Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni
Titolo: Riduzione del numero dei Parlamentari. Il testo di legge costituzionale e il referendum ex art. 138 della Costituzione
Riferimenti: AC N.1585/XVIII
Serie: Documentazione e ricerche   Numero: 117
Data: 19/08/2020
Organi della Camera: I Affari costituzionali

Riduzione del numero dei Parlamentari

Il testo di legge costituzionale

e il referendum ex art. 138

della Costituzione

 

 

 

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Documentazione e ricerche n. 117

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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INDICE

 

Schede di lettura

Il testo di legge costituzionale sulla riduzione del numero dei seggi parlamentari 3

L’iter parlamentare del testo di legge costituzionale. 18

La richiesta di referendum popolare confermativo e l’indizione del referendum   21

Il voto degli italiani all’estero per i referendum.. 25

Il referendum costituzionale e la disciplina sulla propaganda elettorale. 29

Testo a fronte

Articoli 56, 57 e 59 Cost. 39

Schede di Approfondimento

Il numero dei parlamentari nella Costituzione e i precedenti progetti di riforma  43

Dati ed elementi di diritto comparato: le Camere 'basse' 47

Un raffronto numerico tra le Camere 'alte' 54

 


Schede di lettura

 


Il testo di legge costituzionale sulla riduzione del numero dei seggi parlamentari

 

Nella Gazzetta Ufficiale del 12 ottobre 2019 è stato pubblicato il testo della legge costituzionale, che prevede la riduzione del numero dei parlamentari: da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori elettivi. Sono a tal fine modificati gli articoli 56, secondo comma, e 57, secondo comma, della Costituzione.

Il testo è stato approvato dal Senato, in seconda deliberazione, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, nella seduta dell'11 luglio 2019, e dalla Camera dei deputati, in seconda deliberazione, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, nella seduta dell'8 ottobre 2019.

Essendosi verificate le condizioni previste dall’art. 138 Cost., il testo di legge è sottoposto a referendum popolare confermativo.

Con il decreto del Presidente della Repubblica 17 luglio 2020 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 18 luglio 2020) sono stati convocati i comizi elettorali relativi alla consultazione referendaria per il 20 e 21 settembre 2020.

 

Il contenuto della legge costituzionale

Il testo di legge costituzionale dispone per ciascuno dei due rami del Parlamento, una riduzione pari – in termini percentuali – al 36,5 per cento degli attuali componenti elettivi.

Passano da 630 a 400 i componenti della Camera dei deputati a da 315 a 200 i senatori elettivi.

 

Si ricorda che la formulazione originaria del testo degli articoli 56 e 57 Cost., come approvati dall’Assemblea costituente, non prevedeva un numero fisso di parlamentari bensì un rapporto numerico costante tra gli abitanti e gli eletti, in modo che il numero dei parlamentari potesse mutare con il variare della popolazione. In particolare, era previsto che fosse eletto un deputato ogni 80.000 abitanti o frazione superiore a 40.000 abitanti: al contempo, per ogni regione era eletto un senatore ogni 200.000 abitanti o frazione superiore a 100.000 abitanti, con un minimo di sei senatori, fatta eccezione per la Valle d’Aosta alla quale si attribuiva un unico seggio.

Con la legge costituzionale n. 2 del 1963 il numero dei senatori elettivi è divenuto la metà di quelli della Camera, fissati in 630, a prescindere dalla variazione della popolazione; è stato altresì stabilito che nessuna regione potesse avere meno di sette senatori ad eccezione della Valle d’Aosta (uno) e del Molise (due).

Va infine ricordato come con la legge costituzionale n. 1 del 2000, alla luce dell’istituzione della circoscrizione Estero – nella quale sono eletti 12 deputati e 6 senatori - e del riconoscimento del diritto di voto ai cittadini italiani residenti all’estero, è rimasto immodificato il numero dei deputati e dei senatori elettivi mentre sono stati proporzionalmete ridotti i seggi attribuiti nelle circoscrizioni elettorali del territorio nazionale.

 

Nel dettaglio, l’articolo 1 modifica l’articolo 56 della Costituzione, che stabilisce in 630 il numero attuale dei deputati, 12 dei quali eletti nella circoscrizione Estero (secondo comma).

A seguito delle modificazioni previste, quindi, il numero complessivo dei deputati scende a 400 (anziché 630) ed il numero degli eletti nella circoscrizione Estero diviene pari a 8 deputati (anziché 12).

 

A seguito della modifica costituzionale muta dunque il numero medio di abitanti per ciascun parlamentare eletto.

Per la Camera dei deputati tale rapporto aumenta da 96.006 a 151.210. Il numero medio di abitanti per ciascun senatore cresce, a sua volta, da 188.424 a 302.420 (per una prospettiva comparata tra le Camere ‘basse’ si veda Tabella 1 in schede di approfondimento infra, dati popolazione Eurostat).

 

La variazione del numero complessivo dei parlamentari si riflette – nel momento in cui si ripartiscono i seggi nelle singole circoscrizioni in base alla popolazione - in maniera differente (si vedano la tabella che seguono).

Tale differenza è chiaramente più marcata al Senato dove la Costituzione definisce un numero minimo di senatori per regione, che il testo di riforma costituzionale fissa ora in tre senatori per Regione o Provincia autonoma, ferma restando la previsione vigente dell’articolo 57, terzo comma della Costituzione relativa alle rappresentanze del Molise (2 senatori) e della Valle d’Aosta (1 senatore) (v. infra).

 


 

La Tabella che segue riporta, per la Camera dei deputati, la ripartizione tra circoscrizioni – in base alla popolazione risultante dal censimento 2011 – dei deputati da eleggere nel terriorio nazionale nel testo vigente della Costituzione (colonna grigia) e nel testo di legge costituzionale sottoposto a referendum (colonna verde).

 

 


 

Per il Senato, l’articolo 2 novella l’articolo 57 della Costituzione, determinando in 200 (anziché 315) il numero dei senatori elettivi. Entro tale numero, i senatori da eleggere nella circoscrizione Estero scendono da 6 a 4.

La riduzione della composizione numerica complessiva del Senato importa, come già ricordato,  la riduzione del numero minimo di senatori eletti per Regione.

Il vigente articolo 57, al terzo comma, stabilisce infatti che “nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due; la Valle d’Aosta uno”.

 

Fu la legge costituzionale n. 2 del 1963, che - individuando per i deputati e i senatori elettivi un numero fisso, a prescindere dalla variazione della popolazione nazionale – stabilì che nessuna regione potesse avere meno di sette senatori ad eccezione della Valle d’Aosta (uno) e del Molise (due), regione quest’ultima istituita con la legge costituzionale n. 3 del 1963. Per la Valle d’Aosta, oltre ad una ragione legata al limitato peso demografico, si è aggiunto anche il collegamento simmetrico con l’articolo 83, secondo comma, Cost. secondo cui tale regione partecipa alla formazione del collegio per l’elezione del Presidente della Repubblica, oltre che con i suoi parlametari, con un solo delegato del Consiglio regionale (a differenza dei tre delle altre regioni).

 

La predeterminazione di un numero minimo di senatori per Regione importa, com’è noto, una variazione rispetto alla ripartizione di seggi tra Regioni quale si avrebbe qualora si seguisse invece un'assegnazione solo proporzionale alla popolazione, senza alcuna soglia numerica minima di rappresentanza senatoriale regionale. Qualora non vi fosse soglia, infatti, si avrebbe una ripartizione dei seggi 'integralmente' proporzionale che darebbe luogo a numeri esigui di seggi in alcune regioni se il riferimento fosse solo alla popolazione.

 

Il testo di legge costituzionale individua tale numero minimo – alla luce della riduzione a 196 del numero di senatori eletti sul territorio nazionale - in tre senatori per Regione o Provincia autonoma, lasciando al contempo immodificata la previsione vigente dell’articolo 57, terzo comma della Costituzione relativa alle rappresentanze del Molise (2 senatori) e della Valle d’Aosta (1 senatore).

La previsione relativa al numero minimo di senatori troverebbe applicazione oltre che per il Molise (cui spetterebbe 1 senatore in base ad un riparto puramente proporzionale), per le province autonome di Trento e di Bolzano e per la Basilicata (cui altrimenti spetterebbero 2 senatori).

Viene al contempo previsto, per la prima volta nella Carta costituzionale, un numero minimo di seggi senatoriali riferito alle Province autonome di Trento e di Bolzano.

 

In base all’articolo 116, secondo comma, della Costituzione la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano. A sua volta, gli articoli 1 e 3 dello statuto speciale della Regione (definito con l. cost. 26 febbraio 1948, n. 5, l. cost. 31 dicembre 1962, n. 1777, l. cost. 10 novembre 1971, n. 1 e l. cost. 23 febbraio 1972, n. 1) prevedono che la regione comprende nel suo territorio le province di Trento e di Bolzano. Le province sono considerate enti distinti e autonomi rispetto alla regione: ad esse sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, secondo la disciplina statutaria (art. 3, secondo comma, dello statuto). Ad entrambe le province autonome di Trento e di Bolzano è attribuita una competenza legislativa che si differenzia da quella delle altre province che dispongono di una competenza normativa solo di tipo regolamentare e in un ambito più circoscritto di materie. Le diversità tra le due province autonome derivano dalle peculiari previsioni dello statuto e delle relative norme d'attuazione per la provincia di Bolzano in funzione delle peculiari tutele per la minoranza linguistica. Il Consiglio regionale, a sua volta, è composto dai membri dei Consigli provinciali di Trento e di Bolzano.

Per quanto riguarda la vigente legislazione elettorale, il Trentino Alto Adige è costituito in un’unica circoscrizione elettorale (sia per l’elezione dei componenti della Camera sia del Senato).

La legge 30 dicembre 1991, n. 422, recante “Elezioni del Senato della Repubblica per l'attuazione della misura 111 a favore della popolazione alto-atesina”, con la quale sono state modificate le circoscrizioni territoriali dei collegi della Regione Trentino-Alto Adige per l'elezione del Senato, prevede che siano costituiti sei collegi uninominali, di cui definisce il perimetro. L’assetto dei sei collegi è stato mantenuto nella cd. Legge Mattarella (n. 276 del 1993) per il Senato[1] e successivamente nella legge n. 270 del 2005, che ha previsto una disciplina speciale per l’elezione dei senatori del Trentino-Alto Adige, con l’elezione di 6 senatori con sistema maggioritario nei 6 collegi e di un senatore con sistema proporzionale nell’ambito della Regione. Sei collegi uninominali sono previsti altresì dalla legge 165 del 2017 sia per la Camera sia per il Senato (richiamando i collegi della predetta legge 422), cui si aggiungono i seggi attribuiti con metodo proporzionale (in base al sistema vigente sono eletti nel collegio plurinominale 5 deputati e 1 senatore).

 

 


 

 

La Tabella che segue riporta, per il Senato della Repubblica, la ripartizione tra circoscrizioni regionali – in base alla popolazione risultante dal censimento 2011 e fermo restanto il numero minimo di senatori previsto dall’art. 57 Cost. – dei senatori da eleggere nel territorio nazionale nel testo vigente della Costituzione (colonna grigia) e nel testo di legge costituzionale sottoposto a referendum (colonna gialla).

 

 


 

La circoscrizione Estero

 

La riduzione percentuale dei parlamentari eletti nella circoscrizione Estero è corrispondente, in proporzione, a quella complessiva, prevista per gli eletti sul territorio nazionale.

 

Si ricorda che per l'elezione sia dei senatori sia dei deputati, la legge 459/2001 individua, nell’ambito della circoscrizione Estero, quattro ripartizioni. In ciascuna di tali ripartizioni “è eletto almeno un senatore e un deputato”, mentre gli altri seggi sono distribuiti tra le stesse ripartizioni in proporzione al numero dei cittadini italiani che vi risiedono, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti (L. 459/2001, art. 6).

Pertanto, la riduzione del numero degli eletti nella circoscrizione Estero, in combinato disposto con la riduzione dei parlamentari, comporta (si veda tabella infra) una diminuizione dei seggi - e quindi degli eletti - più che proporzionale in due ripartizioni (Europa e America meridionale) mentre il numero degli eletti nella altre due ripartizioni rimane invariato anche con la riduzione.

 

La Tabella che segue riepiloga l’assegnazione dei seggi alle ripartizioni della circoscrizione Estero per l’elezione della Camera e del Senato tenuto conto dei cittadini italiani residenti nelle stesse e della previsione del citato art. 6 della L. 459/2001.

 

 

Ripartizione

Popolazione

 

(cittadini ital. residenti)

Seggi spettanti

 

 Vigente

Seggi spettanti

 

 Legge  cost.

