneroso, di garanzie a copertura di singoli finanziamenti e portafogli di finanziamenti - di importo massimo garantito di euro 5 milioni e di durata ultradecennale fino a 30 anni - erogati da banche e intermediari finanziari alle imprese con un numero di dipendenti non superiore a 499 e finalizzati per al meno il 60 percento a investimenti in beni materiali. A tal fine la dotazione del Fondo è incrementata di 150 milioni di euro per l’anno 2019

Contestualmente, per le garanzie concesse nell’ambito di portafogli di finanziamenti, viene innalzato, da 2,5 a 3,5 milioni di euro, l’importo massimo garantito dal Fondo per singola impresa (novella all’articolo 39, comma 4 del D.L. n. 201/2011).

 

Nel dettaglio, il comma 1 dell’articolo in esame dispone l’istituzione, presso il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese di cui all’art. 2, comma 100, lett. a) della legge n. 662/1996, di una sezione speciale destinata alla concessione, a titolo oneroso, di garanzie a copertura di singoli finanziamenti e portafogli di finanziamenti - di importo massimo garantito di 5 milioni di euro e di durata ultradecennale fino a 30 anni - erogati da banche e intermediari finanziari alle imprese con un numero di dipendenti non superiore a 499 e finalizzati per al meno il 60 percento a investimenti in beni materiali.

A tal fine, la dotazione del Fondo è incrementata di 150 milioni per l’anno 2019.

Il comma demanda ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottarsi di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, la disciplina delle tipologie di operazioni ammissibili, delle condizioni, dei criteri e delle modalità di accesso alla garanzia della sezione speciale.

Non viene indicata la data entro la quale è prevista l’adozione del decreto ministeriale.

 

Per le garanzie concesse nell’ambito di portafogli di finanziamenti, il comma 2 innalza, da 2,5 a 3,5 milioni di euro, l’importo massimo garantito per singola impresa dal Fondo. A tal fine, viene novellato il comma 4 dell’articolo 39, del D.L. n. 201/2011, che reca la disciplina del Fondo.

Si ricorda che l’articolo 39, comma 4, del D.L. n. 201/2011, come da ultimo modificato dall’articolo 1, comma 7, della legge n. 190/2014, già prevede che la garanzia del Fondo può essere concessa, a titolo oneroso, su portafogli di finanziamenti erogati alle imprese con un numero di dipendenti non superiore a 499 da banche e intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale di cui all’articolo 106 del Testo unico in materia bancaria e creditizia (TUB – D.Lgs. 385/1993 e ss. mod, e int.).

In attuazione di tale previsione, il D.M. 24 aprile 2013 ha disposto che le garanzie del Fondo su portafogli di finanziamenti operano a copertura di una quota delle prime perdite sui portafogli medesimi e ha destinato (art. 4) fino a 100 milioni delle risorse del Fondo per tale tipologia di intervento[6]. Il D.M. ha in particolare previsto che i portafogli di finanziamenti debbano essere costituiti da un insieme di finanziamenti ciascuno di durata compresa tra 12 e 84 mesi. L'ammontare massimo dei portafogli di finanziamenti, ai fini dell'accesso alla garanzia del Fondo è stato fissato in 300 milioni di euro (art.5). In relazione ai portafogli di finanziamenti, il Fondo è stato ammesso ad intervenire interviene concedendo una garanzia diretta, ovvero una controgaranzia.

È successivamente intervenuto il D.M. 14 novembre 2017 che ha destinato ulteriori risorse del Fondo, per un ammontare di 200 milioni di euro.

Il D.M. 26 aprile 2018 ha recentemente approvato le nuove modalità operative che hanno trovato applicazione dal 10 maggio 2018[7].

 

Il comma 3 dispone che siano utilizzate per le finalità generali del Fondo di garanzia PMI le risorse non utilizzate al medesimo Fondo assegnate a valere:

§  sulla Sezione speciale del Fondo riservata alla concessione di garanzie su finanziamenti, finalizzati all'introduzione di innovazioni di processo e di prodotto, mediante l'uso di tecnologie digitali istituita con D.M. 15 giugno 2004;

§  sulla riserva a favore delle imprese operanti nei distretti industriali della concia, del tessile e delle calzature, di cui al D.M. 15 gennaio 2014;

§  sulle assegnazioni di cui alla delibera CIPE del 21 Aprile 1999 n. 47;

Tale delibera ha assegnato, per la concessione di controgaranzie sulle garanzie rilasciate dai Confidi su operazioni finanziarie a favore delle imprese associate, l’importo di 10,4 milioni di euro al Fondo di garanzia PMI e di ulteriori 5,2 milioni per il Fondo centrale di garanzia per le imprese artigiane istituito presso l’Artigiancassa S.p.A.

 

Si evidenzia che la copertura finanziaria dell’onere recato dall’articolo 17 qui in esame è indicata nell’articolo 50 del decreto legge (comma 4).

 

La relazione illustrativa evidenzia che la garanzia pubblica concessa dalla sezione speciale su portafogli di finanziamenti è destinata esclusivamente agli investimenti fissi dei comparti tipici del lungo termine (credito fondiario ed edilizio, il credito alle opere pubbliche, il credito agrario di miglioramento) per le medie imprese e Small mid cap, di importo superiore al limite ordinario di 2,5 milioni di euro e con una durata superiore a 10 anni. La garanzia del FCG (protetto dalla garanzia di ultima istanza dello Stato) concessa in agevolazione o a parametri di mercato potrebbe assicurare l'accesso al credito delle medie imprese e delle Small Mid Cup anche per finanziare investimenti di più lungo periodo (e la crescita delle PMI).

 

Il Fondo di garanzia per le PMI – istituito in base all’art. 2, comma 100, lettera a), della legge n. 662 del 1996 e alimentato con risorse pubbliche – garantisce o contro-garantisce operazioni, aventi natura di finanziamento ovvero partecipativa, a favore di piccole e medie imprese, nonché alle imprese cd. small mid-cap (imprese con un numero di dipendenti fino a 499), ad eccezione di quelle rientranti in determinati settori economici secondo la classificazione ATECO (ad esempio, agricoltura silvicoltura e pesca, attività finanziarie e assicurative).

Il Fondo, costituito dalla norma istitutiva presso il Mediocredito centrale, soggetto gestore, è amministrato da un Consiglio di gestione, i cui componenti sono stati rinnovati il 12 aprile 2018. Il Consiglio è costituito da un raggruppamento temporaneo di imprese formato da cinque istituti bancari: Banca del Mezzogiorno - MedioCredito Centrale S.p.A., in qualità di soggetto mandatario capofila, Artigiancassa S.p.A., MPS Capital Services Banca per le Imprese S.p.A., Mediocredito Italiano S.p.A. e Istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane S.p.A., in qualità di mandanti.

Il Consiglio di gestione approva la situazione contabile del Fondo, la rendicontazione delle disponibilità, gli impegni e le insolvenze alla data del 31/12 precedente e segnala al Ministero dello Sviluppo Economico la necessità di integrazione delle risorse del Fondo

Il Fondo di garanzia per le PMI costituisce uno dei principali strumenti di sostegno pubblico finalizzati a facilitare l'accesso al credito delle piccole e medie imprese. Con l’intervento del Fondo, l’impresa non ha un contributo in denaro, ma ha la concreta possibilità di ottenere finanziamenti senza garanzie aggiuntive - e quindi senza costi di fidejussioni o polizze assicurative - sugli importi garantiti dal Fondo stesso. Dal punto di vista operativo, il Fondo, infatti:

§  rilascia ai soggetti finanziatori, in primis le banche, garanzie dirette irrevocabili, incondizionate ed escutibili “a prima richiesta”, nonché

§  rilascia controgaranzie a consorzi di garanzia collettiva fidi - Confidi o altro fondo di garanzia ovvero

§  sulla base di apposita convenzione, effettua operazioni in cogaranzia con i Confidi e con gli altri Fondi di garanzia istituiti nell’ambito dell’Unione Europea o da essa cofinanziati.

Il meccanismo di funzionamento del Fondo genera – come rilevato dal MISE - un importante effetto leva, in grado di agire da moltiplicatore delle risorse pubbliche, configurandosi come un efficace strumento di politica industriale con un rapporto costi/benefici inferiore a qualsiasi altra agevolazione

 

In base a quanto previsto dall’art. 11, comma 4, del decreto-legge n. 185 del 2008 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009) gli interventi di garanzia del Fondo sono assistiti dalla garanzia dello Stato, quale garanzia di ultima istanza, secondo criteri, condizioni e modalità stabilite con D.M. 25 marzo 2009.

Il Fondo, per effetto del graduale rimborso dei finanziamenti, è in grado di reimpiegare più volte le risorse assegnate.

Quanto alla disciplina relativa alle modalità operative del Fondo, questa è stata oggetto nel tempo di varie modifiche, finalizzate in sostanza a ad estendere i volumi di finanziamenti garantiti attraverso di esso, dunque a potenziarne l’operatività, pur con il fine di mantenerla su livelli compatibili con gli equilibri della finanza pubblica.

In particolare, nel D.L. n. 69/2013, oltre alla previsione - contenuta nell’ articolo 1 del Decreto - di un aggiornamento dei criteri di valutazione delle imprese ai fini dell'accesso alla garanzia del Fondo e di una semplificazione delle procedure e delle modalità di presentazione delle richieste, all’articolo 2, comma 6, come sostituito dall’articolo 18, comma 9-bis, del D.L. n. 91/2014, ha disposto che i finanziamenti agevolati concessi nell'ambito della misura di sostegno "Nuova Sabatini"( di cui all’art. 2, del D.L. n. 69/2013), possano essere assistiti dalla garanzia del Fondo nella misura massima dell'80 per cento dell'ammontare del finanziamento e che, ai fini dell'accesso alla garanzia stessa, la valutazione economico-finanziaria e del merito creditizio dell'impresa sia demandata al soggetto richiedente nel rispetto di limiti massimi di rischiosità dell'impresa finanziata, misurati in termini di probabilità di inadempimento da definirsi con successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Il D.L. n. 69/2013 ha dunque posto la base giuridica per una riforma complessiva del modello di valutazione del merito creditizio delle imprese simile ai modelli di rating utilizzati dalle banche, in sostituzione del precedente sistema di credit scoring e dunque per una rimodulazione delle percentuali di garanzia del Fondo in funzione della rischiosità del prenditore e della durata e tipologia di operazione finanziaria. La riforma, già avviata nella precedente legislatura, è divenuta recentemente pienamente operativa.

Le nuove disposizioni operative del Fondo, che intervengono a completamento della riforma, ai sensi dell’articolo 1 e 2, comma 6 del D.L. n. 69/2013, sono state infatti approvate con D.M. 13 febbraio 2019 e sono entrate in vigore il 15 marzo 2019. Esse si applicano alle richieste di ammissione alla garanzia del Fondo presentate a partire da quella data.

Tra le principali novità della riforma si segnala quindi:

§  la ridefinizione delle modalità d’intervento che vengono articolate in garanzia diretta, riassicurazione e controgaranzia,

-     La controgaranzia in senso proprio è la garanzia concessa dal Fondo a un soggetto garante ed escutibile dal soggetto finanziatore nel caso in cui né il soggetto beneficiario né il soggetto garante siano in grado di adempiere alle proprie obbligazioni nei confronti del medesimo soggetto finanziatore (cd. doppio default). La controgaranzia è rilasciata esclusivamente su garanzie dirette, esplicite, incondizionate, irrevocabili ed escutibili a prima richiesta del soggetto;

-     La riassicurazione è invece la garanzia concessa dal Fondo a un soggetto garante e dallo stesso escutibile esclusivamente a seguito della avvenuta liquidazione al soggetto finanziatore della perdita sull’operazione finanziaria garantita. Il reintegro da parte del Fondo avviene dunque nei limiti della misura di copertura, di quanto già liquidato dai soggetti garanti ai soggetti finanziatori

§  l’applicazione all’intera operatività del Fondo del modello di valutazione basato sulla probabilità di inadempimento delle imprese beneficiarie,

§  la riorganizzazione delle misure di copertura e di importo massimo garantito, l’introduzione delle operazioni a rischio tripartito.

Quanto alle modalità di finanziamento del Fondo, esso è alimentato prevalentemente attraverso risorse statali. La dotazione del Fondo viene incrementata anche attraverso le risorse del Programma operativo nazionale PON “Imprese e competitività” (a sua volta alimentato da risorse del Fondo europeo per lo sviluppo regionale FESR 2014-2020 e da risorse nazionali a titolo di cofinanziamento). Inoltre, ai sensi dell’articolo 11, comma 5 del D.L. n. 185/2008, la dotazione del Fondo di garanzia può essere incrementata mediante versamento di contributi da parte delle banche, delle Regioni e di altri enti e organismi pubblici, ovvero con l'intervento della Cassa depositi e prestiti S.p.A. e della SACE S.p.A., secondo modalità stabilite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro dello sviluppo economico.

Il Fondo, istituito presso il Mediocredito centrale MCC, opera “fuori bilancio”: le relative risorse sono iscritte sul conto corrente di tesoreria centrale n. 22034 il cui gestore è il Mediocredito centrale.

Il Fondo opera attraverso più sezioni, normativamente previste (la disciplina, istitutiva delle sezioni, è sia di rango primario che secondario), destinate ciascuna ad operazioni in garanzia per dati settori economici, es. autotrasporto, micro imprenditorialità, imprenditoria femminile, ovvero dedicate a garantire misure di sostegno finanziario ad hoc, quali ad es. la Sezione speciale “Resto al Sud”.

L’ambito di operatività del Fondo è stato poi via via esteso a garantire interventi specifici: si rinvia, in merito, alle garanzie rilasciate dal Fondo su portafogli di finanziamenti erogati alle imprese MID CAP (imprese con un numero di dipendenti non superiore a 499) ai sensi dell’art. 39, comma 4 del D.L. n. 201/2011 e su portafogli di mini bond, ai sensi dell'art. 12, comma 6-bis, del D.L. n. 145/2013.

Il Fondo, nel corso degli anni, è stato più volte rifinanziato. L’articolo 1, comma 53 della legge di stabilità 2014 (Legge n. 147/2013), come modificato dall’articolo 8-bis, comma 2, del D.L. n. 3/2015, ha previsto l’assegnazione al Fondo di 200 milioni per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016, mediante riduzione delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione, e in coerenza con le relative finalità. Ha altresì previsto che con apposita delibera del CIPE siano assegnati al Fondo, a valere sul medesimo Fondo per lo sviluppo e la coesione, ulteriori 600 milioni di euro.

In attuazione di tale previsione, la Delibera CIPE n. 94 del 22 dicembre 2017 ha disposto l’assegnazione al Fondo di quota parte dell’importo autorizzato dalla testé citata norma, pari a 300 milioni di euro a valere sulle risorse del Fondo sviluppo e coesione FSC 2014-2020. L’assegnazione è stata imputata per 28 milioni di euro all’annualità 2014, per 85,5 milioni di euro all’annualità 2015, per 186,5 milioni di euro all’annualità 2016. L’utilizzo delle risorse è nel rispetto del criterio di riparto percentuale dell’80 per cento al Mezzogiorno e del 20 per cento al Centro-Nord. Dunque, con la norma qui in esame, le residue risorse del FSC destinate ai sensi del comma 53 al Fondo di garanzia PMI, pari a 300 milioni di euro, vengono interamente imputate ope legis all’annualità 2018.

Inoltre, il Fondo, nell’ultimo triennio, è stato anche rifinanziato:

§  dal D.L. n. 193/2016 (articolo 13, comma 1), collegato alla manovra finanziaria 2017, nella misura di 895 milioni di euro per l’anno 2016, e per ulteriori 100 milioni a valere sugli stanziamenti del Programma Operativo Nazionale (PON) "Imprese e competitività 2014-2010", a titolarità del Ministero dello Sviluppo economico (cfr. delibera CIPE del 1 dicembre 2016 e D.M. 13 marzo 2017)

§  dalla legge di stabilità 2016 (L. n. 208/2015) la quale, all’articolo 1, comma 192, ha autorizzato la spesa di 10 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2016-2018 per il sostegno alle imprese sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata, disponendo che quota parte di tali risorse – pari a 3 milioni di euro - confluisca direttamente in un'apposita sezione del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese (cfr. D.M. attuativo 4 novembre 2016); la legge di bilancio per il 2017 (L. n. 232/2016), all’articolo 1, commi 612, ha poi autorizzato per le medesime finalità sopra indicate l'ulteriore somma di 3 milioni per l'anno 2019;

§  dalla legge di stabilità 2016 (L. n. 208/2015) la quale, all’articolo 1, comma 650, della ha stanziato 10 milioni per l’anno 2016 in favore della Sezione speciale per l'autotrasporto istituita nell'ambito del Fondo con Decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 27 luglio 2009;

§  ai sensi dell’articolo 7-quinquies, comma 5, del D.L. n. 5/2009, sono stati assegnato al Fondo 100 milioni per l’anno 2016;

§  ai sensi del comma 5 ter, articolo 1 del D.L. 21giugno2013, n. 69 è stato riassegnato nel 2016 al cap. 7345/MISE un importo pari a 5,7 milioni di euro e nel 2017 l’importo di 3,6 milioni: si tratta di somme provenienti dalle somme versate all’entrata a titolo di contributi su base volontaria per interventi destinati alla Sezione del Fondo per la micro imprenditorialità;

§  dalla legge n. 220/2016, di disciplina del cinema e dell’audiovisivo, che, all’articolo 30, ha stanziato 5 milioni di euro nell'anno 2017 per la Sezione per il cinema e l'audiovisivo istituita nell'ambito del Fondo dalla stessa legge;

§  dal D.L. n. 148/2017 , il quale all’articolo 9, ha incrementato la dotazione del Fondo di 300 milioni per l'anno 2017 e di 200 milioni di euro per l'anno 2018 e ha disposto la riassegnazione al Fondo stesso per l'anno 2017 delle entrate incassate nell'ultimo bimestre 2016 relative alle sanzioni Antitrust al Fondo di garanzia, nel limite di 23 milioni di euro.

§  con D.M. del 13 marzo 2017 è stata poi istituita la Sezione speciale del Fondo denominata “Riserva PON IC” alimentata con risorse del Programma operativo nazionale «Imprese e competitività» FESR 2014-2020 e destinata a interventi di garanzia nelle regioni del Mezzogiorno. A tale Sezione sono stati destinati 200 milioni rivenienti dal suddetto PON, in attuazione dell’Azione 3.6.1 (al 31 dicembre 2017, rileva la Relazione sulle spese di investimento e relative leggi pluriennali, allegata alla Nota di aggiornamento al DEF 2018, sono stati già trasferiti materialmente al Fondo 51,3 milioni).

§  dal D.L. n. 119/2018, il quale all’articolo 22 assegna al Fondo 735 milioni di euro per l'anno 2018, di cui 300 milioni sono a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione - programmazione 2014-2020 già destinate al Fondo di garanzia ai sensi dell'art. 1, comma 53, secondo periodo, della legge di stabilità 2014. Pertanto, la rimanente quota di 435 milioni costituisce rifinanziamento;

I rifinanziamenti statali vengono iscritti a bilancio dello Stato nello stato di previsione del MISE (capitolo 7345/MISE) per essere successivamente riassegnati alla contabilità speciale (conto corrente di Tesoreria n. 223034) intestata al Gestore del Fondo (Mediocredito Centrale Spa).

Infine, si ricorda che il D.L. n. 135/2018, all’articolo 1, istituisce una Sezione speciale dedicata a interventi di garanzia in favore delle PMI che sono in difficoltà nella restituzione delle rate di finanziamenti già contratti con banche e intermediari finanziari e sono titolari di crediti certificati nei confronti delle pubbliche Amministrazioni. La Sezione viene dotata di 50 milioni di euro a valere sulle disponibilità del medesimo Fondo.


 

Articolo 17, comma 2-bis
(Intervento del Fondo di garanzia PMI su
operazioni di sottoscrizione di “Mini-bond”)

 

 

Il comma 2-bis, dell’articolo 17 introdotto nel corso dell’esame in sede referente, apporta modifiche alla disciplina che consente l’intervento in garanzia del Fondo di garanzia PMI sulle operazioni di sottoscrizione dei cd. “mini bond”, di cui al comma 6-bis dell’articolo 12 del D.L. n. 145/2013 e al relativo D.M. attuativo 5 giugno 2014.

Relativamente alle predette operazioni finanziarie, il comma 2-bis innalza fino a 5 milioni di euro l’importo massimo garantibile dal Fondo per singolo soggetto beneficiario finale. Ciò è disposto a valere sulle attuali disponibilità dello stesso Fondo.

Viene abrogata la previsione – contenuta nel comma 2 dell’articolo 14 del D.M. 5 giugno 2014 – secondo la quale la garanzia del Fondo può essere attivata esclusivamente dal soggetto richiedente che ha sottoscritto l'emissione dei mini bond e nei cui confronti è stata rilasciata la garanzia del Fondo.

 

I cd. mini bond” sono obbligazioni o titoli di debito a medio-lungo termine emessi da società italiane non quotate, tipicamente PMI, normalmente destinate a piani di sviluppo, a operazioni di investimento straordinarie o di refinancing.

L’articolo 12, comma 6-bis del D.L. n. 145/2013 ha previsto che l’intervento in garanzia del Fondo di garanzia PMI possa essere concesso a favore delle società di gestione del risparmio che, in nome e per conto dei fondi comuni di investimento da esse gestiti, sottoscrivano obbligazioni o titoli similari di cui all’art. 32 del D.L. 83/2012, emessi da piccole e medie imprese. La garanzia può essere concessa a fronte sia di singole operazioni di sottoscrizione di obbligazioni e titoli similari sia di portafogli di operazioni.

Lo stesso comma 6-bis prevede che la predetta garanzia possa essere concessa a fronte sia di singole operazioni di sottoscrizione di obbligazioni e titoli similari, sia di portafogli di operazioni.

I requisiti e le caratteristiche delle operazioni ammissibili, le modalità di concessione della garanzia, i criteri di selezione nonché l'ammontare massimo delle disponibilità finanziarie del Fondo da destinare alla copertura del rischio derivante dalla concessione della garanzia di cui sopra sono rimessi ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. In attuazione di tale previsione è stato adottato è stato adottato il D.M. 5 giugno 2014.

Nel rinviare più diffusamente, quanto alla disciplina del Fondo di garanzia PMI, alla scheda di lettura relativa all’articolo 17, commi 1 e 2, si ricorda in questa sede che l’articolo 3 del citato D.M. 5 giugno 2014 legittima a richiedere la garanzia diretta del Fondo, le banche, gli intermediari finanziari e i gestori:

a)    a fronte di singole operazioni di sottoscrizione di mini bond, ovvero

b)   su portafogli di mini bond.

Ai fini dell'ammissibilità alla garanzia del Fondo, le operazioni di sottoscrizione, sia presentate singolarmente sia comprese nell'ambito di un portafoglio, devono riguardare mini bond aventi, ciascuno, le seguenti caratteristiche:

a)    essere finalizzati al finanziamento dell'attività d'impresa;

b)   non avere ad oggetto la sostituzione di linee di credito già erogate al soggetto beneficiario finale;

c)    le date di sottoscrizione e di messa a disposizione delle somme al soggetto beneficiario finale devono essere successive alla data di delibera del Consiglio di gestione di accoglimento della richiesta di garanzia del Fondo;

d)   avere una durata compresa tra 36 e 120 mesi. Relativamente alle operazioni di garanzia su portafogli di mini bond, può essere previsto un eventuale periodo di preammortamento di durata non superiore al periodo intercorrente tra la data di sottoscrizione del mini bond stesso e la data di chiusura del portafoglio di mini bond;

e)    non essere assistite da altre garanzie, reali o assicurative, per la quota coperta dalla garanzia del Fondo.

A fronte della singola operazione di sottoscrizione di mini bond, la garanzia può essere concessa nelle seguenti misure:

a)    fino al 50 percento del valore nominale del mini bond sottoscritto, nel caso in cui la stessa preveda un rimborso a rate sulla base di un piano di ammortamento (amortising mini bond);

b)   fino al 30 percento del valore nominale del mini bond sottoscritto, nel caso in cui la stessa preveda il rimborso unico a scadenza (bullet mini bond).

L'importo massimo garantibile dal Fondo per singolo soggetto beneficiario finale è pari a 2,5 milioni di euro, ai sensi delle nuove disposizioni operative (D.M. 12 febbraio 2019).

Per ciò che concerne le garanzie su portafogli di mini bond, esse sono concesse a condizione che le singole operazioni di sottoscrizione di mini bond che compongono il portafoglio, siano, ciascuna, di importo non superiore al 3 percento del valore nominale complessivo dei titoli che compongono il portafoglio di mini bond. Relativamente alla singola operazione di sottoscrizione di mini bond compresa nel portafoglio garantito, rimane fermo il limite di 2,5 milioni di euro.


 

Articolo 18
(Norme in materia di semplificazione per la gestione
del Fondo di garanzia per le PMI)

 

 

L’articolo 18, modificato in sede referente, interviene in vario modo sulla disciplina del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese (PMI). In primo luogo, abroga la previsione che consentiva di limitare, con delibera della Conferenza unificata Stato, regioni, città e autonomie locali, l’intervento del Fondo alle sole operazioni di controgaranzia nel territorio di regioni in cui fossero coesistenti Fondi regionali di garanzia. Viene prevista una disciplina transitoria per le limitazioni già vigenti, che opera, secondo la modifica introdotta in sede referente, fino al 31 dicembre 2020, ovvero fino al minor termine previsto dalla delibera della Conferenza Unificata .

Inoltre, al fine di sostenere lo sviluppo di canali alternativi di finanziamento delle imprese, la norma consente un intervento in garanzia del Fondo in favore dei soggetti che finanziano, per il tramite di piattaforme di social lendinge dicrowdfunding”, progetti di investimento realizzati da micro, piccole e medie imprese, operanti nei settori di attività ammissibili all’intervento del Fondo.

Quanto alla definizione di social lending, nel corso dell’esame in sede referente, è stata introdotta la precisazione che, tra i potenziali finanziatori, sono inclusi gli investitori istituzionali.

Le modalità attuative di tale previsione sono rimesse ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottarsi di concerto con il Ministro dell’economia e finanze.

 

Nel dettaglio, il comma 1 abroga la previsione - contenuta nel secondo periodo della lettera r) del comma 1 dell’articolo 18 del D.Lgs. n. 112/1998 – che consentiva di limitare, con delibera della Conferenza unificata Stato, regioni, città e autonomie locali [8], l’intervento del Fondo di garanzia per le PMI alle sole operazioni di controgaranzia (a Confidi o a Fondi regionali di garanzia stessi) nel territorio di regioni in cui fossero coesistenti Fondi regionali di garanzia.

 

Rimane dunque in vigore il primo periodo dell'articolo 18, comma 1, lett. r), del D.Lgs. n. 112/1998 che riserva allo Stato la gestione del Fondo.

 

Ai sensi del comma 2, nelle Regioni sul cui territorio, alla data del 1 maggio 2019 (data entrata in vigore del D.L. in esame), è già disposta la limitazione dell'intervento del Fondo di garanzia PMI, alla sola controgaranzia dei fondi di garanzia regionali e dei consorzi di garanzia collettiva, la limitazione stessa rimane in vigore fino al 31 dicembre 2020 (come previsto da una modifica introdotta nel corso dell’esame in Commissione, mentre il testo originario prevedeva il termine di sei mesi dalla data di conversione D.L.) ovvero fino al minor termine previsto dalla delibera della Conferenza Unificata.

La relazione illustrativa al provvedimento in esame evidenzia che il legislatore ha ab origine scartato la scelta della "regionalizzazione" del Fondo di garanzia per le PMI, nella consapevolezza che un fondo di garanzia è tanto più efficace ed efficiente quanto più il suo portafoglio garanzie è esteso, granulare e differenziato (settorialmente, geograficamente, ecc.), delineando un sistema in cui l'intervento nazionale di garanzia può ritrarsi davanti a un sistema regionale della garanzia che risulti solido, strutturato ed efficace rispetto all'obiettivo di assicurare il più ampio accesso al credito da parte delle PMI.

Tuttavia, osserva sempre la relazione, molte Regioni hanno fatto recentemente ricorso alla lettera r) per un motivo diametralmente opposto a quello previsto dalla norma: sostenere i confidi in difficoltà, assicurando loro una sorta di monopolio nell'accesso alla garanzia del Fondo. Nelle Regioni che hanno, finora, fatto ricorso alla lettera r) si è osservato un netto calo dell'operatività del Fondo di garanzia. In questi termini, l'attivazione della lettera r) introduce una barriera all'accesso al Fondo di garanzia (nella modalità della "garanzia diretta") e si risolve, per quanto esposto, in un evidente danno per le PMI.

Al riguardo, la relazione rileva che la recente riforma del Fondo di garanzia ha significativamente revisionato le modalità di intervento del Fondo, introducendo comunque nuovi e importanti spazi per l’operatività proprio dei confidi.

Il riconoscimento di una misura di controgaranzia al 100% in favore dei confidi più solidi, le "operazioni a rischio tripartito", la possibilità di modulare la misura della garanzia del confidi con la misura della riassicurazione richiesta al Fondo, la completa "delega" nella valutazione delle richieste di garanzie riferite a imprese start-up e di finanziamenti con importo ridotto, la possibilità di portare la misura della riassicurazione al 90% se co-finanziata con risorse regionali, la destinazione di 225 milioni di euro di risorse del Fondo di garanzia ai fondi rischi dei confidi, rappresentano, secondo la relazione, strumenti in grado di rilanciare significativamente il ruolo e l'attività dei confidi.

La norma contenuta nel comma 2 dell’articolo in esame, avrebbe invece cura, secondo la relazione illustrativa, di consentire un congruo periodo di adeguamento nei territori regionali che già hanno aderito alla facoltà prevista dalla lettera r).

 

I commi da 3 a 6 consentono l’intervento in garanzia del Fondo di garanzia per le PMI in favore dei soggetti che finanziano, per il tramite di piattaforme disocial lendinge dicrowdfunding, progetti di investimento realizzati da micro, piccole e medie imprese.

Si deve trattare di PMI, come definite dalla normativa europea, operanti nei settori di attività ammissibili all'intervento del Fondo.

La garanzia è concedibile a valere sulle ordinarie disponibilità del Fondo.

L’intervento è esplicitamente finalizzato a sostenere lo sviluppo di canali alternativi di finanziamento delle imprese.

Come previsto dalla Raccomandazione 2003/361/CE (articolo 2), la categoria delle microimprese, delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di EUR oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di EUR. Nel dettaglio, si definisce piccola impresa un'impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di EUR. Si definisce microimpresa un'impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di EUR.

Quanto ai settori di attività ammissibili all’intervento del Fondo, si ricorda in questa sede, rinviando più diffusamente alla ricostruzione normativa del Fondo di garanzia contenuta nella scheda di lettura relativa all’articolo 17 del decreto legge in esame, che, ai sensi delle Disposizioni operative approvate con decreto ministeriale 13 febbraio 2019, sono ammissibili all’intervento del Fondo i soggetti beneficiari finali che svolgono una qualsiasi attività economica, ad eccezione di quelle rientranti nelle seguenti classificazioni ATECO 2007:

§  A - Agricoltura, silvicoltura e pesca. Le imprese che svolgono le predette attività sono comunque ammissibili all’intervento del Fondo in riassicurazione e/o controgaranzia se la relativa richiesta è presentata da un Confidi operante nei settori agricolo, agroalimentare e della pesca. Inoltre, sono comunque ammissibili le imprese che svolgono le seguenti attività esercitate a titolo prevalente sulla base del fatturato registrato nell’ultimo esercizio: a) 01.60.00 (Attività di supporto all’agricoltura e attività successive alla raccolta); b) 01.70.00 (Caccia, cattura di animali e servizi connessi); c) 02.00.00 (Silvicoltura ed utilizzazione di aree forestali).

§  K – Attività finanziarie e assicurative;

§  O – Amministrazione pubblica e difesa; assicurazione sociale obbligatoria

§  T – Attività di famiglie e convivenze come datori di lavoro per personale domestico; produzione di beni e servizi indifferenziati per uso proprio da parte di famiglie e convivenze;

§  U – Organizzazioni ed organismi extraterritoriali.

 

Il comma 4 definisce:

a)   social lending” lo strumento attraverso il quale una pluralità di soggetti può richiedere ad una pluralità di potenziali finanziatori – ivi inclusi, secondo la precisazione introdotta in sede referente, investitori istituzionali - tramite piattaforme on-line, fondi rimborsabili per uso personale o per finanziare un progetto;

b)   crowdfunding” lo strumento attraverso il quale famiglie e imprese sono finanziate direttamente, tramite piattaforme on-line, da una pluralità di investitori.

 

Previsto inizialmente dal decreto-legge n. 179 del 2012 per le sole imprese qualificate come startup innovative, l'equity-based crowdfunding è un istituto che consente, tramite un investimento on-line, di acquistare un titolo di partecipazione in una società: il finanziamento è remunerato dal complesso di diritti patrimoniali e amministrativi che derivano dalla partecipazione nell'impresa. La legge di bilancio 2017 ( comma 70), nel solco degli interventi volti a favorire l'accesso alla liquidità, ha esteso a tutte le piccole e medie imprese la possibilità di reperire capitale di rischio con modalità innovative, attraverso portali online. La Consob ha adottato il Regolamento sulla raccolta di capitali di rischio da parte di start-up innovative tramite portali on-line, successivamente modificato nel tempo anche con l'introduzione del cd. whistleblowing. La legge di bilancio 2019 (articolo 1, commi 236-238 e 240) ha ulteriormente modificato la disciplina relativa ai portali per la raccolta di capitali on-line da parte delle piccole e medie imprese, estendendone l'operatività alla raccolta di finanziamenti tramite strumenti finanziari di debito e riservando la sottoscrizione specifiche categorie di investitori. Per l'illustrazione dell'istituto e della relativa disciplina si rinvia alla scheda informativa della Consob.

Il lending-based crowdfunding (LBC) è un canale di finanziamento alternativo rispetto a quello rappresentato dai tradizionali intermediari, per mezzo del quale alcuni soggetti (famiglie e piccole imprese) sono finanziate direttamente da una moltitudine di investitori, con un incontro tra domanda e offerta che avviene su piattaforme online. In Italia, sebbene non vi sia ancora una normativa primaria che coinvolge tale istituto, i soggetti coinvolti nell’attività (piattaforme, finanziatori e debitori) devono rispettare le norme che disciplinano le diverse riserve di attività (fra cui la raccolta del risparmio tra il pubblico, l’attività bancaria, l’erogazione di finanziamenti nei confronti del pubblico, la mediazione creditizia e la prestazione di servizi di pagamento). La Banca d’Italia ha emanato nel mese di novembre 2016 un provvedimento in materia di raccolta del risparmio dei soggetti diversi dalle banche: in quest’ambito ha fornito chiarimenti in merito ai limiti da rispettare affinché l’esercizio dell’attività di finanziamento collettivo si svolga coerentemente con le norme sulla raccolta del risparmio fra il pubblico. Si veda anche il paper della Banca d'Italia intitolato " Il lending-based crowdfunding: opportunità e rischi", del mese di marzo 2017.

 

Ai sensi del comma 5, la garanzia è richiesta, per conto e nell'interesse dei soggetti finanziatori, dai gestori di piattaforme di social lending o di crowdfunding preventivamente accreditati, a seguito di apposita valutazione effettuata dal Consiglio di gestione del Fondo.

 

Ai sensi del comma 6, le modalità e le condizioni di accesso al Fondo per i finanziamenti di cui ai commi 3 e 5 sono demandate ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottarsi di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Il decreto dovrà, in particolare, fissare:

§  la misura massima della garanzia concedibile, che dovrà comunque assicurare un significativo coinvolgimento del soggetto finanziatore nel rischio dell'operazione

§  le modalità di retrocessione ai soggetti finanziatori delle somme derivanti dalle eventuali escussione e liquidazione della garanzia

§  i criteri per l'accreditamento dei gestori e delle piattaforme, tra i quali rientrano:

-     la trasparenza della modalità di determinazione del prezzo dei finanziamenti,

-     l'affidabilità del modello di valutazione della rischiosità dei prenditori,

-     il rispetto delle norme che regolano le attività riservate dalla legge a particolari categorie di soggetti, inclusa la raccolta del risparmio tra il pubblico sulla base di quanto previsto dal provvedimento della Banca d'Italia dell'8 novembre 2016 recante "Disposizioni per la raccolta del risparmio dei soggetti diversi dalle banche" e della eventuale, successiva normativa in materia.

 

Si osserva che il comma 6 non reca il termine per l’adozione del decreto ministeriale ivi previsto.

 

La relazione illustrativa evidenzia che il social lending, ivi inclusa la branca del crowdfunding, rappresenta uno dei fenomeni più interessanti e innovativi nel panorama finanziario. Attraverso il social lending famiglie e piccole e medie imprese possono essere finanziate direttamente da una moltitudine di investitori. In Italia, il social lending non è ancora particolarmente sviluppato, soprattutto rispetto alla situazione registrata in altri importanti Paesi.

Di social lending si è recentemente occupata anche la Banca d'Italia, emanando specifiche disposizioni (vedi provvedimento dell'8 novembre 2016) per lo svolgimento di detta attività. Tutto ciò premesso - in un contesto in cui l'accesso al credito bancario per le imprese italiane di piccola dimensione continua a essere, come evidenziato da tutte le più recenti analisi, particolarmente difficile - , il social lending può rappresentare, sulla scia delle positive esperienze internazionali sopra richiamate, un canale alternativo di accesso ai capitali da parte delle PML.

La norma in esame è finalizzata a sostenere lo sviluppo, in Italia, del social lending, valorizzando le potenzialità del nuovo mercato in termini di ampliamento e diversificazione dei canali di finanziamento a disposizione delle piccole e medie imprese.

La possibilità della concessione della garanzia del Fondo di garanzia PMI, migliorando il profilo di rischio/rendimento per il finanziatore/investitore, può costituire, in tale ottica, una leva importante per lo sviluppo e il consolidamento del social lending in Italia.

Tuttavia, l'estensione della garanzia ai finanziamenti di social lending e crowfunding impone anche alcune cautele, connesse ai possibili rischi associati. Tra questi, ad esempio, il rischio di un'allocazione non efficiente del risparmio (le piattaforme, non assumendo rischio di credito, potrebbero, infatti, non avere i giusti incentivi a selezionare in modo accurato i debitori) e di stabilità finanziaria (una potenziale, scarsa qualità del credito erogato unita a un peggioramento del ciclo economico e al connesso aumento delle sofferenze potrebbe minare la fiducia degli investitori nella capacità di selezionare la clientela da parte delle piattaforme, facendone diminuire rapidamente l'operatività e compromettendone la stabilità). Altro importante rischio, che vede potenzialmente esposti prenditori finanziatori/investitori, può derivare da una mancanza di trasparenza delle condizioni applicate al prestito.


 

Articolo 18-bis
(Fondo di rotazione per la concessione di finanziamenti
a tasso agevolato - L. n. 394/1981)

 

 

L’articolo 18-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, estende e precisa l’ambito delle iniziative delle imprese italiane dirette alla promozione, sviluppo e consolidamento sui mercati esteri che possono fruire delle agevolazioni finanziarie concesse a valere sul Fondo di rotazione, gestito da SIMEST, istituito con l’art. 2 del D.L. n. 251/1981 (convertito con modificazioni dalla Legge n. 394/81).

Secondo la formulazione vigente dell’articolo 6, comma 1 del D.L. n. 112/2008, le iniziative in questione devono riguardare mercati diversi da quelli dell'Unione Europea. Con la novella introdotta dall’articolo in esame alla citata disposizione, le iniziative in questione possono riguardare mercati anche diversi da quelli dell’Unione europea.

Rimane fermo il riferimento al rispetto della disciplina sugli aiuti di Stato di importanza minore (cd. “de minimis”) e si introduce il richiamo generale all’osservanza della ulteriore normativa europea in materia di aiuti di Stato.

 

Il Fondo di rotazione per la concessione di finanziamenti a tasso agevolato, gestito da SIMEST, è stato istituito con l’art. 2 del D.L. n. 251/1981 (convertito con modificazioni dalla Legge n. 394/81), per la concessione di finanziamenti a tasso agevolato a favore delle imprese italiane che operano sui mercati esteri.

Successivamente, l’articolo 6 (Sostegno alla internazionalizzazione delle imprese) del D.L. n. 112/2008, convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n.133, ha riformato i finanziamenti a tasso agevolato di cui alla legge n. 394/ 1981 rientranti nell’ambito di applicazione della disciplina sugli aiuti di Stato di importanza minore “de minimis”.

L’articolo 6 del citato D.L. 112/2008 dispone, in proposito, al comma 1, che le iniziative delle imprese italiane dirette alla loro promozione, sviluppo e consolidamento sui mercati diversi da quelli dell'Unione Europea possono fruire delle agevolazioni finanziarie esclusivamente nei limiti ed alle condizioni previsti dal Regolamento europeo relativo agli aiuti di importanza minore (de minimis) n. 1998/2006 della Commissione Europea del 15 dicembre 2006, la cui disciplina è stata abrogata e sostituita dal Regolamento (UE) n. 1407/2013.

Ai sensi del comma 2, come da ultimo modificato dal D.L. n. 83/2012, convertito in Legge n. 134/2012, le iniziative ammesse ai benefici sono:

a)    la realizzazione di programmi aventi caratteristiche di investimento finalizzati al lancio ed alla diffusione di nuovi prodotti e servizi ovvero all'acquisizione di nuovi mercati per prodotti e servizi già esistenti, attraverso l'apertura di strutture volte ad assicurare in prospettiva la presenza stabile nei mercati di riferimento;

b)   studi di pre-fattibilità e di fattibilità collegati ad investimenti italiani all'estero, nonché programmi di assistenza tecnica collegati ai suddetti investimenti;

c)    altri interventi prioritari;

Il comma 3, come da ultimo modificato dal D.L. n. 83/2012, prevede che per le predette iniziative venga utilizzato il Fondo di rotazione per la concessione di finanziamenti a tasso agevolato di cui alla legge n. 394/1981 con una riserva di destinazione alle piccole e medie imprese (PMI) pari al 70 per cento annuo delle risorse del Fondo stesso.

Il comma 4, come da ultimo modificato dall’articolo 1, comma 152 della legge di stabilità 2013 (L. n. 228/2012), demanda i termini, le modalità e le condizioni degli interventi, le attività e gli obblighi del gestore, le funzioni di controllo nonché la composizione e i compiti del Comitato per l'amministrazione del Fondo ad un decreto di natura non regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.

In attuazione di quanto disposto dal comma è stato adottato il D.M. 7 settembre 2016 e il D.M. 8 aprile 2019.

La gestione degli interventi di agevolazione è disciplinata da una convenzione stipulate tra SIMEST e Ministero dello sviluppo economico.

Quanto alle gestione del Fondo si rinvia all’ultima Relazione della Corte dei Conti relativa al Giudizio di parificazione sul rendiconto generale dello Stato per l'esercizio finanziario 2017, Volume I, Capitolo relativo ai Fondi di rotazione e gestioni fuori bilancio, pag. 529 e ss.


 

Articolo 18-ter
(Piattaforma telematica denominata «Incentivi.gov»)

 

 

L’articolo 18-ter, inserito nel corso dell’esame in sede referente, istituisce, presso il MISE, una Piattaforma telematica denominata «Incentivi.gov» per il sostegno della politica industriale e della competitività del Paese. Alla Piattaforma sono preventivamente comunicate dalle Amministrazioni Pubbliche centrali e locali le misure di sostegno destinate al tessuto produttivo di cui è obbligatoria la pubblicazione, secondo modalità e tempistiche stabilite da un successivo decreto ministeriale attuativo della misura. Alle spese per lo sviluppo della Piattaforma si provvede attraverso l’impiego di quota parte delle risorse a valere sui Fondi del Programma Operativo Nazionale Governance e capacità istituzionale 2014-2020. È inoltre istituita una struttura di cooperazione interorganica, composta da rappresentanti di istituzioni a livello centrale e locale, finalizzata a garantire il monitoraggio periodico delle informazioni che confluiscono nella piattaforma telematica: la struttura in questione definisce proposte per l'ottimizzazione della piattaforma digitale e predispone le regole tecniche per l'accesso e le modalità per la condivisione dei dati.

 

L’articolo 18-ter prevede l’istituzione – presso il Ministero dello sviluppo economico – di una Piattaforma telematica denominata «Incentivi.gov» per il sostegno della politica industriale e della competitività del Paese.

L’istituzione della Piattaforma telematica, ai sensi del comma 1, viene esplicitamente inserita nell'ambito dei processi di rafforzamento, di incremento dell’efficienza e di trasparenza delle attività delle Pubbliche Amministrazioni previsti negli obiettivi tematici dell'Accordo di partenariato per l'utilizzo dei fondi europei afferenti alla programmazione 2014-2020 e, in particolare, per contribuire alla realizzazione della strategia dell'Unione per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, compresa la coesione economica, sociale e territoriale.

Ai sensi del comma 2, alla Piattaforma sono preventivamente comunicate dalle Amministrazioni Pubbliche centrali e locali di cui all'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001, le misure di sostegno destinate al tessuto produttivo di cui è obbligatoria la pubblicazione ai sensi dell'articolo 26 del D.Lgs. n. 33/2013, secondo modalità e tempistiche stabilite dal decreto ministeriale attuativo della misura, previsto dal successivo comma 6.

L’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001 qualifica amministrazioni pubbliche tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300 (le c.d. agenzie fiscali).

 

L’articolo 26 del D.Lgs. n. 33/2013 obbliga le pubbliche amministrazioni a pubblicare gli atti con i quali sono determinati, ai sensi dell'articolo 12 della legge n. 241/1990, i criteri e le modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi per la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e per l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati.

Le pubbliche amministrazioni devono pubblicare gli atti di concessione delle sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese, e comunque di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati ai sensi del citato articolo 12 della legge n. 241/1990[9], che siano di importo superiore a mille euro. Ove i beneficiari siano controllati di diritto o di fatto dalla stessa persona fisica o giuridica ovvero dagli stessi gruppi di persone fisiche o giuridiche, vengono altresì pubblicati i dati consolidati di gruppo. La pubblicazione delle informazioni suddette costituisce condizione legale di efficacia dei provvedimenti che dispongano concessioni e attribuzioni di importo complessivo superiore a mille euro nel corso dell'anno solare al medesimo beneficiario. La mancata, incompleta o ritardata pubblicazione rilevata d'ufficio dagli organi di controllo è altresì rilevabile dal destinatario della prevista concessione o attribuzione e da chiunque altro abbia interesse, anche ai fini del risarcimento del danno da ritardo da parte dell'amministrazione, ai sensi dell'articolo 30 del D. Lgs. n. 104/2010. È esclusa la pubblicazione dei dati identificativi delle persone fisiche destinatarie dei provvedimenti, qualora da tali dati sia possibile ricavare informazioni relative allo stato di salute ovvero alla situazione di disagio economico-sociale degli interessati.

 

Il comma 2 specifica ulteriormente che il rispetto delle modalità e tempistiche per la preventiva comunicazione da parte delle PA alla piattaforma delle misure di sostegno costituisce condizione legale di efficacia dei provvedimenti che ne dispongono la concessione.

In merito, si ricorda che il citato art. 26 del D.Lgs. n. 33/2013 prevede che la pubblicazione, da parte delle pubbliche amministrazioni, degli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e attribuzione di vantaggi economici a persone fisiche ed enti pubblici e privati costituisce condizione legale di efficacia dei provvedimenti che dispongano concessioni e attribuzioni di importo complessivo superiore a mille euro al medesimo beneficiario.

Si valuti pertanto l’opportunità di coordinare la disposizione in commento – che sembrerebbe invece attribuire natura di condizione legale di efficacia alla preventiva comunicazione, da parte delle pubbliche dalle amministrazioni, delle misure di sostegno – con il citato art. 26 del D.Lgs. n. 33/2013.

 

Ai sensi del comma 3, alle spese per lo sviluppo della Piattaforma si provvede attraverso l’impiego di quota parte delle risorse, fino ad un ammontare massimo di 2 milioni di euro a decorrere dal 2019, a valere sui Fondi del Programma Operativo Nazionale Governance e capacità istituzionale 2014-2020.

 

Il comma 4 dispone l’istituzione di una struttura di cooperazione interorganica composta da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero dello sviluppo economico, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, delle regioni e province autonome designato dalla Conferenza delle regioni e province autonome e di tutte le altre amministrazioni centrali e locali interessate, finalizzata a garantire il monitoraggio periodico delle informazioni che confluiscono nella piattaforma telematica.

La struttura è istituita senza nuovi o maggiori oneri sul bilancio dello Stato.

La struttura in questione, ai sensi del comma 5, definisce proposte per l'ottimizzazione della piattaforma digitale, predispone le regole tecniche per l'accesso e le modalità per la condivisione dei dati nel rispetto delle disposizioni contenute nel Codice dell'amministrazione digitale (D. Lgs. n. 8272005) e nel rispetto delle regole di sicurezza e trattamento dei dati di cui al Reg. UE n. 679/2016, e del D.Lgs. n.101/2018.

 

Si fa riferimento al Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE; nonché al D.Lgs. n.101/2018, recante disposizioni per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del medesimo regolamento (UE) 2016/679.

Ai sensi del comma 6, il decreto del Ministro dello sviluppo economico, attuativo della misura in esame deve essere emanato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in commento.


 

Articolo 18-quater
(Disposizioni in materia di Fondi per l’internazionalizzazione)

 

 

L’articolo 18-quater, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, estende l'ambito di operatività del Fondo rotativo per operazioni di venture capital di cui all'articolo 1, comma 932, della legge 27 dicembre 2006, n.296, a tutti i Paesi non appartenenti all'Unione europea o allo Spazio economico europeo, e ne ridefinisce altresì gli interventi : questi possono consistere, oltre che nell'acquisizione di quote di partecipazione al capitale di società estere, anche nella sottoscrizione di strumenti finanziari o partecipativi, incluso il finanziamento soci (commi 1 e 2). Le modalità e le condizioni di intervento del Fondo sono rimesse ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico (comma 3).

L’articolo inoltre modifica le modalità di intervento da parte di SIMEST nel capitale sociale di imprese costituite o da costituire nei Paesi dell'area balcanica. Nel dettaglio, viene elevata dal 40 al 49 percento la percentuale massima del capitale o fondo sociale delle società o imprese che può essere acquisita attraverso l’intervento del Fondo. Viene soppresso il limite di un miliardo di lire (516.456 euro) previsto per ciascun intervento (comma 4).

Infine, l’articolo contiene una norma esplicitamente finalizzata a contrastare il fenomeno della delocalizzazione, disponendo che le imprese che investono all’estero decadono dai benefici e dalle agevolazioni concesse con obbligo di rimborso anticipato dell'investimento, nei casi in cui:

·         violino l’obbligo di mantenere sul territorio nazionale le attività di ricerca, sviluppo, direzione commerciale, nonché di una parte sostanziale delle attività produttive, di cui all'articolo 1, comma 12, del D.L. n. 35/2005.

·        e comunque, nel caso in cui le operazioni di venture capital a valere sul Fondo unico, siano causa diretta di una riduzione dei livelli occupazionali sul territorio nazionale.

Con decreto di natura regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, nei casi di decadenza di cui sopra, sono stabilite le modalità e i termini del rimborso anticipato dell'investimento e le sanzioni applicabili.

Si valuti la compatibilità della disposizione del comma 5, che rinvia a un DM la determinazione sia della natura della sanzione che della sua entità, con il principio di riserva di legge, che si applica anche alle sanzioni amministrative.

Nel dettaglio, il comma 1 estende l'ambito di operatività del Fondo rotativo per operazioni di venture capital di cui all'articolo 1, comma 932, della legge 27 dicembre 2006, n.296, a tutti i Paesi non appartenenti all'Unione europea o allo Spazio economico europeo.

Per supportare gli investimenti in aree geografiche ritenute strategiche per l’internazionalizzazione del sistema produttivo italiano, quali Cina, Balcani, Africa e Medio Oriente, Russia e Paesi Caucasici, India e paesi del Sud Est asiatico colpiti dallo tsunami, America Centrale e Meridionale, nel 2004 sono stati costituiti dei Fondi pubblici destinati ad operazioni di acquisizione di quote di capitale di rischio, cd. Fondi di Venture Capital , distinti per area geografica.

La Legge finanziaria 26 dicembre 2006 n. 296, all’art. 1, comma 932, ha unificato in un unico Fondo rotativo per operazioni di Venture Capital tutti i fondi rotativi gestiti dalla SIMEST Spa destinati ad operazioni di acquisizione di quote di capitale di rischio (venture capital) in Paesi non aderenti all'Unione europea nonché il Fondo rotativo, sempre gestito da SIMEST, per operazioni di venture capital in imprese costituite o da costituire nei Paesi dell'area balcanica di cui all'articolo 5, comma 2, lettera c), della L. n. 84/2001.

Come ricorda la Corte dei Conti (cfr. Giudizio sul rendiconto generale dello stato relativo all’anno 2018, di giugno 2018, Vol. I, pp. 532 e ss. ), il Fondo unico di Venture Capital, ha cominciato ad operare nel 2007, al fine di garantire, in presenza di un progressivo esaurimento delle risorse finanziarie destinate a particolari aree geografiche, il sostegno alle attività di piccole e medie dimensioni e, nel contempo, di razionalizzare l’operatività dei diversi Fondi anche alla luce dell’intervento dei Fondi medesimi verso nuovi Paesi ed aree geografiche. Il Fondo opera fuori bilancio e si avvale del conto di tesoreria n. 22046.

Alla fine dell’esercizio 2017 il portafoglio delle partecipazioni detenute da SIMEST a valere sul Fondo unico di Venture Capital ammontava a 132 milioni (135 milioni nel 2016) in 181 società all’estero (182 nel 2016).

 

Sulla base delle informazioni pubblicate da SIMEST sul sito istituzionale, le Aree geografiche di interesse strategico nelle quali opera il Fondo sono le seguenti:

·      Repubblica Popolare Cinese e Paesi del sud est asiatico: India, Indonesia, Malaysia, Maldive, Sri Lanka e Thailandia

·      Federazione Russa, Ucraina, Moldavia, Armenia, Azerbaijan e Georgia

·      Africa, tutti i Paesi compresi quelli insulari

·      Israele, Libano, Giordania, Siria, Autorità Palestinese, Turchia, Iraq. Paesi confinanti con l'Iraq (purché con attività prevalente rivolta all'Iraq)

·      Albania, Bosnia Erzegovina, Kosovo, ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, Serbia e Montenegro

·      Paesi dell'America Centrale ed America Meridionale ad esclusione dei territori e possedimenti d'oltremare dei paesi della Unione Europea (PTOM) e di dipartimenti francesi d'oltremare (DOM).

Il comma 2 ridefinisce altresì gli interventi del Fondo rotativo per operazioni di venture capital, disponendo che essi possano consistere, oltre che nell'acquisizione di quote di partecipazione al capitale di società estere, anche nella sottoscrizione di strumenti finanziari o partecipativi, incluso il finanziamento soci (comma 2).

Il comma 3 demanda ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico la definizione delle modalità e delle condizioni di intervento del Fondo.

L’articolo inoltre, al comma 4, modifica le modalità di intervento da parte di SIMEST nel capitale sociale di imprese costituite o da costituire nei Paesi dell'area balcanica.

Come sopra accennato, anche tali interventi sono finanziati a valere sul Fondo di Venture Capital di cui all'articolo 1, comma 932, della legge 27 dicembre 2006, n.296.

Nel dettaglio, viene elevata dal 40 al 49 percento la percentuale massima del capitale o fondo sociale delle società o imprese che può essere acquisita attraverso l’intervento del Fondo.

Viene soppresso il limite di un miliardo di lire (516.456 euro) previsto per ciascun intervento.

A tal fine, il comma 4 opera una novella all'articolo 5, comma 2, lettera c), della L. n. 84/2001.

 

L’articolo 5, comma 2, lett. c) della legge n. 84/2001 ha destinato quota parte delle risorse del Fondo per la partecipazione italiana alla stabilizzazione, alla ricostruzione e allo sviluppo dei Balcani all’istituzione presso SIMEST Spa di un Fondo - autonomo e distinto dal patrimonio della società stessa - con finalità di capitale di rischio (venture capital), per l'acquisizione, da parte di quest'ultima, di partecipazioni societarie fino al 40 per cento del capitale o fondo sociale delle società o imprese partecipate. Ha altresì disposto che ciascun intervento non possa superare il miliardo di lire (516.456 euro) e, comunque, le partecipazioni devono essere cedute, a prezzo non inferiore a valori correnti, entro otto anni dall'acquisizione.

Il Fondo istituito ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lett. c) è poi confluito, ai sensi dell’articolo 1, comma 932 della legge n. 296/2006 nel Fondo unico rotativo per operazioni di venture capital.

Il comma 5 reca una norma esplicitamente finalizzata a contrastare il fenomeno della delocalizzazione.

Tale comma dispone che le imprese che investono all’estero decadono dai benefici e dalle agevolazioni concesse con obbligo di rimborso anticipato dell'investimento, nei casi in cui:

·      violino l’obbligo di mantenere sul territorio nazionale le attività di ricerca, sviluppo, direzione commerciale, nonché di una parte sostanziale delle attività produttive, di cui all'articolo 1, comma 12, del D.L. n. 35/2005.

Tale norma dispone che i benefici e le agevolazioni previsti ai sensi della legge n. 100/1990 sulla promozione della partecipazione a società ed imprese miste all'estero, del D.Lgs. n. 143/1998 sul sostegno al commercio con l’estero, e della legge n. 273/2002 per favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza, non si applicano ai progetti delle imprese che, investendo all'estero, non prevedano il mantenimento sul territorio nazionale delle attività di ricerca, sviluppo, direzione commerciale, nonché di una parte sostanziale delle attività produttive.

§  e comunque, nel caso in cui le operazioni di venture capital a valere sul Fondo unico, siano causa diretta di una riduzione dei livelli occupazionali sul territorio nazionale.

Con decreto di natura regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, nei casi di decadenza di cui sopra, sono stabilite le modalità e i termini dei rimborso anticipato dell'investimento e le sanzioni applicabili.

Si valuti la compatibilità di questa disposizione, che rinvia a un DM la determinazione sia della natura della sanzione che della sua entità, con il principio di riserva di legge, che si applica anche alle sanzioni amministrative.

Si ricorda, infatti, che in base all’art. 1 della legge n. 689 del 1981 «Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione». La giurisprudenza ha ribadito che «In tema di illecito amministrativo, se è compatibile con il principio di legalità la previsione di norme secondarie integrative del precetto contenuto nella norma primaria, è, invece, in ogni caso inibito alle norme primarie di demandare a fonti secondarie la determinazione della sanzione» (cfr. Cass. civ. Sez. II, 01/06/2010, n. 13344).


 

Articolo 19
(Rifinanziamento del Fondo di garanzia per la prima casa)

 

 

L’articolo 19 dispone un rifinanziamento di 100 milioni di euro per l’anno 2019 (a carico delle risorse previste dall’art. 50) del Fondo di garanzia per la prima casa.

Viene altresì ridotta, dal 10 all’8 per cento, la percentuale minima del finanziamento da accantonare a copertura del rischio.

 

Il comma 48 della legge di stabilità 2014 (L. 147/2013), nell'ambito di un riordino generale del sistema delle garanzie per l'accesso al credito delle famiglie e delle imprese, ha previsto (alla lettera c)) la sostituzione del Fondo per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa, con un nuovo Fondo di garanzia per la prima casa, per la concessione di garanzie, a prima richiesta, su mutui ipotecari o su portafogli di mutui ipotecari.

A tale nuovo fondo, istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, sono state attribuite risorse pari complessivamente a 600 milioni di euro nel triennio 2014-2016 (200 milioni annui), nonché le attività e le passività del precedente Fondo (istituito dall’articolo 13, comma 3-bis, del D.L. 112/2008), che ha continuato ad operare fino all'emanazione dei decreti attuativi necessari a rendere operativo il nuovo Fondo di garanzia.

In attuazione della citata lettera c) è stato emanato il decreto interministeriale 31 luglio 2014 (pubblicato nella G.U. n. 226 del 29 settembre 2014), con cui è stata definita dettagliatamente la disciplina del nuovo Fondo di garanzia "prima casa".

In base a quanto precisato nell’art. 1 di tale decreto, il “nuovo” Fondo è finalizzato alla concessione di garanzie, a prima richiesta, nella misura massima del 50% della quota capitale, tempo per tempo in essere, su mutui ipotecari o su portafogli di mutui connessi all'acquisto ed a interventi di ristrutturazione e accrescimento di efficienza energetica di unità immobiliari, site sul territorio nazionale, da adibire ad abitazione principale del mutuatario, con priorità per l'accesso al credito da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori, da parte dei conduttori di alloggi di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, nonché dei giovani di età inferiore ai 35 anni titolari di un rapporto di lavoro atipico.

Il successivo art. 3 dispone che sono ammissibili alla garanzia del Fondo i mutui ipotecari di ammontare non superiore a 250.000 euro e che le unità immobiliari relative non devono avere le caratteristiche di lusso.

La relazione illustrativa giustifica il rifinanziamento previsto dalla norma in esame in ragione del fatto che “a fronte di un garantito in essere di 4,5 miliardi di euro, le risorse del Fondo, in assenza di rifinanziamento, si esauriranno entro i prossimi due mesi”.

 

Con riferimento alla riduzione della percentuale minima (che passa dal 10 all’8 per cento) relativa all’accantonamento “di rischio”, si ricorda che l’art. 5 del succitato decreto interministeriale 31 luglio 2014 dispone che “per ogni operazione di finanziamento ammessa all'intervento della garanzia il Gestore accantona a coefficiente di rischio, un importo non inferiore al 10 per cento dell'importo garantito del finanziamento stesso”.

In proposito la relazione illustrativa sottolinea che la percentuale del 10% attualmente prevista è “troppo elevata per mutui coperti da garanzia ipotecaria, tenuto anche conto della scarsissima attivazione della garanzia del Fondo”. La stessa relazione sottolinea che tale riduzione consente di liberare risorse.


 

Articolo 19-bis
(
Norma di interpretazione autentica in materia di rinnovo
dei contratti di locazione a canone agevolato
)

 

 

L’articolo 19-bis, introdotto in sede referente, reca una norma d’interpretazione autentica dell’articolo 2, comma 5, quarto periodo, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, in materia di proroga dei contratti di locazione a canone agevolato: in mancanza della comunicazione per rinuncia del rinnovo del contratto, da inviarsi almeno sei mesi prima della scadenza, il contratto è rinnovato tacitamente, a ciascuna scadenza, per un ulteriore biennio.

L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 8 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

 

L’art. 2 della legge n. 431/1998 ha previsto (al comma 3) che, in alternativa al “classico” contratto “4+4” a canone libero (previsto dal comma 1 del medesimo articolo), le parti possono stipulare contratti di locazione a canone c.d. concordato, definendo il valore del canone, la durata del contratto ed altre condizioni contrattuali sulla base di quanto stabilito in appositi accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative. La durata di tali contratti (in base a quanto previsto dal primo periodo del successivo comma 5) non può di regola essere inferiore ai tre anni. Alla prima scadenza del contratto (in base al secondo periodo del comma 5), ove le parti non concordino sul rinnovo del medesimo, il contratto è prorogato di diritto per due anni fatta salva la facoltà di disdetta da parte del locatore per le ragioni contemplate dalla norma in questione. Per tale motivo i contratti a canone concordato sono anche individuati nel gergo comune con l’espressione “3+2”.

Il terzo periodo del comma 5 prevede che alla scadenza del periodo di proroga biennale ciascuna delle parti ha diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all'altra parte almeno sei mesi prima della scadenza.

In mancanza di tale comunicazione, il quarto periodo del comma 5 in questione dispone che il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni.

 

La norma in esame interviene proprio su tale ultima disposizione, stabilendo che la stessa si interpreta nel senso che, in mancanza della comunicazione ivi prevista, con la quale le parti manifestano la propria intenzione di rinnovare o rinunciare al rinnovo del contratto, il contratto stesso è rinnovato tacitamente, a ciascuna scadenza, per un ulteriore biennio.

Si fa notare che sul punto non esiste una giurisprudenza costante. Secondo la sentenza del 28 giugno 2008, n. 4655, del Tribunale di Torino, il rinnovo avviene automaticamente per un triennio. Per il Tribunale di Bologna (sentenza 7 settembre 2009, n. 3151), invece, il rinnovo è da intendersi per un quinquennio. In una recente pronuncia della Cassazione la norma oggetto di interpretazione autentica da parte dell'articolo in esame è stata definita come “tutt’altro che un modello di chiarezza” (sentenza n. 16279 del 2016).

In mancanza di un indirizzo preciso, non si registra un’applicazione uniforme sul territorio nazionale. In proposito si richiamano i risultati di un’indagine svolta dall’UPPI (Unione Piccoli Proprietari Immobiliari) nel 2017 secondo cui “è emerso che le Agenzie delle Entrate locali interpretano in maniera diversa la durata della proroga del contratto di locazione della durata di anni 3+2, con specifico riferimento alla proroga dopo il primo quinquennio. Infatti, per alcune Agenzie locali il contratto si proroga di 2 anni, per altre di 3 anni, per altre ancora di ulteriori 3+2; in altre ancora, la durata della proroga è indifferente”.

Su tale questione è intervenuta, inoltre, anche la consulenza giuridica n. 954-92/2016 dell’Agenzia delle Entrate, datata 27 giugno 2017, che ha precisato e chiarito che l’Agenzia delle Entrate può fornire indicazioni solo in relazione all’interpretazione di una norma tributaria, ma non è competente ad effettuare una “valutazione di natura civilistica sulle modalità di stipula e di rinnovo dei contratti di locazione”.

 


 

Articolo 19-ter
(Disposizioni relative al Fondo per il credito
alle aziende vittime di mancati pagamenti)

 

 

L’articolo 19-ter, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, dispone l’ampliamento della platea delle imprese beneficiarie dei finanziamenti agevolati erogati a valere sul Fondo per il credito alle aziende vittime di mancati pagamenti, novellando in più punti l’art. 1, commi 199-202, della legge di stabilità 2016 (L. n. 208/2015).

In particolare, la norma prevede l’inserimento, tra i soggetti beneficiari dei finanziamenti agevolati, oltre alle PMI, anche dei professionisti vittime di mancati pagamenti. Si prevede, inoltre, che i debitori delle PMI richiedenti possano essere anche soggetti diversi dalle aziende – se operanti nell’ambito delle attività di impresa – purché operanti in procedimenti penali per i reati in questione. Si prevede, poi, l’ampliamento del novero delle fattispecie di reato che assumono rilievo ai fini dell’accesso al Fondo da parte delle PMI: ai reati di estorsione, truffa, insolvenza fraudolenta e false comunicazioni sociali, già previsti dalla legge di stabilità 2016, la norma in commento aggiunge i reati di bancarotta fraudolenta, bancarotta semplice e ricorso abusivo al credito, disciplinati dalla legge fallimentare. La norma, inoltre, prevede che PMI e professionisti vittime di mancati pagamenti, anche se non risultanti direttamente parte offesa nel procedimento penale, possano accedere ai finanziamenti agevolati se risultano iscritti al passivo di una procedura fallimentare o concorsuale per le quali il curatore fallimentare si sia costituito parte attiva per i reati sopracitati. Vengono poi inclusi tra i soggetti beneficiari dell'agevolazione anche le PMI e i professionisti che, a procedimento penale concluso, risultino titolari di sentenza favorevole di condanna a carico dei debitori e non siano comunque stati dagli stessi pagati. Si prevede, quindi, l'inclusione tra i soggetti beneficiari anche delle PMI in stato di concordato preventivo in continuità di attività. La norma prevede, infine, la possibilità per il MISE di adottare il provvedimento di concessione e di erogazione del contributo anche in pendenza della verifica da parte del Ministero dello sviluppo economico della correttezza e della conformità delle dichiarazioni rese dai soggetti che hanno formulato la richiesta di accesso al Fondo. In tal caso, il finanziamento è erogato, a titolo di acconto, per un importo pari al 50 per cento di quanto dovuto.

 

Più in dettaglio, la norma amplia l’ambito di applicazione della misura, novellando i commi da 199 a 202 dell’art. 1 della L. n. 208/2015.

Si ricorda che l’art. 1, commi 199-202, della legge n. 208/2015 ha istituito il “Fondo per il credito alle aziende vittime di mancati pagamenti”, che sostiene, per il triennio 2016-2018, attraverso la concessione di finanziamenti agevolati, le piccole e medie imprese in una situazione di potenziale crisi di liquidità a causa della mancata corresponsione di denaro da parte di altre aziende debitrici, i cui titolari siano imputati in procedimenti penali per reati di truffa, estorsione, insolvenza fraudolenta o false comunicazioni sociali.

Più in dettaglio, il comma 199 della L. n. 208/2015 ha istituito, presso il Ministero dello sviluppo economico, il Fondo in questione, dotandolo di 10 milioni di euro annui per il triennio 2016-2018, con la finalità del sostegno alle piccole e medie imprese potenzialmente in crisi a causa della mancata corresponsione di denaro da parte di altre aziende debitrici.

Il comma 200, come modificato dall’art. 60-bis del D.L. n. 50/2017,  dispone la facoltà di accesso al Fondo per le piccole e medie imprese che risultino parti offese in un procedimento penale, in corso alla data di presentazione delle domande di accesso al Fondo, a carico delle aziende debitrici imputate dei delitti di cui agli articoli 629 (estorsione), 640 (truffa), 641 (insolvenza fraudolenta) del codice penale e di cui all’art. 2621 del codice civile (false comunicazioni sociali)[10].

Il comma 201 ha demandato a un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, la determinazione, nel rispetto delle vigenti disposizioni in materia di aiuti di Stato, dei limiti, dei criteri e delle modalità per la concessione dei finanziamenti agevolati da parte dello Stato nei confronti delle imprese vittime di mancati pagamenti. In attuazione di tale norma è stato adottato il decreto interministeriale 17 ottobre 2016, recante "Criteri e modalità per la concessione di finanziamenti agevolati in favore delle imprese vittime di mancati pagamenti".

Ai sensi del comma 202, l'assoluzione dalle predette imputazioni comporta l'obbligo, per i beneficiari, del rimborso delle somme erogate.

Con circolare direttoriale 22 dicembre 2016 n. 127554, come modificata dalla circolare direttoriale 20 luglio 2017, n. 3203, sono state definite le modalità e i termini per la presentazione delle domande.

Con più specifico riferimento alle agevolazioni concesse alle piccole e medie imprese ammesse al Fondo, esse consistono in finanziamenti agevolati di importo non superiore a euro 500.000 e non superiore alla somma dei crediti documentati agli atti del procedimento penale, vantati dall’impresa richiedente nei confronti delle imprese debitrici i cui titolari siano imputati in procedimenti penali per reati di cui sopra, alla data di presentazione della domanda, in ogni caso nei limiti massimali di importo previsti, a seconda del settore di appartenenza dell’impresa beneficiaria, dai Regolamenti “de minimis” n. 1407/2013, n.1408/2013 e n. 717/2014. La durata del finanziamento concesso deve essere non inferiore a tre anni e non superiore a dieci anni, comprensivi di un periodo di preammortamento massimo di due anni.

Le risorse disponibili sull’apposito stanziamento di bilancio, ai sensi del citato decreto interministeriale 17 ottobre 2016, sono state versate annualmente alla contabilità speciale n. 1201 relativa al Fondo per la crescita sostenibile, di cui all’art. 23, comma 2, lett. b), del D.L. n. 83/2012, destinata all’erogazione di finanziamenti agevolati che prevedono rientri[11].

Secondo quanto dispone la Relazione tecnica, alla data del 31 maggio 2019, lo stato della spesa è il seguente:

§  fondi concessi a valere sull’intero stanziamento triennale: 806.318,51 euro;

§  fondi impegnati ma non concessi (in attesa di esito istruttorio): 5.008.562 euro;

§  fondi disponibili: 24.185.119,49 euro.

La relazione illustrativa motiva l’intervento normativo in questione in ragione delle criticità rilevate in sede di prima applicazione e della necessità di migliorare l’operatività della misura, con conseguente più efficace utilizzo delle risorse pubbliche assegnate.

 

In particolare, la norma in commento:

a)   con una novella al comma 199, dispone un ampliamento dell’ambito soggettivo di applicazione della misura, includendo tra i soggetti beneficiari dei finanziamenti agevolati – che nella formulazione vigente della norma sono le aziende vittime di mancati pagamenti – anche soggetti diversi dalle aziende (inclusi, quindi, i professionisti). Inoltre, la platea dei possibili soggetti debitori – nella formulazione vigente limitata alle “altre aziende debitrici” – viene estesa alla più ampia categoria dei “debitori nell’ambito dell’attività di impresa”;

b)   con l’integrale sostituzione del comma 200, amplia ulteriormente l’ambito soggettivo di applicazione della misura.

Più in dettaglio, si prevede la facoltà di accedere al Fondo, con le modalità stabilite dal comma 201, per le seguenti categorie di soggetti, che – come già previsto nella formulazione vigente della norma - risultino parti offese in un procedimento penale pendente alla data di presentazione delle domande di accesso al Fondo:

-       le piccole e medie imprese – così definite ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 2013/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013[12] - anche se in concordato preventivo con continuità.

-       i professionisti, soggetti non contemplati nella formulazione vigente della norma tra le categorie ammesse ad accedere al Fondo in questione.

Con la medesima novella, si amplia altresì il novero delle fattispecie di reato che assumono rilievo ai fini dell’accesso al Fondo da parte delle piccole e medie imprese. Ai reati di estorsione (art. 629 c.p.), truffa (art. 640 c.p.), insolvenza fraudolenta (art. 641 c.p.) e false comunicazioni sociali (art. 2621 c.c.) – già contemplati dall’art. 1, comma 200, della L. n. 208/2015 – la norma in commento aggiunge i seguenti reati, disciplinati dalla legge fallimentare (R.D. 6 marzo 1942, n. 267): bancarotta fraudolenta (artt. 216 e 223), bancarotta semplice (artt. 217 e 224), ricorso abusivo al credito (artt. 218 e 225).

In merito, si ricorda che a partire dal 15 agosto 2020 entrerà in vigore il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. n. 14 del 2019) che, senza sostituirsi alle disposizioni della legge fallimentare, riproduce le richiamate fattispecie penali (la bancarotta fraudolenta è disciplinata agli articoli 322 e 329; la bancarotta semplice agli articoli 323 e 330 e il ricorso abusivo al credito agli articoli 325 e 331 del nuovo Codice).

Si valuti l’opportunità di integrare la disposizione con il rinvio anche ai nuovi riferimenti normativi.

La norma prevede, inoltre, la facoltà di accesso al Fondo, non contemplata dalla formulazione vigente, per le piccole e medie imprese sopra descritte e per i professionisti ammessi o iscritti al passivo di una procedura concorsuale per la quale il curatore, il commissario o il liquidatore giudiziale si siano costituiti parte civile nel processo penale per i reati sopra descritti, ovvero il cui credito sia riconosciuto da una sentenza definitiva di condanna per i reati medesimi.

Come rilevato nella relazione illustrativa, l’assenza di tale disposizione nella formulazione vigente della norma ha “ingiustamente comportato l’esclusione di creditori aventi tutti i titoli sostanziali per l’accesso alla misura”.

 

c)   con l’inserimento del comma 201-bis, si prevede che il provvedimento di concessione ed erogazione del finanziamento agevolato di cui al comma 201 sia adottato anche in pendenza della verifica da parte del Ministero dello sviluppo economico della correttezza e della conformità delle dichiarazioni rese dai soggetti che hanno formulato la richiesta di accesso al Fondo.

In tal caso, il finanziamento è erogato, a titolo di acconto, per un importo pari al 50 per cento di quanto dovuto; il saldo del restante 50 per cento è corrisposto all’esito delle suddette verifiche.

In proposito, si richiama quanto previsto dall’art. 6, comma 4, del citato decreto interministeriale 17 ottobre 2016, adottato in attuazione del comma 201 della L. n. 208/2015, che attribuisce al MISE il potere di verificare, per ogni domanda di finanziamento agevolato, presso gli uffici giudiziari competenti, la correttezza e la conformità della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà[13] resa dal legale rappresentante della PMI beneficiaria.

Il successivo art. 7 del citato decreto interministeriale subordina la concessione e la relativa trasmissione del finanziamento agevolato alla PMI beneficiaria, da parte del MISE, alla conclusione, con esito positivo, dell’istruttoria.

La relazione illustrativa motiva l’opportunità dell’intervento in ragione dei “lunghi tempi di attesa” necessari ai fini dell’acquisizione della conferma da parte dei competenti Tribunali in ordine alla correttezza delle dichiarazioni fornite dalle imprese circa gli elementi caratterizzanti i procedimenti penali a carico dei soggetti loro debitori.

La norma dispone altresì la revoca del provvedimento di erogazione del finanziamento agevolato qualora sia accertata la carenza dei relativi presupposti, secondo le modalità stabilite nel decreto di cui al comma 201, del quale la relazione illustrativa preannuncia la modifica[14].

d)   con una novella al comma 202, si amplia la platea dei soggetti imputati per i delitti di cui al comma 200 – come modificato dalla norma in commento (v. supra) – dalla cui assoluzione discende l’obbligo, per i soggetti beneficiari dei finanziamenti agevolati, al rimborso delle somme erogate, secondo le modalità stabilite dal decreto di cui al comma 201.

In particolare, tale categoria, nella formulazione vigente limitata alle “aziende imputate per i delitti di cui al comma 200”, viene estesa dalla norma in commento alla più ampia categoria dei “debitori imputati” per i medesimi delitti di cui al comma 200”.


 

Articolo 20
(Nuova Sabatini)

 

 

L’articolo 20, modificato presso le Commissioni di merito, modifica le modalità di funzionamento della cd. “Nuova Sabatini”, misura di sostegno che consente - alle micro, piccole e medie imprese - di accedere a finanziamenti agevolati per investimenti in nuovi macchinari, impianti e attrezzature, compresi i cd. investimenti in beni strumentali “Industria 4.0”, concessi dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati all'esercizio dell'attività di leasing finanziario, e di ottenere un correlato contributo statale in conto impianti rapportato agli interessi calcolati in via convenzionale sui predetti finanziamenti.

Nel dettaglio, la norma:

§  alla lettera 0a) introdotta nel corso dell’esame in sede referente, inserisce tra i soggetti abilitati a rilasciare i predetti finanziamenti agevolati anche gli altri intermediari finanziari iscritti al relativo albo di cui all’articolo 106 del TUB (D.Lgs. 385/1993), che statutariamente operano nei confronti delle PMI;

§  alla lettera a) innalza l’importo massimo del finanziamento agevolato concedibile ai beneficiari durante il periodo dell’intervento, portandolo da due a quattro milioni di euro;

§  alla lettera b) modifica le modalità di erogazione del correlato contributo statale, prevedendo che l’erogazione dello stesso avvenga sulla base delle dichiarazioni prodotte dalle imprese in merito alla realizzazione dell'investimento, e - a fronte di finanziamenti di importo non superiore a 100.000 euro - in un'unica soluzione.

A tal fine, la norma apporta in più punti modifiche alla disciplina della misura agevolativa in questione, contenuta nell’articolo 2, del D.L. n. 69/2013.

 

Nel dettaglio, l’articolo in esame:

§  alla lettera 0a), introdotta nel corso dell’esame in sede referente, modifica il comma 2 del citato articolo 2, inserendo tra i soggetti abilitati a rilasciare i predetti finanziamenti agevolati anche gli altri intermediari finanziari iscritti al relativo albo di cui all’articolo 106 del TUB (D.Lgs. 385/1993), che statutariamente operano nei confronti delle PMI;

Il comma 2 dell’articolo 2 del D.L. n. 69/2013 dispone attualmente che i finanziamenti agevolati sono concessi banche e dagli intermediari finanziari autorizzati all'esercizio dell'attività di leasing finanziario.

§  alla lettera a), modifica il comma 3 del citato articolo 2, laddove dispone che i finanziamenti agevolati concessi hanno durata massima di 5 anni dalla data di stipula del contratto e sono accordati per un valore massimo complessivo non superiore a 2 milioni di euro per ciascuna impresa beneficiaria, innalzando tale importo a 4 milioni di euro;

La relazione illustrativa al provvedimento richiama le disposizioni normative attualmente vigenti, secondo le quali il finanziamento può essere accordato a ciascuna impresa (da un minimo di 20.000 euro[15]) fino ad un massimo di 2 milioni di euro durante tutto il periodo di validità dell'intervento agevolativo, e osserva al riguardo che tale limite, introdotto per consentire la massima fruizione del beneficio - in considerazione di una limitata dotazione finanziaria inizialmente stanziata per l'attuazione della misura - genera evidenti vincoli operativi nella fruizione del beneficio, poiché al raggiungimento del suddetto massimale, sia attraverso un singolo investimento, sia attraverso più investimenti agevolati realizzati durante l'intero periodo di operatività della misura, l'impresa non può più accedere alle agevolazioni previste dallo strumento. In particolare, il massimale di 2 milioni di euro è risultato restrittivo soprattutto per le imprese di medie dimensioni e per quelle che realizzano investimenti produttivi di maggiore entità.

§  alla lettera b) introduce, al comma 4 del citato articolo 2, la previsione che l’erogazione del contributo avviene sulla base delle dichiarazioni prodotte dalle imprese in merito alla realizzazione dell'investimento e - a fronte di finanziamenti di importo non superiore a 100 mila euro - in un'unica soluzione.

In caso di finanziamento di importo superiore a 100 mila euro, l'erogazione del contributo è effettuata con le modalità già disciplinate dal decreto ministeriale attuativo della misura e della relativa circolare ministeriale attuativa (D.M. attuativo 25 gennaio 2016 e Circolare n. 14036 del 15 febbraio 2017), e, dunque, l’erogazione avviene secondo il piano temporale riportato nel provvedimento di concessione, che si esaurisce entro il sesto anno dalla data di ultimazione dell’investimento, in quote annuali, in funzione anche delle risorse di bilancio annualmente disponibili[16].

Secondo la relazione illustrativa, la previsione di erogare il contributo in un’unica soluzione a fronte di finanziamenti di importo non superiore a 100.000 euro consente, oltre ad uno snellimento degli oneri amministrativi, di accelerare la tempistica di erogazione delle agevolazioni e di determinare anche flussi di cassa aziendale più alti, massimizzando in tal modo l’effetto incentivante della misura.

Secondo la relazione tecnica, l’introduzione previsione del pagamento in un'unica soluzione a fronte di finanziamenti di importo non superiore a 100.000 euro determina un maggiore fabbisogno finanziario, determinato dall'accorpamento delle diverse quote di contributo, che però non necessità di anticipazioni di cassa.

Si segnala, infine, che l’articolo 21 del decreto legge in esame interviene anch’esso sulla materia, disponendo un’estensione, a condizioni date, dei contributi previsti dalla “Nuova Sabatini”, anche alle micro, piccole e medie imprese, costituite in forma societaria, impegnate in processi di capitalizzazione, che intendano realizzare un programma di investimento. Per esse, l’articolo 21 dispone l’applicazione in forma maggiorata del contributo statale di cui all’articolo 2, comma 5 del D.L. n. 69/2013.

 

Lo strumento agevolativo cd. "Nuova Sabatini" – istituito dall'articolo 2 del D.L. 21 giugno 2013, n. 69 (legge n. 98/2013) e successivamente rifinanziato ed esteso – costituisce uno dei principali strumenti agevolativi nazionali di sostegno alle PMI all'acquisto, o all’acquisizione in leasing, di beni materiali (macchinari, impianti, beni strumentali d'impresa, attrezzature nuovi di fabbrica e hardware) o immateriali (software e tecnologie digitali) a uso produttivo.

La misura è finalizzata a migliorare l'accesso al credito per tali investimenti produttivi e tecnologici delle micro, piccole e medie imprese operanti in tutti i settori, inclusi agricoltura e pesca, e consente:

§  l'accesso a finanziamenti agevolati per investimenti in beni strumentali (anche mediante operazioni di leasing finanziario) e

§  l’accesso ad un contributo statale in conto impianti per gli investimenti in beni strumentali in questione, parametrato a un tasso di interesse convenzionalmente assunto (pari al 2,75% annuo per gli investimenti "ordinari" e al 3,575% per gli investimenti "Impresa 4.0").

La tipologia degli investimenti in beni strumentali ammissibili al beneficio – inizialmente individuata in macchinari, impianti, beni strumentali di impresa e attrezzature nuovi di fabbrica ad uso produttivo, nonché investimenti in hardware, software ed in tecnologie digitali (comma 1, art. 2 del D.L. n. 69/2013) - è stata estesa dalla legge di bilancio per il 2017 (Legge n. 232/2016) ai seguenti investimenti cd. "Industria 4.0": macchinari, impianti e attrezzature nuovi di fabbrica aventi come finalità la realizzazione di investimenti in tecnologie, compresi gli investimenti in big data, cloudcomputing, banda ultralarga, cybersecurity, robotica avanzata e meccatronica, realtà aumentata, manifattura 4D, Radio frequencyidentification (RFID) e sistemi di tracciamento e pesatura dei rifiuti (articolo 1, comma 55 della legge di bilancio 2017 e circolare attuativa 15 febbraio 2017, n. 14036, allegati 6/A e 6/B). Per gli investimenti in beni strumentali cd. "Industria 4.0", la legge di bilancio 2017 ha costituito apposita riserva di risorse ed una maggiorazione del contributo statale in conto impianti concedibile a valere sulle nuove risorse dalla medesima legge stanziate.

La legge di bilancio per il 2018 (legge n. 205/2017) oltre a rifinanziare, all’articolo 1, comma 40, la misura, ha mantenuto il meccanismo preferenziale, introdotto nell’anno precedente, per gli investimenti “Industria 4.0”. Ad essi ha riservata una quota pari al 30 per cento delle nuove risorse stanziate dalla medesima legge e ha disposto che il relativo contributo statale in conto impianti rimanga maggiorato del 30% rispetto alla misura massima concessa per le altre tipologie di investimento ammissibili. La legge ha altresì disposto che le risorse risultanti non utilizzate per la predetta riserva alla data del 30 settembre 2018, rientrino nella disponibilità complessiva della misura (articolo 1, comma 41). Inoltre, ha portato il termine per la concessione dei finanziamenti agevolati a valere sulla misura in questione dal 31 dicembre 2018 fino alla data dell'avvenuto esaurimento delle risorse disponibili, da comunicarsi con avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (articolo 1, comma 42).

La legge di bilancio per il 2019 (L. n. 145/2018, articolo 1, comma 200) ha anch’essa rifinanziato la misura, mantenendo le percentuali di riserva, la maggiorazione per gli investimenti in beni 4.0. e il termine della concessione dei finanziamenti fino ad esaurimento delle risorse previsti dalla legge di bilancio per il 2018.

Quanto ai finanziamenti agevolati concedibili per gli investimenti in beni strumentali ammissibili al beneficio, la normativa istitutiva del 2013 aveva previsto che la concessione degli stessi avvenisse da parte di banche e società di leasing finanziario esclusivamente a valere su un plafond di provvista costituito presso la gestione separata di Cassa depositi e prestiti CDP S.p.A.. Successivamente, è intervenuto il D.L. n. 3/2015 (Legge n. 33/2015), che ha previsto la possibilità di riconoscere i contributi statali alle PMI anche a fronte di un finanziamento - compreso il leasing finanziario - non più necessariamente erogato a valere sul plafond di provvista CDP (articolo 8, comma 1).

I finanziamenti vengono concessi alle MPMI (micro, piccole e medie imprese) per un importo non superiore a 2 milioni di euro, anche frazionato in più iniziative di acquisto, possono coprire fino al cento per cento dei costi ammissibili ed hanno una durata massima di cinque anni dalla stipula del contratto (comma 3 del D.L. n. 69/2013).

Come detto, alle PMI beneficiarie è concesso - sui finanziamenti ottenuti e in relazione agli investimenti realizzati - un contributo statale in conto impianti parametrato a un tasso di interesse convenzionalmente assunto e fissato dalla normativa secondaria attuativa della misura (2,75% annuo per gli investimenti "ordinari" e 3,575% per gli investimenti "Impresa 4.0")[17].

Ciascun finanziamento può essere assistito dalla garanzia del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese fino al massimo previsto dalla normativa vigente (80% dell'ammontare del finanziamento), con priorità di accesso ai sensi del D.M. attuativo 29 settembre 2015.

Quanto alle risorse statali destinate alla concessione del sopra citato contributo in conto impianti, si ricorda che il D.L. n. 69/2013 ha inizialmente previsto uno stanziamento iniziale pari a 7,5 milioni di euro per l'anno 2014, a 21 milioni di euro per l'anno 2015, a 35 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019, a 17 milioni di euro per l'anno 2020 e a 6 milioni di euro per l'anno 2021.

Al fine di snellire le procedure connesse alla concessione ed erogazione del contributo, con D.L. n. 91/2014 (articolo 18, comma 9 bis, lett. b)) è stata costituita nell’ambito del Fondo Crescita Sostenibile, un’apposita contabilità speciale n. 5850 denominata “Contributi per investimenti in beni strumentali” nella quale affluiscono le risorse che anno per anno sono impegnate sul capitolo 7489, pg.1 per poi essere erogate alle imprese beneficiarie.

L’autorizzazione di spesa è stata poi rifinanziata dalla legge di stabilità 2015 (art.1, comma 243), che ha disposto, un incremento di 12 milioni di euro dello stanziamento per il 2015, di 31,6 milioni di euro di quello per l'anno 2016, di 46,6 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018, di 39,1 milioni di euro per l’anno 2019, di 31,3 milioni di euro per l’anno 2020 e di 9,9 milioni di euro per l’anno 2021. Le risorse in questione, appostate sul capitolo di Bilancio 7489 pg. 1/MISE sono state oggetto, nel corso del tempo, anche di riduzioni lineari a copertura di norme sul contenimento della spesa.

La legge di bilancio 2017 ha stanziato ulteriori 28 milioni di euro per l’anno 2017, 84 milioni di euro per l’anno 2018, 112 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2019 al 2021, 84 milioni per l’anno 2022 e 28 milioni per il 2023.

La legge di bilancio per il 2018 (L. n. 205/2017, articolo 1, comma 40) ha ulteriormente rifinanziato la misura per 33 milioni per il 2018, per 66 milioni per ciascuno degli anni dal 2019-2022 e 33 milioni per il 2023. Inoltre, ha portato il termine per la concessione dei finanziamenti agevolati dal 31 dicembre 2018 fino alla data di avvenuto esaurimento delle risorse disponibili, da comunicarsi con avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (articolo 1, comma 42).

L’articolo 1, comma 200 della legge di bilancio 2019 (legge n. 145/2018) rifinanzia da ultimo la misura per 48 milioni di euro per il 2019, di 96 per ciascuno degli anni dal 2020-2023 e 48 milioni per il 2024. Sulle somme autorizzate è mantenuta la riserva (30% delle risorse) e la maggiorazione del contributo statale (del 30%) per gli investimenti in beni strumentali cd. “Industria 4.0”, nonché il termine per la concessione dei finanziamenti agevolati (fino ad esaurimento delle risorse statali autorizzate) di cui alla legge di bilancio per il 2018. Le risorse non utilizzate per la riserva sopra citata al 30 settembre di ciascun anno, rientrano nelle disponibilità complessive della misura.

Si segnala, infine, che la Corte dei Conti, Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, ha recentemente condotto un’analisi della misura di sostegno cd. “Nuova Sabatini” (Relazione approvata con deliberazione 25 ottobre 2018, n. 21/2018/G). Per quel che riguarda le considerazioni di sintesi della Corte circa i controlli propedeutici alle erogazioni condotti dal Mise, si rinvia a pagina 14 e ss. della Relazione.


 

Articolo 21
(Sostegno alla ricapitalizzazione delle PMI)

 

 

L’articolo 21 estende la disciplina agevolativa di sostegno prevista dalla cd. “Nuova Sabatini” di cui all’articolo 2, comma 5 del D.L. n. 69/2013 anche alle micro, piccole e medie imprese, costituite in forma societaria, impegnate in processi di capitalizzazione, che intendano realizzare un programma di investimento. Per tali operazioni si prevede, a date condizioni, un’applicazione in forma maggiorata del relativo contributo statale.

A tal fine, la misura agevolativa in questione viene rifinanziata per 10 milioni per il 2019, per 15 milioni per ciascuno degli anni dal 2020 al 2023 e per 10 milioni per il 2024. Viene demandato ad un decreto di natura regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, da adottarsi di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze la definizione dei requisiti e delle condizioni di accesso al contributo statale, le caratteristiche del programma di investimento, le modalità e i termini per l’esecuzione del piano di capitalizzazione dell’impresa beneficia, nonché le cause e le modalità di revoca del contributo.

 

Si ricorda che la cd. “Nuova Sabatini”, disciplinata dall’articolo 2 del D.L. n. 69/2013 e ss. mod. e int., è una misura di sostegno istituita per consentire, alle micro, piccole e medie imprese, di accedere a finanziamenti agevolati per investimenti in beni strumentali all’esercizio dell’attività di impresa, quali nuovi macchinari, impianti e attrezzature, compresi i cd. investimenti in beni strumentali “Industria 4.0” e di ottenere un correlato contributo statale in conto impianti rapportato agli interessi calcolati in via convenzionale sui predetti finanziamenti.

 

Il decreto legge qui in esame, all’articolo 20, apporta delle modifiche alla disciplina generale di funzionamento della misura, che consistono in un innalzamento dell’importo massimo ammesso a finanziamento agevolato (da 2 a 4 milioni di euro) e nell’erogazione del correlato contributo statale in conto impianti in un'unica soluzione a fronte di finanziamenti di importo non superiore a 100.000 euro (novella al comma 4 dell’articolo 2 del D.L. n. 69/2013).

Per una descrizione analitica della misura di sostegno “Nuova Sabatini”, si rinvia alla scheda di lettura dell’articolo 20.

 

Nel dettaglio, l’articolo 21 in commento, dispone, al comma 1, che i contributi di statali previsti dalla disciplina della Nuova Sabatini, sono altresì riconosciuti, alle condizioni di cui all’articolo qui in esame, in favore delle micro, piccole e medie imprese, costituite in forma societaria, impegnate in processi di capitalizzazione, che intendono realizzare un programma di investimento.

 

Il comma 2 dispone che le agevolazioni di cui alla “Nuova Sabatini” (articolo 2 del D.L. n. 69/2013) sono concesse a fronte dell’impegno dei soci a sottoscrivere un aumento di capitale sociale dell’impresa, da versare in più quote, in corrispondenza delle scadenze del piano di ammortamento del finanziamento.

 

Il comma 3 riconosce per tali interventi contributi statali maggiorati rispetto a quanto attualmente previsto dalla disciplina della “Nuova sabatini” per l’acquisto di beni strumentali.

Il comma infatti dispone che, fermo restando il rispetto delle intensità massime di aiuto previste dalla applicabile normativa europea in materia, che i contributi statali in questione siano rapportati ad interessi calcolati, in via convenzionale, sul finanziamento a un tasso annuo del:

a) 5 percento, per le micro e piccole imprese;

b) 3,575 percento, per le medie imprese.

 

Si ricorda in questa sede che la richiamata disciplina generale della cd. “Nuova Sabatini”, prevede che il contributo statale in conto impianti è concesso dal MISE e determinato in misura pari al valore degli interessi calcolati in via convenzionale su un finanziamento quinquennale di importo pari all'investimento in beni strumentali al tasso del 2,75% (commi 4 e 5 del D.L. n. 69/2013, DD.MM. attuativi 27 novembre 2013 e 25 gennaio 2016 e Circolare 23 marzo 2016, n. 26673). Per gli investimenti in beni strumentali "Industria 4.0", il contributo statale in conto impianti è maggiorato del 30 per cento rispetto alla misura massima stabilita dalla disciplina vigente. Dunque, il tasso convenzionale su cui calcolare il beneficio è elevato al 3,575% annuo rispetto al 2,75% annuo riservato ai beni strumentali ordinari (Circolare 15 febbraio 2017, n. 14036).

Per ciò che concerne le intensità massime di aiuto previste dalla disciplina europea, si ricorda che gli aiuti statali concessi a valere sulla “Nuova Sabatini” sono aiuti di Stato in esenzione a valere sui regolamenti europei relativi al settore di riferimento e pertanto non sono in regime di esenzione “de minimis”.

Le agevolazioni, configurabili, sulla base della disciplina generale della Nuova Sabatini, come “contributo in conto impianti”, sono concesse nei limiti dell’intensità di aiuto massima concedibile in rapporto agli investimenti previste dai seguenti Regolamenti europei:

§  Regolamento (CE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014 (GBER) per il settore "altro" con intensità agevolative massime del 10% per le medie imprese e 20% per le piccole imprese;

§  Regolamento (CE) n. 702/2014 della Commissione, del 25 giugno 2014, per il settore della produzione dei prodotti agricoli con intensità agevolativa massima del 40% e del 50% nelle regioni meno sviluppate;

§  Regolamento (UE) n. 1388/2014 del 16 dicembre 2014, per il settore della produzione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura con intensità agevolativa massima del 50%.

 

Per la concessione dei contributi statali concessi nel caso di sostegno a processi di capitalizzazione delle PMI, il comma 4 rifinanzia l’autorizzazione di spesa relativa alla “Nuova Sabatini” di cui all’articolo 1, comma 200, della legge di bilancio 2019 (L. n. 145/2018) per 10 milioni di euro per l’anno 2019, per 15 milioni per ciascuno degli anni dal 2020 al 2023 e per 10 milioni per l’anno 2024.

Dispone altresì che le predette risorse siano trasferite al Ministero dello sviluppo economico a inizio di ciascuna delle annualità previste, al fine di assicurare l’operatività della misura.

 

Il comma 5 demanda ad un decreto di natura regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, da adottarsi di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, la definizione dei requisiti e delle condizioni di accesso al contributo statale, le caratteristiche del programma di investimento, le modalità e i termini per l’esecuzione del piano di capitalizzazione dell’impresa beneficiaria, nonché le cause e le modalità di revoca del contributo nel caso di mancato rispetto degli impegni assunti, incluso la realizzazione del piano di capitalizzazione.

Il comma 5 richiama l’art. 17, comma 3 della legge n. 400/1988, il quale dispone che con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del Ministro o di autorità sotto ordinate al Ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più Ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione.

 

L’articolo in esame sembrerebbe dunque estendere, a condizioni date, l’applicazione della misura agevolativa “Nuova Sabatini” di cui all’articolo 2 del D.L. n. 69/2013 anche alle micro, piccole e medie imprese, costituite in forma societaria, impegnate in processi di capitalizzazione, che intendono realizzare un programma di investimento, riconoscendo, in tale specifico caso, una maggiorazione del contributo statale.


 

Articolo 22
(Tempi di pagamento tra le imprese e
debiti commerciali della P.A.)

 

 

L’articolo 22, novellando il D.Lgs. n. 231/2002, reca disposizioni relative ai tempi di pagamento tra le imprese, specificando i dati di cui deve essere data evidenza nel bilancio sociale, quali i tempi medi di pagamento delle transazioni effettuate nell'anno, nonché le politiche commerciali adottate con riferimento alle transazioni medesime e le eventuali azioni poste in essere in relazione ai termini di pagamento.

 

Il comma 1 novella il D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, aggiungendovi l’art. 7-ter, relativo ai dati di cui il bilancio sociale delle società deve dare evidenza.

 

Si ricorda in proposito che il D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 costituisce attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Il D.Lgs., come modificato dal D.Lgs. 9 novembre 2011 - per l'integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali -, dal D.Lgs. 9 novembre 2012, n. 192 e dall'articolo 24 della L. 30 ottobre 2014, n. 161, reca disposizioni relative ai pagamenti effettuati a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale.

Le norme del D.Lgs. n. 231/2002 si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale, ove per transazioni commerciali si intendono “i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo” e per imprenditore si intende “ogni soggetto esercente un'attività economica organizzata o una libera professione”.

 

In dettaglio, il nuovo art. 7-ter, rubricato “Evidenza nel bilancio sociale” specifica i dati di cui deve essere data evidenza nel bilancio sociale delle società. In particolare, si fa riferimento:

§  ai tempi medi di pagamento delle transazioni effettuate nell'anno. La norma specifica che devono essere altresì individuati gli eventuali ritardi medi tra i termini pattuiti e quelli effettivamente praticati.

Con specifico riferimento ai termini di pagamento nelle transazioni commerciali, si richiama quanto previsto dall’art. 4 del D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231: il comma 1 dispone che gli interessi moratori decorrano, senza che sia necessaria la costituzione in mora, dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento. Il comma 2 dispone che, salvo quanto previsto dai successivi commi da 3 a 5, il periodo di pagamento non possa superare il termine di trenta giorni: a) dalla data di ricevimento da parte del debitore della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente; b) dalla data di ricevimento delle merci o dalla data di prestazione dei servizi, quando non è certa la data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento; c) dalla data di ricevimento delle merci o dalla prestazione dei servizi, quando la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento è anteriore a quella del ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi; d) dalla data dell'accettazione o della verifica eventualmente previste dalla legge o dal contratto ai fini dell'accertamento della conformità della merce o dei servizi alle previsioni contrattuali, qualora il debitore riceva la fattura o la richiesta equivalente di pagamento in epoca non successiva a tale data.

Si segnala in proposito che l'art. 37, comma 1, del D.L. 17 ottobre 2016, n. 189, (L. 15 dicembre 2016, n. 229) ha autorizzato il differimento dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni coinvolte nella gestione di eventi calamitosi per i quali sia stato dichiarato lo stato di emergenza. In particolare, le amministrazioni pubbliche impegnate nella gestione di situazioni di emergenza dovuta ad eventi calamitosi per i quali sia stato dichiarato lo stato di emergenza sono state autorizzate a differire, con provvedimento motivato, i termini dei periodi di pagamento, come scanditi dal citato articolo 4, comma 2 del D.Lgs. n. 231 del 2002, "per il tempo strettamente necessario". Il differimento, comunque, non può eccedere la soglia temporale di centoventi giorni. L’art. 4, comma 3, del D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, dà facoltà alle parti, nelle transazioni commerciali tra imprese, di pattuire un termine per il pagamento superiore rispetto a quello previsto dal comma 2. Termini superiori a sessanta giorni, purché non siano gravemente iniqui per il creditore, devono essere pattuiti espressamente. Il comma 4 dispone infine che nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione le parti possano pattuire, purché in modo espresso, un termine per il pagamento superiore a quello previsto dal comma 2, quando ciò sia oggettivamente giustificato dalla natura particolare del contratto o da talune sue caratteristiche. In ogni caso i termini di cui al comma 2 non possono essere superiori a sessanta giorni. La clausola relativa al termine deve essere provata per iscritto. Resta ferma la facoltà delle parti di concordare termini di pagamento a rate. In tali casi, qualora una delle rate non sia pagata alla data concordata, gli interessi e il risarcimento previsti dal presente decreto sono calcolati esclusivamente sulla base degli importi scaduti.

Si segnala, infine, che l'art. 2, comma 1, della L. 22 maggio 2017, n. 81, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato” all’art. 2, dedicato alla tutela del lavoratore autonomo nelle transazioni commerciali, ha definito l’ambito di applicazione delle disposizioni del D.Lgs. N. 231/2002, disponendo che esse si applichino, in quanto compatibili, anche alle transazioni commerciali tra lavoratori autonomi e imprese, tra lavoratori autonomi e amministrazioni pubbliche, o tra lavoratori autonomi, fatta salva l'applicazione di disposizioni più favorevoli.

L’articolo 3, comma 1-terdecies, del D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, recante disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione, ha introdotto una particolare ipotesi di nullità delle clausole relative ai termini di pagamento a favore delle PMI. Nello specifico, inserendo il comma 4-bis nell'art. 7 del d.lgs. 231/2002, di attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, la norma ha stabilito che, nelle transazioni commerciali in cui il creditore sia una PMI, si presuma sia gravemente iniqua la clausola che prevede termini di pagamento superiori a 60 giorni. Tale presunzione non opera quando tutte le parti del contratto sono PMI. Per la definizione di PMI, la norma ha rinviato espressamente al DM 18 aprile 2005.

 

§  alle politiche commerciali adottate con riferimento alle suddette transazioni, nonché alle eventuali azioni poste in essere in relazione ai termini di pagamento.

La relazione illustrativa sottolinea come dare evidenza dei tempi medi di pagamento dell'impresa possa costituire un parametro di riferimento utile per i creditori e i contraenti, attuali e potenziali, della società. Si specifica, inoltre, che la conoscenza della regolarità con la quale le società adempiono alle proprie obbligazioni costituisce, innanzitutto, un parametro di riferimento per contribuire a tutelare i contraenti e creditori della società, ai quali si consente di venire a conoscenza di un dato ulteriore relativo all'affidabilità del contraente; al tempo stesso, la conoscenza relativa a tali dati può costituire un utile strumento per stimolare le società ad adempiere tempestivamente alle proprie obbligazioni e, quindi, la competitività tra le imprese.

 

Come specifica la relazione tecnica, la norma in esame, applicandosi alle società private, non comporta maggiori oneri a carico della finanza pubblica, in quanto si limita a descrivere un contenuto ulteriore del bilancio delle società, finalizzato a stimolare la concorrenza e il mercato e a consentire alle imprese che adempiono regolarmente alle proprie obbligazioni di essere maggiormente competitive sul mercato.


 

Articolo 23
(
Cartolarizzazioni)

 

 

L’articolo 23, modificato in sede referente, apporta numerose modifiche alla disciplina della cartolarizzazione dei crediti, anche allo scopo di velocizzare il mercato dei crediti deteriorati (non-performing loans) presenti nei bilanci di banche e intermediari finanziari.

Con le norme in esame sono introdotte misure specifiche volte a:

§  facilitare le operazioni di trasferimento di crediti deteriorati, evitando la chiusura dei contratti di apertura di credito e permettendo di trasferire gli impegni di erogazione a una banca o a un intermediario finanziario (al fine di mantenere il conto presso la banca cedente);

§  consentire la costituzione di più società veicolo di appoggio, in luogo di una sola come previsto dalle norme vigenti, per l’attività di acquisizione, gestione e valorizzazione dei beni, realizzata nell'interesse esclusivo dell'operazione di cartolarizzazione;

§  introdurre specifiche disposizioni volte a rendere fiscalmente neutrale l’intervento della società veicolo d’appoggio nella monetizzazione dei beni posti a garanzia dei crediti cartolarizzati;

§  disciplinare la cartolarizzazione che ha come sottostante – in luogo di crediti - beni immobili, beni mobili registrati e diritti reali o personali su tali medesimi beni.

Con le modifiche apportate in Commissione, i riferimenti normativi alla Legge Fallimentare sono stati aggiornati al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. n. 14 del 2019), con decorrenza dall’entrata in vigore di quest’ultimo.

 

La legge 30 aprile 1999 n. 130 ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano una disciplina generale e organica in materia di operazioni di cartolarizzazione di crediti, consentendone la realizzazione attraverso società di diritto italiano appositamente costituite. Le cartolarizzazioni sono operazioni finanziarie complesse, caratterizzate dalla presenza di più negozi giuridici tra loro collegati, mediante i quali portafogli di crediti (derivanti, ad esempio, da mutui o altre forme di impiego) vengono selezionati e aggregati per costituire un supporto finanziario a garanzia di titoli (titoli obbligazionari denominati asset backed securities - ABS) che poi vengono collocati nel mercato dei capitali. In sostanza, la cartolarizzazione è un processo attraverso il quale una o più attività finanziarie indivise ed illiquide, in grado di generare dei flussi di cassa, vengono trasformate in attività divise e vendibili (gli ABS).

In estrema sintesi, nel modello accolto dalla legge n. 130 del 1999 l'operazione si realizza attraverso la cessione di crediti da parte del creditore cedente ad altro soggetto, denominato società veicolo o Special purpose vehicle (SPV), appositamente costituito e avente per oggetto esclusivo la realizzazione di una o più operazioni di cartolarizzazione dei crediti (cfr. articolo 3, comma 1, della legge n. 130 del 1999). La società veicolo a sua volta provvede all'emissione dei titoli destinati alla circolazione per finanziare l'acquisto dei crediti dal cedente (c.d. originator) e, successivamente, al recupero dei crediti acquistati e al rimborso dei titoli emessi. La società veicolo diventa dunque cessionaria dei crediti ed emette, a fronte di essi, titoli negoziabili. Di conseguenza, la funzione principale dell'SPV è quella di rendere concreta la fuoriuscita di attivi patrimoniali dal bilancio dell'originator e di realizzare l'operazione attraverso la segregazione degli stessi attivi in apposito patrimonio separato. Il flusso di liquidità che l'incasso dei crediti è in grado di generare è dunque funzionale in via esclusiva - insieme alle garanzie collaterali che assistono l'operazione - al rimborso dei titoli emessi, alla corresponsione degli interessi pattuiti ed al pagamento dei costi dell'operazione. In sostanza dunque lo scopo dell’operazione di securitization è di cedere i flussi di cassa futuri, derivanti dal portafoglio di attività di un’impresa, ad un soggetto specializzato che provvede a presentarli sul mercato: in questo modo si spostano i flussi finanziari dal mercato del credito al mercato dei capitali.

Per quanto riguarda le banche, si pensi ad esempio alle attività relative ai prestiti immobiliari; se la banca decide di cartolarizzare tali attività, allora emette dei titoli che hanno come garanzia quei mutui, destinati ad essere venduti a investitori privati o istituzionali. Nella sostanza, la banca cede l'insieme dei suoi mutui alla SPV, istituita ad hoc, che quale emette delle obbligazioni (nel caso specifico dei mutui Mortgage Backed Securities) da collocare presso gli investitori, utilizzando il ricavato della vendita delle obbligazioni per acquistare i mutui stessi In tal modo il rischio viene trasferito ai sottoscrittori finali delle obbligazioni, in quanto il rimborso degli interessi che maturano e del capitale a scadenza collegato alle obbligazioni è strettamente dipendente dalla effettiva riscossione delle rate dei mutui stessi. I pagamenti destinati agli investitori in titoli cartolarizzati dipendono esclusivamente dai flussi di cassa prodotti dai crediti ceduti.

Nel tempo la legge n. 130 ha subito alcune modifiche, essenzialmente per tenere la legge al passo con l’evoluzione della pratica commerciale e per fronteggiare il problema del mercato dei crediti deteriorati di banche e intermediari finanziari.

Il decreto-legge n. 145 del 2013 (articolo 12, comma 1) ha effettuato una complessiva riforma della disciplina delle cartolarizzazioni, tra l’altro estendendo la disciplina anche alle operazioni aventi ad oggetto cambiali finanziarie, obbligazioni, e titoli similari sottoscritti dalle cosiddette “società veicolo”; applicando la regola della segregazione patrimoniale anche all’eventuale fallimento del soggetto incaricato della riscossione dei crediti ceduti e dei servizi di cassa e di pagamento (cd. servicer e subservicer) e della banca sulla quale la società di cartolarizzazione mantiene i propri depositi. Le norme hanno poi apportato semplificazioni alla disciplina della cartolarizzazione dei crediti d’impresa e della cessione di crediti verso la PA. Al fine di incentivare l’investimento di fondi pensione e compagnie assicurative in titoli obbligazionari, si consente di computare tra gli attivi ammessi a copertura delle riserve tecniche delle imprese di assicurazione i titoli emessi nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione realizzate mediante la sottoscrizione e l'acquisto di obbligazioni e titoli similari, anche se non destinati ad essere negoziati in un mercato regolamentato o in sistemi multilaterali di negoziazione e anche privi di rating. Inoltre le cambiali finanziarie, le obbligazioni e i titoli similari ed altre tipologie di attivi creditizi (in particolare i crediti alle PMI) sono stati qualificati come idonea garanzia di obbligazioni bancarie collateralizzate.

Per sostenere il mercato secondario dei crediti deteriorati, il decreto-legge n. 50 del 2017 ha modificato la legge n. 130 del 1999 con l’obiettivo di facilitare la cartolarizzazione di crediti deteriorati originati da banche e da intermediari finanziari, mediante la rimozione o l’attenuazione dei vincoli alla concessione di nuova finanza a debitori in difficoltà, rendendo più efficiente il processo di recupero degli NPL.

La legge di bilancio 2019 (commi 1088 e 1089 della legge n, 145 del 2018) è ulteriormente intervenuta sulla disciplina delle cartolarizzazioni, specificando che essa è applicabile alle operazioni di cartolarizzazione dei crediti realizzate mediante l'erogazione di un finanziamento al soggetto cedente da parte della società per la cartolarizzazione dei crediti emittente i titoli, qualora tali operazioni abbiano per effetto il trasferimento del rischio sui crediti. La disciplina delle cartolarizzazioni è stata estesa anche alle operazioni di cartolarizzazione dei proventi che derivano dalla titolarità di immobili, beni mobili registrati, nonché diritti reali o personali aventi ad oggetto i citati beni.

Si segnala infine l’entrata in vigore del Regolamento (UE) 2017/2402, che stabilisce un nuovo quadro normativo europeo per le cartolarizzazioni, allo scopo di favorire la diversificazione delle fonti di finanziamento e una migliore allocazione del rischio all’interno del sistema finanziario. Viene introdotta una disciplina uniforme avente caratteristiche di semplicità, trasparenza e standardizzazione (cd. cartolarizzazioni STS). Il regolamento definisce compiutamente e in modo uniforme l’operazione di cartolarizzazione e i vari obblighi a carico degli emittenti, nonché gli obblighi di due diligence per gli investitori istituzionali; il regolamento reca inoltre specifiche norme sul contenimento del rischio e sulla trasparenza. I nuovi requisiti delle operazioni comprendono strumenti per la reportistica e la raccolta dei dati sulle operazioni mediante apposito repertorio

Le norme UE si applicano alle cartolarizzazioni i cui titoli sono emessi dal 1° gennaio 2019.

