Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Ambiente
Titolo: Disposizioni in materia di gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale delle acque
Riferimenti: AC N.773/XVIII AC N.52/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 54
Data: 24/10/2018
Organi della Camera: VIII Ambiente

 

Camera dei deputati

XVIII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disposizioni in materia di gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale
delle acque

A.C. 52 e A.C. 773

 

 

 

 

 

 

 

n. 54

 

 

 

24 ottobre 2018

 


Servizi responsabili:

Servizio Studi – Dipartimento Ambiente

( 066760-9253  * st_ambiente@camera.it

 

 

Ha collaborato alla redazione del Dossier il seguente Servizio:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

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File: AM0032.docx

 


INDICE

Schede di lettura

Il quadro normativo in materia di gestione delle risorse idriche e servizio idrico integrato  3

§  La gestione delle risorse idriche nel D.Lgs. 152/2006  3

§  La gestione del servizio idrico integrato  6

§  La giurisprudenza costituzionale sul riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni in materia di servizio idrico integrato  15

§  Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea) 16

Contenuto  21

§  Breve analisi comparativa delle principali disposizioni dettate dalle proposte di legge in esame e delle finalità da esse perseguite  22

§  Finalità (art. 1 C. 52; art. 1 C. 773) 24

§  Princìpi generali (art. 2 C. 52; art. 2, commi 1-2, C. 773) 24

§  Princìpi per l’uso dell’acqua (art. 3 C. 52; art. 2, commi 2-4, e art. 9 C. 773) 26

§  Principi relativi alla tutela e alla pianificazione (art. 4, commi 1-3, C. 52; art. 3, comma 1, C. 773) 31

§  Principi relativi alla gestione del servizio idrico (art. 4, commi 3-7, e art. 9 C. 52; art. 3, commi 2-3, e art. 4, C. 773) 36

§  Concessioni di prelievo di acque (art. 5 C. 52; art. 3, comma 4, C. 773) 43

§  Governo pubblico del ciclo naturale e integrato dell'acqua (art. 8 C. 52; art. 5, C. 773) 49

§  Gestione pubblica del servizio idrico integrato (art. 10, A.C. 52) 54

§  Ripubblicizzazione della gestione del servizio idrico integrato (art. 10, commi 5-10, e art. 11, A.C. 52) 56

§  Finanziamento del servizio idrico integrato (artt. 12-14, A.C. 52; art. 6, A.C. 773) 58

§  Quantitativo minimo vitale e casi di morosità (art. 14, commi 4-8, e art. 3, comma 4, A.C. 52; art. 7, commi 1 e 2, A.C. 773) 64

§  Fondo nazionale di solidarietà internazionale (art. 16, C. 52; art. 12, C. 773) 68

§  Governo partecipativo del servizio idrico integrato (art. 15, C. 52; art. 11, C. 773) 71

§  Pubblicità sul controllo e monitoraggio della qualità delle acque destinate al consumo umano (artt. 6 e 7 C. 52) 75

§  Contatori e trasparenza delle fatturazioni (artt. 7, comma 3, 8 e 10, C. 773) 84

§  Disposizioni finanziarie (art. 17 C. 52) 89

§  Clausola di salvaguardia (art. 13 C. 773) 91

 


Schede di lettura

 


Il quadro normativo in materia di gestione delle risorse idriche e servizio idrico integrato

La gestione delle risorse idriche nel D.Lgs. 152/2006

Il capo I del disegno di legge, composto dagli articoli da 1 a 6, modifica il

 

Il corpo centrale della normativa nazionale in materia di gestione delle risorse idriche è contenuto nella parte terza del D.Lgs. 152/2006 (c.d. Codice dell’ambiente), che raccoglie anche le disposizioni relative alla difesa del suolo e alla tutela delle acque dall’inquinamento.

In tale parte terza sono confluite disposizioni precedentemente collocate in diversi contesti normativi e sono state introdotte le disposizioni necessarie al recepimento della direttiva 2000/60/CE (c.d. direttiva quadro sulle acque) e volte conseguentemente a riformare l’assetto amministrativo (in precedenza disegnato dalla legge n. 183 del 1989 sulla difesa del suolo) relativamente al governo dei bacini idrografici.

La direttiva quadro sulle acque n. 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque, ha introdotto un approccio innovativo nella legislazione europea in materia di acque, tanto dal punto di vista ambientale, quanto amministrativo-gestionale: il c.d. approccio all'uso integrato della risorsa acqua, vale a dire a politiche di gestione tra loro integrate, basate sulla consapevolezza della interdipendenza tra le diverse componenti del sistema idrico.

Tale approccio innovativo, che si muove nel solco dei principi ispiratori in materia di politica ambientale sanciti nei trattati europei (tale politica, secondo l’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, “è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio chi inquina paga”), è caratterizzato dal riconoscimento (nel primo considerando della direttiva) che “l'acqua non è un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale”.

La direttiva persegue obiettivi ambiziosi sia sotto il profilo ambientale che sotto quello più prettamente economico e sociale: mira, infatti, a prevenire il deterioramento qualitativo e quantitativo e a migliorare lo stato delle acque, assicurando un utilizzo sostenibile, basato sulla protezione a lungo termine delle risorse idriche disponibili, a riconoscere a tutti i servizi idrici il giusto prezzo che tenga conto del loro costo economico reale, attraverso l’applicazione del principio del full cost recovery, a rendere informati e partecipi tutti i cittadini.

La direttiva 2000/60/CE si propone, in particolare, di raggiungere i seguenti obiettivi generali:

-         ampliare la protezione delle acque, sia superficiali che sotterranee;

-         raggiungere lo stato di “buono” per tutte le acque entro il 31 dicembre 2015;

-         gestire le risorse idriche sulla base di distretti idrografici, dotati di un piano di gestione; anche in questo caso la direttiva adotta un approccio innovativo alla gestione delle acque, basata non più sui confini amministrativi di regioni e province, ma sui bacini idrografici, ovvero le unità geografiche e idrologiche naturali;

-         procedere mediante un’azione che unisca limiti delle emissioni e standard di qualità;

-         attuare politiche dei prezzi dell'acqua in grado di incentivare adeguatamente gli utenti a usare le risorse idriche in modo efficiente (è questo lo scopo dell’art. 9, in base al quale gli Stati membri tengono conto del principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi ambientali e relativi alle risorse … secondo il principio chi inquina paga” e prevedendo “un adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici a carico dei vari settori di impiego dell'acqua”);

-         rendere informati e partecipi tutti i cittadini, sin dalle fasi preliminari di predisposizione dei Piani di gestione delle acque e nelle successive fasi di aggiornamento.

-          

La direttiva acque è stata una delle prime direttive europee a tener conto dei principi della Convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico e l’accesso alla giustizia in materia ambientale. In particolare, l’art. 14 prevede che gli Stati membri promuovono la partecipazione attiva di tutte le parti interessate all'attuazione della direttiva, con specifico riferimento all'elaborazione, al riesame e all'aggiornamento dei piani di gestione dei bacini idrografici, provvedendo affinché, per ciascun distretto idrografico, sia pubblicata e resa disponibile per eventuali osservazioni del pubblico, inclusi gli utenti, una serie di documenti indicati nell’articolo stesso.

 

Oltre alla direttiva-quadro, vi sono altre importanti direttive che, dando attuazione ai principi e alle disposizioni generali della 2000/60/CE, costituiscono l’attuale quadro normativo europeo di riferimento in materia di acque. Si ricordano, in particolare, la direttiva 2006/118/CE (recepita con il D.Lgs. n. 30/2009), in tema di protezione dall’inquinamento delle acque sotterranee, e la direttiva 1998/83/CE (recepita con il D.Lgs. n. 31/2001) relativa alle acque destinate al consumo umano, che fissa gli standard qualitativi minimi che gli Stati membri devono garantire e contiene disposizioni in tema di punti di prelievo, di controllo e campionamenti e, infine, di provvedimenti correttivi e limitazioni d’uso.

Nella relazione illustrativa alla recente proposta di direttiva COM (2017) 753 final, che costituisce una rifusione della precedente direttiva 98/83/CE, si legge che «L'acqua potabile è chiaramente tra le prime preoccupazioni di molti europei, come dimostra la prima iniziativa dei cittadini europei "Right2Water" che ha raccolto oltre 1,8 milioni di firme e alla quale la Commissione ha risposto positivamente. Presentata nel dicembre 2013, l'iniziativa chiedeva in particolare che "le istituzioni dell'Unione europea e gli Stati membri [fossero] tenuti ad assicurare a tutti i cittadini il diritto all'acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari" e che "l'UE intensific[asse] il proprio impegno per garantire un accesso universale all'acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari." Nella sua risposta [1] la Commissione ha invitato gli Stati membri a fare il possibile per garantire a tutti l'accesso a un livello minimo di approvvigionamento idrico. Ciò è pienamente in linea con l'Agenda 2030 delle Nazioni Unite, in particolare con l'obiettivo di sviluppo sostenibile n. 6 e il relativo traguardo "ottenere l'accesso universale ed equo all'acqua potabile che sia sicura ed economica per tutti", adottati nel 2015 (…). La proposta è quindi il seguito diretto dell'iniziativa dei cittadini europei "Right2Water"».

 

 

Per quanto riguarda il riparto di competenze, l’art. 75 e l’art. 142 del D.Lgs. 152/2006 stabiliscono che, nelle materie in questione, lo Stato esercita le competenze ad esso spettanti per la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema attraverso il Ministro dell'ambiente (fatte salve le competenze in materia igienico-sanitaria spettanti al Ministro della salute), mentre regioni ed enti locali esercitano le funzioni e i compiti ad essi spettanti nel quadro delle competenze costituzionalmente determinate e nel rispetto delle attribuzioni statali.

Il comma 3 dell’art. 142 stabilisce altresì, con riferimento alla gestione delle risorse idriche, che gli enti locali, attraverso l'ente di governo dell'ambito (EGATO), cui sono obbligati a partecipare (v. infra), svolgono le funzioni di organizzazione del servizio idrico integrato (SII), di scelta della forma di gestione, di determinazione e modulazione delle tariffe all'utenza, di affidamento della gestione e relativo controllo, secondo le disposizioni della parte terza del Codice [2] .

Alle autorità competenti, la disciplina in questione affida, tra l’altro, il compito di provvedere al raggiungimento ed al mantenimento degli obiettivi di qualità ambientali (disciplinati dagli artt. 76 e ss.) mutuati dalla direttiva europea quadro in materia di acque (direttiva 2000/60/CE, le cui disposizioni sono state recepite proprio dalla parte terza in questione).

Al fine di raggiungere tali obiettivi di qualità, la parte terza del Codice ambientale prevede, in linea con le disposizioni della direttiva acque, un sistema di pianificazione delle utilizzazioni delle acque, volta ad evitare ripercussioni sulla qualità delle stesse e a consentire un consumo idrico sostenibile (art. 95). Gli strumenti utilizzati a tale scopo risultano essere i c.d. piani di tutela, adottati dalle regioni, e i c.d. piani di gestione, articolazioni dei piani distrettuali di bacino.

Ai fini della tutela e della gestione delle acque il territorio nazionale è infatti diviso in distretti idrografici governati da autorità di bacino distrettuali (artt. 63-64).

In tali distretti, l’Autorità di bacino provvede a redigere il Piano di bacino distrettuale, che “ha valore di piano territoriale di settore ed è lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo ed alla corretta utilizzazione della acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato” (art. 65). I piani di bacino possono essere redatti ed approvati anche per sottobacini o per stralci relativi a settori funzionali (art. 65, comma 8).

Il “piano di gestione” è disciplinato dall’art. 117, a norma del quale tale piano rappresenta un’articolazione interna del Piano di bacino distrettuale e “costituisce pertanto piano stralcio del Piano di bacino e viene adottato e approvato secondo le procedure stabilite per quest'ultimo”.

 

La gestione del servizio idrico integrato

Il servizio idrico integrato (SII) è disciplinato dagli articoli da 147 a 158-bis del D.Lgs. 152/2006 ed è costituito, ai sensi della definizione recata dall’art. 141, comma 2, del Codice, “dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue”.

L’organizzazione del servizio

Secondo la disciplina vigente, l’organizzazione del servizio idrico integrato si articola, territorialmente, per Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), definiti dalle Regioni.

Tale disciplina è il risultato anche delle modifiche operate dal D.L. 133/2014 (c.d. decreto sblocca Italia), che ha previsto che gli enti locali partecipano obbligatoriamente all’Ente di governo dell’ambito (EGATO) individuato dalla competente Regione per ciascun ATO, al quale è trasferito l’esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche (art. 147, comma 1, del D.Lgs. 152/2006).

Come è stato anche ribadito dalla Corte costituzionale (con la sentenza n. 62/2012) non spetta alla Regione esercitare il servizio idrico, ad esempio scegliendo la società cui affidare il servizio idrico, ma spetta all'EGATO; la Regione individua solo le funzioni e i compiti degli EGATO.

Si ricorda che i “nuovi” EGATO sostituiscono le "vecchie" AATO (Autorità d'ambito territoriale ottimale) soppresse, a far data dal 31 dicembre 2012, dal decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2.

Il comma 2-bis del citato articolo 147 [3] dispone, inoltre, che se l'ATO coincide con il territorio della Regione, qualora si renda necessario al fine di conseguire una maggiore efficienza gestionale ed una migliore qualità del servizio all'utenza, è consentito l'affidamento del SII in sub-ambiti, che però devono essere almeno pari al territorio provinciale o della città metropolitana.

Lo stesso comma dispone che sono fatte salve:

a) le gestioni del servizio idrico in forma autonoma nei comuni montani con popolazione inferiore a 1.000 abitanti già istituite ai sensi del comma 5 dell'articolo 148, ora abrogato;

Tale comma prevedeva infatti che l'adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato fosse facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che gestissero l'intero servizio idrico integrato e previo consenso dell’Autorità d'ambito competente.

b) le gestioni del servizio idrico in forma autonoma esistenti, nei comuni che presentano contestualmente le seguenti caratteristiche (accertate dall’EGATO): approvvigionamento idrico da fonti qualitativamente pregiate; sorgenti ricadenti in parchi naturali o aree naturali protette ovvero in siti individuati come beni paesaggistici; utilizzo efficiente della risorsa e tutela del corpo idrico.

 

Lo stesso articolo 147, al comma 2, fissa i seguenti importanti principi informatori della gestione del servizio:

a) unità del bacino idrografico o del sub-bacino o dei bacini idrografici contigui;

b) unicità della gestione. Tale principio è stato ripristinato dall’art. 7 del D.L. 133/2014, in luogo di quello (meno stringente) dell’unitarietà, che era stato introdotto dal D.Lgs. 4/2008 (c.d. secondo correttivo al Codice).

Si ricorda, in proposito, quanto rilevato dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 307/2009, che, nell’analizzare il contesto normativo relativamente alla non separabilità tra gestione della rete ed erogazione del servizio idrico, sottolinea che “indipendentemente da ogni considerazione sul valore semantico dei termini «unicità» ed «unitarietà» della gestione, è, infatti evidente che parlare di «unitarietà», anziché di «unicità» delle gestioni, non vale a consentire l'opposto principio della separazione delle gestioni stesse. In altri termini, le due gestioni, quella delle reti e quella dell'erogazione, alla luce della sopravvenuta disciplina statale, potranno anche essere affidate entrambe a più soggetti coordinati e collegati fra loro, ma non potranno mai fare capo a due organizzazioni separate e distinte”.

La modifica apportata dal decreto-legge n. 133 del 2014 elimina altresì la parte della lettera b) del comma 2 dell’art. 147 ove si richiedeva, comunque, il superamento della frammentazione verticale delle gestioni;

c) adeguatezza delle dimensioni gestionali, definita sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici.

 

L’art. 149 affida all’EGATO il compito di provvedere alla predisposizione e/o all’aggiornamento del piano d'ambito, e disciplina i contenuti del medesimo. Tale piano rappresenta lo strumento programmatorio cardine dell'EGATO, risultato di un'attività di ricognizione delle infrastrutture esistenti, della stesura di un programma degli interventi infrastrutturali necessari e di un piano finanziario connesso ad un modello gestionale ed organizzativo.

 

Si ricordano altresì le disposizioni dettate dal comma 1 dell’art. 3-bis del D.L. 138/2011 che, “a tutela della concorrenza e dell'ambiente”, hanno previsto, tra l’altro, che “le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano organizzano lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica definendo il perimetro degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio e istituendo o designando gli enti di governo degli stessi…” e che “la dimensione degli ambiti o bacini territoriali ottimali di norma deve essere non inferiore almeno a quella del territorio provinciale”.

Il successivo comma 1-bis ha stabilito che “le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al settore dei rifiuti urbani, di scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe all'utenza per quanto di competenza, di affidamento della gestione e relativo controllo sono esercitate unicamente dagli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei istituiti o designati ai sensi del comma 1 del presente articolo cui gli enti locali partecipano obbligatoriamente”.

