Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni
Titolo: La partecipazione delle donne alla vita politica e istituzionale
Serie: Documentazione e ricerche   Numero: 104
Data: 07/03/2022
Organi della Camera: I Affari costituzionali


+ maggiori informazioni sul dossier

La partecipazione delle donne alla vita politica e istituzionale

7 marzo 2022
Schede di lettura


Indice

L'Italia secondo gli indici internazionali|Gli obiettivi della Strategia nazionale 2021-2026|Le donne nelle istituzioni|I principi costituzionali|La rappresentanza di genere nella legislazione elettorale|Focus: equilibrio di genere e prima applicazione della legge 165/2017|


L'Italia secondo gli indici internazionali

Nell'La posizione dell'Italiaindice sull'uguaglianza di genere 2021 elaborato dall'EIGE, l'Italia ha ottenuto un punteggio di 63,8 su 100 (+0,3 rispetto al 2020). Tale punteggio è inferiore alla media dell'UE di 4,2 punti, ma l'Italia è tra i Paesi che nell'ultimo ventennio hanno fatto registrare i maggiori progressi tra tutti gli Stati membri dell'UE, migliorando di 12 posizioni la sua graduatoria dal 2005 e di 7 posizioni dal 2010, raggiungendo il 14° posto tra i 27 Stati membri. Tuttavia dal 2018 non si riscontrano progressi di rilievo (+0,3 punti).

L'I stituto europeo per l'uguaglianza di genere (EIGE), agenzia autonoma dell'Unione europea, il 13 giugno 2013 ha pubblicato il primo Indice EIGE sull'uguaglianza di genere rapporto sull' indice dell'uguaglianza di genere, frutto di tre anni di lavoro; i dati sono stati aggiornati nel 2015, in cui il Rapporto ha affinato gli indicatori di riferimento e offerto una comparazione sui progressi compiuti dal 2005 al 2012, mentre nel 2017 è stata pubblicata una terza edizione del rapporto, che offre dati di confronto tra i Paesi dal 2005 al 2015. Un ulteriore aggiornamento è stato pubblicato nel 2019. I punteggi del Gender Equality Index 2021 riflettono la nuova composizione dell'UE dopo la Brexit (UE-27). Il focus tematico del 2021 è la salute, con particolare attenzione alla salute mentale, sessuale e riproduttiva e all'impatto della pandemia di coronavirus.
Per la prima volta è stato elaborato un indicatore sintetico ma esaustivo delle disparità di genere nell'Unione europea e nei singoli Stati membri. L'indice, che prende in considerazione 6 diversi settori (Lavoro, Denaro, Conoscenza, Tempo, Potere e Salute), ha un valore tra 1 e 100, dove 1 indica un'assoluta disparità di genere e 100 segna il raggiungimento della piena uguaglianza di genere. Dal 2019 l'Indice rileva anche due aree aggiuntive, quella della violenza contro le donne e quella delle disuguaglianze intersezionali (quelle forme cioè di discriminazione basate su più fattori che interagiscono tra loro in modo da non poter più essere distinti e separati).

Dieci paesi sono al di sopra della media UE, nove dei quali con un punteggio superiore a 70 punti. In cima alla graduatoria spiccano Svezia (83,9), Danimarca (77,8 punti) e Paesi Bassi (75,9), che sono saliti in terza posizione, saltando due posto in un anno; nei primi dieci anche la Francia (75,1 punti), la Spagna di 73,7 e la Germania (68,9). Più di un terzo degli Stati membri Stati membri ha ottenuto meno di 60 punti, con Grecia (52,5 punti) Ungheria (53,4 punti) e Romania (54,5), che hanno la strada più lunga da percorrere.

Per quanto riguarda l'evoluzione dell'indice, dal 2019, i punteggi hanno visto i maggiori aumenti in Lussemburgo, Lituania e Paesi Bassi (circa 2 punti o più), Austria, Croazia, Germania, Lettonia, Malta e Spagna (da 1 a 1,7 punti). Dal 2010, la maggior parte dei progressi sulla parità di genere sono stati in Lussemburgo (+ 11,2 punti), Malta (+ 10,6 punti), Italia (+ 10,5 punti), Austria (+ 9,3 punti) e Portogallo (+ 8,5 punti). In Croazia, Cipro, Estonia, Francia, Germania, Irlanda, Lettonia e Spagna, gli aumenti del punteggio dell'indice sono stati compresi tra 6,0 e 8,2 punti. Il minor progresso in materia di parità di genere dal 2010 è stato in Cecenia, Ungheria e Polonia, dove l'aumento è stato stato di circa 1 punto. Il ritmo del cambiamento nei restanti 11 paesi è stato lento, con i punteggi sono migliorati tra 1,9 e 5 punti dal 2010.

 

Nonostante più di 50 anni di politiche per l'uguaglianza di genere a livello europeo, il rapporto mostra come le disparità di genere risultino ancora rilevanti nell' Unione europea e come i miglioramenti siano raggiunti lentamente.
Nel periodo tra il 2005 e il 2020, l'indice sull'uguaglianza di genere dell'UE è migliorato di 5,9 punti, mentre è cresciuto di soli 0,5 punti dal 2017 e di 4,1 punti dal 2010 .
I 68 punti per l'UE nel suo complesso (UE-27) e i punteggi medi dei singoli Paesi che vanno da 83,9 (Svezia) a 52,5 (Grecia) attestano come gli Stati prestino una diversa attenzione al raggiungimento degli obiettivi della parità e, al contempo, dimostrano come vi siano ancora ampi margini di miglioramento. Dal 2010, il punteggio dell'Indice è aumentato di 4,9 punti. Tuttavia, dal 2018, l'aumento è solo di 0,6 punti, principalmente guidato da miglioramenti nel processo decisionale.
L'UE è più vicina all'uguaglianza di genere nel campo della salute (87,8 punti), specialmente nel sottodominio dell'accesso ai servizi sanitari (98,2 punti). Il secondo punteggio più alto dell'UE è nel settore del denaro (82,4 punti), e la sua migliore performance è nel sottodominio della parità nella situazione economica di donne e uomini (88,3 punti). Le disuguaglianze di genere sono più preoccupanti nel settore del potere, inteso come potere decisionale sia politico che economico (55 punti). Tuttavia, il punteggio in questo settore è migliorato maggiormente dal 2010 (+ 13,1 punti), grazie ai progressi compiuti in quasi tutti gli Stati membri sui dati di partecipazione delle donne al processo decisionale economico. Il secondo settore meno equo è la conoscenza (62,7 punti), dove il progresso è limitato dalla persistente disuguaglianza di genere nei diversi campi di studio nell'istruzione universitaria. Il tempo è l'unico dominio ad aver registrato un calo in 12 anni e ora è pari a 64,9. Ciò significa che le disuguaglianze di genere nel tempo dedicato ai lavori domestici e all'assistenza o alle attività sociali sono in aumento.

I punteggi dell'Italia sono inferiori a quelli della media UE in tutti i settori, ad eccezione di quello della salute. I punteggi più alti dell'Italia riguardano i domini della salute (88,4 punti) e del denaro (79,4 punti), in cui si colloca al 11° e 14° posto rispetto agli altri Stati membri. Le disuguaglianze di genere sono più pronunciate nei domini del potere (52,2 punti), del tempo (59,3 punti) e della conoscenza (59 punti). L'Italia ha il punteggio più basso di tutti gli Stati membri dell'UE nel settore del lavoro (63,7). 

Circa l'andamento decennale, il punteggio dell'Italia è migliorato maggiormente nel dominio del potere (+ 27 punti dal 2010 e + 3,4 punti dal 2018) e della conoscenza (+ 8,1 punti), avanzando di 8 posizioni dal 2010. Le prestazioni dell'Italia potrebbero essere notevolmente migliorate nel settore del lavoro, in cui si colloca costantemente all'ultimo posto tra tutti gli Stati membri dell'UE. L'Italia è la più lontana dalla parità di genere nel sottodominio della partecipazione al lavoro, classificandosi al 27° posto con un punteggio di 69,1 punti. Un passo indietro si registra nel dominio della conoscenza: dal 2018 il punteggio dell'Italia è diminuito (– 2,9 punti), scendendo dall'11° al 13° posto. Il divario di genere nell'istruzione è notevolmente aumentata in questo breve periodo (– 6,3 punti).

