Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: RUE - Ufficio SG - Ufficio Rapporti con l'Unione europea
Titolo: Incontro delle Commissioni congiunte Politiche dell’Unione europea di Camera e Senato con una delegazione del Parlamento finlandese - Roma, 16 ottobre 2018
Serie: Documentazione per le Commissioni - Audizioni e incontri in ambito UE   Numero: 4
Data: 12/10/2018
Organi della Camera: XIV Unione Europea

        

 

XVIII LEGISLATURA

 

Documentazione per le Commissioni

AUDIZIONI E INCONTRI

 

 

 

Incontro delle Commissioni congiunte Politiche dell’Unione europea di Camera e Senato
con una delegazione del Parlamento finlandese

Roma, 16 ottobre 2018

 

 

 

 

Senato della Repubblica

Servizio Studi                  Dossier europei

n. 17

Camera dei deputati

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INDICE

Schede di lettura.. 1

La riforma dell'Unione economica e monetaria.. 3

Istituzione del Ministro europeo dell'economia e delle finanze  4

Istituzione di un Fondo monetario europeo.. 5

Incorporazione del Fiscal Compact nella cornice giuridica dell'UE  7

Nuovi strumenti di bilancio per la zona euro.. 8

Tabella di marcia.. 9

L'Euro Summit del 29 giugno 2018. 11

Documento “Una politeia per un'Europa diversa, più forte e più equa". 12

Il quadro finanziario pluriennale 2021-2027. 15

Iter legislativo.. 19

Ultimi sviluppi negoziali 21

La posizione del Parlamento europeo.. 24

La struttura del QFP 2021-2027. 26

Strumenti a sostegno della stabilità dell’Unione economica e monetaria.. 38

Nuovo meccanismo a tutela dello Stato di diritto.. 38

Il pacchetto legislativo sulle risorse proprie. 40

Sicurezza, migrazione e controllo delle frontiere esterne.. 45

L’approccio strategico alle questioni della sicurezza.. 45

Le principali misure in materia di contrasto al terrorismo.. 46

L’Agenda europea sulla migrazione. 59

Recenti sviluppi della politica UE in materia di migrazione, asilo e gestione delle frontiere. 62

Recenti iniziative dell’ue in materia di difesa.. 85

La Cooperazione strutturata permanente nel settore della difesa.. 85

Tabella di marcia per l’attuazione della PESCO.. 87

Progetti di cooperazione in ambito PESCO.. 88

La Mobilita militare. 90

La Brexit.. 101

L'iter negoziale: quadro riepilogativo.. 103

La posizione del Consiglio dell'Ue. 106

La posizione della Commissione europea.. 107

La posizione del Parlamento europeo.. 108

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Schede di lettura



 

La riforma dell'Unione economica e monetaria

Attualmente l’Unione economica e monetaria (UEM) è disciplinata da norme di rango primario (contenute nei Trattati) e secondario, alle quali, nel tempo, si sono aggiunti accordi intergovernativi (quali il Trattato cd. Fiscal Compact e il Trattato istitutivo del Meccanismo europeo di stabilità, ESM) e misure - anche di natura non legislativa - intese a rafforzare i vincoli di finanza pubblica e introdurre una cornice comune per le politiche economiche degli Stati membri.

L’area euro è attualmente formata da tutti i Paesi dell’UE ad eccezione di: Bulgaria, Croazia, Danimarca, Polonia, Regno Unito, Repubblica ceca, Romania, Svezia, Ungheria. Ad eccezione del Regno Unito e della Danimarca, tutti gli Stati membri non appartenenti alla zona euro si sono giuridicamente impegnati ad aderire all’euro.

Il 6 dicembre 2017 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di proposte sul futuro dell'Unione economica e monetaria, che mira a migliorare la resilienza e l'integrazione dell'area euro, affrontando non solo profili istituzionali e di governance, ma anche alcune criticità emerse con l'esplosione della crisi economico-finanziaria degli ultimi anni.

Il pacchetto in questione propone in particolare di:

·       istituire il Ministro europeo dell'economia e delle finanze;

·       istituire un Fondo monetario europeo;

·       incorporare il Trattato Fiscal Compact nell'ordinamento giuridico dell'UE;

·       introdurre nuovi strumenti di bilancio per la zona euro (sostegno alle riforme strutturali e stabilizzazione degli investimenti).

Il pacchetto s'inserisce nel solco avviato nel 2015 con la "Relazione dei cinque Presidenti" e proseguito con il "Documento di riflessione sull'approfondimento dell'Unione economica e monetaria" del maggio 2017.

Oltre agli aspetti di semplificazione e razionalizzazione del quadro giuridico e istituzionale, da più parti è stato evidenziato che l'attuale assetto dell'UEM non ha consentito di rispondere con tempestività ed efficacia alla più grave crisi economico-finanziaria dal secondo dopoguerra. In assenza di efficaci strumenti ordinari, l'UE ha dovuto, infatti, ricorrere a misure eccezionali quali il cosiddetto Piano Juncker e, soprattutto, il programma Quantitative easing della Banca centrale europea, che si sono rivelate utili, ma scontano i limiti della temporaneità e dell'eccezionalità dell'intervento.

Per ovviare a tali limiti, la Commissione europea ha prospettato un complesso organico di misure, che in larga parte si possono riscontrare nella tabella di marcia che costituisce parte integrante del citato pacchetto di dicembre.

Occorre, tuttavia, rilevare che la tabella di marcia della Commissione europea prevede che talune misure, pur essenziali ai fini del rafforzamento dell'UEM, siano rinviate a una fase successiva (2019-2025) come l'emissione comune di titoli di debito equiparabili ai titoli del Tesoro degli Stati Uniti, la creazione di un Tesoro della zona euro e la semplificazione delle norme del Patto di stabilità e crescita.

Istituzione del Ministro europeo dell'economia e delle finanze

Il Ministro europeo dell'economia e delle finanze, secondo la comunicazione della Commissione COM(2017)823:

·       dovrebbe fungere da Vicepresidente della Commissione e da Presidente dell'Eurogruppo;

·       sarebbe responsabile di fronte al Parlamento europeo;

·       manterrebbe dialoghi regolari con i Parlamenti nazionali (i Parlamenti nazionali potrebbero chiedere al Ministro di presentare il parere della Commissione sui rispettivi documenti programmatici di bilancio).

Per quanto concerne le funzioni, il Ministro dovrebbe:

·       perseguire l'interesse generale dell'economia dell'UE e della zona euro e rappresentarla a livello mondiale;

·       rafforzare il coordinamento delle politiche e vigilare sulle norme economiche, finanziarie e di bilancio;

·       pronunciarsi sulla politica di bilancio appropriata per la zona euro a sostegno della politica monetaria della Banca centrale europea.

·       monitorare l'uso degli strumenti di bilancio dell'UE e della zona euro, compresi quelli a sostegno delle riforme, della stabilizzazione macroeconomica e della convergenza (ad esempio, gli interventi della Banca europea per gli investimenti e dell'ESM).

Nella scorsa legislatura, le Commissioni riunite V (Bilancio) e XIV (Politiche dell'UE) della Camera dei deputati, nel documento finale approvato il 7 febbraio 2018, hanno rilevato che all'istituzione della figura del Ministro europeo dell'economia e delle finanze non è tuttavia associata la previsione dell'attribuzione al medesimo Ministro di un bilancio dell'area euro, la cui creazione, in base alla tabella di marcia della Commissione europea, è rinviata a una fase successiva (tra il 2019 e il 2025). Ne consegue che il Ministro potrebbe rivelarsi come uno strumento di mero rafforzamento dei controlli e delle regole che gli Stati membri sono tenuti a rispettare, rendendo ancora più stringenti i vincoli di finanza pubblica.

Istituzione di un Fondo monetario europeo

Il Fondo monetario europeo (FME), in base alla proposta di regolamento presentata dalla Commissione COM(2018)827, sarebbe basato sulla struttura ormai consolidata del Meccanismo europeo di stabilità (cd. Fondo "salva-Stati", ESM), ma ancorato all'ordinamento giuridico dell'UE (attualmente l'ESM è disciplinato da un apposito accordo intergovernativo). Il FME:

·       potrebbe costituire un meccanismo di backstop (garanzia) comune per il Fondo di risoluzione unico delle crisi bancarie e fungerebbe da prestatore di ultima istanza al fine di facilitare la risoluzione ordinata delle banche in difficoltà. Nell'ambito dell'Unione bancaria, il meccanismo di backstop sarebbe attivato nel caso in cui, anche dopo aver imputato perdite agli azionisti e ai creditori delle banche, il Fondo di risoluzione unico non disponga temporaneamente di risorse sufficienti per agevolare la risoluzione ordinata delle banche in difficoltà. Gli Stati membri si sono accordati sulla creazione di un backstop per il Fondo di risoluzione unico nel 2013, ma il meccanismo non è ancora operativo;

·       potrebbe concedere assistenza finanziaria precauzionale agli Stati membri del FME sotto forma di linea di credito condizionale, nonché assistenza finanziaria per la ricapitalizzazione degli enti creditizi;

·       prevederebbe il voto a maggioranza qualificata (85%), anziché all'unanimità, per le decisioni in materia di sostegno alla stabilità, esborsi e attivazione del sostegno;

·       avrebbe al suo interno un esplicito riferimento all'applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea nelle attività del futuro FME (di conseguenza, la concessione dell'assistenza finanziaria sarebbe condizionata al rispetto dei diritti tutelati nella Carta).

La proposta reca anche una disciplina puntuale per quanto riguarda i membri e la governance: il FME sarebbe dotato di un consiglio dei governatori e di un consiglio di amministrazione e di un direttore generale. Il presidente del consiglio dei governatori sarebbe il presidente dell'Eurogruppo (come già avviene per l'ESM).

Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in occasione delle comunicazioni alla Camera dei deputati del 27 giugno 2018, in vista del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2018, ha affermato che “non vogliamo un Fondo monetario europeo che, lungi dall'operare con finalità perequative, finisca per costringere alcuni Paesi verso percorsi di ristrutturazione predefiniti con sostanziale esautorazione del potere di elaborare in autonomia politiche economiche efficaci. È per questo che siamo contrari a ogni rigidità nella riforma del Meccanismo europeo di stabilità: soprattutto perché nuovi vincoli al processo di ristrutturazione del debito potrebbero contribuire proprio essi all'instabilità finanziaria, anziché prevenirla”.

Si ricorda, inoltre, che, nella scorsa legislatura, le Commissioni riunite V (Bilancio) e XIV (Politiche dell'UE) della Camera dei deputati, nel documento finale approvato il 7 febbraio 2018, hanno invitato le Istituzioni europee a valutare l’opportunità di attribuire al FME la capacità di collocare titoli anche sul mercato primario e non solo a banche e istituzioni finanziarie, al fine di potenziarne le possibilità di raccolta di capitale, adottando le necessarie precauzioni a tutela dei risparmiatori.

Incorporazione del Fiscal Compact nella cornice giuridica dell'UE

La Commissione europea con la proposta di direttiva COM(2018)824 propone di incorporare le disposizioni del Trattato sulla stabilità, il coordinamento economico e la governance (cd. Fiscal Compact) nell'ordinamento giuridico dell'Unione.

L'articolo 16 del Fiscal Compact prevede, infatti, che, al più tardi entro cinque anni dalla data di entrata in vigore del Trattato stesso (e dunque, entro il 1° gennaio 2018), sulla base di una valutazione dell'esperienza maturata in sede di attuazione, siano adottate le misure necessarie per incorporarne il contenuto nella cornice giuridica dell'UE.

Con il Fiscal Compact, di fatto, si sono confermate alcune regole di bilancio già introdotte nell'ordinamento dell'UE e si impegnavano gli Stati firmatari a recepire la regola del pareggio strutturale di bilancio in disposizioni vincolanti a un elevato livello di gerarchia delle fonti giuridiche (preferibilmente a livello costituzionale).

L'Italia si è conformata a tale impegno modificando il dettato dell'articolo 81 della Costituzione e la legislazione contabile.

Nella scorsa legislatura, le Commissioni riunite V bilancio e XIV politiche dell'UE della Camera dei deputati, nel documento finale approvato il 7 febbraio 2018, hanno espresso una valutazione contraria sulla proposta.

Nuovi strumenti di bilancio per la zona euro

La Commissione europea con la comunicazione COM(2017)822 indica le funzioni specifiche che il bilancio UE dovrebbe svolgere: sostegno alle riforme strutturali degli Stati membri, attraverso uno strumento per la realizzazione delle riforme e un'assistenza tecnica su richiesta degli stessi Stati, compreso uno specifico strumento di convergenza per i Paesi in procinto di adottare l'euro; una funzione di stabilizzazione per mantenere i livelli di investimento in caso di gravi shock asimmetrici.

Il 31 maggio 2018, nell’ambito delle proposte per il prossimo quadro finanziario pluriennale 2021-2027, la Commissione europea ha presentato:

·       la proposta di regolamento COM(2018)391 per l'istituzione del Programma di sostegno alle riforme strutturali degli Stati membri, che prevede uno stanziamento complessivo di 25 miliardi di euro per il periodo 2021-2027. Il Programma si compone di: uno strumento per la realizzazione delle riforme; uno strumento di assistenza tecnica su richiesta degli stessi Stati; uno specifico strumento di convergenza per i Paesi in procinto di adottare l'euro (meccanismo detto "convergence facility"), con una dotazione di 2,16 miliardi di euro;

·       la proposta di regolamento COM(2018)387 relativo all'istituzione della Funzione europea di stabilizzazione degli investimenti in caso di shock asimmetrici per il periodo 2021-2027, che prevede la possibilità per l'Unione di contrarre prestiti sui mercati finanziari al fine di concedere crediti per un massimo di 30 miliardi di euro a favore degli Stati membri della zona euro (o membri dell'Exchange Rate Mechanism, ERM II). La Commissione europea propone anche di creare un apposito Fondo di stabilizzazione, finanziato dagli Stati membri, per coprire i costi legati ai tassi di interesse dei prestiti concessi dall'Unione.

Per quanto riguarda i negoziati, in sede di Gruppo ad hoc sul QFP, il Governo ha criticato le ridotte dotazioni prospettate per entrambe le proposte. Per quanto riguarda il Programma di sostegno alle riforme, ha segnalato, in particolare, che potrebbe non essere ben focalizzato sull'obiettivo di sostenere la convergenza tra i Paesi soprattutto perché saranno stabiliti gli importi massimi per ciascuno Stato membro in base alla popolazione (anche se l'Italia sarebbe il terzo beneficiario con poco più del 13%, per un ammontare corrispondente a circa 1,5 miliardi di euro potenziali per ciascuna fase). Inoltre, l'incentivo potrebbe non rivelarsi così efficace come nelle previsioni considerato lo scarto temporale tra il momento dell'impegno e quello della corresponsione ex-post del contributo. Secondo l'Italia, la corresponsione di un anticipo al momento della sottoscrizione degli impegni potrebbe contribuire meglio ad affrontare i costi politici ed economici individuati come ostacolo per la realizzazione delle riforme. Invece, per quanto riguarda il Programma europeo di stabilizzazione degli investimenti, ha segnalato, in particolare, che l'introduzione di una funzione di stabilizzazione come completamento dell'UEM è stata sempre sostenuta dall'Italia che ha portato avanti la propria proposta di un rainy day fund collegato alla disoccupazione, che garantirebbe maggiore efficacia in termini di risorse finanziarie disponibili per contrastare gli shock e in termini di tempestività nel contrastare l'impatto della congiuntura negativa sull'economia.

Tabella di marcia

La comunicazione sulle Ulteriori tappe verso il completamento dell'Unione economica e monetaria dell'Europa: tabella di marcia (COM(2017)821), oltre a fornire un quadro sintetico delle misure incluse nel citato pacchetto di dicembre, traccia una tabella di marcia per l’approfondimento dell’UEM per il biennio 2018-2019 e successivamente al 2019 fino al 2025. In particolare, secondo la Commissione europea:

- nel 2018: dovrebbero essere adottati gli atti per completare l'Unione bancaria, compreso il pacchetto sulla riduzione dei rischi nel settore bancario del novembre 2016, presentato al fine di rafforzare la capacità delle banche dell’UE di resistere a eventuali shock, e la proposta sul sistema europeo di assicurazione dei depositi, considerato uno dei pilastri dell’Unione bancaria; andrebbe raggiunto l'accordo su un sostegno comune (c.d. backstop) per il Fondo di risoluzione unico, affinché sia operativo entro il 2019;

- entro la metà del 2019: andrebbero portate a termine tutte le iniziative legislative pendenti relative all'Unione dei mercati dei capitali, (revisione delle autorità europee di vigilanza, modifiche del regolamento relativo all'infrastruttura dei mercati europei e prodotto pensionistico paneuropeo); dovrebbero essere adottate le proposte sulla creazione del Fondo monetario europeo, sull'integrazione del Fiscal Compact nel diritto dell'UE e sull'istituzione di una rappresentanza unificata della zona euro nel Fondo monetario internazionale; dovrebbe essere raggiunta un'intesa comune sul ruolo del Ministro europeo dell'economia e delle finanze; andrebbero adottate, nel contesto del prossimo quadro finanziario pluriennale, le proposte per il Programma di sostegno alle riforme strutturali, compreso lo strumento di convergenza specifico per gli Stati membri non appartenenti alla zona euro, e per la Funzione europea di stabilizzazione degli investimenti;

- per il post-2019: la Commissione europea cita le ulteriori misure da adottare a livello di Unione finanziaria (attuazione continua delle iniziative connesse all'Unione dei mercati dei capitali, progressi verso l'emissione di un'attività sicura europea, modifiche del trattamento normativo delle esposizioni sovrane), di Unione economica e di bilancio (attuazione del nuovo quadro finanziario pluriennale, Funzione europea di stabilizzazione pienamente funzionale, semplificazione delle norme del Patto di stabilità e crescita) e di responsabilità democratica e governance (funzione a tutti gli effetti del Ministro europeo dell'economia e delle finanze, piena operatività del Fondo monetario europeo e creazione di un Tesoro della zona euro).


L'Euro Summit del 29 giugno 2018

A margine del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno si è tenuta una riunione dell'Euro Summit nel suo formato esteso ai 27 Stati membri dell'UE, il quale ha convenuto quanto segue:

1. l'accordo raggiunto dal Consiglio sul pacchetto sulla condivisione dei rischi nel settore bancario dovrebbe consentire ai colegislatori di approvarlo entro la fine dell'anno. In particolare, mantenendo ferma la tabella di marcia del 2016, si auspica l'avvio delle negoziazioni politiche sul sistema europeo di assicurazione dei depositi;

2. l’ESM fornirà il backstop comune al Fondo di risoluzione unico e sarà rafforzato sulla base degli elementi contenuti nella lettera del presidente dell'Eurogruppo. Entro dicembre 2018 l'Eurogruppo stabilirà i termini per il sostegno comune e concorderà le condizioni per l'ulteriore sviluppo dell’ESM.

In merito alle funzioni che dovrebbe avere l’ESM riformato, si cita, dunque, la lettera del 25 giugno 2018 del presidente dell’Eurogruppo, Mário Centeno, che riprendeva a sua volta alcuni elementi contenuti nella dichiarazione congiunta franco-tedesca di Meseberg del 19 giugno 2018 (v. scheda relativa al dibattito sul futuro dell’Europa). La lettera afferma, tra l’altro, che la condizionalità deve rimanere un principio di base del nuovo ESM e di tutti i suoi strumenti, anche per quanto riguarda gli strumenti precauzionali, e che i criteri di eleggibilità ex-ante dovrebbero essere resi più efficaci, anche per valutare la buona performance economica e finanziaria dello Stato membro. Inoltre, l’ESM potrebbe assumere un ruolo più forte nella valutazione e nel monitoraggio dei programmi di aiuto in favore degli Stati membri, in stretta cooperazione con la Commissione europea e in collegamento con la BCE e avere anche la capacità di valutare la situazione economica complessiva degli Stati senza sovrapporsi al ruolo della Commissione europea.

Nella citata dichiarazione congiunta franco-tedesco di Meseberg, il presidente Macron e la cancelliera Merkel hanno, tra l’altro, riaffermato il ruolo chiave del principio di condizionalità alla base degli strumenti di intervento dell’ESM, ricordando in particolare che la decisione di intervento si fonda su un’analisi della sostenibilità del debito del Paese interessato, e auspicato l'avvio di una riflessione sull'opportunità di introdurre delle clausole che favoriscano una ristrutturazione concordata del debito pubblico, anche al fine di rendere più efficaci le linee di intervento precauzionali finalizzate ad assicurare la stabilizzazione delle condizioni di mercato in caso di rischio dovuto alla mancanza di liquidità.

Documento “Una politeia per un'Europa diversa, più forte e più equa"

Il 25 settembre 2018 presso le Commissioni riunite XIV Camera (Politiche dell’Unione europea) e 14a Senato (Politiche dell’Unione europea) si è svolta l’audizione del Ministro per gli affari europei, Paolo Savona, sulle prospettive di riforma dell’Unione europea, nell’ambito della quale il Ministro ha depositato il documento intitolato "Una politeia per un'Europa diversa, più forte e più equa", che lo stesso Ministro, il 12 settembre 2018 ha comunicato di aver inoltrato al Presidente della Commissione europea.

Il documento analizza in particolare tre argomenti:

·       l'architettura istituzionale della politica monetaria (tra l’altro avanzando la proposta di affidare alla BCE compiti pieni sul cambio, nonché funzioni di prestatrice di ultima istanza);

·       l'architettura istituzionale della politica fiscale e la conformazione da questa assunta;

·       le regole della competizione anche in relazione agli aiuti di Stato.

Secondo il documento, il riferimento a una politeia invece della consueta governance è dovuto al fatto che la prima esprime una politica per il raggiungimento del bene comune, mentre la seconda, mutuata dalle discipline di management, indica le regole di gestione delle risorse.

La conclusione del documento è che il Governo italiano assumerà tutte le iniziative utili per dare vita a un Gruppo di lavoro ad alto livello, composto dai rappresentanti degli Stati membri, del Parlamento europeo e della Commissione europea, che esamini la rispondenza dell’architettura istituzionale europea vigente e della politica economica con gli obiettivi di crescita nella stabilità e di piena occupazione esplicitamente previsti nei Trattati. Il Gruppo di lavoro ha lo scopo di sottoporre al Consiglio europeo, prima delle prossime elezioni europee, suggerimenti utili a perseguire il bene comune, la politeia che manca al futuro dell’Unione e alla coesione tra gli Stati membri.


 


 

Il quadro finanziario pluriennale 2021-2027

Il 2 maggio 2018 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure nelle quali si delinea il prossimo quadro finanziario pluriennale dell’UE per il periodo 2021-2027, predisposto per un’Unione europea a 27 Stati membri, in considerazione del recesso del Regno Unito dall’UE.

Le proposte prevedono, tra l’altro, una nuova ripartizione delle risorse, una serie di innovazioni al fine di accrescere la flessibilità del QFP e prefigurano parziali modifiche per quanto concerne le fonti attraverso le quali viene alimentato il bilancio dell’UE; inoltre, è fissata una revisione intermedia del QFP entro la fine del 2023, in analogia a quanto avvenuto nell’attuale ciclo di programmazione.

Si tratta, in particolare, dei seguenti atti:

·       comunicazione recante il quadro finanziario pluriennale 2021-2027 COM(2018)321;

·       proposta di regolamento del Consiglio che stabilisce il quadro finanziario pluriennale 2021-2027 COM(2018)322;

·       proposta di accordo interistituzionale tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione europea sulla disciplina di bilancio, sulla cooperazione in materia di bilancio e sulla sana gestione finanziaria COM(2018)323;

·       proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla tutela del bilancio dell'Unione in caso di carenze generalizzate riguardanti lo Stato di diritto negli Stati membri COM(2018)324;

·       proposta di decisione del Consiglio relativa al sistema delle risorse proprie dell’Unione europea COM(2018)325;

·       proposta di regolamento del Consiglio concernente le modalità e la procedura di messa a disposizione delle risorse proprie basate sulla base imponibile consolidata comune per l'imposta sulle società, sul sistema di scambio di quote di emissioni dell'Unione europea e sui rifiuti di imballaggio di plastica non riciclati, nonché le misure per far fronte al fabbisogno di tesoreria COM(2018)326;

·       proposta di regolamento del Consiglio che stabilisce misure di esecuzione del sistema delle risorse proprie dell'Unione europea COM(2018)327;

·       proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CEE, Euratom) n. 1553/89 concernente il regime uniforme definitivo di riscossione delle risorse proprie provenienti dall’imposta sul valore aggiunto COM(2018)328.

La Commissione europea ha presentato il bilancio 2021-2027 sia a prezzi costanti 2018, sia a prezzi correnti; questi ultimi tengono conto di un tasso di inflazione annuo del 2%.