Le modalità di affidamento del servizio

Anche la disciplina relativa alle modalità e ai termini per l’affidamento del servizio idrico è stata modificata dall’art. 7 del D.L. 133/2014.

In particolare, è stato introdotto nel testo del D.Lgs. 152/2006 un nuovo articolo 149-bis che va a sostituire le disposizioni contenute nell’art. 150, che viene abrogato.

In estrema sintesi, la nuova disciplina dispone che l’EGATO, nel rispetto del piano d'ambito e del principio di unicità della gestione per ciascun ATO:

·     delibera la forma di gestione fra quelle previste dall'ordinamento europeo;

In seguito agli esiti abrogativi del referendum del 2001 (con cui è stata abrogata la riforma operata dall’art. 23-bis del D.L. 112/2008) e della dichiarazione di illegittimità costituzionale (ad opera della sentenza della Corte cost. n. 199/2012) delle norme sulle modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali (SPL) di rilevanza economica dettate dall’art. 4 del D.L. 138/2011, il riferimento generale per la disciplina applicabile nell'ordinamento italiano in materia di affidamento del servizio è rappresentato dalla normativa europea (direttamente applicabile) relativa alle regole concorrenziali minime per le gare ad evidenza pubblica che affidano la gestione di servizi pubblici di rilevanza economica (Corte cost., sentenza n. 24 del 2011).

Secondo la normativa dell'Unione europea gli enti locali possono procedere ad affidare la gestione dei servizi pubblici locali:

- attraverso un’esternalizzazione a terzi mediante procedure ad evidenza pubblica secondo le disposizioni in materia di appalti e concessioni di servizi;

- ad una società mista pubblico-privata, la cui selezione del socio privato avvenga mediante gara a doppio oggetto;

- direttamente "in house", purché sussistano i requisiti previsti dall'ordinamento comunitario, e vi sia il rispetto dei vincoli normativi vigenti.

La scelta delle modalità di affidamento del servizio è rimessa dalla normativa vigente all'ente di governo dell'ambito o bacino territoriale, al quale partecipano obbligatoriamente gli enti locali, sulla base di una relazione, da rendere pubblica sul sito internet dell'ente stesso, che deve dare conto "delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste" (art. 34, comma 20, del D.L. 179/2012).

Gli enti di governo sono tenuti ad inviare le relazioni all'Osservatorio per i servizi pubblici locali, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, che provvede a pubblicarle nel proprio portale telematico contenente dati concernenti l'applicazione della disciplina dei SPL di rilevanza economica sul territorio (art. 13, comma 25-bis, del D.L. 145/2013).

 

·     provvede, conseguentemente, all'affidamento del servizio nel rispetto della normativa nazionale in materia di organizzazione dei SPL a rete di rilevanza economica.

 

Lo stesso articolo 149-bis precisa che l'affidamento diretto può avvenire a favore di società interamente pubbliche, in possesso dei requisiti prescritti dall'ordinamento europeo per la gestione in house, comunque partecipate dagli enti locali ricadenti nell'ATO.

Viene altresì stabilito che il soggetto affidatario gestisce il servizio idrico integrato su tutto il territorio degli enti locali ricadenti nell'ATO.

Al fine di ottenere un'offerta più conveniente e completa e di evitare contenziosi tra i soggetti interessati, le procedure di gara per l'affidamento del servizio includono appositi capitolati con la puntuale indicazione delle opere che il gestore incaricato deve realizzare durante la gestione del servizio (comma 2-bis dell’art. 149-bis).

 

Meritano di essere ricordate anche le disposizioni dell’art. 151 del D.Lgs. 152/2006 (anch’esse modificate dall’art. 7 del D.L. 133/2014), che disciplinano i rapporti tra EGATO e soggetto gestore del servizio idrico integrato. Tali rapporti (secondo quanto disposto dal comma 1) sono regolati da una convenzione predisposta dall'EGATO sulla base delle convenzioni-tipo, con relativi disciplinari, adottate dall'Autorità di settore (oggi denominata ARERA). Il contenuto delle convenzioni-tipo e dei relativi disciplinari è disciplinato dal comma 2 dell’art. 151. In particolare, viene stabilito che tali documenti prevedano, tra l’altro, il regime giuridico prescelto per la gestione del servizio; la durata dell'affidamento, non superiore comunque a 30 anni; le opere da realizzare durante la gestione del servizio come individuate dal bando di gara.

Al gestore del servizio idrico integrato sono affidate in concessione d'uso gratuita, per tutta la durata della gestione, le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali (art. 153 del D.Lgs. 152/2006).

Si ricorda, in proposito, che ai sensi dell’art. 143 del Codice dell’ambiente, gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti del codice civile e sono inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge e che la tutela di tali beni spetta anche all’EGATO.

 

Occorre altresì soffermarsi sulla disciplina delle gestioni esistenti, su cui è recentemente intervenuto l’art. 7 del D.L. 133/2014, che ha modificato i primi cinque commi dell'art. 172 del d.lgs. 152/2006 al fine di garantire che in tutti gli ATO il servizio idrico sia affidato a gestori unici. In particolare, il nuovo comma 1 dell'art. 172 disciplina i casi in cui il piano di ambito non sia stato redatto o l'EGATO non abbia ancora scelto la forma di gestione e avviato le procedure di affidamento. In tali casi viene introdotto il termine perentorio del 30 settembre 2015 per la conclusione di procedure di affidamento ad un gestore unico, con la conseguente decadenza degli affidamenti non conformi alla disciplina pro tempore vigente. Nei casi non contemplati dal comma 1 viene prevista una procedura per il subentro del gestore del servizio idrico integrato agli ulteriori soggetti operanti all'interno del medesimo ATO.

Esclusioni specifiche nel settore idrico per l’applicazione della direttiva sulle concessioni

Occorre inoltre ricordare che, ai sensi dell’art. 12, paragrafo 1, della direttiva 2014/23/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, la medesima direttiva non si applica alle concessioni aggiudicate per:

a) fornire o gestire reti fisse destinate alla fornitura di un servizio al pubblico in connessione con la produzione, il trasporto o la distribuzione di acqua potabile;

b) alimentare tali reti con acqua potabile.

 

Lo stesso articolo dispone altresì, al paragrafo 2, l’esclusione delle concessioni riguardanti uno o entrambi dei seguenti aspetti quando sono collegate a un'attività di cui al paragrafo 1:

a) progetti di ingegneria idraulica, irrigazione, drenaggio, in cui il volume d'acqua destinato all'approvvigionamento d'acqua potabile rappresenti più del 20% del volume totale d'acqua reso disponibile da tali progetti o impianti di irrigazione o drenaggio; o

b) lo smaltimento o il trattamento delle acque reflue.

La tariffazione

La tariffa costituisce, ai sensi dell’art. 154 del d.lgs. 152/2006, il corrispettivo del SII e viene determinata tenendo conto:

- della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari;

- dell’entità dei costi, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”.

Si fa notare che tale disposizione è conseguente all’esito del referendum popolare del 2011. Prima della consultazione referendaria, infatti, la norma stabiliva che la tariffa fosse calcolata prevedendo la remunerazione per il capitale investito dal gestore. Come stabilito dall’articolo 1, comma 1, del D.P.R. 116/2011, in esito al citato referendum abrogativo sono state soppresse le seguenti parole del comma 1 dell’art. 154: «dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito».

Il principio della adeguata remunerazione del capitale investito aveva trovato concreta applicazione nel c.d. metodo normalizzato per la definizione delle componenti di costo e la determinazione della tariffa di riferimento del servizio idrico integrato, che era stato disciplinato dal decreto del Ministro per i lavori pubblici del 1° agosto 1996 (pubblicato nella Gazz. Uff. 16 ottobre 1996, n. 243). Tale decreto, al punto 3.3, stabiliva che «sul capitale investito, come risultante dai libri contabili alla data di emanazione del metodo e dal piano economico-finanziario, si applica un tasso di remunerazione fissato nella misura del 7 per cento».

 

La tariffa è applicata e riscossa dai soggetti gestori, nel rispetto della convenzione e del relativo disciplinare che regolano il rapporto tra l'EGATO ed il soggetto gestore del SII (art. 156).

 

Relativamente alle competenze in materia tariffaria, occorre ricordare le disposizioni del D.P.C.M. 20 luglio 2012 (che ha individuato le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici trasferite, dall'art. 21 del D.L. 201/2011, all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, ora ARERA [4] ).

In estrema sintesi, in ambito tariffario viene attribuito al Ministero dell'ambiente (in particolare dalle lettere d) ed e) del comma 1 dell'art. 1) il compito di definire i criteri che devono essere seguiti dall'Autorità nel disciplinare le componenti di costo per la determinazione della tariffa. Lo stesso D.P.C.M. stabilisce che l'Autorità predispone e rivede periodicamente il metodo tariffario per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato e approva le tariffe del servizio idrico integrato proposte dal soggetto competente sulla base del piano di ambito [5] .

Relativamente ai compiti del Ministero dell'ambiente si ricorda che l'art. 154, comma 2, del D.Lgs. 152/2006 ha demandato al Ministero l'individuazione delle "componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell'acqua" [6] .

 

Disposizioni rilevanti in materia di tariffazione del servizio idrico sono state introdotte, nel corso della scorsa legislatura, con la legge n. 221/2015 (c.d. collegato ambientale)

L'articolo 58 di tale legge prevede che, a decorrere dal 2016, una specifica componente della tariffa del servizio idrico integrato, determinata dall'Autorità e indicata separatamente in bolletta, sia destinata ad alimentare il Fondo di garanzia per il settore idrico, istituito dalla medesima norma presso la Cassa conguaglio per il settore elettrico. 

L'articolo 60 prevede, invece, che l'Autorità di settore, sentiti gli enti di ambito, assicuri agli utenti domestici del servizio idrico integrato in condizioni economico-sociali disagiate l'accesso a condizioni agevolate alla fornitura della quantità di acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni fondamentali. Al fine di assicurare la copertura dei conseguenti oneri, si dispone che l'Autorità definisca le necessarie modifiche all'articolazione tariffaria per fasce di consumo o per uso, determinando i criteri e le modalità per il riconoscimento delle agevolazioni.

In attuazione di tale disposizione è stato emanato il D.P.C.M. 13 ottobre 2016 che stabilisce la tariffa sociale del servizio idrico integrato. In sintesi, tale decreto prevede un quantitativo minimo di acqua vitale necessario al soddisfacimento dei bisogni essenziali fissato in 50 litri per abitante al giorno, una tariffa agevolata, un bonus acqua per tutti gli utenti domestici residenti, ovvero nuclei familiari, di cui sono accertate le condizioni di disagio economico-sociale. 

E' previsto, inoltre, che, nel disciplinare il bonus acqua, si dovrà garantire, mediante il metodo tariffario e la relativa articolazione tariffaria, il recupero dei costi efficienti del servizio e degli investimenti, l'equilibrio economico-finanziario della gestione e la tutela degli utenti tenendo conto di determinati criteri [7] .

 

Le norme per la morosità nel settore idrico

L'articolo 61 della L. 221/2015 (c.d. collegato ambientale) ha previsto l’adozione, da parte dell'Autorità di settore, nell'esercizio dei propri poteri regolatori e sulla base dei principi e dei criteri definiti con D.P.C.M., di direttive per il contenimento della morosità degli utenti del servizio idrico integrato, al fine, in particolare, di salvaguardare la copertura dei costi e garantire il quantitativo minimo vitale di acqua necessario. Alla medesima Autorità è demandata la definizione delle procedure per la gestione della morosità e per la sospensione della fornitura [8] .

In attuazione dell'art. 61 è stato emanato il D.P.C.M. 29 agosto 2016, che stabilisce i principi e i criteri per il contenimento della morosità degli utenti del servizio idrico integrato, assicurando che sia salvaguardata, tenuto conto dell'equilibrio economico e finanziario dei gestori, la copertura dei costi efficienti di esercizio e investimento e garantendo il quantitativo minimo vitale di acqua (pari a 50 litri per abitante) necessario al soddisfacimento dei bisogni fondamentali di fornitura per gli utenti morosi.

Regime giuridico delle acque e delle infrastrutture idriche

L’art. 144, comma 1, del Codice dell’ambiente, dispone che tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato, mentre il precedente art. 143 stabilisce che gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio e sono quindi inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge.

In proposito merita ricordare che il D.Lgs. 85/2010 (emanato in attuazione della legge 42/2009 sul “federalismo fiscale”) disciplina il trasferimento (a titolo gratuito) agli enti locali, della quasi totalità dei beni mobili ed immobili dello Stato, tra i quali figurano i beni del demanio marittimo e del demanio idrico e relative pertinenze, opere idrauliche e di bonifica di competenza statale (ad eccezione di fiumi e laghi sovra regionali).

Gli enti locali, una volta divenuti a pieno titolo proprietari dei beni in questione, dovranno rispettarne il relativo status (demaniale o patrimoniale) e disporne (ad esempio alienandoli) nell’interesse della collettività rappresentata, favorendone la massima valorizzazione funzionale, a vantaggio diretto o indiretto della collettività territoriale rappresentata.

 

L’autorità di regolazione e controllo del settore idrico

L’assetto istituzionale che governa il settore idrico, con riguardo alla vigilanza e alla regolazione, è stato oggetto di numerose modifiche normative negli ultimi anni.

All’inizio della XVI legislatura, l'art. 9-bis, comma 6, del D.L. 39/2009 ha istituito la Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche, in luogo del precedente Comitato per la vigilanza sulle risorse idriche.

Tale Comitato, a sua volta, in forza dell’art. 1, comma 5, del D.Lgs. 284/2006, aveva sostituito, subentrandovi nell’esercizio delle relative competenze, l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti istituita dal D.Lgs. 152/2006; ripristinando in tal modo la situazione preesistente all’emanazione del Codice, che aveva provveduto a sopprimere l’esistente Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche (istituito, presso il Ministero dei lavori pubblici, dall’art. 21 della legge n. 36/1994) per sostituirlo con detta Autorità di vigilanza.

Tale Commissione è stata poi soppressa a decorrere dall'entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 70/2011, che all'art. 10 ha previsto l’istituzione dell’Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua.

Successivamente, il D.L. 201/2011, all’art. 21, commi 13 e 19, ha soppresso l'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua trasferendo le relative funzioni al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, fatta eccezione per le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici che sono state attribuite all'Autorità per l'energia elettrica e il gas.

In attuazione di tale ultima disposizione, con il D.P.C.M. 20 luglio 2012 sono state individuate le funzioni dell'Autorità attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici.

Da ultimo, con i commi 527-530 della legge di bilancio 2018 (L. 205/2017), sono state attribuite all'Autorità citata, anche funzioni di regolazione e controllo del ciclo dei rifiuti, espressamente incluso tra i servizi a rete. In conseguenza dell'ampliamento delle competenze, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI) ha assunto la denominazione di "Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente" (ARERA).

 

La giurisprudenza costituzionale sul riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni in materia di servizio idrico integrato

La giurisprudenza costituzionale ha chiarito che le disposizioni in materia di tutela delle acque ? contenute principalmente nella parte III del D.Lgs. n. 152 del 2006 ? sono riconducibili alla materia della “tutela dell’ambiente”, attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Come sottolineato dalla Corte costituzionale, si tratta, infatti, “di disposizioni aventi finalità di prevenzione e riduzione dell’inquinamento, risanamento dei corpi idrici inquinati, miglioramento dello stato delle acque, perseguimento di usi sostenibili e durevoli delle risorse idriche, mantenimento della capacità naturale di autodepurazione dei corpi idrici e della capacità di sostenere comunità animali e vegetali ampie e diversificate, mitigazione degli effetti delle inondazioni e della siccità, protezione e miglioramento dello stato degli ecosistemi acquatici, degli ecosistemi terrestri e delle zone umide direttamente dipendenti dagli ecosistemi acquatici sotto il profilo del fabbisogno idrico. Sono scopi che attengono direttamente alla tutela delle condizioni intrinseche dei corpi idrici e che mirano a garantire determinati livelli qualitativi e quantitativi delle acque” (sentenze n. 254/2009, n. 246/2009, n. 229/2017).

La Corte costituzionale riconduce, inoltre, la competenza in materia anche alla materia “tutela della concorrenza” che l’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione attribuisce alla legislazione esclusiva dello Stato e che la stessa giurisprudenza costituzionale configura come “materia trasversale”, con la conseguente possibilità che l'esercizio di tale competenza esclusiva da parte dello Stato intersechi legittimamente qualsivoglia titolo di potestà legislativa regionale (sent. n. 41/2013). La Corte ha precisato, al riguardo,  che il legislatore regionale può intervenire soltanto qualora introduca normative maggiormente concorrenziali rispetto alla disciplina statale (si vedano, tra le altre, le sentt. n. 173/2017 e n. 160/2016).