A livello mondiale, secondo l'analisi annuale del World economic forum sul Global Gender Gap ReportGlobal Gender Gap, nella graduatoria diffusa nel 2021, l'Italia si colloca al 63° posto su 156 Paesi, undici posti più su del posizionamento del 2006 (l'Italia era al 76° nel 2020, al 70° nel 2018, all'82° posto nel 2017, al 50° nel 2016, al 41° nel 2015, al 69° nel 2014, al 71° nel 2013, all'80° nel 2012, al 74° nel 2011 e nel 2010, al 72° nel 2009, al 67° posto nel 2008, all'84° nel 2007 e al 77° nel 2006). L'indice tiene conto delle disparità di genere esistenti nel campo della politica, dell'economia, dell'istruzione e della salute. In questa statistica a penalizzare l'Italia è principalmente la difficoltà a raggiungere la parità di genere nel mercato del lavoro, come evidenziano i dati sull'opportunità per le donne di partecipare all'economia del Paese a cominciare dal tasso di occupazione. 

Nella graduatoria generale sono ai primi posti Islanda, Finlandia, Norvegia, Nuova Zelanda e Svezia; per quanto attiene agli altri Paesi europei,  l'Irlanda si colloca al 9° posto, la Germania all'11°, la Spagna al 14° posto, la Francia al 16°, il Regno Unito al 23°, la Danimarca al 29° e i Paesi Bassi al 31°.

Per ciò che attiene in particolare al settore della politica, il nostro Paese si colloca al 41° posto della graduatoria (l'Italia era al 76° posto nel 2006). In questo settore particolare, l'aumento registrato dall'Italia nella graduatoria globale a decorrere dal 2013 è determinato principalmente dal significativo aumento del numero delle donne in Parlamento.

Il World economic forum redige periodicamente anche un rapporto sulla competitività dei paesi a livello globale ed è interessante notare come emerga una correlazione tra il gender gap di un paese e la sua competitività nazionale. Dal momento che le donne rappresentano la metà del talento potenziale di un paese, la competitività nel lungo periodo dipende significativamente dalla maniera in cui ciascun paese educa ed utilizza le sue donne.


Gli obiettivi della Strategia nazionale 2021-2026

Per contrastare le molteplici dimensioni della discriminazione verso le donne, che come visto nel paragrafo precedente coinvolgono ancora la dimensione della partecipazione alla vita politica e istituzionale, nel PNRR il Governo ha annunciato l'adozione di una Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026. Si tratta di un documento programmatico che, in coerenza con la Strategia per la parità di genere 2020-2025 adottata dalla Commissione europea a marzo 2020, definisce un sistema di azioni politiche integrate nell'ambito delle quali sono adottate iniziative concrete, definite e misurabili.

All'impegno ha fatto seguito la presentazione in Consiglio dei ministri (5 agosto 2021) di una Strategia nazionale per la parità di genere 2021/2026, redatta dal Ministero delle pari opportunità, all'esito di un processo di consultazione che ha coinvolto amministrazioni centrali, Regioni, Enti Territoriali, parti sociali e principali realtà associative attive nella promozione della parità di genere.

L'obiettivo di lungo periodo che si propone la Strategia è di guadagnare 5 punti nella classifica del Gender Equality Index dell'EIGE nei prossimi 5 anni, per raggiungere un posizionamento migliore rispetto alla media europea entro il 2026, con l'obiettivo di rientrare tra i primi 10 paesi europei in 10 anni.

Il documento per ciascuna delle priorità definisce gli interventi da adottare (incluse le misure di natura trasversale), nonché i relativi indicatori (volti a misurare i principali aspetti del fenomeno della disparità di genere) e target (l'obiettivo specifico e misurabile da raggiungere). Gli indicatori e target sono funzionali a guidare l'azione di governo e monitorare l'efficacia degli interventi poste in essere. 

La tabella che segue riepiloga gli obiettivi specifici e misurabili da raggiungere nell'ambito dell'area del "Potere".

A seguire le principali misure previste per il raggiungimento dei target-obiettivo individuati.

Per quanto concerne l'attività legislativa in corso su parte delle questioni trattate, si segnala che è all'esame della Commissione affari costituzionali del Senato un disegno di legge di iniziativa parlamentare (A.S. 1785), che detta disposizioni per la promozione dell'equilibrio di genere in diverse istituzioni: nella seduta del 23 febbraio 2022 è stato adottato un testo base per il prosieguo dell'esame che limita l'oggetto del ddl ad autorità indipendenti, organi delle società a controllo pubblico e società quotate, nonché ai comitati di consulenza del Governo.


Le donne nelle istituzioni

I dati relativi alla presenza femminile negli organi costituzionali italiani hanno sempre mostrato una presenza contenuta nei numeri e molto limitata quanto alle posizioni di vertice.

In tale contesto, i risultati delle Parlamentoelezioni politiche del 24-25 febbraio 2013 hanno presentato un segnale di inversione di tendenza: infatti, la media complessiva della presenza femminile nel Parlamento italiano, storicamente molto al di sotto della soglia del 30%, considerato valore minimo affinché la rappresentanza di genere sia efficace, è salita dal 19,5 della XVI legislatura al 30,1 per cento dei parlamentari eletti nella XVII legislatura. Tale tendenza si è rafforzata con le elezioni del 2018, in cui per la prima volta sono state sperimentate le misure previste dalla legge elettorale n. 165 del 2017 per promuovere la parità di genere nella rappresentanza politica (si v. infra). Nel 2018, infatti, risultano elette in Parlamento 334 donne, pari a circa il 35 per cento (di cui 225 alla Camera e 109 al Senato). Questo risultato ci pone oltre la media dei Paesi Ue-28, che risulta pari al 32,8 per cento.

Di seguito, due grafici mostrano l'andamento storico della presenza delle donne in entrambi i rami del Parlamento.

Le prime donne elette alla Consulta Nazionale sono state 14; della Consulta faceva parte un numero variabile di membri (circa 400) alcuni di diritto, altri di nomina governativa, su designazione partitica e di altre organizzazioni. Le donne elette all'Assemblea Costituente, composta da 556 membri, sono state 21 (3,8%).

Nella XII legislatura (la prima con il sistema elettorale maggioritario e con il sistema delle quote su cui è poi intervenuta la Corte costituzionale, si v. infra) le donne elette alla Camera dei deputati sono state 95, di cui 43 elette con la quota maggioritaria e 52 con quella proporzionale, mentre nella XIII legislatura (senza l'applicazione del sistema delle quote) le donne elette alla Camera dei deputati sono scese a 70 (rispettivamente 42 e 28). Al Senato sono state elette nella XIII legislatura 26 donne. Nella XIV legislatura le donne elette alla Camera sono state 73 e al Senato 25. Le donne elette alla Camera nella XV legislatura sono state 108 (17,1 per cento) e le donne senatrici 44 (13,6 per cento). Nella XVI legislatura sono state elette alla Camera dei deputati 133 donne, al Senato 58. Nella XVII legislatura sono state elette alla Camera dei deputati 198 donne (31,4 per cento), al Senato 92 donne (28,8 per cento). Nella XVIII legislatura la percentuale di donne elette alla Camera risulta pari al 35,7% (225 su 630), in crescita rispetto alla precedente legislatura (+4,3%), la quale, a sua volta, aveva fatto registrare un incremento di circa il 10 per cento rispetto alla XVI legislatura; sono 109 le donne elette al Senato della Repubblica (34,9 per cento).

Tra i senatori a vita, quattro volte, nel 1982, nel 2001, nel 2013 e più di recente nel 2018, è stata nominata una donna: Camilla Ravera, Rita Levi Montalcini, Elena Cattaneo e Liliana Segre.

Quanto alle Presidenza della Repubblica e del Consiglioposizioni di vertice, nessuna donna in Italia ha mai rivestito la carica di Capo dello Stato o di Presidente del Consiglio. Attualmente, nell'Unione europea, la carica di Primo ministro o Presidente del Consiglio è ricoperta da donne in 4 Stati (Danimarca, Finlandia, Lituania ed Estonia). Nel 2019 alla Presidenza della Commissione europea è stata eletta per la prima volta una donna.