Per i complessivi sette anni, la Commissione europea prevede stanziamenti pari a 1.135 miliardi di euro a prezzi costanti in termini di impegni (1.279 miliardi di euro a prezzi correnti), pari all'1,11% del Reddito nazionale lordo dell'UE-27 (RNL). Questo livello di impegni si traduce in 1.105 miliardi di euro (ovvero l'1,08% dell'RNL) a prezzi costanti in termini di pagamenti (1.246 miliardi a prezzi correnti).

Di seguito, le tabelle del QFP 2021-2027 pubblicate dalla Commissione europea sia a prezzi correnti che a prezzi costanti 2018.

 

Si tratta di un aumento di risorse rispetto al bilancio settennale attualmente in corso 2014-2020 (regolamento (UE, EURATOM) n. 1311/2013): 959,9 miliardi di euro di impegni e 908,4 miliardi di euro di pagamenti a prezzi costanti 2011 e 1082,5 miliardi di euro di impegni e 1023,9 miliardi di euro di pagamenti a prezzi correnti.

 

Con l’uscita del Regno Unito saranno, tuttavia, richiesti maggiori sforzi finanziari ai Governi dei restanti 27 Stati membri. Secondo stime della Commissione europea, infatti, l’uscita del Regno Unito dall’UE potrebbe produrre una riduzione nel bilancio annuale dell’UE tra i 10 e i 12 miliardi di euro annui, corrispondente a circa il 10% del bilancio annuale dell’UE.

La Commissione europea propone anche l'integrazione nel bilancio dell'UE del Fondo europeo di sviluppo (FES), principale strumento con cui l'UE finanzia la cooperazione allo sviluppo con i Paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico, che attualmente non rientra nel bilancio generale dell’UE, ma è finanziato dagli Stati membri, dispone di regole finanziarie proprie ed è diretto da un comitato specifico. Il FES nel quadro finanziario 2014-2020 ha una dotazione di 30,5 miliardi di euro, finanziati dagli Stati membri (contributo Italia 3,8 miliardi di euro).

Secondo le stime della Commissione europea, tendendo conto dell'inflazione e dell’integrazione nel bilancio UE del Fondo europeo di sviluppo (0,03% del reddito nazionale lordo), l'ordine di grandezza (1,11% del reddito nazionale lordo) sarebbe in linea con quello dell'attuale bilancio a lungo termine 2014-2020 (1,13% del reddito nazionale lordo).

Iter legislativo

Secondo la Commissione europea, ai negoziati dovrebbe essere accordata la massima priorità e un accordo dovrebbe essere raggiunto prima delle elezioni del Parlamento europeo e del vertice di Sibiu del 9 maggio 2019.

Il regolamento QFP segue una procedura legislativa speciale stabilita dall'articolo 312 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE). Il Consiglio delibera all'unanimità previa approvazione del Parlamento europeo che, deliberando a maggioranza assoluta, può approvare o respingere la posizione del Consiglio, ma non può emendarla. Tuttavia, il Consiglio europeo può adottare all'unanimità una decisione che consente al Consiglio di deliberare a maggioranza qualificata.

Anche l’eventuale modifica del sistema complessivo di finanziamento dell'UE (la decisione sulle risorse proprie) richiede una procedura legislativa speciale. Secondo l’articolo 311 del TFUE, infatti, il Consiglio delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. Tale decisione entra in vigore solo previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali.

Tranne poche eccezioni, invece, le proposte dettagliate relative ai futuri programmi di spesa settoriali (che la Commissione europea ha presentato tra il 29 maggio e il 12 giugno 2018) vengono adottate mediante la procedura legislativa ordinaria, in cui il Consiglio e il Parlamento europeo decidono congiuntamente su un piano di parità.

Al riguardo, occorre segnalare che, a giudizio del Governo, l’obiettivo della Commissione europea di approvare le proposte entro la scadenza del suo mandato appare ambizioso (i precedenti negoziati hanno richiesto almeno due anni) e, se rispettato, coinvolgerebbe l'attuale Parlamento europeo e non il nuovo. Attualmente, si registra peraltro una netta divisione fra gli Stati membri che insistono per un bilancio più ridotto (in particolare Austria, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia), che non vada oltre l’1% dell’RNL dei 27 e che finanzi le nuove priorità tramite maggiori tagli alle politiche tradizionali come politica agricola comune e coesione, e gli Stati membri (in particolare Estonia, Grecia, Italia, Lituania, Lettonia, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Ungheria) che, invece, ritengono insufficiente il livello generale di ambizione espresso dalla Commissione europea e chiedono risorse sufficienti per finanziare le nuove priorità senza tagliare le politiche tradizionali.

Tra l'altro, in sede di Gruppo di lavoro istituito in sede di Consiglio, da più parti è stato fatto presente che concludere i negoziati entro la scadenza del mandato dell’attuale Commissione europea comporterebbe svolgere l'intero dibattito alla presenza del Regno Unito, con il rischio di effetti controproducenti soprattutto quando si tratterà di cercare un accordo su settori di spesa (ricerca e innovazione, difesa, spazio) nei quali il ruolo britannico è sempre stato particolarmente rilevante.

Inoltre, il 23 maggio 2018 l’Italia, nel Gruppo di lavoro istituito in sede di Consiglio, ha manifestato il suo sostegno per la durata settennale del QFP, sulla quale vi è un consenso pressoché unanime, non solo per le considerazioni della Commissione europea legate al ciclo politico-istituzionale attuale e all’inopportunità di rischiare ove la durata fosse stata ridotta a 5 anni di privare la prossima Commissione europea e il prossimo Parlamento di ogni ruolo in materia, ma anche, secondo molti Stati membri, per la più generale inopportunità di un ciclo più ridotto, che comporterebbe un negoziato permanente sul QFP.

Ultimi sviluppi negoziali

Il Consiglio Affari Generali del 18 settembre 2018 ha discusso del quadro finanziario pluriennale. Per l’Italia ha partecipato ai lavori il Ministro degli affari esteri, Enzo Moavero Milanesi.

In sede di Consiglio, il Commissario europeo per il bilancio e le risorse umane, Günther Oettinger, ha innanzitutto ribadito il carattere equilibrato della proposta della Commissione europea con tagli ridotti alle politiche tradizionali e maggiori risorse per i settori ad alto valore aggiunto europeo (come Erasmus+, Europa digitale, difesa, migrazioni e cooperazione allo sviluppo, ricerca e innovazione, intelligenza artificiale), nonché l'eliminazione graduale dei rebate collegati al rebate britannico. Inoltre, ha sottolineato che la tassa sulle transazioni finanziarie e la digital tax potrebbero entrare a far parte del paniere QFP se la discussione fra gli Stati membri riesce a progredire in maniera sufficiente. Infine, ha invitato gli Stati membri ad approvare il QFP prima delle elezioni del nuovo Parlamento europeo nella primavera del 2019.

La discussione ha evidenziato il permanere di una divisione netta fra gli Stati membri che, a seguito della Brexit, vorrebbero un bilancio ridotto rispetto al passato (in particolare Svezia e Danimarca che, insieme ai Paesi Bassi, insistono su un'allocazione complessiva che non superi l'1% dell’RNL; la Finlandia ha proposto un punto di equilibrio all'1,06%) e quelli che vorrebbero un bilancio ambizioso che possa salvaguardare le politiche tradizionali (Paesi Baltici, Polonia, Portogallo, Grecia, Slovenia, Ungheria, Bulgaria, Croazia e, con toni più sfumati, anche Slovacchia, Romania, Malta e Repubblica Ceca e Irlanda).

Nel corso della discussione si sono trattate in modo particolare le seguenti questioni:

- allocazione fra le differenti rubriche: diversi Stati membri hanno sostenuto il valore aggiunto europeo delle politiche tradizionali (PAC e coesione), giudicando inaccettabili i tagli proposti dalla Commissione europea; Francia, Spagna, Irlanda, Portogallo, Slovenia e Finlandia chiedono di aumentare le risorse per la PAC;

- coesione: diversi Stati membri (Estonia, Lituania, Bulgaria, Croazia, Slovacchia, Grecia) hanno criticato l'aumento della percentuale di cofinanziamento a carico degli Stati membri e chiesto la reintroduzione di una sotto-rubrica separata per tutti i programmi della politica di coesione, incluso il Fondo sociale europeo (Bulgaria, Croazia, Slovacchia, Grecia); la Polonia ha, altresì, criticato l'introduzione di nuovi criteri nel meccanismo di calcolo delle allocazioni;

- PAC: la Francia ha espresso la sua contrarietà ai tagli proposti, mentre Polonia, Romania e Paesi Baltici hanno insistito sul completamento del processo di convergenza esterna, ritenendo insufficienti le proposte della Commissione europea; Portogallo, Finlandia e Slovenia hanno criticato i tagli nell'ambito dello sviluppo rurale (c.d. "secondo pilastro");

- nuove priorità (migrazioni, sicurezza, difesa) e sostegno a settori cruciali (digitale e ricerca e innovazione): vi è un consenso unanime, tuttavia diversi Paesi dell'Est (Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria, Romania) hanno criticato la mancanza di equilibrio geografico nell'attribuzione dei fondi a gestione diretta, specificando, inoltre, che il finanziamento delle nuove priorità e dei settori cruciali non può avvenire a scapito di PAC e coesione;

- temi migratori: Francia, Spagna e Irlanda hanno sottolineato l'importanza di attribuire adeguate risorse. La Spagna ha insistito sulla necessità di aprire canali legali di migrazione, nel contesto di una gestione europea del fenomeno che potrebbe fare capo a un'apposita agenzia di nuova istituzione; inoltre, ritiene essenziale destinare maggiori risorse agli Stati membri, piuttosto che ai programmi a gestione diretta;

- azione esterna: diversi Stati membri si sono espressi contro la soppressione dello Strumento di Vicinato (Polonia, Paesi Baltici, Romania e Francia) e per il mantenimento fuori bilancio del Fondo europeo di sviluppo (Francia, Polonia, Malta e Bulgaria); diversi Stati membri hanno anche chiesto maggiori risorse per la cooperazione con l'Africa (Germania, Francia, Spagna, Belgio e Repubblica Ceca), in particolare per quanto riguarda i Paesi di origine e transito dei migranti;

- finanziamento del bilancio: si sono espressi a favore dell'introduzione di nuove risorse proprie Portogallo, Croazia, Grecia e Francia, mentre Svezia e Repubblica Ceca hanno espresso una netta contrarietà; Francia e Grecia si sono pronunciate a favore della web tax (la Grecia anche della tassa sulle transazioni finanziarie). A favore della completa e immediata eliminazione dei rebate vi sono Ungheria, Croazia, Spagna, Francia, Polonia e Grecia, mentre Paesi Bassi, Danimarca e Svezia hanno insistito in particolare sulla necessità di evitare aumenti spropositati del contributo netto;

- condizionalità: Germania, Francia, Belgio, Grecia, Svezia, Danimarca, Finlandia e Paesi Bassi ne hanno sostenuto l'importanza, in particolare per quanto riguarda la condizionalità legata allo Stato di diritto, anche come necessario contraltare alla solidarietà europea; la Francia ha, inoltre, ribadito la sua posizione in favore dell'introduzione di forme di condizionalità legate alle politiche sociali e fiscali. Polonia e Ungheria hanno espresso contrarietà alla condizionalità in materia di Stato di diritto;

- tempistica: Germania, Irlanda, Romania, Spagna, Slovenia, Malta, Slovacchia, Bulgaria e Lussemburgo hanno auspicato un'accelerazione nel negoziato, mentre Polonia, Portogallo, Grecia, Cipro e Svezia hanno affermato che la velocità non deve andare a scapito della qualità;

L’Italia ha evidenziato come vi siano due grandi priorità da rendere maggiormente visibili nella struttura del bilancio. La prima è il superamento delle disuguaglianze che si sono acuite dopo la crisi del 2008; a tal fine, gli strumenti essenziali sono la PAC, i fondi strutturali, i grandi progetti infrastrutturali e le politiche a favore di ricerca e innovazione. Si tratta di politiche incomprimibili, a giudizio dell’Italia, che per ottenere il massimo risultato vanno realizzate non attraverso l'elargizione di sussidi o la distribuzione a pioggia, ma mediante una maggiore qualità della spesa. La seconda riguarda le migrazioni, non soltanto sotto il profilo del contrasto all'immigrazione illegale, ma come fenomeno complesso da gestire in maniera organica, dalla partenza nei Paesi d'origine fino all'arrivo in Europa. Per l’Italia sono necessarie maggiori risorse per la cooperazione con i Paesi di origine e di transito.

Circa l'ammontare complessivo delle risorse per il bilancio, l’Italia ha auspicato che la contrapposizione fra contributori netti e beneficiari netti si possa superare mediante l'introduzione di nuove risorse proprie che non pesino sui cittadini europei: a tal fine, ha ribadito la sua posizione favorevole sull'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie diretta verso i grandi speculatori, di una digital tax mirata sulle grandi compagnie del web e di una tassa diretta verso i grandi inquinatori transfrontalieri. L’Italia ritiene che occorrerebbe superare la non armonizzazione dei sistemi fiscali nazionali, anche al fine di raggiungere coloro che eludono le tasse nei vari Paesi UE. Infine, l’Italia ha auspicato una riflessione sul possibile finanziamento di investimenti produttivi nell'UE attraverso l'emissione di titoli pubblici dell'Unione.

Nella sua replica, Oettinger ha affermato: l’impossibilità di evitare qualsiasi tipo di taglio alle politiche tradizionali, come richiesto da alcuni Stati membri; che, per quanto riguarda le allocazioni della politica di coesione, le ridotte dotazioni per molti Paesi dell'Est dipendono non da cambi nel meccanismo di calcolo, bensì dalla crescita relativa di detti Paesi rispetto a Stati membri particolarmente colpiti dalla crisi, come Spagna e Italia.

La posizione del Parlamento europeo

Il Parlamento europeo si è occupato del nuovo QFP lo scorso 30 maggio, con un dibattito, svoltosi alla presenza di Consiglio e Commissione europea, che si è concluso con l'approvazione, a larga maggioranza (409 voti favorevoli, 213 contrari e 61 astensioni), di una risoluzione.

Nel corso della discussione i deputati di tutti i gruppi politici - a eccezione di Conservatori e Riformisti europei - hanno sottolineato con insoddisfazione l'esiguità del bilancio, che determinerà tagli, in particolare per la PAC e la politica di coesione. Osservazioni alle quali il Commissario europeo Oettinger ha replicato difendendo l'approccio adottato nel presentare le nuove proposte e ricordando che le richieste del Parlamento europeo volte a incrementare il bilancio non hanno alcuna possibilità di essere accolte dal Consiglio, essendo necessaria, in quella sede, l'unanimità.

 

Nella Risoluzione il Parlamento europeo, tra l'altro:

·       ricorda di aver definito chiaramente la propria posizione in due risoluzioni approvate a larghissima maggioranza il 14 marzo 2018, che costituiscono il mandato negoziale dell'Istituzione;

·       esprime il timore che la proposta della Commissione europea "indebolisca le principali politiche di solidarietà dell'UE" e intende negoziare con il Consiglio allo scopo di definire un QFP più ambizioso a vantaggio dei cittadini;

·       esprime delusione per l'entità globale proposta per il prossimo QFP e sottolinea che la suddetta entità, in termini di percentuale dell'RNL, è inferiore, in termini reali, all'entità dell'attuale QFP, a sua volta inferiore rispetto al QFP precedente e insufficiente, nei fatti, a coprire le pressanti necessità dell'Unione;

·       deplora che la proposta comporti direttamente una riduzione del bilancio della PAC e della politica di coesione, rispettivamente del 15% e del 10%; è contrario, in particolare, a qualsiasi taglio radicale che incida negativamente sulla natura stessa e sugli obiettivi di tali politiche, come i tagli proposti al Fondo di coesione (del 45%) o al Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (di oltre il 25%); mette in dubbio, in tale contesto, la proposta di tagliare del 6% il Fondo sociale europeo, nonostante il suo ambito di applicazione ampliato e l'integrazione dell'Iniziativa per l'occupazione giovanile;

·       chiede, pertanto, di mantenere i livelli di finanziamento per PAC e politica di coesione per l'UE a 27 "almeno al livello del bilancio 2014-2020 in termini reali"; di triplicare l'attuale dotazione del programma Erasmus +; di raddoppiare i finanziamenti destinati alle PMI; di incrementare almeno del 50% l'attuale dotazione per la ricerca e l'innovazione, portandola a 120 miliardi di euro; di raddoppiare la dotazione del programma LIFE, incrementare in modo sostanziale gli investimenti attraverso il Meccanismo per collegare l'Europa e garantire finanziamenti supplementari per sicurezza, migrazione e relazioni esterne, portando il nuovo QFP all'1,3% del RNL dell'UE a 27;

·       plaude alla proposta di introdurre tre nuove risorse proprie dell'UE e di semplificare l'attuale risorsa propria basata sull'IVA, nonché al principio secondo cui il futuro gettito derivante direttamente dalle politiche dell'UE dovrebbe confluire nel bilancio dell'Unione, e si dichiara pienamente a favore dell'eliminazione di tutte le riduzioni e correzioni;

·       prende atto della proposta della Commissione sulla tutela del bilancio dell'Unione in caso di carenze generalizzate per quanto riguarda lo Stato di diritto negli Stati membri, e ricorda la propria posizione favorevole a un meccanismo in virtù del quale "gli Stati membri che non rispettano i valori sanciti dall'articolo 2 del TUE possono subire conseguenze finanziarie;

·       ritiene che le proposte della Commissione sulla flessibilità rappresentino una buona base negoziale, con particolare riguardo al riutilizzo degli stanziamenti disimpegnati per la riserva dell'Unione, all'aumento delle dotazioni degli strumenti speciali e all'eliminazione di eventuali vincoli sul margine globale dei pagamenti;

·       si dichiara convinto della necessità di una "revisione intermedia del QFP, giuridicamente vincolante e obbligatoria, che dovrebbe esser proposta e decisa in tempo utile per consentire al prossimo Parlamento e alla prossima Commissione di procedere a un adeguamento significativo del QFP 2021-2027".

La struttura del QFP 2021-2027

Secondo la Commissione europea, la principale sfida per il futuro bilancio dell’UE sarà assicurare un adeguato finanziamento sia per le cosiddette politiche tradizionali dell'UE (politica di coesione e politica agricola comune, che assorbono circa il 70% dell'attuale QFP) che per una serie di nuove priorità che sono emerse negli ultimi anni e che necessitano per il futuro di maggiori risorse (gestione del fenomeno migratorio, sfide per la sicurezza interna ed esterna dell'UE, rafforzamento della cooperazione tra Stati membri in materia di difesa). La sfida è complicata dal recesso del Regno Unito dall’UE, che è tra i principali Paesi contributori del bilancio unionale.

La Commissione europea intende rispondere a questa sfida in parte attraverso l’introduzione di nuove fonti di finanziamento per il bilancio UE e in parte mediante una modernizzazione della spesa.

Tale modernizzazione della spesa dovrebbe tenere conto dei seguenti principi: valore aggiunto europeo: secondo la Commissione europea, le risorse UE si devono concentrare nei settori in cui l'Unione può offrire un reale valore aggiunto europeo alla spesa pubblica nazionale al fine di ottenere risultati che gli Stati membri da soli non possono conseguire; trasparenza e semplificazione: la Commissione europea intende ridurre il numero di programmi finanziati di oltre un terzo (da 58 a 37), ad esempio riunendo fonti di finanziamento frammentate in nuovi programmi integrati e razionalizzando al massimo l'uso degli strumenti finanziari; inoltre, intende ridurre gli oneri amministrativi per i beneficiari e le autorità di gestione; flessibilità: la Commissione europea propone di accrescere la flessibilità dei programmi al loro interno e tra di loro, rafforzare gli strumenti di gestione delle crisi e creare una nuova "riserva dell'Unione" per far fronte a eventi imprevisti e reagire alle emergenze in settori quali la sicurezza e la migrazione; efficacia: la Commissione europea propone di porre maggiore enfasi sulla performance dei programmi, in particolare fissando obiettivi più chiari e concentrandosi su un numero più ridotto di indicatori di performance di qualità superiore.

La Commissione europea propone una riorganizzazione della struttura del QFP, con il passaggio da 5 a 7 rubriche principali di spesa più chiaramente collegate alle priorità politiche dell'Unione. Di seguito, la struttura del nuovo QFP (a prezzi correnti).

In sintesi (cifre in termini di impegni espresse a prezzi correnti):

·       la Rubrica I (Mercato unico, innovazione e agenda digitale) ha un ammontare complessivo di 187,4 miliardi di euro (14,6% dell'intero QFP);

·       la Rubrica II (Coesione e valori) con 442,4 miliardi di euro e il 34,6% del totale è la più importante, in termini di volume, del nuovo QFP;

·       la Rubrica III (Risorse naturali e ambiente) ha una dotazione complessiva di 378,9 miliardi di euro (29,6% del totale);

·       la Rubrica IV (Migrazione e gestione delle frontiere) ha un bilancio di 34,9 miliardi di euro (2,7% del QFP) e costituisce una delle principali novità rispetto al precedente esercizio;

·       la Rubrica V (Sicurezza e difesa) costituisce un'altra novità e ha un ammontare complessivo di risorse pari a 27,5 miliardi di euro (2,1% del totale);

·       la Rubrica VI (Vicinato e resto del mondo) ha una dotazione di risorse pari a 123 miliardi di euro (9,6% dell'intero QFP);

·       la Rubrica VII (Pubblica amministrazione europea) ha una dotazione di 85,3 miliardi di euro, il 6,6% dell'intero QFP.

Sono poi previsti degli Strumenti speciali (Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, Fondo di solidarietà dell’UE, Riserva per gli aiuti di emergenza, Strumento di flessibilità, Funzione europea di stabilizzazione degli investimenti) per consentire all'Unione, in specifiche circostanze, di spendere risorse anche oltre i massimali stabiliti dal QFP. In particolare, la Commissione europea propone di razionalizzare le procedure per la mobilitazione di questi strumenti e di portare la dotazione dello strumento di flessibilità a 1,127 miliardi euro a prezzi correnti.

Secondo la Relazione ex articolo 6 della legge n. 234 del 2012, trasmessa dal Governo al Parlamento il 29 maggio 2018 relativa alla proposta di regolamento COM(2018)322, sono da accogliere positivamente gli aumenti di fondi proposti per gli investimenti nei settori della ricerca, dell'innovazione, del capitale umano, del digitale, della mobilità e della formazione giovanili. Altrettanto significativa, si sostiene nella Relazione, è la scelta della Commissione europea di inserire per la prima volta nel QFP un ampio programma di investimenti in materia di difesa (European Defence Fund) e ancora più importante la creazione di una nuova Rubrica dedicata alle migrazioni e alla gestione delle frontiere, che verrebbe incontro alla richiesta italiana di trattare le migrazioni come un fenomeno strutturale, per il quale sono necessarie risorse stabili ed una politica comune europea di breve, ma anche di lungo termine.

Inoltre, secondo la Relazione, è da accogliere positivamente la proposta di rafforzare in misura significativa la flessibilità del prossimo QFP. L’emergere di sfide di portata non prevedibile al momento dell'approvazione del QFP (dal fenomeno migratorio al moltiplicarsi di crisi ai confini orientali e meridionali dell'Unione) ha imposto di utilizzare fino al limite i margini di flessibilità presenti nel bilancio. Le modalità di funzionamento dei nuovi meccanismi immaginati dalla Commissione europea, sostiene la Relazione, andranno esaminate attentamente, ma la proposta sembrerebbe muoversi nella direzione auspicata dall'Italia.

Le maggiori novità riguardano la diversa ripartizione degli stanziamenti tra le varie finalità. In particolare, la Commissione europea propone di innalzare gli attuali livelli di finanziamento in settori considerati prioritari e ad alto valore aggiunto europeo, indicati nel grafico seguente:

Parallelamente, si prefigurano, a titolo compensativo, alcuni risparmi, soprattutto per quanto riguarda i finanziamenti complessivi a favore della politica agricola comune (PAC) e della politica di coesione che subirebbero una riduzione.

La riduzione delle risorse per la PAC

In dettaglio, la Commissione europea propone una dotazione finanziaria di circa 365 miliardi di euro, a prezzi correnti, per la nuova PAC 2021-2027, corrispondenti al 28,5% del bilancio complessivo dell'UE. Il bilancio della PAC per il 2014-2020 rappresenta, invece, il 37,6% circa del bilancio generale dell'UE, con una dotazione finanziaria pari a 408,3 miliardi di euro.

Secondo le stime della Commissione europea, la PAC subirebbe una riduzione del 5% a prezzi correnti rispetto al periodo 2014-2020, il che equivarrebbe a una riduzione di circa il 12% a prezzi costanti del 2018 (secondo il Parlamento europeo il taglio sarebbe più consistente e ammonterebbe al 15%). Appaiono ridotti sia i pagamenti diretti sia le dotazioni del Fondo agricolo europeo per lo sviluppo rurale (FEASR), che si concentra sulla risoluzione di problematiche specifiche delle zone rurali dell’UE.