Sono pertanto ricondotte alla competenza legislativa dello Stato di tipo esclusivo e trasversale sia la regolamentazione della tariffa del servizio idrico integrato (si veda, ad es., la sent. 67/2013), sia le regole sull’affidamento al soggetto gestore del servizio stesso e le modalità ammissibili per la sua gestione pubblica o privata, trattandosi di profili strettamente connessi alla tutela dell'ambiente che non possono ammettere trattamenti differenziati su base regionale (sentenze nn. 117/2015, 32/2015, 228/2013, 62/2012, 187/2011, 128/2011, 325/2010).

Più articolato e complesso risulta, invece, il riparto di competenze legislative tra lo Stato e le Regioni a statuto speciale, ad alcune delle quali le previsioni statutarie e le relative norme di attuazione riconoscono spazi di autonomia maggiori in materia di gestione delle risorse idriche (sent. n. 51/2016 e sent. n. 142/2015). Tali maggiori ambiti di autonomia devono, peraltro, essere esercitati nel rispetto dei limiti statutari, e in particolare dei limiti posti dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica.

Si riporta, a tale ultimo proposito, quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 229/2017, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 19 della legge della Regione siciliana n. 20/2016, che recava disposizioni in materia di denuncia dei pozzi: “La disciplina statale in materia di tutela delle acque deve essere ascritta all’area delle riforme economico-sociali, sia per il suo «contenuto riformatore», sia per la sua «attinenza a settori o beni della vita economico-sociale di rilevante importanza»  (sent. n. 323/1998). In un primo senso, infatti, si deve osservare che a partire dalla legge n. 36 del 1994 sino al d.lgs. n. 152 del 2006, il legislatore statale ha seguito un approccio innovativo e globale alla regolazione della materia, orientato non solo alla diretta salvaguardia dell’acqua in quanto tale, ma al governo della risorsa idrica con l’obiettivo di assicurarne un uso sostenibile, equilibrato, equo ed integrato, ai fini della più generale tutela dell’ambiente e degli ecosistemi ad essa correlati. Sotto il secondo aspetto, rileva l’importanza vitale della risorsa idrica, essenziale sia per il consumo umano che per la funzione di ausilio alla vita di tutte le specie animali e vegetali. L’indicazione dei criteri generali per un corretto e razionale uso dell’acqua risponde dunque a un interesse unitario che esige un’attuazione uniforme su tutto il territorio nazionale e non tollera discipline differenziate nelle sue diverse parti. Le istanze oggetto di dialettica e di bilanciamento nelle scelte ad essa relative – fabbisogno idrico, tutela dei corpi idrici e degli ecosistemi, biodiversità, necessità produttive dell’economia “idrodipendente” – non possono infatti che essere ponderate unitariamente con un’operazione che solo il legislatore statale può compiere. In questo contesto devono essere qualificate come «norme fondamentali delle riforme economico-sociali» non solo le disposizioni statali direttamente espressive del descritto modello regolatorio in tema di tutela delle acque, ma anche le previsioni, solo apparentemente di dettaglio, che siano collegate alle prime da un rapporto di coessenzialità o di necessaria integrazione”.

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

Il 1° febbraio 2018 la Commissione europea ha presentato la proposta di direttiva, COM(2017)753 di rifusione della vigente direttiva 98/83/Ce in materia di qualità delle acque destinate al consumo umano.

Negli intendimenti delle istituzioni UE, obiettivo della proposta di aggiornamento normativo è il miglioramento della qualità, sicurezza e salubrità dell’acqua potabile negli Stati membri a tutela della salute dei cittadini europei e in una prospettiva di minore impatto sull’ambiente, premesso che la Commissione UE ritiene “ottimo” l’attuale livello di accesso ad acque considerate sicure per il consumo umano nel territorio dell’Unione.

 

Sottolineando che i cittadini europei beneficiano di una grande facilità di accesso all’acqua potabile di alta qualità, soprattutto in confronto ad altre regioni del mondo, la Commissione europea osserva come questo risultato sia da ricondurre, oltre che alla gestione del patrimonio idrico da parte degli Stati membri, anche alla legislazione europea in materia di ambiente e ai finanziamenti europei (diversi Stati membri hanno migliorato i propri servizi idrici di base grazie ai fondi della politica di coesione. Nel periodo 2014-2020 gli investimenti dell’Unione nel settore idrico nell’ambito della politica di coesione ammontano a 14,8 miliardi di euro, consentendo un migliore approvvigionamento idrico per 12 milioni di persone).

 

La rifusione della direttiva 98/83/CE - già approvata dalla Commissione Ambiente del Parlamento europeo, che dovrebbe esaminarla in sessione plenaria entro la fine di ottobre 2018 – è dunque tesa ad aggiornare i parametri utilizzati per classificare e monitorare la qualità dell’acqua, anche alla luce delle nuove minacce ambientali, delle nuove conoscenze scientifiche e delle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità. Il testo prevede pertanto l’aggiornamento dei parametri di classificazione della qualità dell’acqua rivedendo quelli già contemplati dalla normativa vigente e aggiungendo nuovi parametri microbiologici (clostridium perfringens, batteri) o chimici (bisfenolo A, beta estradiolo, clorato, clorite, acidi aloacetici, microcistina, nonilfenolo, PFAS, uranio). Altri parametri aggiornati sono relativi alla distribuzione domestica (piombo e legionella).

Nella relazione che accompagna la proposta – con cui le istituzioni europee hanno dato seguito all’iniziativa "Right2Water" per un migliore accesso all’acqua potabile, sostenuta dalle firme di 1,6 milioni di cittadini europei - si ricorda altresì che il diritto all’acqua è ricompreso nel diritto di accedere a servizi essenziali di qualità, uno dei principi del pilastro europeo dei diritti sociali approvato all'unanimità dai Capi di Stato o di governo al vertice di Göteborg del 17 novembre 2017.

Tra le misure contemplate dalla proposta di rifusione della direttiva figura anche  la previsione che i fornitori comunichino informazioni chiare sul consumo idrico, sulla struttura dei costi e sul prezzo al litro dell’acqua corrente per consentire ai cittadini un confronto con il prezzo dell'acqua in bottiglia, con l’obiettivo dichiarato di incoraggiare l’uso dell’acqua di rubinetto per ridurre l'uso superfluo della plastica, limitare l'impronta di carbonio dell'UE, ridurre l’utilizzo di energia e le perdite di acqua evitabili. 

 

La revisione della normativa intende obbligare gli Stati membri a migliorare l'accesso all'acqua potabile per tutti i cittadini e in particolare per i gruppi più vulnerabili e marginali che, attualmente, hanno

difficoltà ad accedervi.

Tra le previsioni:

 

Nelle stime della Commissione europea le nuove misure potrebbero ridurre i potenziali rischi per la salute connessi all'acqua potabile dal 4% a meno dell'1%, mentre la riduzione del consumo di acqua in bottiglia consentirebbe alle famiglie europee di risparmiare oltre 600 milioni di euro l'anno, oltre a ridurre significativamente i rifiuti di plastica che ne derivano ed il conseguente inquinamento marino.

In questa prospettiva, le istituzioni europee ritengono la revisione della direttiva sull’acqua potabile un importante passo verso l'attuazione della strategia dell'UE sulla plastica COM(2018) 28, presentata il 16 gennaio 2018.

Come accennato, la proposta di rifusione della direttiva è stata esaminata dalla Commissione Ambiente del Parlamento europeo che l’ha approvata con alcune modifiche, tra cui si segnalano:

 

L’inserimento, all'articolo 1, paragrafo 2, dell’obiettivo di promuovere l'accesso universale all'acqua destinata al consumo umano. L’obiettivo della presente direttiva è proteggere la salute umana dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque destinate al consumo umano, garantendone la salubrità e la pulizia, e di promuovere l’accesso universale all’acqua destinata al consumo umano (Art. 1, par. 2).

 

Conseguentemente, è stato precisato l'obbligo per gli Stati membri di fornire l'accesso universale all’acqua potabile. Fatto salvo il principio del recupero dei costi dei servizi idrici presso gli utenti, stabilito dall’articolo 9 della direttiva 2000/60/CE, nonché il rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, gli Stati membri devono, tenute in considerazione le prospettive locali e regionali e le condizioni della distribuzione di acqua, adottare ogni misura necessaria a migliorare l’accesso universale all’acqua destinata al consumo umano e promuovere il suo utilizzo nel proprio territorio (art. 13, paragrafo 1).

 

Sono stati, infine, ampliati gli obblighi relativi alla raccolta di dati e l’accesso alle informazioni sulla qualità dell’acqua.


Contenuto

Di seguito si illustrano le disposizioni delle proposte di legge C. 52 e C. 773, che sono raggruppate per materie omogenee al fine di facilitare un’analisi comparata delle norme in esame.

Si tratta di proposte di legge che ripropongono, in larga parte, disposizioni contenute in proposte già presentate ed esaminate nel corso della legislatura precedente. Appare quindi necessario richiamare, in estrema sintesi, l’attività parlamentare svolta, in proposito, nel corso della XVII legislatura.

 

Nella seduta del 4 giugno 2015, la Commissione VIII (Ambiente) della Camera ha iniziato l'esame della proposta di legge C. 2212/XVII (recante "Princìpi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico, nonché delega al Governo per l'adozione di tributi destinati al suo finanziamento"), avente come finalità quella di dettare i principi con cui deve essere utilizzato, gestito e governato il patrimonio idrico nazionale, nonché quella di favorire la definizione di un governo pubblico e partecipativo del ciclo integrato dell'acqua, in grado di garantirne un uso sostenibile e solidale.

Al termine dell'esame in VIII Commissione, la proposta di legge è stata oggetto di modifiche e conseguentemente il titolo è stato cambiato in "Princìpi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque". 

Al fine di acquisire elementi informativi utili per l'esame della proposta di legge, nel secondo semestre del 2015 la Commissione VIII ha svolto un ciclo di audizioni informali, nel corso delle quali è stata acquisita la documentazione consegnata dai soggetti auditi. La proposta di legge è stata altresì oggetto di un documento, approvato il 20 ottobre 2015 dalla Conferenza delle Regioni, che contiene una serie di osservazioni. Nella seduta del 3 febbraio 2016, presso la medesima Commissione, si è tenuta l'audizione del Ministro dell'ambiente, che ha consegnato un documento che analizza le disposizioni della proposta di legge n. 2212.

Dopo essere stato profondamente modificato, il testo, approvato dall'Assemblea della Camera nella seduta del 20 aprile 2016, è stato trasmesso al Senato (A.S. 2343/XVII).

Su tale testo la 13a Commissione ha svolto nei mesi di giugno, luglio e settembre 2016 una serie di audizioni informali. Il disegno di legge non ha però concluso il necessario iter di approvazione.

Si fa altresì notare che le proposte di legge citate ripropongono, almeno in parte, disposizioni che erano già contenute nella proposta di legge di iniziativa popolare n. 2 della XVI legislatura, che era stata esaminata dall’VIII Commissione (Ambiente) congiuntamente con le proposte di legge di iniziativa parlamentare n. 1951 e n. 3865.

 

Le disposizioni della pdl C. 52, oggetto del presente dossier, ripropongono in buona parte le norme del testo iniziale della proposta n. 2212/XVII, mentre quelle recate dalla pdl C. 773 sono pressoché identiche (salvo qualche differenza per lo più dovuta alla necessità di dover tener conto di modifiche legislative incidenti sulle tematiche trattate dalla proposta di legge) a quelle del testo approvato dalla Camera e trasmesso al Senato (vale a dire all’A.S. 2343/XVII).

 

Breve analisi comparativa delle principali disposizioni dettate dalle proposte di legge in esame e delle finalità da esse perseguite

Le proposte di legge in esame hanno la stessa finalità (dichiarata espressamente nell’art. 1 di entrambi i testi), che è quella di dettare i princìpi con cui deve essere utilizzato, gestito e governato il patrimonio idrico nazionale, nonché quella di favorire la definizione di un governo pubblico e partecipativo del ciclo integrato dell'acqua, in grado di garantirne un uso sostenibile e solidale.

Tale finalità comune è però perseguita con modalità differenti dalle due pdl: mentre la pdl C. 773 si mantiene entro il percorso segnato dalla normativa vigente, l’A.C. 52 opera scelte che spesso invertono la direzione finora seguita in materia.

Ciò accade a partire dalla governance del servizio idrico integrato (SII): mentre la pdl C. 773 conferma l’attuale quadro organizzativo, il comma 3 dell’art. 4 dell’A.C. 52 prevede l’istituzione di un consiglio di bacino, quale ente di governo dell'ambito territoriale ottimale (ATO), in sostituzione degli attuali enti di governo dell’ATO (EGATO).

Entrambe le proposte poi intervengono sulla delimitazione degli ATO, in particolare sulla norma secondo cui gli ambiti sub-regionali devono comunque essere non inferiori agli ambiti territoriali corrispondenti alle province o alle città metropolitane. In luogo di tale limite, l’A.C. 773 prevede il rispetto dei criteri stabiliti dal Codice dell’ambiente, mentre l’A.C. 52 è invece volto ad un rovesciamento della norma citata, prevedendo che l’affidamento avvenga in ambiti non superiori agli ambiti territoriali corrispondenti alle province o alle città metropolitane.

Alcune disposizioni dell’A.C. 52 sono finalizzate ad eliminare le modifiche apportate dal c.d. decreto-legge sblocca Italia (D.L. 133/2014) alla disciplina del SII. Una di esse, in particolare, è volta a ripristinare il requisito dell’unitarietà della gestione, in luogo di quello (introdotto dal D.L. 133/2014) dell’unicità.

Le proposte divergono, inoltre, sulla qualificazione del SII: mentre l’A.C. 773 conferma la sua natura di servizio pubblico locale di interesse economico generale assicurato alla collettività, l’A.C. 52 considera il SII un servizio pubblico locale di interesse generale (ma non economico) e non destinato ad essere collocato sul mercato in regime di concorrenza.

Conseguentemente, l’art. 10, comma 2, dell’A.C. 52 prevede che l’affidamento del SII avvenga esclusivamente in favore di enti di diritto pubblico. L’A.C. 773 invece si limita a precisare che l’affidamento diretto a favore di società interamente pubbliche, in possesso dei requisiti prescritti dall'ordinamento europeo per la gestione in house, comunque partecipate dagli enti locali ricadenti nell'ATO, rappresenta la modalità di affidamento prioritaria.

Nell’A.C. 52 sono quindi contenute disposizioni finalizzate alla ripubblicizzazione della gestione del SII con cui si prevede, tra l’altro, la decadenza automatica di tutte le forme di gestione affidate in concessione a privati con scadenza posteriore al 31 dicembre 2020.

Il tema delle concessioni di prelievo di acque è invece affrontato da entrambe le proposte di legge, ma mentre la pdl C. 773 prevede una disposizione di delega al Governo, l’art. 5 dell’A.C. 52 detta una disciplina direttamente applicabile.

Ulteriori differenze si riscontrano nell’assetto delle funzioni di governo pubblico del ciclo dell'acqua: mentre l’A.C. 773 si limita in buona parte a ribadire l’attuale attribuzione di competenze, l’A.C. 52 prevede, tra l’altro, il trasferimento al Ministero dell'ambiente delle funzioni di regolazione e di controllo dei servizi idrici attualmente attribuite all'ARERA, nonché l’istituzione di un Comitato interministeriale a cui sono attribuite le competenze relative alla programmazione delle grandi opere infrastrutturali a livello di reti idrauliche di rilievo nazionale nonché all'acqua per uso umano, comprese le bevande, e per usi produttivi ed energetici.

Un aspetto rilevante, comune a entrambe le proposte di legge, è la definizione del “quantitativo minimo vitale garantito”: l’art. 3, comma 4, dell’A.C. 52 prevede l'erogazione gratuita (con costi a carico della fiscalità generale), per l'alimentazione e l'igiene umana, di 50 litri per persona al giorno.

L’art. 7 dell’A.C. 773 demanda invece l’individuazione del quantitativo minimo vitale ad un apposito D.P.C.M., nel limite massimo di 50 litri giornalieri per persona.

Quanto sopra si riflette sul finanziamento del SII che, per l’A.C. 52, è assicurato non solo dalla tariffa e dalle risorse nazionali ed europee (come prevede la normativa vigente e l’A.C. 773), ma anche dalla fiscalità generale.

Ulteriori differenze si riscontrano riguardo ai casi di morosità: mentre l’A.C. 773 sembra consentire la prosecuzione della fornitura solamente per i soggetti in condizioni disagiate (in linea con quanto previsto dalla normativa vigente), l’A.C. 52 impedisce la sospensione dell’erogazione del quantitativo minimo vitale.

Entrambe le proposte di legge, infine, prevedono disposizioni per favorire la partecipazione democratica ai processi di governo del SII, nonché l’istituzione di un Fondo nazionale di solidarietà internazionale.

 


 

Finalità (art. 1 C. 52; art. 1 C. 773)

L’art. 1, che ha un testo identico in entrambe le proposte di legge in esame, individua, quali finalità del provvedimento, quella di dettare – ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettere m) e s), Cost. – i principi con cui deve essere utilizzato, gestito e governato il patrimonio idrico nazionale, nonché quella di favorire la definizione di un governo pubblico e partecipativo del ciclo integrato dell'acqua, in grado di garantirne un uso sostenibile e solidale.