La carica di Presidenze della CamerePresidente della Camera è stata declinata al femminile nelle legislature VIII, IX e X, con l'elezione di Nilde Iotti, nella XII legislatura con l'elezione di Irene Pivetti e nella XVII con l'elezione di Laura Boldrini. Anche al Senato, per la prima volta nell'attuale legislatura, con l'elezione di Maria Elisabetta Alberti Casellati si è insediata una donna alla Presidenza del Senato. Nell'attuale legislatura sono state elette, in entrambi i rami del Parlamento, due Vicepresidenti donne su quattro.

Il grafico che segue individua le donne che, a partire dalla VII legislatura, sono state elette Presidenti di Commissioni permanenti (tratto dal dossier "Parità vo cercando 1948-2018. Le donne italiane in settanta anni di elezioni", a cura dell'Ufficio valutazione impatto del Senato).

 

Nella XVIII legislatura alla Camera, sono attualmente presiedute da una donna 6 Commissioni permanenti (Commissione Cultura, scienza e istruzione, Commissione Ambiente,  Commissione trasporti, Commissione attività produttive, Commissione lavoro e Commissione affari sociali); al Senato la presidenza è assegnata ad una donna in 4 Commissioni (Commissione difesa, Commissione lavoro, Commissione sanità e Commissione ambiente).

 

Dalla I alla XVII legislatura l'Italia ha avuto 64 governi e 28 Presidenti del Consiglio dei ministri. Sulla base dei dati elaborati dall'Ufficio valutazione impatto del Senato, l'analisi degli incarichi di ministra, viceministra (la carica di viceministro è stata introdotta dalla legge n. 81 del 2001) o sottosegretaria conferiti in ciascun governo evidenzia che tredici governi sono stati composti esclusivamente da uomini. Solo dal 1983, col governo Fanfani V, la presenza di donne è diventata costante. Su oltre 1.500 incarichi di ministro assegnati nei 64 governi della Repubblica, le donne ne hanno ottenuti 78 (più 2 interim). Di questi, 38 incarichi sono stati di ministro senza portafoglio. Alle donne sono stati affidati incarichi prevalentemente nei settori sociali, della sanità e dell'istruzione: ben 48 dicasteri su 80 (inclusi i 2 interim). Di seguito si riporta un grafico con l'andamento storico delle nomine dalla I alla XVII legislatura, tratto dal dossier "Parità vo cercando 1948-2018. Le donne italiane in settanta anni di elezioni" (Documento di analisi n. 13).

 

NellaI governi della XVIII legislatura attuale legislatura, si sono succeduti tre governi. Nel Governo Conte I (dal 1° giugno 2018 al 4 settembre 2019) sono state nominate 6 donne a guida di un ministero, di cui quattro senza portafoglio (Pubblica Amministrazione, Affari regionali e autonomie, Sud, Disabilità e famiglia, Difesa e Salute), su un totale di 19 ministri (31,6%). Le nomine dei sottosegretari hanno riguardato 5 donne su 47 (pari al 10,6%).

Nella compagine del Governo Conte II, le ministre sono state 8 (Interno; Politiche agricole; Infrastrutture e trasporti; Lavoro e politiche sociali; Istruzione; Innovazione tecnologica e digitalizzazione; Pubblica amministrazione; Pari opportunità e famiglia) su un totale di 23 ministri (34,7%) e le sottosegretarie 14 su 42 (33%). 

Nell'attuale Governo Draghi si registra la partecipazione di 8 donne (34,7%) nella compagine dei 23 ministri (Interno; Giustizia; Università e ricerca; Affari regionali e autonomie; Sud e coesione territoriale; Politiche giovanili; Pari opportunità e famiglia; Disabilità). Le cariche di viceministro e sottosegretario ricoperte da donne sono 18 (43,9%) su un totale di 41.

In ambito UE-27, la media della donne al Governo è del 32,3%, con risultati molto diversi tra gli Stati. La presenza di donne nella compagine governativa va oltre la parità in Spagna (60,9%), Finlandia (57,9%), Belgio (53,3%), Francia (51,2%) e Svezia (50%). Seguono l'Austria Lituania ed l'Estonia (46,7%) e la Germania (40%). Nella composizione della Commissione europea la presenza femminile è pari al 48,1%: 12 donne e 14 uomini come commissari e, a partire dal 2019, per la prima volta la Commissione europea è presieduta da una donna (Ursula von der Leyen).

 

Per quanto riguarda la composizione della Corte costituzionaleCorte costituzionale, nel 2019 è stata eletta per la prima volta come sua Presidente una donna, nella persona della giudice Marta Cartabia. Nella attuale composizione, dei quindici giudici costituzionali quattro sono donne: Silvana Sciarra e Daria De Petris, nominate nel 2014; Emanuela Navarretta e Maria Rosaria San Giorgio, nominate nel 2020. Nella storia della Consulta ci sono state altre tre giudici donne: Fernanda Contri, giudice della Corte dal 1996 al 2005, Maria Rita Saulle, giudice dal 2005 al 2011 e Marta Cartabia, giudice dal 2011 al 2020.

Per quanto riguarda la presenza femminile nel Parlamento europeo Parlamento europeo (PE) nelle prime cinque legislature le donne italiane elette risultavano sempre in percentuali inferiori al 15%. Come si rileva dal grafico che segue, con l'introduzione delle quote di lista nel sistema elettorale nelle elezioni del 2004, il numero delle donne italiane elette al Parlamento europeo è aumentato della metà, passando da 10 donne nella V legislatura (1999-2004) a 15 nella VI (2004-2009).

In termini percentuali, la componente femminile è passata nella VI legislatura dall'11,5 per cento al 19,2 per cento ed è salita ulteriormente nella VII legislatura (2009-2014), dove le donne elette al Parlamento europeo sono risultate 16 su 72 seggi spettanti all'Italia (pari al 22,2%).

A partire dalle elezioni del 2014 è stata introdotta e applicata dapprima la doppia preferenza di genere e dal 2019  la c.d. 'tripla preferenza di genere', in base alla quale, nel caso in cui l'elettore decida di esprimere tre preferenze, queste devono riguardare candidati di sesso diverso, pena l'annullamento della seconda e della terza preferenza. 

All'esito delle consultazioni elettorali, nel 2014 il numero delle donne italiane elette al PE risulta quasi raddoppiato, passando a 29 su 73 seggi spettanti all'Italia, pari al 39,7%. Il dato è ulteriormente migliorato con i risultati delle elezioni del 2019, in cui le donne italiane elette sono 30, pari al 41,1% dei seggi spettanti all'Italia (sopra la media delle donne al Parlamento europeo, pari al 40,6%). Anche il numero delle donne che ricoprono alte cariche nel Parlamento europeo è in crescita. Nella legislatura corrente, 8 dei 14 vice-presidenti e 12 dei 22 presidenti di commissione sono donne.

Per quanto riguarda gli organi delle regioni, la presenza femminile nelle assemblee regionali italiane si attesta in media intorno al 22,4 % a fronte della media registrata a livello UE, pari al 34,2%. Solo in una regione (Umbria) la carica di Presidente della regione è ricoperta da una donna. Di seguito, la tabella riporta la consistenza numerica e percentuale delle donne elette nei consigli delle regioni e delle province autonome: nel numero dei consiglieri sono stati computati anche i membri di diritto (come il Presidente della regione).

 Più alto il dato negli esecutivi regionali, dove le donne sono pari al 25,1 %: in termini assoluti le donne sono 51 su 203 membri di giunta, compreso il Presidente (fonte: siti web delle regioni e delle province autonome).

Nell'ambito delle assemblee degli Enti localienti locali, il dato della presenza femminile in Italia è pari al 34% nelle assemblee dei comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti, a circa il 32% nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti (fonte: rielaborazione di dati tratti da Anagrafe degli amministratori locali - Ministro dell'interno, dati aggiornati al 9 febbraio 2022). Il dato medio di presenza femminile nelle stesse assemblee rilevato in ambito UE risulta pari al 34,4%.

Più visibile la presenza delle donne nelle giunte degli enti locali, in quanto la percentuale di donne che riveste la carica di assessore è pari al 43% nei comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti, al 44% nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti. Le sindache sono, in tutti i comuni di Italia, 1.154 su 7.707, pari al 15% (la media UE è del 17,4%).