Il 18 giugno 2018, in sede di Consiglio agricoltura, i Ministri hanno espresso preoccupazione in merito ai tagli proposti dalla Commissione europea per il bilancio della PAC in generale e dello sviluppo rurale in particolare. Il Governo si è espresso contro il taglio alla spesa per la politica agricola comune (secondo Confagricoltura, i tagli per l’Italia ammonterebbero a circa 3 miliardi di euro e colpirebbero soprattutto le aziende di maggiore dimensione).

Il Governo, inoltre, ha sollevato dubbi sul processo di convergenza esterna, anche in ragione delle distorsioni del mercato che alimenterebbe. Si tratta di un meccanismo volto a garantire una distribuzione più uniforme dei pagamenti diretti, che subiscono un progressivo adeguamento per garantire che tutti gli Stati raggiungano un livello minimo di aiuti. Una media astratta, basata solo sul criterio della superficie agricola, non terrebbe conto a sufficienza delle differenze tra produttività e costi di produzione tra i diversi Paesi. Inoltre, qualsiasi meccanismo di convergenza dovrebbe tener conto dell'obiettivo di ridurre la differenza tra il reddito medio a livello nazionale e il reddito del settore agricolo. In merito, l'Italia lo scorso 30 aprile ha sottoscritto, insieme ad altri sei Paesi (Belgio, Cipro, Danimarca, Grecia, Paesi Bassi e Slovenia), un documento tecnico contro il meccanismo di convergenza esterna degli aiuti diretti PAC.

Secondo la Commissione europea, l’Italia avrebbe una dotazione complessiva di circa 36,3 miliardi di euro a prezzi correnti (24,9 miliardi per i pagamenti diretti, circa 2,5 miliardi per le misure di mercato e circa 8,9 miliardi per lo sviluppo rurale) e di circa 32,3 miliardi di euro a prezzi costanti (oltre 22,1 miliardi per i pagamenti diretti, circa 2,2 miliardi per le misure di mercato e 7,9 miliardi per lo sviluppo rurale). Si tratta di una riduzione di circa 4,7 miliardi di euro rispetto agli oltre 41 miliardi della PAC 2014-2020, di cui 27 miliardi per i pagamenti diretti, 4 miliardi per le misure di mercato e 10,5 miliardi per lo sviluppo rurale.

Secondo la proposta della Commissione europea, l'Italia sarebbe dunque il quarto Paese beneficiario dei fondi PAC 2021-2027, dopo Francia (62,3 miliardi a prezzi correnti; 55,3 miliardi a prezzi costanti), Spagna (43,7 miliardi; 38,9 miliardi) e Germania (40,9 miliardi; 36,4 miliardi).

I due grafici seguenti (Fonte Commissione europea) mostrano le dotazioni finanziarie per Stato membro espresse, rispettivamente, a prezzi correnti e a prezzi costanti.

La politica di coesione

La politica di coesione, invece, secondo le stime della Commissione europea, subirebbe una riduzione del 7% (secondo il Parlamento europeo i tagli sarebbero sottostimati e ammonterebbero nel complesso al 10%).

In particolare, si segnala che, nell’ottica di ampliare il novero delle regioni beneficiarie, verrebbe innalzata la soglia attualmente prevista per la categoria delle regioni cosiddette in transizione: la proposta prevede un rapporto RNL pari o superiore al 75% e inferiore al 100% della media UE (attualmente la forbice è 75-90%); inoltre, al fine di ridurre le disparità e di contribuire al recupero delle regioni a basso reddito e a bassa crescita, pur restando il PIL pro capite il criterio predominante per l'assegnazione dei fondi, vengono presi in considerazione nuovi criteri, quali disoccupazione giovanile, basso livello di istruzione, cambiamenti climatici e accoglienza e integrazione dei migranti;

In dettaglio, a prezzi correnti, la dotazione del Fondo di coesione si ridurrebbe da 63 a 46 miliardi di euro mentre quella del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) passerebbe da 199 miliardi a 226 miliardi di euro. Diversa, invece, è la situazione del Fondo sociale europeo (FSE), poiché la Commissione europea intende istituire un nuovo Fondo sociale europeo plus, che riunirà in sé una serie di fondi e di programmi esistenti, con uno stanziamento di 101 miliardi di euro.

La tabella seguente mostra la nuova ripartizione complessiva dei fondi strutturali proposta dalla Commissione europea tra gli Stati membri sia a prezzi correnti che a prezzi costanti 2018.

La tabella seguente illustra la ripartizione dei cd. fondi strutturali tra gli Stati membri per il periodo 2014-2020 (Fonte: Commissione europea).

 

Per l’Italia, quindi, a prezzi correnti, vi sarebbe un aumento da 34 a 43 miliardi di euro circa (38 miliardi di euro a prezzi costanti 2018).

Il Governo ha espresso la sua contrarietà di principio a tagli alla politica di coesione, ma anche la disponibilità ad accettare tagli moderati per l'esigenza di far fronte agli effetti della Brexit e venire incontro alle esigenze dei Paesi che temono un incremento eccessivo dei loro contributi nazionali, purché il metodo adottato sia corretto e la redistribuzione sia equa.

In particolare, la presentazione del pacchetto di proposte relative alla politica di coesione ha visto emergere nette divisioni tra gli Stati membri soprattutto per quanto riguarda il metodo di allocazione dei fondi. Al criterio del PIL pro capite per l’allocazione dei fondi, infatti, vengono aggiunti nuovi indicatori (emissioni, presenza di migranti, disoccupazione, soprattutto giovanile). Sull’introduzione del criterio della presenza di migranti, il Governo si è espresso a favore. Tuttavia, si evidenzia che tale criterio avrebbe una scarsa incidenza sull’allocazione dei fondi, contando solo per il 3%, a fronte dell’81% del criterio del PIL.

Il nuovo metodo di allocazione comporterebbe una redistribuzione delle risorse dai Paesi dell’Est Europa (il cui PIL è cresciuto considerevolmente negli ultimi anni) ai Paesi del Sud (Italia, Grecia e Spagna). Peraltro, l’aumento delle risorse a favore di questi ultimi sarebbe mitigato da meccanismi di correzione (safety nets e capping) volti a contenere sia i guadagni (ad esempio, per Italia) che le perdite (ad esempio per Francia e Germania). Su tali meccanismi, il Governo ha espresso delle riserve, poiché l’Italia risulterebbe penalizzata. Il Governo ha espresso, inoltre, la propria contrarietà all’innalzamento al 100% della soglia massima per le regioni in transizione ritenendo difficilmente giustificabile la destinazione di fondi alle regioni più sviluppate.

Il Governo, infine, si è espresso contro la condizionalità macroeconomica, sottolineandone il carattere pro-ciclico e poco in linea con le esigenze e la natura della politica di coesione.

Strumenti a sostegno della stabilità dell’Unione economica e monetaria

Al fine di introdurre nuovi strumenti di bilancio a sostegno della stabilità della zona euro, il nuovo quadro finanziario pluriennale propone anche due nuovi strumenti: un nuovo programma di sostegno alle riforme (proposta di regolamento COM(2018)391)) e una funzione europea di stabilizzazione degli investimenti (proposta di regolamento COM(2018)387).

Al riguardo, si veda il paragrafo “Nuovi strumenti di bilancio per la zona euro” nel capitolo “La riforma dell’Unione economica e monetaria”.

Nuovo meccanismo a tutela dello Stato di diritto

Un'innovazione rilevante è prevista dalla Commissione europea sul rafforzamento del legame tra i finanziamenti UE e lo Stato di diritto (proposta di regolamento COM(2018)324).

Da tempo si discute, nell’ambito delle Istituzioni europee e tra gli Stati membri, sull’inefficacia degli attuali strumenti di monitoraggio e controllo sulle violazioni, da parte degli Stati membri, del principio dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali. Ciò riguarda, in particolare, le procedure preventive e sanzionatorie previste dall’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea ritenute eccessivamente lunghe e farraginose, pertanto sostanzialmente inadatte ad un efficace contrasto delle violazioni, anche più gravi, dello Stato di diritto da parte degli Stati membri. La Commissione europea ha istituito, nel 2014, una nuova procedura di dialogo politico con gli Stati membri che violano il citato principio, che si è tradotta nella precondizione per l’avvio del meccanismo ex articolo 7 TUE, o - ancora - di una procedura di infrazione per violazione del diritto dell’UE.

La Commissione europea prefigura, in particolare, l’adozione di una serie di sanzioni nei confronti degli Stati membri nei quali siano riscontrate carenze generalizzate del principio dello Stato di diritto, che incidano o rischino di incidere sul principio di sana gestione finanziaria o sulla protezione degli interessi finanziari dell’Unione. Le suddette carenze si verificherebbero, in particolare, quando ad essere danneggiati siano il corretto funzionamento delle autorità nazionali che eseguono il bilancio dell'Unione, di quelle responsabili per le indagini e per l'azione penale di repressione delle frodi a danno del bilancio dell'Unione e degli organi giurisdizionali cui compete il controllo di queste attività.

Una volta accertata l'esistenza di una tale carenza, l'Unione potrebbe agire a tutela dei propri interessi adottando una serie di misure che comprendono la sospensione dei pagamenti e degli impegni a valere sul bilancio UE, la riduzione dei finanziamenti nell'ambito degli accordi esistenti e il divieto di assumere nuove obbligazioni con i destinatari.

La Relazione ex articolo 6 della legge n.234 del 2012, trasmessa dal Governo al Parlamento in data 29 maggio 2018, rileva, tra l’altro, che l'obiettivo di utilizzare il bilancio UE per rafforzare il quadro valoriale dell'UE e promuovere il rispetto dello Stato di diritto tra gli Stati membri è di per sé condivisibile e l'Italia ha rappresentato l'esigenza di assicurare la piena adesione ai valori fondamentali e alle regole di convivenza all'interno dell'Unione, con riferimento sia allo Stato di diritto sia agli obblighi di solidarietà che legano gli Stati membri. Il bilancio, secondo la Relazione, rappresenta uno strumento di solidarietà: i Paesi più ricchi concorrono al finanziamento di politiche che avvantaggiano prevalentemente le economie più deboli, nell'assunto che sia interesse comune garantire una crescita equilibrata e la graduale convergenza economica e sociale di tutti i territori europei. A tale contributo di solidarietà, non è tuttavia corrisposto analogo spirito di collaborazione nella gestione di fenomeni, come quello migratorio, il cui peso preponderante è ricaduto sui Paesi di prima accoglienza dei flussi. Alcuni Stati membri, peraltro tra i maggiori beneficiari dei fondi strutturali europei, hanno rifiutato - continua la Relazione - di accogliere le quote di spettanza di migranti e richiedenti asilo, non solo in violazione di specifiche norme UE, ma anche in spregio delle basilari regole di leale cooperazione tra Stati membri. Il suggerimento avanzato da parte italiana era quello di sanzionare simili comportamenti anche attivando la leva del bilancio. In quest'ottica, a giudizio della Relazione, la proposta suscita perplessità per lo spostamento della questione dal piano politico a quello tecnico, proponendo uno strumento di carattere eminentemente finanziario. In questo modo, si restringerebbe il campo d'azione alla sola tutela degli interessi finanziari dell'Unione, lasciando impregiudicata la possibilità di sanzionare eventuali gravi scostamenti dagli altri principi fondamentali di cui all'articolo 2 TUE (rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dei diritti umani, compresi i diritti delle minoranze) e soprattutto dagli obblighi di leale collaborazione e solidarietà tra Stati membri (in particolare in tema di migrazione). Secondo la Relazione, il rischio è che siano presi in considerazione fattori che non segnalano scostamenti importanti dai principi dello Stato di diritto, ma inefficienze di ordine amministrativo-gestionale, rispetto alle quali la sanzione del congelamento dei finanziamenti europei potrebbe risultare sproporzionata.

Il pacchetto legislativo sulle risorse proprie

La Commissione europea propone di confermare le tre risorse proprie attualmente esistenti (risorse proprie tradizionali costituite da dazi doganali sulle importazioni da Paesi terzi e prelievi sullo zucchero, risorsa basata sull'IVA, risorsa complementare RNL), semplificando, tuttavia, l'attuale risorsa propria basata sull'IVA, e di istituire altre tre nuove risorse proprie:

·       il 20% delle entrate provenienti dal sistema di scambio delle quote di emissioni (gli introiti medi annui stimati dalla Commissione europea potrebbero oscillare tra 1,2 e 3 miliardi di euro a seconda del prezzo di mercato per le quote del sistema di scambio delle emissioni dell’UE);

·       un'aliquota di prelievo del 3% applicata alla nuova base imponibile consolidata comune per l'imposta sulle società (che verrà introdotta gradualmente, una volta adottata la legislazione necessaria), che secondo le stime della Commissione europea potrebbe garantire un introito medio annuo di circa 12 miliardi di euro;

La proposta relativa a una base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (CCCTB) è stata rilanciata dalla Commissione a seguito della situazione di stallo determinatasi in Consiglio sulla proposta originaria presentata nel 2011. Uno degli elementi principali della proposta sulla CCCTB è la formula di ripartizione, ossia il meccanismo di ponderazione applicato per l’allocazione della base imponibile consolidata del gruppo agli Stati membri interessati, con uno specifico quadro amministrativo adeguato alle strutture dei gruppi transfrontalieri.

·       un contributo nazionale calcolato in base alla quantità di rifiuti non riciclati di imballaggi in plastica di ciascuno Stato membro (0,80 euro al chilogrammo), per un importo stimato di circa 7 miliardi di euro l’anno. Ogni anno vengono generati in Europa circa 25,8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, di cui meno del 30% sono raccolti a fini di riciclaggio, mentre le percentuali di smaltimento in discarica (31%) e di incenerimento (39%) dei rifiuti di plastica restano elevate.

La Commissione europea afferma che le nuove risorse proprie rappresenteranno il 12% circa del bilancio totale dell'UE e potrebbero apportare fino a 22 miliardi di euro l'anno per il finanziamento delle nuove priorità.

Le modifiche introdotte, nelle intenzioni della Commissione europea, dovrebbero ridurre la quota della risorsa propria basata sul reddito nazionale lordo rispetto alle entrate totali. Nell’ambito del sistema attuale, a seconda dell’anno e della fase del ciclo annuale di bilancio, essa copre dai due terzi ai tre quarti delle entrate totali; una volta attuati i cambiamenti proposti dovrebbe coprire tra il 50% e il 60%.

 

Inoltre, la Commissione europea intende modificare il massimale delle risorse proprie. In particolare, si prevede che l’importo totale delle risorse proprie per gli stanziamenti annuali di pagamento non superi l’1,29% (attualmente 1,23%) della somma del reddito nazionale lordo di tutti gli Stati membri, mentre l’importo totale degli stanziamenti annuali di impegno non superi l’1,35% (attualmente 1,29%).

Anche alla luce dell'uscita del Regno Unito dall'UE, la Commissione europea propone di eliminare progressivamente, nell'arco di cinque anni, tutte le attuali correzioni relative alle aliquote ridotte di prelievo della risorsa propria basata sull'imposta sul valore aggiunto e le riduzioni forfettarie dei contributi basati sul reddito nazionale lordo, di cui beneficiano alcuni Stati membri (Regno Unito, Germania, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca e Austria).

Al contempo, la Commissione europea propone di ridurre dal 20% al 10% gli importi che gli Stati membri trattengono all'atto della riscossione dei dazi doganali a favore del bilancio dell'UE.

I dazi doganali vengono imposti sulle importazioni di prodotti da Paesi non appartenenti all’UE secondo aliquote determinate nella tariffa doganale comune. Ad avviso della Commissione, l’attuale livello del 20% per le spese di riscossione dei dazi doganali può essere considerato più elevato di quanto effettivamente necessario per incentivare una diligente riscossione dei dazi doganali da parte delle autorità nazionali per conto dell’Unione. Parallelamente alla riduzione, si propone di aumentare il sostegno finanziario per l’acquisizione di apparecchiature e tecnologie informatiche.

Nel 2016 l’Italia ha versato al bilancio UE circa 2,23 miliardi di euro per dazi doganali. La riduzione proposta dalla Commissione europea dovrebbe comportare una riduzione di entrate per l’Italia di circa 220 milioni di euro annui.

Nella relazione ex articolo 6 della legge n. 234 del 2012, trasmessa dal Governo al Parlamento il 5 giugno 2018 sul COM(2018)325, ma che riporta una valutazione complessiva delle proposte sulle risorse proprie, si fa presente che l'introduzione di nuove risorse proprie collegate alle politiche di spesa e in grado di ridurre il peso della risorsa RNL è in linea con quanto auspicato dall'Italia nei dibattiti degli ultimi anni. L’Italia, in particolare, ha chiesto: la diversificazione delle fonti di entrata con riduzione degli oneri a carico della risorsa RNL e collegamento tra risorse e obiettivi politici, come il rafforzamento del mercato unico e le politiche ambientali; il mantenimento della risorsa IVA e alcune modifiche tendenti a una sua semplificazione; l’eliminazione dei meccanismi di correzione o almeno una loro drastica riduzione.

Ciò premesso, continua la Relazione, come prime possibili indicazioni negoziali, si potrebbe sostenere l'introduzione di nuove risorse proprie se: a) non dovessero determinarsi impatti negativi sul sistema produttivo nazionale; b) non si stimasse un aumento significativo della contribuzione dell'Italia dalla sostituzione di quote di entrate a titolo di risorsa RNL con dette nuove risorse; c) le nuove fonti di entrata fossero costruite in modo da garantire una base imponibile ampia, un gettito stabile nel tempo e una ripartizione equa della contribuzione tra Stati membri. A tale riguardo, a una prima analisi della proposta della Commissione europea, la nuova risorsa IVA e quella derivante dalla base imponibile comune delle società sembrerebbero essere maggiormente rispondenti ai citati criteri, mentre le opzioni sulla tassazione ambientale, in particolare quella basata sul sistema di scambio di quote di emissioni, potrebbero alterare la quota relativa di finanziamento del bilancio tra Stati membri in ragione di parametri diversi dalla "capacità contributiva", penalizzando quei Paesi con un sistema produttivo a maggiore vocazione industriale, oltre ad assicurare un gettito per l'erario comunitario relativamente modesto e variabile nel tempo.

Invece, sul tema delle correzioni, secondo la Relazione si dovrebbe continuare a sostenere la loro completa abolizione fin dal 2021 (e non progressiva come previsto dalla proposta), valutando nel corso del negoziato se accettarne un livello più basso alla luce della valutazione complessiva sia sul nuovo sistema di finanziamento del bilancio sia sull'accordo raggiunto in materia di spesa.

Infine, si segnala che alcuni Stati membri, tra cui l'Italia, hanno chiesto ragione del mancato inserimento nella proposta di nuove risorse proprie, e in particolare della Web Tax.


 

Sicurezza, migrazione e controllo delle frontiere esterne

L’approccio strategico alle questioni della sicurezza

L’Unione europea ha definito un nuovo quadro strategico per la sua azione nel settore della sicurezza con l’adozione dell'Agenda europea sulla sicurezza nell’aprile 2015, prospettando linee di intervento tradotte in specifiche proposte legislative (v. paragrafi successivi).

Con la successiva Comunicazione sulla realizzazione dell'Unione della sicurezza (aprile 2016), la Commissione europea si è data precise scadenze per la realizzazione delle principali misure di prevenzione e di contrasto ai fenomeni del terrorismo, della criminalità organizzata e del cybercrime.

Inoltre, per rafforzare l’approccio a tali materie, la Presidenza Juncker della Commissione europea ha creato uno specifico portafoglio per l'Unione della sicurezza (attribuito al Commissario Julian King) coadiuvato da una task force trasversale che abbraccia numerose competenze all'interno dell'Esecutivo europeo, cui è stato attribuito il mandato di garantire l'attuazione delle iniziative previste nei documenti programmatici citati.

I principali temi approfonditi nell’ambito dell’Unione della sicurezza sono:

·       la revisione del quadro penale europeo in materia di terrorismo;

·       una serie di misure volte a sottrarre alle organizzazioni criminali e terroristiche gli strumenti necessari alle loro attività (accesso alle risorse finanziarie, alle armi, utilizzo di Internet e di documenti contraffatti);

·       le politiche in materia di prevenzione e contrasto ai processi di radicalizzazione;

·       il rafforzamento dei dispositivi di sicurezza impiegati nella gestione delle frontiere interne ed esterne dell'UE;

·       le misure di prevenzione e contrasto del cybercrime;

·       il miglioramento dei sistemi di scambio di informazioni tra autorità di contrasto (polizia e magistratura penale) e di intelligence tra Stati membri;

·       misure volte a rafforzare la protezione dei possibili obiettivi degli attacchi terroristici;

·       la dimensione esterna della lotta contro il terrorismo.

Le principali misure in materia di contrasto al terrorismo

Riforma del quadro penale - Misure volte a ridurre i mezzi impiegati da organizzazioni criminali e terroristiche

Nel corso del 2017, l'Unione europea ha rafforzato le misure per il contrasto del terrorismo, tra l’altro, adottando:

·       una direttiva che amplia le fattispecie penali riconducibili ai reati di terrorismo, con particolare riguardo al fenomeno dei combattenti stranieri (ricomprendendovi i viaggi a fini terroristici; la partecipazione a un addestramento a fini terroristici; la fornitura o la raccolta di capitali, con l'intenzione o la consapevolezza che tali fondi saranno utilizzati per commettere reati di terrorismo e reati connessi);

·       una direttiva relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi, volta ad impedirne l’accesso ai criminali e ai terroristi, attraverso, tra l’altro, una maggiore tracciabilità delle armi da fuoco, il divieto dell'uso civile delle armi da fuoco semiautomatiche più pericolose, nonché misure più severe riguardo all'acquisizione e alla detenzione delle armi da fuoco più pericolose[1].

Per completare tale ultima iniziativa, la Commissione ha, altresì, presentato una raccomandazione sull'adozione di disposizioni immediate miranti a migliorare la sicurezza delle misure di esportazione, importazione e transito di armi da fuoco, loro parti e componenti essenziali e munizioni. In tale settore si segnala, altresì, la comunicazione congiunta, recentemente presentata dalla Commissione europea e dall’Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, “Elementi per una strategia dell'Unione europea contro le armi da fuoco, le armi leggere e le armi di piccolo calibro illegali e le relative munizioni”.

Da ultimo, nell’ambito delle misure volte a neutralizzare gli strumenti impiegati dalle organizzazioni criminali e terroristiche, la Commissione europea ha altresì presentato, nell’aprile del 2018, una proposta di revisione e rafforzamento delle restrizioni attualmente previste dal regolamento 98/2013 relativo all’immissione sul mercato e all’uso di precursori di esplosivi, recante una serie di misure che limitano l’accesso dei privati a tali sostanze, nonché una proposta di regolamento volto a rafforzare la sicurezza delle carte d'identità rilasciate ai cittadini dell'Unione e dei titoli di soggiorno rilasciati ai cittadini dell'Unione e ai loro familiari. Le due proposte sono tuttora all’esame delle Istituzioni legislative europee.

Si segnala infine la proposta, presentata dalla Commissione europea in occasione del Discorso sullo Stato dell’Unione del Presidente Jean-Claude Juncker del 12 settembre 2018, di estendere i compiti della recentemente istituita Procura europea al fine di includervi la lotta contro i reati di terrorismo (la proposta è contenuta nella comunicazione COM(2018)641).

La Procura europea, la cui piena operatività è prevista entro la fine del 2020, è un ufficio indipendente dell'Unione europea composto da magistrati aventi la competenza di individuare, perseguire e rinviare a giudizio gli autori di reati a danno del bilancio dell'UE, come la frode, la corruzione o le gravi frodi transfrontaliere in materia di IVA.

Attualmente partecipano alla Procura europea 22 Stati membri dell'UE: Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica ceca, Estonia, Germania, Grecia, Spagna, Finlandia, Francia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Slovenia e Slovacchia.

Il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) prevede la possibilità di estendere le competenze di tale organismo allo scopo di includere tra le sue le attribuzioni i reati gravi che colpiscono più di uno Stato membro, mediante una decisione presa all'unanimità da tutti gli Stati membri partecipanti e dagli altri, previa approvazione del Parlamento europeo e previa consultazione della Commissione.

Misure per il contrasto al finanziamento del terrorismo

Dando seguito ad un Piano di azione presentato dalla Commissione europea nel 2016, l’Unione europea ha messo in campo una serie di misure che hanno l’obiettivo specifico di contrastare il finanziamento del terrorismo.

Il Piano prevedeva due principali filoni d'azione:

·        iniziative volte ad individuare i terroristi attraverso i loro movimenti finanziari e impedire loro di spostare fondi o altri beni;

·        misure dirette allo smantellamento delle fonti di entrata usate dalle organizzazioni terroristiche, in primo luogo colpendo le capacità di raccolta fondi.