In estrema sintesi, dopo le norme generali (articoli 1-4), la prima parte del Regolamento (articoli 5-9) reca la disciplina applicabile a tutte le cartolarizzazioni; sono poi dettagliate le condizioni e le procedure di registrazione dei repertori di dati sulle cartolarizzazioni (articoli 10-17), il quadro comune per le cartolarizzazioni classificate come STS - semplici, trasparenti e standardizzate (articoli 18-28) e, infine, le norme di vigilanza (articolo 37). Il regolamento si conclude con alcune novelle e con le norme di chiusura (articoli 38-48).

Modifiche all’articolo 4 della legge n. 130 del 1999

Durante l’esame in sede referente sono state introdotte le lettere 0a e 01a) al comma 1, allo scopo di aggiornare i riferimenti normativi dell’articolo 4, commi 3 e 4 della legge n. 130 del 1999, per modificare l’indicazione della legge fallimentare (legge n. 267 del 1942) con le corrispondenti norme del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al D.Lgs. n. 14 del 2019, dalla data di entrata in vigore del medesimo Codice.

L’articolo 24, comma 1, lettera a) modifica l’articolo 4 della legge n. 130 del 1999, che reca la disciplina delle modalità e dell’efficacia della cessione di crediti.

Viene in particolare integrato il comma 4-ter il quale prevede, in caso di cessione di crediti derivanti da aperture di credito, anche regolate in conto corrente, che il diritto di rendere esigibile il credito ceduto è esercitato dalla società cessionaria in conformità alle previsioni del relativo contratto o, in mancanza, con un preavviso non inferiore a quindici giorni.

Con una prima modifica si precisa che le predette norme operano nel caso di cessione di crediti derivanti da aperture di credito in qualunque forma.

Si chiarisce inoltre che, nel caso di cessione di crediti deteriorati delle banche e degli intermediari (di cui al successivo articolo 7.1, comma 1) la banca cedente può altresì trasferire a una banca o intermediario finanziario iscritto all’apposito albo, secondo le regole dell’articolo 58 del Testo Unico Bancario (che riguarda la cessione di rapporti giuridici alle banche), gli impegni o la facoltà di erogazione derivanti dal relativo contratto di apertura di credito o affidamento, separatamente dal conto cui l’apertura di credito è collegata e mantenendo la domiciliazione del conto medesimo.

A seguito della cessione, gli incassi registrati su tale conto continuano a essere imputati ai debiti nascenti dai contratti di apertura di credito o di affidamento, anche se sorti successivamente alla cessione, secondo le modalità contrattualmente previste. Gli incassi costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti da quello della banca cedente domiciliataria del conto e da quello relativo ad altre operazioni. Su ciascun patrimonio separato non sono ammesse azioni da parte di creditori diversi dai portatori dei titoli ovvero dalla banca o dalla società finanziaria cessionarie degli impegni o delle facoltà di erogazione.

In tal modo il legislatore intende facilitare le operazioni di trasferimento di crediti deteriorati evitando la chiusura dei contratti di apertura di credito e permettendo, così, il trasferimento degli impegni di erogazione a una banca o a un intermediario finanziario consentendo comunque il mantenimento del conto presso la banca cedente.

 

Si prevede l’applicazione, in quanto compatibili, delle norme contenute nell’articolo 3, commi 2 e 2-bis della legge n. 130 del 1999, relativi alla segregazione patrimoniale delle operazioni di cartolarizzazione

Modifiche all’articolo 7 della legge n. 130 del 1999

Il comma 1, lettera b) modifica l’articolo 7, comma 1, lettera b-bis) della legge n. 130 del 1999, per coordinare la disposizione con l’articolo 7.2, introdotto dalla lettera d) del comma 1, che disciplina in maniera specifica le cartolarizzazioni di beni immobili e di beni mobili registrati.

Modifiche all’articolo 7.1 della legge n. 130 del 1999

Il comma 1, lettera c) modifica l’articolo 7.1 della legge n. 130 del 1999, recante la disciplina della cartolarizzazione di crediti deteriorati da parte di banche e intermediari finanziari.

 

In estrema sintesi, si ricorda che le società di cartolarizzazione cessionarie di crediti deteriorati possono concedere finanziamenti, finalizzati a migliorare le prospettive di recupero di tali crediti e a favorire il ritorno in bonis del debitore ceduto (articolo 7.1, comma 2).

Nell'ambito di piani di riequilibrio economico e finanziario concordati con il soggetto cedente o di accordi stipulati ai sensi della disciplina sulla crisi d’impresa, ovvero di analoghi accordi o procedure volti al risanamento o alla ristrutturazione previsti da altre disposizioni di legge, le società di cartolarizzazione possono (articolo 7.1, comma 3):

§  acquisire o sottoscrivere azioni, quote e altri titoli e strumenti partecipativi derivanti dalla conversione di parte dei crediti del cedente;

§  concedere finanziamenti, al fine di migliorare le prospettive di recupero dei crediti oggetto di cessione e di favorire il ritorno in bonis del debitore ceduto.

Le somme in qualsiasi modo rivenienti da tali azioni, quote e altri titoli e strumenti partecipativi sono assimilate ai pagamenti effettuati dai debitori ceduti e sono destinate in via esclusiva al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi e al pagamento dei costi dell'operazione.

 

Con una prima modifica, i riferimenti normativi contenuti nel comma 3 dell’articolo 7.1 sono aggiornati al codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14). Nel corso dell’esame in sede referente è stato precisato che i riferimenti normativi aggiornati si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore del medesimo Codice.

 

Si ricorda che la crisi economica degli ultimi anni ha determinato diversi interventi del legislatore sulle procedure concorsuali, con la finalità di sostenere i tentativi delle aziende in difficoltà di rimanere operative sul mercato, evitando il fallimento. In particolare, una riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza è contenuta nel decreto legislativo n. 14 del 2019, che il Governo ha emanato in attuazione della legge delega n. 155 del 2017. Con l'approvazione della legge n. 20 del 2019 il Parlamento ha consentito al Governo di adottare decreti legislativi integrativi e correttivi della riforma. Si veda il tema web per approfondimenti.

Con una seconda modifica al comma 3 si consente alla società cessionaria di concedere finanziamenti anche agli assuntori di passività dei debitori ceduti (ad esempio, i fideiussori), ovvero ai soggetti con i quali i medesimi debitori hanno rapporti di controllo o di collegamento ai sensi delle norme del codice civile (gruppi di imprese).

 

Le norme in esame sostituiscono poi il comma 4 dell’articolo 7.1, che nella vigente formulazione consente la costituzione di una società veicolo, con il compito di acquisire, gestire e valorizzare, nell'interesse esclusivo dell'operazione di cartolarizzazione, i beni immobili e mobili registrati nonché gli altri beni e diritti concessi o costituiti, in qualunque forma, a garanzia dei crediti oggetto di cartolarizzazione. Le somme in qualsiasi modo rivenienti dalla detenzione, gestione o dismissione di tali beni e diritti, dovute dalla società veicolo alla società di cartolarizzazione di cui all'articolo 3, sono assimilate, agli effetti della presente legge, ai pagamenti effettuati dai debitori ceduti e sono destinate in via esclusiva al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi e al pagamento dei costi dell'operazione.

 

Con le modifiche in esame:

§  si consente di costituire anche più di una società veicolo d’appoggio, fermi restando gli obblighi di forma (società di capitali) e gli scopi istituzionali (valorizzazione e gestione dei beni posti a garanzia dei crediti);

§  si precisano le regole per il trasferimento dei suddetti beni e diritti posti a garanzia dei crediti (rinviando alla cessione in blocco, disciplinata dall’articolo 58 del Testo unico bancario), ferma restando la destinazione dei proventi rivenienti dalla detenzione, gestione o dismissione di tali beni e diritti;

§  si chiarisce che il regime di segregazione patrimoniale si estende non solo alle somme rinvenienti dalla gestione dei beni e diritti da parte delle società veicolo d’appoggio, bensì anche ai beni e diritti stessi: essi costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti da quello delle società stesse e da quello relativo alle altre operazioni, che non può essere aggredito da parte di creditori diversi dalla società di cartolarizzazione.

 

All’articolo 7.1 sono poi introdotti i nuovi commi da 4-bis a 4-quinquies, aventi a oggetto il trattamento fiscale delle operazioni poste in essere dalle società veicolo d’appoggio, per garantire la neutralità di tali operazioni anche ai fini delle imposte indirette.

 

Viene previsto infatti che, per gli atti e le operazioni inerenti il trasferimento a qualsiasi titolo di beni e diritti in favore della società veicolo d’appoggio in relazione all’operazione di cartolarizzazione, le imposte di registro, ipotecaria e catastale sono dovute in misura fissa. Analogo trattamento vale per le garanzie di qualunque tipo, da chiunque e in qualsiasi momento prestate, in favore della società di cartolarizzazione o altro finanziatore ed in relazione all’operazione di cartolarizzazione, a valere sui beni e diritti acquistati dalle società veicolo d’appoggio, le relative eventuali surroghe, postergazioni, frazionamenti e cancellazioni anche parziali, ivi comprese le relative cessioni di credito (comma 4-bis).

Il comma 4-ter applica alla società veicolo d’appoggio, cessionaria dei contratti e rapporti di locazione finanziaria e dei beni derivanti da tale attività, le disposizioni in materia fiscale applicabili alle società che esercitano attività di locazione finanziaria.

In particolare, per le cessioni di immobili oggetto di contratti di leasing, risolti o altrimenti cessati per fatto dell'utilizzatore (che siano effettuate alla e dalla medesima società) le imposte di registro, ipotecaria e catastale sono dovute in misura fissa (articolo 35, comma 10-ter.1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223). Analoga misura di imposta è dovuta per le trascrizioni nei pubblici registri e per le volture catastali effettuate a qualunque titolo in relazione ai beni e diritti acquisiti dalla società veicolo d’appoggio.

Per gli atti e i provvedimenti che dispongono il successivo trasferimento (nuovo comma 4-quater), a soggetti che svolgono attività d’impresa o organismi di investimento collettivo del risparmio, della proprietà o di diritti reali sui beni immobili acquistati dalle società veicolo d’appoggio in relazione all’operazione di cartolarizzazione, le imposte di registro, ipotecaria e catastale sono dovute in misura fissa: ciò a condizione che l’acquirente dichiari, nel relativo atto, che intende trasferirli entro cinque anni dalla data di acquisto.

Ove non si realizzi tale condizione entro il quinquennio successivo, le imposte di registro, ipotecaria e catastale sono dovute dall’acquirente nella misura ordinaria e si applica una sanzione amministrativa del 30 per cento, oltre agli interessi di mora. Dalla scadenza del quinquennio decorre il termine per il recupero delle imposte ordinarie da parte dell’amministrazione finanziaria.

La medesima misura è prevista anche nei casi di acquisto da parte di soggetti che non svolgono attività d’impresa, nel caso ricorrano le condizioni previste per godere delle agevolazioni “acquisto prima casa” (comma 4-quinquies).

 

Le modifiche al comma 5 dell’articolo 7.1 sono di natura formale e di coordinamento.

In particolare, il previgente comma 5 chiariva che le attività svolte dalla società veicolo d’appoggio non comportano l’obbligo di iscrizione all’apposito albo degli intermediari finanziari, di cui all’articolo 106, comma 1, del testo unico bancario. Ciò in quanto esse non sono realmente dei soggetti autonomi che abbisognano delle normali procedure di iscrizione ed autorizzazione, bensì strutture societarie create appositamente per una operazione e come tali consolidate nel bilancio di una banca o di un intermediario finanziario. La disposizione previgente menzionava solo il consolidamento nel bilancio di una banca: con le modifiche in esame viene incluso anche il consolidamento nel bilancio di un intermediario finanziario.

Introduzione dell’articolo 7.2 della legge n. 130 del 1999

Il comma 1, lettera d) introduce un nuovo articolo 7.2 nella legge n. 130 del 1999, in tema di cartolarizzazioni immobiliari e di beni mobili registrati.

L’articolo disciplina compiutamente la cartolarizzazione di beni immobili, beni mobili registrati e diritti reali o personali aventi ad oggetto i medesimi beni; si tratta di un istituto introdotto dalla legge di bilancio 2019 (articolo 1, comma 1088, lettera a), n. 2) della legge 30 dicembre 2018, n. 145).

 

In particolare, il comma 1 del nuovo articolo 7.2 vieta alle società che effettuano le operazioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla titolarità di beni immobili, beni mobili registrati e diritti reali o personali aventi ad oggetto i medesimi beni (ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera b-bis) della legge n. 130 del 1999) di svolgere operazioni di cartolarizzazione di natura diversa. Delle obbligazioni nei confronti dei portatori dei titoli, nonché di ogni altro creditore nell’ambito di ciascuna operazione di cartolarizzazione, risponde esclusivamente il patrimonio separato appositamente costituito. A tali operazioni si applicano le disposizioni di cui all'articolo 7.1, comma 8, primo periodo: la società di cartolarizzazione individua un soggetto di adeguata competenza e dotato delle necessarie abilitazioni o autorizzazioni in conformità alle disposizioni di legge applicabili, cui sono conferiti, nell'interesse dei portatori dei titoli, compiti di gestione o amministrazione e potere di rappresentanza.

Il comma 2 dell’introdotto articolo 7.2 dispone che, per ogni operazione, siano individuati i beni ed i diritti destinati al soddisfacimento dei diritti dei portatori dei titoli e delle controparti dei contratti derivati con finalità di copertura dei rischi insiti nei crediti e nei titoli ceduti.

I beni e diritti individuati, le somme in qualsiasi modo derivanti dai medesimi beni, nonché ogni altro diritto acquisito nell’ambito dell’operazione di cartolarizzazione costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti da quello delle società stesse e da quello relativo alle altre operazioni; esso non è aggredibile da creditore diverso dai portatori dei titoli emessi dalle società, ovvero dai concedenti i finanziamenti da esse reperiti, ovvero dalle controparti dei contratti derivati con finalità di copertura dei rischi insiti nei crediti e nei titoli ceduti.

 

Durante l’esame in sede referente è stata introdotta la lettera d-bis) allo scopo di aggiornare i riferimenti normativi dell’articolo 7-bis, comma  4 della legge n. 130 del 1999, sostituendo l’indicazione della legge fallimentare (legge n. 267 del 1942) con quella del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al D.Lgs. n. 14 del 2019, dalla data di entrata in vigore del medesimo Codice.

 

Copertura finanziaria

Il comma 2 dell’articolo 23 rinvia all’articolo 50 del provvedimento, che ne reca la copertura finanziaria generale, per quanto riguarda gli oneri derivanti dall’articolo in esame.


 

Articolo 24
(Sblocca investimenti idrici nel sud)

 

 

Il comma 1 dell’articolo 24, modificato durante l'esame in sede referente, reca una serie di modiche al comma 11 dell'articolo 21 del decreto-legge n. 201 del 2011 volte a completare il processo di liquidazione dell'EIPLI (Ente per lo sviluppo dell'irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania e Irpinia) e accelerare la costituzione della società che dovrà assumerne le funzioni.

Il comma 1-bis, introdotto durante l'esame in sede referente, proroga al 31 dicembre 2023 l’affidamento del servizio idrico integrato all’Acquedotto pugliese S.p.A.

 

Modifiche alla normativa relativa alla soppressione dell’EIPLI (comma 1)

Il comma 1 dell'articolo in esame reca una serie di modifiche al comma 11 dell'articolo 21 del D.L. 201/2011 volte a completare il processo di liquidazione dell'EIPLI (Ente per lo sviluppo dell'irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania e Irpinia) e accelerare la costituzione della società che dovrà assumerne le funzioni.

Il comma 10 dell'art. 21 del decreto-legge n. 201 del 2011 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici) ha soppresso e posto in liquidazione l'EIPLI al fine di razionalizzare le attività di approvvigionamento idrico nei territori delle Regioni Puglia e Basilicata, nonché nei territori della provincia di Avellino. Il comma 11 del medesimo articolo reca le norme riguardanti il trasferimento delle funzioni dell'EIPLI a una società costituita dallo Stato[18].

In particolare il comma in esame:

a)   prevede che il MEF eserciti i diritti del socio di concerto, per quanto di rispettiva competenza, con il dipartimento delegato all'Autorità politica per le politiche di coesione e per il Mezzogiorno, il Ministero per le politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Nella previgente formulazione, invece, il MEF era soggetto alla vigilanza dei medesimi soggetti.

 

a-bis) interviene sullo statuto della nuova società (nuova lettera a-bis), aggiunta in sede referente), mediante una riscrittura del terzo periodo del comma 21. Tale riscrittura, rispetto al testo vigente, elimina la parte della disposizione in base alla quale lo statuto prevede la possibilità per le regioni Basilicata, Campania e Puglia, di conferire ulteriori infrastrutture di approvvigionamento dei sistemi idrici alimentate da trasferimenti di acqua tra regioni diverse, nonché di conferire, in tutto o in parte, partecipazioni al capitale di società attive in settori o servizi idrici correlati.

Un’ulteriore modifica consiste nell’introduzione di una disposizione in base alla quale lo statuto deve contemplare il divieto di cessione delle quote di capitale della nuova società, a qualunque titolo, a società di cui al titolo V del libro quinto del codice civile e ad altri soggetti di diritto privato comunque denominati.

Viene invece confermato quanto previsto dal testo vigente in merito alla possibilità, per le altre regioni interessate ai trasferimenti idrici tra regioni del distretto idrografico dell’Appennino meridionale di partecipare alla nuova società.

 

b)   sostituisce il quarto periodo in modo da garantire la tutela occupazionale con riferimento al personale titolare del rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l'Ente soppresso, precisando che le passività di natura contributiva, previdenziale e assistenziale maturate sino alla data della costituzione della nuova società sono estinte, con proprie risorse, dall'Ente in liquidazione. La relazione tecnica precisa che, sulla base di quanto comunicato dal Commissario liquidatore, tali passività ammontano a circa 250.000 euro. Si stabilisce inoltre che i diritti sui beni demaniali già attribuiti all'Ente soppresso in forza di provvedimenti concessori sono attribuiti alla società di nuova costituzione. Inoltre, al fine di accelerare le procedure di liquidazione e snellire il contenzioso in essere, si stabilisce che i crediti e i debiti di cui è titolare l'Ente soppresso, unitamente ai beni immobili di natura non strumentale all'esercizio delle relative funzioni, non sono trasferiti al patrimonio della nuova società. Inoltre, si prevede che i rapporti giuridici anche processuali di cui è titolare l'Ente producano effetti esclusivamente nei suoi confronti. Si dispone, infine, che la procedura di liquidazione dell'Ente si completi con la presentazione, da parte del Commissario liquidatore, del bilancio finale di liquidazione al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, che lo approva con proprio decreto, emanato di concerto con il Ministro delegato all'Autorità politica per le politiche di coesione e il mezzogiorno. La relazione illustrativa fa presente che viene colmata in tal modo la lacuna presente nel testo del comma 11 dell'articolo 21 del decreto-legge n. 201 del 2011 previgente, che non chiarisce quale organo debba approvare il predetto bilancio e attraverso quale forma.

Il previgente quarto periodo del comma 11 prevedeva, invece, che la società di nuova costituzione e il commissario liquidatore dovessero accertare entro il 30 giugno 2018, sulla base della situazione patrimoniale predisposta dal medesimo commissario liquidatore, attività e passività eventualmente residue dalla liquidazione, che avrebbero dovuto essere trasferite alla società nei limiti del mantenimento dell'equilibrio economico, patrimoniale e finanziario della stessa.

 

c)   sopprime il penultimo periodo del comma 11, il quale prevedeva che fino all'adozione delle misure di cui al comma medesimo e, comunque, non oltre il termine del 30 settembre 2014 fossero sospese le procedure esecutive e le azioni giudiziarie nei confronti dell'EIPLI.

 

La disposizione qui oggetto di novella era già stata oggetto di successive modifiche; si vedano l'art. 29-bis, comma 1, lett. a), b) e c), D.L. 29 dicembre 2011, n. 216, come convertito; l'art. 1, comma 72, L. 24 dicembre 2012, n. 228 e l'art. 1, comma 905, L. 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di bilancio per il 2018), nonché, da ultimo, prima del decreto-legge qui in esame, le novelle recate in materia in particolare con l'art. 1, comma 154, lett. a), della L. 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio per il 2019).

Per ulteriori approfondimenti, si veda al riguardo il dossier dei Servizi Studi di Camera e Senato sulle norme della ultima legge di bilancio, con riferimento agli interventi nel settore idrico (volume I, commi da 153 a 155, con particolare riferimento al comma 154).

Si ricorda che per la indicata finalità di cui al comma 153 della legge di bilancio 2019, vale a dire accelerare la predisposizione e l’attuazione del Piano nazionale di interventi nel settore idrico, il comma 154 dell'ultima legge di bilancio ha recato una serie di modifiche all’articolo 21 del decreto-legge n. 201 del 2011, in materia di soppressione di enti e organismi, con riferimento alle disposizioni ivi recate in materia di soppressione dell'Ente per lo sviluppo dell'irrigazione e la trasformazione Fondiaria in Puglia e Lucania (EIPLI).

Proroga dell’affidamento all’Acquedotto pugliese S.p.A. (comma 1-bis)

Il comma 1-bis, introdotto durante l'esame in sede referente, dispone che, ai fini dell'applicazione della normativa in materia di affidamento del servizio idrico integrato, l'affidamento alla società "Acquedotto pugliese S.p.A." (risultante dalla trasformazione dell'Ente autonomo per l'acquedotto pugliese di cui all'art. 2, comma 1, del D.Lgs. 141/1999), è prorogato dal 31 dicembre 2021 al 31 dicembre 2023.

Nella relazione della Corte dei conti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell’Acquedotto pugliese, allegata alla determinazione 4 dicembre 2018, n. 115, viene ricordato che “nelle more di una soluzione definitiva, rispetto all'assetto e gestione del Servizio Idrico Integrato (SII) nell'ambito di riferimento, la legge 27 dicembre 2017, n. 205 (art. 1, comma 906), ha prorogato al 31 dicembre 2021 il termine dell'affidamento della gestione del SII inizialmente previsto al 31 dicembre 2018 dal d.lgs. 11 maggio 1999, n. 141”.

Articolo 25
(Dismissioni immobiliari enti territoriali)

 

 

L’articolo 25 interviene sulle disposizioni della legge di bilancio per il 2019 (legge n. 145/2018) che hanno introdotto un Programma di dismissioni immobiliari. L’obiettivo delle modifiche è l’estensione agli enti territoriali del perimetro dei soggetti che possono contribuire al piano di cessione di immobili pubblici (comma 1) e l’allineamento della normativa alla giurisprudenza costituzionale secondo la quale gli introiti delle vendite immobiliari da parte degli enti territoriali non possono essere destinati per legge al fondo ammortamento titoli di Stato (comma 2).

 

Si ricorda che i commi da 422 a 433 dell’articolo 1 della legge di bilancio per il 2019 disciplinano un piano di dismissioni immobiliari volto a conseguire un introito pari a 950 milioni di euro nel 2019 e 150 milioni per ciascuno degli anni 2020 e 2021. La dismissione dovrà avvenire secondo un piano da adottarsi entro il 30 aprile 2019 con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze.

 

In particolare, il comma 1 interviene sul comma 423 dell’articolo 1 della legge di bilancio per il 2019, che elenca le tipologie di immobili che rientrano nel Programma di dismissioni. Le tipologie di cui alle lettere a), b) e c) riguardano immobili di proprietà dello Stato. La lettera d), modificata dal comma 1 in esame, riguarda - nel testo originario – “immobili ad uso diverso da quello abitativo di proprietà di altre Pubbliche Amministrazioni, diverse dagli Enti territoriali […] che i suddetti Enti possono proporre ai fini dell'inserimento nel piano di cessione”.

In seguito alla modifica apportata dal comma 1, rientrano ora nel piano di dismissione gli “immobili ad uso diverso da quello abitativo di proprietà degli Enti territoriali e di altre Pubbliche Amministrazioni […]”.

Anche gli immobili ad uso diverso da quello abitativo di proprietà degli Enti territoriali, dunque, possono rientrare nel piano di cessione di immobili pubblici.

Secondo la relazione illustrativa, i dati contenuti nell’ultimo Rapporto sui beni immobili delle Amministrazioni Pubbliche mostrano che oltre l’80 per cento di tali beni risulta di proprietà degli enti locali.

 

Dal citato Rapporto, redatto dal Dipartimento del Tesoro, risulta infatti che la maggior parte dei fabbricati censiti è di proprietà delle amministrazioni locali, che pesano per il 73 per cento circa in termini di unità immobiliari e per l’83 per cento in termini di superficie, come mostrano i grafici seguenti.

 

Il comma 2 interviene sul comma 425 dell’articolo 1 della legge di bilancio per il 2019, che specifica la destinazione degli introiti derivanti dalla cessione degli immobili.

Nel testo originario della legge di bilancio, precedente all’estensione delle disposizioni agli enti territoriali:

§  le risorse rinvenienti dalla cessione degli immobili statali vengono destinate al Fondo ammortamento titoli di Stato;

§  quelle rivenienti dalla cessione degli immobili degli altri Enti sono destinate alla riduzione del debito degli stessi e, in assenza del debito, o comunque per la parte eventualmente eccedente, al Fondo ammortamento titoli di Stato.

In seguito all’estensione operata agli immobili degli Enti territoriali con il comma 1, le risorse derivanti dalla cessione degli immobili degli altri enti sono destinate alla riduzione del debito degli stessi e, limitatamente agli enti non territoriali, in assenza del debito, o comunque per la parte eventualmente eccedente, al Fondo per ammortamento dei titoli di Stato.

Per gli enti territoriali, dunque, le risorse sono destinate alla riduzione del proprio debito.

La relazione illustrativa rileva che tale modifica è necessaria per allineare la norma – così come modificata dal comma 1 - alla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 189/2015) secondo la quale gli introiti delle vendite immobiliari da parte degli enti territoriali non possono essere destinati per legge al fondo ammortamento titoli di Stato.

Tale sentenza, infatti, dichiara l’illegittimità costituzionale di una disposizione (l’articolo 56-bis, comma 11, del d.l. n. 69 del 2013) volta a destinare le risorse derivanti da operazioni di dismissione di beni degli enti territoriali alla riduzione del debito pubblico di pertinenza, e, in assenza del debito o per la parte eventualmente eccedente il debito degli enti medesimi, al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato.


 

Articolo 26, commi 1-6-bis
(Agevolazioni a sostegno di progetti di ricerca e sviluppo
per la riconversione dei processi produttivi
nell'ambito dell'economia circolare)

 

 

L'articolo 26 dispone la concessione di finanziamenti agevolati e contributi diretti alle imprese e ai centri di ricerca a sostegno di progetti di ricerca e sviluppo finalizzati ad un uso più efficiente e sostenibile delle risorse nell'ambito dell'economia circolare (comma 1). Possono beneficiare delle agevolazioni le imprese ed i centri di ricerca che soddisfano una serie di caratteristiche indicate (comma 2). Tali soggetti possono presentare progetti anche congiuntamente tra loro o con organismi di ricerca.

Nel corso dell’esame nelle Commissioni di merito, è stato soppresso il limite massimo di tre soggetti co-proponenti ed è stata inserita la previsione della previa indicazione del soggetto capofila (comma 3). Ai fini dell'ammissibilità alle agevolazioni, i progetti di ricerca e sviluppo devono, tra l’altro, essere finalizzati alla riconversione produttiva delle attività economiche, tramite sviluppo di tecnologie abilitanti (KETs). In sede referente è stato aggiunto il richiamo alle tecnologie relative a sistemi di selezione del materiale multileggero, al fine di aumentarne le quote di recupero e di riciclo (comma 4).

Le agevolazioni sono concesse in forma di finanziamento agevolato pari al 50 per cento delle spese e dei costi ammissibili e di contributo diretto fino al 20 per cento delle spese e dei costi ammissibili (comma 5). Per la concessione delle agevolazioni, sono stanziati 140 milioni di euro, di cui 40 milioni per contributi diretti, a valere sulle disponibilità per il 2020 del Fondo Sviluppo e Coesione e 100 milioni per finanziamenti agevolati, a valere sulle risorse del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca (FRI) rimaste non utilizzate (comma 6).

Il comma 6-bis, introdotto in sede referente, apporta modifiche alle modalità di ricognizione da parte di Cassa depositi e prestiti delle risorse non utilizzate del FRI, precisando che, a partire dal 2019, la ricognizione può essere effettuata con cadenza almeno biennale e con riferimento al 31 dicembre dell'anno precedente, secondo specifici criteri che ora vengono dettagliati in norma primaria e non più demandati a normativa secondaria.

 

Il comma 1 demanda a un decreto del Ministero dello sviluppo economico - per la cui emanazione non è previsto un termine - previa intesa in Conferenza unificata, la definizione dei criteri, delle condizioni e delle procedure per la concessione ed erogazione delle agevolazioni finanziarie, nei limiti delle intensità massime di aiuto stabilite dalla disciplina europea sugli aiuti di Stato - di cui agli articoli 4 e 25 del Regolamento di esenzione per categoria (GBER) Regolamento UE n. 651/2014 - a sostegno di progetti di ricerca e sviluppo finalizzati ad un uso più efficiente e sostenibile delle risorse.

 

Per ciò che concerne la disciplina sugli aiuti di Stato, richiamata dall’articolo in commento, si ricorda che l'articolo 108, par. 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) contempla l'obbligo di notificare i progetti diretti ad istituire o modificare aiuti alla Commissione europea al fine di stabilirne la compatibilità con il mercato comune sulla base dei criteri dell'articolo 107, par. 1 TFUE. Alcune categorie di aiuti possono tuttavia essere dispensate -a date condizioni - dall'obbligo di notifica[19]. Opera, in tali casi, il Regolamento di esenzione (UE) n. 651/2014 (General Block Exemption Regulations - GBER), che è applicabile fino al 31 dicembre 2020.

Ai fini dell’applicazione del Regolamento, non debbono comunque essere superate determinate soglie specificate nel GBER per tipologia di aiuto (articolo 4).

Quanto alle categorie di aiuto dispensate dall’obbligo di notifica, il Regolamento in questione si applica, tra l’altro, agli aiuti alle PMI sotto forma di aiuti agli investimenti, aiuti al funzionamento e accesso delle PMI ai finanziamenti, e, per quanto qui di interesse, agli aiuti a favore di ricerca, sviluppo e innovazione (articolo 25).

Per tali tipologie di aiuti, il GBER prevede delle apposite esenzioni dall’obbligo di notifica nel caso in cui siano soddisfatte determinate condizioni[20].

Il GBER, all’articolo 25, esenta dall’obbligo di notifica gli aiuti a progetti di ricerca e sviluppo, compresi i progetti insigniti del marchio di eccellenza che ne attesta la qualità nel quadro dello strumento per le PMI di Horizon 2020, purché:

§  i progetti rientrino nella ricerca fondamentale, e/o

§  in quella industriale, e/o

§  nello sviluppo sperimentale e/o

§  in studi di fattibilità.

L'intensità massima dell’aiuto non deve superare:

a)    il 100% dei costi ammissibili per la ricerca fondamentale;

b)   il 50% dei costi ammissibili per la ricerca industriale;

c)    il 25% dei costi ammissibili per lo sviluppo sperimentale;

d)   il 50% dei costi ammissibili per gli studi di fattibilità.

Sono ammissibili il costo del personale coinvolto nelle ricerche, i costi relativi a strumentazione e attrezzature e agli immobili e ai terreni nella misura e per il periodo in cui sono utilizzati per il progetto, i costi per la ricerca contrattuale, le conoscenze e i brevetti acquisiti o ottenuti in licenza in base alle condizioni di mercato, i costi per i servizi di consulenza e servizi equivalenti utilizzati esclusivamente ai fini del progetto; le spese generali supplementari e gli altri costi di esercizio, compresi i costi dei materiali, delle forniture e di prodotti, direttamente imputabili al progetto.

Per la ricerca industriale e lo sviluppo sperimentale, a date condizioni indicate nel GBER, l’intensità di aiuto può essere aumentata fino di 10 punti percentuali per le medie imprese e a 20 punti percentuali per le piccole imprese. Per gli studi di fattibilità le intensità di aiuto possono essere aumentate di 10 punti percentuali per le medie imprese e di 20 punti percentuali per le piccole imprese.

 

Le agevolazioni sono concesse al fine di favorire la transizione delle attività economiche verso un modello di economia circolare, finalizzata alla riconversione produttiva del tessuto industriale.

 

Si veda il Rapporto sull’economia circolare in Italia 2019, predisposto dal Circular Economy Network ed ENEA.

 

In base al comma 2, possono beneficiare delle agevolazioni le imprese ed i centri di ricerca che, alla data di presentazione della domanda di agevolazione, soddisfano le seguenti caratteristiche:

§  essere iscritte nel Registro delle imprese e risultare in regola con gli obblighi di denuncia alla camera di commercio delle notizie economiche ed amministrative di cui all'articolo 9, comma 3, primo periodo, del D.P.R. 581/1995);

§  operare in via prevalente nel settore manifatturiero ovvero in quello dei servizi diretti alle imprese manifatturiere;

§  aver approvato e depositato almeno due bilanci;

§  non essere sottoposto a procedura concorsuale e non trovarsi in stato di fallimento, di liquidazione anche volontaria, di amministrazione controllata, di concordato preventivo o in qualsiasi altra situazione equivalente secondo la normativa vigente.

 

Tali soggetti - secondo il comma 3 - possono presentare progetti anche congiuntamente tra loro o con organismi di ricerca. Nel corso dell’esame in sede referente è stato soppresso il limite massimo di tre soggetti co-proponenti ed inserita la previsione della previa indicazione del soggetto capofila.

Il comma dispone altresì che i progetti congiunti devono essere realizzati mediante il ricorso allo strumento del contratto di rete o ad altre forme contrattuali di collaborazione, quali, a titolo esemplificativo, il consorzio e l'accordo di partenariato.

 

Il comma 4, modificato nel corso dell’esame in sede referente, prevede che, ai fini dell'ammissibilità alle agevolazioni, i progetti di ricerca e sviluppo devono:

a)   essere realizzati nell'ambito di una o più unità locali ubicate nel territorio nazionale;

b)  prevedere, anche in deroga agli importi minimi previsti per l'utilizzo delle risorse (si veda il comma 6, lettera b), spese e costi ammissibili non inferiori a euro 500 mila e non superiori a euro 2 milioni;

c)   avere una durata non inferiore a dodici mesi e non superiore a trentasei mesi;

d)  prevedere attività di ricerca e sviluppo, strettamente connesse tra di loro in relazione all'obiettivo previsto dal progetto, finalizzate alla riconversione produttiva delle attività economiche attraverso la realizzazione di nuovi prodotti, processi o servizi o al notevole miglioramento di prodotti, processi o servizi esistenti, tramite lo sviluppo delle tecnologie abilitanti fondamentali Key Enabling Technologies (KETs), relative a:

1)   innovazioni di prodotto e di processo in tema di utilizzo efficiente delle risorse e di trattamento e trasformazione dei rifiuti, compreso il riuso dei materiali in un'ottica di economia circolare o a "rifiuto zero" e di compatibilità ambientale (innovazioni eco-compatibili);

2)   progettazione e sperimentazione prototipale di modelli tecnologici integrati finalizzati al rafforzamento dei percorsi di simbiosi industriale, attraverso, ad esempio, la definizione di un approccio sistemico alla riduzione, riciclo e riuso degli scarti alimentari, allo sviluppo di sistemi di ciclo integrato delle acque e al riciclo delle materie prime;

3)   sistemi, strumenti e metodologie per lo sviluppo delle tecnologie per la fornitura, l'uso razionale e la sanificazione dell'acqua;

4)   strumenti tecnologici innovativi in grado- di aumentare il tempo di vita dei prodotti e di efficientare il ciclo produttivo;

5)   sperimentazione di nuovi modelli di packaging intelligente (smart packaging) che prevedano anche l'utilizzò di materiali recuperati;

5-bis)    sistemi di selezione del materiale multileggero al fine di aumentare le quote di recupero e riciclo di materiali piccoli e leggeri. Il richiamo a tali sistemi è stato introdotto nel corso dell’esame in sede referente.

 

Il comma 5 dispone che le agevolazioni sono concesse secondo le seguenti modalità:

a)   finanziamento agevolato per una percentuale nominale delle spese e dei costi ammissibili pari al 50 per cento;

b)  contributo diretto alla spesa fino al 20 per cento delle spese e dei costi ammissibili.

 

Per il comma 6, le risorse finanziarie disponibili per la concessione delle agevolazioni ammontano complessivamente a 140 milioni di euro di cui:

a)    40 milioni per la concessione delle agevolazioni nella forma del contributo diretto alla spesa, a valere sulle disponibilità per il 2020 del Fondo per lo sviluppo e la coesione di cui all'articolo 1, comma 6, della L. 147/2013 (legge di stabilità 2014), ferma restando l'applicazione della disciplina dettata dall'articolo l, comma 703, della L. 190/2014 (legge di stabilità 2015);

Sul Fondo sviluppo e coesione, si rinvia alla scheda di lettura di cui all’articolo 44 del presente decreto legge.

 

b)  100 milioni di euro per ha concessione delle agevolazioni nella forma del finanziamento agevolato a valere sulle risorse del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca (FRI) di cui all'articolo l, comma 354, della L. 311/2004 (legge finanziaria 2005), a valere sulle risorse del medesimo Fondo, di cui all'articolo 30 del D.L. 83/2012 (L. 134/2012). Si tratta delle risorse non utilizzate del FRI, che, ai sensi della citata norma, sono destinate (per almeno il 70%) alle finalità perseguite dal Fondo crescita sostenibile, tra le quali rientrano le attività di ricerca e sviluppo delle imprese.

A tale ultimo riguardo, il comma 6-bis, introdotto in sede referente, apporta modifiche alle modalità di ricognizione delle risorse non utilizzate del FRI, novellando in più punti il citato articolo 30 del D.L. n. 83/2012.

 

L'art. 1, comma 354, della legge finanziaria per il 2005 (Legge n. 311/2004), ha disposto l’istituzione, presso la gestione separata della Cassa depositi e prestiti Spa, di un Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca, finalizzato alla concessione di finanziamenti agevolati alle imprese in forma di anticipazione di capitali rimborsabile secondo un piano di rientro pluriennale. La dotazione iniziale del Fondo, alimentato con le risorse del risparmio postale in gestione separata presso CDP, è stata stabilita in 6 miliardi di euro. Le successive variazioni alla dotazione sono disposte da CDP Spa, in relazione alle dinamiche di erogazione e di rimborso delle somme concesse a finanziamento agevolato, e comunque nel rispetto dei limiti annuali di spesa sul bilancio dello Stato fissati ai sensi del comma 361 della medesima legge finanziaria. Tale comma dispone che il tasso di interesse sulle somme erogate in anticipazione da CDP S.P.A. sia determinato con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze e che la differenza tra il tasso così stabilito e il tasso del finanziamento agevolato, nonché gli oneri di servizio a favore di CDP S.p.A. (riconosciuti dal comma 360) sono posti a carico del bilancio dello Stato, a valere sull'autorizzazione di spesa prevista dal medesimo comma 361[21].

Una quota delle risorse del FRI è specificamente destinata agli interventi in ricerca e sviluppo delle imprese.

Infatti – ai sensi dell’articolo 30 del D.L. n. 83/2012 – dispone, al comma 2, che, per le finalità perseguite dal Fondo per la crescita sostenibile – tra quali rientra la promozione di progetti di ricerca, sviluppo e innovazione di rilevanza strategica per il rilancio della competitività del sistema produttivo - i relativi programmi e interventi possono essere agevolati anche a valere sulle risorse del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca. In particolare, ai sensi del comma 3 dell’articolo 30, le risorse non utilizzate del FRI al 31 dicembre di ciascun anno, sono destinate alle finalità perseguite dal Fondo crescita sostenibile nel limite massimo del 70 per cento[22].

Sempre ai sensi del comma 3 dell’articolo 30, sono da intendersi non utilizzate le risorse già destinate dal CIPE per interventi in relazione ai quali non siano ancora state pubblicate le modalità per la presentazione delle istanze di accesso alle agevolazioni, ovvero quelle derivanti da rimodulazione o rideterminazione delle agevolazioni concedibili, nonché quelle provenienti dai rientri di capitale dei finanziamenti già erogati e dai rientri di capitale derivanti dalle revoche formalmente comminate.

Il comma 4 dell’articolo 30 demanda a decreti interministeriali del Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro dello sviluppo economico la determinazione delle modalità di ricognizione delle risorse non utilizzate di cui al comma 3, nonché le modalità di utilizzo e il riparto delle predette risorse tra gli interventi destinatari del Fondo per la crescita sostenibile.

In attuazione di tale previsione è stato adottato il D.M. il D.M. 26 aprile 2013 e il D.M. 23 febbraio 2015. Quest’ultimo decreto ha stabilito che, in sede di prima applicazione, una quota non inferiore al 50 per cento delle risorse del FRI oggetto di ricognizione e destinate alle finalità del Fondo crescita sostenibile fosse attribuita alle attività di ricerca e sviluppo (finalità di cui all'art. 3, comma 2, lettera a), del decreto 8 marzo 2013) e che le restanti risorse fossero ripartite tra le ulteriori finalità del Fondo crescita: situazioni di crisi complessa e internazionalizzazione delle imprese, in modo che almeno il 60 per cento delle stesse risulti attribuito alle situazioni di crisi complessa. Il D.M. ha rimesso ad un decreto direttoriale la fissazione delle successive rideterminazioni del riparto delle risorse disponibili del FRI. Il decreto in questione non è stato mai adottato.

Nel dettaglio, il nuovo comma 6-bis, alla lettera a), interviene sull’ultimo periodo del comma 3 dell’articolo 30, il quale attualmente qualifica come risorse non utilizzate, quelle già destinate dal CIPE per interventi in relazione ai quali non siano ancora state pubblicate le modalità per la presentazione delle istanze di accesso alle agevolazioni, ovvero quelle derivanti da rimodulazione o rideterminazione delle agevolazioni concedibili, nonché quelle provenienti dai rientri di capitale dei finanziamenti già erogati e dai rientri di capitale derivanti dalle revoche formalmente comminate.

Tale previsione viene sostituita con una più dettagliata disciplina volta a precisare la tempistica di ricognizione delle risorse non utilizzate da parte di Cassa depositi e prestiti S.p.A.: a partire dal 2019, la ricognizione può essere effettuata con cadenza almeno biennale e con riferimento al 31 dicembre dell'anno precedente, mediante:

a)   la verifica degli atti pubblicati nella Gazzetta Ufficiale per le risorse già destinate ad interventi in relazione ai quali non siano ancora stati pubblicati i decreti ministeriali contenenti i requisiti e le condizioni per l'accesso ai finanziamenti agevolati o le modalità per la presentazione delle istanze di accesso alle agevolazioni;

b)   i dati ad essa forniti dalle amministrazioni pubbliche titolari degli interventi agevolativi che accedono al FRI per le risorse eccedenti l'importo necessario alla copertura finanziaria delle istanze presentate a valere sul bandi per i quali al 31 dicembre dell'anno a cui si riferisce ciascuna ricognizione siano chiusi i termini di presentazione delle domande, le risorse derivanti da rimodulazione o rideterminazione delle agevolazioni concedibili, le risorse rinvenienti da atti di ritiro delle agevolazioni comunque denominati, e formalmente perfezionati, quali revoca e decadenza, per la parte non erogata, ovvero erogata e rimborsata. Nel caso in cui le amministrazioni non comunichino, entro due mesi dalla relativa richiesta, le informazioni, CDP S.p.A. può procedere alla ricognizione sulla base delle eventuali evidenze a sua disposizione;

c)   le proprie scritture contabili per le risorse provenienti dai rientri di capitale dei finanziamenti già erogati, rivenienti dai pagamenti delle rate dei finanziamenti ovvero dalle estinzioni anticipate dei finanziamenti, non costituenti causa di revoca delle agevolazioni ai sensi della disciplina di riferimento.

 

Il comma in esame, alla lettera b) introduce nell’articolo 30 un nuovo comma 3-bis, ai sensi del quale, la ricognizione delle risorse non utilizzate deve essere comunicata dalla Cassa depositi e prestiti S.p.A. alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica, al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero dell'economia e delle finanze.

 

Infine, la norma, alla lettera c) modifica il comma 4 dell’articolo 30 che attualmente demanda ad un decreto interministeriale del Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro dello sviluppo economico le modalità di ricognizione delle risorse non utilizzate.

La novella è finalizzata a demandare ora al decreto interministeriale la sola determinazione, sentita Cassa Depositi e prestiti, delle modalità di utilizzo e il riparto delle risorse non utilizzate oggetto di ricognizione tra gli interventi del Fondo per la crescita sostenibile.


 

Articolo 26, comma 6-ter
(Contributi dello Stato a società partecipate)

 

 

Il comma 6-ter dell’articolo 26, introdotto durante l’esame nelle Commissioni riunite, elimina la preventiva autorizzazione delle Istituzioni europee per la concessione, da parte dello Stato, di contributi di importo fino a 50 milioni di euro, a società partecipate dallo Stato medesimo o ad organismi di diritto pubblico, con la finalità di effettuare investimenti di pubblico interesse.

 

A tal fine è abrogato l’art. 1, comma 94, della legge di bilancio per il 2019 (legge n. 145 del 2018).

 

Si ricorda che i commi da 91 a 93 dell’art. 1 della legge di bilancio 2019 prevedono la concessione, da parte dello Stato, di contributi di importo fino a 50 milioni di euro, a società partecipate dallo Stato medesimo o ad organismi di diritto pubblico, con la finalità di effettuare investimenti di pubblico interesse. Il combinato disposto di tali commi configura – in sostanza e in sintesi – un rapporto trilatero: lo Stato, l’ente cui il contributo è destinato e il terzo imprenditore o fornitore, che svolge o presta l’opera di cui l’investimento consiste.

 

Il comma 94 dispone attualmente che la concessione del finanziamento debba essere autorizzata dalla Commissione europea, ai sensi dell’art. 395 della direttiva IVA (2006/112/CE). Tale riferimento normativo – tuttavia – non è corretto, giacché il rapporto che s’instaura tra i vari soggetti dell’operazione configurata nei commi da 91 a 93 non pare suscettibile - di per sé - di derogare o di alterare i meccanismi IVA disciplinati dalla direttiva e dunque bisognosa di essere autorizzata (peraltro non dalla Commissione ma dal Consiglio).

 

Di qui l’abrogazione del comma 94 con l’eliminazione della necessità dell’autorizzazione. Resta l’opportunità di valutare il rispetto delle disposizioni in materia di aiuti di Stato.


 

Articolo 26-bis
(Disposizioni in materia di rifiuti e di imballaggi)

 

 

L’articolo 26-bis, introdotto in sede referente, reca misure agevolative, sotto forma di abbuoni sui prezzi e di credito d’imposta, per incoraggiare l’aumento della percentuale di imballaggi riutilizzabili o avviati al riciclo immessi sul mercato.

L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 25 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

In questa sede si rammenta che la legge di bilancio 2019 (articolo 1, commi da 73 a 77 della legge n. 145 del 2018) riconosce un credito d’imposta nella misura del 36% delle spese sostenute dalle imprese per l’acquisto di prodotti realizzati con materiali provenienti dalla raccolta differenziata degli imballaggi in plastica nonché per l’acquisto di imballaggi biodegradabili e compostabili o derivati dalla raccolta differenziata della carta e dell'alluminio.

Sono altresì disciplinati i limiti di fruizione (pari a 20.000 euro per ciascun beneficiario e, complessivamente, a 1 milione di euro annui per gli anni 2020 e 2021) e le modalità di applicazione del credito d’imposta, rinviandone la disciplina ad un apposito decreto ministeriale, che deve definire anche i requisiti tecnici e le certificazioni idonee ad attestare la natura ecosostenibile dei prodotti e degli imballaggi ai fini della fruizione del credito medesimo. Tale misura è sostitutiva dell’agevolazione introdotta, per finalità analoghe, dai commi 96-99 della legge di bilancio 2018.

 

In particolare il comma 1 consente all'impresa venditrice di merci con imballaggio di riconoscere all'impresa acquirente un abbuono sul prezzo dei successivi acquisti, in misura pari al 25 per cento del prezzo dell'imballaggio esposto in fattura. L'abbuono è riconosciuto all'atto della resa dell'imballaggio stesso, da effettuarsi non oltre un mese dall'acquisto.

In caso di riutilizzo degli imballaggi usati ovvero di raccolta differenziata ai fini del successivo avvio al riciclo, l'impresa venditrice fruisce di un credito d'imposta pari al doppio degli abbuoni riconosciuti all’impresa acquirente, ancorché da questa non utilizzati.

 

Ai sensi del comma 2, il predetto credito d'imposta è riconosciuto fino ad un importo massimo annuale di 10.000 euro per ciascun beneficiario, nel limite complessivo di 10 milioni di euro annui per l’anno 2020.

 

Esso è indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta di riconoscimento del credito, non concorre alla formazione del reddito né della base imponibile IRAP; non contribuisce alla formazione della misura che dà diritto alla corrispondente deducibilità di interessi passivi o altri componenti negativi di reddito, ai sensi della normativa IRES (di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, DPR n. 917 del 1986). Esso non è soggetto al limite di utilizzabilità (pari a 250.000 euro) annuale valevole per i crediti d'imposta da indicare nel quadro RU della dichiarazione dei redditi (comma 53 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244) ed è utilizzabile esclusivamente in compensazione.

Il credito è utilizzabile a decorrere dal 1o gennaio del periodo d'imposta successivo a quello in cui sono stati riutilizzati o differenziati per il successivo riciclo gli imballaggi per i quali è stato riconosciuto l'abbuono all’impresa acquirente, ancorché da questa non utilizzato. Ai fini della fruizione del credito d'imposta, il modello F24 è presentato esclusivamente attraverso i servizi telematici messi a disposizione dall'Agenzia delle Entrate, pena il rifiuto dell'operazione di versamento.

 

Il comma 3 demanda a un decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame, le disposizioni attuative delle previsioni relative al credito d’imposta, di cui ai commi 1 e 2, ivi incluse le modalità per il rispetto dei limiti di spesa.

 

Il comma 4, reca la copertura finanziaria delle norme in esame, i cui oneri sono quantificati in 10 milioni di euro per l’anno 2021, mediante le maggiori entrate derivanti dal provvedimento in esame.

 


 

Articolo 26-ter
(Agevolazioni fiscali sui prodotti da riciclo e riuso)

 

 

L’articolo 26-ter, introdotto in sede referente, intende riconoscere benefici finanziari e fiscali, sotto forma di crediti d’imposta per l’acquisto di prodotti da riciclo e da riuso.

L’articolo riproduce il contenuto dell’articolo 26 della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

In particolare, il comma 1 riconosce, per l’anno 2020, un contributo pari al 25 per cento del costo di acquisto di:

a)   semilavorati e prodotti finiti derivanti, per almeno il 75 per cento della loro composizione, dal riciclaggio di rifiuti o di rottami ovvero dal riuso di semilavorati o di prodotti finiti;

b)   compost di qualità derivante dal trattamento della frazione organica differenziata dei rifiuti.

 

Alle imprese e ai soggetti titolari di reddito di lavoro autonomo che acquistano i predetti beni (comma 2) il contributo è riconosciuto sotto forma di credito d'imposta, fino ad un importo massimo annuale di 10.000 euro per ciascun beneficiario, nel limite complessivo annuo di 10 milioni di euro. Il credito d'imposta spetta a condizione che i beni acquistati siano effettivamente impiegati nell'esercizio dell'attività economica o professionale: esso non è cumulabile con il credito d'imposta di cui all'articolo 1, comma 73, della legge 30 dicembre 2018, n. 145.

La legge di bilancio 2019 (articolo 1, commi da 73 a 77 della legge n. 145 del 2018) riconosce un credito d’imposta nella misura del 36% delle spese sostenute dalle imprese per l’acquisto di prodotti realizzati con materiali provenienti dalla raccolta differenziata degli imballaggi in plastica nonché per l’acquisto di imballaggi biodegradabili e compostabili o derivati dalla raccolta differenziata della carta e dell'alluminio. Le norme fissano altresì i limiti di fruizione (pari a 20.000 euro per ciascun beneficiario e, complessivamente, a 1 milione di euro annui per gli anni 2020 e 2021) e demandano le modalità di applicazione ad un apposito decreto ministeriale, che deve definire anche i requisiti tecnici e le certificazioni idonee ad attestare la natura ecosostenibile dei prodotti e degli imballaggi ai fini della fruizione del credito medesimo. Tale misura è sostitutiva dell’agevolazione introdotta, per finalità analoghe, dai commi 96-99 della legge di bilancio 2018.

 

Ai soggetti acquirenti dei predetti beni non destinati all’esercizio dell’attività economica o professionale (comma 3), il contributo spetta fino ad un importo massimo annuale di 5.000 euro per ciascun beneficiario, nel limite complessivo annuo di 10 milioni di euro; è anticipato dal venditore dei beni come sconto sul prezzo di vendita ed è a questo rimborsato sotto forma di credito d'imposta di pari importo.

Il crediti d’imposta di cui ai commi 2 e 3 - utilizzabili esclusivamente in compensazione a decorrere dal 1° gennaio del periodo d’imposta successivo a quello di riconoscimento - sono indicati nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui sono riconosciuti, non concorrono alla formazione del reddito e della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive, non contribuiscono alla formazione della misura che dà diritto alla corrispondente deducibilità di interessi passivi o altri componenti negativi di reddito, ai sensi della normativa IRES (di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, DPR n. 917 del 1986). Non sono altresì soggetti al limite di utilizzabilità (pari a 250.000 euro) annuale valevole per i crediti d'imposta da indicare nel quadro RU della dichiarazione dei redditi (comma 53 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244). Ai fini della fruizione dei crediti d'imposta, il modello F24 è presentato esclusivamente attraverso i servizi telematici messi a disposizione dell'Agenzia delle entrate, pena il rifiuto dell'operazione di versamento (comma 4).

 

Si demanda (comma 5) a un decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico, da emanarsi entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in commento, la definizione dei requisiti tecnici e delle certificazioni idonee ad attestare la natura e tipologie di materie e prodotti oggetto di agevolazione, nonché dei criteri e delle modalità di applicazione e fruizione dei crediti di imposta di cui ai commi 2 e 3, anche al fine di assicurare il rispetto dei limiti di spesa ivi indicati.

 

Il comma 6 dispone la copertura finanziaria degli oneri derivanti dalla norma in esame, pari a 20 milioni di euro per l’anno 2021, mediante le maggiori entrate derivanti dal provvedimento in esame.


 

Articolo 26-quater
(Contratto di espansione)

 

 

Nel corso dell’iter in sede referente, è stato approvato l’articolo 26-quater che introduce in via sperimentale, per gli anni 2019-2020, l’istituto del contratto di espansione (in luogo dei contratti di solidarietà espansiva di cui all’articolo 41 del D.Lgs. 15 settembre 2015, n.148), per imprese con particolari caratteristiche impegnate in processi di reindustrializzazione e riorganizzazione, mediante il quale è possibile, tra l’altro, programmare nel tempo un piano di assunzioni nel quale è indicato il numero e il profilo professionale dei lavoratori da assumere e il numero dei lavoratori che possono accedere a certe condizioni alla pensione di vecchiaia o anticipata sulla base di un regime agevolato.

 

In particolare, il comma 1 della disposizione sostituisce il testo dell’articolo 41 del D.Lgs. 148 del 2015, prevedendo:

§  l’introduzione, in via sperimentale, per gli anni 2019 e 2020 del contratto di espansione, a vantaggio delle imprese con organico superiore alle 1000 unità lavorative che perseguano, anche solo in parte, modifiche strutturali dei processi aziendali finalizzate al progresso e allo sviluppo tecnologico, cui consegua, pertanto, la necessità di modificare le competenze professionali in organico mediante un loro più razionale impiego e prevedendo, in ogni caso, l’assunzione di nuove professionalità. A tal fine, l’impresa interessata può avviare una procedura di consultazione finalizzata a stipulare in sede governativa il contratto di espansione, previo coinvolgimento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o con le loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero con la rappresentanza sindacale unitaria (comma 1 del nuovo articolo 41).

In dettaglio, la procedura da seguire è indicata nell’articolo 24 del D.Lgs. 2015/148 e prevede, appunto, che l’impresa comunichi ai soggetti sopra elencati la propria volontà di aprire la procedura di consultazione richiedendo il trattamento straordinario di integrazione salariale per effetto della sospensione e della riduzione dell’orario di lavoro in riferimento ad una determinata platea di lavoratori. Entro tre giorni dalla predetta comunicazione è presentata dall'impresa o dai soggetti di cui al comma 1, domanda di esame congiunto della situazione aziendale. Tale domanda è trasmessa, ai fini della convocazione delle parti, al competente ufficio individuato dalla regione del territorio di riferimento, qualora l'intervento richiesto riguardi unità produttive ubicate in una sola regione, o al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, qualora l'intervento riguardi unità produttive ubicate in più regioni. In tale caso il Ministero richiede, comunque, il parere delle regioni interessate. L'intera procedura di consultazione, attivata dalla richiesta di esame congiunto, si esaurisce entro i 25 giorni successivi a quello in cui è stata avanzata la richiesta medesima

 

§  il contenuto del contratto di espansione, richiedendo, in particolare: a) il numero e il profilo professionale dei lavoratori da assumere; b) la programmazione temporale delle assunzioni; c) l’indicazione della durata a tempo indeterminato dei contratti di lavoro si intendono inclusi i contratti di apprendistato professionalizzanti, ai sensi dell’articolo 44 del D.Lgs. 81/2015[23]; d) con riguardo alle professionalità in organico, la riduzione complessiva media dell'orario di lavoro e il numero dei lavoratori interessati e il numero dei lavoratori che possono accedere al regime pensionistico agevolato previsto dal successivo comma 5.

Ai fini della stipula del contratto di espansione il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali verifica il progetto di formazione e di riqualificazione che l'impresa è tenuta a presentare, ai sensi del comma 8, nonché il numero delle assunzioni. L'impresa è infatti, tenuta a presentare un progetto di formazione e di riqualificazione che è parte integrante del contratto di espansione , descrive i contenuti formativi e le modalità attuative, il numero complessivo dei lavoratori interessati, il numero delle ore di formazione, le competenze tecniche professionali iniziali e finali distinto per categorie, nonché garantisce che nel programma devono essere indicate le previsioni di recupero occupazionale dei lavoratori interessati alle sospensioni o riduzioni di orario, nella misura minima del 70%. Per recupero occupazionale deve intendersi, oltre al rientro in azienda dei lavoratori sospesi, anche il riassorbimento degli stessi all'interno di altre unità produttive della medesima impresa ovvero di altre imprese, nonché iniziative volte alla gestione non traumatica dei lavoratori medesimi. Per gli eventuali esuberi strutturali residui devono essere dettagliatamente precisate le modalità di gestione: articolo 1, comma 1, lettera f) del decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali 3 febbraio 20 16, n. 94033) (commi 2, 4 e 8 del nuovo articolo 41).

§  l'intervento straordinario di integrazione salariale, in deroga alle disposizioni vigenti[24], che può essere richiesto per un periodo non superiore a 18 mesi anche non continuativi (per la relativa quantificazione della spesa, cfr comma 7) (comma 3 del nuovo articolo 41);

§  un regime agevolato di accesso alla pensione di vecchiaia (avendo maturato il requisito minimo contributivo) o anticipata[25], per i lavoratori che si trovino a non più di 60 mesi dal conseguimento del diritto a tali forme di pensione: previo esplicito consenso scritto degli interessati, il datore di lavoro riconosce, a fronte della risoluzione del rapporto, per tutto il periodo intercorrente fino al raggiungimento del primo diritto a pensione, un'indennità mensile, ove spettante comprensiva dell’indennità NaSpi, commisurata al trattamento pensionistico lordo maturato dal lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro, così come determinato dall'lnps. Peraltro, qualora il primo diritto a pensione sia quello previsto per la pensione anticipata , il datore di lavoro versa anche i contributi previdenziali utili al conseguimento del diritto con esclusione del periodo già coperto dalla contribuzione figurativa a seguito della risoluzione del rapporto di lavoro (la prestazione di cui al comma 5 del presente articolo può essere riconosciuta anche per il tramite dei fondi di solidarietà bilaterali già costituiti o in corso di costituzione senza l'obbligo di apportare modifiche ai relativi atti istitutivi). I benefici suesposti sono riconosciuti entro un limite di spesa complessivo pari a 4,4 mln di euro per il 2019, 11,9 mln di euro per il 2020 e 6,8 mln di euro per il 2021: con l’obbligo per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di non procedere alla sottoscrizione di accordi governativi e di non considerare ulteriori domande di accesso ai benefici qualora si prospetti uno scostamento dai predetti limiti di spesa. L’INPS, nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie esistenti, monitora il rispetto del suddetto limite di spesa e di tale monitoraggio informa il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Per i lavoratori che non si trovino nella condizione di beneficiare della prestazione prevista dal comma 5 è consentita una riduzione oraria (con relativa applicazione delle disposizioni del medesimo decreto legislativo 148 del 2015, agli articoli 3 e 6 in materia di integrazione salariale commisurata alle ore di lavoro non prestate[26]). In ogni caso, la riduzione media oraria non può essere superiore al 30 per cento dell'orario giornaliero, settimanale o mensile dei lavoratori interessati al contratto di espansione. Per ciascun lavoratore, la percentuale di riduzione complessiva dell'orario di lavoro può essere concordata, ove necessario, fino al 100 per cento nell'arco dell'intero periodo per il quale il contratto di espansione è stipulato. I benefici di cui ai commi 3 e 7 sono riconosciuti entro il limite di spesa complessivo di 15,7 mln di euro per l’anno 2019, e 31,8 mln di euro per l’anno 2020. Anche in questi casi, corre l’obbligo per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di non procedere alla sottoscrizione di accordi governativi e di non considerare ulteriori domande di accesso ai benefici qualora si prospetti uno scostamento dai predetti limiti di spesa nonché il monitoraggio INPS nei termini sopra descritti al comma 5.

 

Gli accordi stipulati ai sensi del comma 5 e l'elenco dei lavoratori che accettano l'indennità, ai fini della loro efficacia, devono essere depositati secondo le modalità stabilite dal Decreto lnterministeriale del 25 marzo 2016. Il comma 9, in particolare, prevede un vincolo al futuro legislatore, disponendo che “per i lavoratori individuati nel periodo precedente, le leggi e gli altri atti aventi forza di legge non possono in ogni caso modificare i requisiti per conseguire il diritto al trattamento pensionistico vigenti al momento dell'adesione alle procedure previste dal comma 5”. Al riguardo, potrebbe essere opportuno valutare se tale disposizione appaia in linea con i principi che regolano la successione delle fonti primarie nel tempo. (commi 5, 6, 7 e 9 del nuovo articolo 41).

Sul punto si ricorda che un analogo meccanismo di pensionamento anticipato (cd. isopensione) è disciplinato dall’art. 4 , c. 1, della L. 92/2012 secondo cui, nei casi di eccedenza di personale, accordi tra datori di lavoro che impieghino mediamente più di 15 dipendenti e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative) possono prevedere che il lavoratore riceva, a condizione che raggiunga i requisiti minimi per il pensionamento (di vecchiaia o anticipato) nei 4 anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro (limite elevato a 7 per il triennio 2018-2020 dalla legge di bilancio 2018), una prestazione (a carico del datore di lavoro) di importo pari al trattamento di pensione che spetterebbe in base alle regole vigenti.

§  la compatibilità del contratto di espansione con l'utilizzo degli altri ammortizzatori sociali previsti dal decreto legislativo 148 del 2015 (comma 10 del nuovo articolo 41);

§  l’implementazione del «Fondo per interventi strutturali di politica economica», di cui all’articolo 10, comma 5 dl 282 del 2004, per 9,9 mln di euro per l’anno 2019, 0,8 mln di euro per l’anno 2022, 3,8 mln di euro per l’anno 2023, 13,8 mln di euro per l’anno 2024, 33,6 mln di euro per l’anno 2025, 45 mln di euro per l’anno 2026 e 38 mln di euro a decorrere dal 2027 (comma 11 del nuovo articolo 41);

§  la quantificazione e la copertura dei seguenti oneri: quanto a 30 milioni di euro per l'anno 2019, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 258, terzo periodo, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 che, dal 2019, autorizza le regioni e le province autonome, le agenzie e gli enti regionali, o le province e le città metropolitane ad assumere personale da destinare ai centri per l'impiego; quanto a 6,7 milioni di euro per l'anno 2020, mediante corrispondente utilizzo del Fondo di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307; quanto a 3,3 milioni di euro per l'anno 2021, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello  stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2019- 2021, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali » della missione “Fondi da ripartire dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze” per l'anno 2019, allo scopo utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo  Ministero; quanto a 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2019-2021, nell'ambito del programma « Fondi di  riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» del1o stato di previsione dcl Ministero dell’Economie e delle finanze per l'anno 2019, allo scopo utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali; quanto a 35 milioni per l'anno 2020, a 1,5 milioni per l'anno 2021, a 0,8 milioni di euro per l'anno 2022, a 3,8 milioni di euro per l'anno 2023, a 13,8 milioni di euro per l'anno 2024, a 33,6 milioni di euro per l'anno 2025, a 45 milioni per l'anno 2026 e a 38 milioni annui di euro a decorrere dall'anno 2027, mediante le maggiori entrate derivanti dal presente decreto (comma 12 nuovo articolo 41)

 

Il comma 2 dell’articolo, infine, dispone che i contratti di solidarietà espansiva sottoscritti in regime di vigenza del precedente articolo 41 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148 e le relative agevolazioni, continueranno a produrre effetti fino al termine dei periodi considerati.

 

I contratti di solidarietà espansivi

I contratti di solidarietà espansivi, che hanno come finalità di agevolare nuove assunzioni nel caso di aziende in espansione, sono attualmente disciplinati dall’art. 41 del D.Lgs. 148/2015.

I contratti collettivi aziendali, stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali, possono infatti prevedere un incremento di occupazione tramite una riduzione stabile dell'orario di lavoro e della retribuzione dei dipendenti già occupati presso l’azienda.

Nei suddetti casi, si prevede per ogni lavoratore assunto a tempo indeterminato un contributo a carico dell’INPS per ogni mensilità di retribuzione[27], o, in sostituzione, una specifica agevolazione per i datori di lavoro che assumano lavoratori tra i 15 e i 29 anni, durante i primi tre anni del contratto e comunque non oltre il compimento del ventinovesimo anno di età del lavoratore. In questi casi la quota di contribuzione a carico del datore di lavoro è dovuta in misura corrispondente a quella prevista per gli apprendisti. In ogni caso, le suddette assunzioni non devono comportare una riduzione percentuale della manodopera femminile rispetto a quella maschile.

Le agevolazioni di cui sopra non sono riconosciute ai datori di lavoro che hanno ridotto il personale o effettuato sospensioni in regime di CIGS nei dodici mesi precedenti all’assunzione.

Nei casi in cui non venga già riconosciuta dall'INPS, i datori di lavoro, gli enti bilaterali o i Fondi di solidarietà possono versare la contribuzione ai fini pensionistici correlata alla quota di retribuzione persa dai lavoratori,

L’art. 41 prevede poi la possibilità per i lavoratori interessati dai contratti di solidarietà di accedere alla pensione di vecchiaia con 2 anni di anticipo, a condizione che abbiano maturato i requisiti minimi di anzianità contributiva e abbiano accettato una riduzione oraria pari ad almeno la metà dell’orario di lavoro praticato prima della riduzione convenuta nel contratto collettivo. Limitatamente al suddetto periodo di anticipazione, il trattamento di pensione è cumulabile con la retribuzione nel limite massimo della somma corrispondente al trattamento retributivo perso al momento della trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale

Si ricorda che i lavoratori assunti sulla base della normativa esposta sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi ai soli fini dell'applicazione di norme e istituti che prevedano l'accesso ad agevolazioni di carattere finanziario e creditizio.

I contratti di solidarietà stipulati prima del 1° gennaio 2016 possono essere trasformati in contratti di solidarietà espansiva, a condizione che la riduzione complessiva dell'orario di lavoro non sia superiore a quella già concordata. Ai lavoratori spetta un trattamento di integrazione salariale, a carico del datore di lavoro e coperto da contribuzione figurativa, di importo pari al 50 per cento della misura dell'integrazione salariale prevista prima della trasformazione del contratto e il datore di lavoro integra tale trattamento almeno sino alla misura dell'integrazione originaria.

 


 

Articolo 27
(Società di investimento semplice - SIS)

 

 

L’articolo 27 introduce una specifica tipologia di organismo di investimento collettivo del risparmio (OICR) riconducibile alla forma della società di investimento a capitale fisso (Sicaf), con un regime semplificato. La società di investimento semplice a capitale fisso (SIS) deve gestire direttamente il patrimonio raccolto attraverso la sottoscrizione di titoli rappresentativi di capitale riservata agli investitori professionali; il patrimonio netto della società non deve eccedere i 25 milioni di euro, mentre il capitale sociale deve risultare almeno pari a quello previsto dal codice civile per le S.p.A. (50.000 euro); l'oggetto esclusivo dell'attività deve risultare l’investimento diretto del patrimonio raccolto in PMI non quotate su mercati regolamentati e la società non deve ricorrere alla leva finanziaria. A fronte di tali limiti operativi vengono previsti oneri regolatori ridotti, attraverso la disapplicazione della normativa secondaria e di taluni obblighi relativi ai partecipanti al capitale, modificando la disciplina dei gestori che operano al di sotto di specifiche soglie di attivo.

Per effetto delle modifiche in sede referente, è stata soppressa la disposizione che riserva la sottoscrizione delle azioni o degli altri strumenti finanziari partecipativi della SIS agli investitori professionali.

 

L'articolo in esame modifica l'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 58 del 1998 (Testo unico della finanza - TUF), integrando, fra le definizioni ivi contenute quella di Società di investimento semplice (SIS).

 

La nuova lettera i-quater) dell’articolo 1, comma 1, del TUF introduce, dunque, una specifica tipologia di organismo di investimento collettivo del risparmio (OICR) riconducibile alla forma della società di investimento a capitale fisso (Sicaf) definita dalla lettera i-bis) dell'articolo 1, comma 1, del TUF.

Il quadro normativo europeo che disciplina le diverse forme di gestione collettiva, cioè gli OICR istituiti, gestiti e commercializzati nell’Ue e i relativi gestori, è definito sostanzialmente dai seguenti atti:

§  direttive 2009/65/UE (Undertakings for Collective Investments in Transferable Securities - UCITS IV) e 2014/91/UE (UCITS V) che disciplinano gli organismi (fondi e Sicav) di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM, fondi di investimento e Sicav), ivi comprese le condizioni per la gestione e commercializzazione degli stessi. Si tratta dunque di un regime volontario, nel quale si può rientrare conformando la politica d'investimento di un fondo a specifici profili di rischio, in particolare rispetto alla liquidità degli attivi;

§  direttiva 2011/61/UE (AIFMD) che disciplina i gestori di fondi di investimento alternativi (FIA), fra i quali rientrano le Sicaf, che investono una quota significativa delle loro disponibilità in attività che per gli OICVM sono escluse o fortemente limitate (es. immobili, hedge fund, crediti, etc.).

I gestori di fondi (SGR), le Sicav e le Sicaf, pertanto, possono essere qualificati come gestori di organismi di investimento in valori mobiliari (caratterizzati dunque da un elevato grado di liquidabilità) o come gestori di investimenti a questi alternativi (GEFIA).

La disciplina europea prevede inoltre regole specifiche per alcune categorie di fondi alternativi ai quali viene assegnata una rilevanza strategica rispetto alla crescita di lungo periodo e alla coesione sociale, al fine di realizzare una disciplina armonizzata e rimuovere gli ostacoli all'investimento transfrontaliero. Si tratta, in particolare delle seguenti categorie di fondi alternativi gestiti da gestori di FIA (GEFIA) le cui attività non superano la soglia di 500 milioni di euro:

§  fondi europei di venture capital (fondi EuVEC, disciplinati dal Regolamento (UE) n. 345/2013);

§  fondi europei per l’imprenditoria sociale (fondi EuSEF, disciplinati dal Regolamento (UE) n. 346/2013);

§  fondi europei di investimento a lungo termine (fondi ELTIF, disciplinati dal Regolamento (UE) n. 760/2015).

 

Secondo quanto esposto nella Relazione illustrativa del Governo, con l'introduzione di tale nuova forma di OICR "alternativo" si intende offrire agli investitori, nel rispetto dei vincoli derivanti dalla normativa europea in materia di gestione collettiva del risparmio, uno strumento di investimento dedicato alla classe di attività del venture capital. In considerazione delle dimensioni ridotte e dei vincoli di operatività, si prevede l’applicazione alla SIS di un regime agevolato rispetto alle altre forme di investimento collettivo disciplinate nel TUF.

Con il termine inglese venture capital (il verbo "to venture" può essere tradotto con l'italiano "avventurarsi") si intende l'investimento in imprese che potrebbero essere in futuro caratterizzate da crescita dimensionale e da utili significativi. Poiché l'investimento viene effettuato prevalentemente sulle previsioni di crescita futura piuttosto che sui risultati economici presenti e attesi nel breve periodo, gli investimenti in venture capital sono associati ad un grado di rischio elevato e richiedono altrettanto elevate capacità di analisi delle evoluzioni del mercato nel suo complesso e di specifici settori di attività. L'acquisto delle azioni può avvenire in diversi momenti della vita aziendale: in fase di avvio (seed), nei primi anni di vita (early-stage) o per finanziare i primi sviluppi della produzione (growth). In molti casi all'acquisto delle azioni si associa un intervento nell'emittente anche a livello operativo, con l'apporto di competenze manageriali, tecniche e relazionali in grado di supportare la crescita della società. L'obiettivo sostanziale è quello di valorizzare il capitale sociale delle imprese in cui si è investito, fino al momento in cui le potenzialità sulle quali ha scommesso il fondo di venture capital vengono riconosciute anche da altri investitori. In tal modo, il fondo può realizzare i guadagni della propria scommessa, vendendo le azioni a un prezzo sensibilmente maggiore rispetto a quello di acquisto (la cosiddetta "exit"), eventualmente attraverso una offerta pubblica (initial public offering - IPO) che porti l'impresa a essere negoziata su un mercato regolamentato oppure attraverso l'acquisto da parte di un'altra società. L'elevato grado di rischio di questi investimenti è connesso al fatto che solo alcune società (che sono state definite "unicorni") riusciranno a compiere questo percorso, mentre la maggior parte degli investimenti determineranno guadagni contenuti e perdite. Aumentando la platea delle imprese di cui si acquistano azioni, che costituiscono il portafoglio in cui sono investiti a fondi di venture capital, è possibile aumentare la probabilità di successo, pur nella sostanziale rischiosità associata a tale tipo di investimenti.

 

La SIS rientra tra i gestori di "fondi alternativi" ai sensi del TUF, che realizzano prevalentemente investimenti in società non negoziate su mercati. Si tratta di investimenti a lungo termine, con la possibilità di vendita delle quote a scadenze fisse: pertanto, la SIS è costituita in forma di società di investimento per azioni a capitale fisso (“Sicaf”).

 

L'articolo in esame fissa le condizioni da rispettare affinché una società possa rientrare nel perimetro applicativo della SIS. In particolare:

§  la società deve gestire direttamente il patrimonio raccolto;

§  il patrimonio netto della società non deve eccedere i 25 milioni di euro, mentre il capitale sociale deve risultare almeno pari a quello previsto dal codice civile per le S.p.A. (50.000 euro);

§  l'oggetto esclusivo dell'attività deve risultare l’investimento diretto del patrimonio raccolto in PMI non quotate su mercati regolamentati di cui all’articolo 2 paragrafo 1, lettera f), primo alinea, del regolamento (UE) n. 2017/1129 che si trovano nella fase di sperimentazione, di costituzione e di avvio dell’attività. Si tratta quindi di società che, in base al loro più recente bilancio annuale o consolidato, soddisfano almeno due tra questi tre criteri: numero medio di dipendenti nel corso dell’esercizio inferiore a 250, totale dello stato patrimoniale non superiore a 43 milioni, fatturato netto annuale non superiore a 50 milioni;

§  la società non deve ricorrere alla leva finanziaria (non deve quindi acquistare o vendere attività finanziarie per un ammontare superiore al capitale posseduto).

 

Per effetto delle modifiche apportate in sede referente, è stata eliminata la disposizione che riserva la sottoscrizione delle azioni o degli altri strumenti finanziari partecipativi ai soli investitori professionali.

 

Individuati dal Testo Unico Finanziario – TUF (articolo 6, commi 2-quinquies e 2-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998) i clienti “professionali” possono essere tali di diritto – come banche, compagnie di assicurazioni, governi nazionali e imprese di grandi dimensioni - oppure su esplicita richiesta, purché siano rispettati i criteri e le procedure menzionati dall’allegato 3 del regolamento intermediari della Consob, (Delibera n. 20307 del 2018). In particolare, per essere considerati clienti professionali su richiesta devono essere soddisfatti almeno due dei tre requisiti previsti, che attengono alla frequenza e alla dimensione delle operazioni effettuate sul mercato, al valore del portafoglio posseduto (che deve superare i 500.000 euro) e all’esperienza lavorativa nel settore finanziario.

 

La direttiva AIFM prevede un regime agevolato per i gestori di OICR alternativi (GEFIA) nel caso in cui i FIA cumulativi gestiti non superino la soglia di 100 milioni di euro o di 500 milioni di euro per i GEFIA che gestiscono solo fondi che non ricorrono alla leva finanziaria e non concedono agli investitori diritti di rimborso per un periodo di cinque anni.

La scelta compiuta a livello legislativo in sede di recepimento della direttiva è stata quella di prevedere l’obbligo di autorizzazione anche per i GEFIA cosiddetti "sotto soglia" e l’applicazione agli stessi del complesso di obblighi imposti dal Regolamento delegato (UE) n. 231/2013, con la possibilità di prevedere, a livello di regolamentazione secondaria, la disapplicazione di alcune previsioni. Infatti, sulla base della delega contenuta nell’articolo 35-undecies del TUF, la Banca d’Italia e la Consob, nell’ambito delle rispettive competenze, possono esentare i gestori autorizzati che gestiscono FIA italiani riservati il cui valore totale dei beni gestiti non supera 100 milioni di euro ovvero 500 milioni se gli Oicr gestiti non fanno ricorso alla leva finanziaria e non consentono agli investitori di esercitare il diritto di rimborso per 5 anni dopo l’investimento iniziale, dall’applicazione delle disposizioni attuative dell’articolo 6, commi 1, 2 e 2-bis.

In sede di attuazione, la Banca d'Italia e la Consob hanno identificato alcune specifiche previsioni del citato regolamento delegato europeo e della normativa secondaria nazionale non applicabili ai gestori "sotto soglia".

 

L'articolo in esame inserisce nel citato articolo 35-undecies del TUF, che contiene le deroghe per i GEFIA italiani, i nuovi commi 2, 3 e 4.

 

Il nuovo comma 2 stabilisce che le SIS non applicano le disposizioni attuative dell’articolo 6, commi 1, 2 e 2-bis). L'articolo 6 del TUF definisce, nell'ambito della disciplina degli intermediari (Parte II), i poteri regolamentari delle autorità di vigilanza. Si tratta sostanzialmente delle deleghe su cui si basa il corpus normativo secondario approvato da Banca d'Italia e Consob.

Ai sensi dell'articolo 6, comma 1 del TUF, infatti, la Banca d'Italia, sentita la CONSOB, disciplina con regolamento:

a) gli obblighi delle SIM e delle SGR in materia di adeguatezza patrimoniale, contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni e partecipazioni detenibili, nonché l'informativa da rendere al pubblico sulle stesse materie e sul governo societario, l'organizzazione amministrativa e contabile, i controlli interni e i sistemi di remunerazione e di incentivazione;

[...]c) le regole applicabili agli OICR italiani aventi a oggetto:

1) i criteri e i divieti relativi all'attività di investimento, avuto riguardo anche ai rapporti di gruppo;

2) le norme prudenziali di contenimento e frazionamento del rischio, limitatamente agli OICR diversi dai FIA riservati. La Banca d'Italia può prevedere l'applicazione ai FIA italiani riservati di limiti di leva finanziaria massima e di norme prudenziali per assicurare la stabilità e l'integrità del mercato finanziario;

3) gli schemi tipo e le modalità di redazione dei prospetti contabili che le società di gestione del risparmio, le Sicav e le Sicaf redigono periodicamente;

4) i metodi di calcolo del valore delle quote o azioni di OICR;

5) i criteri e le modalità da adottare per la valutazione dei beni e dei valori in cui è investito il patrimonio e la periodicità della valutazione. Per la valutazione di beni non negoziati in mercati regolamentati, la Banca d'Italia può prevedere il ricorso a esperti indipendenti e richiederne l'intervento anche in sede di acquisto e vendita dei beni da parte del gestore;

6) le condizioni per la delega a terzi della valutazione dei beni in cui è investito il patrimonio dell'OICR e del calcolo del valore delle relative quote o azioni;

c-bis) gli obblighi dei soggetti abilitati relativi alla prestazione dei servizi e delle attività di investimento e alla gestione collettiva del risparmio, in materia di:

1) governo societario e requisiti generali di organizzazione, compresa l'attuazione dell'articolo 4-undecies;

2) sistemi di remunerazione e di incentivazione;

3) continuità dell'attività;

4) organizzazione amministrativa e contabile, compresa l'istituzione della funzione di controllo della conformità alle norme;

5) gestione del rischio dell'impresa;

6) audit interno;

7) responsabilità dell'alta dirigenza;

8) esternalizzazione di funzioni operative essenziali o importanti o di servizi o di attività.

 

Ai sensi dell'articolo 6, comma 2, del TUF la Consob, sentita la Banca d'Italia, tenuto conto delle differenti esigenze di tutela degli investitori connesse con la qualità e l'esperienza professionale dei medesimi, disciplina con regolamento gli obblighi dei soggetti abilitati in materia di:

a) trasparenza, ivi inclusi:

[...] 3-bis) gli obblighi informativi nei confronti degli investitori dei FIA italiani, dei FIA UE e dei FIA non UE;

b) correttezza dei comportamenti, ivi inclusi:

[...] 4) l'obbligo di assicurare che la gestione di portafogli si svolga con modalità aderenti alle specifiche esigenze dei singoli investitori e che quella su base collettiva avvenga nel rispetto degli obiettivi di investimento dell'OICR;

5) le condizioni alle quali possono essere corrisposti o percepiti incentivi;

b-bis) prestazione dei servizi e delle attività di investimento e di gestione collettiva del risparmio, relativi:

1) alle procedure, anche di controllo interno, per la corretta e trasparente prestazione dei servizi e delle attività di investimento, ivi incluse quelle per:

a) il governo degli strumenti finanziari e dei depositi strutturati;

b) la percezione o la corresponsione di incentivi;

2) alle procedure, anche di controllo interno, per la corretta e trasparente prestazione della gestione collettiva del risparmio, ivi incluse quelle per la percezione o la corresponsione di incentivi;

3) alle modalità di esercizio della funzione di controllo della conformità alle norme;

4) al trattamento dei reclami;

5) alle operazioni personali;

6) alla gestione dei conflitti di interesse potenzialmente pregiudizievoli per i clienti, ivi inclusi quelli derivanti dai sistemi di remunerazione e di incentivazione;

7) alla conservazione delle registrazioni;

8) alla conoscenza e competenza delle persone fisiche che forniscono consulenza alla clientela in materia di investimenti o informazioni su strumenti finanziari, servizi di investimento o accessori per conto dei soggetti abilitati.

 

Ai sensi dell'articolo 6, comma 2-bis del TUF, per l'esercizio della vigilanza sugli intermediari, sono competenti la Banca d'Italia per il rispetto delle disposizioni adottate ai sensi del comma 1, lettera c-bis), numeri 1), 2), 3), 7) e 8), e la Consob per il rispetto delle disposizioni adottate ai sensi del comma 2, lettera b-bis), numero 6); inoltre, la Banca d'Italia e la Consob, in relazione agli aspetti sui quali hanno fornito l'intesa e per le finalità di cui all'articolo 5, commi 2 e 3, possono:

a) esercitare i poteri di vigilanza informativa e di indagine loro attribuiti dal presente capo, anche al fine di adottare i provvedimenti di intervento di propria competenza, secondo le modalità previste nel protocollo;

b) comunicare le irregolarità riscontrate all'altra Autorità ai fini dell'adozione dei provvedimenti di competenza.

 

La disapplicazione delle regole adottate sulla base delle deleghe contenute nell'articolo 6, commi 1, 2 e 2-bis del TUF viene presentata nella Relazione illustrativa del Governo nella prospettiva di creare uno strumento di investimento allo stesso tempo agevole e rispettoso della normativa europea, prevedendo un regime semplificato rispetto a quello applicabile ai gestori, sfruttando la discrezionalità concessa dalla AIFMD per la definizione del regime applicabile ai gestori le cui attività non superano determinate soglie.

 

Alle SIS, in quanto riconducibili alla forma della Sicaf sono comunque applicabili le seguenti norme di rango primario contenute nel TUF:

§  le disposizioni generali e i poteri di vigilanza ulteriori rispetto a quelli di cui all'articolo 6, commi 1, 2 e 2-bis;

§  la disciplina degli esponenti aziendali e partecipanti al capitale, con le deroghe previste dal comma 3 dell'articolo 35-undecies come modificato dall'articolo in esame (vedi infra);

§  la riserva di attività a specifici soggetti, tra cui le Sicaf, autorizzati alla gestione collettiva del risparmio (articolo 32-quater del TUF);

§  l'elencazione tassativa delle attività esercitabili: la gestione del patrimonio raccolto con l'offerta delle proprie azioni e dei relativi rischi, l'amministrazione e commercializzazione degli OICR gestiti (articolo 33 del TUF), nonché le attività connesse e strumentali alle precedenti;

§  l'autorizzazione alla costituzione da parte della Banca d'Italia, sentita la Consob, ove ricorrano specifiche condizioni. Con riferimento a tali condizioni, l'articolo in esame stabilisce delle deroghe contenute nel nuovo comma 3 dell'articolo 35-undecies. In particolare, ai fini dell'autorizzazione, i titolari delle partecipazioni che comportano il controllo o la possibilità di esercitare un'influenza notevole sulla società o che attribuiscono una quota almeno pari al 10 per cento, debbano soddisfare esclusivamente il requisito di onorabilità di cui all’articolo 14 (lettera a) del comma 2) del TUF, mentre sono esclusi i criteri di competenza e i criteri di correttezza (lettere b) e c) del comma 2. Inoltre, la denominazione sociale, che deve risultare da tutti documenti della società, specifica che si tratta di una tipologia speciale di Sicaf: la società di investimento "semplice" per azioni a capitale fisso;

§  l'iscrizione al relativo albo tenuto dalla Banca d'Italia (35-ter del TUF);

§  le deroghe alla disciplina civilistica e il divieto all'emissione di obbligazioni (articolo 35-quinquies del TUF);

§  le regole di comportamento: diligenza, correttezza e trasparenza nel miglior interesse degli OICR gestiti, dei relativi partecipanti e dell'integrità del mercato; riduzione al minimo del rischio di conflitti di interesse anche tra i patrimoni gestiti e, in situazioni di conflitto, equo trattamento degli OICR gestiti; salvaguardia dei diritti e parità di trattamento dei partecipanti agli OICR; esercizio dei diritti di voto per gli strumenti finanziari detenuti nell'interesse dei partecipanti (articolo 32-decies del TUF);

§  le deroghe per i gestori "sotto soglia", come modificate dall'articolo in esame (35-undecies);

§  le regole sulla commercializzazione di FIA riservati (articolo 43 del TUF), che prevedono la notifica alla Consob dell'intenzione di avviare l'offerta, alla quale la stessa autorità dà riscontro (nulla osta) entro 20 giorni, d'intesa con la Banca d'Italia. Sono previste regole specifiche per la commercializzazione a investitori professionali (comma 8 dell'articolo 43).

 

Il nuovo comma 2 dell'articolo 35-undecies del TUF prevede allo stesso tempo che le SIS debbano adottare un sistema di governo e controllo adeguato ad assicurare la sana e prudente gestione e l’osservanza delle disposizioni loro applicabili e che, a fronte del rischio derivante dalla responsabilità professionale, debbano stipulare un’assicurazione sulla responsabilità civile professionale adeguata ai rischi derivanti dall’attività svolta.

Nell’ottica di semplificare il regime applicabile, il nuovo comma 3 dell'articolo 35-undecies del TUF prevede inoltre le deroghe già esposte alla disciplina dell'autorizzazione e alla indicazione della denominazione sociale sui propri documenti.

 

Infine, il nuovo comma 4 dell'articolo 35-undecies chiarisce che è possibile procedere alla costituzione di una o più SIS, nel rispetto del limite complessivo di 25 milioni di euro.


 

Articolo 28
(Semplificazioni per la definizione dei patti territoriali
e dei contratti d’area)

 

 

L’articolo 28 reca, in primo luogo, una semplificazione di natura documentale ai fini della definitiva chiusura dei procedimenti relativi alle agevolazioni concesse nell'ambito dei patti territoriali e dei contratti d'area, prevedendo che le imprese beneficiarie ricorrano a dichiarazioni sostitutive per attestare, in particolare, l'ultimazione dell'intervento agevolato e le spese sostenute per la realizzazione dello stesso. In caso di mancata presentazione delle dichiarazioni nei termini, viene accertata la decadenza dai benefici, con salvezza degli importi già erogati sulla base dei costi e delle spese sostenute (comma 1).

E’ previsto un sistema di controlli e ispezioni sugli interventi agevolati volti a verificare l'attuazione degli interventi medesimi nonché la veridicità delle dichiarazioni sostitutive. Eventuali irregolarità emerse nell'ambito dei controlli comportano la revoca del contributo erogato e l'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria (comma 2).

Le risorse residue dei patti territoriali, a determinate condizioni, ove non costituiscano residui perenti, sono utilizzate per il finanziamento di progetti volti allo sviluppo del tessuto imprenditoriale territoriale, anche mediante la sperimentazione di servizi innovativi a supporto delle imprese. (comma 3).

 

Nel dettaglio, il comma 1, primo periodo, introduce una semplificazione di natura documentale ai fini della definitiva chiusura dei procedimenti relativi alle agevolazioni concesse nell'ambito dei patti territoriali e dei contratti d'area, di cui all’articolo 2, comma 203, lettere d) e f), della legge n. 662 del 1996.

Si prevede, infatti, che le imprese beneficiarie attestino, in particolare, l'ultimazione dell'intervento agevolato e le spese sostenute per la realizzazione dello stesso, tramite dichiarazioni sostitutive di certificazioni e di atto di notorietà, come disciplinate dagli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 ottobre 2000, n. 445.

Il secondo periodo demanda ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico da emanare entro 60 giorni dall'entrata in vigore del decreto legge in esame l’individuazione dei contenuti specifici, i termini, le modalità e gli schemi per la presentazione delle predette dichiarazioni.

 

Come precisato nella relazione illustrativa, l’articolo in esame introduce modalità semplificate per la definitiva chiusura dei procedimenti relativi alle iniziative agevolate nell'ambito dei Patti territoriali e dei Contratti d'area, strumenti di programmazione negoziata introdotti dalla legge n. 662/1996, più volte oggetto di interventi del CIPE e del Legislatore.

Relativamente a detti strumenti, permane ad oggi un'intensa attività di gestione con circa n. 1.300 iniziative produttive non ancora definite rispetto agli originari n. 12.000 interventi agevolati a partire dagli anni 1997/1998. Le difficoltà connesse alla mancata chiusura degli interventi, risiedono in particolare nella complessità procedurali proprie degli strumenti negoziali, nei molteplici interventi legislativi che hanno inciso sul termine consentito per l'ultimazione dei programmi agevolati a valere sui richiamati strumenti nonché nella progressiva rarefazione dell'operatività di taluni Soggetti responsabili e Responsabili unici.

Al fine di accelerare la chiusura dei predetti programmi, il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto procedure semplificate di gestione dei procedimenti. Tuttavia, tale intervento legislativo è risultato solo parzialmente risolutivo in quanto ha agito semplificando gli aspetti procedurali di carattere revocatorio, ma non ha indicato elementi di semplificazione per snellire le procedure di erogazione dei contributi alle imprese che avevano ultimato positivamente gli interventi agevolati nei termini di legge previsti.

Sempre secondo la relazione illustrativa, la proposta normativa in argomento, anche alla luce della pregressa esperienza, tende a colmare tale esigenza, agendo prevalentemente sulla semplificazione delle modalità d'erogazione delle agevolazioni riducendone i tempi, prevedendo altresì procedure semplificate per accertare la decadenza dai benefici per l'insieme delle imprese che non hanno diritto a ricevere l'intera agevolazione concessa.

 

Il testo della disposizione richiama l’articolo 2, comma 203, della legge n. 662/1996, per le definizioni normative di patto territoriale e contratto d’area.

Il patto territoriale è l’accordo tra i soggetti sottoscrittori per l’attuazione di un programma di iniziative mirate alla promozione dello sviluppo locale, in ambito regionale, nei settori dell’industria, agroindustria, agricoltura pesca e acquacoltura, la produzione di energia termica o elettrica da biomasse, servizi, turismo (iniziative imprenditoriali) ed in quello dell’apparato infrastrutturale (interventi infrastrutturali), tra loro integrati (cfr. art. 2, comma 203, lett. d)).

Il contratto d’area costituisce lo strumento operativo funzionale alla realizzazione di un ambiente economico favorevole all’attivazione di nuove iniziative imprenditoriali e alla creazione di nuova occupazione nei settori dell’industria, agroindustria, produzione di energia termica o elettrica da biomasse, servizi e turismo (cfr. art. 2, comma 203, lett. f)).

Si fa peraltro presente che l’articolo 23 del decreto-legge n. 83 del 2012 (conv. in legge n. 134/2012), nell’istituire il Fondo per la crescita sostenibile, ha contestualmente disposto, al comma 7, l’abrogazione di numerose disposizioni e, per quanto d’interesse, anche quella relativa ai contratti d’area: la lettera f) dell’articolo 2, comma 203, della citata legge n. 662/1996.

Il successivo comma 11 ha poi disposto che i procedimenti avviati in data anteriore a quella di entrata in vigore del citato decreto-legge sono disciplinati, ai fini della concessione e dell'erogazione delle agevolazioni e comunque fino alla loro definizione, dalle disposizioni abrogate e dalle norme di semplificazione recate dal decreto-legge medesimo.

 

Il comma 1, terzo periodo, precisa che l'erogazione degli importi spettanti è autorizzata sulla base delle predette dichiarazioni nei limiti del contributo concesso e delle disposizioni di cui all'articolo 40, comma 9-ter del D.L. n. 201/2011(convertito con modificazioni dalla legge n. 214/2011).

Il richiamato articolo 40, comma 9-ter, del D.L. 214/2011, ha previsto che il termine per la realizzazione delle iniziative agevolate finanziate a valere sugli strumenti della programmazione negoziata di cui all'articolo 1, comma 862, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e successive modificazioni (31 dicembre 2008) , fosse prorogato al 31 dicembre 2012 per le iniziative agevolate che, alla data del 31 dicembre 2011, risultassero realizzate in misura non inferiore all'80 per cento degli investimenti ammessi e a condizione che le stesse fossero completate entro il 31 dicembre 2012. Per gli interventi in fase di ultimazione e non revocati, oggetto di proroga ai sensi del comma, l'agevolazione è stata rideterminata nel limite massimo delle quote di contributi maturati per investimenti realizzati dal beneficiario. Il Ministero dello sviluppo economico è stato obbligato a presentare una relazione sulle opere concluse, e le eventuali economie realizzate sulle apposite contabilità speciali alla data del 31 dicembre 2012 sono versate all'entrata del bilancio dello Stato.

Si ricorda, inoltre, che l'articolo 1, comma 862, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge finanziaria 2007), dispone che le iniziative agevolate finanziate a valere sugli strumenti della programmazione negoziata, non ancora completate alla data di scadenza delle proroghe concesse ai sensi della vigente normativa e che, alla medesima data, risultino realizzate in misura non inferiore al 40 per cento degli investimenti ammessi, possono essere completate entro il 31 dicembre 2008. La relativa rendicontazione è completata entro i sei mesi successivi.

 

Il comma 1, quarto periodo, precisa che sono fatti salvi i provvedimenti adottati ai sensi della normativa previgente, fino alla data di emanazione del decreto di cui al secondo periodo.

 

Il comma 1 prevede infine, al quarto periodo, che per l'insieme delle imprese che non presentano le dichiarazioni sostitutive sopra indicate, entro 60 giorni dalla data di pubblicazione della predetta circolare, il Ministero dello sviluppo economico accerta la decadenza dai benefici con provvedimento da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, con salvezza degli importi già erogati sulla base dei costi e delle spese sostenute.

 

Il comma 2 prevede che il Ministero dello sviluppo economico, anche per il tramite del Nucleo speciale spesa pubblica e repressione frodi comunitarie della Guardia di finanza, effettua controlli e ispezioni, anche a campione, sugli interventi agevolati volti a verificare l'attuazione degli interventi medesimi nonché la veridicità delle dichiarazioni sostitutive.

Il Ministero redige entro il 31 dicembre una relazione di sintesi annuale circa gli esiti dei controlli da pubblicare sul sito istituzionale.

Agli oneri per i precitati controlli ed ispezioni si provvede, nel limite massimo di 500.000 euro, a valere sulle risorse residue disponibili dei patti territoriali.

Eventuali irregolarità emerse nell'ambito dei controlli comportano la revoca del contributo erogato e l'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, consistente nel pagamento di una somma in misura da due a quattro volte l'importo dell'aiuto fruito. Per l’irrogazione della sanzione si richiama la disciplina generale in materia di sanzioni amministrative di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689.

 

L’articolo 25, comma 1, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 prevede che, allo scopo di vigilare sul corretto utilizzo delle agevolazioni di cui al citato decreto-legge, il Ministero dello sviluppo economico può avvalersi del Nucleo Speciale Spesa Pubblica e Repressione Frodi Comunitarie della Guardia di Finanza, il quale svolge, anche d'iniziativa, analisi, ispezioni e controlli sui programmi di investimento ammessi alle agevolazioni.

La disposizione disciplina altresì poteri, in particolare di accesso ad atti e documenti, dei quali il Nucleo Speciale dispone nell’esecuzione di analisi, ispezioni e controlli.

 

Il comma 3 dispone che, fatti salvi gli impegni già assunti in favore delle imprese beneficiarie ovvero relativi alle rimodulazioni già autorizzate, nonché le risorse necessarie per la copertura degli oneri per i controlli e le ispezioni, le risorse residue dei patti territoriali, ove non costituiscano residui perenti, sono utilizzate per il finanziamento di progetti volti allo sviluppo del tessuto imprenditoriale territoriale, anche mediante la sperimentazione di servizi innovativi a supporto delle imprese.

Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, sono stabiliti i criteri per la ripartizione e il trasferimento delle predette risorse, nonché la disciplina per l’attuazione dei precitati progetti, anche valorizzando modelli gestionali efficienti e pregresse esperienze positive dei soggetti che hanno dimostrato capacità operativa di carattere continuativo nell’ambito della gestione dei Patti territoriali.

 

Il comma 4 prevede che alla compensazione degli effetti finanziari in termini di fabbisogno e indebitamento netto, pari a 12,75 milioni di euro per l'anno 2019, a 29,75 milioni di euro per l'anno 2020 e a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022 al 2025, si provvede ai sensi dell'articolo 50.


 

Articolo 28-bis
(Modalità di calcolo dell’ISEE corrente)

 

 

L’articolo 28-bis, inserito in sede referente, estende la possibilità di calcolare l’ISEE corrente anche in presenza di una variazione del reddito superiore al 25% dovuta ad interruzione dell’erogazione dei trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche. In questo caso, il periodo di riferimento e i redditi utili per il calcolo dell’ISEE sono individuati con le modalità utilizzate nei casi riferiti alla situazione del lavoratore dipendente a tempo indeterminato. La nuova disciplina dell’ISEE corrente entra in vigore con l’approvazione del nuovo modulo sostitutivo della DSU finalizzato alla richiesta dell’ISEE corrente. Infine, la validità dell’ISEE corrente è fissata in sei mesi (rispetto ai due mesi attuali). Solo nei casi in cui vi siano variazioni della situazione occupazionale o della fruizione dei trattamenti, l’ISEE corrente è aggiornato entro due mesi dalla variazione.

 

L’articolo 28-bis apporta modifiche al comma 5 dell’art. 10 del D.Lgs. 147/2017, dedicato all’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) corrente, di cui modifica la disciplina.

 

Si ricorda che l'ISEE è l'indicatore che misura, ai fini di una valutazione per l’accesso a prestazioni agevolate, la situazione economica dei nuclei familiari in possesso di determinati requisiti soggettivi reddituali e patrimoniali.

 

L’articolo 9 del D.P.C.M. 159/2013 ha previsto, in presenza di rilevanti variazioni del reddito a seguito di eventi avversi (ad esempio, la perdita del posto di lavoro), la possibilità di calcolare un ISEE corrente basato sui redditi degli ultimi dodici mesi (anche solo degli ultimi due mesi in caso di lavoratore dipendente a tempo indeterminato per cui sia intervenuta la perdita, sospensione o riduzione dell’attività lavorativa). Più precisamente, si prevede, per la richiesta di ISEE corrente, la compresenza delle condizioni di: 1) mutata situazione lavorativa per almeno uno dei componenti il nucleo familiare, nei 18 mesi precedenti la richiesta della prestazione; 2) variazione dell’indicatore della situazione reddituale corrente superiore al 25%. Per quanto riguarda la mutata situazione lavorativa, l’articolo 9, comma 1, precisa: a) lavoratore dipendente a tempo indeterminato per cui sia intervenuta una risoluzione del rapporto di lavoro o una sospensione dell'attività lavorativa o una riduzione della stessa; b) lavoratori dipendenti a tempo determinato ovvero impiegati con tipologie contrattuali flessibili, che risultino non occupati alla data di presentazione della DSU, e che possano dimostrare di essere stati occupati nelle forme di cui alla presente lettera per almeno 120 giorni nei dodici mesi precedenti la conclusione dell'ultimo rapporto di lavoro; c) lavoratori autonomi, non occupati alla data di presentazione della DSU, che abbiano cessato la propria attività, dopo aver svolto l'attività medesima in via continuativa per almeno dodici mesi.

 

L’ISEE corrente e la sua componente reddituale ISRE potranno essere calcolati anche in caso di una variazione della situazione reddituale superiore al 25% dovuta ad interruzione dell’erogazione dei trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non siano già inclusi nel reddito complessivo a fini IRPEF. I periodi inseriti dalla disposizione in commento nel comma 5 specificano poi che, nel caso di interruzione dei trattamenti assistenziali, indennitari e previdenziali, il periodo di riferimento e i redditi utili per il calcolo dell’ISEE sono individuati con le medesime modalità utilizzate nei casi riferiti alla situazione del lavoratore dipendente a tempo indeterminato.

 

La Relazione tecnica (RT) alla disposizione rileva che la possibilità di presentare l’ISEE corrente in presenza di riduzione dell’indicatore della situazione reddituale superiore al 25% dipendente da interruzioni di trattamenti assistenziali, indennitari e previdenziali è già contemplata attualmente, essendo ricompresa in quelle elencate nella disciplina vigente, vale a dire nella variazione della situazione lavorativa, cui può far seguito un trattamento previdenziale in sostituzione del reddito da lavoro. Si è ritenuto tuttavia utile evidenziarle separatamente per maggiore coerenza della disciplina.

 

La nuova disciplina dell’ISEE corrente sarà applicata, con le modalità ora illustrate, a far data dai quindici giorni successivi all’entrata in vigore del provvedimento di approvazione del nuovo modulo sostitutivo della DSU, finalizzato alla richiesta dell’ISEE corrente. Il nuovo modulo sarà emanato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentiti l'INPS, l'Agenzia delle entrate e il Garante per la protezione dei dati personali (ai sensi dell’articolo 10, comma 3, del D.P.C.M. 159/2017).

 

Infine, innovando rispetto alla disciplina vigente, si fissa la validità dell’ISEE corrente in sei mesi (attualmente due mesi) dal momento della presentazione del modulo sostitutivo ai fini della successiva richiesta della erogazione delle prestazioni. Solo nei casi in cui vi siano variazioni della situazione occupazionale o della fruizione dei trattamenti, l’ISEE corrente è aggiornato entro due mesi dalla variazione.

 

La RT in questo caso sottolinea come la durata dell’ISEE corrente limitata a due mesi apparisse un periodo eccessivamente limitato con l’effetto di produrre oneri non necessari in capo all’INPS nelle situazioni di rinnovi in assenza di modifiche.


 

Articolo 29, commi 1-9
(Nuove imprese a tasso zero,
Smart & Start
e
Digital Transformation)

 

 

L'articolo 29modificato nel corso dell’esame in sede referente - reca disposizioni in materia di incentivi per la nuova imprenditorialità (commi 1-2), di revisione della disciplina attuativa per le aree di crisi industriale di cui alla L. n. 181/1989 sulla base di specifici criteri direttivi (commi 3 e 4). L’articolo, inoltre, al fine di favorire la trasformazione tecnologica e digitale dei processi produttivi delle micro, piccole e medie imprese, demanda a un decreto del MISE la definizione dei criteri, delle condizioni e delle modalità per la concessione di agevolazioni finanziarie nella misura massima del 50 per cento dei costi ammissibili.

Nel corso dell’esame in sede referente, è stato specificato che i progetti di trasformazione tecnologica e digitale delle MPMI debbano essere anche coerenti con le linee strategiche del Piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione 2019-2021 e che il decreto del MISE debba essere adottato sentita l'Agenzia per l'Italia digitale (comma 5).

Nel corso dell’esame in sede referente, sono state altresì incluse, tra le tecnologie abilitanti del Piano Impresa 4.0, alla cui implementazione sono dirette le agevolazioni, le seguenti voci: soluzioni tecnologiche digitali di filiera finalizzate all'ottimizzazione della gestione della catena di distribuzione e della gestione delle relazioni con i diversi attori; software; piattaforme e applicazioni digitali per la gestione e il coordinamento della logistica con elevate caratteristiche di integrazione delle attività di servizio; altre tecnologie quali sistemi di e-commerce, sistemi di pagamento mobile e via internet, fintech, sistemi elettronici per lo scambio di dati (electronic data interchange,EDI), geolocalizzazione, tecnologie per l'in-store customer experience, system integration applicata all'automazione dei processi, blockchain, intelligenza artificiale, internet of things.

Inoltre, l’importo di spesa dei progetti di trasformazione tecnologica e digitale ammessi a beneficio deve ora essere almeno pari a 50 mila euro, anziché 200 mila euro come previsto prima dell’esame nelle Commissioni di merito (comma 6).

Sempre in sede referente, sono state altresì inserite, tra i potenziali beneficiari delle misure di incentivazione in questione, in via sperimentale per gli anni 2019 e 2020, le imprese del settore turistico impegnate nella digitalizzazione della fruizione dei beni culturali, anche al fine di una maggiore accessibilità per i soggetti disabili.

Inoltre, in sede referente, è stato portato da 500 a 100 mila euro l’importo dei ricavi delle vendite e delle prestazioni conseguito nell’ultimo esercizio certificato considerato quale requisito ai fini dell’accesso ai benefici da parte delle imprese (comma 7). Si dispone in ordine alla copertura finanziaria degli interventi (commi 8 e 9).

Infine, in sede referente, è stato introdotto un nuovo comma 7-bis, secondo il quale le imprese, in numero non superiore a dieci, possono presentare anche congiuntamente tra loro progetti realizzati mediante il ricorso allo strumento del contratto di rete o ad altre forme contrattuali di collaborazione, compresi il consorzio e l'accordo di partenariato in cui figuri come promotore capofila un DIH-digital innovation hub o un EDI-ecosistema digitale per l'innovazione, di cui al Piano nazionale Impresa 4.0.

 

Il comma 1 novella gli articoli 2, comma 1, comma 3, comma 1, lettera a) e 4 del d.lgs. 185/2000.Vi introduce altresì un nuovo articolo 4-ter.

In particolare:

§  innalza da 8 a 10 anni la durata massima dei mutui agevolati per gli investimenti concedibili, a un tasso pari a zero, ai soggetti ammessi alle agevolazioni per la nuova imprenditorialità nei settori della produzione dei beni e dell'erogazione dei servizi (titolo I, capo 0I, D.Lgs 185/2000). Inoltre introduce la previsione per cui, nel caso di imprese costituite da almeno 36 mesi e da non oltre 60 mesi, la percentuale di copertura delle spese ammissibili è innalzata al 90 per cento del totale e le agevolazioni possono essere concesse ai sensi dell'articolo 17 del regolamento (UE) n. 651/2014. La legislazione vigente prevede in generale che tali mutui sono di importo non superiore al 75 per cento della spesa ammissibile (novella all'articolo 2, comma 1);

§  prevede che possono beneficiare delle agevolazioni le imprese costituite da non più di 60 mesi (invece dei 12 attualmente previsti) alla data di presentazione della domanda di agevolazione (novella all'articolo 3, comma 1, lettera a);

§  espunge il riferimento alle esclusioni e ai limiti previsti dal regolamento (CE) n. 1998/2006 e dalle relative disposizioni modificative nell'ambito della previsione per cui possono essere finanziate le iniziative che prevedano investimenti non superiori a 1.500.000 euro, relative alla produzione di beni nei settori dell'industria, dell'artigianato, della trasformazione dei prodotti agricoli ovvero all'erogazione di servizi in qualsiasi settore, incluse le iniziative nel commercio e nel turismo, nonché le iniziative relative agli ulteriori settori di particolare rilevanza per lo sviluppo dell'imprenditoria giovanile. Introduce inoltre la norma per cui l'importo massimo delle spese ammissibili è innalzato a 3 milioni di euro per le imprese costituite da almeno trentasei mesi e da non oltre sessanta mesi. Sono fatte salve le limitazioni derivanti dall'applicazione della disciplina europea in materia di aiuti di Stato di riferimento (novella all'articolo 4);

§  introduce la previsione per cui le agevolazioni di cui al titolo I, Capo 0I, D.Lgs. 185/2000, possono essere cumulate con altri aiuti di Stato anche de minimis, nei limiti previsti dalla disciplina europea in materia di aiuti di Stato di riferimento. (nuovo articolo 4-ter).

 

Il comma 2 demanda a un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, la ridefinizione della disciplina di attuazione della misura di cui al Capo 0I del D.Lgs. 185/2000, prevedendo anche, per le imprese di più recente costituzione, l'offerta di servizi di tutoraggio e la copertura dei costi iniziali di gestione, per una percentuale comunque non superiore al 20 per cento del totale delle spese ammissibili. Ciò al fine di garantire il tempestivo adeguamento alle disposizioni di cui al comma 1 e individuare modalità atte a consentire la maggiore efficacia dell'intervento.

Fino all'entrata in vigore delle predette disposizioni attuative, alle iniziative agevolate ai sensi del medesimo decreto legislativo continua ad applicarsi la disciplina vigente alla data di entrata in vigore del decreto-legge.

 

Si veda la pagina dedicata alle Misure per l’autoimprenditorialità - Nuove imprese a tasso zero sul sito del MISE.

 

Il comma 3 prevede che al fine di garantire la piena accessibilità agli interventi per l'incentivazione delle attività imprenditoriali e il contenimento degli oneri amministrativi e finanziari a carico delle imprese beneficiarie, il Ministro dello sviluppo economico procede con propri decreti, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge e sulla base dei criteri di cui al comma 4, alla revisione della disciplina attuativa degli strumenti di competenza, con particolare riferimento agli interventi per le aree di crisi industriale agevolati ai sensi della L. 181/1989, e all'intervento in favore delle start-up innovative di cui al DM 24 settembre 2014. Ai medesimi fini il Ministero dello sviluppo economico fornisce, ove necessario, specifiche direttive ai soggetti gestori dei singoli interventi.

Il comma 4 prevede che la suddetta revisione è improntata alla semplificazione e accelerazione delle procedure di accesso, concessione e erogazione delle agevolazioni, anche attraverso l'aggiornamento delle modalità di valutazione delle iniziative e di rendicontazione delle spese sostenute dai beneficiari, nonché all'incremento dell'efficacia degli interventi, con l'individuazione di modalità di intervento più adeguate al contesto di riferimento e idonee a consentire l'ampia partecipazione dei soggetti interessati, anche mediante una revisione degli impegni finanziari richiesti ai proponenti, nonché, per gli interventi di riqualificazione delle aree di crisi industriale, atte a favorire la partecipazione anche finanziaria degli enti e soggetti del territorio.

Il comma 5, al fine di favorire la trasformazione tecnologica e digitale dei processi produttivi delle micro, piccole e medie imprese, anche in coerenza con le linee strategiche del Piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione 2019-2021, demanda a un decreto del MISE - sentita l'Agenzia per l'Italia digitale - la definizione dei criteri, delle condizioni e delle modalità per la concessione di agevolazioni finanziarie nella misura massima del 50 per cento dei costi ammissibili definite nei limiti stabiliti dal Regolamento (UE) 1407/2013 ovvero dell'articolo 29 del Regolamento UE 651/2014.