Per quanto concerne le città metropolitane delle regioni a statuto ordinario, a seguito delle elezioni svolte con il sistema di secondo livello per i Consigli metropolitani previsto dalla riforma introdotta con la legge n. 56/2014 (c.d. legge Delrio), risultano eletti 194 consiglieri metropolitani in 10 città metropolitane, di cui, attualmente 41 donne, pari al 21,1% del totale.

In relazione alle province, tra i 76 presidenti di provincia nelle regioni a statuto ordinario, ci sono solo 7 donne, pari al 9,2% del totale.

Nella tabella che segue si riepilogano i dati della presenza delle donne nelle Assemblee elettive di primo grado (Parlamento europeo, Parlamento italiano, Consigli regionali e Consigli comunali), espressi in percentuale. 

Nelle Autorità amministrative indipendentiautorità amministrative indipendenti, infine, su un totale di 38 componenti di diritto, 10 sono donne (pari al 26,3%). Nessuna delle nove Autorità considerate è attualmente presieduta da una donna. In nessuna authority si registra una maggioranza di donne.

Le autorità considerate sono quelle di cui all'art. 22 del D.L. 90/2014 (conv. L. 114/2014), che ha dettato alcune misure per la razionalizzazione delle autorità indipendenti: l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, la Commissione nazionale per le società e la borsa, l'Autorità di regolazione dei trasporti, l'Autorità di regolazione per Energia Reti e Ambiente, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, il Garante per la protezione dei dati personali, l'Autorità nazionale anticorruzione, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione e la Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali.

Si ricorda, infine, che è ricoperto da una donna il ruolo di Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza.

 

Tutti i dati relativi ai Paesi europei e alle medie UE, sono tratti dal Database dell'EIGE relativo alla sezione: Women and men in decision making.

I principi costituzionali

CostituzioneNorma fondamentale in tema di partecipazione alla vita politica è l'articolo 51, primo comma, della Costituzione, a mente del quale tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.

A seguito di una modifica del 2003 (L. Cost. n. 1/2003), dovuta anche ad un orientamento espresso dalla Corte costituzionale in una sentenza del 1995 (si v. infra), è stato aggiunto un periodo secondo cui la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.

Si è in tal modo segnato un passaggio dalla dimensione statica della parità di trattamento uomo-donna alla prospettiva dinamica delle pari opportunità, nell'ottica del raggiungimento di un'uguaglianza sostanziale, come già riconosciuta dall'art. 3 Cost., e secondo lo spirito della CEDAW e PechinoConvenzione ONU per la eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) del 1979 e della Dichiarazione di Pechino del 1995, che mirano al raggiungimento di una parità de facto.

A livello sovranazionale, la Carta di Nizza Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - che dopo il trattato di Lisbona ha assunto valore vincolante per il nostro ordinamento - prevede che la parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi e che il principio della parità non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato (art. 23 inserito nel Capo III relativo all'uguaglianza).

L'articolo 117, settimo comma, Cost. (introdotto dalla L. Cost. n. 3/2001) prevede inoltre che "Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive." Analogo principio è stato introdotto negli statuti delle regioni ad autonomia differenziata dalla legge costituzionale n. 2 del 2001.

 


Giurisprudenza costituzionale

Secondo un primo Primo orientamento della Corte costituzionaleorientamento della Corte costituzionale risalente alla metà degli anni Novanta, espresso nella sentenza n. 422 del 1995, la previsione di quote di genere in campo elettorale si pone in contrasto con il principio di uguaglianza, sancito dagli articoli 3 e 51 della Costituzione. Con tale sentenza, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle disposizioni normative che avevano introdotto le quote per le elezioni nazionali, regionali e locali, sulla base dell'assunto che, in campo elettorale, il principio di uguaglianza deve essere inteso in senso rigorosamente formale. In base a tale interpretazione i diritti di elettorato passivo sono rigorosamente garantiti in egual misura a tutti i cittadini in quanto tali ed è esclusa qualsiasi differenziazione in base al sesso, sia che essa riguardi l'eleggibilità (quote di risultato, quali erano previste dalla legge elettorale nazionale) sia che riguardi la candidabilità (quote di lista, quali quelle previste dalla legge sulle elezioni amministrative).

Dopo la sentenza della Corte costituzionale del 1995 si pose la questione della necessità di modificare la Costituzione in modo da consentire interventi normativi sulle leggi elettorali tali da incentivare la presenza delle donne negli organismi rappresentativi elettivi.

Successivamente, il Riforme costituzionaliquadro costituzionale è mutato, anche in conseguenza della posizione espressa dalla Corte. Come già visto, le riforme costituzionali del 2001 hanno riaffermato il principio della parità di accesso alle cariche elettive in ambito regionale e la legge costituzionale n. 1 del 2003 ha riconosciuto espressamente la promozione, con appositi provvedimenti, delle pari opportunità tra uomini e donne nella vita pubblica.

Dopo la sentenza del 1995, la Corte costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi nuovamente sul tema delle pari opportunità nell'accesso alle cariche elettive con la Nuovo orientamentosentenza n. 49 del 2003, pronunciata dopo le riforme costituzionali del 2001 relative agli ordinamenti regionali ma prima della modifica dell'articolo 51.

Innovando notevolmente il proprio orientamento, la Corte ha ritenuto legittime le modifiche alla normativa per l'elezione dei consigli regionali approvate dalla regione Valle d'Aosta che stabiliscono che ogni lista di candidati all'elezione del Consiglio regionale deve prevedere la presenza di candidati di entrambi i sessi e che vengano dichiarate non valide dall'ufficio elettorale regionale le liste presentate che non corrispondano alle condizioni stabilite. Venne dunque superata la sentenza del 1995, che aveva affermato che il sesso non poteva essere rilevante ai fini della candidabilità.

Nell'ordinanza n. 39 del 2005, la Corte costituzionale affronta una questione sollevata dal Consiglio di Stato riguardante l'obbligo legislativamente previsto di inserire almeno un terzo di donne nelle Commissioni di concorso, quindi una vera quota di risultato sia pure prevista per un organo amministrativo. Il Consiglio di Stato richiama proprio la sentenza del 1995 a sostegno delle proprie argomentazioni nel senso dell'incostituzionalità della disposizione che prevedeva l'obbligo della presenza femminile. La Corte costituzionale ritiene peraltro che il richiamo alla sentenza del 1995 non è sufficiente alla luce della modifica dell'articolo 51 intervenuta nel 2003 e dichiara pertanto la questione manifestamente inammissibile per carenza di motivazione.

La pronuncia più rilevante sul tema delle misure positive per promuovere le pari opportunità nell'accesso alle cariche elettive è la sentenza n. 4 del 2010, con cui la Corte, richiamando il principio di uguaglianza inteso in senso sostanziale, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Governo relativa all'introduzione della ‘doppia preferenza di genere' da parte della legge elettorale della Campania, in considerazione del carattere promozionale e della finalità di riequilibrio di genere della misura.

Secondo la Corte «il quadro normativo, costituzionale e statutario, è complessivamente ispirato al principio fondamentale dell'effettiva parità tra i due sessi nella rappresentanza politica, nazionale e regionale, nello spirito dell'art. 3, secondo comma, Cost., che impone alla Repubblica la rimozione di tutti gli ostacoli che di fatto impediscono una piena partecipazione di tutti i cittadini all'organizzazione politica del Paese. Preso atto della storica sotto-rappresentanza delle donne nelle assemblee elettive, non dovuta a preclusioni formali incidenti sui requisiti di eleggibilità, ma a fattori culturali, economici e sociali, i legislatori costituzionale e statutario indicano la via delle misure specifiche volte a dare effettività ad un principio di eguaglianza astrattamente sancito, ma non compiutamente realizzato nella prassi politica ed elettorale.».


La rappresentanza di genere nella legislazione elettorale

Nell'ambito degli interventi di promozione dei diritti e delle libertà fondamentali, particolare attenzione è stata posta negli ultimi anni agli interventi volti a dare attuazione all'art. 51 della Costituzione, sulla parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive, incidendo sui sistemi elettorali presenti nei diversi livelli (nazionale, regionale, locale e al Parlamento europeo).