Devono ricomprendersi in tale ambito di intervento:

·       l’adozione, il 30 maggio 2018, della V direttiva sulla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, con l’obiettivo in particolare di migliorare la trasparenza sulla titolarità delle società e dei trust; contrastare i rischi connessi alle carte prepagate e alle valute virtuali; rafforzare la cooperazione tra le unità di informazione finanziaria; potenziare i controlli sulle operazioni che coinvolgono paesi terzi ad alto rischio;

·       una proposta di direttiva per perseguire penalmente il riciclaggio dei proventi di reati, recante norme minime per la definizione dei reati e delle sanzioni connesse al riciclaggio di denaro;

L’iter della proposta normativa è essenzialmente concluso a seguito della posizione del Parlamento europeo definita in prima lettura il 12 settembre 2018 sulla base dei precedenti negoziati con il Consiglio.

·       una proposta di regolamento volto, in particolare, a rafforzare i controlli sul denaro contante per coloro che entrano o escono dall'UE con somme in contanti superiori ai 10 mila euro (ferma restando la possibilità di agire anche in caso di somme inferiori laddove si sospettino attività criminose) e migliorare lo scambio di informazioni tra le autorità preposte;

L’iter della proposta normativa è essenzialmente concluso a seguito della posizione del Parlamento europeo definita in prima lettura il 12 settembre 2018 sulla base dei precedenti negoziati con il Consiglio. Da ultimo, il 2 ottobre 2018 il Consiglio dell’UE economia e finanza ha adottato il regolamento, tuttora in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’UE.

·       una proposta di regolamento sul riconoscimento reciproco degli ordini di congelamento e confisca dei proventi di reato;

L’iter della proposta normativa è essenzialmente concluso a seguito della posizione del Parlamento europeo definita in prima lettura il 4 ottobre 2018 sulla base dei precedenti negoziati con il Consiglio. L’approvazione del Parlamento europeo apre la strada all’adozione formale del Consiglio dell’UE e alla successiva pubblicazione del regolamento in Gazzetta ufficiale dell’UE.

·       una proposta di regolamento, tuttora all’esame delle Istituzioni legislative europee, relativa all’importazione di beni culturali;

·       una proposta di direttiva recante disposizioni per agevolare l’uso di informazioni finanziarie e di altro tipo a fini di prevenzione, accertamento, indagine o perseguimento di determinati reati.

Da ultimo, si ricorda che, in occasione del citato Discorso sullo Stato dell’Unione, la Commissione europea ha presentato nuove iniziative volte a lottare più efficacemente contro il riciclaggio di denaro a livello transfrontaliero.

Si tratta in particolare della proposta di regolamento COM(2018)646 diretta a concentrare le competenze in materia di antiriciclaggio in relazione al settore finanziario in seno all' Autorità bancaria europea e a rafforzarne il mandato per garantire una vigilanza efficace e coerente sui rischi di riciclaggio di denaro da parte di tutte le autorità pertinenti e la cooperazione e lo scambio di informazioni tra queste autorità. La Commissione europea ha presentato, inoltre, una strategia per migliorare lo scambio di informazioni e la cooperazione tra le autorità antiriciclaggio e quelle prudenziali, e invitato le autorità europee di vigilanza, e in particolare l'ABE, ad adottare linee guida per aiutare le autorità di vigilanza prudenziale ad integrare gli aspetti relativi all'antiriciclaggio nei loro diversi strumenti e ad assicurare la convergenza in materia di vigilanza (tale strategia è contenuta nella comunicazione COM(2018)645). La Commissione ha, infine, annunciato l’intenzione di incoraggiare la Banca centrale europea a concludere con le autorità di vigilanza antiriciclaggio un protocollo d'intesa multilaterale sullo scambio di informazioni entro il 10 gennaio 2019, come previsto dalla disciplina europea antiriciclaggio in vigore.

Misure per la protezione degli obiettivi degli atti terroristici

La Commissione europea sta procedendo in via prioritaria all’attuazione di un Piano di azione, presentato nell’ottobre del 2017, per migliorare la protezione degli spazi pubblici, recante, tra l’altro, lo stanziamento ad hoc di risorse finanziarie nell’ambito del bilancio UE.

Si tratta, in particolare, oltre ad iniziative nel campo della cooperazione e dello scambio di best practicies, dello stanziamento di 18 milioni di euro, nell’ambito del Fondo sicurezza interna, per sostenere progetti transnazionali volti a migliorare la protezione di tali spazi, e di ulteriori 100 milioni di euro, previsti nel 2018, nel quadro di azioni urbane innovative a sostegno delle città che investono in soluzioni in materia di sicurezza.

La Commissione europea ha contestualmente presentato un Piano d’azione per rafforzare la preparazione contro i rischi per la sicurezza di natura chimica, biologica, radiologica e nucleare (CBRN), che prefigura una serie di misure destinate a ridurre l'accessibilità dei materiali CBRN, a eliminare le lacune nelle capacità di individuare tali materiali e a rafforzare la preparazione e la risposta agli incidenti di tipo CBRN.

Da ultimo, nella quindicesima relazione sull’attuazione dell’Unione della sicurezza, la Commissione europea ha avviato un programma di azioni per migliorare la sicurezza dei passeggeri del trasporto ferroviario nell’UE, che prevede tra le prime iniziative (entro la fine del 2018) l’istituzione di una piattaforma volta a raccogliere informazioni pertinenti sulla sicurezza ferroviaria e fornire orientamenti sulle buone pratiche per gli Stati membri, e l’elaborazione di un metodo di valutazione comune dei rischi.

Radicalizzazione e linguaggio d’odio

Fin dagli attentati terroristici di Londra del 2005, l'UE ha avviato politiche in materia di contrasto alla radicalizzazione, basate su un approccio trasversale, che include strumenti sia di tipo reattivo (tra i quali il richiamato nuovo quadro giuridico in materia di terrorismo) sia di carattere preventivo (processi di integrazione e inclusione sociale, di reinserimento e deradicalizzazione delle persone considerate a rischio e degli stessi combattenti stranieri che fanno ritorno nei rispettivi Stati membri di provenienza).

Tra gli strumenti di prevenzione adottati a livello di Unione devono ricomprendersi il Gruppo di esperti di alto livello in materia di radicalizzazione, la Rete per la sensibilizzazione alla radicalizzazione (RAN), il Forum dell'UE su Internet, la Rete europea per le comunicazioni strategiche (ESCN) e l'unità IRU (Internet Referral Unit) istituita in seno ad Europol, l’Agenzia europea per la cooperazione di polizia.

Il Gruppo di esperti di alto livello in materia di radicalizzazione è stato istituito dalla Commissione europea nel luglio del 2017 con l'incarico di definire raccomandazioni in materia di contrasto e prevenzione del fenomeno con particolare riguardo al coordinamento e alla cooperazione tra tutti i portatori di interesse.

La RAN, recentemente rafforzata con l'istituzione al suo interno di un centro di eccellenza, è una piattaforma per scambiare esperienze, mettere in comune le conoscenze, identificare le migliori pratiche e sviluppare nuove iniziative per affrontare la radicalizzazione, cui partecipano diversi attori provenienti dagli Stati membri.

Il Forum dell'UE su internet riunisce rappresentanti dell'industria, degli Stati membri, delle autorità di pubblica sicurezza e partner della società civile per esaminare il modo in cui affrontare le sfide poste dalla propaganda terroristica ed estremistica on line attraverso una cooperazione volontaria rafforzata.

L’IRU ha il compito di segnalare ai fornitori di servizi on-line interessati i contenuti volti alla propaganda terroristica o all'estremismo violento su Internet ai fini della loro rimozione.

Nel quadro degli interventi della Commissione europea per la prevenzione e il contrasto dei contenuti illeciti on-line devono ricomprendersi, inoltre, il Code of conduct siglato con le principali imprese operanti nel settore dei social media, recante l’impegno da parte di queste di eliminare i messaggi illegali di incitamento all’odio (maggio 2016); gli orientamenti politici per le piattaforme on-line al fine di intensificare la lotta contro i contenuti illeciti on line in cooperazione con le autorità nazionali (settembre 2017), nonché le raccomandazioni agli Stati membri recanti misure operative volte a garantire maggiore rapidità nella rilevazione e nella rimozione dei contenuti illegali on-line anche di stampo terroristico o riconducibili a reati di odio (marzo 2018). Nel caso di contenuti terroristici la Commissione europea chiede, in particolare, agli Stati membri la loro rimozione entro un’ora dai siti web, nonché l’impiego di meccanismi di rilevazione automatizzata di tali contenuti.

Da ultimo, si ricorda che, in occasione del citato Discorso sullo Stato dell’Unione, la Commissione europea ha presentato nuove regole per eliminare rapidamente i contenuti terroristici dal web (si tratta della proposta di regolamento COM(2018)640).

La nuova disciplina introduce un termine vincolante di un’ora per la rimozione dei contenuti di stampo terroristico a seguito di un ordine di rimozione emesso dalle autorità nazionali competenti. Sono altresì previsti: un quadro di cooperazione rafforzata tra prestatori di servizi di hosting, Stati membri ed Europol, per facilitare l'esecuzione degli ordini di rimozione; meccanismi di salvaguardia (reclami e ricorsi giurisdizionali) per proteggere la libertà di espressione su Internet e per garantire che siano colpiti esclusivamente i contenuti terroristici; un apparato sanzionatorio per i prestatori di servizi nel caso di mancato rispetto (o ancora, di omissione sistematica) degli ordini di rimozione.

Frontiere UE e Spazio Schengen

L'azione europea in tale settore si è anzitutto tradotta in misure volte al rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne, da un lato, aumentando le verifiche in ingresso e uscita dai confini UE, dall'altro, proponendo nuovi meccanismi automatici di controllo dei transiti dei cittadini di Stati terzi nonché migliorando il funzionamento e l'accesso ai sistemi informazione attualmente utilizzati dalle autorità di contrasto e di gestione delle frontiere.

Tra gli elementi chiave in tale settore, l'approvazione della riforma del Codice frontiere Schengen volta a rendere obbligatorie le verifiche sistematiche nella banche dati di sicurezza di tutti i viaggiatori, compresi i cittadini dell'UE che attraversano le frontiere, misura resasi necessaria tra l'altro in considerazione della significativa componente di cittadini europei (le stime Europol riferiscono un volume assai approssimativo nel 2017, intorno alle 7 mila persone) espatriati per aderire alle milizie ISIS.

Il Codice frontiere Schengen è oggetto di un’ulteriore significativa proposta di riforma, tuttora all’esame delle Istituzioni legislative europee, volta ad ampliare i periodi di ripristino temporaneo dei controlli di frontiera alle frontiere interne tra Stati membri.

La proposta, originata da un lato, dall’obiettivo di impedire i movimenti secondari dei migranti, dall’altro dall’intenzione di stringere le maglie dei controlli nei confronti degli spostamenti intra UE di possibili terroristi e foreign fighters, è tuttora all’esame delle Istituzioni legislative europee. L’Italia, confermando riserve già manifestate nei confronti della proposta originaria, in sede di Consiglio dell’UE ha espresso un giudizio critico sul testo di compromesso che dovrebbe costituire la base per i prossimi negoziati tra Parlamento europeo e Consiglio e ha dichiarato la propria indisponibilità a sostenere il mandato alla Presidenza del Consiglio per i negoziati con il Parlamento europeo.

Sono molteplici le iniziative europee volte a rafforzare gli strumenti di controllo degli ingressi alle frontiere esterne dell’UE. In tale settore, l'Unione europea ha istituito, alla fine del 2017 un sistema di ingressi /uscite dell'UE (EES)[2], volto a consentire la registrazione dei dati di ingresso e uscita dei cittadini dei paesi terzi all'atto di attraversare le frontiere esterne.

Da ultimo, (a seguito dell’approvazione da parte del Parlamento europeo della relativa posizione in prima lettura del 5 luglio 2018), il 5 settembre 2018 il Consiglio ha adottato un regolamento che istituisce un sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (ETIAS), volto a consentire controlli di sicurezza su passeggeri che viaggiano in Europa in regime di esenzione del visto prima di arrivare alle frontiere UE.

Si ricorda, infine, che, nel giugno 2018, i colegislatori hanno raggiunto un accordo politico in merito a tre proposte legislative[3] volte a rafforzare il Sistema d’informazione Schengen (SIS), il principale database a livello europeo utilizzato dalle autorità di contrasto alla criminalità e di sorveglianza alle frontiere, che l'Unione europea intende migliorare, tra l'altro, mediante l'inserimento nel sistema di alcune categorie di provvedimenti di Stati membri, come ad esempio il divieto di ingresso e l'ordine di rimpatrio dei cittadini di Stati terzi non legittimati ad entrare e rimanere sul territorio dell'UE. Tale accordo apre la strada all’approvazione del pacchetto sul SIS, che per quanto riguarda la posizione in prima lettura del Parlamento europeo è indicativamente programmata nella sessione plenaria del 22 ottobre 2018.

Scambio di informazioni

L'Unione ha adottato una serie di misure volte a eliminare le lacune riscontrate in materia di scambio di informazioni tra autorità di contrasto (polizia e magistratura penale) oltreché tra servizi di intelligence, tra le quali:

·       l'aggiornamento del quadro giuridico di Europol, trasformato in Agenza europea con un mandato rafforzato per quanto riguarda l’assistenza alle autorità degli Stati membri nelle attività di contrasto delle forme gravi di criminalità internazionale e del terrorismo;

·       la direttiva sui codici di prenotazione dei viaggi aerei (codici PNR) da e verso l'Europa (voli extra UE, salva la facoltà per gli Stati membri di applicare la disciplina anche ai voli intra UE)[4].

Il miglioramento della condivisione delle informazioni è alla base altresì di una serie di iniziative europee, tuttora in corso di esame, che interessano, tra l’altro:

·       la messa in rete dei casellari giudiziari anche con riferimento a cittadini di Stati terzi;

·       la cosiddetta interoperabilità delle banche dati europee impiegate dalle autorità di contrasto e di gestione delle frontiere, che dovrebbe tradursi nella realizzazione di uno sportello unico in grado di interrogare simultaneamente i molteplici sistemi di informazione, potenziato da un unico sistema di confronto biometrico al fine di consentire alle autorità competenti di verificare tramite le impronte digitali identità false o multiple;

·       il potenziamento di EU-LISA, l’Agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà sicurezza e giustizia (l’iter di tale provvedimento è sostanzialmente concluso);

·       il rafforzamento del sistema di informazione visti (VIS), la banca dati dell'UE che collega tra loro le guardie di frontiera che operano alle frontiere esterne dell'UE con i consolati degli Stati membri in tutto il mondo.

Cybercrime

A partire dal 2013 l'UE ha progressivamente rafforzato le misure volte a contrastare la criminalità informatica e gli attacchi informatici, con particolare riferimento a tre principali categorie di illeciti:

·       gli attacchi alle reti e ai sistemi informatici;

·       la perpetrazione di reati di tipo comune (ad esempio, crimini essenzialmente predatori) tramite l'uso di sistemi informatici;

·       la diffusione di contenuti illeciti (ed esempio, pedopornografia, propaganda terroristica, etc.) per mezzo di sistemi informatici.

La prima categoria di illeciti è considerata di particolare rilievo, attesa la vitale importanza delle reti e dei sistemi informatici rispetto al funzionamento delle infrastrutture critiche (tra tutte, il sistema dei trasporti, le strutture ospedaliere, quelle energetiche), la cui sicurezza attiene peraltro al normale svolgimento della vita democratica di un Paese. L’intervento dell'UE al riguardo si è sviluppato su diversi piani, inclusa la politica estera, di sicurezza e di difesa europea, stante la natura di vera e propria minaccia ibrida[5] di alcune tipologie di attacchi informatici.

In tale ambito, l'iniziativa più rilevante è rappresentata dalla direttiva, approvata nel luglio 2016, sulla sicurezza delle reti e dell'informazione (direttiva NIS)[6], con la quale l'Unione europea ha posto le basi per un miglioramento della cooperazione operativa tra Stati membri in caso di specifici incidenti di cibersicurezza e della condivisione delle informazioni sui rischi.

Nel settembre 2017 la Commissione europea ha poi presentato un articolato pacchetto di iniziative volte tra le altre cose:

·       a rafforzare il quadro giuridico dell’ENISA, l’Agenzia UE per la sicurezza delle reti e dei sistemi informativi, trasformandola in un’Agenzia europea per la cibersicurezza, e a istituire un quadro per l’introduzione di sistemi europei di certificazione della cibersicurezza dei prodotti e dei servizi TIC nell’Unione;

·       a valutare se istituire un Fondo per la risposta alle emergenze cibernetiche per gli Stati membri in linea con la normativa europea di settore;

·       ad includere la ciberdifesa nel quadro della cooperazione strutturata permanente (PESCO) e del Fondo europeo per la difesa, a sostegno dei progetti di ciberdifesa;

·       al rafforzamento della cooperazione UE NATO nella ricerca in materia di ciberdifesa e cooperazione per l’innovazione, inclusa la partecipazione a esercitazioni parallele coordinate;

·       alla riforma (tuttora all’esame delle Istituzioni legislative europee) della normativa europea relativa alla lotta contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti.

Da ultimo, nell’aprile del 2018 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di proposte legislative volto a migliorare l'acquisizione transfrontaliera di prove elettroniche per i procedimenti penali: una proposta di regolamento relativo agli ordini europei di produzione e di conservazione di prove elettroniche nei procedimenti penali e una proposta di direttiva che stabilisce norme armonizzate sulla nomina dei rappresentanti legali ai fini dell'acquisizione di prove nei procedimenti penali.

In proposito, il Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2018 ha sottolineato la necessità di rafforzare le capacità contro minacce alla cybersecurity provenienti dall'esterno dell'UE e invitato a dare rapida attuazione alle misure concordate a livello europeo.

Infine, merita segnalare che l’esposizione dei cittadini alla disinformazione su vasta scala (in particolare le informazioni fuorvianti o palesemente false) è una fattispecie che l’UE considera alla stregua di una tipologia di minaccia informatica. In particolare, il tema della propaganda e guerra di informazioni è stato affrontato dall’Unione europea con riferimento alle attività di propaganda di enti e organismi situati in Stati terzi. A tal fine, sono stati adottati strumenti, nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune, volti a contrastare la falsa propaganda diffusa da tali soggetti anche, e soprattutto, attraverso la rete.

Tra le misure adottate in tale settore, si ricorda l’istituzione della Task Force East StratCom, operativa dal settembre 2015, sotto la responsabilità dell'Alta rappresentante, volta a far fronte alle campagne di disinformazione organizzate dalla Russia. Tale organismo ha il compito di sviluppare prodotti e campagne di comunicazione incentrate sulla spiegazione delle politiche dell'UE nella regione del partenariato orientale.

Viene altresì in considerazione la Task Force for Outreach and Communication in the Arab world, organismo istituito a seguito delle conclusioni del Consiglio dell’UE affari esteri del febbraio 2015, impegnato, tra l’altro, nel sostegno alle iniziative internazionali in materia di lotta alla radicalizzazione e al terrorismo, nella costruzione di partenariati regionali con l’UE; nello sviluppo di contro-narrazioni rispetto alla propaganda terroristica; nella promozione dei diritti fondamentali coinvolgendo i social media e nella facilitazione del dialogo interreligioso e con la società civile.

La Commissione europea ha recentemente presentato una comunicazione in materia di contrasto alla disinformazione on-line, recante una serie di misure tra le quali si ricordano: la realizzazione di un codice di buone pratiche dell'UE sul tema della disinformazione, il sostegno a una rete indipendente di verificatori di fatti; una politica di incentivi al giornalismo di qualità e promozione dell'alfabetizzazione mediatica.

In proposito, il Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2018 ha invitato l'Alto rappresentante e la Commissione a presentare entro dicembre 2018, in cooperazione con gli Stati membri e in linea con le conclusioni del Consiglio europeo del marzo 2015, un piano d'azione con proposte specifiche per una risposta coordinata dell'UE al problema della disinformazione, comprensivo di mandati appropriati e risorse sufficienti per le pertinenti squadre di comunicazione strategica del Servizio europeo per l'azione esterna (SEAE).

Ai temi della cibersicurezza (anche con particolare riguardo al fenomeno della disinformazione) sono infine riconducibili le iniziative contenute nella comunicazione COM(2018)637, “Assicurare elezioni europee libere e corrette”, presentata in occasione del citato Discorso sullo Stato dell’Unione.

In particolare, la Commissione europea ha:

·       presentato una raccomandazione (C(2018)5949) relativa alle reti di cooperazione in materia elettorale, alla trasparenza online, alla protezione dagli incidenti di cibersicurezza e alla lotta contro le campagne di disinformazione;

·       gli Stati membri sono invitati a istituire reti nazionali di cooperazione in materia elettorale composte delle pertinenti autorità - come le autorità competenti in materia elettorale e in materia di cibersicurezza, le autorità incaricate della protezione dei dati e le autorità di contrasto - e a designare punti di contatto che partecipino a un'analoga rete di cooperazione in materia elettorale di livello europeo;

·       annunciato la promozione di una maggiore trasparenza nella propaganda politica online.

·       i partiti politici, le fondazioni politiche e gli organizzatori delle campagne europee e nazionali dovrebbero rendere disponibili le informazioni sulla spesa sostenuta per le campagne di propaganda online, rivelando quale partito o quale gruppo di supporto politico si trovi a monte della propaganda politica online e pubblicando informazioni sui criteri usati per la selezione dei cittadini destinatari di tali comunicazioni. Qualora tali principi non siano seguiti, gli Stati membri dovrebbero applicare sanzioni nazionali;

·       invitato le autorità nazionali, i partiti politici e i media ad adottare misure per proteggere le proprie reti e i propri sistemi informativi dalle minacce alla cibersicurezza;

·       presentato orientamenti sull'applicazione del diritto dell'Unione in materia di protezione dei dati volti a aiutare le autorità nazionali e i partiti politici europei e nazionali ad applicare gli obblighi in materia di protezione dei dati derivanti dal diritto dell'UE nel contesto elettorale (cfr. COM(2018)638);

·       proposto la modifica del regolamento del 2014 relativo al finanziamento dei partiti politici europei, volta a consentire di infliggere sanzioni pecuniarie (pari al 5 % del bilancio annuale del partito politico o fondazione politica europei interessati) per le violazioni delle norme in materia di protezione dei dati commesse allo scopo di influenzare deliberatamente l'esito delle elezioni europee (COM(2018)636);

·       annunciato una proposta di regolamento per mettere in comune risorse e competenze nella tecnologia di cibersicurezza con l'obiettivo di creare una rete di centri di competenza sulla cibersicurezza per coordinare meglio i finanziamenti disponibili per la cooperazione, la ricerca e l'innovazione in tale ambito.

L’Agenda europea sulla migrazione

Dati statistici

Secondo l’UNHCR, dall’inizio del 2018 al 27 settembre sono sbarcati sulle coste meridionali dell’Unione europea (sostanzialmente, Italia, Grecia, Spagna e Cipro) oltre 80 mila migranti. L’UNHCR rileva che il numero di morti/scomparsi in mare nel 2018 si è attestato a oltre 1.700.

La rotta del Mediterraneo centrale (in linea di massima dalla Libia e, in minor quota, dalla Tunisia verso l’Italia) ha registrato 21 mila sbarchi; la rotta del Mediterraneo orientale (dalla Turchia alla Grecia) si è attestata a circa 23 mila sbarchi, mentre quella del Mediterraneo occidentale (che riguarda per lo più il flusso dal Marocco alla Spagna) ha registrato oltre 36 mila sbarchi (cui devono aggiungersi circa 5 mila persone che hanno raggiunto la Spagna via terra).

Il trend annuale degli sbarchi nell’UE registra un significativo rallentamento, come indicato dalla seguente tabella: fonte UNHCR.

 

Anno

Totale sbarchi UE

Morti/dispersi in mare (stimati)

2018

(fino a settembre)

80.546

1.719

2017

172.301

3.139

2016

362.753

5.096

2015

1.015.078

3.771

2014

216.054

3.538

Secondo il Ministero dell’interno comparando gli sbarchi in Italia dal 1° gennaio al 27 settembre 2018 con quelli relativamente allo stesso periodo nel 2016 e nel 2017 si registra una diminuzione rispettivamente dell’84,08 e del 79,79 per cento.

Di seguito un grafico recante la situazione relativa al numero dei migranti sbarcati in Italia a decorrere dal 1 gennaio 2018 fino al 27 settembre 2018 comparati con i dati riferiti allo stesso periodo degli anni 2016: fonte Ministero dell’interno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Di seguito il confronto degli sbarchi mensili in Italia (al 23 settembre 2018) tra il 2017 e il 2018: fonte UNHCR

 

 

 

 

·        

·        

Per quanto riguarda gli Stati terzi di provenienza dei migranti arrivati in Europa (via mare e terra), l’UNHCR rileva che le percentuali maggiori riguardano la Siria (13,6 per cento), l’Iraq (9,1), la Guinea (6,9), la Tunisia (6,6), e l’Afghanistan (6,5).