Europa, compresi i territori asiatici

della Federazione russa e della Turchia

2.685.815

 5 deputati

 2 senatori

 3 deputati

 1 senatore

America meridionale

1.559.068

 4 deputati

 2 senatori

 2 deputati

 1 senatore

America settentrionale e centrale

451.062

 2 deputati

 1 senatore

 2 deputati

 1 senatore

Africa, Asia, Oceania e Antartide

277.997

 1 deputati

 1 senatore

 1 deputato

 1 senatore

 

 

 

 

 

 

 

 

I senatori a vita

L’articolo 3 del testo di legge costituzionle incide sull’articolo 59, secondo comma, della Costituzione, prevedendo espressamente che il numero di cinque senatori a vita nominati per alti meriti dal Presidente della Repubblica, sia numero massimo riferito alla permanenza in carica di tale novero di senatori.

La modifica è finalizzata a sciogliere il nodo interpretativo postosi per i senatori a vita riguardo al vigente articolo 59 della Costituzione, cioè se il numero di cinque senatori di nomina presidenziale sia un “numero chiuso” (quindi non possano esservi nel complesso più di 5 senatori di nomina presidenziale) ovvero se ciascun Presidente della Repubblica possa nominarne cinque.

Questa seconda possibile interpretazione del vigente dettato costituzionale è stata seguita peraltro solo da due Presidenti della Repubblica (Pertini e Cossiga).

Permane, nell’ordinamento, la figura dei “senatori di diritto a vita”: salvo rinuncia, sono gli ex Presidenti della Repubblica, in base all’immodificato comma primo dell’articolo 59 Cost.

 

 


 

La decorrenza delle previsioni e l’articolazione dei collegi elettorali

L’articolo 4 del testo di legge costituzionale della proposta di legge stabilisce che la riduzione dei parlamentari abbia decorrenza dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della legge costituzionale e, comunque, non prima che siano decorsi da tale data sessanta giorni.

La previsione del termine di sessanta giorni è volta a “consentire l’adozione del decreto legislativo in materia di determinazione dei collegi elettorali”, come emerso nel corso del dibattito parlamentare.

 

La riduzione del numero dei parlamentari si ripercuote infatti sulla “perimetrazione” degli attuali collegi elettorali, come definiti dal decreto legislativo n. 189 del 2017, in attuazione della legge n. 165 del 2017.

La delega per la rideterminazione dei collegi elettorali (uninominali e plurinominali) è contenuta nella legge 51 del 2019 (v. infra), approvata all’inizio della XVIII legislatura, recante “Disposizioni per assicurare l’applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari”, che detta modifiche alla disciplina elettorale delle Camere al fine di prevederne un'applicazione commisurata ad un numero non già fisso, bensì ad un rapporto frazionario tra seggi e numero dei deputati o dei senatori.

 

Senza incidere sulla configurazione del meccanismo elettorale, per quanto attiene al rapporto numerico tra seggi attribuiti nell’ambito di collegi uninominali e seggi attribuiti nell’ambito di collegi plurinominali, la legge 51 del 2019 ha definito un criterio di determinazione dei collegi: non già in numero prestabilito fisso bensì 'a scorrimento' rispetto al numero dei parlamentari, applicabile cioè indipendentemente da quale sia tale numero.

In particolare, la legge prevede un numero di collegi uninominali pari a tre ottavi dei seggi da eleggere nelle circoscrizioni, con arrotondamento (all’unità inferiore per la Camera dei deputati, all’unità più prossima per il Senato).

I restanti seggi (cinque ottavi) sono assegnati nell’ambito di collegi plurinominali.

 

 

La disciplina vigente, come è noto, ha determinato per la Camera dei deputati, complessivi 232 collegi uninominali e 63 collegi plurinominali; per il Senato, complessivi 116 collegi uninominali e 33 collegi plurinominali.

La determinazione dei confini dei nuovi collegi plurinominali è dunque rimessa ad un decreto legislativo da adottare in attuazione della delega recata dall’art. 3 della legge 51 del 2019 qualora “sia promulgata una legge costituzionale che modifica il numero dei componenti delle Camere di cui agli articoli 56, secondo comma, e 57, secondo comma, della Costituzione”.

In tal caso infatti il Governo è delegato ad adottare un decreto legislativo per la determinazione dei collegi uninominali e plurinominali per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

La legge n. 51 del 2019 prevede che, in tal caso, il decreto legislativo di rideterminazione dei collegi sia adottato entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge costituzionale modificativa del numero dei parlamentari.

A specchio con tale previsione, la legge costituzionale sulla riduzione dei parlamentari prevede che l'applicazione delle sue disposizioni decorra comunque non prima di sessanta giorni della sua entrata in vigore. Tale termine mira ad assicurare un lasso temporale che consenta appunto la rideterminazione dei collegi.

 

I criteri per l’esercizio della delega legislativa sono quelli già definiti dall’art. 3, commi 1 e 2, della legge 165 del 2017, salvo quelli che facevano riferimento ad un numero fisso di collegi, ora non più applicabili.

Ai fini dell’esercizio della delega, sono previsti i seguenti ‘passaggi’ (dall’art. 3, commi 3, 4 e 5 della legge n. 165 del 2017, richiamati dalla legge 51 del 2019):

-   per la predisposizione dello schema del decreto legislativo, il Governo si avvale di una Commissione composta dal presidente dell'Istituto nazionale di statistica, che la presiede, e da dieci esperti in materia attinente ai compiti che la commissione è chiamata a svolgere, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato;

-   lo schema del decreto legislativo è trasmesso alle Camere per l'espressione dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia, che si pronunciano nel termine di quindici giorni dalla data di trasmissione. Qualora il decreto legislativo non sia conforme al parere parlamentare, il Governo, contemporaneamente alla pubblicazione del decreto, deve inviare alle Camere una relazione contenente adeguata motivazione. In caso di mancata espressione del parere nel termine previsto, il decreto legislativo può comunque essere emanato.

 

La determinazione del numero (oltre che dei confini) dei collegi plurinominali è quindi affidata alla delega legislativa di cui alla legge n. 51 del 2019 mentre il numero dei collegi uninominali è individuabile sin d’ora - con riferimento al numero di deputati e senatori previsto dal testo di legge costituzionale sottoposto a referendum - sia complessivamente, calcolando i tre ottavi di 392 per la Camera e di 196 per il Senato, sia in ciascuna circoscrizione, a seguito della ripartizione dei collegi uninominali nelle circoscrizioni in proporzionale alla popolazione, secondo quanto stabilito dalla legge (art. 1, comma 2, T.U. Camera e art. 1, comma 2, T.U. Senato).

 

In particolare, applicando i numeri individuati dal testo di legge costituzionale alla popolazione risultante dal Censimento generale Istat 2011, per la Camera i collegi uninominali passano dagli attuali 232 (su 618) a 147 (su 392).

Per il Senato i collegi uninominali passano dagli attuali 116 (su 309) a 74 (su 196).

 

La ripartizione complessiva, tenuto conto del vigente sistema elettorale (legge n. 165 del 2017 come modificata dalla legge n. 51 del 2019) risulta quindi la seguente:

 

COSTITUZIONE VIGENTE

 

TESTO DI LEGGE COSTITUZIONALE

630

Componenti della Camera dei deputati

400

12

di cui eletti nella circoscrizione Estero

8

232

di cui eletti nei collegi uninominali

147

386

di cui eletti nei collegi plurinominali

245

 

 

COSTITUZIONE VIGENTE

 

TESTO DI LEGGE COSTITUZIONALE

315

Componenti del Senato della Repubblica

200

6

di cui eletti nella circoscrizione Estero

4

116

di cui eletti nei collegi uninominali

74

193

di cui eletti nei collegi plurinominali

122

 

Le Tabelle che seguono riepilogano quindi la ripartizione dei collegi uninominali tra le circoscrizioni elettorali in base alla popolazione e alle previsioni dell’art. 57, terzo comma, Cost. con riguardo al vigente numero di parlamentari previsto dalla Costituzione e al testo di legge costituzionale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le proposte di legge in corso di esame parlamentare

 

Si ricorda che la I Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati ha avviato l’esame, a partire dal 20 novembre 2019, di una proposta di legge costituzionale C. 2238 Fornaro che modifica in primo luogo il primo comma dell'articolo 57 della Costituzione il quale, nella vigente formulazione, stabilisce che il Senato è eletto "a base regionale" – fatti salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero – prevedendo che sia eletto "su base circoscrizionale". L'entrata in vigore delle modifiche disposte dalla proposta di legge è condizionata all'entrata in vigore della legge costituzionale di riduzione del numero di parlamentari; qualora la conclusione dell'iter ex art. 138 Cost. della proposta di legge sia successiva, questa entrerebbe in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale a seguito della promulgazione.

 

La proposta di legge costituzionale modifica altresì il terzo comma dell'articolo 83 della Costituzione, riducendo da tre a due il numero dei delegati regionali che partecipano all'elezione del Presidente della Repubblica in correlazione con la riduzione del numero dei parlamentari. Rimane invariata la disposizione che assegna alla Valle d'Aosta un solo delegato, così come il vincolo di assicurare la rappresentanza delle minoranze.

Viene stabilito che la disposizione di riduzione del numero dei delegati regionali che integrano il Parlamento in seduta comune per eleggere il Presidente della Repubblica si applica a decorrere della prima legislatura per la quale si applica la legge costituzionale di riduzione del numero di parlamentari.

 

Per le altre proposte di legge costituzionali all’esame del Parlamento nella XVIII legislatura, tra cui la proposta di modifica dell’articolo 58 della Costituzione sull’elettorato attivo e passivo del Senato (A.S. 1440), si veda il Tema web Iniziative di riforme costituzionali.

 

E' altresì in corso presso la I Commissione Affari costituzionali della Camera l'esame di proposte di legge che modificano il vigente sistema elettorale della Camera e del Senato (C. 2329 Brescia, C. 2346 Molinari, C. 2562 Meloni e C. 2589 Sisto), avviato – secondo quanto evidenziato nel dibattito parlamentare - anche alla luce del testo di legge costituzionale che riduce il numero dei parlamentari.

 

La proposta di legge A.C. 2329 interviene sul sistema vigente superando la ripartizione del territorio in collegi uninominali. Prevede quindi che l'assegnazione dei seggi avvenga con metodo interamente proporzionale. E' superata la possibilità per le liste di unirsi in coalizione e sono rimodulate le soglie di sbarramento. Per le liste che non raggiungono tali soglie è previsto un "diritto di tribuna". L'Esecutivo è delegato ad adottare, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, un decreto legislativo per la determinazione dei collegi plurinominali, tenuto conto delle modifiche previste dalla proposta di legge.

La I Commissione ha svolto, sui temi oggetto della proposta di legge, un’indagine conoscitiva prevedendo audizioni di esperti della materia (cfr. il dossier di sintesi delle audizioni sulla pdl C. 2329 elaborato dal Servizio Studi).

 

Per una analisi del contenuto della proposta di legge si veda il dossier Modifiche al sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (A.C. 2329).

La proposta di legge A.C.2346, successivamente abbinata alla proposta C. 2329, propone di adottare come sistema elettorale quello utilizzato nelle elezioni del 1994, 1996 e 2001 (di cui alle leggi n. 276 e 277 del 1993 c.d. legge Mattarella) e tal fine procede all'abrogazione delle leggi successivamente approvate al fine di dare luogo alla reviviscenza di tale disciplina.

La proposta di legge A.C. 2562,  successivamente abbinata, inserisce nel sistema vigente la previsione di un premio di maggioranza da attribuire alla lista o coalizione che ottenga almeno il 40 per cento dei voti e mantiene fissa la quota di seggi da assegnare nei collegi uninominali, nel numero di 231 per la Camera e 109 per il Senato (con prevalenza della componente maggioritaria nel caso di entrata in vigore della legge costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari).

La proposta di legge A.C. 2589, successivamente abbinata, interviene sulla quota di collegi uninominali in cui è suddiviso il territorio e sui criteri relativi all'individuazione e al numero di collegi plurinominali da prevedere; mantenendo fissa la quota di seggi da assegnare nei collegi uninominali (nel numero di 231 per la Camera e 109 per il Senato) il sistema diviene a prevalenza maggioritaria nel caso di entrata in vigore della legge costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari.

 

Per ulteriori approfondimenti si veda anche il dossier del Servizio Studi  Il sistema di elezione del Parlamento nazionale, che analizza l'evoluzione normativa dei sistemi elettorali del Parlamento repubblicano, e Il funzionamento dei sistemi elettorali in Europa, sull'esperienza di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna.

 

 

 


 

L’iter parlamentare del testo di legge costituzionale

Il testo di legge costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 12 ottobre 2019 e sottoposto a referendum ai sensi dell’articolo 138 della Costituzione è stato approvato, in prima deliberazione, dal Senato, in un testo risultante dall’unificazione di alcuni disegni di legge costituzionale d'iniziativa parlamentare nella seduta del 7 febbraio 2019; il medesimo testo è stato approvato, senza modificazioni, in prima deliberazione, dalla Camera dei deputati nella seduta del 9 maggio 2019.