Nelle ultime legislature il Parlamento ha approvato ulteriori misure normative volte a promuovere l'equilibrio di genere all'interno delle assemblee elettive, non solo europee, ma anche locali, regionali e nazionali (la L. n. 215/2012 per le elezioni comunali; la L. n. 56/2014 per le elezioni - di secondo grado - dei consigli metropolitani e provinciali; la L. n. 20/2016 per le elezioni dei consigli regionali; la L. n. 165/2017 per le elezioni del Parlamento). Misure promozionali delle pari opportunità sono state introdotte anche nei più recenti provvedimenti riguardanti la disciplina dei partiti politici.

Dalla Composizione del Governomodifica costituzionale dell'articolo 51 discendono anche le norme inserite nella legge finanziaria 2008, che, disponendo in tema di organizzazione del Governo, stabiliscono che la sua composizione deve essere coerente con il principio costituzionale delle pari opportunità nell'accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive (art. 1, commi 376-377, L. 244/2007).


A livello europeo

Nelle elezioni europee del maggio 2019 hanno trovato applicazione per la prima volta le previsioni a regime introdotte dalla legge 22 aprile 2014, n. 65 per rafforzare la rappresentanza di genere.

In particolare, la legge prevede:

  • la composizione paritaria delle liste dei candidati, disponendosi che i candidati dello stesso sesso non possono essere superiori alla metà, a pena di inammissibilità. Inoltre, i primi due candidati devono essere di sesso diverso;
  • la tripla preferenza di genere: le preferenze devono riguardare candidati di sesso diverso non solo nel caso di tre preferenze, ma anche nel caso di due preferenze. In caso di espressione di due preferenze per candidati dello stesso sesso, la seconda preferenza viene annullata; in caso di espressione di tre preferenze, sono annullate sia la seconda che la terza preferenza.

Sono poi disciplinate le  verifiche dell'ufficio elettorale al fine di garantire il rispetto delle disposizioni sull'equilibrio di genere nelle liste, assicurando al tempo stesso, ove possibile, la conservazione della lista.
Nel caso in cui risulti violata la disposizione sulla presenza paritaria di candidati nelle liste, l'ufficio elettorale procede dunque alla cancellazione dei candidati del sesso sovrarappresentato, partendo dall'ultimo, fino ad assicurare l'equilibrio richiesto. Se, all'esito della cancellazione, nella lista rimane un numero di candidati inferiore al minimo prescritto dalla legge, la lista  è ricusata e non può conseguentemente partecipare alle elezioni.
Nel caso in cui risulti violata la disposizione sull'alternanza di genere tra i primi due candidati, l'ufficio elettorale modifica la lista, collocando dopo il primo candidato quello successivo di genere diverso.

A livello nazionale

Il Elezioni politichesistema elettorale del Parlamento nazionale, definito dalla L. n. 165 del 2017, che prevede sia collegi uninominali da assegnare con formula maggioritaria, sia collegi plurinominali da assegnare con metodo proporzionale (sistema ‘misto'), detta alcune specifiche disposizioni in favore della rappresentanza di genere per le elezioni della Camera e del Senato.

In primo luogo, a pena di inammissibilità, nella successione interna delle liste nei collegi plurinominali, sia della Camera sia del Senato, i candidati devono essere collocati secondo un ordine alternato di genere (quindi 1-1). Al contempo, è previsto che nel complesso delle candidature presentate da ogni lista o coalizione di liste nei collegi uninominali nessuno dei due generi - alla Camera a livello nazionale e al Senato a livello regionale - possa essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento, con arrotondamento all'unità più prossima. Inoltre, nel complesso delle liste nei collegi plurinominali nessuno dei due generi può essere rappresentato nella posizione di capolista in misura superiore al 60 per cento, con arrotondamento all'unità più prossima. Anche tale prescrizione si applica alla Camera a livello nazionale e al Senato a livello regionale. Il calcolo delle suddette quote è effettuato, secondo quanto specificato nelle Istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature a cura del Ministero dell'interno, riferendosi al numero delle candidature e non a quello delle persone fisiche.

Alla Camera l'Ufficio centrale nazionale assicura il rispetto di tali prescrizioni in sede di verifica dei requisiti delle liste (art. 22 TU Camera) comunicando eventuali irregolarità agli Uffici circoscrizionali al fine di apportare eventuali modifiche nella composizione delle liste, assumendo a tal fine rilevanza, anche l'elenco dei candidati supplenti. Al Senato, essendo tali prescrizioni stabilite a livello regionale, spetta all'Ufficio elettorale regionale assicurare il rispetto delle medesime.

Per quanto riguarda la legislazione di contorno, il decreto-legge sull'abolizione del Partiti politicifinanziamento pubblico diretto ai partiti (D.L. 28 dicembre 2013, n. 149, conv. dalla L. n. 13/2014) prescrive, ai fini dell'iscrizione nel registro dei partiti, una serie di requisiti per lo statuto dei partiti, tra i quali rientra l'indicazione delle "modalità per promuovere, attraverso azioni positive, l'obiettivo della parità tra i sessi negli organismi collegiali e per le cariche elettive, in attuazione dell'art. 51 Cost." (art. 3, comma 2, lett. f). L'articolo 9 del medesimo decreto disciplina espressamente la parità di accesso alle cariche elettive, sancendo innanzitutto il principio che i partiti politici promuovono tale parità.

In attuazione di tale principio, sono riprese e rafforzate due disposizioni contenute nella precedente legislazione sul finanziamento pubblico ai partiti (L. n. 157/1999, art. 3; L. n. 96/2012, art. 1, comma 7, e art. 9, comma 13).

In primo luogo, per riequilibrare l'accesso alle Candidature alle politiche ed europeecandidature nelle elezioni, è prevista la riduzione delle risorse spettanti a titolo di ‘due per mille' nel caso in cui, nel numero complessivo dei candidati presentati da un partito per ciascuna elezione della Camera, del Senato e del Parlamento europeo, uno dei due sessi sia rappresentato in misura inferiore al 40 per cento. In particolare, la misura della riduzione è pari allo 0,5% per ogni punto percentuale al di sotto del 40 per cento, fino al limite massimo complessivo del 10% (art. 9, comma 2, D.L. n. 149/2013).

In Partecipazione attiva delle donne alla politicasecondo luogo, ai partiti politici che non abbiano destinato una quota pari ad almeno il 10 per cento delle somme ad essi spettanti a titolo di ‘due per mille' ad iniziative volte ad accrescere la partecipazione attiva delle donne alla politica, la Commissione di garanzia sui partiti politici applica una sanzione amministrativa pecuniaria pari a un quinto delle somme ad essi spettanti a titolo di 'due per mille'. (art. 9, comma 3).

E' infine previsto un meccanismo premiale per i partiti che eleggono candidati di entrambi i sessi. Le risorse derivanti dall'applicazione delle due disposizioni esaminate confluiscono infatti in un apposito fondo, annualmente ripartito tra i partiti iscritti nell'apposito registro, per i quali la percentuale di eletti – e non di semplici candidati - del sesso meno rappresentato sia pari o superiore al 40 per cento (art. 9, commi 4 e 5).

La legge n. 215/2012, modificando la legge sulla Par condiciopar condicio, ha infine introdotto una disposizione di principio, secondo cui i mezzi di informazione, nell'ambito delle trasmissioni per la comunicazione politica, sono tenuti al rispetto dei principi di pari opportunità tra donne e uomini sanciti dalla Costituzione.


A livello regionale

Dopo la Le leggi elettorali regionalimodifica degli articoli 122 e 123 della Costituzione, che ha dato avvio al processo di elaborazione di nuovi statuti regionali e di leggi per l'elezione dei consigli nelle regioni a statuto ordinario, tutte le regioni che hanno adottato norme in materia elettorale hanno introdotto disposizioni specifiche per favorire la parità di accesso alle cariche elettive, in attuazione dell'art. 117, settimo comma, Cost.

Inoltre, Principi dei sistemi elettorali regionaliper rafforzare le garanzie di parità nella rappresentanza regionale, nella XVII legislatura il Parlamento ha approvato la legge 15 febbraio 2016, n. 20, che ha introdotto, tra i principi fondamentali in base ai quali le Regioni sono tenute a disciplinare con legge il sistema elettorale regionale, l'adozione di specifiche misure per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell'accesso alle cariche elettive.