Il dato specifico degli sbarchi in Italia registra percentuali più alte per quanto riguarda cittadini di Stati terzi africani ed il Pakistan.

Di seguito una tabella recante le principali nazionalità dei migranti sbarcati in Italia nel 2018: fonte UNHCR.

 

 

Secondo l’EA SO, l’Ufficio europeo per l’asilo, nei primi mesi del 2018 gli Stati membri hanno registrato 301 mila domande di protezione internazionale, registrando una flessione rispetto alla prima metà del 2017 del 15 per cento. Alla fine di giugno 2018 sarebbero oltre 400 mila le domande di asilo nell’UE ancora pendenti.

Di seguito un grafico sul trend delle domande di asilo presentate nell’Unione europea (le colonne in blu rappresentano le domande di prima istanza): fonte EASO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Secondo il Ministero dell’interno nei primi otto mesi del 2018 sono state presentate in Italia oltre 40 mila domande di asilo.

Di seguito un grafico recante il confronto del trend mensile delle domande di asilo in Italia negli ultimi tre anni: fonte UNHCR

 

Recenti sviluppi della politica UE in materia di migrazione, asilo e gestione delle frontiere

Commissione europea

In occasione del Discorso sullo Stato dell’Unione del 12 settembre 2018, il Presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, ha presentato una serie di proposte allo scopo di rafforzare la solidarietà dell'UE sulla questione migratoria e di proteggere meglio le frontiere esterne dell'UE.

Si tratta in primo luogo di misure volte a rafforzare il ruolo della guardia di frontiera e costiera europea sotto il profilo delle risorse e dell'ampliamento del mandato.

La Commissione europea propone, in particolare, la costituzione in seno all'Agenzia della guarda di frontiera e costiera europea di un corpo permanente di 10 mila unità operative entro il 2020, abilitate a svolgere compiti che implicano competenze esecutive, seppure sempre sotto l'autorità e il controllo dello Stato membro in cui saranno dispiegati (l'iniziativa è contenuta nella proposta di regolamento COM(2018)631). Ulteriori misure per potenziare l'Agenzia riguardano il maggior coinvolgimento dell'organismo europeo nel sostegno alle procedure di rimpatrio effettuate dagli Stati membri, e nella cooperazione con i paesi terzi interessati.

La Commissione europea propone, altresì, una revisione mirata della direttiva rimpatri volta a accelerare le procedure di rimpatrio, ad impedire fughe e movimenti secondari irregolari e ad aumentare i rimpatri effettivi (si tratta della proposta di direttiva COM(2018)634).

Nel discorso sullo Stato dell'Unione è stata altresì prefigurata la proposta di rafforzare la futura Agenzia dell'UE per l'asilo (si tratta della proposta modificata di regolamento COM(2018)633), mediante:

·       la previsione di squadre di sostegno per l'asilo messe a disposizione dall'Agenzia per assistere le autorità nazionali nelle procedure amministrative di asilo;

·       la previsione di squadre miste dell'UE per la gestione della migrazione, con il compito di sostenere gli Stati membri, in particolare nei punti di crisi e nei centri controllati, composte di esperti della guardia di frontiera e costiera europea, dell'Agenzia dell'UE per l'asilo e di Europol, coordinate dalla Commissione. Sotto l'autorità dello Stato membro ospitante, tali squadre saranno abilitate a svolgere i compiti necessari per accogliere le persone in arrivo, distinguere tra le persone bisognose di protezione e le altre ed espletare le procedure di asilo e di rimpatrio;

·       l'aumento dei mezzi finanziari per mettere l'Agenzia in condizione di assolvere ai compiti potenziati.

La Commissione europea ha altresì presentato le prossime iniziative in materia di migrazione legale (tali iniziative sono prefigurate nella comunicazione COM(2018)635).

In particolare, l'obiettivo dell'ampliamento dei percorsi legali verso l'Europa dovrebbe essere realizzato mediante:

·       l'approvazione della riforma del regime cosiddetto della Carta blu dell'UE (disciplina europea volta ad attirare nell'UE lavoratori altamente qualificati cittadini di Stati terzi), proposta dalla Commissione europea nel 2016 e tuttora in corso di esame;

·       il completamento, entro ottobre 2019, del programma di reinsediamento negli Stati membri del piano presentato nel 2017 concernente 50 mila richiedenti asilo, nonché l'approvazione delle norme (attualmente oggetto di negoziato tra le Istituzioni legislative europee) recanti un quadro giuridico permanente in materia di reinsediamento;

·       l'intensificazione della cooperazione con i paesi terzi, in particolare avviando con i principali Paesi africani progetti pilota sulla migrazione legale.

Consiglio dell’UE

La Presidenza austriaca del Semestre di Presidenza del Consiglio dell’UE sta effettuando un giro di consultazioni bilaterali con gli Stati membri sulla riforma del regolamento Dublino in materia di ripartizione di competenze tra Stati membri per la gestione delle domande di asilo (parte del complessivo progetto di revisione dell’intero Sistema comune europeo di asilo), tuttora in fase di stallo (vedi infra).

In applicazione delle conclusioni del Consiglio europeo del 28-29 giugno 2018, è prevista la presentazione di una relazione sullo stato di avanzamento dei lavori al Consiglio europeo di ottobre.

Si segnala inoltre che, nell’ambito del Semestre di Presidenza austriaca del Consiglio dell’UE, il 13-14 settembre 2018, si è svolta a Vienna la Conferenza migrazione e sicurezza – Promuovere la cooperazione e la resilienza, alla quale hanno partecipato i Ministri dell’interno degli Stati membri e di Stati terzi (in particolare, Algeria, Chad, Egitto, Libia, Mali, Marocco, Niger e Tunisia), nonché rappresentanti delle Agenzie europee competenti e di organizzazioni internazionali. La Conferenza si è concentrata, tra l’altro, sulla cooperazione con i Balcani occidentali e il Nord Africa in materia di migrazione e sicurezza.

L’attuazione dell’Agenda – Le conclusioni del Consiglio europeo del 28-29 giugno 2018

Nei prossimi anni l'Unione europea dovrebbe proseguire i lavori volti a dare attuazione all'Agenda europea sulla migrazione, il documento programmatico pubblicato dalla Commissione nel maggio del 2015 recante, da un lato, una serie di misure urgenti per affrontare l'emergenza dei flussi migratori, determinata dalla crisi siriana e dalla ripresa degli sbarchi lungo la rotta del Mediterraneo centrale, dall'altro, una serie di iniziative di medio e lungo termine nel settore della politica migratoria e del controllo delle frontiere.

L'approccio seguito dall'UE nella politica migratoria, come da ultimo confermato anche nelle conclusioni del Consiglio europeo del 28-29 giugno 2018, consiste in una combinazione di strumenti che riguardano: misure nell'ambito della dimensione interna della politica di migrazione; il potenziamento dei controlli alle frontiere dell'UE, il rafforzamento dell'azione esterna UE in materia di flussi irregolari (riduzione delle cause profonde dei movimenti migratori e cooperazione con Paesi terzi di origine e di transito, anche ai fini della riammissione dei migranti).

Profili di politica interna di migrazione: la riforma del sistema europeo comune di asilo

Il pacchetto di riforma dell'asilo, tuttora all'esame delle Istituzioni legislative europee, include sette iniziative, di cui le seguenti cinque proposte possono considerarsi in fase avanzata del rispettivo iter normativo: direttiva sulle condizioni di accoglienza; regolamento sulle qualifiche (contenuto dello status di rifugiato); regolamento Eurodac (banca dati sulle impronte digitali dei richiedenti asilo e migranti); regolamento sull'Agenzia UE per l'asilo; regolamento sul quadro per il reinsediamento.

Sono, tuttora, in fase di stallo la proposta di regolamento recante una procedura unica per la trattazione delle domande di asilo e la revisione del regolamento di Dublino, che pone le maggiori criticità per la difficile individuazione di un equo bilanciamento tra le esigenze di solidarietà nei confronti degli Stati membri posti sulla frontiera esterna e la necessità di impedire gli abusi e i movimenti secondari da parte dei richiedenti asilo e i migranti irregolari registrati negli Stati di primo approdo (cosiddetto principio di responsabilità).

Per quanto riguarda la riforma del regolamento di Dublino, allo stato, nonostante il Parlamento europeo abbia approvato un mandato negoziale, che sostanzialmente rafforzerebbe il principio di solidarietà (con il superamento del principio vigente dello Stato di primo approdo e l'automatica redistribuzione dei richiedenti asilo tra tutti gli Stati membri), in sede di Consiglio dell'UE – anche a seguito del tentativo della Presidenza bulgara di elaborare un testo in grado di trovare il consenso - non sono state ancora superate le reciproche resistenze da parte di molti Stati membri: in sintesi, l'Italia, insieme agli altri Stati membri affacciati sul Mediterraneo, ha manifestato riserve rispetto alle misure che rafforzano le clausole di responsabilità, mentre un numero significativo di Stati membri (in linea di massima, i membri del cosiddetto gruppo di Visegrad e l'Austria) sono fermamente contrari a qualsiasi forma di redistribuzione per quote dei richiedenti asilo.

Le questioni relative alla riforma del regolamento di Dublino, e alla correlata situazione delle operazioni di ricerca e salvataggio e di sbarco di migranti in porti sicuri nel Mediterraneo sono state approfondite anche in occasione del Consiglio europeo del 28-29 giugno 2018. Al riguardo, nelle conclusioni adottate dal Consiglio europeo si prevede che, nel territorio dell'UE, coloro che vengono salvati, a norma del diritto internazionale, dovrebbero essere presi in carico sulla base di uno sforzo condiviso e trasferiti in centri sorvegliati istituiti negli Stati membri unicamente su base volontaria; qui un trattamento rapido e sicuro consentirebbe, con il pieno sostegno dell'UE, di distinguere i migranti irregolari, che saranno rimpatriati, dalle persone bisognose di protezione internazionale, cui si applicherebbe il principio di solidarietà. Il citato Consiglio europeo ha altresì stabilito che tutte le misure nel contesto di questi centri sorvegliati, ricollocazione e reinsediamento compresi, saranno attuate su base volontaria, lasciando impregiudicata la riforma di Dublino.

Infine, circa la riforma del sistema europeo comune di asilo, il Consiglio europeo, da un lato, ha richiamato i progressi compiuti grazie alla Presidenza bulgara e alle Presidenze che l'hanno preceduta, dall'altro ha sostenuto la necessità di trovare un consenso sul regolamento Dublino per riformarlo sulla base di un equilibrio tra responsabilità e solidarietà, tenendo conto delle persone sbarcate a seguito di operazioni di ricerca e soccorso; in tale contesto ha infine invitato il Consiglio (dei Ministri dell'UE competenti in materia di migrazione) a proseguire i lavori al fine di concluderli quanto prima.

Il tema è stato oggetto di ulteriore discussione in occasione del Consiglio informale dell'UE giustizia e affari interni del 12 - 13 luglio 2018, che si è concluso senza l'approvazione di documenti ufficiali nell'ambito della politica di migrazione e di asilo. In tale sede, i Ministri dell'interno degli Stati membri hanno approfondito le possibilità di una soluzione politica alla questione del sistema di Dublino alla luce del nuovo contesto generale. A tal proposito, la Presidenza austriaca ha annunciato l'intenzione di esplorare soluzioni adeguate con gli altri Stati membri, stabilendo l'obiettivo di presentare una relazione generale sui progressi relativi alla riforma del regolamento di Dublino e sul sistema europeo comune di asilo (CEAS) entro il Consiglio europeo di ottobre.

Da ultimo, si segnala che, il 24 luglio 2018, la Commissione europea ha formulato alcune ipotesi per la realizzazione dei centri controllati nell’UE previsti dalle conclusioni del Consiglio europeo citato.

Secondo la Commissione europea, tali centri (che avrebbero l'obiettivo di migliorare il processo di distinzione tra le persone bisognose di protezione internazionale e i migranti irregolari che non hanno diritto di restare nell'UE, accelerando al contempo i rimpatri) dovrebbero essere gestiti dallo Stato membro ospitante con il pieno sostegno dell'UE e delle Agenzie dell'UE; i centri potrebbero essere temporanei o ad hoc, a seconda dell'ubicazione.

La Commissione europea ha, altresì, indicato gli elementi chiave che dovrebbero caratterizzare l’istituzione di tali centri:

·       pieno sostegno operativo, con squadre di sbarco formate da guardie di frontiera europee, esperti di asilo, addetti allo screening di sicurezza e agenti addetti ai rimpatri, i cui costi sarebbero coperti integralmente dal bilancio dell'UE;

·       gestione rapida, sicura ed efficace che riduca il rischio di movimenti secondari e sveltisca la determinazione dello status della persona;

·       pieno sostegno finanziario agli Stati membri volontari per la copertura dei costi delle infrastrutture e i costi operativi e sostegno finanziario agli Stati membri che accettano i trasferimenti delle persone sbarcate (la Commissione propone la somma di 6 mila euro per persona).

·       In tale contesto, la Commissione ritiene che almeno temporaneamente (fino all’adozione della riforma del sistema europeo comune di asilo) dovrebbe fungere da cellula centrale di coordinamento per gli Stati membri partecipanti agli sforzi di solidarietà.

Misure per il rafforzamento della gestione delle frontiere

Per sostenere gli Stati membri più esposti ai flussi migratori, l'UE, specialmente dopo la ripresa degli sbarchi a partire dal 2015, ha rinforzato gli strumenti volti alla sorveglianza delle frontiere esterne (in particolare marittime).

Le azioni chiave in tale settore sono:

·       un regolamento, adottato nel maggio del 2014, recante norme per quanto riguarda le attività di sorveglianza delle frontiere marittime coordinate da Frontex;

·       l'avvio delle missioni Frontex Poseidon per il Mediterraneo orientale e Triton, in seguito sostituita con Themis, per il Mediterraneo centrale, per quanto riguarda i flussi provenienti da Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Turchia e Albania;

La novità più importante riguarda il fatto che i migranti soccorsi dovranno essere fatti sbarcare nel porto più vicino al punto in cui è stato effettuato il salvataggio in mare.

·       l'operazione navale EUNAVFOR MED Sophia (il cui comando è stato affidato all'Italia), volta ad individuare, fermare ed eliminare imbarcazioni e mezzi usati o sospettati di essere usati dai trafficanti di migranti nel Mediterraneo;

L’operazione a carattere militare, avviata nel giugno del 2015, allo stato, dovrebbe scadere al termine del 2018. Dopo una prima fase di raccolta delle informazioni sul modus operandi dei trafficanti e contrabbandieri di esseri umani, l’operazione è entrata nella fase due (sottofase acque internazionali), durante la quale gli assetti della task force possono procedere, nel rispetto del diritto internazionale, a fermi, ispezioni, sequestri e dirottamenti di imbarcazioni in alto mare[7] sospettate di essere usate per il traffico o la tratta di esseri umani.

Nel corso degli anni il mandato è stato progressivamente ampliato assegnando alla missione i seguenti compiti integrativi:

·        l'addestramento della Guardia Costiera e della Marina libica;

·       il contributo alle operazioni di embargo alle armi in accordo alla Risoluzione dalle Nazioni Unite nr. 2292 (2016), poi rinnovata con la Risoluzione 2357 (2017);

·       l’istituzione di un meccanismo di controllo del personale in formazione per assicurare l'efficienza a lungo termine della formazione della Guardia Costiera e della Marina libica;

·       nuove attività di sorveglianza e raccolta di informazioni sul traffico illecito delle esportazioni di petrolio dalla Libia, conformemente alle risoluzioni 2146 (2014) e 2362 (2017) del Consiglio di sicurezza dell'ONU;

·       il miglioramento dello scambio di informazioni sulla tratta di esseri umani con le agenzie di contrasto degli Stati membri, FRONTEX ed EUROPOL.

Ad oggi, all'operazione partecipano 26 Stati membri: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Regno Unito, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria.

L’operazione è oggetto di discussione a livello europeo, giacché il Governo italiano ha recentemente proposto un adeguamento del relativo piano operativo nel senso di prevedere la possibilità di individuare porti di sbarco dei migranti (soccorsi nell’ambito della missione) in altri Stati.

·       la riforma del quadro giuridico di Frontex, con la quale, oltre al cambio di denominazione (Agenzia della guardia di frontiera e costiera europea), è stato attribuito all'ente il rango di Agenzia europea e rafforzato il suo mandato nel senso di acquisire maggiori spazi di autonomia e di intervento in caso di crisi migratorie;

La Commissione europea, in occasione della presentazione del bilancio di lungo periodo dell'UE, ha proposto un ulteriore potenziamento del ruolo dell'Agenzia, mediante l'istituzione di un corpo permanente di 10 mila guardie di frontiera.

·       il metodo dei punti di crisi (hotspot), nei quali, al momento dell'ingresso, svolgere operazioni di identificazione, registrazione, fotosegnalamento e rilevamento delle impronte digitali; in tali aree, i migranti sono altresì informati e indirizzati per quanto riguarda le procedure di protezione internazionale, i programmi di ricollocazione e il rimpatrio volontario assistito.

 

Il tema della gestione delle frontiere marittime e del contrasto alle attività dei trafficanti di migranti è stato al centro del dibattito svolto dal Consiglio europeo del 28-29 giugno 2018, a sua volta preceduto da una riunione informale dei leader di 16 Stati membri e della Commissione europea, e a seguito delle iniziative del Governo italiano nei confronti delle navi delle ONG nel Mediterraneo.

In tale contesto, il Consiglio europeo, tra l'altro, ha sottolineato la necessità di maggiori sforzi per porre fine alle attività dei trafficanti dalla Libia o da altri Paesi e confermato il sostegno UE all'Italia e agli altri Stati membri in prima linea a tale riguardo. Infine, il Consiglio europeo ha rivolto a tutte le navi operanti nel Mediterraneo il monito a rispettare le leggi applicabili e a non interferire con le operazioni della guardia costiera libica.

Inoltre, ai fini dello smantellamento definitivo del modello di attività dei trafficanti, e allo scopo di impedire la tragica perdita di vite umane, il Consiglio europeo ha stabilito la necessità di eliminare ogni incentivo a intraprendere viaggi pericolosi, prefigurando a tal proposito un nuovo approccio allo sbarco di chi viene salvato in operazioni di ricerca e soccorso, basato su azioni condivise o complementari tra gli Stati membri. Al riguardo, il Consiglio europeo ha quindi invitato il Consiglio dell'UE e la Commissione a esaminare rapidamente il concetto di piattaforme di sbarco regionali, in stretta cooperazione con i paesi terzi interessati e con l'UNHCR e l'OIM, che dovrebbero agire operando distinzioni tra i singoli casi, nel pieno rispetto del diritto internazionale e senza che si venga a creare un fattore di attrazione.

Da ultimo, il Consiglio europeo ha concordato che nel territorio dell'UE coloro che vengono salvati, a norma del diritto internazionale, dovrebbero essere presi in carico sulla base di uno sforzo condiviso e trasferiti in centri sorvegliati da istituire negli Stati membri, unicamente su base volontaria; qui un trattamento rapido e sicuro consentirebbe, con il pieno sostegno dell'UE, di distinguere i migranti irregolari, che saranno rimpatriati, dalle persone bisognose di protezione internazionale, cui si applicherebbe il principio di solidarietà; ha infine stabilito che tutte le misure nel contesto di questi centri sorvegliati, ricollocazione e reinsediamento compresi, saranno attuate su base volontaria, lasciando impregiudicata la riforma di Dublino.

In occasione del citato Consiglio informale dell'UE giustizia e affari interni del 12 - 13 luglio 2018, secondo quanto riportato dalla Presidenza austriaca del Consiglio dell'UE, i Ministri dell'interno hanno, tra l'altro, concordato sulla necessità di concentrare gli sforzi sulla protezione delle frontiere esterne dell'UE, con particolare riguardo al rafforzamento dell'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera anche mediante il conferimento di un mandato corrispondente. La Presidenza austriaca ha, altresì, sottolineato l'utilità delle piattaforme di sbarco regionale, prefigurando il proprio impegno, in cooperazione con la Commissione europea, l'UNHCR e l'OIM a sviluppare un concetto adeguato di tale soluzione.

Infine, durante la riunione sono state discusse anche le future opzioni che vanno al di là del mandato del Consiglio europeo, come l'utilizzo di centri di rimpatrio nei paesi terzi.

Il 24 luglio 2018 la Commissione europea ha formulato proposte per il modus operandi circa la conclusione di intese regionali sugli sbarchi coi paesi terzi per l’attuazione del concetto di piattaforma di sbarco regionale previsto dalle conclusioni del Consiglio europeo citato.

Secondo la Commissione, le intese regionali sugli sbarchi devono garantire le persone soccorse possano essere sbarcate rapidamente e in condizioni di sicurezza, su entrambe le sponde del Mediterraneo, nel rispetto del diritto internazionale, compreso il principio di non respingimento (non-refoulement), e che la fase successiva allo sbarco sia gestita responsabilmente.

La Commissione elenca i seguenti elementi chiave della proposta: l’incoraggiamento a tutti gli Stati costieri del Mediterraneo ad istituire zone di ricerca e soccorso (SAR) e centri di coordinamento del soccorso in mare (MRCC); le funzioni di UNHCR e OIM nella gestione degli aventi diritto all’asilo e delle persone destinate al rimpatrio; partenariati, su un piano di parità con i paesi terzi interessati, personalizzati in base alle specifiche situazioni politiche, socioeconomiche e di sicurezza; predisposizione di un complesso di regole e procedure finalizzate a uno sbarco ordinato in condizioni di sicurezza, nel totale rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani; sostegno finanziario e logistico dell'UE per le attività legate agli sbarchi e alla fase successiva, così come per la gestione delle frontiere.

Da ultimo, si segnala che il Codice frontiere Schengen è attualmente oggetto di una proposta di riforma volta ad ampliare i periodi di ripristino temporaneo dei controlli di frontiera alle frontiere interne tra Stati membri.

La proposta, originata da un lato, dall’obiettivo di impedire i movimenti secondari dei migranti, dall’altro dall’intenzione di stringere le maglie dei controlli nei confronti degli spostamenti intra UE di possibili terroristi e foreign fighters, è tuttora all’esame delle Istituzioni legislative europee. L’Italia, confermando riserve già manifestate nei confronti della proposta originaria, in sede di Consiglio dell’UE ha espresso un giudizio critico sul testo di compromesso che dovrebbe costituire la base per i prossimi negoziati tra Parlamento europeo e Consiglio e ha dichiarato la propria indisponibilità a sostenere il mandato per i negoziati con il Parlamento europeo.

Il sostegno finanziario all'Italia e le linee future per il bilancio UE in materia di migrazione e frontiere

Le risorse finanziarie dell'UE stanziate finora (al maggio 2018) per l'Italia a titolo di assistenza d'emergenza ammontano a circa 190 milioni di euro, che si aggiungono ai fondi del bilancio UE (Fondo asilo, migrazione e integrazione - AMIF e Fondo sicurezza interna - ISF) per i programmi nazionali nei settori della migrazione e degli affari interni, che superano i 650 milioni di euro (bilancio pluriennale UE 2014-2020 in materia di migrazione, asilo e gestione delle frontiere).

La Grecia attualmente beneficia di circa 560 milioni di euro provenienti dal bilancio pluriennale UE 2014-2020 (fondi AMIF e ISF), mentre l'assistenza in emergenza per la crisi dei migranti si è tradotta in risorse aggiuntive per 440 milioni di euro.

Ammontano a circa 700 milioni di euro le risorse assegnate alla Spagna a valere sui fondi AMIF e ISF per il finanziamento dei programmi nazionali nel bilancio 2014-2020.

Per il prossimo bilancio a lungo termine dell'UE (2021-2027) la Commissione europea propone quasi di triplicare i finanziamenti complessivi per la migrazione e per la gestione delle frontiere portandoli a 34,9 miliardi di euro, rispetto ai 13 miliardi del periodo precedente.

In particolare, la Commissione propone di assegnare 21,3 miliardi di euro per la gestione delle frontiere in generale, e di creare un nuovo Fondo per la gestione integrata delle frontiere (Integrated Border Management Fund - IBMF) per un valore di oltre 9,3 miliardi di euro.

La Commissione propone, inoltre, di aumentare i finanziamenti per la migrazione del 51 per cento fino a raggiungere 10,4 miliardi di euro nel quadro del rinnovato Fondo Asilo e migrazione (Asylum and Migration Fund - AMF), al fine di sostenere gli sforzi degli Stati membri in tre settori chiave: asilo, migrazione legale e integrazione, lotta alla migrazione illegale e rimpatrio.

La Commissione europea ha precisato che il Fondo asilo e migrazione sarà integrato da specifici fondi aggiuntivi nell'ambito degli strumenti di politica esterna dell'UE per rafforzare la cooperazione in materia di migrazione con i paesi partner, compresi gli sforzi per affrontare l'immigrazione irregolare, migliorare le opportunità nei paesi di origine, nonché rafforzare la cooperazione in materia di rimpatrio, di riammissione e di migrazione regolare.