Rispetto al testo originario, in sede referente è stato inserito il riferimento al Piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione e all'Agenzia per l'Italia digitale.

 

Nel marzo 2019 è stato approvato dal Governo il Piano triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione 2019-2021, documento di indirizzo strategico ed economico destinato alle amministrazioni che accompagna la trasformazione digitale del Paese.

Nel proseguire gli indirizzi contenuti nella versione 2017-2019, il Piano:

§  sostiene il percorso inclusivo di crescita digitale delle PA centrali e locali con un maggiore coinvolgimento della figura del responsabile per la transizione al digitale;

§  definisce i principi architetturali fondamentali, le regole di interoperabilità delle infrastrutture nazionali e il modello di cooperazione fra ecosistemi e piattaforme;

§  facilita il rapporto tra le PA e il mercato, coinvolgendo anche i soggetti privati nello sviluppo di servizi integrati ed interoperabili;

§  introduce una nuova chiave di lettura delle iniziative di trasformazione digitale che individua le aree di intervento e l’impatto sugli interlocutori e gli attori principali del percorso: i cittadini, le imprese e le PA.

 

L'Agenzia per l'Italia Digitale, sottoposta alla vigilanza del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro da lui delegato, è stata istituita dall'art. 19, co. 1, del D.L. 83/2012 (L. 134/2012).

L'Agenzia opera sulla base di principi di autonomia organizzativa, tecnico-operativa, gestionale, di trasparenza e di economicità e persegue gli obiettivi di efficacia, efficienza, imparzialità, semplificazione e partecipazione dei cittadini e delle imprese.

Il riassetto della governance dell'Agenzia è stato operato con l'art. 13 del D.L. 69/2013 (L. 98/2013).

 

Il comma 6 prevede che le suddette agevolazioni sono dirette a sostenere la realizzazione dei progetti di trasformazione tecnologica e digitale aventi le seguenti caratteristiche:

a)   essere diretti all'implementazione delle tecnologie abilitanti individuate nel piano Impresa 4.0. Si tratta di:

-     advanced manufacturing solutions, addittive manufacturing, realtà aumentata, simulation, integrazione orizzontale e verticale, industrial internet, cloud, cybersecurity, big data e analytics;

-     nonché delle seguenti tecnologie (inserite in sede referente) relative a soluzioni tecnologiche digitali di filiera finalizzate all'ottimizzazione della gestione della catena di distribuzione e della gestione delle relazioni con i diversi attori, al software, alle piattaforme e applicazioni digitali per la gestione e il coordinamento della logistica con elevate caratteristiche di integrazione delle attività di servizio nonché ad altre tecnologie quali sistemi di e-commerce, sistemi di pagamento mobile e via internet, fintech, sistemi elettronici per lo scambio di dati (electronic data interchange, EDI), geolocalizzazione, tecnologie per l'in-store customer experience, system integration applicata all'automazione dei processi, blockchain, intelligenza artificiale, internet of things;

b)  presentare un importo di spesa almeno pari a 50 mila euro (anziché 200 mila euro come nel testo originario).

 

Ai sensi del comma 7, per l'accesso alle predette agevolazioni, le imprese devono possedere, alla data di presentazione della domanda di agevolazione, le seguenti caratteristiche:

a)   essere iscritte e risultare attive nel Registro delle imprese;

b)  operare in via prevalente/primaria nel settore manifatturiero e/o in quello dei servizi diretti alle imprese manifatturiere nonché (come modificato in sede referente), al fine di accrescerne la competitività ed in via sperimentale per gli anni 2019-2020, nel settore turistico per le imprese impegnate nella digitalizzazione della fruizione dei beni culturali, anche in un'ottica di maggiore accessibilità e in favore dei soggetti portatori di handicap;

c)   avere conseguito nell'esercizio cui si riferisce l'ultimo bilancio approvato e depositato un importo dei ricavi delle vendite e delle prestazioni pari almeno a euro 100 mila (anziché 500 come nel testo originario);

d)  aver approvato e depositato almeno due bilanci;

e)   non essere sottoposto a procedura concorsuale e non trovarsi in stato di fallimento, di liquidazione anche volontaria, di amministrazione controllata, di concordato preventivo o in qualsiasi altra situazione equivalente secondo la normativa vigente.

Il comma 7-bisinserito in sede referente - prevede che i soggetti in possesso dei suddetti requisiti, in numero non superiore a 10 imprese, possono presentare anche congiuntamente tra loro progetti realizzati mediante il ricorso allo strumento del contratto di rete o ad altre forme contrattuali di collaborazione, compresi il consorzio e l'accordo di partenariato in cui figuri come soggetto promotore capofila un DIH-digital innovation hub o un EDI-ecosistema digitale per l'innovazione, di cui al Piano Nazionale Impresa 4.0. In tali progetti l'importo di 500 mila euro, previsto dal comma 7, lettera c), può essere conseguito mediante la somma dei ricavi delle vendite e delle prestazioni realizzati da tutti i soggetti proponenti nell'esercizio cui si riferisce l'ultimo bilancio approvato e depositato.

 

Per la concessione delle agevolazioni previste dai commi da 5 a 7, il comma 8 autorizza la spesa di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020 per la concessione di contributi a fondo perduto e destina 80 milioni di euro a valere sulle disponibilità del Fondo per la crescita sostenibile di cui all'articolo 23 del D.L. 83/2012 (L. 134/2012) per la concessione di finanziamenti agevolati.

Il comma 9 prevede che agli oneri derivanti dai commi 2 e 8, pari a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020, e in termini di fabbisogno e indebitamento netto pari a 10 milioni di euro per il 2019, a 10,5 milioni di euro per il 2020 e a 1,5 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2021 al 2023, si provvede ai sensi dell'articolo 50 (alla cui scheda di lettura si rinvia).


 

Articolo 29, commi 9-bis-9-novies
(Disposizioni per assicurare lo sviluppo dei servizi digitali
delle pubbliche amministrazioni)

 

 

I commi da 9-bis e 9-octies, dell’articolo 29 inseriti in sede referente, prevedono che con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri siano individuate le aree di servizi digitali delle pubbliche amministrazioni a cui è possibile accedere anche tramite strutture e piattaforme tecnologiche del fornitore del servizio universale postale (ossia Poste italiane S.p.A.) al fine di assicurare lo sviluppo del processo di digitalizzazione nell’interesse generale, consentendo l’accesso ai servizi della p.a. in forma semplificata, ottimizzandone la fruizione e conseguendo maggiore efficienza, tempestività e uniformità di erogazione su tutto il territorio nazionale (comma 9-bis).

Con i medesimi decreti devono essere inoltre stabilite le categorie di utenti ammessi alla fruizione dei servizi individuati, il livello e le modalità di effettuazione delle prestazioni da parte di Poste italiane, l’entità massima del contributo riconosciuto in favore di Poste a valere sul fondo istituito ai sensi del successivo comma 9-quater. I rapporti tra l’amministrazione statale titolare del servizio digitale e il fornitore del servizio sono definiti mediante apposita convenzione. Con tali decreti sono altresì individuate le modalità di remunerazione dell’attività prestata ove lo stanziamento a valere sul citato fondo non sia sufficiente a remunerare il servizio effettivamente prestato (commi 9-bis e 9-ter).

Viene riconosciuta anche in capo alle pubbliche amministrazioni non statali la facoltà di consentire l’accesso alle aree dei servizi digitali di propria titolarità attraverso strutture e piattaforme tecnologiche di Poste italiane, secondo criteri che dovranno essere stabiliti nei decreti di cui sopra (comma 9-quinquies).

Al personale di Poste italiane è affidata l’identificazione, in qualità di incaricati di pubblico servizio, dei soggetti che richiedono i servizi digitali (comma 9-sexies). Gli eventuali servizi aggiuntivi ovvero quelli in mobilità a domicilio offerti da Poste rispetto a quelli previsti nel DPCM, sono posti a carico dell’utente con costi resi noti sul sito di Poste italiane (comma 9-septies). La durata del servizio di interesse generale assicurata dal gestore del servizio universale viene prevista nella stessa durata del servizio universale postale (comma 9-octies).

La copertura finanziaria degli oneri relativi ai commi da 9-bis a 9-octies viene posta a carico di una quota delle entrate dello Stato derivanti dalla distribuzione di utili d’esercizio o di riserve sotto forma di dividendi delle società partecipate dal Ministero dell'economia e delle finanze, entro il limite massimo di 15 milioni di euro annui (comma 9-quater).

Il comma 9-novies pone in capo all’Enit-Agenzia nazionale del turismo il compito di promuovere i servizi turistici e culturali e favorire la commercializzazione di prodotti enogastronomici, tipici e artigianali in Italia e all’estero, anche attraverso un portale dedicato già esistente e l’affidamento la realizzazione e la gestione di apposita carta, su supporto cartaceo o digitale, la quale consente, tra l’altro, di acquistare beni e servizi per la fruizione di servizi pubblici di trasporto, dei luoghi della cultura, dei parchi divertimento e degli spettacoli viaggianti, nonché di disporre di agevolazioni per l’acquisto di servizi e prodotti enogastronomici a seguito di apposite convenzioni stipulate a livello locale con soggetti pubblici e privati. La norma poi elenca i requisiti dei quali i soggetti ai quali il servizio è affidato devono risultare in possesso.

 

Più nel dettaglio, il comma 9-bis stabilisce che con uno o più DPCM siano individuate le aree di servizi digitali delle pubbliche amministrazioni a cui è possibile accedere anche tramite strutture e piattaforme tecnologiche del fornitore del servizio universale postale (ossia Poste italiane S.p.A.). I decreti sono adottati su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con il MEF, sentita l’Agenzia per l’Italia digitale (Agid) e previa intesa in sede di Conferenza unificata.

 

Il comma rinvia al fornitore del servizio universale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261: si tratta della norma che prevede l’affidamento del servizio universale postale e ne definisce le caratteristiche, disponendo (art. 3, co. 11) che il fornitore del servizio universale sia designato nel rispetto del principio di trasparenza, non discriminazione e proporzionalità. Il servizio è stato affidato a Poste italiane S.p.a, trasformata in società per azioni dal 28 febbraio 1998.

Poste Italiane S.p.A. è attualmente una società quotata sottoposta al controllo del Ministero dell’Economia e della Finanze (MEF) che ne detiene il 64,26% del capitale, di cui il 29,26% in via diretta e il 35% in via indiretta per il tramite di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. a sua volta controllata dal MEF. La restante parte del 35,74% del capitale è rappresentato dal flottante. La cessione di una quota della partecipazione del MEF nella società ai fini della quotazione sul mercato azionario ha avuto luogo a partire dal 2014 e si è conclusa il 23 ottobre 2015.

Il servizio postale universale è regolato, come detto, dal decreto legislativo n. 261 del 1999 e dai successivi decreti di modifica dello stesso, che hanno dato attuazione alle tre direttive europee in materia postale.


 

I contenuti del servizio postale universale sono definiti a livello europeo da una serie di direttive (la cd. "prima direttiva postale" 97/67/UE come modificata dalla seconda direttiva 2002/39/UE e dalla terza direttiva n.2008/6/UE) che prevedono che il servizio universale corrisponda ad un'offerta di servizi postali di qualità determinata forniti permanentemente in tutti i punti del territorio a prezzi accessibili a tutti gli utenti. Gli Stati membri non possono concedere né mantenere in vigore diritti esclusivi o speciali per l'instaurazione e la fornitura di servizi postali.

Il decreto legislativo n. 261 del 1999 che ha recepito la prima direttiva e relativo allo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari, da ultimo modificato dal decreto legislativo n. 58 del 2011 di recepimento della terza direttiva postale, dispone che la fornitura dei servizi relativi alla raccolta, allo smistamento, al trasporto ed alla distribuzione degli invii postali, nonché la realizzazione e l'esercizio della rete postale pubblica, costituiscano attività di preminente interesse generale ed ha previsto un unico fornitore del servizio universale postale (Poste italiane S.p.A.), con una distinzione, non presente nell'ordinamento comunitario, tra fornitore del servizio e prestatori del medesimo servizio. Il primo fornisce il servizio integralmente su tutto il territorio nazionale; i secondi forniscono prestazioni singole e specifiche.

I rapporti tra lo Stato e il fornitore del servizio universale sono disciplinati da un Contratto di programma quinquennale che disciplina anche gli importi dei trasferimenti a carico del bilancio dello Stato per l'erogazione del servizio universale. Attualmente vige il Contratto di programma tra il Ministero dello Sviluppo Economico e Poste Italiane 2015-2019, secondo quanto disposto dalla legge di stabilità per il 2015.

L'offerta al pubblico di singoli servizi, che rientrano nel campo di applicazione del servizio universale, è soggetta al rilascio di licenza individuale da parte del Ministero dello sviluppo economico. L'offerta al pubblico di servizi non rientranti nel servizio universale, compreso l'esercizio di casellari privati per la distribuzione di invii di corrispondenza, è soggetta invece ad autorizzazione generale del Ministero dello sviluppo economico

Il servizio universale è finanziato in Italia combinando le due modalità previste dalla direttiva europea ossia:

a) attraverso trasferimenti posti a carico del bilancio dello Stato.

b) attraverso un fondo di compensazione (art. 10 del d.lgs. n. 261/1999) al quale sono tenuti a contribuire i titolari di licenze individuali e di autorizzazione generale.

L'autorità di regolamentazione del settore postale (AGCOM) rende pubblica annualmente la quantificazione dell'onere del servizio universale e le sue modalità di finanziamento.

 

L’obiettivo dell’individuazione dei servizi digitali è, per esplicita previsione della disposizione, di assicurare lo sviluppo del processo di digitalizzazione, attraverso soluzioni innovative che consentano di accedere ai servizi della p.a. in forme semplificate, al fine di promuovere il superamento del divario digitale e di conseguire maggiore efficienza, tempestività e uniformità in tutto il territorio nazionale nell’erogazione di servizi pubblici anche in modalità digitale, nonché di servizi offerti in mobilità a domicilio, nelle aree urbane, decentrate e rurali, semplificando l’accesso universale dei cittadini e delle imprese ai nuovi servizi e sostenendo lo sviluppo del commercio elettronico.

 

La trasformazione digitale dell’amministrazione è uno degli obiettivi chiave dell’Agenda digitale europea e della conseguente strategia nazionale. In tale contesto, la Strategia per la Crescita Digitale è la componente dell’Agenda digitale italiana rivolta allo sviluppo dei servizi digitali delle pubbliche amministrazioni.

Il Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione 2019-2021 – a cui è demandata la concreta attuazione di tale strategia - ribadisce la centralità delle aspettative dei cittadini e delle imprese per l’accesso a servizi pubblici digitali semplici ed efficaci nell’ambito del processo di trasformazione digitale. Tra i requisiti strategici da soddisfare, viene considerato infatti prioritario il principio del “digital by default”, ovvero “digitale per definizione”: le pubbliche amministrazioni devono fornire servizi digitali come opzione predefinita.

Il Codice dell’amministrazione digitale (CAD, adottato con D.Lgs. 82/2005, come modificato dal D.Lgs. 217/2017) costituisce la principale fonte normativa e fornisce il contesto di riferimento per la definizione e l’attuazione del Piano Triennale 2019 - 2021 ai fini della realizzazione del processo di trasformazione digitale delle amministrazioni. Rivestono particolare importanza le norme che disciplinano i diritti digitali di cittadini e imprese e definiscono alcuni strumenti per il loro esercizio quali, ad esempio:

§  l’articolo 3-bis sull’identità digitale (attraverso il Sistema pubblico di Identità digitale – SPID s’intende garantire a tutti i cittadini e le imprese un accesso sicuro e protetto ai servizi digitali della PA e dei soggetti privati che vi aderiscono) e il domicilio digitale all’interno dell’Anagrafe Nazionale della popolazione residente – ANPR (cittadini e soggetti possono eleggere tale domicilio per ricevere le comunicazioni da parte delle PA e dei gestori di servizi pubblici). Un ulteriore strumento è rappresentato dalla carta d’identità elettronica (CIE) documento d'identità munito di elementi per l'identificazione fisica del titolare rilasciato su supporto informatico dalle amministrazioni comunali con la prevalente finalità di dimostrare l'identità anagrafica del suo titolare (art. 66);

§  l’articolo 5 che riguarda l’effettuazione di pagamenti con modalità informatiche attraverso la Piattaforma per l’effettuazione dei pagamenti – pagoPA;

§  l’articolo 7 relativo al diritto degli utenti a servizi online semplici e integrati;

§  gli artt. 8 e 8-bis che disciplinano rispettivamente l’alfabetizzazione informatica dei cittadini e la connettività alla rete Internet negli uffici e luoghi pubblici.

Per quanto concerne le piattaforme per l’accesso ai relativi servizi, si ricorda che:

§  il Sistema pubblico di identità digitale (SPID), è costituito da un insieme aperto di soggetti pubblici e privati che, previo accreditamento da parte di AGID, gestiscono i servizi di registrazione e di messa a disposizione delle credenziali e degli strumenti di accesso in rete, nei riguardi di cittadini e imprese. Attualmente gli identity provider (gestori di identità) accreditati sono nove, il cui elenco è pubblicato sul sito dell’AgID: Aruba, Infocert, Namirial, Lepida, Poste Italiane, Register.it, Sielte, TIM, Intesa;

§  la piattaforma pagoPA centralizza tutti i pagamenti di tributi, tasse universitarie e mense scolastiche, multe, TARI e tutti i servizi delle pubbliche amministrazioni. La piattaforma era coordinata da AgID e realizzata tecnologicamente da SIA, società partecipata da Cassa depositi e prestiti (CDP). Il D.L. 135/2018 (art. 8, co. 1 e 2) ha disposto il trasferimento dall’AgID alla Presidenza del Consiglio dei ministri dei compiti relativi alla piattaforma tecnologica per l'interconnessione e l'interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni e i prestatori di servizi di pagamento e previsto la costituzione di una società per azioni interamente partecipata dallo Stato per lo svolgimento delle suddette attività relative alla piattaforma tecnologica;

§  l’emissione della carta d'identità elettronica è riservata al Ministero dell'interno, che vi provvede nel rispetto delle norme di sicurezza in materia di carte valori, di documenti di sicurezza della Repubblica e degli standard internazionali di sicurezza (art. 7-vicies ter, comma 2-bis del D.L. 43/2005). Una recente modifica normativa consente al Ministero dell’interno di stipulare convenzioni per la gestione e il rilascio della carta d’identità elettronica, nel limite di spesa di 750 mila euro a decorrere dal 2019, con soggetti che abbiano i seguenti requisiti: a) siano dotati di una rete di sportelli diffusa su tutto il territorio nazionale; b) siano Identity provider; c) abbiano la qualifica di Certification Authority accreditata dall'Agenzia per l'Italia Digitale (art. 1, co. 811-812, L. 145/2018).

Dati completi e aggiornati di monitoraggio sui progetti di trasformazione digitale della PA sono disponibili al seguente link.

 

Secondo le informazioni rese nel corso dell’audizione dell'amministratore delegato di Poste nella seduta del 18 settembre 2018 presso la Commissione IX della Camera dei deputati, Poste italiane attualmente fornisce servizi quali SPID (il 90% dei certificati di identità digitale sono fornite da Poste italiane), servizi di pagamento (in cui Poste italiane è il primo provider connesso con la piattaforma nazionale dei pagamenti digitali “Pago PA” ), oltre ad attività quali la tesoreria per i piccoli comuni ed ulteriori servizi sulla base di convenzioni con le pubbliche amministrazioni.

Con riferimento alle strategie aziendali di Poste italiane si veda la citata audizione del 18 settembre 2018 e la relativa documentazione depositata.

 

Oltre ai servizi digitali accessibili mediante Poste italiane, i DPCM devono indicare ulteriori aspetti, nel rispetto della disciplina europea in materia di gestione di servizi di interesse economico generale (SIEG).

 

In proposito, si ricorda che per servizi di interesse generale la normativa europea intende i servizi che le autorità pubbliche degli Stati membri dell’UE classificano come di interesse generale e che pertanto sono soggetti a obblighi specifici di pubblico servizio. Essi possono essere forniti dallo Stato o dal settore privato. All’interno di tale categoria, i servizi di interesse economico generale (SIEG) sono attività economiche che le autorità pubbliche identificano come particolarmente importanti per i cittadini e che non sarebbero fornite (o sarebbero fornite a condizioni diverse) se non ci fosse un intervento pubblico: questo, in particolare, è il caso dei servizi di trasporto, di energia, di comunicazione e dei servizi postali. Tali servizi sono soggetti alle norme in materia di concorrenza e mercato interno europeo. Tuttavia, sono possibili deroghe a tali norme qualora sia necessario per garantire l’accesso dei cittadini ai servizi di base.

Nell’ambito dell’Unione europea è stato sviluppato anche il concetto di servizio universale, che serve a definire un insieme minimo di servizi di una qualità determinata, accessibili a tutti gli utenti a prescindere dalla loro ubicazione geografica e, tenuto conto delle condizioni nazionali specifiche, offerti ad un prezzo accessibile, anche se il mercato non lo fornisce.

 

Si tratta, in particolare, di specificare nei decreti:

§  le categorie di utenti ammessi alla fruizione dei servizi individuati;

§  il livello e le modalità di effettuazione delle prestazioni da parte di Poste italiane;

§  l’entità massima del contributo riconosciuto in favore di Poste a valere sul fondo istituito ai sensi del successivo comma 9-quater, nonché le modalità di remunerazione dell’attività prestata ove lo stanziamento a valere sul citato fondo non sia sufficiente a remunerare il servizio effettivamente prestato.

In proposito sembrerebbe venire in rilievo la disciplina europea sugli aiuti di Stato sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico concessi a determinate imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale.

In proposito la Decisione della Commissione Europea del 20 dicembre 2011 in applicazione delle disposizioni dell’articolo 106, paragrafo 212, del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, prevede, all’articolo 4, che la gestione del SIEG debba essere affidata ad un’impresa mediante un atto che contenga necessariamente le seguenti indicazioni:

a) oggetto e durata degli obblighi di servizio pubblico;

b) l’impresa e, se del caso, il territorio interessati;

c) la natura dei diritti esclusivi o speciali eventualmente conferiti all’impresa dall’autorità che assegna l’incarico;

d) la descrizione del sistema di compensazione e i parametri per il calcolo, il controllo e la revisione della compensazione;

e) le disposizioni intese a prevenire ed eventualmente recuperare le sovra-compensazioni;

f) un riferimento alla Decisione stessa.

La compensazione per la prestazione dei SIEG deve essere limitata a “quanto necessario per coprire il costo netto determinato dall’adempimento degli obblighi di servizio pubblico, nonché un margine di utile ragionevole” (art 5 della Decisione). Ai fini del calcolo della compensazione i costi da prendere in considerazione sono quindi i seguenti:

(i) quando le attività dell’impresa considerata si limitano al SIEG, tutti i costi supportati dall’impresa;

(ii) quando l’impresa svolge anche attività al di fuori dell’ambito del servizio di interesse economico generale, solo i costi relativi al servizio di interesse economico generale.

 

La disposizione rinvia, infine, ad apposita convenzione per la definizione dei rapporti tra l’amministrazione statale titolare del servizio digitale e il citato fornitore del servizio universale (comma 9-ter).

 

Il comma 9-quater pone a copertura finanziaria degli oneri relativi ai commi da 9-bis a 9-octies una quota delle entrate dello Stato derivanti dalla distribuzione di utili d'esercizio o di riserve sotto forma di dividendi delle società partecipate dal Ministero dell'economia e delle finanze, entro il limite massimo di 15 milioni di euro annui, nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica. Le entrate autorizzate a tale titolo sono riassegnate, anche in deroga ai limiti previsti per le riassegnazioni, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, a un apposito fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze. Viene inoltre ridotta dal 15 al 10 per cento la percentuale minima dell’ammontare delle medesime entrate dello Stato derivanti dalla distribuzione di utili d'esercizio o di riserve sotto forma di dividendi delle società partecipate dal MEF che con la legge di bilancio per il 2019 (articolo 1, comma 216, della legge n.145/2018) ha destinato ad investimenti in Fondi di Venture Capital. La norma, infine, sposta la decorrenza delle disposizioni del citato comma 216 al 1° luglio 2019.

 

Il comma 9-quinquies riconosce anche in capo alle pubbliche amministrazioni non statali la facoltà di consentire l’accesso alle aree dei servizi digitali di propria titolarità attraverso strutture e piattaforme tecnologiche di Poste italiane, secondo criteri che dovranno essere stabiliti nei decreti di cui sopra.

Ciascuna amministrazione provvede ai relativi oneri nei limiti delle risorse iscritte in appositi capitoli di bilancio, con esclusione di nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Il comma 9-sexies prevede che qualora l’accesso ai servizi digitali necessiti dell’identificazione degli aventi diritto, il personale del gestore del servizio universale (Poste italiane) proceda all’identificazione in base alle norme vigenti e assuma la qualità di incaricato di pubblico servizio.

La definizione di “incaricati di pubblico servizio”, che implica il riconoscimento della natura pubblicistica delle attività assegnate ai soggetti convenzionati, determina l’applicabilità delle forme di tutela e di responsabilità penale previste nel nostro ordinamento per tali soggetti, nonché delle altre disposizioni relative all’attività amministrativa riconducibili allo svolgimento di un pubblico servizio.

Si ricorda, in proposito, che la nozione di incaricato di pubblico servizio è contenuta nell’art. 358 del codice penale, in base al quale, agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio.

 

Il comma 9-septies stabilisce che sia la prestazione di servizi in mobilità a domicilio, che di servizi aggiuntivi rispetto a quelli che saranno individuati con i DPCM, siano a carico esclusivo dell’utente. A tal fine Poste italiane dovrà pubblicare, anche sul proprio sito internet, l’esistenza di tali servizi con indicazione della loro natura e dei relativi costi a carico dell’utente.

Il comma 9-octies prevede che il servizio di interesse economico generale di cui al comma 9-bis sia garantito dal fornitore del servizio universale di cui sopra, per una durata pari a quella dell’affidamento del servizio universale.

A tale riguardo vengono in rilievo le modalità di selezione delle imprese incaricate dei servizi di interesse economico generale.

 

Si ricorda in proposito che quando l’amministrazione valuti che il perseguimento dell'interesse pubblico debba essere assicurato mediante l’attribuzione dell’obbligo di servizio pubblico a uno o più operatori economici, può scegliere la modalità di gestione dello stesso tra le seguenti opzioni:

§  affidamento mediante procedura a evidenza pubblica, in applicazione delle disposizioni in materia di contratti pubblici. Qui vengono in rilievo le disposizioni del c.d. Codice degli appalti, adottato con D.Lgs n. 50 del 2016 ("Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture". In questa sede si ricordano solo i principi generali per l'aggiudicazione e l'esecuzione di appalti e concessioni recati dall'art. 30, co. 1, del Codice: "L'affidamento e l'esecuzione di appalti di opere, lavori, servizi, forniture e concessioni, ai sensi del presente codice garantisce la qualità delle prestazioni e si svolge nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza. Nell'affidamento degli appalti e delle concessioni, le stazioni appaltanti rispettano, altresì, i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice. Il principio di economicità può essere subordinato, nei limiti in cui è espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti nel bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute, dell'ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico";

§  affidamento a società mista, il cui socio privato sia stato scelto con procedura a evidenza pubblica, nel rispetto delle modalità previste dall'ordinamento dell'Unione europea e dal decreto legislativo recante il testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (D.Lgs. 175 del 2016). In questo caso, l'affidamento dell'organizzazione e gestione di un servizio di interesse generale si realizza attraverso la cd. gara a doppio oggetto (riguardante sia la qualità di socio sia l’affidamento del contratto di appalto o di concessione oggetto esclusivo dell’attività della società mista.

§  gestione diretta mediante affidamento in house purché sussistano i requisiti previsti dall'ordinamento europeo e vi sia il rispetto dei vincoli normativi vigenti (oggi codificati anche nel Codice degli appalti, adottato con D.Lgs n. 50 del 2016). La giurisprudenza comunitaria consente la gestione diretta del servizio pubblico, allorquando l'applicazione delle regole di concorrenza ostacoli, in diritto o in fatto, la «speciale missione» dell'ente pubblico (art. 106 TFUE), alle sole condizioni del capitale totalmente pubblico della società affidataria, del cosiddetto controllo "analogo" (il controllo esercitato dall'aggiudicante sull'affidatario deve essere di "contenuto analogo" a quello esercitato dall'aggiudicante sui propri uffici) ed infine dello svolgimento della parte più importante dell'attività dell'affidatario in favore dell'aggiudicante.

 

Si valuti l'opportunità di qualificare maggiormente l'ambito e la tipologia dei servizi oggetto delle disposizioni in esame, anche ai fini di una qualificazione più puntuale dello stesso nell’ambito del quadro normativo nazionale e dell'UE sulle modalità di affidamento.

 

Per quanto riguarda la durata, la disposizione sembra riferirsi alla fornitura del servizio universale postale, riconosciuta ex lege (art. 23, co. 2 del decreto legislativo n. 261 del 1999) alla società Poste italiane Spa per un periodo di quindici anni a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 58/2011 (che scadono il 30 aprile 2026). In dettaglio tale decreto ha disposto l'affidamento per un periodo di quindici anni, con possibilità di revoca, ogni quinquennio, qualora la verifica dello stato del rispetto degli obblighi del contratto di programma dia esito negativo.

Occorrerebbe chiarire se per “durata pari a quella dell’affidamento del servizio universale” si intenda la durata prevista ex lege per il servizio universale postale svolto da Poste italiane, pari a 15 anni, o la durata ad oggi residua di tale servizio, che scadrà nel 2026.

 

Il comma 9-novies, richiamando l’obiettivo descritto al comma 9-bis, ossia quello di assicurare lo sviluppo del processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione, prevede che l’Agenzia nazionale del turismo (ENIT) svolga taluni compiti e funzioni già istituzionalmente allo stesso affidati – promuovere i servizi turistici e culturali e favorire la commercializzazione di prodotti enogastronomici, tipici e artigianali in Italia e all’estero – anche attraverso un portale dedicato già esistente e affidando la realizzazione e la gestione di un’apposita carta, su supporto cartaceo o digitale, a un soggetto che risulti in possesso di determinati requisiti (su cui v. infra).

Appare innanzitutto opportuno specificare se, nel richiamare “uno specifico portale già esistente”, la norma faccia riferimento al portale www.italia.it/it, gestito da Enit.

Occorrerebbe inoltre chiarire con quali modalità operi l’affidamento della “realizzazione” e della “gestione” di apposita carta su supporto cartaceo o digitale.

 

La norma enumera poi le seguenti possibili funzioni consentite dalla carta, su supporto cartaceo o digitale, anche mediante strumenti e canali digitali e dispositivi mobili e previo deposito da parte del titolare di una somma presso l’emittente:

§  acquistare beni e servizi per la fruizione integrata di servizi pubblici di trasporto e degli istituti e dei luoghi della cultura, dei parchi divertimento e degli spettacoli viaggianti;

§  disporre di agevolazioni per l’acquisto di servizi e prodotti enogastronomici a seguito di apposite convenzioni stipulate a livello locale con soggetti pubblici e privati;

§  usufruire della rete logistica dell’emittente per l’eventuale invio dei prodotti suddetti, nel rispetto della normativa vigente in materia di spedizioni alimentari.

 

La norma elenca i requisiti dei quali i soggetti ai quali è affidata la realizzazione e la gestione della carta devono risultare in possesso. Tali requisiti sono diretti ad assicurarne una diffusa e immediata operatività attraverso l’impiego delle proprie dotazioni. In particolare, i soggetti in questione:

§  devono essere gestori di servizi pubblici;

§  devono avere esperienza pluriennale maturata nei servizi finanziari di pagamento effettuati a sportello, elettronicamente anche in modalità evoluti;

§  devono avere esperienza pluriennale nella gestione di carte prepagate realizzate dalla pubblica amministrazione;

§  devono avere una presenza capillare su tutto il territorio nazionale di infrastrutture fisiche e logistiche.

 

L'ENIT-Agenzia nazionale per il turismo è un ente pubblico economico operante nella promozione dell'offerta turistica in Italia, ai sensi dell'art. 16 del D.L. n. 83/2014 (L. n. 106/2014, c.d. Art bonus). Tale norma ha previsto la trasformazione dello stesso ENIT da ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico in ente pubblico economico.

Il D.L. 12 luglio 2018, n. 86 (convertito in legge 9 agosto 2018, n. 97), recante "Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni dei Ministeri dei beni e delle attività culturali e del turismo, delle politiche agricole alimentari e forestali e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché in materia di famiglia e disabilità", all'art. 1, co. 1, ha disposto, a partire dal 1° gennaio 2019, il trasferimento al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali delle funzioni esercitate, in materia di turismo, dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Lo Statuto di Enit attualmente in vigore è stato approvato con DPCM 21 maggio 2015, registrato alla Corte dei Conti il 29 maggio 2015.

L'Enit svolge le proprie funzioni ed attività attraverso la sede centrale e le sedi periferiche e adotta propri regolamenti di contabilità e di amministrazione. La sua attività è regolata dall'art. 16 del citato D.L. n. 83/2014, dallo statuto e dalle norme relative alle persone giuridiche private. L'Enit svolge tutte le funzioni e i compiti ad essa attribuiti dalla legge nel perseguimento della missione di promozione del turismo, e provvede, tra l'altro, a:

§  curare la promozione all'estero dell'immagine turistica italiana e delle varie tipologie dell'offerta turistica nazionale, nonché la promozione integrata delle risorse turistiche delle Regioni, delle Province Autonome di Trento e Bolzano e, per il loro tramite, degli enti locali;

§  realizzare le strategie promozionali a livello nazionale ed internazionale e di informazione all'estero, di sostegno alle imprese per la commercializzazione dei prodotti turistici italiani;

§  individuare, organizzare, promuovere e commercializzare i servizi turistici e culturali italiani;

§  favorire la commercializzazione dei prodotti enogastronomici, tipici e artigianali in Italia e all'estero;

§  svolgere le attività attribuite dalla legge, dallo statuto e dai regolamenti con particolare utilizzazione di mezzi digitali, piattaforme tecnologiche e rete internet attraverso la gestione del portale "Italia.it", nonché di ogni altro strumento di comunicazione ritenuto opportuno;

§  attuare intese e forme di collaborazione con enti pubblici e con gli Uffici della rete diplomatico-consolare del Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale, compresi gli Istituti di Cultura, secondo quanto previsto da appositi protocolli di intesa con le altre sedi di rappresentanza italiana all'estero, anche ai sensi dell'art. 1 della Legge 31 marzo 2005 n. 56.

+

Articolo 30, commi 1-14-bis, 14-quater e 14-quinquies
(Contributi ai comuni per interventi di efficientamento
energetico e sviluppo territoriale sostenibile)

 

 

L’articolo 30 prevede l’assegnazione, con decreto del MISE e a valere sul Fondo Sviluppo e Coesione, di contributi in favore dei comuni, per la realizzazione di progetti di efficientamento energetico e di sviluppo territoriale sostenibile, nel limite massimo di 500 milioni di euro per l’anno 2019 comunque commisurati alla popolazione dei comuni beneficiari.

Nel corso dell’esame in sede referente, è stato specificato che tra i progetti di efficientamento energetico rientrano, oltre agli interventi volti all'efficientamento dell'illuminazione pubblica nonché all'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili e al risparmio energetico degli edifici di proprietà pubblica, anche quelli di edilizia residenziale pubblica.

I contributi in questione sono corrisposti dal MEF, su richiesta del MISE, sulla base della popolazione residente alla data del 1° gennaio 2018, secondo i dati pubblicati dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). I comuni beneficiari del contributo sono tenuti a iniziare l’esecuzione delle opere pubbliche entro il 31 ottobre 2019, a pena di decadenza automatica dall’assegnazione del contributo stesso. I comuni beneficiari verificano la realizzazione finanziaria, fisica e procedurale delle opere pubbliche attraverso un sistema di monitoraggio. Quanto al procedimento di erogazione del contributo, esso viene disposto: per il 50 per cento, previa richiesta da parte del MISE sulla base dell’attestazione dell’ente beneficiario dell’avvenuto inizio dell’esecuzione dei lavori entro il 31 ottobre 2019; per il saldo del restante 50 per cento, su autorizzazione del MISE anche sulla base dei dati inseriti nel sistema di monitoraggio dall’ente beneficiario, in ordine al collaudo e alla regolare esecuzione dei lavori.

Sono esonerati dall'obbligo di presentazione del rendiconto dei contributi straordinari previsti dal TUEL i comuni beneficiari che ottemperino agli obblighi di pubblicazione dell’importo concesso dal MISE nella sezione “Amministrazione trasparente” del proprio sito istituzionale. Il MISE, anche avvalendosi di società in house, effettua, in collaborazione con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, controlli a campione sulle attività realizzate con i contributi di cui al provvedimento in esame, secondo modalità la cui definizione è demandata a un apposito Decreto Ministeriale (commi 1-14).

Il comma 14-bis, introdotto in sede referente, dispone, dall’anno 2020, l’implementazione del programma per la realizzazione dei progetti nel campo dell’efficientamento energetico e dello sviluppo territoriale sostenibile di cui all’articolo in esame, con un rinvio a un decreto del ministero dello sviluppo economico per la ripartizione delle effettive disponibilità finanziarie, tra i comuni con popolazione inferiore ai 1000 abitanti. Il comma prevede che i comuni beneficiari di tali contributi siano tenuti a iniziare l'esecuzione dei lavori entro il 15 maggio di ciascun anno.

Il comma 14-quater dispone l’istituzione, presso il MEF, di un Fondo, da ripartire in misura pari al 50 per cento per ciascuna delle finalità di cui ai commi 14-bis e 14-ter, al quale affluiscono, ai sensi del medesimo comma e del comma 14-quinquies, le risorse dell'autorizzazione di spesa relativa al Fondo per interventi volti a favorire lo sviluppo del capitale immateriale, competitività e produttività, di cui all'articolo 1, comma 1091, della L. di bilancio 2018 (L. n. 205/2017).

 

In particolare, il comma 1 demanda a un decreto del Ministero dello sviluppo economico, da emanarsi entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, l’assegnazione di contributi in favore dei comuni, nel limite massimo di 500 milioni di euro per l’anno 2019 e sulla base dei criteri individuati nel successivo comma 2, a valere sul Fondo Sviluppo e Coesione (FSC), di cui all’articolo 1, comma 6, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, per la realizzazione di progetti relativi a investimenti nel campo dell’efficientamento energetico e dello sviluppo territoriale sostenibile.

 

Come evidenziato nella relazione illustrativa, la norma, finalizzata a finanziare la realizzazione di progetti di miglioramento dell'efficienza energetica sul patrimonio edilizio pubblico e progetti di sviluppo territoriale sostenibile, si pone in linea con gli obiettivi di politica energetica nazionale ed europea (la Strategia Energetica Nazionale - SEN e gli obiettivi in tema ambientale al 2030), anche al fine di ridurre il consumo finale lordo di energia e di accelerare l'evoluzione verso gli edifici a energia quasi zero.

 

Il comma 2 individua i criteri e i parametri per la quantificazione del contributo, in particolare prevedendo che esso sia attribuito a ciascun comune sulla base della popolazione residente alla data del 1° gennaio 2018, secondo i dati pubblicati dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Più in dettaglio, la norma assegna:

a)   ai comuni con popolazione inferiore o uguale a 5.000 abitanti, un contributo pari a 50.000 euro;

b)  ai comuni con popolazione compresa tra 5.001 e 10.000 abitanti, un contributo pari a 70.000 euro;

c)   ai comuni con popolazione compresa tra 10.001 e 20.000 abitanti, un contributo pari a 90.000 euro;

d)  ai comuni con popolazione compresa tra 20.00l e 50.000 abitanti, un contributo pari a 130.000 euro;

e)   ai comuni con popolazione compresa tra 50.001 e 100.000 abitanti, un contributo pari a 170.000 euro;

f)    ai comuni con popolazione superiore compresa tra 100.001 e 250.000 abitanti, un contributo pari a 210.000 euro;

g)  ai comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti, un contributo pari a 250.000 euro.

 

Il comma 3 specifica in dettaglio le misure alle quali i contributi di cui al comma 1 sono destinati. In particolare, si tratta di opere pubbliche in materia di:

 

a)   efficientamento energetico, ivi compresi interventi volti all'efficientamento dell'illuminazione pubblica, al risparmio energetico degli edifici di proprietà pubblica e di edilizia residenziale pubblica (come specificato nel corso dell’esame presso le Commissioni V e VI), nonché all'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili;

b)  sviluppo territoriale sostenibile, ivi compresi interventi in materia di mobilità sostenibile, nonché interventi per l’adeguamento e la messa in sicurezza di scuole, edifici pubblici e patrimonio comunale e per l’abbattimento delle barriere architettoniche.

Si fa notare che la disciplina dettata dall'articolo in esame appare analoga, per le modalità di riparto (in base alla popolazione comunale) e per una parte delle finalità perseguite (messa in sicurezza di scuole, edifici pubblici e patrimonio comunale) a quella prevista dai commi 107 e seguenti della legge di bilancio 2019 (L. 145/2018).

I commi da 107 a 114 disciplinano l’assegnazione, entro il 10 gennaio 2019, di contributi da parte del Ministero dell’interno ai comuni con popolazione inferiore a 20.000 abitanti, per un limite complessivo di 400 milioni di euro, per favorire gli investimenti per la messa in sicurezza di scuole, strade, edifici pubblici e patrimonio comunale. Sono stabiliti, inoltre, i criteri di assegnazione dei contributi, le modalità di erogazione, l’affidamento e l’esecuzione dei lavori, inclusi i termini per l’eventuale revoca e riassegnazione dei contributi previsti. Si disciplinano altresì il monitoraggio e il controllo dei finanziamenti erogati e dell’esecuzione delle opere pubbliche.

In particolare, il comma 107 ha previsto l’assegnazione dei seguenti contributi ai comuni, in ragione della popolazione residente:

§  40.000 euro, per ogni comune con popolazione inferiore ai 2.000 abitanti;

§  50.000 euro, per ogni comune con popolazione tra 2.000 e 5.000 abitanti;

§  70.000 euro, per ogni comune con popolazione tra 5.001 e 10.000 abitanti;

§  100.000 euro, per ogni comune con popolazione tra 10.001 e 20.000 abitanti.

In attuazione del comma in esame è stato emanato il D.M. Interno 10 gennaio 2019 che ha provveduto all’attribuzione a tutti i comuni aventi popolazione fino a 20.000 abitanti di contributi nel limite complessivo di 394,49 milioni di euro, per l'anno 2019, secondo le tabelle di riparto (elaborate tenendo conto delle fasce di popolazione) contenute negli allegati al decreto medesimo.

Ulteriori risorse per la realizzazione di opere pubbliche per la messa in sicurezza del territorio e degli edifici, con precedenza per gli edifici scolastici, e di altre strutture di proprietà dei comuni, sono state dettate, sempre dalla legge di bilancio 2019, con i commi 134-148. Tali commi, per le finalità indicate, hanno previsto due distinti programmi – gestiti rispettivamente dalle singole regioni e dal Ministero dell’interno – finalizzati all’assegnazione ai comuni, per il periodo 2021-2033, mediante riparto effettuato dal soggetto gestore, di contributi per un importo complessivo di circa 8,1 miliardi di euro. Tali programmi rappresentano, nella sostanza, il prolungamento fino al 2033 di quanto previsto, fino al 2020, dai commi 853 e seguenti della legge di bilancio 2018 (L. 205/2017), che ha disposto, per interventi riferiti a opere pubbliche di messa in sicurezza degli edifici e del territorio, per il triennio 2018-2020, a favore dei comuni, l'assegnazione di contributi nel limite complessivo di 850 milioni di euro per il triennio considerato.

 

Oltre alle procedure per la concessione dei contributi ai comuni, sono disciplinati l’utilizzo dei risparmi derivanti da eventuali ribassi d'asta nonché il monitoraggio degli investimenti effettuati.

 

Il comma 4 specifica il perimetro all’interno del quale i comuni beneficiari dei contributi possono finanziare una o più opere pubbliche ai sensi del comma 3. In particolare, tali opere, ai fini del suddetto finanziamento:

a)   non devono aver già ottenuto un finanziamento a valere su fondi pubblici o privati, nazionali, regionali, provinciali o strutturali di investimento europeo;

b)  devono essere aggiuntive rispetto a quelle già programmate sulla base degli stanziamenti contenuti nel bilancio di previsione dell’anno 2019.

 

Il termine entro il quale i comuni beneficiari del contributo sono tenuti a iniziare l’esecuzione delle opere pubbliche di cui al comma 3 è individuato dal comma 5, il quale prevede che i comuni siano tenuti a iniziare l’esecuzione dei lavori entro il 31 ottobre 2019.

Il mancato rispetto di tale termine da parte del comune determina, ai sensi del successivo comma 9, la decadenza automatica dall’assegnazione del contributo. Le relative risorse rientrano nella disponibilità del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione.

Il comma 6 individua il soggetto erogatore del contributo, che è corrisposto dal Ministero dell’economia e delle finanze, su richiesta del Ministero dello sviluppo economico.

 

Il comma 7 regola il procedimento di erogazione del contributo, che viene disposto:

§  per il 50 per cento, previa richiesta da parte del MISE sulla base dell’attestazione dell’ente beneficiario dell’avvenuto inizio dell’esecuzione dei lavori entro il termine di cui al comma 5 (31 ottobre 2019);

§  per il saldo del restante 50 per cento, su autorizzazione del MISE anche sulla base dei dati inseriti nel sistema di monitoraggio di cui al successivo comma 11 (v. infra) dall’ente beneficiario, in ordine al collaudo e alla regolare esecuzione dei lavori. La norma specifica che l’ammontare del restante 50 per cento del contributo è determinato come differenza tra la spesa effettivamente sostenuta per la realizzazione del progetto e la quota già erogata, nel limite dell’importo del contributo di cui al comma 2 (su cui v. infra).

 

Il comma 8 prevede che i contributi per i comuni delle regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle Province autonome di Trento e di Bolzano siano erogati per il tramite delle autonomie speciali.

 

Ai sensi del comma 10, il comune beneficiario dà pubblicità dell'importo concesso dal Ministero dello sviluppo economico nella sezione “Amministrazione trasparente” di cui al D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, sottosezione “Opere pubbliche”.

 

Il D.Lgs. 33/2013 prevede che nella home page dei siti istituzionali è collocata un'apposita sezione denominata «Amministrazione trasparente», al cui interno sono contenuti i dati, le informazioni e i documenti pubblicati ai sensi della normativa vigente (art. 9). La sezione «Amministrazione trasparente» è organizzata in sotto-sezioni all'interno delle quali sono inseriti i documenti, le informazioni e i dati previsti dalla legge (Tabella 1). Nella sottosezione «Opere pubbliche» le pubbliche amministrazioni pubblicano le informazioni relative ai Nuclei di valutazione e verifica degli investimenti pubblici, gli atti di programmazione delle opere pubbliche, nonché le informazioni relative ai tempi, ai costi unitari e agli indicatori di realizzazione delle opere pubbliche in corso o completate (art. 38).

L’art. 29, comma 1, del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016), dispone che “Tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori relativi alla programmazione di lavori, opere, servizi e forniture, nonché alle procedure per l'affidamento di appalti pubblici di servizi, forniture, lavori e opere, di concorsi pubblici di progettazione, di concorsi di idee e di concessioni … devono essere pubblicati e aggiornati sul profilo del committente, nella sezione «Amministrazione trasparente», con l'applicazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. Nella stessa sezione sono pubblicati anche i resoconti della gestione finanziaria dei contratti al termine della loro esecuzione con le modalità previste dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33”.

Sul punto, si rinvia, inoltre, alla descrizione delle norme dettate in tema di trasparenza nelle erogazioni pubbliche dal D. Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, nonché dalla legge annuale per il mercato e la concorrenza, L. n. 124/2017 (cfr. scheda relativa all’articolo 35 del provvedimento in esame).

 

Il comma 11 dispone che i comuni beneficiari monitorino la realizzazione finanziaria, fisica e procedurale delle opere pubbliche attraverso il sistema di monitoraggio di cui all’art. 1, comma 703, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), classificando le opere sotto la voce “Contributo comuni per efficientamento energetico e sviluppo territoriale sostenibile – DL crescita”.

 

Il comma 703, lettera l) della legge n. 190/2014 prevede che ai fini della verifica dello stato di avanzamento della spesa riguardante gli interventi finanziati con le risorse del FSC, le amministrazioni titolari degli interventi comunicano i relativi dati al sistema di monitoraggio unitario di cui all'articolo 1, comma 245, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, sulla base di un apposito protocollo di colloquio telematico.

 

Il comma 12, considerata l’esigenza di semplificazione procedimentale, esonera dall'obbligo di presentazione del rendiconto dei contributi straordinari di cui all'articolo 158 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL) il comune beneficiario che ottemperi agli adempimenti informativi di cui al comma 10 (pubblicazione dell’importo concesso dal MISE nella sezione “Amministrazione trasparente” del proprio sito istituzionale).

Ai sensi dell’articolo 158 del TUEL, per tutti i contributi straordinari assegnati da amministrazioni pubbliche agli enti locali è dovuta la presentazione del rendiconto all'amministrazione erogante entro sessanta giorni dal termine dell'esercizio finanziario relativo, a cura del segretario e del responsabile del servizio finanziario. Il rendiconto, oltre alla dimostrazione contabile della spesa, documenta i risultati ottenuti in termini di efficienza ed efficacia dell'intervento. L’inosservanza del termine di 60 giorni sopra citato, che ha carattere perentorio, comporta l'obbligo di restituzione del contributo straordinario assegnato. Ove il contributo attenga ad un intervento realizzato in più esercizi finanziari l'ente locale è tenuto al rendiconto per ciascun esercizio.

 

Il comma 13 pone in capo al MISE l’effettuazione di controlli ulteriori rispetto ai controlli istruttori finalizzati ad attivare il flusso dei trasferimenti in favore dei Comuni. In particolare, si prevede che il MISE, anche avvalendosi di società in house, effettui, in collaborazione con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, controlli a campione sulle attività realizzate con i contributi di cui al provvedimento in esame, secondo modalità la cui definizione è demandata a un apposito decreto ministeriale.

Il comma 14 dispone che agli oneri relativi alle attività istruttorie e di controllo derivanti dal presente articolo si provveda a valere sulle risorse di cui al comma 1, fino all’importo massimo di euro 1.760.000.

Di seguito si riporta la tabella di riparto dei contributi, commisurati alla popolazione dei comuni beneficiari.

 

 

Il comma 14-bis, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, autorizza, dall’anno 2020, l’implementazione del programma per la realizzazione dei progetti descritti al comma 1 dell’articolo qui in esame (ossia i progetti nel campo dell’efficientamento energetico e dello sviluppo territoriale sostenibile), al fine di stabilizzare i contributi in conto capitale assegnati ai Comuni per tali interventi.

Il medesimo comma 14-bis demanda poi a un decreto del ministero dello sviluppo economico, da emanarsi entro il 15 gennaio di ciascun anno a partire dall'anno 2020, la ripartizione delle effettive disponibilità finanziarie, tra i comuni con popolazione inferiore ai 1000 abitanti, con assegnazione a ciascun comune di un contributo di pari importo.

Si prevede, poi, che i comuni beneficiari di tali contributi siano tenuti a iniziare l'esecuzione dei lavori entro il 15 maggio di ciascun anno. Il mancato rispetto di tale termine da parte dei comuni comporta la decadenza automatica dall'assegnazione del contributo. Le relative risorse rientrano nella disponibilità del fondo di cui al successivo comma 14-quater (su cui v. infra).

La norma dispone l’applicazione, per quanto compatibili, dei commi 3, 4, 6, 7, 8, 10, 11, 12 e 13 (su cui v. supra).

 

Il comma 14-quater istituisce presso il MEF un Fondo per l'attuazione dei commi 14-bis e 14-quater, da ripartire in misura pari al 50 per cento per ciascuna delle finalità di cui ai medesimi commi. Al Fondo in questione affluiscono tutte le risorse per contributi dall'anno 2020, non ancora impegnate alla data del 1° aprile 2019, dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 1091, della L. di bilancio 2018 (L. n. 205/2017), di cui la norma dispone la corrispondete riduzione di pari importo.

Si ricorda in proposito che l’art. 1, comma 1091, della L. n. 205/2017 ha istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, un Fondo per interventi volti a favorire lo sviluppo del capitale immateriale, della competitività e della produttività, finalizzato a perseguire obiettivi di politica economica ed industriale, connessi anche al programma Industria 4.0, nonché ad accrescere la competitività e la produttività del sistema economico. Il Fondo, istituito con una dotazione di 5 milioni di euro per l'anno 2018, di 125 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020, di 250 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2021 al 2024, di 210 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2025 al 2030 e di 200 milioni di euro a decorrere dall'anno 2031, è destinato a finanziare: a) progetti di ricerca e innovazione da realizzare in Italia ad opera di soggetti pubblici e privati, anche esteri, nelle aree strategiche per lo sviluppo del capitale immateriale funzionali alla competitività del Paese; b) il supporto operativo ed amministrativo alla realizzazione dei progetti finanziati ai sensi della lettera a), al fine di valorizzarne i risultati e favorire il loro trasferimento verso il sistema economico produttivo.

Si segnala che dal medesimo Fondo vengono prelevate risorse per la copertura dell’articolo 38, comma 1-quaterdecies, che riconosce un finanziamento al comune di Alessandria per 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021.

Il comma 14-quater dispone altresì la nullità degli eventuali atti adottati in contrasto con le disposizioni descritte.

La norma autorizza infine il MEF ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

Il comma 14-quinquies prevede che le risorse rimaste disponibili per l’anno 2019 sul medesimo Fondo per interventi volti a favorire lo sviluppo del capitale immateriale, della competitività e della produttività – dopo che siano state trasferite le risorse di cui al precedente comma 14-quater -  sono destinate a favore dei comuni compresi nella fascia demografica fino a 10.000 abitanti che hanno subìto tagli dei trasferimenti del fondo di solidarietà comunale, per effetto delle disposizioni sul contenimento della spesa pubblica di cui all’articolo 16 del decreto-legge n. 95/2012 (c.d. spending review, che ha previsto un contributo alla finanza pubblica per gli enti territoriali), applicate sulle quote di spesa relative ai servizi socio-sanitari assistenziali e ai servizi idrici integrati.

Il contributo spettante a ciascun comune è determinato con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro il 31 gennaio 2019 (ai fini della formulazione del testo, si segnala che tale termine risulta scaduto), sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, tenendo conto del maggiore taglio, di cui al citato decreto-legge n. 95 del 2012, subìto per effetto della spesa sostenuta per i servizi sociosanitari assistenziali e idrici integrati coperta con entrate ad essi direttamente riconducibili. Ai fini del riparto, si considerano solo i comuni per quali l’incidenza sulla spesa corrente media risultante dai certificati ai rendiconti del triennio 2010- 2012 supera il 3 per cento, nel caso dei servizi socio-sanitari assistenziali, e l’8 per cento, nel caso dei servizi idrici integrati

 

Il D.Lgs. n. 102/2014, attuativo della Direttiva sull'efficienza energetica 2012/27/UE, reca gli obiettivi di risparmio energetico che il nostro Paese si prefigge di raggiungere al 2020 e i relativi obblighi di programmazione e resocontazione alle Istituzioni europee circa i risparmi conseguiti dal nostro Paese in termini di efficienza energetica.

In particolare, l'articolo 3 del decreto legislativo fissa come obiettivo nazionale indicativo di risparmio energetico cui concorrono le misure del decreto stesso, la riduzione dei consumi di energia primaria, entro l'anno 2020, di 20 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio), pari a 15,5 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep) di energia finale primaria, conteggiati a partire dal 2010, con una riduzione dei predetti consumi del 24% rispetto allo scenario inerziale. Al 2020, il consumo programmato in termini energia primaria è dunque di 158 Mtep e di 124 Mtep in energia finale.

Gli obiettivi fissati dall'articolo 3 del D.Lgs. n. 102/2014 trovano riproposizione nei Documenti programmatori, quali il Piano d'azione nazionale per l'efficienza energetica, PAEE.

Il medesimo D.Lgs. n. 102/2014, all'articolo 7, individua poi i meccanismi per il raggiungimento dell'obiettivo minimo obbligatorio di risparmio energetico, in ossequio a quanto previsto dalla Direttiva 2012/27/UE (articolo 7). Tale obiettivo consiste in un risparmio di 25,5 Mtep di energia finale cumulato da conseguire negli anni 2014-2020.

A garanzia del raggiungimento dei predetti obiettivi, il D.Lgs. n. 102/2014 dispone, a partire dal 2014 e successivamente ogni 3 anni, l'approvazione del Piano d'azione nazionale per l'efficienza energetica, PAEE da parte del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con la Conferenza unificata, e su proposta dell'ENEA, e la sua trasmissione alla Commissione europea

Il PAEE comprende: le misure significative per il miglioramento dell'efficienza energetica; i risparmi di energia conseguiti e attesi, inclusi quelli nella fornitura, trasmissione e distribuzione dell'energia nonché negli usi finali della stessa, in vista del conseguimento degli obiettivi nazionali di efficienza energetica al 2020 ( riduzione di 20 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio dei consumi di energia primaria, pari a 15,5 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio di energia finale, conteggiati a partire dal 2010); le stime aggiornate sul consumo di energia primaria previsto al 2020); un esame qualitativo riguardante lo sviluppo attuale e futuro del mercato dei servizi energetici.

Il medesimo Decreto prevede, entro il 30 aprile di ciascun anno, l'approvazione da parte del Ministero dello sviluppo economico, su proposta di ENEA, e la trasmissione alla Commissione UE, di una Relazione annuale sui progressi realizzati nel conseguimento degli obiettivi di efficienza energetica. L'ultima relazione disponibile è quella inviata nel 2018.

Infine, entro il 30 aprile di ciascun anno, il Ministero dello sviluppo economico, su proposta del GSE, è tenuto ad approvare e trasmettere alla Commissione, una Relazione annuale sulla cogenerazione in Italia. L'ultima relazione disponibile è quella inviata nel 2018.

 

Posti gli obiettivi 2020 di risparmio ed efficientamento energetico, legislativamente prefissati dal D.Lgs. n. 102/2014, la nuova Strategia energetica nazionale (SEN 2017), documento programmatorio in materia energetica adottato dal Governo (D.M. 10 novembre 2017), in coerenza con la Road Map europea, ha prefissato ulteriori obiettivi al 2030. Il target previsto al 2030  è un risparmio di 10 Mtep con una riduzione dei consumi di energia finali da tendenziali 118 Mtep (al 2030) a 108 Mtep (al 2030).

La nuova SEN prevede, inoltre, un'accelerazione nella decarbonizzazione del sistema energetico, a partire dall'uso del carbone nell'elettrico per intervenire gradualmente su tutto il processo energetico, per conseguire rilevanti vantaggi ambientali e sanitari e contribuire al raggiungimento degli obiettivi europei. La SEN 2017 si prefigge obiettivi congruenti, sul piano sistematico, con le indicazioni programmatiche contenute nel pacchetto di misure legislative Clean Energy for All Europeans (cd. Winter package), presentato a fine 2016 dalla Commissione Europea, e poi approvato in via definitiva a fine 2018. Il pacchetto è composto  dai seguenti atti legislativi:

Regolamento UE n. 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre 2018 (recentemente pubblicato in GUCE 21 dicembre 2018) sulla governance dell'Unione dell'energia;

Direttiva UE 2018/2002 (cd. Direttiva EED) sull'efficienza energetica che modifica la Direttiva 2012/27/UE;

Direttiva UE 2018/2001 sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili;

Direttiva (UE) 2018/844 che modifica la direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell'edilizia e la direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica (Direttiva EPBD-Energy Performance of Buildings Directive). 

Il Regolamento UE n. 2018/1999 delinea le seguenti cinque "dimensioni"-  assi fondamentali dell'Unione dell'energia: sicurezza energetica; mercato interno dell'energia; efficienza energetica; decarbonizzazione; ricerca, innovazione e competitività e, a tal fine, delinea istituti e procedure volte a conseguire gli obiettivi dell'Unione fissati per il 2030 in materia di energia e di clima.

Per quanto riguarda in particolare l'efficienza energetica, la nuova Direttiva 2018/2002/UE, che modifica la Direttiva 2012/27/UE, pone come obiettivo prioritario dell'Unione un miglioramento dell'efficienza energetica del 32,5% al 2030 rispetto allo scenario inerziale  (articolo 1). Tale miglioramento è espresso in termini di consumo di energia primaria e/o finale. Pertanto, l'obiettivo del 32,5 % si traduce, secondo la Direttiva (cfr. considerando n. 6) in un livello massimo di consumo nell'Unione al 2030 pari a 1.273 Mtep di energia primaria e a 956 Mtep di energia finale. Dunque, gli Stati membri devono stabilire il proprio contributo tenendo conto del fatto che nel 2030 il consumo energetico dell'Unione non deve superare 1.273 Mtep di energia primaria e/o 956 Mtep di energia finale (cfr. articolo 7 della Direttiva).

Al fine di garantire il raggiungimento degli obiettivi del Clean energy package per il 2030, gli Stati membri devono notificare alla Commissione europea, entro il 31 dicembre 2019 e successivamente ogni dieci anni, un Piano nazionale integrato per l'energia e il clima. Il primo Piano copre appunto il periodo 2021-2030. Il Piano deve comprendere una serie di contenuti, tra essi la descrizione degli obiettivi, traguardi e contributi nazionali relativi alle cinque dimensioni dell'Unione dell'energia.

 

In data 8 gennaio 2019, è stata inviata alla Commissione europea la proposta di Piano nazionale integrato per l'energia e il clima per gli anni 2021-2030. Nelle tabelle seguenti – tratte dalla Proposta di PNIEC - sono illustrati i principali obiettivi del PNIEC al 2030, su rinnovabili, efficienza energetica ed emissioni di gas serra e le principali misure previste per il raggiungimento degli obiettivi del Piano. Gli obiettivi risultano più ambiziosi di quelli delineati nella SEN 2017. Inoltre, si segnala che nel Disegno di Legge di delegazione europea 2018, in corso di esame al Senato (A.S. 944), è prevista, all’art. 21, la delega al Governo per il recepimento della Direttiva (UE) 2018/844 che modifica la direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell'edilizia e la direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica (Direttiva EPBD-Energy Performance of Buildings Directive).

 

In particolare con riferimento a tale direttiva, si segnala che essa si pone come obiettivo generale quello di promuovere una maggiore diffusione dell'efficienza energetica e delle energie rinnovabili negli edifici, al fine di ottenere riduzioni delle emissioni di gas serra (di almeno il 40 % entro il 2030 rispetto al 1990) e contribuire al tempo stesso ad aumentare la sicurezza dell'approvvigionamento energetico. L'Unione si è altresì impegnata a elaborare un sistema energetico decarbonizzato e ad alta efficienza entro il 2050 e al parco immobiliare è riconducibile circa il 36 % di tutte le emissioni di CO2 nell'Unione.

Si espongono di seguito alcune delle novità introdotte dalla Direttiva in questione. L’articolo 1 della direttiva introduce nella Direttiva 2010/31/CE un nuovo articolo 2-bis che disciplina la strategia di ristrutturazione a lungo termine. La finalità della Strategia è ottenere un parco immobiliare decarbonizzato e ad alta efficienza energetica entro il 2050, facilitando la trasformazione in termini di costi degli edifici esistenti in edifici a energia quasi zero.

Le azioni che devono essere comprese nelle strategie nazionali di ristrutturazione a lungo termine comprendono, in base alla Direttiva 2012/27/UE, politiche e azioni volte a stimolare ristrutturazioni degli edifici profonde ed efficaci in termini di costi, ottenibili per fasi. La nuova Direttiva integra tale disposto, stabilendo, tra l’altro, che all’interno delle Strategie nazionali possa essere contemplata l'introduzione di un sistema facoltativo di "passaporto" di ristrutturazione degli edifici.

Il nuovo articolo 2-bis impone altresì agli Stati membri di facilitare l’accesso a meccanismi appropriati di sostegno agli investimenti nelle ristrutturazioni, tra i quali l’uso di fondi pubblici per stimolare investimenti privati supplementari o reagire a specifici fallimenti del mercato; fornire strumenti di consulenza accessibili e trasparenti, come sportelli unici per i consumatori, denominati "one-stop-shop” .

L’articolo 1 della Direttiva interviene anche sulla disciplina, contenuta nell’articolo 6 della Direttiva 2010/31/UE, sui requisiti minimi di prestazione energetica degli edifici di nuova costruzione, introducendovi la previsione che gli Stati membri debbono altresì garantire che, prima dell'inizio dei lavori di costruzione, si tenga conto della fattibilità tecnica, ambientale ed economica dei sistemi alternativi ad alta efficienza, se disponibili. I sistemi alternativi ad alta efficienza vengono ora genericamente richiamati e non recano più una indicazione tassativa e vincolante come nel testo originario della Direttiva 2010/31/UE.

Parimenti, per quanto concerne gli edifici oggetto di ristrutturazione importante, l’articolo 1 della Direttiva, attraverso una novella all’articolo 7 della Direttiva 2010/31/UE, prescrive che gli Stati membri incoraggino sistemi alternativi ad alta efficienza, nella misura in cui è tecnicamente, funzionalmente ed economicamente fattibile, e prendano in considerazione le questioni del benessere termo-igrometrico degli ambienti interni, della sicurezza in caso di incendi e dei rischi connessi all'intensa attività sismica.

La Direttiva, tra l’altro, ha altresì modificato l’Allegato I della Direttiva del 2010/31/UE sui criteri e la metodologia di calcolo della prestazione energetica di un edificio. Essa è determinata sulla base del consumo di energia calcolato o effettivo e riflette l'uso normale di energia dell'edificio per tutte le seguenti attività: riscaldamento degli ambienti, rinfrescamento degli ambienti, produzione di acqua calda per uso domestico, ventilazione, l'illuminazione incorporata e altri sistemi tecnici per l'edilizia. Nel testo originario si faceva riferimento al solo riscaldamento e il rinfrescamento (energia necessaria per evitare un surriscaldamento).

 

Il Decreto legge n. 63/2013 ha potenziato il precedente regime di detrazioni fiscali per gli interventi di miglioramento dell'efficienza energetica degli edifici.

 

Sempre in recepimento di quanto disposto dalla Direttiva 2010/31/UE, l’articolo 5 del D.L. n. 63/2013, ha introdotto nel D.Lgs. n. 192/2005 l’articolo 4-bis (edifici ad energia quasi zero) il quale prevede che:

§  a partire dal 31 dicembre 2018, gli edifici di nuova costruzione occupati da pubbliche amministrazioni e di proprietà di queste ultime, ivi compresi gli edifici scolastici, devono essere edifici a energia quasi zero;

§  dal 1° gennaio 2021 la disposizione è estesa a tutti gli edifici di nuova costruzione.

Tale norma ha altresì introdotto la previsione della definizione - con decreto del Ministero dello sviluppo economico, entro il 30 giugno 2014 -  del Piano d'azione destinato ad aumentare il numero di edifici a energia quasi zero da trasmettersi alla Commissione europea. Il Piano d'azione comprende, tra l'altro: le politiche e le misure finanziarie o di altro tipo previste per promuovere gli edifici a energia quasi zero, comprese quelle sulle misure nazionali per l’uso delle fonti rinnovabili; l'individuazione, sulla base dell'analisi costi-benefici, di casi specifici per i quali non si applica l’obbligo per gli edifici di nuova costruzione di essere ad energia quasi zero; d) gli obiettivi intermedi di miglioramento della prestazione energetica degli edifici di nuova costruzione entro il 2015.

Il Decreto interministeriale 19 giugno 2017 ha approvato il «Piano d'azione nazionale per incrementare gli edifici ad energia quasi zero».

 

Le detrazioni per ristrutturazioni edilizie e riqualificazione energetica sono state poi, via via, prorogate di un anno, dalla Legge n.147/2013 (Legge di stabilità per il 2014, articolo 1, comma 139), dalla legge di stabilità 2015 (articolo 1, comma 47 della legge n. 190 del 2014) e dalla legge di stabilità per il 2016 (articolo 1, comma 74 della legge n. 208 del 2015), con la Legge di bilancio 2017 (legge n. 232/2016), con la legge di bilancio per il 2018 (legge n. 205/2017) e, infine, con la legge di bilancio 2019 (legge n. 145/2018, articolo 1, comma 67, lettere a)b)).

In particolare, tale legge proroga al 2019 la detrazione per interventi di efficienza energetica, nonché le detrazioni per interventi di ristrutturazione edilizia[28].


 

Articolo 30, comma 14-ter
(Interventi vari)

 

 

Il comma 14-ter, dell’articolo 30 introdotto durante l'esame in sede referente, reca una serie di disposizioni che incidono su ambiti diversi.

I periodi dal primo al settimo disciplinano l’assegnazione annuale, a decorrere dal 2020, di contributi ai comuni con meno di 1.000 abitanti per la messa in sicurezza di scuole, strade, edifici pubblici, patrimonio comunale e abbattimento delle barriere architettoniche a beneficio della collettività. A tale finalità è destinato il 60% della metà delle risorse previste dal comma 14-quater. Il restante 40% è invece destinato, per quanto disposto dai periodi ottavo e nono, a promuovere l'adozione di specifiche strategie di intervento sulla situazione di inquinamento dell'aria presente nella pianura padana.

Viene inoltre prevista la nomina, con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di un Commissario straordinario per la viabilità in Valtellina (periodi decimo, undicesimo e dodicesimo).

Sono altresì apportate alcune modifiche alla disciplina, dettata dall’art. 61 del D.L. 50/2017, per la realizzazione del progetto sportivo delle finali di coppa del mondo e dei campionati mondiali di sci alpino, che si terranno a Cortina d'Ampezzo, rispettivamente, nel marzo 2020 e nel febbraio 2021 (tredicesimo periodo).

 

Finalità (primo periodo)

La finalità della norma in esame, enunciata nel primo periodo della stessa, è quella di stabilizzare i contributi a favore dei comuni allo scopo di potenziare gli investimenti per la messa in sicurezza di scuole, strade, edifici pubblici, patrimonio comunale e abbattimento delle barriere architettoniche a beneficio della collettività.

 

Per tale finalità, il primo periodo del comma in esame autorizza l’avvio, dall’anno 2020, di un programma pluriennale per l'implementazione degli interventi di cui all’art. 1, comma 107, della legge di bilancio 2019 (L. 145/2018).

Si ricorda che il comma 107 dell’art. 1 della L. 145/2018 ha previsto l’assegnazione, entro il 10 gennaio 2019, di contributi da parte del Ministero dell’interno ai comuni con popolazione non superiore a 20.000 abitanti, per un limite complessivo di 400 milioni di euro, per favorire gli investimenti per la messa in sicurezza di scuole, strade, edifici pubblici e patrimonio comunale. Nello stesso comma e nei successivi commi 108-114 sono altresì stabiliti i criteri di assegnazione dei contributi, le modalità di erogazione, l’affidamento e l’esecuzione dei lavori, inclusi i termini per l’eventuale revoca e riassegnazione dei contributi previsti, e sono inoltre disciplinati il monitoraggio e il controllo dei finanziamenti erogati e dell’esecuzione delle opere pubbliche.

In attuazione di tali disposizioni è stato emanato il D.M. Interno 10 gennaio 2019 che ha provveduto all’attribuzione a tutti i comuni aventi popolazione fino a 20.000 abitanti di contributi nel limite complessivo di 394,49 milioni di euro, per l'anno 2019, secondo le tabelle di riparto (elaborate tenendo conto delle fasce di popolazione) contenute negli allegati al decreto medesimo.

Per un’analisi dettagliata delle disposizioni richiamate si rinvia alla scheda di lettura dei commi 107-114 contenuta nel volume I del dossier relativo alla legge di bilancio 2019.

Si fa notare che sulle disposizioni citate sono recentemente intervenuti:

§  l'art. 8-ter, comma 3, del D.L. 29 marzo 2019, n. 27, che ha incluso, tra gli interventi a cui sono destinate le risorse previste dal comma 107, anche “gli interventi previsti dal decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 13 febbraio 2018, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 80 del 6 aprile 2018, finalizzati al contenimento della diffusione dell'organismo nocivo Xylella fastidiosa”;

§  i commi 25 e 26 dell’art. 1 del D.L. 32/2019 (c.d. decreto-legge sblocca cantieri), che hanno disposto il differimento dei termini ivi previsti (in particolare quello relativo all’inizio dell’esecuzione dei lavori, che viene differito al 10 luglio 2019) e disciplinato altresì le modalità di affidamento dei lavori di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea (c.d. lavori sottosoglia).

 

Si fa notare che, nonostante la finalità enunciata sia quella di stabilizzare (nel tempo) l’implementazione degli interventi di cui al citato comma 107, in realtà l’ambito di applicazione del comma in esame differisce da quello previsto dal richiamato comma 107, sia per i settori di intervento (il comma in esame contempla anche interventi di abbattimento delle barriere architettoniche, mentre non fa riferimento agli interventi per il contenimento della diffusione dell'organismo nocivo Xylella fastidiosa) che per i soggetti destinatari (che sono i comuni con meno di 1.000 abitanti, per quanto previsto dal secondo periodo del comma in esame e non, come prevede il comma 107, tutti i comuni con popolazione fino a 20.000 abitanti).

 

Riparto delle risorse tra i comuni (secondo periodo)

Per le finalità suindicate, il secondo periodo del comma in esame prevede che, dall'anno 2020, le effettive disponibilità finanziarie sono ripartite, con decreto del Ministero dell’Interno, da emanarsi entro il 15 gennaio di ciascun anno.

Le somme individuate dal decreto di riparto sono destinate ai comuni con popolazione inferiore ai 1.000 abitanti, assegnando a ciascun comune un contributo di pari importo.

 

Si fa notare che le “effettive disponibilità finanziarie” a cui fa riferimento il periodo in esame sembrano essere quelle derivanti dal riparto del Fondo istituito dal comma 14-quater.

Tale comma prevede che il 50% delle risorse del fondo citato sia destinato all’attuazione del comma 14-ter.

 

Si fa altresì notare che, in base al disposto dell’ottavo periodo del comma in esame, solo il 60% delle risorse derivanti dal comma 14-quater (cioè solo il 60% del 50% delle risorse del Fondo) è destinato agli interventi in questione, poiché il restante 40% è destinato all'adozione di specifiche strategie di intervento sulla situazione di inquinamento dell'aria presente nella pianura padana.

 

Termine per l’inizio dei lavori (terzo periodo)

Il terzo periodo del comma in esame dispone che il comune beneficiario del contributo è tenuto ad iniziare l'esecuzione dei lavori entro il 15 maggio di ciascun anno.

Revoca dei contributi (quarto periodo)

Nel caso di mancato rispetto del termine di inizio dell'esecuzione dei lavori o di parziale utilizzo del contributo, il quarto periodo del comma in esame prevede, rispettivamente, la revoca totale o parziale del contributo entro il 15 giugno di ciascun anno, con decreto del Ministero dell’interno.

Utilizzo delle somme revocate (periodi quinto e sesto)

In base al quinto periodo, le somme derivanti dalla revoca dei contributi sono assegnate, con il medesimo decreto previsto dal periodo precedente, ai comuni che hanno iniziato l'esecuzione dei lavori in data antecedente alla scadenza di cui al presente comma, dando priorità ai comuni con data di inizio dell'esecuzione dei lavori meno recente e non oggetto di recupero.

Il sesto periodo dispone che i comuni beneficiari della riassegnazione di contributi revocati sono tenuti ad iniziare l'esecuzione dei lavori entro il 15 ottobre di ciascun anno.

Modalità di erogazione dei contributi e di monitoraggio e controllo degli interventi (settimo periodo)

Il settimo periodo prevede che, per gli interventi finanziati dal comma in esame, si applicano le modalità di erogazione dei contributi e di monitoraggio e controllo degli interventi previste, per i contributi assegnati dal comma 107 della L. 145/2018, dai successivi commi 110, 112, 113 e 114.

Il comma 110 stabilisce che i contributi sono erogati dal Ministero dell'interno agli enti beneficiari, per il 50% previa verifica dell'avvenuto inizio dell'esecuzione dei lavori attraverso il sistema di monitoraggio di cui al comma 112, e per il restante 50% previa trasmissione al Ministero dell'interno del certificato di collaudo o del certificato di regolare esecuzione rilasciato dal direttore dei lavori.

Il comma 112 prevede che il monitoraggio delle opere pubbliche finanziate è effettuato dai comuni beneficiari attraverso il sistema previsto dal decreto legislativo 29 dicembre 2011, n. 229, classificando le opere sotto la voce «Contributo piccoli investimenti legge di bilancio 2019».

Il successivo comma 113 dispone che il Ministero dell'interno, in collaborazione con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, effettua un controllo a campione sulle opere pubbliche oggetto di contribuzione.

Il comma 114, infine, prevede che i comuni rendono nota la fonte di finanziamento, l'importo assegnato e la finalizzazione del contributo assegnato nel proprio sito internet, nella sezione «Amministrazione trasparente», sottosezione Opere pubbliche, e che il sindaco deve fornire tali informazioni al consiglio comunale nella prima seduta utile.

 

Filoni di intervento (periodi ottavo e nono)

In base all’ottavo periodo, le risorse derivanti dal riparto previsto dal comma 14-quater sono così ulteriormente ripartite (sempre a decorrere dall’anno 2020):

·      per un ammontare pari al 60 per cento sono destinate alle finalità previste dal primo periodo, vale a dire messa in sicurezza di scuole, strade, edifici pubblici, patrimonio comunale e abbattimento delle barriere architettoniche;

·      per il restante 40 per cento sono destinate per la finalità (prevista dall’art. 10, lettera d), della L. 88/2009) di promuovere l'adozione di specifiche strategie di intervento sulla situazione di inquinamento dell'aria presente nella pianura padana.

 

 

Il nono periodo dispone che, in sede di Conferenza Stato-Regioni, è definito il riparto delle risorse fra le Regioni interessate e sono stabilite le misure a cui esse sono destinate tenendo conto del perdurare del superamento dei valori limite relativi alle polveri sottili - PM10 (per il quale è aperta la procedura di infrazione n. 2014/2147) e dei valori limite relativi al biossido di azoto - NO2 (per il quale è aperta la procedura di infrazione n. 2015/2043), nonché della complessità dei processi di conseguimento degli obiettivi indicati dalla direttiva 2008/50/CE.

Tale riparto sembra riferirsi alla sola quota del 40% prevista dal periodo precedente, vale a dire alle sole risorse destinate alla lotta all’inquinamento nella pianura padana.

 

L’applicazione in Italia della direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria, recepita nell’ordinamento nazionale con il D.Lgs. 155/2010, è oggetto delle succitate due procedure di infrazione ancora pendenti nei confronti dell’Italia.

In merito alla procedura d’infrazione n. 2014/2147, relativa al superamento dei valori di polveri sottili (PM10) nell’ambiente, la Commissione europea ha inviato una prima lettera di costituzione in mora ai sensi dell’articolo 258 del TFUE, il 10 luglio 2014, e un’ulteriore lettera di costituzione in mora il 16 giugno 2016, procedendo quindi il 27 aprile 2017 alla trasmissione di un parere motivato. Infine, il 13 ottobre 2018, la Commissione europea ha presentato ricorso presso la Corte di giustizia dell’UE in cui lamenta che i dati ottenuti sulla concentrazione di PM10 nell’aria dimostrano l’esistenza di una “violazione sistematica e continuata” della direttiva nonché che i piani per la qualità dell’aria, adottati in seguito al superamento dei valori limite di concentrazione di PM10, “non permettono né di conseguire detti valori limite, né di limitare il loro superamento al periodo il più breve possibile".

Relativamente alla procedura d’infrazione n. 2015/2043, con riferimento ai valori massimi di biossido di azoto (NO2) che risultano superati in 12 zone, si ricorda che la stessa è stata aperta con l’invio della lettera di costituzione in mora ai sensi dell’articolo 258 del TFUE il 28 maggio 2015. Quindi, il 15 febbraio 2017 la Commissione ha inviato un parere motivato esortando l’Italia a conformarsi alla normativa europea. Il successivo 7 marzo 2019, la Commissione ha, quindi, deciso di deferire l’Italia alla Corte di giustizia dell’UE, invitandola a rispettare i valori limite previsti dalla legislazione dell’Unione.

In particolare, la Commissione ha invitato l'Italia a rispettare i valori limite convenuti sulla qualità dell'aria e ad adottare misure adeguate per ridurre i livelli di inquinamento in dieci agglomerati in cui risiedono circa 7 milioni di persone. In proposito, la Commissione europea ha evidenziato come i valori limite di NO2 stabiliti dalla legislazione dell'UE in materia di qualità dell'aria ambiente (direttiva 2008/50/CE) avrebbero dovuto essere rispettati già nel 2010. Peraltro, il ricorso si inserisce nel seguito di azioni analoghe adottate nei confronti di Francia, Germania e Regno Unito nel maggio 2018 per mancato rispetto dei valori limite di NO2 e per aver omesso di prendere misure appropriate per ridurre al minimo i periodi di superamento.

 

In risposta all’interrogazione 5-01664, resa nella seduta del 30 aprile 2019, il rappresentante del Governo ha ricordato – con riferimento al superamento dei valori limite per il PM10 e il biossido di azoto che ha determinato l'apertura delle citate procedure di infrazione – che “tale situazione di criticità è però differenziata sul territorio nazionale: infatti, mentre per le Regioni del centro-sud il mancato rispetto dei valori limite è localizzato in piccole aree, appartenenti per lo più ai principali centri urbani, nell'area del Bacino Padano i superamenti, anche per le caratteristiche orografiche e le condizioni meteoclimatiche, sono diffusi su tutto il territorio. Le Regioni del Bacino Padano, attraverso un'intensa collaborazione reciproca ed un continuo confronto con il Ministero dell'ambiente, sono da tempo impegnate ad attuare attività comuni volte al raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di qualità dell'aria posti a maggiore tutela della salute dei cittadini dalle direttive comunitarie e dalle norme nazionali di riferimento. Ciò nonostante, l'impegno delle sole Amministrazioni regionali e locali non è stato sufficiente a risolvere il problema. Di conseguenza, fermo restando che la vigente normativa attribuisce alle Regioni la competenza primaria in materia di valutazione e gestione della qualità dell'aria, e quindi anche in materia di elaborazione di Piani di risanamento e adozione di misure di intervento, l'azione del Ministero dell'ambiente è stata mirata a garantire un costante e fondamentale supporto alle Amministrazioni locali”. Tra le iniziative richiamate nella risposta vi sono le attività previste dal primo Accordo del Bacino Padano sottoscritto nel 2013 e il fatto che nel 2017 “è stato sottoscritto un nuovo Accordo del Bacino Padano, mirato ad affrontare in modo esteso i problemi comuni alle quattro Regioni per le quali l'intervento nazionale di coordinamento e supporto risultava decisivo”. Nella stessa risposta viene inoltre sottolineato che “al fine di affrontare in modo ancora più incisivo l'annoso problema della qualità dell'aria, è stato intrapreso un dialogo con i Ministeri dello sviluppo economico, delle infrastrutture e trasporti e delle politiche agricole, volto alla predisposizione di uno specifico Accordo per promuovere strategie di intervento nei settori maggiormente responsabili delle emissioni inquinanti. Nel dicembre del 2018 è stato, a tal fine, istituito un Gruppo di lavoro per la qualità dell'aria con i predetti Ministeri, con l'obiettivo di individuare misure nazionali che possano supportare concretamente le Regioni nel processo di miglioramento della qualità dell'aria”.

Ulteriori elementi di informazione sono stati forniti dal Ministro dell'ambiente nel corso dell’audizione, tenutasi nella seduta della Commissione Ambiente del 29 maggio 2019.

 

Commissario straordinario per la viabilità in Valtellina (periodi decimo, undicesimo e dodicesimo)

Finalità

Il periodo decimo del comma in esame reca disposizioni finalizzate a fronteggiare le criticità dei collegamenti viari tra la Valtellina e il capoluogo regionale, nonché a programmare immediati interventi di riqualificazione, miglioramento e rifunzionalizzazione della rete viaria, diretti a conseguire idonei standard di sicurezza stradale e adeguata mobilità.

Decreto di nomina del Commissario

Per tali finalità viene prevista l’emanazione, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, di un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con cui si provvede alla nomina di un Commissario straordinario.

Relativamente alle modalità di emanazione del decreto, viene stabilito che lo stesso è adottato su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministro dell’economia e delle finanze, d'intesa con il Presidente della Giunta regionale della Lombardia e con il Presidente della Provincia di Lecco.

Compiti del Commissario

La stessa disposizione individua i compiti affidati al Commissario, a cui è affidato l’incarico di sovraintendere alla programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione degli interventi sulla rete viaria, in particolare nella tratta Lecco-Sondrio lungo la strada statale 36, in gestione all’ANAS, nonché la ex strada statale 639 e la strada provinciale 72, in gestione alla provincia di Lecco.

La necessità di risolvere le criticità esistenti nei tratti indicati “anche con un commissario straordinario” è stata recentemente sollevata dai presentatori dell’interpellanza urgente 2/00376, svolta nel corso della seduta del 31 maggio 2019. Nel rispondere a tale interpellanza, il rappresentante del Governo ha sottolineato che la strada statale 36 “è una strada extra urbana di particolare rilevanza per le connessioni viabili lombarde, in quanto collega in maniera esclusiva le province di Milano, di Monza, della Brianza, di Lecco e di Sondrio” e che le principali problematiche “riguardano il tratto carreggiata nord dal km 28+200 al km 28+600” in cui si registra un’elevata incidentalità. Relativamente alla soluzione di tali problematiche, lo stesso rappresentante ha ricordato che “ANAS ha spiegato che la presenza di due viadotti per l’attraversamento del torrente Bevera e del fiume Lambro rende il tratto in questione difficilmente modificabile; infatti, non potendosi procedere all’innalzamento della quota del ponte, dal punto di vista progettuale, l’unica soluzione consisterebbe nella creazione di un tracciato in variante, per ridurre la pendenza e aumentare il raggio di curvatura. Tale soluzione necessita di lunghi tempi progettuali, di risorse economiche ed espropri di alcuni terreni privati”. Nella stessa risposta si sottolinea altresì che, in conseguenza della frana avvenuta il 25 aprile 2019, si è reso necessario disporre la chiusura (per alcuni giorni) dell’arteria stradale al chilometro 67 e la deviazione del relativo traffico sulla sottostante strada provinciale 72.

Nella stessa risposta viene evidenziato che per gli interventi di manutenzione straordinaria da parte di ANAS relativi alla SS 36 “sono attivi 18 cantieri per un importo di 35,69 milioni di euro e in fase di attivazione 14 cantieri per un importo di 28,33 milioni di euro”.

Compenso del Commissario

Con lo stesso decreto, in base al periodo undicesimo del comma in esame, è inoltre disciplinato l’eventuale compenso del Commissario con oneri a carico del quadro economico degli interventi da realizzare o completare e nel rispetto dei limiti fissati dall’art. 15, comma 3, del D.L. 98/2011.

La richiamata disposizione stabilisce, in estrema sintesi, che il compenso dei commissari è composto da una parte fissa (che non può superare i 50 mila euro annui) e da una parte variabile strettamente correlata al raggiungimento degli obiettivi ed al rispetto dei tempi di realizzazione degli interventi ricadenti nell'oggetto dell'incarico commissariale (che non può superare i 50 mila euro annui).

Ulteriori disposizioni

L’undicesimo periodo dispone altresì che con il medesimo decreto sono anche stabiliti i termini, le modalità, le tempistiche, l'eventuale supporto tecnico, le attività connesse alla realizzazione delle opere.

Il dodicesimo periodo dispone che il Commissario può avvalersi di strutture delle amministrazioni interessate nonché di società controllate dalle medesime amministrazioni.

Disciplina degli interventi necessari per gli eventi sportivi di sci alpino (periodo tredicesimo)

Il tredicesimo periodo del comma in esame apporta alcune modifiche alla disciplina, dettata dall’art. 61 del D.L. 50/2017, per la realizzazione del progetto sportivo delle finali di coppa del mondo e dei campionati mondiali di sci alpino, che si terranno a Cortina d'Ampezzo, rispettivamente, nel marzo 2020 e nel febbraio 2021.

Al fine di assicurare la realizzazione del citato progetto, l’art. 61 del D.L. 50/2017 ha previsto la nomina di un commissario con il compito di provvedere alla predisposizione e all’approvazione di un piano degli interventi necessari.

In attuazione di tali disposizioni, con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 ottobre 2017 si è provveduti alla nomina del Commissario nella persona dell’ing. Luigivalerio Sant'Andrea. Successivamente sono stati emanati decreti commissariali di approvazione di stralci del piano degli interventi.

Una sintesi dell’attività svolta, dei tempi di attuazione del programma e delle risorse economiche è contenuta nella relazione annuale (prevista dall’art. 61, comma 10, del D.L. 50/2017) trasmessa al Parlamento nel febbraio 2019.

Si fa notare che la disciplina in questione è stata recentemente modificata dal comma 12-quinquies dell’art. 4 del D.L. 32/2019 che ha prorogato al 31 gennaio 2021 (il termine previgente era il 31 dicembre 2019) la consegna delle opere previste dal piano degli interventi approvato dal Commissario e si è previsto che il Commissario cessi dalle sue funzioni il 31 dicembre 2021, invece che alla consegna delle opere previste nel piano approvato dal medesimo Commissario.

 

La lettera a) della norma in esame modifica la disciplina in questione (con una novella integrativa al comma 6 dell’art. 61 del D.L. 50/2017) stabilendo che agli interventi del piano (degli interventi) approvato si applicano le disposizioni in materia di valutazione di incidenza (VINCA) previste dall’art. 5, commi 9 e 10, del D.P.R. 357/1997 per gli interventi che interessano territori rientranti nelle aree protette della rete “Natura 2000”.

Si ricorda che l’art. 5 del D.P.R. 357/1997 stabilisce, in estrema sintesi, che ogni piano, progetto o intervento, che può avere un’incidenza significativa negativa sui siti della rete europea “Natura 2000”, deve essere sottoposto a procedura di valutazione di incidenza.

Il citato comma 9 dispone che, qualora, nonostante le conclusioni negative della valutazione di incidenza sul sito ed in mancanza di soluzioni alternative possibili, il piano o l'intervento debba essere realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale ed economica, le amministrazioni competenti adottano ogni misura compensativa necessaria per garantire la coerenza globale della rete «Natura 2000» e ne danno comunicazione al Ministero dell'ambiente.

In base al comma 10, invece, qualora nei siti ricadano tipi di habitat naturali e specie prioritari, il piano o l'intervento di cui sia stata valutata l'incidenza negativa sul sito di importanza comunitaria, può essere realizzato soltanto con riferimento ad esigenze connesse alla salute dell'uomo e alla sicurezza pubblica o ad esigenze di primaria importanza per l'ambiente, ovvero, previo parere della Commissione europea, per altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico.

 

La lettera b) modifica il comma 21 dell’art. 61 del D.L. 50/2017 al fine di disporre la proroga dal 31 dicembre 2019 al 31 gennaio 2021 del termine per la consegna delle opere, una volta sottoposte a collaudo tecnico, connesse all'adeguamento della viabilità statale nella provincia di Belluno.

Si ricorda che il termine in questione, previsto dal comma 21, fa riferimento al piano di interventi predisposto dal Commissario di cui al comma 13. Tale comma, sempre al fine di assicurare la tempestiva realizzazione del progetto sportivo delle finali di coppa del mondo e dei campionati mondiali di sci alpino, che si terranno a Cortina d'Ampezzo rispettivamente nel marzo 2020 e nel febbraio 2021, ha nominato il presidente pro tempore della società ANAS S.p.a. commissario per la individuazione, progettazione e tempestiva esecuzione delle opere connesse all'adeguamento della viabilità statale nella provincia di Belluno, di competenza della medesima società.

Tutte le informazioni su tale piano degli interventi sono disponibili nel sito web http://www.anaspercortina2021.it/.

Si fa notare che la norma in esame consente di allineare il termine per la consegna delle opere in questione alle nuove scadenze previste dal D.L. 32/2019.


 

Articolo 30-bis
(Norme in materia di edilizia scolastica e antincendio)

 

 

L’articolo 30-bis, aggiunto durante l'esame in sede referente, consente agli enti locali, beneficiari di finanziamenti statali per la messa in sicurezza degli edifici pubblici adibiti ad uso scolastico, relativi al triennio 2019-2021 e nell'ambito della programmazione triennale nazionale (articolo 10 del D.L. 104/2013), di avvalersi di Consip S.p.A. per gli acquisti di beni e servizi e di Invitalia S.p.A. per l’affidamento dei lavori di realizzazione.

Qualora le due centrali di committenza non pubblichino gli atti di gara entro 90 giorni dalla presentazione dei progetti definitivi da parte degli enti locali, è consentito agli stessi enti locali di avvalersi di una specifica procedura negoziata, con la consultazione di almeno quindici operatori economici, ove esistenti, per l’affidamento di lavori sotto-soglia comunitaria.

È previsto altresì l’obbligo per gli edifici scolastici pubblici, oggetto di interventi di messa in sicurezza, a valere su finanziamenti e contributi statali, di mantenere la destinazione ad uso scolastico per almeno cinque anni dall'avvenuta ultimazione dei lavori.

 

Il comma 1 consente agli enti locali, beneficiari di finanziamenti e contributi statali, al fine di garantire la messa in sicurezza degli edifici pubblici adibiti ad uso scolastico - limitatamente al triennio 2019-2021 e nell'ambito della programmazione triennale nazionale di cui all'articolo 10 del D.L. 104/2013 - di avvalersi:

§  di Consip S.p.A. per gli acquisti di beni e servizi;

§  di Invitalia S.p.A. per l’affidamento dei lavori di realizzazione.

 

Invitalia S.p.A. è l’Agenzia per lo sviluppo del Governo, il cui capitale è interamente detenuto dal MEF, che si occupa, in misura crescente e in applicazione di una molteplicità di norme, sia dell’offerta sia della domanda di sviluppo.

L’articolo 55-bis del D.L. 1/2012, per accelerare l’attuazione degli interventi strategici per la coesione territoriale e la crescita economica finanziati con risorse nazionali e dell’Unione europea, ha previsto che le amministrazioni centrali possano avvalersi di INVITALIA, per le occorrenti attività economiche, finanziarie e tecniche, in qualità di centrale di committenza.

Inoltre, l’art. 38 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 50/2016) ha iscritto di diritto Invitalia nell’elenco, istituito presso ANAC, delle stazioni appaltanti e delle Centrali di Committenza qualificate.

Invitalia è iscritta anche nell’elenco ANAC delle società in house per le Amministrazioni Centrali (art.192, co.1, D.Lgs. 50/2016).

 

Consip S.p.A., anch’essa interamente detenuta dal MEF, svolge, tra le principali attività attribuite da diverse disposizioni di legge, il programma per la razionalizzazione degli acquisti della PA, con l'obiettivo di ottimizzare gli acquisti pubblici e contribuire allo sviluppo di modelli di approvvigionamento basati su processi e tecnologie innovative (e-public procurement), e, in qualità di centrale di committenza, specifici progetti di gara, per singole amministrazioni, sulla base di puntuali esigenze di approvvigionamento.

Ai sensi dell’art. 38 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 50/2016), anche Consip S.p.A. è iscritta di diritto nell’elenco, istituito presso ANAC, delle stazioni appaltanti e delle Centrali di Committenza qualificate.

 

La programmazione unica triennale nazionale degli interventi di edilizia scolastica è stata introdotta nell’ordinamento – con riferimento al triennio 2015-2017 – con il decreto interministeriale 23 gennaio 2015 (MEF-MIUR-MIT), emanato al fine di dare attuazione all’art. 10 del D.L. 104/2013 (L. 128/2013), che ha autorizzato le regioni, per interventi di edilizia scolastica, a stipulare mutui, fra gli altri, con la Banca europea per gli investimenti.

La programmazione nazionale per il triennio 2015-2017 è stata predisposta con DM 29 maggio 2015, n. 322 ed aggiornata, per il 2016, con DM 14 ottobre 2016, n. 790 e, per il 2017, con DM 13 marzo 2018, n. 216.

Successivamente, il d.lgs. 65/2017 (art. 3, co. 4-8) ha stabilito che dal 2018 sono ammessi nella programmazione unica triennale nazionale anche gli interventi di ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico, efficientamento energetico e riqualificazione di immobili di proprietà pubblica da destinare ai poli per l’infanzia per l’accoglienza, in un unico plesso o in edifici vicini, di più strutture di educazione e di istruzione per bambini fino a 6 anni.

La definizione di una nuova programmazione unica nazionale degli interventi in materia di edilizia scolastica per il triennio 2018-2020 è stata avviata con D.I. 3 gennaio 2018. La programmazione in questione è stata predisposta con DM 12 settembre 2018, n. 615 e rettificata, per le regioni Calabria, Campania, Lazio, Lombardia, Piemonte, Sicilia, Toscana, Valle d'Aosta e Veneto, con DM 10 dicembre 2018, n. 849.

Da ultimo, con DM 110 del 21 febbraio 2019, il MIUR ha stabilito il termine del 30 giugno 2019, entro il quale le regioni devono far pervenire l'aggiornamento dei piani relativi all'annualità 2019. Lo stesso aggiornamento è approvato con successivo decreto ministeriale, da adottare entro il 15 luglio 2019.

 

Il comma 1 stabilisce inoltre l’obbligo per Consip e Invitalia di pubblicare gli atti di gara entro 90 giorni dalla presentazione alle stesse dei progetti definitivi da parte degli enti locali.

L’attività di progettazione per l’esecuzione di lavori pubblici è articolata in tre differenti livelli di successivi approfondimenti tecnici: progetto preliminare, progetto definitivo e progetto esecutivo (art. 23 del Codice dei contratti pubblici).

Nel Codice dei contratti pubblici, gli appalti relativi ai lavori risultano affidati, in via generale, ponendo a base di gara il solo progetto esecutivo, restando vietato il ricorso all'affidamento congiunto della progettazione e dell'esecuzione di lavori (art. 59, comma 1, terzo periodo e quarto periodo del Codice dei contratti).

Il Codice consente, tuttavia, l’appalto integrato, cioè l’affidamento congiunto della progettazione e dell’esecuzione dei lavori, principalmente, nei seguenti casi:

§  sulla base del progetto definitivo quando l'elemento tecnologico o innovativo delle opere oggetto dell'appalto sia nettamente prevalente rispetto all'importo complessivo dei lavori (art. 59, comma 1-bis del Codice);

§  quando l’affidamento avviene tramite contraente generale, in concessione, partenariato pubblico privato, contratto di disponibilità, locazione finanziaria, nonché nel caso di opere di urbanizzazione a scomputo (art. 59, comma 1, quarto periodo del Codice);

§  per le opere i cui progetti definitivi risultino definitivamente approvati dall'organo competente alla data di entrata in vigore del Codice (19 aprile 2016), con pubblicazione del bando entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore dell’art. 216, comma 4-bis (cioè entro il 20 maggio 2018)[29];

§  per l’affidamento di lavori di manutenzione ordinaria - fino alla emanazione di un decreto di semplificazione degli interventi di manutenzione ordinaria fino a un importo di 2.500.000 euro -  sulla base del progetto definitivo. Fino alla data di entrata in vigore del medesimo decreto, l'esecuzione dei lavori può prescindere dall'avvenuta redazione e approvazione del progetto esecutivo, qualora si tratti di lavori di manutenzione, ad esclusione degli interventi di manutenzione che prevedono il rinnovo o la sostituzione di parti strutturali delle opere (art. 216, comma 4).

 

Con il D.L. 32/2019, in materia di appalto integrato, si prevede:

§  la sospensione fino al 31 dicembre 2020 del divieto di ricorso all’appalto integrato come disposto dall’art. 59, comma 1, quarto periodo, del Codice (art. 1, comma 1, lettera b); 

§  la possibilità, fino al 31 dicembre 2020, per i contratti di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, ad esclusione degli interventi di manutenzione straordinaria che prevedono il rinnovo o la sostituzione di parti strutturali delle opere o di impianti:

-       di provvedere all’affidamento, nel rispetto delle procedure di scelta del contraente previste dal Codice dei contratti pubblici, sulla base del progetto definitivo (costituito almeno da una relazione generale, dall'elenco dei prezzi unitari delle lavorazioni previste, dal computo metrico-estimativo, dal piano di sicurezza e di coordinamento con l'individuazione analitica dei costi della sicurezza da non assoggettare a ribasso);

-       di provvedere all’esecuzione dei lavori a prescindere dall’avvenuta redazione e approvazione del progetto esecutivo (norma introdotta dall’art. 1, comma 6 che riproduce quanto previsto dall’art. 216, comma 4, estendendo tale possibilità anche ai lavori di manutenzione straordinaria).

§  l’introduzione di nuova previsione in base alla quale i requisiti minimi per lo svolgimento della progettazione oggetto del contratto sono previsti nei documenti di gara nel rispetto del Codice e del nuovo regolamento unico di attuazione del Codice. Detti requisiti sono posseduti dalle imprese attestate per prestazioni di sola costruzione attraverso un progettista raggruppato o indicato in sede di offerta, in grado di dimostrarli, scelto tra i soggetti previsti come operatori economici per l'affidamento dei servizi di architettura e ingegneria. Si stabilisce che le imprese attestate per prestazioni di progettazione e costruzione documentino invece i requisiti per lo svolgimento della progettazione esecutiva laddove i predetti requisiti non siano dimostrati dal proprio staff di progettazione (articolo 1, comma 20, lettera m, punto 1) che integra il comma 1-bis dell’art. 59 del Codice dei contratti pubblici);

§  l’introduzione di una nuova previsione, per cui nei casi in cui l'operatore economico si avvalga di uno o più soggetti qualificati alla realizzazione del progetto, la stazione appaltante indica nei documenti di gara le modalità per la corresponsione direttamente al progettista della quota del compenso (articolo 1, comma 20, lettera m, punto 2) che aggiunge il comma 1-quater all’art. 59 del Codice dei contratti).

 

Il comma 2 consente - decorso il suddetto termine di novanta giorni -  agli enti locali di affidare tutti i lavori di cui al citato comma 1, anche di importo pari o superiore a 200.000 euro e fino alla soglia di rilevanza europea pari a 5.548.000 euro (articolo 35, comma 1, lettera a), del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016), mediante procedura negoziata con consultazione, nel rispetto del criterio di rotazione degli inviti, di almeno 15 operatori economici ove esistenti, individuati, sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici.

L'avviso sui risultati della procedura di affidamento contiene anche l'indicazione dei soggetti invitati.

La norma in esame appare finalizzata a derogare alla disciplina relativa alle modalità di affidamento dei lavori “sottosoglia” prevista dall’art. 36 del Codice dei contratti pubblici.

La disciplina in vigore, prima della conversione in legge del D.L. 32/2019, era quella risultante dalle modifiche operate dalla lettera f), numeri 1, 2) e 3), del comma 1 dell’art. 1 del testo iniziale D.L. 32/2019.

In base a tale disciplina, per gli affidamenti di lavori di importo pari o superiore a 200.000 euro e fino alla soglia di rilevanza europea (fissata, come detto, dall’art. 35 del Codice in circa 5,5 milioni di euro) era prevista la procedura aperta contemplata dall’art. 60 del Codice dei contratti.

Tale disciplina è stata infine ulteriormente modificata con l’approvazione della legge di conversione del citato decreto-legge.

In base al nuovo testo (v. art. 1, comma 20, lettera h), numeri 1), 2) e 3)), in estrema sintesi, le modalità di affidamento variano, a seconda degli importi considerati, nel modo seguente:

§  per importi inferiori a 150.000 euro è consentito l’affidamento diretto;

§  per importi pari o superiori a 150.000 euro e inferiori a 350.000 euro è previsto l’affidamento mediante procedura negoziata senza bando di gara e previa consultazione, ove esistenti, di almeno 10 operatori economici;

§  per importi pari o superiori a 350.000 euro e inferiori a 1 milione di euro è previsto l’affidamento mediante procedura negoziata senza bando di gara e previa consultazione, ove esistenti, di almeno 15 operatori economici;

§  per importi pari o superiori a 1 milione di euro e fino alla soglia di rilevanza europea è previsto l’affidamento mediante procedura aperta.

 

Si fa notare, quindi, che, per importi inferiori a 1 milione di euro, la norma in esame impone un aggravamento rispetto alle procedure “sottosoglia” previste dal nuovo testo dell’art. 36 del Codice (risultante dalle citate modifiche operate dalla legge di conversione del D.L. 32/2019), le quali non prevedono la pubblicazione di un bando e (nel caso di lavori di importo inferiore a 350.000) si limitano a richiedere solamente la consultazione di 10 operatori invece dei 15 richiesti dal comma in esame. Si registra, invece, una semplificazione per i lavori di importo pari o superiore a 1 milione di euro: per tali lavori, infatti, è sufficiente ricorrere alla procedura negoziata in luogo della procedura aperta.

Ciò premesso, si valuti l’opportunità di coordinare la disposizione recata dal comma in esame con il nuovo testo dell’art. 36, comma 2, del Codice dei contratti pubblici, come risultante dalle modifiche operate dalla legge di conversione del decreto-legge n. 32/2019.

 

Il comma 3 prevede, infine, l’obbligo per gli edifici scolastici pubblici, oggetto di interventi di messa in sicurezza a valere su finanziamenti e contributi statali, di mantenere la destinazione ad uso scolastico per almeno cinque anni dall'avvenuta ultimazione dei lavori.

La suddetta disposizione sembrerebbe avere una portata di carattere generale, da applicarsi a tutti gli edifici scolastici pubblici, oggetto di interventi di messa in sicurezza a valere su tutti i finanziamenti e contributi statali.


 

Articolo 30-ter
(Agevolazioni per la promozione dell'economia locale
mediante la riapertura e l'ampliamento
di attività commerciali, artigianali e di servizi)

 

 

L’articolo 30-ter, inserito in sede referente, introduce a decorrere dal 1° gennaio 2020 un’agevolazione volta a promuovere l’economia locale attraverso la riapertura e l’ampliamento di attività commerciali, artigianali e di servizi. L’agevolazione consiste nell’erogazione di un contributo pari ai tributi comunali pagati dall’esercente nel corso dell’anno e viene corrisposta per l'anno nel quale avviene l'apertura o l'ampliamento dell’esercizio commerciale e per i tre anni successivi, per un totale di quattro anni.

L’articolo riproduce il contenuto del Capo III, articoli da 27 a 32, della proposta di legge in materia di semplificazioni fiscali già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1294).

 

In particolare, le agevolazioni, secondo quanto dispongono i commi 1 e 2, sono concesse in favore dei soggetti esercenti attività imprenditoriali nei seguenti settori: artigianato, turismo, fornitura di servizi destinati alla tutela ambientale, alla fruizione di beni culturali e al tempo libero, commercio al dettaglio, compresa la somministrazione di alimenti e di bevande al pubblico. L’agevolazione è circoscritta ai soli esercizi di vicinato e alle medie strutture di vendita.

 

Si ricorda che l'articolo 4, comma 1, lettere d) ed e), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, reca le seguenti definizioni:

§  esercizi di vicinato: quelli con superficie di vendita non superiore a 150 mq. nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 250 mq. nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti;

§  medie strutture di vendita: gli esercizi con superficie superiore ai limiti di cui al punto d) e fino a 1.500 mq nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 2.500 mq. nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti;

 

La disciplina di favore opera nei confronti dei predetti soggetti, ove procedano all’ampliamento di esercizi commerciali già esistenti o alla riapertura di esercizi chiusi da almeno sei mesi, siti nei territori dei comuni con popolazione fino a 20 mila abitanti.

L’ultimo periodo del comma 1 specifica che le disposizioni del presente capo non costituiscono in alcun caso deroga alla disciplina prevista dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio) e dalle leggi regionali in materia di commercio al dettaglio.

 

Con riferimento all’esercizio dell'attività di vendita al dettaglio sulle aree private in sede fissa, si ricorda che il D.Lgs. n. 114/1998, all’articolo 6 (rubricato programmazione della rete distributiva), ha demandato alle regioni la definizione degli indirizzi generali per l'insediamento delle attività commerciali, al fine del perseguimento di una serie di obiettivi, indicati nello stesso articolo 6, comma 1, tra i quali valorizzare la funzione commerciale al fine della riqualificazione del tessuto urbano, in particolare per quanto riguarda i quartieri urbani degradati al fine di ricostituire un ambiente idoneo allo sviluppo del commercio (lettera c)); salvaguardare e riqualificare i centri storici anche attraverso il mantenimento delle caratteristiche morfologiche degli insediamenti e il rispetto dei vincoli relativi alla tutela del patrimonio artistico ed ambientale (lettera d)); salvaguardare e riqualificare la rete distributiva nelle zone di montagna, rurali ed insulari anche attraverso la creazione di servizi commerciali polifunzionali e al fine di favorire il mantenimento e la ricostituzione del tessuto commerciale (lettera e)); favorire gli insediamenti commerciali destinati al recupero delle piccole e medie imprese già operanti sul territorio interessato, anche al fine di salvaguardare i livelli occupazionali reali e con facoltà di prevedere a tale fine forme di incentivazione (lettera f)); assicurare, avvalendosi dei comuni e delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, un sistema coordinato di monitoraggio riferito all'entità ed all'efficienza della rete distributiva (lettera g)). Alle regioni, è stato dunque demandato il compito di fissare i criteri di programmazione urbanistica riferiti al settore commerciale, affinché gli strumenti urbanistici comunali individuino: a) le aree da destinare agli insediamenti commerciali ed, in particolare, quelle nelle quali consentire gli insediamenti di medie e grandi strutture di vendita al dettaglio; b) i limiti ai quali sono sottoposti gli insediamenti commerciali in relazione alla tutela dei beni artistici, culturali e ambientali; c) i vincoli di natura urbanistica ed in particolare quelli inerenti la disponibilità di spazi pubblici o di uso pubblico e le quantità minime di spazi per parcheggi, relativi alle diverse strutture di vendita.

Le regioni, nel definire gli indirizzi generali - con il parere obbligatorio delle rappresentanze locali e con la consultazione delle organizzazioni dei consumatori e delle imprese del commercio - devono tener conto, tra l’altro, di una serie di caratteristiche degli ambiti territoriali di riferimento, tra cui i centri di minore consistenza demografica.

I comuni sono stati vincolati ad adeguare gli strumenti urbanistici generali e attuativi e i regolamenti di polizia locale alle disposizioni di cui al presente articolo. In caso di inerzia da parte del comune, le regioni provvedono in via sostitutiva adottando le norme necessarie, che restano in vigore fino alla emanazione delle norme comunali.

 

Il comma 3 esclude dall’agevolazione le seguenti attività:

§  attività di compro oro, definita ai sensi del D.Lgs. n. 92/2017. Il citato decreto legislativo ha introdotto una disciplina antiriciclaggio ad hoc per il settore dei compro oro. In particolare, le operazioni di compro oro consistono nella compravendita, all'ingrosso o al dettaglio, ovvero nella permuta di oggetti preziosi usati. Le norme hanno istituito un apposito registro degli operatori in tale attività, che hanno specifici obblighi di identificazione della clientela. Per le transazioni compiute dai compro oro si applica uno specifico regime di tracciabilità;

§  sale scommesse o che detengono al loro interno apparecchi di intrattenimento di cui all’articolo 110, comma 6, lettere a) e b) del T.U.L.P.S (R.D. 773/1931). Si tratta degli apparecchi idonei per il gioco lecito, vale a dire quelli dotati di attestato di conformità rilasciato dall’Agenzia delle dogane e dei Monopoli e obbligatoriamente collegati alla rete telematica, slot machine, e quelli facenti parte della rete telematica che si attivano esclusivamente in presenza di un collegamento ad un sistema di elaborazione della rete stessa, videolottery.

 

Il successivo comma 4 esclude dalle agevolazioni:

§  i subentri, a qualunque titolo, in attività già in esistenti precedentemente interrotte;

§  le aperture di nuove attività e le riaperture, conseguenti a cessione di un’attività preesistente, da parte del medesimo soggetto che la esercitava in precedenza, o comunque di un soggetto, anche costituito in forma societaria che sia ad esso direttamente e/o indirettamente riconducibile;

 

Il comma 5 individua le misure agevolative, che consistono nell’erogazione di contributi, per l'anno nel quale avviene l'apertura o l'ampliamento degli esercizi oggetto dei benefici e per i tre anni successivi.

La misura del contributo è rapportata alla somma dei tributi comunali dovuti dall’esercente e regolarmente pagati nell’anno precedente a quello nel quale è presentata la richiesta di concessione, fino al 100 per cento dell’importo, secondo quanto stabilito dal successivo comma 9.

 

Nell’ambito del bilancio comunale è prevista l’istituzione di un apposito Fondo, da destinare alla concessione dei contributi di cui all’articolo in commento. Al finanziamento del Fondo comunale si provvede mediante l’istituzione, nello stato di previsione del Ministero dell’interno, di un Fondo con una dotazione annuale fissata in 5 milioni per il 2020, 10 milioni per il 2021, 13 milioni per il 2022 e 20 milioni a decorrere dal 2023 (comma 6).

Al riparto tra i comuni beneficiari si provvede con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato–Città e autonomie locali, di cui all’articolo 8 del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281. La spesa complessiva per contributi erogati ai beneficiari non può superare la dotazione annua del Fondo.