Viene altresì precisato che l’obiettivo del governo pubblico e partecipativo del ciclo integrato dell’acqua deve essere perseguito nel quadro delle politiche complessive di tutela e di gestione del territorio.

Si ricorda che le richiamate lettere m) e s) dell’art. 117 Cost. attribuiscono alla competenza legislativa statale la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” e la “tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali”.

 

Princìpi generali (art. 2 C. 52; art. 2, commi 1-2, C. 773)

Diritto all’acqua

Il comma 1 dell’art. 2 di entrambe le pdl qualifica il diritto all'acqua potabile di qualità nonché ai servizi igienico-sanitari come diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani, come sancito dalla risoluzione dell'ONU del 26 luglio 2010.

Si ricorda che “Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell'acqua e delle strutture igienico-sanitarie” rappresenta uno dei 17 obiettivi individuati dal documento intitolato “Trasformare il nostro mondo. L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile” adottato dai Capi di Stato in occasione del Summit sullo Sviluppo Sostenibile del 25-27 settembre 2015. Tale documento ha infatti fissato gli impegni per lo sviluppo sostenibile da realizzare entro il 2030, individuando 17 Obiettivi (SDGs - Sustainable Development Goals) e 169 target.

Coerentemente con gli impegni sottoscritti nel settembre del 2015, l’Italia si è impegnata a declinare gli obiettivi strategici dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile nell’ambito della programmazione economica, sociale ed ambientale: si è così pervenuti all’approvazione della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, avvenuta con la delibera CIPE n. 108/2017 (pubblicata nella G.U. n. 111/2018).

 

Nell’art. 1 dell’A.C. 52 viene altresì stabilito che la responsabilità primaria dello Stato di garantire la piena realizzazione del diritto all'acqua e ai servizi igienico-sanitari resta ferma indipendentemente dal regime giuridico prescelto per la gestione del servizio idrico.

 

Carattere pubblico, non mercificabile e solidaristico della risorsa

In entrambe le pdl (art. 2, comma 2) viene statuito il principio secondo cui tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche e non mercificabili e costituiscono una risorsa che va salvaguardata e utilizzata secondo criteri di solidarietà. Viene altresì disposto che qualsiasi uso delle acque è effettuato salvaguardando le aspettative e i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale.

Si tratta di disposizioni analoghe a quelle già contenute nell’art. 144, commi 1 e 2, del D.Lgs. 152/2006, ove si dispone che “Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato” (comma 1) e che “Le acque costituiscono una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà; qualsiasi loro uso è effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale”.

Si valuti pertanto l’opportunità di un coordinamento con le disposizioni vigenti dell’art. 144 del Codice dell’ambiente.

 

Un tale coordinamento, seppur parziale, è operato dal comma 4 dell’art. 2 della pdl C. 773, che modifica il comma 1 dell’art. 144 al fine di precisare che tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche, oltre che (come prevede già il testo vigente) appartenenti al demanio dello Stato.

 

Entrambe le proposte considerano, quale elemento fondativo indispensabile, la conoscenza della risorsa idrica, della sua qualità e della sua effettiva disponibilità.

Si ricorda, in proposito, che l’art. 120 del Codice prevede che le regioni elaborano ed attuano programmi per la conoscenza e la verifica dello stato qualitativo e quantitativo delle acque superficiali e sotterranee all'interno di ciascun bacino idrografico.

Sotto il profilo della formulazione del testo, si valuti l’opportunità di riformulare la disposizione utilizzando l’indicativo presente e non il futuro semplice.


 

Princìpi per l’uso dell’acqua (art. 3 C. 52; art. 2, commi 2-4, e art. 9 C. 773)

Risparmio e rinnovo

In base al comma 1 dell’art. 3 dell’A.C. 52 e all’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 2 dell’A.C. 773, gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio e al rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrogeologici.

Si tratta di una disposizione che riproduce, nella sostanza, quanto attualmente disposto dall’art. 144, comma 3, del Codice, secondo cui “La disciplina degli usi delle acque è finalizzata alla loro razionalizzazione, allo scopo di evitare gli sprechi e di favorire il rinnovo delle risorse, di non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la piscicoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici”.

Si valuti pertanto l’opportunità di un coordinamento con le disposizioni vigenti dell’art. 144 del Codice dell’ambiente.

Principi di precauzione, sostenibilità e tutela dell’acqua come bene comune

Nel comma 1 dell’art. 3 dell’A.C. 52 viene altresì specificato che gli usi delle acque devono avvenire nel rispetto dei princìpi di precauzione, sostenibilità e tutela dell'acqua come bene comune.

Si ricorda che i principi di precauzione e di sostenibilità (dello sviluppo sostenibile) sono già considerati, dagli articoli 3-ter e 3-quater del Codice, come principi informatori dell’azione ambientale.

Mentre l’art. 3-ter si limita a richiamare il principio di precauzione sancito a livello europeo (e citato nell’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’UE), l’art. 3-quater detta una specifica disciplina che, in particolare, dispone che “ogni attività umana giuridicamente rilevante ai sensi del presente codice deve conformarsi al principio dello sviluppo sostenibile, al fine di garantire che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non possa compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future” e che “data la complessità delle relazioni e delle interferenze tra natura e attività umane, il principio dello sviluppo sostenibile deve consentire di individuare un equilibrato rapporto, nell'ambito delle risorse ereditate, tra quelle da risparmiare e quelle da trasmettere, affinché nell'ambito delle dinamiche della produzione e del consumo si inserisca altresì il principio di solidarietà per salvaguardare e per migliorare la qualità dell'ambiente anche futuro”.

 

Il comma 2 dell’art. 3 della pdl C. 52 dispone che nel settore dei servizi idrici è vietato sottoscrivere accordi di liberalizzazione che non garantiscano la piena realizzazione del diritto umano all'acqua e la tutela della risorsa idrica.

Criteri di priorità degli usi

Il comma 3 dell’art. 3 dell’A.C. 52 e la lettera b), capoverso 4, del comma 4 dell’art. 2 dell’A.C. 773 dettano invece il principio della priorità per l'alimentazione e per l'igiene umane rispetto agli “altri usi” del medesimo corpo idrico superficiale o sotterraneo. Gli altri usi sono ammessi quando la risorsa è sufficiente e a condizione che non ledano la qualità dell'acqua per il consumo umano.

Si tratta di una disposizione che, benché più ampia, ripropone nella sostanza quanto attualmente previsto dall’art. 144, comma 4, del Codice, secondo cui “Gli usi diversi dal consumo umano sono consentiti nei limiti nei quali le risorse idriche siano sufficienti e a condizione che non ne pregiudichino la qualità”.

Si valuti l’opportunità di intervenire con la tecnica della novella, modificando il comma 4 dell’art. 144 del Codice dell’ambiente (come previsto dall’art. 2, co. 4, dell’A.C. 773).

 

Il comma 5 dell’art. 3 dell’A.C. 52 e la lettera b), capoverso 4.1, del comma 4 dell’art. 2 dell’A.C. 773 dispongono che l’uso dell'acqua per l'agricoltura e per l'alimentazione animale è prioritario rispetto ai rimanenti usi.

Si valuti l’opportunità di intervenire con la tecnica della novella, integrando le previsioni dell’art. 144 del Codice dell’ambiente (come effettuato dall’A.C. 773) e disponendo un coordinamento con le previsioni in parte analoghe recate dal vigente testo dell’art. 167, comma 1, del medesimo Codice.

 

L’art. 167, comma 1, del D.Lgs. 152/200, dispone infatti che nei periodi di siccità e comunque nei casi di scarsità di risorse idriche, durante i quali si procede alla regolazione delle derivazioni in atto, deve essere assicurata, dopo il consumo umano, la priorità dell'uso agricolo ivi compresa l'attività di acquacoltura.

 

Nel citato capoverso 4.1 del comma 4 dell’art. 2 dell’A.C. 773 viene altresì disposto che l’utilizzo dell'acqua per l'agricoltura e per l'alimentazione animale deve essere reso efficiente tramite l'adozione di tutte le migliori tecniche e dei metodi disponibili al fine di limitare il più possibile gli sprechi a parità di risultato atteso.

 

Viene, inoltre, stabilito che deve essere favorito l'impiego dell'acqua di recupero, in particolare di quella derivante da processi di depurazione delle acque piovane e di trattamento delle acque di prima pioggia (comma 6 dell’art. 3 dell’A.C. 52 e lettera b), capoverso 4.2, del comma 4 dell’art. 2 dell’A.C. 773).

Tale disposizione si applica, nella formulazione adottata dall’A.C. 773, per gli usi diversi da quelli prioritari suindicati (cioè per gli usi non destinati all’alimentazione e all'igiene umane, né all’agricoltura e all’alimentazione animale), mentre per l’A.C. 52 si applica a tutti gli usi diversi dal consumo umano. Nell’A.C. 52 viene altresì precisato che l’impiego dell’acqua di recupero deve avvenire compatibilmente con le caratteristiche della stessa.

Si fa notare che tale principio è alla base della disposizione di carattere tariffario contenuta nell’art. 155 del decreto legislativo n. 152/2006, relativo alla tariffa del servizio di fognatura e depurazione. Il comma 6 di tale articolo, infatti, allo scopo di incentivare il riutilizzo di acqua reflua o già usata nel ciclo produttivo, prevede che la tariffa per le utenze industriali sia ridotta in funzione dell'utilizzo nel processo produttivo di acqua reflua o già usata.

Si ricorda che un principio generale analogo è contenuto nell’art. 99 del medesimo decreto, il cui comma 2 prevede che le regioni, nel rispetto dei principi della legislazione statale, adottino norme e misure volte a favorire il riciclo dell'acqua e il riutilizzo delle acque reflue depurate.

Occorre altresì rammentare la disposizione di cui all’art. 98, comma 1, del Codice, secondo cui “Coloro che gestiscono o utilizzano la risorsa idrica adottano le misure necessarie all'eliminazione degli sprechi ed alla riduzione dei consumi e ad incrementare il riciclo ed il riutilizzo, anche mediante l'utilizzazione delle migliori tecniche disponibili”.

Si ricorda, altresì, l’art. 104, comma 8, del decreto legislativo n. 152/2006 secondo cui (al di fuori delle ipotesi contemplate dal medesimo articolo) gli scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, esistenti e debitamente autorizzati, devono essere convogliati in corpi idrici superficiali ovvero destinati, ove possibile, al riciclo, al riutilizzo o all'utilizzazione agronomica. Una disposizione analoga è contenuta nell’art. 103, comma 2.

Si valuti l’opportunità che il principio della preferenza per l’impiego dell’acqua di recupero sia introdotto in forma di novella all’art. 144 del Codice dell’ambiente, operando altresì un coordinamento con le altre disposizioni del Codice incidenti su tale profilo.

 

Reciprocità e aiuto tra bacini idrografici

L'uso dell'acqua per l’alimentazione e per l’igiene umana (in quanto prioritario, per quanto sancito dalle disposizioni commentate in precedenza) deve essere sempre garantito, anche attraverso politiche di pianificazione degli interventi che consentano reciprocità e mutuo aiuto tra bacini idrografici con disparità di disponibilità della risorsa (comma 3 dell’art. 3 dell’A.C. 52 e lettera b), capoverso 4, del comma 4 dell’art. 2 dell’A.C. 773).

Si fa notare che, a fini di coordinamento con la normativa vigente, nel comma 5 dell’art. 2 dell’A.C. 773 viene operata una novella al disposto dell’art. 65, comma 3, del D.Lgs. 152/2006, volta ad aggiungere, tra i contenuti del piano di bacino da esso disciplinati, le eventuali misure per garantire un uso reciproco e solidale delle risorse idriche tra bacini idrografici con disparità di disponibilità della risorsa.

Quantitativo minimo vitale garantito

Entrambe le pdl prevedono che l’erogazione giornaliera di acqua per l'alimentazione e l'igiene umana debba soddisfare un quantitativo minimo vitale garantito di 50 litri per persona (art. 3, comma 4, A.C. 52; art. 2, comma 3, A.C. 773)

Le stesse disposizioni stabiliscono che il costo della fornitura di tale quantitativo minimo, considerato diritto umano universale, è a carico della fiscalità generale.

Si fa altresì notare che il terzo periodo del comma 3 dell’art. 2 dell’A.C. 773 rinvia all’art. 7 per una disciplina più dettagliata del quantitativo in questione.

Misurazione di tutti i prelievi

Il comma 7 dell’art. 3 dell’A.C. 52 dispone che tutti i prelievi di acqua devono essere misurati a mezzo di un contatore conforme alla normativa dell'UE, fornito dall'autorità competente e installato a cura dell'utilizzatore secondo i criteri stabiliti dall'autorità stessa.

Si rammenta che l’art. 146 del D.Lgs. n. 152/2006 prevede che le regioni, entro un anno dall’entrata in vigore del decreto, sentita l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, adottino norme e misure volte a razionalizzare i consumi e eliminare gli sprechi ed in particolare, tra l’altro, ad “installare contatori per il consumo dell'acqua in ogni singola unità abitativa nonché contatori differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano” (lettera f). Il successivo comma 2 prevede, inoltre, che il rilascio del permesso di costruire è subordinato alla previsione, nel progetto, dell'installazione di contatori per ogni singola unità abitativa.

Si valuti l’opportunità di un coordinamento delle disposizioni in commento con la parte terza del cd. Codice dell’ambiente.

Incentivazione dell’uso dell’acqua del rubinetto da parte degli esercizi commerciali

L’art. 3, comma 8, dell’A.C. 52 prevede che, al fine di ridurre l'inquinamento ambientale e la produzione di rifiuti, i comuni - nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente - incentivino gli esercizi commerciali in possesso di regolare licenza per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande a servire gratuitamente ai clienti acqua potabile che fuoriesce dai rubinetti utilizzati per il consumo umano.

Una disposizione analoga è contenuta nell’art. 9 dell’A.C. 773, con la differenza, sostanziale, che viene eliminato l’avverbio “gratuitamente”: la disposizione, quindi, si limita a prevedere che i comuni incentivino gli esercizi commerciali a servire ai clienti acqua potabile che fuoriesce dal rubinetto.

 

Si segnala che l’articolo in commento – che riproduce integralmente il contenuto dell’art. 9 dell’A.C. 2212 (su cui v. infra), approvato dall’Assemblea della Camera nel corso della XVII legislatura, nella seduta del 20 aprile 2016. (A.S. 2343) – è stato introdotto nel corso dell’esame parlamentare alla Camera. La finalità della norma è quella di promuovere l’utilizzo di acqua potabile negli esercizi commerciali.

Si segnala al riguardo che è prassi invalsa in alcuni Comuni, seppure attraverso differenti modalità, incentivare il consumo di acqua potabile del rubinetto anziché acqua in bottiglia. Ad esempio, il Comune di Ancona, con una mozione recante Incentivazione all'utilizzo dell'acqua del rubinetto, approvata nel giugno 2012, si è impegnato a: utilizzare acqua del rubinetto negli uffici pubblici; sensibilizzare la popolazione all’utilizzo dell'acqua fornita dal sistema idrico locale; attuare un’adeguata campagna informativa in tal senso; installare dei punti di distribuzione di acqua alla spina (c.d. Fontane tecniche). Tale mozione, tuttavia, non contempla incentivi mirati per gli esercizi commerciali.

Anche presso numerosi comuni lombardi, in primis il comune di Brescia, si sono svolte campagne di promozione dell’uso di acqua minerale da parte delle utenze domestiche – non, però, da parte degli esercizi commerciali – attraverso una forma indiretta di incentivo, ossia l’installazione diffusa sul territorio di “fontanelli” pubblici.

L’ISTAT, in occasione della Giornata mondiale dell'acqua (22 marzo), ha fornito un quadro di sintesi delle principali statistiche relative all’utilizzo e alla propensione al consumo delle risorse idriche.

In particolare, lo studio rileva che nel 2017, una famiglia su 10 (il 10,1 per cento) lamenta irregolarità nel servizio di erogazione dell'acqua nella propria abitazione e circa una su 3 (il 29,1 per cento) dichiara di non fidarsi a bere l'acqua di rubinetto. Le famiglie che dichiarano di non fidarsi a bere l’acqua di rubinetto rappresentano ancora una quota considerevole, nonostante il progressivo miglioramento degli ultimi quindici anni: dal 40,1 per cento nel 2002 al 29,1 per cento nel 2017 (29,9 per cento nel 2016). Tale sfiducia riguarda 7,4 milioni di famiglie e presenta una marcata variabilità territoriale. Le percentuali più elevate si rilevano in Sardegna (54,8 per cento), Sicilia (53,2 per cento) e Calabria (48,9 per cento). Seguono, a notevole distanza, Umbria (37,3 per cento), Molise (33,8 per cento), Toscana (33,1 per cento) e Campania (32,8 per cento). La quota più bassa di famiglie che non si fidano a bere l’acqua di rubinetto si rileva, invece, nel Nord-est (18,6 per cento); di poco superiore la percentuale del Nord-ovest (24,1 per cento).