Il citato Consiglio europeo ha sottolineato, nel contesto del prossimo quadro finanziario pluriennale, la necessità di disporre di strumenti flessibili e ad esborso rapido per combattere la migrazione illegale. Secondo il Consiglio i fondi destinati a sicurezza interna, gestione integrata delle frontiere, asilo e migrazione dovrebbero pertanto includere specifiche componenti significative per la gestione della migrazione esterna

Profili di azione esterna dell'UE in materia di migrazione e asilo

La Dichiarazione UE-Turchia e lo Strumento per i rifugiati in Turchia

Il flusso senza precedenti di migranti dalla Turchia alle isole elleniche, per la maggior parte costituito da cittadini siriani in fuga dalle zone del conflitto in Siria, ha indotto l'UE a negoziare con la Turchia una serie di misure che sono principalmente contenute nella cosiddetta Dichiarazione UE-Turchia del marzo 2016.

Nel 2015 sono transitati dalla Turchia alle isole greche circa 860 mila migranti, costituiti per circa la metà da cittadini siriani, e per la restante parte da cittadini iracheni e afgani. I flussi si sono tradotti in un radicale aumento delle domande di asilo in alcuni Stati membri (la Germania ha registrato 480 mila domande nel 2015 e 750 mila nel 2016; l'Ungheria ha registrato circa 180 mila domande nel 2015; la Svezia circa 160 mila nel 2015).

L'accordo prevede, da un lato, maggiore collaborazione delle autorità turche nel contrasto al traffico dei migranti e un programma di rimpatrio dei migranti irregolari in Turchia, dall'altro, il reinsediamento di una parte dei richiedenti asilo siriani nell'Unione europea e un sostegno economico iniziale di 3 miliardi per il 2016-2017 per i rifugiati in Turchia e delle comunità locali turche che li hanno accolti (cosiddetto Strumento per i rifugiati in Turchia).

La Dichiarazione prevede che una volta che queste risorse saranno state quasi completamente utilizzate, e a condizione che gli impegni siano soddisfatti, l'UE mobiliterà ulteriori finanziamenti dello strumento per altri 3 miliardi di euro entro la fine del 2018.

Attualmente, l'UE stima la presenza in Turchia di 3,5 milioni rifugiati siriani.

Lo Strumento per i rifugiati in Turchia sostiene un ampio spettro di progetti di carattere umanitario e di altro genere (protezione, istruzione, assistenza sanitaria, generi alimentari e alloggi, costruzione di infrastrutture idriche e igienico sanitarie, etc). Ad aprile 2018, i 3 miliardi di euro dello Strumento sono stati interamente impegnati per complessivi 72 progetti, mentre l'erogazione effettiva delle risorse ha riguardato circa 1,93 miliardi di euro.

La Commissione europea - secondo quanto previsto dalla Dichiarazione UE-Turchia - ha deciso di sbloccare la seconda tranche di finanziamenti relativamente agli ulteriori tre miliardi di euro (di cui 1 miliardo a carico del bilancio UE, 2 miliardi finanziati dagli Stati membri). Il Consiglio europeo del 28-29 giugno 2018 ha dato il via libera all'erogazione della seconda quota dello strumento per i rifugiati in Turchia. Il Consiglio dell'UE e il Parlamento europeo hanno avviato l'attuazione di tale decisione approvando il bilancio rettificativo (n. 2/2018) del budget UE di 500 milioni di euro.

La Dichiarazione impegna altresì l'UE e gli Stati membri a collaborare con la Turchia per migliorare la situazione umanitaria in Sira, in particolare in talune zone limitrofe della frontiera turca, nel quadro di sforzi congiunti che possa consentire alla popolazione locale e ai rifugiati di vivere in zone più sicure.

È infine previsto il rilancio del processo di liberalizzazione dei visti tra Ue e Turchia e dei negoziati relativi al processo di adesione della Turchia all'Unione europea.

Riguardo alla rotta del Mediterraneo orientale, il citato Consiglio europeo ha sottolineato la necessità di ulteriori sforzi per attuare pienamente la dichiarazione UE-Turchia, impedire nuovi attraversamenti dalla Turchia e fermare i flussi. Secondo L'accordo di riammissione UE-Turchia e gli accordi bilaterali di riammissione dovrebbero essere pienamente attuati in modo non discriminatorio nei confronti di tutti gli Stati membri. È necessario compiere con urgenza maggiori sforzi per assicurare rapidi rimpatri e prevenire lo sviluppo di nuove rotte marittime o terrestri. La cooperazione con i partner della regione dei Balcani occidentali e il sostegno agli stessi rimangono essenziali per scambiare informazioni sui flussi migratori, prevenire la migrazione illegale, aumentare le capacità di protezione delle frontiere e migliorare le procedure di rimpatrio e riammissione.

L'intervento in Africa per la riduzione delle cause dei flussi migratori irregolari

Dal 2015, l'approccio dell'UE circa la dimensione di azione esterna della politica di migrazione è stato orientato alla ricerca di un maggior livello di cooperazione con gli Stati terzi di origine e di transito rispetto all'obiettivo di ridurre i flussi irregolari. Tale politica si è tradotta, da un lato, nel sostegno agli Stati africani interessati alle rotte migratorie per quanto riguarda l'eliminazione dei principali fattori di instabilità economica, sociale, e politica; dall'altro, nella richiesta agli stessi Stati terzi di collaborare in maniera significativa con riferimento al contrasto alle reti dei trafficanti di migranti e al rispetto degli obblighi di riammissione e di rimpatrio dei migranti irregolari in Europa.

In tale contesto, viene in considerazione il Fondo fiduciario europeo di emergenza per l'Africa (EU Emergency Trust Fund for Africa), che - al 4 giugno 2018 - consiste in un volume di risorse pari a circa 3,4 miliardi di euro.

Il Fondo, strumento flessibile al di fuori del bilancio UE sostenuto da risorse dell'Unione europea per l'88 per cento e da contributi degli Stati membri per il 12 per cento (i donatori principali restano – al 16 maggio 2018 - la Germania con 157,5 milioni di euro e l'Italia con 104 milioni di euro), è stato istituito in occasione del Vertice UE - Africa di La Valletta nel novembre 2015.

Nella relazione sull'attuazione dell'Agenda europea sulla migrazione la Commissione europea ha sottolineato che, già nel corso del 2018, dovrebbe verificarsi un deficit di finanziamento totale di circa 1,2 miliardi di euro per le tre macroregioni (vedi infra).

Al riguardo, il citato Consiglio europeo ha concordato il trasferimento al Fondo fiduciario dell'UE per l'Africa di 500 milioni di euro a titolo della riserva dell'undicesimo Fondo europeo di sviluppo (FES), e invitato gli Stati membri a contribuire ulteriormente al Fondo fiduciario dell'UE per l'Africa al fine di rialimentarlo.

L'assegnazione delle risorse del Fondo si articola in tre macroregioni: Sahel e Lago Ciad (Burkina Faso, Camerun, Ciad, Costa d'Avorio, Gambia, Ghana, Guinea, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria and Senegal), Corno d'Africa (Gibuti, Eritrea, Etiopia, Kenya, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Tanzania e Uganda), e Nord Africa; Marocco, Algeria, Tunisia, Libia ed Egitto.

Grazie al Fondo fiduciario di emergenza UE per l'Africa trovano finanziamento programmi dedicati a: creazione di sviluppo economico e lavoro; supporto dei servizi di base per le popolazioni locali (sicurezza alimentare e nutrizionale, sanità, istruzione); rafforzamento della stabilità e della governance, in particolare promuovendo la prevenzione dei conflitti e il contrasto alle violazioni dei diritti umani e il principio dello Stato di diritto; prevenzione dei flussi migratori irregolari e contrasto alle reti del traffico dei migranti.

L'approccio seguito con l'accordo di La Valletta è altresì alla base del Nuovo quadro di partenariato dell'UE, che si è tradotto in patti (migration compact) con Paesi terzi prioritari (Niger, Mali, Nigeria, Senegal ed Etiopia) con particolare riguardo alla rotta migratoria che dalle regioni subsahriane raggiunge la Libia in vista dell'attraversamento del Mediterraneo.

L'azione esterna UE è stata, da ultimo, rinforzata con la previsione, nel settembre del 2016, del Piano di investimenti esterni, un nuovo strumento finanziario volto a stimolare gli investimenti in Africa e nel vicinato dell'UE con l'obiettivo di rimuovere gli ostacoli alla crescita nei paesi partner e le cause profonde della migrazione irregolare.

Il Piano prevede un sostegno economico articolato in sovvenzioni, garanzie, strumenti di condivisione dei rischi, nonché la combinazione di sovvenzioni e prestiti, sulla base di un contributo del bilancio dell'UE di 4,1 miliardi di euro, che nel disegno della Commissione europea dovrebbe fungere da leva finanziaria in grado di mobilitare fino a 44 miliardi di euro di investimenti privati per lo sviluppo sostenibile.

La Commissione europea ha chiesto agli Stati membri un contributo di uguale entità al fine di raggiungere un volume di investimenti di quasi 90 miliardi di euro.

Da ultimo, si segnala che il citato Consiglio europeo ha stabilito che, per affrontare alla radice il problema della migrazione, è necessario un partenariato con l'Africa volto a una trasformazione socioeconomica sostanziale del continente africano sulla base dei principi e degli obiettivi definiti dai paesi africani nella loro Agenda 2063. Il Consiglio europeo ha, altresì, sottolineato la necessità di elevare a un nuovo livello la cooperazione con l'Africa in termini di portata e qualità, mettendo in evidenza che a tal fine non occorreranno solo maggiori finanziamenti allo sviluppo ma anche misure intese a creare un nuovo quadro che consenta di accrescere sostanzialmente gli investimenti privati degli africani e degli europei, prestando particolare attenzione all'istruzione, alla salute, alle infrastrutture, all'innovazione, al buon governo e all'emancipazione femminile.

Il Consiglio europeo ha, infine, posto l'accento sulla necessità di intensificare gli scambi e i contatti tra i popoli di entrambi i continenti a tutti i livelli della società civile, prefigurando inoltre lo sviluppo e la promozione della cooperazione tra l’Unione europea e l'Unione africana.

 

Le misure relative alla situazione dei migranti bloccati in Libia

A partire dal secondo trimestre del 2016, l'Unione europea ha concentrato gli sforzi relativamente al flusso di migranti dalle coste libiche a quelle italiane, il cui trend si è mantenuto costantemente elevato almeno fino alla fine dell'estate del 2017.

In particolare, con la comunicazione della Commissione europea "La migrazione lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Gestire i flussi e salvare vite umane" del gennaio 2017, e la dichiarazione del Consiglio europeo informale di Malta del febbraio 2017, sono state individuate una serie di misure dirette, tra l'altro: all'intensificazione della lotta contro i trafficanti, in particolar modo tramite il sostegno alle autorità libiche competenti nelle attività di guardia costiera e di controllo delle frontiere terrestri meridionali; al sostegno delle comunità locali libiche che accolgono i migranti; al miglioramento delle condizioni delle strutture di accoglienza dei migranti e dei richiedenti asilo bloccati in Libia.

Ulteriori iniziative, consolidate a seguito dei risultati del citato Vertice UE-Africa del novembre 2017, sono state intraprese con l'obiettivo di migliorare la situazione umanitaria dei migranti in Libia con il coinvolgimento dei principali organismi internazionali (l'UNHCR e l'OIM), e di potenziare i reinsediamenti e i rimpatri volontari assistiti e la reintegrazione nei Paesi di origine.

Si tratta in particolare della Task force Unione africana - UE - Nazioni unite, istituita ai margini del Vertice citato con l'obiettivo di intensificare i rimpatri volontari assistiti dalla Libia, e le evacuazioni dai centri di accoglienza libici attraverso meccanismi di transito di emergenza.

Si ricorda che il citato Consiglio europeo ha assicurato che l'UE accrescerà il suo sostegno a favore della regione del Sahel, della guardia costiera libica, delle comunità costiere e meridionali; saranno inoltre garantiti gli sforzi per migliorare le condizioni di accoglienza umane, per favorire i rimpatri umanitari volontari, per rafforzare la cooperazione con altri paesi di origine e di transito, e per attuare i reinsediamenti volontari.

Iniziative in materia di politica dei visti

La politica comune in materia di visti è un insieme di norme armonizzate che disciplinano diversi aspetti: i) gli "elenchi comuni in materia di visti" dei paesi i cui cittadini devono richiedere un visto per recarsi nell'UE e di quelli i cui cittadini sono esenti da tale obbligo; ii) il codice dei visti, che definisce le procedure e le condizioni per il rilascio dei visti per soggiorni di breve durata; iii) il formato uniforme per il visto adesivo; iv) il sistema di informazione visti (VIS), in cui sono registrate tutte le domande di visto e le decisioni degli Stati membri, inclusi i dati personali, le fotografie e le impronte digitali dei richiedenti.

Nel marzo del 2018, la Commissione europea ha presentato un pacchetto di iniziative, il cui fulcro è rappresentato da una proposta di regolamento recante modifiche al codice dei visti, volta, tra l'altro, ad introdurre un nuovo meccanismo per attivare condizioni più restrittive di trattamento dei visti quando un paese partner non collabora a sufficienza per la riammissione dei migranti in posizione irregolare.

Recenti attività a livello UE del Governo italiano in materia di migrazione

A seguito dell'intervento in acque italiane da parte di un mezzo della Guardia di finanza e di un pattugliatore britannico integrato nel dispositivo Frontex in soccorso di un barcone che trasportava circa 450 migranti, il 14 luglio 2018, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, con lettera trasmessa al Presidente del Consiglio europeo, al Presidente della Commissione europea, al Presidente del Parlamento europeo, al Presidente di turno del Consiglio dell'UE, ai Capi di Stato e di Governo degli Stati membri e all'Alto Rappresentante UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha sottolineato la necessità di mettere in opera efficacemente e rapidamente le conclusioni del Consiglio europeo del 28-29 giugno 2018.

In particolare, in base al principio concordato in tale sede secondo il quale la gestione della migrazione costituisce una sfida per l'Europa tutta e non più per il singolo Stato membro, il Presidente del Consiglio italiano ha richiamato i punti delle conclusioni citate che prevedono che:

·       con riguardo allo sbarco di chi viene salvato in mare con le operazioni di ricerca e soccorso, debbano essere intraprese azioni condivise o complementari tra gli Stati membri;

·       nel territorio dell'Unione coloro che vengono salvati a norma del diritto internazionale dovrebbero essere presi in carico sulla base di uno sforzo condiviso.

Nella lettera si invitano, tra l'altro, le Istituzioni europee a concentrare il lavoro sulla definizione delle misure previste nelle conclusioni citate, con particolare riferimento alla realizzazione di piattaforme regionali di sbarco in Paesi terzi, all'istituzione di centri controllati presso gli Stati membri, alla predisposizione di una regolamentazione europea (anche nella modalità di una soft law), per far sì che le imbarcazioni private (comprese quelle delle ONG), rispettino le leggi e non ostacolino le operazioni della Guardia costiera libica, e a sollecitare gli Stati membri affinché provvedano a versare integralmente la quota di rispettiva competenza del Fondo emergenziale fiduciario UE per l'Africa (con l'ulteriore richiesta di considerare l'adesione a tale fondo non più volontaria ma obbligatoria).

Il Presidente del Consiglio sottolinea, altresì, la necessità di rivedere i meccanismi di presa in carico dei salvati in mare a seguito di operazioni di search and rescue, e di porre al centro della prevista e decisa revisione normativa del regolamento di Dublino le modalità di trattamento delle persone sbarcate a seguito delle citate operazioni. In tale prospettiva, nella lettera si prefigura la richiesta del Governo italiano alla prossima riunione del comitato politico e di sicurezza (COPS), responsabile della politica estera e di sicurezza comune (PESC) e della politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC), di adeguamento immediato del Piano operativo dell'operazione EUNAVFOR MED Sophia in relazione al porto di sbarco, che – sottolinea il Presidente del Consiglio italiano - non può continuare ad essere identificato solo in Italia.

Da ultimo, nella lettera, si chiede, in coerente osservanza delle conclusioni del Consiglio europeo, alle Istituzioni europee di intervenire con la massima urgenza allo scopo di sollecitare gli altri Stati membri affinché prendano in carico parte delle circa 450 persone soccorse, mettendo così in atto un'azione condivisa a livello europeo.

Il Presidente del Consiglio italiano, ha quindi inoltrato ai Capi di Stato e di Governo degli Stati membri del Consiglio europeo una richiesta di condivisione di responsabilità nella gestione del fenomeno migratorio e di considerare quindi la possibilità di accogliere in un porto e/o di prendere in carico parte delle circa 450 persone soccorse mettendo in atto un'azione di condivisione a livello europeo.

Il 17 luglio 2018, il Presidente del Consiglio ha trasmesso al Presidente della Commissione europea un’ulteriore lettera, nella quale ha, tra l’altro, suggerito l’istituzione di una cellula di crisi diretta dalla Commissione europea con il compito di coordinare, in caso di emergenza, azioni condivise volontarie e complementari da parte degli Stati membri in seguito a singoli episodi di ricerca e salvataggio;

Il 19 luglio 2018, il Presidente della Commissione europea ha risposto al Presidente del Consiglio italiano assicurando, tra l’altro, l’impegno nel corso di tutta l’estate, da un lato, a sostenere gli sforzi degli Stati membri, dall'altro, a preparare proposte legislative da presentare in settembre per rafforzare la guardia di frontiera e costiera europea e rendere più efficace la politica di rimpatrio.

Nella lettera si considera, altresì, prioritario esaminare il modo in cui potrebbero funzionare i centri controllati negli Stati membri dell'UE e il sostegno che può essere fornito dall'Unione; viene al contempo garantito il lavoro per portare avanti la realizzazione di piattaforme di sbarco regionali, in stretta cooperazione con l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, anche in previsione della riunione con tutti i Paesi del Mediterraneo da essi indetta per il 30 luglio.

Circa la proposta italiana di istituire la suddetta cellula di crisi, il Presidente della Commissione europea ha, inoltre, convenuto sulla necessità di migliori meccanismi di coordinamento, ma soltanto come tappa in direzione di un quadro più stabile; sotto questo aspetto nella lettera si dichiara che la Commissione europea è pronta a svolgere pienamente la sua funzione di coordinamento, sebbene si sottolinei il fatto che l'UE non ha competenza per determinare il luogo/porto sicuro da usare per gli sbarchi in seguito a un'operazione di ricerca e salvataggio in mare.

Il Presidente della Commissione europea ha, infine, precisato che sono già in corso discussioni tecniche sulle misure concrete volte a dare seguito a questi accordi.

Il Presidente della Commissione europea ha, inoltre, convenuto sull’importanza della riforma del regolamento di Dublino, ricordando quanto concordato dal Consiglio europeo circa la necessità di trovare il giusto equilibrio tra responsabilità e solidarietà tenendo conto delle persone sbarcate in seguito alle operazioni di ricerca e salvataggio, nonché sottolineando l’importanza, nell’ambito della riforma del sistema comune europeo di asilo, della questione delle liste UE dei paesi terzi sicuri e dei paesi di origine sicuri.

Per quanto concerne la questione dei finanziamenti sollevata dall’Italia, il Presidente Jean Claude Juncker ha precisato che la Commissione ribadirà che si aspetta che tutti gli Stati membri versino la loro giusta quota, soprattutto per lo sportello dedicato al Nordafrica del Fondo fiduciario dell’UE di emergenza per l’Africa; a tal proposito, oltre alla decisione già adottata che consente di trasferire a tale Fondo 500 milioni di euro dalle riserve del Fondo europeo di sviluppo, il Presidente della Commissione europea ha ricordato la proposta, fra l’altro nel progetto di bilancio per il 2019, di trasferire allo strumento europeo di vicinato 148 milioni di euro da destinare allo sportello dedicato al Nordafrica del Fondo fiduciario.

Il Presidente della Commissione europea ha, infine, richiamato le conclusioni del Consiglio europeo secondo le quali tutte le navi operanti nel Mediterraneo devono rispettare le leggi applicabili e non possono interferire con le operazioni della guardia costiera libica.

Nella lettera, oltre al richiamo al codice di condotta per le ONG definito dall’Italia, appoggiato unanimemente dai Ministri dell'interno degli Stati membri e sostenuto dalla Commissione europea, da un lato, si ricorda il ruolo svolto dalle ONG per salvare vite umane nel Mediterraneo, dall’altro, si dichiara che nessun soggetto, di nessuna natura, dovrebbe contribuire a mantenere in vita il modello di attività a cui ricorrono i trafficanti di esseri umani per sfruttare le miserie umane.

Da ultimo, con particolare riferimento all’operazione EUNAVFOR MED Sophia, il Presidente della Commissione europea ha ribadito che qualsiasi eventuale modifica relativa alle attività dell’UE in corso sarà valutata con la massima attenzione. A tal proposito, ha quindi ricordato che è prevista una revisione del mandato dell'operazione Sophia, che sarà presentata prossimamente. In tale processo di revisione, potranno essere prese in considerazione le questioni riguardanti le intese sugli sbarchi sollevate nella lettera del Presidente del Consiglio Conte, parallelamente all'esigenza generale di dare riscontro agli orientamenti politici impartiti dal Consiglio europeo di giugno.

In conclusione, il Presidente della Commissione europea ha confermato il suo impegno a mettere in atto rapidamente tutti gli aspetti delle conclusioni del Consiglio europeo che rientrano nel mandato della Commissione.

Da ultimo, la Direzione generale per la migrazione ed affari interni della Commissione europea ha convocato a Bruxelles lo scorso 24 agosto un incontro informale sul tema degli sbarchi e degli arrivi dei migranti, con l’obiettivo, per il futuro, di raggiungere un approccio concreto e comune dell'UE per un meccanismo sostenibile che tenga conto anche dei recenti casi di sbarco.

L’incontro è stato convocato anche in considerazione dello sbarco negato dal Governo italiano ai migranti a bordo della nave “Diciotti” della Guardia Costiera italiana, tuttora ancorata al porto di Catania. Secondo la Commissione europea, l’incontro è parte di un più ampio lavoro che è stato avviato sulle piattaforme di sbarco, sui centri controllati e sulla necessità di riformare il regime europeo comune in materia di asilo, in linea con le Conclusioni del Consiglio europeo di giugno 2018.

Sono stati invitati a partecipare gli ambasciatori dei Governi di 12 Paesi europei: Austria, Belgio, Francia, Germania, Grecia, Italia, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Olanda, Portogallo e Spagna.

Per l’Italia è intervenuto il Rappresentante permanente presso l’UE, Ambasciatore Massari.

La riunione ha registrato molte divergenze fra gli Stati membri partecipanti e non ha consentito di raggiungere alcun accordo su eventuali meccanismi di distribuzione dei migranti sbarcati. Molto rigide le posizioni di Paesi Bassi e Austria. Più aperturiste la Francia e soprattutto la Germania, ma, in ogni caso, nessun accordo è stato possibile su un testo concordato di statement. Nessun accordo è stato raggiunto nemmeno sul caso Diciotti che molte delegazioni hanno rifiutato di discutere sostenendo di non avere un mandato specifico sul tema.

 


 


 

Recenti iniziative dell’ue in materia di difesa

La Cooperazione strutturata permanente nel settore della difesa

Il Consiglio affari esteri dell’UE ha adottato l’11 dicembre 2017 – sulla base della proposta presentata da Francia, Germania, Italia e Spagna – una decisione con la quale si istituisce una cooperazione strutturata permanente nel settore della difesa (Permanent Structured Cooperation - PESCO).

Alla PESCO partecipano 25 Stati membri dell’UE, tutti tranne Danimarca, Malta e Regno Unito.

L’art. 42, paragrafo 6, del TUE consente agli Stati membri che intendono sottoscrivere impegni più vincolanti di instaurare una cooperazione strutturata permanente (PESCO) nell’ambito dell’Unione. L’art. 46 del TUE prevede che, il Consiglio a maggioranza qualificata, possa creare una PESCO tra gli Stati membri che hanno volontà politica di aderirvi.

La PESCO si svilupperà in due fasi consecutive (anni 2018-2020 e 2021-2025). Dopo il 2025 si svolgerà un processo di revisione: gli Stati membri partecipanti valuteranno la realizzazione degli impegni PESCO e decideranno, eventualmente, nuovi impegni per intraprendere una nuova fase verso l’integrazione europea nel settore della sicurezza e difesa.