 

Si osserva che diversi comuni, con il fine di incentivare l’insediamento di nuove attività produttive e promuovere in particolare il rilancio dei propri centri storici, hanno previsto la concessione di agevolazioni a favore di imprese esercenti le attività indicate dalla proposta di legge. Tali agevolazioni, in vari casi, consistono – come peraltro prevede anche la proposta di legge in esame – nella esenzione totale o parziale, per i primi anni dall’inizio dell’attività, delle imposte sugli immobili utilizzati direttamente ovvero anche indirettamente per l’esercizio dell’attività d’impresa e/o dall’imposta comunale sulla pubblicità. Si richiama, in proposito, e a titolo esemplificativo e non esaustivo, il Regolamento per la promozione ed incentivazione delle attività imprenditoriali del Comune di Sassari (delibera Cons. Com. n. 61/2011, come modificata con succ. delib. Comunali Delib. n. 9/2014, n. 17/2015 e n. 20/2015), nonché il Regolamento per la concessione di benefici a nuove attività che si insediano nel centro storico del Comune di Siena (approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 241/2015), nonché il Regolamento per la concessione di benefici a nuove attività che si insediano nel centri storici del Comune di Spoleto adottato dal Consiglio Comunale con la deliberazione n. 15 del 10 aprile 2014).

 

Ai sensi del comma 7, i contributi sono erogati a decorrere dalla data di effettivo inizio dell’attività dell’esercizio, attestata dalle comunicazioni previste dalla normativa vigente.

 

Il comma 8 individua i soggetti che possono beneficiare delle agevolazioni previste al comma 5: i soggetti esercenti, in possesso delle abilitazioni e delle autorizzazioni richieste per lo svolgimento delle attività nei settori di cui al comma 2 che, ai sensi del comma 1, procedono all'ampliamento di esercizi già esistenti o alla riapertura di esercizi chiusi da almeno sei mesi.

Per gli esercizi il cui ampliamento comporta la riapertura di ingressi o di vetrine su strada pubblica chiusi da almeno sei mesi nell'anno per cui è chiesta l'agevolazione, il contributo è concesso per la sola parte relativa all'ampliamento medesimo.

 

Si ricorda al riguardo che ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lett. a) del D.L. n. 223/2006, le attività commerciali (come individuate dal D.Lgs. n. 114/1998), non sono soggette ad iscrizione a registri abilitanti ovvero al possesso di requisiti professionali soggettivi per l'esercizio di attività commerciali, fatti salvi quelli riguardanti il settore alimentare e della somministrazione degli alimenti e delle bevande

 

Il comma 9 disciplina le procedure per il riconoscimento dei benefici concessi. I soggetti che intendono usufruire delle agevolazioni devono presentare al Comune nel quale è sito l’esercizio, a partire dal 1° gennaio ed entro il 28 febbraio di ogni anno, richiesta redatta su un apposito modello, nonché dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà attestante il possesso dei requisiti prescritti. Il Comune, dopo aver effettuato i controlli sulla dichiarazione, determina la misura del contributo spettante, previo riscontro del regolare avvio e mantenimento dell’attività. I contributi sono concessi nell’ordine delle richieste presentate, fino all’esaurimento delle risorse iscritte nel bilancio comunale. L’importo di ciascun contributo è determinato dal responsabile dell’ufficio comunale competente per i tributi, in misura proporzionale al numero di mesi di apertura dell’esercizio nel quadriennio considerato, che non può comunque essere in ogni caso inferiori a sei mesi.

 

Il comma 10 richiama la disciplina sugli aiuti di Stato cd. “de minimis”, di cui al Regolamento (UE) n. 1407/2013, disponendo che, per poter usufruire delle misure agevolative, è necessario che non siano superati i limiti ivi previsti per gli aiuti a ciascuna impresa. I contributi, inoltre, non sono cumulabili con altre agevolazioni previste dalla legge in esame o da normative statali, regionali o delle province autonome di Trento e di Bolzano.

 

Per ciò che concerne la disciplina sugli aiuti di Stato, l'articolo 108, paragrafo 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) contempla l'obbligo di notificare alla Commissione europea i progetti diretti ad istituire o modificare aiuti al fine di stabilirne la compatibilità con il mercato comune sulla base dei criteri dell'articolo 107, par. 1 TFUE. Alcune categorie di aiuti possono tuttavia essere dispensate dall'obbligo di notifica.

Fanno poi eccezione all'obbligo di notifica alla Commissione UE, oltre alle specifiche categorie di aiuti esentati dalla stessa sulla base dei regolamenti di esenzione, gli aiuti di piccola entità, definiti dalla UE "de minimis", che si presume non incidano sulla concorrenza in modo significativo. Per gli aiuti cd. de minimis, si richiama il Regolamento (UE) n. 1407/2013 che è applicabile alle imprese operanti in tutti i settori, salvo specifiche eccezioni, tra cui la produzione di prodotti agricoli. Il massimale previsto da tale regolamento non ha subito variazioni rispetto al precedente regolamento n. 1698/2006, ed è stato confermato entro il limite di 200.000 euro nell'arco di tre esercizi finanziari.

Si ricorda che il regolamento «de minimis» in questione si applica a tutti gli aiuti «de minimis» per i quali è possibile calcolare con precisione l’equivalente sovvenzione lordo ex ante, senza che sia necessario effettuare una valutazione dei rischi («aiuti trasparenti»). Ciò vale, ad esempio, per le sovvenzioni, i contributi in conto interessi e le esenzioni fiscali limitate o altri strumenti che prevedano un limite in grado di garantire che il massimale pertinente non sia superato.

L’introduzione di un limite significa che, finché non si conosce l’importo preciso dell’aiuto, lo Stato membro deve supporre che l’aiuto sia pari al limite onde evitare che l’insieme delle misure di aiuto superi il massimale fissato nel regolamento (cfr. considerando n. 14 Reg. UE n. 1407/2013).

Si ricorda inoltre che, al fine di verificare che le agevolazioni pubbliche siano concesse nel rispetto delle disposizioni previste dalla normativa europea, specie al fine di evitare il cumulo dei benefici e, nel caso degli aiuti de minimis, il superamento del massimale di aiuto concedibile imposto dall’Unione europea, è stato istituito il “Registro Nazionale degli Aiuti- (RNA)”.

Il Registro Nazionale degli aiuti di Stato è operativo - presso la Direzione Generale per gli Incentivi alle imprese del Ministero dello Sviluppo Economico (DGIAI) - a partire dal 12 agosto 2017 a seguito della pubblicazione il 28 luglio 2017 del Regolamento n. 115 del 31 maggio 2017 e del Decreto del Direttore generale per gli incentivi alle imprese che ne disciplinano il funzionamento.

Il Registro consente alle amministrazioni pubbliche titolari di misure di aiuto in favore delle imprese e ai soggetti, anche di natura privata, incaricati della gestione di tali aiuti, di effettuare i controlli amministrativi nella fase di concessione attraverso il rilascio di specifiche “visure” che recano l’elencazione dei benefici di cui il destinatario dell’aiuto abbia già goduto negli ultimi esercizi in qualunque settore.

Dall’entrata in funzione del Registro ciascun provvedimento che dispone la concessione di aiuti a favore di un’impresa, per avere efficacia, dovrà riportare codici identificativi rilasciati dal Registro.

 

Il comma 11 fissa la decorrenza delle agevolazioni al 1° gennaio 2020.

 

Il comma 12, infine, reca la quantificazione degli oneri, pari a 5 milioni di euro per l'anno 2020, a 10 milioni di euro per l'anno 2021, a 13 milioni di euro per l'anno 2022 e a 20 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2023, cui si provvede mediante le maggiori entrate derivanti dal provvedimento in commento.


 

Articolo 30-quater
(Imprese radiofoniche private che abbiano svolto attività di informazione di interesse generale)

 

L’articolo 30-quater, introdotto nel corso dell’esame in Commissione, reca interventi a favore delle imprese radiofoniche private che abbiano svolto attività di informazione di interesse generale.

 

In particolare, il comma 1 ribadisce che le imprese radiofoniche private che abbiano svolto attività di informazione di interesse generale, che percepiscono i contributi ai sensi della L. 230/1990 e dell’art. 1, co. 1247, della L. 296/2006, mantengono il diritto all’intero contributo, anche in presenza di riparto percentuale fra gli altri aventi diritto.

Si tratta di una previsione già recata dall’art. 12, co. 1, del regolamento di delegificazione emanato con D.P.R. 223/2010, tuttora vigente, a differenza di altre disposizioni del medesimo D.P.R..

 

Preliminarmente, si ricorda che la L. 230/1990 aveva concesso un contributo (per il solo triennio 1990-1992) alle imprese radiofoniche private che nel triennio 1987-1989 avessero (fra l’altro) trasmesso quotidianamente propri programmi informativi su avvenimenti politici, religiosi, economici, sociali, sindacali o letterari per non meno di nove ore comprese tra le 7 e le 20.

Successivamente, l’art. 1, co. 1247, della L. 296/2006 ha disposto che i contributi previsti dall’art. 4 della L. 250/1990 – relativi ad imprese radiofoniche che risultavano essere organi di partiti politici presenti in almeno un ramo del Parlamento[30] – sono corrisposti anche alle imprese radiofoniche private che abbiano svolto attività di informazione di interesse generale ai sensi della L. 230/1990[31].

Ancora in seguito, l’art. 12, co. 1, del già citato D.P.R. 223/2010 ha disposto che le imprese radiofoniche private che abbiano svolto attività di informazione di interesse generale ai sensi della L. 230/1990 mantengono il diritto all’intero contributo, anche in presenza di riparto percentuale fra gli altri aventi diritto.

In base alle informazioni disponibili sul sito della Presidenza del Consiglio –Dipartimento per l’informazione e l’editoria, negli anni ha beneficiato del contributo unicamente l’impresa Centro di produzione Spa, titolare dell’emittente Radio Radicale[32].

 

A sua volta, il comma 2 dispone che la Presidenza del Consiglio dei ministri corrisponde alle medesime imprese un ulteriore contributo di € 3 mln per il 2019, finalizzato a favorire la conversione in digitale e la conservazione degli archivi multimediali, anch’esso non soggetto a riparto percentuale fra gli altri aventi diritto.

Ai sensi del comma 5, alla copertura dei relativi oneri si provvede a valere sul Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione[33].

 

In base al comma 3, il totale dei contributi corrisposti ai sensi della L. 230/1990 e dell’art. 1, co. 1247, della L. 296/2006, nonché del co. 2, non può essere superiore all’80% dei costi dell’esercizio precedente.

 

Il già citato comma 2 precisa, altresì, che il contributo concesso per la conversione in digitale e la conservazione degli archivi multimediali può essere riassorbito da un’eventuale convenzione appositamente stipulata successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.

 

Al riguardo, si ricorda che il 21 maggio 2019 è scaduta la convenzione stipulata fra il Ministero dello sviluppo economico e il Centro di produzione S.p.A. titolare dell’emittente Radio Radicale, per la trasmissione radiofonica delle sedute parlamentari, prorogata, da ultimo, per sei mesi, dall’art. 1, co. 88, della L. 145/2018 (L. di bilancio 2019)[34].

 

Da ultimo, il comma 4 proroga (dal 1° gennaio 2020) al 31 gennaio 2020 la previsione di abolizione dei contributi alle imprese radiofoniche private che abbiano svolto attività di informazione di interesse generale.

A tal fine, novella l’art. 1, co. 810, lett. a), della L. 145/2018 (L. di bilancio 2019), che, nelle more di una revisione organica della normativa di settore, ha disposto l’abrogazione – a decorrere dal 1° gennaio 2020 – della L. 230/1990 e la soppressione, nell’art. 1, co. 1247, della L. 296/2006, del riferimento alle medesime imprese.

La previsione è finalizzata a consentire alle imprese in questione di percepire il contributo per l’annualità 2019.

Infatti, in base all’art. 8, co. 2, del DPR 223/2010, le domande per l’accesso al contributo devono essere presentate dal 1° al 31 gennaio dell'anno successivo a quello di riferimento dei contributi.

 

Sembrerebbe, dunque, più congruo prorogare il termine al 1° febbraio 2020.

 

 


 

Articolo 31
(Marchi storici)

 

 

L’articolo 31, modificato nel corso dell’esame in sede referente, introduce nel Codice della proprietà industriale (D.Lgs. n. 30/2005):

§  il marchio storico di interesse nazionale, quale il marchio d’impresa registrato o per cui sia possibile dimostrare l’uso continuativo da almeno cinquanta anni, utilizzato per la commercializzazione di prodotti o servizi realizzati in un’impresa produttiva nazionale di eccellenza storicamente collegata al territorio nazionale;

§  il Registro speciale dei marchi storici, istituito presso l’UIBM, presso il quale i marchi in questione possono ricevere iscrizione, su richiesta del titolare o licenziatario esclusivo;

§  il logo “marchio storico di interesse nazionale” che le imprese iscritte nel Registro possono utilizzare per finalità commerciali e promozionali;

§  la previsione di un Fondo per la tutela dei marchi storici per interventi nel capitale di rischio in imprese titolari o licenziatarie di un marchio iscritto nel Registro, o comunque, secondo la precisazione introdotta in sede referente, in possesso dei requisiti per l’iscrizione del marchio nel Registro speciale, che intendano chiudere il sito produttivo di origine o principale, per cessazione dell'attività o per delocalizzazione fuori del territorio nazionale, con conseguente licenziamento collettivo. Tutte le imprese in questione, sono tenute a notificare al MISE le informazioni sul progetto di chiusura o delocalizzazione, pena il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria. Con la modifica introdotta in sede referente, viene dunque estesa la platea dei potenziali beneficiari del Fondo per la tutela dei marchi storici anche ai soggetti non iscritti al registro, ma in possesso dei requisiti per l’iscrizione, i quali sono ora assoggettati all’obbligo di comunicare al MISE il progetto di chiusura del sito produttivo, pena il pagamento di una sanzione pecuniaria.

Per lo svolgimento dei nuovi adempimenti, MISE è autorizzato ad assumere a tempo indeterminato dieci unità di personale.

 

Nel dettaglio, il comma 1 dell’articolo qui in esame apporta varie integrazioni al Codice della proprietà industriale (D.Lgs. n. 30/2005).

Nel dettaglio, la lettera a) del comma 1 introduce la disciplina marchio storico d’interesse nazionale (nuovo articolo 11-ter, comma 1 del Codice).

Ai sensi di tale nuova disciplina, i titolari o licenziatari esclusivi di marchi d'impresa registrati da almeno cinquanta anni o per i quali sia possibile dimostrare l'uso continuativo da almeno cinquanta anni, utilizzati per la commercializzazione di prodotti o servizi realizzati in un’impresa produttiva nazionale di eccellenza storicamente collegata al territorio nazionale, possono ottenere l'iscrizione del marchio nel Registro speciale dei marchi storici di interesse nazionale.

La disciplina del Registro speciale viene introdotta (con nuovo articolo 185-bis nel Codice) dal comma 1, lettera b) dell’articolo qui in commento.

Il Registro speciale è istituito, presso l'Ufficio italiano brevetti e marchi (UIBM). L'iscrizione al Registro speciale è effettuata su istanza del titolare o del licenziatario del marchio.

 

Il marchio è un segno distintivo dei prodotti o dei servizi, realizzati o distribuiti da un'impresa: attraverso la sua registrazione, è oggetto di protezione quale titolo di proprietà industriale.

La disciplina del marchio è fondata in generale sulle norme del codice civile (artt. 2569-2574) e in via speciale sulle norme del Codice della proprietà industriale D.Lgs. n. 30 del 10 febbraio 2005 (artt.7-28), come da ultimo modificate dal D.Lgs. n. 15/2019, di recepimento della direttiva (UE) 2015/2436.

L'originaria normativa sui marchi contenuta nel Codice del 2005 è stata, nel corso degli anni, in più punti modificata al fine di un adeguamento della stessa alla disciplina europea nel frattempo intervenuta. A questo proposito, appare opportuno rilevare come sussista una competenza concorrente tra disciplina statale e disciplina europea sulla materia, ai sensi del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea. Nel dettaglio, il Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea TFUE, all'articolo 118, prevede che "nell'ambito dell'instaurazione o del funzionamento del mercato interno, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscano le misure per la creazione di titoli europei al fine di garantire una protezione uniforme dei diritti di proprietà intellettuale nell'Unione e per l'istituzione di regimi di autorizzazione, di coordinamento e di controllo centralizzati a livello di Unione".

Sulla base delle previsioni del Trattato, parallelamente all'istituzione di un sistema di protezione europeo dei marchi - il cd. marchio dell'UE, valido in tutto il territorio dell'Unione europea, di cui al Regolamento (UE) n. 2017/1001/UE, come integrato dal Reg. delegato UE 2018/625 e attuato dal Regolamento di applicazione UE n. 2018/626 - il legislatore europeo è dunque intervenuto, da ultimo con la Direttiva (UE) 2015/2436, dettando norme di armonizzazione dei sistemi nazionali di protezione dei marchi d'impresa esistenti all'interno dei diversi Stati membri. Le norme europee di armonizzazione riguardano i requisiti per la registrazione di un segno come marchio d'impresa, le tipologie di marchio, la legittimazione alla registrazione del marchio, le forme di tutela del marchio, le cause di estinzione del marchio e, tra esse, la decadenza (cfr. Capo II, Sez. IV, artt. 19-21 Direttiva (UE) 2015/2436).

Si ricorda, inoltre, che l'Italia, oltre ad essere uno Stato membro dell'Unione europea, fa parte dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e ha ratificato numerose convenzioni internazionali concernenti la tutela dei diritti di proprietà intellettuale, tra i quali l'Accordo TRIPs (1994), il Trattato sul diritto dei marchi (1994), sottoscritti anche dalla stessa Unione Europea. In particolare, la sezione 2 della Parte II (art. 15-21) del TRIPs, stabilisce un livello minimo vincolante di protezione, definendo cosa può costituire un marchio, quali sono i diritti conferiti dalla registrazione, nonché le possibili limitazioni, la durata della protezione e ulteriori requisiti. Ciò significa che ciascuno Stato parte della World Trade Organization deve garantire una tutela almeno pari a quella prevista all'interno dell'Accordo TRIPS, potendo tuttavia anche aumentare i livelli di protezione, ad esempio, per la durata.

Si ricorda poi in questa sede come coesista anche la possibilità di registrazione internazionale di un marchio, gestita dall'Ufficio internazionale dell'Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI-WIPO), con sede a Ginevra. La registrazione internazionale dei marchi è regolata da due distinti trattati internazionali: l'Accordo di Madrid e il Protocollo di Madrid, la cui applicazione è disciplinata da un Regolamento di esecuzione comune.

Il Protocollo di Madrid concernente la registrazione internazionale dei marchi è vigore dall'aprile 1996, è stato sottoscritto da molti paesi di tutto il mondo, tra cui la maggior parte degli Stati europei, Italia inclusa, gli Stati Uniti, il Giappone, l'Australia, la Cina, la Russia, nonché, nell'ottobre 2004, l'Unione europea in quanto tale.

La registrazione internazionale non dà luogo a un marchio sovranazionale, ma ad un sistema di deposito centralizzato, con efficacia equivalente a quella di una serie di domande di deposito nazionale, ciascuna sottoposta alla disciplina ed alla giurisdizione del paese designato, tra i 120 Paesi aderenti all'Unione di Madrid (Accordo di Madrid e Protocollo di Madrid). La registrazione internazionale nei primi 5 anni dalla data di registrazione è vincolata alle sorti della registrazione nazionale di base. Alla scadenza di tale periodo di 5 anni, la registrazione internazionale ottenuta a norma dell'Accordo, diventa indipendente dalle vicende che possono interessare la registrazione nazionale di base.

 

Si evidenzia che l'ordinamento, europeo non conosce la tipologia di "marchio storico", né, fino all’intervento legislativo in esame, l’ordinamento nazionale, il quale tutela – in modo rinforzato - il marchio che gode di "rinomanza", prevedendo (art. 20, comma 1, del Codice della proprietà industriale: D.Lgs. n. 30/2005) che il titolare del marchio "ha diritto di vietare un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda dello stato di rinomanza e se l'uso del segno, anche a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti e servizi, senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi".

 

La nuova disciplina prevede altresì l’istituzione, con decreto del Ministro dello Sviluppo economico del logo dei "marchi storici di interesse nazionale" che le imprese iscritte nel relativo Registro speciale possono utilizzare per le finalità commerciali e promozionali. Con il medesimo decreto ministeriale sono specificati anche i criteri per l’utilizzo del logo (nuovo articolo 11-ter, comma 2 del Codice, introdotto dal comma 1, lettera a) dell’articolo qui in esame).

 

Al riguardo, si rileva che la norma non indica il termine per l’adozione del decreto ministeriale. Appare inoltre opportuno rilevare come la direttiva (UE) 2015/1535, adottata il 9 settembre 2015 – che ha abrogato e sostituito la direttiva 98/34/CE[35] - disciplini l’obbligo e la procedura di notifica alla Commissione europea delle regolamentazioni tecniche nazionali prima della loro adozione.

Ai sensi di tale normativa, oggetto di vaglio preventivo sono anche i progetti di regole volti a istituire marchi che collegano la qualità di un prodotto alla sua origine. La Commissione UE, nella Relazione COM(2017) 788 final sull’applicazione della Direttiva (UE) 2015/1535, richiama la seguente casistica esaminata nel periodo 2014-2015:

§  nel 2014 la Commissione ha formulato un parere circostanziato su una notifica italiana relativa a un logo regionale che collegava l’origine di una vasta gamma di prodotti alla loro qualità. La Commissione ha sostenuto che questa misura sarebbe stata in contrasto con l’articolo 34 del TFUE, in quanto avrebbe potuto incoraggiare i consumatori ad acquistare prodotti nazionali a scapito di quelli importati. Le autorità italiane hanno in seguito eliminato l’ostacolo eliminando il riferimento all’origine dei prodotti contemplati dal progetto notificato;

§  nel 2015 le autorità francesi hanno notificato alla Commissione un progetto di misura che definiva un logo da utilizzare per i prodotti industriali e artigianali protetti da indicazioni geografiche. La Commissione ha emesso un parere circostanziato sostenendo che la creazione del logo, che consisteva in una sagoma rossa e blu contenente le iniziali “IG” [indication géographique] con la parola “FRANCE”, avrebbe potuto costituire una misura di effetto equivalente ai sensi dell’articolo 34 del TFUE. In particolare, la Commissione ha ritenuto che questo logo, che sottolineava l’origine francese dei prodotti in questione, sarebbe andato oltre l’obiettivo di autenticare l’origine locale o regionale specifica di un prodotto e pertanto avrebbe potuto incoraggiare i consumatori ad acquistare prodotti recanti tale logo, escludendo i prodotti di altri Stati membri. Le autorità francesi hanno accolto tali obiezioni e hanno modificato il progetto di logo in una maniera ritenuta accettabile dalla Commissione.

 

L’articolo qui in commento, al comma 1, lettera b), introduce poi, all’interno del Codice, un nuovo articolo 185-ter, rubricato “valorizzazione dei marchi storici nelle crisi d’impresa”.

Tale nuovo articolo istituisce presso il Ministero dello Sviluppo Economico, un Fondo per la tutela dei marchi storici di interesse nazionale, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e la prosecuzione dell'attività produttiva sul territorio nazionale.

Il Fondo opera mediante interventi nel capitale di rischio delle imprese titolari o licenziatarie di un marchio iscritto nel registro speciale, o, comunque, secondo la precisazione introdotta nel corso dell’esame in sede referente, delle imprese in possesso dei requisiti di cui nuovo articolo 11-ter per l’iscrizione del proprio marchio nel registro speciale - che intendano chiudere il sito produttivo di origine o comunque quello principale, per cessazione dell'attività svolta o per delocalizzazione della stessa al di fuori del territorio nazionale, con conseguente licenziamento collettivo.

Gli interventi del Fondo sono effettuati a condizioni di mercato, nel rispetto di quanto previsto dalla Comunicazione della Commissione recante gli Orientamenti sugli aiuti di Stato destinati a promuovere gli investimenti per il finanziamento del rischio (2014/C 19/04).

 

Con riferimento a tale richiamo, si ricorda che la citata Comunicazione della Commissione prevede che le misure di aiuto al finanziamento del rischio devono essere attuate mediante intermediari finanziari o piattaforme alternative di negoziazione, tranne nel caso di incentivi fiscali applicabili a investimenti diretti in imprese ammissibili.

Pertanto, una misura che consente allo Stato membro o ad un ente pubblico di effettuare investimenti diretti in società senza il coinvolgimento di tali veicoli di intermediazione non rientra nell’ambito di applicazione delle disposizioni in materia di aiuti Stato per il finanziamento del rischio previste dal Regolamento generale di esenzione per categoria (GBER - Reg. UE n. 651/2014) e dagli Orientamenti qui citati.

Inoltre, gli stessi orientamenti dispongono che gli aiuti al finanziamento del rischio non sono considerati compatibili con il mercato interno se concessi a:

a) imprese in difficoltà quali definite dagli orientamenti europei sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la  ristrutturazione di imprese in difficoltà;

Tuttavia, nei sette anni dalla prima vendita commerciale, le PMI ammissibili a beneficiare di investimenti per il finanziamento del rischio a seguito della due diligence dell’intermediario finanziario selezionato non saranno considerate imprese in difficoltà, a meno che siano soggette a procedure di insolvenza o si  trovino nelle condizioni previste dalla legislazione nazionale perché sia avviata nei loro confronti una procedura concorsuale per insolvenza;

b) imprese che hanno ricevuto aiuti di Stato illeciti che non siano stati integralmente recuperati.

 

Si osserva che, nonostante la rubrica dell’articolo 185-ter faccia riferimento alla valorizzazione dei marchi storici nelle crisi di impresa, la formulazione della disposizione non contiene alcun riferimento all’apertura formale di una procedura di insolvenza.

Si valuti dunque l’opportunità di chiarire il rapporto tra le nuove disposizioni che ipotizzano un intervento del Fondo sul capitale di rischio dell’impresa e la disciplina delle procedure concorsuali oggi contenuta nella legge fallimentare, destinata ad essere sostituita – dal 15 agosto 2020 – dal Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (D.Lgs. n. 14 del 2019), nel decreto legislativo n. 270 del 1999[36] e nel decreto-legge n. 347 del 2003[37].

 

Viene demandato ad un decreto di natura regolamentare del Ministero dello sviluppo economico, da adottarsi di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la definizione delle modalità e i criteri di gestione e di funzionamento del Fondo.

L’articolo 17, comma 3 della legge n. 400/1988, richiamato dalla disposizione qui commentata, prevede che con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del ministro o di autorità sotto ordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. I regolamenti, per materie di competenza di più ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione.

 

La disciplina contenuta nel nuovo articolo 185-ter del Codice prevede altresì che l'impresa titolare o licenziataria di un marchio iscritto nel registro speciale o, comunque- secondo la precisazione introdotta nel corso dell’esame in sede referente - l’ impresa in possesso dei requisiti di cui nuovo articolo 11-ter per l’iscrizione del proprio marchio nel registro speciale - che intenda chiudere il sito produttivo di origine o comunque quello principale, per cessazione dell'attività svolta o per delocalizzazione della stessa al di fuori del territorio nazionale, con conseguente licenziamento collettivo – deve notificare senza ritardo al Ministero dello sviluppo economico le informazioni relative al progetto di chiusura o delocalizzazione dello stabilimento e, in particolare:

§  i motivi economici, finanziari o tecnici del progetto di chiusura o delocalizzazione;

§  le azioni tese a ridurre gli impatti occupazionali attraverso, incentivi all'uscita, prepensionamenti, ricollocazione di dipendenti all’interno del gruppo;

§  le azioni che intende intraprendere per trovare un acquirente;

§  le opportunità per i dipendenti di presentare un'offerta pubblica di acquisto ed ogni altra possibilità di recupero degli asset da parte degli stessi.

Per il titolare dell'impresa titolare o licenziataria esclusiva del marchio che viola gli obblighi informativi è prevista l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 50.000 euro.

Con la modifica introdotta in sede referente, viene estesa la platea dei potenziali beneficiari del Fondo per la tutela dei marchi storici anche ai soggetti non iscritti al registro, ma in possesso dei requisiti per l’iscrizione, i quali sono ora assoggettati all’obbligo di comunicare al MISE il progetto di chiusura del sito produttivo, pena il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria.

In merito si osserva che la disposizione, come modificata, introduce una sanzione amministrativa a carico di soggetti che potrebbero non essere consapevoli della sussistenza a loro carico di un obbligo di comunicazione al MISE e dunque non essere responsabili di alcuna omissione cosciente e volontaria (come richiesto dall’art. 3 della legge n. 689 del 1981).

 

I requisiti di cui all’art. 11-ter, infatti, non sono connotati tutti da oggettività, ma richiedono una valutazione discrezionale da parte dell’amministrazione. Ad esempio, la qualifica di “eccellenza storicamente collegata al territorio nazionale” non è connaturata all’impresa finché non vi sia un riconoscimento da parte del MISE. In questo senso andava il testo originario del decreto legge, che richiedeva una iscrizione nel registro speciale dei marchi storici.

 

Si osserva inoltre che il nuovo articolo 185-ter, introdotto dal comma 2 dell’articolo dispone l’istituzione del Fondo per la tutela dei marchi storici di interesse nazionale, senza indicarne la dotazione finanziaria e la decorrenza.

Invero, il comma 2 dell’articolo 31 qui in esame destina alle finalità dell’intero articolo (inclusa l’istituzione del Fondo per la tutela dei marchi storici di interesse nazionale) 30 milioni per l’anno 2020, consentendo, per le medesime finalità, alle PMI proprietarie o licenziatarie del marchio storico, relativamente alle operazioni finalizzate al finanziamento di progetti di valorizzazione economica dei marchi storici, di accedere alla garanzia del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, demandando le modalità attuative, le condizioni e i criteri per la concessione della garanzia stessa ad un decreto del Ministero dello sviluppo economico, da adottarsi di concerto col Ministero dell'economia e delle finanze.

 

Con riferimento alla materia oggetto dell’articolo in esame, si segnala che sono in corso di esame in sede referente presso la X Commissione attività produttive della Camera le proposte di legge abbinate C. 1631 C. 1518, C. 1689, che recano disposizioni concernenti la tutela dei marchi storici nazionali di alto valore territoriale e introducono disposizioni finalizzate a valorizzare le eccellenze produttive nazionali collegate a uno specifico luogo di produzione, nonché a preservare la continuità produttiva e l'insediamento nel territorio di origine.

 

Il comma 3 autorizza il Ministero per lo sviluppo economico ad assumere, nei limiti della vigente dotazione organica, dieci unità di personale, con contratto a tempo indeterminato, per l’espletamento dei nuovi compiti operativi attribuiti al medesimo Ministero.

Più nel dettaglio, si prevede che le dieci unità di personale - da inquadrare nell'area III, posizione economica F1, in possesso di specifici requisiti professionali necessari per lo svolgimento dei predetti compiti e in particolare, come specificato dalla Relazione tecnica, per la dematerializzazione e la ricerca archivistica della documentazione risalente relativa ai marchi storici – siano selezionate attraverso apposito concorso pubblico e che le relative assunzioni sono effettuate:

§  senza il previo svolgimento delle procedure previste in materia di mobilità volontaria (di cui all’art. 30, c. 2-bis, del D.Lgs. 165/2001);

§  senza la previa autorizzazione all’avvio delle procedure concorsuali per l’assunzione del personale delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, delle agenzie, degli enti pubblici non economici e degli enti di ricerca (ex art. 35, c. 4, del D.Lgs. 165/2001 e art. 4, c. 3, del D.L. 101/2013);

§  in deroga alla disposizione secondo cui dal 1° gennaio 2014, il reclutamento dei dirigenti e delle figure professionali comuni alle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, alle agenzie e agli enti pubblici non economici si svolge mediante concorsi pubblici unici (ex art. 4, c. 3-quinquies, del D.L. 101/2013).

 

Per l’attuazione delle suddette assunzioni si autorizza la spesa di 400.000 euro annui a decorrere dal 2020. Il successivo comma 4 dispone che alla copertura dei relativi oneri si provvede secondo le modalità stabilite dall’articolo 50 (alla cui scheda di lettura si rimanda).

 

In materia, si ricorda che l’art. 1, c. 394, della L. 145/2018 (legge di bilancio 2019) dispone che, per il 2019, la Presidenza del Consiglio dei ministri, i Ministeri, gli enti pubblici non economici, le Agenzie fiscali e le Università, in relazione alle ordinarie facoltà di assunzione riferite al medesimo anno, non possono effettuare assunzioni di personale a tempo indeterminato con decorrenza giuridica ed economica anteriore al 15 novembre 2019.

 

Con riferimento all’articolo in esame, si rileva che la disciplina del marchio storico inserita nel Codice della proprietà industriale non determina una tutela rafforzata del suo titolare nell’esercizio del suo diritto di privativa nei confronti di soggetti terzi, ed in questi termini non si profila come una disciplina finalizzata alla tutela di tipo privatistico del marchio, bensì determina i suoi principali effetti sul piano della tutela pubblica di situazioni di crisi d’impresa per il titolare del marchio storico stesso.


 

Articolo 32, commi 1-17
(
Contrasto all’Italian sounding e incentivi
al deposito di brevetti e marchi
)

 

 

L’articolo 32, modificato nel corso dell’esame in sede referente, introduce in favore dei consorzi nazionali e delle organizzazioni collettive delle imprese che operano nei mercati esteri un’agevolazione pari al 50 percento delle spese sostenute per la tutela legale dei prodotti colpiti dal fenomeno dell’Italian sounding, nonché, secondo quanto aggiunto nelle Commissioni di merito, per la realizzazione di campagne informative e di comunicazione volte a consentire l'immediata identificazione del prodotto italiano. In sede referente, è stato precisato che il decreto interministeriale attuativo della misura è adottato dal Ministro dello sviluppo economico entro 60 giorni dalla legge di conversione del D.L., anche di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo.

Nel Codice della proprietà industriale (CPI):

§  viene inserita la definizione di pratiche integranti il fenomeno dell’Italian sounding;

§  si specifica il divieto di registrazione come marchi di segni riconducibili alle forze dell'ordine e alle forze armate, di nomi di Stati e di enti pubblici territoriali italiani, nonché di parole o segni lesivi della reputazione dell'Italia;

§  si estende la competenza del Consiglio nazionale anticontraffazione anche al contrasto dell’Italian Sounding.

È poi previsto, per il triennio 2019-2021, il Voucher 3i – “investire in innovazione”, volto a supportare le start-up innovative.

È demandata al MISE - UIBM l’adozione di un atto annuale di programmazione dei bandi relativi alle misure già operanti denominate brevetti, marchi e disegni.

È riconosciuta un’agevolazione per la promozione all’estero di marchi collettivi o di certificazione volontari italiani.

Ulteriori norme disciplinano l’apertura della fase nazionale delle domande internazionali di brevetto secondo il Patent cooperation Treaty.

Aiuto ai consorzi per la tutela dei prodotti di origine italiana contro fenomeni legati all’Italian sounding (commi 1-3 e 5)

I commi 1-3 introducono un’agevolazione in favore dei consorzi nazionali e delle organizzazioni collettive delle imprese che operano nei mercati esteri per le spese per la tutela legale dei prodotti colpiti dal fenomeno dell’Italian sounding.

Il richiamo alle organizzazioni collettive delle imprese è stato introdotto in sede referente.

Contestualmente, la definizione di pratiche integranti il fenomeno dell’Italian sounding viene inserita nel Codice della proprietà industriale, dal successivo comma 5 dell’articolo.

 

Nel dettaglio, il comma 1, modificato nelle Commissioni di merito, riconosce ai consorzi nazionali che operano nei mercati esteri un’agevolazione pari al 50 percento delle spese sostenute:

§  per la tutela legale dei propri prodotti colpiti dal fenomeno dell’Italian Sounding, la cui definizione viene introdotta nell’articolo 144 del Codice della proprietà industriale (CPI - D.Lgs n. 10 febbraio 2005, n. 30) dal successivo comma 5, nonché

§  secondo quanto introdotto in sede referente, per la realizzazione di campagne informative e di comunicazione finalizzate a consentire l'immediata identificazione del prodotto italiano rispetto ad altri prodotti.

La misura è finalizzata ad assicurare, secondo la modifica introdotta in sede referente, la tutela del made in Italy, compresi i prodotti agroalimentari, nei mercati esteri.

La formulazione originaria del testo richiamava la tutela dell’originalità dei prodotti italiani, inclusi quelli agroalimentari, venduti all’estero.

L’articolo 144 CPI - che apre la Sezione II del Capo III del Codice, contenente misure di tutela giurisdizionale dei diritti di proprietà industriale[38] contro la pirateria (artt. da 144 a 146,– qualifica, al comma 1, come atti di pirateria le contraffazioni e le usurpazioni di altrui diritti di proprietà industriale, realizzate dolosamente in modo sistematico.

 

Il comma 5 dell’articolo in esame aggiunge un nuovo comma 1-bis all’articolo 144 CPI volto a definire– agli effetti delle norme contenute nella Sezione II del Capo III del Codice, della quale appunto l’articolo in questione fa parte - come pratiche di Italian Sounding le pratiche finalizzate alla falsa evocazione dell'origine italiana di prodotti. La rubrica del medesimo articolo 144 viene conseguentemente integrata.

Si osserva al riguardo che sarebbe opportuno inserire un richiamo alle pratiche dell’Italian sounding, anche nella rubrica della Sezione II, che attualmente richiama solo gli atti di pirateria, nonché operare, per coordinamento formale, una modifica integrativa all’articolo 146 del Codice, che attualmente disciplina gli interventi di tutela attivabili contro la pirateria.

Come precisato dalla relazione illustrativa, il fenomeno dell’Italian Sounding colpisce in maniera molto forte i prodotti italiani (soprattutto quelli tipici) che in alcuni mercati esteri subiscono una concorrenza sleale che sottrae loro rilevanti fasce di mercato. per contrastare questo fenomeno le imprese devono agire per via giudiziaria al fine di tutelarsi, con rilevanti costi da sostenere.

 

L’agevolazione riconosciuta dal comma 1 - pari al 50 per cento delle spese legali sostenute -  è concessa fino ad un importo massimo annuale per soggetto beneficiario di 30 mila euro. La misura opera comunque entro il limite annuo di spesa - 1,5 milioni di euro a decorrere dall'anno 2019 - autorizzato dal successivo comma 3. Alla copertura di tale onere, si provvede con le misure finanziarie contenute nell’articolo 50 del decreto legge.

 

Si osserva che il comma 1 dell’articolo qui in esame cita genericamente i consorzi nazionali che operano nei mercati esteri come soggetti beneficiari dell’intervento ivi previsto, senza operare alcun richiamo alla normativa definitoria dei consorzi vigente in materia.

Si ricorda in proposito, che il D.L. 83/2012 (convertito, con modificazioni, in legge n. 134/2012) ha disciplinato i consorzi per l’internazionalizzazione. Ai sensi del comma 5 dell’articolo 42 del predetto D.L., i consorzi per l'internazionalizzazione sono costituiti ai sensi degli articoli 2602 e 2612 e seguenti del codice civile o in forma di società consortile o cooperativa da piccole e medie imprese industriali, artigiane, turistiche, di servizi, agroalimentari, agricole e ittiche aventi sede in Italia; possono, inoltre, partecipare anche imprese del settore commerciale.

Si evidenzia che la relazione illustrativa afferma che la norma è volta al sostegno delle piccole e medie imprese italiane nella tutela legale dei propri prodotti, ivi inclusi quelli agroalimentari.

 

Il comma 2 demanda ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico - da adottarsi di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, e , secondo quanto inserito in sede referente, con il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo -  la definizione delle disposizioni di attuazione, inclusa l’indicazione delle spese ammissibili, le modalità’ di verifica e controllo dell’effettività delle spese sostenute, le cause di decadenza e revoca del beneficio, le modalità di restituzione delle agevolazioni fruite indebitamente.

In sede referente, si è specificato che il decreto deve essere adottato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

Ulteriori misure di contrasto all’Italian sounding (commi 4 e 6)

I commi 4 e 6 apportano ulteriori modifiche al Codice della proprietà industriale, volte:

§  a specificare che nel divieto già vigente di registrazione come marchi di simboli emblemi e stemmi che rivestono interesse pubblico, sono inclusi i segni riconducibili alle forze dell'ordine e alle forze armate e i nomi di Stati e di enti pubblici territoriali italiani. Si introduce altresì la previsione che non possono formare oggetto di registrazione come marchi parole, figure o segni lesivi dell'immagine o della reputazione dell'Italia;

§  ad estendere la competenza del Consiglio nazionale anticontraffazione anche al contrasto dell’Italian Sounding. A tal fine ne viene modificata la denominazione e ampliata la composizione.

 

Nel dettaglio, il comma 4 apporta modifiche all’articolo 10, comma 1, del Codice della proprietà industriale, nella parte in cui questo dispone che non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa - a meno che l'Autorità competente non ne abbia autorizzato la registrazione - simboli, emblemi e stemmi che rivestano un interesse pubblico. Il comma precisa che nel predetto divieto di registrazione sono inclusi i segni riconducibili alle forze dell'ordine e alle forze armate e i nomi di Stati e di enti pubblici territoriali italiani.

Contestualmente, il comma introduce la previsione che non possono formare oggetto di registrazione come marchi parole, figure o segni lesivi dell'immagine o della reputazione dell'Italia (nuovo comma 1-bis nell’articolo 10 CPI).

La relazione illustrativa precisa come spesso si evidenzino, specialmente sui mercati esteri, beni che evocano l’Italia (cd. Italian Sounding) con marchi contenenti parole (come ad esempio “mafia”), raddoppiando il danno per l’immagine del Paese.

Si ricorda comunque al riguardo che la disciplina sui marchi contenuta nel Codice della proprietà industriale costituisce, quanto alle cause di nullità e decadenza del marchio qui in esame, recepimento della disciplina europea di armonizzazione sulla materia. Nel dettaglio, l’articolo 14 CPI, relativo alla liceità del marchio e ai diritti di terzi, già prevede, in via generale, che non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa:

a) i segni contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume;

b) i segni idonei ad ingannare il pubblico, in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o servizi, ovvero sulla tipologia di marchio;

c) i segni il cui uso costituirebbe violazione di un altrui diritto di autore, di proprietà industriale o altro diritto esclusivo di terzi.

Il comma 6 modifica la disciplina relativa al Consiglio nazionale anticontraffazione, contenuta nell’articolo 145 del Codice della proprietà industriale, includendo l’attività di contrasto alla falsa evocazione dell’origine italiana (dei prodotti) nell’ambito delle competenze del Consiglio Nazionale Anticontraffazione (novella al comma 1 dell’art. 145 del Codice).

Conseguentemente all’estensione della competenza del Consiglio nazionale anticontraffazione alle azioni di contrasto dell’Italian Sounding, il Consiglio assume la nuova denominazione di Consiglio nazionale per la lotta alla contraffazione e all'Italian Sounding.

Con una ulteriore novella all’articolo 145 CPI, si prevede inoltre l’inserimento tra i membri effettivi del Consiglio Nazionale anticontraffazione anche di un rappresentante del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR).

Tale scelta, secondo la relazione illustrativa, è dovuta alla crescente necessità di coinvolgere le giovani generazioni in attività di formazione e sensibilizzazione sul tema della contraffazione e della falsa evocazione dell’origine italiana dei prodotti.

 

L’articolo 145 CPI, rubricato Consiglio nazionale anticontraffazione, dispone, al comma 1, l’istituzione dell’organo in questione presso il Ministero dello sviluppo economico, riconoscendogli funzioni di indirizzo, impulso e coordinamento delle azioni strategiche intraprese da ogni amministrazione, al fine di migliorare l'insieme dell'azione di contrasto della contraffazione a livello nazionale.  L’articolo in esame come detto ne estende le competenze alla lotta dell’Italian sounding.

Il Consiglio nazionale anticontraffazione, ai sensi del comma 2, è presieduto dal Ministro dello sviluppo economico o da un rappresentante da lui designato. Al fine di garantire la rappresentanza degli interessi pubblici e privati e assicurare le necessarie sinergie tra amministrazione pubblica e imprese, il Consiglio è composto da un rappresentante del Ministero dello sviluppo economico, da un rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze, da un rappresentante del Ministero degli affari esteri, da un rappresentante del Ministero della difesa, da un rappresentante del Ministero delle politiche agricole alimentari forestali e del turismo, da un rappresentante del Ministero dell'interno, da un rappresentante del Ministero della giustizia, da un rappresentante del Ministero per i beni e le attività culturali, da un rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da un rappresentante del Ministero della salute, e da un rappresentante del Dipartimento della funzione pubblica e da un rappresentante designato dall'ANCI, e, in virtù della novella qui in esame, da un rappresentante del MIUR. Il Consiglio può invitare a partecipare ai propri lavori, in ragione dei temi trattati, rappresentanti di altre amministrazioni pubbliche nonché delle categorie di imprese, lavoratori e consumatori.

“Voucher 3I – Investire In Innovazione” per le start-up innovative nel periodo 2019-2021 (commi 7-10)

I commi da 7 a 10 introducono, per il triennio 2019-2021, il Voucher 3i – “investire in innovazione”, destinato a supportare la valorizzazione del processo di innovazione delle start-up innovative.

 

Nel dettaglio, il comma 7 riconosce alle start-up innovative di cui al D.L. n. 179/2012 il “Voucher 3I – Investire In Innovazione” al fine di supportarne la valorizzazione del processo di innovazione, nel triennio 2019-2021.

Il comma 8 consente alle predette imprese l’utilizzo del Voucher 3I per l’acquisizione di servizi di consulenza relativi alla:

§  verifica della brevettabilità dell’invenzione e all’effettuazione delle ricerche di anteriorità preventive,

§  alla stesura della domanda di brevetto e di deposito presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi,

§  all’estensione all’estero della domanda nazionale.

 

Il comma 9 demanda la definizione dei criteri e le modalità di attuazione del Voucher 3I ad un decreto del Ministero dello sviluppo economico, in piena coerenza con le altre misure di aiuto in favore delle start-up innovative, attivate dal Ministero stesso.

Nel corso dell’esame in sede referente, è stato soppresso il richiamo alla natura non regolamentare del decreto in questione.

Il comma autorizza il Ministero dello sviluppo economico ad avvalersi, per lo svolgimento delle attività inerenti l'attuazione del Voucher 3I, di un soggetto gestore e di soggetti di cui al capo VI del Codice della proprietà industriale (consulenti in proprietà industriale e avvocati che possono svolgere l’attività di mandatario per il deposito delle domande di brevetto).

 

Si osserva che il comma 9 non specifica se il Ministero, nell’esercizio della facoltà riconosciutagli di avvalersi, per la gestione della misura qui in esame, di un “soggetto gestore”, debba con questo stipulare apposita convenzione e, nel caso, se tale convenzione è a titolo oneroso o gratuito.

 

Infine, il comma 10 dispone che gli oneri derivanti dall'attuazione delle disposizioni relative al Voucher 3I di cui ai commentati commi 7- 9, sono pari a 6,5 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2019-2021 e ad essi si provveda con le misure di copertura indicate nel successivo articolo 50 del decreto legge.

 

Il D.L. 18 ottobre 2012, n.179 (convertito con modificazioni in L. n. 221/2012), ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano la definizione di nuova impresa innovativa ad alto valore tecnologico, la startup innovativa. In favore di questa tipologia di impresa è stato predisposto – senza operare distinzioni settoriali o limiti legati all’età dell’imprenditore – un vasto corpus normativo (artt. 25-32) che prevede nuovi strumenti e misure di vantaggio che incidono sull’intero ciclo di vita dell’azienda, dall’avvio alla fasi di espansione e maturità. Tale corpus normativo è stato nel corso del tempo via via modificato ed implementato.

Si rileva in questa sede che la definizione di startup innovativa è contenuta nell’articolo 25, comma 2 del D.L. n. 179/2012, come ss. mod. e int.. Ai sensi di tale disposizione, è startup innovativa la società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione, che possiede i seguenti requisiti:

§  è costituita da non più di sessanta mesi;

§  è residente in Italia o in uno degli Stati membri dell'Unione europea o in Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo, purché abbia una sede produttiva o una filiale in Italia;

§  a partire dal secondo anno di attività della start-up innovativa, il totale del valore della produzione annua, come risultante dall'ultimo bilancio approvato entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio, non deve essere superiore a 5 milioni di euro;

§  non distribuisce, e non ha distribuito, utili;

§  ha, quale oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico;

§  non è stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda;

§  possiede almeno uno dei seguenti ulteriori requisiti:

-     le spese in ricerca e sviluppo sono uguali o superiori al 15 per cento del maggiore valore fra costo e valore totale della produzione della start-up innovativa. La disciplina fornisce specifici criteri per il computo di tali tipologie di spese[39];

-     impiego come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un' università italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all'estero, ovvero, in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea magistrale

-     sia titolare o depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale ovvero sia titolare dei diritti relativi ad un programma per elaboratore originario registrato presso il Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore, purché tali privative siano direttamente afferenti all'oggetto sociale e all'attività di impresa.

Si segnala che l’OCSE ha presentato, a settembre 2018, un Rapporto di Valutazione dello “Startup Act” italiano. Il Rapporto è volto a fornire una valutazione dell’impatto economico e sociale del quadro d’intervento italiano per le imprese startup innovative, noto anche come “Startup Act”, introdotto dal Decreto-legge 179 del 2012.

Il Rapporto afferma che lo “Startup Act” può essere considerato come un “laboratorio” di grande utilità per l’elaborazione di policy a sostegno dell’imprenditorialità innovativa in tutti i Paesi membri dell’OCSE. La valutazione sottolinea che l’impatto dello “Startup Act” sulle imprese beneficiarie è stato complessivamente positivo, ma che sono necessarie azioni complementari in altre aree di policy per realizzare appieno il potenziale delle startup innovative italiane. Nel Rapporto, è fornita una descrizione analitica di tutto il quadro di sostegno a favore delle startup innovative italiane (pagg. 10-13).

 

Come indicato nella relazione illustrativa, le disposizioni in esame intendono supportare la prima fase del processo di valorizzazione dell’innovazione intrapreso dalle start up, attraverso l’istituzione di un voucher che le start up innovative possono spendere per acquisire servizi specialistici riferiti in particolare a tre attività: verifica della brevettabilità dell’invenzione e ricerche di anteriorità preventive; stesura della domanda di brevetto e di deposito presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi; estensione all’estero della domanda nazionale. Con il voucher, afferma la relazione tecnica, si completa il raggio di azione di intervento del programma Smart&Start destinato alle start up innovative.

Interventi agevolativi per le PMI per la valorizzazione dei titoli di proprietà industriale (comma 11)

Il comma 11 dispone che il Ministero dello sviluppo economico provveda annualmente, con decreto del Direttore Generale per la lotta alla contraffazione-Ufficio italiano brevetti e marchi, alla definizione di un atto di programmazione dell’apertura dei bandi relativi alle misure già operanti denominate brevetti, marchi e disegni, attuate tramite soggetti gestori, in modo tale da rendere le misure rispondenti ai fabbisogni del tessuto imprenditoriale, in particolare delle start up e delle imprese giovanili, anche apportando le necessarie modifiche per rendere le misure eleggibili all’interno degli interventi che possono essere cofinanziati dall’Unione Europea, al fine di incrementarne la relativa dotazione finanziaria.

La finalità dell’intervento è stabilizzare il sostegno alle piccole e medie imprese per la valorizzazione dei titoli di proprietà industriale.

L’atto di programmazione, secondo quanto indicato dalla relazione illustrativa - ha lo scopo di definire preventivamente l’attuazione delle misure di sostegno, consentendo così alle PMI di avere notizie più certe sui tempi di operatività delle misure stesse, agevolando quindi le loro strategie di sviluppo basate sulla valorizzazione dei titoli di proprietà industriale.

Si ricorda al riguardo che la Direzione Generale per la Lotta alla Contraffazione – UIBM del Ministero dello Sviluppo Economico attraverso una apposita convenzione stipulata con Unioncamere supportano le imprese di micro, piccola e media dimensione nella tutela dei relativi titoli di proprietà industriale, ed in particolare:

§  dei marchi all’estero attraverso alcune misure agevolative che mirano a sostenere la capacità innovativa e competitiva delle imprese. L’ultimo programma di interventi per i marchi (Bando Marchi +3) prevede un finanziamento complessivo di circa 3,8 milioni di euro e due linee di intervento: Agevolazioni per favorire la registrazione di marchi dell’Unione Europea presso EUIPO (Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale) attraverso l’acquisto di servizi specialistici; Agevolazioni per favorire la registrazione di marchi internazionali presso OMPI (Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale) attraverso l’acquisto di servizi specialistici. Le misure operano con il meccanismo della prenotazione e il bando in questione è stato recentemente temporaneamente sospeso per esaurimento di Fondi.

§  dei disegni/modelli, attraverso, da ultimo, il Bando Disegni +3 mira invece a sostenere la capacità innovativa e competitiva delle PMI attraverso la valorizzazione e lo sfruttamento economico dei disegni/modelli sui mercati nazionale e internazionale. Le risorse disponibili ammontano complessivamente a 4,7 milioni e le agevolazioni sono concesse nella forma di contributo in conto capitale in misura massima pari all’80% delle spese ammissibili. Le agevolazioni sono finalizzate all’acquisto di servizi specialistici esterni per favorire: la messa in produzione di nuovi prodotti correlati ad un disegno/modello registrato (Fase 1 Produzione); la commercializzazione di un disegno/modello registrato (Fase 2 – Commercializzazione). Le misure operano con il meccanismo della prenotazione e il bando in questione è stato temporaneamente sospeso per esaurimento di Fondi.

§  dei brevetti, attraverso il Bando Brevetti +2 ed relativo programma di agevolazioni Brevetti+ per favorire la registrazione e la valorizzazione economica di brevetti e privative nazionali e internazionali da parte di micro, piccole e medie imprese, con l’obiettivo di sostenerne la capacità innovativa e competitiva. La sua gestione è affidata a INVITALIA, che cura gli adempimenti tecnici e amministrativi riguardanti l’istruttoria delle domande e l’erogazione delle agevolazioni. Il programma prevede due linee di intervento: la misura “Premi per la brevettazione”, che ha l'obiettivo di incrementare il numero di domande di brevetto nazionale e l’estensione di brevetti nazionali all’estero, la misura “Incentivi per valorizzazione economica dei brevetti”, che ha l’obiettivo di potenziare la capacità competitiva delle imprese attraverso la valorizzazione economica di un brevetto in termini di redditività, produttività e sviluppo di mercato. Anche tale misura risulta sospesa per esaurimento fondi.

Agevolazione per la promozione all’estero di marchi collettivi o di certificazione privati da parte di associazioni rappresentative di categoria (commi 12-15)

Il comma 12 prevede che il Ministero dello sviluppo economico conceda un’agevolazione diretta a sostenere la promozione all’estero di marchi collettivi o di certificazione volontari italiani, di cui agli articoli 11 ed 11-bis del CPI, da parte di associazioni rappresentative di categoria.

L’agevolazione è fissata nella misura massima 1 milione di euro per anno.

Si osserva che il comma 12 non indica la decorrenza dell’agevolazione, la quale è invece desumibile dal comma 15, che fissa la decorrenza del relativo onere, in via permanente, dall’anno 2019. Sarebbe pertanto opportuno un coordinamento tra il comma 12 e il comma 15.

 

Il fine della misura in esame è assicurare la piena informazione dei consumatori in ordine al ciclo produttivo e favorire le esportazioni di prodotti di qualità.

Il comma 13 demanda ad un decreto del Ministero dello sviluppo economico la fissazione dei criteri e delle modalità di concessione dell’agevolazione, nonché i requisiti minimi dei disciplinari d’uso, da determinarsi d’intesa con le associazioni rappresentative delle categorie produttive, le disposizioni minime relative all’adesione, alle verifiche, ai controlli e alle sanzioni per uso non conforme, cui devono essere soggetti i licenziatari dei marchi, i criteri per la composizione e le modalità di funzionamento degli organismi cui i titolari affideranno la gestione dei marchi.

 

In base al comma 14, il Ministero dello sviluppo economico esercita la supervisione sull’attività dei titolari dei marchi collettivi e di certificazione ammessi alle agevolazioni, vigilando sul corretto uso del marchio e sull’espletamento dei controlli previsti dai rispettivi disciplinari, anche ai fini della promozione coordinata e coerente di tali marchi.

Agli adempimenti previsti il Ministero dello sviluppo economico provvede con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Posto che il comma 13 demanda ad un decreto del Ministero dello sviluppo economico la fissazione dei  requisiti minimi dei disciplinari d’uso, da determinarsi d’intesa con le associazioni rappresentative delle categorie produttive e le disposizioni minime relative all’adesione, alle verifiche, ai controlli e alle sanzioni per uso non conforme, cui devono essere soggetti i licenziatari dei marchi, si valuti l’opportunità di coordinare la disposizione con quanto previsto dal Codice della proprietà industriale, che già fissa i requisiti minimi dei disciplinari d’uso in questione.

 

I marchi collettivi sono disciplinati all’articolo 11 del Codice della proprietà industriale, coma da ultimo modificato dal D.Lgs. n. 15/2019, di recepimento della direttiva (UE) 2015/2436 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa nonché di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del Regolamento europeo sul marchio dell’(UE).

 

Ai sensi dell’articolo 11, le persone giuridiche di diritto pubblico e le associazioni di categoria di fabbricanti, produttori, prestatori di servizi o commercianti, escluse le società di cui al libro V, titolo V, capi V-VII (S.p.A, S.A.S. e S.R.L.), del codice civile, possono ottenere la registrazione di marchi collettivi che hanno la facoltà di concedere in uso a produttori o commercianti.

I regolamenti concernenti l'uso dei marchi collettivi, i controlli e le relative sanzioni devono essere allegati alla domanda di registrazione devono essere conformità ai requisiti propri richiesti per i regolamenti stessi dal Codice (requisiti contenuti nell'articolo 157, comma 1-bis CPI[40]); le modificazioni regolamentari devono essere comunicate a cura dei titolari all'Ufficio italiano brevetti e marchi. Quanto previsto, si applica anche ai marchi collettivi stranieri registrati nel Paese di origine.

In deroga alla disciplina sui marchi d’impresa, un marchio collettivo può consistere in segni o indicazioni che nel commercio possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi.

Qualsiasi soggetto i cui prodotti o servizi provengano dalla zona geografica in questione ha diritto sia a fare uso del marchio, sia a diventare membro della associazione di categoria titolare del marchio, purché siano soddisfatti tutti i requisiti di cui al regolamento d’uso.

In tal caso, peraltro, l'Ufficio italiano brevetti e marchi può rifiutare, con provvedimento motivato, la registrazione quando i marchi richiesti possano creare situazioni di ingiustificato privilegio o comunque recare pregiudizio allo sviluppo di altre analoghe iniziative nella regione.

L'Ufficio italiano brevetti e marchi ha facoltà di chiedere l'avviso delle amministrazioni pubbliche, categorie e organi interessati o competenti.

L'avvenuta registrazione del marchio collettivo costituito da nome geografico non autorizza il titolare a vietare a terzi l'uso nel commercio del nome stesso, purché quest'uso sia conforme ai principi della correttezza professionale.

 

Il marchio di certificazione trova la sua disciplina nell’articolo 11-bis, come recentemente introdotta dal sopra citato D.Lgs. n. 15/2019.

Ai sensi di tale disciplina, le persone fisiche o giuridiche, tra cui istituzioni, autorità ed organismi accreditati in materia di certificazione, a garantire l'origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi, possono ottenere la registrazione per appositi marchi come marchi di certificazione, a condizione che non svolgano un'attività che comporta la fornitura di prodotti o servizi del tipo certificato.

I regolamenti concernenti l'uso dei marchi di certificazione, i controlli e le relative sanzioni devono essere allegati alla domanda di registrazione in conformità agli specifici requisiti propri dei regolamenti d’uso previsti dal Codice (di cui all'articolo 157, comma 1-ter[41]); le modificazioni regolamentari devono essere comunicate a cura dei titolari all'Ufficio italiano brevetti e marchi. Quanto previsto si applica anche ai marchi di certificazione o di garanzia stranieri registrati nel Paese di origine.

In deroga alla disciplina sui marchi d’impresa, un marchio di certificazione può consistere in segni o indicazioni che nel commercio possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi.

In tal caso, peraltro, l’UIBM può rifiutare, con provvedimento motivato, la registrazione quando i marchi richiesti possano creare situazioni di ingiustificato privilegio o comunque recare pregiudizio allo sviluppo di altre analoghe iniziative nella regione.

L'Ufficio italiano brevetti e marchi ha facoltà di chiedere al riguardo l'avviso delle amministrazioni pubbliche, categorie e organi interessati o competenti.

L'avvenuta registrazione del marchio di certificazione costituito da nome geografico non autorizza il titolare a vietare a terzi l'uso nel commercio del nome stesso, purché quest'uso sia conforme ai principi della correttezza professionale.

I marchi di certificazione sono soggetti a tutte le altre disposizioni del presente codice in quanto non contrastino con la natura di essi.”

 

La relazione illustrativa afferma che il quadro normativo comunitario osta all’adozione di provvedimenti nazionali che intendano disciplinare, ancorché su base volontaria, l’adozione di marchi collettivi o di certificazione di proprietà dello Stato per promuovere i prodotti nazionali, ritenuti dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea incompatibili con il mercato comune. In tale contesto rimane libera all’iniziativa privata, dei settori che si ritenessero interessati, la possibilità di ricorrere all’istituto del marchio collettivo o al marchio di certificazione privato previsti sia a livello nazionale che dell’unione europea oltre che internazionale. Tali marchi, che potrebbero anche essere gestiti in forma consortile o equivalente, garantirebbero qualità omogenee dei prodotti attraverso l’osservanza ai vari disciplinari.

 

Il comma 15 reca gli oneri finanziari derivanti dalle misura agevolativa, pari a 1 milione di euro per ciascun anno, a decorrere dal 2019, disponendo che alla relativa copertura si provveda ai sensi dell’articolo 50 del provvedimento in esame.

Apertura della fase nazionale delle domande internazionali di brevetto secondo il Patent cooperation Treaty (commi 16-17)

I commi 16 e 17 prevedono l’apertura della fase nazionale delle domande internazionali di brevetto secondo il Patent cooperation Treaty.

 

Nel dettaglio, il comma 16, sostituendo il comma 1 dell’articolo 55 del Codice della proprietà industriale, prevede che la domanda internazionale di brevetto - depositata ai sensi del Trattato di cooperazione in materia di brevetti, ratificato con legge 26 maggio 1978, n. 260 - contenente la designazione o l’elezione dell’Italia, indipendentemente dalla designazione dell’Organizzazione europea dei brevetti per la concessione di un brevetto europeo, equivale ad una domanda di brevetto per invenzione industriale o per modello di utilità depositata in Italia alla stessa data, e ne produce gli effetti, se - entro 30 mesi dalla data di deposito, o di priorità, ove rivendicata - viene depositata presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi una richiesta di apertura della procedura nazionale di concessione del brevetto italiano ai sensi del nuovo articolo 160-bis, comma 1, introdotto dal successivo comma 17.

 

Secondo la formulazione dell’articolo 55 comma 1, antecedente all’intervento novellatore qui in esame, la domanda internazionale depositata ai sensi del Trattato di cooperazione in materia di brevetti e contenente la designazione o l'elezione dell'Italia, equivaleva ad una domanda di brevetto europeo nella quale era stata designata l'Italia e ne produceva gli effetti ai sensi della Convenzione sul brevetto europeo del 5 ottobre 1973, ratificata con legge 26 maggio 1978, n. 260 e delle norme di attuazione dello stesso.

 

Sempre il comma 16, inserisce nel citato articolo 55, dopo il comma 1, due nuovi commi 1-bis ed 1-ter.

Il comma 1-bis prevede che la protezione conferita dalla domanda decorre dalla data in cui il titolare della medesima abbia reso accessibile al pubblico, tramite l’Ufficio italiano brevetti e marchi, una traduzione in lingua italiana della domanda stessa, ovvero l’abbia notificata direttamente al presunto contraffattore. La designazione dell’Italia nella domanda internazionale è considerata priva di effetti sin dall’origine, quando la domanda stessa sia stata ritirata o considerata ritirata o quando la designazione dell’Italia sia stata ritirata o respinta, o quando la domanda presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi non sia stata depositata entro il termine stabilito.

Viene fatto salvo quanto disposto dall’art. 46, comma 3 CPI, in materia di invenzione considerata inidonea ad essere brevettata in quanto compresa nello stato della tecnica. Nel dettaglio il citato comma 3 prevede che è considerato come compreso nello stato della tecnica il contenuto di domande di brevetto nazionale o di domande di brevetto europeo o internazionali designanti e aventi effetto per l'Italia, così come sono state depositate, che abbiano una data di deposito anteriore a quella di deposito della domanda in questione e che siano state pubblicate o rese accessibili al pubblico anche in questa data o più tardi.

 

Il comma 1-ter prevede che le modalità di applicazione dell’articolo 55, come modificato, e del nuovo articolo 160-bis siano determinate con decreto del Ministero dello sviluppo economico.

 

Il comma 17, come sopra accennato, introduce nel CPI il nuovo articolo 160-bis, recante la procedura nazionale della domanda internazionale.

In particolare, secondo il nuovo articolo, la richiesta di apertura della procedura nazionale, da presentare all’Ufficio italiano brevetti e marchi per la concessione del brevetto italiano per invenzione industriale o modello di utilità, deve essere accompagnata da:

a) una traduzione italiana completa della domanda internazionale come pubblicata;

b) i diritti di deposito previsti dalla Tabella A allegata al decreto 2 aprile 2007 del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e finanze (comma 1).

Alla predetta richiesta si applicano le norme del Codice della proprietà industriale, dei regolamenti attuativi e dei decreti sul pagamento dei diritti, in particolare in relazione alla ricevibilità e integrazione delle domande, alla data attribuita alla domanda, alla presentazione di ulteriori documenti e traduzioni che potranno essere richiesti al fine delle procedure di esame e del mantenimento in vita dei titoli (comma 2).

Per la richiesta di brevetto italiano per invenzione industriale basata su una domanda internazionale, la ricerca di anteriorità effettuata nella fase internazionale sostituisce la corrispondente ricerca prevista per la domanda nazionale, ferme restando le altre norme sull’esame previste dal CPI (comma 3).

 

Come indicato nella relazione illustrativa, le disposizioni prevedono l’introduzione della possibilità per i titolari di una domanda internazionale di brevetto designante l’Italia di avvalersi della procedura di esame presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi (“fase nazionale”) in aggiunta alla possibilità di avvalersi dell’esame svolto presso l’Ufficio europeo dei brevetti nella cosiddetta “fase regionale”. A tal fine vengono previste modifiche all’articolo 55 del Codice della Proprietà Industriale (D.Lgs. n. 10 febbraio 2005, n. 30) e l’introduzione dell’articolo 160-bis.

Tali modifiche consentono al titolare di una domanda internazionale di brevetto - prevista dal Trattato di cooperazione in materia di brevetti, ratificato con legge 26 marzo 1978, n. 260 - che abbia designato l’Italia, di scegliere, entro 30 mesi dalla data di deposito, se avvalersi della procedura di esame presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi o se avvalersi dell’esame svolto presso l’Ufficio europeo dei brevetti nella cosiddetta “fase regionale” (Euro PCT).

Si precisa come, al momento della ratifica del Trattato, non fosse in vigore in Italia una procedura di esame di merito delle domande di brevetto italiane e il legislatore avesse preferito l’utilizzo della sola procedura del brevetto europeo che, attraverso l’esame di merito, costituiva un filtro delle domande che avrebbero potuto poi essere oggetto di convalida nazionale.

La situazione è poi cambiata, con l’art. 170, comma 1, lett. b) CPI[42]. Introdotta e collaudata ormai da diversi anni, la procedura di ricerca di anteriorità e di esame sostanziale delle domande di brevetto in Italia, consente di ammettere la possibilità, prevista dal suddetto Trattato di cooperazione in materia di brevetti, di svolgere presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi anche la procedura di riconoscimento e di esame nazionale della domanda internazionale, come avviene nella grande maggioranza dei paesi membri del Trattato.

La possibilità di entrare nella fase nazionale di esame direttamente da una domanda internazionale di brevetto porterebbe, secondo la relazione, i seguenti vantaggi: una procedura di esame e rilascio generalmente più rapida di quella europea; la possibilità per i richiedenti di ottenere direttamente un modello di utilità;  la protezione immediata dal momento del deposito della fase italiana, in quanto la domanda internazionale diverrebbe immediatamente disponibile al pubblico in lingua italiana, determinando tutti gli effetti previsti dal codice della proprietà industriale; maggiori introiti per lo Stato italiano che incasserebbe interamente sia i diritti di deposito della domanda internazionale che entra nella fase nazionale, sia le tasse di mantenimento in vita del brevetto concesso.


 

Articolo 32, commi 17-bis-17-quinquies
(Utilizzo congiunto dell’emblema dello Stato
e del segno distintivo Made in Italy)

 

 

Nel corso dell’esame in sede referente sono stati introdotti i nuovi commi dal 17-bis al 17-quinquies dell’articolo 32 che disciplinano le condizioni per l'utilizzo dell'emblema dello Stato in congiunzione con la dizione Made in Italy. Nel dettaglio, il comma 17-bis stabilisce la regola generale secondo la quale tale utilizzo è vietato, fatta eccezione per le imprese nazionali ed estere che producono beni sul territorio nazionale ai sensi della vigente normativa europea e che, ai fini di contrasto alla contraffazione, appongano i predetti segni distintivi, nei limiti e secondo le modalità disciplinate al comma 17-ter.

Per le imprese in questione, l’utilizzo è esercitato su base volontaria e senza pregiudizio della ulteriore normativa nazionale e comunitaria vigente nell'ambito dell'etichettatura delle merci.

Si dispone inoltre che, i contrassegni siano realizzati con tecniche di sicurezza o con impiego di carte filigranate o similari o di altri materiali di sicurezza per assicurare un'idonea protezione dalle contraffazioni e dalle falsificazioni. I contrassegni sono inclusi nell'elenco delle carte valori.

Il comma 17-ter demanda a decreti del Ministro dello sviluppo economico, sentito, per i profili di competenza, il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, l’individuazione delle forme grafiche per i segni descrittivi di cui al comma 17-bis e dle caratteristiche tecniche minime che questi devono possedere.

Contestualmente, il comma 17-quater dispone l’abrogazione di una serie disposizioni, talune delle quali volte alla tutela del “Made in Italy”, rimaste inattuate o oggetto di censure presso le Istituzioni europee.

Infine con il comma 17-quinquies sono apportate modifiche alla disciplina volta a sanzionare la falsa indicazione di origine italiana o della stampigliatura made in Italy, di cui ai commi 49 e 49-bis della legge n. 350/2003, prevedendo invece la punibilità della falsa indicazione di origine dei prodotti tout court. Viene inoltre apportata una modifica al comma 49-ter, al fine di rendere incondizionata l’applicabilità della confisca amministrativa nel caso di violazione del comma 49-bis.

 

Nel dettaglio, il comma 17-bis stabilisce la regola generale secondo la quale l'utilizzo dell'emblema dello Stato (di cui al D.Lgs. n. 535/1948[43]) in congiunzione con la dizione Made in Italy è vietato, fatta eccezione che per i fini della promozione e tutela della proprietà intellettuale e commerciale dei beni prodotti nel territorio nazionale.

Per tale finalità, alle imprese nazionali ed estere che producono beni sul territorio nazionale ai sensi della vigente normativa europea, è consentito di apporre su tali beni, nei limiti e secondo le modalità disciplinate dal decreto ministeriale attuativo previsto dal successivo comma 17-ter, “segni descrittivi recanti l’emblema dello Stato, insieme con la dizione “Made in Italy”, in congiunzione con contrassegni recanti i medesimi elementi, finalizzati al contrasto alla contraffazione”.

L’apposizione dei predetti segni descrittivi e contrassegni è consentita su base volontaria e senza pregiudizio della ulteriore normativa nazionale ed europea vigente nell'ambito dell'etichettatura delle merci.

Il comma precisa inoltre che, “ai fini della tutela e del decoro dell’emblema dello Stato”, i contrassegni sono realizzati con tecniche di sicurezza o con impiego di carte filigranate o similari o di altri materiali atti a garantire la sicurezza, ovvero con elementi o sistemi magnetici ed elettronici, in grado, unitamente alle relative infrastrutture, di assicurare un'idonea protezione dalle contraffazioni e dalle falsificazioni.

 

Il comma dispone che detti contrassegni siano inclusi, con provvedimenti del Ministero dell’economia e delle finanze, nell'elenco delle carte valori, di cui all’articolo 2, comma 10-bis, lett. a) e b) della legge 13 luglio 1966, n. 559.

Ai sensi del richiamato comma 10-bis, sono considerate carte valori i prodotti, individuati con apposito decreto non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, aventi almeno uno dei seguenti requisiti:

a) sono destinati ad attestare il rilascio, da parte dello Stato o di altre pubbliche amministrazioni, di autorizzazioni, certificazioni, abilitazioni, documenti di identità e riconoscimento, ricevute di introiti, ovvero ad assumere un valore fiduciario e di tutela della fede pubblica in seguito alla loro emissione o alle scritturazioni su di essi effettuate;

b) sono realizzati con tecniche di sicurezza o con impiego di carte filigranate o similari o di altri materiali di sicurezza ovvero con elementi o sistemi magnetici ed elettronici in grado, unitamente alle relative infrastrutture, di assicurare un'idonea protezione dalle contraffazioni e dalle falsificazioni.

In sostanza, la funzione delle carte valori è di tutelare l’autenticità e la non contraffazione dei prodotti su cui sono apposti.

L’elenco delle carte valori, che ai sensi delle norme in commento è destinato ad essere integrato, è recato dal decreto ministeriale del 23 dicembre 2013, che elenca le carte valori all’allegato A.

 

Il MEF, con propri provvedimenti, assicura, nell’ambito della normativa vigente, in materia di carte valori, la fornitura dei contrassegni alle imprese a prezzi conformi a quelli di mercato

Il comma 17-ter demanda a decreti del Ministro dello sviluppo economico, sentito, per i profili di competenza, il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, la disciplina delle:

a)   le forme grafiche per i segni descrittivi nonché le forme grafiche e le tipologie di supporti ammesse per i contrassegni, individuando le caratteristiche tecniche minime che questi devono possedere, con particolare riguardo ai meccanismi di contrasto della contraffazione;

b)   le modalità e i criteri con cui le imprese possono chiedere e mantenere l'autorizzazione ad apporre i segni descrittivi e i contrassegni sulle proprie merci;

c)   i settori merceologici e le tipologie di prodotti per i quali è possibile ottenere l'autorizzazione;

d)   le regole che devono essere rispettate da parte delle imprese nell'utilizzo dei segni descrittivi e dei contrassegni, al fine di assicurare pieno decoro nell'utilizzo dell'emblema dello Stato.

 

É opportuno rilevare come i commi 17-bis e 17-ter appaiano riconducibili a regolamentazione tecnica nazionale, per la quale la direttiva (UE) 2015/1535 prevede la procedura di notifica ai fini del vaglio preventivo da parte della Commissione europea.

 

Ai sensi della Direttiva (UE) 2015/1535, oggetto di vaglio preventivo sono anche i progetti di regole volti a istituire marchi o loghi che collegano la qualità di un prodotto alla sua origine. La Commissione UE, nella Relazione COM(2017) 788 final sull’applicazione della Direttiva (UE) 2015/1535, richiama la seguente casistica esaminata nel periodo 2014-2015:

§  nel 2014 la Commissione ha formulato un parere circostanziato su una notifica italiana relativa a un logo regionale che collegava l’origine di una vasta gamma di prodotti alla loro qualità. La Commissione ha sostenuto che questa misura sarebbe stata in contrasto con l’articolo 34 del TFUE, in quanto avrebbe potuto incoraggiare i consumatori ad acquistare prodotti nazionali a scapito di quelli importati. Le autorità italiane hanno in seguito eliminato l’ostacolo eliminando il riferimento all’origine dei prodotti contemplati dal progetto notificato;

§  nel 2015 le autorità francesi hanno notificato alla Commissione un progetto di misura che definiva un logo da utilizzare per i prodotti industriali e artigianali protetti da indicazioni geografiche. La Commissione ha emesso un parere circostanziato sostenendo che la creazione del logo, che consisteva in una sagoma rossa e blu contenente le iniziali “IG” [indication géographique] con la parola “FRANCE”, avrebbe potuto costituire una misura di effetto equivalente ai sensi dell’articolo 34 del TFUE. In particolare, la Commissione ha ritenuto che questo logo, che sottolineava l’origine francese dei prodotti in questione, sarebbe andato oltre l’obiettivo di autenticare l’origine locale o regionale specifica di un prodotto e pertanto avrebbe potuto incoraggiare i consumatori ad acquistare prodotti recanti tale logo, escludendo i prodotti di altri Stati membri. Le autorità francesi hanno accolto tali obiezioni e hanno modificato il progetto di logo in una maniera ritenuta accettabile dalla Commissione.

 

Il comma 17-quater dispone poi l’abrogazione di una serie disposizioni, talune delle quali volte alla tutela del “Made in Italy”, rimaste inattuate e oggetto di censure presso le Istituzioni europee, quali:

1) la legge 8 aprile 2010, n. 55 (cd. Legge Reguzzoni) sulla commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri, che ha dettato una disciplina ad hoc a tutela della produzione italiana nei settori in questione, la quale è stata oggetto di censure da parte delle Istituzioni europee circa sua compatibilità con il diritto comunitario;

2) l'articolo 16, commi 1-4, del D.L. 135/2009, volto ad individuare legislativamente il prodotto realizzato interamente in Italia, classificabile come Made in Italy e ad introdurre il delitto di fallace apposizione del marchio 100% Made in Italy, punendolo con le pene previste dall’art. 517 c.p. (vendita di prodotti industriali con segni mendaci), aumentate di un terzo.

È inoltre abrogato l'articolo 6, comma 1, lettera c), del Codice di Consumo (D.Lgs. n. 206/2005), il quale stabilisce che i prodotti o le confezioni dei prodotti destinati al consumatore, commercializzati sul territorio nazionale, riportano, chiaramente visibili e leggibili, almeno le indicazioni relative al Paese di origine se situato fuori dell'UE.

 

Sono abrogati gli articoli da 9 a 12 del D.P.R. n. 806/1967 (regolamento che attua l’ordinamento dell'Istituto Poligrafico dello Stato di cui alla citata legge n. 559 del 1966), recanti alcune procedure per l’immagazzinamento delle carte-valori.

L’articolo 9 dispone che la vigilanza e il controllo dell'Ispettorato carte-valori possano essere svolti anche per le fabbricazioni di carte da avvalorare, di valori o di prodotti similari, qualora i committenti ne facciano richiesta. Ai sensi dell’articolo 10, la conservazione e la distribuzione delle carte da avvalorare, dei valori e del materiale da stampa sono effettuate a cura del consegnatario del magazzino del Tesoro al quale l'Istituto deve fornire il personale, i locali e i materiali per la esecuzione del lavoro. L’articolo 11 dispone che la conservazione e la distribuzione degli stampati a rigoroso rendiconto siano effettuate dal consegnatario dell'apposito magazzin; l’articolo 12 dispone che i capi delle sezioni dell'Ispettorato carte-valori istituite presso le cartiere abbiano in consegna il materiale filigranatore e la carta filigranata e ne rendono il conto giudiziale.

 

Infine, il comma 17-quinquies apporta modifiche alla disciplina volta a sanzionare la falsa indicazione di origine italiana o della stampigliatura made in Italy, di cui ai commi 49 e 49-bis della legge n. 350/2003, prevedendo invece la punibilità della falsa indicazione di origine dei prodotti tout court. Viene inoltre apportata una modifica al comma 49-ter, al fine di rendere incondizionata l’applicabilità della confisca amministrativa nel caso di violazione del comma 49-bis.

 

Normativa vigente

A.C. 1807-A

L. 24 dicembre 2003, n. 350
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004)

Art. 4

(Finanziamento agli investimenti)

(omissis)

49. L'importazione e l'esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell'articolo 517 del codice penale. Costituisce falsa indicazione la stampigliatura «made in Italy» su prodotti e merci non originari dell'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine; costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l'origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l'uso di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l'uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli, fatto salvo quanto previsto dal comma 49-bis. Le fattispecie sono commesse sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l'immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio. La fallace indicazione delle merci può essere sanata sul piano amministrativo con l'asportazione a cura ed a spese del contravventore dei segni o delle figure o di quant'altro induca a ritenere che si tratti di un prodotto di origine italiana. La falsa indicazione sull'origine o sulla provenienza di prodotti o merci può essere sanata sul piano amministrativo attraverso l'esatta indicazione dell'origine o l'asportazione della stampigliatura «made in Italy».

49. L'importazione e l'esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell'articolo 517 del codice penale. Costituisce falsa indicazione la stampigliatura di origine da un Paese su prodotti e merci non originari di tale Paese ai sensi della normativa europea sull'origine; costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l'origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l'uso di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine diversa da quella indicata incluso l'uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli, fatto salvo quanto previsto dal comma 49-bis. Le fattispecie sono commesse sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l'immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio. La fallace indicazione delle merci può essere sanata sul piano amministrativo con l'asportazione a cura ed a spese del contravventore dei segni o delle figure o di quant'altro induca a ritenere che si tratti di un prodotto di origine italiana. La falsa indicazione sull'origine o sulla provenienza di prodotti o merci può essere sanata sul piano amministrativo attraverso l'esatta indicazione dell'origine o l'asportazione della stampigliatura «made in Italy».

49-bis. Costituisce fallace indicazione l'uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull'origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull'origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. Per i prodotti alimentari, per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia prima agricola utilizzata nella produzione e nella preparazione dei prodotti e il luogo in cui è avvenuta la trasformazione sostanziale. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad euro 250.000.

49-bis. Costituisce fallace indicazione l'uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine diversa da quella prevista ai sensi della normativa europea sull'origine. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad euro 250.000.

49-ter. E' sempre disposta la confisca amministrativa del prodotto o della merce di cui al comma 49-bis, salvo che le indicazioni ivi previste siano apposte, a cura e spese del titolare o del licenziatario responsabile dell'illecito, sul prodotto o sulla confezione o sui documenti di corredo per il consumatore.

49-ter. E' sempre disposta la confisca amministrativa del prodotto o della merce di cui al comma 49-bis.

49-quater. Le Camere di commercio industria artigianato ed agricoltura territorialmente competenti ricevono il rapporto di cui all'articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ai fini dell'irrogazione delle sanzioni pecuniarie amministrative di cui al precedente comma 49-bis.

49-quater. Identico.

49-quater. Fatto salvo quanto disposto dal comma 49-ter e fatte salve le sanzioni di cui all'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, la fallace indicazione nell'uso del marchio, di cui al comma 49-bis, è punita, quando abbia per oggetto oli di oliva vergini, ai sensi dell'articolo 517 del codice penale.

49-quater. Identico.


 

Articolo 32-bis
(T
ransazioni su cartelle di pagamento e ingiunzioni fiscali per somme dovute a INVITALIA per incentivi autoimpiego e autoimprenditorialità)

 

 

L’articolo 32-bis, introdotto in sede referente, estende le transazioni sul debito complessivo, consentite dal decreto-legge “Genova” (articolo 43, comma 2, del D.L. n. 109/2018) a favore dei beneficiari di mutui agevolati per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità (Legge 185/2000 titoli I e II), ammettendo tali transazioni anche sulle somme da questi dovute a INVITALIA contenute nelle cartelle di pagamento e nelle ingiunzioni fiscali. Si ricorda che INVITALIA è il soggetto competente a stipulare i contratti di finanziamento in questione.

 

L’articolo 43 del richiamato decreto-legge n. 109 del 2018 ha previsto la possibilità - per i soggetti beneficiari di mutui agevolati concessi a favore dell’autoimprenditorialità e dell’autoimpiego, ai sensi del D.Lgs. n. 185/2000 e delle pregresse norme in materia di imprenditoria giovanile nel Mezzogiorno - di richiedere una sospensione di 12 mesi del pagamento della quota capitale delle rate inerenti i predetti mutui, con un allungamento della durata del piano fino a tutto il 2026, nonché (comma 2) una transazione sul debito complessivo per un importo non inferiore al 25%.

Più in dettaglio il comma 2 autorizza INVITALIA, previa acquisizione di parere favorevole dell’Avvocatura dello Stato, ad aderire a proposte transattive per importi non inferiori al 25 per cento del debito, comprensivo di sorte capitale, interessi ed interessi di mora, avanzate dai soggetti beneficiari o da altro soggetto interessato alla continuità aziendale, nell’ambito delle soluzioni negoziali giudizialmente assistite delle crisi d’impresa ovvero nell’ambito delle attività giudiziali pendenti alla data di entrata in vigore del decreto per il recupero dei crediti in ragione della morosità sulla restituzione delle rate.

Nel mese di maggio 2019 sono state approvate dal Ministero dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali e sulla scorta del parere espresso dall’Avvocatura Generale dello Stato, le linee guida per l’applicazione dell’articolo 43.

 

Con l’articolo 32-bis in esame (comma 1) le predette transazioni sono estese anche alle somme contenute in cartelle di pagamento e ingiunzioni fiscali adottate secondo la disciplina generale sull’ingiunzione (R.D. n. 639 del 1910) e ai sensi del D.M. 8 febbraio 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 7 marzo 2008: il decreto ha autorizzato la riscossione coattiva mediante ruolo (ai sensi della disciplina generale della riscossione delle imposte dirette, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602) dei crediti, derivanti dalla concessione dei benefici delle agevolazioni per l'autoimpiego, vantati dall'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa S.p.a. (già Sviluppo Italia S.p.a.), ora INVITALIA.

 

Il comma 2, per le attività relative alla predetta transazione, estende il termine di adesione alla procedura transattiva alle attività pendenti, ovvero alle cartelle di pagamento e alle ingiunzioni fiscali notificate al 1° maggio 2019 (data di entrata in vigore del decreto-legge in commento).

 

La disciplina degli incentivi all'autoimprenditorialità nei settori della produzione dei beni e dell'erogazione dei servizi è contenuta nel Titolo I del D.Lgs. n. 185/2000.

Essa è stata riformata ed estesa dal D.L. 145/2013, il quale ha inserito un nuovo Capo 01 nel Titolo I del D.Lgs. n. 185/2000, in sostituzione di quanto previsto dai Capi I, II e IV del Titolo I del medesimo D.lgs., conseguentemente abrogati. Gli incentivi in questione, prima limitati alle aree del Mezzogiorno, sono stati estesi a tutto il territorio nazionale e non più limitati alle aree svantaggiate del Paese.

Per ciò che concerne le tipologie di benefici concedibili per la nuova imprenditorialità, la riforma ha eliminato i contributi a fondo perduto e previsto la sola concessione di mutui agevolati per gli investimenti, a tasso zero, per una durata massima di otto anni e per un importo non superiore al 75 per cento della spesa ammissibile ai sensi della normativa comunitaria. Inoltre, la riforma ha esplicitato che l'ammissibilità degli incentivi deve essere valutata nei limiti della disciplina europea sugli aiuti di stato di importanza minore (c.d. "de minimis") (Reg. n. 1407/2013/UE del 18 dicembre 2013, con effetto dal 1° gennaio 2014).

Quanto ai requisiti soggettivi ai fini dell'accesso ai benefici, essi sono costituiti da:

§  la novità dell'impresa (imprese costituite da non più di 12 mesi dalla data di presentazione della domanda di agevolazione);

§  la dimensione dell'impresa: deve trattarsi di imprese di micro e piccola dimensione secondo la classificazione europea, di cui all'Allegato I del Reg. CE n. 800/2008, ossia un'impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo e/o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di euro (piccola impresa) oppure un'impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo e/o un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro (microimpresa).

Restano fermi i requisiti della costituzione in forma societaria e quello per cui la compagine societaria sia costituita, per oltre la metà numerica di soci e quote, da soggetti in età compresa tra 18 e 35 anni.

Le iniziative finanziabili devono prevedere investimenti non superiori a 1,5 milioni di euro, nella produzione di beni nei settori dell'industria, dell'artigianato, della trasformazione dei prodotti agricoli ovvero della fornitura di servizi alle imprese, incluse le iniziative nel commercio e nel turismo, nel commercio e nel turismo, nonché iniziative relative ad ulteriori settori individuati dal decreto ministeriale di attuazione D.M. 8 luglio 2015, n. 140.

La riforma ha confermato l'affidamento della gestione della misura ad Invitalia S.p.A, la quale ha il compito di provvedere alla selezione delle domande e alla erogazione delle agevolazioni, nonché all'assistenza tecnica dei progetti e delle iniziative presentate. La riforma ha anche esteso i benefici all'imprenditoria femminile.

Il successivo D.L. n. 91/2014 (articolo 7-bis) ha operato una riforma della disciplina degli incentivi a favore dei giovani imprenditori agricoli (imprese a prevalente o totale partecipazione giovanile) contenuta nel Capo III del Titolo I del D.Lgs. n. 185/2000, muovendosi in sostanziale simmetria con il primo intervento.

La disciplina degli incentivi all'autoimpiego è contenuta nel Titolo II del D.Lgs. n. 185/2000

La disciplina è finalizzata all’avvio di piccole attività imprenditoriali : lavoro autonomo, microimpresa e franchising, da parte di soggetti privi di occupazione nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia.

Ai soggetti ammessi alle agevolazioni sono concedibili:

a)    contributi a fondo perduto e mutui agevolati per gli investimenti, secondo i limiti fissati dall'Unione europea, entro il limite della disciplina europea sugli aiuti di Stato;

b)   contributi a fondo perduto in conto gestione, secondo i limiti fissati dall'UE;

c)    assistenza tecnica in fase di realizzazione degli investimenti e di avvio delle iniziative.

Soggetto gestore della misura è INVITALIA.

Per ciò che concerne le risorse finanziarie disponibili per l’autoimprenditorialità e l’autoimpiego, la concessione delle agevolazioni è disposta a valere sulle disponibilità del Fondo rotativo per le agevolazioni all'autoimprenditorialità e all'autoimpiego istituito presso il MEF, derivanti dai rientri dei mutui concessi. Le predette disponibilità sono incrementate da eventuali ulteriori risorse derivanti dalla programmazione nazionale e europea.


 

Articolo 33, commi 1 e 2
(Assunzione di personale nelle Regioni a statuto ordinario
e nei Comuni in base alla sostenibilità finanziaria)

 

 

L'articolo 33 interviene in materia di facoltà assunzionali delle Regioni a statuto ordinario (comma 1) e dei Comuni (comma 2), con la finalità di accrescere le facoltà assunzionali degli enti che presentino un rapporto virtuoso fra spese complessive per il personale ed entrate riferite ai primi tre titoli del rendiconto. Per gli enti territoriali meno virtuosi, è previsto l'avvio di un percorso, che si conclude nel 2025, diretto a pervenire alla sostenibilità finanziaria di tale rapporto. Qualora tale obiettivo non sia raggiunto, le assunzioni di personale non potranno eccedere il 30 per cento di coloro che cessano dal servizio.

 

Il comma 1 stabilisce che le Regioni possano procedere ad assumere a tempo indeterminato nel limite di una spesa complessiva per il personale (al lordo degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione) non superiore ad un determinato valore soglia, definito con decreto ministeriale.

Ai sensi del comma 1, primo periodo, la finalità perseguita dalla nuova disciplina assunzionale di interesse regionale è anche quella di favorire l'accelerazione degli investimenti pubblici, con particolare riferimento ad alcuni ambiti (mitigazione del rischio idrogeologico e ambientale, manutenzione delle scuole e delle strade, opere infrastrutturali, edilizia sanitaria e altri programmi previsti dalla legge di bilancio per il 2019).

 

Il richiamo ai "programmi previsti dalla legge" di bilancio per il 2019 (l. n. 145 del 2018) parrebbe ricomprendere quanto meno gli ambiti richiamati all'art.1, comma 838, della medesima legge: messa in sicurezza degli edifici e del territorio, anche ai fini dell'adeguamento e miglioramento sismico degli immobili; prevenzione del rischio idrogeologico e tutela ambientale; viabilità e trasporti; edilizia sanitaria ed edilizia pubblica residenziale; agevolazioni alle imprese, incluse la ricerca e l’innovazione. Si tratta di ambiti in cui le regioni a statuto ordinario sono tenute ad effettuare nuovi investimenti utilizzando a tal fine i contributi che lo Stato ha messo a disposizione ai sensi dei commi 834 e 836 (si veda in proposito la relativa scheda di lettura nel dossier dei Servizi studi di Camera e Senato, Legge di bilancio 2019, Vol. III, 22 gennaio 2019).

 

A seguito delle modifiche approvate in sede referente alla Camera, il richiamato valore soglia è definito come percentuale, anche differenziata per fascia demografica, della media delle entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti (nel testo originario, il riferimento era alle entrate correnti del rendiconto dell'anno che precede quello in cui viene prevista l’assunzione). A tal fine non si tiene conto delle entrate a destinazione vincolata, incluse quelle relative al Servizio sanitario nazionale, e gli stanziamenti iscritti nel bilancio di previsione per il Fondo crediti di dubbia esigibilità.

 

Le entrate delle regioni, ai sensi dell'allegato n.13/1 al decreto legislativo n.118 del 2011, sono classificate in 9 titoli, di cui solo i seguenti primi 3 rilevano ai fini delle entrate correnti di cui alla disposizione in commento: Titolo I (Entrate correnti di natura tributaria, contributiva e perequativa), che include i tributi destinati al finanziamento della sanità, di cui come detto non si deve tener conto ai fini del calcolo del valore soglia; Titolo II (Trasferimenti correnti); Titolo III (Entrate extratributarie).

 

Al comma 1, primo periodo, si stabilisce altresì che le Regioni possano procedere ad assumere in coerenza con piani triennali di fabbisogno di personale e nel rispetto dell'equilibrio di bilancio asseverato dall'organo di revisione.

 

Ad un decreto del Ministro della pubblica amministrazione sono demandate sia l'indicazione della data di entrata a regime della nuova disciplina assunzionale (comma 1, primo periodo), sia l'individuazione delle fasce demografiche, dei relativi valori soglia (prossimi al valore medio per fascia demografica) e delle relative percentuali massime annuali di incremento del personale per le regioni che si collocano al disotto del predetto valore soglia (comma 1, secondo periodo).

 

Il decreto, su cui è previsto il concerto del Ministro dell'economia e l'acquisizione dell'intesa in sede di conferenza Stato-regioni, deve essere adottato entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame.

 

Il comma 1, terzo periodo, dispone che l'aggiornamento delle fasce, dei valori soglia e delle relative percentuali massime di incremento del personale possa essere operato con cadenza quinquennale.

 

Il comma 1, quarto periodo, dispone che le regioni il cui rapporto fra la spesa per il personale (al lordo degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione) e le entrate correnti dei primi tre titoli del rendiconto (sarebbe forse preferibile specificare anche in questa sede, come previsto al primo periodo, che dette entrate sono considerate al netto delle poste di cui al primo periodo, v. supra) risulti superiore al valore soglia, definito dal citato decreto ministeriale, siano tenute ad intraprendere un percorso di graduale riduzione annuale del suddetto rapporto con l'obiettivo di conseguire il valore soglia nell'anno 2025.

Si valuti in proposito la possibilità di riformulare la disposizione al fine di tener conto che tale valore soglia potrebbe essere raggiunto anche prima del 2025.

 

Le Regioni che intraprendono tale percorso sono chiamate ad attuare un turnover di personale "anche inferiore al 100 per cento".

Si valuti la possibilità di chiarire se la percentuale del 100 per cento debba essere intesa con riferimento al personale cessato dal servizio nell'anno precedente ovvero con riferimento alla spesa sostenuta per il personale cessato nell'anno precedente. Analogo chiarimento andrebbe formulato con riferimento al limite assunzionale, pari al 30 per cento, di cui al successivo quinto periodo, per le Regioni che non saranno state in grado di assicurare una spesa di personale sostenibile entro il 2025 (v. infra).

 

A decorrere dal 2025, le regioni che continueranno a registrare un rapporto superiore al “valore soglia” - fintanto che tale differenza non sia riassorbita - saranno tenute ad applicare un turn over del personale "pari al 30 per cento" (comma 1, quinto periodo). La disposizione, nonostante il tenore letterale, parrebbe doversi intendere come diretta ad imporre un tetto alle assunzioni, e non un vincolo di applicare un turn over necessariamente "pari" al 30 percento.

 

L'ultimo periodo del comma 1 dispone infine che sia assicurata l’invarianza del valore medio pro-capite, riferito all’anno 2018, del fondo per la contrattazione integrativa nonché delle risorse per remunerare gli incarichi di posizione organizzativa. A tal fine si prevede una rimodulazione, in aumento o in diminuzione, del limite del trattamento accessorio del personale di cui all’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75 del 2017, prendendo a riferimento come base di calcolo il personale in servizio al 31 dicembre 2018.

 

L'art.23, comma 2, citato ha disposto, in attesa di una più generale armonizzazione dei trattamenti economici accessori di tutto il personale delle amministrazioni pubbliche da effettuarsi in sede di contrattazione collettiva nazionale, che dal 2017 l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna pubblica amministrazione non possa superare il corrispondente importo determinato per l'anno 2016.

 

Il comma 2 detta una disciplina assunzionale per i Comuni per molti aspetti analoga a quella introdotta per le regioni al comma 1[44].

Non si ripetono in questa sede le osservazioni segnalate in sede di commento del comma 1, a cui si fa tuttavia rinvio con riguardo alle disposizioni di identico contenuto.

I Comuni possono pertanto procedere ad assunzioni a tempo indeterminato nel limite di una spesa complessiva per il personale (al lordo degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione) non superiore ad un determinato valore soglia, "anche per le finalità di cui al comma 1" (v. supra).

Dette assunzioni devono avvenire in coerenza con piani triennali di fabbisogno di personale e nel rispetto dell'equilibrio di bilancio asseverato dall'organo di revisione.

Il valore soglia, che costituisce il limite di spesa per le assunzioni di personale in commento, è definito come percentuale "differenziata per fascia demografica" delle entrate relative ai primi tre titoli delle entrate del rendiconto dell'anno precedente, al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità.

Le fasce demografiche, i relativi valori soglia (prossimi al valore medio per fascia demografica) e le relative percentuali massime annuali di incremento del personale in servizio sono stabiliti con decreto del Ministro della pubblica amministrazione, di concerto con i Ministri dell'economia e dell'interno, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città.

I parametri definiti con il decreto ministeriale potranno essere aggiornati con cadenza quinquennale.

Gli altri Comuni, cioè quelli in cui il rapporto fra la spesa per il personale e le richiamate entrate correnti è superiore al valore soglia, sono tenuti ad intraprendere un percorso di graduale riduzione annuale di tale rapporto affinché esso raggiunga il valore soglia nell'anno 2025 e, nel frattempo, possono procedere ad assunzioni secondo un turn over "anche" inferiore al 100 per cento.

A partire dal 2025, i Comuni che continueranno a registrare un rapporto superiore al valore soglia, e fintanto che tale eccedenza non sia riassorbita, saranno tenuti a limitare le assunzioni al 30 per cento di coloro che cessano dal servizio.

 

Così come previsto per le Regioni, anche con riferimento alle assunzioni di personale nei Comuni il limite al trattamento accessorio del personale di cui all'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo n.75 del 2017 è adeguato al fine di garantire l'invarianza del valore medio pro-capite, riferito all'anno 2018, del fondo per la contrattazione integrativa nonché delle risorse per remunerare gli incarichi di posizione organizzativa, prendendo a riferimento come base di calcolo il personale in servizio al 31 dicembre 2018.

 

 

La disciplina dettata dall'articolo in commento interviene sulla normativa sulle assunzioni di personale nelle Regioni e dei Comuni, la cui fonte principale è costituita dall'art.3, comma 5, del decreto-legge n. 90 del 2014.

Quest'ultima dispone che le regioni e gli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno[45] procedano ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente alla medesima spesa sostenuta per il personale di ruolo cessato nell'anno precedente, a partire dal 2018 (per gli anni precedenti tale percentuale era inferiore: pari al 60 per cento per gli anni 2014-2015; pari all'80 per cento per il 2016 ed il 2017). Invero il cosiddetto sblocco del turnover si registra a partire dal 2019, atteso che per il 2018 sussisteva un ulteriore vincolo, dettato dall'art. 1, comma 228, della legge n.208 del 2015: regioni e enti locali avrebbero potuto, per il triennio 2016-2018, assumere a tempo indeterminato personale di qualifica non dirigenziale nel limite di un contingente di personale corrispondente, per ciascuno dei predetti anni, ad una spesa pari al 25% di quella relativa al medesimo personale cessato nell’anno precedente.

Tale disciplina, a seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge in commento, viene superata con riferimento alle Regioni e ai Comuni: a) che registrino una spesa di personale sostenibile da un punto di vista finanziario (potranno infatti assumere personale a tempo indeterminato sino ad una spesa complessiva per tutto il personale dipendente non superiore al citato valore soglia, definito con decreto ministeriale); b) che, pur avendo intrapreso un percorso di graduale contenimento del rapporto fra spese per il personale ed entrate, dal 2025 non abbiano portato tale rapporto al disotto del citato valore soglia (e saranno legittimate ad applicare un turn over pari al 30 per cento, fino al conseguimento del medesimo valore soglia).

La richiamata disciplina diretta ad imporre vincoli assunzionali agli enti territoriali è stata ritenuta legittima dalla Corte costituzionale. La Corte (ex multis, v. sent. n.218 del 2015) ha respinto le censure della regione Veneto, richiamando a tal fine la costante giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto incontestabile "il potere del legislatore statale di imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti". Nello specifico, ha evidenziato che l'art. 3, comma 5, del decreto-legge n. 90 del 2014 "è norma recante princìpi di coordinamento della finanza pubblica" e concerne "non una minuta voce di spesa, bensì un rilevante aggregato della spesa di parte corrente, in un'ottica di contenimento complessivo, sebbene non generale, della spesa corrente in vista del riequilibrio della finanza pubblica". Ad avviso della Corte si tratta di una norma che soddisfa il requisito di non prevedere "in modo esaustivo strumenti e modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi" di contenimento della spesa" (in linea con quanto indicato nella sentenza n. 236 del 2013), "lasciando alle Regioni la possibilità di provvedere esse stesse, in piena autonomia, a differenziare le misure necessarie al raggiungimento dell'indicato obiettivo, tenendo conto delle diverse esigenze dei vari settori dell'amministrazione regionale".


 

Articolo 33, commi 2-bis-2-quater
(Personale educativo degli enti locali)

 

 

I commi da 2-bis a 2-quater dell’articolo 33, introdotti nel corso dell’esame in Commissione, intervengono in merito alle procedure concorsuali per il reclutamento del personale educativo degli enti locali, disponendo che ai relativi concorsi si applichino le norme generali che ampliano, in via transitoria, i limiti di durata delle graduatorie a seconda dell'anno di approvazione, con riferimento agli anni 2010-2018.

 

In particolare, il comma 2-bis, modificando l’articolo 1, comma 366, della L. 145/2018, reintroduce per le procedure concorsuali per il reclutamento del personale educativo degli enti locali l’applicabilità delle norme transitorie suddette, applicabilità che viene, di conseguenza, esplicitata nel successivo comma 2-ter.

Tale applicabilità è attualmente esclusa dall’articolo 14-ter, comma 2, del D.L. 4/2019, che viene abrogato dal nuovo comma 2-quater dell’articolo 33 del provvedimento in esame.

Il richiamato art. 1, c. 362, della L. 145/2018, modifica, in via transitoria, i termini di durata delle graduatorie relative alle procedure concorsuali delle pubbliche amministrazioni, al fine di ripristinarne gradualmente la durata triennale della validità, che viene confermata per quelle approvate dal 1° gennaio 2019. In particolare (e fatta salva la possibilità per le regioni di stabilire termini inferiori di durata):

§  la validità delle graduatorie approvate dal 1° gennaio 2010 al 31 dicembre 2013 è prorogata al 30 settembre 2019 ed esse possono essere utilizzate esclusivamente nel rispetto di determinate condizioni,

§  la validità delle graduatorie approvate nel 2014 è estesa fino al 30 settembre 2019;

§  la validità delle graduatorie approvate nel 2015 è estesa fino al 31 marzo 2020;

§  la validità delle graduatorie approvate nel 2016 è estesa fino al 30 settembre 2020;

§  la validità delle graduatorie approvate nel 2017 è estesa fino al 31 marzo 2021;

§  la validità delle graduatorie approvate nel 2018 è estesa fino al 31 dicembre 2021.

 

Il medesimo comma 2-bis conferma inoltre, come previsto dall'attuale formulazione dell’art. 1, c. 366, della L. 145/2018, la non applicabilità al personale educativo degli enti locali di determinate disposizioni che concernono le modalità di svolgimento e di utilizzo delle procedure concorsuali per il reclutamento del personale nelle pubbliche amministrazioni.

In particolare, non si applicano le previsioni secondo cui:

§  dal 2019 le amministrazioni pubbliche utilizzano per il reclutamento del personale modalità semplificate individuate con apposito decreto (ex art. 1, c. 360, della L. 145/2018);

§  le graduatorie concorsuali sono utilizzate esclusivamente (ex art. 1, c. 361, della L. 145/2018) per la copertura dei posti messi a concorso e di quelli che - fermi restando i termini di vigenza delle medesime graduatorie - si rendano disponibili in conseguenza della mancata costituzione o dell'avvenuta estinzione del rapporto di lavoro con i candidati dichiarati vincitori, nonché per effettuare assunzioni di soggetti titolari del diritto al collocamento obbligatorio, quali disabili (ex artt. 3 e 18 della L. 68/1999) e vittime del terrorismo e della criminalità organizzata o loro familiari (ex art. 1 L. 407/1998), sebbene collocati oltre il limite dei posti ad essi riservati nel concorso.

 

 

 


 

Articolo 33-bis
(Potenziamento del sistema di soccorso tecnico urgente
del Corpo nazionale dei vigili del fuoco)

 

 

L’articolo 33-bis, introdotto in sede referente, autorizza per il 2019 il Corpo nazionale dei vigili del fuoco ad assumere a tempo indeterminato personale da destinare alle unità cinofile mediante procedure di reclutamento riservate al personale volontario della Sezione cinofila iscritto da almeno tre anni negli elenchi del personale volontario.

 

Più in dettaglio, la disposizione in esame modifica l’articolo 19-bis, comma 1, del decreto-legge 8/2017 che reca l’autorizzazione all’assunzione di personale delle unità cinofile per gli anni 2017 e 2018.

Oltre ad estendere anche al 2019 l’autorizzazione all’assunzione, si prevede che i volontari che intendono partecipare alle procedure di reclutamento debbano aver conseguito la prescritta certificazione operativa, rilasciata dalla Scuola nazionale cinofila dei VVFF, alla data del 31 dicembre 2018, anziché all’11 aprile 2018 come prescritto dal D.L. 8/2017.

 

Il citato articolo 19-bis reca l’autorizzazione al Corpo nazionale dei vigili del fuoco ad assumere a tempo indeterminato personale da destinare alle unità cinofile mediante avvio di procedure speciali di reclutamento, nel limite massimo del 50% delle facoltà di assunzione previste dalla normativa vigente, per ciascuno degli anni 2017 e 2018.

Le procedure di reclutamento sono riservate al personale volontario già utilizzato nella Sezione cinofila del Corpo che risponda ai seguenti requisiti:

§  iscrizione da almeno 3 anni in uno dei due elenchi del personale volontario (rispettivamente per le necessità dei distaccamenti volontari del Corpo nazionale e per le necessità delle strutture centrali e periferiche del Corpo nazionale) istituiti presso i comandi provinciali dei vigili del fuoco (art. 6, D.Lgs. 139/2006);

§  svolgimento di almeno 120 giorni di servizio;

§  conseguimento, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge (11 aprile 2018), della prescritta certificazione operativa rilasciata presso la Scuola Nazionale Cinofila di Volpiano (TO);

§  possesso dei requisiti ordinari per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco previsti dalle vigenti disposizioni.

In generale, l'assunzione dei vigili del fuoco avviene mediante pubblico concorso al quale possono partecipare i cittadini italiani in possesso dei seguenti requisiti: godimento dei diritti politici; 18 anni di età; idoneità fisica, psichica e attitudinale al servizio operativo, secondo i requisiti stabiliti con regolamento del Ministro dell'interno; diploma di istruzione secondaria di secondo grado; qualità morali e di condotta; gli altri requisiti generali per la partecipazione ai pubblici concorsi per l'accesso ai pubblici impieghi (art. 5, comma 1, D.Lgs. 217/2005).

Viene demandato ad un decreto del Ministro dell'interno la definizione dei criteri di verifica dell'idoneità, nonché delle modalità abbreviate per l'eventuale corso di formazione. Il D.M. è stato adottato il 26 ottobre 2018 (G.U. 8 novembre 2018).

 

Per la procedura di autorizzazione delle assunzioni, il D.L. 8/2017 richiama le previsioni della disciplina vigente per il personale delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, delle agenzie e degli enti pubblici non economici (art. 35, comma 4, D.Lgs. 165/2001). Tali previsioni stabiliscono che le determinazioni relative all'avvio di procedure di reclutamento sono adottate da ciascuna amministrazione o ente sulla base della programmazione triennale del fabbisogno di personale; con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono autorizzati l'avvio delle procedure concorsuali e le relative assunzioni del personale.

 

Le procedure di reclutamento del personale delle unità cinofile è stato avviato con il D.P.C.M. 204 ottobre 2018, che ha autorizzato il Corpo dei vigili del fuoco a procedere, a valere sulle risorse per le assunzioni relative all'anno 2018, derivanti dai risparmi da cessazione dell'anno 2017, all’assunzione a tempo indeterminato di 28 vigili del fuoco cinofili unità di personale e per un onere a regime di 1.184.120 euro (Tabella C).

 

La disposizione in esame, in merito alle procedure assunzionali, fa rinvio alla deroga per il turn over prevista per i Corpi di polizia e i VVFF dal D.L. 112/2008 (art. 66, comma 9-bis). Tale disposizione, oltre a richiamare le modalità vigenti per le assunzioni delle amministrazioni dello Stato viste sopra, dà facoltà al Corpo nazionale dei vigili del fuoco di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente a una spesa pari a quella relativa al personale cessato dal servizio nel corso dell'anno precedente e per un numero di unità non superiore a quelle cessate dal servizio nel corso dell'anno precedente. Tale facoltà assunzionale è fissata nella misura del 100% per cento a decorrere dall'anno 2016.

 


 

Articolo 33-ter

(Disposizioni di finanza pubblica di interesse
delle Regioni a statuto speciale)

 

 

L'articolo 33-ter, introdotto alla Camera nel corso dell’esame delle Commissioni riunite V e VI, interviene su disposizioni di finanza pubblica di interesse delle Regioni a statuto speciale, ed in particolare di Friuli-Venezia Giulia e Sardegna.

In base a tali novelle ed interventi:

§  si posticipano alcuni termini previsti all'art. 1, comma 126, della legge di bilancio per il 2019, riguardanti la procedura relativa alla destinazione di risorse per la messa in sicurezza del territorio e delle strade;

§  si interviene in ordine alle modalità con cui lo Stato acquisisce i contributi alla finanza pubblica della regione Valle d'Aosta e della Regione siciliana;

§  si dà attuazione all'accordo sottoscritto il 25 febbraio scorso tra il Ministro dell'Economia e la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza pubblica;

§  si posticipa al 15 luglio 2019 il termine per la sottoscrizione dell'accordo di finanza pubblica con la regione Sardegna e si rimodula la disciplina che si applica nelle more della sottoscrizione degli accordi con Sardegna e Friuli-Venezia Giulia.

Sono poste inoltre misure di copertura degli oneri finanziari delle disposizioni in esame.

 

Più in dettaglio, una novella modifica i termini contenuti all'articolo 1, comma 126, della legge di bilancio per il 2019 (l. n.145/2019) e successivamente prorogati dal DL n.135/2018.

Il comma 126 ha istituto nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze un fondo, alimentato con le risorse residue del Fondo investimenti enti territoriali, diretto a finanziare investimenti per la messa in sicurezza del territorio e delle strade nelle regioni Friuli Venezia Giulia e Sardegna, nell’ambito degli accordi bilaterali (richiamati al comma 875) fra lo Stato e ciascuna delle due Regioni a statuto speciale per la definizione del concorso di ciascuna autonomia al contenimento del debito pubblico, di cui si prevedeva la sottoscrizione entro il 15 marzo 2019 (termine ora posticipato al 31 luglio dal comma 2-quinquies, v. infra).

Il comma 126 prevede che qualora detti accordi non siano sottoscritti entro il predetto termine, le risorse del fondo non utilizzate sono destinate ad incrementare i) i contributi autorizzati dai commi 134 e 139, finalizzati ad opere pubbliche per la messa in sicurezza degli edifici e del territorio delle Regioni, includendo tra i destinatari anche le province e le città metropolitane, nonché ii) i contributi di cui al comma 107, assegnati ai comuni per investimenti per la messa in sicurezza di scuole, strade, edifici pubblici e patrimonio comunale.

Tale assegnazione avrebbe dovuto essere disposta con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze e previa intesa in sede di Conferenza unificata, da raggiungere entro il 31 marzo 2019.

In caso di mancata intesa il decreto avrebbe dovuto essere comunque emanato entro il 15 aprile.