Si segnala al riguardo che l’ordinanza del Ministro salute 3 aprile 2002 contempla, tra i requisiti che devono rispettare le attività di somministrazione di alimenti e bevande, anche una “adeguata erogazione di acqua potabile” (art. 7, co. 1, lett. e) dell’ordinanza). Le apparecchiature per il trattamento di acque potabili impiegate in pubblici servizi, peraltro, devono sottostare all'applicazione dei principi del sistema di analisi dei pericoli e dei punti critici di controllo (HACCP) contenuti al regolamento (CE) n. 852/2004 sull'igiene dei prodotti alimentari che definisce acqua potabile l'acqua rispondente ai requisiti minimi fissati nella direttiva 98/83/CE (recepita dal D.Lgs. n. 31/2001) sulla qualità delle acque destinate al consumo umano. Si ricorda inoltre che il Decreto del Ministro della salute del 7 febbraio 2012, n. 25, Disposizioni tecniche concernenti apparecchiature finalizzate al trattamento dell'acqua destinata al consumo umano, ha stabilito le prescrizioni tecniche relative alle apparecchiature per il trattamento dell'acqua destinata al consumo umano e distribuita sia in ambito domestico sia in ambito non domestico.

 

Ove si intenda attribuire alla disposizione un contenuto precettivo e non meramente programmatico, si valuti l’opportunità di specificare i meccanismi attraverso i quali i comuni possano rendere operativa l’incentivazione.


 

Principi relativi alla tutela e alla pianificazione (art. 4, commi 1-3, C. 52; art. 3, comma 1, C. 773)

Distretto idrografico quale dimensione ottimale di governo

In entrambe le pdl (art. 4, comma 1, A.C. 52; art. 3, comma 1, A.C. 773) viene stabilito che i distretti idrografici definiti dal Codice dell’ambiente costituiscono la dimensione ottimale di governo e di gestione dell'acqua.

Invece di far riferimento alla gestione, in realtà il comma 1 dell’art. 3 dell’A.C. 773 considera il distretto (richiamando la delimitazione operata dall’art. 64 del Codice, in aggiunta alla definizione di distretto contenuta nell’art. 54, comma 1, lettera t) che viene richiamata anche dalla pdl C. 52) quale dimensione ottimale di governo, pianificazione e tutela delle acque. La medesima disposizione dell’A.C. 773 dispone che per ogni distretto idrografico si provvede secondo quanto stabilito dall'art. 63 del Codice.

Vale la pena richiamare le seguenti definizioni dettate dalle lettere r), s) e t) del comma 1 dell’art. 54 del D.Lgs. 152/2006:

r) bacino idrografico: il territorio nel quale scorrono tutte le acque superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi ed eventualmente laghi per sfociare al mare in un'unica foce, a estuario o delta;

s) sottobacino o sub-bacino: il territorio nel quale scorrono tutte le acque superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi ed eventualmente laghi per sfociare in un punto specifico di un corso d'acqua, di solito un lago o la confluenza di un fiume;

t) distretto idrografico: area di terra e di mare, costituita da uno o più bacini idrografici limitrofi e dalle rispettive acque sotterranee e costiere che costituisce la principale unità per la gestione dei bacini idrografici.

I distretti idrografici in cui è ripartito l’intero territorio nazionale sono definiti dall’art. 64 del Codice. L’art. 63 del medesimo decreto legislativo prevede che ciascun distretto idrografico sia governato da un'Autorità di bacino distrettuale.

Riforma della governance dei distretti idrografici

Dopo il comma 1, che come si è visto ha contenuto analogo in entrambe le proposte di legge, i commi successivi dell’art. 4 della pdl C. 52 e dell’art. 3 della pdl C. 773 divergono sensibilmente.

I commi 2 e 3 dell’art. 4 dell’A.C. 52 sono orientati ad una riforma dell’attuale governance distrettuale, mentre i commi successivi al primo dell’art. 3 dell’A.C. 773 dettano disposizioni sul servizio idrico integrato e (al comma 4) anticipano il tema delle concessioni di prelievo di acque, che l’A.C. 52 affronta in uno specifico articolo (l’articolo 5). Di seguito si illustra quindi il contenuto dei soli commi 2 e 3 citati, mentre le altre disposizioni vengono commentate nei paragrafi successivi.

 

In base al comma 2 dell’art. 4 dell’A.C. 52, per ogni distretto idrografico, composto da uno o più bacini e sottobacini idrografici, è istituita un'autorità di distretto, con compiti di coordinamento fra i vari enti territoriali e locali che ne fanno parte.

Alla medesima autorità viene affidato il compito di provvedere alla definizione del piano di gestione (sulla base del bilancio idrico) e al suo aggiornamento periodico, nonché alla definizione degli strumenti di pianificazione concernenti la gestione dell'acqua e del territorio. Il piano di gestione costituisce una parte del piano di bacino distrettuale.

Si ricorda che l’art. 117 del d.lgs. 152/2006 stabilisce che per ciascun distretto idrografico è adottato un piano di gestione, che rappresenta articolazione interna del piano di bacino distrettuale. Il piano di gestione costituisce pertanto piano stralcio del piano di bacino e viene adottato e approvato secondo le procedure stabilite per quest'ultimo dal citato decreto.

Si ricorda altresì che in base al comma 10 dell’art. 63 del Codice dell’ambiente, le autorità di bacino provvedono, tenuto conto delle risorse finanziarie previste a legislazione vigente, a elaborare il Piano di bacino distrettuale e i relativi stralci, tra cui il piano di gestione del bacino idrografico.

Del bilancio idrico si occupa invece l’art. 145 del D.Lgs. n. 152/2006, secondo cui l'autorità di bacino competente definisce ed aggiorna periodicamente il bilancio idrico diretto ad assicurare l'equilibrio fra le disponibilità di risorse reperibili o attivabili nell'area di riferimento ed i fabbisogni per i diversi usi.

Ciò premesso, appare opportuno un coordinamento con la disciplina contenuta nella parte terza del Codice dell’ambiente.

 

Il comma 3 dell’art. 4 dell’A.C. 52 prevede l’istituzione di un consiglio di bacino, quale ente di governo dell'ambito, di cui fanno parte le province, i comuni o le loro unioni e le comunità montane che appartengono al bacino di riferimento.

Tale istituzione è prevista in ogni bacino o sub-bacino idrografico (come definiti dal Codice) individuato dalle regioni tenendo conto dei princìpi dell'unità del bacino o del sub-bacino idrografico ovvero dei bacini idrografici contigui e dell'unitarietà della gestione del servizio idrico integrato.

Lo stesso comma disciplina i compiti del consiglio di bacino, prevedendo che esso provvede alla:

- definizione e approvazione del piano di ambito o di bacino;

- modulazione della tariffa per gli usi idropotabili e per gli usi produttivi e delle concessioni di prelievo, in funzione del bilancio idrico;

- elaborazione, in raccordo con l'autorità di distretto, del bilancio idrico di bacino sulla base della conoscenza effettiva della risorsa idrica disponibile.

 

Lo stesso comma dispone che al consiglio di bacino sono trasferite le competenze in materia di servizio idrico integrato assegnate agli ambiti territoriali ottimali di cui agli articoli 147 e seguenti del D.Lgs. 152/2006 e quelle relative ai consorzi di bonifica e irrigazione.

 

Considerato che le disposizioni in commento prevedono un organo (il consiglio di bacino) che è destinato a sostituire l’ente di governo dell’ambito territoriale ottimale, andrebbe valutata l’opportunità di un coordinamento con la relativa disciplina contenuta nella parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006.

 

Bilancio idrico e qualità dei corpi idrici

Il comma 8 dell’art. 4 dell’A.C. 52 dispone che devono essere garantiti la conservazione o il ripristino, per tutti i corpi idrici, di uno stato di qualità vicino a quello naturale, nel rispetto dei termini previsti dalla c.d. direttiva acque (direttiva 2000/60/CE) attraverso il controllo e la regolazione degli scarichi idrici, nonché l'uso corretto e razionale delle acque e del territorio.

Si ricorda in proposito che le disposizioni sugli obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione delle acque sono contenuti, nella legislazione vigente, negli artt. 76 e segg. del D.Lgs. 152/2006. Il termine per il rispetto dei citati obiettivi era il 22 dicembre 2015 (in accordo con il termine “entro 15 anni dall'entrata in vigore della presente direttiva” stabilito nella direttiva 200/60/CE).

Si valuti l’opportunità di chiarire il riferimento allo “stato di qualità vicino a quello naturale”, posto che la classificazione dello stato ecologico dei corpi idrici contenuta nell’Allegato V alla direttiva cd. acque (corrispondente all’Allegato 1 alla parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006) fa riferimento agli stati “elevato”, “buono” e “sufficiente” per le acque superficiali e definisce lo stato “buono” con riferimento alle acque sotterranee.

 

Il comma 9 dell’art. 4 dell’A.C. 52 demanda ad un apposito decreto del Ministro dell'ambiente (che dovrà essere emanato entro 6 mesi dall’entrata in vigore della presente legge, sentita la Conferenza Stato-Regioni) la definizione delle modalità per la redazione e per l'approvazione dei bilanci idrici di distretto e i criteri per la loro redazione, secondo i princìpi contenuti nella direttiva 2000/60/CE, al fine di assicurare:

- la salvaguardia del diritto all'acqua come previsto dall'art. 2, comma 2;

- l'equilibrio tra prelievi e capacità naturale di ricostituzione del patrimonio idrico;

- la presenza di una quantità minima di acqua, anche in relazione alla naturale dinamica idrogeologica ed ecologica, necessaria a permettere il mantenimento di biocenosi autoctone e il raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale, per garantire la tutela e la funzionalità degli ecosistemi acquatici naturali.

 

Si ricorda che l’art. 145 del Codice disciplina l’equilibrio del bilancio idrico, prevedendo che l'Autorità di bacino competente definisca ed aggiorni periodicamente il bilancio idrico diretto ad assicurare l'equilibrio fra le disponibilità di risorse reperibili o attivabili nell'area di riferimento ed i fabbisogni per i diversi usi (nel rispetto dei criteri e degli obiettivi di cui all'articolo 144) e che la stessa autorità, per assicurare l'equilibrio tra risorse e fabbisogni, adotti, per quanto di competenza, le misure per la pianificazione dell'economia idrica in funzione degli usi cui sono destinate le risorse. Inoltre, in base al comma 3 dell’art. 145, “nei bacini idrografici caratterizzati da consistenti prelievi o da trasferimenti, sia a valle che oltre la linea di displuvio, le derivazioni sono regolate in modo da garantire il livello di deflusso necessario alla vita negli alvei sottesi e tale da non danneggiare gli equilibri degli ecosistemi interessati”.

Ciò premesso, si valuti l’opportunità di prevedere un coordinamento con la disciplina contenuta nella parte terza del Codice dell’ambiente (e in particolare con l’articolo 145 del Codice).

 

Il comma 10 dell’art. 4 dell’A.C. 52 vieta attività, interventi e prelievi che possano generare un impatto ambientale, anche lieve, sui corpi idrici o sugli habitat interessati, portando a un'alterazione dello stato qualitativo o quantitativo delle acque, o che influiscano sul bilancio idrico o sul raggiungimento degli obiettivi di qualità del corpo idrico, anche considerando gli impatti cumulativi.

La disposizione precisa che sono fatti salvi le attività di manutenzione finalizzate all'adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell'ambiente, nonché le operazioni finali di ripristino ambientale e gli interventi necessari alla mitigazione degli effetti connessi al fenomeno della siccità.

Si tratta di una disposizione che sembra riprendere quanto statuito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE, la quale ha precisato che sussiste un deterioramento dello stato di un corpo idrico superficiale, che deve essere impedito dagli Stati membri (ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), i), della direttiva 2000/60/CE), quando lo stato di almeno uno degli elementi di qualità ai sensi dell’allegato V di detta direttiva si degradi di una classe, anche laddove tale deterioramento non si traduca in un deterioramento nella classificazione, nel complesso, del corpo idrico superficiale. Tuttavia, nel caso in cui l’elemento di qualità di cui trattasi, ai sensi di tale allegato, si trovi già nella classe più bassa, qualunque deterioramento di detto elemento costituisce un deterioramento dello stato di un corpo idrico superficiale (sentenza del 1° luglio 2015, causa C-461/13).

Censimento, caratterizzazione e localizzazione di punti di prelievo, scarichi e depuratori

Il comma 5 dell’art. 3 dell’A.C. 773 stabilisce che l’autorità di distretto - con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente - realizza un database geografico, da aggiornare almeno semestralmente, che censisce, caratterizza e localizza i punti di prelievo dell'acqua, gli scarichi, nonché gli impianti di depurazione pubblici e privati.

Si tratta di una misura che sembra integrare quanto disposto dall’art. 95, comma 5, del Codice, secondo cui “le Autorità concedenti effettuano il censimento di tutte le utilizzazioni in atto nel medesimo corpo idrico sulla base dei criteri adottati dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con proprio decreto, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano; le medesime Autorità provvedono successivamente, ove necessario, alla revisione di tale censimento, disponendo prescrizioni o limitazioni temporali o quantitative, senza che ciò possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione”.


 

Principi relativi alla gestione del servizio idrico (art. 4, commi 3-7, e art. 9 C. 52; art. 3, commi 2-3, e art. 4, C. 773)

Individuazione dell’ente di governo dell’ambito

In base all’art. 3, comma 2, della pdl C. 773, l’organizzazione del servizio idrico integrato è affidata agli enti di governo degli ambiti territoriali ottimali (EGATO), i quali sono individuati dalle regioni tenendo conto dei princìpi dell'unità del bacino o del sub-bacino idrografico ai sensi dell'art. 147 del Codice.

Si tratta di una disposizione che ribadisce l’assetto organizzativo vigente.

Si valuti l’opportunità di un suo coordinamento con le disposizioni del Codice.

 

A differenza dell’A.C. 773, l’A.C. 52, all’art. 4, comma 3 (che si è già avuto modo di commentare nel precedente paragrafo relativo ai principi per la tutela e la pianificazione) provvede ad individuare il consiglio di bacino quale ente di governo dell’ambito territoriale ottimale (EGATO).

Delimitazione degli ambiti

L’art. 3, comma 3, dell’A.C. 773 interviene, con una modifica puntuale, sulla disposizione vigente (contenuta nell’art. 147, comma 2-bis, del Codice) che consente l’affidamento del SII in ambiti sub-regionali qualora l’ATO coincida con l'intero territorio regionale.

La disciplina vigente prevede che, qualora l'ambito territoriale ottimale coincida con l'intero territorio regionale, ove si renda necessario al fine di conseguire una maggiore efficienza gestionale ed una migliore qualità del servizio all'utenza, è consentito l'affidamento del servizio idrico integrato in ambiti territoriali comunque non inferiori agli ambiti territoriali corrispondenti alle province o alle città metropolitane. Sono fatte salve:

a) le gestioni del servizio idrico in forma autonoma nei comuni montani con popolazione inferiore a 1.000 abitanti già istituite ai sensi del comma 5 dell'articolo 148;

b) le gestioni del servizio idrico in forma autonoma esistenti, nei comuni che presentano contestualmente le seguenti caratteristiche: approvvigionamento idrico da fonti qualitativamente pregiate; sorgenti ricadenti in parchi naturali o aree naturali protette ovvero in siti individuati come beni paesaggistici ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; utilizzo efficiente della risorsa e tutela del corpo idrico. Ai fini della salvaguardia delle gestioni in forma autonoma di cui alla lettera b), l'ente di governo d'ambito territorialmente competente provvede all'accertamento dell'esistenza dei predetti requisiti.

 

La modifica operata dalla norma in esame è volta ad eliminare il limite secondo cui gli ambiti sub-regionali devono comunque essere non inferiori agli ambiti territoriali corrispondenti alle province o alle città metropolitane. In luogo di tale limite viene previsto il rispetto dei criteri stabiliti dal comma 2 dell’art. 147.

Tale richiamata disposizione prevede che le regioni possono modificare le delimitazioni degli ATO per migliorare la gestione del SII, assicurandone comunque lo svolgimento secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto, in particolare, dei seguenti principi:

a) unità del bacino idrografico o del sub-bacino o dei bacini idrografici contigui, tenuto conto dei piani di bacino, nonché della localizzazione delle risorse e dei loro vincoli di destinazione, anche derivanti da consuetudine, in favore dei centri abitati interessati;

b) unicità della gestione;

c) adeguatezza delle dimensioni gestionali, definita sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici.

 

L’intervento operato dall’A.C. 52 è invece volto ad un rovesciamento dei criteri vigenti.

Viene infatti prevista (dal comma 6, lettera b), dell’art. 4) una novella del primo periodo del comma 2-bis dell’art. 147 del Codice dell’ambiente volta a disporre che l’affidamento avvenga in ambiti non superiori agli ambiti territoriali corrispondenti alle province o alle città metropolitane.