Nella decisione del Consiglio dell’UE istitutiva della PESCO dell’11 dicembre 2017 si stabiliscono i seguenti di impegni vincolanti:

·       cooperare al fine di conseguire obiettivi concordati riguardanti il livello delle spese per gli investimenti in materia di equipaggiamenti per la difesa. In particolare, si prevede l’impegno degli Stati partecipanti alla PESCO ad aumentare i bilanci per la difesa, al fine di conseguire l’obiettivo di un aumento a medio termine della spesa per investimenti nel settore della difesa del 20% e del 2% del totale della spesa per la difesa destinata alla ricerca in tale ambito;

Si ricorda che in ambito NATO l’obiettivo concordato del 2% del PIL per la spesa per la difesa è stato raggiunto tra gli Stati dell’UE solo da Grecia, Regno Unito, Estonia, Romania e Polonia, a fronte di una spesa degli USA pari al 3,50% del PIL. L’Italia nel 2017 si colloca all’1,13% (pari ad una spesa di circa 21 miliardi di euro, contro i circa 49 del Regno Unito, 41 della Francia e 40 della Germania – Fonte NATO).

·       aumentare i progetti congiunti e collaborativi relativi alla capacità strategiche e di difesa;

·       ravvicinare gli strumenti di difesa, in particolare armonizzando l'identificazione dei bisogni militari e promuovendo la cooperazione nei settori della formazione e della logistica;

·       rafforzare la disponibilità, l’interoperabilità, la flessibilità e la schierabilità delle forze, in particolare: mettendo a disposizione formazioni utilizzabili strategicamente; puntando ad un impegno politico accelerato a livello nazionale, anche riesaminando le procedure decisionali nazionali; contribuendo in maniera sostanziale ai gruppi tattici dell’UE, confermando i contributi con almeno quattro anni di anticipo; semplificando i trasporti militari transfrontalieri in Europa;

·       cooperare per colmare, anche attraverso approcci multinazionali e senza pregiudizio della NATO, le lacune constatate nel quadro del «meccanismo di sviluppo delle capacità»;

·       partecipare allo sviluppo di programmi comuni di equipaggiamenti, in particolare, impegnandosi a utilizzare l’Agenzia europea per la difesa (EDA) come forum europeo per lo sviluppo congiunto di capacità e considerare Organizzazione congiunta per la cooperazione in materia di armamenti (OCCAR) come il programma di collaborazione preferito per la gestione dell’organizzazione.

La PESCO è aperta ad ogni altro Stato membro che in una fase successiva desiderasse parteciparvi. La decisione che istituisce la PESCO prevede che anche Stati terzi (non UE) potranno essere invitati a partecipare ad alcuni progetti in ambito PESCO, secondo condizioni che dovranno essere specificate con una decisione del Consiglio.

Il Consiglio dell’UE dovrebbe approvare a novembre 2018 una decisione sulle condizioni generali per la partecipazione di Stati terzi ai progetti PESCO.

La decisione istitutiva della PESCO prevede che ogni Stato membro partecipante dovrà sottoporre un Piano nazionale di attuazione nel quale delinei le capacità su come soddisfare gli impegni vincolanti in ambito PESCO. Sulla base di tale piano verrà condotta, su base annuale, una valutazione del rispetto degli impegni concordati da parte degli Stati membri partecipanti.

L’Italia ha presentato il piano nazionale di attuazione il 14 dicembre 2018 al segretariato della PESCO, assicurato dal Servizio per l’azione esterna dell’EU e dall’Agenzia europea per la difesa.

La Governance della PESCO sarà strutturata in due livelli, quello generale a livello di Consiglio dell’UE, e in cui le decisioni verranno prese all’unanimità tra i Paesi partecipanti alla PESCO (ad eccezione delle decisioni relative alla successiva richiesta di partecipazione di uno Stato membro ed a quella di sospensione di uno Stato partecipante non più in grado di rispettare i criteri di partecipazione alla PESCO, che sono previste a maggioranza qualificata) e un livello specifico, all’interno dei singoli progetti, gestito dai Paesi che vi parteciperanno, con modalità da questi ultimi decise all’unanimità.

Le spese amministrative delle istituzioni dell’UE derivanti dall’attuazione della decisione sulla PESCO sono a carico del bilancio dell’UE. Le spese operative derivanti da progetti intrapresi nel quadro della PESCO sono sostenute principalmente dagli Stati membri che partecipano al singolo progetto. I progetti possono ricevere contributi provenienti dal bilancio dell’UE.

Tabella di marcia per l’attuazione della PESCO

Il 6 marzo 2018 il Consiglio dell’UE – riunito per la prima volta nel formato PESCO (ossia solo i ministri degli Stati partecipanti alla PESCO hanno partecipato alle attività deliberative) - ha adottato una tabella di marcia per l'attuazione della PESCO che definisce:

·       orientamenti e indirizzi strategici sulle modalità con cui strutturare ulteriori lavori relativamente a processi e governance, anche per progetti e relativamente alla fissazione delle tappe di realizzazione degli impegni;

·       un calendario per il processo di revisione e valutazione dei piani nazionali di attuazione, in cui si delineano nel dettaglio le modalità con cui gli Stati membri partecipanti intendono rispettare gli impegni più vincolanti assunti reciprocamente;

·       un calendario per l'accordo su eventuali progetti futuri (che dovrebbero essere approvati a novembre 2018), oltre che i principi fondamentali di un insieme di regole di governance per i progetti (che sono stati adottati dal Consiglio il 25 giugno 2018).

Le regole per la governance dei progetti PESCO approvati dal Consiglio il 25 giugno 2018 prevedono in particolare che: entro il mese di novembre di ogni anno, il Consiglio dell’UE rivede e, ove opportuno aggiorna, la sua decisione che fissa l’elenco dei progetti PESCO; il Consiglio è informato con cadenza annuale sullo sviluppo dei progetti PESCO dai rispettivi membri del progetto; il Segretariato PESCO (assicurato congiuntamente dall’Agenzia europea per la difesa – EDA e dal Servizio per l’azione esterna) è il punto di contatto unico per tutte le questioni PESCO; i membri del progetto PESCO si accordano all’unanimità sulle molalità e la portata della loro cooperazione nonché sulla gestione del progetto e possono concordare all’unanimità di ammettere altri Stati membri al progetto; ogni membro del progetto designa un punto di contatto nazionale per ciascun progetto PESCO cui prende parte; i membri di ciascun progetto PESCO designano al loro interno uno o più coordinatori di progetti, funzione che in linea di principio è assunta dal promotore o i promotori del progetto.

Progetti di cooperazione in ambito PESCO

Contestualmente alla decisione istitutiva della PESCO, sono stati indentificati, in prima battuta, 17 progetti di cooperazione nel quadro della PESCO che sono stati approvati dal Consiglio dell’UE il 6 marzo 2018 con la decisione (PESC) 2018/340.

I progetti riguardano:

·       comando medico europeo (capofila Germania, l’Italia partecipa);

·       comunicazioni radio (capofila Francia, l’Italia partecipa);

·       hub logistico di supporto alle missioni ed operazioni (capofila Germania, l’Italia partecipa);

·       mobilità militare transfrontaliera (capofila Paesi Bassi, l’Italia partecipa);

·       centro per missioni di formazione dell’UE (capofila Germania);

·       centro europeo di formazione e certificazione per eserciti (capofila Italia);

·       funzioni operative nel settore dell’energia (capofila Francia, l’Italia partecipa);

·       sostegno militare in caso di catastrofi, emergenze civili e pandemie (capofila Italia);

·       droni sottomarini per attività di contrasto alle mine marittime (capofila Belgio);

·       sorveglianza marittima e protezione dei porti (capofila Italia);

·       sistema integrato di sorveglianza marittima, area e terrestre (capofila Grecia, l’Italia partecipa);

·       piattaforma di condivisione delle minacce cyber (capofila Grecia, l’Italia partecipa);

·       squadre di reazione rapida di contrasto alle minacce alla cibersicurezza (capofila Lituania);

·       comando strategico delle missioni ed operazioni PSDC (capofila Spagna, l’Italia partecipa);

·       sviluppo di veicoli militari di combattimento (capofila Italia);

·       piattaforma di artiglieria (capofila Slovacchia, l’Italia partecipa);

·       centro di risposta delle crisi (capofila Germania, l’Italia partecipa).

 

Complessivamente, su 17 progetti, l’Italia è essere capofila in 4 progetti (come la Germania) e partecipa in 11 progetti.

Gli unici progetti ai quali per il momento l’Italia non partecipa sono quelli relativi a droni sottomarini per attività di contrasto alle mine marittime (n.9) ed a squadre di reazione rapida di contrasto alle minacce alla cibersicurezza (n. 13).

Per una panoramica dei progetti PESCO si veda il seguente link.

Si ricorda che nell’ambito del nuovo Fondo europeo per la difesa i progetti che rientrano nella PESCO beneficiano di un più alto tasso di cofinanziamento da parte dell’UE, rispetto ai progetti ordinare e che può arrivare fino al 30% dei costi complessivi.

La Commissione europea ha presentato il 13 giugno 2018 la proposta di regolamento che istituisce il Fondo europeo per la difesa per il periodo 2021-2027. Il Fondo europeo per la difesa è volto a migliorare la competitività, l'innovazione, l'efficienza e l'autonomia dell'industria della difesa dell'Unione, mediante il sostegno alla cooperazione transfrontaliera tra gli Stati membri e tra imprese, centri di ricerca, amministrazioni nazionali, organizzazioni internazionali e università nella fase di ricerca sui prodotti e sulle tecnologie della difesa, nonché in quella del loro sviluppo.

La proposta di regolamento ha l'obiettivo di finanziare progetti collaborativi a livello europeo, sia di ricerca sia di sviluppo, che coinvolgano almeno 3 imprese in almeno tre diversi paesi membri e/o associati. La Commissione europea ha proposto una dotazione di bilancio per il Fondo di 13 miliardi di euro per il periodo 2021-2027, di cui 8,9 miliardi di euro per le azioni di sviluppo e 4,1 miliardi di euro per le azioni di ricerca.

La proposta sviluppa le iniziative già attualmente in corso condotte nell’ambito dell'azione preparatoria in materia sulla ricerca in materia di difesa 2017-2019 (90 milioni di euro di stanziamento) e del programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa 2019-2020 (500 milioni di euro di stanziamento).

La proposta è stata esaminata congiuntamente dalle Commissioni IV (Difesa) e X (Attività produttive, commercio e turismo), le quali, tenuto conto anche del parere espresso dalla XIV Commissione (Politiche dell’Unione europea), il 6 settembre 2018 hanno approvato un documento finale esprimendo una valutazione favorevole con osservazioni.

Si ricorda, in fine, che, al di fuori della cornice della PESCO, su iniziativa della Francia, nove Stati membri (Francia, Germania, Belgio, Gran Bretagna, Danimarca, Olanda, Estonia, Spagna, Portogallo) hanno firmato il 25 giugno 2018 una lettera contente una dichiarazione di intenti per la creazione di una forza militare europea di intervento (European Intervention Initiative). L’iniziativa, che era stata preannunciata dal Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, in occasione del suo discorso alla Sorbona del 27 settembre 2017, è aperta anche a Paesi non europei, ed è volta a consentire una pianificazione congiunta su scenari di crisi che potrebbero minacciare la sicurezza europea.

La Mobilita militare

La Commissione e l'Alta rappresentante hanno presentato il 10 novembre 2017 una comunicazione congiunta sul miglioramento della mobilità militare e il 28 marzo 2018 un piano d'azione per la mobilità militare all'interno e all'esterno dell'Unione europea.

Nella comunicazione congiunta sul miglioramento della mobilità militare del novembre 2017 si rileva che varie barriere di natura fisica, giuridica e regolamentare impediscono attualmente al personale e all'equipaggiamento militare di circolare rapidamente e senza difficoltà nell'UE. In considerazione dello status specifico delle forze armate e del loro equipaggiamento, la mobilità militare è giuridicamente vincolata a molteplici decisioni nazionali e norme dell'UE che debbono autorizzare eventuali spostamenti nazionali e internazionali, che rendono difficili interventi militari adeguatamente rapidi. È quindi importante prevedere misure per migliorare la mobilità militare, nel pieno rispetto della sovranità degli Stati membri e in conformità ai trattati e alla legislazione dell'UE.

La comunicazione risulta in corso di esame presso la Commissione difesa, mentre la XIV Commissione ha reso un parere favorevole con osservazioni nella seduta del 18 settembre 2018.

Il Consiglio dell’UE, nella riunione del 25 giugno 2018, ha adottato delle conclusioni sulla sicurezza e difesa nel contesto della strategia globale dell’UE nelle quali, con riferimento in particolare alla mobilità militare, invita gli Stati membri ad adottare misure a livello nazionale per migliorare l'efficienza della mobilità militare e semplificare e standardizzare le pertinenti norme puntando a realizzare, entro la fine del 2019, le prime seguenti tappe:

·       elaborare piani nazionali per la mobilità militare e conferire alta priorità alla loro attuazione;

·       accelerare le procedure di attraversamento delle frontiere e, a tale scopo, collaborare con le autorità nazionali competenti per concedere autorizzazioni di movimenti transfrontalieri, comprese le richieste di autorizzazione di ingresso e di movimento per tutti i modi (terrestre, aereo e marittimo) e gli aspetti dei movimenti e trasporti militari, in relazione alle attività di routine entro 5 giorni lavorativi, e prendere in considerazione la possibilità di ridurre ulteriormente tale termine per le unità di reazione rapida;

·       facilitare e velocizzare la comunicazione e le procedure creando, a tal fine, una rete interconnessa di punti di contatto nazionali per tutti gli aspetti relativi alla mobilità militare per essere in grado, tra l'altro, di gestire rapidamente le richieste di movimenti transfrontalieri;

·       utilizzare le adeguate esercitazioni nazionali e multinazionali esistenti per mettere in pratica la mobilità militare.

Il Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2018 ha accolto con favore i progressi in tema di mobilità militare, in ambito PESCO e di cooperazione UE-NATO ed ha invitato a unificare le norme e le regolamentazioni entro il 2024.

Nel dicembre 2017, la mobilità militare è stata, infatti, aggiunta all'insieme comune di proposte per l'attuazione della dichiarazione congiunta UE-NATO del luglio 2016.

Il Consiglio europeo ha, altresì, indicato che i progressi di tali iniziative saranno esaminati su base annuale, a partire dal 2019, sulla base di una relazione della Commissione e dell'Alto Rappresentante.

Il piano d’azione sulla mobilità militare

Il piano d’azione per la mobilità militare individua una serie di azioni sia a livello di UE sia a livello di Stati membri nelle seguenti aree:

·       requisiti militari;

·       eventuali potenziamenti delle infrastrutture di trasporto;

·       aspetti normativi e procedurali per: a) l’allineamento della normativa sul trasporto di merci pericolose; b) la semplificazione delle formalità doganali; c) l’autorizzazione dei movimenti transfrontalieri.

Nella comunicazione relativa al piano d’azione si sottolinea l’importanza della stretta cooperazione con gli Stati membri dell'UE, per la sua attuazione. Tale cooperazione rispetterà pienamente la sovranità degli Stati membri sul loro territorio nazionale e i processi decisionali nazionali concernenti i movimenti militari.

Si indica, inoltre, l’importanza di garantire uno stretto coordinamento tra il piano d'azione e la cooperazione strutturata permanente sulla mobilità militare: uno dei 17 progetti di cooperazione strutturata, approvati dal Consiglio dell’UE lo scorso 6 marzo, riguarda infatti la mobilità militare. Tale progetto, per il quale i Paesi bassi sono paese capofila, vede anche la partecipazione dell’Italia.

Il piano d’azione prevede le seguenti azioni da condurre a livello di UE e di Stati membri:

Requisiti militari

Azioni a livello dell'UE

·       il Servizio europeo per l'azione esterna (SEAE) e lo Stato maggiore dell'UE svilupperanno i requisiti militari in stretta collaborazione con gli Stati membri dell'UE, la Commissione e le agenzie e gli organismi europei interessati (compresa l'Agenzia europea per la difesa) e, se opportuno, in consultazione con la NATO;

·       il Consiglio è invitato a esaminare e convalidare tali requisiti entro la prima metà del 2018.

Il Consiglio dell’UE ha poi approvato la struttura generale dei requisiti militari in occasione della riunione del Consiglio affari esteri del 25 giugno 2018. I requisiti militari riguardano in particolare: il sostegno alla pianificazione militare e alla condotta; attrezzature e accesso alla risorse di trasporto; requisiti in termini di coordinamento e organizzazione; infrastrutture di trasporto; aspetti giuridici dell’accesso alle infrastrutture di trasporto; requisiti in termini di sostegno; responsabilità delle forze militari e dello status delle forze; considerazioni legate alla tempistica; scambio di informazioni fra attori civili e militari; protezione del personale militare, del materiali delle attrezzature de dei dati classificati; considerazioni ambientali; addestramento.

Infrastrutture di trasporto

Azioni a livello dell'UE:

·       entro la fine del 2018, in cooperazione con gli Stati membri dell'UE, il SEAE, lo Stato maggiore dell'UE, l'Agenzia europea per la difesa e la Commissione individueranno il divario esistente tra i requisiti tecnici attualmente applicabili alla rete transeuropea dei trasporti, da un lato, e ciò che sarebbe adeguato per il trasporto militare, dall'altro lato. Saranno anche identificate le lacune relative alla copertura geografica;

·       entro il 2019 la Commissione individuerà le porzioni della rete transeuropea dei trasporti utilizzabili per il trasporto militare. Sarà stilato un elenco di progetti prioritari, con una stima del volume totale degli investimenti necessari per esigenze militari sulla rete transeuropea dei trasporti;

Si segnala che, nell’ambito delle proposte volte a dare attuazione al prossimo quadro finanziario pluriennale 2021-2027, la Commissione europea ha presentato il 6 giugno 2018 una proposta di regolamento relativa al meccanismo per collegare l’Europa (Connecting Europe Facility – CEF) per il periodo successivo al 2020 (COM(2018) 438). Il CEF è lo strumento finanziario volto a sostenere gli investimenti in infrastrutture dei trasporti, dell’energia e digitali attraverso lo sviluppo delle reti transeuropee (TEN). Nella proposta di regolamento si prevede uno stanziamento di 6,5 miliardi di euro per la mobilità militare per il 2021-2027 (su un totale di 42,2 miliardi di finanziamento complessivo per le reti TEN).

·       entro il 2020 la Commissione valuterà la necessità di adeguare il regolamento relativo alla rete transeuropea dei trasporti al fine di un aggiornamento dei requisiti tecnici per i requisiti militari;

·       entro la fine del 2019 la Commissione determinerà la possibilità di interconnettere le banche dati militari e civili (TENtec);

·       la Commissione continuerà a rafforzare sinergie tra la rete transeuropea dei trasporti e i pertinenti programmi spaziali (per es. EGNOS/Galileo).

Gli Stati membri dell'UE sono invitati a:

·       stabilire al più presto un unico punto di contatto per informazioni sull'accesso alle infrastrutture di trasporto per scopi militari;

·       tenere sistematicamente conto delle esigenze militari nella costruzione di infrastrutture di trasporto.

Nel 2017 la Presidenza estone del Consiglio dell’Ue ha avviato un'analisi pilota nei paesi del corridoio Mare del Nord-Mar Baltico (Paesi Bassi, Belgio, Germania, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia e Finlandia) per la rete transeuropea dei trasporti che ha dimostrato che in varie reti stradali degli Stati membri l'altezza massima consentita dai ponti stradali, nonché la loro capacità portante, non sono sufficienti per i veicoli militari di dimensioni o peso eccezionali. Analogamente, per il trasporto su rotaia la capacità di carico è in certi casi insufficiente per trasportare materiale militare sovradimensionato. L'operazione pilota ha anche individuato importanti opportunità per un duplice uso civile-militare delle infrastrutture, tra queste l'uso delle piattaforme multimodali che consentono di trasferire rapidamente risorse da porti e aeroporti a ferrovie e strade, il miglioramento della capacità dei terminal terrestri e sagome limite adeguate nelle linee ferroviarie merci.

Merci pericolose

Il Piano d’azione rileva che gli Stati membri e la Commissione partecipano alla negoziazione di un insieme complesso di convenzioni internazionali e raccomandazioni delle Nazioni Unite nel settore del trasporto terrestre di merci pericolose. Tale insieme normativo è tuttavia valido solo per usi civili, mentre gli Stati membri applicano la legislazione nazionale, all'occorrenza, per consentire la libera circolazione ai trasporti militari, comprese le merci pericolose. Questa divergenza rispetto alle norme in ambito civile richiede autorizzazioni ad hoc e comporta rallentamenti.

Azioni a livello dell'UE:

·       entro la primavera del 2019, l'Agenzia europea per la difesa svolgerà un'indagine riguardante vari elementi: disposizioni nazionali, definizione delle necessità, idoneità delle esistenti norme civili armonizzate e possibile necessità di ulteriori disposizioni e adeguamenti;

·       la Commissione continuerà ad agevolare lo scambio di conoscenze tra esperti civili e militari in merito al trasporto di merci pericolose;

·       entro l'estate del 2019 l'Agenzia europea della difesa esplorerà la possibilità di migliorare la coerenza della normativa e delle procedure per quanto riguarda il trasporto militare nel settore aereo (gestione e trasporto) nel territorio degli Stati membri;

·       entro il 2020 la Commissione valuterà la fattibilità e la necessità di ulteriori azioni a livello dell'UE.

 

 

Dogana e imposta sul valore aggiunto

Durante le attività del gruppo di lavoro ad hoc sulla mobilità militare istituito presso l’Agenzia europea per la difesa alcuni Stati membri hanno segnalato difficoltà operative dovute a una mancanza di chiarezza per quanto riguarda l'uso del formulario 302 per l'esportazione e la reimportazione temporanee di merci militari da o per conto delle forze armate degli Stati membri dell'UE.

Inoltre, le azioni per la mobilità militare richiedono una serie di prestazioni (formazione, materiali da esercitazione, alloggio, fornitura di servizi di ristorazione/mensa, carburante, ecc.) soggette, in linea di principio, all'imposta sul valore aggiunto. Gli Stati membri hanno rilevato la necessità di garantire che gli sforzi di difesa siano trattati in maniera paritaria, al fine di ridurre gli oneri amministrativi, evitare ritardi e costi aggiuntivi per la mobilità militare e offrire agli Stati un incentivo alla cooperazione.

Azioni in ambito doganale a livello dell'UE:

·       entro la fine del 2018 la Commissione, con gli Stati membri dell'UE, il SEAE e lo Stato maggiore dell'UE e l'Agenzia europea per la difesa, procederanno a una mappatura delle attività doganali che implicano l'uso del formulario 302. Essi valuteranno l'eventuale necessità di elaborare un modello UE di formulario 302 per i casi in cui quello esistente non possa essere impiegato;

·       entro la fine del 2018 la Commissione esaminerà le opzioni possibili per razionalizzare e semplificare le formalità doganali per le operazioni militari e individuerà gli eventuali atti da modificare;

·       la Commissione elaborerà linee guida per garantire un'attuazione corretta e uniforme della normativa doganale sulle questioni relative alle attività militari;

·       coordinandosi costantemente con il SEAE/lo Stato maggiore dell'UE e i servizi della Commissione, nonché con gli esperti in materia doganale e militare degli Stati membri, l'Agenzia europea per la difesa preparerà un progetto di categoria A in ambito doganale.

Gli Stati membri dell'UE sono invitati a:

·       valutare entro la fine del 2020 la necessità di sviluppare sistemi elettronici, che sfruttino anche le tecnologie spaziali dell'UE, per la gestione delle attività doganali da parte delle forze militari e delle autorità doganali.

Azioni nell'ambito dell'imposta sul valore aggiunto a livello dell'UE

Entro la fine del 2018, la Commissione valuterà la possibilità di ridurre gli oneri amministrativi e di allineare il trattamento dell'imposta sul valore aggiunto per gli sforzi di difesa compiuti nel quadro dell'UE e della NATO.

Autorizzazione dei movimenti transfrontalieri

L'autorizzazione dei movimenti transfrontalieri riguarda le procedure per ottenere l'autorizzazione ad attraversare le frontiere. Il nullaosta diplomatico in vigore riduce gli oneri amministrativi e i tempi necessari per autorizzare la mobilità militare. Nella comunicazione si rileva che l'attuale intesa tecnica sui nulla osta diplomatici si è dimostrata utile per alcuni aspetti specifici del trasporto aereo, essa contiene tuttavia chiare restrizioni quali l'esclusione di regioni dello spazio aereo, di aeroporti o il diniego di determinate missioni. Un'intesa sull'autorizzazione dei movimenti transfrontalieri incentrata sui movimenti in superfice sarebbe un'occasione per rafforzare la mobilità militare su strada, rotaia e vie navigabili interne.

L'iniziativa relativa all'intesa sui nullaosta diplomatici, sotto l'egida dell'Agenzia europea per la difesa, ha portato nel 2012 a un'intesa tecnica sui nullaosta diplomatici. Il numero di Stati membri partecipanti è cresciuto a sedici (tra i quali l’Italia). L'accordo tecnico armonizza le procedure amministrative (moduli e calendario) e offre la possibilità di concedere nullaosta preventivi.