Nella seduta dell’11 luglio 2019 è avvenuta l’approvazione in seconda deliberazione da parte dell’Assemblea del Senato. L'8 ottobre 2019 anche l'Assemblea della Camera ha approvato in seconda deliberazione la proposta di legge costituzionale.

 

Come ricordato, in Italia il numero dei parlamentari, dopo la revisione costituzionale del 1963, è determinato dalla Costituzione in numero fisso, mentre in precedenza era determinato in rapporto alla popolazione.

Da allora, nel corso del dibattito sulle riforme istituzionali, il Parlamento italiano è giunto in più occasioni a deliberare una modificazione del numero dei parlamentari nell’ambito di progetti più ampi di revisione del bicameralismo, senza tuttavia che l’iter della revisione costituzionale trovasse poi definitivo compimento (si veda la relativa Scheda di approfondimento - Il numero dei parlamentari nella Costituzione e i precedenti progetti di riforma).

 

Nella XVIII legislatura il dibattito parlamentare sulla riduzione del numero dei componenti delle due Camere è stato avviato con l’audizione del Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta pro- tempore innanzi alle Commissioni Affari costituzionali congiunte della Camera e del Senato (seduta del 12 luglio 2018).

Successivamente, nei documenti di programmazione economica (si veda in particolare la Nota di aggiornamento al DEF 2018, il DEF 2019 e la Nota di aggiornamento al DEF 2019) il Governo ha indicato la riduzione del numero dei parlamentari come una delle linee di intervento contenute nel programma di riforme istituzionali da attuare nel corso della legislatura.

 

Nella seduta del 10 ottobre 2018 il Senato ha avviato l’esame di tre proposte di legge costituzionale di iniziativa parlamentare (A.S. 214 ed abbinate) volte alla riduzione del numero dei parlamentari.

Nella seduta del 18 ottobre 2018 l’Ufficio di Presidenza della Commissione Affari costituzionali del Senato ha convenuto di svolgere una serie di audizioni, a cui sono state dedicate 2 sedute (21 e 25 novembre). Nel corso delle audizioni sono stati acquisiti in Commissione i documenti depositati dai soggetti auditi.

L’impianto comune alle proposte è stato confermato dall’esame referente condotto dalla Commissione Affari costituzionali del Senato, la quale ha adottato un testo unificato delle proposte di legge abbinate conferendo, nella seduta del 19 dicembre 2018, mandato al relatore a riferire favorevolmente in Assemblea sul testo adottato.

Nel corso dell’esame in Assemblea è stata oggetto di ulteriore approfondimento in modo particolare la questione del numero minimo di senatori per ogni regione (o provincia autonoma), previsto dall’art. 57, terzo comma, della Costituzione e si è giunti quindi all’approvazione di talune modificazioni in Aula su tale profilo rispetto al testo unificato proposto dalla Commissione.

La discussione generale e la trattazione degli articoli si sono svolte nelle sedute del 5, 6 e 7 febbraio 2019.

Le dichiarazioni di voto finale e il voto finale si sono tenuti nella seduta del 7 febbraio. L’Assemblea del Senato ha approvato il testo, in prima deliberazione, con 185 voti favorevoli, 54 contrari e 4 astenuti.

Nella seduta del 27 febbraio 2019 la I Commissione Affari costituzionali della Camera ha avviato l’esame in prima lettura della proposta di legge C. 1585, trasmessa dal Senato, e della abbinata pdl costituzionale C. 1172 (D’Uva ed altri).

Nella seduta del 19 marzo 2019 la Commissione ha deliberato lo svolgimento di un’indagine conoscitiva a cui sono state dedicate sei sedute (20, 21, 26, 27 e 28 marzo, 3 aprile).

Per il prosieguo dell’esame, è stato adottato come testo base il progetto di legge C. 1585. Le votazioni delle proposte emendative su tale testo sono state svolte nelle sedute del 16 e 17 aprile 2019. Nella seduta del 17 aprile la Commissione ha deliberato di conferire ai relatori mandato a riferire in senso favorevole all’Assemblea sul provvedimento, nel testo approvato dal Senato.

L’Assemblea della Camera ha approvato in prima deliberazione, senza modifiche, il testo già approvato dal Senato nella seduta del 9 maggio 2019, con 310 voti favorevoli, 107 voti contrari e 5 astenuti.

Dopo l’approvazione da parte della Camera, il disegno di legge costituzionale è stato nuovamente trasmesso al Senato per la seconda deliberazione e assegnato in sede referente alla Commissione 1ª (Affari costituzionali).

L’esame del provvedimento A.S. 214-515-805-B è stato avviato nella seduta del 25 giugno. La discussione è poi proseguita nella seduta del 2 luglio 2019, con la votazione del mandato al relatore.

La lettura dell’Assemblea è stata avviata nella seduta del 10 luglio con la discussione generale. Nella seduta dell’11 luglio si sono svolte le dichiarazioni di voto finali.

L’Assemblea del Senato ha approvato in seconda deliberazione, con la maggioranza dei suoi componenti (180 voti favorevoli e 50 voti contrari), il disegno di legge costituzionale A.S. 214-515-805-B.

 

La I Commissione della Camera ha quindi avviato l’esame del testo di riforma costituzionale nella seduta del 30 luglio 2019 deliberando di conferire mandato in senso favorevole all’Assemblea nella seduta del 1° ottobre 2019.

Infine, l'8 ottobre 2019 l'Assemblea della Camera ha approvato in seconda deliberazione la proposta di legge costituzionale (A.C. 1585-B) con la seguente votazione: presenti 569, votanti 567, astenuti 2, maggioranza 316, favorevoli 553, contrari 14.

 

Per una prima riflessione sugli effetti del testo della legge costituzionale sul piano regolamentare si vedano le sedute della Giunta per il Regolamento della Camera del 3 ottobre 2019 e del 4 marzo 2020.


 

La richiesta di referendum popolare confermativo e l’indizione del referendum

In base all’articolo 138 della Costituzione, le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.

Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.

La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.

La richiesta di referendum

Il 12 ottobre 2019 è stato pubblicato il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari” (G.U. del 12 ottobre 2019, n. 240)

Il 10 gennaio 2020 è stata depositata, presso la cancelleria della Corte di cassazione, la richiesta di referendum di cui all’art. 138 Cost. sottoscritta dal prescritto numero di senatori in carica.

Con ordinanza del 23 gennaio 2020 l’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme alle norme dell’art. 138 Cost. e della legge 25 maggio 1970, n. 352 la richiesta di referendum sul testo di legge costituzionale presentate il 10 gennaio 2020 e ha dichiarato la legittimità del quesito referendario.

 

Indizione del referendum e revoca a seguito dell’emergenza Covid-19

La legge prescrive che entro 60 giorni dall’ordinanza dell’Ufficio centrale  sulla legittimità del referendum (ossia entro il 23 marzo 2020), il Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei ministri, indice con proprio decreto il referendum che si svolge in una domenica compresa tra il 50° e il 70° giorno successivo all’emanazione del decreto di indizione (L. 352/1970, art. 15).

Il 27 gennaio 2020 il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, ha convenuto sulla data del 29 marzo 2020 per l’indizione – con decreto del Presidente della Repubblica – del referendum popolare previsto dall’articolo 138 della Costituzione sul testo di legge costituzionale concernente la riduzione del numero dei seggi parlamentari.

Il giorno successivo è stato adottato il D.P.R. 28 gennaio 2020 di indizione del referendum (D.P.R. pubblicato nella G.U. 29 gennaio 2020, n. 23)

Successivamente, il Consiglio dei ministri del 5 marzo 2020, in considerazione di quanto disposto con il DPCM 4 marzo 2020, recante misure per il contrasto, il contenimento, l’informazione e la prevenzione sull’intero territorio nazionale del diffondersi del virus COVID-19, su proposta del Presidente del Consiglio, ha convenuto di proporre al Presidente della Repubblica la revoca del decreto del 28 gennaio 2020, con il quale è stato indetto per il 29 marzo il referendum popolare confermativo sul testo di legge costituzionale.

Lo stesso giorno è stato emanato il decreto del Presidente della Repubblica che ha revocato il decreto del 28 gennaio di indizione del referendum (G.U. 6 marzo 2020, n. 57).

Il 6 marzo 2020 il Ministero dell’interno ha quindi disposto la sospensione, con effetto immediato, delle operazioni connesse al procedimento referendario (Circolare 17/2020).

 

Proroga e nuova indizione del referendum: 20 e 21 settembre 2020

Il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 ha prorogato il termine di indizione del referendum costituzionale stabilendo che la consultazione referendaria possa essere indetta entro 240 giorni (anziché 60 come prevede la legge) dalla comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum che lo ha ammesso (comunicazione avvenuta il 23 gennaio 2020), in ragione dell’emergenza Covid-19.

Dal momento che il referendum si deve svolgere in una domenica compresa tra il 50° e il 70° giorno successivo all’emanazione del decreto di indizione, il termine ultimo per tenere la consultazione referendaria sarebbe domenica 22 novembre 2020.

Successivamente, il decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26 che ha disposto il rinvio delle consultazioni elettorali previste per il 2020, sempre in ragione dell’emergenza Covid-19, ha previsto - a seguito di una modifica adottata nel corso dell'esame della Camera - l'applicazione del principio dell'election day anche ai fini dello svolgimento del referendum sul testo di legge costituzionale che dispone la riduzione del numero dei parlamentari.

Con il decreto del Presidente della Repubblica 17 luglio 2020 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 18 luglio 2020) sono stati quindi convocati i comizi elettorali relativi alla consultazione referendaria per il 20 e 21 settembre 2020, giornate in cui avranno luogo le elezioni suppletive per la Camera e il Senato, quelle amministrative e regionali previste per il 2020.

Le ordinanze della Corte costituzionale del 12 agosto 2020

La Corte costituzionale ha esaminato il 12 agosto 2020 l'ammissibilità di alcuni ricorsi per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato – sollevati dal Comitato promotore del referendum, dalla Regione Basilicata, dal senatore Gregorio De Falco e dall'Associazione +Europa - riguardanti, sotto vari profili, la riduzione del numero dei parlamentari nonché il relativo referendum costituzionale e le elezioni regionali, per i quali sono state fissate le date del 20 e 21 settembre (election day). I quattro ricorsi sono stati dichiarati inammissibili.

 

In particolare, per quanto concerne il testo della legge costituzionale e il referendum costituzionale:

·      la Corte ha dichiarato inammissibile (ord. 195/2020) il conflitto sollevato dal Comitato promotore del referendum sul testo di legge costituzionale riguardante il "taglio dei parlamentari" avente per oggetto l'abbinamento delle due votazioni, disposto dal decreto legge n. 26 del 2020 e dal DPR 17 luglio 2020. Il Comitato promotore non ha legittimazione soggettiva a sollevare questo conflitto dato che la Costituzione non gli attribuisce una funzione generale di tutela del miglior esercizio del diritto di voto da parte dell'intero corpo elettorale;

·      con riferimento al ricorso presentato dal senatore De Falco nei confronti del Senato, del Governo e del Presidente della Repubblica, la Corte costituzionale (ord. 197/2020), nel dichiararlo inammissibile, ha evidenziato che questo, pur sostenendo la violazione di plurimi principi costituzionali inerenti sia il procedimento legislativo sia quello di revisione costituzionale, non ha chiarito, tra le altre, quali attribuzioni costituzionali del singolo parlamentare siano state in concreto lese nel corso di questi procedimenti;

·      la Corte ha dichiarato inammissibile (ord. 198/2020) il ricorso proposto dalla Regione Basilicata con riferimento sia all'avvenuta approvazione definitiva, l'8 ottobre 2019, del testo di legge costituzionale di modifica degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione sulla riduzione del numero dei parlamentari, sia al DPR del 17 luglio 2020 di indizione del referendum popolare confermativo. La Corte, richiamando la precedente giurisprudenza, ha escluso la legittimazione soggettiva degli enti territoriali, in generale, e della Regione, in particolare, perché non sono potere dello Stato ai sensi dell'articolo 134 della Costituzione.

 

 

Il decreto-legge n. 103 del 2020

 

    Il decreto-legge n. 103 del 14 agosto 2020 ha stabilito alcune specifiche modalità di voto da applicare alle consultazioni elettorali e referendarie del 20-21 settembre 2020, derogatorie rispetto alla normativa vigente, in considerazione dell’esigenza di minimizzare i rischi di contagio da COVID-19. Tra le altre cose:

·      si prevede che l’elettore deponga personalmente la scheda nell’urna (articolo 1);

·      si dispone la costituzione di sezioni elettorali ospedaliere negli ospedali con un numero di posti letto compresi tra 100 e 199 unità che ospitino reparti COVID19 (articolo 2);

·      si prevede il voto domiciliare per gli elettori sottoposti a trattamento domiciliare o in condizioni di quarantena o di isolamento fiduciario per COVID-19 (articolo 3)

 

Il decreto-legge prevede inoltre (articolo 4) che lo scrutinio relativo ai ballottaggi delle elezioni amministrative, in caso di coincidenza con il ballottaggio delle elezioni regionali, avvenga di seguito a quest’ultimo (attualmente solo la legge elettorale toscana prevede un eventuale turno di ballottaggio per l’elezione del presidente della Regione nel caso in cui nessun candidato superi la soglia del 40 per cento dei voti validi).