A tale disposizione si accompagna l’abrogazione - disposta dal comma 7 dell’art. 4 della medesima pdl – della disposizione (recata dal secondo periodo del comma 1 dell’art. 3-bis del D.L. 138/2011) secondo cui la dimensione degli ambiti o bacini territoriali ottimali di norma deve essere non inferiore almeno a quella del territorio provinciale.

Tenuto conto che l’art. 3-bis, comma 1, secondo periodo, del DL 138/2011 non riguarda solamente il servizio idrico ma tutti i servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica (come, ad es., il servizio di gestione dei rifiuti), si valuti l’opportunità di riformulare la disposizione in commento come novella limitata al solo servizio idrico integrato.

Si fa notare che nel corso delle audizioni svolte, nella scorsa legislatura, nell’ambito dell’esame della proposta di legge C. 2212/XVII, sia il Ministero dell’ambiente che l’autorità di settore (oggi ARERA) hanno sottolineato che la necessità di superare il gap infrastrutturale esistente nel SII (che richiede ingenti fabbisogni finanziari, oltre che la necessità di conseguire economie di scala) in modo da soddisfare l’esigenza di una dimensione gestionale adeguata, in relazione alla quale l’eliminazione di un limite inferiore alla dimensione degli ambiti territoriali potrebbe determinare un’eccessiva frammentazione dei servizi, con la conseguente incapacità di generare le auspicate economie. La struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche (oggi soppressa) ha, da parte sua, ricordato che “il raggiungimento di adeguate economie di scala e l'opportunità di affidare la gestione del servizio a soggetti industrialmente organizzati che possiedono il know-how necessario per la gestione di opere tecnicamente e tecnologicamente complesse, rappresentano infatti i presupposti per favorire la realizzazione delle opere idriche e garantirne la gestione” e che “le gestioni comunali si sono dimostrate inadeguate a realizzare e gestire opere complesse, come la realizzazione di imponenti impianti di depurazione”. Sempre la struttura di missione contro il dissesto idrogeologico ha segnalato “che, dai dati elaborati in studi di settore, il livello medio degli investimenti negli ultimi anni si è attestato intorno ai 30 euro abitante/anno (ad oggi in crescita dalle ultime rilevazioni). Tale livello scende a 10 euro abitante/anno se si considerano le sole gestioni comunali, mentre superano la media i gestori unici del servizio idrico integrato. Si consideri che il fabbisogno di investimenti stimato dagli studi di settore si attesta intorno al 4-5 miliardi di euro all'anno, pari a circa 80 euro abitante/anno; ciò porterebbe il nostro Paese agli stessi livelli di investimento degli altri Paesi europei” e che, pertanto, “appare evidente che il tema centrale per lo sviluppo delle infrastrutture idriche nel nostro Paese non sia legato alla natura del soggetto gestore individuato, bensì all‘organizzazione delle gestioni” [9] .

 

Il comma 4 dell’art. 4 dispone che, in ogni caso, l’adesione alla gestione unitaria del servizio idrico integrato è facoltativa per i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti situati nel territorio di comunità montane o di unioni di comuni, a condizione che gestiscano l'intero servizio idrico integrato.

Trattandosi di una disposizione che interviene sulla disciplina dettata dall’art. 147, comma 2-bis, del Codice dell’ambiente, si valuti l’opportunità di un coordinamento.

Unitarietà della gestione

L’art. 4, comma 6, lettera a), dell’A.C. 52 novella l’art. 147, comma 2, del Codice, al fine di ripristinare il principio di unitarietà della gestione, previsto prima delle modifiche operate dal c.d. decreto sblocca-Italia (D.L. 133/2014).

Il principio oggi vigente dell’unicità della gestione è stato introdotto dall’art. 7 del D.L. 133/2014, in luogo di quello (meno stringente) dell’unitarietà, che era stato introdotto dal D.Lgs. 4/2008 (c.d. secondo correttivo al Codice).

In proposito, la Corte costituzionale, con sentenza n. 307 del 2009, nell’analizzare il contesto normativo relativamente alla non separabilità tra gestione della rete ed erogazione del servizio idrico, ha sottolineato il valore sostanziale dell'unicità, rilevando che “indipendentemente da ogni considerazione sul valore semantico dei termini «unicità» ed «unitarietà» della gestione, è, infatti, evidente che parlare di «unitarietà», anziché di «unicità» delle gestioni, non vale a consentire l'opposto principio della separazione delle gestioni stesse. In altri termini, le due gestioni, quella delle reti e quella dell'erogazione, alla luce della sopravvenuta disciplina statale, potranno anche essere affidate entrambe a più soggetti coordinati e collegati fra loro, ma non potranno mai fare capo a due organizzazioni separate e distinte”.

Abrogazione delle norme del decreto “sblocca-Italia”

L’articolo 4, comma 5, della pdl C. 52 prevede l’abrogazione di numerose disposizioni in materia di servizio idrico introdotte dal D.L. 133/2014. Si tratta delle norme seguenti, contenute nel comma 1 dell’art. 7 di tale decreto-legge:

- la lettera b), numeri 1) e 2), che disciplinano, in particolare, la partecipazione obbligatoria degli enti locali all’EGATO;

- la lettera c), che ha soppresso la precedente disciplina relativa all’affidamento del SII, e la lettera d) che ha riformato tale disciplina facendola confluire nel nuovo articolo 149-bis.

La norma in esame stabilisce che le disposizioni abrogate o modificate dalla lettera c) richiamata “riacquistano efficacia nel testo vigente il giorno antecedente l'entrata in vigore del citato decreto-legge n. 133 del 2014”.

Si ricorda che la reviviscenza delle norme abrogate è possibile, ma solo quando espressamente prevista dal legislatore (nel caso di abrogazione per via legislativa) o quando rappresenti effetto di una pronuncia di illegittimità costituzionale da parte della Corte costituzionale. Peraltro, anche nei casi in cui la reviviscenza a seguito di abrogazione legislativa è espressamente prevista dal legislatore, si può parlare di “reviviscenza” delle norme abrogate solo nel caso in cui la nuova disposizione abrogatrice abbia efficacia retroattiva. Come indicato, infatti, dalla giurisprudenza costituzionale, «il fenomeno della reviviscenza di norme abrogate, dunque, non opera in via generale e automatica e può essere ammesso soltanto in ipotesi tipiche e molto limitate» (Corte cost., sent. n. 13/2012). Si segnala altresì che l’esigenza che il legislatore specifichi espressamente l’intento di far rivivere una disposizione abrogata o modificata è indicata, tra l’altro, nella lettera circolare del Presidente della Camera del 20 aprile 2001 sulle regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi (cfr. par. 15, lettera d).

La disposizione in commento, nel prevedere che le disposizioni abrogate o modificate dall’art. 7 del D.L. 133/2014, “riacquistano efficacia” nel testo vigente il giorno antecedente l’entrata in vigore del citato DL 133/2014, sembrerebbe optare per la soluzione consistente nel ripristino delle disposizioni abrogate con mera efficacia ex nunc, cioè con effetti solo per il futuro.

 Ciò premesso, si valuti l’opportunità di chiarire che il ripristino delle disposizioni abrogate non ha efficacia retroattiva, anche al fine di evitare l’insorgenza di eventuali questioni di diritto intertemporale, provvedendo altresì ad un coordinamento tra le disposizioni delle quali si prevede la reviviscenza e le ulteriori disposizioni del Codice dell’ambiente come modificate dal presente provvedimento.

- la lettera f), che ha introdotto disposizioni finalizzate a garantire l’affidamento in concessione d'uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del SII, delle infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali;

- la lettera i) che ha riscritto i primi cinque commi dell’art. 172 del Codice che hanno dettato disposizioni transitorie finalizzate alla conversione delle gestioni esistenti al “gestore unico”.

La norma in esame stabilisce che le disposizioni abrogate o modificate dalla lettera i) richiamata “riacquistano efficacia nel testo vigente il giorno antecedente l'entrata in vigore del citato decreto-legge n. 133 del 2014”.

Si rinvia all’osservazione formulata con riferimento al fenomeno della reviviscenza di norme abrogate.

Qualificazione del servizio idrico integrato

L’art. 4, comma 1, dell’A.C. 773 qualifica il SII quale servizio pubblico locale di interesse economico generale assicurato alla collettività.

Diverso è invece l’approccio dell’art. 9, comma 1, dell’A.C. 52 che considera il SII un servizio pubblico locale di interesse generale (ma non economico) e non destinato ad essere collocato sul mercato in regime di concorrenza.

Sul punto occorre ricordare che l’art. 1 della direttiva 2014/25/UE (sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali), che viene richiamato da entrambe le disposizioni in esame, fa “salva la libertà, per gli Stati membri, di definire, in conformità del diritto dell'Unione, quali essi ritengano essere servizi d'interesse economico generale, in che modo tali servizi debbano essere organizzati e finanziati, in conformità delle regole sugli aiuti di Stato, e a quali obblighi specifici debbano essere soggetti”.

Occorre però anche ricordare, come rilevato dalla Corte costituzionale, che le molteplici indicazioni fornite dalla giurisprudenza europea e dalla Commissione europea (in particolare in sede di controllo sugli aiuti di Stato) inducono a ritenere che per «interesse economico generale» si intende un interesse che attiene a prestazioni dirette a soddisfare i bisogni di una indifferenziata generalità di utenti e, al tempo stesso, si riferisce a prestazioni da rendere nell’esercizio di un’attività economica, cioè di una «qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato», anche potenziale e, quindi, secondo un metodo economico finalizzato a raggiungere quantomeno la copertura dei costi. Si tratta dunque di una nozione oggettiva di interesse economico, riferita alla possibilità di immettere una specifica attività nel mercato corrispondente, reale o potenziale (Corte cost. n. 325/2010).

La medesima Corte costituzionale, nella sentenza n. 67 del 2013, ha ricordato che “la costante giurisprudenza della Corte, che qui si intende ribadire, ha dunque ricostruito la disciplina statale relativa alla determinazione della tariffa, come complesso di norme atte a preservare il bene giuridico “ambiente” dai rischi derivanti da una tutela non uniforme ed a garantire uno sviluppo concorrenziale del settore del servizio idrico integrato”.

Sul punto è recentemente intervenuto anche l’art. 2 del D.Lgs. 175/2016 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), che ha dettato, alle lettere h) e i) del comma 1, le seguenti definizioni:

h) «servizi di interesse generale»: le attività di produzione e fornitura di beni o servizi che non sarebbero svolte dal mercato senza un intervento pubblico o sarebbero svolte a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, che le amministrazioni pubbliche, nell'ambito delle rispettive competenze, assumono come necessarie per assicurare la soddisfazione dei bisogni della collettività di riferimento, così da garantire l'omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale, ivi inclusi i servizi di interesse economico generale;

i) «servizi di interesse economico generale»: i servizi di interesse generale erogati o suscettibili di essere erogati dietro corrispettivo economico su un mercato [10] .

 

La disposizione succitata, dettata dall’art. 9, comma 1, dell’A.C. 52, è integrata dal successivo comma 2, secondo cui la gestione del SII è realizzata senza finalità lucrative, mediante modelli di gestione pubblica, e persegue finalità istituzionali e di carattere sociale e ambientale, garantendo un elevato livello di qualità, efficienza ed economicità del servizio, la parità di trattamento e la promozione dell'accesso universale degli utenti.

A corollario di tali disposizioni, il successivo comma 3 dispone che la gestione del SII è finanziata attraverso meccanismi di fiscalità generale e specifica nonché meccanismi tariffari finalizzati alla copertura dei costi e al miglioramento dell'efficienza, dell'economicità e della qualità del servizio, rinviando all’art. 12 (e seguenti) per la disciplina di dettaglio.

Il comma 4 impone al Governo di conformarsi ai princìpi dell’articolo 9 anche in sede di sottoscrizione di trattati o accordi internazionali.

Affidamento del servizio idrico integrato

L’art. 4, comma 2, della pdl C. 773 dispone che l'affidamento del servizio idrico integrato è disciplinato dall'articolo 149-bis del Codice dell’ambiente, che viene integrato dalle modifiche operate dal successivo comma 3.

 

Una prima modifica è volta a riscrivere il secondo periodo del comma 1 dell’art. 149-bis, che nel testo vigente consente l’affidamento diretto a favore di società interamente pubbliche, in possesso dei requisiti prescritti dall'ordinamento europeo per la gestione in house, comunque partecipate dagli enti locali ricadenti nell'ATO, al fine di renderla la modalità di affidamento prioritaria.

Con il D.Lgs. 50/2016 (come modificato dal decreto correttivo n. 56/2017), sono state recepite le disposizioni in materia di affidamenti in house contenute nelle direttive europee in materia di concessioni e appalti dei settori ordinari e speciali (acqua, energia, trasporti e servizi postali).

Si tratta dell'art. 17 della direttiva 2014/23/UE (Concessioni tra enti nell'ambito del settore pubblico), dell'art. 12 della direttiva 2014/24/UE (Appalti pubblici tra enti nell'ambito del settore pubblico), dell'art. 28 della direttiva 2014/25/UE (Appalti tra amministrazioni aggiudicatrici), i quali - con identiche disposizioni - disciplinano tipologie di concessioni e di appalti che presentano caratteristiche tali da poter essere escluse dall'ambito di applicazione della normativa europea in materia di procedure di affidamento dei contratti pubblici e da consentire il ricorso all'affidamento in house. Tra le disposizioni europee richiamate, la previsione di cui all'art. 12 della direttiva 2014/24/UE, che disciplina l'in house nei settori classici, può essere assunta a paradigma anche per l'in house nell'ambito delle concessioni e dei settori speciali, vista l'identità dei testi normativi specifici. Il citato art. 12 ha definito le condizioni che necessitano ai fini dell'esclusione, dall'ambito di applicazione della direttiva stessa, di un appalto pubblico aggiudicato da un'amministrazione a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato.

Già prima della codificazione normativa europea, la giurisprudenza europea e quella nazionale avevano avuto modo di elaborare indici identificativi da utilizzare per verificare la legittimità del ricorso all'in house providing: la totale partecipazione pubblica; il controllo analogo, anche congiunto nel caso di affidamento in house in favore di società partecipata da più enti pubblici; la prevalenza dell'attività con l'ente affidante. La formulazione della disciplina dell'in house recata dalle citate direttive ha recepito la giurisprudenza della Corte di Giustizia sui requisiti dell'in house, introducendo, tuttavia, alcune innovazioni, che sono state diffusamente illustrate, tra gli altri, nel parere del Consiglio di Stato n. 298/2015.

Il nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016), recependo i presupposti elaborati nel corso degli anni dalla giurisprudenza comunitaria in materia di affidamenti diretti e i princìpi contenuti nelle citate Direttive, disciplina tutti i presupposti per gli affidamenti in house (art. 5). Accanto a ciò il Codice prevede che, per poter legittimamente affidare un contratto con modalità in house, avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti devono effettuare preventivamente una valutazione della congruità economica dell'offerta formulata del soggetto in house, avendo riguardo all'oggetto e al valore della prestazione (art. 192) [11] .

Inoltre, è disposta l'istituzione presso l'ANAC dell'elenco delle stazioni appaltanti che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house. L'iscrizione in tale elenco deve avvenire secondo le modalità e i criteri definiti dall'ANAC e consente di procedere mediante affidamenti diretti dei contratti. Le linee guida adottate dall’ANAC prevedono anche che, con riferimento ai servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, gli enti di governo degli ambiti ottimali istituiti devono richiedere l'iscrizione nell'Elenco, indicando nella domanda di iscrizione gli enti locali partecipanti.

 

Una seconda modifica prevede l’inserimento di un nuovo comma 1-bis, in base al quale l’EGATO provvede periodicamente alla verifica dell'attuazione del piano d'ambito nonché, almeno ventiquattro mesi prima della scadenza della gestione d'ambito, alla verifica dell'attività svolta dal gestore del servizio, previo svolgimento nel sito internet istituzionale di un'apposita consultazione pubblica per la durata di trenta giorni».

 

L’art. 10, comma 2, dell’A.C. 52 detta invece un principio più stringente in materia di affidamento, che prevede che la gestione e l'erogazione del SII non possono essere separate e possono essere affidate esclusivamente a enti di diritto pubblico nelle forme disciplinate dall’art. 8.


 

Concessioni di prelievo di acque (art. 5 C. 52; art. 3, comma 4, C. 773)

Il tema delle concessioni di prelievo di acque è affrontato dal comma 4 dell’art. 3 della pdl C. 773 mediante una disposizione di delega al Governo, mentre l’art. 5 dell’A.C. 52 prevede una disciplina direttamente applicabile.

Le norme di delega dettate dall’A.C. 773

In base al citato comma 4 dell’art. 3 dell’A.C. 773, il Governo è delegato ad adottare, entro il 31 dicembre 2018, un decreto legislativo contenente disposizioni per il rilascio e il rinnovo delle concessioni di prelievo di acque.