Azioni a livello dell'UE:

·       l'Agenzia europea per la difesa preparerà un progetto di categoria A sull'autorizzazione dei movimenti transfrontalieri, volto a sostenere gli Stati membri dell'UE nell'elaborazione di accordi sulle autorizzazioni transfrontaliere;

·       l'Agenzia europea per la difesa costituirà una piattaforma per lo scambio di opinioni tra gli Stati membri e il Servizio europeo per l'azione esterna/lo Stato maggiore dell'UE e la NATO, sui tempi di realizzazione per i movimenti a terra.

Gli Stati membri dell'UE sono invitati a:

·       tracciare il panorama delle normative nazionali in vigore che incidono sulla possibilità per le risorse militari non proprie di operare negli Stati membri dell'UE, in particolare per quanto riguarda le restrizioni;

·       contribuire alla definizione dei requisiti operativi settoriali per il movimento delle risorse, nel quadro dei requisiti militari;

·       individuare le restrizioni sulla base di normative nazionali;

·       elaborare soluzioni al fine di ottenere autorizzazioni (e nullaosta diplomatici) con il minor numero di limitazioni possibile;

·       determinare le esigenze di adeguamento delle normative nazionali laddove può essere raggiunto un miglioramento della mobilità militare, preservando al contempo le restrizioni che non sono essenzialmente motivate da scopi militari solo se necessario;

·       firmare accordi settoriali che armonizzino le procedure e consentano l'autorizzazione preliminare di movimenti e trasporti militari transfrontalieri.

Altri aspetti

Il piano d’azione indica la necessità di chiarire l'impatto dell'accordo UE sullo status delle forze (SOFA), una volta che sarà entrato in vigore, sulla mobilità militare.

L’Accordo sullo stato delle forze firmato dai Governi degli Stati membri dell'UE il 17 novembre 2003 - ma non ancora entrato in vigore (l’Italia ha notificato la ratifica del Trattato il 1° giugno 2010) - ha lo scopo di definire la posizione giuridica del personale militare e civile distaccati presso le istituzioni dell'Unione europea, dei quartieri generali e delle forze che potrebbero essere messi a disposizione dell'Unione europea nell'ambito della preparazione e dell'esecuzione dei compiti nel contesto della politica europea di sicurezza e di difesa.

Il piano d’azione indica anche la necessità di tenere conto nell’ambito delle iniziative volte a rafforzare la mobilità militare delle minacce di natura ibrida.

Azioni a livello dell'UE:

·       entro la primavera del 2019, l'Agenzia europea per la difesa svolgerà un'indagine su tali altri aspetti, al fine di individuare eventuali linee d'azione supplementari;

·       nell'attuare il quadro congiunto per contrastare le minacce ibride, un'attenzione specifica sarà dedicata alla mobilità militare, in particolare alla capacità di analisi dell'intelligence (cellula per l'analisi delle minacce ibride), al processo decisionale in caso di minacce e alla resilienza delle infrastrutture critiche.

Gli Stati membri dell'UE sono invitati a:

·       tenere conto della mobilità militare nell'attuazione dell'accordo UE sullo status delle forze dopo la sua entrata in vigore.

Conclusioni del Consiglio dell’UE del 25 giugno 2018 sulla mobilità militare

Il Consiglio dell’UE nella riunione del 25 giugno 2018 ha adottato delle conclusioni sulla sicurezza e difesa nel contesto della strategia globale dell’UE nelle quali con riferimento in particolare alla mobilità militare invita gli Stati membri ad adottare misure a livello nazionale per migliorare l'efficienza della mobilità militare e semplificare e standardizzare le pertinenti norme e procedure in linea con il piano d'azione, quanto prima ma entro il 2024, puntando a realizzare, entro la fine del 2019, le seguenti tappe:

·       elaborare piani nazionali per la mobilità militare e conferire alta priorità alla loro attuazione;

·       accelerare le procedure di attraversamento delle frontiere e, a tale scopo, collaborare con le autorità nazionali competenti per concedere autorizzazioni di movimenti transfrontalieri, comprese le richieste di autorizzazione di ingresso e di movimento per tutti i modi (terrestre, aereo e marittimo) e gli aspetti dei movimenti e trasporti militari, in relazione alle attività di routine entro 5 giorni lavorativi, e prendere in considerazione la possibilità di ridurre ulteriormente tale termine per le unità di reazione rapida;

·       facilitare e velocizzare la comunicazione e le procedure creando, a tal fine, una rete interconnessa di punti di contatto nazionali per tutti gli aspetti relativi alla mobilità militare per essere in grado, tra l'altro, di gestire rapidamente le richieste di movimenti transfrontalieri;

·       utilizzare le adeguate esercitazioni nazionali e multinazionali esistenti per mettere in pratica la mobilità militare.

Il Consiglio riesaminerà i progressi compiuti su base annuale e tornerà sulla questione entro l'estate 2019, anche definendo, se possibile, obiettivi temporalmente definiti più ambiziosi.


 

La Brexit

Durante il pranzo di lavoro in sede di Consiglio europeo (art. 50) i leader dell'Ue a 27 discuteranno dello stato dei negoziati relativi all'uscita del Regno Unito dall'Unione.

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 50 del Trattato sull’Unione europea (TUE), il processo di uscita del Regno Unito dall’UE dovrebbe concludersi entro il 29 marzo 2019 (salvo una proroga decisa all’unanimità dal Consiglio europeo) ossia entro due anni dalla notifica formale da parte del Governo britannico del processo di recesso dall'Ue, avvenuta il 20 marzo 2017.

Secondo quanto indicato in più occasioni dal capo negoziatore dell’UE, Michel Barnier, e come previsto dal Consiglio europeo informale svoltosi il 20 settembre scorso (v. infra) i negoziati sulla Brexit dovranno concludersi entro ottobre 2018, al fine di consentire il completamento della procedura di adozione dell’accordo di recesso da parte delle istituzioni dell’UE entro il 29 marzo del 2019.

L’accordo di recesso del Regno Unito dall’UE è concluso dal Consiglio, a maggioranza qualificata, previa approvazione del Parlamento europeo e non necessita di essere ratificato dagli Stati membri. Le relazioni future tra l'Ue e il Regno unito saranno invece disciplinate da un apposito accordo, che avrà natura mista e dovrà invece essere ratificato da tutti gli Stati membri.

Allo stato attuale, molte parti del testo dell'accordo di recesso sono state concordate in linea di principio dai negoziatori del Regno Unito e dell'UE, anche se vale il principio secondo cui non c'è accordo su nulla finché non c'è accordo su tutto.

In particolare, deve ancora trovarsi un'intesa su alcune questioni importanti:

ü  la governance dell'accordo di recesso;

ü  le 3000 indicazioni geografiche attualmente protette nei 28 Paesi dell'Ue;

ü  il confine tra Irlanda e Irlanda del Nord all'indomani dell'uscita del Regno Unito dall'Ue.

 

Per quanto concerne l'ultimo punto si discute sull'inserimento nell'accordo di recesso di una clausola di salvaguardia (cd. backstop) legalmente vincolante, proposta dall'Ue, che prevede il mantenimento dell'Irlanda del Nord nell'Unione doganale dell'Ue finché non sia stata trovata dal Regno Unito una soluzione in grado di evitare controlli alla frontiera tra le due Irlande e l'innalzamento di un confine fisico (v infra).

Il Regno Unito, dopo una iniziale bocciatura da parte della Premier May, sembrerebbe orientato a chiedere l'estensione di tale clausola a tutto il Paese. Soluzione su cui l'Ue ha forti perplessità poiché vorrebbe dire consentire al Regno Unito una partecipazione selettiva (alle sole merci) al mercato dell'Ue, il che di fatto mina l'indivisibilità delle quattro libertà del mercato unico e va contro gli interessi economici dell'Unione.

Per quanto riguarda invece le Relazioni future tra l'Ue e il Regno Unito sarà possibile negoziare un accordo in tal senso solo quando quest'ultimo sarà diventato un Paese terzo. Tuttavia, un'intesa globale sul quadro delle future relazioni sarà illustrata in una Dichiarazione politica, alla cui definizione si sta lavorano in sede negoziale, che accompagnerà l'accordo di recesso e a cui quest'ultimo farà riferimento.

La discussione sulle relazioni future si basa sulle proposte avanzate dal Regno Unito nel Libro Bianco pubblicato lo scorso luglio (v. infra).

Si ricorda che al termine del Consiglio europeo informale dello scorso 20 settembre il Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk - facendo sostanzialmente proprie le posizioni di Michel Barnier - ha brevemente illustrato i punti di convergenza tra i leader dell'Unione:

·       non potrà esserci alcun accordo di recesso senza una clausola di salvaguardia legalmente vincolante per quanto riguarda il confine tra Irlanda e Irlanda del Nord;

·       per quanto riguarda il quadro delle future relazioni tra UE e Regno Unito, la proposta britannica di un'area di libero scambio con l'UE limitata ai prodotti agricoli, alimentari e industriali non è accettabile, perché rischierebbe di minare alla base il funzionamento del mercato unico (tale proposta è contenuta nel Libro bianco del Regno Unito, di cui infra);

·       occorrerà raggiungere un accordo in occasione del Consiglio europeo del 18 ottobre, per poi - ma solamente in caso di esito positivo dei negoziati - convocare un Consiglio europeo straordinario che si dovrebbe svolgere il 18 e 19 novembre, con l'obiettivo di finalizzare l'accordo di recesso e la Dichiarazione politica sul quadro delle future relazioni tra l'UE e il Regno Unito.

Il 16 ottobre 2018, in vista del Consiglio europeo (art. 50) del 17 ottobre, si svolgerà una riunione preparatoria del Consiglio affari generali dell'Ue a 27, durante la quale il capo negoziatore Barnier aggiornerà il Consiglio sullo stato di avanzamento dei negoziati con il Regno Unito - che intanto proseguono a ritmo serrato - per quanto riguarda sia l'accordo di recesso sia la dichiarazione politica sulle relazioni future.

Nel frattempo in sede Ue si sta lavorando anche ad altri possibili scenari, in caso di mancato accordo. D'altra parte, lo stesso Consiglio europeo (art. 50) del 29 giugno scorso aveva invitato gli Stati membri, le istituzioni dell'Unione e a tutte le parti interessate a intensificare i lavori per prepararsi a tutti i livelli e a tutti gli esiti possibili.

La Commissione europea starebbe lavorando ad una nuova Comunicazione sulla preparazione al recesso, che fa seguito ad una precedente del 19 luglio scorso (v. infra), nella quale sarebbe prevista una pianificazione di emergenza in caso di mancato accordo. Essa conterrebbe misure eccezionali, temporanee ed unilaterali da adottare a livello UE e degli Stati membri in caso di "no deal".

L'iter negoziale: quadro riepilogativo

In base a quanto definito dal Consiglio europeo straordinario a 27 del 29 aprile 2017, i negoziati sono stati articolati in due fasi:

ü una prima fase dedicata ad affrontare tre questioni prioritarie: a) diritti dei cittadini dell’UE e del Regno Unito; b) liquidazione finanziaria in collegamento con il bilancio dell'Unione; c) regolamentazione delle questioni legate al confine tra Irlanda e l’Irlanda del Nord;

ü una seconda fase dedicata ad una intesa complessiva sul quadro delle future relazioni tra UE e Regno Unito, da sancire in una Dichiarazione comune, atteso che un accordo sulle future relazioni tra UE e Regno Unito potrà essere concluso solo quando il Regno Unito avrà completato il recesso dall’UE e sarà diventato Stato terzo.

 

La prima fase dei negoziati si è conclusa a dicembre 2017, con un accordo di massima sulle questioni prioritarie relative al recesso del Regno Unito.

L'accordo prevedeva garanzie per i cittadini dell'Ue che risiedevano nel Regno Unito e viceversa circa il godimento dei propri diritti; l'impegno del Paese a onorare obblighi finanziari fino al 2020, l'impegno di ambo le parti a rispettare, in merito al confine tra Irlanda e Irlanda del Nord, gli Accordi del Venerdì santo (Accordi di Belfast) del 1998. Al riguardo spetta al Regno Unito presentare soluzioni per regolamentare il confine senza che si crei una vera e propria frontiera fisica con relativi controlli, e - in mancanza di un accordo tra le parti - impegnarsi a mantenere il pieno allineamento regolamentare tra Irlanda e Irlanda del Nord con le disposizioni dell'UE relative al mercato interno e all'Unione doganale, al fine di evitare controlli alla frontiera tra le due Irlande (clausola di salvaguardia cd. "Backstop").

La seconda fase dei negoziati è stata avviata nel febbraio 2018 e nel marzo 2018, nell'ambito della seconda fase dei negoziati, è stata raggiunta un'intesa parziale su un progetto di accordo di recesso del Regno Unito dall'UE.

Tra i punti previsti figurano: un periodo transitorio (dal 30 marzo 2019 al 31 dicembre 2020) in cui il Regno Unito conserverà pieno accesso al mercato unico; garanzie per i cittadini residenti e impegno del Regno Unito in materia di obblighi finanziari. Non vi è ancora una soluzione in merito alla questione del confine tra Irlanda e Irlanda del Nord. Nel progetto di accordo si legge che la questione sarà regolata da un apposito Protocollo da inserire. Tale protocollo contiene la clausola di "backstop" sulla quale occorrerà trovare un'intesa al fine di renderla legalmente operativa finché non sia stata individuata altra soluzione.

Si ricorda che la proposta di mantenere la sola Irlanda del Nord in un'area comune allineata alle regole UE in un primo tempo era stata giudicata irricevibile dal Primo ministro britannico Theresa May in quanto lesiva dell'integrità costituzionale del Paese.

Il 23 marzo 2018 il Consiglio europeo (articolo 50) ha adottato i propri orientamenti per quanto riguarda il quadro delle relazioni future.

Da essi emergono alcuni elementi, tra cui: la volontà di stabilire con il Regno Unito una cooperazione più stretta possibile; l'indivisibilità delle quattro libertà del mercato unico; la necessità di negoziare un accordo di libero scambio data la volontà del Regno Unito a non partecipare tanto al mercato unico quanto all'unione doganale. Gli orientamenti specificano inoltre i settori su cui il futuro partenariato dovrebbe intervenire.

Il 29 giugno scorso, il Consiglio europeo (articolo 50), accogliendo con favore gli ulteriori progressi conseguiti su alcune parti del testo giuridico dell'accordo di recesso, ha rilevato tuttavia con preoccupazione "che non si siano ancora registrati progressi sostanziali in merito all'accordo su una soluzione "di salvaguardia" (backstop) per l'Irlanda/Irlanda del Nord."

Il Consiglio europeo, inoltre, nel ricordare gli impegni assunti dal Regno Unito al riguardo nel dicembre 2017 e nel marzo 2018, ha sottolineato come i negoziati potessero progredire "solo a condizione che tutti gli impegni assunti finora siano pienamente rispettati." Ha altresì rilevato come occorra "accelerare i lavori volti a preparare una dichiarazione politica sul quadro delle relazioni future", e ha sottolineato come, a tal fine, siano necessarie "una maggiore chiarezza e proposte realistiche e percorribili da parte del Regno Unito in merito alla sua posizione".

Infine, ha rinnovato "l'invito rivolto agli Stati membri, alle istituzioni dell'Unione e a tutte le parti interessate a intensificare i lavori per prepararsi a tutti i livelli e a tutti gli esiti possibili."

La posizione del Governo britannico: il Libro bianco sulle future relazioni tra il Regno unito e l'Unione europea.

Il 12 luglio scorso, il Governo britannico ha pubblicato il Libro bianco sulle relazioni future tra il Regno Unito e l'Unione europea[8]. Il Libro bianco propone di regolare le future relazioni sulla base di un accordo di associazione con un'architettura simile al CETA, l'accordo economico e commerciale con tra UE e Canada, o all'accordo di associazione con l'Ucraina.

Tra i punti salienti del Libro bianco:

ü  la creazione di un'area di libero scambio per i prodotti agricoli e alimentari, che renderebbe non necessari i controlli alla frontiera tra Irlanda e Irlanda del Nord, superando così il "backstop" nel senso di prevederne di fatto l'estensione a tutto il Regno Unito. Esclusi da tale area i settori del digitale e dei servizi per i quali la Gran Bretagna manterrebbe un'ampia libertà di regolamentazione;

ü  l'abbandono dell'idea di un mutuo riconoscimento dei servizi finanziari a favore di un regime perfezionato di equivalenza, basato sul "principio dell'autonomia di ciascuna parte sulle decisioni che riguardano l'accesso al proprio mercato";

ü  l'armonizzazione dei sistemi doganali mediante un trattato ad hoc sotto forma di "Facilitated Customs Arrangement" (FCA) in base al quale le controparti si impegneranno a riscuotere le tariffe europee per i beni destinati al mercato interno dell'Unione, e quelle britanniche per i beni destinati al mercato del Regno Unito;

ü  in tema di libera circolazione delle persone, la riserva di stabilire, fatte salve le garanzie per i cittadini UE che vivono nell'Unione e per quelli britannici che risiedono negli Stati membri, nuove politiche migratorie, sospendendo di fatto una delle quattro libertà del mercato interno;

ü  la volontà di addivenire ad un partenariato rafforzato in tema di sicurezza;

ü   il riconoscimento della Corte di giustizia UE come autorità di ultima istanza per le controversie interpretative sul diritto UE;

ü  l'ipotesi di istituire una commissione congiunta per risolvere le eventuali controversie sull'applicazione del cd. Common Rule Book, vale a dire l'insieme delle norme con le quali sono stati armonizzati vari settori strategici, dai prodotti chimici alle emissioni, dall'industria farmaceutica alla sicurezza alimentare.

Il Libro bianco è stato unanimemente interpretato dagli analisti e dagli addetti ai lavori come una "prova di forza" della Premier May in direzione di una Brexit "morbida". Lo scontro politico maturato intorno al Libro bianco - che coinvolge la leadership stessa del Partito conservatore-, ha portato, tra l'8 e il 9 luglio, alle dimissioni dei Ministri per l'uscita dall'UE e degli Affari esteri, David Davis e Boris Johnson, entrambi fautori di una "hard Brexit".

La posizione del Consiglio dell'Ue

Il Consiglio affari generali del 20 luglio 2018 ha esaminato il Libro bianco del Governo britannico facendo propria la posizione espressa della Task Force della Commissione europea guidata da Michael Barnier. In sostanza alcuni elementi del Libro bianco sono stati apprezzati, ad esempio la proposta di un accordo di libero scambio, il ruolo della Corte di giustizia, la convergenza su questioni legate alla sicurezza esterna ed interna. Tuttavia forti criticità sono state sollevate sulla parte relativa al partenariato economico, con particolare riferimento alla previsione di un "sistema doganale agevolato" che rischierebbe di concedere al Regno unito i benefici di un'unione doganale con l'UE senza assoggettarlo ai relativi obblighi, primo fra tutti una politica commerciale non autonoma. Accettare un sistema in cui il Regno Unito fungerebbe da "agente doganale" per l'Unione ma restando fuori dal sistema di supervisione ed esecuzione condiviso dagli Stati membri presenterebbe inevitabili e chiari rischi di frodi e danni agli interessi finanziari dell'UE. La proposta di un sistema doganale agevolato è stata inoltre presentata come un modo alternativo per risolvere il problema irlandese, rispetto al "backstop" proposto dall'Unione.

Il ministro austriaco Gernot Blümel della Presidenza di turno del Consiglio UE ha affermato che vi sarà un accordo di recesso soltanto se il testo giuridico includerà un accordo su tutte le questioni. Ciò include la soluzione di salvaguardia per l'Irlanda del Nord.

Riguardo alle relazioni future il Capo negoziatore Barnier si è impegnato a cercare punti di convergenza tra le posizioni dell'UE e del Regno con l'obiettivo di concordare una dichiarazione politica comune.

I ministri hanno ribadito che i lavori per prepararsi devono essere intensificati a tutti i livelli affinché l'UE a 27 sia pronta ad ogni possibile esito.

La posizione della Commissione europea

Ad una settimana dalla pubblicazione del Libro Bianco, visto il permanere di elementi di contrasto tra le parti e i forti contrasti politici sul lato britannico il 19 luglio 2018 la Commissione europea ha pubblicato la Comunicazione "Prepararsi al recesso del Regno Unito dall'Unione europea il 30 marzo 2019" (COM(2018)556) nel quale fornisce un quadro utile ed esauriente degli scenari che potrebbero aprirsi tanto in caso di accordo, quanto in sua assenza.

Queste le due opzioni:

1) In caso di accordo di recesso, vigerà un periodo transitorio tra il 30 marzo 2019 - data del recesso - e il 31 dicembre 2020, nel quale l'acquis dell'Unione continuerà in generale ad applicarsi nei confronti del Regno Unito e al suo interno, "e questo anche se il Regno Unito non parteciperà più alla gestione né al processo decisionale delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell'UE." Le istituzioni dell'UE manterranno una funzione di supervisione e controllo sull'applicazione del diritto dell'UE nel Regno Unito, e l'UE negozierà con la controparte britannica un accordo sulle relazioni future che, idealmente, dovrebbe essere operativo (ossia convenuto, firmato e ratificato) al termine del periodo transitorio ed applicarsi a partire dal 1° gennaio 2021;

2) In caso di recesso il 30 marzo 2019 senza accordo di recesso, il Regno Unito sarà un paese terzo e il diritto dell'Unione cesserà di applicarsi nei suoi confronti e al suo interno; non vigerà alcun regime specifico per i cittadini dell'UE nel Regno Unito, e viceversa; alle frontiere del Regno Unito si applicheranno la normativa e le tariffe dell'UE, compresi i controlli e le verifiche del rispetto delle norme doganali, sanitarie e fitosanitarie, e la verifica di conformità alle norme dell'UE (con pesanti conseguenze sui trasporti tra Regno Unito e UE). In quanto paese terzo a tutti gli effetti, le relazioni tra Regno Unito e UE saranno disciplinate dal diritto pubblico internazionale generale, comprese le norme dell'Organizzazione mondiale del commercio, con una conseguente, considerevole regressione rispetto all'attuale livello di integrazione dei mercati.

Non viene invece fatto cenno alla possibilità - pure prevista dell'art. 50 del TUE, ma finora esclusa da ambo le parti -, che il Consiglio europeo, d'accordo con il governo del Regno Unito, decida di prorogare il termine di recesso.

La posizione del Parlamento europeo

Il 14 marzo 2018 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sul quadro delle relazioni future. In estrema sintesi, essa subordina l'approvazione del quadro da parte del Parlamento europeo al rispetto di alcuni principi, alla garanzia che la Brexit non intacchi i diritti dei cittadini che risiedono legalmente nel Regno Unito né su quelli dei cittadini del Regno Unito che risiedono legalmente nell'UE a 27, e che durante il periodo transitorio ogni cittadino dell'UE che arriva nel Regno Unito goda dei medesimi diritti di coloro che sono arrivati prima dell'inizio del periodo stesso.



[1] Il relativo decreto legislativo di recepimento (Atto del Governo n. 23) è all’esame delle competenti Commissioni parlamentari. (il termine per l’espressione del parere scade il 31 luglio 2018)

[2]   Regolamento (UE) 2017/2226 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2017, che istituisce un sistema di ingressi/uscite per la registrazione dei dati di ingresso e di uscita e dei dati relativi al respingimento dei cittadini di paesi terzi che attraversano le frontiere esterne degli Stati membri e che determina le condizioni di accesso al sistema di ingressi/uscite a fini di contrasto e che modifica la Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen e i regolamenti (CE) n. 767/2008 e (UE) n. 1077/2011

[3]   Si tratta delle proposte di regolamento COM(2016)881, COM(2016)882 e COM(2016)883

[4]   Recepita in Italia con il decreto legislativo 21 maggio 2018, n. 53.

[5]   Per minacce ibride – nozione per la quale non esiste una definizione sul piano giuridico universalmente accettata – la Commissione europea intende una serie di attività che spesso combinano metodi convenzionali e non convenzionali e che possono essere realizzate in modo coordinato da soggetti statali e non statali pur senza oltrepassare la soglia di guerra formalmente dichiarata. Il loro obiettivo non consiste soltanto nel provocare danni diretti e nello sfruttare le vulnerabilità, ma anche nel destabilizzare le società e creare ambiguità per ostacolare il processo decisionale. Si ricorda che il Quadro congiunto per contrastare le minacce ibride (Join(2016)18), presentato il 6 aprile 2016 dalla Commissione europea e dall’Alta rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, propone un approccio comune e coordinato, sulla base della premessa che la responsabilità principale ricade sugli Stati membri. Da ultimo, la comunicazione congiunta “Rafforzamento della resilienza e potenziamento delle capacità di affrontare minacce ibride” fa il punto sulle iniziative già avviate e sui prossimi passi a livello europeo per contrastare le minacce ibride.

[6]   Recepita in Italia con il decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 65.

[7] La fase due prevede un’ulteriore sottofase recante l’estensione del raggio di azione dell’operazione nelle acque libiche, che potrà iniziare solo sulla base di risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite applicabili o del consenso dello Stato costiero interessato.

[8] Per maggior dettagli sul Libro bianco si veda la Nota n.9/UE a cura del Senato.