A tal fine, con la modifica della legge n. 165/2004, che - in attuazione dell'articolo 122, primo comma, della Costituzione - reca per l'appunto i principi fondamentali concernenti il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della giunta regionale, nonché dei consiglieri regionali, la legge nazionale non si limita a prevedere tra i principi, come stabilito nel testo originario, la "promozione della parità tra uomini e donne nell'accesso alle cariche elettive attraverso la predisposizione di misure che permettano di incentivare l'accesso del genere sottorappresentato alle cariche elettive", ma indica anche le specifiche misure adottabili, declinandole sulla base dei diversi sistemi elettorali per la scelta della rappresentanza dei consigli regionali.

Al riguardo, la legge prevede tre ipotesi:

  1. Liste con preferenze: qualora la legge elettorale regionale preveda l'espressione di preferenze, sono previsti due meccanismi per promuovere la rappresentanza di genere: a) quota di lista del 40 per cento (in ciascuna lista i candidati di uno stesso sesso non devono eccedere il 60 per cento del totale); b) preferenza di genere (deve essere assicurata l'espressione di almeno due preferenze, di cui una riservata a un candidato di sesso diverso. In caso contrario, le preferenze successive alla prima sono annullate).
  2. Liste ‘bloccate': nel caso in cui la legge elettorale regionale preveda le liste senza espressione di preferenze, deve essere prevista l'alternanza tra candidati di sesso diverso, in modo tale che i candidati di un sesso non eccedano il 60 per cento del totale.
  3. Collegi uninominali: nel caso in cui il sistema elettorale regionale preveda collegi uninominali, nell'ambito delle candidature presentate con il medesimo simbolo i candidati di un sesso non devono eccedere il 60 per cento del totale.

L'entrata in vigore della legge del 2016 ha indotto le regioni, la cui legislazione elettorale non soddisfaceva gli elementi richiesti, ad introdurre le modifiche necessarie per adeguarsi alla normativa di principio. In relazione al mancato adeguamento della legislazione elettorale è di recente intervenuto il decreto-legge n. 86 del 2020 al fine di stabilire che il mancato recepimento nella legislazione regionale in materia di sistemi di elezione del Presidente, degli altri componenti della Giunta regionale e dei Consigli regionali dei principi fondamentali posti dall'articolo 4 della legge n. 165 del 2004 integra la fattispecie di mancato rispetto di norme di cui all'articolo 120 della Costituzione (l'articolo che disciplina l'esercizio dei poteri sostitutivi) e, contestualmente, costituisce presupposto per l'assunzione delle misure sostitutive ivi contemplate.

Contestualmente il medesimo decreto (art. 1, co. 2-3) ha attivato il potere sostitutivo dello Stato nei confronti della regione Puglia a causa del mancato adeguamento della legislazione elettorale ai principi della L. n. 165/2014, in relazione alle elezioni del Consiglio regionale del 20 e 21 settembre 2020.

A tale fine, in tale regione per le elezioni del Consiglio regionale "in luogo delle vigenti disposizioni regionali in contrasto con i principi della legge n. 165 del 2004 e salvo sopravvenuto autonomo adeguamento regionale ai predetti principi" è stata introdotta  la "doppia preferenza di genere", nonché è stata disposta la nomina del prefetto di Bari a commissario straordinario "con il compito di provvedere agli adempimenti conseguenti per l'attuazione del decreto", ivi compresa la ricognizione delle disposizioni regionali incompatibili con la doppia previsione di genere.
Il prefetto di Bari, in veste di commissario straordinario, ha quindi emanato il 3 agosto 2020 un provvedimento con il quale, in virtù della ricognizione effettuata della legislazione elettorale della regione Puglia incompatibile con le disposizioni del decreto legge, ha indicato la formulazione che deve ritenersi applicabile dell'articolo 7, commi 1, 3, 5, 6, 7 e 8, della legge regionale n. 2 del 2005, recante la descrizione della scheda elettorale. Nel medesimo giorno, il Presidente della Giunta regionale ha, con propri decreti, indetto le elezioni (DPGR 324 del 3 agosto 2020), stabilito il numero di seggi assegnati alle singole circoscrizioni (DPGR 325 del 3 agosto 2020), dettato le regole di composizione e sottoscrizione delle liste (DPGR 326 del 3 agosto 2020) e stabilito il modello di scheda elettorale (DPGR 327 del 3 agosto 2020).

Di seguito si offre un quadro di sintesi delle disposizioni vigenti per ciascuna regione.

 

Nelle regioni che non hanno adottato una propria legge elettorale – è questo il caso della regione Piemonte - il sistema elettorale è disciplinato dalla normativa nazionale, costituita da un complesso di norme il cui nucleo fondamentale è rappresentato della disposizioni della legge n. 108/1968, della legge n. 43/1995, dell'articolo 5 della legge costituzionale n. 1/1999 ed infine della legge n. 165/2004, che stabilisce i principi cui sottostà la potestà legislativa della regione in materia elettorale. Nelle fonti richiamate non si rinvengono disposizioni specifiche sulla garanzia della parità di genere (al di là dei principi sanciti nella L. n. 165/2004, rafforzati dalle più recenti disposizioni della L. n. 20/2016 ).

 

Le Regioni a statuto ordinariomisure sono diverse e prevalentemente incentrate sulle cosiddette 'quote di lista', ossia sull'obbligo di inserire nelle liste di candidati una quota minima di candidati del genere meno rappresentato, variabile tra un terzo e la metà. Le quote di lista sono applicate in sistemi elettorali proporzionali, con premio di maggioranza e con voto di preferenza. Inoltre la maggioranza delle regioni ha messo a punto uno strumento ulteriore, ossia la ‘doppia preferenza di genere', misura adottata per la prima volta dalla regione Campania e successivamente ripresa dalla legge elettorale per i comuni e da altre leggi elettorali regionali.

 

Nel dettaglio, la regione Campania (L.R. 4/2009, art. 10, comma 2) pone il limite di due terzi alla presenza di candidati di ciascun sesso in ogni lista provinciale o circoscrizionale, con arrotondamento all'unità più vicina. 

Per le regioni Abruzzo (L.R. 9/2013, art. 1, comma 4), Puglia (L.R. 2/2005, art. 8, comma 13), Umbria (L.R. 4/2015, art. 9), Molise (L.R. 20/2017, art. 7), Basilicata (L.R. 20/2018, art. 3, co. 3), Liguria (L.R. 18/2020, art. 6, comma 2) e Calabria (L.R. 1/2005, art. 1, comma 6, come mod. da L.R. 17/2020) la nuova disciplina elettorale dispone che in ogni lista circoscrizionale nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al 60% dei candidati. In caso di quoziente frazionario si procede all'arrotondamento all'unità più vicina (Abruzzo, Calabria e Puglia) ovvero all'arrotondamento all'unità superiore per il genere sottorappresentato (Umbria). La regione Marche (L.R.  27/2004, art. 9, comma 6, come mod. da L. 36/2019), invece, individua il limite minimo, per cui nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura inferiore al 40% dei candidati presentati, con arrotondamento all'unità superiore in caso di decimale.

Le regioni Lazio (L.R. 2/2005, art. 3, comma 2, come mod. da L.R. 10/2017), Veneto (L.R. 5/2012, art. 13, comma 6) ed Emilia Romagna (L.R. 21/2014, art. 8) dispongono che in ogni lista provinciale o circoscrizionale i rappresentanti di ciascun genere devono essere presenti in misura eguale, se il numero dei candidati è pari. Nel caso in cui il numero dei candidati sia dispari, invece, ciascun genere deve essere rappresentato in numero non superiore di una unità rispetto all'altro. Solo la regione Veneto prevede anche l'ordine alternato di genere nella composizione della lista.

Nelle regioni Lombardia (L.R. 17/2012, art. 1, comma 11, come mod. da L. 38/2017), Veneto (L.R. 5/2012, art. 13, comma 6) e Toscana (L.R. 51/2014, art. 8, comma 6) si prevede che le liste devono essere composte seguendo l'ordine dell'alternanza di genere. Nella regione Toscana, inoltre, in relazione alle candidature regionali, queste devono essere distintamente indicate rispetto alle candidature circoscrizionali ed elencate in ordine alternato di genere (art. 8, co. 5).