 

Il voto degli italiani all’estero per i referendum

Il decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, recante misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale, ha introdotto alcune disposizioni temporanee che intervengono sulle procedure relative al voto degli italiani all’Estero per il referendum confermativo sul testo della legge costituzionale di riduzione del numero dei seggi parlamentari del 20 e 21 settembre 2020 (art. 16).

Si prevede quanto segue:

§  l’anticipazione di 48 ore del termine entro il quale devono pervenire agli uffici consolari le buste contenenti le schede elettorali inviate dagli elettori all’estero (martedì 15 anziché giovedì 17 settembre);

§  la possibilità che la spedizione delle buste con le schede votate dagli italiani all’estero all’Ufficio centrale per la circoscrizione Estero avvenga con valigia diplomatica non accompagnata da un corriere;

§  l’aumento del numero di elettori necessario per la costituzione dei seggi elettorali con la conseguente diminuzione del numero dei seggi medesimi;

§  l’aumento del 50% dell’onorario in favore dei componenti dei seggi elettorali.

 

La disposizione intende far fronte alle severe limitazioni del traffico aereo imposte dalle misure di contenimento della diffusione del COVID-19 disposte dai vari Paesi del mondo e alla necessità di ridurre il numero di seggi elettorali, in modo da contenere il più possibile il numero di persone presenti nei locali adibiti allo scrutinio e quindi le possibilità di contagio. L'incremento degli onorari da corrispondere ai membri dei seggi elettorali è disposta in virtù dei più gravosi carichi di lavoro derivanti dal maggior numero di elettori e quindi di schede elettorali da scrutinare per ogni seggio.

 

Si riporta di seguito la disciplina ordinaria relativa al voto degli italiani all’estero per i referendum, integrata con le modifiche apportate dal citato D.L. 76/2020 che si applicano esclusivamente al referendum costituzionale del settembre 2020.

 

Due leggi di revisione costituzionale (17 gennaio 2000, n. 1, e 23 gennaio 2001, n. 1) hanno attribuito ai cittadini italiani residenti all'estero il diritto di eleggere, nell'ambito di una circoscrizione Estero, sei senatori e dodici deputati.

La legge 27 dicembre 2001, n. 459, ha attuato la previsione costituzionale disciplinando l'esercizio del voto (per corrispondenza) e l'attribuzione (con sistema proporzionale) dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero.

La legge ha stabilito inoltre che, con le medesime modalità previste per le elezioni politiche, i cittadini italiani all'estero possano esprimere il proprio voto anche nei referendum abrogativi e in quelli costituzionali previsti, rispettivamente, dagli articoli 75 e 138 della Costituzione.

Il quadro normativo è completato dal regolamento di attuazione adottato con il decreto del Presidente della Repubblica 2 aprile 2003, n. 104.

 

Votano per le elezioni politiche e per i referendum i cittadini italiani iscritti nelle liste elettorali dei cittadini italiani residenti all’estero. A tal fine, il regolamento di attuazione (D.P.R. 104/2003, art. 5, comma 8) prevede che, dopo la realizzazione dell’elenco aggiornato con le modalità ivi previste[2], entro il 60° giorno antecedente la data delle votazioni, il Ministero dell’interno trasmette, in via informatica, al Ministero degli affari esteri (MAE) l’elenco provvisorio[3] dei cittadini residenti all’estero aventi diritto di voto.

Una volta ricevuto l’elenco provvisorio, il Ministero degli affari esteri lo distribuisce, per via telematica, agli uffici consolari i quali provvedono ad una serie di adempimenti preliminari (quali la cancellazione degli elettori nel frattempo deceduti e degli irreperibili) per poi procedere all’invio agli elettori residenti all’estero e aventi diritto al voto del plico contenente il certificato e la scheda elettorale.

L’invio del plico deve avere luogo – in base a quanto prescritto dalla legge n. 459/2001 (art. 12, comma 3) - non oltre il 18° giorno antecedente la data delle elezioni[4].

Pertanto il termine di 60 giorni previsto dal regolamento di attuazione della legge n. 459/2001 per la trasmissione al MAE e, quindi, agli uffici consolari, dell’elenco provvisorio dei cittadini residenti all’estero è volto a fare in modo che tali uffici abbiano 42 giorni di tempo per espletare i suddetti adempimenti preliminari.

Ricevuto il plico, ciascun elettore esprime il proprio voto sulla scheda elettorale e la spedisce, utilizzando le apposite buste, all’ufficio consolare competenze non oltre il 10° giorno precedente la data stabilita per le votazioni in Italia (art. 12, comma 6).

Le buste pervenute non oltre le ore 16, ora locale, del giovedì precedente la data delle votazioni sono poi spedite dagli uffici consolari all’Ufficio centrale per la circoscrizione estero, costituito presso la Corte di appello d Roma, unitamente agli elenchi degli elettori ammessi al voto per corrispondenza (art. 12, comma 7, primo periodo).

Il D.L. 76/2020 (art. 16, comma 1, lett. a) anticipa il termine di cui sopra al martedì precedente la data delle votazioni.

La norma generale prevede che le buste siano inviate con una spedizione unica, per via aerea e con valigia diplomatica (L. 1459/2001, art. 12, comma 7, secondo periodo). Il regolamento di attuazione specifica che la valigia è accompagnata (DPR 104/2003, n. 18).

Il D.L. 76/2020, (art. 16, comma 1, lett. b) si prevede che il Ministero degli affari esteri possa disporre che la spedizione delle buste con le schede votate dagli italiani all’estero all’Ufficio centrale per la circoscrizione Estero avvenga con valigia diplomatica non accompagnata:

 

La legge consente altresì agli elettori residenti all’estero di esercitare l’opzione per il voto in Italia (L.459/2001, art.1, comma 3).

L’opzione per il voto in Italia deve essere comunicata per iscritto alla rappresentanza diplomatica o consolare nella circoscrizione consolare di residenza entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello previsto per la scadenza naturale della legislatura e, in caso di scioglimento anticipato delle Camere o di indizione di referendum popolare, entro il decimo giorno successivo all’indizione delle elezioni (L. 459/2001, art. 4, commi 1 e 2).

 

Nel caso abbiano esercitato l’opzione i cittadini votano nel comune presso il quale sono iscritti come cittadini italiani all’estero (i residenti all’estero sono infatti iscritti in uno speciale elenco dell’anagrafe del comune presso il quale essi hanno avuto l’ultima residenza in Italia; nel caso in cui tali cittadini non siano mai stati residenti in Italia, il comune che li registra come residenti all’estero è il comune di Roma Capitale).

 

La legge prescrive che il MAE debba comunicare, senza ritardo, al Ministero dell'interno i nominativi degli elettori che hanno esercitato il diritto di opzione per il voto in Italia; almeno 30 giorni prima della data stabilita per le votazioni in Italia il Ministero dell'interno comunica i nominativi degli elettori che hanno esercitato l'opzione per il voto in Italia ai comuni di ultima residenza in Italia.

 

Il voto degli italiani temporaneamente all’estero

La legge 52/2015 ha introdotto la possibilità anche per gli elettori che si trovano temporaneamente all’estero per lavoro, studio o cure mediche di esercitare il diritto di voto per corrispondenza per la circoscrizione Estero, previa opzione in tal senso. Possono votare nel Paese estero in cui si trovano temporaneamente, sempre che il loro soggiorno sia dovuto ai medesimi motivi, anche gli elettori iscritti all’AIRE, e residenti in un altro Paese estero (L. 459/2001, art. 4-bis, introdotto dall’art. 2, comma 37, della L. 52/2015). Per esercitare il diritto di voto, l’interessato deve trovarsi temporaneamente all’estero per un periodo di almeno tre mesi nel quale ricade la data di svolgimento delle elezioni e deve presentare una apposita richiesta, in cui indica i motivi per cui si trova temporaneamente all’estero; la richiesta è valida per un’unica consultazione elettorale e deve pervenire al comune di iscrizione elettorale entro il 32° giorno prima della data delle elezioni. Anche i familiari conviventi con i cittadini temporaneamente all’estero possono votare per corrispondenza con le medesime modalità (L. 459/2001, art. 4-bis, commi 1 e 2).

Una volta ricevute le richieste di opzione, i comuni sono tenuti a trasmettere immediatamente al Ministero dell’intero l’elenco degli elettori temporaneamente all’estero che hanno scelto di votare nel Paese in cui si trovano, previa annotazione nelle liste sezionali elettorali. Il Ministero dell’interno entro il 28° giorno antecedente la data delle elezioni, comunica l’elenco degli optanti al Ministero degli affari esteri, che a sua volta trasmette i loro nominativi agli uffici consolari competenti. Gli uffici consolari inseriscono tali nominativi in elenchi speciali (L. 459/2001, art. 4-bis, comma 3).

Coloro che hanno optato per il voto all’estero votano per corrispondenza nella circoscrizione Estero e ricevono il plico elettorale (contenente il certificato elettorale, la scheda elettorale e la relativa busta nonché una busta affrancata, unitamente alle indicazioni delle modalità di voto e delle liste dei candidati della ripartizione di appartenenza) all’indirizzo postale che hanno indicato al momento dell’esercizio dell’opzione. Le schede sono scrutinate congiuntamente a quelle dei cittadini italiani residenti all’estero iscritti nelle relative liste elettorali.


 

Il referendum costituzionale e la disciplina sulla propaganda elettorale

La disciplina della campagna elettorale in occasione dei referendum è contenuta, per quanto riguarda la propaganda radiotelevisiva e sulla stampa, nella legge sulla “par condicio” (L. 28/2000).

Per quanto riguarda le altre forma di propaganda (manifesti, annunci, comizi ecc.) la legge sul procedimento referendario (L. 352/1970, art. 52) fa rinvio alla disciplina per le elezioni contenuta nella legge 212/1956.

La disciplina della propaganda elettorale attraverso i mezzi di comunicazione di massa in occasione dei referendum è regolata in maniera analoga a quella per le altre consultazioni elettorali.

Infatti, la legge 28 del 2000, al fine di garantire la parità di trattamento e l'imparzialità rispetto a tutti i soggetti politici, regolamenta l’accesso ai mezzi di informazione durante le campagne per l’elezione al Parlamento europeo, per le elezioni politiche, regionali e amministrative e per ogni referendum (art. 1, comma 2).

 

Termini di applicazione e principi della disciplina

L’arco temporale di regolamentazione della propaganda ha inizio dalla data di convocazione dei referendum (L. 28/2000, art. 4).

A partire da questa data la trasmissione di programmi che trattino contenuti di carattere politico o che prevedano la partecipazione di esponenti politici è ammessa solo in una delle seguenti forme:

·      trasmissioni di comunicazione politica che consentono il confronto, a parità di condizioni, tra le diverse posizioni;

·      programmi di informazione riconducibili alla responsabilità di una specifica testata giornalistica.

Le imprese radiofoniche e gli organi ufficiali di stampa dei partiti politici e le emittenti locali sono assoggettati ad una disciplina specifica (vedi oltre).

Si illustra qui di seguito la disciplina riguardante i diversi tipi di trasmissione.

 

Comunicazione politica radiotelevisiva

La legge definisce come comunicazione politica radiotelevisiva la diffusione di programmi contenenti “opinioni e valutazioni politiche”, ad esclusione della diffusione di notizie nei programmi di informazione (L. 28/2000, art. 2, comma 2).

A partire dall’indizione dei referendum, la comunicazione politica radiotelevisiva può svolgersi soltanto in forme predefinite: tribune politiche, dibattiti, tavole rotonde, ecc. (L. 28/2000, art. 4, comma 1). L’offerta di trasmissioni di comunicazione politica è obbligatoria per le emittenti radiotelevisive nazionali. La partecipazione a tali trasmissioni è in ogni caso gratuita (L. 28/2000, art. 2, comma 4).

 

La legge 28/2000 prevede che la Commissione parlamentare di vigilanza sulla RAI e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, previa consultazione tra loro, e ciascuna nell'àmbito della propria competenza (rispettivamente per il concessionario pubblico e per le emittenti private), regolano il riparto degli spazi tra i soggetti politici durante le campagne referendarie, ripartendoli in misura uguale fra i favorevoli e i contrari al quesito referendario (L. 28/2000, art. 4, comma 2, lett. d). La disciplina si applica dalla data di indizione del referendum (art. 4, comma 10).

 

La Commissione e l’Autorità, inoltre, stabiliscono anche l’ambito territoriale di diffusione della comunicazione politica anche in relazione della rilevanza della consultazione sul territorio nazionale (art. 4, comma 11).