Nell’indicare i criteri per l’esercizio della delega, il comma in esame dispone che il decreto legislativo dovrà:

·     disciplinare anche le fattispecie riguardanti il trasferimento del ramo d'azienda;

L’applicabilità di tale disciplina è inoltre prevista dall’art. 173 del Codice dell’ambiente che, nel secondo periodo, dispone che “Nel caso di passaggio di dipendenti di enti pubblici e di ex aziende municipalizzate o consortili e di imprese private, anche cooperative, al gestore del servizio idrico integrato, si applica, ai sensi dell'articolo 31 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la disciplina del trasferimento del ramo di azienda di cui all'articolo 2112 del codice civile”

·     rispettare i princìpi e criteri direttivi di cui all'art. 1, comma 1, lettera hhh), della legge 28 gennaio 2016, n. 11 (c.d. delega appalti);

Il citato criterio di delega, che non è stato attuato in sede di emanazione del nuovo Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. 50/2016, aveva previsto che, nell’esercizio della delega, il governo provvedesse a dettare una disciplina organica della materia dei contratti di concessione mediante l'armonizzazione e la semplificazione delle disposizioni vigenti, nonché la previsione di criteri per le concessioni escluse dalla direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, tra cui rientrano quelle relative al settore idrico; si ricorda infatti che l’articolo 12 della citata direttiva esclude, in particolare, dall’applicazione delle norme della direttiva “le concessioni aggiudicate per fornire o gestire reti fisse destinate alla fornitura di un servizio al pubblico in connessione con la produzione, il trasporto o la distribuzione di acqua potabile; (nonché per) alimentare tali reti con acqua potabile”.

Il citato criterio di delega richiede altresì il rispetto “dell'esito del referendum abrogativo del 12-13 giugno 2011 per le concessioni nel settore idrico, introducendo altresì criteri volti a vincolare la concessione alla piena attuazione del piano finanziario e al rispetto dei tempi previsti dallo stesso per la realizzazione degli investimenti in opere pubbliche, nonché al rischio operativo ai sensi della predetta direttiva 2014/23/UE, e a disciplinare le procedure di fine concessione e le modalità di indennizzo in caso di subentro; previsione di criteri volti a promuovere le concessioni relative agli approvvigionamenti industriali in autoconsumo elettrico da fonti rinnovabili nel rispetto del diritto dell'Unione europea”.

·     prevedere la messa a gara delle concessioni di grande derivazione d'acqua per uso idroelettrico in scadenza. In particolare la disposizione in esame prevede che il decreto delegato dovrà:

- prevedere l'obbligo per le regioni e le province autonome di provvedere ad indire gare ad evidenza pubblica per l'attribuzione a titolo oneroso delle concessioni in scadenza;

Ciò dovrà avvenire entro un termine congruo prima dello scadere della concessione, nonché in ogni caso di cessazione anticipata della medesima, previa valutazione dell'eventuale sussistenza di un prevalente interesse pubblico a un diverso uso delle acque. La gara ad evidenza pubblica dovrà inoltre essere indetta nel rispetto dei princìpi fondamentali di tutela della concorrenza, di libertà di stabilimento, di trasparenza, di non discriminazione e di assenza di conflitto di interessi.

- stabilire limiti minimo e massimo per la durata del periodo di concessione, che dovranno essere rispettati dalle regioni e dalle province autonome in sede di determinazione della durata medesima;

- definire i criteri cui devono attenersi le regioni e le province autonome nell'attribuzione della concessione di grande derivazione d'acqua per uso idroelettrico, nonché nella determinazione della sua durata, includendo comunque tra i medesimi l'obbligo di valutare gli interventi ritenuti necessari avendo riguardo all'offerta di miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza, nonché alla compensazione ambientale per gli enti locali interessati.

 

Le norme di diretta applicazione dettate dall’art. 5 dell’A.C. 52

L’art. 5 dell’A.C. 52 detta un’articolata disciplina di dettaglio che, in estrema sintesi: riguarda le modalità per il rilascio o il rinnovo di concessioni di prelievo di acque, per i quali indica specifici vincoli e una durata massima di 10 anni; conferma il criterio del recupero dei costi ed il rispetto del principio europeo “chi inquina paga”; consente l’utilizzo delle acque «destinabili all'uso umano» per un uso diverso solo se non siano presenti altre risorse idriche (in tale caso prevedendo che venga decuplicato l'ammontare del relativo canone di concessione).

Di seguito si illustra il dettaglio delle disposizioni.

Competenza al rilascio/rinnovo delle concessioni

Il comma 1 dispone che il rilascio o il rinnovo di concessioni di prelievo di acque è disposto dall'Autorità di distretto.

Vincoli e condizioni da rispettare per il rilascio/rinnovo

In base ai commi 1 e 2, il rilascio o rinnovo delle concessioni:

- è vincolato al rispetto dei princìpi per l’uso dell’acqua come bene comune, stabiliti dall'articolo 3;

- è vincolato alla definizione del bilancio idrico, corredato di una pianificazione delle destinazioni d'uso delle risorse idriche (comma 1).

Si valuti l’opportunità di chiarire che la disposizione in commento si riferisce al bilancio idrico di bacino e non di distretto.

- deve garantire (fatti salvi i prelievi destinati al consumo umano per il soddisfacimento del diritto all'acqua) il rispetto del principio del recupero dei costi, compresi i costi ambientali e relativi alle risorse, tenendo conto del principio «chi inquina paga» previsto dall'art. 9 della direttiva 2000/60/CE, fermo restando quanto stabilito dall'articolo 14 sulla copertura dei costi di gestione (comma 2).

L’art. 9 della direttiva 2000/60/CE dispone, tra l’altro, che “Gli Stati membri tengono conto del principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi ambientali e relativi alle risorse, prendendo in considerazione l'analisi economica effettuata in base all'allegato III e, in particolare, secondo il principio «chi inquina paga»”.

Durata massima delle concessioni ed eventuali limiti

In base al comma 3, le concessioni non possono avere durata superiore a dieci anni.

Lo stesso comma 3 dispone che, per esigenze ambientali o sociali, gli enti preposti alla pianificazione della gestione dell'acqua possono comunque disporre limiti al rilascio o al rinnovo delle concessioni di prelievo dell'acqua anche in caso di recupero dell'intero costo secondo quanto previsto dal comma 2.

L’attuale disciplina (contenuta nel R.D. 1775/1933, come modificato anche dal D.Lgs. 152/2006) prevede che “tutte le concessioni di derivazione sono temporanee. La durata delle concessioni, fatto salvo quanto disposto dal secondo comma, non può eccedere i trenta anni ovvero i quaranta per uso irriguo e per la piscicoltura, ad eccezione di quelle di grande derivazione idroelettrica, per le quali resta ferma la disciplina di cui all'articolo 12, commi 6, 7 e 8 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79” (art. 21 del citato regio decreto).

Il secondo comma dell’art. 21 dispone che “Le concessioni di grandi derivazioni ad uso industriale sono stipulate per una durata non superiore ad anni quindici e possono essere condizionate alla attuazione di risparmio idrico mediante il riciclo o il riuso dell'acqua, nei termini quantitativi e temporali che dovranno essere stabiliti in sede di concessione, tenuto conto delle migliori tecnologie applicabili al caso specifico”.

Ciò premesso, appare opportuno un coordinamento con le disposizioni vigenti richiamate.

 

Il comma 4 dispone che in assenza delle condizioni previste dall'articolo 4 non possono essere rilasciate nuove concessioni dalle autorità di distretto e le concessioni esistenti devono essere sottoposte a revisione annuale.

Poiché l’articolo 4 detta un’ampia serie di disposizioni, peraltro eterogenee, si valuti l’opportunità di precisare espressamente quali condizioni devono essere rispettate ai fini del rilascio di nuove concessioni di prelievo di acque.

Principi per l’uso delle acque

In base al comma 5, le acque che, per le loro caratteristiche qualitative, sono definite destinabili all'uso umano non devono di norma essere utilizzate per usi diversi.

Gli usi diversi sono consentiti, alle condizioni previste dall'art. 144, comma 4, del Codice, soltanto se non siano presenti altre risorse idriche. In tali casi, l'ammontare del relativo canone di concessione è decuplicato.

In base al richiamato comma 4 dell’art. 144 del Codice, gli usi diversi dal consumo umano sono consentiti nei limiti nei quali le risorse idriche siano sufficienti e a condizione che non ne pregiudichino la qualità.

 

Si fa notare che le disposizioni dei commi 1-5 dell'articolo 5 dell’A.C. 52 sono analoghe a quelle disposte dall’art. 12-bis del R.D. 1775/1933, come sostituito dall’art. 96 del D.Lgs. 152/2006.

Il citato articolo 12-bis dispone, al comma 1, che il provvedimento di concessione è rilasciato se:

a) non pregiudica il mantenimento o il raggiungimento degli obiettivi di qualità definiti per il corso d'acqua interessato;

b) è garantito il minimo deflusso vitale e l'equilibrio del bilancio idrico;

c) non sussistono possibilità di riutilizzo di acque reflue depurate o provenienti dalla raccolta di acque piovane ovvero, pur sussistendo tali possibilità, il riutilizzo non risulta sostenibile sotto il profilo economico.

In base al comma 2 del citato art. 12-bis i volumi d'acqua concessi sono altresì commisurati alle possibilità di risparmio, riutilizzo o riciclo delle risorse. Il disciplinare di concessione deve fissare, ove tecnicamente possibile, la quantità e le caratteristiche qualitative dell'acqua restituita. Analogamente, nei casi di prelievo da falda deve essere garantito l'equilibrio tra il prelievo e la capacità di ricarica dell'acquifero, anche al fine di evitare pericoli di intrusione di acque salate o inquinate, e quant'altro sia utile in funzione del controllo del miglior regime delle acque.

L'utilizzo di risorse prelevate da sorgenti o falde, o comunque riservate al consumo umano, può essere assentito per usi diversi da quello potabile se soddisfa le seguenti condizioni poste dal comma 3 del citato art. 12-bis:

a) viene garantita la condizione di equilibrio del bilancio idrico per ogni singolo fabbisogno;

b) non sussistono possibilità di riutilizzo di acque reflue depurate o provenienti dalla raccolta di acque piovane, oppure, dove sussistano tali possibilità, il riutilizzo non risulta sostenibile sotto il profilo economico;

c) sussiste adeguata disponibilità delle risorse predette e vi è una accertata carenza qualitativa e quantitativa di fonti alternative di approvvigionamento.

In tali casi il canone di utenza per uso diverso da quello potabile è triplicato, escluse le concessioni ad uso idroelettrico i cui impianti sono posti in serie con gli impianti di acquedotto.

Si richiama altresì, per completezza, la disposizione contenuta nell’art. 95, comma 4, del decreto legislativo n. 152/2006 secondo cui, salvo le eccezioni previste dal medesimo articolo, tutte le derivazioni di acqua comunque in atto alla data di entrata in vigore della parte terza del decreto sono regolate dall'Autorità concedente mediante la previsione di rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici, come definito secondo i criteri adottati dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con apposito decreto, previa intesa con la Conferenza Stato-regioni, senza che ciò possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione.

 

Ciò premesso, si valuti l’opportunità di un coordinamento con le vigenti disposizioni di cui all’art. 144, comma 4, del D.Lgs. 152/2006 e all’art. 12-bis del R.D. 1775/1933.

Revoca delle concessioni

Il comma 6 prevede la possibilità, per l’autorità competente, di revocare le concessioni di prelievo (nonché le autorizzazioni allo scarico) per gli usi differenti da quello potabile, anche prima della loro scadenza, se è accertata l'esistenza di gravi problemi qualitativi o quantitativi che attengono al corpo idrico interessato.

In tali casi non sono dovuti risarcimenti di alcun genere, salvo il rimborso degli oneri per il canone di concessione delle acque non prelevate.

Nuove concessioni rilasciabili solo se conformi alla presente legge

Il comma 7 stabilisce che, a partire dall’entrata in vigore della presente legge, nessuna nuova concessione per sfruttamento, imbottigliamento o utilizzazione di sorgenti, fonti, acque minerali o corpi idrici idonei all'uso potabile può essere rilasciata, se in contrasto con quanto previsto dal presente articolo.

Determinazione dei canoni di concessione per l’utilizzo del demanio idrico

Il comma 8 demanda ad un apposito decreto ministeriale (adottato dal Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) la definizione dei criteri generali per la determinazione, da parte delle regioni, dei canoni di concessione per l'utilizzo del demanio idrico, tenendo conto della categoria d'uso e della portata media di concessione, dei costi ambientali e dei costi della risorsa connessi all'utilizzo dell'acqua. L'aggiornamento dei canoni ha cadenza triennale.

Si valuti l’opportunità di prevedere un termine per l’emanazione del decreto ministeriale.

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 88, comma 1, lettera p), del D.Lgs. 112/1998, hanno rilievo nazionale i compiti relativi “alle direttive sulla gestione del demanio idrico anche volte a garantire omogeneità, a parità di condizioni, nel rilascio delle concessioni di derivazione di acqua”, mentre, ai sensi dell’art. 89, comma 1, lettera i) del medesimo decreto legislativo, sono conferite alle regioni e agli enti locali, le funzioni relative “alla gestione del demanio idrico, ivi comprese tutte le funzioni amministrative relative alle derivazioni di acqua pubblica, alla ricerca, estrazione e utilizzazione delle acque sotterranee, alla tutela del sistema idrico sotterraneo nonché alla determinazione dei canoni di concessione e all'introito dei relativi proventi”.

Disciplina delle derivazioni e delle captazioni di acqua pubblica per usi idropotabili

Il comma 9 dispone che le derivazioni e le captazioni di acqua pubblica per usi idropotabili previste dal testo unico su acque e impianti elettrici (R.D. 1775/1933) sono concesse in via prioritaria agli enti di governo dell'ambito, di cui alla parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, costituiti da almeno uno dei comuni all'interno dei quali ricadono, anche parzialmente, le acque derivate e captate.

Poiché ai sensi dell’art. 4, comma 3, della proposta di legge in esame (A.C. 52), viene prevista l’istituzione del consiglio di bacino quale ente di governo dell’ambito, si valuti l’opportunità di fare riferimento direttamente a tale organo.

 

Tali concessioni possono eventualmente essere rilasciate ad essi anche in forma partecipata con altri enti di governo d'ambito interferenti che, alla data di entrata in vigore della presente legge, abbiano in uso prevalente la risorsa idrica captata a scopi idropotabili.

Contestualmente all'emanazione del provvedimento concessorio, le regioni definiscono la relativa convenzione che regola i diversi usi assentiti, l'uso comune di infrastrutture e i trasferimenti di acqua da un ambito all'altro, dando immediata attuazione all'art. 163, comma 2, del Codice e al pagamento dei corrispettivi per il trasferimento della risorsa da un ambito all'altro, determinati secondo le disposizioni del D.P.C.M. 4 marzo 1996, pubblicato nel supplemento ordinario alla G.U. n. 62 del 14 marzo 1996, e comprensivi delle somme non ancora versate dalle autorità di governo dell'ambito e dai gestori in base alle disposizioni previgenti.

L’art. 163 del D.Lgs. 152/2006, onde assicurare la tutela delle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano, prevede che “il gestore del servizio idrico integrato può stipulare convenzioni con lo Stato, le regioni, gli enti locali, le associazioni e le università agrarie titolari di demani collettivi, per la gestione diretta dei demani pubblici o collettivi ricadenti nel perimetro delle predette aree, nel rispetto della protezione della natura e tenuto conto dei diritti di uso civico esercitati” e, al comma 2, che “la quota di tariffa riferita ai costi per la gestione delle aree di salvaguardia, in caso di trasferimenti di acqua da un ambito territoriale ottimale all'altro, è versata alla comunità montana, ove costituita, o agli enti locali nel cui territorio ricadono le derivazioni; i relativi proventi sono utilizzati ai fini della tutela e del recupero delle risorse ambientali”.

Con il citato D.P.C.M. 4 marzo 1996, invece, sono stati definiti i criteri e gli indirizzi per la programmazione dei trasferimenti d’acqua per il consumo umano.


 

Governo pubblico del ciclo naturale e integrato dell'acqua (art. 8 C. 52; art. 5, C. 773)

Gli articoli 8 dell’A.C. 52 e 5 dell’A.C. 773 contengono disposizioni volte a disciplinare la governance del servizio idrico e, più in generale, del ciclo dell’acqua.

La disciplina dettata dall’art. 5 dell’A.C. 773

L’art. 5 dell’A.C. 773 detta una disciplina essenziale, che si limita a ribadire l’attribuzione di specifiche competenze, tenendo conto (come dichiarato in modo esplicito nel comma 1) del riparto di funzioni già definito con il D.P.C.M. 20 luglio 2012.

Con il D.P.C.M. 20 luglio 2012 sono state individuate le funzioni in materia di servizi idrici trasferite all’autorità di settore (oggi ARERA) e quelle mantenute dal Ministero dell’ambiente. In sintesi, l’art. 1 di tale decreto mantiene in capo al Ministero le funzioni relative: all’adozione degli indirizzi per assicurare il coordinamento delle funzioni inerenti agli usi delle risorse idriche, individuando obiettivi generali e priorità di intervento; all’adozione degli indirizzi e degli standard di qualità della risorsa; alla definizione di criteri e indirizzi per favorire il risparmio idrico, l'efficienza nell'uso della risorsa idrica e per il riutilizzo delle acque reflue; alla definizione di criteri per la definizione del costo ambientale e del costo della risorsa per i vari settori d'impiego dell'acqua e per la determinazione della copertura dei costi; alla definizione degli obiettivi generali di qualità; alla definizione di indirizzi per realizzare, attraverso una modulazione differenziata della tariffa, una perequazione solidaristica tra ambiti diversamente forniti di risorse idriche.