 

Nella maggioranza dei casi l'inosservanza del limite è causa di inammissibilità della lista; nelle regioni Lazio e Puglia, invece, è causa di riduzione dei rimborsi elettorali (sanzione che si somma all'inammissibilità della lista nella regione Lazio), nella regione Basilicata i candidati eccedenti vengono esclusi dalla lista, a partire da quelli collocati in coda.

Oltre alla presentazione delle liste, le leggi delle regioni Campania (L.R. 4/2009, art. 4, comma 3), Toscana (L.R. 51/2014, art. 14, comma 3), Emilia Romagna (L.R. 21/2014, art. 10, comma 2), Umbria (L.R. 4/2015, art. 13), Lazio (L.R. 2/2005, art. 5-bis, comma 4, come mod. da L.R. 10/2017), Lombardia (L.R. 17/2012, art. 1, comma 21, come mod. da L.R. 38/2017), Molise (L.R. 20/2017, art. 10, comma 1, come mod. da L.R. 1/2018), Marche (L.R. 27/2004, art. 16, comma 6, come mod. da L.R. 36/2019), Veneto (L.R. 5/2012, art. 20, comma 5, come mod. da L.R. 19/2018), Abruzzo (L.R. 9/2013, art. 9, comma 1, come mod. da L.R. 15/2018), Basilicata (L.R. 20/2018, art. 17, co. 2), Liguria (L.R. 18/2020, art. 7, comma 5) e Calabria (L.R. 1/2005, art. 2, comma 2, come mod. da L.R. 17/2020) hanno introdotto nel rispettivo sistema elettorale disposizioni sul principio della c.d. doppia preferenza di genere. La legge regionale, in questi casi, prevede la possibilità per l'elettore di esprimere uno o due voti di preferenza, prescrivendo che nel caso di espressione di due preferenze, esse devono riguardare candidati di genere diverso della stessa lista, pena l'annullamento della seconda preferenza.

La legge della regione Campania (L.R. 4/2009, art. 10, comma 4) e della regione Molise (L.R. 20/2017, art. 7), infine, contengono disposizioni sulla rappresentanza di genere nella campagna elettorale, in base alle quali i soggetti politici devono assicurare la presenza paritaria di candidati di entrambi i generi nei programmi di comunicazione politica e nei messaggi autogestiti.

 

Regioni a statuto specialePer quanto concerne le regioni a statuto speciale e le province autonome, anch'esse hanno adottato norme in materia elettorale, tra cui disposizioni per favorire l'accesso alle cariche elettive di entrambi i sessi, come disposto dalla legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2, relativa all'elezione diretta dei Presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano.

Le disposizioni sono diversificate, tutte contengono obblighi nella presentazione delle liste:

  • per la regione Valle d'Aosta, in ogni lista di candidati all'elezione del Consiglio regionale ogni genere non può essere rappresentato in misura inferiore al 35 per cento, arrotondato all'unità superiore (art. 3-bis, L.R. 3/1993 come modificato da ultimo dalla L.R. 7/2019); in sede di esame e ammissione delle liste, l'Ufficio elettorale regionale riduce al limite prescritto quelle contenenti un numero di candidati superiore al numero massimo prescritto, cancellando gli ultimi nomi; dichiara non valide le liste che non corrispondano alle predette condizioni (art. 9, comma 1, L.R. 3/1993 come modificato da ultimo dalla L.R. 16/2017). Durante la campagna elettorale, nella partecipazione ai programmi di comunicazione politica offerti dalle emittenti radiotelevisive pubbliche e private, nonché negli altri mezzi di comunicazione, i soggetti politici devono garantire la presenza di candidati di entrambi i generi (art. 3-ter, L.R. 3/1993 come modificato da ultimo dalla L.R. 22/2007);
  • per la regione Friuli-Venezia Giulia ogni lista circoscrizionale deve contenere, a pena di esclusione, non più del 60 per cento di candidati dello stesso genere; nelle liste i nomi dei candidati sono alternati per genere fino all'esaurimento del genere meno rappresentato; al fine di promuovere le pari opportunità, la legge statutaria prevede inoltre forme di incentivazione o penalizzazione nel riparto delle risorse spettanti ai gruppi consiliari (è considerato ‘sottorappresentato' quello dei due generi che, in Consiglio, è rappresentato da meno di un terzo dei componenti) e disposizioni sulla campagna elettorale. I soggetti politici devono assicurare la presenza paritaria di candidati di entrambi i generi nei programmi di comunicazione politica offerti dalle emittenti radiotelevisive pubbliche e private e, per quanto riguarda i messaggi autogestiti previsti dalla vigente normativa sulle campagne elettorali, devono mettere in risalto con pari evidenza la presenza dei candidati di entrambi i generi nelle liste presentate dal soggetto politico che realizza il messaggio (art. 23, comma 2 e art. 32, L.R. 17/2007);
  • nella Regione siciliana, tutti i candidati di ogni lista regionale dopo il capolista devono essere inseriti secondo un criterio di alternanza tra uomini e donne; una lista provinciale non può includere un numero di candidati dello stesso sesso superiore a due terzi del numero dei candidati da eleggere nel collegio (art. 14, comma 1, L.R. 29/1951, come modificato dalla L.R. 7/2005);
  • nella Provincia autonoma di Trento, in ciascuna lista di candidati nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore all'altro, se non quando il numero delle candidature della lista è dispari: in tal caso è ammesso che un genere sia sovrarappresentato di un'unità. Per assicurare il criterio della parità l'ufficio elettorale eventualmente riduce il numero dei candidati delle liste cancellandoli a partire dall'ultimo e, a seguito di tali operazioni, ricusa le liste che contengono un numero di candidati inferiore al minimo prescritto. Inoltre, nelle liste si alternano candidature di genere diverso. L'Ufficio centrale circoscrizionale può eventualmente correggere l'ordine di elencazione dei candidati e delle candidate, mantenendo il capolista e rispettando l'ordine di presentazione all'interno dello stesso genere. A seguito di tali operazioni le liste che contengono un numero di candidati superiore al massimo consentito sono ridotte, cancellando gli ultimi nomi (art. 25 co. 6-bis e art. 30 co. 1 L.P. 2/2003 come modificata dalla L.P. 4/2018). Si prevede inoltre la doppia preferenza di genere (art. 63, comma 3, L.P. 2/2003, come modificato dalla L.P. 4/2018);
  • nella Regione Sardegna, la legge regionale statutaria n. 1 del 2013 stabilisce che in ciascuna lista circoscrizionale ogni genere è rappresentato in misura eguale; nel caso di lista circoscrizionale con due soli componenti, a pena di esclusione, devono essere rappresentati entrambi i generi (Legge regionale statutaria 1/2013, art. 4, come mod. da L.R. Stat. 1/2018). E' prevista la doppia preferenza di genere (art. 9, co. 4, Legge regionale statutaria 1/2013, come mod. da L.R. Stat. 1/2018);
  • nella Provincia autonoma di Bolzano, in ciascuna lista di candidati nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore a due terzi del numero dei candidati della lista, con eventuale arrotondamento all'unità più prossima; nella lista in cui non venga rispettata tale quota, sono cancellati i nominativi dei candidati che eccedono la quota prevista, a partire dall'ultima candidata/dall'ultimo candidato del genere che eccede la quota (art. 16, comma 8, L.P. 14/2017); non ci sono norme, invece, concernenti la preferenza di genere (l'elettore può esprimere fino a 4 preferenze, art. 43, L.P. 14/2017).


A livello di città metropolitane e province

La legge 7 aprile 2014, n. 56, sull'istituzione delle Consigli metropolitani e provincialiCittà metropolitane ed il riordino delle province, come è noto, ha eliminato l'elezione diretta dei consigli provinciali.

I consigli metropolitani (organi delle nuove città metropolitane) ed i consigli provinciali sono organi elettivi di secondo grado; l'elettorato attivo e passivo spetta ai sindaci ed ai consiglieri comunali dei rispetti territori.

L'elezione di questi due organi avviene con modalità parzialmente differenti, che comunque prevedono l'espressione di un voto di preferenza e la ponderazione del voto (in base ad un indice rapportato alla popolazione complessiva della fascia demografica di appartenenza del comune).