La Commissione e l’Autorità provvedono al riparto degli spazi ciascuna con proprio atto, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

Una disposizione introdotta con il decreto-legge di rinvio delle elezioni (D.L. 26/2020, art. 1-bis, comma 2) ha stabilito che, per le consultazioni elettorali e referendarie dell'anno 2020, le disposizioni di cui all'articolo 4 della legge 22 febbraio 2000, n. 28, si applicano in modo da evitare posizioni di svantaggio rispetto all'accesso ai mezzi di informazione e per la comunicazione politica durante le campagne elettorali e referendaria, in relazione alla situazione epidemiologica derivante dalla diffusione del COVID-19.

 

In attuazione di tali disposizioni, per il referendum costituzionale 2020, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha approvato la Delibera n. 322/20/CONS del 20 luglio 2020 recante Disposizioni di attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica e di parità di accesso ai mezzi di informazione relative alla campagna per il referendum popolare confermativo relativo al testo della legge costituzionale recante “Modifiche degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, indetto per i giorni 20 e 21 settembre 2020.

 

 

 

 

 

I soggetti ammessi al riparto degli spazi sono:

·    i delegati del quinto dei componenti del Senato firmatari delle richieste di referendum;

·    le forze politiche che costituiscono un autonomo gruppo in almeno un ramo del Parlamento nazionale nonché quelle diverse dalle precedenti che siano presenti con almeno un rappresentante al Parlamento europeo;

·    le forze politiche riferibili ad una delle minoranze linguistiche riconosciute che hanno eletto, con un proprio simbolo, almeno un rappresentante nel Parlamento nazionale;

·    il gruppo misto della Camera e il gruppo misto del Senato;

·    i comitati, le associazioni e altri organismi, rappresentativi di forze sociali e politiche di rilevanza nazionale, che abbiano un interesse obiettivo e specifico al quesito referendario, rilevabile anche sulla base dei rispettivi statuti, e che abbiano dato una esplicita indicazione di voto favorevole o contrario al quesito referendario. Tali organismi devono essere costituiti entro cinque giorni dalla pubblicazione del provvedimento nella Gazzetta Ufficiale.

 

Tali soggetti (ad eccezione dei promotori), entro cinque giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della delibera, sono tenuti a rendere nota all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni la loro intenzione di partecipare ai programmi di comunicazione politica e alla trasmissione dei messaggi politici autogestiti, indicando la propria posizione a favore o contro il quesito referendario.

 

La medesima Autorità ha, inoltre, invitato i fornitori di servizi di media audiovisivi e radiofonici ad assicurare una adeguata copertura informativa ai temi del referendum popolare confermativo “allo scopo di offrire all’elettorato un’informazione corretta, imparziale e completa sul quesito referendario e sulle ragioni che sono avanzate a supporto delle due opzioni di voto, favorevoli e contrarie al referendum, osservando i principi di pluralismo, obiettività, completezza ed imparzialità dell’informazione” L’Autorità si riserva di verificare il rispetto del presente provvedimento attraverso la propria attività di monitoraggio e di assumere, in caso di inosservanza, le conseguenti determinazioni (Delibera n. 340/20/CONS del 22 luglio 2020).

 

Messaggi politici autogestiti

A decorrere dalla data di indizione dei referendum (art. 4, comma 10) oltre ai programmi di comunicazione politica, possono essere trasmessi messaggi autogestiti gratuiti da parte delle emittenti nazionali, secondo le modalità specifiche dettate dalla Commissione (per il concessionario di servizio pubblico) e dall’Autorità (per le emittenti private nazionali) sulla base dei principi fissati dalla legge (L. 28/2000, art. 4, comma 3). L’offerta di spazi per messaggi autogestiti deve essere in ogni caso gratuita. Per la concessionaria del servizio pubblico sussiste l’obbligo di trasmettere tali messaggi e di rendere disponibili le strutture tecniche per la loro realizzazione (L. 28/2000, art. 4, comma 4).

Mentre le emittenti nazionali possono trasmettere esclusivamente messaggi politici autogestiti gratuiti, le emittenti locali possono diffondere anche messaggi politici a pagamento (per queste emittenti, si veda oltre).

I messaggi sono organizzati in modo autogestito e sono svolti senza contraddittorio. Devono avere una durata sufficiente per la motivata esposizione di un programma o di un’opinione politica. La durata deve essere comunque compresa, a scelta del richiedente, tra uno e tre minuti per le emittenti televisive e tra trenta e novanta secondi per le emittenti radiofoniche. I messaggi non possono interrompere altri programmi, né essere interrotti. Ciascun messaggio può essere trasmesso una sola volta in ciascun contenitore. Nessun soggetto politico può diffondere più di due messaggi in ciascuna giornata di programmazione (L. 28/2000, art. 4, comma 3).

Gli spazi per i messaggi devono essere offerti in condizioni di parità di trattamento a tutti i soggetti politici. I messaggi devono essere inseriti in appositi contenitori - separati dalla restante programmazione - e recare l’indicazione “messaggio autogestito” e il nome del soggetto committente. Possono essere previsti fino a un massimo di quattro contenitori per ogni giornata di programmazione (L. 28/2000, art. 4, comma 3).

Programmi di informazione e altre trasmissioni

La Commissione di indirizzo e vigilanza dei servizi radiotelevisivi e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni stabiliscono i criteri generali per la realizzazione, durante il periodo elettorale, dei programmi di informazione nei mezzi radiotelevisivi (ossia telegiornali, giornali radio, notiziari, rassegne stampa e ogni altro programma di contenuto informativo). Tali criteri devono essere informati agli obiettivi della parità di trattamento, dell'obiettività, della completezza dell'informazione. È espressamente previsto il divieto di fornire indicazioni di voto, anche in forma indiretta, dalla data di convocazione dei referendum alla chiusura delle operazioni di voto (L. 28/2000, art. 5).

Per l’attuazione di tali disposizioni in relazione al referendum 2020, per le emittenti private, si veda la succitata delibera dell’AGCOM 322 del 20 luglio.

Emittenti locali

La legge n. 313 del 2003 ha novellato in misura rilevante la legge n. 28 del 2000 prevedendo, con l’introduzione del nuovo capo II (artt. da 11-bis a 11-septies), una specifica e distinta disciplina per le emittenti radiofoniche e televisive locali ed escludendo per queste ultime l’applicazione delle disposizioni dettate dal capo I della legge n. 28 (artt. da 1 a 11), che rimangono efficaci soltanto per le emittenti radiotelevisive nazionali, ad eccezione di quelle relative alla trasmissione di messaggi politici autogestiti (art. 4, commi 3 e 5) e alla diffusione dei sondaggi (art. 8).

Le emittenti locali devono garantire nella trasmissione sia di programmi di informazione, nel rispetto della libertà di informazione, sia di programmi di comunicazione politica, i princìpi fondamentali del pluralismo – che deve esplicarsi attraverso la parità di trattamento – dell’obiettività, dell’imparzialità e dell’equità (L. 28/2000, art. 11-quater)[5].

Sono programmi d’informazione: il telegiornale, il giornale radio e comunque il notiziario o altro programma di contenuto informativo, a rilevante presentazione giornalistica, caratterizzato dalla correlazione ai temi dell’attualità e della cronaca. Sono considerati programmi di comunicazione politica quelli in cui assuma carattere rilevante l’esposizione di opinioni e valutazioni politiche manifestate attraverso tipologie di programmazione che comunque consentano un confronto dialettico tra più opinioni, anche se conseguito nel corso di più trasmissioni (L. 28/2000, art. 11-ter).

Per garantire la parità di trattamento e l’imparzialità a tutti i soggetti politici, le emittenti locali devono operare in conformità alle disposizioni del codice di autoregolamentazione in materia di programmi di informazione e di programmi di comunicazione politica, adottato con il decreto del Ministro delle comunicazioni dell’8 aprile 2004, in attuazione dell’art. 11-quater della legge 28/2000.

Il codice di autoregolamentazione ha efficacia erga omnes, nei confronti cioè di tutte le emittenti radiofoniche e televisive locali, aderiscano o meno alle organizzazioni rappresentative che l’hanno sottoscritto.

Dalla data di indizione del referendum fino alla chiusura della campagna elettorale, le emittenti locali possono trasmettere messaggi politici autogestiti sia a pagamento, sia a titolo gratuito (Codice di autoregolamentazione delle emittenti locali, artt. 5-6).

Le emittenti locali che intendono diffondere messaggi politici autogestiti a pagamento devono dare notizia dell’offerta dei relativi spazi mediante la trasmissione di un avviso, con cui informano i soggetti politici dell’avvenuto deposito, presso la propria sede, di un documento recante le modalità di prenotazione degli spazi e le relative tariffe (art. 6, Codice di autoregolamentazione delle emittenti locali).

Alle emittenti locali che accettano di trasmettere messaggi politici autogestiti a titolo gratuito si applica la disciplina di cui all’art. 4, commi 3 e 5, della L. 28/2000.

Le emittenti locali che trasmettono gratuitamente messaggi autogestiti hanno diritto ad un rimborso da parte dello Stato, nella misura annualmente definita con decreto del ministro delle comunicazioni (L. 28/2000, art. 4, comma 5).

Le emittenti locali devono attenersi alla disciplina in materia di sondaggi dettata dall’art. 8 della legge n. 28 del 2000 (vedi oltre).

La legge stabilisce l’inapplicabilità alle emittenti locali delle disposizioni di cui all’art. 1, comma 5, della legge n. 515 del 1993, che vietano la presenza di esponenti politici nelle trasmissioni radiotelevisive in campagna elettorale (L. 313/2003, art. 3).

Comunicazione politica su quotidiani e periodici in periodo referendario

Dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino a tutto il penultimo giorno prima della data del referendum la diffusione della comunicazione politica elettorale su quotidiani e periodici è limitata alla pubblicazione di annunci di dibattiti, tavole rotonde, conferenze, discorsi; presentazione di programmi. Devono essere consentite alle forze politiche condizioni di parità di accesso, mediante comunicazione degli spazi disponibili, secondo modalità stabilite dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (L. 28/2000, art. 7).

Imprese radiofoniche e organi ufficiali di stampa dei partiti

Alle imprese radiofoniche che risultino essere organi di partiti politici rappresentati in almeno un ramo del Parlamento non si applicano le disposizioni in materia di parità di accesso ai mezzi di informazione durante la campagna referendaria e per la comunicazione politica contenute negli articoli da 1 a 5 della L. 28/2000. Esse non possono cedere, né gratuitamente, né a pagamento, spazi per la trasmissione di messaggi politici autogestiti (L. 28/2000, art. 6).

Gli organi ufficiali di stampa dei partiti e movimenti politici sono esclusi dalla applicazione delle disposizioni sulla diffusione di messaggi politici elettorali su quotidiani e periodici e sull'accesso in condizioni di parità ai relativi spazi (L. 28/2000, art. 7, comma 3).

Si considera organo ufficiale di partito o movimento politico il giornale quotidiano o periodico che risulta registrato come tale ai sensi dell'art. 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, ovvero che rechi indicazione in tale senso nella testata, ovvero che risulti indicato come tale nello statuto o altro atto ufficiale del partito o del movimento politico (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Delibera 20 luglio 2020, n. 322, art. 22, comma 2).

Sondaggi politici ed elettorali

Nei quindici giorni precedenti il voto, è vietata la pubblicizzazione – con qualsiasi mezzo – dei sondaggi sull’esito delle votazioni o sugli orientamenti politici degli elettori; il divieto sussiste anche per la pubblicazione di sondaggi effettuati in periodi precedenti. I criteri secondo i quali devono realizzarsi i sondaggi vengono definiti dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (L. 28/2000, art. 8, commi 1 e 2).

Anche i sondaggi effettuati al di fuori del periodo elettorale sono assoggettati ad una specifica normativa: essi possono essere diffusi soltanto se recano precise indicazioni (autore del sondaggio, committente e acquirente, criteri seguiti per la formazione del campione, metodo di raccolta dei dati, numero di persone interpellate, domande rivolte, percentuale delle persone che hanno risposto, data del sondaggio) e se siano stati pubblicati su un apposito sito informatico, curato dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio (L. 28/2000, art. 8, comma 3; Autorità garanzie comunicazioni, regolamento 9 dicembre 2010).

Comunicazione istituzionale

Dalla data di convocazione dei referendum la legge vieta a tutte le pubbliche amministrazioni di svolgere attività di comunicazione, compresa quella relativa all’attività istituzionale dell’ente. Non rientrano nel divieto le attività di comunicazione istituzionale effettuate in forma impersonale e indispensabili per l'efficace assolvimento delle funzioni proprie delle amministrazioni pubbliche. È previsto che le emittenti radiotelevisive anche private informino i cittadini sulle modalità di voto e sugli orari di apertura dei seggi (L. 28/2000, art. 9).

 

 


Testo a fronte


Articoli 56, 57 e 59 Cost.

Costituzione

Testo vigente

Testo modificato

Articolo 56

Articolo 56

La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto.