La novella in commento pospone i richiamati termini: il termine entro cui è prevista la sottoscrizione degli accordi con le Regioni è posticipato al 15 luglio; l'intesa dovrà essere raggiunta entro il 31 luglio; in caso di mancata intesa il DPCM dovrà essere comunque emanato entro il 31 agosto.

 

Un'altra novella introduce un comma aggiuntivo dopo l'art.1, comma 886, della legge di bilancio per il 2019, che dispone in ordine alle modalità con cui lo Stato acquisisce il contributo alla finanza pubblica della regione autonoma Valle d'Aosta (di cui al comma 877) e della Regione siciliana (di cui al comma 881). Nello specifico, le relative somme sono versate all'erario con imputazione sul capitolo 3465, articolo 1, capo X, dell'entrata del bilancio dello Stato entro il 10 agosto 2019 per il corrente anno ed entro il 30 aprile di ciascun anno per gli anni successivi. In mancanza di tali versamenti all'entrata del bilancio dello Stato entro i termini suddetti, il Ministero dell'economia e delle finanze è autorizzato a trattenere gli importi corrispondenti, a valere sulle somme a qualsiasi titolo spettanti alla regione, anche avvalendosi dell'Agenzia delle entrate per le somme introitate per il tramite dell'Ufficio Struttura di gestione della stessa Agenzia.

 

Si ricorda che il comma 877 è intervenuto sul contributo alla finanza pubblica della regione autonoma Valle d'Aosta. Esso è pari a 194,726 milioni di euro per l'anno 2018, 112,807 milioni di euro per l'anno 2019 e 102,807 milioni di euro annui a decorrere dal 2020.

Il comma 881 disciplina il contributo alla finanza pubblica della Regione siciliana. Esso è pari a 1.304,945 milioni di euro per l'anno 2018 e 1.001 milioni di euro annui a decorrere dal 2019.

Con i contributi di cui ai commi richiamati sono diretti a dare attuazione alla giurisprudenza costituzionale in materia (sono esplicitamente richiamate le sentenze della Corte costituzionale n. 77 del 2015, n. 154 del 2017 e n. 103 del 2018, v. scheda infra).

 

Con altre novelle si introducono sei commi aggiuntivi dopo il comma 875 dell'art.1 della legge di bilancio per il 2019, diretti a dare attuazione ad alcune disposizioni recate nell'accordo sottoscritto il 25 febbraio scorso tra il Ministro dell'Economia e la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza pubblica.

 

Nello specifico, il comma 875-bis, oltre a ribadire le richiamate finalità di attuazione dell'accordo dei commi fino all'875-septies, precisa che quest'ultimo dà attuazione alle sentenze della Corte costituzionale n.77 del 2015, n. 188 del 2016, n. 154 del 2017 e n. 103 del 2018 (v. il riquadro subito infra).

 

 

Le sentenze richiamate nelle disposizioni in esame hanno ribadito la legittimità del concorso alla riduzione del debito pubblico nei confronti delle regioni ordinarie, delle regioni a statuto speciale e delle province autonome.

Con specifico riferimento alle autonomie speciali, dalla giurisprudenza della Corte è possibile ricavare i seguenti punti fermi:

- i principi fondamentali della legislazione statale in materia di coordinamento della finanza pubblica si applicano anche alle autonomie speciali poiché la specialità non implica "potestà di deviare rispetto al comune percorso definito dalla Costituzione, sulla base della condivisione di valori e principi insensibili alla dimensione territoriale, tra i quali spicca l’adempimento da parte di tutti dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale [...], dei quali doveri il coordinamento rappresenta la traduzione sul piano dei rapporti finanziari, anche in ragione della responsabilità che incombe su tutti i cittadini" (sent. n.154 del 2017);

- le disposizioni statali che fissano limiti alla spesa degli enti territoriali "possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla condizione [...] che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente" (ex multis, sent. n.154 del 2017);

- i rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali sono regolati dal principio pattizio;

-  il principio dell’accordo "non implica un vincolo di risultato, bensì di metodo" (sent. n.19 del 2015) e va declinato nella forma della leale collaborazione;

- un'eventuale determinazione unilaterale da parte dello Stato "deve essere concepita come rimedio ultimo per assicurare il rispetto dei vincoli europei connessi alla manovra di bilancio e deve sempre avere una valenza provvisoria in relazione all’auspicato raggiungimento dell’intesa in tempi utili alle future manovre" (sent. n.19 del 2015, nonché sent. n.77 e n.154 del 2017);

- il meccanismo pattizio "può essere derogato dal legislatore ordinario, fino a che gli statuti o le norme di attuazione lo consentono" (sent. n.154 del 2017). agli accordi sottoscritti fra Stato e Regioni non può riconoscersi, in generale, "un affidamento tutelabile in ordine all’immutabilità delle relazioni finanziarie tra Stato e Regioni. Non è, infatti, coerente con il carattere dinamico del coordinamento finanziario impedire alla legislazione statale di introdurre – fermo il metodo pattizio per le autonomie speciali – nuovi contributi alla finanza pubblica, ove non espressamente esclusi dagli accordi stipulati" (sent. n.154 del 2017);

- le autonomie differenziate vantano una situazione paritaria rispetto alle richieste di contribuire agli equilibri della finanza pubblica, fermo restando che è legittima la disposizione secondo cui (solo) con riferimento alle province autonome e alla regione Trentino-Alto Adige si impone il rispetto dell’accordo raggiunto con lo Stato in data 15 ottobre 2014 in quanto solo in tale accordo vi è una clausola che circoscrive i casi in cui lo Stato può modificare i contributi richiesti;

- se è vero che la quantificazione del contributo spettante a ciascuna autonomia e le modalità di contribuzione devono essere demandate a specifici accordi con lo Stato, è anche vero che "il perdurante rifiuto opposto dalle autonomie speciali alla stipula degli accordi previsti dalle disposizioni impugnate" "non appare rispondente al (...) principio di leale collaborazione" (sent. n.103 del 2018) e potrebbe essere consentita, secondo la Corte, "per il solo caso di uno stallo nelle trattative", un'eventuale determinazione unilaterale da parte dello Stato "sia pure con il carattere di provvisorietà" del riparto pro quota tra le autonomie speciali del contributo complessivo loro imposto.

 

Il comma 875-ter attua il punto n.14 dell'accordo, con il quale lo Stato si è impegnato a riconoscere alla Regione Friuli-Venezia Giulia un trasferimento per spese di investimento:

§  pari a 400 milioni di euro per la manutenzione straordinaria di strade, scuole, immobili e opere di prevenzione idrauliche e idrogeologiche da danni atmosferici. Ai sensi della disposizione in commento il trasferimento si articola in quote di 15 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020, di 80 milioni per ciascuno degli anni dal 2021 al 2024, nonché di 50 milioni per il 2025;

§  pari a 80 milioni in ambito sanitario, sulla base di un accordo di programma presentato dalla regione ai Ministeri competenti e che "si intende sottoscritto ed esecutivo" qualora non si registrino osservazioni entro i successivi sessanta giorni. Si valuti al riguardo la possibilità di precisare quale debba essere la procedura in presenza di rilievi da parte dei Ministeri competenti, specificando in particolare se la Regione sia tenuta o meno a darvi seguito. L'importo complessivo - che è a valere sulle risorse destinate agli interventi in materia di edilizia sanitaria e di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario pubblico - è suddiviso in una prima tranche pari al 20 per cento del totale (cioè 16 milioni di euro) al momento della sottoscrizione dell'accordo di programma (ovvero della mancata espressione di rilievi da parte dei ministeri nei 60 giorni successivi alla trasmissione dello stesso) e in successive quote in relazione agli stati di avanzamento dei lavori.

 

I commi 875-quinquies e 875-sexies modificano l'art. 51 dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, in materia di entrate finanziarie.

Ai sensi dell'art.51, terzo comma, spetta alla Regione individuare criteri, modalità e limiti di applicazione nel proprio territorio della disciplina "dei tributi o delle compartecipazioni" che eventualmente lo Stato ritenga di demandare agli enti locali. La modifica operata dal comma 875-quinquies mira ad estendere l'ambito di applicabilità di detta disposizione anche al caso in cui lo Stato demandi agli enti locali la disciplina "delle addizionali", quindi non solo dei tributi o delle compartecipazioni.

 

Il comma 875-sexies interviene modificando l'articolo 51, quarto comma, lett. b), e introducendo una nuova lettera b-bis).

La regione può, a seguito della riformulazione della lettera b), istituire, nelle materie di propria competenza, nuovi tributi locali, disciplinando, anche in deroga alla legge statale, tra l'altro, le modalità di riscossione. Rispetto alla formulazione vigente vengono espunti i riferimenti alla facoltà della Regione di consentire agli enti locali di modificare le aliquote dei nuovi tributi locali "in riduzione ovvero in aumento, oltre i limiti previsti", nonché di "prevedere esenzioni dal pagamento, introdurre detrazioni di imposta e deduzioni dalla base imponibile". L'ampia formulazione della nuova lettera b) parrebbe ampliare, più che restringere, i poteri della Regione di disciplina delle entrate proprie.

 

Ai sensi della nuova lettera b-bis), la Regione ha altresì la facoltà di "disciplinare i tributi locali comunali di natura immobiliare istituiti con legge statale, anche in deroga alla medesima legge", con particolare riferimento alle modalità di riscossione e consentendo agli enti locali "di modificare le aliquote e di introdurre esenzioni, detrazioni e deduzioni".

 

Con riferimento alle modifiche statutarie operate con la disposizione in esame, sebbene lo Statuto della Regione sia approvato con legge costituzionale e che pertanto per la modifica dello stesso si applichi, in via ordinaria, la procedura aggravata prevista dalla Costituzione per le leggi costituzionali, è lo stesso statuto che, all'articolo 63, ultimo comma, dispone che qualora la modifica riguardi le disposizioni contenute nel titolo IV ("Finanze. Demanio e patrimonio", composto dagli articoli da 48 a 57) si possa procedere (come nel caso in esame) con leggi ordinarie, "in ogni caso, sentita la Regione". Il coinvolgimento della Regione è assicurato, nel caso in esame, dalla circostanza che tali modifiche sono contemplate nel citato accordo sottoscritto fra la Regione e il MEF lo scorso 25 febbraio. Più precisamente il comma 875-quinquies e il comma 875-sexies attuano quanto disposto, rispettivamente, ai punti nn.1 e 2 dell'allegato 2 a detto accordo.

 

Il comma 875-septies dispone che a decorrere dall'anno 2022, le risorse di cui al comma 9 dell'articolo 11-bis del decreto-legge n.135 del 2018 sono destinate all'aggiornamento del quadro delle relazioni finanziarie tra lo Stato e la regione Friuli-Venezia Giulia. Tale disposizione mira a recepire il punto n.4 dell'Allegato 2 al citato Accordo tra Regione e MEF.

Il citato comma 9 ha incrementato il fondo per l’attuazione del programma di Governo (di cui all'art.1, comma 748, della legge di bilancio per il 2019) "nelle more dell'Intesa di cui al punto 5 dell'Accordo" sottoscritto fra il Governo e la Regione Friuli Venezia Giulia il 30 gennaio 2018.

 

Ai fini della copertura finanziaria dell'onere derivante dall'attuazione del nuovo comma 875-ter, si dispone:

§  una riduzione del Fondo per l'attuazione del programma di Governo (di cui al comma 748 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2019) per i seguenti importi: 30 milioni di euro per l'anno 2019, a 86 milioni per il 2020 e 120 milioni per il 2021;

§  una riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica (di cui all'articolo 10, comma 5, del DL n.282 del 2004) per un importo pari a 24 milioni di euro per il 2020.

 

Ai fini della copertura finanziaria dell'onere derivante dall'attuazione del nuovo comma 875-quater, si dispone una corrispondente riduzione del fondo per investimenti per la messa in sicurezza del territorio e delle strade, di cui al comma 126 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2019.

 

Sono inoltre poste alcune novelle all'articolo 1, comma 875, della legge di bilancio 2019. Esse sembrano intese a consentire la stipula dell'accordo con la Regione Sardegna oltre il termine previsto dalla legislazione vigente e, al contempo, a rimodulare la disciplina transitoria (nelle more della sottoscrizione degli accordi) per tener conto dell'avvenuta stipula dell'accordo con la Regione Friuli-Venezia Giulia.

In base a tali novelle:

a) il termine per la sottoscrizione degli accordi è posticipato dal 15 marzo 2019 al 15 luglio 2019;

La disposizione parrebbe essere motivata dalla perdurante mancata sottoscrizione dell'accordo fra il MEF e la Sardegna, atteso che l'accordo con la Regione Friuli-Venezia Giulia, come ripetuto, è stato invece sottoscritto lo scorso 25 febbraio;

b) è soppresso il terzo periodo, che consentiva alle due Regioni di concordare modifiche agli importi (definiti dalla tabella 8 di cui al secondo periodo) che quantificavano il contributo alla finanza pubblica nelle more della sottoscrizione di accordi bilaterali. Essendo nel frattempo intervenuto l'accordo del 25 febbraio scorso, il terzo periodo non avrebbe comunque potuto avere alcuna applicazione;

c) il quarto periodo (secondo il quale ciascuna delle due regioni a Statuto speciale avrebbe dovuto versare il contributo alla finanza pubblica, quantificato in via provvisoria, entro il 30 giugno di ogni anno) è riformulato nel senso di prevedere ora che la regione Sardegna sia tenuta a versare l'importo di propria spettanza entro il 10 agosto per il 2019 ed entro il 30 aprile di ciascun anno a partire dal 2010. La disposizione è strettamente connessa alla posticipazione del termine di sottoscrizione dell'accordo al 15 luglio (v. supra). In mancanza dei versamenti all'entrata del bilancio dello Stato entro i termini suddetti, il Ministero dell'economia e delle finanze è autorizzato a recuperare gli importi a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali;

d) è soppresso il quinto periodo, che contiene una disposizione tesa a tener ferma la disposizione recata all'art.1, comma 151, lettera a), della legge n. 220 del 2010, che riserva alla Regione Friuli-Venezia Giulia determinate risorse in termini di compartecipazione sulle ritenute sui redditi da pensione.

 


 

Articolo 34
(Piano grandi investimenti nelle Zone economiche speciali)

 

 

L’articolo 34 prevede l’utilizzo delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC), nella misura complessiva di 300 milioni € nel triennio 2019-2021, attraverso un apposito Piano per favorire lo sviluppo di grandi investimenti delle imprese insediate nelle Zone Economiche Speciali.

 

Il comma 1 prevede in particolare che il Presidente del Consiglio dei ministri o, se nominata, l'Autorità politica delegata per la coesione, avvalendosi delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC), definisca un Piano diretto a favorire lo sviluppo di grandi investimenti delle imprese insediate nelle Zone economiche speciali nonché per l’attrazione di ulteriori nuove iniziative imprenditoriali.

Al Piano, denominato “Piano grandi investimenti - ZES”, sono assegnati complessivamente 300 milioni di euro nell’ambito delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione per la programmazione 2014-2020, così ripartiti: 50 milioni di euro nell’anno 2019, 150 milioni di euro per l’anno 2020 e 100 milioni di euro nell’anno 2021.

 

Il decreto legge n. 91 del 2017 (art. 4) ha definito le procedure e le condizioni per istituire Zone economiche speciali (ZES) in alcune aree del Paese, in particolare nelle regioni qualificate dalla normativa europea come "meno sviluppate" o "in transizione", definendone le procedure e le condizioni.

In Italia sono regioni meno sviluppate (con PIL pro capite inferiore al 75% della media europea) le regioni Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia e Campania. Sono regioni in transizione (con PIL pro capite tra il 75% e il 90% della media europea) le regioni Sardegna, Abruzzo e Molise.

La Zona economica speciale è definita come un'area geograficamente delimitata e chiaramente identificata, situata entro i confini dello Stato, costituita anche da aree non territorialmente adiacenti, purché presentino un nesso economico funzionale, e che comprenda almeno un'area portuale facente parte della rete globale delle Reti di trasporto transeuropee, definite dal regolamento (UE) n. 1315 dell'11 dicembre 2013. Nelle Zone economiche speciali si prevedono regimi amministrativi semplificati per i soggetti imprenditoriali che effettuano investimenti e specifici benefici fiscali.

Per approfondimenti si rinvia al paragrafo le Zone economiche speciali e le Zone logistiche semplificate dell’apposito tema sul Portale della Documentazione della Camera dei Deputati

 

In base al comma 2, il Piano può essere utilizzato per investimenti diretti, in forma di debito o di capitale di rischio, ovvero per sottoscrivere quote di fondi di investimento o fondi di fondi o di altri veicoli previsti dalla normativa europea che abbiano quale oggetto di investimento in forma di debito o di capitale di rischio.

Per la gestione del Piano (o di una sua parte) possono essere stipulate convenzioni con soggetti individuati nel rispetto della normativa europea e nazionale in materia (comma 3).

Il comma 4 rinvia la disciplina delle linee di attività del Piano ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (o se nominata dell’Autorità politica delegata per la coesione), sentiti il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per gli affari regionali, da emanare entro 30 giorni dalla pubblicazione del decreto-legge. Il medesimo decreto disciplina inoltre l’ammontare degli investimenti, le modalità di individuazione del soggetto gestore, gli obiettivi e le specifiche di investimento oggetto di intervento da parte dello stesso Piano, stabilendo il minimo ammontare dell’investimento.

 

La misura, come detto, è finanziata a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione per la programmazione 2014-2020, stanziate per gli anni 2019, 2020 e 2021.

Si ricorda che il Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) - disciplinato dal D.Lgs. n. 88 del 2011 che ha così ridenominato il Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) - reca le risorse finanziarie aggiuntive nazionali destinate a finalità di riequilibrio economico e sociale, nonché a incentivi e investimenti pubblici. Il requisito dell'aggiuntività è espressamente precisato dalla disciplina istitutiva del Fondo, laddove si dispone (articolo 2 del D.Lgs. n. 88/2011) che le risorse non possono essere sostitutive di spese ordinarie del bilancio dello Stato e degli enti decentrati, in coerenza con l'analogo criterio dell'addizionalità previsto per i fondi strutturali dell'Unione europea.

Il Fondo è finalizzato dunque a dare unità programmatica e finanziaria all'insieme degli interventi aggiuntivi a finanziamento nazionale, che sono rivolti al riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese. Il Fondo ha carattere pluriennale, in coerenza con l'articolazione temporale della programmazione dei Fondi strutturali dell'Unione europea, garantendo l'unitarietà e la complementarietà delle procedure di attivazione delle relative risorse con quelle previste per i fondi comunitari. L'intervento del Fondo è destinato al finanziamento di progetti strategici, sia di carattere infrastrutturale sia di carattere immateriale, di rilievo nazionale, interregionale e regionale, aventi natura di grandi progetti o di investimenti articolati in singoli interventi tra loro funzionalmente connessi.

Per quanto concerne l'utilizzo delle risorse del Fondo, la normativa attribuisce al CIPE il compito di ripartire, con proprie deliberazioni, la dotazione del Fondo tra gli interventi in esso compresi.

Per quel che concerne le risorse, nel bilancio di previsione per il triennio 2019-2021 (legge n. 145/2018 e relativo D.M. Economia 31 dicembre 2018 di ripartizione delle dotazioni dei singoli programmi di spesa in capitoli), il capitolo 8000 dello stato di previsione del Ministero dell'economia, su cui sono iscritte le risorse del Fondo sviluppo e coesione, presenta una dotazione pari a 6.351 milioni nel 2019, a 6.850 milioni nel 2020, a 7 miliardi nel 2021 (cui si aggiungono 26,9 miliardi per gli anni 2022-2025, che saranno iscritti in bilancio dalle prossime leggi di bilancio), autorizzate dall'articolo 1, comma 6, della legge di stabilità 2014 (legge n. 147/2013) come successivamente rifinanziato, destinate agli interventi rientranti nel ciclo di programmazione 2014-2020[46].

Tali risorse risultano per la gran parte già programmate dal CIPE, ad eccezione dell’importo di rifinanziamento disposto, da ultimo, dalla legge di bilancio per il 2019 (legge 30 dicembre 2018, n. 145), per complessivi 4 miliardi, autorizzati nella misura di 800 milioni per ciascuna annualità dal 2019 al 2023.

Su tale rifinanziamento, si ricorda, tuttavia, che il comma 250 dell’articolo 1 della medesima legge di bilancio 2019 ha peraltro disposto una riduzione di 35 milioni per il 2019, quale copertura degli oneri conseguenti alla proroga per il 2019 del trattamento di integrazione salariale straordinario dei dipendenti impiegati presso gli stabilimenti del gruppo ILVA per i quali sia stato avviato o prorogato, nel corso dell'anno 2017, il ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS) [47].


 

Articolo 35
(Obblighi informativi erogazioni pubbliche)

 

 

L’articolo 35, modificato in sede referente, interviene sulla disciplina della trasparenza delle erogazioni pubbliche, modificando talune disposizioni introdotte dalla L. n. 124/2017.

In particolare, la norma specifica la tipologia delle erogazioni pubbliche che sono assoggettate agli obblighi di informazione e trasparenza in questione. Si tratta di sovvenzioni, sussidi, vantaggi, contributi o aiuti, in denaro o in natura, non aventi carattere generale e privi di natura corrispettiva, retributiva o risarcitoria, effettivamente erogati. Viene inoltre specificato che si deve trattare di erogazioni effettuate dalle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (mentre la norma previgente faceva riferimento genericamente alle pubbliche amministrazioni). Viene soppresso altresì il richiamo alle erogazioni effettuate da società controllate, di diritto o di fatto, direttamente o indirettamente da pubbliche amministrazioni, comprese quelle che emettono azioni quotate in mercati regolamentati.

Vengono sostanzialmente confermati i soggetti destinatari dell’obbligo di pubblicare nei propri siti Internet o analoghi portali digitali le erogazioni in questione percepite nell’esercizio finanziario precedente: si tratta delle associazioni di protezione ambientale, delle associazioni dei consumatori e degli utenti, delle associazioni, delle Onlus e fondazioni, nonché di talune cooperative sociali, che svolgono attività a favore degli stranieri e imprese.

Sono previsti termini di pubblicazione delle informazioni sulle erogazioni pubbliche in questione differenziati a seconda della natura giuridica del soggetto obbligato.

Per le imprese, viene introdotta una specifica disciplina che distingue tra imprese tenute alla redazione della nota integrativa del bilancio di esercizio e quelle che non sono assoggettate al medesimo obbligo.

Si introduce poi un differente regime sanzionatorio per la violazione dell’obbligo.

 

Più in dettaglio, l’articolo 35 interviene sulle disposizioni in materia di trasparenza delle erogazioni pubbliche di cui all’articolo 1, commi da 125 a 129, della legge n. 124/2017.

Si ricorda come le disposizioni in questione abbiano introdotto, a decorrere dal 2018, alcune misure in materia di trasparenza delle erogazioni di sovvenzioni pubbliche, ulteriori rispetto alle misure già previste dal D.lgs. n. 33/2013 (su cui v. infra).

La relazione illustrativa motiva l’intervento normativo in ragione del fatto che la disciplina sulla trasparenza delle erogazioni pubbliche introdotta dalla citata L. n. 124/2017 non ha, ad oggi, trovato ancora applicazione, a causa delle difficoltà interpretative delle relative disposizioni, che non specificavano in maniera chiara le differenti modalità di adempimento in capo alle seguenti categorie di soggetti: associazioni, fondazioni, Onlus cooperative sociali che svolgono attività a favore degli stranieri, imprese.

Per questo motivo si è reso necessario un intervento chiarificatore urgente, al fine di consentire ai predetti soggetti di adempiere correttamente entro i termini previsti.

 

L’articolo 35, comma 1, riformula la disciplina in materia di trasparenza delle erogazioni pubbliche prevista dai commi da 125 a 129 dell’articolo 1 della legge n.124/2017. Tale riformulazione è attuata tramite la sostituzione dei predetti commi con dieci nuovi commi che introducono sia modifiche sostanziali, sotto il profilo dell’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione della disciplina, sia modifiche di carattere sistematico e di coordinamento formale.

 

Nel dettaglio, attraverso la sostituzione del comma 125:

§  viene specificata la tipologia delle erogazioni pubbliche che sono assoggettate agli obblighi di informazione e trasparenza in questione. Si tratta di sovvenzioni, sussidi, vantaggi, contributi o aiuti, in denaro o in natura, non aventi carattere generale e privi di natura corrispettiva, retributiva o risarcitoria, effettivamente erogati.

La normativa previgente richiamava invece sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti e comunque vantaggi economici di qualunque genere ricevuti;

§  viene inoltre specificato che si deve trattare di erogazioni effettuate dalle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (mentre la norma previgente faceva riferimento genericamente alle pubbliche amministrazioni).

Rimane il richiamo alle erogazioni effettuate dai soggetti di cui all'articolo 2-bis del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, mentre viene soppresso il richiamo alle erogazioni effettuate da società controllate di diritto o di fatto direttamente o indirettamente da pubbliche amministrazioni ivi comprese quelle che emettono azioni quotate in mercati regolamentati.

 

In proposito si ricorda che L’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001 qualifica amministrazioni pubbliche tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300 (le c.d. agenzie fiscali).

L'articolo 2-bis del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, di riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, rinvia all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001, includendo espressamente le autorità portuali e le autorità indipendenti di garanzia, vigilanza e regolamentazione;

§  vengono sostanzialmente confermati i soggetti destinatari dell’obbligo di pubblicare nei propri siti Internet o analoghi portali digitali le erogazioni in questione percepite nell’esercizio finanziario precedente: si tratta delle associazioni di protezione ambientale, delle associazioni dei consumatori e degli utenti, delle associazioni, delle Onlus e fondazioni, nonché di talune cooperative sociali, che svolgono attività a favore degli stranieri e imprese. Per le imprese, ugualmente destinatarie dell’obbligo di pubblicazione delle informazioni, è poi prevista la specifica disciplina circa tempi e modalità per l’espletamento di tale obbligo, nel nuovo comma 125-bis (v. infra);

§  sono previsti termini di pubblicazione delle informazioni sulle erogazioni pubbliche in questione differenziati. In particolare, le associazioni di protezione ambientale, le associazioni dei consumatori e degli utenti, le associazioni, le Onlus e le fondazioni, nonché le cooperative sociali che svolgono attività a favore degli stranieri sono tenute all’obbligo di pubblicazione entro il 30 giugno di ogni anno, mentre per le imprese gli obblighi di pubblicazione sono dettagliati nel nuovo comma 125-bis, che distingue tra imprese tenute alla redazione della nota integrativa del bilancio di esercizio e quelle che non sono assoggettate al medesimo obbligo.

In particolare, il nuovo comma 125-bis prevede che i soggetti tenuti alla redazione della nota integrativa - ex art. 2195 del codice civile - pubblichino nelle note integrative del bilancio di esercizio e dell'eventuale bilancio consolidato gli importi e le informazioni relativi a sovvenzioni, sussidi, vantaggi, contributi o aiuti, in denaro o in natura, non aventi carattere generale e privi di natura corrispettiva, retributiva o risarcitoria, agli stessi effettivamente erogati dalle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e dai soggetti di cui all'articolo 2-bis del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 (v. supra).

Con riferimento, invece, ai soggetti che redigono il bilancio in forma abbreviata ai sensi dell’articolo 2435-bis del codice civile e ai soggetti comunque non tenuti alla redazione della nota integrativa – piccoli imprenditori, società di persone soggette a obblighi semplificati e microimprese – la norma prevede che essi assolvano l’obbligo di pubblicazione, analogamente a quanto previsto per Onlus, associazioni e fondazioni, mediante pubblicazione delle medesime informazioni e importi, entro il 30 giugno di ogni anno, su propri siti Internet, secondo modalità liberamente accessibili al pubblico o, in mancanza di questi ultimi, sui portali digitali delle associazioni di categoria di appartenenza dell’impresa.

 

La disposizione è volta sostanzialmente ad integrare e chiarificare l’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione della disciplina in esame, rispetto al testo del previgente articolo 1, comma 125, terzo periodo, della legge n. 214/2017, il quale prevedeva che: “Le imprese che ricevono sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti e comunque vantaggi economici di qualunque genere dalle pubbliche amministrazioni e dai soggetti di cui al primo periodo sono tenute a pubblicare tali importi nella nota integrativa del bilancio di esercizio e nella nota integrativa dell'eventuale bilancio consolidato”.

La disciplina previgente faceva dunque genericamente riferimento alle “imprese”, mentre nella nuova disciplina sono previste, nell’ambito della categoria delle imprese, ulteriori specificazioni. La relazione illustrativa precisa, infatti, come “per le imprese e le cooperative si sia reso necessario distinguere tra quelle tenute alla redazione della nota integrativa del bilancio di esercizio e quelle che non sono soggette al medesimo obbligo (articoli 2083, 2214, 2215, 2215-bis, 2216, 2217e 2435-ter del codice civile).

Si ricorda, inoltre, che l’art. 2435-bis del codice civile consente alle società che non abbiano emesso titoli negoziati in mercati regolamentati di redigere il bilancio in forma abbreviata, qualora, nel primo esercizio o, successivamente, per due esercizi consecutivi, non abbiano superato due dei seguenti limiti: 1) totale dell'attivo dello stato patrimoniale: 4.400.000 euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 8.800.000 euro; 3) dipendenti occupati in media durante l'esercizio: 50 unità.

 

Rispetto al testo del previgente articolo 1, comma 125, quarto periodo della legge n. 124/2017, che sanzionava l’omessa pubblicazione con “la restituzione delle somme ai soggetti eroganti”, il nuovo comma 125-ter:

§  introduce, a partire da 1° gennaio 2020, una sanzione amministrativa pecuniaria a carico di coloro che violano l’obbligo di pubblicazione; tali soggetti sono chiamati a pagare una sanzione pari «all’uno per cento degli importi ricevuti con un importo minimo di 2.000 euro»; si valuti l’opportunità di specificare se l’importo minimo di 2.000 euro si riferisca alla sanzione amministrativa o all’erogazione ricevuta. Se il riferimento è agli importi ricevuti, non è prevista sanzione per la mancata pubblicazione di erogazioni inferiori ai 2.000 euro;

§  introduce la sanzione amministrativa accessoria dell’adempimento degli obblighi di pubblicazione; si osserva che la sanzione accessoria viene fatta coincidere con la violazione dell’obbligo da cui deriva la sanzione principale. Si ricorda che, in base alla legge n. 689 del 1981, le sanzioni amministrative accessorie non sono applicabili fino a che è pendente il giudizio di opposizione;

§  prevede che, qualora il trasgressore dell’obbligo di pubblicazione non proceda alla pubblicazione stessa nonché – in seguito a modifica introdotta nel corso dell’esame in Commissioneal pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria entro novanta giorni «dalla contestazione», si applica la sanzione della restituzione integrale delle somme. Rispetto alla normativa previgente, che prevedeva la restituzione entro 3 mesi dalla scadenza dell’obbligo di pubblicazione, il decreto-legge impone la restituzione entro 90 giorni dalla contestazione dell’illecito amministrativo;

§  specifica che la sanzione amministrativa è irrogata dalle stesse pubbliche amministrazioni eroganti il contributo oppure, se i contributi sono erogati da enti privati (ex art. 2-bis del d.lgs. 33/2013), dalle amministrazioni vigilanti o competenti per materia. La disposizione dunque demanda alle amministrazioni eroganti l’onere di verificare l’adempimento degli obblighi di pubblicazione, verificando a seconda dei casi i siti internet e i documenti di bilancio. Per l’accertamento, la contestazione e l’applicazione della sanzione amministrativa si rinvia, in quanto compatibile, alla legge n. 689 del 1981.

 

Il nuovo comma 125-quater riproduce, con alcune modifiche di coordinamento formale, quanto già previsto dal testo previgente dell’articolo 1, comma 125, quinto e sesto periodo, della legge n. 214/2017.

Il comma dispone, segnatamente che, qualora i soggetti eroganti sovvenzioni, sussidi, vantaggi, contributi o aiuti, in denaro o in natura, privi di natura corrispettiva, retributiva o risarcitoria di cui ai commi 125 e 125-bis siano amministrazioni centrali dello Stato ed abbiano adempiuto agli obblighi di pubblicazione previsti dall’articolo 26 del d.lgs. n. 33/2013[48], le somme di cui al comma 125-ter sono versate ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate ai pertinenti capitoli degli stati di previsione delle amministrazioni originariamente competenti per materia. Nel caso in cui i soggetti eroganti di cui al primo periodo non abbiano adempiuto agli obblighi di pubblicazione di cui dall’articolo 26 del d.lgs. n. 33/2013, le somme di cui al comma 125-ter sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate al Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale (di cui all'articolo 1, comma 386, della legge 8 dicembre 2015, n. 208).

 

Il nuovo comma 125-quinquiesche riproduce sostanzialmente il testo dell’articolo 3-quater, comma 1 del D.L. n. 135/2018 - prevede che, per gli aiuti di Stato e gli aiuti de minimis contenuti nel Registro nazionale degli aiuti di Stato di cui all'articolo 52 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, la registrazione degli aiuti nel predetto sistema, con conseguente pubblicazione nella sezione trasparenza ivi prevista, operata dai soggetti che concedono o gestiscono gli aiuti medesimi ai sensi della relativa disciplina, tiene luogo degli obblighi di pubblicazione posti a carico dei soggetti di cui ai commi 125 e 125-bis, a condizione che venga dichiarata l'esistenza di aiuti oggetto di obbligo di pubblicazione nell'ambito del Registro nazionale degli aiuti di Stato nella nota integrativa del bilancio oppure, ove non tenute alla redazione della nota integrativa, sul proprio sito internet o, in mancanza, sul portale digitale delle associazioni di categoria di appartenenza.

L’articolo 3-quater, comma 1 del D.L. n. 135/2018 per coordinamento formale, viene dunque abrogato dal comma 2 dell’articolo 35 in esame.

 

Si ricorda che il Registro Nazionale degli aiuti di Stato[49] è operativo - presso la Direzione Generale per gli Incentivi alle imprese del Ministero dello Sviluppo Economico (DGIAI) - a partire dal 12 agosto 2017 a seguito della pubblicazione il 28 luglio 2017 del Regolamento n. 115 del 31 maggio 2017 e del Decreto del Direttore generale per gli incentivi alle imprese, che ne disciplinano il funzionamento. Con la realizzazione del Registro Nazionale degli Aiuti ha trovato piena attuazione l’art. 52 della legge n. 234/2012, che ha istituito il Registro presso la DGIAI del Ministero dello sviluppo economico. Il Registro consente alle amministrazioni pubbliche titolari di misure di aiuto in favore delle imprese e ai soggetti, anche di natura privata, incaricati della gestione di tali aiuti, di effettuare i controlli amministrativi nella fase di concessione attraverso il rilascio di specifiche “visure” che recano l’elencazione dei benefici di cui il destinatario dell’aiuto abbia già goduto negli ultimi esercizi in qualunque settore. Dall’entrata in funzione del Registro ciascun provvedimento che dispone la concessione di aiuti a favore di un’impresa, per avere efficacia, dovrà riportare codici identificativi rilasciati dal Registro. Sostanzialmente, quindi, il registro nazionale offre una visione completa dell’utilizzo delle risorse pubbliche per la concessione di aiuti da parte di tutti i soggetti coinvolti.

 

Il comma 125-sexies conferma quanto già contenuto nel previgente articolo 1, comma 125, secondo periodo, della legge n. 214/2017 sottoponendo le cooperative sociali di cui al nuovo comma 125, lett. d), all’obbligo di pubblicazione, con cadenza trimestrale, nei propri siti internet o portali digitali, dell'elenco dei soggetti a cui sono versate somme per lo svolgimento di servizi finalizzati ad attività di integrazione, assistenza e protezione sociale.

 

I nuovi commi da 126 a 129 riproducono sostanzialmente il testo del previgente articolo 1, commi da 126 a 129, della legge n. 214/2017, con l’aggiunta di alcuni elementi di coordinamento formale.

 

In particolare, il comma 126, dispone l’applicazione, a decorrere dal 1° gennaio 2018, degli obblighi di pubblicazione di cui al citato articolo 26 del D.Lgs. n. 33/2013, anche agli enti e alle società controllati di diritto o di fatto, direttamente o indirettamente, dalle amministrazioni dello Stato, mediante pubblicazione nei propri documenti contabili annuali, nella nota integrativa del bilancio. In caso di inosservanza di tale obbligo si applica una sanzione amministrativa pari alle somme erogate.

Il comma 127 dispone che, al fine di evitare la pubblicazione di informazioni non rilevanti, l'obbligo di pubblicazione di cui ai commi 125, 125-bis e 126 non si applichi ove l'importo monetario di sovvenzioni, sussidi, vantaggi, contributi o aiuti, in denaro o in natura, privi di natura corrispettiva, retributiva o risarcitoria effettivamente erogati al soggetto beneficiario sia inferiore a 10.000 euro nel periodo considerato.

Il comma 128, inserisce un periodo al citato articolo 26, comma 2, del D.Lgs. n. 33/2013, il quale prevede la pubblicazione dei dati consolidati di gruppo, ove i soggetti beneficiari siano controllati di diritto o di fatto dalla stessa persona fisica o giuridica ovvero dagli stessi gruppi di persone fisiche o giuridiche. La disposizione è identica a quella contenuta nel testo del comma 128 vigente.

Il comma 129 dispone che all'attuazione delle disposizioni previste dai commi da 125 a 128 le amministrazioni, gli enti e le società di cui ai predetti commi provvedano nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali previste a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

Articolo 36, commi 1, 2, 2-undecies, 2-duodecies e 2-terdecies
(Banche Popolari, Fondo indennizzo risparmiatori, Brexit)

 

 

L’articolo 36, modificato in sede referente, proroga al 31 dicembre 2020 il termine per l'attuazione della riforma delle banche popolari. Viene inoltre modificata la disciplina del Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), prevedendosi anche una procedura di indennizzo forfettario. È di conseguenza definita una categoria speciale di beneficiari del FIR, identificati sulla base della consistenza del patrimonio mobiliare e del reddito, che sono soddisfatti con priorità a valere sulla dotazione del FIR.

Nel corso dell’esame in sede referente sono stati precisati i requisiti reddituali e patrimoniali dei soggetti appartenenti a tale categoria; è stato inoltre chiarito che, nell’erogazione degli indennizzi, è data precedenza ai pagamenti di importo non superiore a 50.000 euro. Inoltre, i beneficiari delle prestazioni del FIR che hanno subìto un pregiudizio ingiusto da parte di banche e loro controllate aventi sede legale in Italia, poste in liquidazione coatta amministrativa dopo il 16 novembre 2015 e prima del 16 gennaio 2018, sono stati esclusi dalle norme che obbligano le PPAA a verificare se il destinatario sia inadempiente al pagamento di cartelle di pagamento.

In Commissione sono state modificate le norme sulla cd. Brexit, al fine di specificare che le banche e gli intermediari finanziari con sede legale in Italia, operanti nel Regno Unito al momento della Brexit e autorizzati a proseguire la propria attività nel periodo transitorio successivo alla hard Brexit, possono continuare a svolgere la propria attività con le stesse modalità.

Nella stessa sede referente è stato affidato a Consob il compito di ordinare ai fornitori di connettività alla rete internet, ovvero ai gestori di altre reti telematiche e/o di telecomunicazione o agli operatori che in relazione ad esse forniscono servizi telematici e/o di telecomunicazione, la rimozione delle iniziative di chiunque nel territorio della Repubblica, attraverso le reti telematiche e/o di telecomunicazione, offre o svolge servizi o attività di investimento senza esservi abilitato.

 

Il comma 1 dell'articolo in esame interviene sulla riforma delle banche popolari, prorogando dal 31 dicembre 2019 al 31 dicembre 2020 il termine previsto dal decreto legge n. 3 del 2015 (articolo 1, comma 2) per l’adeguamento ai requisiti di attivo delle banche popolari stabilito dall'articolo 29, commi 2-bis e 2-ter, del decreto legislativo n. 385 del 1993 (Testo unico bancario - TUB).

Secondo l'articolo 29 del TUB, l’attivo di una banca popolare non può superare la soglia di 8 miliardi di euro e, trascorso un anno dal superamento di tale limite, ove lo stesso non sia stato ridotto al di sotto della soglia né sia stata deliberata la trasformazione in società per azioni o la liquidazione, vengono previsti rilevanti poteri di intervento da parte dell'autorità di vigilanza, che può proporre la revoca dell'autorizzazione e la liquidazione coatta amministrativa della banca.

 

Il termine era stato già oggetto di proroga, per effetto dapprima dell'articolo 11, comma 1, del decreto legge n. 91 del 2018 che al termine di adeguamento precedentemente indicato (18 mesi dalla data di entrata in vigore delle disposizioni di attuazione emanate dalla Banca d'Italia il 9 giugno 2015, ai sensi dell'articolo 29 del TUB) aveva sostituito la data del 31 dicembre 2018. Con il decreto legge n. 119 del 2018 era stata in seguito disposta una ulteriore proroga, sostituendo la data del 31 dicembre 2018 con quella del 31 dicembre 2019.

Sul punto si ricorda che il decorso della riforma è stato sospeso, con effetti erga omnes, dal Consiglio di Stato con decreto 15 dicembre 2016, n. 5571, confermato con ordinanza 13 gennaio 2017, n. 111, fino alla pubblicazione dell’ordinanza di Sezione che concluderà la seconda fase dell’incidente cautelare all’esito della pronuncia della Corte costituzionale sulla questione ad essa rimessa.

La trasformazione in società per azioni delle banche popolari con attivo superiore a 8 miliardi è stata attuata da otto delle dieci banche interessate dalla riforma del 2015. Per le due rimanenti (Banca Popolare di Sondrio e Banca Popolare di Bari) il termine per la trasformazione è stato sospeso, in attesa delle decisioni della Corte costituzionale in ordine a una questione sollevata dal Consiglio di Stato.

In particolare, con ordinanza del 15 dicembre 2016, il Consiglio di Stato ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa ad alcune prescrizioni della riforma delle banche popolari, tra cui la facoltà concessa alle banche, su autorizzazione della Banca d’Italia anche in deroga alle norme del codice civile, di limitare il rimborso degli strumenti di capitale al socio che ha esercitato il recesso, alle condizioni di legge.

La questione è stata rimessa dunque alla Corte Costituzionale che con sentenza n. 99 del 21 marzo 2018 si è pronunciata sulle predette questioni di costituzionalità ritenendole infondate e confermando la sussistenza dei presupposti di necessità e urgenza per il decreto legge. Inoltre, la Consulta ha affermato che la normativa impugnata la quale, in attuazione di quella europea sui requisiti prudenziali, prevede la possibilità per le banche di introdurre limitazioni al rimborso in caso di recesso del socio, non lede il diritto di proprietà. Ha affermato infine che, quanto ai poteri normativi affidati alla Banca d’Italia, essi rientrano nei limiti di quanto consentito dalla Costituzione. La riforma era stata già sottoposta all'attenzione della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 287 del 2016, aveva dichiarato manifestamente inammissibili e non fondate alcune questioni di legittimità costituzionale riferite alla riforma delle banche popolari.

Nonostante la pronuncia della Consulta, la VI sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza del 18 ottobre 2018, ha ritenuto necessario disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia Ue, con particolare riferimento alle norme che impongono la soglia di attivo al di sopra della quale la banca popolare è obbligata a trasformarsi in società per azioni (fissando tale limite in 8 miliardi di euro) e consentono alla banca di differire o limitare, anche per un tempo indeterminato, il rimborso delle azioni del socio recedente.

Secondo quanto esposto nella Relazione illustrativa del Governo, le ragioni della proroga derivano proprio dalla pendenza del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia e dall'incertezza che deriverebbe dalla mancata adozione di una decisione di merito entro il 31 dicembre 2019.

 

Il comma 2 reca modifiche alla disciplina del Fondo di indennizzo dei risparmiatori (FIR) istituito dai commi da 493 a 507 della legge n. 145 del 2018 (legge di bilancio 2019).

Il FIR ha una dotazione finanziaria di 525 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019-2021, ed è destinato al ristoro dei risparmiatori che hanno subìto un pregiudizio ingiusto in relazione all'investimento in azioni di banche poste in liquidazione coatta amministrativa nell'ultimo biennio, avendo usufruito dei servizi prestati dalla banca emittente o da società controllata. Tale Fondo sostituisce quello istituito dalla legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio 2018), avente analoghe finalità. L’indennizzo per gli azionisti è commisurato al 30 per cento del costo di acquisto, mentre per gli obbligazionisti è commisurato al 95 per cento del costo di acquisto, in ogni caso entro il limite massimo complessivo di 100.000 euro per ciascun risparmiatore.

 

Con il decreto ministeriale del 10 maggio 2019, pubblicato in G.U. l’11 giugno u.s., sono state determinate le modalità di accesso al Fondo: per ulteriori informazioni si rinvia al focus pubblicato sul sito del MEF.

 

La lettera a) modifica il comma 494 della legge di bilancio 2019 che definisce il perimetro dei risparmiatori che possono accedere al FIR: si tratta di persone fisiche, imprenditori individuali, anche agricoli o coltivatori diretti, ma anche di organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale e microimprese in possesso delle azioni e delle obbligazioni subordinate delle banche citate alla data del provvedimento di messa in liquidazione, ovvero, per effetto delle modifiche in esame, i loro successori mortis causa, o il coniuge, il soggetto legato da unione civile, il convivente more uxorio o di fatto di cui alla legge n. 76 del 2016, i parenti entro il secondo grado, ove siano succeduti nel possesso dei predetti strumenti finanziari in forza di trasferimento a titolo particolare per atto tra vivi. Con tali specifiche previsioni viene sostituito il più generico riferimento agli "aventi causa" contenuto nel testo previgente.

 

Le lettere b) e c) modificano i commi 496 e 497 della legge di bilancio 2019 che definiscono, rispettivamente, la misura dell'indennizzo per gli azionisti, commisurata al 30 per cento del costo di acquisto, entro il limite massimo complessivo di 100.000 euro per ciascun risparmiatore, e la misura dell’indennizzo per gli obbligazionisti subordinati, commisurata al 95 per cento del costo di acquisto, entro il limite massimo complessivo di 100.000 euro per ciascun risparmiatore. In entrambi i casi, viene espressamente disposto che nel costo di acquisto siano inclusi gli oneri fiscali a carico dell'investitore.

 

La lettera d) modifica il comma 500 della legge di bilancio 2019 per specificare la modalità di determinazione del tasso di rendimento differenziale delle cedole percepite da obbligazionisti subordinati rientranti nel perimetro del FIR, rispetto a titoli di Stato con scadenze equivalente.

In particolare, i commi 499 e 500 della legge di bilancio 2019 chiariscono che l’indennizzo è corrisposto agli azionisti e agli obbligazionisti al netto di eventuali rimborsi ricevuti a titolo di transazione con le banche, nonché di ogni altra forme di ristoro, rimborso o risarcimento. A tal fine, il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD), attraverso la collaborazione del sistema bancario e delle banche in liquidazione, documenta il costo di acquisto, l'incasso di somme derivanti da altre forme di indennizzo, ristoro, rimborso o risarcimento, nonché – per i soli obbligazionisti subordinati – il differenziale di rendimento delle cedole percepite rispetto a titoli di Stato con scadenze equivalente. Con la modifica in esame, viene specificato che il differenziale è determinato ai sensi dell'articolo 9 (commi 3, 4 e 5) del decreto legge n. 59 del 2016, recante disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione.

Le citate disposizioni definiscono il differenziale di rendimento come la differenza, se positiva, tra il tasso di interesse degli strumenti finanziari subordinati oggetto di indennizzo e il rendimento di mercato di un Buono del Tesoro poliennale (BTP) in corso di emissione con durata finanziaria equivalente. Il rendimento di mercato non corrisponde necessariamente al tasso di interesse previsto dal BTP in sede di emissione dei titoli, in quanto tale valore viene alterato in caso di acquisto sul mercato per un prezzo differente rispetto a quello di sottoscrizione. Laddove non sia possibile far riferimento al rendimento di un BTP con durata equivalente, si dovrà ricorrere a un procedimento di calcolo (interpolazione lineare) che, a partire da valori osservabili (BTP con durata residua più vicina), consenta di ricavare il rendimento di un "teorico" BTP con durata equivalente.

Ai fini di tale confronto, il rendimento degli strumenti finanziari subordinati è rilevato alla data di acquisto o di sottoscrizione da parte dell'obbligazionista che intende accedere al FIR, mentre il rendimento dei BTP è determinato sulla base della loro quotazione di chiusura, alla medesima data, nel mercato regolamentato dei titoli di Stato (MTS).

Una volta calcolata la differenza tra i rendimenti, la stessa deve essere moltiplicata per:

1)   gli anni e la frazione d'anno trascorsi dalla data di acquisto o di sottoscrizione degli strumenti finanziari subordinati e la data del provvedimento di risoluzione delle banche in liquidazione,

2)   il corrispettivo pagato per l'acquisto degli strumenti finanziari subordinati al netto di oneri e spese direttamente connessi all'operazione di acquisto.

 

La lettera e) modifica il comma 501 della legge di bilancio 2019 che disciplina, tra l'altro, le modalità di presentazione della domanda di indennizzo, il piano di riparto semestrale delle risorse disponibili nonché l'istituzione di una commissione tecnica per l’esame e l’ammissione delle domande all’indennizzo del Fondo. Come già previsto dalla legge di bilancio, le modalità di presentazione della domanda di indennizzo nonché i piani di riparto delle risorse disponibili sono definiti con un decreto del MEF, senza previsione di un termine per la sua emanazione. Il medesimo decreto dovrà istituire e disciplinare la Commissione tecnica, composta da nove membri in possesso di idonei requisiti di competenza, indipendenza, onorabilità e probità, che avrà le seguenti attribuzioni:

§  esaminare e ammettere le domande all’indennizzo del FIR;

§  verificare le violazioni massive, cioè quelle condotte violative che le banche (e loro controllate) aventi sede legale in Italia e poste in liquidazione coatta amministrativa dopo il 16 novembre 2015 e prima del 1° gennaio 2018, hanno posto in modo talmente consistente da far presumere che un singolo investitore ne sia stato oggetto,

§  verificare la sussistenza del nesso di causalità tra le citate violazioni massive e il danno subito dai risparmiatori;

§  erogare l’indennizzo da parte del FIR.

Le suddette verifiche possono avvenire anche attraverso la preventiva tipizzazione delle violazioni massive e la corrispondente identificazione degli elementi in presenza dei quali l’indennizzo può essere direttamente erogato.

Le domande di indennizzo, corredate della documentazione attestante i requisiti di accesso al fondo, come definiti dal comma 494, dovranno essere inviate entro il termine di 180 giorni dalla data individuata con decreto del MEF.

Il decreto dovrà inoltre indicare:

§  i tempi delle procedure di definizione delle istanze;

§  le fattispecie di violazioni massive (in modo non tassativo)

§  le modalità di presentazione dell’istanza di erogazione dell'indennizzo forfettario di cui al comma 502-bis (vedi infra).

 

Un successivo decreto del MEF procederà alla nomina dei componenti della Commissione tecnica e alla determinazione degli emolumenti da attribuire ai medesimi, nel limite massimo di 1,2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021, a cui si farà fronte mediante la corrispondente riduzione della dotazione del FIR.

Le attività di supporto per l’espletamento delle funzioni della Commissione tecnica sono affidate dal MEF, nel rispetto dei principi comunitari e nazionali conferenti, a società a capitale interamente pubblico, su cui l'amministrazione dello Stato esercita un controllo analogo a quello esercitato su propri servizi e che svolge la propria attività quasi esclusivamente nei confronti della predetta amministrazione (nuovo comma 501-bis inserito dalla lettera f) dell'articolo 36, comma 2). Gli oneri e le spese relative alle predette attività sono a carico delle risorse finanziarie del FIR nel limite massimo di 12,5 milioni di euro.

Oltre al procedimento disciplinato ai sensi del comma 501 della legge di bilancio 2019, che prevede l'esame e l'ammissione delle domande di indennizzo da parte della Commissione tecnica sulla base di una valutazione delle condotte violative (anche presuntiva, alla luce delle violazioni massive) messe in atto banche poste in liquidazione, il comma 502-bis istituisce una procedura di indennizzo forfettario degli importi determinati ai sensi dei commi 496 e 497 della legge di bilancio 2019. A tal fine, le lettere g) e h) definiscono una categoria speciale di beneficiari del FIR, identificati sulla base della consistenza del patrimonio mobiliare e del reddito dichiarato, che sono soddisfatti con priorità a valere sulla dotazione del FIR.

 

Il possesso dei seguenti requisiti soggettivi e oggettivi, che dovranno essere accertati dalla Commissione tecnica, dà diritto all'accesso prioritario al FIR e all'erogazione di un indennizzo forfettario:

§  i soggetti che presentano l'istanza devono essere persone fisiche, imprenditori individuali, anche agricoli, coltivatori diretti, in possesso delle azioni e delle obbligazioni subordinate delle banche di cui al comma 493 alla data del provvedimento di messa in liquidazione coatta amministrativa, ovvero i loro successori mortis causa o il coniuge, il soggetto legato da unione civile, il convivente more uxorio o di fatto, i parenti entro il secondo grado in possesso dei suddetti strumenti finanziari a seguito di trasferimento con atto tra vivi;

§  i soggetti che presentano l'istanza devono avere, al 31 dicembre 2018, un patrimonio mobiliare di proprietà di valore inferiore a 100.000 euro, esclusi gli strumenti finanziari oggetto di indennizzo da parte del FIR nonché, per effetto delle modifiche apportate in Commissione, i contratti di assicurazione a capitalizzazione o mista sulla vita. Il valore del patrimonio è calcolato secondo i criteri e le istruzioni approvati con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il MEF, del 13 aprile 2017, n. 138, recante approvazione del modello tipo di dichiarazione sostitutiva unica (DSU), nonché delle relative istruzioni per la compilazione, ai sensi dell’articolo 10, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 dicembre 2013, n. 159;

§  i soggetti che presentano l'istanza devono avere un reddito complessivo ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche inferiore a 35.000 euro nell’anno 2018; tale requisito deve calcolarsi– come precisato in sede referente - al netto di eventuali prestazioni di previdenza complementare erogate sotto forma di rendita.

 

Nel corso dell’esame in Commissione è stato chiarito che nell’erogazione degli indennizzi ai sensi dell’introdotto comma 502-bis è data precedenza ai pagamenti di importo non superiore a 50.000 euro.

 

Durante l’esame in sede referente sono stati inseriti i commi da 2-undecies a 2-terdecies.

 

In particolare il comma 2-undecies esclude i beneficiari delle prestazioni del FIR, che hanno subìto un pregiudizio ingiusto da parte di banche e loro controllate aventi sede legale in Italia, poste in liquidazione coatta amministrativa dopo il 16 novembre 2015 e prima del 16 gennaio 2018, dalle norme che obbligano le PPAA a verificare, prima di procedere a pagamenti per importi superiori a 5.000 euro, che il destinatario sia inadempiente al pagamento di cartelle di pagamento per almeno tale importo.

 

Viene a tal fine integrato, facendo rientrare tra i soggetti espressamente esclusi i predetti beneficiari del FIR, l’articolo 48-bis, comma 1, secondo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602: tale norma obbliga le amministrazioni pubbliche e le società a prevalente partecipazione pubblica, prima di effettuare, a qualunque titolo pagamento superiori a cinquemila euro, a verificare se il beneficiario è inadempiente all'obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo. In caso affermativo, non si procede al pagamento e si segnala la circostanza all'agente della riscossione competente per territorio per l’attività di riscossione.

 

Il comma 2-duodecies interviene sull’articolo 5, comma 1, del decreto- legge 25 marzo 2019, n. 22 (cd. decreto-legge Brexit) al fine di specificare che le banche e gli intermediari finanziari con sede legale in Italia operanti nel Regno Unito al momento della Brexit, autorizzati ad proseguire la propria attività nel periodo transitorio successivo alla cd. Hard Brexit, possono continuare a svolgere la propria attività con le stesse modalità.

 

Il richiamato decreto-legge n. 22 del 2019 contiene misure volte a garantire la sicurezza e la stabilità nel caso di uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea senza un accordo (cd. Hard Brexit).

L’articolo 5 individua i soggetti con sede in Italia ai quali, nel rispetto delle disposizioni previste nel Regno Unito, viene consentita la prosecuzione dell'attività nel cd. periodo transitorio, ovvero nel periodo che intercorre tra la data di recesso del Regno Unito dall’Unione europea (in assenza di un accordo ai sensi dell’Articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea) e il termine del diciottesimo mese successivo.

In particolare, il comma 1 stabilisce che possono continuare a operare nel Regno Unito nel periodo transitorio banche, imprese di investimento, istituti di pagamento, istituti di moneta elettronica, società di gestione del risparmio (SGR), società di investimento a capitale variabile e fisso (Sicav e Sicaf), gestori di fondi EuVECA, EuSEF e ELTIF, intermediari finanziari iscritti nell'albo previsto dall'articolo 106 del TUB.

I commi 1 e 2 impongono altresì alcune condizioni per proseguire ad operare sul territorio del Regno Unito nel periodo transitorio. In particolare, è neessario:

·      notificare alle autorità competenti l'intenzione di continuare a operare entro tre giorni lavorativi antecedenti la data di recesso, secondo le modalità previste dalle medesime autorità,

·      operare nel rispetto delle disposizioni previste nel Regno Unito.

 

Il comma 2-terdecies affida a Consob il compito di ordinare ai fornitori di connettività alla rete internet, ovvero ai gestori di altre reti telematiche e/o di telecomunicazione o agli operatori che in relazione ad esse forniscono servizi telematici e/o di telecomunicazione, la rimozione delle iniziative di chiunque nel territorio della Repubblica, attraverso le reti telematiche e/o di telecomunicazione, offre o svolge servizi o attività di investimento senza esservi abilitato.

I destinatari delle comunicazioni hanno l'obbligo di inibire l'utilizzazione delle reti, delle quali sono gestori o in relazione alle quali forniscono servizi.

Con regolamento la Consob può stabilire le modalità e i termini degli adempimenti previsti dalla presente disposizione.


 

Articolo 36, commi 2-bis-2-decies
(Innovazione di servizi e prodotti finanziari – Regulatory sandbox. Rimborsi spese Comitato educazione finanziaria)

 

 

I commi dal 2-bis al 2-decies dell'articolo 36, introdotti in sede referente, contengono norme volte a promuovere l'innovazione e la competizione del mercato dei capitali, attraverso la creazione di uno spazio tecnico-normativo sperimentale e temporaneo per le imprese del settore finanziario che operano attraverso la tecnologia (cd. Fintech), con una regolamentazione semplificata, assicurando un livello di protezione adeguata per gli investitori.

 

A tali fini, il comma 2-bis delega al Ministro dell'economia e delle finanze (MEF), sentite la Banca d'Italia, la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (CONSOB) e l'istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni (IVASS), l'adozione, entro centottanta giorni dalla data di entrata in della legge di conversione del decreto in esame, di uno o più regolamenti per definire le condizioni e le modalità di svolgimento di una sperimentazione (cd. regulatory sandbox) per le attività che perseguono l'innovazione di servizi e prodotti finanziari, creditizi e assicurativi mediante l'utilizzo nuove tecnologie.

Fra queste, a titolo esemplificativo, vengono espressamente citate nel testo della disposizione l'intelligenza artificiale e i registri distribuiti (Distributed Ledger Technology, o DLT, la cui applicazione più nota è rappresentata dalla blockchain). Si tratta di un ambito competitivo che ha conosciuto un significativo sviluppo nell'ultimo decennio e che viene identificato con la sigla "Fintech".

 

Per un approfondimento sull'origine e sullo sviluppo di tale fenomeno industriale si rinvia al relativo Tema pubblicato sul sito web della Camera dei deputati. La Commissione VI Finanze della Camera ha condotto, nella XVII Legislatura, un’indagine conoscitiva sulla tematica della tecnologia applicata al settore finanziario. Si veda anche il documento conclusivo, che cita – tra gli interventi auspicabili – anche la regulatory sandbox oggetto delle norme in esame.

Si rammenta inoltre che la Banca d’Italia ha pubblicato i risultati della propria indagine conoscitiva sul settore Fintech.

 

Il comma 2-ter specifica il quadro normativo entro il quale la regolamentazione del MEF dovrà disciplinare la sperimentazione di cui al precedente comma, stabilendo che esso si conforma al principio di proporzionalità previsto dalla normativa europea e potrà avere una durata massima di diciotto mesi. Le ulteriori caratteristiche della sperimentazione sono costituite dalla possibilità di prevedere per i soggetti che vi rientreranno tempi ridotti per le procedure autorizzative, requisiti patrimoniali ridotti, adempimenti proporzionati e semplificati alle attività che si intendono svolgere e perimetri di operatività espressamente definiti.

 

Il successivo comma 2-quinquies chiarisce che tali misure possono essere differenziate in considerazione delle particolarità dei casi specifici. Si tratta in ogni caso di misure di carattere temporaneo, la cui adozione deve essere accompagnata da adeguate forme di informazione e protezione a favore di consumatori e investitori, nonché da presidi a tutela del corretto funzionamento dei mercati. Oltre alla limitazione temporale, il perimetro della sperimentazione è caratterizzato da altre condizioni (specifici requisiti, limiti operativi, e altre condizioni previste in via regolamentare) al venir meno delle quali cessa l'operatività del regulatory sandbox.

 

Il comma 2-quater identifica esplicitamente gli elementi normativi che, nel rispetto della disciplina inderogabile europea, vengono delegati alla regolamentazione secondaria. Questa, in particolare, deve stabilire o individuare i criteri per determinare:

§  i requisiti che le società dovranno rispettare per poter essere ammesse al periodo di sperimentazione, tra i quali vengono espressamente richiamati (lettere a), b), g), h), i) ed l) del comma 2-quater):

§  i requisiti patrimoniali,

§  i requisiti di professionalità degli esponenti aziendali,

§  i profili di governo societario e di gestione del rischio,

§  le forme societarie ammissibili, anche in deroga alle forme societarie previste dai testi unici che disciplinano il settore bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993) e finanziario (decreto legislativo n. 58 del 1998) nonché dal codice delle assicurazioni private (decreto legislativo n. 209 del 2005);

§  le eventuali garanzie finanziarie richieste,

§  i tempi per il rilascio dell’autorizzazione (lettera f) del comma 2-quater);

§  i limiti (perimetri) di operatività (lettera d) del comma 2-quater);

§  gli adempimenti proporzionati e semplificati alle attività che si intendono svolgere e gli obblighi informativi (lettere c) ed e) del comma 2-quater);

§  l’iter successivo al termine della sperimentazione (lettera m) del comma 2-quater).

Con riferimento a tale ultimo aspetto, il comma 2-sexies stabilisce che al termine del periodo di sperimentazione, in attesa di eventuali adeguamenti normativi, Banca d'Italia, CONSOB e IVASS possono autorizzare i soggetti ammessi a operare temporaneamente sul mercato sulla base di un'interpretazione aggiornata della legislazione vigente specifica del settore. Il medesimo comma chiarisce che l'ammissione al periodo di sperimentazione non comporta il rilascio di autorizzazioni per l'esercizio di attività riservate da svolgersi al di fuori di esso.

 

Il ruolo delle tre autorità (Banca d'Italia, CONSOB e IVASS) identificate dai commi in esame non è limitato all'autorizzazione e alla vigilanza, ma assume anche caratteri propositivi. Esse, infatti, ai sensi del comma 2-sexies, hanno la facoltà di avviare, singolarmente e congiuntamente, negli ambiti di competenza, iniziative per la sperimentazione delle attività innovative riconducibili al Fintech. Inoltre, il comma 2-septies affida loro il compito di produrre annualmente, ciascuna per quanto di propria competenza, una relazione d'analisi sul Fintech, riportando quanto emerge dai periodi di sperimentazione effettuati, e di segnalare eventuali modifiche normative o regolamentari necessarie per lo sviluppo del settore, la tutela del risparmio, e la stabilità finanziaria. Infine, ancora con riferimento al ruolo delle tre autorità di vigilanza e di controllo, il comma 2-novies le autorizza, singolarmente o in collaborazione tra loro, nell'ambito dei rispettivi stanziamenti di bilancio, a stipulare accordi con una o più università e centri di ricerca ad esse collegati, aventi ad oggetto lo studio dell'applicazione alla loro attività istituzionale degli strumenti di intelligenza artificiale, di registri contabili criptati e di registri distribuiti, nonché la relativa formazione del proprio personale.

 

Il comma 2-octies istituisce presso il MEF il "Comitato FinTech" il quale ha il compito di:

§  individuare obiettivi, definire programmi, e porre in essere azioni per favorire l'utilizzo di tecnologie innovative nei settori bancario, finanziario e assicurativo, anche in cooperazione con soggetti esteri,

§  formulare proposte di intervento normativo,

§  agevolare il contatto degli operatori del settore con le istituzioni e le autorità.

I regolamenti delegati di cui al precedente comma 2-bis stabiliscono le attribuzioni del Comitato.

 

Sono membri permanenti del Comitato FinTech:

§  i Ministri dell'economia e delle finanze, dello sviluppo economico e degli affari europei,

§  la Banca d'Italia,

§  la CONSOB,

§  l'IVASS,

§  l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcom),

§  l'Autorità garante per la protezione dei dati personali,

§  l'Agenzia per l'Italia digitale,

§  l'Agenzia delle Entrate.

Il Comitato può invitare alle proprie riunioni, con funzioni consultive e senza diritto di voto, ulteriori istituzioni e autorità, nonché associazioni di categoria, imprese, entità e soggetti operanti nel settore della tecno-finanza.

 

Rimborso delle spese di viaggio e alloggio per i membri del Comitato nazionale per la diffusione dell'educazione finanziaria

Il comma 2-decies modifica, infine, l'articolo 24-bis del decreto legge n. 237 del 2016, che, fra le disposizioni per la tutela del risparmio nel settore creditizio ivi contenute, ha previsto misure ed interventi intesi a sviluppare l'educazione finanziaria, previdenziale ed assicurativa.

 

In particolare, per perseguire tali fini è stata stabilita l’adozione, da parte del MEF, d'intesa con il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, di un programma per una Strategia nazionale per l'educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale.

Per supportare l'attuazione della Strategia è stato istituito presso il MEF un Comitato nazionale per la diffusione dell'educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale, che opera attraverso riunioni periodiche e in seno al quale possono essere costituiti specifici gruppi di ricerca cui possono partecipare accademici e esperti della materia.

Per la copertura degli oneri derivanti dall’attività del Comitato il decreto legge n. 237 del 2016 (articolo 24-bis, comma 11) ha stanziato un milione di euro l’anno a decorrere dal 2017. L'articolo 24-bis, comma 7 dispone che dall’istituzione del Comitato non debbano derivare oneri alla finanza pubblica.

Il comma 2-decies in esame integra tale formulazione, facendo salva la copertura delle spese di viaggio e alloggio, sostenute per la partecipazione alle riunioni periodiche (comma 9), a valere sui fondi stanziati per il funzionamento del Comitato.


 

Articolo 36-bis
(Regime fiscale speciale ELTIF )

 

 

L'articolo 36-bis introduce un regime fiscale speciale per gli investimenti in fondi di investimento europei a lungo termine (ELTIF - European Long Term Investments Fund), subordinatamente al rispetto di alcune specifiche condizioni.

 

Gli European Long Term Investments Fund sono fondi "chiusi", che prevedono cioè il rimborso del capitale a scadenze definite, introdotti dal Regolamento europeo 2015/760, per incentivare l'investimento a lungo termine in progetti infrastrutturali, in società non quotate e in piccole e medie imprese (PMI) che hanno bisogno di stabili fonti di finanziamento. Si tratta di strumenti di investimento difficilmente vendibili sul mercato prima della scadenza, che sono caratterizzati quindi da un basso livello di liquidità, ma che possono offrire un flusso di proventi e una rivalutazione a scadenza del capitale investito. L'orizzonte temporale del rimborso è a medio lungo termine, coerentemente con la tipologia delle attività che si intende finanziare. Un fondo autorizzato ai sensi del Regolamento 2015/760 può essere commercializzato su tutto il territorio europeo. L'autorizzazione viene rilasciata sulla base del rispetto degli obblighi relativi alle politiche di investimento che il fondo intende intraprendere. Oltre agli investimenti ammissibili, il regolamento definisce alcuni limiti volti ad assicurare che la composizione del portafoglio rispetti il principio della diversificazione.

 

In particolare, il comma 1 esenta i redditi derivanti agli investimenti effettuati in fondi ELTIF, anche mediante l'investimento in organismi di investimento collettivo del risparmio che investono integralmente il proprio patrimonio in quote o azioni dei predetti fondi (fondi di ELTIF), dalle imposte sui redditi di capitale (di cui all'articolo 44, comma 1, lettera g), del TUIR) e sui redditi diversi (di cui all'articolo 67, comma 1, lettera c-ter), del medesimo testo unico).

A partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, possono beneficiare di tale regime fiscale speciale gli investimenti effettuati, per un importo non superiore a 150.000 euro nell'anno e non superiore a 1.500.000 euro complessivamente (comma 2), in fondi ELTIF (o fondi di ELTIF) che presentano tutte le seguenti caratteristiche (definite dal comma 3):

a) il patrimonio raccolto dal medesimo gestore non è superiore a 200 milioni di euro per ciascun anno, fino ad un tetto complessivo per ciascun gestore pari a 600 milioni di euro;

b) investono almeno il 70 per cento del capitale in attività di investimento ammissibili, come definite ai sensi dell'art. 10 del regolamento (UE) 2015/760, riferibili a imprese di portafoglio ammissibili, ai sensi dell'art. 11 del medesimo regolamento, che siano residenti nel territorio dello Stato ai sensi dell'articolo 73 del TUIR o in Stati membri dell'Unione europea o in Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo con stabili organizzazioni nel territorio dello Stato.

 

Si ricorda che ai sensi dell’articolo 10 del regolamento, sono ammissibili all'investimento solo le attività che rientrano in una delle seguenti categorie:

a) strumenti rappresentativi di equity o quasi-equity che siano stati:

i) emessi da un'impresa di portafoglio ammissibile e acquisiti dall'ELTIF da tale impresa o da terzi attraverso il mercato secondario;

ii) emessi da un'impresa di portafoglio ammissibile in cambio di uno strumento rappresentativo di equity o quasi-equity acquisito in precedenza dall'ELTIF da tale impresa o da terzi attraverso il mercato secondario;

iii) emessi da un'impresa che possiede la maggioranza del capitale dell'impresa di portafoglio ammissibile in cambio di uno strumento rappresentativo di equity o quasi-equity che l'ELTIF ha acquisito conformemente ai punti i) o ii) dall'impresa di portafoglio ammissibile o da terzi attraverso il mercato secondario;

b) strumenti di debito emessi da un'impresa di portafoglio ammissibile;

c) prestiti erogati dall'ELTIF a un'impresa di portafoglio ammissibile con una scadenza non superiore al ciclo di vita dell'ELTIF;

d) azioni o quote di uno o più altri ELTIF, EuVECA e EuSEF, purché tali ELTIF, EuVECA e EuSEF non abbiano investito più del 10% del loro capitale in ELTIF;

e) partecipazioni dirette o indirette attraverso imprese di portafoglio ammissibili in singole attività reali per un valore di almeno 10 000 000 EUR o di un importo equivalente nella valuta e al momento in cui avviene la spesa.

 

Ai sensi dell’articolo 11 del regolamento, un'impresa di portafoglio ammissibile è un'impresa diversa da un organismo di investimento collettivo che soddisfi i seguenti requisiti:

a) non è un'impresa finanziaria;

b) è un'impresa che:

i) non è ammessa alla negoziazione su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione; oppure

ii) è ammessa alla negoziazione su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione e al contempo ha una capitalizzazione di mercato inferiore a 500 000 000 EUR;

c) è stabilita in uno Stato membro o in un paese terzo, a condizione che quest'ultimo non sia un paese indicato dal gruppo di azione finanziaria internazionale come paese ad alto rischio e non collaborativo e abbia firmato un accordo con lo Stato membro di origine del gestore dell'ELTIF e con ogni altro Stato membro in cui è previsto che le quote o le azioni dell'ELTIF siano commercializzate, in modo da assicurare che il paese terzo rispetti pienamente le norme sul modello di convenzione fiscale sui redditi e sul patrimonio dell'OCSE e assicuri un efficace scambio di informazioni in materia fiscale, compresi eventuali accordi fiscali multilaterali.

 

Il comma 4 chiarisce che per ogni aspetto non espressamente disciplinato dall'articolo in esame si applicano le disposizioni del Regolamento (UE) 2015/760 e le relative norme nazionali di esecuzione. In particolare, ai fini della verifica del rispetto del requisito dell’investimento del 70 per cento in attività di investimento ammissibili (comma 3, lettera b) del presente articolo), si fa riferimento all’articolo 17 in materia di composizione e diversificazione del portafoglio.

 

In particolare, l’articolo 17 del regolamento 2015/760 stabilisce che il limite di investimento:

a) si applica entro la data specificata nel regolamento o nei documenti costitutivi dell'ELTIF.

b) cessa di essere applicato quando l'ELTIF inizia a vendere attività in modo da rimborsare le quote o le azioni degli investitori dopo la fine del ciclo di vita dell'ELTIF;

c) è temporaneamente sospeso quando l'ELTIF raccoglie capitale aggiuntivo o riduce il suo capitale esistente, purché tale sospensione non sia superiore a 12 mesi.

 

Ai sensi del comma 5, inoltre, l'investimento deve essere detenuto per almeno 5 anni al fine di beneficiare della esenzione dall'imposta sui redditi di capitale e sui redditi diversi. In caso di cessione delle quote o azioni dei fondi prima di tale termine, a meno che il controvalore non venga integralmente investito in un altro ELTIF o fondo di ELTIF entro 90 giorni dalla cessione o dal rimborso, i redditi realizzati attraverso la cessione e quelli percepiti durante il periodo di investimento sono soggetti ad imposizione secondo le regole ordinarie, unitamente agli interessi. Il relativo versamento deve essere effettuato entro il giorno 16 del quarto mese successivo a quello di cessione.

 

La decadenza del beneficio fiscale, secondo quanto disposto dal comma 6, può anche derivare dal venir meno della qualificazione del fondo per effetto del mancato rispetto della disciplina europea sugli investimenti ammissibili e sui limiti alla concentrazione, previsti ai commi 3 e 4. 

 

Ai sensi del comma 7, le azioni o quote detenute negli ELTIF o nei fondi di ELTIF non sono soggette alle imposte di successione e donazione, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346.

 

Il comma 8 demanda a un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze le modalità attuative della disciplina in commento, mentre il comma 9 ne stabilisce la decorrenza a partire dagli investimenti effettuati nell'anno 2020.

 

Il comma 10 subordina l’efficacia del regime speciale all'autorizzazione della Commissione europea ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea in materia di aiuto di Stato. Il comma 11, infine, reca la relativa copertura finanziaria.


 

Articolo 36-ter
(Proroga termine per concedere supporto
di liquidità a Banca Carige)

 

 

L’articolo 36-ter, introdotto in sede referente, estende dal 30 giugno al 31 dicembre 2019 la concessione della garanzia dello Stato sulle nuove passività emesse da Banca Carige e sui finanziamenti erogati discrezionalmente dalla Banca d’Italia al medesimo istituto.

 

Più in dettaglio viene modificato l’articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 1 del 2019, il quale nella formulazione originaria concede la predetta garanzia dello Stato fino al 30 giugno. In tal modo se ne amplia l’operatività alle emissioni e ai finanziamenti in favore all’Istituto effettuati fino al 31 dicembre 2019.

 

Gli articoli da 1 a 11 del decreto-legge n. 1 del 2019 disciplinano la concessione della garanzia dello Stato su specifici strumenti finanziari emessi dalla Banca Carige S.p.A. (articoli 1-8) e sui finanziamenti erogati discrezionalmente alla medesima banca dalla Banca d'Italia per fronteggiare gravi crisi di liquidità (emergency liquidity assistance – ELA, articoli 9-10).

La garanzia è concessa dal MEF nel rispetto della disciplina europea in materia di aiuti di Stato, sulla base di una decisione positiva della Commissione europea sul regime di concessione della garanzia.

Per accedere alla garanzia gli strumenti di debito devono:

§  essere emessi successivamente all'entrata in vigore del decreto legge,

§  essere denominati in euro,

§  avere durata residua non inferiore a due mesi e non superiore a cinque anni (o a sette anni per le obbligazioni bancarie garantite),

§  prevedere rimborso del capitale in un’unica soluzione a scadenza e interessi calcolati sulla base di un tasso costante predeterminato (tasso fisso),

§  essere prodotti semplici di tipo senior, senza clausole di subordinazione nel rimborso del capitale e nel pagamento degli interessi.

L'ammontare delle garanzie è limitato a quanto strettamente necessario per ripristinare la capacità di finanziamento a medio-lungo termine della Banca Carige S.p.A.

La garanzia è onerosa, incondizionata, irrevocabile e a prima richiesta e copre il capitale e gli interessi. Il valore nominale degli strumenti finanziari con durata superiore ai 3 anni sui quali può essere prestata la garanzia non può eccedere un terzo del valore nominale totale degli strumenti finanziari emessi dalla banca. Sono escluse dalla garanzia le passività computabili nei fondi propri a fini di vigilanza.

Il corrispettivo per la garanzia è differenziato rispetto alla durata dell'operazione. Esso è determinato a partire da una valutazione di base, integrata con un componente che misura il rischio di credito con riferimento a indici di mercato, in linea con le comunicazioni della Commissione in materia.

La richiesta della garanzia è indirizzata al Dipartimento del Tesoro e alla Banca d’Italia. La Banca d'Italia comunica al Dipartimento del Tesoro la congruità delle condizioni e dei volumi dell'intervento richiesto e gli altri elementi informativi previsti dall'articolo 7 del decreto in esame. A seguito di tale valutazione la richiesta di concessione della garanzia è notificata alla Commissione europea. Il comma 3 dell'articolo 7 stabilisce che la garanzia può essere concessa solo a seguito della positiva decisione della Commissione sulla compatibilità dell'intervento con il relativo quadro normativo europeo in materia di aiuti di Stato.

Entro due mesi dalla concessione della garanzia, ove le passività non siano già state rimborsate, la banca è tenuta a presentare un piano di ristrutturazione per confermare la redditività e la capacità di raccolta a lungo termine senza ricorso al sostegno pubblico, da sottoporre alla Commissione europea.

Per tutto il tempo in cui beneficia della garanzia la Banca Carige S.p.A. è soggetta a vincoli stringenti con riferimento alle operazioni che riguardano il proprio capitale: non può distribuire dividendi, effettuare pagamenti discrezionali su strumenti di capitale aggiuntivo di classe 1, riacquistare tali strumenti né acquisire nuove partecipazioni.

Qualora la banca non sia in grado di adempiere all'obbligazione garantita, invia, di norma almeno 30 giorni prima della scadenza, una richiesta motivata di attivazione della garanzia alla Banca d’Italia e al Tesoro, il quale provvede al pagamento. Entro due mesi dalla richiesta la banca presenta inoltre un piano di ristrutturazione da sottoporre alla Commissione europea. La banca rimborsa le somme pagate dallo Stato all'erario maggiorate con l’applicazione di interessi al tasso legale. Le somme corrisposte dal Tesoro agli istituti di credito per onorare la garanzia sono vincolate per destinazione e non aggredibili da altri creditori della banca a diverso titolo.

La garanzia può essere concessa anche con riferimento ai finanziamenti erogati discrezionalmente alla medesima banca dalla Banca d'Italia per fronteggiare gravi crisi di liquidità (ELA). In tal caso, la garanzia statale integra il valore di realizzo del collaterale (un'attività finanziaria utilizzata come garanzia) già stanziato da Banca Carige S.p.A. nell'ambito dell'ELA. In caso di inadempimento, la garanzia viene escussa in esito a quella relativa al collaterale per l'importo residuale dovuto. Si applicano, in quanto compatibili le norme relative alla garanzia dello Stato sulle passività di nuova emissione, con particolare riferimento ai limiti, alla determinazione del corrispettivo, alla procedura e all'escussione della garanzia.

 

Con comunicato stampa del 25 gennaio 2019 l’istituto ha comunicato, in seguito al positivo esito della valutazione della concessione della garanzia pubblica fino a massimi 3,0 miliardi di euro su obbligazioni di nuova emissione - prevista dal decreto Legge n. 1 del 2019 -  nonché  concreto rilascio della garanzia da parte del MEF di suddetta garanzia, l’emissione di due bond di ammontare complessivo di 2,0 miliardi di euro nominali, quotati sul MOT (Mercato Telematico delle Obbligazioni e dei Titoli di Stato) organizzato e gestito da Borsa Italiana. Si tratta dei seguenti bond, rispettivamente con scadenza a 12 e a 18 mesi:

§  scadenza 25/1/2020, cedola 0,5%, 1,0 miliardo di euro nominale (ISIN: IT0005359176);

§  scadenza 26/7/2020, cedola 0,75%, 1,0 miliardo di euro nominale (ISIN: IT0005359184).


 

Articolo 37
(Ingresso del Ministero dell’economia e delle finanze
nel capitale sociale della NewCo Nuova Alitalia)

 

 

L’articolo 37, autorizza il MEF a sottoscrivere quote del capitale della NewCo Nuova Alitalia entro un limite massimo pari agli interessi maturati sul prestito ricevuto da Alitalia. Si modifica inoltre la disciplina relativa alla restituzione del prestito, che viene ricondotta nell’ambito della procedura di ripartizione dell’attivo dell’amministrazione straordinaria. I criteri e le modalità dell’operazione saranno definiti con un successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri; nel corso dell’esame in Commissione è stata soppressa la previsione che tale decreto sia di natura non regolamentare.

 

Il comma 1, modificato in Commissione, autorizza il Ministero dell’economia e delle finanze a sottoscrivere quote di partecipazione al capitale della società di nuova costituzione (NewCo) Nuova Alitalia, cui saranno trasferiti i compendi aziendali oggetto delle procedure di amministrazione straordinaria dell’Alitalia, fino ad un tetto massimo costituito dall’importo maturato a titolo di interessi sul prestito, ai sensi del comma 3. La copertura finanziaria del comma 1 è costituita pertanto dalle entrate che si prevede di realizzare ai sensi del comma 3 (interessi sul prestito), quantificate nella Relazione tecnica in 145 milioni di euro.

I criteri e le modalità dell’operazione saranno definiti con un successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze e sottoposto alla registrazione della Corte dei Conti.

A tal fine, il Ministero dell'economia e delle finanze è autorizzato ad avvalersi di primarie istituzioni finanziarie e legali a valere sulle risorse di cui al comma 4, nel limite di euro 200.000.

 

Il comma 2 prevede che alla società di nuova costituzione (NewCo) Nuova Alitalia, partecipata dal Ministero dell’economia e delle finanze, non si applichino le disposizioni del Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175).

 

Il decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, ha riassunto in un quadro organico le numerose disposizioni vigenti in materia, ridisegnandone la disciplina con la finalità di ridurre e razionalizzare il fenomeno delle società a partecipazione pubblica, avendo anche riguardo ad una efficiente gestione delle partecipazioni medesime ed al contenimento della spesa pubblica.

In particolare, l'articolo 4 fissa il divieto generale, per le amministrazioni pubbliche, di costituire, anche indirettamente, società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, nonché di acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. Nei limiti di tale principio, lo stesso articolo 4 elenca le finalità perseguibili dalle amministrazioni mediante le società partecipate: a) produzione di un servizio di interesse generale; b) progettazione e realizzazione di un'opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche; c) realizzazione e gestione di un'opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d'interesse generale attraverso un contratto di partenariato con un imprenditore privato selezionato secondo specifiche procedure; d) autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipanti; e) servizi di committenza, ivi incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici. L’articolo 4, inoltre, attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Presidenti di Regione e Province autonome, qualora ricorrano taluni presupposti (interesse pubblico o agevolazione della quotazione in borsa), la facoltà di deliberare l'esclusione (totale o parziale) dell'applicazione delle disposizioni del testo unico a specifiche società a partecipazione pubblica. I provvedimenti eventualmente assunti sono trasmessi alle Camere.

 

I commi 3, 4, 5 e 6 intervengono sulla disciplina della restituzione del finanziamento di 900 milioni di euro concesso ad Alitalia in Amministrazione straordinaria[50] (per una sintesi della disciplina del prestito e dell’Amministrazione straordinaria si veda il box Sintesi della procedura di amministrazione straordinaria di Alitalia).

Il comma 3 prevede in particolare che Alitalia – Società Aerea Italiana S.p.A. in amministrazione straordinaria, corrisponda gli interessi sul finanziamento a titolo oneroso, stimati in 145 milioni di euro nella Relazione illustrativa al decreto, dalla data di effettiva erogazione alla data del decreto del Ministro dello sviluppo economico di autorizzazione alla cessione dei complessi aziendali oggetto delle procedure e, comunque, fino a data non successiva al 31 maggio 2019.

Dal tenore letterale della disposizione parrebbe che il prestito reso ad Alitalia non produca più interessi dalla data del 31 maggio 2019.

 

Il comma 4 stabilisce che gli interessi sono versati all’entrata del bilancio dello Stato entro sessanta giorni dalla data del predetto decreto del Ministro dello sviluppo economico per essere riassegnati ad uno o più capitoli dello stato di previsione della spesa del Ministero dell’Economia e delle Finanze per le finalità di cui al comma 1.

Si ricorda che il finanziamento concesso ad Alitalia è stato notificato a gennaio 2018 alla Commissione europea, in adempimento dell'obbligo di notifica previsto dalle norme dell'Unione europea in materia di aiuti di Stato. Il 23 aprile 2018 la Commissione ha comunicato di avere aperto "un'indagine approfondita per valutare l'eventuale violazione della normativa sugli aiuti di Stato". Il Governo italiano, il 25 maggio 2018, ha presentato le proprie osservazioni alla decisione della Commissione di aprire un'indagine formale. L'Italia ha argomentato che l'intervento non costituisce un aiuto di Stato e che, in ogni caso, sarebbe da considerare un aiuto al salvataggio dell'impresa compatibile con il regime previsto ai sensi dell'articolo 107, comma 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. In merito a tale indagine non sono state adottate decisioni.

 

Con riferimento ai termini e alle modalità di restituzione del prestito concesso ad Alitalia entrano in considerazione i requisiti stabiliti dagli Orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese non finanziarie in difficoltà (2014/C 249/01) nonché in relazione alla determinazione dello spread applicabile al prestito concesso alla società, la Comunicazione della Commissione relativa alla revisione del metodo di fissazione dei tassi di riferimento e di attualizzazione (2008/C 14/02) con i relativi aggiornamenti.

Gli Orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese non finanziarie in difficoltà (un'impresa è definita come in difficoltà se, in assenza di un intervento dello Stato, essa è quasi certamente destinata al collasso economico a breve o a medio termine e, tra i diversi casi indicati, si indica quello di una impresa oggetto di procedura concorsuale per insolvenza) distinguono due tipologie di aiuto riferibili alla vicenda di cui si tratta: gli aiuti al salvataggio dell'impresa; gli aiuti alla ristrutturazione dell'impresa.

Il Governo italiano nella propria comunicazione alla Commissione ha argomentato che l’aiuto concesso ad Alitalia in primo luogo non sarebbe un aiuto di Stato e che, qualora dovesse essere qualificato tra gli aiuti di Stato, sarebbe da ricondurre ad un aiuto al salvataggio dell’impresa coerente con le previsioni dell’Unione europea in materia.

 

Al riguardo, si ricorda che gli Orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese non finanziarie in difficoltà (2014/C 249/01), adottati ai sensi dell'articolo 107, paragrafo 3, lettera c), del TFUE, rilevano che gli aiuti per il salvataggio e la ristrutturazione figurano tra i tipi di aiuti di Stato che presentano i maggiori effetti distorsivi, e pertanto le imprese possono essere ammesse a ricevere aiuti ai sensi dei presenti orientamenti solo una volta ogni dieci anni (principio dell'aiuto «una tantum»). L'aiuto che viene concesso sotto forma di sostegno alla liquidità, limitato sia nell'ammontare che nella durata, suscita – secondo gli Orientamenti della Commissione - molte meno preoccupazioni riguardo ai suoi potenziali effetti nocivi e viene quindi approvato a condizioni meno rigide. Per incoraggiare l'uso di forme meno distorsive di aiuto gli orientamenti introducono la nuova nozione di «sostegno temporaneo per la ristrutturazione», il quale, come gli aiuti per il salvataggio, può esso concesso solo sotto forma di sostegno alla liquidità con un importo e una durata limitati. Si deve trattare di un aiuto sotto forma di garanzie su prestiti o di prestiti. Il sostegno temporaneo per la ristrutturazione può essere concesso per un periodo non superiore a 18 mesi, dal quale va detratto qualsiasi periodo immediatamente precedente di aiuti per il salvataggio. Prima della fine di tale periodo lo Stato membro deve approvare un piano di ristrutturazione, o un piano di liquidazione, o i prestiti devono essere rimborsati o le garanzie revocate.

Occorre ricordare, inoltre, che, la Commissione europea in via generale, ai fini della valutazione della riconducibilità ad aiuto di Stato di un intervento di finanziamento di un'attività produttiva, applica il principio del "normale investitore di mercato" (market economy investor principle) (si vedano ad esempio la decisione della Commissione 2380/81/UE che definisce come aiuti di Stato "le misure...che non rispecchiano la fornitura di capitale di rischio secondo le normali pratiche commerciali in un'economia di mercato"). In estrema sintesi, si esclude che possa essere considerato un aiuto di Stato soltanto un finanziamento (ma il criterio ha anche portata più generale ed è applicabile anche ad altre forme di aiuto, quali, ad esempio la partecipazione al capitale di rischio) che sarebbe stato reso alle medesime condizioni e con le medesime aspettative di ritorno economico da parte di un operatore di mercato (decisione 2001/621/UE). Al riguardo si rappresenta che gli orientamenti della Commissione, nel valutare le singole fattispecie, sono inevitabilmente articolati considerata la necessità di valutare in concreto caso per caso le diverse situazioni ad essa di volta in volta sottoposte (decisione 2001/43/UE).

Da ultimo, si segnala che l'articolo 2 del regolamento UE n. 2015/1589, recante modalità di applicazione dell'articolo 108 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, dispone che, salvo disposizione contraria dei regolamenti adottati a norma dell'articolo 109 TFUE o di altre disposizioni pertinenti dello stesso, qualsiasi progetto di concessione di un nuovo aiuto deve essere notificato tempestivamente alla Commissione dallo Stato membro interessato. La Commissione informa immediatamente lo Stato membro interessato della ricezione della notifica.

 

Gli aiuti al salvataggio dell'impresa sono secondo la comunicazione 2014/C 249/01 per natura, una forma di assistenza urgente e temporanea, il cui obiettivo principale è consentire di tenere in vita un'impresa in difficoltà per il breve periodo necessario all'elaborazione di un piano di ristrutturazione o di liquidazione. Come principio generale, gli aiuti per il salvataggio consentono di fornire sostegno temporaneo a un'impresa che si trova a dover affrontare un grave deterioramento della sua situazione finanziaria che si manifesta sotto forma di un'acuta crisi di liquidità o un'insolvenza tecnica. Questo sostegno temporaneo deve consentire di guadagnare tempo per analizzare le circostanze all'origine delle difficoltà ed elaborare un piano idoneo a porvi rimedio" (paragrafo 26).

Secondo la comunicazione invece "Gli aiuti per la ristrutturazione spesso comportano un'assistenza più permanente e devono ripristinare la redditività a lungo termine del beneficiario in base a un piano di ristrutturazione realistico, coerente e di ampia portata, consentendo, al contempo, un sufficiente contributo proprio e una condivisione degli oneri e limitando le potenziali distorsioni della concorrenza" (paragrafo 27).

Affinché gli aiuti siano considerati conformi alla disciplina dall'Unione europea è necessario che lo Stato richiedente dimostri il rispetto di questi requisiti:

§  contributo al raggiungimento di un obiettivo ben definito di interesse comune: una misura di aiuto di Stato deve puntare a un obiettivo di interesse comune ai sensi dell'articolo 107, paragrafo 3, del trattato;

§  necessità dell'intervento statale: una misura di aiuto di Stato deve essere destinata a una situazione in cui può determinare un miglioramento tangibile che il mercato da solo non è in grado di fornire;

§  adeguatezza della misura di aiuto; effetto di incentivazione; proporzionalità dell'aiuto (aiuto limitato al minimo); prevenzione degli effetti negativi indebiti sulla concorrenza e sugli scambi tra gli Stati membri e trasparenza dell'aiuto.

Peraltro, nel valutare gli aiuti a favore dei fornitori SIEG in difficoltà (come Alitalia), la Commissione deve tenere conto di tutti gli aiuti di Stato ricevuti dal fornitore, compresa l'eventuale compensazione per gli obblighi di servizio pubblico.

Con specifico riferimento agli aiuti destinati al salvataggio, perché essi possano essere autorizzati devono soddisfare le seguenti condizioni:

§  devono consistere in un sostegno temporaneo alla liquidità sotto forma di garanzie su prestiti o di prestiti;

§  la remunerazione del prestito o, nel caso di garanzie su prestiti, il costo finanziario complessivo del prestito oggetto di garanzia, devono essere fissati a un tasso non inferiore al tasso di riferimento indicato nella comunicazione sul tasso di riferimento pubblicata in G.U. C 14 del 19 gennaio 2008 e successivi aggiornamenti (che con riferimento alla situazione di Alitalia prevede uno spread minimo di 1000 punti base);

§  i prestiti devono essere rimborsati e le garanzie devono cessare entro un termine non superiore a sei mesi dall'erogazione della prima rata al beneficiario;

§  gli Stati membri devono impegnarsi a presentare alla Commissione, entro sei mesi dall'autorizzazione dell'aiuto per il salvataggio, o, in caso di aiuto non notificato, entro sei mesi dall'erogazione della prima rata al beneficiario la prova che il prestito è stato integralmente rimborsato ovvero un piano di ristrutturazione ovvero un piano di liquidazione.

Una volta presentato il piano di ristrutturazione, l'autorizzazione dell'aiuto per il salvataggio viene automaticamente prorogata finché la Commissione non prenda la sua decisione finale sul piano di ristrutturazione, tranne nel caso in cui la Commissione decida che tale proroga non è giustificata o che debba essere limitata in termini di durata e di portata.

Una volta che è stato elaborato e attuato il piano di ristrutturazione, tutti gli aiuti successivi vengono considerati come aiuti per la ristrutturazione. Gli aiuti alla ristrutturazione, che possono eventualmente seguire gli aiuti al salvataggio, sono ammessi dall'Unione europea alle seguenti condizioni: innanzi tutto tali aiuti non possono limitarsi a fornire unicamente un aiuto finanziario volto a colmare le perdite pregresse, senza intervenire sulle cause di tali perdite. Pertanto tali aiuti sono subordinati alla presentazione di un piano di ristrutturazione approvato dalla Commissione, che, alla luce di quanto stabiliscono gli Orientamenti, può presentare un impatto significativo sull'impresa beneficiaria.

Tra i possibili interventi che possono formare oggetto del piano sono indicati esemplificativamente la riorganizzazione e la razionalizzazione delle attività del beneficiario su una base di maggiore efficacia, che implica, in genere, l'abbandono delle attività in perdita, la ristrutturazione delle attività che possono essere riportate a livelli competitivi e, talvolta, la diversificazione verso nuove attività redditizie. La ristrutturazione generalmente comporta anche una ristrutturazione finanziaria sotto forma di conferimenti di capitale effettuati dagli azionisti nuovi o esistenti e di riduzione dei debiti da parte dei creditori esistenti. Le imprese beneficiarie degli aiuti per la ristrutturazione possono vedersi costrette a cedere attivi, ridurre le capacità o la presenza sul mercato. Tali misure, secondo gli Orientamenti, dovrebbero essere attuate in particolare nel mercato o nei mercati in cui l'impresa si trova a detenere un'importante posizione di mercato dopo la ristrutturazione, in particolare quelli in cui vi è un significativo eccesso di capacità. Inoltre per l'autorizzazione a tale aiuto si prevede che sia assicurato un contributo significativo ai costi di ristrutturazione (almeno il 50 % dei costi di ristrutturazione) proveniente dalle risorse proprie del beneficiario dell'aiuto, dei suoi azionisti o creditori o del gruppo di cui fa parte, o da nuovi investitori. Solo in circostanze eccezionali e in caso di particolari difficoltà la Commissione può accettare un contributo inferiore al 50 % dei costi di ristrutturazione.

 

Il comma 5 interviene sulle modalità di rimborso del finanziamento, sopprimendo la disposizione, contenuta nel comma 1 dell’articolo 50, del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, che prevedeva la restituzione del prestito entro sei mesi dall’erogazione in prededuzione, con priorità rispetto a ogni altro debito della procedura.

A tale norma si collega la modifica del successivo comma 6, che ridefinisce le modalità ed i tempi di restituzione del prestito: il finanziamento sarà restituito nell’ambito della procedura di ripartizione dell’attivo dell’amministrazione straordinaria a valere e nei limiti dell’attivo disponibile di Alitalia – Società Aerea Italiana S.p.A. in amministrazione straordinaria. Vengono pertanto soppresse le modalità che erano state precedentemente definite nellarticolo 2, comma 1, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, e che prevedevano la restituzione entro trenta giorni dall'intervenuta efficacia della cessione dei complessi aziendali oggetto delle procedure e non oltre il termine del 30 giugno 2019.

In merito alla cessione dei complessi aziendali il Ministero dello Sviluppo economico, in un comunicato del 3 maggio 2019, dopo aver ricevuto, nella medesima data, da parte dei commissari straordinari di Alitalia, la comunicazione di richiesta di proroga del termine per la presentazione di un’offerta definitiva e vincolante per Alitalia da parte di FS, ha autorizzato la proroga di tale termine al 15 giugno 2019, auspicando tuttavia che l’indicazione della composizione definitiva del consorzio acquirente possa pervenire nel minor tempo possibile.

 

Come evidenziato nella Relazione Tecnica al decreto, il credito erariale verrà pertanto soddisfatto nel quadro della procedura di riparto dell’attivo dell’Amministrazione straordinaria, a fronte di apposita istanza davanti al competente tribunale fallimentare di insinuazione del credito allo stato passivo di Alitalia in prededuzione.

 

Con riferimento alla situazione economica di Alitalia si vedano la Relazione conclusiva sulla situazione economica e finanziaria dell'Alitalia - Società aerea italiana spa nell'ambito della procedura di cessione, presentata alle Camere il 31 ottobre 2018 e l'audizione informale dei Commissari Alitalia svolta presso le Commissioni Riunite (IX e X) della Camera dei deputati il 27 marzo 2019 (qui il link alla memoria consegnata dai commissari).

 

La società Alitalia – Società Aerea Italiana Spa è stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria, ai sensi della c.d. legge Marzano (artt. 1 e 2 del D.L. n. 347 del 2003), con il decreto del MISE 2 maggio 2017, con il quale è anche stato nominato il collegio dei Commissari Straordinari. I Commissari, come previsto dall’art. 4 della legge Marzano hanno presentato entro 180 giorni, il 26 gennaio 2018, il programma per perseguire il recupero economico delle attività imprenditoriali, poi approvato dal MISE il 23 marzo 2018, data dalla quale decorrono i termini di legge per l'attuazione del Programma stesso. Con il decreto-legge n. 38 del 2018 (convertito dalla legge 21 giugno 2018, n. 77), sono stati spostati al 31 ottobre 2018 i termini per il completamento della procedura di cessione dei complessi aziendali facenti capo ad Alitalia (di cui all'articolo 50 del decreto legge n. 50 del 2017) e alle società del gruppo, nonché al 15 dicembre 2018 i termini per la restituzione del prestito attributo ad Alitalia.

Successivamente l'articolo 2 del decreto-legge n. 135 del 2018, convertito dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12 ha abrogato tale ultima disposizione e ha previsto che il prestito debba essere restituito entro trenta giorni dall'intervenuta efficacia della cessione dei complessi aziendali e comunque entro il 30 giugno 2019.

Sono stati introdotti dal DL n. 38/2018 anche precisi obblighi informativi da parte dei Commissari nei confronti delle Camere, in relazione ai quali i Commissari hanno trasmesso al Parlamento, il 31 ottobre 2018, la Relazione conclusiva (DOC XXVII, n. 4) sulla situazione economica e finanziaria di Alitalia nell'ambito della procedura di cessione.

Una nuova fase della procedura di cessione è in corso dal 19 ottobre 2018 con i soggetti che hanno manifestato interesse. Il 27 marzo 2019 si è svolta, presso le competenti Commissioni parlamentari della Camera, l'audizione informale dei Commissari Alitalia nella quale sono stati forniti aggiornamenti sui dati economici e finanziari della gestione commissariale e sulla situazione della procedura. In data 31 ottobre 2018 i Commissari Straordinari hanno ricevuto due offerte, una da parte di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A. ed una da parte di Easy Jet, una manifestazione di interesse (Delta Air Lines) ed una comunicazione (Lufthansa). L'offerta di FS è stata valutata positivamente, sentito il Ministero vigilante, il 19 novembre 2018, chiedendo un'integrazione dell'offerta il cui termine, fissato inizialmente al 31 gennaio 2019 e poi prorogato al 31 marzo 2019.

 

Per quanto riguarda il finanziamento concesso ad Alitalia, l'articolo 50 del decreto legge n. 50/2017 ha disposto un finanziamento a titolo oneroso di 600 milioni di euro - originariamente della durata di sei mesi - per far fronte alle indilazionabili esigenze gestionali della società stessa e delle altre società del gruppo sottoposte ad amministrazione straordinaria, al fine di evitare l'interruzione del servizio. Il finanziamento è stato concesso con l'applicazione di interessi al tasso Euribor a sei mesi, pubblicato il giorno precedente la data di erogazione, maggiorato di 1.000 punti base (il tasso è di circa il 10%) e se ne è prevista la restituzione entro sei mesi dalla erogazione, in prededuzione, con priorità rispetto ad ogni altro debito della procedura. Successivamente l'articolo 12 del decreto-legge n. 148 del 2017 ha incrementato di 300 milioni di euro, da erogare nel 2018, il finanziamento oneroso già concesso nelle more dell'esecuzione della procedura di amministrazione straordinaria. La medesima disposizione aveva altresì stabilito che la durata del finanziamento, per la quota erogata nel 2017, fosse prorogata fino al 30 settembre 2018 e che la quota di finanziamento erogata nel 2018 dovesse essere restituita entro il termine dell'esercizio.

 

Il comma 7 prevede che agli oneri derivanti dai commi 5 e 6, pari a 900 milioni di euro per l’anno 2019 in termini di solo fabbisogno, si provvede ai sensi dell’articolo 50[51].

Il comma 8 prevede che tutti gli atti e le operazioni posti in essere dal Ministero dell’economia e delle finanze per l’operazione di cui al presente articolo sono esenti da imposizione fiscale, diretta e indiretta e da tasse.

 

 

 


 

Articolo 38, commi 1, 1-bis-1-sexies e comma 2
(Debiti enti locali – Roma)

 

L'articolo 38 dispone il trasferimento a Roma capitale della titolarità dei crediti e del piano di estinzione dei debiti della Gestione commissariale del Comune di Roma. Dispone inoltre l'iscrizione in bilancio, a fronte dei crediti, di un adeguato fondo crediti di dubbia esigibilità, nonché l'attribuzione a Roma Capitale delle risorse necessarie a far fronte al piano di estinzione dei debiti. L'articolo prevede infine la facoltà per Roma Capitale di concedere delle anticipazioni per far fronte a eventuali carenze temporanee di cassa della Gestione commissariale.

I commi aggiuntivi da 1-bis a 1-sexies, inseriti durante l'esame da parte delle Commissioni riunite, disciplinano le iniziative necessarie all'accollo da parte dello Stato del prestito obbligazionario di Roma Capitale denominato RomeCity 5,345 per cento.

 

 

L'articolo 1, commi 922-930 e 932 della legge di bilancio 2019 ha disciplinato la definitiva individuazione della massa passiva del debito riferibile alla Gestione commissariale del Comune di Roma e all’estinzione dei debiti oggetto di ricognizione, al fine di giungere alla conclusione delle attività straordinarie della Gestione commissariale stessa. Sono pertanto state introdotte disposizioni che puntano a chiarire l’attribuzione in capo alla gestione commissariale di alcune poste relative al debito finanziario (commi 922-924)[52] e al debito commerciale, in particolare riferito a indennizzi derivanti da espropri (commi 925-926). Infine, è stato posto il termine perentorio di 36 mesi entro cui Roma Capitale può avanzare specifiche istanze di liquidazione di crediti riferibili alla gestione commissariale, per giungere alla definitiva rilevazione della massa passiva da approvare tramite D.P.C.M, che deve stabilire anche il termine finale per l’estinzione dei debiti (commi 927-930 e 932). Tale D.P.C.M. determina, contestualmente, la conclusione delle attività straordinarie della Gestione commissariale.

 

La Gestione commissariale del Comune di Roma è stata istituita dall’articolo 78 del decreto-legge n. 112 del 2008, che aveva nominato il Sindaco del comune di Roma Commissario straordinario del Governo, con il compito di provvedere alla ricognizione della situazione economico-finanziaria del comune e delle società da esso partecipate (con esclusione di quelle quotate nei mercati regolamentati) e di predisporre e attuare il piano di rientro dall’indebitamento pregresso del Comune.

In forza di tale disposizione, nell’ordinamento contabile del Comune di Roma (poi Roma Capitale ai sensi del D.Lgs. n.156 del 2010) sono state distinte due gestioni, tra loro separate:

§  la Gestione commissariale del Comune, che ha preso in carico tutte le entrate di competenza e tutte le obbligazioni assunte alla data del 28 aprile 2008;

§  la Gestione ordinaria, competente per il periodo successivo alla suddetta data, ed affidata agli organi istituzionali dell’ente comunale.

 

Il piano di rientro è stato approvato con D.P.C.M. 5 dicembre 2008.

 

Il decreto-legge n. 78 del 2010 (articolo 14, comma 13-bis) ha ribadito che il Commissario di Governo (non più individuato nella figura del Sindaco) procedesse all'accertamento definitivo del debito del comune di Roma, al fine di redigere il piano di rientro delle passività pregresse del comune, aggiornato in termini di crediti certi, liquidi ed esigibili. Il Commissario straordinario ha dunque predisposto il documento concernente l’accertamento del debito alla data del 30 luglio 2010, che individuava un disavanzo pari a 16,7 miliardi.

L’articolo 1, comma 751, della legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015) ha previsto periodici aggiornamenti del piano di rientro, che il Commissario straordinario deve proporre alla Presidenza del Consiglio entro il 31 maggio e il 30 novembre di ogni anno. Da ultimo, il piano di rientro è stato aggiornato al 30 novembre 2017 e approvato con D.P.C.M. 5 luglio 2018. Tale ultimo aggiornamento reca un debito commerciale di 3,1 miliardi di euro, un debito finanziario di 8 miliardi e una massa attiva di 1,7 miliardi.

Per ulteriori approfondimenti si rinvia alla Relazione sulla gestione commissariale per il 2017 presentata al Parlamento a settembre 2018 dall’attuale Commissario straordinario dott. Alessandro Beltrami (nominato con D.P.C.M. 12 aprile 2018).

 

In particolare, il comma 1, dell'articolo in esame, mediante l'inserimento del comma 932-bis all'articolo 1 della legge di bilancio 2019, dispone che:

a)   Roma capitale provveda alla cancellazione dei residui attivi e passivi nei confronti della gestione commissariale;

b)   i crediti di competenza della Gestione commissariale, iscritti nella massa attiva del piano di rientro dall'indebitamento pregresso di cui all'articolo 78 del decreto-legge n. 112 del 2008, come definito in attuazione del comma 930 della legge di bilancio 2019, siano trasferiti a Roma capitale. Conseguentemente, dovrà essere iscritto in bilancio un adeguato fondo crediti di dubbia esigibilità destinato ad essere conservato fino alla riscossione o cancellazione degli stessi crediti, mentre la differenza è finalizzata alla copertura dell'eventuale disavanzo derivante dalla cancellazione dei residui attivi e passivi di cui alla lettera a).

 

Lo stanziamento di un accantonamento al Fondo crediti di dubbia esigibilità, nella missione "Fondi e accantonamenti" in sede di redazione dei bilanci è previsto per gli enti locali dall'articolo 167 del TUEL (decreto legislativo n. 267 del 2000) così come modificato dal decreto legislativo n. 126 del 2014. L'ammontare del Fondo è determinato in considerazione dell'importo degli stanziamenti di entrata di dubbia e difficile esazione, secondo le modalità indicate nel principio applicato della contabilità finanziaria di cui all'allegato n. 4/2 al decreto legislativo n. 118 del 2011.

 

c)   la titolarità del piano di estinzione dei debiti, inclusi quelli finanziari, oggetto di ricognizione, come approvato con il D.P.C.M. di cui al comma 930 della legge di bilancio 2019 (si veda il box per una sintesi del contenuto dei rilevanti commi della legge di bilancio), sia trasferita a Roma capitale unitamente alle risorse di cui all'articolo 14, comma 14, del decreto-legge n. 78 del 2010, non destinate annualmente all'ammortamento del debito finanziario a carico del MEF individuati dallo stesso D.P.C.M di cui al comma 930;

La Relazione illustrativa chiarisce che la lettera c) dispone, a fronte del trasferimento a Roma Capitale della titolarità del piano di estinzione dei debiti, l'assegnazione al comune anche delle risorse necessarie a farvi fronte. Tali risorse sono tuttavia preventivamente ridotte delle somme occorrenti all'ammortamento del debito finanziario a carico del MEF, in modo da rendere l'operazione neutrale per il bilancio dello Stato.

 

L'articolo 14, comma 14, del decreto-legge n. 78 del 2010 ha disposto il finanziamento della Gestione commissariale con l'assegnazione di una dotazione pari a 500 milioni di euro annui. La copertura è stata individuata in parte mediante la costituzione di un fondo allocato su un apposito capitolo di bilancio del MEF con una dotazione annua di 300 milioni di euro, a decorrere dall'anno 2011. La restante quota è reperita mediante l'istituzione, fino al conseguimento di 200 milioni di euro annui complessivi:

a) di un'addizionale commissariale sui diritti di imbarco dei passeggeri sugli aeromobili in partenza dagli aeroporti della città di Roma fino ad un massimo di 1 euro per passeggero;

b) di un incremento dell'addizionale comunale all'imposta sul reddito delle persone fisiche fino al limite massimo dello 0,4.

 

d)   le posizioni debitorie derivanti da obbligazioni contratte in data anteriore al 28 aprile 2008, non inserite nella definitiva rilevazione della massa passiva di cui al comma 930, rientrano nella competenza di Roma capitale.

 

Il comma 1-bis prevede che Roma Capitale promuova le iniziative necessarie per ottenere l'adesione dei possessori delle obbligazioni RomeCity 5,345 per cento con scadenza 27 gennaio 2048 per 1.400 milioni di euro all'accollo del prestito obbligazionario medesimo da parte dello Stato. In caso di adesione, gli oneri derivanti dal pagamento degli interessi e del capitale del suddetto prestito obbligazionario sono assunti a carico del bilancio dello Stato, con efficacia a partire dal pagamento della cedola successiva a quella in corso al momento dell'adesione stessa.

 

Per accollo si intende un tipo di contratto – che rientra nell’articolo 1273 del codice civile -  che consiste nel subentrare nel rimborso di un mutuo o prestito stipulato da un altro soggetto, prima che il debito con la banca (accollataria) sia stato estinto.

 

Il prestito obbligazionario RomeCity 5,345 per cento (codice identificativo ISIN XS0181673798) è stato emesso nel 2003 per un importo di 1,4 miliardi di euro, con cedola fissa del 5,345% e scadenza 2048. È quotato alla Borsa del Lussemburgo con un prezzo pari a 123,111 (quotazione del 12 giugno 2019).

La disciplina dei Buoni ordinari comunali (BOC) è recata dall'articolo 35 della legge n. 724 del 1994, il quale prevede che gli enti territoriali possano emettere prestiti obbligazionari destinati esclusivamente al finanziamento degli investimenti, purché non si trovino in situazione di dissesto o in situazioni strutturalmente deficitarie, ovvero le regioni non ne abbiano ripianato i disavanzi di amministrazione. La durata del prestito non può essere inferiore a cinque anni e il rendimento effettivo al lordo di imposta non dovrà essere superiore, al momento dell'emissione, al rendimento lordo dei titoli di Stato di pari durata emessi nel mese precedente maggiorato di un punto. Gli enti emittenti devono operare una ritenuta del 12,50% sugli interessi, premi o altri frutti corrisposti.

Le ultime emissioni di BOC risalgono al 2005.

 

Per le finalità di cui al comma precedente, è istituito un fondo, ai sensi del comma 1-ter, nello stato di previsione del MEF, con una dotazione di 74,83 milioni di euro annui per ciascuno degli anni dal 2020 al 2048. Al relativo onere si provvede:

a)   mediante riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 14, comma 14, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.?78 (si veda il relativo box), per un importo pari a 50 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2025, a 70 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2026 al 2030 e a 74,83 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2031 al 2048;

b)   mediante versamento all'entrata del bilancio dello Stato delle risorse giacenti sulla contabilità speciale di cui all'articolo 37, comma 6, del decreto-legge 24 aprile 2014, n.?66 (si veda il relativo box), per un importo pari a 74,83 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021, a 24,83 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2025 e a 4,83 milioni di euro per ciascuno degli anni dai 2026 ai 2030. Al fine di assicurarne la disponibilità in ciascuno dei predetti anni, le giacenze della contabilità speciale possono essere utilizzate per le finalità originarie solo per la parte eccedente gli importi complessivi rimasti da versare all'entrata del bilancio dello Stato ai sensi della presente lettera.