Al fine di promuovere la rappresentanza di genere, nelle liste nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento, con arrotondamento all'unità superiore per i candidati del sesso meno rappresentato, a pena di inammissibilità. Tale disposizione ha trovato applicazione a decorrere dal 2018 (art. 1, commi 27-28 e commi 71-72).

Non è prevista la possibilità della doppia preferenza di genere, in quanto ritenuta incompatibile con il sistema del voto ponderato.

Non è inoltre più prevista la giunta, ma un altro organo assembleare (consiglio metropolitano nelle città metropolitane e assemblea dei sindaci nelle province), composto da tutti i sindaci del territorio.


A livello comunale

La Elezioni comunalilegge 23 novembre 2012, n. 215, approvata sul finire della XVI legislatura, reca alcune disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali.

Per l'elezione dei consigli comunali, nei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti la legge contempla una duplice misura volta ad assicurare il riequilibrio di genere:

  • la previsione della c.d. quota di lista: nelle liste dei candidati nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore a due terzi. E' previsto l'arrotondamento all'unità superiore per il genere meno rappresentato, anche in caso di cifra decimale inferiore a 0,5;
  • l'introduzione della c.d. doppia preferenza di genere, che consente all'elettore di esprimere due preferenze (anziché una, come previsto dalla normativa previgente) purché riguardanti candidati di sesso diverso, pena l'annullamento della seconda preferenza. Resta comunque ferma la possibilità di esprimere una singola preferenza.

In caso di violazione delle disposizioni sulla quota di lista, peraltro, è previsto un meccanismo sanzionatorio differenziato, a seconda che la popolazione superi o meno i 15.000 abitanti, che di fatto rende la quota effettivamente vincolante solo nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti.

In particolare, nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, la Commissione elettorale, in caso di mancato rispetto della quota, riduce la lista, cancellando i candidati del genere più rappresentato, partendo dall'ultimo, fino ad assicurare il rispetto della quota; la lista che, dopo le cancellazioni, contiene un numero di candidati inferiore al minimo prescritto dalla legge è ricusata e, dunque, decade.
Nei comuni con popolazione compresa fra 5.000 e 15.000 abitanti, la Commissione elettorale, in caso di mancato rispetto della quota, procede anche in tal caso alla cancellazione dei candidati del genere sovrarappresentato partendo dall'ultimo; la riduzione della lista non può però determinare un numero di candidati inferiore al minimo prescritto dalla legge. Ne deriva che l'impossibilità di rispettare la quota non comporta la decadenza della lista.

Per i comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti è comunque previsto che nelle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi. Tale disposizione, che risulta peraltro sprovvista di sanzione, ha particolare rilievo per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, nei quali non si applica la quota di lista. 

Le disposizioni per l'elezione dei consigli dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti volte a garantire la parità di accesso di donne e uomini alle cariche elettive si applicano anche alle elezioni dei consigli circoscrizionali, secondo le disposizioni dei relativi statuti comunali.

Per gli Giunte comunaliesecutivi, la legge n. 215/2012 prevede inoltre che il sindaco nomina la giunta nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi. Uguale disposizione è inserita nell'ordinamento di Roma capitale, per quanto riguarda la nomina della Giunta capitolina.

Anche la legge n. 56/2014 è intervenuta su questo punto introducendo una disposizione più incisiva: nelle giunte comunali, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico; sono esclusi dall'ambito di applicazione della norma i comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti.

La Organi collegialilegge n. 215/2012 ha inoltre modificato la norma che disciplina il contenuto degli statuti comunali e provinciali con riferimento alle pari opportunità. In particolare, è previsto che gli statuti stabiliscono norme per "garantire" - e non più semplicemente "promuovere" - la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti.


Focus: equilibrio di genere e prima applicazione della legge 165/2017

Come accennato supra, per la prima volta nell'ambito della disciplina delle elezioni per la Camera e per il Senato, la legge 165 del 2017 ha previsto specifiche prescrizioni nella presentazione delle candidature volte a garantire l'equilibrio di genere nella rappresentanza politica. Si ricorda che già la L. 52/2015 aveva introdotto specifiche prescrizioni in materia ma tale disciplina non ha mai trovato applicazione nelle tornate elettorali, essendo successivamente intervenuta la L. 165/2017.

La legge prescrive che per garantire la parità di genere, nella successione interna delle liste nei collegi plurinominali, i candidati sono collocati secondo un ordine alternato di genere, a pena di inammissibilità della lista medesima (D.P.R. 361/1957, art. 18-bis, comma 3; D.Lgs. 533/1993, art. 9, comma 4). Inoltre, nel complesso delle candidature presentate dalle liste e coalizioni di liste nei collegi uninominali e, limitatamente ai capilista, dalle liste nei collegi plurinominali, nessuno dei due generi può essere rappresentato - a livello nazionale, alla Camera, a livello regionale, al Senato - in misura superiore al 60 per cento, con arrotondamento all'unità più prossima (D.P.R. 361/1957, art. 18-bis, comma 3.1; D.Lgs. 533/1993, art. 9, comma 4-bis). L'Ufficio centrale nazionale assicura il rispetto di tali prescrizioni in sede di verifica dei requisiti, comunicando eventuali irregolarità agli Uffici centrali circoscrizionali al fine di apportare eventuali modifiche nella composizione delle liste. A tal riguardo, assume rilevanza, ai fini di possibili modifiche delle liste e candidature, anche l'elenco dei candidati supplenti (Ministero dell'interno, Elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica 4 marzo 2018, Istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature, gennaio 2018, pp. 77-78).

Da un'analisi dei dati risultanti dal complesso di tutte le candidature presentate alle elezioni 2018 emerge che per l'elezione della Camera sono stati presentati:

  • nei collegi uninominali, il 57,3% (1.440) di candidati di sesso maschile e il 42,7% (1.072) di sesso femminile;
  • nei collegi plurinominali, il 52,3% (1.869) di candidature di sesso maschile e il 47,7% (1.706) di sesso femminile.

Per l'elezione del Senato sono stati presentati:

  • nei collegi uninominali, il 55,1% (696) di candidati di sesso maschile e il 44,9% (566) di sesso femminile;
  • nei collegi plurinominali, il 52,1% (996) di candidature di sesso maschile e il 47,9% (916) di sesso femminile.

Confrontando i dati sulle candidature con i precedenti disponibili, elaborati nel Rapporto finale OSCE relativo alle elezioni politiche 2006, emerge che le donne erano pari al 24% dei candidati alla Camera e il 21% dei candidati al Senato (e ottennero poi 109 seggi alla Camera (17,3%) e 45 seggi al Senato (14,3%).

Pertanto, dal 2006 ad oggi si assiste ad un significativo aumento della percentuale di candidature di sesso femminile, sia alla Camera che al Senato, come evidenziato nei due grafici che seguono.

Per quanto riguarda i risultati elettorali, la percentuale di donne elette alla Camera risulta pari al 35,7% (225 su 630), in crescita rispetto alla precedente legislatura (+4,3%), la quale, a sua volta, aveva fatto registrare un incremento di circa il 10 per cento rispetto alla XVI legislatura.

Al Senato, la percentuale complessiva di donne elette è pari al 34,7% (109 su 314), in crescita rispetto alla XVII legislatura (+5,5%) che aveva già fatto registrare un significativo aumento rispetto alla legislatura precedente (+11,1%).

All'aumento delle candidature di sesso femminile ha dunque fatto seguito un aumento delle elette. Analizzando i dati più nel dettaglio, alla Camera:

  • nei collegi uninominali, a fronte del 42,7% di candidate, sono donne il 35,3% degli eletti in tali collegi (82 su 232);
  • nei collegi plurinominali, a fronte del 47,7% di candidature di sesso femminile, sono donne il 36% degli eletti in tali collegi (139 su 386).

Per quanto riguarda l'elezione del Senato:

  • nei collegi uninominali, a fronte del 44,9% di candidate, sono donne il 38,9% degli eletti in tali collegi (45 su 116);
  • nei collegi plurinominali, a fronte del 47,9% di candidature di sesso femminile, sono donne il 32,1% degli eletti in tali collegi (62 su 193).