Identico

Il numero dei deputati è di seicentotrenta, dodici dei quali eletti nella circoscrizione Estero.

Il numero dei deputati è di quattrocento, otto dei quali eletti nella circoscrizione Estero.

Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età.

Identico

La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione, per seicentodiciotto e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.

La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione, per trecentonovantadue e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.

Articolo 57

Articolo 57

Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero.

Identico

Il numero dei senatori elettivi è di trecentoquindici, sei dei quali eletti nella circoscrizione Estero.

Il numero dei senatori elettivi è di duecento, quattro dei quali eletti nella circoscrizione Estero.

Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due, la Valle d'Aosta uno.

Nessuna Regione o Provincia autonoma può avere un numero di senatori inferiore a tre; il Molise ne ha due, la Valle d'Aosta uno.

La ripartizione dei seggi tra le Regioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall'ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.

La ripartizione dei seggi tra le Regioni o le Province autonome, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall'ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.

[…]

[…]

Articolo 59

Articolo 59

È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica.

Identico

Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario.

Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque.

 


Schede di Approfondimento

 


Il numero dei parlamentari nella Costituzione e i precedenti progetti di riforma

 

Gli articoli 56 e 57 della Costituzione prevedono un numero fisso di deputati e senatori, rispettivamente pari a 630 e 315 (cui si aggiungono i senatori a vita e i senatori di diritto a vita).

Tale previsione è stata introdotta dalla legge costituzionale n. 2 del 1963. Nella precedente formulazione, approvata dall’Assemblea Costituente, il numero dei parlamentari era determinato in misura fissa il rapporto con la popolazione: per la Camera, un deputato ogni 80.000 abitanti (o frazioni superiori a 40.000); per il Senato[6], un senatore ogni 200.000 abitanti (o frazioni superiori a 100.000).

In rapporto alla popolazione, oggi vi è un deputato ogni 96.006 abitanti circa; un senatore elettivo (senza considerare i senatori a vita e i senatori di diritto a vita) ogni 192.013 abitanti circa.

La nuova disciplina costituzionale introdotta nel 1963 (la quale al contempo parificava la durata delle due Camere, innanzi diversificata in quanto di sei anni per il Senato) manteneva un quoziente di rappresentatività non discosto di fatto da quello risultante dall'applicazione della originaria formulazione, per quanto riguarda la Camera dei deputati. Per il Senato, invece, mirava ad affrontare il profilo della 'integrazione' della sua composizione.

Infatti la III disposizione transitoria della Costituzione aveva previsto un novero di senatori di diritto, solo per la prima legislatura repubblicana (il loro numero risultò di 107), a fianco dei senatori elettivi (per i quali il Dd.P.R. n. 30 del 6 febbraio 1948 disegnò 237 collegi uninominali).

Già nella seconda legislatura pertanto la composizione numerica del Senato si ridimensionò ai soli senatori elettivi (oltre ai senatori a vita ed agli ex Presidenti della Repubblica), donde l'avvio colà di un dibattito su come riequilibrarla rispetto all'altro ramo del Parlamento (che contò allora 590 deputati). Nella successiva terza legislatura il disegno di legge costituzionale d'iniziativa governativa infine approvato (ancorché con variata formulazione rispetto all'originario A.S. n. 250, che fu approvato in testo unificato con l’A.S. n. 285) precisava, nella sua relazione illustrativa, di mirare ad "un migliore equilibrio" nella composizione numerica delle due Camere, "in modo che il sistema bicamerale abbia maggiori garanzie di organico funzionamento". Era istanza declinata tenendo presente la posizione costituzionale del Parlamento in seduta comune, onde scongiurare la possibilità che "il Senato, considerato nella sua totalità, abbia nella votazione in comune con la Camera, una disponibilità di voti perfino inferiore a quella del numero dei membri della Camera appartenenti a un solo partito. Basterebbe cioè un solo partito della Camera a neutralizzare la volontà di tutta la rappresentanza senatoriale".

IX legislatura: la relazione della c.d. Commissione Bozzi

Ove si considerino i momenti salienti del dibattito parlamentare sulle riforme istituzionali sviluppatosi dagli anni Ottanta, emerge che una riduzione del numero dei parlamentari fu discussa già entro la Commissione parlamentare bicamerale istituita ad hoc nella IX legislatura (cd. 'Commissione Bozzi': 30 novembre 1983-29 gennaio 1985). Essa tuttavia non formalizzò al riguardo una propria proposta di revisione costituzionale, tra le varie formulatevi (come la previsione di un deputato ogni 110.000 abitanti, di un senatore ogni 200.000, talché la composizione di Camera e Senato sarebbe risultata allora di 514 e 282 membri; o una determinazione numerica pari, almeno per la Camera dei deputati, alla media della composizione delle ‘Camere basse’ di Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania; o 480-500 membri della Camera e 240-250 del Senato).

 

XIII legislatura: il testo della c.d. Commissione D’Alema

Nella XI legislatura, altra Commissione bicamerale per le riforme istituzionali (cd. 'Commissione De Mita-Iotti': 9 settembre 1992-11 gennaio 1994) non propose alcuna modifica degli articoli 56 e 57 della Costituzione.

Nella XIII legislatura, una nuova Commissione bicamerale per le riforme istituzionali (cd. 'Commissione D'Alema': 5 febbraio 1997-4 novembre 1997) esaminava un progetto, con la previsione tra 400 e 500 deputati (demandandosi ad una legge la determinazione puntuale entro quei limiti minimo e massimo) e 200 senatori elettivi.

 

XIV legislatura

Nella XIV legislatura, il Parlamento approvò in duplice deliberazione un disegno di legge costituzionale (A.S. n. 2544-D), in cui era prevista una Camera composta di 518 deputati (elettivi), un Senato di 252 senatori. Tale legge di revisione fu indi sottoposta (ai sensi dell'articolo 138, terzo comma della Costituzione) a referendum, il quale si svolse il 25-26 giugno 2006 e non la approvò. Pertanto la revisione costituzionale non giunse a compimento.

 

XV legislatura: la c.d. bozza Violante

Nella XV legislatura, presso la Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati fu approvato un testo unificato (cd. 'bozza Violante': A. C. n. 553 e abbinati-A), ove si prevedeva un numero di deputati pari a 512. Per il Senato era prevista una composizione di secondo grado (salvo 6 senatori eletti nella circoscrizione Estero), in cui i Consigli regionali (con voto limitato al loro interno) ed i Consigli delle autonomie locali (tra i componenti dei Consigli dei Comuni, delle Province e delle Città autonome) eleggessero ciascuno un numero di senatori, predeterminato sulla base della popolosità della Regione. Ne sarebbe conseguito un Senato di 186 componenti. Il progetto non giunse ad approvazione (nemmeno presso la Camera dei deputati) prima dell'anticipata cessazione della legislatura.

 

XVI legislatura: i testi esaminati dal Senato (AS 83 e abbinate)

Nella XVI legislatura, fu la volta della Commissione Affari costituzionali del Senato di esaminare numerosi disegni di riforma costituzionale, prospettanti tra l'altro la riduzione del numero dei parlamentari. Il testo che essa approvò (il 29 maggio 2012: A.S. n. 24 e abbinati-A) giunse in Assemblea del Senato, la quale infine l'approvò con significative modifiche, il 25 luglio 2012: e lì si concluse, con la cessazione della legislatura, l'iter del disegno di legge (A.C. n. 5386). In quella proposta, era prevista una Camera di 508 deputati, un Senato di 250 senatori (più i senatori a vita e quelli di diritto a vita). Dunque il numero di parlamentari, ai sensi di quella proposta, sarebbe diminuito da 950 a 758.

 

XVII legislatura: dalle Relazioni degli esperti al testo sottoposto a referendum popolare

Nella Relazione finale trasmessa il 12 aprile 2013 dal Gruppo di lavoro sui temi istituzionali, costituito da parte dell’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano all’inizio della XVII legislatura, il Gruppo di lavoro segnalava l’opportunità di modifiche costituzionali tese al superamento del bicameralismo paritario.

Per effetto delle modifiche proposte, si avanzava la necessità di calcolare il numero di parlamentari con modalità diverse tra Camera e Senato. Nella relazione si proponeva di passare dall’attuale criterio di un deputato ogni 95.000 abitanti ad un parametro più in linea con gli standard europei: un deputato ogni 125.000 abitanti. Ne sarebbe derivato un numero complessivo di 480 Deputati. Per i Senatori, si proponeva un numero complessivo di 120, ripartiti in proporzione al numero di abitanti in ciascuna Regione.

Successivamente, la Commissione di esperti, denominata Commissione per le riforme costituzionali, istituita dall’allora Presidente del Consiglio Enrico Letta l’11 giugno 2013 per l’approfondimento delle diverse ipotesi di revisione costituzionale e dei connessi profili inerenti al sistema elettorale, affrontava nella Relazione finale trasmessa al Presidente del Consiglio il 17 settembre 2013 e al Parlamento il 15 ottobre 2013 anche il tema della riduzione del numero dei parlamentari.

In particolare, per la Camera dei Deputati, la Commissione concordava con le conclusioni del gruppo di lavoro, suggerendo in alternativa un parametro inferiore, proponendo una Camera di 450 Deputati. In relazione al numero dei senatori, la Commissione proponeva di prendere in considerazione, con gli opportuni adattamenti, i criteri esposti nella c.d. Bozza Violante, suggerendo che il numero complessivo dei Senatori non dovrebbe essere inferiore a 150 né superiore ai 200.

 

Infine, il testo di riforma costituzionale approvato dal Parlamento nel corso della XVII legislatura (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 15 aprile 2016), sul quale l’esito del referendum svolto ai sensi dell’art. 138 Cost. non è stato favorevole, prevedeva una Camera inalterata nella sua composizione di 630 deputati, un Senato di 95 senatori elettivi di secondo grado. Tali senatori sarebbero stati eletti dai Consigli regionali o provinciali autonomi - in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi - tra i consiglieri regionali ed i sindaci del territorio. Più in dettaglio, 74 senatori sarebbero stati scelti tra i membri dei Consigli regionali o provinciali autonomi; 21 senatori tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori, nella misura di uno per ciascun Consiglio regionale o provinciale autonomo. A quei 95 senatori avrebbero potuto aggiungersi fino a 5 senatori (non più a vita ma in carica per sette anni) nominabili dal Presidente della Repubblica per aver illustrato la Patria, nonché si sarebbero aggiunti gli ex Presidenti della Repubblica.

Il Senato dunque sarebbe divenuto (per la più gran parte dei suoi componenti) elettivo di secondo grado e a rinnovo parziale 'continuo' (giacché la durata del mandato dei senatori sarebbe coincisa con quella dell'organo dell’istitu­zione territoriale elettrice, ossia con la durata dei Consigli regionali o provinciali autonomi). Non erano presenti rappresentanti della circoscrizione Estero al Senato.

 


 

Dati ed elementi di diritto comparato: le Camere 'basse'

 

Il numero dei parlamentari è disciplinato secondo varie modalità nei diversi ordinamenti europei, per quanto concerne la fonte giuridica (disposizione costituzionale o di legge organica o di legge ordinaria) e la determinazione numerica. In relazione a questo secondo parametro, il numero può essere prestabilito in rapporto alla popolazione; può essere altresì stabilito un numero fisso o contemplata la possibilità di seggi ‘in soprannumero’, talché la composizione numerica dell’organo può risultare variabile.

 

Sono di seguito forniti alcuni dati numerici, riportati in una tabella comparativa, circa la composizione dei Parlamenti degli Stati membri dell'Unione europea (includendo il Regno Unito).

Quella qui resa è da intendersi come una 'fotografia' (a ottobre 2018), tenuto conto che la composizione numerica parlamentare può risultare, per le Assemblee di alcuni Paesi, non fissa bensì, in misura più o meno estesa, mutevole.

Non ci si sofferma sulla varietà di previsione giuridica circa il numero dei parlamentari. Talora è la Costituzione direttamente a determinare quel numero, in altri casi sono norme di legge. A volte le norme di legge agiscono entro un limite numerico posto dalla Costituzione: limite massimo (come in Francia, dove la Costituzione pone, al contempo, una riserva di legge organica per l'esatta identificazione del numero) o limite minimo e massimo (come in Spagna per il Congresso dei deputati). Le diverse opzioni incidono sul tipo di procedura necessario per una variazione del numero dei parlamentari, determinando se sia necessaria una modificazione costituzionale o di disposizione legislativa.

Più agevole a rendersi è la comparazione tra le Camere 'basse', per la omogeneità di composizione dal momento che esse sono tutte elettive dirette.

 

Per un raffronto dei numero assoluti dei parlamentari in chiave comparata si veda altresì il Dossier del Dipartimento per le riforme istituzionali – Presidenza del Consiglio dei Ministeri (luglio 2019).

 


 

TABELLA 1 - Stati membri dell'Unione europea (e Regno Unito):

numero di DEPUTATI in relazione alla popolazione

(in ordine alfabetico)

 

Stato

Numero

di deputati

Popolazione

(dati Eurostat)

Numero di

abitanti per deputato

Numero di deputati

per 100.000 ab.