L'articolo 37 (Strumenti per favorire la cessione dei crediti certificati) del decreto-legge n. 66 del 2014 introduce strumenti volti a favorire la cessione dei crediti di parte corrente certificati vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni diverse dallo Stato. Tali crediti devono essere certi, liquidi ed esigibili e riguardare somministrazioni, forniture ed appalti e prestazioni professionali, maturati al 31 dicembre 2013 e certificati, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Per tali debiti è prevista la concessione della garanzia dello Stato a partire dal momento dell’effettuazione di operazioni di cessione ovvero di ridefinizione con banche o intermediari finanziari. La Cassa depositi e prestiti e le istituzioni finanziarie dell’Ue e internazionali possono acquisire dalle banche e dagli intermediari finanziari, i crediti assistiti dalla garanzia dello Stato, anche al fine di effettuare operazioni di ridefinizione dei termini e delle condizioni di pagamento dei relativi debiti. Per la concessione delle predette garanzie, sono attribuite risorse pari a 150 milioni per il 2014 all’apposito Fondo di garanzia istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze. Il comma 6 dispone altresì l'istituzione di un Fondo di riserva, con una dotazione di 1.000 milioni per il 2014, per integrare le risorse dovute per le garanzie concesse dallo Stato.

 

Il comma 1-quater dispone che agli oneri in termini di indebitamento netto e fabbisogno derivanti dal comma 1-bis, pari a 74,83 milioni di euro annui per ciascuno degli anni dal 2020 al 2048, si provvede mediante corrispondente riduzione del limite alle somme che il Commissario straordinario del Governo per la gestione del piano di rientro del debito pregresso del comune di Roma è autorizzato annualmente a utilizzare a valere sui contributi pluriennali di cui all'articolo 14, comma 14, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.?78. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, adottato ai sensi dell'articolo 4, comma 177-bis, della legge n. 350 del 2003, è rideterminato il limite di cui al primo periodo del presente comma.

 

Il citato articolo 4, comma 177-bis, della legge n. 350 del 2003 dispone che, in sede di attuazione di disposizioni legislative che autorizzano contributi pluriennali, il relativo utilizzo, anche mediante attualizzazione, è disposto con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa verifica dell'assenza di effetti peggiorativi sul fabbisogno e sull'indebitamento netto rispetto a quelli previsti dalla legislazione vigente.

 

Ai sensi del comma 1-quinquies, in caso di mancata adesione da parte dei possessori delle obbligazioni di cui al comma 1-bis, la dotazione del fondo di cui al comma 1-ter è destinata alle finalità di cui all'articolo 14, comma 14, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.?78, ovvero alla dotazione della Gestione commissariale del Comune di Roma.

 

In caso di adesione da parte dei possessori delle obbligazioni, invece, ai sensi del comma 1-sexies, un importo pari a 200 milioni di euro annui per ciascuno degli anni dal 2042 al 2048 dell'autorizzazione di spesa relativa alla dotazione della Gestione commissariale del Comune di Roma, di cui all'articolo 14, comma 14, del decreto-legge n. 78 del 2010, è destinato al rimborso della quota capitale delle obbligazioni di cui al citato comma 1-bis.

 

Il comma 2 autorizza, fino al termine delle attività straordinarie di cui all'articolo 78 del decreto-legge n. 112 del 2008, il comune di Roma capitale a concedere delle anticipazioni di liquidità alla Gestione commissariale per sopperire a temporanee carenze di liquidità della Gestione stessa. La disciplina dei termini (modalità, eventuale tasso di interesse e restituzione) della concessione è demandata a una apposita convenzione tra Roma Capitale e la Gestione Commissariale.


 

Articolo 38, commi 1-septies-1-octies e 1-decies-1-terdecies
(Comuni capoluogo delle città metropolitane in dissesto, anticipazioni di tesoreria e durata del piano di riequilibrio finanziario pluriennale)

 

 

L’articolo 38, ai commi 1-septies, 1-octies e 1-decies, introdotti dalle Commissioni riunite, interviene sui comuni capoluogo delle città metropolitane in dissesto. A tal fine, si prevede l’istituzione di un fondo per il concorso al pagamento del debito dei comuni capoluogo delle città metropolitane, disciplinando l'entità e le modalità di ripartizione dei contributi a valere sul medesimo fondo.

I comuni con popolazione superiore a 60.000 abitanti in stato di dissesto finanziario vengono autorizzati a ridurre gli importi dei contratti in essere (comma 1-undecies).

Viene altresì disciplinata la durata delle anticipazioni di tesoreria agli enti locali in dissesto economico-finanziario (comma 1-duodecies).

Infine, vengono modificati i criteri di calcolo della durata massima del piano di riequilibrio finanziario pluriennale per i comuni e le province con squilibri strutturali del bilancio (comma 1-terdecies).

 

In particolare, il comma 1-septies stabilisce che, per gli anni dal 2020 al 2022, un importo commisurato ai minori esborsi eventualmente derivanti da operazioni di rinegoziazione dei mutui in essere con istituti di credito di competenza della Gestione commissariale, effettuate dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è destinato ad alimentare un fondo, da istituire nello stato di previsione del Ministero dell'interno, denominato «fondo per il concorso al pagamento del debito dei comuni capoluogo delle città metropolitane». Il Commissario straordinario del Governo per la gestione del piano di rientro del debito pregresso del comune di Roma promuove presso gli istituti di credito ogni iniziativa utile al raggiungimento di detto obiettivo. L'eventuale conclusione dei contratti di rinegoziazione è comunque subordinata, in deroga a quanto previsto dall'articolo 1, commi 751 e seguenti, della legge n. 208 del 2015 ? che attribuisce alla Presidenza del Consiglio dei ministri, sentiti il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dell'interno, il compito di approvare l'aggiornamento del piano di rientro ? all'emanazione di un decreto di autorizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze.

Il fondo di cui al primo periodo è incrementato, anche in via pluriennale, con le seguenti modalità:

a)      mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 14, comma 14, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.?78. In tal caso, il limite alle somme che il citato Commissario straordinario è autorizzato annualmente a utilizzare a valere sui contributi pluriennali di cui all'articolo 14, comma 14, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.?78, è corrispondentemente ridotto;

b)     mediante riassegnazione delle somme versate all'entrata del bilancio dello Stato da parte del citato Commissario straordinario a valere sulle disponibilità giacenti sul conto corrente di tesoreria ad esso intestato. In tal caso, l'importo delle somme versate è computato ai fini della verifica del rispetto del limite di cui al secondo periodo della lettera a).

 

Il comma 1-octies riconosce un contributo ai fini del concorso nel pagamento delle rate in scadenza dei mutui contratti per spese di investimento da parte dei comuni capoluogo delle città metropolitane in dissesto alla data di entrata in vigore del presente decreto, fermo restando quanto previsto dal comma 1-septies (riguardante la rinegoziazione dei mutui in essere di competenza della gestione commissariale).

Il contributo ammonta a 20 milioni di euro per l'anno 2019 e di 35 milioni di euro annui per ciascuno degli anni dal 2020 al 2033.

La copertura del relativo onere viene definita come segue:

a)   quanto a 20 milioni di euro per l'anno 2019, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di conto capitale, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero;

b)   quanto a 35 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2020 al 2033, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 1091, della legge di bilancio 2018 (legge n. 205 del 2017), che istituisce, nello stato di previsione del MEF, il Fondo per interventi volti a favorire lo sviluppo del capitale immateriale, della competitività e della produttività.

Si ricorda in proposito che l’art. 1, comma 1091, della L. n. 205/2017 ha istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, un Fondo per interventi volti a favorire lo sviluppo del capitale immateriale, della competitività e della produttività, finalizzato a perseguire obiettivi di politica economica ed industriale, connessi anche al programma Industria 4.0, nonché ad accrescere la competitività e la produttività del sistema economico

 

Il comma 1-decies dispone che il fondo di cui al comma 1-septies è annualmente ripartito, su richiesta dei comuni interessati, tra i comuni capoluogo delle città metropolitane che hanno deliberato il ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale o la dichiarazione di dissesto finanziario, ai sensi rispettivamente degli articoli 243-bis e 246 del TUEL (decreto legislativo n. 267 del 2000), o che hanno deliberato un piano di interventi pluriennale monitorato dalla competente sezione della Corte dei conti. Il fondo è ripartito con decreto del Ministero dell'interno, di concerto con il MEF, sentita la Conferenza-Stato città ed autonomie locali, entro il 30 novembre 2019, in proporzione all'entità delle rate annuali di rimborso del debito.

 

Il comma 1-undecies autorizza i comuni con popolazione superiore a 60.000 abitanti che hanno dichiarato, in data successiva al 1° gennaio 2012, lo stato di dissesto finanziario di cui all'articolo 244 del TUEL e che successivamente hanno deliberato la procedura di riequilibrio finanziano pluriennale ai sensi dell'articolo 243-bis del medesimo testo unico, al fine di assicurare il ripiano delle passività individuate nel piano di cui al comma 6 del medesimo articolo 243-bis, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nella salvaguardia di quanto previsto dagli articoli 95 e 97 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016, a ridurre gli importi dei contratti in essere, nonché di quelli relativi a procedure di affidamento per cui sia già intervenuta l'aggiudicazione, anche provvisoria, aventi a oggetto l'acquisto o la fornitura di beni e servizi, nella misura del 5 per cento, per tutta la durata residua dei contratti medesimi.

Le parti hanno facoltà di rinegoziare il contenuto dei contratti, in funzione della suddetta riduzione. È fatta salva la facoltà del prestatore dei beni o servizi di recedere dal contratto, entro trenta giorni dalla comunicazione della manifestazione di volontà di operare la riduzione, senza alcuna penalità da recesso verso l'amministrazione. Il recesso è comunicato all'amministrazione e ha effetto decorsi trenta giorni dal ricevimento della relativa comunicazione da parte di quest'ultima. In caso di recesso, i comuni di cui al presente comma, nelle more dell'espletamento delle procedure per nuovi affidamenti, possono, al fine di assicurare comunque la disponibilità di beni e servizi necessari alla loro attività, stipulare nuovi contratti accedendo a convenzioni-quadro di Consip Spa, a quelle di centrali di committenza regionale o tramite affidamento diretto nel rispetto della disciplina europea e nazionale in materia di contratti pubblici.

?

Il comma 1-duodecies modifica la durata dell'intervallo di tempo entro cui le anticipazioni di tesoreria per gli enti locali in dissesto economico-finanziario, che abbiano adottato la deliberazione di cui all'articolo 251, comma 1 (incremento di aliquote e tariffe di base nella misura massima consentita), e che si trovino in condizione di grave indisponibilità di cassa, possono essere concesse entro il limite di 5 dodicesimi (anziché 3 dodicesimi) delle entrate accertate nel penultimo anno precedente. In particolare, tale durata è ampliata «fino al raggiungimento dell'equilibrio di cui all'articolo 259 e, comunque, per non oltre cinque anni, compreso quello in cui è stato deliberato il dissesto».

 

Il comma 1-terdecies modifica la tabella di cui al comma 5-bis dell'articolo 243-bis del TUEL riguardante la durata massima del piano di riequilibrio finanziario pluriennale, di cui al primo periodo del comma 5 del medesimo articolo per i comuni e le province per i quali sussistano squilibri strutturali del bilancio, determinata sulla base del rapporto tra le passività da ripianare nel medesimo e l'ammontare degli impegni di cui al titolo I della spesa del rendiconto dell'anno precedente a quello di deliberazione del ricorso alla procedura di riequilibrio o dell'ultimo rendiconto approvato.

 

Nuova tabella:

 

Rapporto passività/impegni di cui al titolo I (nuova tabella)

Rapporto passività/impegni di cui al titolo I (vecchia tabella)

Durata massima del piano di riequilibrio finanziario pluriennale

Identico

Fino al 20 per cento

4 anni

Identico

Superiore al 20 per cento e fino al 60 per cento

10 anni

Superiore al 60 per cento e fino al 100 per cento per i comuni fino a 60.000 abitanti

Superiore al 60 per cento e fino al 100 per cento

15 anni

Oltre il 65 per cento per i comuni con popolazione superiore a 60.000 abitanti e oltre il 100 per cento per tutti gli altri comuni

Oltre il 100 per cento

20 anni

 


 

Articolo 38, comma 1-novies
(Accantonamento di somme per trapianti
pediatrici e adroterapia tumorale)

 

 

Il comma 1-novies dell’articolo 38, introdotto nel corso dell’esame in sede referente alla Camera, aggiunge una disposizione volta ad estendere anche al 2019 l’accantonamento delle somme già previste, per il 2017 e per il 2018, per la realizzazione di specifici obiettivi di ricerca, assistenza e cura diretti al miglioramento dell'erogazione dei LEA, quali trapianti pediatrici e adroterapia tumorale.

 

Per tali finalità è stato già previsto, dall’art. 18, comma 1, lett. a) e b) del DL. 148/2017 (L. 172/2017), previa intesa in Conferenza Stato-regioni, un accantonamento sulle disponibilità da ripartire per il SSN, rispettivamente, di 9 e 12,5 milioni di euro per ciascun anno del biennio 2017-2018.

La norma in esame stabilisce inoltre che per l’anno 2019, la somma accantonata per le finalità di cui alle citate lett. a) e b), dovrà essere ripartita secondo gli importi definititi in sede di Conferenza Stato-regioni e province autonome.

 

In proposito si ricorda che l’importo complessivo dell’accantonamento previsto dalla richiamata disposizione a legislazione vigente è di 32,5 milioni di euro, comprensivo di 11 milioni da ripartire a strutture, anche private accreditate, di rilievo nazionale nel settore delle neuroscienze.

Più in dettaglio, gli obiettivi di cui alle lett. a) e b) si riferiscono a risorse da ripartire a strutture, anche private accreditate, di rilievo nazionale ed internazionale con specificità e innovatività riconosciute, rispettivamente, nell'erogazione di prestazioni pediatriche, con specifica prevalenza di trapianti di tipo allogenico e di trattamenti adroterapici con irradiazione di ioni carbonio per specifiche neoplasie maligne. Si ricorda che, in base alle norme del collegato fiscale alla legge finanziaria per il 1997 (commi 34 e 34-bis, art. 1, L. 662/1996) è prevista la possibilità per il CIPE, su proposta del Ministro della salute, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni e province autonome, di vincolare specifiche quote del Fondo sanitario nazionale alla realizzazione di obiettivi del Piano sanitario, con determinate priorità volte a migliorare l’erogazione dei LEA.

 

Si sottolinea che l’accantonamento non produce oneri per la finanza pubblica in quanto si tratta di risorse del Fondo sanitario nazionale già stanziate per il 2019.

 


 

Articolo 38, comma 1-quaterdecies
(Contributo al Comune di Alessandria)

 

 

Il comma 1-quaterdecies, dell’articolo 38 introdotto dalle Commissioni riunite, dispone l'attribuzione di un contributo in conto capitale di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021 al comune di Alessandria.

 

In particolare, il comma in esame stabilisce che, nell'ambito delle misure volte ad assicurare la realizzazione di iniziative prioritarie, è riconosciuto al comune di Alessandria un contributo in conto capitale di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021.

La copertura del relativo onere è indicata nella corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 1091, della legge di bilancio 2018 (legge n. 205 del 2017), che istituisce, nello stato di previsione del MEF, il Fondo per interventi volti a favorire lo sviluppo del capitale immateriale, della competitività e della produttività.

Limitatamente agli anni interessati dal comma in esame, quest'ultimo fondo dispone di una dotazione di 125 milioni di euro per l'anno 2020 e di 250 milioni di euro per l'anno 2021.

Si segnala, peraltro, che su tale fondo di cui al comma 1091 della legge di bilancio 2018, si dispone altresì la copertura finanziaria dei commi da 14-bis a 14-quinquies dell’articolo 30, introdotti nel corso dell’esame alla Camera, nonché del comma 1-octies dell’articolo 38, anch’esso introdotto alla Camera (cfr. relative schede di lettura).


 

Articolo 38, comma 1-quinquiesdecies
(Differimento termini Rendiconto di gestione dei Comuni interessati da eventi sismici della provincia di Campobasso e della Città metropolitana di Catania)

 

 

Il comma 1-quinquiesdecies dell’articolo 38 introdotto dalle Commissioni riunite, fissa al 31 luglio 2019 (in luogo del 30 aprile) il termine per la presentazione del rendiconto di gestione per il 2018 da parte dei Comuni della provincia di Campobasso e della Città metropolitana di Catania.

 

L'ambito di applicazione delle disposizioni è stabilito operando un richiamo alle deliberazioni del Consiglio dei ministri che hanno dichiarato lo stato di emergenza nei medesimi territori.

 

Con deliberazione del Consiglio dei ministri del 6 settembre 2018 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 213 del 13 settembre 2018) è stato dichiarato, per la durata di 6 mesi decorrenti dalla data del 6 settembre, lo stato di emergenza nei Comuni della Provincia di Campobasso colpiti da una serie di eventi sismici a far data dal 16 agosto 2018.

Con deliberazione del Consiglio dei ministri del 28 dicembre 2018 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 1 del 2 gennaio 2019) è stato dichiarato lo stato di emergenza nei Comuni di Aci Bonaccorsi, Aci Catena, Aci Sant'Antonio, Acireale, Milo, Santa Venerina, Trecastagni, Viagrande e Zafferana Etnea, in Provincia di Catania, colpiti dall'evento sismico del giorno 26 dicembre 2018.

 

Ai sensi del comma 1, dell'art. 227 TUEL il rendiconto della gestione comprende il conto del bilancio, il conto economico e lo stato patrimoniale ed espone risultati di gestione. Il medesimo articolo stabilisce che il rendiconto sia deliberato dall'organo consiliare entro il 30 aprile dell'anno successivo all'anno di riferimento. Con la disposizione in esame il termine per il rendiconto della gestione 2018 è differito al 31 luglio 2019 per i Comuni colpiti da eventi sismici nella provincia di Campobasso e nella città metropolitana di Catania.

 


 

Articolo 38, commi 2-bis–2-quater
(Piani di riequilibrio finanziario pluriennale)

 

 

I commi da 2-bis a 2-quater dell’articolo 38 introducono alcune disposizioni che intervengono sulla disciplina dei piani di riequilibrio finanziario pluriennale che, presentati dagli enti locali in situazione di predissesto, sono stati riformulati o rimodulati ai sensi dell'articolo 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.

La normativa introdotta dai commi in esame è conseguente alla Sentenza della Corte Costituzionale n. 18 del 14 febbraio 2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato comma 714 dell’articolo 1 della legge n. 208/2015, come sostituito dall’art. 1, comma 434, della legge n. 232/2016, il quale ha dato facoltà agli enti locali che avevano presentato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale, o che ne avevano conseguito l’approvazione, prima dell’approvazione del rendiconto per l’esercizio 2014 e che non avevano ancora provveduto ad effettuare il riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi richiesto dall’art. 3, comma 7, del D.Lgs. n. 118/2011 (armonizzazione contabile), di rimodulare o riformulare il predetto piano entro il 31 maggio 2017, scorporando la quota di disavanzo risultante dalla revisione straordinaria dei residui richiesta dall’art. 243-bis comma 8, lett. e), e ripianando tale quota in un arco temporale di trenta anni (più ampio di quello previsto dalla normativa allora vigente, che ne limitava la durata ad un periodo massimo di 10 anni; attualmente, la durata del piano è compresa tra quattro e venti anni).

A seguito della Sentenza, pertanto, il comma 2-bis consente agli enti locali che hanno proposto la rimodulazione/riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi del comma 714, di riproporre il piano, al fine di adeguarlo alla normativa vigente.

I piani riproposti devono contenere il ricalcolo complessivo del disavanzo da ripianare, già oggetto del piano modificato, nel rispetto della disciplina vigente (comma 2-ter).

Le rimodulazioni dei piani di riequilibrio di cui ai commi precedenti, in ragione della situazione di eccezionale urgenza, sono oggetto di approvazione o di diniego della competente Sezione della Corte dei conti entro 20 giorni dalla ricezione dell’atto deliberativo del Consiglio comunale (comma 2-quater).


 

Si rammenta che l’articolo 243-bis del TUEL - come successivamente modificato, da ultimo dall’art. 1, commi 888-889, della legge n. 205/2017 - stabilisce che gli enti locali per i quali sussistano squilibri di bilancio in grado di provocarne il dissesto finanziario possono ricorrere, con deliberazione consiliare, alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale ed, entro i successivi novanta giorni (decorrenti dalla data di esecutività della delibera) approvare un piano di riequilibrio finanziario pluriennale di durata compresa tra quattro e venti anni, compreso quello in corso, corredato del parere dell'organo di revisione economico-finanziario. La durata massima del piano di riequilibrio finanziario pluriennale è determinata sulla base del rapporto tra le passività da ripianare e l'ammontare degli impegni di spesa corrente (Titolo I) del rendiconto dell'anno precedente a quello di deliberazione del ricorso alla procedura di riequilibrio o dell'ultimo rendiconto approvato.

Il piano di riequilibrio deve contenere tutte le misure necessarie a superare lo squilibrio.

Una volta deliberato, entro 10 giorni il piano deve essere trasmesso alla Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali (prevista dall’articolo 155 del TUEL), per l’istruttoria, ed alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti, ai fini dell’approvazione dello stesso entro 30 giorni, secondo le procedure stabilite dall’articolo 243-quater. In caso di approvazione del piano, la Corte dei Conti vigila sull'esecuzione dello stesso, adottando in sede di controllo, effettuato ai sensi dell'art. 243-bis, comma 6, lettera a), apposita pronuncia.

Ai fini del riequilibrio, l’ente interessato può avvalersi anche di una apposita anticipazione, prevista dall’articolo 243-ter: Questa è erogata dallo Stato a valere sul Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali, con predeterminati massimali (300 euro per abitante per i comuni e 20 euro per abitante per le province) e deve essere restituita entro 10 anni.

In caso di accesso al Fondo, l’ente locale deve adottare alcune specifiche misure di riequilibrio statuite dall’articolo 243-bis, consistenti nella riduzione delle spese per il personale, di quelle per prestazioni di servizi e di trasferimenti, nonché nel blocco dell’indebitamento.

Sulla suesposta disciplina sono successivamente intervenute numerose integrazioni e modifiche normative, principalmente volte a consentire agli enti locali, che avevano già attivato la procedura di riequilibrio, la facoltà di riformulazione e/o rimodulazione dei piani di riequilibrio, per lo più legate all’esigenza di coordinamento tra i contenuti del piano di riequilibrio e gli eventuali effetti peggiorativi derivanti dall’adozione degli adempimenti previsti per il passaggio al sistema di contabilità armonizzata, di cui al D.Lgs. n. 118/2011, connessi principalmente al riaccertamento straordinario dei residui.

 

Come sopra già detto, le disposizioni introdotte dai commi in esame sono finalizzate a consentire agli enti locali di recepire il contenuto della Sentenza n. 18/2019 della Corte Costituzionale, mediante la riproposizione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale, qualora questo sia stato rimodulato/riformulato ai sensi del comma 714 della legge n. 208/2015, comma ora dichiarato incostituzionale.

A tal fine, la norma dà facoltà agli enti locali che entro la data del 14 febbraio 2019, di deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 18/2019, hanno proposto la rimodulazione o riformulazione dei loro piani di riequilibrio ai sensi del citato comma 714, di riproporre il piano medesimo per adeguarlo alla normativa vigente, secondo la procedura prevista ai commi 888-889 dell’articolo 1 della legge n. 205/2017 (comma 2-bis).

La riproposizione è necessaria anche nel caso in cui il piano, riformulato ai sensi del comma 714, non sia ancora approvato dalla competente Sezione regionale della Corte dei conti ovvero sia stato inciso da provvedimenti conformativi alla predetta sentenza della Sezione regionale competente.

 

Si rammenta, al riguardo, che la facoltà di rimodulazione/riformulazione del piano di riequilibrio pluriennale prevista dal citato comma 714 era legata alla condizione che, alla data di presentazione od approvazione del piano di riequilibrio originario, l’ente locale non avesse ancora approvato il rendiconto 2014 ed effettuato lo specifico riaccertamento straordinario dei residui[53] previsto dall’articolo 3 del decreto legislativo n. 118/2011 (contabilità armonizzata).

Il comma 714 consentiva, in tal caso, una diversa facoltà di gestione della quota di disavanzo connesso agli effetti contabili del riaccertamento, scorporando la quota di disavanzo risultante dalla revisione straordinaria dei residui richiesta dalla procedura di riequilibrio (ai sensi dell’art. 243-bis, comma 8, lettera e)[54], del D.Lgs. n. 267/2000), e consentendone il ripiano - nonché la restituzione delle anticipazioni di liquidità erogate - in un arco temporale di 30 anni (in luogo dei 10 anni allora previsti dall’art. 243-bis del TUEL), in coerenza con quanto previsto per il ripiano del disavanzo derivante dal riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi di cui all’art. 3, comma 16, del D.Lgs. n. 118/2011.

Tale comma dispone, infatti, che l'eventuale maggiore disavanzo di amministrazione al 1° gennaio 2015, determinato dal riaccertamento straordinario dei residui, effettuato a seguito dell'attuazione del comma 7 e dal primo accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità, sia ripianato in non più di 30 esercizi a quote costanti l'anno.

 

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 18 del febbraio 2019 ha dichiarato fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 714, della legge n. 208 del 2015, come sostituito dall’art. 1, comma 434, della legge n. 232 del 2016, in riferimento agli artt. 81 e 97, primo comma, Cost., sia sotto il profilo della lesione dell’equilibrio e della sana gestione finanziaria del bilancio, sia per contrasto con gli interdipendenti principi di copertura pluriennale della spesa e di responsabilità nell’esercizio del mandato elettivo.

Con l’allungamento dei tempi di rientro dal disavanzo - secondo la Corte-  “l’equilibrio del bilancio sarebbe alterato per l’intero trentennio, durante il quale sarebbero consentite spese correnti oltre la dimensione delle risorse di parte corrente; sarebbero violate le regole inerenti all’indebitamento che, per finanziare la permanenza in deficit trentennale, graverebbero in modo ingiusto e illogico sulle generazioni future; sarebbe leso in modo irreparabile il principio di rappresentanza democratica, perché la responsabilità degli amministratori che hanno provocato il deficit sarebbe stemperata per un lunghissimo arco generazionale, in modo da determinare una sorta di oblio e di immunità a favore dei responsabili”.

“La norma violerebbe gli artt. 81 e 97 Cost., autonomamente e «in combinato disposto» con gli artt. 1, 2, 3 e 41 Cost., in quanto prevederebbe una misura di salvaguardia dell’equilibrio di bilancio destinata a dipanarsi in un arco temporale dilatato ben oltre il ciclo triennale di bilancio e ad ampliare la capacità di spesa dell’ente in condizioni di conclamato squilibrio. In tal modo, inoltre, la disciplina dettata dalla norma: a) sottrarrebbe gli amministratori locali al vaglio della loro responsabilità politica nei confronti dell’elettorato; b) non assolverebbe il dovere di solidarietà nei confronti delle generazioni future, facendo gravare su di esse debiti e disavanzi in modo sproporzionato poiché lo squilibrio non tempestivamente risanato sarebbe destinato a riverberarsi in ragione del principio di continuità dei bilanci; c) non consentirebbe di supportare con risorse effettive le politiche volte a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini; d) pregiudicherebbe il tempestivo adempimento degli impegni assunti nei confronti delle imprese, potenzialmente determinandone la crisi”.

La Corte ricorda come il regime ordinario inerente alla copertura del disavanzo di gestione preveda (art. 188 del T.U. enti locali) che esso sia immediatamente applicato all’esercizio in corso di gestione contestualmente alla delibera di approvazione del rendiconto o, comunque, nell’arco del triennio successivo e – in caso di scadenza del mandato elettorale – entro la data di quest’ultimo. Già la disciplina del predissesto consentirebbe una rilevante deroga temporale per completare il rientro dal deficit, consentendo di fruire di anticipazioni e prolungare gli accantonamenti fino al limite di dieci anni. La norma censurata consentirebbe in modo irragionevole e contraddittorio di mantenere inalterato il piano di pagamento dei creditori e di fruire di un allargamento della spesa corrente fino al limite temporale dei trenta anni, in misura pari al minore accantonamento conseguente alla dilazione trentennale.

Si ricorda, peraltro, che, a seguito alla sentenza n. 18/2019 della Corte Costituzionale, il Governo, con una lettera aperta inviata dalla vice-Ministra all’economia e alle finanze, Laura Castelli, alla Corte dei conti, ha chiesto l’emanazione di un parere di orientamento con cui fornire delucidazioni in merito all’attuazione corretta e puntuale della Sentenza n. 18/2019.

La Corte dei Conti, il 12 aprile 2019, ha fornito tale parere di orientamento con la deliberazione N. 8/SEZAUT/2019.

Al fine di consentire agli enti locali di recepire il contenuto della Sentenza n. 18/2019 della Corte Costituzionale, i termini per la deliberazione del bilancio di previsione 2019-2021 da parte degli enti locali con procedura di riequilibrio finanziario pluriennale sono stati differiti dapprima al 30 aprile 2019, con il D.M. interno 28 marzo 2019, e poi al 31 luglio 2019, con il D.M. Interno 24 aprile 2019.

 

Per quel che concerne la procedura per la riproposizione del piano, il comma 2-bis richiama la disciplina vigente di cui all’articolo 1, commi 888 e 889, della legge n. 207/2015.

Si rammenta che il citato comma 888 ha apportato modifiche alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, modificando il termine di durata del piano (allora fissata in massimo 10 anni dall’art. 243?bis comma 5 del TUEL), stabilendone una durata compresa tra i 4 e i 20 anni.

Il comma ha introdotto, nel contempo, un criterio oggettivo per determinarne la durata massima, da determinarsi sulla base del rapporto tra le passività da ripianare nel piano medesimo e l'ammontare degli impegni di spesa del rendiconto dell'anno precedente a quello di deliberazione del ricorso alla procedura di riequilibrio (o dell'ultimo rendiconto approvato). In particolare:

§  se il rapporto è fino al 20%; la durata massima del piano è di 4 anni;

§  se il rapporto è dal 20 al 60%, la durata e fino a10 anni;

§  se il rapporto è dal 60 al 100%, la durata è fino a 15 anni;

§  se il rapporto è oltre il 100%, la durata può arrivare fino a 20 anni.

Tali percentuali, si segnala, sono modificate dal provvedimento in esame dal comma 1-terdecies dell’articolo 38, alla cui scheda si rinvia.

Il comma 889 reca le norme che consentono anche agli enti locali che hanno già presentato il piano di riequilibrio, di rimodularlo o riformularlo alla luce delle nuove disposizioni, secondo le seguenti modalità:

§  gli enti che intendono avvalersi di tale facoltà devono trasmettere la deliberazione con cui si richiede la modifica del piano alla sezione regionale della Corte dei conti e al Ministro dell’interno entro 15 giorni dalla entrata in vigore della presente legge di bilancio;

§  il consiglio dell'ente locale entro 45 giorni dalla esecutività della suddetta deliberazione deve approvare il nuovo piano, corredato del parere dell'organo di revisione economico-finanziaria;

§  alla adozione del nuovo piano si applicano le medesime procedure previste dall’articolo 243-bis del TUEL. I termini attinenti alla trasmissione del nuovo piano alla Corte dei conti, per il suo esame e per l’eventuale impugnazione, nonché quelli concernenti il controllo dell’attuazione del piano sono dimezzati rispetto a quanto previsto dall’ art. 243-quater, comma 7 del TUEL.

Il comma 889 dispone inoltre che per gli enti per i quali la Corte di conti abbia già accertato il grave mancato rispetto degli obiettivi intermedi del piano originario, un ulteriore mancato rispetto degli obiettivi del nuovo piano comporti per l’ente, ai sensi del medesimo comma 7 dell’articolo 243-quater, l’avvio della procedura per deliberare lo stato di dissesto.

 

I piani riproposti ai sensi del comma 2-bis devono contenere il ricalcolo complessivo del disavanzo da ripianare, già oggetto del piano modificato, nel rispetto della normativa vigente (comma 2-ter).

La norma tiene ferma la disciplina la disciplina prevista per il ripiano degli altri disavanzi.

 

Il comma 2-quater prevede, infine, che le rimodulazioni dei piani di riequilibrio di cui ai commi precedenti, in ragione della situazione di eccezionale urgenza, sono oggetto di approvazione o di diniego della competente Sezione della Corte dei conti entro 20 giorni dalla ricezione dell’atto deliberativo del Consiglio comunale.

Per i piani per i quali pende la fase istruttoria presso la Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali, di cui all’articolo 155 del richiamato TUEL n. 267 del 2000, il comma prevede che la Commissione concluda la fase istruttoria entro 20 giorni dalla ricezione delle deliberazioni ed invii, entro i successivi cinque giorni, le proprie considerazioni istruttorie conclusive alla competente Sezione territoriale della Corte dei conti, la quale provvede alla approvazione o al diniego del piano di riequilibrio riformulato entro venti giorni dalla ricezione degli atti.

Tali riproposizioni non sospendono le azioni esecutive.


 

Articolo 38, comma 2-quinquies
(Contributo al comune di Campione d’Italia)

 

 

Il comma 2-quinquies dell’articolo 38, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, prevede di corrispondere al comune di Campione d’Italia un contributo fino alla misura massima di 5 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2019, per le esigenze di bilancio del comune.

 

L’importo è corrisposto prioritariamente per le esigenze di funzionamento dell’ente, a valere sulle somme stanziate sul capitolo 1379 dello stato di previsione del Ministero dell’interno, denominato “Contributo straordinario al comune di Campione d’Italia”, che - secondo quanto esposto nella relazione tecnica all’emendamento con cui è stato introdotto il comma in esame - non vengono attualmente utilizzate per intero.

Si tratta, si ricorda, del capitolo istituito ai sensi del D.P.C.M. 10 marzo 2017 (art. 3, comma 7), che, in sede di riparto del Fondo per il finanziamento di interventi a favore degli Enti territoriali solo in termini di saldo netto da finanziare (istituito dal comma 433, dell’art. 1 della legge n. 232/2016), ha destinato un importo nel limite massimo di 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2017 ad alimentare un fondo nello stato di previsione del Ministero dell'interno (cap. 1379), in considerazione delle particolari condizioni geo-politiche del comune di Campione d'Italia, exclave italiana in Svizzera.

Per l’utilizzo delle suddette risorse, i commi 7 e 8 dell’articolo 3 del D.P.C.M. 10 marzo 2017, prevedono che, a valere su detto fondo, qualora il tasso di cambio medio del franco svizzero rispetto all'euro dell'anno precedente sia inferiore al valore di 1,31 franchi svizzeri per euro, entro il 28 febbraio dell'anno di riferimento, sia attribuito al Comune di Campione d'Italia un contributo, fino all'importo massimo di 10 milioni di euro annui in caso di parità fra le due valute, in misura direttamente proporzionale allo scostamento del tasso di cambio medio dell'anno precedente dal predetto valore soglia di 1,31. Nel caso contrario - in cui, cioè, il tasso di cambio medio del franco svizzero rispetto all'euro dell'anno precedente superi il valore soglia di 1,31, il Comune versa all'entrata del bilancio dello Stato una somma, fino all'importo massimo di 10 milioni di euro annui in caso di tasso di cambio medio dell'anno precedente di 1,62 franchi svizzeri per euro, in misura direttamente proporzionale allo scostamento del tasso di cambio medio dell'anno precedente dal predetto valore soglia di 1,31. In caso di mancato o parziale versamento della somma dovuta dal comune di Campione d'Italia le somme sono recuperate a valere sull’IMU.

 

Come riportato nella relazione illustrativa dell’emendamento con cui è stato introdotto il comma in esame, il contributo annuale concesso è finalizzato a riportare in equilibrio di bilancio del comune di Campione d’Italia, che, a seguito del fallimento e della conseguente chiusura della casa da gioco “non è più nelle condizioni di erogare i servizi pubblici essenziali e di pagare dipendenti e fornitori a causa delle mancate entrate in precedenza garantite dalla Casa da gioco stessa”.

 

Si ricorda che, di recente, già con il D.L. n. 119/2018 (articolo 25-octies) e poi con la legge di bilancio per il 2019 (articolo 1, comma 570, legge n. 145/2018) si è intervenuti a dare sostegno finanziario al comune di Campione d’Italia, a seguito della situazione di grave squilibrio finanziario dell’ente conseguente al fallimento della Casa da gioco, squilibrio imputabile, secondo quanto rilevato dalla Corte dei conti (deliberazione della Corte dei conti n. Lombardia/101/2018/PRSP del 6 aprile 2018), principalmente alla mancata riscossione delle somme accertate verso la Società Casinò di Campione d’Italia S.p.a., società a totale partecipazione comunale costituita per la gestione della casa da gioco, i cui proventi, al netto dei costi, sono destinati al comune socio. Di conseguenza, il comune di Campione d'Italia ha deliberato il dissesto finanziario nel giugno 2018 e con D.P.R. 12 luglio 2018 è stato nominato il Commissario Straordinario di Liquidazione, per l'amministrazione della gestione e dell'indebitamento pregresso e per l'adozione di tutti i provvedimenti per l'estinzione dei debiti del comune.

Secondo la normativa vigente (di cui all’articolo 10-bis del D.L. n. 174/2012), la gestione della casa da gioco di Campione d’Italia è affidata ad una società per azioni - la Società Casinò di Campione d’Italia S.p.A., costituita in data 31 luglio 2014 - soggetta a certificazione di bilancio, il cui socio unico è il Comune di Campione d’Italia; la stessa società è sottoposta al controllo dei Ministeri dell’interno e dell’economia e delle finanze, attraverso la nomina di 2 rappresentanti nel collegio sindacale. A valere sui proventi annuali della casa da gioco - al netto del prelievo fiscale - viene quantificato il contributo finalizzato al finanziamento del bilancio del comune di Campione d’Italia.

A seguito del ridimensionamento degli introiti della casa da gioco e del conseguente squilibrio finanziario del comune, connesso alla svalutazione, con l’articolo 1, comma 763, della legge n. 208/2015 è stato attribuito al comune di Campione d’Italia un contributo di 9 milioni di euro per l’anno 2016 e, successivamente, in sede di riparto del Fondo per il finanziamento di interventi a favore degli Enti territoriali solo in termini di saldo netto da finanziare (istituito dal comma 433, dell’art. 1 della legge n. 232/2016), con il D.P.C.M. 10 marzo 2017 è stato costituito un fondo nello stato di previsione del Ministero dell’interno (cap. 1379), con dotazione nel limite massimo di 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2017, in considerazione delle particolari condizioni geo-politiche del comune, per la cui operatività si veda quanto detto sopra.

Più di recente, per il rilancio di Campione d’Italia, l’art. 25-octies del D.L. n. 119/2018, come modificato dal comma 570 della legge di bilancio 2019, ha prevsito:

§  la nomina, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di un commissario straordinario incaricato di elaborare un programma di risanamento del gestore ovvero di valutare la sussistenza delle condizioni per l'individuazione di un nuovo soggetto giuridico per la gestione della casa da gioco nel comune di Campione d'Italia, in particolare anche attraverso la costituzione di una nuova società interamente partecipata con capitale pubblico, che potrebbe operare in deroga a talune disposizioni[55] del Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175). Il Commissario è chiamato a predisporre, entro 45 giorni, un piano degli interventi da realizzare, anche in raccordo con gli enti locali e territoriali della regione Lombardia, al fine di superare la crisi sociale e occupazione del territorio, soggetto all’approvazione del Ministero dell’interno. Al Commissario non spettano compensi, gettoni o altri emolumenti;

§  numerose modifiche al regime fiscale di persone fisiche e società di Campione d'Italia, cui sono state concesse specifiche agevolazioni (in particolare, consistenti nella riduzione delle imposte sui redditi e dell’IRAP).


 

Articolo 38-bis
(Anticipazioni di liquidità agli enti territoriali
per il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni)

 

 

L’articolo 38-bis, introdotto nel corso dell’esame alla Camera, interviene sulle norme dettate dalla legge di bilancio per il 2019, che ha introdotto una serie di incentivi e penalità rivolte agli enti pubblici al fine di garantire il rispetto dei tempi di pagamento dei debiti commerciali. La norma è volta ad evitare in ogni caso l’applicazione di penalizzazioni alle amministrazioni per le quali il debito commerciale residuo scaduto non superi il 5 per cento del totale delle fatture ricevute. Inoltre si prevede che il Fondo di garanzia debiti commerciali accantonato nel risultato di amministrazione sia liberato nell’esercizio successivo a quello in cui siano rispettate determinate condizioni di virtuosità.

 

In particolare, il comma 1 integra il comma 859, lettera a), dell’articolo 1 della legge n. 145/2018, al fine di evitare l’applicazione delle misure ivi previste nei casi in cui il debito commerciale residuo scaduto, rilevato alla fine dell’esercizio precedente, non superi il 5 per cento del totale delle fatture ricevute nel medesimo esercizio. In tal caso, dunque, le amministrazioni pubbliche interessate non devono effettuare l’accantonamento nel Fondo di garanzia debiti commerciali, previsto dal comma 262 per le amministrazioni che adottano la contabilità finanziaria, né subiscono le penalità previste dal comma 864, in termini di riduzione dei costi di competenza per consumi intermedi, per le amministrazioni che adottano solo la contabilità economico-patrimoniale.

 

Si ricorda che il comma 859, lettera a), dispone che, le amministrazioni pubbliche di cui all'elenco ISTAT per le quali il debito commerciale residuo, rilevato alla fine dell'esercizio precedente, non si sia ridotto almeno del 10% rispetto a quello del secondo esercizio precedente:

§  se adottano la contabilità finanziaria, devono stanziare, con delibera di giunta o del consiglio di amministrazione, nella parte corrente del proprio bilancio un accantonamento (denominato Fondo di garanzia debiti commerciali), sul quale non è possibile disporre impegni e pagamenti, che a fine esercizio confluisce nella quota libera del risultato di amministrazione, per un importo pari al 5 per cento degli stanziamenti riguardanti nell'esercizio in corso la spesa per acquisto di beni e servizi (comma 262);

§  se adottano solo la contabilità economico-patrimoniale, devono ridurre del 3 per cento i costi di competenza per consumi intermedi dell'anno in corso rispetto a quelli registrati nell'anno precedente (comma 264).

Il comma 2 integra il comma 863 dell’ articolo 1 della legge n. 145/2018, prevedendo che il Fondo di garanzia debiti commerciali accantonato nel risultato di amministrazione venga liberato nell’esercizio successivo a quello in cui sono rispettate le condizioni di cui alle lettere a) e b) del comma 859, ovvero quando:

a) il debito commerciale residuo, rilevato alla fine dell'esercizio precedente si sia ridotto almeno del 10 per cento rispetto a quello del secondo esercizio precedente;

b) l’indicatore di ritardo annuale dei pagamenti, calcolato sulle fatture ricevute e scadute nell'anno precedente, rispetti i termini di pagamento delle transazioni commerciali, come fissati dall'articolo 4 del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231.

 

Si ricorda che il citato comma 863 dispone che l'accantonamento al Fondo di garanzia debiti commerciali venga adeguato nel corso dell'esercizio sulla base delle variazioni di bilancio relative agli stanziamenti della spesa per Acquisto di beni e servizi e che non riguarda gli stanziamenti di spesa che utilizzano risorse con specifico vincolo di destinazione.

 


 

Articolo 38-ter
(Procedura di riconoscimento della legittimità
dei debiti fuori bilancio delle regioni)

 

 

L’articolo 38-ter, introdotto nel corso dell’esame alla Camera, modifica la procedura per il riconoscimento della legittimità dei debiti fuori bilancio delle regioni derivanti da sentenze esecutive:

§  riducendo i tempi per il loro riconoscimento da parte del Consiglio regionale, con legge, che passano da sessanta a trenta giorni dalla ricezione della relativa proposta;

§  disponendo che al riconoscimento provveda oltre al Consiglio regionale, come già previsto dalla normativa vigente, anche la Giunta regionale.

 

In base all’articolo 73 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (armonizzazione contabile dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi), il Consiglio regionale riconosce, con legge, la legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da:

a) sentenze esecutive;

b) copertura dei disavanzi di enti, società ed organismi controllati, o, comunque, dipendenti dalla Regione, purché il disavanzo derivi da fatti di gestione;

c) ricapitalizzazione, nei limiti e nelle forme previste dal codice civile o da norme speciali, delle società di cui alla lettera b);

d) procedure espropriative o di occupazione d'urgenza per opere di pubblica utilità;

e) acquisizione di beni e servizi in assenza del preventivo impegno di spesa.

Per il pagamento, la Regione può provvedere anche mediante un piano di rateizzazione, della durata di tre esercizi finanziari, convenuto con i creditori.

Qualora il bilancio della Regione non rechi le disponibilità finanziarie sufficienti per effettuare le spese conseguenti al riconoscimento dei debiti fuori bilancio, la Regione è autorizzata a deliberare aumenti, sino al limite massimo consentito dalla vigente legislazione, dei tributi, delle addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote ad essa attribuite, nonché ad elevare ulteriormente la misura dell'imposta regionale sulla benzina per autotrazione, fino a un massimo di cinque centesimi per litro, ulteriori rispetto alla misura massima consentita.

 

In base alle modifiche apportate dall’articolo in esame, al riconoscimento della legittimità dei debiti fuori bilancio di cui al comma 1, lettera a), dell’art. 73, quelli cioè derivanti da sentenze esecutive, vi provvedono il Consiglio regionaleed ora la Giunta regionale – entro trenta giorni dalla ricezione della relativa proposta. Decorso inutilmente tale termine, la legittimità di detto debito si intende riconosciuta.


 

Articolo 38-quater
(Recepimento dell'accordo integrativo del 15 maggio 2019
tra Governo e Regione Siciliana per il sostegno ai liberi consorzi
e alle città metropolitane regionali)

 

 

L’articolo 38-quater reca disposizioni dirette a dare attuazione all'accordo integrativo tra il Governo e la Regione Siciliana del 15 maggio 2019 per il sostegno ai liberi consorzi e alle città metropolitane della regione. L'accordo integrativo fa seguito all'accordo tra Governo e Regione Siciliana in materia di finanza pubblica sottoscritto il 19 dicembre 2018.

Nello specifico, l'accordo del 19 dicembre 2018 prevede, fra l'altro, che entro il 30 settembre 2019 si proceda alla revisione delle norme di attuazione dello Statuto Siciliano in materia finanziaria (primo periodo del punto n.5 dell'accordo) e che il Governo individui "adeguate soluzioni per il sostegno ai liberi consorzi e città metropolitane della Regione siciliana", al fine di garantire una parità di trattamento con gli enti di area vasta del restante territorio nazionale, "di favorire l'equilibrio dei relativi bilanci", nonché "a considerare le misure di coesione e perequazione infrastrutturale" previste dalla legge n.42/2009 sul federalismo fiscale (secondo periodo del punto n.5).

L'accordo integrativo del 15 maggio 2019 intende dare attuazione agli impegni di cui al secondo periodo del punto n.5, relativo ai liberi consorzi comunali e alle città metropolitane, nelle more del rispetto degli impegni che dovranno comunque essere assunti entro il 30 settembre 2019.

 

Il comma 1 introduce una disciplina derogatoria, per il 2019, alle disposizioni vigenti in materia di esercizio e gestione provvisoria del bilancio di previsione. Ciò al fine di consentire ai liberi consorzi comunali e alle città metropolitane, in esercizio provvisorio, di poter utilizzare le risorse pubbliche trasferite per la realizzazione di interventi infrastrutturali.

L'articolo 163 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL, di cui al D.lgs. n. 267 del 2000) dispone che, nel corso dell'esercizio provvisorio, gli enti possono impegnare mensilmente per ciascun programma determinate spese (spese correnti, le eventuali spese correlate riguardanti le partite di giro, lavori pubblici di somma urgenza o altri interventi di somma urgenza) per importi non superiori ad un dodicesimo degli stanziamenti del secondo esercizio del bilancio di previsione deliberato l'anno precedente, ridotti delle somme già impegnate negli esercizi precedenti e dell'importo accantonato al fondo pluriennale vincolato[56].

Con l'intervento normativo in esame i richiamati enti di area vasta della Regione Siciliana sono autorizzati, in deroga ad alcune disposizioni dell'all'art 163 del TUEL, ad effettuare con delibera consiliare le necessarie variazioni sì da tener conto delle risorse trasferite per gli interventi infrastrutturali.

 

Ai sensi dell'art.163, comma 7, implicitamente derogato, nel corso dell'esercizio provvisorio, sono consentite solo le variazioni di bilancio dirette ad applicare al bilancio quote vincolate o accantonate del risultato di amministrazione (secondo quanto disposto dall'art. 187, comma 3-quinquies, del TUEL), "quelle riguardanti le variazioni del fondo pluriennale vincolato, quelle necessarie alla reimputazione agli esercizi in cui sono esigibili, di obbligazioni riguardanti entrate vincolate già assunte, e delle spese correlate, nei casi in cui anche la spesa è oggetto di reimputazione l'eventuale aggiornamento delle spese già impegnate".

 

Si segnala che il comma 1 recepisce il contenuto della lettera d) del punto n.2, recante "Misure straordinarie per l'equilibrio corrente dei liberi consorzi comunali e delle città metropolitane siciliane e della regione Siciliana" del citato Accordo del 15 maggio scorso.

 

In relazione alle disposizioni del comma 1, il comma 2 autorizza, in deroga alle vigenti disposizioni generali in materia di contabilità pubblica, i liberi consorzi comunali e le città metropolitane:

 

a) ad approvare il rendiconto della gestione degli esercizi 2018 e precedenti, anche nel caso in cui non sia stato deliberato il relativo bilancio di previsione. In tal caso, la disposizione specifica che in corrispondenza delle voci del rendiconto della gestione denominate «Previsioni definitive di competenza» e «Previsioni definitive di cassa» occorrerà indicare "gli importi effettivamente gestiti nel corso dell'esercizio;

 

b) a predisporre un bilancio di previsione solo annuale per l'esercizio 2019.

L'ordinamento finanziario degli enti locali  prevede invece che questi ultimi deliberino annualmente il "bilancio di previsione finanziario riferito ad almeno un triennio", comprendente le previsioni di competenza e di cassa del primo esercizio del periodo considerato e le previsioni di competenza degli esercizi successivi (art.162, comma 1, TUEL);

c) a utilizzare nel 2019, anche in sede di approvazione del bilancio di previsione, l'avanzo di amministrazione libero, destinato e vincolato (di cui all'articolo 187 del TUEL) per garantire il pareggio finanziario e "gli equilibri stabiliti dall'articolo 162" del TUEL.

 

Il riferimento all'art.162 del TUEL (rubricato "Principi del bilancio") parrebbe riguardare soprattutto il comma 6, secondo cui: a) il bilancio di previsione è deliberato in pareggio finanziario complessivo per la competenza, comprensivo dell'utilizzo dell'avanzo di amministrazione e del recupero del disavanzo di amministrazione e garantendo un fondo di cassa finale non negativo; b) le previsioni di competenza relative alle spese correnti sommate alle previsioni di competenza relative ai trasferimenti in c/capitale, al saldo negativo delle partite finanziarie e alle quote di capitale delle rate di ammortamento dei mutui e degli altri prestiti, con l'esclusione dei rimborsi anticipati, non possono essere complessivamente superiori alle previsioni di competenza dei primi tre titoli dell'entrata, ai contribuiti destinati al rimborso dei prestiti e all'utilizzo dell'avanzo di competenza di parte corrente e non possono avere altra forma di finanziamento, salvo le eccezioni tassativamente indicate nel principio applicato alla contabilità finanziaria necessarie a garantire elementi di flessibilità degli equilibri di bilancio ai fini del rispetto del principio dell'integrità.

 

Il comma 2 recepisce il contenuto delle lettere da a) a c) del richiamato punto n.2 dell'accordo fra il Governo e la Regione Siciliana del mese scorso.

 

Il comma 3 opera le seguenti modifiche all'art.1 della legge di stabilità per il 2019 (l.n. 145 del 2018):

 

§  inserisce due commi aggiuntivi dopo il comma 881.

Il primo (881-bis) stabilisce che 140 milioni di euro del Fondo per lo sviluppo e la coesione – Programmazione 2014-2020, nell'ambito della quota di risorse già destinate alla programmazione della Regione siciliana, è utilizzata a titolo di concorso alla finanza pubblica a carico della Regione per l'anno 2019. La stessa Regione trasmette la nuova programmazione, nel limite delle disponibilità residue, al CIPE per la conseguente presa d'atto.

Il secondo (comma 881-ter) attribuisce alla Regione siciliana un importo pari a 10 milioni di euro per l'anno 2019 a titolo di riduzione del contributo alla finanza pubblica.

Detto contributo è quantificato, dal comma 881, in 1.001 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2019.

Gli oneri connessi alla disposizione in esame sono coperti mediante una corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica (di cui all'articolo 10, comma 5, del D.L. n.282 del 2004;

 

§  integra il comma 885, aggiungendo, un ultimo periodo che dispone un incremento, pari a 100 milioni di euro, del contributo che la regione Siciliana è tenuta a riconoscere in favore dei liberi consorzi e delle città metropolitane.

 

Il comma 885, terzo periodo, stabilisce che resta fermo l'obbligo a carico della Regione siciliana di destinare ai liberi consorzi del proprio territorio 70 milioni di euro annui aggiuntivi rispetto al consuntivo 2016, di cui al punto 4 dell'Accordo tra il Governo e la Regione siciliana sottoscritto in data 12 luglio 2017.

 

Le disposizioni recate al comma 3 sono dirette a recepire i contenuti degli articoli 2 e 3, nonché del punto n.1 (relativo alla "Composizione del concorso alla finanza pubblica") dell'accordo integrativo fra il Governo e la Regione Siciliana del maggio scorso.


 

Articolo 39
(Implementazione piattaforme informatiche
per l’attuazione del Reddito di cittadinanza)

 

 

L’articolo 39 prevede, limitatamente al triennio 2019-2021, la possibilità per l’ANPAL (Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro) di avvalersi di società in house già esistenti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per l’implementazione degli strumenti necessari all’attuazione del Reddito di cittadinanza.

 

Più nel dettaglio, l’articolo in esame - modificando l’articolo 6, comma 8, del D.L. 4/2019, che attribuiva tale possibilità al Ministero del lavoro e delle politiche sociali[57] - dispone che la suddetta facoltà (vista la situazione di necessità e di urgenza) sia esercitata da ANPAL, previa convenzione approvata con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per l’implementazione, come specificato dalla Relazione illustrativa, della piattaforma informativa strutturale all’attività dei centri per l’impiego volta a consentire l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro.

Viene inoltre previsto che, per le suddette finalità, le richiamate società in house possono servirsi degli strumenti di acquisto e negoziazione messi a disposizione da Consip S.p.A.[58].

Con riferimento alla questione di cui sopra, si segnala che lo scorso 26 aprile il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha diramato un comunicato nel quale precisa che la norma in esame non intende “consentire ad Anpal la possibilità di affidare in modo diretto la realizzazione del case management per l'incrocio domanda-offerta”, ma “è finalizzata semplicemente all'utilizzo di gare Consip per velocizzare la realizzazione della piattaforma”.

 

La Relazione tecnica specifica che la disposizione, di tipo ordinamentale, non comporta nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Precisa, altresì, che agli oneri che potranno scaturire dalla stipula delle convenzioni da parte di ANPAL si provvederà nell’ambito delle risorse finanziarie, pari a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020 e a 5 milioni di euro per il 2021, stanziate per l’adeguamento delle spese di funzionamento dell’Agenzia per l’attuazione del Reddito di cittadinanza dall’articolo 12, comma 4-bis, del D.L. 4/2019.

 

Reddito di cittadinanza: attuazione e reinserimento lavorativo del beneficiario

In relazione alla questione dell’implementazione dei servizi informatici in ordine ai quali dispone l’articolo in esame, si ricorda che la finalità del Reddito di cittadinanza è volta anche al reinserimento lavorativo del beneficiario, in capo al quale vi è l’obbligo di accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue, definite tali sulla base di criteri temporali e di distanza (che diventano meno selettivi al crescere della durata del godimento del Reddito di cittadinanza ed in relazione al numero di offerte rifiutate). Per consentire il reinserimento occupazionale del beneficiario del Rdc, il D.L. 4/2019 prevede una serie di azioni volte al rafforzamento delle politiche attive del lavoro, in particolare attraverso l’adozione di un Piano straordinario di potenziamento dei centri per l'impiego e delle politiche attive del lavoro, triennale e aggiornabile annualmente, che individua specifici standard di servizio per l'attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia e i connessi fabbisogni di risorse umane e strumentali delle regioni e delle province autonome, nonché obiettivi relativi alle politiche attive del lavoro in favore dei beneficiari del RdC. Parte delle risorse del Piano sono utilizzate da ANPAL Servizi Spa per consentire la stipulazione, previa procedura selettiva pubblica, di contratti con le professionalità necessarie ad organizzare l'avvio del RdC, nelle forme del conferimento di incarichi di collaborazione, per la selezione, la formazione e l'equipaggiamento, nonché per la gestione amministrativa e il coordinamento delle loro attività, al fine di svolgere le azioni di assistenza tecnica alle regioni e alle province autonome. Il suddetto Piano è stato adottato a seguito dell’Intesa siglata il 17 aprile 2019 tra Stato e regioni che, tra l’altro:

§  definisce il ruolo delle figure che dovranno affiancare i beneficiari del Rdc nel reinserimento lavorativo (cd navigator), che dovranno supportare gli operatori dei Cpi svolgendo, una funzione di assistenza tecnica. In tal senso è previsto un accordo con la singola Regione che intende avvalersene in sede di convenzione bilaterale con la definizione delle azioni che si intendono realizzare e degli specifici standard di servizio per l'attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni;

§  sblocca le assunzioni, gestite dalle Regioni, per potenziare gli organici dei Cpi, per un totale di 11.600 nuove assunzioni (4.000 previste dalla legge di Bilancio 2019, 1.600 oggetto dell’intesa del 2017in Conferenza Unificata e 3.000 per ciascuno degli anni 2020 e dal 2021);

§  opera un rinvio ad apposite linee guida, da concordare tra Governo e autonomie territoriali, per quanto riguarda la convocazione dei percettori del Rdc presso i Cpi.

Società in house

Il D.Lgs. n. 175/2016 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica) definisce, ai fini del decreto medesimo, "società in house" le società sulle quali un'amministrazione pubblica esercita il controllo analogo o più amministrazioni esercitano il controllo analogo congiunto (art. 2, comma 1, lett. o).

In tali società la partecipazione di capitali privati è ammessa solo se prescritta da norme di legge e se avviene in forme che non comportino controllo o potere di veto, né l'esercizio di un'influenza determinante sulla società controllata (art. 16, comma 1)

Il medesimo decreto, conformemente al dettato dell’UE ed a quanto contenuto negli artt. 5 e 192 del D.Lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici), stabilisce che gli statuti di tali società devono prevede che almeno l'80% del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall'ente pubblico o dagli enti pubblici soci (art. 16, comma 3).

Per "controllo analogo" si intende la situazione in cui l'amministrazione esercita su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, esercitando un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall'amministrazione partecipante (art. 2, comma 1, lett. c).

Le società in house hanno come oggetto sociale esclusivo una o più delle seguenti attività (art. 4):

§  produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi;

§  progettazione e realizzazione di un'opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'articolo 193 del decreto legislativo n. 50 del 2016;

§  autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento;

§  servizi di committenza, ivi incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici.

Alle società in house si applicano le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali del diritto privato alla stregua delle società a partecipazione pubblica ai sensi dell'art. 1, comma 3, D.Lgs. 175/2016 (Cass. Ord. 24591/2016).

Il citato art. 192 del Codice dei contratti ha istituito presso l'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) l'elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house. L'iscrizione nell'elenco avviene previa verifica dei requisiti da parte dell'ANAC. La domanda di iscrizione consente alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori sotto la propria responsabilità, di effettuare affidamenti diretti dei contratti all'ente strumentale.

In virtù della suddetta disposizione, con Delibera numero 484 del 30 maggio 2018, l’ANAC ha iscritto Invitalia (l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A.) nell’elenco delle società in house.

Articolo 39-bis
(Bonus giovani eccellenze)

 

 

L’articolo 39-bis, introdotto nel corso dell’esame in Commissione, imputa alle risorse del Programma operativo complementareSistemi di politiche attive per l'occupazione”, in luogo di quello nazionale, gli oneri relativi all’incentivo introdotto dalla legge di bilancio 2019 per l'assunzione a tempo indeterminato di soggetti titolari di laurea magistrale o di dottorato di ricerca ed aventi determinati requisiti.

 

Più nel dettaglio, attraverso una modifica testuale dell’articolo 1, comma 717, della L. 145/2018, vengono posti a carico delle risorse del suddetto Programma operativo complementare oneri pari a 50 milioni di euro per il 2019 e di 20 milioni per il 2020 relativi al richiamato incentivo (cd. Bonus giovani eccellenze –vedi infra).

 

L'incentivo di cui sopra, introdotto dalla legge di bilancio 2019 (art. 1, c. 706-717, L. 145/2018), consiste nell'esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, con esclusione dei premi e contributi per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, per un periodo massimo di 12 mesi, decorrenti dalla data di assunzione, nel limite massimo di 8.000 euro (per ogni rapporto di lavoro in oggetto). Lo sgravio è cumulabile con altri incentivi all’assunzione di natura economica o contributiva, definiti su base nazionale e regionale, fermo restando il rispetto delle norme europee sugli aiuti in regime di de minimis.

Il beneficio è concesso con riferimento alle assunzioni a tempo indeterminato di cittadini che rientrino in una delle seguenti fattispecie: siano in possesso della laurea magistrale, ottenuta dal 1° gennaio 2018 al 30 giugno 2019 con una votazione pari a 110 e lode - e con una media ponderata (media relativa ai voti degli esami, ponderata in relazione al numero di crediti formativi universitari riconosciuto per ogni esame) pari ad almeno 108/110 - entro la durata legale del corso di studi e prima del compimento del trentesimo anno di età, in università (statali e non statali) legalmente riconosciute (ivi comprese quelle telematiche); siano in possesso di un dottorato di ricerca, ottenuto dal 1° gennaio 2018 al 30 giugno 2019, prima del compimento del trentaquattresimo anno di età, in università (statali e non statali) legalmente riconosciute.

Ad eccezione del lavoro domestico, rientrano nell'ambito di applicazione dell'incentivo anche: le assunzioni con contratti a tempo parziale (purché indeterminato), con proporzionale riduzione dell'importo dello sgravio; i casi di trasformazione, avvenuta nel corso del 2019, di un contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato (fermo restando il possesso dei requisiti soggettivi summenzionati alla data della trasformazione).

Qualora un lavoratore, per la cui assunzione a tempo indeterminato sia stato parzialmente fruito il beneficio in esame, sia nuovamente assunto a tempo indeterminato, nel 2019, da altri datori di lavoro privati, il beneficio è riconosciuto a questi ultimi per il periodo residuo.

Le fattispecie di esclusione del beneficio o di decadenza dal medesimo sono costituite dalle ipotesi di licenziamento (individuale o collettivo), nonché dalle ipotesi di cui all'art. 24, c. 4, del D.L. 83/2012. In particolare, in base a queste ultime, il beneficio decade: se il numero complessivo dei dipendenti è inferiore o pari a quello indicato nel bilancio presentato nel periodo di imposta precedente l'applicazione dell'incentivo; se i posti di lavoro creati non sono conservati per un periodo minimo di tre anni, ovvero di due anni nel caso delle piccole e medie imprese; se l'impresa beneficiaria delocalizza in un Paese non appartenente all'Unione europea, riducendo le attività produttive in Italia nei tre anni successivi al periodo di imposta in cui ha fruito dell'incentivo; se vengono definitivamente accertate determinate violazioni di legge in materia lavoristica.

 


 

Articolo 39-ter
(Incentivo assunzioni nel Mezzogiorno)

 

 

L’articolo 39-ter, introdotto nel corso dell’esame in Commissione, stanzia risorse nel limite di 200 milioni di euro per gli oneri derivanti dall’incentivo previsto per le assunzioni a tempo indeterminato, effettuate dal 1° gennaio 2019 al 30 aprile 2019 nelle regioni del Mezzogiorno, di soggetti fino a 35 anni di età o oltre, se privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi.

 

I suddetti oneri - che vengono posti a carico del Programma operativo complementare “Sistemi di politiche attive per l’occupazione” 2014-2020 - derivano dallo sgravio contributivo totale riconosciuto dall’articolo 1, comma 247, della L. 145/2018 in favore dei datori di lavoro privati che assumono a tempo indeterminato soggetti in possesso di determinati requisiti nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna. Alla suddetta previsione è stata data attuazione con il Decreto direttoriale dell'ANPAL n. 178 del 2019 limitatamente alle assunzioni effettuate nel periodo compreso tra il 1° maggio ed il 31 dicembre 2019

 

Il citato art. 1, c. 247, della L. 145/2018, che ha riproposto per il 2019 e 2020 una misura già stabilita per il 2018 dall'art. 1, c. 893 e 894, della L. 205/2017[59], riconosce il suddetto esonero contributivo totale ((fatti salvi i premi e contributi relativi all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) per le assunzioni a tempo indeterminato o in apprendistato professionalizzante di soggetti dai 16 ai 34 anni di età, o di 35 anni o oltre se privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, effettuate nelle richiamate regioni, per un periodo di 12 mesi e nel limite massimo di 8.060 euro su base annua.

 

 


 

Articolo 40
(
Misure di sostegno al reddito a seguito della chiusura
della strada SS 3 bis Tiberina E45
)

 

 

L’articolo 40 riconosce una indennità in favore dei lavoratori del settore privato, dei titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di agenzia e di rappresentanza commerciale, nonché dei lavoratori autonomi, impossibilitati a svolgere la propria attività lavorativa a seguito della chiusura della strada SS 3bis Tiberina E45 Orte Ravenna.

 

Più nel dettaglio, il comma 1 riconosce un'indennità pari al trattamento massimo di integrazione salariale[60], con la relativa contribuzione figurativa, ai lavoratori del settore privato (compreso quello agricolo), impossibilitati a prestare l'attività lavorativa, in tutto o in parte, a seguito della chiusura della suddetta strada per il sequestro del viadotto Puleto con relativa interdizione totale della circolazione.

L’ANAS ha provveduto alla chiusura del viadotto in data 16 gennaio 2019, in ottemperanza al provvedimento di sequestro adottato dalla procura di Arezzo per il pericolo di crolli. La riapertura parziale del viadotto è stata autorizzata dalla medesima procura il successivo 13 febbraio (v. infra).

 

L’indennità è riconosciuta:

§  per un massimo di sei mesi a far data dall'evento, risalente al 16 gennaio 2019;

§  ai dipendenti da aziende, o da soggetti diversi dalle imprese, coinvolti dalla suddetta chiusura, che hanno subito un impatto economico negativo e per i quali non trovano applicazione le disposizioni vigenti in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro o che hanno esaurito le tutele previste dalla normativa vigente.

Si dispone, inoltre, l’obbligo per il datore di lavoro di inviare all'INPS tutti i dati necessari per il pagamento della suddetta indennità, secondo modalità definite dall’Istituto medesimo, entro 6 mesi dalla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del termine di durata della concessione (o dalla data del provvedimento di autorizzazione al pagamento da parte dell'INPS se successivo). Trascorso inutilmente tale periodo, il pagamento della prestazione e gli oneri ad essa connessi, rimangono a carico del datore di lavoro inadempiente (comma 4).

Nel rispetto della normativa dell'Unione europea e nazionale in materia di aiuti di Stato, il comma 2 riconosce un’indennità una tantum pari a 15.000 euro in favore dei titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di agenzia e di rappresentanza commerciale, dei lavoratori autonomi, ivi compresi i titolari di attività di impresa e professionali, iscritti a qualsiasi forma obbligatoria di previdenza e assistenza, che abbiano dovuto sospendere l'attività a causa del suddetto evento.

 

Il comma 3 disciplina la procedura di autorizzazione delle indennità di cui ai commi 1 e 2, che sono concesse con decreto delle regioni Emilia Romagna, Toscana e Umbria, nel limite di spesa complessivo di 10 milioni di euro per il 2019, sulla base delle domande presentate alla regione, che le istruisce secondo l'ordine cronologico di presentazione. Le regioni inviano il decreto di concessione e la lista dei beneficiari all’INPS, che provvede all'erogazione delle indennità.

La ripartizione delle suddette risorse tra le regioni interessate e la definizione delle modalità per il rispetto del limite di spesa sono demandate ad apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali (di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze), da emanarsi entro 30 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in esame.

È prevista anche un’attività di monitoraggio del rispetto del limite di spesa da parte dell'INPS, che vi provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, fornendo i risultati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al Ministero dell'economia e delle finanze e alle regioni Emilia Romagna, Toscana e Umbria.

 

Il comma 5 dispone che al conseguente onere, pari a 10 milioni di euro per il 2019, si provvede a valere sulle disponibilità in conto residui iscritte sul Fondo sociale per occupazione e formazione (di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del D.L. 185/2008.

Alla compensazione degli effetti finanziari in termini di fabbisogno e indebitamento netto (pari a 6 milioni di euro per il 2019) si provvede ai sensi dell’articolo 50 (alla cui scheda di lettura si rimanda).

 

Sulle iniziative di competenza in relazione alla chiusura del viadotto Puleto sulla E45, in provincia di Arezzo, sono state svolte tre interrogazioni parlamentari negli ultimi mesi (interrogazioni nn. 5/01261, 5/01696 e abb., 3-00460 e abb.). Nella risposta più recente, fornita dal Governo nel corso della seduta dell’Assemblea della Camera dei deputati del 9 aprile 2019, viene evidenziato che “la società ANAS segnala di aver posto in essere le prescrizioni impartite dalla procura di Arezzo necessarie per la riapertura parziale del viadotto Puleto, poi autorizzata dalla stessa procura il 13 febbraio scorso, con transito consentito alle sole autovetture e ai veicoli di massa a pieno carico inferiore a 3,5 tonnellate, su una sola corsia per ogni senso di marcia, a velocità ridotta; per i mezzi pesanti restano valide le deviazioni sui percorsi alternativi già definiti. Ad oggi, gli interventi programmati e le attività collegate sono vincolati alle decisioni della procura di Arezzo, che” nell’ambito dell’indagine penale in corso, in data 11 marzo, “ha notificato ad ANAS il provvedimento con cui dispone di non procedere ad alcuna attività riguardante i baggioli sul viadotto Puleto per evitare l'alterazione dello stato dei luoghi e consentire lo svolgimento di nuovi accertamenti tecnici nell'ambito della suddetta indagine penale. ANAS ha, quindi, dovuto sospendere temporaneamente le attività sugli appoggi, mentre proseguono gli interventi sulle pile del viadotto … Senza alcuna interferenza con le attività della magistratura, non appena effettuate le prove irripetibili, ANAS chiederà la revoca del sequestro per l'immediata ripresa dei lavori di consolidamento. Più in generale, nell'ambito del piano di riqualificazione della E45, ANAS ha progettato e appaltato lavori di manutenzione straordinaria per l'adeguamento sismico e strutturale del viadotto, che avranno una durata di circa 200 giorni e che riguardano, in particolare, il risanamento in calcestruzzo, il miglioramento sismico dell'opera, il rifacimento delle solette e l'ammodernamento delle barriere laterali di sicurezza. Inoltre, circa le principali criticità di tutto il tracciato della E45, ANAS ha predisposto un piano di interventi di manutenzione straordinaria, come da contratto di programma fino al 2020, per un investimento complessivo di circa un miliardo di euro. Ad oggi, sono già attivi o in fase di attivazione cantieri per oltre 483 milioni. Quanto, poi, ai disagi che la chiusura del viadotto Puleto ha comportato per gli operatori economici del territorio, per le comunità locali e per tutti coloro che utilizzano la E45 per gli spostamenti connessi alle esigenze di lavoro e di studio, oltre che per motivi turistici, il Ministero dell'interno informa che la regione Toscana, con decreto del presidente della giunta, ha dichiarato lo stato di emergenza regionale della provincia di Arezzo. Inoltre, la delibera della giunta n. 96, in pari data, ha individuato i comuni che hanno subito impatti sociali ed economici, rinviando all'adozione di successivi provvedimenti il riconoscimento degli interventi necessari per l'assegnazione di risorse finanziarie per il ristoro dei danni sofferti dal tessuto economico e sociale. Nello specifico, sono stati individuati i comuni di Anghiari, Badia Tedalda, Caprese Michelangelo, Monterchi, Pieve Santo Stefano, San Sepolcro e Sestino in quanto caratterizzati da una forte connotazione turistica e da un sistema di attività economiche e produttive di mobilità scolastica che si basano prevalentemente sull'efficienza della E45. Infine, ricordo che la strada statale 3-bis Tiberina rientra nella competenza ANAS per l'intero percorso, con l'esclusione dei tratti interni in centri abitati con popolazione superiore ai 10 mila abitanti. Riguardo, invece, alla ex strada statale 3-bis Tiberina, di competenza degli enti locali, ANAS riferisce di essersi impegnata alla riapertura del vecchio tracciato e di aver completato la progettazione esecutiva per i lavori necessari al ripristino del tratto del territorio del comune di Pieve Santo Stefano; lo scorso 3 aprile è stata stipulata apposita convenzione che definisce la collaborazione tra i due soggetti. Da ultimo, informo che per il tratto in argomento della strada statale 3-bis Tiberina, che interessa le regioni Toscana ed Emilia Romagna, i competenti uffici del MIT stanno effettuando le necessarie verifiche al fine di avviare la procedura di riclassificazione a strada statale”.

Si segnala altresì che la “riqualificazione E45/SS 3-bis Orte-Ravenna” rappresenta un sub-intervento dell’opera strategica denominata “Itinerario Civitavecchia-Orte-Mestre – Tratta E45-E55 Orte-Mestre: completamento itinerario europeo E45-E55 riqualificazione E45 tratto Orte-Ravenna e riqualificazione E55 Nuova Romea”. Informazioni dettagliate sul quadro finanziario e la cronistoria dell’opera sono contenute nella “scheda opera” n. 206 (che reca informazioni aggiornate al 31 maggio 2018) allegata al Rapporto “Infrastrutture strategiche e prioritarie” curato dal Servizio studi della Camera.


 

Articolo 41
(Mobilità in deroga in aree di crisi industriale complessa)

 

 

L’articolo 41 amplia la platea di lavoratori, già occupati in imprese operanti in aree di crisi industriale complessa, ai quali può essere concessa, in presenza di determinate condizioni, la mobilità in deroga.

 

Più nel dettaglio, il comma 1 dell’articolo in esame proroga per il 2019, per ulteriori 12 mesi, la concessione della mobilità in deroga (prevista dall’art. 1, c. 142, della L. 205/2017, come modificato dall’art. 25-ter del D.L. 119/2018 – vedi infra), estendendola anche ai lavoratori, già occupati in imprese operanti in aree di crisi industriale complessa, che hanno cessato o cessano la mobilità ordinaria o in deroga entro il 31 dicembre 2019.

La suddetta estensione è riconosciuta, nel limite di spesa di 16 milioni di euro per il 2019 e di 10 milioni di euro per il 2020, a condizione che a tali lavoratori siano contestualmente applicate misure di politica attiva, individuate con apposito piano regionale, prevedendo altresì che il lavoratore decada dal beneficio qualora trovi nuova occupazione a qualsiasi titolo (come già disposto dai richiamati articoli 1, c. 142, della L. 205/2017 e 25-ter del D.L. 119/2018).

 

Il richiamato art. 1, c. 142, della L. n. 205/2017 ha disposto la concessione della mobilità in deroga alle medesime condizioni, per una durata massima di 12 mesi e comunque non oltre il 31 dicembre 2018 per i lavoratori che abbiano cessato la mobilità (ordinaria o in deroga) nel semestre 1° gennaio 2018-30 giugno 2018. Successivamente, l’art. 25-ter del D.L. 119/2018 ha esteso la concessione della mobilità in deroga, sempre alle medesime condizioni e per 12 mesi, anche ai lavoratori che abbiano cessato la mobilità (ordinaria o in deroga) nei periodi dal 22 novembre 2017 al 31 dicembre 2017 e dal 1° luglio 2018 al 31 dicembre 2018

 

Il comma 2 dispone che agli oneri derivanti dall’applicazione della suddetta misura, pari a 16 milioni di euro per il 2019 e a 10 milioni di euro per il 2020, si provvede a valere sulle disponibilità in conto residui iscritte sul Fondo sociale per occupazione e formazione (di cui all’art. 18, c. 1, lett. a), del D.L. 185/2008.

Alla compensazione degli effetti finanziari in termini di fabbisogno e indebitamento netto (pari a 9,6 milioni di euro per il 2019 e a 6 milioni di euro per il 2020) si provvede ai sensi dell’articolo 50 (alla cui scheda di lettura si rimanda).

Come evidenziato nella Relazione illustrativa, l’estensione del termine sino al 31 dicembre 2019 potrebbe determinare l’inserimento tra i beneficiari non solo dei lavoratori destinatari della proroga della mobilità in deroga ex art. 25-ter del D.L. 119/2018, ma anche dei soggetti nuovi precedentemente destinatari di mobilità ordinaria. Tale estensione rappresenta, quindi, un elemento di novità rispetto a quanto sinora previsto per le aree di crisi industriale complessa di cui all’art. 1, c. 282, della L. 145/2018, per le quali è prevista, per il 2019, esclusivamente la possibilità di una proroga del trattamento di mobilità in deroga, senza soluzione di continuità rispetto al trattamento precedente e per un massimo di 12 mesi (quindi, con effetto retroattivo), per i lavoratori individuati dall’articolo 53-ter del D.L. 50/2017, vale a dire quelli operanti in aree di crisi industriale complessa e titolari al 1° gennaio 2017 di un trattamento di mobilità ordinaria o in deroga.

La medesima relazione individua la ratio dell’intervento nella valorizzazione “delle aree di crisi industriali complesse, al fine di sostenere l’attività imprenditoriale delle aziende site in tali aree e di stimolare, in un’ottica di crescita, opportune iniziative produttive”.


 

Articolo 41-bis
(Riconoscimento della pensione di inabilità ai soggetti che abbiano contratto malattie professionali a causa dell'esposizione all'amianto)

 

 

L’articolo 41-bis - inserito in sede referente - estende ad altre fattispecie l'ambito di applicazione della normativa che riconosce, in favore di lavoratori esposti all'amianto, il diritto alla pensione di inabilità a prescindere dalla condizione di assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa. Alla copertura degli oneri finanziari derivanti dall'estensione si provvede mediante una riduzione: di risorse per l'assunzione di personale da parte dell'INPS; del "Fondo da ripartire per l'introduzione del reddito di cittadinanza"; del "Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali".

 

§  La disciplina vigente - di cui all'articolo 1, comma 250, della L. 11 dicembre 2016, n. 232, e al relativo D.M. 31 maggio 2017[61] - attribuisce il summenzionato diritto, nel rispetto dei limiti di spesa ivi stabiliti, ai soggetti - iscritti a forme pensionistiche relative a lavoratori dipendenti e con almeno cinque anni di contribuzione (versata o accreditata) - affetti da una delle seguenti patologie, ove riconosciuta di origine professionale, ovvero quale causa di servizio: mesotelioma pleurico, mesotelioma pericardico, mesotelioma peritoneale, mesotelioma della tunica vaginale del testicolo, carcinoma polmonare, asbestosi.

La novella in esame estende il diritto ai soggetti affetti da altre patologie asbesto-correlate, purché derivanti da esposizione all'amianto documentata e riconosciuta e fermo restando il requisito contributivo summenzionato. L'estensione ha effetto dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto - con esclusione, dunque, di liquidazione di ratei per il periodo precedente e con decorrenza della pensione dal mese successivo a quello di presentazione della domanda[62] - e si demanda ad un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, la definizione delle relative modalità attuative. Il diritto è riconosciuto nel rispetto di un limite di spesa pari a 7,7 milioni di euro per il 2019, a 13,1 milioni per il 2020, a 12,6 milioni per il 2021, a 12,3 milioni per il 2022, a 11,7 milioni per il 2023, a 11,1 milioni per il 2024, a 10,0 milioni per il 2025, a 9,2 milioni per il 2026, a 8,5 milioni per il 2027 e a 7,5 milioni annui a decorrere dal 2028.

La novella specifica che l'estensione in oggetto concerne anche i casi in cui: il soggetto, in seguito alla cessazione del rapporto di lavoro, sia transitato in una gestione di previdenza diversa dall'assicurazione generale obbligatoria (ivi compresa l'ipotesi in cui, per effetto di ricongiunzione, non possieda più contributi in quest'ultima assicurazione); il soggetto sia titolare del sussidio per l'accompagnamento alla pensione entro l'anno 2020 (sussidio riconosciuto, ai sensi delle disposizioni ivi richiamate, per taluni soggetti affetti da patologie asbesto-correlate) ed opti per la pensione di inabilità ai sensi della presente novella.

Alla copertura degli oneri finanziari summenzionati, derivanti dall'estensione in esame, si provvede:

§  nella misura di 7,7 milioni di euro per il 2019 e di 13,1 milioni per il 2020, mediante riduzione di risorse per l'assunzione di personale da parte dell'INPS - risorse stanziate ai fini della piena attuazione amministrativa delle misure di cui al D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 marzo 2019, n. 26, "Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni" -;

§  nella misura di 12,6 milioni per il 2021, 12,3 milioni per il 2022, 11,7 milioni per il 2023, 11,1 milioni per il 2024, 10,0 milioni per il 2025, 9,2 milioni per il 2026, 8,5 milioni per il 2027 e 7,5 milioni annui a decorrere dal 2028, mediante corrispondente riduzione del "Fondo da ripartire per l'introduzione del reddito di cittadinanza", di cui all'articolo 1, comma 255, della L. 30 dicembre 2018, n. 145, e successive modificazioni;

§  nella misura di circa 3,97 milioni per il 2019 e di circa 6,75 milioni per il 2020, mediante corrispondente riduzione del "Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali", ai fini della compensazione degli effetti finanziari in termini di fabbisogno di cassa e di indebitamento netto.


 

Articolo 42
(Controllo degli strumenti di misura in servizio
e sulla vigilanza sugli strumenti di misura conformi
alla normativa nazionale ed europea)

 

 

L'articolo 42 proroga la durata del periodo transitorio nel quale le camere di commercio e gli organismi abilitati in base alla disciplina abrogata nel 2017 continuano ad effettuare le verificazioni periodiche sugli strumenti di misura.

 

Il comma 1 proroga dal 18 marzo 2019 al 30 giugno 2020 il periodo transitorio nel quale le camere di commercio e gli organismi abilitati ad effettuare verificazioni periodiche in conformità alla disciplina vigente[63] al 18 settembre 2017 - data di entrata in vigore del DM 93 del 21 aprile 2017 (Regolamento recante la disciplina attuativa della normativa sui controlli degli strumenti di misura in servizio e sulla vigilanza sugli strumenti di misura conformi alla normativa nazionale e europea) - che non trovano corrispondenza nelle disposizioni del medesimo DM 93, continuano transitoriamente a svolgerle per un periodo massimo di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento citato, applicando, in quanto compatibili, tutte le procedure di verifica, gli obblighi di comunicazione e quelli relativi all'istituzione ed alla tenuta del libretto metrologico previsti dal già citato regolamento.

Il periodo transitorio oggetto della proroga è stato previsto dall'articolo 18, comma 2, secondo periodo, del DM 21 aprile 2017, n. 93.

La proroga qui disposta opera per gli organismi abilitati ad effettuare verificazioni periodiche in conformità alla disciplina abrogata dall'articolo 17 del predetto DM, i quali, alla data del 18 marzo 2019, dimostrino l'avvenuta accettazione formale dell'offerta economica di accreditamento.

 

Il DM in questione si applica - secondo l'articolo 1 - controlli degli strumenti di misura soggetti alla normativa nazionale e europea utilizzati per funzioni di misura legali, nonché le precisazioni relative al campo di applicazione delle norme legislative attuative delle direttive europee relative agli strumenti di misura.

In base all'articolo 2 del DM 93, la «funzione di misura legale» è la funzione di misura giustificata da motivi di interesse pubblico, sanità pubblica, sicurezza pubblica, ordine pubblico, protezione dell'ambiente, tutela dei consumatori, imposizione di tasse e di diritti e lealtà delle transazioni commerciali; lo «strumento di misura» è uno strumento utilizzato per una funzione di misura legale; la «verificazione periodica» è il controllo metrologico legale periodico effettuato sugli strumenti di misura dopo la loro messa in servizio, secondo la periodicità definita in funzione delle caratteristiche metrologiche, o a seguito di riparazione per qualsiasi motivo comportante la rimozione di sigilli di protezione, anche di tipo elettronico; il «controllo casuale o a richiesta» è il controllo metrologico legale effettuato dalle Camere di commercio su strumenti di misura in servizio, inteso ad accertare il loro corretto funzionamento; la «vigilanza sugli strumenti» comprende i controlli eseguiti sugli strumenti soggetti alla normativa europea e nazionale atti a dimostrare che soddisfano i requisiti ad essi applicabili; l'«organismo» è l'organismo che effettua la verificazione periodica degli strumenti di misura a seguito della presentazione a Unioncamere della Scia dopo essere stato accreditato in conformità ad una delle seguenti norme o successive revisioni: 1) UNI CEI EN ISO/IEC 17020:2012 - Requisiti per il funzionamento di vari tipi di organismi che eseguono ispezioni; 2) UNI CEI EN ISO/IEC 17025:2005 - Requisiti generali per la competenza dei laboratori di prova e di taratura - come laboratorio di taratura; 3) UNI CEI EN ISO/IEC 17065:2012 - Requisiti per organismi che certificano prodotti, processi o servizi e future revisioni. Gli organismi devono essere in possesso dei requisiti dell'allegato I del DM 93.

 

Il comma 2 consente agli organismi che non hanno presentato domanda di accreditamento entro il 18 marzo 2019 di continuare ad operare fino al 30 giugno 2020 a decorrere dalla data della domanda, da presentarsi entro il termine del 30 settembre 2019, dimostrando l'avvenuta accettazione formale dell'offerta economica relativa all'accreditamento.

Per il comma 3, le disposizioni contenute nel comma 1 sono applicate fino all'emanazione di un nuovo regolamento da parte del Ministro dello sviluppo economico nella materia disciplinata dal citato DM n. 93 del 2017.


 

Articolo 43, commi 1-4
(Semplificazione degli adempimenti per la gestione degli enti
del Terzo settore e modificazioni alla disciplina sugli obblighi
di trasparenza dei partiti e movimenti politici)

 

 

I commi da 1 a 4 dell’articolo 43, modificati nel corso dell’esame in sede referente, intervengono su alcune disposizioni relative agli obblighi di trasparenza posti in capo ai partiti e ai movimenti politici nonché alle fondazioni, associazioni e comitati agli stessi equiparati.

 

Il comma 1 modifica l’articolo 5 del decreto-legge 149/2013 (su cui è intervenuta, da ultima, la legge n. 3 del 2019) al fine di:

§  posporre il termine – fissandolo al mese di marzo dell’anno solare successivo, anziché al mese successivo a quello della percezione – entro il quale i rappresentanti legali dei partiti iscritti al registro nazionale sono tenuti a trasmettere alla Presidenza della Camera l’elenco dei soggetti che hanno erogato finanziamenti di importo unitario pari o inferiore a 500 euro (e la cui somma superi nell’anno solare i 500 euro) (lettera a);

§  consentire la trasmissione di tale elenco anche tramite PEC (lettera b);

§  modificare parzialmente i criteri di equiparazione ai partiti e movimenti politici previsti dalla legge per le fondazioni, associazioni e comitati ai fini dell’applicazione degli obblighi e delle sanzioni in materia di trasparenza, come ridefiniti dalla legge n. 3 del 2019 (lettera c);

§  escludere l’applicabilità di alcuni criteri della suddetta equiparazione per gli enti del Terzo settore iscritti nel Registro unico nazionale (o, nelle more, iscritti in uno dei registri previsti dalle normative di settore) nonché per le fondazioni, associazioni e comitati appartenenti alle confessioni religiose con le quali lo Stato abbia stipulato patti, accordi o intese (lettera d) e comma 2).

 

Il comma 3 modifica la legge 3/2019 al fine di:

§  posticipare il termine entro il quale i partiti e movimenti politici devono annotare in apposito registro i contributi, le prestazioni e le altre forme di sostegno di importo superiore all’anno di 500 euro. Il termine ultimo è fissato al mese di marzo dell’anno successivo e non più al mese solare successivo all’erogazione. E’ altresì specificato che il registro deve essere numerato progressivamente e firmato su ogni foglio dal rappresentante legale o dal tesoriere;

§  prevedere che la sanzione amministrativa pecuniaria introdotta dalla legge 3/2019 nei confronti dei partiti o movimenti politici che abbiano ricevuto contributi da parte di governi o enti pubblici di Stati esteri o da persone giuridiche con sede in un altro Stato o da persone fisiche maggiorenni non iscritte alle liste elettorali o private del diritto di voto è irrogata dalla Commissione per la trasparenza dei partiti politici nel caso in cui gli stessi non abbiano provveduto, nei termini, al versamento dell’importo indebitamente ricevuto alla cassa delle ammende;

§  consentire alla Commissione di garanzia degli statuti dei partiti politici – come aggiunto nel corso dell’esame in sede referente alla Camera – di accedere alle banche dati gestite dalle amministrazioni pubbliche o da enti che, a diverso titolo, sono competenti nella materia elettorale o che esercitino funzioni nei confronti dei soggetti equiparati ai partiti e ai movimenti politici. Possono altresì essere predisposti protocolli d'intesa con tali enti o amministrazioni per le medesime finalità e per l'esercizio delle funzioni istituzionali della Commissione.

Con le modifiche disposte dalla lettera d) del comma 3 e dal comma 4 vengono altresì previste disposizioni specifiche per l’applicazione degli obblighi di pubblicità e trasparenza alle fondazioni, associazioni e comitati.

Nel corso dell’esame in sede referente alla Camera è stato specificato che alle fondazioni, alle associazioni ed ai comitati (di cui all’art. 5, comma 4, del decreto-legge 149/2013, come modificato dal provvedimento in esame) è fatto divieto di devolvere, in tutto o in parte, le elargizioni in denaro, i contributi, le prestazioni o le altre forme di sostegno a carattere patrimoniale in favore di partiti e movimenti politici, delle liste elettorali e di singoli candidati alla carica di sindaco se ricevuti ai sensi del comma 28-bis, secondo periodo. Tale previsione riguarda i contributi provenienti da governi o enti pubblici di Stati esteri e da persone giuridiche aventi sede in uno Stato estero non assoggettate a obblighi fiscali in Italia nonché da persone fisiche maggiorenni straniere. Tali elargizioni in denaro, contributi, prestazioni o le altre forme di sostegno a carattere patrimoniale devono essere inoltre annotati in separata e distinta voce del bilancio d'esercizio. È altresì fissato il quantum della sanzione amministrativa pecuniaria applicata dalla Commissione nel caso di violazione di tali obblighi.

È infine oggetto di specificazione, sulla base di una modifica approvata in sede referente, l’art. 1, comma 14, della legge n. 3 del 2019, prevedendo che il sito internet in cui le liste partecipanti alle elezioni amministrative nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti devono pubblicare il curriculum vitae fornito dai loro candidati e il relativo certificato penale è quello del partito o del movimento politico “sotto il cui contrassegno si sono presentate nella competizione elettorale” (comma 4-bis).

Comunicazione dei dati relativi alle erogazioni in favore di partiti e movimenti politici

Il comma 1 dell’articolo in esame reca alcune modifiche alle norme per la trasparenza dei partiti politici di cui all’articolo 5 del decreto-legge 149/2013, che ha abolito il finanziamento pubblico diretto ai partiti, sostituito dalla contribuzione volontaria e da contributi indiretti, e ha introdotto disposizioni in materia di trasparenza e democraticità dei partiti stessi.

 

La lettera a), che modifica il comma 3, secondo periodo, dell’articolo 5 citato, pospone il termine entro il quale i rappresentanti legali dei partiti iscritti al registro nazionale sono tenuti a trasmettere alla Presidenza della Camera l’elenco dei soggetti che hanno erogato finanziamenti di importo unitario pari o inferiore a 500 euro e la cui somma superi nell’anno solare i 500 euro.

La trasmissione deve essere effettuata entro il mese di marzo dell’anno solare successivo al raggiungimento del plafond, anziché il mese successivo come previsto dalla norma previgente.

Per i singoli finanziamenti che superano l’importo unitario di 500 euro permane l’obbligo di trasmettere l’elenco dei finanziatori entro il mese solare successivo all’erogazione.

 

Ai sensi della normativa su cui incide la disposizione in esame, i partiti iscritti al registro nazionale sono tenuti a trasmettere alla Presidenza della Camera l’elenco dei soggetti che hanno erogato contributi superiori, nell’anno, a 500 euro, sia i singoli contributi di importo unitario superiore a 500 euro - sia quelli di importo inferiore ma che cumulati superano nell’anno tale cifra - e la relativa documentazione contabile, entro il mese solare successivo a quello della percezione. Gli elenchi sono pubblicati, oltre che nel sito internet del partito, come allegati ai rendiconti, anche nel sito internet ufficiale del Parlamento, contestualmente alla trasmissione. Non è richiesto il consenso espresso alla pubblicazione degli interessati. In caso di inadempienza o di dichiarazioni mendaci si applicano le sanzioni di cui all’articolo 4, sesto comma, della L. 659/1981 (D.L. 149/2013, art. 5, comma 3, come modificato dalla L. 3/2019).

 

L’articolo 4 del D.L. 149/2013 ha istituito il registro nazionale dei partiti politici cui sono tenuti ad iscriversi i partiti che intendono usufruire dei benefici economici previsti dalla legge (detrazioni di imposta per le donazioni private e destinazione volontaria del due per mille IRPEF da parte dei contribuenti).

Per l’iscrizione al registro, i partiti politici sono tenuti a trasmettere copia autentica del proprio statuto redatto nella forma di atto pubblico (ai sensi dell’art. 3, comma 1, L. 96/2012) alla Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici (istituita dall’art. 9, comma 2, della L. 96/2012). La Commissione procede all’iscrizione nel registro previa verifica della presenza negli statuti degli elementi di democrazia interna e trasparenza indicati nell’articolo 3 del D.L. 149/2013.

I contributi versati dalle persone fisiche e dalle società ai partiti, sempre che siano iscritti al registro nazionale, per importi compresi tra 30 euro e 30.000 euro possono essere detratti, per un importo pari al 26 per cento del contributo versato, dall’imposta lorda (D.L. 149/2013, art. 11, commi 1, 2 e 6).

Sono esclusi dall’agevolazione (D.L. 149/2013, art. 11, comma 6):

§  società ed enti nei quali vi sia una partecipazione pubblica;

§  società ed enti i cui titoli siano negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri, ovvero le società ed enti che controllano, direttamente o indirettamente, i predetti soggetti, ovvero ne siano controllati o siano controllati dalla stessa società o ente che controlla i soggetti medesimi;

§  società concessionarie dello Stato o di enti pubblici, limitatamente alla durata del rapporto di concessione.

I versamenti detraibili devono essere eseguiti mediante modalità idonee a garantire la tracciabilità dell’operazione e l’identificabilità dell’autore e a consentire all’amministrazione finanziaria lo svolgimento di efficaci controlli (D.L. 149/2013, art. 11, comma 7).

In ogni caso, sono vietati i finanziamenti ai partiti superiori ai 100.000 euro nell’arco dell’anno, sia da parte di persone fisiche, sia di persone giuridiche. Il divieto non si applica ai lasciti mortis causa e ai trasferimenti in denaro o di natura patrimoniale effettuati tra partiti (D.L. 149/2013, art. 10, commi 7 e 8).

 

La lettera b) interviene sulle modalità di trasmissione alla Presidenza della Camera dell’elenco dei soggetti che hanno erogato i finanziamenti, prevedendo che essa possa essere effettuata anche tramite posta elettronica certificata – PEC (viene modificato a tal fine il comma 3, quarto periodo, dell’articolo 5 citato).

Applicazione degli obblighi di trasparenza alle fondazioni, associazioni e comitati

La lettera c) del comma 1 sostituisce il comma 4 dell’articolo 5 del DL 149/2013 (come risultante dalle modifiche introdotte con la legge n. 3 del 2019 - art. 1, comma 20), che prevede l’equiparazione ai partiti e movimenti politici di fondazioni, associazioni e comitati ai fini dell’applicazione degli obblighi in materia di trasparenza già stabiliti per i partiti.

La novella definisce e modifica parzialmente i ‘criteri di equivalenza’ previsti dalla norma di legge, con la finalità di “precisare l’effettiva estensione della disciplina” ad associazioni, fondazioni e comitati che evidenzino specifiche forme di collegamento.

 

Gli obblighi di trasparenza posti in capo ai partiti e movimenti dall’articolo 5 del DL 149/2013, che per effetto dell’equiparazione di cui al citato comma 4, si applicano anche alle fondazioni, alle associazioni e ai comitati, sono:

§  trasparenza e accesso alle informazioni relative al proprio assetto statutario, agli organi associativi, al funzionamento interno e ai bilanci, compresi i rendiconti, anche mediante la realizzazione di un sito internet che rispetti i principi di elevata accessibilità, anche da parte delle persone disabili, di completezza di informazione, di chiarezza di linguaggio, di affidabilità, di semplicità di consultazione, di qualità, di omogeneità e di interoperabilità (comma 1);

§  pubblicazione degli statuti nel sito internet e del rendiconto di esercizio corredato della relazione sulla gestione e della nota integrativa, la relazione del revisore o della società di revisione, ove prevista, nonché il verbale di approvazione del rendiconto di esercizio da parte del competente organo del partito politico (comma 2). In base a tale comma delle medesime pubblicazioni è resa comunicazione ai Presidenti delle Camere e data evidenza nel sito internet ufficiale del Parlamento italiano; nel medesimo sito internet sono altresì pubblicati, ai sensi del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, i dati relativi alla situazione patrimoniale e di reddito dei titolari di cariche di Governo e dei membri del Parlamento;

§  trasmissione alla Presidenza della Camera dei deputati, da parte dei rappresentanti legali dei partiti beneficiari dei contributi erogati in favore dei partiti politici iscritti nel registro, dell'elenco dei soggetti che hanno erogato finanziamenti o contributi di importo superiore, nell'anno, a euro 500, e la relativa documentazione contabile. Pubblicazione sul sito internet dell’elenco dei soggetti che hanno erogato i predetti finanziamenti o contributi e i relativi importi come allegato al rendiconto di esercizio (comma 3).

 

Occorre, inoltre, ricordare che l’art. 1, comma 28, della L. 3/2019 equipara le fondazioni, le associazioni e i comitati di cui all’articolo 5, comma 4, del D.L. n. 149/2013, ai partiti e movimenti politici, anche ai sensi e per gli effetti delle disposizioni recate dai commi da 11 a 27 dell’art. 1 della legge 3/2019.

Le prescrizioni della legge 3/2019 (commi da 11 a 27) sono:

§  divieto di ricevere contributi, prestazioni gratuite o altre forme di sostegno a carattere patrimoniale, in qualsiasi modo erogati, da parte di persone fisiche o enti che si dichiarino contrari alla pubblicità dei relativi dati (comma 11);

§  obbligo di annotare, per ogni importo ricevuto da contribuzioni o prestazioni complessivamente superiore a 500 euro, in un registro bollato dal notaio l’identità dell’erogante, l’entità del contributo o il valore della prestazione o di altra forma di sostegno e la data dell’erogazione. I medesimi dati devono essere riportati nel rendiconto e contestualmente pubblicati sul relativo sito istituzionale (comma 11);

§  divieto di ricevere contributi, prestazioni o altre forme di sostegno provenienti da governi o enti pubblici di Stati esteri e da persone giuridiche aventi sede in uno Stato estero non assoggettate a obblighi fiscali in Italia (non applicabile alle fondazioni, associazioni e comitati ai sensi del nuovo art. 1, comma 28-bis, della legge 3/2019, introdotto dal comma 3, lettera d) dell’articolo in esame). È fatto inoltre divieto alle persone fisiche maggiorenni non iscritte nelle liste elettorali o private del diritto di voto di elargire contributi ai partiti o movimenti politici (non applicabile alle fondazioni, associazioni e comitati ai sensi del nuovo art. 1, comma 28-bis, della legge 3/2019, introdotto dal comma 3, lettera d) dell’articolo in esame, nel caso di elargizioni disposte da persone fisiche maggiorenne straniere) (comma 12);

§  obbligo di trasmettere annualmente i rendiconti di esercizio alla Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici, con i relativi allegati e con la certificazione e il giudizio del revisore legale (comma 16).

Le sanzioni applicabili sono quelle stabilite dalla legge 3/2019 (come modificate dall’articolo in esame) con riferimento alla violazione delle singole disposizioni.

L’applicabilità di tali prescrizioni a fondazioni, associazioni e comitati viene specificata dal nuovo comma 28-bis dell’art. 1, L. 3/2019, introdotto dal comma 3, lettera d), dell’articolo in commento (si v. infra).

 

Secondo il vigente impianto normativo, dunque, l’equiparazione si basa sulla individuazione di indici di rilevanza del collegamento di fondazioni, associazioni e comitati con partiti o movimenti politici.

Tali indici vengono modificati nella nuova formulazione introdotta dalla lettera c), enucleando tre diverse fattispecie.

 

La prima fattispecie (nuovo comma 4, lettera a) dell’art. 5 del DL 149/2013) conferma gli stessi obblighi di pubblicità e trasparenza dei partiti per le fondazioni, le associazioni e i comitati la composizione dei cui organi direttivi e - come aggiunto dalla disposizione in esame - degli organi di gestione sia determinata in tutto o in parte da deliberazioni di partiti o movimenti politici.

A tali enti si aggiungono le fondazioni, le associazioni e i comitati “la cui attività si coordina con partiti o movimenti politici, “anche in conformità a previsioni contenute nei rispettivi statuti o atti costitutivi”.

Stante la formulazione letterale della disposizione, il collegamento tra lo svolgimento di un’attività “coordinata” con quella del partito e le previsioni contenute nello statuto e nell’atto costitutivo dell’ente associativo sembra essere solo eventuale.

In proposito andrebbe pertanto valutata l’opportunità di chiarire che cosa s’intenda per “attività che si coordina”, eventualmente anche precisando indici rivelatori di siffatto collegamento.

 

In base alla seconda fattispecie (nuovo comma 4, lettera b) dell’art. 5 del DL 149/2013) risultano equiparati ai partiti – ai fini dell’applicazione degli obblighi di pubblicità e trasparenza - le fondazioni, le associazioni e i comitati i cui organi direttivi o di gestione (aggiunto, come nella lettera precedente, dalla disposizione in esame) siano composti per almeno un terzo (mentre in precedenza si richiedeva che la composizione fosse “in tutto o in parte”) da:

§  membri di organi di partiti o movimenti politici, ovvero

§  persone che siano o siano state, nei sei (anziché dieci) anni precedenti, membri del Parlamento nazionale o europeo o di assemblee elettive regionali o locali ovvero

§  persone che ricoprano o abbiano ricoperto, nei sei (anziché dieci) anni precedenti, incarichi di governo al livello nazionale, regionale o locale.

Rispetto al testo previgente, inoltre, nelle assemblee elettive e negli organi di governo locali sono considerati solo quelli appartenenti a comuni con più di 15.000 abitanti.

Viene altresì eliminato dal testo della disposizione il rilievo al fatto che gli organi direttivi dell’ente siano composti da persone che ricoprano o abbiano ricoperto “incarichi istituzionali per esservi state elette o nominate in virtù della loro appartenenza a partiti o movimenti politici”.

 

La successiva lettera d) esclude l’applicazione degli indici di rilevanza dettati da tale seconda ipotesi (lettera b) per gli enti del Terzo settore e per le fondazioni, associazioni e comitati appartenenti alle confessioni religiose (v. infra).

 

La terza fattispecie individuata dal nuovo comma 4, alla lettera c) riguarda le fondazioni, le associazioni e anche i comitati (che nella precedente formulazione non erano richiamati) che eroghino somme a titolo di liberalità o contribuiscano in misura pari o superiore a euro 5.000 l'anno al finanziamento di iniziative o servizi a titolo gratuito in favore di partiti, movimenti politici o loro articolazioni interne.

Per tale fattispecie, già prevista, si specifica che l’erogazione è indice rivelatore anche se svolta in favore di membri non solo di organi ma anche di articolazioni comunque denominate di partiti o movimenti politici, nonché di persone titolari di cariche istituzionali nell’ambito di organi elettivi e di governo. Quest’ultima espressione ha sostituito la precedente che faceva riferimento, più genericamente, a persone che ricoprono incarichi istituzionali.

 

Come già anticipato, la lettera d) del comma 1 dell’articolo 43, aggiungendo un comma 4-bis al citato art. 5 del D.L. 149 del 2013, stabilisce che l’equiparazione prevista ai sensi del precedente comma 4, lettera b), come definita dall’articolo in esame ai fini dell’applicazione degli obblighi di trasparenza e pubblicità posti in capo ai partiti e movimenti politici, non si applica:

§  agli enti del Terzo settore iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore (art. 45, D.Lgs. 117/2017). Il successivo comma 2 dell’art. 43 specifica ulteriormente che, nelle more dell’operatività del Registro unico nazionale, s’intendono esonerati dall’applicazione della disposizione di cui sopra gli enti del Terzo settore iscritti in uno dei registri previsti dalle normative di settore ai sensi del D.Lgs. 117 del 2017.

 

Il Codice del Terzo settore (D.Lgs. 117/2017) prescrive l'obbligo, per gli enti del Terzo settore, qualificati nello statuto come ETS, di iscriversi nel Registro unico nazionale del Terzo settore (RUNTS) e di indicare gli estremi dell'iscrizione negli atti, nella corrispondenza e nelle comunicazioni al pubblico. Il D. Lgs. 117/2017, in vigore dal 3 agosto 2017, aveva previsto che il Registro fosse pienamente operativo a febbraio 2019, in quanto aveva concesso un anno di tempo per l'adozione dei provvedimenti attuativi a livello nazionale (decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, adottato previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni) e ulteriori sei mesi alle Regioni per provvedere agli aspetti di propria competenza. Attualmente, il decreto istitutivo del RUNTS non risulta ancora emanato. Non è stata pertanto definita la procedura per l'iscrizione nel Registro, i documenti da presentare ai fini dell'iscrizione e le modalità di deposito degli atti, nonché le regole per la predisposizione, la tenuta, la conservazione e la gestione del RUNTS. Attualmente, come disposto dall’art. 101, comma 2, del Codice, e fino all'operatività del RUNTS, continua pertanto a valere l'iscrizione ad uno dei registri previsti dalle normative di settore (Registro delle associazioni di promozione sociale, il Registro delle organizzazioni di volontariato, e Anagrafe Onlus).

 

§  alle fondazioni, associazioni e comitati appartenenti alle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese.

 

Si ricorda che i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica sono regolati dall’accordo di revisione del Concordato lateranense, sottoscritto il 18 febbraio 1984 a Villa Madama, e reso esecutivo con la legge 25 marzo 1985, n. 121, che ha di fatto sostituito il Concordato lateranense, firmato, insieme al Trattato (c.d. Patti Lateranensi), dalla Santa Sede e dall’Italia l’11 febbraio 1929.

Le confessioni religiose con le quali lo Stato italiano ha stipulato un’intesa conformemente all’art. 8 della Costituzione sono:

§  le Chiese rappresentate dalla Tavola valdese (Legge n. 449/1984);

§  le Assemblee di Dio in Italia (Legge n. 517/1988);

§  l'Unione delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° giorno (Legge n. 516/1988);

§  l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (Legge n. 101/1989);

§  l'Unione Cristiana Evangelica Battista d'Italia (Legge n. 116/1995);

§  la Chiesa Evangelica Luterana in Italia (Legge n. 520/1995);

§  la Sacra Arcidiocesi ortodossa d'Italia ed Esarcato per l'Europa Meridionale (Legge n. 126/2012);

§  la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni (Legge n. 127/2012);

§  la Chiesa Apostolica in Italia (Legge n. 128/2012);

§  l'Unione Buddista Italiana (Legge n. 245/2012);

§  l'Unione Induista italiana, Sanatana Dharma Samgha (Legge n. 246/2012);

§  l'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai (IBISG) (Legge n. 130/2016).

Il 1° febbraio 2017, il Ministro dell'interno e i rappresentanti delle associazioni e della comunità islamiche presenti in Italia hanno sottoscritto al Viminale un Patto nazionale per un Islam italiano.

 

La deroga per i soggetti menzionati trova la sua ratio nella “vocazione solidaristica” degli enti esonerati, secondo quanto evidenziato nella relazione illustrativa. A tali soggetti si applicano in ogni caso gli obblighi di trasparenza previsti dal citato D.Lgs. 117/2017.

 

Specifiche disposizioni finalizzate a delimitare l’applicazione degli obblighi di trasparenza nei confronti delle fondazioni, associazioni e comitati sono inoltre dettate dalle lettere c) e d) del comma 3 e dal comma 4 dell’articolo in commento (v. infra).

Termini relativi all’obbligo di annotazione dei dati in apposito registro

Il comma 3 dell’articolo in esame introduce alcune modifiche alla legge 3/2019 con particolare riguardo alle disposizioni in materia di obblighi di pubblicità e trasparenza posti in capo ai partiti e movimenti politici.

La lettera a) – modificando l’art. 1, comma 11, terzo periodo, della legge n. 3 del 2019 - pospone il termine entro il quale i partiti politici devono annotare in apposito registro le erogazioni (di importo complessivamente superiore nell’anno a 500 euro per soggetto erogatore). Si tratta di un intervento analogo a quello visto sopra (comma 1, lett. a) per i termini temporali di trasmissione alla Presidenza della Camera dell’elenco dei soggetti erogatori.

Anche nel caso delle annotazioni delle contribuzioni nel registro si prevede che per quelle pari o inferiori a 500 euro le annotazioni siano effettuate entro il mese di marzo dell’anno successivo; resta fermo il termine del mese solare successivo all’erogazione per le contribuzioni superiori a 500 euro.

Si specifica, inoltre, che il registro deve essere numerato progressivamente e firmato su ogni foglio dal rappresentante legale o dal tesoriere.

È soppressa anche la previsione dell’obbligo di annotazione entro il mese solare successivo a quello di percezione nel caso in cui intervenga lo scioglimento anche di una sola Camera. Resta fermo il termine ridotto di 15 giorni decorrenti dalla data di scioglimento.

 

Ai sensi della citata legge 3/2019, i partiti e movimenti politici sono tenuti ad annotare per ogni importo ricevuto da contribuzioni, prestazioni o altre forme di sostegno complessivamente superiori nell’anno a 500 euro, in un registro custodito presso la sede del partito, l’identità dell’erogante, l’entità del contributo e la data dell’erogazione. I dati annotati devono risultare nel rendiconto annuale del partito ed essere pubblicati nel sito del partito per almeno 5 anni.

Modifiche alla disciplina sanzionatoria

La lettera b) del comma 3 interviene sulla disciplina sanzionatoria in materia di obblighi di trasparenza introdotta dalla legge 3/2019, nella parte in cui (art. 1, comma 21) è previsto che la Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici applichi una sanzione non inferiore al triplo e non superiore al quintuplo del valore dei contributi, delle prestazioni o delle altre forme di sostegno a carattere patrimoniale ricevute nel caso di:

§  acquisizione di contributi e prestazioni erogate da parte di soggetti contrari alla pubblicità dei dati (in violazione dell’art. 1, comma 11, secondo periodo, L. 3/2019);

§  violazione del divieto di ricevere contributi da parte di governi o enti pubblici di Stati esteri, o da persone giuridiche con sede in un altro Stato (in violazione dell’art. 1, comma 12, primo periodo, L. 3/2019) o da persone fisiche maggiorenni non iscritte alle liste elettorali o private del diritto di voto (in violazione dell’art. 1, comma 12, secondo periodo, L. 3/2019).

 

La lettera b) in commento stabilisce che la suddetta sanzione è irrogata solo se i soggetti obbligati non abbiano provveduto al versamento dell’importo indebitamente ricevuto alla cassa delle ammende:

§  entro 3 mesi dal ricevimento, nell’ipotesi di contributi ricevuti da parte di governi o enti pubblici di Stati esteri o da persone giuridiche con sede in un altro Stato,

§  entro 3 mesi dalla “piena” conoscenza delle condizioni ostative di cui al comma 12, secondo periodo, consistenti nella provenienza delle erogazioni da persone fisiche maggiorenni non iscritte alle liste elettorali o private del diritto di voto.

 

Il diritto di voto si acquista, ai sensi dell’articolo 48, primo comma, della Costituzione e dell’articolo 1 D.P.R. 223/67, Testo Unico sull'elettorato attivo, al compimento del 18° anno di età, sempre che non sussistano gli impedimenti previsti dall’ordinamento vigente.

All'acquisizione del diritto, l'elettore viene iscritto nelle liste elettorali del comune di residenza, identificato con un numero di lista generale ed assegnato ad una sezione elettorale dove eserciterà il diritto di voto (art. 36 TU).

L'aggiornamento delle liste elettorali si effettua a mezzo di due revisioni semestrali con l'iscrizione di coloro che compiano il diciottesimo anno di età, rispettivamente, dal 1° gennaio al 30 giugno e dal 1° luglio al 31 dicembre di ciascun anno (art. 7 TU). Gli atti relativi alla revisione semestrale delle liste elettorali sono sempre ostensibili a chiunque. La copia delle liste generali di ciascun comune, autenticata dalla Commissione elettorale circondariale, è conservata negli archivi della Commissione stessa (art. 51 TU).

 

La modifica in questione sembrerebbe dunque porre a carico della Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici la verifica del momento in cui il partito o movimento politico abbia avuto la “piena conoscenza” della assenza dell’iscrizione nelle liste elettorali del soggetto erogante, momento dal quale decorrono i 3 mesi previsti dalla legge. Andrebbe valutata l’opportunità di specificare con maggiore determinatezza il riferimento alla “piena” conoscenza previsto dalla lettera b), dal quale decorrono i termini per l’applicazione della misura sanzionatoria, stante altresì la complessità della relativa verifica considerato che le liste elettorali sono tenute a livello comunale.

 

La lettera b-bis), introdotta nel corso dell’esame in sede referente, è volta a consentire alla Commissione di garanzia degli statuti dei partiti politici di accedere alle banche dati gestite dalle amministrazioni pubbliche o da enti che, a diverso titolo, sono competenti nella materia elettorale o che esercitino funzioni nei confronti dei soggetti equiparati ai partiti e ai movimenti politici. Possono altresì essere predisposti protocolli d'intesa con tali enti o amministrazioni per le medesime finalità e per l'esercizio delle funzioni istituzionali della Commissione.

 

Specifiche disposizioni relative all’applicazione degli obblighi nei confronti delle fondazioni, associazioni e comitati

La lettera c) del comma 3 coordina il comma 28 dell’art. 1 della legge n. 3 del 2019 con quanto disposto dal nuovo comma 4-bis dell’art. 5 del DL 149/2013 che, ai fini dell’applicazione degli obblighi di pubblicità e trasparenza alle fondazioni, associazioni e comitati, ha delimitato l’ambito di applicazione per gli enti del Terzo settore iscritti nel Registro unico nazionale (o, nelle more, iscritti in uno dei registri previsti dalle normative di settore) e per le fondazioni, associazioni e comitati appartenenti alle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese. Tale previsione viene dunque richiamata nel testo e “fatta salvo” ai fini delle prescrizioni della legge 3/2019.

 

Con le modifiche disposte dalla lettera d) del comma 3 e dal comma 4 vengono altresì previste disposizioni per delimitare l’applicazione degli obblighi e delle sanzioni stabiliti dalla medesima legge n. 3 del 2019 alle fondazioni, associazioni e comitati (di cui all’art. 5, comma 4, del DL 149 del 2013, come modificato dall’art. 43 in commento – v- supra). Viene stabilito in particolare che:

§  per le elargizioni, i finanziamenti e i contributi ricevuti a partire dal 30 maggio 2019[64] (comma 4) i termini per l’annotazione nell’apposito registro dei dati relativi alle elargizioni ricevute e per la trasmissione alla Presidenza della Camera ai fini del rispetto degli obblighi di pubblicità si intendono fissati, per tali soggetti, al secondo mese solare successivo per le suddette fondazioni, associazioni e comitati, fatta eccezione per i comitati elettorali (nuovo comma 28-bis all’art. 1 della legge n. 3 del 2019);

I termini per l’annotazione nell’apposito registro dei dati relativi alle elargizioni ricevute sono fissati dall’art. 1, comma 11, terzo periodo, della legge n. 3 del 2019 – v. supra; i termini per la trasmissione alla Presidenza della Camera ai fini del rispetto degli obblighi di pubblicità sono individuati dall’art. 5, comma 3, del DL 149/2013, come modificato – v. supra.

§  a tali soggetti non si applica il divieto di ricevere contributi, prestazioni o altre forme di sostegno provenienti da governi o enti pubblici di Stati esteri e da persone giuridiche aventi sede in uno Stato estero non assoggettate a obblighi fiscali in Italia, introdotto per i partiti e movimenti politici (nonché per le liste partecipanti alle elezioni amministrative per i comuni con più di 15.000 abitanti) dall’art. 1, comma 12, primo periodo, della legge n. 3 del 2019;

§  per tali soggetti il divieto per le persone fisiche maggiorenni non iscritte nelle liste elettorali o private del diritto di voto di elargire contributi (di cui all’art. 1, comma 12, secondo periodo, della legge n. 3 del 2019) non si applica nel caso di elargizioni disposte da persone fisiche maggiorenni straniere. Quindi la norma sembrerebbe trovare applicazione - per le predette fondazioni, associazioni e comitati - solo nel caso di elargizioni effettuate da parte di persone fisiche maggiorenni private del diritto di voto o non iscritte nelle liste elettorali per motivi diversi dall’appartenenza ad altro Paese (ad es. per irreperibilità anagrafica) e comunque esclusivamente per contributi, prestazioni o altre forme di sostegno di importo annuale superiore a 500 euro.

Nel corso dell’esame in sede referente alla Camera è stato specificato che alle fondazioni, alle associazioni ed ai comitati ai quali sono applicati i medesimi obblighi dei partiti e movimenti politici (ai sensi dell’art. 5, comma 4, del decreto-legge 149/2013, come modificato dal provvedimento in esame) è fatto divieto di devolvere, in tutto o in parte, le elargizioni in denaro, i contributi, le prestazioni o le altre forme di sostegno a carattere patrimoniale in favore di partiti e movimenti politici, delle liste elettorali e di singoli candidati alla carica di sindaco se ricevuti ai sensi del comma 28-bis, secondo periodo. Tale previsione riguarda i contributi provenienti da governi o enti pubblici di Stati esteri e da persone giuridiche aventi sede in uno Stato estero non assoggettate a obblighi fiscali in Italia nonché da persone fisiche maggiorenni straniere. Tali elargizioni in denaro, contributi, prestazioni o le altre forme di sostegno a carattere patrimoniale devono essere inoltre annotati in separata e distinta voce del bilancio d'esercizio.

Nel caso di violazione di tali obblighi (previsti dal comma 28-bis) alle fondazioni, alle associazioni ed ai comitati la Commissione di garanzia degli statuti dei partiti politici applica la sanzione amministrativa pecuniaria di importo non inferiore al triplo e non superiore al quintuplo del valore delle elargizioni in denaro, dei contributi, delle prestazioni o delle altre forme di sostegno a carattere patrimoniale ricevuti.

Presentazione delle candidature

È infine oggetto di specificazione, sulla base di una modifica approvata in sede referente, l’art. 1, comma 14, della legge n. 3 del 2019, prevedendo che il sito internet in cui le liste partecipanti alle elezioni amministrative nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti devono pubblicare il curriculum vitae fornito dai loro candidati e il relativo certificato penale è quello del partito o del movimento politico “sotto il cui contrassegno si sono presentate nella competizione elettorale”.

 

La legge n. 3 del 2019 ha introdotto nuovi obblighi di pubblicità per i partiti e movimenti politici che intendono presentare candidati alle elezioni, escluse quelle dei comuni con meno di 15.000 abitanti. L’obbligo si applica, oltre ai partiti e movimenti politici, anche alle liste e ai candidati alla carica di sindaco partecipanti alle elezioni nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti.

Entro il 14° giorno antecedente la data delle elezioni (entro il 12 maggio 2019) tali soggetti hanno l’obbligo di pubblicare nel proprio sito internet:

-          il curriculum vitae fornito dai loro candidati;

-          il certificato penale di ciascun candidato rilasciato dal casellario giudiziale non oltre 90 giorni prima della data fissata per la consultazione elettorale.

Ai fini dell’ottemperanza agli obblighi di pubblicazione nel sito internet non è richiesto il consenso espresso degli interessati.

Nel caso in cui il certificato penale sia richiesto da coloro che intendono candidarsi alle elezioni, per le quali sono stati convocati i comizi elettorali, le imposte di bollo e ogni altra spesa, imposta e diritto dovuti ai pubblici uffici sono ridotti della metà. A tal fine, deve essere resa contestualmente una dichiarazione, sotto la propria responsabilità, che la richiesta di tali certificati è finalizzata a rendere pubblici i dati ivi contenuti in occasione della propria candidatura (L. 3/2019, art. 1, comma 14).

La sanzione amministrativa pecuniaria per il partito o movimento politico che viola tali obblighi va da euro 12.000 a euro 120.000 ed è applicata dalla Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici (L. 3/2019, art. 1, comma 23).

 


 

Articolo 43, comma-4-bis
(Termini per l’adeguamento degli statuti degli enti
del Terzo settore e delle imprese sociali)

 

 

L’articolo 43, comma 4-bis, inserito nel corso dell’esame referente, proroga, dal 3 agosto 2019 al 30 giugno 2020, il termine per l’adeguamento degli statuti delle bande musicali[65], delle Onlus, delle organizzazioni di volontariato (ODV) e delle associazioni di promozione sociale (APS) secondo le indicazioni in materia recate dall’articolo 101, comma 2, del Codice del Terzo settore (D.Lgs 117/2017). La disposizione inoltre differisce al 30 giugno 2020 anche il termine per l’adeguamento degli statuti delle imprese sociali, la cui disciplina è recata, dall’art.17, comma 3 del D.Lgs. n.112/2017 (Revisione della disciplina in materia di impresa sociale), che aveva previsto espressamente quale termine per l’adeguamento il 20 gennaio 2019.

 

In premessa occorre ricordare che l’iscrizione al Registro Unico nazionale del Terzo settore (RUNTS), istituito dal Codice del Terzo settore (CTS), è elemento che qualifica un ente quale Ente del Terzo settore (ETS) dando conseguentemente la possibilità di fruire delle agevolazioni finanziarie e fiscali previste dalla riforma del settore. Il RUNTS avrebbe dovuto essere definito entro un anno dalla data di entrata in vigore del CTS; il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, avrebbe dovuto definire, con un proprio decreto, la procedura per l’iscrizione nel Registro, individuando i documenti da presentare e le modalità di deposito degli atti da includere e/o aggiornare nel Registro, nonché le regole per la predisposizione, la tenuta, la conservazione e la gestione del Registro. Il CTS ha previsto un passaggio semplificato per le organizzazioni del Terzo settore preesistenti alla riforma che intendono iscriversi al RUNTS. Nel marzo 2019 è stata siglata una convenzione tra Ministero del Lavoro e delle politiche sociali e Unioncamere, in base alla quale è affidata a Infocamere, società telematica delle Camere di commercio, la gestione informatica del RUNTS. L’accordo prospetta un termine di 18 mesi nell’arco del quale implementare le specifiche tecniche ai fini delle procedure d’iscrizione e di visura del Registro. Il Registro si comporrà delle seguenti sezioni: organizzazioni di volontariato; associazioni di promozione sociale; enti filantropici; imprese sociali, incluse le cooperative sociali; reti associative; società di mutuo soccorso; altri enti del Terzo settore.

Le imprese sociali sono tenute all’iscrizione nel registro delle imprese, ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. 112/2017, iscrizione che soddisfa anche il requisito dell’iscrizione nel Registro unico (art. 11, co. 2, CTS).

La questione dell’adeguamento degli statuti degli ETS alla nuova disciplina, condizione indispensabile per l’iscrizione al RUNS è stata oggetto di ripetuti chiarimenti da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che ha emesso una prima Circolare in materia il 27 dicembre 2018 fornendo elementi interpretativi utili per l’applicazione dell’art. 101, comma 2, del D.Lgs. 117/2017[66] e sottolineando inoltre come tali indicazioni non fossero riferibili alle imprese sociali, soggette alla disciplina del D.Lgs. 112/2017[67]. Una seconda Circolare, il 31 maggio 2019, ha nuovamente chiarito alcuni punti, risultati variamente interpretabili. Entrambi i documenti ribadiscono che gli enti iscritti ai registri già esistenti (Registri delle ODV, delle APS o Albo anagrafico delle ONLUS) hanno facolta? di effettuare, entro il 2 agosto 2019, gli adeguamenti statutari, limitatamente alle nuove disposizioni inderogabili o per introdurre clausole che escludono l'applicazione di nuove disposizioni derogabili mediante specifica clausola statutaria (per l'individuazione delle varie ipotesi si rinvia alla circolare del dicembre 2018).

 

La Circolare del dicembre 2018 ribadisce che le ODV, le APS e le ONLUS potranno apportare le modifiche di adeguamento agli statuti in assemblea ordinaria, quindi beneficiando della “semplificazione” prevista al comma 2 dell’art. 101 del CTS, se tali modifiche saranno realizzate entro il termine del 2 agosto 2019. Invece se i medesimi enti procederanno alle modifiche statutarie oltre il termine del 2 agosto 2019, dovranno applicare quanto disposto dai propri statuti per l’assunzione delle delibere modificative degli statuti e non beneficeranno della “semplificazione”. Gli enti costituiti ai sensi delle normative di settore ma non ancora iscritti ai relativi registri, qualora intendano apportare modifiche per allineare gli statuti al CTS, dovranno farlo senza beneficiare della semplificazione, che è stata prevista solo per gli enti gia? provvisti della qualifica derivante dall'iscrizione ai registri esistenti.


 

Articolo 44
(Semplificazione ed efficientamento dei processi di programmazione, vigilanza ed attuazione degli interventi finanziati dal Fondo per lo sviluppo e la coesione)

 

 

L’articolo 44 prevede una riclassificazione degli attuali documenti di programmazione delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione relativi ai vari cicli di programmazione (2000-2006, 2007-2013, 2014-2020), effettuata dall’Agenzia per la coesione, finalizzata alla predisposizione di unico Piano operativo denominato «Piano sviluppo e coesione» per ciascuna Amministrazione centrale, Regione o Città metropolitana titolare di risorse del Fondo, in sostituzione degli attuali molteplici documenti programmatori, al fine di garantire un coordinamento unitario in capo a ciascuna Amministrazione, nonché una accelerazione della spesa degli interventi finanziati a valere sulle risorse del Fondo medesimo.

A tal fine l’articolo prevede:

§  la predisposizione di un Piano sviluppo e coesione per ciascuna Amministrazione titolare di risorse, articolato per aree tematiche, in analogia agli obiettivi tematici della programmazione dei Fondo Strutturali Europei (SIE), che dovrà essere approvato dal CIPE entro 4 mesi dall’entrata in vigore del provvedimento in esame (commi 1-2);

§  la costituzione di appositi Comitati di sorveglianza (commi 2-4);

§  la disciplina del monitoraggio degli interventi da parte delle Amministrazioni (comma 5).

I restanti commi recano le disposizioni per la predisposizione dei Piani Sviluppo e Coesione, per l’individuazione degli interventi che possono rientrare in ciascun Piano (commi 6-9, 14-15) e per la riallocazione delle risorse eventualmente non rientranti in esso (comma 10 e 13), fermo restando il vincolo di destinazione territoriale delle risorse secondo la chiave di riparto 80% alle aree del Mezzogiorno e 20% alle aree del Centro-Nord (comma 11).

Il comma 15, infine, prevede la presentazione al CIPE di una relazione annuale sull’andamento degli interventi ricompresi nei Piani operativi da parte del Ministro per il Sud.

 

Nel corso dell’esame in sede referente alla Camera, sono state approvate una serie di modifiche. Tra le principali:

-    al comma 1, viene precisato che la riclassificazione dei documenti di programmazione di cui all’articolo in esame è effettuata dall’Agenzia per la coesione d’intesa con le Amministrazioni interessate. La previa intesa con l’amministrazione interessata è altresì richiesta ai fini della sottoposizione al CIPE del nuovo Piano di sviluppo e coesione, laddove l’amministrazione titolare del nuovo Piano operativo sia una Regione o Provincia autonoma o Città Metropolitana (nuovo comma 1-bis);

-    è stato inserito il comma 1-ter, il quale, al fine di garantire il coordinamento interistituzionale e la realizzazione dei Piani sviluppo e coesione a titolarità delle amministrazioni centrali, stabilisce che il Governo stipula con le regioni e le province autonome sul cui territorio ricadono gli interventi, apposite Intese;

-    al comma 2, viene precisata la composizione dei Comitati di sorveglianza, specificando che, per i Piani di competenza regionale, i Comitati sono integrati con la partecipazione dei rappresentanti dei Ministri competenti per area tematica, ovvero, per i Piani di competenza ministeriale, con la partecipazione dei rappresentanti delle regioni;

-    al comma 4, viene precisato che i Comitati di sorveglianza dei Programmi Attuativi Regionali (PAR) del FSC 2007-2013, ivi disciplinati, sono quelli attualmente già istituiti;

-    al comma 8, viene chiarito che i compiti delle Amministrazioni titolari dei futuri Piani operativi, consistono in competenze già in capo alle amministrazioni, tra cui quella nella selezione degli interventi da inserire nel piano, in sostituzione di quelli che risultavano già finanziati;

-    al comma 10, è chiarito, con una riformulazione della lettera a), che le risorse del FSC, eventualmente non rientranti nel Piano sviluppo e coesione che vengono riprogrammate, contribuiscono al finanziamento dei Piano sviluppo e coesione delle Amministrazioni per le quali risultino fabbisogni di investimenti superiori alle risorse assegnate nel relativo Piano in sede di prima attuazione. Inoltre, è introdotto il concerto con le amministrazioni interessate in caso di riprogrammazione delle risorse non rientranti nel Piano sviluppo e coesione in favore di opere ed interventi infrastrutturali, di cui alle lettere b) e c) del comma 10 medesimo;

-    è stato infine inserito il comma 15-bis, volto a garantire che per il futuro ciclo di programmazione 2021-2027, le Amministrazioni regionali avranno in capo la titolarità e la gestione di tutte le risorse FSC destinate al territorio regionale.

 

In particolare, si prevede, al comma 1, che l’Agenzia per la coesione territoriale proceda, per ciascuna Amministrazione centrale, Regione o Città metropolitana titolare di risorse a valere sul Fondo per lo sviluppo e coesione relative ai cicli di programmazione 2000-2006, 2007-2013 e 2014-2020, ad una riclassificazione degli attuali documenti programmatori, al fine di sottoporre all’approvazione del CIPE, su proposta del Ministro per il Sud, un unico Piano operativo per ciascuna di esse, denominato «Piano sviluppo e coesione», con modalità unitarie di gestione e monitoraggio, in sostituzione degli attuali documenti programmatori variamente denominati e tenendo conto degli interventi ivi inclusi, al fine di garantire il coordinamento unitario e migliorare la qualità degli investimenti finanziati con le risorse del Fondo destinate alle politiche di coesione, nonché di accelerarne la spesa.

A seguito di una modifica approvata nel corso dell’iter alla Camera, l’Agenzia per la coesione procede alla riclassificazione dei documenti di programmazione d’intesa con le Amministrazioni interessate.

 

La norma prevede che il Piano operativo unitario di ciascuna amministrazione venga sottoposto dall’Agenzia per la coesione all’approvazione del CIPE entro quattro mesi dall’entrata in vigore del presente decreto.

Nel corso dell’esame in sede referente alla Camera, è stato inserito il comma 1-bis, volto a precisare che laddove l’amministrazione titolare del nuovo Piano operativo sia una Regione o Provincia autonoma o Città Metropolitana, l’Agenzia per la Coesione Territoriale procede a sottoporre all’approvazione del CIPE il nuovo Piano di Sviluppo e Coesione di cui al comma 1 previa intesa con l’amministrazione titolare interessata.

 

Si ricorda che il Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) è, congiuntamente ai Fondi strutturali europei, lo strumento finanziario principale attraverso cui vengono attuate le politiche per la coesione economica, sociale e territoriale e la rimozione degli squilibri economici e sociali.

Sul Fondo - disciplinato dal D.Lgs. n. 88/2011 – sono iscritte le risorse finanziarie aggiuntive nazionali destinate a finalità di riequilibrio economico e sociale nonché a incentivi e investimenti pubblici. Il requisito dell'aggiuntività è espressamente precisato dalla disciplina istitutiva del Fondo (articolo 2 del D.Lgs. n. 88/2011) in cui si dispone che le risorse non possono essere sostitutive di spese ordinarie del bilancio dello Stato e degli enti decentrati, in coerenza con l'analogo criterio dell'addizionalità previsto per i fondi strutturali dell'Unione europea.

Il Fondo ha carattere pluriennale, in coerenza con l'articolazione temporale della programmazione dei Fondi strutturali dell'Unione europea, garantendo l'unitarietà e la complementarietà delle procedure di attivazione delle relative risorse con quelle previste per i fondi comunitari. L'intervento del Fondo è destinato al finanziamento di progetti strategici, sia di carattere infrastrutturale sia di carattere immateriale, di rilievo nazionale, interregionale e regionale, aventi natura di grandi progetti o di investimenti articolati in singoli interventi tra loro funzionalmente connessi. Per quanto concerne l'utilizzo delle risorse del Fondo, la normativa attribuisce al CIPE il compito di ripartire, con proprie deliberazioni, la dotazione del Fondo tra gli interventi in esso compresi.

Per un approfondimento sulla attuale programmazione del FSC relativo al ciclo 2014-2020 si rinvia al box in fondo alla scheda in esame[68].

 

Secondo quanto riportato nella Relazione illustrativa (A.C. 1807), per i tre cicli di programmazione del FSC 2000-2006, 2007-2013 e 2014-2020 risultano ad oggi sottoscritti oltre 1.000 strumenti di programmazione delle risorse del Fondo sviluppo e coesione: 785 Accordi di Programma Quadro (APQ), relativi alle risorse autorizzate per il ciclo 2000-2006 (comprensivi dei diversi aggiornamenti e addendum), 188 Accordi di Programma Quadro (APQ) rafforzati relativi al ciclo di programmazione 2007-2013, 11 Programmi Operativi delle Amministrazioni centrali e 23 Patti per lo Sviluppo (di cui 11 Patti per le Regioni, 12 Patti per le città metropolitane) relativi al ciclo di programmazione 2014-2020.

I vari tipi di strumenti programmatori individuano specifiche modalità di attuazione, di monitoraggio e di governance.

 

Nel corso dell’esame in sede referente alla Camera, è stato inserito il comma 1-ter, il quale, al fine di garantire il coordinamento interistituzionale e la realizzazione dei Piani sviluppo e coesione a titolarità delle amministrazioni centrali, dispone che il Governo stipula con le regioni e le province autonome sul cui territorio ricadono gli interventi, apposite Intese.

 

Al fine di rafforzare il carattere unitario della programmazione e garantire la simmetria con i Programmi Operativi Europei, il comma 2 prevede che ciascun Piano operativo sia articolato per aree tematiche, in analogia agli obiettivi tematici dell’Accordo di Partenariato attuativo dei Fondi strutturali e di Investimento europei 2014-2020.

 

Si ricorda che l'Accordo di partenariato 2014-2020 è lo strumento che stabilisce, per ciascuno Stato membro dell'UE, il quadro strategico della programmazione nazionale relativa al periodo 2014-2020 dei fondi strutturali e di investimento europei (Fondi SIE), vale a dire i fondi destinati alla politica di coesione (Fondo europeo di sviluppo regionale, FESR; Fondo sociale europeo, FSE; e, per i Paesi che ne beneficiano, Fondo di coesione, FC) nonché il Fondo europeo per l'agricoltura e lo sviluppo rurale (FEASR) e il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP). I Fondi inclusi nell'accordo di partenariato sono attuati mediante Programmi Operativi elaborati dagli Stati membri o da un'autorità da essi designata. L'impostazione strategica è articolata su 11 obiettivi tematici (OT), corrispondenti a quelli individuati dall'articolo 9 del Reg. UE n. 1303/2013, come indicati nella tabella seguente:


 

 

Obiettivo Tematico

01 -Rafforzare la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l'innovazione

02 -Migliorare l'accesso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, nonché l'impiego e la qualità delle medesime

03 -Promuovere la competitività delle piccole e medie imprese, del settore agricolo (per il FEASR) e del settore della pesca e dell'acquacoltura (per il FEAMP)

04 -Sostenere la transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio in tutti i settori

05 -Promuovere l'adattamento al cambiamento climatico, la prevenzione e la gestione dei rischi

06 -Preservare e tutelare l'ambiente e promuovere l'uso efficiente delle risorse

07 -Promuovere sistemi di trasporto sostenibili ed eliminare le strozzature nelle principali infrastrutture di rete

08 -Promuovere un'occupazione sostenibile e di qualità e sostenere la mobilità dei lavoratori

09 -Promuovere l'inclusione sociale e combattere la povertà e ogni discriminazione

10 -Investire nell'istruzione, nella formazione e nella formazione professionale per le competenze e l'apprendimento permanente

11 -Rafforzare la capacità istituzionale delle autorità pubbliche e delle parti interessate e un'amministrazione pubblica efficiente

AT - Assistenza Tecnica

 

Con riferimento all’attuale ciclo di programmazione del FSC 2014-2020, si ricorda che la disciplina definita dalla legge di stabilità per il 2015 (art. 1, commi 703-706, legge n. 190/2014) già stabilisce una programmazione delle risorse in forma integrata con le risorse europee per lo sviluppo regionale. In particolare, si prevede:

§  l’impiego della dotazione finanziaria del Fondo Sviluppo e Coesione per obiettivi strategici relativi ad aree tematiche nazionali in linea con la programmazione dei Fondi strutturali e di Investimento europei, individuate dall'Autorità politica per la coesione con la delibera CIPE n. 25/2016;

§  la definizione di Piani Operativi per ciascuna area tematica, ad opera della Cabina di regia (istituita con D.P.C.M. 25 febbraio 2016), predisposti nel rispetto del principio (introdotto dalla legge n. 147/2013, art. 1, co. 6) che riserva l'impiego delle risorse del FSC per un importo non inferiore all'80 per cento per interventi nelle regioni del Sud;

§  ripartizione della dotazione finanziaria complessiva del FSC tra le aree tematiche nazionali mediante delibera del CIPE.

In attuazione della citata normativa, con la delibera n. 25/2016, sono state individuate le seguenti aree tematiche:

1. Infrastrutture

2. Ambiente

3.a Sviluppo economico e produttivo

3.b Agricoltura

4. Turismo, cultura e valorizzazione risorse naturali

5. Occupazione, inclusione sociale e lotta alla povertà, istruzione e formazione

6. Rafforzamento PA.

 

Ai fini della governance di ciascun Piano, il comma 2 prevede il trasferimento delle funzioni, ora attribuite ai rispettivi strumenti di governance - a suo tempo istituiti con delibere del CIPE o comunque previsti dai singoli documenti di programmazione oggetto di riclassificazione - ad appositi Comitati di Sorveglianza, costituiti (e quindi presieduti) dalle Amministrazioni titolari dei Piani operativi.

Ai Comitati partecipano i rappresentanti del Dipartimento per le politiche di coesione, dell’Agenzia per la coesione territoriale, del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica nonché - come precisato con una modifica approvata nel corso dell’esame alla Camera - dei rappresentanti, per i Piani di competenza regionale, dei Ministri competenti per area tematica, ovvero, per i Piani di competenza ministeriale, delle regioni.

Ai Comitati partecipano anche i rappresentanti del partenariato economico e sociale relativamente agli ambiti di cui alle lettere d) ed e) indicate al successivo comma 3.

Per la partecipazione ai Comitati di sorveglianza non sono dovuti gettoni di presenza, compensi, rimborsi spese o altri emolumenti comunque denominati.

 

I Comitati di sorveglianza hanno il compito di (comma 3):

-      approvare la metodologia e i criteri usati per la selezione delle operazioni (con tale locuzione si dovrebbe, presumibilmente, intendere gli interventi);

-      approvare le relazioni di attuazione e finali.

Con una modifica approvata nel corso dell’esame alla Camera è stato eliminato il riferimento che precisava che le relazioni di attuazione fossero annuali;

-      esaminare le eventuali proposte di modifiche al Piano Operativo, con facoltà di approvazione delle stesse ovvero esprimendo un parere ai fini della sottoposizione delle modifiche stesse al CIPE.

Con una modifica approvata nel corso dell’esame alla Camera, è stato eliminato il riferimento alle disposizioni della delibera CIPE n. 25/2016, per quel che concerne le modalità con cui procedere all’approvazione di modifiche al Piano operativo. Va peraltro detto che la citata delibera reca la disciplina del Fondo Sviluppo e Coesione per la programmazione 2014-2020 secondo le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 703, della legge n. 190/2014, il cui rispetto è richiamato, in via generale, dal successivo comma 14.

-      esaminare ogni aspetto che incida sui risultati, comprese le verifiche sull’attuazione;

-      esaminare i risultati delle valutazioni.

 

Con riferimento agli attuali Piani Operativi relativi al FSC 2014-2020, nella delibera CIPE n. 25/2016 (punto 2, lettera b) si prevede, per ciascun piano, l'istituzione di un Comitato con funzioni di sorveglianza, di un organismo di certificazione, inteso quale autorità abilitata a richiedere i pagamenti del FSC, e di un sistema di gestione e controllo.

Ai lavori dei predetti Comitati di ciascun piano partecipano un rappresentante del Dipartimento per le politiche di coesione (DPC) presso la Presidenza del Consiglio, un rappresentante del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica (DIPE) presso la Presidenza del Consiglio, un rappresentante dell'Agenzia per la coesione territoriale, un rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze, un rappresentante per le amministrazioni di riferimento del Piano operativo e comunque un rappresentante per ciascuna regione interessata.

Per i Patti territoriali, il suddetto ruolo è svolto dai Comitati di indirizzo e controllo, previsti nell’articolo 5 di ciascun Patto, costituiti dai rappresentanti dell'Agenzia per la coesione territoriale, del Dipartimento per le politiche di coesione (DPC), del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica (DIPE) e da un rappresentante della regione o Città metropolitana di riferimento.

Rispetto agli organismi attualmente previsti, il ruolo dei nuovi Comitati di sorveglianza, istituiti ai sensi dei commi 2 e 3 dell’articolo in esame, sembrerebbe ampliarsi, in quanto questi ultimi si troverebbero a svolgere un ruolo maggiormente rilevante, con riferimento, in particolare, all’approvazione della metodologia e dei criteri utilizzati per la selezione degli interventi da realizzare, nonché all’approvazione delle eventuali modifiche al Piano operativo.

Il comma 3 mantiene in ogni caso ferme le competenze specifiche normativamente attribuite alle Amministrazioni centrali e regionali ed alle Agenzie nazionali.

Ci si riferisce, in particolare, all’Agenzia per la coesione territoriale, all’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa - Invitalia S.p.A. e all’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro – ANPAL, che, in base alla normativa vigente, hanno assunto competenze nella gestione delle politiche di coesione.

 

Al riguardo si ricorda che le competenze dell’Agenzia per la coesione territoriale e di Invitalia S.p.A. sono definite dall’articolo 10 del D.L. n. 101 del 2013, come modificato dall’articolo 4-ter del D.L. n. 86 del 2018, introdotto dalla legge di conversione n. 97 del 2018. Nello specifico l’Agenzia per la coesione territoriale assicura la sorveglianza, il monitoraggio e il controllo di tutti i programmi operativi e di tutti gli interventi della politica di coesione, anche attraverso specifiche attività di valutazione e verifica, in raccordo con le amministrazioni competenti, ferme restando le funzioni attribuite alla Ragioneria generale dello Stato (comma 3, lett. a). Inoltre, vigila, nel rispetto delle competenze delle singole amministrazioni pubbliche, sulla attuazione dei programmi europei o nazionali e sulla realizzazione dei progetti che utilizzino risorse della politica di coesione (lett. c).

Invitalia S.p.A. supporta sia il Dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza del Consiglio che l’Agenzia per la coesione territoriale per quanto riguarda l'attuazione della politica di coesione.

All’ANPAL (istituita dall’articolo 4 del decreto legislativo n. 150 del 2015) l’articolo 9 del medesimo decreto legislativo conferisce, tra le altre, la funzione di promozione e coordinamento, in raccordo con l'Agenzia per la coesione territoriale, dei programmi cofinanziati dal Fondo Sociale Europeo, nonché di programmi cofinanziati con fondi nazionali negli ambiti di intervento del Fondo Sociale Europeo (lett. f).

 

Il successivo comma 4 prevede che i Comitati di sorveglianza relativi ai Programmi Attuativi Regionali (PAR) del FSC 2007-2013, che risultano già istituiti – come precisato con una modifica approvata nel corso dell’esame alla Camera - devono integrare la propria composizione e disciplina, secondo quanto previsto dai precedenti commi 2 e 3.

Si ricorda che i Comitati di sorveglianza dei PAR (Programmi Attuativi Regionali) del ciclo FSC 2007-2013 sono stati istituti per le sole Regioni del Centro-Nord.

 

Per quanto concerne il monitoraggio degli interventi rientranti nel Piano, il comma 5 prevede che siano le Amministrazioni titolari dei Piani sviluppo e coesione a monitorare gli interventi sul proprio sistema gestionale e rendono disponibili, con periodicità bimestrale, i dati di avanzamento finanziario, fisico e procedurale alla Banca dati Unitaria del Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento della ragioneria generale dello Stato, secondo le disposizioni normative di cui di cui all’articolo 1, comma 703, lettera l), legge 23 dicembre 2014, n. 190. Gli interventi, pena esclusione dal finanziamento, sono identificati con il Codice Unico di Progetto (CUP).

 

Il citato comma 703, lettera l) della legge n. 190/2014 prevede che ai fini della verifica dello stato di avanzamento della spesa riguardante gli interventi finanziati con le risorse del FSC, le amministrazioni titolari degli interventi comunicano i relativi dati al sistema di monitoraggio unitario di cui all' articolo 1, comma 245, della legge n. 147/2013, sulla base di un apposito protocollo di colloquio telematico. Entro il 10 settembre di ciascun anno, la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche di coesione, sulla base delle comunicazioni trasmesse dall'Agenzia per la coesione sullo stato di attuazione degli interventi, tenendo conto dei dati forniti dalle singole amministrazioni titolari degli interventi stessi, aggiorna le previsioni di spesa riguardanti le risorse trasferite alla contabilità dedicata e quelle relative agli stanziamenti di bilancio per il successivo triennio. Sulla base di tali comunicazioni il Ministero dell'economia e delle finanze può adottare, ove necessario, decreti di svincolo delle risorse riferite all'esercizio in corso e a quelli successivi. Le amministrazioni titolari degli interventi assicurano il tempestivo e proficuo utilizzo delle risorse assegnate e provvedono a effettuare i controlli sulla regolarità delle spese sostenute dai beneficiari.

Relativamente al monitoraggio, si ricorda, che nella delibera CIPE n. 25/2016 (relativa alla disciplina del Fondo sviluppo e coesione della programmazione 2014-2020, ai sensi dell'art. 1, comma 703, lett. b) e c), della legge n. 190/2014), prevede che entro due mesi dall'accoglimento dei piani operativi da parte della Cabina di regia, le Amministrazioni di riferimento di ciascun piano dovranno alimentare il sistema di monitoraggio unitario istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze inserendo i cronoprogrammi di ogni singolo intervento finanziato. Le medesime Amministrazioni provvedono, con cadenza bimestrale, all'aggiornamento dei dati di monitoraggio. Il mancato o incompleto inserimento e/o aggiornamento di tali informazioni comporta la sospensione del trasferimento delle relative risorse. L'Agenzia per la coesione territoriale è responsabile del coordinamento e della vigilanza sull'attuazione e svolge, altresì, l'azione di monitoraggio e valutazione degli obiettivi raggiunti.

 

Il comma 6, come riformulato nel corso dell’esame alla Camera, precisa che, ai fini della riclassificazione, fermo quanto previsto dal successivo comma 7, restano in ogni caso fermi:

§  le dotazioni finanziarie degli strumenti di programmazione oggetto di riclassificazione, come determinate alla data di entrata in vigore del presente decreto,

§  gli interventi individuati e il relativo finanziamento,

§  la titolarità dei programmi o delle assegnazioni deliberate dal CIPE,

§  i soggetti attuatori, ove individuati anche nei documenti attuativi.

Con la riformulazione approvata nel corso dell’esame alla Camera, è stato eliminato il riferimento al mantenimento delle appostazioni programmatiche non declinate in specifico interventi; ciò anche ai fini di un migliore coordinamento con quanto previsto al successivo comma 7, che disciplina la predisposizione del Piano sviluppo in sede di prima attuazione, e che prevede una piena discrezionalità dell’Amministrazione nella individuazione degli interventi che, in tale sede, possono essere inclusi o meno nei Piani sviluppo e coesione.

 

In sede di prima approvazione, il comma 7 stabilisce che il Piano sviluppo e coesione di cui al comma 1 può contenere:

a) gli interventi dotati di progettazione esecutiva o con procedura di aggiudicazione avviata alla data di entrata in vigore del presente decreto;

b) gli interventi che, pur non rientrando nella casistica di cui alla lettera a), siano valutati favorevolmente dal Dipartimento per le politiche di coesione, dall’Agenzia per la coesione territoriale, d’intesa con le Amministrazioni titolari delle risorse, in ragione dello stato di avanzamento della progettazione, dell’effettiva rispondenza e sinergia con le priorità di sviluppo dei territori e con gli obiettivi strategici del nuovo ciclo di programmazione dei fondi europei, nonché della concomitante possibilità di generare obbligazioni giuridicamente vincolanti entro il 31 dicembre 2021.

Per tali ultimi interventi, il successivo comma 9 dispone che il CIPE, con la medesima delibera di approvazione del Piano sviluppo e coesione, stabilisce misure di accompagnamento alla progettazione e all’attuazione da parte del Dipartimento per le politiche di coesione, dell’Agenzia per la coesione territoriale e della Struttura per la progettazione di beni ed edifici pubblici di cui all’articolo 1, comma 162, della legge n. 145/2018, al fine di accelerarne la realizzazione e la spesa.

Si segnala che la suddetta Struttura per la progettazione di beni ed edifici pubblici non risulta al momento ancora istituita.

 

Il comma sembra prevedere una piena discrezionalità dell’Amministrazione nella individuazione degli interventi che, in sede di prima attuazione, possono essere inclusi o meno nei Piani sviluppo e coesione.

Al riguardo va considerato quanto previsto al successivo comma 10, che disciplina la riprogrammazione delle eventuali risorse, di cui al comma 1, che non vengano ricomprese nel Piano sviluppo e coesione.

 

Ai sensi del comma 8, come riformulato nel corso dell’esame alla Camera, l’amministrazione titolare del Piano operativo oggetto di riclassificazione resta responsabile:

§  della selezione degli interventi, in sostituzione di quelli che risultavano già finanziati alla data di entrata in vigore del presente decreto,

§  della vigilanza sulla attuazione dei singoli interventi,

§  dell’utilizzo delle risorse per far fronte a eventuali varianti,

§  della presentazione degli stati di avanzamento,

§  nonché delle richieste di erogazione delle risorse ai beneficiari.

 

Il comma 10 - anch’esso modificato nel corso dell’esame alla Camera - precisa che le risorse del FSC, di cui al comma 1, relative cioè ai tre cicli di programmazione, che eventualmente non vengano ricomprese nel Piano sviluppo e coesione, sono riprogrammate per essere destinate:

-      al finanziamento dei Piani sviluppo e coesione relativi alle Amministrazioni per le quali risultino fabbisogni di investimenti superiori alle risorse assegnate nel relativo Piano in sede di prima attuazione (lettera così riformulata nel corso dell’esame alla Camera);

-      al finanziamento di «Programmi di piccole opere e manutenzioni straordinarie» per infrastrutture stradali, ferroviarie, aeroportuali, idriche, nonché per fronteggiare il dissesto idrogeologico e per la messa in sicurezza di scuole, ospedali ed altre strutture pubbliche, da attuare attraverso lo strumento del Contratto istituzionale di sviluppo[69] da stipulare per singola area tematica;

-       al finanziamento della progettazione degli interventi infrastrutturali.

 

La riprogrammazione delle risorse è effettuata con delibera CIPE, su proposta del Ministro per il Sud.

Inoltre, a seguito di una modifica approvata alla Camera, è altresì previsto il concerto con le amministrazioni interessate in caso di riprogrammazione delle risorse in favore del finanziamento delle piccole opere ed agli interventi infrastrutturali di cui alle lettere b) e c) del comma 10 medesimo.

 

Il comma 11 ribadisce, in ogni caso, il vincolo di destinazione territoriale delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione, previsto dall’articolo 1, comma 6, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, che ne definisce la ripartizione sul territorio nazionale secondo la chiave di riparto 80% alle aree del Mezzogiorno e 20% alle aree del Centro-Nord.

L’unica deroga al vincolo di destinazione riguarda le risorse assegnate al finanziamento della progettazione degli interventi infrastrutturali, di cui al precedente comma 10, lettera c), come espressamente previsto dall’ultimo periodo del successivo comma 13.

Restano, altresì, ferme le norme di legge relative alle risorse di cui al comma 1, in quanto compatibili.

 

Il comma 12 riguarda le nuove risorse del Fondo Sviluppo e Coesione 2014-2020 autorizzate dalla legge di bilancio per il 2019 (legge 30 dicembre 2018, n. 145), per un importo complessivo di 4 miliardi (800 milioni per ciascuna annualità dal 2019 al 2023), che non risultano ancora programmate alla data di entrata in vigore del decreto legge in esame[70].

In particolare, il comma prevede che, per la programmazione di tali risorse, le proposte di assegnazione da sottoporre al CIPE per il finanziamento di interventi infrastrutturali devono essere corredate della positiva valutazione tecnica da parte del Dipartimento per le politiche di coesione. Salvo diversa e motivata previsione nella delibera di assegnazione del CIPE, tali assegnazioni decadono ove non diano luogo a obbligazioni giuridicamente vincolanti entro tre anni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana della medesima delibera. Le relative risorse non possono essere riassegnate alla medesima Amministrazione.

 

Il comma 13 riguarda le risorse assegnate ai sensi del comma 10, lettera c), ossia quelle destinate al finanziamento della progettazione degli interventi infrastrutturali con gli importi eventualmente non rientrati nel Piano sviluppo e coesione di cui al comma 1. Al riguardo si prevede che tali risorse finanziano i costi della progettazione tecnica dei progetti infrastrutturali che abbiano avuto la valutazione positiva da parte delle “strutture tecniche” della Presidenza del Consiglio dei ministri, sulla base dell’effettiva rispondenza alle priorità di sviluppo e ai fabbisogni del territorio, dell’eventuale necessità di fronteggiare situazioni emergenziali, costi che devono essere sostenuti dalle Amministrazioni titolari dei Piani operativi di cui al comma 1, anche attraverso il ricorso alla “Struttura per la progettazione di beni ed edifici pubblici”.

I progetti per i quali sia completata positivamente la progettazione esecutiva accedono prioritariamente ai finanziamenti che si renderanno disponibili per la realizzazione.

Alle risorse assegnate alle finalità specifiche di cui al presente comma non si applica il vincolo di destinazione territoriale di cui all’articolo 1, comma 6, della legge 27 dicembre 2013, n. 147.

Andrebbe precisato se con il termine “strutture tecniche” della Presidenza del Consiglio dei ministri utilizzato al comma 13 si intenda riferirsi al Dipartimento per le politiche di coesione, il quale è competente alla valutazione tecnica positiva per il finanziamento di interventi infrastrutturali, di cui al comma 12.

 

Il comma 14 stabilisce che ai Piani operativi redatti a seguito della riclassificazione di cui al comma 1 si applicano i principi già vigenti per la programmazione 2014-2020.

Con apposita delibera adottata dal CIPE, su proposta del Ministro per il Sud, d’intesa con il Ministro per gli affari regionali, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, è definita la fase transitoria della disciplina dei vecchi cicli di programmazione 2000-2006 e 2007-2013 e l’armonizzazione delle regole vigenti in un quadro ordinamentale unitario.

Nelle more dell’approvazione dei singoli Piani di sviluppo e coesione, continuano ad applicarsi le regole di programmazione vigenti.

 

Il comma 15, infine, prevede che il Ministro per il Sud presenta al CIPE:

a)   entro il 31 marzo 2020 una relazione sull’attuazione delle disposizioni del presente articolo;

b)  entro il 31 marzo di ogni anno, a partire dall’anno 2020, una relazione annuale sull’andamento dei Piani operativi, riferita all’anno precedente.

 

Nel corso dell’esame in sede referente alla Camera, è stato infine, introdotto il comma 15-bis, volto a garantire che per il ciclo di programmazione 2021-2027, le Amministrazioni regionali avranno in capo la titolarità e la gestione di tutte le risorse FSC destinate al territorio regionale.

 

 

Per il ciclo di programmazione 2014-2020, la dotazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione è stata autorizzata dall'articolo 1, comma 6, della legge di stabilità 2014 (legge n. 147/2013) nella misura complessiva di 54.810 milioni. Il Fondo è stato successivamente rifinanziato dalla legge di bilancio per il 2018 (legge n. 205/2017), per un importo pari a 5 miliardi per il 2021 e annualità seguenti, per una dotazione complessiva del Fondo per lo sviluppo e la coesione per la programmazione 2014-2020 è pari a 59.810 milioni di euro.

Tali risorse risultano pressoché interamente programmate dal CIPE, come risulta dal quadro finanziario e programmatorio complessivo del Fondo esposto dal CIPE nella delibera del 28 febbraio 2018, n. 26,

In aggiunta a tali risorse, la legge di bilancio per il 2019 (legge n. 145/2018) ha previsto un ulteriore rifinanziamento del Fondo Sviluppo e Coesione per il ciclo 2014-2020 per 4 miliardi complessivi, nella misura di 800 milioni per ciascuna annualità dal 2019 al 2023.

Come esposto nella delibera n. 26/2018, alla data del 28 febbraio 2018 risultano assegnazioni per 59.470 milioni di euro, secondo la seguente programmazione:

§  8,6 miliardi di euro mediante preallocazioni ovvero riduzioni disposte per legge negli anni 2014-2017 (vedi qui l'elencazione delle singole norme di legge);

§  6,3 miliardi mediante Piani stralcio, approvati dal CIPE negli anni 2014-2017, ai sensi della procedura di cui alla lettera d) del comma 703, della legge n. 190/2014 nelle more dell'adozione della delibera di ripartizione per aree tematiche (vedi qui l'elencazione delle singole delibere);

§  24,9 miliardi assegnati ai Piani Operativi come individuati nell’ambito di ciascuna area tematica, secondo la programmazione disposta con la delibera n. 25/2016 e successivi Addendum, riportata nella Tabella che segue:

 (milioni di euro)

Piano operativo

Delibera
n. 25/2016

Addendum o integrazione

II Addendum e nuovi P.O.

TOTALE

Infrastrutture

11.500,0

5.431,0
(n. 98/2017)

934,4
(n. 12/2018)

17.865,4

Ambiente

1.900,0

116,4
(n. 99/2017)

782,0
(n. 11/2018)

2.798,4

Sviluppo economico e produttivo

1.400,0

18,0
(n. 101/2017)

1.080,0
(n. 14/2018)

2.498,0

Agricoltura

400,0

12,6
(n. 13/2018)

30,0
(n. 69/2018)

442,6

Cultura e turismo

1.000
(Piano stralcio, delib. n. 3/2016)

30,4
(n. 100/2017)

740,0
(n. 10/2018)

1.770,4

Salute
(esclusa edilizia sanitaria)

 

 

200,0
(n. 107/2017 e 15/2018)

200,0

Sport e periferie

 

 

250,0
(n. 16/2018)

250,0

Totale

15.200,0

5.578,0

4.073,2

25.824,8

Fonte: Relazione sugli interventi nelle aree sottoutilizzate, allegata al Documento di economia e finanza 2019 (DOC. LVII, n. 2).

·         14,5 miliardi destinati ai Piani Territoriali, di cui 13,4 miliardi destinati ai Patti per il Sud (delibera n. 26/2016) e per circa 1,1 miliardi destinati ai Patti per il Centro-Nord (delibere n. 56/2016, n. 75/2017 e n. 76/2017), come esposto nella tabella che segue:

(milioni di euro)

Patto

Sottoscrizione

Risorse FSC

Regioni Sud

Campania

24 aprile 2016

2.780.200.000

Calabria

30 aprile 2016

1.198.700.000

Basilicata

2 maggio 2016

565.200.000

Abruzzo

17 maggio 2016

753.400.000

Molise

26 luglio 2016
(Del. CIPE n. 95/2017)

378.000.000

44.000.000*

Sardegna

29 luglio 2016

1.509.600.000

Puglia

10 settembre 2016

2.071.500.000

Sicilia

10 settembre 2016

2.320.000.000

Città metropolitane Sud

Reggio Calabria

30 aprile 2016

133.000.000

Catania

30 aprile 2016

332.000.000

Palermo

30 aprile 2016

332.000.000

Bari

17 maggio 2016

230.000.000

Napoli

26 ottobre 2016

308.000.000

Messina

22 ottobre 2016

332.000.000

Cagliari

17 novembre 2016

168.000.000

Totale Sud

 

13.455.300.000

Regioni Centro Nord

Lazio

20 maggio 2016

723.5000.000
(effettivi: 113.700.000)

Lombardia

25 novembre 2016

718.700.000
(effettivi: 351.300.000)

Città metropolitane Centro Nord

Milano

13 settembre 2016

110.000.000

Firenze

5 novembre 2016

110.000.000

Genova

26 novembre 2016

110.000.000

Venezia

26 novembre 2016

110.000.000

Totale Centro Nord

 

905.000.000

Fonte: Relazione sugli interventi nelle aree sottoutilizzate” - Allegato al Documento di economia e finanza 2019 (DOC. LVII, n. 2).

§  circa 5 miliardi mediante singole assegnazioni disposte dal CIPE nel 2018, in base a previsioni di legge (per 2,4 miliardi) ovvero per altri interventi (2,6 miliardi).

 

Per ulteriori approfondimenti, si rinvia al Tema: “Il Fondo per lo Sviluppo e la Coesione: la programmazione delle risorse del ciclo 2014-2020”.


 

Articolo 44-bis
(Incentivo fiscale per promuovere
la crescita dell’Italia Meridionale)

 

 

L’articolo 44-bis, introdotto in sede referente, reca agevolazioni per le operazioni di aggregazione aziendale compiute da società del Mezzogiorno, da cui risulti una o più imprese aventi, a loro volta, sede legale nel Mezzogiorno: l’agevolazione consiste nella possibilità di trasferire al soggetto derivante dall’aggregazione le attività fiscali differite (DTA) delle singole imprese e trasformarle in credito di imposta, a fronte del pagamento di un canone annuo determinato applicando l’aliquota dell’1,5% alla differenza tra le DTA e le imposte versate.

 

Con l'articolo 2, commi da 55 a 57, del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225 il legislatore ha consentito di trasformare in crediti di imposta le attività per imposte anticipate (Deferred Tax Assets – DTA) iscritte in bilancio, per colmare il divario di incidenza delle imposte anticipate nei bilanci degli operatori italiani (in particolare gli enti creditizi e finanziari) rispetto a quelli europei.

L’impossibilità di liquidare le poste dell’attivo relative alle DTA aveva infatti indotto il Comitato di Basilea a introdurre stringenti filtri patrimoniali; essi, superata una certa soglia, hanno un impatto diretto di riduzione del capitale di migliore qualità (common equity) di un ammontare pari alle DTA che eccedono tale soglia, aumentando il fabbisogno di capitale. Pertanto, l’entrata in vigore dell’accordo di Basilea 3 ha implicato che il trattamento fiscale poco favorevole delle rettifiche su crediti si traducesse anche in una penalizzazione sul piano della dotazione patrimoniale regolamentare delle banche italiane.

Per evitare il sorgere di questo svantaggio competitivo, è stato previsto un meccanismo di conversione in crediti di imposta, da utilizzare in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. 241/1997; in tal modo, le DTA sono “smobilizzabili” e pertanto concorrono all’assorbimento delle perdite al pari del capitale e delle altre riserve, divenendo riconoscibili ai fini di vigilanza. Il medesimo meccanismo è previsto anche per le DTA che derivino da disallineamenti temporali nella rilevazione di bilancio e fiscale e che siano destinati a riassorbirsi nel tempo, come nel caso dell’affrancamento del valore dell’avviamento e delle altre attività immateriali.

Il richiamato articolo 2, commi 55 e ss.gg. del decreto-legge n. 225 del 2010 ha consentito, come anticipato, di trasformare in credito di imposta le attività per imposte anticipate (DTA) iscritte in bilancio, relative alle svalutazioni di crediti - non ancora dedotte ai sensi dell'articolo 106, comma 3, del TUIR - e al valore dell'avviamento e delle altre attività immateriali i cui componenti negativi sono deducibili ai fini delle imposte sui redditi in più periodi d'imposta.

Sul punto è intervenuto successivamente l’articolo 9 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, che ha previsto la conversione delle DTA in presenza di perdite fiscali rilevanti ai sensi dell’articolo 84 del TUIR; l’articolo 1, commi da 167 a 171, della L. 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), che ha esteso l’originario ambito applicativo della disciplina alle DTA relative all’IRAP. Ulteriori modifiche sono state apportate dal D.L. n. 83 del 2015 e specifiche norme per gli enti in risoluzione sono contenute nella legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015), nonché dal decreto-legge n. 59 del 2016 e dall’ultima legge di bilancio (legge n. 145 del 2018). per ulteriori dettagli, si rinvia al riquadro in fondo alla presente scheda di lettura.

 

Più in dettaglio, il comma 1 dell’articolo in esame individua l’ambito soggettivo dell’agevolazione: essa si applica alle aggregazioni di società, per le quali non è stato accertato lo stato di dissesto o il rischio di dissesto (ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, che reca la definizione di dissesto per le imprese bancarie, ai fini dell’applicazione della disciplina della risoluzione) ovvero lo stato di insolvenza (ai sensi della legge fallimentare, in particolare dell’articolo 5 del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: articolo 2, comma 1, lettera b del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14: quest’ultimo definisce un debitore in “stato di insolvenza” ove gli inadempimenti o altri fatti esteriori  dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni).

Dette società devono avere sede legale, al 1°gennaio 2019, nelle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Molise, Calabria, Sicilia e Sardegna.

 

 

Gli articoli 17 e 18 del D.Lgs. n. 180 del 2015 definiscono le situazioni di “dissesto” o “rischio di dissesto”, in presenza delle quali – alle specifiche condizioni di legge - una banca in crisi può essere sottoposta a) alla riduzione o conversione di azioni, di altre partecipazioni e di strumenti di capitale ovvero b) alla risoluzione o alla liquidazione coatta amministrativa secondo quanto previsto dal Testo Unico Bancario, se la misura indicata alla lettera a) non consente di rimediare allo stato di dissesto o di rischio di dissesto.

L’articolo 17, comma 2 in particolare considera una banca in dissesto o a rischio di dissesto in una o più delle seguenti situazioni:

a) risultano irregolarità nell'amministrazione o violazioni di disposizioni legislative, regolamentarie o statutarie che regolano l'attività della banca di gravità tale che giustificherebbero la revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività;

b) risultano perdite patrimoniali di eccezionale gravità, tali da privare la banca dell'intero patrimonio o di un importo significativo del patrimonio;

c) le sue attività sono inferiori alle passività;

d) essa non è in grado di pagare i propri debiti alla scadenza;

e) elementi oggettivi indicano che una o più delle situazioni indicate nelle lettere a), b), c) e d) si realizzeranno nel prossimo futuro;

f) è prevista l'erogazione di un sostegno finanziario pubblico straordinario a suo favore, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 18.

Il successivo articolo 18 stabilisce inoltre che una banca non è considerata in dissesto o a rischio di dissesto nei casi in cui, per evitare o porre rimedio a una grave perturbazione dell'economia e preservare la stabilità finanziaria, il sostegno finanziario pubblico straordinario viene concesso in alcune specifiche forme (garanzia dello Stato a sostegno degli strumenti di liquidità forniti dalla banca centrale alle condizioni da essa applicate, garanzia dello Stato sulle passività di nuova emissione; sottoscrizione di fondi propri o acquisto di strumenti di capitale effettuati a prezzi e condizioni che non conferiscono un vantaggio alla banca, in presenza di specifiche condizioni). Inoltre, affinché non vi sia dissesto, il sostegno finanziario pubblico straordinario deve essere erogato, adottato e utilizzato secondo specifici criteri indicati dalla legge.

 

Le operazioni agevolabili devono essere realizzate mediante fusione, scissione o conferimento di azienda o di rami di azienda, riguardanti più società.

Il soggetto risultante dalle predette aggregazioni deve avere sede legale in una delle regioni del Mezzogiorno sopra menzionate e le aggregazioni devono essere state deliberate dall’assemblea dei soci, o dal diverso organo competente per legge, entro 18 mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto in parola.

Il comma 1 esclude l’applicazione delle norme in esame alle società che sono tra loro legate da rapporti di controllo civilistico (ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile) e alle società controllate, anche indirettamente, dallo stesso soggetto.

 

Con il comma 2 viene descritta puntualmente l’agevolazione in parola. Sul modello di quanto previsto dal decreto-legge n. 225 sopra citato, possono essere trasformati in crediti d’imposta, per un ammontare non superiore a 500 milioni di euro, le attività per imposte anticipate dei soggetti partecipanti all’aggregazione, relative:

§  a perdite fiscali non ancora computate in diminuzione del reddito imponibile (ai sensi delle norme generali sulle perdite dei soggetti IRES, di cui all’articolo 84 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi - TUIR);

§  al rendimento nozionale dell’ACE – Aiuto alla Crescita Economica eccedente il reddito complessivo netto (di cui all’articolo 3, comma 2, del D.M. 3 agosto 2017).

L’articolo 1, comma 1080 della legge di bilancio 2019 ha disposto la soppressione dell’aiuto alla crescita economica (ACE), agevolazione fiscale introdotta nel 2011 per favorire il rafforzamento della struttura patrimoniale delle imprese e del sistema produttivo italiano. La misura si sostanziava nella deduzione, dal reddito imponibile netto, di un importo pari al rendimento figurativo degli incrementi di capitale. La legge di bilancio 2019 ha fatto salve tuttavia le disposizioni di cui al citato articolo 3, comma 2 del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 3 agosto 2017, che consentono di utilizzare le eccedenze ACE pregresse per il periodo d’imposta 2018, allo scopo di salvaguardare i diritti quesiti. In tale ottica devono considerarsi utilizzabili le eccedenze ACE anche per i soggetti che partecipano al consolidato fiscale o alla trasparenza fiscale secondo le regole dettate dal predetto D.M. 3 agosto 2017;

§  ai componenti reddituali derivanti dall’adozione del modello di rilevazione del fondo a copertura delle perdite per perdite attese su crediti, coerentemente a quanto prescritto dal principio contabile internazionale IFRS 9, al paragrafo 5.5, iscritti in bilancio in sede di prima adozione del medesimo IFRS 9 (comma 1067 della legge di bilancio 2019, legge n. 145 del 2018), risultanti da situazioni patrimoniali approvate ai fini dell’aggregazione.

La valutazione contabile del deterioramento delle attività creditizie è una delle problematiche che hanno caratterizzato la gestione di banche e altri intermediari finanziari durante la crisi finanziaria iniziata nel biennio 2007-2009. Per evitare che la registrazione delle perdite sia tardiva e non in grado di stimare l'effettiva erosione del valore degli attivi, nel 2014 l’International accounting standards board (IASB) ha pubblicato il documento "IFRS 9 Financial instruments", comprendente un nuovo standard contabile per gli accantonamenti per perdite su crediti. Il modello contabile per la rilevazione delle perdite su crediti utilizzato fino al 1° gennaio 2018, comunemente definito come “incurred loss model” (modello basato sulle perdite subite), richiedeva la contabilizzazione delle perdite su crediti subite alla data di chiusura del bilancio e non delle probabili perdite future. Il nuovo standard IASB è invece basato sulle “perdite attese su crediti” e ha sostituito il precedente, proponendo un approccio incentrato sulla probabilità di registrare perdite future su crediti. Le novità derivanti dall'introduzione, a far data dal 1° gennaio 2018, del principio internazionale IFRS 9 comportano, pertanto, che i valori contabili delle attività deteriorate per l'esercizio in corso debbano essere calcolati considerando non più le perdite creditizie registrate, come richiesto dal previgente IAS 39, bensì le perdite creditizie attese (expected credit losses, ECL), proiettando tale stima sull’intera durata residua dell’attività stessa. Tali perdite attese sono oggetto di periodica revisione determinando la rilevazione di rettifiche o riprese di valore.

In tale contesto, i commi dal 1067 al 1069 dell’ultima legge di bilancio stabiliscono che i componenti reddituali derivanti esclusivamente dall’adozione del modello di rilevazione delle perdite su crediti di cui allo standard internazionale IFRS 9, iscritti in bilancio da enti creditizi e finanziari in sede di prima adozione del medesimo principio, sono deducibili dalla base imponibile dell’imposta sul reddito delle società e dell'IRAP per il 10 per cento del loro ammontare nel periodo d’imposta di prima adozione dell’IFRS 9 e per il restante 90 per cento in quote costanti nei nove periodi d’imposta successivi.

 

Il limite di 500 milioni viene calcolato con riferimento ad ogni soggetto partecipante all’aggregazione: dunque possono essere trasformate non più di 500 milioni di DTA per ogni soggetto che partecipa all’aggregazione.

Sono prima trasformate le attività per imposte anticipate trasferite al soggetto risultante dall’aggregazione e, in via residuale, le attività per imposte anticipate non trasferite dagli altri soggetti partecipanti all’aggregazione.

In caso di aggregazioni realizzate mediante conferimenti di aziende o di rami di azienda, possono essere oggetto di conferimento anche le attività per imposte anticipate risultanti dalle situazioni patrimoniali approvate ai fini dell’aggregazione, ai sensi delle norme in parola; in tal caso è fatto obbligo di redigere situazioni patrimoniali aggiornate, secondo le disposizioni di cui all’articolo 2501-quater, commi primo e secondo, del codice civile.

 

Il comma 3 individua le condizioni alle quali è possibile trasformare le attività per imposte anticipate in crediti di imposta.

La società risultante dall’aggregazione deve esercitare la relativa opzione (come previsto dall’articolo 11, comma 1 del decreto-legge del 3 maggio 2016, n. 59) ed impegnarsi al versamento del canone previsto ex lege (si veda la ricostruzione normativa in fondo alla scheda).

 

Ai sensi del richiamato articolo 11, comma 2, il canone è determinato annualmente, applicando l’aliquota dell’1,5 per cento alla differenza tra l’ammontare delle attività per imposte anticipate e le imposte versate.

Sempre secondo quanto previsto dall’articolo 11 sopra richiamato, l’esercizio dell’opzione per la trasformazione delle attività per imposte anticipate e il conseguente obbligo di pagamento del canone sono irrevocabili; comportano l’obbligo di pagamento entro il termine per il versamento a saldo delle imposte sui redditi fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2029. Il canone è deducibile ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive dell’esercizio in cui avviene il pagamento. L’opzione, se non già esercitata, va esercitata entro la chiusura dell’esercizio in corso alla data in cui ha effetto l’aggregazione e ha efficacia a partire dalla data dell’aggregazione.

In caso di aggregazioni realizzate mediante scissioni o conferimenti di aziende o di rami di azienda, la trasformazione delle attività per imposte anticipate in crediti di imposta dei soggetti conferenti o delle società scisse è condizionata all’esercizio da parte di tali soggetti della medesima opzione. Essa va esercitata entro la chiusura dell’esercizio in corso alla data in cui ha effetto l’aggregazione; l’esercizio dell’opzione ha efficacia a partire dall’esercizio successivo a quello in cui ha effetto l’aggregazione.

Ai fini del calcolo, nell’ammontare delle attività per imposte anticipate sono ricomprese anche le attività per imposte anticipate trasformabili in crediti d’imposta, nonché i crediti d’imposta oggetto di trasformazione ai sensi della disciplina in esame (come chiarito dal comma 3 dell’articolo 44-bis in esame).

 

Il comma 4 disciplina l’applicazione nel tempo della disciplina in esame.

In primo luogo, la trasformazione delle attività per imposte anticipate in crediti d’imposta decorre dalla data di approvazione del primo bilancio della società risultante dall’aggregazione da parte dell’assemblea dei soci, o dai diversi organi competenti per legge, nella misura del 25 per cento delle attività per imposte anticipate iscritte nel primo bilancio della società risultante dall’aggregazione.

Per la restante parte, la trasformazione avviene in quote uguali nei tre esercizi successivi e decorre dalla data di approvazione dei bilanci di ciascun esercizio.

A tal fine, in caso di aggregazioni realizzate mediante scissioni o conferimenti di aziende o di rami di azienda, per i soggetti conferenti e per le società scisse la trasformazione delle attività per imposte anticipate in crediti d’imposta decorre dalla data di approvazione del bilancio dell’esercizio nel corso del quale ha avuto effetto l’aggregazione.

Dal periodo d’imposta in corso alla data in cui ha effetto l’aggregazione si verificano alcuni effetti, che derogano alle regole ordinarie di determinazione dell’imponibile. In particolare:

a) non sono computabili in diminuzione dei redditi imponibili le perdite di cui all’articolo 84 del TUIR, nonché le eccedenze residue relative all’importo del rendimento nozionale valevole ai fini del calcolo dell’ACE (di cui all’articolo 1 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201) relative ad attività per imposte anticipate trasformate ai sensi delle norme in esame;

b) non sono deducibili i componenti negativi corrispondenti alle attività per imposte anticipate trasformate in credito d’imposta ai sensi del presente articolo.

Inoltre, i crediti d’imposta in parola (ai sensi dell’articolo 2, comma 57, del decreto legge 29 dicembre 2010, n. 225) non sono produttivi di interessi, possono essere utilizzati in compensazione senza limiti di importo e possono essere ceduti al valore nominale. Vanno indicati nella dichiarazione dei redditi e non concorrono alla formazione del reddito di impresa, né della base imponibile dell'imposta regionale sulle attività produttive. L'eventuale credito che residua dopo aver effettuato le compensazioni è rimborsabile.

 

Per evitare l’elusione del limite dei 500 milioni di DTA trasformabili in crediti d’imposta, l’incentivo non è concesso (comma 5) qualora ad una aggregazione partecipino soggetti che abbiano già partecipato a (o siano risultanti da) un’aggregazione per la quale è stata già prevista la trasformazione delle DTA in credito d’imposta.

In caso di aggregazioni realizzate mediante conferimenti di azienda o di rami di azienda (comma 6), alle perdite fiscali e all'eccedenza relativa all'aiuto alla crescita economica si applicano le norme del TUIR (articolo 172, comma 7) sul computo delle perdite delle società che partecipano alla fusione.

La relazione illustrativa all’emendamento chiarisce che, in sostanza, ai conferimenti si applicano gli stessi presidi previsti per il trasferimento di perdite e eccedenza ACE, per evitare che, in caso di aggregazioni realizzate tramite conferimenti, siano aggirate le norme antielusive esistenti per le fusioni e le scissioni.

 

Il comma 7 chiarisce che l'efficacia della misura è subordinata, ai sensi dell'articolo 108 del TFUE, alla preventiva comunicazione o, ove necessaria, all'autorizzazione della Commissione europea, al fine della valutazione della compatibilità con la disciplina sugli aiuti di stato. I commi 8 e 9, infine, recano le norme di copertura finanziaria.

In particolare, il comma 8 provvede ad incrementare il Fondo per interventi strutturali di politica economica (articolo 10, comma 5, del decreto-legge n. 282/2004) di 36,3 milioni di euro per l’anno 2024, di 35,5 milioni di euro per l’anno 2025, di 34,7 milioni di euro per l’anno 2026, di 34,5 milioni di euro per l’anno 2027, di 34,1 milioni di euro per l’anno 2028, di 33,9 milioni di euro per l’anno 2029, di 0,55 milioni di euro per l’anno 2031 e di 0,12 milioni di euro per l’anno 2033.

 

Il comma 9 provvede alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dai commi 2, 4 e 8 dell’articolo in esame, quantificati e coperti secondo la tabella riassuntiva che segue.


 

 

(milioni di euro)

 

2020

2021

2022

2023

2024

2025

2026

2027

2028

2029

2030

2031

2032

3033

Oneri

73,8

103

102,2

103,2

36,3

35,5

34,7

34,5

34,1

33,9

24,35

0,55

0,15

0,12

Coperture

73,8

100

102,2

103,2

0

0

0

0

0

0

24,35

0

0,15

0

- FISPE

29,8

20

59,2

80,2

 

 

 

 

 

 

24,35

 

0,15

 

- Fondo speciale di c/capitale del MEF

 

3

3

3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fondo nuove politiche di bilancio Ministeri (legge 145/2018, co 748)

 

10

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fondo esigenze indifferibili (art 1, co 200, legge 190/2014)

 

 

20

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fondo riaccertamento residui passivi perenti del MEF (art 34-ter, co 5, legge 196/2009)

40

20

20

20

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fondo di parte corrente riaccertamento residui passivi del MEF (art 49, co 2, lett. a) DL 66/2014)

4

50

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si segnala che non risultano coperti gli oneri introdotti dal comma 8 (incremento del FISPE), oltre a 3 milioni di euro per l’anno 2021.

 

 

 

Il decreto-legge n. 225 del 2010 differenzia la disciplina delle diverse fattispecie di trasformazione delle imposte anticipate in crediti d'imposta.

La prima fattispecie è prevista dal comma 55 dell’articolo 2 del decreto legge n. 225 del 2010, ai sensi del quale le imposte differite attive che possono essere trasformate in credito verso l’Erario sono quelle che originano dal differimento della deduzione dei componenti negativi relativi:

§  alla svalutazione dei crediti degli enti finanziari e creditizi, nonché alle perdite su crediti, non ancora dedotte ai fini delle imposte sui redditi;

§  alle rettifiche di valore nette per deterioramento dei crediti, non ancora dedotte dalla base imponibile IRAP;

§  al valore dell’avviamento e delle altre attività immateriali i cui componenti negativi sono deducibili in più periodi d’imposta ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP.

La trasformazione è possibile solo qualora nel bilancio individuale della società sia rilevata una perdita d’esercizio.

Il successivo comma 56 ha fissato la decorrenza della predetta trasformazione dalla data di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea dei soci o dell’organo competente per legge (anche nel caso di patologia dell’andamento aziendale), operando per un importo pari al prodotto - da effettuarsi sulla base dei dati del medesimo bilancio approvato - tra:

§  la perdita d’esercizio;

§  il rapporto fra le attività per imposte anticipate e la somma del capitale sociale e delle riserve.

I commi 55 e 56 disciplinano dunque la trasformazione delle DTA qualificate in credito di imposta in presenza di perdita civilistica.

La seconda fattispecie di trasformazione di imposte anticipate in crediti d’imposta è prevista dal comma 56-bis (inserito dal decreto-legge n. 201 del 2011), che consente la trasformazione in crediti d’imposta delle DTA da perdite fiscali, per la quota dovuta alla deduzione dei componenti negativi di reddito di cui al comma 55. La trasformazione riguarda le DTA da perdite fiscali “generate” dai componenti negativi di reddito di cui al comma 55 per l’intero ammontare delle stesse che trova capienza nella perdita fiscale dell’esercizio. La trasformazione decorre dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi in cui viene rilevata la perdita fiscale.

Rientra nelle ipotesi di trasformazione in crediti d’imposta di DTA da perdita fiscale anche la fattispecie (introdotta dalla legge di stabilità 2014) individuata dal comma 56-bis1, che riguarda le DTA generate dalle componenti negative IRAP: si può trasformare in crediti d’imposta - in caso di base imponibile IRAP, ovvero valore della produzione netta, negativa - la quota delle attività per imposte anticipate di cui al comma 55, riferita ai componenti negativi di cui al medesimo comma (perdite e svalutazioni; rettifiche di valore per deterioramento) che hanno concorso alla formazione del valore della produzione netta negativo. La trasformazione decorre dalla data di presentazione della dichiarazione ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive in cui viene rilevato il valore della produzione netta negativo di cui al presente comma.

La disciplina di cui al comma 56-bis1 è applicabile ai bilanci di liquidazione volontaria ovvero relativi a società sottoposte a procedure concorsuali o di gestione delle crisi, ivi inclusi quelli riferiti all’amministrazione straordinaria e alla liquidazione coatta amministrativa di banche e altri intermediari finanziari vigilati dalla Banca d’Italia.

La terza fattispecie di trasformazione di imposte anticipate in crediti d’imposta è prevista dal comma 56-ter, con riferimento ai bilanci di liquidazione volontaria ovvero relativi a società sottoposte a procedure concorsuali o di gestione delle crisi, ivi inclusi quelli riferiti all’amministrazione straordinaria e alla liquidazione coatta amministrativa di banche e altri intermediari finanziari vigilati dalla Banca d’Italia.

Si tratta dunque di trasformazione delle DTA in credito d’imposta nel caso di liquidazione volontaria, assoggettamento a procedure concorsuali o gestione delle crisi.

Il comma 57 chiarisce che il credito d’imposta non è rimborsabile né produttivo di interessi, potendo essere ceduto ovvero utilizzato in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. n. 241 del 1997, senza limiti di importo. Tale credito, da indicare nella dichiarazione dei redditi, non concorre alla formazione del reddito d’impresa né della base imponibile dell'IRAP. Il credito d’imposta può essere ceduto al valore nominale nell’ambito dello stesso gruppo, secondo le modalità previste dall’articolo 43-ter del D.P.R. n. 602/1973 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito). L’eventuale credito che residua dopo aver effettuato le compensazioni è rimborsabile. Dal periodo d’imposta in corso alla data di approvazione del bilancio non sono deducibili i componenti negativi corrispondenti alle attività per imposte anticipate trasformate in credito d’imposta.

L’articolo 11 del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59 ha stabilito che le imprese interessate dalle disposizioni che prevedono la trasformazione in crediti d’imposta delle attività per imposte anticipate – di cui all’articolo 2, commi da 55 a 57, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 – possano optare per il mantenimento dell’applicazione delle predette disposizioni, con riferimento a quelle attività per imposte anticipate cui non corrisponde un effettivo pagamento di imposte (cosiddette DTA di tipo 2). Tale opzione è irrevocabile e comporta l’obbligo del pagamento di un canone annuo fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2029.

Tale norma ha inteso superare le criticità sollevate dalla Commissione europea in merito alla legittimità, sotto il profilo della compatibilità con la disciplina degli aiuti di Stato, della convertibilità in crediti d’imposta delle imposte anticipate (deferred tax asset-DTA), ovvero le DTA relative a rettifiche di valore su crediti, avviamento e altre attività immateriali. La Commissione ha richiesto che la trasformabilità in credito d’imposta della quota di DTA qualificate cui non corrisponde un effettivo pagamento anticipato di imposte sia garantita solo qualora venga corrisposto un canone su tali DTA. Resta ferma invece l’ordinaria trasformabilità delle DTA qualificate cui corrisponde un pagamento anticipato di imposte (cosiddetto DTA di tipo 1).

L’articolo 11 pertanto subordina il mantenimento della trasformabilità delle DTA di tipo 2 al pagamento di un canone, pari all’1,5 per cento dell’ammontare delle stesse, e stabilisce che le DTA di tipo 2 siano calcolate annualmente come differenza tra l’ammontare di DTA qualificate che si è creato dal 2008 all’anno di riferimento, incluse le DTA qualificate che sono state trasformate in credito d’imposta, e la somma delle imposte che sono state versate con riferimento agli stessi anni”. Il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 117661 del 22 luglio 2016 ha stabilito le disposizioni attuative del medesimo articolo 11 e la circolare n. 32/E del 2016 ha reso i relativi chiarimenti.

La legge di bilancio 2019 (legge n. 145 del 2018) è intervenuta sul punto con disposizioni che riguardano direttamente le DTA, ovvero ne condizionano l’iscrizione in bilancio. In particolare, il comma 1079 ha rinviato al 2019 la possibilità di dedurre le quote di ammortamento del valore dell'avviamento e delle altre attività immateriali, che hanno dato luogo all’iscrizione di attività per imposte anticipate – DTA convertibili in credito d’imposta, non ancora dedotte fino al periodo d’imposta 2017. La deducibilità di tali componenti viene articolata dal 2019 al 2029, con percentuali individuate puntualmente e in deroga alla disciplina generale. Per il 2018 non viene concessa alcuna deducibilità.


 

Articolo 45, comma 1
(Proroga del termine per la rideterminazione dei vitalizi regionali)

 

 

L’articolo 45, comma 1, proroga dal 30 aprile al 30 maggio 2019 il termine - fissato dalla legge di bilancio 2019 - entro il quale le regioni devono rideterminare, ai fini del coordinamento della finanza pubblica e del contenimento della spesa pubblica, la disciplina dei trattamenti previdenziali e dei vitalizi già in essere in favore di coloro che abbiano ricoperto la carica di presidente della regione, di consigliere regionale o di assessore regionale. La proroga è stata concordata il 3 aprile 2019 in sede di Conferenza Stato-regioni, in occasione della firma dell’intesa che ha individuato i criteri di rideterminazione dei vitalizi.

 

La rideterminazione dei vitalizi regionali è stata disposta dalla legge di bilancio 2019 (L. 145/2018, art. 1, comma 965). La disposizione ha stabilito che, ai fini del coordinamento della finanza pubblica e del contenimento della spesa pubblica, a decorrere dal 2019, le regioni e le province autonome sono tenute a rideterminare la disciplina dei trattamenti previdenziali e dei vitalizi già in essere, nei confronti di coloro che abbiano rivestito le predette cariche.

 

I termini temporali fissati dalla legge di bilancio per la rideterminazione dei trattamenti, da effettuare con le modalità previste dai propri ordinamenti, sono i seguenti:

§  entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio (quindi entro il 30 aprile 2019);

§  entro sei mesi dalla medesima data (entro il 30 giugno 2019), qualora occorra procedere a modifiche statutarie.

 

Qualora i predetti enti non provvedano entro i termini previsti si applica una sanzione, consistente nella mancata erogazione di una quota pari al 20 per cento dei trasferimenti erariali al netto di quelli destinati ad alcuni settori:

§  Servizio sanitario nazionale;

§  politiche sociali e per le non autosufficienze;

§  trasporto pubblico locale.

 

Come prescritto dalla legge di bilancio (art. 1, comma 966) i criteri e i parametri per la rideterminazione dei trattamenti previdenziali e dei vitalizi sono stati deliberati in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano con intesa sottoscritta il 3 aprile 2019 (vedi oltre).

 

Si ricorda che le regioni, nell'ambito della propria autonomia statutaria e legislativa, sono già tenute, ai sensi del decreto-legge n.138 del 2011, ad adeguare i propri ordinamenti prevedendo il «passaggio ad un sistema previdenziale contributivo per i consiglieri regionali» (art. 14, comma 1, lettera f). Il decreto-legge (art.14, comma 2) dispone altresì conseguenze di carattere sanzionatorio in caso di mancato adeguamento delle regioni a tale misura di contenimento della spesa (così come alle altre misure contenute al comma 1, lettere da a) a h).

Successivamente il decreto-legge n.174 del 2012 (art.2, comma 1, lettera m) ha rafforzato la portata dell'obbligo contenuto nelle citate norme del decreto-legge n.138/2011, stabilendo che il loro mancato rispetto avrebbe determinato, a decorrere dal 2013, ulteriori sanzioni (consistenti, fra le altre, nel blocco di una quota, pari all'80 per cento, dei trasferimenti erariali (esclusi quelli destinati a specifiche finalità) a favore delle regioni.

Il decreto-legge n. 174 del 2012 esclude dall'ambito di applicazione della norma i "trattamenti già in erogazione" a decorrere dalla data di entrata in vigore del suddetto decreto-legge. La legge di bilancio 2019 ricomprende invece i “trattamenti già in essere”.

Per approfondire si veda la scheda sull’articolo 1, commi 965-967 nel dossier dei Servizi studi di Camera e Senato, Legge di bilancio 2019, Vol. III, 22 gennaio 2019.

 

La legge di bilancio ha altresì stabilito che nel caso in cui entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della medesima legge (quindi entro il 29 giugno 2019) si svolgano consultazioni elettorali in una data regione, quest'ultima è tenuta a rideterminare i trattamenti previdenziali:

entro tre mesi dalla data della prima riunione del nuovo consiglio regionale;

entro sei mesi dalla medesima data, qualora occorra procedere a modifiche statutarie.

Tali termini non sono modificati dalla disposizione in esame.

 

La legge di bilancio (art. 1, comma 966) ha demandato infatti ad un'intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome l'individuazione dei criteri e dei parametri per la rideterminazione dei trattamenti previdenziali e dei vitalizi. L'intesa, che come detto è stata sancita lo scorso 3 aprile (e quindi sostanzialmente in linea con il termine, del 31 marzo, previsto al comma 966), è finalizzata a favorire l’armonizzazione delle normative territoriali.

Qualora l'intesa non fosse stata raggiunta entro il predetto termine, le regioni e le province autonome avrebbero dovuto provvedere in ogni caso a rideterminare i trattamenti previdenziali e i vitalizi entro i termini previsti dal comma 965 e secondo il metodo di calcolo contributivo.

L’intesa, firmata il 3 aprile 2019, ha individuato i seguenti parametri:

§  la rideterminazione della misura dei trattamenti si applica agli assegni vitalizi e ai trattamenti previdenziali, comunque denominati, diretti, indiretti o di reversibilità, considerando il loro importo lordo, senza tenere conto delle riduzioni temporanee disposte dalla normativa vigente;

§  la rideterminazione si applica agli assegni vitalizi in corso di erogazione, e a quelli non ancora erogati, con esclusione dei trattamenti previdenziali, erogati o da erogare, il cui ammontare è stato definito esclusivamente sulla base del sistema di calcolo contributivo;

§  a seguito della rideterminazione, la spesa per gli assegni vitalizi, in erogazione, in ciascuna regione non può superare la spesa necessaria all'erogazione dei medesimi assegni ricalcolati con il metodo di calcolo contributivo sulla base della nota metodologica allegata all’intesa incrementata fino a 26 per cento e, comunque, di un importo pari a quello necessario a garantire che, per effetto della rideterminazione, ciascun assegno vitalizio di importo pari o superiore a due volte il trattamento minimo INPS non sia inferiore a tale importo; in ogni caso, la spesa non può essere superiore a quella sostenuta sulla base della normativa vigente;

§  l'ammontare dell'assegno vitalizio, a seguito della rideterminazione, non può comunque superare l'importo erogato ai sensi della normativa vigente;

§  gli importi degli assegni vitalizi derivanti dalla rideterminazione sono soggetti a rivalutazione automatica annuale sulla base dell’indice ISTAT di variazione dei prezzi al consumo.

 

Per consentire di completare gli adempimenti amministrativi necessari, l'applicazione delle disposizioni che prevedono la rideterminazione degli assegni vitalizi può essere differita a non oltre il sesto mese successivo alla loro entrata in vigore.

Inoltre, con l'intesa il Governo si è impegnato ad adottare tempestivamente le necessarie modifiche legislative al fine di consentire lo spostamento del termine di adozione delle leggi regionali di rideterminazione degli assegni vitalizi dal 30 aprile al 30 maggio 2019.

Contestualmente alla firma dell'intesa, la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha consegnato al Governo un documento per garantire "l'armonizzazione delle rispettive normative e la disciplina di clausole di salvaguardia, volte a perseguire condizioni di ragionevolezza delle rideterminazioni".

 

Ai sensi della legge di bilancio, entro i 15 giorni successivi all’adempimento, le regioni documentano l’adempimento della rideterminazione dei trattamenti con una comunicazione al Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri. A sua volta, il Dipartimento, entro il quindicesimo giorno successivo al ricevimento della comunicazione, trasmette al Ministero dell’economia e delle finanze l'attestazione relativa al rispetto degli adempimenti. Entro il quindicesimo giorno successivo alla scadenza dei termini di cui al comma 1, il medesimo Dipartimento trasmette al Ministero dell'economia l'elenco delle regioni e delle province autonome che non hanno corrisposto all'obbligo di comunicare l'avvenuto adempimento, ai fini della conseguente riduzione lineare dei trasferimenti. I trasferimenti sono riconosciuti per intero a partire dall’esercizio in cui la regione abbia adempiuto (art. 1, comma 967).


 

Articolo 45, comma 2
(Correzione di errori formali al Testo unico finanziario)

 

 

L’articolo 45, comma 2, apporta alcune modifiche formali alle disposizioni del Testo Unico Finanziario – TUF (D.Lgs. n. 58 del 2018) in tema di sanzioni amministrative non pecuniarie. Le novelle appaiono necessarie per adeguare le disposizioni in oggetto a quanto disposto dalla legge europea 2018 (A.S. 822-B) che è stata approvata definitivamente dal Parlamento ma al momento della redazione del presente lavoro non risulta ancora pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.

 

La prima modifica incide sull’articolo 194-quater, comma 1 del TUF, che consente alle autorità di vigilanza di comminare, in caso di violazioni di scarsa offensività o pericolosità, la sanzione - alternativa a quelle pecuniarie – consistente nell'ordine di eliminare le infrazioni contestate, anche indicando le misure da adottare e il termine per l'adempimento.

Tale sanzione trova applicazione per alcune specifiche violazioni espressamente richiamate dalla legge, tra cui quelle individuate alla lettera c-ter) del comma 1: si tratta di alcune violazioni del regolamento (UE) n. 648/2012, relativo agli strumenti derivati OTC (over the counter, ossia negoziati fuori dai mercati regolamentati e assimilati), alle controparti centrali e ai repertori di dati sulle negoziazioni, nonché ad alcune violazioni del regolamento (UE) 2015/2365 sulla trasparenza delle operazioni di finanziamento tramite titoli, in quanto richiamate dal medesimo Testo Unico Finanziario.

La successiva lettera c-quater) consente di applicare la sanzione alternativa dell’ordine di eliminazione dell’infrazione anche nel caso di violazioni delle norme del regolamento (UE) 2016/1011 in tema di cd. benchmarks, ovvero gli indici usati come riferimento negli strumenti finanziari e nei contratti finanziari o per misurare la performance di fondi di investimento, anche in tal caso ove richiamate dal TUF.

 

L’articolo 13, comma 1, lettera c) della richiamata legge europea 2018 (A.S. 822-B) introduce, tra le violazioni cui si può applicare la sanzione amministrativa alternativa dell’ordine di eliminare le infrazioni contestate, anche quelle del regolamento (UE) n. 1031/2010 relativo ai tempi, alla gestione e ad altri aspetti della vendita all'asta delle quote di emissioni dei gas a effetto serra e, in particolare, alle violazioni delle norme di condotta per i soggetti ammessi a presentare offerte per conto di terzi, tra cui imprese di investimento ed enti creditizi (articolo 59 del predetto regolamento, par. 2, 3 e 5), ove tali violazioni siano richiamate dal TUF. A tal fine viene inserita nell’articolo 194-quater, comma 1, una lettera c-ter).

Con le modifiche in esame si provvede dunque a rinominare le vigenti lettere c-ter) e c-quater), rispettivamente, in c-quater) e c-quinquies), allo scopo di tener conto della modifica apportata dalla legge europea 2018 che, come si è visto, introduce al comma 1 una lettera c-ter).

 

Analoga novella viene effettuata all’articolo 194-septies del TUF, in ragione dell’introduzione (per effetto dell’articolo 13, comma 1, lettera d) della legge europea 2018) al comma 1 di una lettera e-bis), che consente di comminare la sanzione - alternativa a quella pecuniaria - consistente nella dichiarazione pubblica avente ad oggetto la violazione commessa e il soggetto responsabile, quando le violazioni sono connotate da scarsa offensività o pericolosità e l'infrazione contestata sia cessata, anche nel caso di violazione delle richiamate norme del regolamento (UE) n. 1031/2010 in tema di vendita all’asta delle quote di emissioni.

Di conseguenza, con le modifiche in esame le vigenti lettere e-bis) ed e-ter) dell’articolo 194-septies, comma 1 TUF, sono, rispettivamente, ridenominate e-ter) ed e-quater).

 

 


 

Articolo 46
(Ilva di Taranto)

 

 

L’articolo 46 interviene sulla disposizione (comma 6 dell’art. 2 del D.L. 1/2015) che esclude la responsabilità penale e amministrativa del commissario straordinario, dell'affittuario o acquirente (e dei soggetti da questi delegati) dell’ILVA di Taranto. In particolare, il decreto-legge limita dal punto di vista oggettivo l’esonero da responsabilità alle attività di esecuzione del c.d. piano ambientale escludendo l’impunità per la violazione delle disposizioni a tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e individua nel 6 settembre 2019 il termine ultimo di applicazione dell’esonero da responsabilità.

 

Prima di commentare le modifiche operate dall'articolo in esame, appare necessario ricostruire, seppur sinteticamente, la vicenda dello stabilimento ILVA di Taranto, soprattutto con riferimento all’attuazione del c.d. piano ambientale.

 

L’emergenza ambientale nell'area dell'ILVA di Taranto è stata affrontata inizialmente con l'emanazione del D.L. 7 agosto 2012, n. 129, che ha dettato norme concernenti la realizzazione degli interventi di riqualificazione e ambientalizzazione dell'area di Taranto e, per assicurarne l'attuazione, ha nominato un Commissario straordinario.

In precedenza, con decreto direttoriale del 15 marzo 2012 del Ministero dell'ambiente, era stato disposto d'ufficio l'adeguamento dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA), rilasciata con decreto del 4 agosto 2011, alle conclusioni delle migliori tecniche disponibili europee (BAT - Best Available Techniques) relative al settore siderurgico. Successivamente il Ministero dell'ambiente ha concluso il riesame dell'AIA (decreto prot. DVA/DEC/2012/0000547 del 26 ottobre 2012) per l'esercizio dello stabilimento siderurgico ubicato nei comuni di Taranto e di Statte.

Con il successivo D.L. 3 dicembre 2012, n. 207, l'ILVA è stata dichiarata stabilimento di interesse strategico nazionale e sono state dettate specifiche misure per garantire la continuità produttiva aziendale e la commercializzazione dei prodotti.

Con il successivo decreto-legge n. 61/2013 sono state dettate disposizioni volte a disciplinare – in via generale (all'art. 1) e con specifico riguardo allo stabilimento ILVA di Taranto (all'art. 2) – il commissariamento straordinario di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale la cui attività produttiva comporti pericoli gravi e rilevanti all'ambiente e alla salute a causa dell'inottemperanza alle disposizioni dell'AIA.

In particolare è stata disciplinata una specifica procedura per addivenire all’approvazione di un “Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria”.

Tale c.d. piano ambientale (adottato con il D.P.C.M. 14 marzo 2014, pubblicato nella G.U. n. 105 dell'8 maggio 2014) ha previsto le azioni e i tempi necessari per garantire il rispetto delle prescrizioni di legge e dell'AIA nonché, in attuazione dell'art. 7 del D.L. 136/2013, la conclusione di tutti i procedimenti di riesame che discendono dall'AIA del 4 agosto 2011 e dall'AIA del 26 ottobre 2012.

Con il successivo decreto-legge n. 1/2015 è stata perseguita, in particolare, la finalità di estendere alle imprese dichiarate di interesse strategico nazionale, quali l'ILVA, la disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (recata dal D.L. 347/2003).

In attuazione di tali norme, in data 21 gennaio 2015 il Commissario straordinario nominato ai sensi del D.L. 61/2013 ha presentato l’istanza per l’ammissione immediata dell’ILVA S.p.A. alla procedura di amministrazione straordinaria. Tale istanza è stata accolta con il D.M. Sviluppo economico 21 gennaio 2015 (pubblicato sulla G.U. n. 30 del 6 febbraio 2015), con il quale sono stati nominati i commissari straordinari della procedura di amministrazione straordinaria[71].

A tali commissari, e ai soggetti da questi funzionalmente delegati, è stata riconosciuta una sorta di immunità penale ed amministrativa per le condotte poste in essere in attuazione del c.d. piano ambientale, in virtù della disposizione introdotta dall’art. 2, comma 6, del D.L. 1/2015.

 

Successivamente all’emanazione del D.L. 1/2015, con il decreto-legge n. 191/2015 sono state dettate disposizioni principalmente finalizzate alla cessione a terzi dei complessi aziendali del Gruppo ILVA, nonché, tra l’altro, fissato al 30 giugno 2017 il termine ultimo per l'attuazione del "piano ambientale" (art. 1, comma 7). Tali disposizioni sono state modificate e integrate con il successivo D.L. 9 giugno 2016, n. 98.

Con tale decreto-legge, al fine di garantire la tutela ambientale nell'ambito del processo di cessione dei complessi aziendali del Gruppo ILVA, sono state introdotte (mediante la modifica del comma 8 e l'inserimento dei nuovi commi da 8.1 a 8.3 dell'articolo 1 del D.L. 191/2015) disposizioni volte a porre in stretta correlazione la procedura di scelta del contraente con quella della realizzazione del "piano ambientale".

Inoltre, il comma 4 dell'articolo 1 ha consentito la proroga di ulteriori 18 mesi del termine ultimo per l'attuazione del Piano ambientale (lettera a) ed esteso all'affittuario o all'acquirente, nonché ai soggetti da questi delegati, l'esclusione dalla responsabilità penale o amministrativa a fronte di condotte poste in essere in attuazione del medesimo Piano, con il limite temporale delle condotte poste in essere fino al 30 giugno 2017 ovvero fino all'ulteriore termine di 18 mesi eventualmente concesso (lettera b). La decorrenza dei 18 mesi è stata poi fissata, dall'art. 6, comma 10-ter, del D.L. 244/2016, dalla data di entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di approvazione delle modifiche del “piano ambientale”.

In attuazione delle succitate disposizioni – e in seguito all'emanazione del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 5 giugno 2017 di aggiudicazione della procedura di trasferimento dei complessi aziendali del gruppo ILVA in amministrazione straordinaria alla società AM InvestCo Italy s.r.l. e alla presentazione, da parte della medesima società, in data 5 luglio 2017, della domanda di AIA – è stato emanato il D.P.C.M. 29 settembre 2017 (pubblicato nella G.U. del 30 settembre 2017) di approvazione delle modifiche al "piano ambientale" di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014.

Nelle premesse del D.P.C.M. 29 settembre 2017 viene ricordato che la data di scadenza dell'AIA è il 23 agosto 2023.

Tale termine, in virtù della proroga concessa dall'art. 6, comma 10-bis, lettera c), del D.L. 30 dicembre 2016, n. 244, costituisce anche il termine ultimo per l’attuazione del c.d. piano ambientale.

 

Per un’analisi più approfondita dell’evoluzione normativa relativa allo stabilimento ILVA di Taranto si rinvia alla scheda “Emergenza ambientale nell'area dell'ILVA di Taranto” del dossier di inizio della XVIII legislatura.

Informazioni dettagliate e aggiornate sullo stato di attuazione del “piano ambientale” sono invece state recentemente fornite nel corso dell’audizione dei Commissari Straordinari del Gruppo ILVA, svolta dalla VIII Commissione (Ambiente) nella seduta del 6 marzo 2019. Nel documento consegnato nel corso dell’audizione si legge che “il piano di investimenti ambientali di Arcelor Mittal Italia garantisce il completamento della maggior parte degli interventi in via anticipata rispetto al termine ultimo del 2023 previsto dal D.P.C.M. del 2017”.

Ulteriori elementi di informazione sono stati forniti dal Ministro dell'ambiente nel corso dell’audizione, tenutasi nella seduta dell’VIII Commissione del 29 maggio 2019.

 

Occorre infine evidenziare che in data 21 maggio 2019 il Sindaco di Taranto ha presentato un’apposita istanza per chiedere il riesame dell’AIA, motivando la richiesta con gli esiti degli ultimi rapporti di valutazione del danno sanitario (VDS).

In accoglimento di tale istanza, con il decreto direttoriale 27 maggio 2019, n. 188, il Ministero dell'ambiente ha disposto il riesame «dell’autorizzazione integrata ambientale di cui al DPCM del 29 settembre 2017 (…) al fine di introdurre eventuali condizioni aggiuntive motivate da ragioni sanitarie» previo aggiornamento degli esiti dei rapporti di valutazione del danno sanitario.

 

Il decreto-legge in commento, come si evince dal testo a fronte che segue:

 

§  interviene sul primo periodo del comma 6 per circoscrivere l’esonero da responsabilità amministrativa dell’ente derivante da reato (ex d.lgs. n. 231 del 2001), alle condotte connesse all’attuazione dell’AIA, in osservanza delle disposizioni del Piano ambientale. Eliminando ogni riferimento alle altre norme di tutela dell'ambiente (diverse da quelle previste dalla disciplina dell’AIA), di tutela della salute, dell'incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro, l’esonero da responsabilità amministrativa della società opera limitatamente alle condotte strettamente connesse all'attuazione dell'AIA.
In base alla disposizione, infatti, osservare correttamente le prescrizioni del Piano Ambientale nell’attuazione dell’AIA equivale ad adottare ed attuare efficacemente i modelli di organizzazione e gestione previsti dal d.lgs. 231/2001.

Si ricorda che l’adozione di un modello organizzativo conforme alle indicazioni contenute nell’art. 6 del decreto legislativo n. 231 del 2001 (c.d. modello 231), da parte di una persona giuridica o di società e associazioni anche prive di personalità giuridica, consente di prevenire l’insorgere della responsabilità dell’ente conseguente alla commissione di un reato.

 

§  intervenendo sul secondo periodo del comma 6 il decreto-legge precisa che l’esonero da responsabilità penale e amministrativa del commissario straordinario, dell’affittuario e dell’acquirente di ILVA (o dei loro delegati) opera limitatamente alle condotte poste in essere in attuazione del piano ambientale, che il legislatore qualifica come “migliori regole preventive in materia ambientale”. Eliminando il riferimento alle migliori regole preventive in materia di tutela della salute e dell’incolumità pubblica, nonché in materia di sicurezza sul lavoro, il decreto-legge esclude l’esonero da responsabilità per la violazione di tali discipline.
Per quanto riguarda la tutela dell’ambiente, l’ambito di applicazione dell’esonero da responsabilità penale e amministrativa dei dirigenti di ILVA pare essere più ampio rispetto all’esonero da responsabilità amministrativa della società: il primo periodo, infatti, copre le sole condotte di attuazione dell’A.I.A. (essendo soppresso il riferimento alle “altre norme a tutela dell’ambiente”), mentre il secondo periodo fa riferimento alle condotte in attuazione del Piano ambientale ritenendole ope legis le migliori regole preventive nella complessiva materia ambientale.

 

§  infine, sostituendo l’ultimo periodo del comma 6, il decreto-legge individua nel 6 settembre 2019 il termine di applicazione dell’esonero da responsabilità penale e amministrativa dei dirigenti di ILVA. La disposizione, infatti, fissa il nuovo termine di efficacia limitatamente alla “disciplina di cui al periodo precedente” (il secondo periodo).
Prima dell’entrata in vigore del decreto-legge, in base alla formulazione letterale del terzo periodo, l’esonero da responsabilità penale e amministrativa era destinato ad operare fino al 29 marzo 2019 (ovvero 18 mesi decorrenti dall’entrata in vigore del DPCM 29 settembre 2017).

 

Si ricorda, peraltro, che sul punto il parere reso il 21 agosto 2018 al Ministero dello sviluppo economico dall’Avvocatura dello Stato ha individuato nel 23 agosto 2023, data di scadenza dell’A.I.A. il termine di efficacia dell’esimente di cui all'art. 2, comma 6 cit. (v. infra).

 

La relazione illustrativa non chiarisce il motivo della fissazione del termine al 6 settembre 2019.

 

Peraltro, il tema dell’esonero da responsabilità e della sua durata è stato oggetto di recenti pronunce giurisprudenziali e di un’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale, richiamate anche dalla relazione illustrativa.

 

In particolare, nell’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale, emessa in data 8 febbraio 2019 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Taranto (pubblicata nella G.U. 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 17 del 24 aprile 2019), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, commi 5 e 6 del D.L. 5 gennaio 2015, nella parte in cui prorogano alla scadenza dell'AIA (ad oggi fissata al 23 agosto 2023) i termini per l'attuazione del Piano Ambientale e escludono la responsabilità penale per le condotte attuative del Piano.

Secondo il GIP, l'operatività dell'esimente è stata prorogata sino al 30 marzo 2019 e «non sono chiare le ragioni di questo “scollamento” tra il periodo dell'attività autorizzata (sino al 23 agosto 2023) e la copertura temporale della esimente (30 marzo 2019) e non si comprende in forza di quali norme l'Avvocatura di Stato, nel parere reso il 21 agosto 2018 al Ministero dello sviluppo economico, del lavoro e delle politiche sociali (pubblicato sul sito del MISE e visibile al seguente indirizzo: https://www.mise.gov.it/index.php/it/198-notizie-stampa/2038583-ilva-disclosure-il-parere-dell-avvocatura-dello-stato-e-il-provvedimento-di-conclusione-del-procedimento), abbia dichiarato che «l'esimente di cui all'art. 2, comma 6 cit. operi per tutto l'arco temporale in cui l'aggiudicatario sarà chiamato ad attuare le prescrizioni ambientali impartite dall'amministrazione», per cui «detto arco temporale risulterà quindi coincidente con la data di scadenza dell'autorizzazione integrata ambientale in corso di validità (23 agosto 2023)».

Secondo il GIP, la fissazione della scadenza al 2023 e l'introduzione della scriminante supererebbero i paletti fissati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 85/2013.

Si ricorda che, in tale pronuncia, la Corte aveva affermato che «è considerata lecita la continuazione dell’attività produttiva di aziende sottoposte a sequestro, a condizione che vengano osservate […] le regole che limitano, circoscrivono e indirizzano la prosecuzione dell’attività stessa» secondo un percorso di risanamento – delineato nella specie dalla nuova autorizzazione integrata ambientale – ispirato al bilanciamento tra tutti i beni e i diritti costituzionalmente protetti, tra cui il diritto alla salute, il diritto all’ambiente salubre e il diritto al lavoro. Il bilanciamento deve essere condotto senza consentire «l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona».

Si ricorda inoltre che con la sentenza n. 58 del 2018, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di alcune disposizioni del decreto-legge n. 92/2015 che consentivano all’ILVA di continuare a servirsi di impianti sottoposti a sequestro anche quando lo stesso si riferiva ad ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori, «per non aver tenuto in adeguata considerazione le esigenze di tutela della salute, sicurezza e incolumità dei lavoratori, a fronte di situazioni che espongono questi ultimi a rischio stesso della vita».

Infine, si ricorda che anche la Corte europea dei diritti dell’Uomo, nella decisione 24 gennaio 2019 Cordella ed altri contro Italia, ha condannato l’Italia (per violazione degli artt. 8 e 13 CEDU) per non aver intrapreso azioni efficaci per migliorare l'impatto ambientale dello Stabilimento ILVA e per aver fissato, per la realizzazione del Piano Ambientale, la scadenza nel 2023.

 


 

Testo previgente

D.L. n. 34 del 2019

D.L. 05/01/2015, n. 1

Disposizioni urgenti per l'esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell'area di Taranto.


Art. 2. Disciplina applicabile ad ILVA S.p.A.

(omissis)

6. L'osservanza delle disposizioni contenute nel Piano di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014, nei termini previsti dai commi 4 e 5 del presente articolo, equivale all'adozione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione, previsti dall'articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, ai fini della valutazione delle condotte strettamente connesse all'attuazione dell'A.I.A. e delle altre norme a tutela dell'ambiente, della salute e dell'incolumità pubblica.

6. L'osservanza delle disposizioni contenute nel Piano Ambientale di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014, come modificato e integrato con il D.P.C.M. 29 settembre 2017, equivale all'adozione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione, previsti dall'articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, ai fini della valutazione delle condotte strettamente connesse all'attuazione dell'A.I.A.

Le condotte poste in essere in attuazione del Piano di cui al periodo precedente non possono dare luogo a responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario, dell'affittuario o acquirente e dei soggetti da questi funzionalmente delegati, in quanto costituiscono adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e dell'incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro.

Le condotte poste in essere in attuazione del Piano Ambientale di cui al periodo precedente, nel rispetto dei termini e delle modalità ivi stabiliti, non possono dare luogo a responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario, dell'affittuario o acquirente e dei soggetti da questi funzionalmente delegati, in quanto costituiscono adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale.

Per quanto attiene all'affittuario o acquirente e ai soggetti funzionalmente da questi delegati, la disciplina di cui al periodo precedente si applica con riferimento alle condotte poste in essere fino alla scadenza del 30 giugno 2017 prevista dal terzo periodo del comma 5 ovvero per un periodo ulteriore non superiore ai diciotto mesi decorrenti dalla data di entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di approvazione delle modifiche del Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria secondo quanto ivi stabilito a norma del comma 5.

La disciplina di cui al periodo precedente si applica con riferimento alle condotte poste in essere fino al 6 settembre 2019.

Articolo 47, comma 1
(Assunzioni presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti)

 

 

L’articolo 47, comma 1, modificato nel corso dell’esame in Commissione, autorizza al comma 1, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ad assumere, a partire dal 1° dicembre 2019, 100 unità di personale, con contratto a tempo indeterminato, di alta specializzazione ed elevata professionalità, per efficientare e velocizzare lo svolgimento dei compiti dei Provveditorati interregionali alle opere pubbliche.

 

Più nel dettaglio, la suddetta autorizzazione (ed il contestuale incremento della dotazione organica) riguarda l’assunzione, come specificato nella Relazione illustrativa, del seguente personale (da inquadrare nel livello iniziale dell'Area III del comparto delle funzioni centrali):

§  80 unità di elevata professionalità tecnica, da individuare tra architetti, ingegneri, geologi e, come specificato nel corso dell’esame in Commissione, dottori agronomi e dottori forestali;

§  20 giuristi, esperti di gare e contratti pubblici[72].

Viene demandata ad apposito decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione, da adottarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame) la definizione degli specifici requisiti di cui il personale deve essere in possesso.

Sul punto, la Relazione illustrativa specifica che per “alta specializzazione” debba intendersi il possesso di laurea specialistica, mentre la “elevata professionalità” va riferita ad un’esperienza certificata nel settore di riferimento, per almeno un anno. Per i tecnici, è richiesta l'iscrizione all'albo professionale di riferimento, per gli amministrativi sarà possibile prevedere il possesso dell'abilitazione forense.

La medesima Relazione evidenzia inoltre che la suddetta autorizzazione alle assunzioni è connessa anche ai prossimi collocamenti a riposo di molteplici unità di personale di Area terza nei Provveditorati.

 

Le procedure concorsuali per l'individuazione del suddetto personale si svolgono:

§  in deroga alle procedure di mobilità volontaria (di cui all’art. 30 del D.Lgs. 165/2001);

§  nelle forme del concorso unico (di cui all’art. 4, c. 3-quinquies, del D.L. 101/2013, e all’art. 35 del D.Lgs. 165/2001[73]) mediante richiesta al Dipartimento della funzione pubblica, che provvede al loro svolgimento secondo le modalità previste dal decreto di cui all'articolo 1, comma 300, della L. 145/2018.

Il richiamato art. 1, c. 300, della legge di bilancio 2019 demanda ad apposito decreto del Ministro della pubblica amministrazione (la cui adozione era prevista entro il 1° marzo 2019) la definizione delle modalità semplificate per lo svolgimento dei concorsi pubblici unici autorizzati per nuove assunzioni a tempo indeterminato presso la pubblica amministrazione

 

Nelle more dell’emanazione del suddetto decreto, si prevede una procedura semplificata (anche in deroga alla disciplina in materia di modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi, ex D.P.R. 487/1994), che preveda, in particolare:

§  la nomina e la composizione della commissione d'esame, prevedendo la costituzione di sottocommissioni anche per le prove scritte e stabilendo che a ciascuna delle sottocommissioni non può essere assegnato un numero di candidati inferiore a 250;

§  la tipologia e le modalità di svolgimento delle prove di esame, prevedendo la possibilità:

-       di far precedere le prove di esame da una prova preselettive, qualora il numero delle domande di partecipazione al concorso sia superiore a due volte il numero dei posti banditi;

-       di svolgere prove preselettive consistenti nella risoluzione di quesiti a risposta multipla (gestite con l'ausilio di enti o istituti specializzati pubblici e privati e con possibilità di predisposizione dei quesiti da parte degli stessi).

Agli oneri per le suddette assunzioni, pari a 325.000 euro per il 2019 e a 3.891.000 euro dal 2020, si provvede ai sensi dell'articolo 50 (alla cui scheda di lettura si rimanda).

 

In materia, si ricorda che l’art. 1, c. 394, della L. 145/2018 (legge di bilancio 2019) dispone che, per il 2019, la Presidenza del Consiglio dei ministri, i Ministeri, gli enti pubblici non economici, le Agenzie fiscali e le Università, in relazione alle ordinarie facoltà di assunzione riferite al medesimo anno, non possono effettuare assunzioni di personale a tempo indeterminato con decorrenza giuridica ed economica anteriore al 15 novembre 2019.


 

Articolo 47, commi 1-bis–1-septies
(Fondo salva opere)

 

 

I commi 1-bis – 1-septies dell’articolo 47, introdotti in sede referente, prevedono l’istituzione di un fondo denominato “Fondo salva-opere”, finalizzato alla soddisfazione, nella misura del 70 per cento, dei crediti insoddisfatti delle imprese sub-appaltatrici, sub-affidatarie e sub-fornitrici, in caso di fallimento dell’appaltatore o affidatario dei lavori.

Il Fondo è alimentato da un contributo pari allo 0,5 per cento del valore del ribasso offerto dall'aggiudicatario delle gare di appalti pubblici di lavori, nel caso di importo a base d'appalto pari o superiore a euro 200.000, e di servizi e forniture, nel caso di importo a base d'appalto pari o superiore a euro 100.000 (comma 1-bis).

Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sulla base della certificazione dei crediti insoddisfatti effettuata dalle amministrazioni aggiudicatarie a richiesta degli interessati, procede all’erogazione. Per quanto versato dal Fondo, il Ministero è surrogato nei diritti dei soggetti che hanno ricevuto il contributo nell’ambito della procedura concorsuale (comma 1-ter).

È rimessa ad un decreto del Ministero delle infrastrutture la disciplina delle modalità di funzionamento e di erogazione delle somme da parte del Fondo (comma 1-quater).

Per i crediti insoddisfatti maturati in relazione a procedure concorsuali avviate tra il 1° gennaio 2018 e la data di entrata in vigore della legge di conversione, sono stanziati 12 milioni di euro per l’anno 2019 e 33,5 milioni di euro per l’anno 2020 (commi 1-quinquies e 1-septies).

Le disposizioni sul Fondo salva-opere non si applicano agli appalti aggiudicati da enti locali e regioni (comma 1-sexies).

 

 

Istituzione e gestione del Fondo salva opere (comma 1-bis)

 

Il comma 1-bis prevede un fondo denominato “Fondo salva-opere”, istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, al fine di garantire il rapido completamento delle opere pubbliche e di tutelare i lavoratori, che si alimenta attraverso il versamento di un contributo pari allo 0,5 per cento del valore del ribasso offerto dall'aggiudicatario delle gare di appalti pubblici di lavori, nel caso di importo a base d'appalto pari o superiore a euro 200.000, e di servizi e forniture, nel caso di importo a base d'appalto pari o superiore a euro 100.000.

Il predetto contributo rientra tra gli importi a disposizione della stazione appaltante nel quadro economico predisposto dalla stessa al termine dell'aggiudicazione definitiva. 

Le risorse del Fondo sono destinate alla soddisfazione, nei limiti della dotazione del Fondo e nella misura del 70 per cento, dei crediti insoddisfatti dei sub-appaltatori, sub-affidatari e sub-fornitori nei confronti dell’appaltatore ovvero, nel caso di affidamento a contraente generale, dei suoi affidatari di lavori, quando tali soggetti sono assoggettati a procedura concorsuale. 

Le amministrazioni aggiudicatrici o il contraente generale provvedono, entro trenta giorni dalla data di aggiudicazione definitiva, al versamento del contributo all’entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione al Fondo e le somme non impegnate in ciascun esercizio finanziario possono essere impegnate nell’esercizio finanziario successivo.

 

In base al disposto dell’art. 105 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016), il subappalto è il contratto con il quale l'appaltatore affida a terzi l'esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto. Lo stesso articolo stabilisce che i soggetti affidatari dei contratti pubblici eseguono in proprio le opere o i lavori, i servizi, le forniture compresi nel contratto, e detta le condizioni alle quali è ammesso il subappalto.  Con l’art. 1 comma 18 del D.L 32/2019 è stata dettata una disciplina transitoria del subappalto fino al 31 dicembre 2020 che prevede che il subappalto deve essere indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di gara e, in deroga alla disciplina dettata dall’art. 105, comma 2, del Codice, non può superare la quota del 40% dell'importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture (30% nel testo previgente).

 

 

Crediti insoddisfatti maturati prima della procedura concorsuale
(comma 1-ter)

 

Il comma 1-ter prevede l’onere a carico dei sub-appaltatori, sub-affidatari e sub-fornitori - al fine di ottenere da parte del Fondo il pagamento dei crediti insoddisfatti prima dell’apertura della procedura concorsuale - della trasmissione all'amministrazione aggiudicatrice ovvero al contraente generale della documentazione comprovante l'esistenza del credito ed il suo ammontare.

L’amministrazione aggiudicatrice, ovvero il contraente generale, svolte le opportune verifiche, provvede alla certificazione dell’esistenza e dell'ammontare del credito.

Tale certi?cazione è trasmessa al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e costituisce prova del credito nei confronti del Fondo; la certificazione è inopponibile alla massa dei creditori concorsuali.

Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, accertata la sussistenza delle condizioni per il pagamento dei crediti, provvede all'erogazione delle risorse del Fondo in favore delle imprese.