Austria

183

8.822.267

48.209

2,1

Belgio

150

11.413.058

76.087

1,3

Bulgaria

240

7.050.034

29.375

3,4

Cipro*

56

864.236

15.433

6,5

80

864.236

10.803

9,3

Croazia

151

4.105.493

27.189

3,7

Danimarca

179

5.781.190

32.297

3,1

Estonia

101

1.319.133

13.061

7,7

Finlandia

200

5.513.130

27.566

3,6

Francia

577

67.221.943

116.503

0,9

Germania

709

82.850.000

116.855

0,9

Grecia

300

10.738.868

35.796

2,8

Irlanda

158

4.838.259

30.622

3,3

Italia

630

60.483.973

96.006

1,0

Italia (proposta)

400

60.483.973

151.210

0,7

Lettonia

100

1.934.379

19.344

5,2

Lituania

141

2.808.901

19.921

5,0

Lussemburgo

60

602.005

10.033

10,0

Malta

68

475.701

6.996

14,3

Paesi Bassi

150

17.118.084

114.121

0,9

Polonia

460

37.976.687

82.558

1,2

Portogallo

230

10.291.027

44.744

2,2

Regno Unito

650

66.238.007

101.905

1,0

Repubblica Ceca

200

10.610.055

53.050

1,9

Romania

329

19.523.621

59.342

1,7

Slovacchia

150

5.443.120

36.287

2,8

Slovenia

90

2.066.880

22.965

4,4

Spagna

350

46.659.302

133.312

0,8

Svezia

349

10.120.242

28.998

3,4

Ungheria

199

9.778.371

49.138

2,0

 

 

In questa come nelle tabelle che seguono, le informazioni sul numero dei parlamentari sono tratte dai siti istituzionali dei Parlamenti degli Stati membri dell'Unione europea nonché dal sito dell'Unione interparlamentare. I dati sulla popolazione dei vari Stati europei sono tratti dal sito di Eurostat (che li riporta talora come provvisori: fonte qui consultata il 20 settembre 2018, su dati aggiornati al 1° gennaio 2018).

 

*  Una precisazione riguarda la Repubblica di Cipro. La sua Costituzione prevede 80 parlamentari (a seguito della revisione del 1985), dei quali 56 eletti dalla comunità greco-cipriota e 24 dalla comunità turco-cipriota. Tale previsione è inattuata per la componente turco-cipriota, poiché essa non partecipa alle elezioni e lascia vacante la quota (pari al 30 per cento) dei seggi che le spettano. Il dato riportato nella tabella precedente corrisponde dunque al dettato costituzionalmente previsto, non già a quello effettuale (che è di 56 membri).

 

 

Il dibattito in corso in Francia, Regno Unito e Germania

 

Può valere ricordare come un dibattito sulla riduzione del numero dei deputati (nonché dei senatori) sia attualmente in corso in Francia. Il Presidente della Repubblica Macron si è impegnato – durante la campagna elettorale al termine della quale è risultato eletto, nonché una volta insediatosi nella carica innanzi al Parlamento neo-eletto riunito in seduta comune in Congresso nella seduta del 3 luglio 2017 – ad una serie di modifiche, quali:

§   la diminuzione del numero dei parlamentari;

§   il divieto di cumulo di mandati elettivi per un numero superiore a tre mandati consecutivi (per i parlamentari come per i titolari di funzioni esecutive locali, ad eccezione dei piccoli Comuni);

§   l'introduzione di una componente proporzionale nel sistema di elezione dell'Assemblea nazionale (la Camera elettiva diretta, nel sistema francese).

 

Sono modifiche che non richiedono una revisione costituzionale, giacché la medesima Carta costituzionale (articolo 25) demanda alla fonte della legge organica la durata dei poteri di ciascuna Assemblea parlamentare, la determinazione del numero dei loro componenti, l'indennità, le condizioni di eleggibilità, il regime dell'ineleggibilità e incompatibilità. Quanto alle regole elettorali, esse sono collocate in un codice elettorale che ha rango di legge ordinaria.

 

A tal fine il Governo francese ha presentato il 23 maggio 2018 presso l'Assemblea nazionale un pacchetto di proposte di legge denominato Démocratie plus représentative, responsable, efficace costituito da:

-        un progetto di legge organica (n. 977) recante, tra le sue previsioni, la riduzione del 30 per cento sia dei deputati (da 577 a 404), sia dei senatori (da 348 a 244);

-        un progetto di legge ordinaria, (n. 976), volto a introdurre nel sistema elettorale vigente (uninominale maggioritario a doppio turno) l'elezione con metodo proporzionale del 15 per cento dei componenti previsti (61 deputati), con soglia di sbarramento al 5 per cento dei seggi espressi e doppia scheda per l'elettore: la prima per votare il deputato della sua circoscrizione, la seconda per votare una lista nazionale.

 

Un terzo progetto di legge, di natura  costituzionale (presentato il 9 maggio 2018 presso l'Assemblea nazionale: n. 911), è volto a modificare alcuni articoli della Carta costituzionale, relativi per lo più al procedimento legislativo (ma non mancano disposizioni su altri profili, come il giudice competente a giudicare dei ministri o la soglia numerica perché possa essere adito da una minoranza parlamentare il Consiglio costituzionale).

I primi due progetti di legge sono stati ritirati dal Governo il 29 agosto 2019, quando ancora non ne era iniziato l’esame in commissione, mentre il progetto di legge costituzionale è giunto all’esame dell’Assemblea che si è interrotto il 22 luglio 2018.

 

Tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 si è aperta una ulteriore fase nel programma di riforma. Il Presidente Macron ha lanciato il Grand débat national su quattro temi chiave (transizione ecologica, fisco, democrazia e cittadinanza, organizzazione dello stato e servizi pubblici) con i sindaci e i rappresentanti dei territori. Il dibattito si è concluso nel mese di aprile 2019 con la pubblicazione dei risultati delle consultazioni e la loro discussione presso l’Assemblea nazionale e il Senato.

 

All’inizio del 2019 vi è stata dunque una ripresa del dibattito sulle riforme istituzionali e l’iniziativa di riforma è stata aggiornata con la presentazione di un nuovo progetto ripartito in un progetto di legge costituzionale, un progetto di legge ordinaria e un progetto di legge organica, rispettivamente Projet de loi constitutionelle n. 2203, Loi ordinaire n. 2203 e Loi organique n. 2204 (29 agosto 2019) dal titolo Pour un renouveau de la vie democratique.

 

Il progetto di riforma costituzionale si articola essenzialmente attorno a due assi riformatori:

-  partecipazione della cittadinanza al procedimento legislativo;

-  sostenibilità ambientale.

 

Secondo il progetto di legge organica per il numero dei deputati e senatori è prevista una riduzione del 25%. Come già ricordato, la Costituzione francese del 1958 riserva alla fonte normativa della legge organica la potestà di modificare il numero dei membri delle assemblee elettive. La Costituzione francese prevede, all’articolo 89, che il rapporto del peso relativo tra le due assemblee rimanga inalterato nel tempo, senza specificare l’entità effettiva di tale rapporto: durante la V Repubblica quest’ultimo è stato mantenuto tra il 62% e il 38%. Di conseguenza, nella relazione illustrativa al progetto n. 2204 si evidenzia come la diminuzione del numero effettivo dei membri del 25% mantiene inalterato tale rapporto nel rispetto dunque della disposizione costituzionale. Quindi, il numero dei deputati verrebbe ridotto, secondo il progetto di legge organica, a 433 a fronte dei 577 attuali e quello dei senatori a 261 a fronte dei 348 attuali.

 

Alla riduzione del numero dei parlamentari si accompagna l’introduzione di una “quota proporzionale” per l’elezione dei deputati e il divieto di più di tre mandati consecutivi per i parlamentari.

Dei 433 deputati previsti dal progetto di legge, 87 (pari al 20%) vengono eletti con formula proporzionale ad un turno secondo uno scrutinio di lista a livello nazionale con soglia di sbarramento al 5%. La riduzione del numero di parlamentari comporta l’autorizzazione in capo al Governo - entro 18 mesi dalla pubblicazione della legge - di adottare una nuova delimitazione dei collegi elettorali in materia di deputati. L’entrata in vigore della riforma è prevista per il prossimo rinnovo dell’Assemblea nazionale e nel settembre 2021 per quanto riguarda il Senato.

 

Sul progetto di legge organica (n. 2204), dopo la presentazione, è stata effettuata la valutazione di impatto ed acquisito il parere del Consiglio di Stato.

 

 

Per quanto riguarda il Regno Unito si ricorda che ogni cinque anni spetta alle Boundary Commissions la determinazione dei confini dei collegi elettorali uninominali in cui è suddiviso il territorio del Paese. Si tratta di organismi non governativi e imparziali, la cui modalità di lavoro è disciplinata dalle Rules of Redistribution contenute nel Parliamentary Constituencies Act del 1986 e da ultimo modificato attraverso il Parliamentary Voting System and Constituencies Act del 2011.

 

L’attività delle Boundary Commissions è disciplinata dalle Rules of Redistribution contenute nel Parliamentary Constituencies Act del 1986, da ultimo modificato attraverso il Parliamentary Voting System and Constituencies Act del 2011. Ogni cinque anni, tali commissioni hanno il compito di sottoporre al governo inglese une revisione del sistema delle constituencies elettorali su tutto il territorio del Regno Unito, dovendo tale revisione tenere conto dell’evoluzione demografica dei territori, della continuità geografica e culturale dei collegi e delle variazioni delle delimitazioni amministrative nel tempo.

 

Negli ultimi anni, la sesta review del 2013 ha adottato le nuove Rules of Redistribution con la finalità di realizzare la riduzione del numero dei seggi nella House of Commons da 650 a 600, come previsto dal Parliamentary and Voting System Act del 2011.

Tali previsioni avevano l’obiettivo principale di ridefinire le constituencies elettorali garantendone l’eguaglianza rappresentativa, nel diminuirne il numero e aumentarne di conseguenza le dimensioni.

 

La revisione del 2018 (The Boundary Commissions: Boundary Review 2018) è stata di fatto la prima revisione dal processo iniziato a seguito delle modifiche alle Rules of Redistributions introdotte nel 2011, dal momento che la revisione del 2013 non è stata portata a termine. Tale revisione contiene le regole elettorali eventualmente da definire per le prossime elezioni politiche nel Regno Unito, dopo le elezioni anticipate tenutesi nel dicembre 2019 in cui tale revisione non ha trovato applicazione. Il governo è chiamato a presentare la revisione delle Boundary Commissions attraverso un Draft Order al Parlamento, il quale interviene sul testo e lo approva in entrambi i suoi rami.

Il Parlamento a sua volta ha discusso in diverse occasioni i progetti di legge presentati per la modifica del Parliamentary Constituencies Act del 1986 in seguito al 2011.

 

Si ricorda che è in corso da anni anche un dibattito sulla riforma della House of Lords e del numero dei suoi componenti. Nel dicembre 2016 alcuni membri della House of Lords hanno chiesto l'istituzione di un comitato di studio per il ridimensionamento dei componenti e, di conseguenza, il 20 dicembre 2016 il Lord Speaker ha annunciato l’istituzione di un Lord Speaker’s Committee con il compito di "esaminare i possibili metodi con i quali la camera potrebbe essere ridotta di dimensioni". La relazione del Comitato è stata discussa il 19 dicembre 2017 ed è seguito l’impegno a tenere in considerazione il tema della riduzione dei membri della House of Lords (The House of Lords Reform in the 2017 Parliament, briefing Paper Number 08137, 14 June 2018).

 

In Germania, nel settembre del 2019 - al fine di adottare iniziative volte “a mitigare” la variabilità del numero dei parlamentari (su cui v. infra) - un gruppo di professori universitari e cittadini ha scritto una lettera indirizzata al Bundestag chiedendo di incentivare un processo di revisione della legge elettorale e limitarne l’aumento indefinito del numero dei seggi.

Tale richiamo ha attivato un gruppo di lavoro in seno all’Assemblea, che non è allo stato giunto ad una soluzione definitiva in sede legislativa (il 13 novembre 2019 era stata presentata un prima bozza di progetto di legge: Drucksache 19/15074 - Legge di modifica della legge elettorale federale, in cui si indicava una possibile riduzione dei seggi parlamentari di 40 unità ogni quattro anni fino a raggiungere il numero minimo previsto di 598).

In Germania infatti la legge elettorale per il Bundestag determina un numero minimo di componenti (598), cui possono aggiungersi seggi 'soprannumerari' (?berhangmandate), conseguenti all'esito elettorale (connesso ad un sistema in cui vige un 'doppio voto', uninominale di collegio e di lista).

Siffatti seggi risultano pertanto numericamente variabili, di legislatura in legislatura (basti dire che dopo le elezioni del 2002 i seggi 'in soprannumero' furono 5, nel 2005 furono 16, nel 2009 furono 24, nel 2013 risultarono 4).