A seguito del pagamento il Ministero è surrogato nei diritti del sub-appaltatore, sub-affidatario o sub-fornitore verso l'appaltatore o l'af?datario del contraente generale nell’ambito della procedura concorsuale. La disposizione peraltro specifica che, in deroga a quanto previsto dall'articolo 1205 del codice civile, il Ministero è preferito al subappaltatore, sub af?datario o sub-fornitore nei riparti ai creditori effettuati nel corso della procedura concorsuale, fino all'integrale recupero della somma pagata.

 

La disposizione deroga alla previsione codicistica in base alla quale, in caso di pagamento parziale, il terzo surrogato e il creditore concorrono nei confronti del debitore in proporzione di quanto è loro dovuto (art. 1205 c.c.).

Il Ministero, infatti, in caso di procedura di insolvenza, dovrà essere preferito al subappaltatore, al sub affidatario o al sub fornitore, fino al pieno recupero delle somme pagate, senza concorrere con essi nel riparto dell'eventuale attivo.

 

 

Assegnazione delle risorse e modalità operative del Fondo
(comma 1-quater)

 

Il comma 1-quater prevede l’emanazione di un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, per l’individuazione dei criteri di assegnazione delle risorse e delle modalità operative del Fondo.

Il suddetto decreto ministeriale potrà altresì disciplinare l’eventuale affidamento dell’istruttoria, anche sulla base di apposita convenzione, a società o enti in possesso dei necessari requisiti tecnici organizzativi e di terzietà, scelti sulla base di apposita gara. Gli eventuali oneri derivanti dalla stipula della convenzione sono posti a carico del Fondo.

 

In merito all’istruttoria e alla possibilità di affidarla a soggetti terzi, si valuti l’opportunità di precisare a quale fase della procedura essa si debba riferire.

 

Il comma 1-quater prevede l’applicazione delle disposizioni sul Fondo alle gare effettuate a partire dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (senza attendere dunque l’entrata in vigore del decreto attuativo).

 

Crediti insoddisfatti nel periodo di vigenza del D.L. fino alla sua conversione (comma 1-quinquies)

 

Il comma 1-quinquies stanzia 12 milioni di euro per l’anno 2019 e 33,5 milioni di euro per l’anno 2020 per i crediti insoddisfatti maturati in relazione a procedure concorsuali avviate tra il 1° gennaio 2018 e l’entrata in vigore della legge di conversione.

Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti eroga le risorse del Fondo, anche per tali crediti, secondo le procedure di cui ai commi 1-ter e 1-quater.

 

Casi esclusi dalla disciplina del Fondo (comma 1-sexies)

 

Il comma 1-sexies prevede che le disposizioni in esame non si applicano alle gare aggiudicate da Comuni, Città Metropolitane, Province, anche autonome, e Regioni.

 

Copertura finanziaria (comma 1-septies)

 

Il comma 1-septies quantifica gli oneri derivanti dalla applicazione delle disposizioni del comma 1-quinquies, pari a 12 milioni per l’anno 2019 e a 33,5 milioni per l'anno 2020, con le seguenti modalità:

§  2 milioni per l'anno 2019 e 3,5 milioni euro per l'anno 2020 mediante corrispondente riduzione del fondo di cui al comma 5 dell’articolo 34-ter della legge finanziaria 2010 (L. 31 dicembre 2009, n. 196) del MIT (lett. a);

Il comma 5 dell’art. 34 prevede, in apposito allegato al Rendiconto generale dello Stato, la quantificazione per ciascun Ministero dell'ammontare dei residui passivi perenti eliminati. Annualmente, successivamente al giudizio di parifica della Corte dei conti, con la legge di bilancio, le somme corrispondenti agli importi di cui sopra possono essere reiscritte, del tutto o in parte, in bilancio su base pluriennale, in coerenza con gli obiettivi programmati di finanza pubblica, su appositi Fondi da istituire con la medesima legge, negli stati di previsione delle amministrazioni interessate.

§  10 milioni di euro per l'anno 2019 e a 30 milioni di euro per l'anno 2020, mediante corrispondente utilizzo dell'autorizzazione di spesa recata dall'articolo 1, comma 95, della legge di bilancio 2019 (L. 30 dicembre 2018, n. 145), da imputarsi sulla quota parte del fondo attribuita al MIT (lett. b).

La legge di bilancio 2019 prevede, ai commi da 95-96 dell’art. 1, l’istituzione di un Fondo finalizzato al rilancio degli investimenti delle Amministrazioni centrali dello Stato e allo sviluppo del Paese, con una dotazione complessiva di circa 49,7 miliardi di euro per gli anni dal 2019 al 2033, da ripartirsi con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, adottati entro il 31 gennaio 2019, sulla base di programmi settoriali presentati dalle Amministrazioni centrali dello Stato per le materie di propria competenza (comma 98).

Ai fini del monitoraggio degli interventi finanziati dal Fondo, il comma 105 prevede una relazione annuale da parte dei singoli Ministeri, entro il 15 settembre di ogni anno, sullo stato di utilizzo dei relativi finanziamenti.

 


 

Articolo 47-bis
(Misure a sostegno della liquidità delle imprese)

 

 

L’articolo 47-bis, introdotto in sede referente, modifica la disciplina sugli appalti per la Difesa e la sicurezza recata dall’art. 159 del Codice dei contratti pubblici, al fine di prevedere che - nel caso di contratti ad impegno pluriennale superiore a tre anni - l'importo dell'anticipazione del prezzo pari al 20 per cento da corrispondere all'appaltatore venga calcolato, anziché sul valore del contratto di appalto, sul valore delle prestazioni di ciascuna annualità contabile del contratto di appalto.

 

Nello specifico, la norma in esame introduce il comma 4-bis all’art. 159 del Codice dei contratti pubblici, prevedendo, nel caso di contratti ad impegno pluriennale superiore a tre anni, che l'importo dell'anticipazione del prezzo, pari al 20 per cento da corrispondere all'appaltatore entro quindici giorni dall'effettivo inizio della prestazione, di cui all’articolo 35, comma 18, del Codice dei contratti, venga calcolato sul valore delle prestazioni di ciascuna annualità contabile del contratto di appalto, stabilita nel cronoprogramma dei pagamenti e corrisposta entro quindici giorni dall’effettivo inizio della prima prestazione utile relativa a ciascuna annualità, secondo il  cronoprogramma delle prestazioni.

 

Nella relazione illustrativa si sottolinea che tale disposizione “è ?nalizzata ad adeguare il funzionamento dell’istituto dell'anticipazione ad alcune fattispecie ricorrenti nell’attività delle stazioni appaltanti della Difesa che realizzano programmi di investimento di durata pluriennale e di notevole volume finanziario (si pensi alla realizzazione di una unità navale o di un sistema satellitare o aereo).  In tali ipotesi la corresponsione di anticipazione in ragione del valore complessivo del programma non sarebbe allineata al normale sviluppo dell’esecuzione contrattuale e dilaterebbe molto il tempo di recupero dell'anticipazione stessa creando difficoltà alle imprese a causa dei costi legati all’obbligo di accensione di polizze fideiussorie di importi molto elevati e di durata molto lunga.

Viceversa, la corresponsione dell'anticipazione anno per anno assicura alle imprese un volano di liquidità costante senza esporle ad oneri fideiussori esorbitanti e facilita, d'altro canto, la piani?cazione delle risorse finanziarie da parte dell'Amministrazione committente, senza generare rischi di indisponibilità di cassa che si risolverebbero in ritardi nei pagamenti verso le imprese”.

 

Si ricorda che il comma 18 dell’art. 35 del Codice dei contratti pubblici stabilisce che sul valore del contratto di appalto viene calcolato l'importo dell'anticipazione del prezzo pari al 20 per cento da corrispondere all'appaltatore entro quindici giorni dall'effettivo inizio della prestazione. In materia di garanzia fideiussoria in caso di anticipazione del prezzo il comma 18 dell’art. 35 del Codice dei contratti pubblici stabilisce inoltre che l'erogazione dell'anticipazione è subordinata alla costituzione di garanzia fideiussoria bancaria o assicurativa di importo pari all'anticipazione maggiorata del tasso di interesse legale applicato al periodo necessario al recupero dell'anticipazione stessa secondo il cronoprogramma della prestazione.

L'importo della garanzia viene gradualmente ed automaticamente ridotto nel corso delle prestazioni, in rapporto al progressivo recupero dell'anticipazione da parte delle stazioni appaltanti. Il beneficiario decade dall'anticipazione, con obbligo di restituzione, se l'esecuzione delle prestazioni non procede, per ritardi a lui imputabili, secondo i tempi contrattuali. Sulle somme restituite sono dovuti gli interessi legali con decorrenza dalla data di erogazione della anticipazione.


 

Articolo 48, comma 1
(Disposizioni in materia di energia)

 

 

L'articolo 48, comma 1 reca autorizzazioni di spesa per l'adempimento di alcuni impegni internazionali assunti dall'Italia in materia di energia e clima.

L'articolo autorizza la spesa di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020 e di 20 milioni di euro per il 2021 per gli interventi connessi al rispetto degli impegni assunti dal Governo italiano con l'iniziativa Mission Innovation adottata durante la Cop 21 di Parigi, finalizzati a raddoppiare la quota pubblica degli investimenti dedicati alle attività di ricerca, sviluppo e innovazione delle tecnologie energetiche pulite, nonché degli impegni assunti nell'ambito della Proposta di Piano Nazionale Integrato Energia Clima.

All'onere predetto si provvede ai sensi dell'articolo 50.

 

L’Accordo di Parigi sul clima (COP21), entrato in vigore il 4 novembre 2016 e ratificato da 175 parti della conferenza su 197, prevede di: 1) stabilizzare l'aumento della temperatura al di sotto di 2°C, con l'intento di contenerlo entro 1,5°C e 2) rendere disponibili ogni anno, dal 2020, 100 miliardi di dollari in prestiti e donazioni per sostenere i Paesi in via di sviluppo nelle azioni per il clima. Obiettivo ulteriore è il rafforzamento delle capacità di adattamento agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, promuovendo la resilienza del clima e riducendo le emissioni di gas serra, con particolare attenzione ad evitare una minaccia per le produzioni alimentari.


 

Articolo 48, commi 1-bis-1-quater
(Modifiche ai criteri di ammissione di progetti
di efficienza energetica alla disciplina incentivante)

 

 

I commi da 1-bis a 1-quater dell’articolo 48 incidono sulle modalità con le quali i progetti di efficienza energetica che prevedono l'impiego di fonti rinnovabili per usi non elettrici sono ammessi al meccanismo dei certificati bianchi, ai sensi del D.M. 11 gennaio 2017. Il comma 1-bis dispone che il risparmio di energia addizionale necessario ai fini dell’ammissione al meccanismo, per i progetti suddetti è determinato:

a) in base all’energia non rinnovabile sostituita rispetto alla situazione di baseline, per i progetti che prevedano la produzione di energia tramite le seguenti fonti: solare, aerotermica, da bioliquidi sostenibili, da biogas e da talune biomasse (prodotti e sottoprodotti di origine biologica di cui alla Tabella 1-A del D.M. 6 luglio 2012)

b) in base all’incremento dell’efficienza energetica rispetto alla situazione di baseline, in tutti gli altri casi, come già previsto dalla vigente disciplina attuativa

Ai sensi del comma 1-ter, i progetti che prevedono l’utilizzo di biomasse in impianti fino a 2 MW termici devono rispettare i limiti di emissione in atmosfera ed i relativi metodi di misura riportati nel D.M. 16 febbraio 2016 (cd. Conto termico, Tabelle 15 e 16)

Il comma 1-quater demanda al Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e di tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza Unificata, di provvedere alle conseguenti modifiche del sopra indicato D.M. 11 gennaio 2017.

 

Nel dettaglio, la disciplina vigente, all’articolo 6, comma 4 del D.M. 11 gennaio 2017[74], dispone che i progetti di efficienza energetica che prevedono l'impiego di fonti rinnovabili per usi non elettrici sono ammessi al meccanismo dei certificati bianchi esclusivamente in relazione alla loro capacità di incremento dell'efficienza energetica e di generare risparmi di energia non rinnovabile.

Il comma 1-bis, mantenendo fermo tale principio, dispone che il risparmio di energia addizionale derivante dai suddetti progetti è determinato:

a) in base all’energia non rinnovabile sostituita rispetto alla situazione di baseline, per i progetti che prevedano la produzione di energia tramite le seguenti fonti: solare, aerotermica, da bioliquidi sostenibili, da biogas e da biomasse: in tali ultimi due casi si tratta specificamente di prodotti di origine biologica e sottoprodotti di origine biologica di cui alla Tabella 1-A del D.M. 6 luglio 2012[75];

b) in base all’incremento dell’efficienza energetica rispetto alla situazione di baseline, in tutti gli altri casi (come già previsto dalla vigente disciplina attuativa del meccanismo dei certificati bianchi, cfr. infra).

Ai sensi del comma 1-ter, i progetti che prevedono l’utilizzo di biomasse in impianti fino a 2 MW termici devono rispettare i limiti di emissione in atmosfera ed i relativi metodi di misura riportati nel D.M. 16 febbraio 2016 (cd. Conto termico, Tabelle 15 e 16).

Il comma 1-quater demanda al Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e di tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza Unificata, di provvedere alle conseguenti modifiche del sopra indicato D.M. 11 gennaio 2017.

 

Si ricorda che il D.M. 11 gennaio 2017 è stato adottato ai sensi dell’articolo 7, comma 5 del D.Lgs. n. 102/2014 dal Ministro dello sviluppo economico di concerto il ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito il parere dell' ARERA, acquisita l'intesa della Conferenza unificata.

Con riferimento al comma 1-quater, che prevede l’adozione di un decreto ministeriale modificativo del D.M. 11 gennaio 2017, si valuti l’opportunità di introdurre nella procedura di approvazione del decreto in questione la previsione dell’espressione di parere da parte dell’ARERA, in simmetria con la procedura di adozione del citato D.M. 11 gennaio 2017.

 

I Certificati Bianchi (o Titoli di Efficienza Energetica-TEE) sono titoli negoziabili che certificano i risparmi energetici negli usi finali di energia.

I Certificati Bianchi, o Titoli di Efficienza Energetica (TEE) sono titoli negoziabili che certificano i risparmi energetici conseguiti negli usi finali di energia, realizzando interventi di incremento dell'efficienza energetica.

Il sistema dei TEE è un meccanismo di incentivazione che si basa su un regime obbligatorio di risparmio di energia primaria per i distributori di energia elettrica e gas naturale con più di 50.000 clienti finali.

Per ogni anno d'obbligo, dal 2017 al 2020, sono stati fissati gli obiettivi di risparmio che i distributori devono raggiungere attraverso la realizzazione di interventi di efficienza energetica.

I soggetti obbligati possono adempiere alla quota d'obbligo di risparmio in due modi:

1.    realizzando direttamente o attraverso le società da essi controllate, o controllanti, i progetti di efficienza energetica ammessi al meccanismo;

2.    acquistando i titoli dagli altri soggetti ammessi al meccanismo, ovvero altri distributori, ESCO certificate o utenti finali pubblici o privati che hanno nominato un EGE certificato.

Per ogni TEP (Tonnellata Equivalente di Petrolio) di risparmio conseguito grazie alla realizzazione dell'intervento di efficienza energetica, viene riconosciuto un Certificato per tutta la sua vita utile stabilita dalla normativa per ogni tipologia di progetto (da 3 a 10 anni). I soggetti volontari e i soggetti obbligati scambiano i CB sulla piattaforma di mercato gestita dal GME o attraverso contrattazioni bilaterali.

Tutti i soggetti ammessi al meccanismo sono inseriti nel Registro Elettronico dei Titoli di Efficienza Energetica presso il GME.

 

Il meccanismo dei Certificati Bianchi ha come base giuridica gli articoli 29 e 30 del D. Lgs. 28/2011 e l’articolo 7 del D. Lgs. 102/2014, attuato con il D.M. 11 gennaio 2017.

Il D.M. 11 gennaio 2017 stabilisce i criteri, le condizioni e le modalità di realizzazione dei progetti di efficienza energetica negli usi finali per l’accesso al meccanismo dei Certificati Bianchi.

Il sistema dei Certificati Bianchi si fonda, come detto, sull’obbligo, posto in capo alle aziende distributrici di gas e/o di energia elettrica con più di 50.000 clienti finali, di conseguire un obiettivo annuo prestabilito di risparmio energetico.

Gli obiettivi di risparmio energetico nel periodo 2017 – 2020 stabiliti dal nuovo DM sono quelli riportati nella tabella seguente:

 

I soggetti titolati alla presentazione di progetti di efficienza energetica sono i seguenti:

a) i soggetti obbligati sopra indicati;

b) le imprese di distribuzione di energia elettrica e gas naturale non soggette all’obbligo;

c) i soggetti pubblici e privati che sono in possesso della certificazione UNI CEI 11352 o che hanno nominato un esperto di gestione dell’energia certificato secondo la norma UNI CEI 11339 o che sono in possesso di un sistema di gestione dell’energia certificato ISO 50001. I soggetti titolati alla presentazione di  progetti di efficienza energetica realizzano interventi che generano risparmi di  energia primaria addizionali presso gli utenti finali e vendono i Certificati Bianchi ottenuti sul mercato organizzato dal GME o mediante contratti bilaterali ai  soggetti obbligati e agli altri soggetti operanti nel  meccanismo. La dimensione commerciale dei Certificati Bianchi è pari a 1 TEP.

Tra le principali novità introdotte dal D.M 11 gennaio 2017 si segnala:

·      la nuova definizione dei concetti di consumo di baseline e di risparmio energetico addizionale. Per consumo di baseline si intende il consumo di energia primaria del sistema tecnologico assunto come punto di riferimento ai fini del calcolo dei risparmi energetici addizionali per i quali sono riconosciuti i Certificati Bianchi. Il consumo di baseline è dato dal minor valore tra il consumo antecedente alla realizzazione del progetto di efficienza energetica e il consumo di riferimento.

·      Per risparmio energetico addizionale si intende la differenza, in termini di energia primaria (espressa in TEP), fra il consumo di baseline e il consumo energetico conseguente alla realizzazione di un progetto. Tale risparmio è determinato, con riferimento al  medesimo servizio reso, assicurando una normalizzazione delle condizioni che influiscono sul consumo energetico;

·      revisione della taglia minima dei progetti : i progetti standardizzati devono aver generato, nel corso dei primi  12  mesi  del  periodo  di  monitoraggio,  una  quota  di  risparmio  addizionale  non  inferiore  a  5  TEP.  Mentre  i  pro getti a consuntivo devono aver generato, nel corso dei primi 12 mesi del periodo di monitoraggio, una quota  di risparmio addizionale non inferiore a 10 TEP.

Le nuove Linee guida per la preparazione, l'esecuzione e la  valutazione dei  progetti di  efficienza energetica e per la  definizione dei criteri e delle modalità per il rilascio dei  Certificati Bianchi sono contenute negli Allegati 1 e 2 al D.M.  11 gennaio 2017. L'Allegato 3 contiene, invece, un elenco delle tipologie di progetti ammissibili e i relativi valori della  vita utile.

I progetti che prevedono l’impiego di FER per usi non elettrici sono ammessi esclusivamente in relazione alla loro  capacità  di  incremento dell’efficienza energetica e alla capacità di generare risparmi addizionali in termini di energia  primaria totale o non rinnovabile.

Vari sono i soggetti istituzionali coinvolti nella  definizione degli indirizzi e nella valutazione dei progetti volti al raggiungimento degli obiettivi annuali in carico ai distributori di energia elettrica e gas naturale.

Al Ministero dello Sviluppo Economico e al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare spettano i compiti di coordinamento e di indirizzo.

Al GSE spetta la  responsabilità del processo di valutazione e certificazione dei risparmi energetici, con il supporto dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) e della società Ricerca sul Sistema Energetico (RSE).

Al Gestore dei mercati energetici (GME) è assegnata la gestione delle piattaforme regolate di scambio dei titoli di efficienza energetica. All’ARERA spettano le attività di definizione dei rimborsi tariffari e di monitoraggio del meccanismo stesso.

Al GSE, inoltre, spettano le attività di verifica e controllo su tutti i progetti di efficienza energetica per i quali è stato richiesto l’accesso al meccanismo dei Certificati Bianchi.

 

Per consentire ai soggetti obbligati di poter  recuperare in tutto o in parte gli oneri sostenuti per la realizzazione degli interventi è stata istituita una componente sulle tariffe di distribuzione di energia elettrica e di gas naturale. L’ARERA ha approvato, con  delibera 435/2017/R/efr , la revisione delle regole di determinazione del contributo tariffario riconosciuto ai distributori  di energia elettrica e gas adempienti agli obblighi di risparmio per gli anni d’obbligo successivi al 2017.

 

 


 

Articolo 49
(Credito d'imposta per la partecipazione
di PMI a fiere internazionali)

 

 

L’articolo 49, modificato in Commissione, concede alle piccole e medie imprese italiane esistenti al 1° gennaio 2019, per il periodo d’imposta in corso al 1° maggio 2019, un credito d’imposta pari al 30 per cento delle spese sostenute per la partecipazione a manifestazioni fieristiche internazionali di settore, nel limite massimo di 60.000 euro.

Con le modifiche apportate in sede referente l’agevolazione, inizialmente prevista per la partecipazione a fiere che si tengono all'estero, è stata estesa a quelle che si svolgono in Italia ed è stato eliminato il riparto in tre quote annuali.

 

Più in dettaglio il comma 1, per migliorare il livello e la qualità di internazionalizzazione delle PMI italiane, concede alle imprese esistenti alla data del 1° gennaio 2019, per il periodo d'imposta in corso al 1° maggio 2019 (data di entrata in vigore del provvedimento in esame) un credito d'imposta pari al 30 per cento delle spese sostenute per la partecipazione a manifestazioni fieristiche internazionali di settore (specificate al comma 2), fino ad un massimo di 60.000 euro.

Il credito d'imposta è riconosciuto fino all'esaurimento dell'importo massimo, pari a 5 milioni per l'anno 2020.

 

Le spese per la partecipazione alle fiere internazionali agevolabili sono (comma 2) le seguenti:

§  spese per l'affitto degli spazi espositivi e per il loro allestimento;

§  spese per le attività pubblicitarie, di promozione e di comunicazione connesse alla partecipazione.

 

Il comma 3 chiarisce che il credito d’imposta è riconosciuto nel rispetto delle condizioni e dei limiti della normativa UE in tema di aiuti de minimis, con specifico riferimento anche al settore agricolo, della pesca e dell’acquacoltura.

Nel corso dell’esame in Commissione è stata eliminata la suddivisione del credito d’imposta in tre quote annuali. Esso è utilizzabile esclusivamente in compensazione ai sensi della relativa disciplina generale (articolo 17 del D.Lgs. n. 241 del 1997).

 

Ai sensi del comma 4, si affida a un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro il 30 giugno 2019 (60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto in esame), il compito di stabilire le disposizioni applicative delle norme in commento.

Il decreto disciplina, in particolare:

§  le tipologie di spese ammesse al beneficio, nell'ambito di quelle individuate al comma 2;

§  le procedure per l'ammissione al beneficio, che avviene secondo l'ordine cronologico di presentazione delle relative domande, nel rispetto del limite massimo di risorse (5 milioni, di cui al comma 1);

§  l'elenco delle manifestazioni fieristiche internazionali di settore, che per effetto delle modifiche in Commissione si svolgono sia in Italia che all’estero, per cui è ammesso il credito di imposta;

§  le procedure di recupero nei casi di utilizzo illegittimo dei crediti d'imposta, secondo quanto stabilito dall'articolo 1, comma 6, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40.

Il richiamato comma 6, per contrastare l'utilizzo illegittimo dei crediti d'imposta e per accelerare le procedure di recupero nei casi di utilizzo illegittimo dei crediti d'imposta agevolativi la cui fruizione è autorizzata da amministrazioni ed enti pubblici, anche territoriali, consente all'Agenzia delle entrate di trasmettere a tali amministrazioni ed enti, tenuti al detto recupero, entro i termini e secondo le modalità telematiche stabiliti con provvedimenti dirigenziali, i dati relativi ai predetti crediti utilizzati in diminuzione delle imposte dovute, nonché usati in compensazione secondo la disciplina dei versamenti unitari.

 

Il comma 5 dell’articolo in parola prevede che, ove l'Agenzia delle entrate accerti, nell'ambito dell'ordinaria attività di controllo, l'eventuale indebita fruizione - totale o parziale - del credito d'imposta, essa debba darne comunicazione al Ministero dello sviluppo economico che, ai sensi delle richiamate disposizioni volte a contrastare l’uso illecito dei crediti di imposta (articolo 1, comma 6, del citato decreto-legge n. 40 del 2010), provvede al recupero del relativo importo, maggiorato di interessi e sanzioni.

 

Il comma 6 quantifica l’onere derivante dall’agevolazione in commento, pari a 5 milioni di euro per l'anno 2020, rinviando alla norma generale di copertura del provvedimento, contenuta nell'articolo 50.


 

Articolo 49-bis
(Misure per favorire l’inserimento
dei giovani nel mercato del lavoro)

 

 

L’articolo 49-bis, introdotto nel corso dell’esame in Commissione, è finalizzato a rafforzare l’apprendimento, da parte degli studenti, delle competenze professionali richieste dal mercato del lavoro e a facilitare l’inserimento dei giovani nello stesso.

A tal fine, riconosce, a decorrere dal 2021, un incentivo in favore delle imprese che dispongono erogazioni liberali per il potenziamento di laboratori e ambienti di apprendimento innovativi a favore di istituzioni scolastiche con percorsi di istruzione secondaria di secondo grado tecnica o professionale e assumono a tempo indeterminato giovani diplomati delle medesime istituzioni scolastiche.

 

In particolare, in base al comma 1, il suddetto incentivo consiste in una riduzione del versamento dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro (con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL) ed è riconosciuto, per un periodo massimo di 12 mesi dall’assunzione, in favore dei titolari di reddito di impresa che:

§  dispongano erogazioni liberali per un importo non inferiore a € 10.000 nell’arco di un anno a favore delle istituzioni scolastiche sopra indicate, “anche ad indirizzo agrario”.

Si valuti l’effettiva necessità di tale specifica – peraltro non allineata terminologicamente alla legislazione vigente – nel testo.

Al riguardo, si ricorda, infatti, che, in base al DPR 88/2010, uno degli 11 indirizzi in cui sono articolati i percorsi degli istituti tecnici è costituito da “agraria, agroalimentare e agroindustria”.

Inoltre, in base al D.P.R. 87/2010, uno dei 6 indirizzi in cui sono articolati i percorsi degli istituti professionali è costituito da “servizi per l’agricoltura e lo sviluppo rurale”. Con la revisione dei percorsi operata dal d.lgs. 61/2017, a partire dalle classi prime funzionanti nell’a.s. 2018/2019 (e, dunque, con definitivo superamento della disciplina recata dal DPR 87/2010 a decorrere dall’a.s. 2022/2023) tale indirizzo – nell’ambito dei nuovi 11 indirizzi – è stato sostituito da “agricoltura, sviluppo rurale, valorizzazione dei prodotti del territorio e gestione delle risorse forestali e montane”;

§  assumano a tempo indeterminato, a conclusione del ciclo scolastico, diplomati nelle medesime istituzioni scolastiche.

In base al comma 6, possono beneficiare delle erogazioni liberali le istituzioni scolastiche che fanno parte del sistema nazionale di istruzione che, in base all’art. 1 della L. 62/2000, include le scuole statali e le scuole paritarie private e degli enti locali.

 

Le suddette agevolazioni sono riconosciute:

§  in base al comma 3, a decorrere dall’esercizio finanziario 2021. Esse non sono cumulabili con altre agevolazioni previste per le medesime spese;

§  in base al comma 4, solo se le erogazioni liberali sono effettuate sul conto di tesoreria delle suddette istituzioni scolastiche con sistemi di pagamento tracciabili.

 

Il già citato comma 6 dispone anche che le scuole pubblicano sul proprio sito web – senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica –l’ammontare delle erogazioni liberali ricevute per ciascun anno finanziario e le modalità di impiego delle risorse, indicando le attività da realizzare e quelle in corso di realizzazione.

 

Al riguardo, il comma 2 specifica che le tipologie di interventi ammessi da finanziare con le erogazioni liberali riguardano:

§  laboratori professionalizzanti per lo sviluppo delle competenze;

§  laboratori e ambienti di apprendimento innovativi per l’utilizzo delle tecnologie;

§  ambienti digitali e innovativi per la didattica integrata;

§  attrezzature e dispositivi hardware e software per la didattica.

 

Per completezza, si ricorda che un precedente intervento finalizzato, per quanto qui interessa, a migliorare l’occupabilità degli studenti era stato introdotto, per il triennio 2016-2018, dall’art. 1, co. 145-150, della L. 107/2015, come modificato dall’art. 1, co. 231, della L. 208/2015 (L. di stabilità 2016). In particolare, per le persone fisiche, gli enti non commerciali e i soggetti titolari di reddito di impresa che effettuassero erogazioni liberali in denaro destinate agli investimenti in favore degli istituti del sistema nazionale di istruzione per il sostegno agli interventi indicati era stato disposto un credito d'imposta (c.d. school bonus) pari al 65% delle erogazioni effettuate nel 2016 e nel 2017 e al 50% di quelle effettuate nel 2018.

Il credito d'imposta era riconosciuto a condizione che le somme fossero versate in un apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, secondo le modalità definite con D.I. 8 aprile 2016. Le stesse somme erano riassegnate ad apposito fondo iscritto nello stato di previsione del MIUR per l'erogazione alle scuole beneficiarie. Una quota pari al 10% delle somme complessivamente iscritte ogni anno sul fondo era assegnata alle istituzioni scolastiche che risultavano destinatarie delle erogazioni liberali per un ammontare inferiore alla media nazionale, secondo le modalità definite con il D.I.

Successivamente, in deroga a tali previsioni, l’art. 1, co. 620, della L. 232/2016 (L. di bilancio 2017) aveva disposto che le erogazioni liberali destinate agli investimenti in favore delle scuole paritarie erano effettuate su conto corrente bancario o postale intestato alle medesime scuole, con sistemi di pagamento tracciabili. Le scuole paritarie beneficiarie dovevano comunicare mensilmente al MIUR l’ammontare delle erogazioni liberali ricevute nel mese di riferimento e, entro 30 giorni dal ricevimento delle stesse, dovevano versarne il 10% al fondo perequativo.

 

Per quanto concerne gli incentivi attualmente vigenti volti a favorire l’entrata nel mondo del lavoro di giovani neo diplomati, si ricorda che l’art. 1, co. 108, della L. 205/2017 (L. di bilancio 2018) ha introdotto un esonero totale dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro privati per le assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato, effettuate a decorrere dal 1° gennaio 2018, entro sei mesi dall'acquisizione del titolo di studio di studenti che hanno svolto presso il medesimo datore di lavoro:

§  attività di alternanza scuola-lavoro (pari almeno al 30% delle ore di alternanza previste);

§  periodi di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore, il certificato di specializzazione tecnica superiore o periodi di apprendistato in alta formazione.

 

In base al comma 5, la definizione della misura delle agevolazioni, nonché delle modalità per garantire il rispetto dei limiti di spesa previsti e delle tempistiche per l’erogazione delle richiamate liberalità è demandata ad un decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge. L’INPS provvede al riconoscimento delle predette agevolazioni e al monitoraggio delle minori entrate contributive derivanti dalle stesse nei limiti delle risorse finanziarie, strumentali e umane disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

Per il beneficio contributivo in esame, il comma 7 autorizza una spesa pari a € 3 mln per il 2021 e a € 6 mln annui dal 2022.

Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo per l’attuazione del programma di Governo, istituito dall’art. 1, co. 748, della L. 145/2018 (L. di bilancio 2019) nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, destinato al finanziamento di nuove politiche di bilancio e al rafforzamento di quelle già esistenti perseguite dai Ministeri.


 

Articolo 49-ter
(Strutture temporanee sisma centro Italia)

 

 

L’articolo 49-ter, introdotto durante l'esame in sede referente, attribuisce ai comuni colpiti dagli eventi sismici verificatisi in Italia centrale a partire dal 24 agosto 2016 la competenza per gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle strutture di emergenza ubicate nei territori dei comuni stessi, destinando a tal fine 2,5 milioni di euro a valere sulle risorse stanziate per i predetti eventi sismici.

 

Il comma 1 dell'articolo in esame prevede, fermi restando gli obblighi di manutenzione coperti da garanzia del fornitore, l’attribuzione ai comuni colpiti dagli eventi sismici verificatisi in Italia centrale a partire dal 24 agosto 2016, della manutenzione ordinaria e straordinaria delle seguenti strutture d’emergenza ubicate nei territori dei comuni stessi:

§  strutture abitative di emergenza (SAE) e strutture temporanee ad usi pubblici previste dagli artt. 1 e 2 dell’ordinanza di protezione civile n. 394/2016;

L’art. 1 di tale ordinanza ha individuato le Regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, nei rispettivi ambiti territoriali, quali soggetti attuatori per la realizzazione delle strutture abitative di emergenza (SAE) di cui all'accordo quadro approvato con decreto del Capo del dipartimento della protezione civile n. 1239 del 25 maggio 2016. Lo stesso articolo ha disposto che le regioni provvedono, a tal fine, all'esecuzione delle attività connesse e delle opere di urbanizzazione ricorrendo anche alle centrali uniche di committenza regionali, ove esistenti, o nazionali, ovvero avvalendosi delle strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile.

Il successivo articolo 2, invece, disciplina la realizzazione degli interventi finalizzati a garantire, in modalità temporanea e transitoria, la continuità dei preesistenti servizi pubblici e delle attività di culto nei territori dei comuni in questione.

§  strutture temporanee finalizzate a garantire la continuità delle attività economiche e produttive previste dall’art. 3 dell’ordinanza di protezione civile n. 408/2016;

L’art. 3, comma 1, di tale ordinanza, ha individuato le Regioni Lazio, Umbria, Marche ed Abruzzo, ovvero i rispettivi Presidenti, quali soggetti attuatori per la realizzazione di strutture temporanee finalizzate a consentire la continuità delle preesistenti attività economiche e produttive danneggiate dagli eventi sismici di cui trattasi.

 

Si fa notare che il comma 750 della legge di bilancio 2018 (L. 205/2017) detta disposizioni finalizzate al trasferimento delle strutture abitative d'emergenza (di cui al succitato art.1 dell'ordinanza di protezione civile n. 394/2016) al patrimonio indisponibile dei comuni interessati dagli eventi sismici in questione.

Per la finalità indicata, il comma 750 prevede che i medesimi comuni, le regioni, l'Agenzia del demanio e il Dipartimento della protezione civile possono stipulare accordi con i quali si disciplinano, altresì, le procedure per l'attivazione degli interventi di manutenzione. Viene altresì stabilito che gli oneri amministrativi derivanti dall'attuazione di tali disposizioni sono a carico dei bilanci dei comuni cui è trasferita la proprietà delle strutture abitative di emergenza. I comuni inoltre, sempre in base al comma 750, sono responsabili del mantenimento dell'efficienza delle strutture da utilizzare per esigenze future di protezione civile o per lo sviluppo socioeconomico del territorio.

Nella relazione aggiornata al 22 agosto 2018, dal titolo “I numeri del sisma in Centro Italia”, a cura del Dipartimento della protezione civile, viene evidenziato, tra l’altro, che le SAE complessivamente ordinate ammontano a 3.857 unità.

 

Il comma 2 demanda la disciplina delle modalità attuative dell'articolo in esame ad apposite ordinanze di protezione civile.

 

Il comma 3 dispone che, fino al termine dello stato di emergenza (vale a dire fino al 31 dicembre 2019), agli oneri derivanti dalle norme recate dall'articolo in esame si provvede nel limite massimo di 2,5 milioni di euro a valere sulle risorse stanziate a legislazione vigente per il superamento del predetto stato di emergenza.

Si ricorda che, in base al disposto dell’art. 1, comma 988, della legge di bilancio 2019 (L. 145/2018), lo stato di emergenza dichiarato dalla delibera del Consiglio dei Ministri del 25 agosto 2016, relativamente agli eventi sismici di cui trattasi, è stato prorogato fino al 31 dicembre 2019 (v. commi 4-bis e 4-ter dell’art. 1 del D.L. 189/2019).

 


 

Articolo 50
(Disposizioni finanziarie)

 

 

L’articolo 50 reca al comma 1 l’incremento del Fondo per interventi strutturali di politica economica, e al comma 2 la copertura finanziaria del provvedimento.

Nel corso dell’esame in sede referente alla Camera, sono stati introdotti i seguenti due commi:

§  il comma 1-bis il quale incrementa di 50 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2022-2024 e di 25 milioni per l’anno 2025 le risorse previste dall’articolo 20 della L. n. 67 del 1988 che ha autorizzato l’esecuzione di un programma pluriennale di interventi di edilizia sanitaria e di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario pubblico;

§  il comma 2-bis il quale dispone, ai fini della copertura finanziaria di alcuni oneri, derivanti da modifiche introdotte ai precedenti articoli 2 e 3, una riduzione, nella misura di 938,6 milioni di euro per il 2024 e di 537,9 milioni annui a decorrere dal 2025, del "Fondo per la revisione del sistema pensionistico attraverso l'introduzione di ulteriori forme di pensionamento anticipato e misure per incentivare l'assunzione di lavoratori giovani".

 

Il comma 1 incrementa il Fondo per interventi strutturali di politica economica, di 42 milioni per l'anno 2026, di 111 milioni per l'anno 2027, di 47 milioni per l'anno 2028, di 52 milioni per l'anno 2029, di 40 milioni per l'anno 2030, di 39 milioni per l'anno 2031 e di 37,5 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2032.

Si ricorda che il Fondo per interventi strutturali di politica economica (FISPE) è stato istituito dall’articolo 10, comma 5, del decreto-legge n. 282/2004, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (capitolo 3075). Nella legge di bilancio per il 2019 la dotazione di competenza di tale capitolo è di 397,128 milioni per il 2019, 358,442 per il 2020 e 464,541 per il 2021.

 

Nel corso dell’esame in sede referente alla Camera, è stato introdotto il comma 1-bis il quale incrementa di 50 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2022-2024 e di 25 milioni per l’anno 2025 le risorse previste dall’articolo 20 della L. n. 67 del 1988 che ha autorizzato l’esecuzione di un programma pluriennale di interventi di edilizia sanitaria e di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario pubblico.

Si segnala in proposito che già la legge di bilancio per il 2019 (L. 145/2018, art. 1, commi 555-556) ha incrementato tali risorse di 4 miliardi di euro (elevandone l’importo complessivo a 28 miliardi) con riferimento al periodo 2021-2033, di cui 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022, 300 milioni per ciascuno degli anni 2023-2025, 400 milioni per ciascuno degli anni 2026-2031, 300 milioni per il 2032 e 200 milioni per il 2033.

 

Il comma 2 – come modificato da una serie di modifiche di carattere formale - riepiloga le norme del decreto-legge in esame che comportano oneri da coprire con le risorse individuate dalle lettere a)-r).

Si tratta degli articoli 1, 3, 5, 7, 8, 10, 11, 13, 17,19, 21, 23, comma 1, 28, 29, commi 2 e 8, 31, commi 2 e 3, 32, commi 3, 10 e 15, 37, 40, comma 5, 41, comma 2, 47, 48, 49 e dai commi 1 e 1-bis del presente articolo.

In complesso, gli oneri da coprire sono pari a 400,625 milioni di euro per l'anno 2019, a 518,891 milioni per l'anno 2020, a 638.491 milioni per l'anno 2021, a 525,991 milioni per l'anno 2022, a 663,591 milioni per l'anno 2023, a 552,791 milioni per l'anno 2024, a 468,891 milioni per l'anno 2025, a 334,691 milioni per l'anno 2026, a 381,791 milioni per l'anno 2027, a 314,091 milioni per l'anno 2028, a 317,891 milioni per l'anno 2029, a 307,791 milioni per l'anno 2030, a 304,891 milioni per l'anno 2031, a 304,691 milioni per l'anno 2032 e a 303,391 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2033, che aumentano, ai fini della compensazione degli effetti in termini di fabbisogno per 1.078,975 milioni di euro e in termini di indebitamento netto per 428,975 milioni di euro per l'anno 2019 e, ai fini della compensazione degli effetti in termini di fabbisogno e indebitamento netto, a 555,141 milioni di euro per l'anno 2020, a 639.991 milioni di euro per l'anno 2021. a 537,491 milioni di euro per l'anno 2022, a 675,091 milioni di euro per l’anno 2023, a 562,791 milioni di euro per l'anno 2024, a 478,891 milioni di euro per l'anno 2025.

 

Alla copertura, si provvede con le seguenti risorse:

a)   quanto a 2,2 milioni di euro per l'anno 2019, a 234,2 milioni di euro per l'anno 2020, a 274 milioni di euro per l'anno 2021, a 184,6 milioni di euro per l'anno 2022, a 385 milioni di euro per l'anno 2023, a 302,6 milioni di euro per l'anno 2024, a 298,1 milioni di curo per l’anno 2025, a 297 milioni di euro per l'anno 2026, a 369,9 milioni di euro per l’anno 2027, a 301,4 milioni di euro per l'anno 2028, a 305,1 milioni di euro per l'anno 2029, a 295,1 milioni di euro per l'anno 2030, a 292,9 milioni di euro per l'anno 203 l e a 292,4 milioni di euro annui decorrere dall'anno 2032, che aumentano, in termini di fabbisogno e indebitamento netto, a 236,087 milioni di euro per l'anno 2020, a 275,887 milioni di euro per l'anno 2021, a 186,487 milioni di euro per l'anno 2022, a 386,887 milioni di euro per l'anno 2023, mediante corrispondente utilizzo delle maggiori entrate e delle minori spese derivanti dagli articoli l, 2, 8, 10, 11 e 47;

b)  quanto a 50 milioni di euro per l'anno 2019 e 30 milioni di euro 2020, mediante corrispondente riduzione del Fondo per lo sviluppo e la coesione - programmazione 2014-2020, di cui alla legge all'articolo 1, comma 6, della legge n. 147/2013;

c)   quanto a 34 milioni di euro per l'anno 2019, a 34,46 milioni di euro per l'anno 2020, a 92,46 milioni di euro per l'anno 2021, a 133,96 milioni di euro per l'anno 2022, a 123,96 milioni di euro per l'anno 2023, a 72,5 milioni di euro per l'anno 2024 e a 108 milioni di euro per l'anno 2025. mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica.

Si ricorda che il Fondo per interventi strutturali di politica economica (FISPE) è stato istituito dall’articolo 10, comma 5, del decreto-legge n. 282/2004, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (capitolo 3075). Nella legge di bilancio per il 2019 la dotazione di competenza di tale capitolo è di 397,128 milioni per il 2019, 358,442 per il 2020 e 464,541 per il 2021. Tale Fondo è inoltre stato incrementato dal comma 1 dell’articolo 50 in esame.

d)  quanto a 23 milioni di euro per l'anno 2019 e a 10 milioni di euro per l'anno 2021, mediante corrispondente riduzione del Fondo per l’attuazione del programma di Governo.

Si ricorda che l'articolo l, comma 748, della legge n. 145/2018 (legge di bilancio per il 2019) ha istituito nello stato di previsione del MEF (capitolo 3080), con una dotazione, per il triennio, di 44,38 milioni per il 2019, 16,941 per il 2020 e 58,493 per il 2021, da destinare al finanziamento di nuove politiche di bilancio e al rafforzamento di quelle già esistenti perseguite dai Ministeri;

e)   quanto a 6 milioni di euro per l'anno 2019, a 80 milioni di euro per l'anno 2021 e a 150 milioni di euro per l'anno 2022, a 77 milioni di euro per l'anno 2023, a 100 milioni di euro per l'anno 2024, a 25 milioni di euro per l'anno 2025, mediante corrispondente riduzione del Fondo per far fronte ad esigenze indifferibili che si manifestano nel corso della gestione.

Si ricorda che il Fondo per far fronte ad esigenze indifferibili che si manifestano nel corso della gestione è stato istituito dall’articolo 1, comma 200, della legge n. 190/2014 (legge di stabilità 2015) nello stato di previsione del MEF (capitolo 3076). Nella legge di bilancio per il 2019 la dotazione di competenza di tale capitolo è di 13,887 milioni per il 2019, 17,015 per il 2020 e 341,213 per il 2021.

f)    quanto a 20 milioni euro per l'anno 2019, a 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021, a 20 milioni euro per l'anno 2022 e a 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2023 e 2024, mediante corrispondente utilizzo del Fondo per il riaccertamento dei residui passivi perenti di parte corrente iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze.

Si ricorda che il comma 5 dell'articolo 34-ter della legge di contabilità (legge n. 196/2009) prevede che in apposito allegato al Rendiconto generale dello Stato venga quantificato per ciascun Ministero l'ammontare dei residui passivi perenti eliminati. Con la legge di bilancio, annualmente, le somme corrispondenti a tali importi di cui al periodo precedente possono essere reiscritte, del tutto o in parte, in bilancio su base pluriennale, in coerenza con gli obiettivi programmati di finanza pubblica, su appositi Fondi da istituire con la medesima legge, negli stati di previsione delle amministrazioni interessate. Nella legge di bilancio per il 2019, lo stato di previsione del MEF presenta due fondi: il Fondo di parte corrente alimentato dalle risorse finanziarie rivenienti dal riaccertamento dei residui passivi perenti a seguito della verifica della sussistenza delle relative partite debitorie da ripartire tra i programmi di spesa dell'amministrazione (capitolo 3051), con una dotazione di 120,165 milioni per il 2019, 138,155 milioni per il 2020 e 137,946 milioni per il 2021, e il Fondo di conto capitale alimentato dalle risorse finanziarie rivenienti dal riaccertamento dei residui passivi perenti a seguito della verifica della sussistenza delle relative partite debitorie da ripartire tra i programmi di spesa dell'amministrazione (capitolo 7591), con una dotazione di 32,49 milioni per il 2019, 42,99 milioni per il 2020 e 44,49 milioni per il 2021. La relazione tecnica e il prospetto riepilogativo degli effetti finanziari (cd. allegato 3) specificano che la copertura è a valere sul Fondo di parte corrente (si valuti l’opportunità di inserire nella norma tale precisazione);

g)  quanto a 20 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2019 al 2021, mediante corrispondente utilizzo del Fondo da ripartire alimentato dalle risorse finanziarie provenienti dal riaccertamento dei residui passivi perenti di parte capitale a seguito della verifica delle partite debitorie ex art. 34-ter della legge di contabilità nazionale (legge n. 196/2009), iscritto nello stato di previsione del MISE.

A legge di bilancio 2019, il Fondo di conto capitale alimentato dalle risorse finanziarie rivenienti dal riaccertamento dei residui passivi perenti a seguito della verifica della sussistenza delle relative partite debitorie da ripartire tra i programmi di spesa dell'amministrazione è iscritto sul capitolo 7041/MISE e presenta una dotazione pari a 58,7 milioni per il 2019, a 29,9 milioni per il 2020 e a 115,9 milioni per il 2021.

h)  quanto a 100 milioni di euro per l'anno 2019, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa relativa alla Card cultura per i diciottenni, iscritti in bilancio ai sensi della legge 27 dicembre 2017, n. 205, per le finalità di cui all’articolo 1, comma 979, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.

Al riguardo, si ricorda, infatti, che l’art. 1, co. 979, della L. 208/2015 (L. di stabilità 2016) – nel testo come modificato dall’art. 2-quinquies del D.L. 42/2016 (L. 89/2016) – aveva previsto che a tutti i residenti nel territorio nazionale, in possesso, ove previsto, di permesso di soggiorno, che compivano 18 anni nel 2016 era assegnata una carta elettronica – dell’importo nominale massimo di € 500 –, da utilizzare per ingressi a teatro, cinema, mostre e altri eventi culturali, spettacoli dal vivo, per l’accesso a musei, monumenti, gallerie e aree archeologiche e parchi naturali, per l’acquisto di libri[76].

Successivamente, tale previsione era stata estesa dall’art. 1, co. 626, della L. 232/2016 (L. di bilancio 2017) anche ai giovani che compivano 18 anni nel 2017, che potevano utilizzare la Carta anche per l'acquisto di musica registrata, nonché di corsi di musica, di teatro o di lingua straniera. A tal fine, nella sez. II della stessa L. 232/2016 era stata autorizzata la spesa di € 290 mln per il 2017[77].

Ancora in seguito, la L. 205/2017, pur non recando la disciplina sostanziale che consentiva l’assegnazione della Card anche ai soggetti che compivano 18 anni negli anni successivi, aveva rifinanziato l’iniziativa per il 2018 e per il 2019 con € 290 mln annui, intervenendo direttamente nella sezione II (cap. 1430 dello stato di previsione del Mibact).

Al riguardo, la Sezione Consultiva per gli Atti Normativi del Consiglio di Stato, nell’Adunanza di Sezione del 7 giugno 2018 (NUMERO AFFARE 00680/2018), pronunciandosi sullo schema di un nuovo DPCM di definizione della disciplina applicativa, aveva stigmatizzato la mancanza di una norma legittimante di rango primario da porre a base dello stesso.

A tale rilievo aveva dato seguito l’art. 7 del D.L. 91/2018 (L. 108/2018), che aveva inserito nell’art. 1, co. 626, della L. 232/2016 il riferimento al (solo) 2018[78].

Da ultimo, l’art. 1, co. 604, della L. 145/2018 (L. di bilancio 2019) ha previsto l’assegnazione della carta elettronica, riducendo il limite massimo di spesa per il 2019 a € 240 mln, a tutti i residenti nel territorio nazionale in possesso, ove previsto, di permesso di soggiorno in corso di validità, i quali compiono 18 anni nel 2019. La carta è utilizzabile per l’acquisto di biglietti per rappresentazioni teatrali e cinematografiche e spettacoli dal vivo, libri, musica registrata, titoli di accesso a musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche, parchi naturali, corsi di musica, di teatro o di lingua straniera. Gli importi nominali da assegnare nell’ambito delle risorse disponibili, nonché i criteri e le modalità di attribuzione e di utilizzo della carta, devono essere definiti con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, che doveva essere adottato entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge.

Le risorse per il 2019 si riducono, pertanto, ad € 140 mln.

Occorre fare riferimento alla riduzione degli stanziamenti iscritti in bilancio ai sensi della legge 27 dicembre 2017, n. 205, per l’attribuzione della Card cultura nel 2019, come ridotti ai sensi dell’art. 1, co. 604, della L. 145/2018.

i)    quanto a 9,324 milioni di euro per l'anno 2019, a 10,833 milioni di euro per l'anno 2020 e a 12,833 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2021, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente del Ministero dell'economia e delle finanze, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dello sviluppo economica per 9 milioni per l'anno 2019 e 9,4 milioni annui a decorrere dall'anno 2020 e l'accantonamento relativo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per 0,324 milioni per l'anno 2019, 1,433 milioni per l’anno 2020 e 3,433 milioni annui a decorrere dall'anno 2021;

l)    quanto a 25 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2020 al 2026, si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di conto capitale del Ministero dell'economia e delle finanze, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dello sviluppo economico;

m)         quanto a 30 milioni di euro per l'anno 2019, a 35 milioni di euro per l'anno 2020, a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2025, in termini di fabbisogno e di indebitamento netto, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per la compensazione degli effetti conseguenti all' attualizzazione dei contributi pluriennali.

Si ricorda che tale fondo è stato istituito nello stato di previsione del MEF (capitolo 7593), in termini di sola cassa, dall'articolo 6, comma 2, del decreto-legge n. 154/2008, per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente. Nella legge di bilancio per il 2019 tale fondo presenta una dotazione di sola cassa di 201,707 milioni per il 2019, 151,746 milioni per il 2020 e 248,299 milioni per il 2021;

n)  quanto a 50 milioni di euro per l'anno 2019, a 80 milioni di euro per l’anno 2020 e a 45 milioni di euro per l’anno 2021 (per un totale di 175 milioni nel triennio 2019-2021), mediante corrispondente utilizzo delle risorse destinate all’edilizia sanitaria, di cui all'articolo 20 della legge n. 67/1988. Conseguentemente, nel periodo 2022-2025, è previsto un incremento delle risorse destinate all’edilizia sanitaria per l’identico importo di 175 milioni di euro, così articolato: 50 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2024 e 25 milioni di euro per l’anno 2025.

L’art. 20 della legge n. 67/1988 (legge finanziaria 1989) ha autorizzato l’esecuzione del Programma Straordinario di ristrutturazione edilizia e di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario pubblico, nonché di realizzazione di residenze per anziani e soggetti non autosufficienti. Il Piano, la cui prima fase si è conclusa nel 1996, attualmente è entrato nella seconda fase, (c.d. “fase negoziata” da realizzare tramite accordi di programma da sottoscrivere tra il Ministero della salute e le singole regioni destinatarie dei finanziamenti). A tal fine, sono stati stanziati complessivamente 24 miliardi. Si ricorda inoltre che l’art. 5-bis del decreto legge n. 243/2016 ha previsto un ulteriore stanziamento di 100 milioni, da destinarsi a progetti da realizzare nelle regioni Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Calabria, Basilicata e Regione Siciliana.

In ultimo, la legge di bilancio 2019 (art. 1, commi 555 e 556, della legge 145/2018) ha previsto un incremento delle risorse per gli interventi in materia di edilizia sanitaria e di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario pubblico, con corrispondente riduzione della dotazione del Fondo per gli investimenti degli enti territoriali. L’incremento è pari nel complesso a 4 miliardi di euro, con riferimento al periodo 2021-2033, di cui 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022, 300 milioni per ciascuno degli anni 2023-2025, 400 milioni per ciascuno degli anni 2026-2031, 300 milioni per il 2032 e 200 milioni per il 2033. Si segnala, inoltre, che la sezione II della legge prevede una riduzione delle risorse per gli investimenti sanitari in oggetto per il 2020, nella misura di 1.375 milioni di euro, ed un incremento di identico importo delle risorse per il 2021, incremento che si somma a quello suddetto di 100 milioni di euro. Complessivamente, le risorse in materia (in termini sia di competenza contabile sia di autorizzazione di cassa) risultano pari a 625 milioni di euro per il 2019, 1.121,2 milioni per il 2020 ed a 2.450 milioni per il 2021, mentre il livello globale del finanziamento - disposto a partire dal 1988 e fino al 2033 - ammonta, in base al suddetto incremento di 4 miliardi di euro, a 28 miliardi.

o)  quanto a 50 milioni di euro per l'anno 2019, mediante corrispondente utilizzo delle risorse di cui all'articolo 70, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, ovvero mediante riduzione dei finanziamenti erogati in favore dell’Agenzia delle entrate.

L'articolo 70, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, prevede che tra le entrate delle agenzie fiscali rientrano i finanziamenti a carico del bilancio dello Stato determinati in modo da tenere conto dell'incremento dei livelli di adempimento fiscale e del recupero di gettito nella lotta all'evasione.

Si ricorda che nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno finanziario 2019 e per il triennio 2019-2021 (programma 1.8- capitolo 3890) la somma occorrente per far fronte agli oneri di gestione dell’Agenzia delle entrate per l’anno 2019 è stata definita in 2.996.308.653 euro.

p)  quanto a 37 milioni di euro per l'anno 2019 e a 30 milioni di curo per ciascuno degli anni 2020 e 2021, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa relativa ai contributi in conto interessi da corrispondere a Cassa depositi e prestiti sui finanziamenti agevolati concessi alle imprese a valere sul Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca, di cui all'articolo l, comma 361, della legge n. 311/2004.

L'art. 1, comma 354, della legge finanziaria per il 2005 (Legge n. 311/2004), ha disposto l’istituzione, presso la gestione separata della Cassa depositi e prestiti Spa, di un Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca, finalizzato alla concessione di finanziamenti agevolati alle imprese in forma di anticipazione di capitali rimborsabile secondo un piano di rientro pluriennale. La dotazione iniziale del Fondo, alimentato con le risorse del risparmio postale in gestione separata presso CDP, è stata stabilita in 6 miliardi di euro. Le successive variazioni alla dotazione sono disposte da CDP Spa, in relazione alle dinamiche di erogazione e di rimborso delle somme concesse a finanziamento agevolato, e comunque nel rispetto dei limiti annuali di spesa sul bilancio dello Stato fissati ai sensi del comma 361. Tale comma dispone che il tasso di interesse sulle somme erogate in anticipazione da CDP S.P.A. sia determinato con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze e che la differenza tra il tasso così stabilito e il tasso del finanziamento agevolato, nonché gli oneri di servizio a favore di CDP S.p.A. (riconosciuti dal comma 360) sono posti a carico del bilancio dello Stato, a valere sull'autorizzazione di spesa prevista dal medesimo comma 361. Il citato comma, per le finalità previste dai commi da 354 a 360 ha autorizzato la spesa di 80 milioni di euro per l'anno 2005 e di 150 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2006. Tale autorizzazione di spesa ha subito variazioni nel corso degli anni e, a legge di bilancio 2019 (L. n. 145/2018), presenta uno stanziamento pari a circa 67 milioni per il 2019, e a 115 milioni per ciascuno degli anni 2020 e 2021 (cap.1900/MEF relativo ai “contributi in conto interessi da corrispondere alla Cassa depositi e prestiti sui finanziamenti a carico del fondo rotativo per il sostegno alle imprese, nonché rimborso delle relative spese di gestione”).

q)  quanto a 650 milioni di euro, in termini di solo fabbisogno[79], per l'anno 2019, mediante versamento – per un corrispondente importo - delle somme gestite presso il sistema bancario dalla Cassa Servizi Energetici e Ambientali. Il versamento è da effettuare, entro il 31 dicembre 2019, a favore del conto corrente di tesoreria centrale fruttifero (remunerato secondo il tasso riconosciuto sulle sezioni fruttifere dei conti di tesoreria unica) già aperto al fine della copertura finanziaria, in termini di fabbisogno, delle somme erogate ad ILVA spa (si richiama infatti l'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 9 giugno 2016, n. 98 avente ad oggetto disposizioni urgenti per il completamento della procedura di cessione dei complessi aziendali del Gruppo ILVA).

La predetta giacenza è mantenuta in deposito alle fine di ciascun anno a decorrere dal 2019 sul predetto conto corrente di tesoreria ed è ridotta in misura corrispondente alla quota rimborsata del finanziamento concesso alla società Alitalia - Società Aerea Italiana – Spa, in amministrazione straordinaria, di cui all'articolo 50, comma 1, del D.L. n. 50/2017. In proposito, si osserva che sulle modalità di restituzione del finanziamento in questione, incide l’articolo 37 del decreto legge qui in esame, il quale, operando una novella all’articolo 2 del d.l. n. 135/2018, dispone che il finanziamento sarà restituito nell’ambito della procedura di ripartizione dell’attivo dell’amministrazione straordinaria a valere e nei limiti dell’attivo disponibile di Alitalia – Società Aerea Italiana S.p.A. in amministrazione straordinaria.

 

Si ricorda al riguardo che con le bollette dell'energia elettrica, oltre ai servizi di vendita, ai servizi di rete e alle imposte, si pagano alcune componenti per la copertura di costi per attività di interesse generale per il sistema elettrico nazionale: si tratta dei cosiddetti oneri generali di sistema, introdotti nel tempo da specifici provvedimenti normativi. Il gettito raccolto dall'applicazione degli oneri generali è trasferito su appositi Conti di gestione istituiti presso la Cassa per i servizi energetici e ambientali; fanno eccezione la componente ASOS che affluisce per oltre il 90% direttamente al Gestore dei Servizi Energetici (GSE) e l'elemento ASRIM della componente ARIM, per il quale i distributori versano alla Cassa solo la differenza tra il gettito raccolto e i costi sostenuti per il riconoscimento del bonus (se la differenza è negativa, viene riconosciuta al distributore)[80]. L'utilizzo e la gestione di questi fondi è disciplinata dall'ARERA che aggiorna trimestralmente le aliquote sulla base del fabbisogno.

Nel corso degli ultimi anni varie norme – tra cui l’articolo 2, comma 3 del D.L. n. 135/2018, relativo alla proroga all’anno 2019 del termine di restituzione del prestito di 900 milioni a favore di Alitalia S.p.A., hanno provveduto alla compensazione degli oneri in termini di fabbisogno da esse recati mediante la previsione di un versamento, su conti correnti fruttiferi appositamente aperti presso la tesoreria centrale – remunerati secondo il tasso riconosciuto sulle sezioni fruttifere dei conti di tesoreria unica – delle somme gestite presso il sistema bancario dal Gestore dei Servizi energetici ed ambientali.

In ordine ai possibili effetti derivanti da tali misure di compensazione sugli oneri generali di sistema riscossi presso gli operatori interessati, si rinvia alle dichiarazioni del Presidente della CSEA, nella memoria depositata nel corso dell’audizione del 23 giugno 2016 presso le Commissioni riunite VIII e X della Camera.

 

Nel dettaglio, per quanto qui di interesse, si ricorda che l’articolo 2, comma 1, del D.L. n. 135/2018, ora modificato dall’articolo 37 del D.L. in esame, aveva stabilito che la restituzione del finanziamento concesso a favore di Alitalia dovesse avvenire entro trenta giorni dall’intervenuta efficacia della cessione dei complessi aziendali e comunque non oltre il 30 giugno 2019. Il comma 3 dell’articolo 2 citato aveva quantificato in 900 milioni per l’anno 2018 gli oneri in termini di solo fabbisogno derivanti dalla predetta previsione, disponendo che ad essi si provvedesse mediante versamento entro il 31 dicembre 2018 – per un corrispondente importo - delle somme gestite presso il sistema bancario dalla Cassa Servizi Energetici e Ambientali. La norma ha disposto che la giacenza, da mantenere depositata a fine anno, debba essere restituita nel corso del 2019.

 

r)    quanto a 5 milioni per l'anno 2020, si provvede mediante corrispondente utilizzo di quota parte delle somme derivanti dal pagamento dei diritti sui titoli della proprietà industriale di cui all' articolo 1, comma 851, della legge finanziaria 2007 (L. n. 296/2006).

A tal fine, viene innalzato di 5 milioni di euro – da 51,2 a 56,2 milioni di euro – l’importo delle predette somme destinato per il 2020 ad essere acquisito all’entrata del bilancio statale.

L’articolo 1, comma 851 ha demandato ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze (D.M. 7 aprile 2007) l’istituzione di diritti sui brevetti per invenzione industriale e per i modelli di utilità e sulla registrazione di disegni e modelli nonché i diritti di opposizione alla registrazione dei marchi d'impresa. Ha inoltre stabilito che i diritti per il mantenimento in vita dei brevetti per invenzione industriale e per i modelli di utilità e per la registrazione di disegni e modelli siano dovuti secondo i seguenti criteri: a) dalla quinta annualità per il brevetto per invenzione industriale; b) dal secondo quinquennio per il brevetto per modello di utilità; c) dal secondo quinquennio per la registrazione di disegni e modelli.

Le somme derivanti dal pagamento dei diritti sopra indicati sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate, per la parte eccedente l'importo di 25 milioni di euro per l'anno 2012, di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2013 al 2018, di 50,3 milioni di euro per l'anno 2019, di 51,2 milioni di euro per l'anno 2020 – divenuti, con l’intervento normativo qui in commento 56,2 milioni - e di 50 milioni di euro a decorrere dal 2021, allo stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, anche al fine di potenziare le attività del medesimo Ministero di promozione, di regolazione e di tutela del sistema produttivo nazionale, di permettere alle piccole e medie imprese la piena partecipazione al sistema di proprietà industriale, di rafforzare il brevetto italiano, anche con l'introduzione della ricerca di anteriorità per le domande di brevetto per invenzione industriale.

 

Il successivo comma 2-bis - inserito in sede referente - dispone, ai fini della copertura finanziaria di alcuni oneri, derivanti da modifiche introdotte ai precedenti articoli 2 e 3, una riduzione, nella misura di 938,6 milioni di euro per il 2024 e di 537,9 milioni annui a decorrere dal 2025, del "Fondo per la revisione del sistema pensionistico attraverso l'introduzione di ulteriori forme di pensionamento anticipato e misure per incentivare l'assunzione di lavoratori giovani". La riduzione concerne la quota delle risorse del suddetto Fondo non impiegate dalle misure in materia previdenziale di cui al D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 marzo 2019, n. 26.

 

La tabella seguente riepiloga, per il triennio, gli oneri e le risorse poste a copertura dall’articolo 50 in esame, per tutti e tre i saldi.


 

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento

ONERI

2019

2020

2021

2019

2020

2021

2019

2020

2021

Art. 1: Proroga superammortamento

0,0

128,6

202,1

0,0

128,6

202,1

0,0

128,6

202,1

Art. 3: Maggiorazione deducibilità IMU

0,0

145,2

228,6

0,0

145,2

228,6

0,0

145,2

228,6

Art. 5: Agevolazioni fiscali rientro cervelli

3,3

3,3

3,3

3,3

3,3

3,3

3,3

3,3

3,3

Art. 7: Incentivi valorizzazione urbana

30,0

40,0

40,0

30,0

40,0

40,0

30,0

40,0

40,0

Art. 8: Sisma bonus zone 2 e 3 – minore entrata IRPEF

2,7

31,9

50,2

2,7

31,9

50,2

2,7

31,9

50,2

Art. 10: Bonus efficienza energetica e rischio sismico- Credito di imposta

15,2

15,2

15,2

15,2

15,2

15,2

15,2

15,2

15,2

Art. 11: Incentivi alle aggregazioni di imprese

1,6

13,2

20,2

1,6

13,2

20,2

1,6

13,2

20,2

Art. 13: Modifica disciplina vendita di beni tramite piattafome digitali

27,9

27,6

0,0

27,9

27,6

0,0

27,9

27,6

0,0

Art. 17: Garanzia sviluppo medie imprese

150,0

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

150,0

0,0

0,0

Art.19: Rifinanziamento del fondo di garanzia per la prima casa

100,0

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

100,0

0,0

0,0

Art. 21: Contributi alle micro, piccole e medie imprese per la patrimonializzazione e il ricambio generazionale

10,0

15,0

15,0

10,0

15,0

15,0

10,0

15,0

15,0

Art. 23, co 1: Cartolarizzazioni

30,6

30,6

30,6

30,6

30,6

30,6

30,6

30,6

30,6

Art. 28: Semplificazione Patti territoriali e Contratti d’area

0,0

0,0

0,0

12,8

29,8

0,0

12,8

29,8

0,0

Art. 29, co 2 e 8: tutoraggio e agevolazioni imprese

10,0

10,0

0,0

10,0

10,5

1,5

10,0

10,5

1,5

Art. 31, co 2 e 3: Tutela marchi storici e assunzioni MISE

0,0

30,4

0,4

0,0

30,4

0,4

0,0

30,4

0,4

Art. 32, co 3, 10 e 15: Contrasto italian sounding, innovazione start up e promozione marchi italiani

9,0

9,0

9,0

9,0

9,0

9,0

9,0

9,0

9,0

Art. 37: Proroga della durata finanziamento a titolo oneroso a favore di Alitalia S.p.a.

0,0

0,0

0,0

900,0

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

Art. 40: Indennità lavoratori chiusura della strada SS 3 bis Tiberina E 45

0,0

0,0

0,0

6,0

0,0

0,0

6,0

0,0

0,0

Art. 41: Estensione trattamento di mobilità in deroga

0,0

0,0

0,0

9,6

6,0

0,0

9,6

6,0

0,0

Art. 47: Assunzioni Provveditorati opere pubbliche del MIT

0,3

3,9

3,9

0,3

3,9

3,9

0,3

3,9

3,9

Art. 48: Mission Innovation

10,0

10,0

20,0

10,0

10,0

20,0

10,0

10,0

20,0

Art. 49: Credito d'imposta partecipazione PMI a fiere internazionali

0,0

5,0

0,0

0,0

5,0

0,0

0,0

5,0

0,0

Art. 50, co 1: Incremento FISPE (dal 2026 al 2032)

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

TOTALE ONERI

400,6

518,9

638,5

1078,9

555,1

640

428,9

555,1

640

Art. 50, co 2, lett. a): Copertura con maggiori entrate/minori spese del decreto (artt. 1, 2, 8 10, 11 e 47)

2,2

234,2

274

2,2

236,1

275,9

2,2

236,1

275,9

Art. 50, co 2, lett. b): Riduzione FSC

50,0

30,0

0,0

50,0

30,0

0,0

50,0

30,0

0,0

Art. 50, co 2, lett. c): Riduzione FISPE

34,0

34,5

92,5

34,0

34,5

92,5

34,0

34,5

92,5

Art. 50, co 2, lett. d): Riduzione Fondo programma di Governo

23,0

0,0

10,0

23,0

0,0

10,0

23,0

0,0

10,0

Art. 50, co 2, lett. e): Riduzione Fondo esigenze indifferibili

6,0

0,0

80,0

6,0

0,0

80,0

6,0

0,0

80,0

Art. 50, co 2, lett. f): Riduzione Fondo riaccertamento residui perenti correnti MEF

20,0

50,0

50,0

20,0

50,0

50,0

20,0

50,0

50,0

Art. 50, co 2, lett. g): Riduzione Fondo riaccertamento residui perenti conto capitale MISE

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

Art. 50, co 2, lett. h): Card 18enni

100,0

0,0

0,0

100,0

0,0

0,0

100,0

0,0

0,0

Art. 50, co 2, lett. i): Riduzione Tab. A MISE e MIT

9,3

10,8

12,8

9,3

10,8

12,8

9,3

10,8

12,8

Art. 50, co 2, lett. l): Riduzione Tab. B MISE

0,0

25,0

25,0

0,0

25,0

25,0

0,0

25,0

25,0

Art. 50, co 2, lett. m): Fondo compensazione contributi pluriennali

0,0

0,0

0,0

30,0

35,0

0,0

30,0

35,0

0,0

Art. 50, co 2, lett. n): Rimodulazione risorse per edilizia sanitaria

50,0

80,0

45,0

50,0

80,0

45,0

50,0

80,0

45,0

Art. 50, co 2, lett. o): Riduzione finanziamenti Agenzia Entrate

50,0

0,0

0,0

50,0

0,0

0,0

50,0

0,0

0,0

Art. 50, co 2, lett. p): Contributo conto interessi Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca (FRI)

37,0

30,0

30,0

37,0

30,0

30,0

37,0

30,0

30,0

Art. 50, co 2, lett. q): Versamento somme Cassa per i servizi energetici e ambientali

0,0

0,0

0,0

650,0

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

Art. 50, co 2, lett. r): Mancata riassegnazione al MISE di quota parte delle entrate diritti

0,0

5,0

0,0

0,0

5,0

0,0

0,0

5,0

0,0

RISORSE A COPERTURA

401,5

519,5

639,3

1.081,5

556,4

641,2

431,5

556,4

641,2

 

Infine, il comma 3 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio, anche in conto residui.


 

Articolo 50-bis
(Clausola di salvaguardia)

 

 

L’articolo 50-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, prevede che le disposizioni recate dal decreto-legge in esame siano applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e con le relative norme di attuazione. 

Le disposizioni del decreto-legge non modificano il quadro delle competenze definite dagli statuti - che sono adottati con legge costituzionale - e dalle relative norme di attuazione; esse si applicano pertanto in quegli ordinamenti solo in quanto non contrastino con le speciali attribuzioni di quegli enti.

L’esplicitazione di questo principio è stata introdotta in passato principalmente nelle leggi finanziarie per evitare che regioni e province autonome, nel dubbio sull’effettiva estensione di disposizioni che incidono sulle materie di loro competenza, ritenessero necessario chiedere una pronuncia alla Corte costituzionale.

La clausola di salvaguardia è di norma inserita in tutti i provvedimenti che possono riguardare le competenze delle regioni a statuto speciale e costituisce uno dei parametri su cui si fondano i giudizi della Corte costituzionale sulle questioni che le vengono poste[81].

 

 


 

Articolo 51
(Entrata in vigore)

 

 

L’articolo 51 dispone in ordine alla entrata in vigore del decreto-legge, fissata al giorno successivo (1° maggio 2019) della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 



[1]     In base alle suddette risorse finanziarie, sono stati emanati, con riferimento al triennio 2019-2021, tre decreti ministeriali in data 27 febbraio 2019, recanti: le "nuove tariffe dei premi per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali delle gestioni Industria, Artigianato, Terziario e Altre attività" e le "relative modalità di applicazione"; la "nuova tariffa dei premi della gestione Navigazione"; la "nuova tariffa dei premi speciali unitari per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dei titolari di aziende artigiane, dei soci di società fra artigiani lavoratori, nonché dei familiari coadiuvanti del titolare" e le "relative modalità di applicazione".

[2]    Tale finalità è in applicazione delle linee guida di cui al Regolamento dell'Unione europea, coincidenti con le indicazioni della "Strategia dell'Unione per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva", in conformità con gli scopi e gli obiettivi definiti nelle conclusioni adottate dal Consiglio europeo del 17 giugno 20I O ("Nuova strategia europea per l'occupazione e la crescita, obiettivi  principali dell'UEJ , nella Raccomandazione del 13 luglio 20lO e nella Decisione 20lO1707/UE.

[3]     Si vedano i principi contabili di cui agli allegati n. 1 (sui principi generali, o postulati) e n. 4/3 (sul principio contabile applicato concernente la contabilità economico-patrimoniale degli enti in contabilità finanziaria) del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, recante “Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi”.

[4]     La Commissione per l’armonizzazione degli enti territoriali (Commissione Arconet) è stata istituita, presso il Ministero dell’economia e delle finanze, dall’articolo 3-bis del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, con il compito di promuovere l’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio degli enti territoriali e dei loro organismi e enti strumentali.

[5]     La richiamata norma generale fa riferimento anche al concerto con altri Ministeri competenti (non sussistenti nel caso dell'INPGI).

[6]     Le risorse finanziarie riservate rientrate nella disponibilità del Fondo sono state destinate ad essere utilizzate per la concessione di nuove garanzie su portafogli di finanziamenti, con le modalità stabilite dal decreto stesso.

[7]     Secondo tali DO, il Fondo può intervenire con le seguenti modalità:

a) con “garanzia diretta”, ossia rilasciando la garanzia in favore del soggetto finanziatore, responsabile dell’erogazione dei finanziamenti ai soggetti beneficiari finali e della strutturazione e gestione del portafoglio di finanziamenti. La garanzia diretta può essere rilasciata anche in relazione a portafogli di finanziamenti originati da più soggetti finanziatori[7]. Relativamente al singolo finanziamento ricompreso nel portafoglio garantito, il Fondo copre, nella misura massima dell’80%, fermo restando i limiti di copertura sul portafoglio previsti, la perdita registrata sul finanziamento stesso.

b) con “controgaranzia”, ossia rilasciando la garanzia in favore del confidi, il quale a sua volta rilascia una garanzia di primo livello ad uno o più soggetti finanziatori con i quali collabora per la strutturazione e gestione del portafoglio di finanziamenti. La controgaranzia può essere rilasciata anche in favore di una rete di confidi.  Relativamente al singolo finanziamento ricompreso nel portafoglio garantito, il confidi copre, nella misura massima dell’80%, la perdita registrata sul finanziamento dal soggetto finanziatore, fermi restando i limiti di copertura sul portafoglio previsti.

L’intervento del Fondo può essere rafforzato mediante la partecipazione delle Sezioni speciali ovvero di altri soggetti garanti.

[8]     le limitazioni dovevano essere da comunicate dal Gestore del Fondo tramite apposita circolare operativa.

[9]     Ai sensi del citato articolo 12, la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi

[10]   Il citato art. 60-bis del D.L. n. 50/2017 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 86/2017) ha esteso la platea dei beneficiari del fondo, eliminando il riferimento temporale previsto dalla L. n. 208/2015, che ne consentiva l’accesso solo alle imprese che risultassero parti offese in un procedimento penale in corso alla data di entrata in vigore della stessa L. 208/2015.

[11]   L’art. 23, comma 2, lett. b), del D.L. n. 83/2012, , recante “Misure urgenti per la crescita del Paese”, ha disposto la destinazione del Fondo per la crescita sostenibile al finanziamento di programmi e interventi con un impatto significativo in ambito nazionale sulla competitività dell’apparato produttivo, con particolare riguardo al rafforzamento della struttura produttiva, il riutilizzo di impianti produttivi e il rilancio di aree che versano in situazioni di crisi complessa di rilevanza nazionale tramite la sottoscrizione di accordi di programma.

[12]   Il riferimento alla direttiva 2013/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, relativa ai bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese, non è contemplato nella formulazione vigente della norma. La direttiva definisce i criteri di individuazione, nonché i limiti numerici, delle categorie di imprese e di gruppi di imprese. In particolare, si definiscono piccole imprese le imprese che alla data di chiusura del bilancio non superino i limiti numerici di almeno due dei tre criteri seguenti: a) totale dello stato patrimoniale: 4 milioni di euro; b) ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 8 milioni di euro; c) numero medio dei dipendenti occupati durante l'esercizio: 50. Si definiscono, invece, medie imprese le imprese che non rientrano nella categoria delle microimprese o delle piccole imprese e che alla data di chiusura del bilancio non superino i limiti numerici di almeno due dei tre criteri seguenti: a) totale dello stato patrimoniale: 20 milioni di euro; b) ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 40 milioni di euro; c) numero medio dei dipendenti occupati durante l'esercizio: 250.

[13]   Resa ai sensi dell’articolo 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 e successive modifiche e integrazioni. La dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà del legale rappresentante della PMI beneficiaria, contenuta nella domanda di finanziamento agevolato, attesta:

a) che la PMI beneficiaria che richiede il finanziamento agevolato è parte offesa in un procedimento penale a carico dell’impresa debitrice in corso al 1° gennaio 2016;

b) gli estremi del procedimento penale di cui alla lettera a);

c) l’ammontare, risultante dagli atti del procedimento penale, delle somme dovute e non pagate alla PMI beneficiaria da parte dell’impresa debitrice;

d) l’ammontare alla data di presentazione della domanda delle somme dovute e non pagate alla PMI beneficiaria da parte dell’impresa debitrice.

[14]   Attualmente, l’art. 9 del citato decreto interministeriale 17 ottobre 2016 disciplina la revoca dell’agevolazione, da parte del MISE, nei casi in cui le imprese debitrici siano assolte, con sentenza passata in giudicato intervenuta prima del completo rimborso del finanziamento agevolato, per i delitti di cui sono state imputate nel procedimento penale in cui la PMI beneficiaria è risultata parte offesa. I successivi commi dell’art. 9 disciplinano i casi di revoca totale o parziale del finanziamento agevolato, da parte del MISE, nonché gli adempimenti in capo alle PMI beneficiarie a seguito della revoca dell’agevolazione.

[15]   Articolo 2, comma 3, D.L. n. 69/2013 e Circolare 23 marzo 2016, n. 26673.

[16]   La PMI, ad investimento ultimato, compila, in formato digitale ed esclusivamente attraverso l’accesso alla piattaforma del Ministero (da effettuarsi inserendo le credenziali trasmesse via PEC dal Ministero all’indirizzo PEC dell’impresa), la dichiarazione attestante l’avvenuta ultimazione, nonché, previo pagamento a saldo dei beni oggetto dell’investimento, la richiesta di erogazione della prima quota di contributo e le trasmette al Ministero, unitamente all’ulteriore documentazione richiesta. Analogamente, anche le richieste di quote di contributo successive alla prima devono essere trasmesse al Ministero in formato digitale ed esclusivamente attraverso l’accesso alla piattaforma del Ministero. L’avvenuta ultimazione dell’investimento deve essere attestata dall’impresa con Dichiarazione Sostitutiva di Atto Notorio, sottoscritta dal legale rappresentante e resa al Ministero entro 60 giorni dalla data di ultimazione e, comunque, non oltre 60 giorni dal termine ultimo previsto per la conclusione dell’investimento, pena la revoca del contributo. La richiesta di erogazione della prima quota di contributo è presentata al Ministero, pena la revoca delle agevolazioni, entro il termine massimo di 120 giorni dal termine ultimo previsto per la conclusione dell’investimento. Le richieste di erogazione di quote di contributo successive alla prima devono essere presentate con cadenza annuale, non prima di dodici mesi dalla precedente richiesta di erogazione ed entro i dodici mesi successivi a tale termine. L’URL (indirizzo internet) a cui collegarsi per effettuare l’accesso alla piattaforma è:https://benistrumentali.dgiai.gov.it/Imprese.

[17]   Esso è pari all'ammontare degli interessi calcolati con le modalità stabilite dalla normativa secondaria attuativa della misura: il contributo è concesso dal MISE e determinato in misura pari al valore degli interessi calcolati in via convenzionale su un finanziamento quinquennale di importo pari all'investimento al tasso del 2,75% (commi 4 e 5 del D.L. n. 69/2013, DD.MM. attuativi 27 novembre 2013 e 25 gennaio 2016 e Circolare 23 marzo 2016, n. 26673). Per gli investimenti "Industria 4.0", il contributo statale in conto impianti è maggiorato del 30 per cento rispetto alla misura massima stabilita dalla disciplina vigente. Dunque, il tasso convenzionale su cui calcolare il beneficio è elevato al 3,575% annuo rispetto al 2,75% annuo riservato ai beni ordinari (Circolare 15 febbraio 2017, n. 14036).

[18]   Si veda il Dossier n. 570/1, Tomo I, 14 dicembre 2011, del Servizio studi della Camera dei deputati per una ricostruzione delle vicende riguardanti l'EIPLI.

[19]   Ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3 del TFUE i progetti (nazionali) diretti a istituire o modificare aiuti sono comunicati alla Commissione europea in tempo utile perché essa presenti le sue osservazioni. Se la Commissione ritiene che un progetto non sia compatibile con il mercato interno a norma dell'articolo 107 TFUE, la Commissione inizia senza indugio la procedura prevista dal paragrafo 2 dello stesso articolo 108. Lo Stato membro interessato non può dare esecuzione alle misure progettate prima che tale procedura abbia condotto a una decisione finale. Ai sensi del paragrafo 4 dell'articolo 108 del TFUE, la Commissione può adottare regolamenti concernenti le categorie di aiuti di Stato per le quali il Consiglio ha stabilito, conformemente all'articolo 109 TFUE, che possono essere dispensate dalla procedura di notifica.

[20]   Le misure a favore di ricerca, sviluppo e innovazione che non soddisfano tutte le condizioni di cui al GBER dovranno invece essere notificate alla Commissione UE. Sulle misure notificate, la Commissione effettuerà un’analisi approfondita sulla base dei criteri stabiliti nella nuova Disciplina degli aiuti di Stato a favore di ricerca, sviluppo e innovazione (2014/C 198/01 del 27 giugno 2014).

[21]   Il citato comma, per le finalità previste dai commi da 354 a 360 ha autorizzato la spesa di 80 milioni di euro per l'anno 2005 e di 150 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2006. Tale autorizzazione di spesa ha subito variazioni nel corso degli anni e, a legge di bilancio 2019 (L. n. 145/2018), presenta uno stanziamento pari a circa 67 milioni per il 2019, e a 115 milioni per ciascuno degli anni 2020 e 2021 (cap.1900/MEF relativo ai “contributi in conto interessi da corrispondere alla Cassa depositi e prestiti sui finanziamenti a carico del fondo rotativo per il sostegno alle imprese, nonché rimborso delle relative spese di gestione”). Il D.L. in esame, all’articolo 50 dispone una riduzione di 37 milioni di euro per l'anno 2019 e 30 milioni di curo per ciascuno degli anni 2020 e 2021, dell'autorizzazione di spesa relativa ai contributi in conto interessi da corrispondere a Cassa depositi e prestiti sui finanziamenti agevolati concessi alle imprese a valere sul FRI.

[22]   Tale norma incide dunque implicitamente su quanto già previsto dal comma 1 del citato articolo 6 del D.L. n. 35/2005 secondo il quale una quota pari ad almeno il 30 per cento delle risorse finanziarie del FRI è destinata a sostegno di attività, programmi e progetti strategici di ricerca e sviluppo delle imprese, da realizzare anche congiuntamente a soggetti della ricerca pubblica. L’individuazione degli obiettivi e delle modalità di utilizzo di tale quota parte di risorse è affidata al Programma Nazionale della Ricerca (PNR), approvato annualmente dal CIPE, secondo specifiche priorità indicate nel comma 4 dell’articolo 6 del D.L. n. 35/2005.

[23]   Ai sensi del comma 1 dell’articolo 44 citato, “possono essere assunti in tutti i settori di attività, pubblici o privati, con contratto di apprendistato professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione professionale ai fini contrattuali, i soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni. Per i soggetti in possesso di una qualifica professionale, conseguita ai sensi del decreto legislativo n. 226 del 2005, il contratto di apprendistato professionalizzante può essere stipulato a partire dal diciassettesimo anno di età. La qualificazione professionale al cui conseguimento è finalizzato il contratto è determinata dalle parti del contratto sulla base dei profili o qualificazioni professionali previsti per il settore di riferimento dai sistemi di inquadramento del personale di cui ai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

[24]   Ai sensi degli artt. 4 e 22 del DL.Lgs 148 del 2015 sono previste ipotesi di CIG di differente durata in relazione a molteplici fattispecie, calcolate in tutti i casi sul parametro comune del quinquiennio mobile

[25]   Ai sensi dell’art. 24, comma 10 del D.L. 201 del 2011,in forza del quale “decorrere dal 1° gennaio 2019 e con riferimento ai soggetti la cui pensione è liquidata a carico dell'AGO e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima, nonché della gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, l'accesso alla pensione anticipata è consentito se risulta maturata un'anzianità contributiva di 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Il trattamento pensionistico decorre trascorsi tre mesi dalla data di maturazione dei predetti requisiti”.

[26]   Ai sensi dell’articolo 3, “il trattamento di integrazione salariale ammonta all'80 per cento della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate, comprese fra le ore zero e il limite dell'orario contrattuale. Il trattamento si calcola tenendo conto dell'orario di ciascuna settimana indipendentemente dal periodo di paga. Nel caso in cui la riduzione dell'orario di lavoro sia effettuata con ripartizione dell'orario su periodi ultra-settimanali predeterminati, l'integrazione è dovuta, nei limiti di cui ai periodi precedenti, sulla base della durata media settimanale dell'orario nel periodo ultrasettimanale considerato. Ai lavoratori con retribuzione fissa periodica, la cui retribuzione sia ridotta in conformità di norme contrattuali per effetto di una contrazione di attività, l'integrazione è dovuta entro i limiti di cui al comma 1, ragguagliando ad ora la retribuzione fissa goduta in rapporto all'orario normalmente praticato. Agli effetti dell'integrazione le indennità accessorie alla retribuzione base, corrisposte con riferimento alla giornata lavorativa, sono computate secondo i criteri stabiliti dalle disposizioni di legge e di contratto collettivo che regolano le indennità stesse, ragguagliando in ogni caso ad ora la misura delle indennità in rapporto a un orario di otto ore .L'importo del trattamento di cui al comma 1 è soggetto alle disposizioni di cui all'articolo 26 della legge 28 febbraio 1986, n. 41, e non può superare per l'anno 2015 gli importi massimi mensili seguenti, comunque rapportati alle ore di integrazione salariale autorizzate e per un massimo di dodici mensilità, comprensive dei ratei di mensilità aggiuntive:

a) euro 971,71 quando la retribuzione mensile di riferimento per il calcolo del trattamento, comprensiva dei ratei di mensilità aggiuntive, è pari o inferiore a euro 2.102,24;

b) euro 1.167,91 quando la retribuzione mensile di riferimento per il calcolo del trattamento, comprensiva dei ratei di mensilità aggiuntive, è superiore a euro 2.102,24.

Ai sensi dell’articolo 6, infine, i periodi di sospensione o riduzione dell'orario di lavoro per i quali è ammessa l'integrazione salariale sono riconosciuti utili ai fini del diritto e della misura alla pensione anticipata o di vecchiaia. Per detti periodi il contributo figurativo è calcolato sulla base della retribuzione globale cui è riferita l'integrazione salariale.

[27]   Pari per i primi dodici mesi, al 15% della retribuzione lorda prevista dal contratto collettivo applicabile. Per ciascuno dei due anni successivi il contributo è ridotto, rispettivamente, al 10% e al 5%.

[28]   Per ulteriori informazioni si rinvia al dossier predisposto dal MEF – Dipartimento Finanze "Il Fisco nella legge di Bilancio 2019" e al Dossier dell'Agenzia delle entrate "Ristrutturazioni edilizie: le agevolazioni fiscali" di marzo 2019.

[29]   Il citato comma 4-bis dell’art. 216 è stato introdotto dall’art. 128 del D.Lgs. 56/2017, pubblicato nella G.U. del 5 maggio 2017 ed entrato in vigore dopo 15 giorni dalla pubblicazione, come previsto dall’art. 131 del medesimo decreto legislativo.

[30]   In particolare, per le imprese radiofoniche che risultavano essere organi di partiti politici presenti in almeno un ramo del Parlamento e che, oltre ad aver registrato la testata e a non essere editori o controllori di imprese editrici di quotidiani o periodici organi dei medesimi partiti, trasmettevano quotidianamente propri programmi informativi su avvenimenti politici, religiosi, economici, sociali, sindacali o culturali, per non meno del 50% delle ore di trasmissione comprese fra le 7 e le 20, l’art. 4 della L. 250/1990 – come modificato, da ultimo, dall’art. 2, co. 6, del D.L. 63/2012 (L. 103/2012) – aveva previsto la corresponsione di un contributo annuo pari al 40% della media dei costi risultanti dai bilanci degli ultimi due esercizi, inclusi gli ammortamenti. Aveva, altresì, disposto che, ove le entrate pubblicitarie fossero state inferiori al 25% dei costi di esercizio annuali, compresi gli ammortamenti, era concesso alle stesse imprese un ulteriore contributo integrativo pari al 50% del contributo già indicato. A decorrere dal 1° gennaio 1991, il contributo integrativo era stato raddoppiato dall’art. 2, co. 1, della L. 278/1991.

La somma di tutti i contributi non poteva, comunque, superare il 50% cento della media dei costi risultanti dai bilanci degli ultimi due esercizi, inclusi gli ammortamenti. Da ultimo, l’art. 12, co. 4, del D.P.R. 223/2010 aveva stabilito che i contributi previsti, tra l’altro, dall’art. 4 della L. 250/1990 non potevano comunque eccedere, per ogni singola impresa, l’importo di € 4 mln (annui).

In seguito, l’art. 3 del d.lgs. 70/2017 – emanato in attuazione dell'art. 2, co. 1 e 2, L. 198/2016 – ha specificato, con riferimento all’esclusione dalla possibilità di continuare a percepire i contributi da parte degli organi di informazione dei partiti e dei movimenti politici e sindacali, già prevista dalla medesima legge, che sono comprese nell’esclusione, oltre alle imprese editrici, anche le imprese di cui all’art. 4 della L. 250/1990, ossia le imprese radiofoniche organi di partiti politici presenti in almeno un ramo del Parlamento.

La disciplina dell’art. 4 citato ha continuato, in ogni caso, ad applicarsi alle imprese radiofoniche private che hanno svolto attività di informazione di interesse generale.

[31]   Il riferimento alla L. 7 agosto 1990, n. 250, contenuto nell’art. 1, co. 1247, della L. 296/2006, è da intendersi come errore materiale.

[32]   Dal medesimo sito, risulta che tali contributi sono stati pari a € 4.000.000 annui per ciascuno degli anni dal 2011 al 2017 (nello specifico: 2017, 2016, 2015, 2014, 2013, 2012, 2011), a € 4.131.655,20 per gli anni 2009 e 2010, a € 4.153.629,44 per il 2008, a € 4.153.452,00 per il 2007, a € 4.153.180,20 per il 2006, a € 4.159.915,00 per il 2005, a € 4.159.915,19 per il 2004, a € 4.132.000,00 per il 2003.

[33]   Il Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione, destinato al sostegno dell'editoria e dell'emittenza radiofonica e televisiva locale, è stato istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze dall’art. 1 della L. 198/2016. Il Fondo è ripartito annualmente tra la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dello sviluppo economico, per gli interventi di rispettiva competenza, sulla base dei criteri stabiliti con DPCM.

[34]   La predetta convenzione era stata stipulata ai sensi dell’art. 1, co. 1, della L. 224/1998. Tale disposizione, confermando lo strumento della convenzione da stipulare a seguito di gara pubblica, i cui criteri dovevano essere definiti nel quadro dell’approvazione della riforma generale del sistema delle comunicazioni, aveva disposto, in via transitoria, il rinnovo per un triennio, con decorrenza 21 novembre 1997, della convenzione stipulata il 21 novembre 1994 tra il Ministero delle comunicazioni e il Centro servizi Spa, per la trasmissione radiofonica dei lavori parlamentari, quantificando un onere annuo di 11,5 mld di lire. In particolare, la convenzione era stata stipulata ai sensi dell’art. 9, co. 1, del D.L. 602/1994, successivamente decaduto (il co. 3 aveva previsto che "la scelta del concessionario avviene mediante gara”). La disposizione di autorizzazione fu poi riproposta in una serie di D.L., recanti misure di risanamento della RAI, decaduti per mancata conversione e più volte reiterati; da ultimo, l'art. 1, co. 3, della L. 650/1996, di conversione del D.L. 545/1996, fece salvi gli effetti dei provvedimenti adottati sulla base dei D.L. reiterati. Pertanto, la convenzione citata mantenne la sua validità; dopo la scadenza (21 novembre 1997) fu adottata la L. 224/1998 che, come già anticipato, ne dispose in via transitoria il rinnovo per un triennio.

Le successive proroghe erano state autorizzate e finanziate, prima per trienni di spesa, poi per bienni o per singole annualità, per un importo di (ca) € 10 mln annui. L’ultima proroga, per un semestre, ha previsto un finanziamento di € 5 mln.

I più recenti provvedimenti di proroga sono i seguenti: art. 2, co. 3, D.L. 194/2009 (L. 25/2010); art. 33, co. 38, L. 183/2011 (L. stabilità 2012); art. 28, co. 1, D.L. 216/2011 (L. 14/2012); art. 33-sexies D.L. 179/2012 (L. 221/2012); art. 1, co. 306, L. 147/2013 (L. stabilità 2014); art. 1, co. 177, L. 208/2015 (L. stabilità 2016); art. 6, co. 2, D.L. 244/2016 (L. 19/2017); art. 1, co. 689, L. 205/2017 (L. bilancio 2018); Art. 1, co. 88, L. 145/2018 (L. bilancio 2019).

Le relative risorse erano appostate sul cap. 3021 dello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico.

[35]   La direttiva 98/34/CE era stata via via oggetto di diverse modifiche sostanziali (in particolare al fine di includere i servizi della società dell’informazione ed eliminare norme tecniche dal suo campo di applicazione). Essa è stata pertanto codificata nella Direttiva (UE) 2015/1535 per motivi di chiarezza.

[36]   D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, Nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell'art. 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274.

[37]   D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza, convertito in legge, con modificazioni dall'art. 1, L. 18 febbraio 2004, n. 39.

[38]   Ai sensi dell’articolo 1 CPI, l'espressione proprietà industriale comprende marchi ed altri segni distintivi, indicazioni geografiche, denominazioni di origine, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori, informazioni aziendali riservate e nuove varietà vegetali.

[39]   Dal computo per le spese in ricerca e sviluppo sono escluse le spese per l'acquisto e la locazione di beni immobili. Sono da annoverarsi tra le spese in ricerca e sviluppo: le spese relative allo sviluppo precompetitivo e competitivo, quali sperimentazione, prototipazione e sviluppo del business plan, le spese relative ai servizi di incubazione forniti da incubatori certificati, i costi lordi di personale interno e consulenti esterni impiegati nelle attività di ricerca e sviluppo, inclusi soci ed amministratori, le spese legali per la registrazione e protezione di proprietà intellettuale, termini e licenze d'uso. Le spese risultano dall'ultimo bilancio approvato e sono descritte in nota integrativa. In assenza di bilancio nel primo anno di vita, la loro effettuazione è assunta tramite dichiarazione sottoscritta dal legale rappresentante della start-up innovativa.

[40]  Ai sensi della citata norma, il regolamento d'uso dei marchi collettivi di cui all'articolo 11 contiene le seguenti indicazioni: a) il nome del richiedente; b) lo scopo dell'associazione di categoria; c) i soggetti legittimati a rappresentare l'associazione di categoria o la persona giuridica di diritto pubblico; d) nel caso di associazione di categoria, le condizioni di ammissione dei membri; e) la rappresentazione del marchio collettivo; f) i soggetti legittimati ad usare il marchio collettivo; g) le eventuali condizioni d'uso del marchio collettivo, nonché le sanzioni per le infrazioni regolamentari; h) i prodotti o i servizi contemplati dal marchio collettivo, ivi comprese, se del caso, le eventuali limitazioni introdotte a seguito dell'applicazione della normativa in materia di denominazioni di origine, indicazioni geografiche, specialità tradizionali garantite, menzioni tradizionali per vini; i) se del caso, l'autorizzazione a diventare membri dell'associazione titolare del marchio.

[41]  Il regolamento d'uso dei marchi di certificazione di cui all'articolo 11-bis deve contenere le seguenti indicazioni: a) il nome del richiedente; b) una dichiarazione attestante che il richiedente soddisfa le condizioni di cui all'articolo 11-bis; c) la rappresentazione del marchio di certificazione; d) i prodotti o i servizi contemplati dal marchio di certificazione; e) le caratteristiche dei prodotti o dei servizi che devono essere certificate dal marchio di certificazione; f) le condizioni d'uso del marchio di certificazione, nonché le sanzioni previste per i casi di infrazione alle norme regolamentari; g) le persone legittimate ad usare il marchio di certificazione; h) le modalità di verifica delle caratteristiche e di sorveglianza dell'uso del marchio di certificazione da parte dell'organismo di certificazione.

[42]   Tale norma dispone che l'esame delle domande, delle quali sia stata riconosciuta la regolarità formale, è rivolto ad accertare, per le invenzioni ed i modelli di utilità che l'oggetto della domanda sia conforme a quanto previsto dal Codice (articoli 45, 50 e 82), inclusi i requisiti di validità, ove sia disciplinata con decreto ministeriale la ricerca delle anteriorità e in ogni caso qualora l'assenza di essi risulti assolutamente evidente sulla base delle stesse dichiarazioni ed allegazioni del richiedente oppure sia certa alla stregua del notorio.

[43]   D.Lgs. 05/05/1948, n. 535 Foggia ed uso dell'emblema dello Stato.

[44]   Non si ripetono in questa sede le osservazioni segnalate in sede di commento del comma 1, che tuttavia si intendono formulate anche con riguardo alle disposizioni del comma 2 di identico contenuto.

[45]   Per gli enti non sottoposti al patto di stabilità interno, l'art.1, comma 562, della legge n.296 del 2006, disponeva che le spese di personale (al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'IRAP, con esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali), non avrebbero potuto superare il corrispondente ammontare dell'anno 2008 e che detti enti avrebbero potuto procedere all'assunzione di personale nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente intervenute nel precedente anno.

[46]   Ad eccezione di una quota residuale di 670 milioni per il 2019 che riguarda il precedente ciclo di programmazione 2007-2013 e della quota di 514,3 milioni per il 2019 destinata agli interventi di riqualificazione urbana.

[47]   Si segnala che lo stesso decreto-legge n. 34/2019 in esame utilizza ulteriori risorse del Fondo sviluppo e coesione, all’articolo 30, laddove assegna contributi in favore dei Comuni, nel limite massimo di 500 milioni per l'anno 2019 a valere sul Fondo Sviluppo e Coesione (FSC), per la realizzazione di progetti relativi a investimenti nel campo dell'efficientamento energetico e dello sviluppo territoriale sostenibile, e all’art. art. 50, co. 2, lett. b), quale copertura per 50 milioni per l'anno 2019 e 30 milioni per l’anno 2020 degli oneri recati da diverse disposizioni del decreto-legge stesso. Complessivamente, dunque, il D.L. in esame opera una riduzione complessiva del Fondo sviluppo e coesione di 880 milioni.

[48]   Si ricorda che l’art. 26 del citato D.Lgs. n. 33/2013 reca norme concernenti gli obblighi di pubblicazione degli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e attribuzione di vantaggi economici a persone fisiche ed enti pubblici e privati, prevedendo, in particolare, che le pubbliche amministrazioni pubblicano gli atti con i quali sono determinati i criteri e le modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi per la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e per l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati (comma 1). Le pubbliche amministrazioni pubblicano gli atti di concessione delle sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese, e comunque di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati, di importo superiore a mille euro. Ove i soggetti beneficiari siano controllati di diritto o di fatto dalla stessa persona fisica o giuridica ovvero dagli stessi gruppi di persone fisiche o giuridiche, vengono altresì pubblicati i dati consolidati di gruppo (comma 2). È esclusa la pubblicazione dei dati identificativi delle persone fisiche destinatarie dei provvedimenti di cui al presente articolo, qualora da tali dati sia possibile ricavare informazioni relative allo stato di salute ovvero alla situazione di disagio economico-sociale degli interessati (comma 4).

[49]   Si tratta di un portale, suddiviso in due aree: un'area pubblica (sezione trasparenza) e un'area il cui accesso è riservato alle Autorità responsabili e ai soggetti gestori degli aiuti.

[50]   Si ricorda che il Governo ha elencato nel DEF 2019 “in ottemperanza a quanto richiesto sia dalla normativa interna, sia dalla governance europea, l’elenco delle misure una tantum e con effetti temporanei (indicate come “one-off”) che hanno inciso sull’indebitamento netto nel triennio 2016-2018”. Nell’ambito di tale elenco figura la “riclassificazione del prestito Alitalia” erogato in due tranche di 600 milioni nel 2017 e 300 milioni di 2018. Sugli conseguenze che tale riclassificazione comporta in relazione agli effetti scontati nei tendenziali si rinvia alle valutazioni contenute nel Dossier del Servizio bilancio dello Stato sul decreto-legge in esame.

[51]   Si veda, in particolare, il comma 2, lettera q), dell’articolo 50.

[52]   Tali commi hanno presumibilmente lo scopo di chiarire un dubbio interpretativo sorto nel corso del 2017 in merito all'attribuzione della competenza tra la Gestione commissariale e la gestione ordinaria di Roma Capitale.

[53]   Il riaccertamento straordinario dei residui previsto dall’articolo 3 del D.Lgs. n. 118/2011, costituisce, si ricorda, una operazione straordinaria, prevista al fine di adeguare lo stock dei residui attivi e passivi risultanti al 1° gennaio 2015 al nuovo principio generale della competenza finanziaria “potenziata”, introdotto dal D.Lgs. n. 118/2011. Ciò in ragione della circostanza che con i nuovi principi contabili non possono continuarsi a gestire poste di residuo che derivano da registrazioni contabili che rispondono al previgente criterio della competenza finanziaria semplice. Il riaccertamento, presupponendo la verifica delle ragioni del mantenimento dei residui in base al criterio della nuova competenza, ha inevitabilmente determinato situazioni in cui i risultati di amministrazione 2015 si sono chiusi in disavanzo, differentemente dalle risultanze accertate alla chiusura dei conti dell’anno precedente, con possibili ripercussioni sulla salvaguardia degli equilibri di bilancio.

[54]   La suddetta lettera e) dispone che l’ente che abbia predisposto il piano di riequilibrio è tenuto – ai fini di assicurare il riequilibrio medesimo - ad effettuare una revisione straordinaria di tutti i residui attivi e passivi conservati in bilancio, stralciando i residui attivi inesigibili o di dubbia esigibilità (da inserire nel conto del patrimonio fino al compimento dei termini di prescrizione), nonché una sistematica attività di accertamento delle posizioni debitorie aperte con il sistema creditizio e dei procedimenti di realizzazione delle opere pubbliche ad esse sottostanti ed una verifica della consistenza ed integrale ripristino dei fondi delle entrate con vincolo di destinazione.

[55]   Le deroghe riguarderebbero le disposizioni di cui all’articolo 4, commi 1 e 2 (che, in linea generale, consente alle P.A. la costituzione e la partecipazione a società solo per lo svolgimento di attività di produzione di beni e servizi strettamente attinenti al perseguimento delle proprie finalità istituzionali) e dell’articolo 14, comma 6 (ove si prevede che nei cinque anni successivi alla dichiarazione di fallimento di una società a controllo pubblico titolare di affidamenti diretti, le pubbliche amministrazioni controllanti non possono costituire nuove società, né acquisire o mantenere partecipazioni in società, qualora le stesse gestiscano i medesimi servizi di quella dichiarata fallita).

[56]  Fanno eccezione soltanto le spese tassativamente regolate dalla legge; quelle non suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi; o quelle a carattere continuativo necessarie per garantire il mantenimento dei servizi esistenti.

[57]   La previgente versione del richiamato comma 8 disponeva che, al fine di attuare il Reddito di cittadinanza anche attraverso appropriati strumenti e piattaforme informatici, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali potesse avvalersi di enti controllati o vigilati da parte di amministrazioni dello Stato o di società in house, previa convenzione approvata con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

[58]   La Consip è una società per azioni, partecipata al 100% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che opera al servizio esclusivo della Pubblica Amministrazione come centrale acquisti, attraverso la predisposizione di bandi di gara per singole amministrazioni, sulla base di accordi bilaterali, per la realizzazione di determinati progetti. Le aree di attività di Consip sono: programma acquisti, approvvigionamento verticale per la PA ed ulteriori attività affidate su iniziative di legge o atti amministrativi.

[59]   A cui è stata data attuazione con il decreto direttoriale dell'ANPAL n. 2 del 2018 (come rettificato dal decreto direttoriale n. 81 del 2018)

[60]   Pari per il 2019 ad euro 935,21 netti mensili per le retribuzioni fino a 2.148,74 euro e ad euro 1.124,04 netti mensili per le retribuzioni superiori a 2.148,74 euro.

[61]   La disciplina in esame è oggetto della circolare congiunta di INPS ed INAIL n. 7 del 19 gennaio 2018.

[62]   Cfr. la citata circolare congiunta di INPS ed INAIL n. 7 del 2018.

[63]   Tale disciplina è stata abrogata dall'articolo 17 del DM citato nel testo.

[64]   120° giorno successivo al 31 gennaio 2019, data di entrata in vigore della legge n. 3 del 2019.

[65]   Al riguardo, si veda, in particolare, l'audizione dei rappresentanti del Tavolo permanente delle Federazioni bandistiche italiane svolta, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di Fondo unico per lo spettacolo (FUS), nella seduta 25 ottobre 2018 della 7^ Commissione del Senato.

[66]   D.Lgs. 1172017, Codice del Terzo settore, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106.

[67]   Revisione della disciplina in materia di impresa sociale, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettera c) della legge 6 giugno 2016, n. 106

[68]   Si veda, altresì, il Tema “Il Fondo per lo Sviluppo e la Coesione: la programmazione delle risorse del ciclo 2014-2020”.

[69]   Il Contratto istituzionale di sviluppo (CIS) è un istituto previsto dall’articolo 6 del D.Lgs. n. 88 del 2011. Introdotto in sostituzione del previgente istituto dell’intesa istituzionale di programma, il CIS costituisce un accordo che le amministrazioni competenti possono stipulare per accelerare l’utilizzo dei fondi strutturali europei ovvero per accelerare la realizzazione di nuovi progetti strategici di rilievo nazionale, interregionale e regionale tra loro funzionalmente connessi in relazione a obiettivi e risultati, finanziati con risorse nazionali, dell'Unione europea e del Fondo Sviluppo e Coesione. I CIS - sottoscritti dal Ministro per la Coesione territoriale, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri, e da Regioni e altre amministrazioni competenti di volta in volta interessate - costituiscono uno strumento con cui Governo, Regioni, FS, RFI, ANAS si impegnano a eseguire interventi prioritari di sviluppo, soprattutto nelle aree svantaggiate e nel Mezzogiorno, nonché a collaborare e coordinarsi, ad eseguire un monitoraggio periodico degli impegni assunti ed a rimuovere gli ostacoli che dovessero sorgere nel corso della realizzazione degli interventi, accettando, in caso di inerzia, ritardo o inadempienza accertate, le misure sanzionatorie previste dal Contratto stesso. In particolare, i CIS sono finalizzati alla realizzazione di opere infrastrutturali, funzionali alla coesione territoriale e allo sviluppo equilibrato del Paese, favorendo la concentrazione delle risorse verso la realizzazione di un'unica grande infrastruttura a valenza nazionale o interregionale (salve eccezioni dettate da specificità territoriali), superando i tradizionali limiti regionali. Nel contratto vengono definiti i tempi di attuazione (cronoprogramma), le responsabilità dei contraenti, i criteri di valutazione e monitoraggio e le sanzioni per eventuali inadempimenti.

[70]   Si segnala, peraltro, che lo stesso decreto-legge n. 34/2019 in esame, all’articolo 30 assegna contributi in favore dei Comuni, nel limite massimo di 500 milioni per l'anno 2019 a valere sul Fondo Sviluppo e Coesione (FSC), per la realizzazione di progetti relativi a investimenti nel campo dell'efficientamento energetico e dello sviluppo territoriale sostenibile. Il successivo articolo 34 destina 50 milioni per il 2019, 150 milioni per il 2020 e 100 milioni per il 2021 a valere sulle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC) per lo sviluppo di grandi investimenti delle imprese insediate nelle Zone economiche speciali, nonché per l'attrazione di ulteriori nuove iniziative imprenditoriali. Ulteriori 50 milioni per l'anno 2019 e 30 milioni per l’anno 2020 del Fondo per lo sviluppo e la coesione - programmazione 2014-2020 sono utilizzati a copertura degli oneri recati da diverse disposizioni del decreto-legge stesso (art. 50, co. 2, lett. b). Complessivamente il FSC viene ridotto di 880 milioni.

[71]   I commissari Piero Gnudi, Corrado Carrubba ed Enrico Laghi, nominati con il D.M. Sviluppo economico 21 gennaio 2015, hanno recentemente presentato le loro dimissioni, con decorrenza 1° giugno 2019. Secondo quanto riportato nel comunicato web del Ministero dello sviluppo economico del 23 aprile 2019, il decreto di nomina dei nuovi Commissari (individuati nelle persone di Francesco Ardito, Antonio Cattaneo e Antonio Lupo) è già stato firmato.

[72]   La Relazione illustrativa specifica che si intende assegnare a ciascun Provveditorato 3 elevate professionalità amministrative (2 nel Provveditorato Piemonte/Liguria) e 12 elevate professionalità tecniche (14 per il Provveditorato di Roma).

[73]   L’art. 4, c. 3-quinquies, del D.L. 101/2013 dispone che, dal 1° gennaio 2014, per le amministrazioni dello Stato (anche ad ordinamento autonomo), le agenzie e gli enti pubblici non economici, il reclutamento dei dirigenti e delle figure professionali comuni si svolga mediante concorsi pubblici unici. Fatto salvo quanto detto, il richiamato art. 35 del D.Lgs. 165/2001 (che disciplina le procedure di reclutamento del personale pubblico), al comma 5, dispone che le restanti amministrazioni, per lo svolgimento delle proprie procedure selettive, possono rivolgersi al Dipartimento della funzione pubblica e avvalersi della Commissione per l'attuazione del Progetto di Riqualificazione delle Pubbliche Amministrazioni (RIPAM).

[74]   Determinazione degli obiettivi quantitativi nazionali di risparmio energetico che devono essere perseguiti dalle imprese di distribuzione dell'energia elettrica e il gas per gli anni dal 2017 al 2020 e per l'approvazione delle nuove Linee Guida per la preparazione, l'esecuzione e la valutazione dei progetti di efficienza energetica.

[75]   D.M. 6 luglio 2012, recante Attuazione dell'art. 24 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili diversi dai fotovoltaici.

[76]   I criteri e le modalità di attribuzione e utilizzo della Carta, nonché l’importo da assegnare, pari a € 500, erano stati disciplinati con DPCM 15 settembre 2016, n. 187.

[77]   I criteri e le modalità di attribuzione e utilizzo della Carta, nonché l’importo da assegnare, erano stati disciplinati con DPCM 4 agosto 2017, n. 136, che aveva modificato il DPCM del 2016.

[78]   I criteri e le modalità di utilizzazione della Carta per i giovani che hanno compiuto 18 anni nel 2018 sono dunque stati disciplinati con DPCM 7 dicembre 2018, n. 138, che ha ulteriormente modificato il DPCM del 2016.

[79]   Si ricorda che il Governo ha elencato nel DEF 2019 “in ottemperanza a quanto richiesto sia dalla normativa interna, sia dalla governance europea, l’elenco delle misure una tantum e con effetti temporanei (indicate come “one-off”) che hanno inciso sull’indebitamento netto nel triennio 2016-2018”. Nell’ambito di tale elenco figura la “riclassificazione del prestito Alitalia” erogato in due tranche di 600 milioni nel 2017 e 300 milioni di 2018. Sulle conseguenze che tale riclassificazione comporta in relazione agli effetti scontati nei tendenziali si rinvia alle valutazioni contenute nel Dossier del Servizio bilancio dello Stato sul decreto-legge in esame.

[80]   A partire dal 2018, le aliquote degli oneri generali da applicare a tutte le tipologie di contratto sono distinte in:

§  Oneri generali relativi al sostegno delle energie rinnovabili ed alla cogenerazione ASOS

§  Rimanenti oneri generali ARIM.

[81]   La giurisprudenza a riguardo è ormai molto ampia considerato che in diverse occasioni la Corte costituzionale, in ragione della presenza della clausola di salvaguardia, ha dichiarato non fondate le questioni sollevate in merito a norme che, proprio perché in contrasto con lo statuto speciale e le norme di attuazione della regione ricorrente, non sono applicabili alla regione stessa (si vedano ad esempio le sentenze n. 23 e n. 237 del 2014).