Intorno alla disciplina dei seggi soprannumerari si è innescata una travagliata revisione della legge elettorale tedesca (e sono intervenute pronunzie del giudice costituzionale), che ha condotto alla ventiduesima legge di modifica della legge elettorale (del 3 maggio 2013), recante previsione di ulteriori seggi, come 'compensativi' (Ausgleichmandate) rispetto ai 'soprannumerari' (nella successiva prima tornata elettorale di applicazione, il 2013, i seggi 'compensativi' risultarono 29).

Con le elezioni del 2017 si è registrato un incremento dei seggi attribuiti, a causa di una mutata dislocazione dell'assetto partitico ed un accresciuto 'multipolarismo' (nonché dell'uso 'disgiunto' del secondo voto di lista rispetto al primo uninominale, cd. Stimmensplitting, fatto da circa il 27,4 per cento degli elettori). 

Il Bundestag risulta così composto di 709 membri (contro i 631 della precedente), un numero sensibilmente superiore a quello (minimo) previsto, pari a 598 membri.

111 sono stati complessivamente i seggi aggiuntivi, assegnati a seguito delle elezioni politiche tedesche del 2017. I seggi 'soprannumerari' (?berhangmandate) sono risultati 46, i seggi 'compensativi' (Ausgleichmandate) 65.

Nel loro insieme tali seggi aggiuntivi sono risultati distribuiti tra le diverse forze politiche nel modo che segue: 36 a CDU; 22 a SPD; 11 ad AfD; 15 a FDP; 10 a "Die Linke"; 10 ai Verdi; 7 a CSU.

 

 

 


 

Un raffronto numerico tra le Camere 'alte'

 

Ove si persegua una comparazione numerica tra le Camere ‘alte’, il campo di indagine si restringe, dal momento che in diversi ordinamenti vi è monocameralismo, soprattutto nei Paesi dell'Unione europea di minore dimensione demografica. La maggioranza dei paesi dell’Unione Europea infatti (15) non hanno una seconda Camera.

Tra i Paesi dell’Unione europea, oltre l’Italia, che hanno una seconda Camera (Austria, Belgio, Francia, Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia e Spagna), in 4 Paesi i membri sono eletti direttamente dai cittadini (Polonia, Repubblica Ceca, Romania e Spagna). In Spagna, peraltro, una parte dei membri (58 su 266) sono designati dalle Comunità Autonome. Inoltre, le funzioni assegnate alle Camere alte sono diversamente modulate rispetto alle Camere basse, a seconda dei rispettivi ordinamenti. In Romania, in cui le due camere avevano, come in Italia, gli stessi poteri e le medesime funzioni, una riforma del 2003 ha introdotto un meccanismo che prevede una ‘camera prevalente’ rispetto alla funzione legislativa.

Non appare pertanto possibile procedere ad un raffronto analogo a quello svolto per le Camere ‘basse’ in quanto in gran parte dei casi i componenti delle Camere ‘alte’ non sono eletti direttamente dai cittadini e rappresentano istanze di altro tipo (ad esempio, espressione di istanze territoriali, oppure sono nominati su proposta del Governo o con elezioni di secondo grado, ecc.).

A titolo esemplificativo si ripercorrono le modalità di elezione delle Camere ‘alte’ dei principali Paesi dell’Unione europea.

 

In Germania (popolazione pari a 82.850.000 abitanti) un numero limitato di componenti del Bundesrat - attualmente di 69 membri - è funzionale alla natura di quell'organo, che l'articolo 51 della Legge fondamentale tedesca prevede sia composto da membri dei governi dei Länder, che li nominano e li revocano (la nomina governativa implica che i requisiti per l'appartenenza al Bundesrat siano fissati dalle norme del singolo Land).

Il medesimo articolo 51 stabilisce (al terzo comma) che i membri provenienti da uno stesso Land debbano votare in modo unitario. Tale vincolo, può dirsi, tende a spostare il centro delle decisioni dal Bundesrat ai governi dei Länder - profilo, questo, che si riverbera sulla composizione numerica, piuttosto snella, dell'organo.

Ancora l'articolo 51 della Legge fondamentale attribuisce a ciascun Land un numero di voti in parte a seconda della popolazione (ogni Land ha a disposizione almeno 3 voti; i Länder con più di due milioni di abitanti hanno 4 voti; i Länder con più di sei milioni di abitanti hanno 5 voti; i Länder con più di sette milioni di abitanti hanno 6 voti).

Ciascun Land può inviare al Bundesrat tanti rappresentanti quanti sono i voti ad esso attribuiti anche in base alla popolazione. La composizione numerica del Bundesrat può pertanto variare (in base agli aggiornamenti dei dati statistici sulla popolazione residente dei Länder).

 

All'estremo opposto in termini di numerosità dei componenti è la House of Lords - attualmente composta da 792 membri - la quale risponde a logiche di rappresentatività di tutt'altra natura. Nel Regno Unito (popolazione pari a 66.238.007abitanti) non vige infatti un limite numerico per la nomina dei Lords, la quale è a vita, da parte della Corona, su indicazione del Primo ministro. Vi sono poi Lords di diritto, esponenti della Chiesa anglicana. E siedono ancora Lords per diritto ereditario, i quali sono 'ad esaurimento' (da quando è stata abolita la trasmissione ereditaria del seggio, con l'House of Lords Act del 1999).

Si è ricordato sopra come sia in corso un dibattito nel Regno Unito sulla riduzione del numero di componenti della House of Lords.

 

In Francia (popolazione pari a 67.221.943 abitanti), il Senato è elettivo di secondo grado. Esso conta 348 senatori, eletti da un collegio di più di 160.000 'grandi elettori' (costituito per lo più dai delegati dei Consigli municipali) e si rinnova per metà ogni tre anni. Esso assicura, prevede l'articolo 24 della Costituzione, la rappresentanza delle collettività territoriali della Repubblica.

Le elezioni senatoriali francesi hanno luogo a suffragio universale indiretto: i senatori assegnati a ciascun dipartimento sono eletti da un collegio elettorale composto dai parlamentari di quel dipartimento (deputati e senatori), dai consiglieri regionali eletti nello stesso ambito dipartimentale, dai consiglieri del dipartimento stesso e, infine - ma si tratta della componente di gran lunga prevalente in termini numerici e, quindi, anche di peso politico - dai consiglieri municipali e loro delegati. Nel complesso, gli attuali 348 senatori (dopo i due rinnovi parziali del 28 settembre 2014 e del 24 settembre 2017, vigente la nuova disciplina posta dalla legge n. 2013-702 del 2 agosto 2013) sono stati eletti da: 567 deputati; 333 senatori; 2.027 consiglieri regionali; 4.297 consiglieri generali; 156.227 delegati dei consigli municipali. Questi ultimi rappresentano, quindi, più del 95% dell'intero collegio elettorale.

Si è ricordato sopra come in Francia sia in corso di esame parlamentare una iniziativa legislativa volta a ridurre il numero dei deputati ed il numero dei senatori, questi ultimi a 244 (da 348).

 

In Spagna (popolazione pari a 46.659.302 abitanti), il Senato è una Camera prevalentemente elettiva diretta, non interamente tuttavia. I Senatori spagnoli sono, in maggior parte, eletti a suffragio universale diretto (al pari dei 350 deputati del Congresso), e per una minore parte sono membri designati dai Parlamenti delle diciassette Comunità autonome. Si ha dunque una composizione 'mista', elettiva diretta ed elettiva indiretta o di secondo grado.

I senatori designati dai Parlamenti delle Comunità autonome spagnole lo sono in ragione di uno per ciascuna Comunità e di uno ulteriore per ogni milione di abitanti del rispettivo territorio. Pertanto il numero di senatori designati può risultare variabile (a seguito di variazioni nella popolazione della Comunità).

Ogni Comunità disciplina autonomamente il procedimento per l'elezione dei senatori in quota 'designazione'. Unico requisito richiesto dalla Costituzione è quello di assicurare adeguata rappresentanza proporzionale, circostanza che presuppone la riserva di un numero di seggi proporzionale alla forza numerica dei Gruppi parlamentari rappresentati all'interno delle Assemblee parlamentari delle Comunità. Alcune Comunità richiedono o ammettono che l'elezione avvenga tra gli stessi membri del proprio Parlamento, con la conseguenza che l'eletto assume un doppio mandato; altre escludono, invece, tale eventualità.

Dei 266 senatori dell’attuale legislatura (la XII), 208 sono stati eletti direttamente dal popolo a suffragio universale diretto, 58 sono stati designati dai Parlamenti delle 17 Comunità Autonome (9 senatori dall'Andalusia; 8 dalla Catalogna; 7 dalla Comunità di Madrid; 6 dalla Comunità valenzana; 3 da ciascuno di Paesi Baschi, Galizia, Castiglia-La Mancia, Castiglia e Leon, Canarie; 2 da ciascuno di Aragona, Asturie, Baleari, Estremadura, Murcia; 1 da ciascuno di Cantabria, Navarra, La Rioja).

 

In Polonia (popolazione pari a 37.976.687 abitanti), il Senato è composto da 100 membri, eletti a suffragio universale diretto. È una Repubblica parlamentare caratterizzata da un bicameralismo differenziato e dal rilevante ruolo del Presidente della Repubblica.

Il Primo Ministro è scelto dal Presidente della Repubblica ma deve godere la fiducia della Camera bassa (Sejm). Questa, eletta al pari del Senato ogni quattro anni, è dotata di poteri prevalenti per quanto attiene sia al procedimento legislativo che alla funzione di indirizzo politico. Il Senato, abolito durante il regime comunista, è stato ripristinato nel 1989 e, ai sensi dell'articolo 97 della Costituzione, entrata in vigore nel 1997, comprende oggi 100 senatori eletti a suffragio universale diretto in altrettante circoscrizioni ad unico seggio.

 

In Romania (popolazione pari a 19.523.621 abitanti), il Parlamento è composto dalla Camera dei deputati e dal Senato, eletti ogni 4 anni con il medesimo sistema. Il numero dei componenti di ciascuna Camera è stabilito dalla legge elettorale, ma in base alla Costituzione deve essere rapportato alla popolazione del Paese. Attualmente il Senato è composto da 136 membri.

Il sistema bicamerale perfetto vigente in Romania secondo la Costituzione democratica adottata dopo il 1991 è stato oggetto di un intervento di razionalizzazione ad opera della riforma costituzionale del 2003, che peraltro ha interessato solo la funzione legislativa, lasciando per il resto intatta la parità di poteri dei due rami del Parlamento per quanto attiene alle funzioni di indirizzo e controllo politico.

 



[1]    Alla Camera i collegi uninominali erano otto, come definiti dal d.lgs. 536/1993 adottato in attuazione della legge n. 277 del 1993.

[2] L’art. 5 della legge n. 459/2001 prevede che mediante l'unificazione dei dati dell'anagrafe degli italiani residenti all'estero e degli schedari consolari si provveda a realizzare l'elenco aggiornato dei cittadini italiani residenti all'estero, finalizzato alla predisposizione delle liste elettorali.

Entro il 31 gennaio di ogni anno è adottato un decreto ministeriale (il più recente è il D.M. 18 gennaio 2018) in cui è pubblicato il numero dei cittadini italiani residenti nelle singole ripartizioni sulla base dei dati contenuti nell’elenco di cui al suddetto art. 5 del D.P.R. 104/2003 e riferiti al 31 dicembre di ogni anno.

[3] L’elenco provvisorio dei residenti all’estero aventi diritto al voto è poi aggiornato dagli uffici consolari con la cancellazione degli elettori nel frattempo deceduti e degli irreperibili. A tale elenco si affianca altresì un “elenco aggiunto” in cui sono inseriti i cittadini, che ne facciano richiesta entro l’11° giorno antecedente la data delle votazioni all’ufficio consolare, che sono stati cancellati per irreperibilità dalle liste elettorali o che per qualsiasi sono erano stati omessi dall’elenco provvisorio (artt. 16 e 17 D.P.R. 104/2003).

[4] Nel dettaglio, entro tale termine, gli uffici consolari inviano, con il sistema postale più affidabile e, ove possibile, con posta raccomandata, o con altro mezzo di analoga affidabilità, agli elettori residenti all’estero che non abbiano esercitato l’opzione per il voto in Italia, un plico contenente il certificato elettorale, la scheda elettorale e la relativa busta, e una busta affrancata recante l’indirizzo dell’ufficio consolare competente. Il plico contiene anche le indicazioni sulle modalità per l’espressione del voto e le liste dei candidati nella ripartizione di appartenenza.

[5]    Si vedano gli artt. 3 e 4 del Codice di autoregolamentazione delle emittenti locali dell’8 aprile 2004.

[6]    Configurazione a sé ebbe la composizione del Senato nella prima legislatura repubblicana, giacché la III disposizione transitoria della Costituzione previde, per essa soltanto, altresì un insieme di senatori di diritto.