L’art. 3 del medesimo decreto ha invece attribuito all’autorità di settore: la definizione dei livelli minimi e degli obiettivi di qualità del SII; la predisposizione di convenzioni tipo per la regolazione dei rapporti tra autorità competenti all'affidamento del servizio e soggetti gestori; la definizione delle componenti di costo per la determinazione della tariffa del SII, nonché del metodo tariffario e l’approvazione delle tariffe; la verifica della corretta redazione dei piani d'ambito; la relazione al Parlamento sullo stato e sulle condizioni del SII. Lo stesso articolo ha inoltre disposto il trasferimento all’autorità di settore delle funzioni di raccolta, elaborazione e restituzione di dati statistici e conoscitivi, assicurando l'accesso generalizzato, anche per via informatica, ai dati raccolti e alle elaborazioni effettuate per la tutela degli interessi degli utenti. A tal fine il Ministero dell'ambiente trasferisce gli archivi, la documentazione ed i database informatici relativi alle funzioni di cui al presente articolo (art. 3, comma 1, lettera n)).

 

Tenuto conto del citato riparto di funzioni, viene stabilito che:

·      il Ministero dell'ambiente esercita il controllo sul rispetto della disciplina vigente in materia di tutela delle risorse idriche e della salvaguardia ambientale;

Tale disposizione si ritrova anche all’interno dell’art. 8 dell’A.C. 52, che però ha una portata più ampia (v. infra).

·      l’ARERA esercita le funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici a essa già trasferite, nonché assicura la costituzione di una banca di dati sul SII, che elabora congiuntamente i dati dei sistemi informativi delle regioni, delle province autonome di Trento e di Bolzano e delle autorità di bacino distrettuali. I dati contenuti in tale banca dati sono resi pubblici e fruibili alla collettività, secondo le modalità e le garanzie previste dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195 (di attuazione della direttiva 2003/4/CE sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale), in linea con la strategia nazionale di open government e open data.

L’art. 8 dell’A.C. 52 opera invece una scelta opposta: il comma 7 prevede infatti il trasferimento al Ministero dell'ambiente delle funzioni di regolazione e di controllo dei servizi idrici attribuite all'ARERA (v. infra).

La disciplina dettata dall’art. 8 dell’A.C. 52

L’art. 8 dell’A.C. 52 detta una disciplina di portata più ampia, che sembra innovare la vigente attribuzione di funzioni. La norma prevede infatti il seguente riparto di competenze:

·      al Ministero dell’ambiente viene affidata esclusivamente la regolazione del governo del ciclo naturale dell'acqua e della sua salvaguardia come bene ambientale. Il comma 1 precisa che tale Ministero esercita anche le competenze in materia di regolamentazione di tutti gli usi, produttivi o non produttivi, e del servizio idrico, nonché di determinazione delle componenti delle tariffe differenziate per uso umano e per tutti gli usi produttivi, comprese le concessioni, in conformità ai principi in materia di tariffazione del SII previsti dall'art. 154 del Codice. Al medesimo Ministero vengono attribuiti (dal comma 2) funzioni e compiti che la sezione III della parte terza del Codice, riguardante la gestione delle risorse idriche, riserva alla competenza dello Stato;

·      a un Comitato interministeriale (presieduto da un rappresentante del Ministero dell'ambiente e composto da un rappresentante del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, un rappresentante del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e un rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze) sono attribuite le competenze relative alla programmazione delle grandi opere infrastrutturali a livello di reti idrauliche di rilievo nazionale nonché all'acqua per uso umano, comprese le bevande, e per usi produttivi ed energetici;

Si ricorda che, attualmente, la competenza in ordine alla programmazione delle reti infrastrutturali di rilievo nazionale, ivi comprese quelle idriche, è attribuita alla competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

L’art. 5, comma 7, del D.P.C.M. 11 febbraio 2014, n. 72, affida alla Direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche ed elettriche una serie di funzioni tra cui quella di “programmazione e monitoraggio delle reti idriche ed elettriche di interesse strategico nazionale”.

Con riferimento all’acqua per uso umano e alle bevande, si ricorda che tra le funzioni della Direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero della salute, attualmente, figura anche la prevenzione universale delle esposizioni ad agenti chimici, fisici e biologici in vari ambienti (naturale, di vita e di lavoro) e nelle acque destinate al consumo umano. In particolare, tale Direzione, in base al D.Lgs. 31/2001, effettua il controllo della conformità dei parametri microbiologici (parte A del decreto) e chimici dell'acqua (parte B), oltre che a parametri indicatori (parte C) non direttamente correlabili a rischi per la salute bensì di eventuali modifiche della qualità delle acque (Allegato I). Inoltre, ai sensi del D.L. 282/1986 in materia di prevenzione e repressione delle sofisticazioni alimentari, i Ministeri della salute e delle politiche agricole sono tenuti a definire un programma sistematico di interventi per la lotta alle frodi e alle sofisticazioni di alimenti e bevande. In particolare, presso il Ministero della salute, Direzione generale dell'igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione, è istituito l'elenco pubblico delle ditte commerciali e dei produttori che abbiano riportato condanne con sentenza passata in giudicato per reati di frode e di sofisticazione di alimenti e bevande.

Si valuti l’opportunità di chiarire se al Comitato interministeriale istituito dalla disposizione in commento debbano essere trasferite tutte le competenze relative all’acqua per uso umano attualmente attribuite al Ministero della salute.

Si valuti, inoltre, l’opportunità, in considerazione del ruolo finora svolto dal Ministero della salute in materia di acque destinate al consumo umano, di prevedere, nell’ambito del Comitato in questione, anche la partecipazione di un rappresentante di detto Ministero.

 

Per quanto riguarda le competenze relative all'acqua per uso umano, comprese le bevande, l'art. 6 del D.Lgs. n. 176/2011, di attuazione della direttiva 2009/54/CE, sull'utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali, subordina l'utilizzazione di una sorgente d'acqua minerale naturale a un'autorizzazione regionale, rilasciata previo accertamento che gli impianti destinati all'utilizzazione siano realizzati in modo da escludere ogni pericolo di inquinamento e da conservare all'acqua le proprietà, corrispondenti alla sua qualificazione, esistenti alla sorgente. Si demanda poi a un decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, il compito di adeguare le disposizioni relative all'etichettatura, di cui agli artt. 12 e 26 dello stesso decreto legislativo, alle direttive emanate in materia di etichettatura dalla Comunità europea.

Per ciò che concerne le competenze in materia di utilizzo dell’acqua per fini energetici e produttivi, si ricorda che, per costante giurisprudenza della Corte costituzionale, le concessioni di grandi derivazioni d’acqua per uso idroelettrico (sentenze n. 205 del 2011 e n. 1 del 2008) pertengono alla competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia». L’art. 12 del D.Lgs. 79/1999 (c.d. decreto Bersani), dispone, al riguardo, che il rilascio delle concessioni di grandi derivazioni, la cui durata massima non può superare i trent’anni (e non può essere inferiore a venti), spetta alla regione, la quale indìce una gara ad evidenza pubblica, avendo riguardo all'offerta di miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza, alle misure di compensazione territoriale, alla consistenza e qualità del piano di interventi per assicurare la conservazione della capacità utile di invaso e, prevalentemente, all'offerta economica per l'acquisizione dell'uso della risorsa idrica e all'aumento dell'energia prodotta o della potenza installata (comma 10 del D.Lgs. n. 79/1999, in combinato disposto con il D.Lgs. 112/98 e con il DPCM 12 ottobre 2000, che affidano la gestione del demanio idrico alle Regioni).

Il comma 2 del citato articolo 12 attribuisce poi al Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza unificata, la competenza a determinare, con proprio provvedimento i requisiti organizzativi e finanziari minimi, i parametri ed i termini concernenti la procedura di gara, tenendo conto dell'interesse strategico degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e del contributo degli impianti idroelettrici alla copertura della domanda e dei picchi di consumo.

Sempre secondo la Corte costituzionale, la determinazione e la quantificazione dei canoni idroelettrici è riconducibile alla materia di competenza legislativa concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», salvo che per la definizione dei «criteri generali» per la determinazione dei loro «valori massimi», ascrivibile invece alla materia di competenza legislativa esclusiva statale «tutela della concorrenza» (sent. n. 158/2016). L’art. 37, comma 7, del D.L. n. 83/2012, al fine di assicurare un'omogenea disciplina sul territorio nazionale delle attività di generazione idroelettrica e parità di trattamento tra gli operatori economici, demanda ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, di stabilire i criteri generali per la determinazione, secondo principi di economicità e ragionevolezza, da parte delle regioni, di valori massimi dei canoni delle concessioni ad uso idroelettrico.

 

·      le regioni esercitano le funzioni e i compiti ad esse spettanti nel quadro delle competenze costituzionalmente determinate e nel rispetto delle attribuzioni statali e, in particolare, provvedono a disciplinare il governo del rispettivo territorio. Redigono, inoltre, il piano di tutela delle acque. Viene altresì conferita alle regioni ordinarie, oltre alla competenza per la definizione dei bacini, la facoltà di stabilire il modello gestionale del SII mediante aziende speciali o comunque nell'ambito dei modelli previsti per gli enti di diritto pubblico.

Si ricorda che l’art. 61 del Codice dell’ambiente, nel definire le competenze delle regioni, dispone che esse “esercitano le funzioni e i compiti ad esse spettanti nel quadro delle competenze costituzionalmente determinate e nel rispetto delle attribuzioni statali” e dispone che, in particolare, provvedono, tra l’altro, “alla elaborazione, adozione, approvazione ed attuazione dei piani di tutela” disciplinati dal successivo art. 121.

Si fa notare che attualmente l’identificazione dei bacini è operata direttamente dalla norma statale (art. 64 del D.Lgs. 152/2006).

Si valuti l’opportunità di un coordinamento della disposizione in esame – che affida alle regioni la competenza a definire i bacini idrografici – con l’art. 64 del D.Lgs. 152/2006 che definisce con norma legislativa statale i bacini medesimi.

Si osserva altresì che la scelta del modello gestionale è attualmente affidata all’EGATO (e, in virtù dell’art. 4, comma 3, al consiglio di bacino). Come sottolineato, la pdl C.52 attribuisce, invece, alle regioni la facoltà di stabilire il modello gestionale del servizio idrico integrato mediante aziende speciali o comunque nell’ambito dei modelli previsti per gli enti di diritto pubblico ed abroga l’art. 149-bis del Codice dell’ambiente (che attualmente affida all’EGATO il compito di deliberare sulla forma di gestione fra quelle previste dall’ordinamento europeo).

 

·      agli enti locali, attraverso il Consiglio di bacino, sono attribuite le funzioni di programmazione del piano di bacino, di organizzazione del SII, di scelta della forma di gestione, di modulazione delle tariffe per l'utenza sulla base del metodo definito dal Ministero dell'ambiente, nonché di affidamento della gestione e di controllo sulla stessa;

Si valuti l’opportunità di chiarire l’esatta ripartizione tra l’ente di governo dell’ambito e la regione delle competenze in merito alla definizione del modello gestionale, operando un coordinamento tra gli artt. 4, comma 3 e 8, commi 3 e 4, della proposta di legge.

·      ad un ufficio di vigilanza sulle risorse idriche istituito presso il Ministero dell'ambiente, sono attribuite la vigilanza sulle risorse idriche e sull'operato dei gestori e il controllo sull'attuazione e il rispetto della disciplina vigente. Tale ufficio si avvale di un Osservatorio sui settori di propria competenza, che svolge funzioni di raccolta, elaborazione e restituzione di dati statistici e conoscitivi, costituendo una banca di dati connessa con i sistemi informativi del Ministero dell'ambiente, delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, delle autorità di bacino e dei soggetti gestori dei servizi idrici.

La norma, nel fare riferimento ai gestori dei servizi idrici, rinvia al comma 7 dell’art. 161 del Codice dell’ambiente, che tuttavia è stato oggetto di abrogazione implicita nelle parti incompatibili con le disposizioni dell’art. 10 del D.L. 70/2011 (disposizione, quest’ultima, recante a sua volta norme in materia di servizi ai cittadini). Ciò premesso, si valuti l’opportunità di riformulare la disposizione in esame al fine di eliminare o aggiornare il riferimento normativo.

A tale ufficio, dalla data di entrata in vigore della presente legge, in virtù del disposto del comma 7, saranno presumibilmente assegnate le funzioni di regolazione e di controllo dei servizi idrici attualmente svolte dall’ARERA e che il comma 7 trasferisce al Ministero dell'ambiente.

 

In relazione a funzioni di vigilanza, si ricorda che nel corso della XVII legislatura è stato istituito, presso il Ministero dello sviluppo economico, l'Osservatorio per i servizi pubblici locali, con il compito di monitorare, attraverso la raccolta, le relazioni che gli enti affidanti servizi pubblici locali di rilevanza economica (ivi inclusi i servizi idrici) sono tenuti a redigere per motivare le modalità di affidamento prescelte, garantendone la conformità alla disciplina europea ai sensi dell'art. 34, commi 20 e 21, del D.L. 179/2012. In base alla norma istitutiva, l'Osservatorio pubblica le relazioni nel proprio portale telematico (art. 13, co. 25-bis, del D.L. 145/2013). Gli ambiti di intervento, i compiti e l'organizzazione dell'Osservatorio SPL sono stati definiti dal successivo D.M. 8 agosto 2014. Tra i compiti che il decreto assegna all'Osservatorio figurano: la definizione di schemi di riferimento e linee guida di supporto agli enti territoriali per favorire la corretta attuazione della normativa vigente; la costruzione di una banca dati recante la raccolta della normativa e della giurisprudenza europee, nazionali e regionali; la predisposizione del Rapporto annuale sullo stato e sull'evoluzione economica, normativa, organizzativa e gestionale dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, che deve essere presentato al Parlamento e alla Conferenza unificata.

Gestione pubblica del servizio idrico integrato (art. 10, A.C. 52)

I commi 1 e 2 prevedono la proprietà pubblica e la natura demaniale delle infrastrutture afferenti al servizio idrico e la conseguente inalienabilità e destinazione perpetua ad uso pubblico, nonché la non separabilità della gestione e dell’erogazione del servizio idrico integrato e l’affidamento esclusivo a enti di diritto pubblico (nelle forme di cui all'articolo 8).

Si segnala che l’articolo 143 del decreto legislativo n. 152 del 2006 prevede che gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti del codice civile e sono inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge. La medesima disposizione attribuisce all'EGATO la tutela dei beni di cui al comma 1, ai sensi dell'art. 823, secondo comma, del codice civile.

Si ricorda nuovamente che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 307/2009, nell’analizzare il contesto normativo relativamente alla non separabilità tra gestione della rete ed erogazione del SII, sottolinea che “indipendentemente da ogni considerazione sul valore semantico dei termini «unicità» ed «unitarietà» della gestione, è, infatti evidente che parlare di «unitarietà», anziché di «unicità» delle gestioni, non vale a consentire l'opposto principio della separazione delle gestioni stesse. In altri termini, le due gestioni, quella delle reti e quella dell'erogazione, alla luce della sopravvenuta disciplina statale, potranno anche essere affidate entrambe a più soggetti coordinati e collegati fra loro, ma non potranno mai fare capo a due organizzazioni separate e distinte”.

 

 

Il comma 1 stabilisce che sono di proprietà degli enti locali gli acquedotti, le fognature, i depuratori e le altre infrastrutture di servizio funzionali alla fornitura del servizio idrico integrato; tali beni – definiti “capitale tecnico necessario e indispensabile per lo svolgimento di un pubblico servizio” - sono assoggettati al regime del demanio pubblico ai sensi degli artt. 822 e 824 del codice civile.

I beni demaniali appartengono allo Stato o agli enti territoriali. Il riferimento del comma 1 è ai beni del demanio accidentale o eventuale, in proprietà anche agli enti territoriali, come i comuni (il demanio necessario, solo statale, riguarda le spiagge i porti, i laghi, le opere destinate alla difesa nazionale)), nel cui ambito l’art. 822 c.c. comprende gli acquedotti. Tutti i beni demaniali sono sottoposti a un particolare regime giuridico, che consiste nella inalienabilità e nell’impossibilità di costituzione di diritti di terzi di conseguenza non sarà possibile costituire diritti reali di godimento su tali beni (usufrutto, uso, superficie, ecc.), se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge (art. 823 c.c.). Dei beni di comuni e province si occupa l’art. 824 c.c. secondo cui: I beni del demanio eventuale, se appartengono alle province o ai comuni, sono soggetti al regime del demanio pubblico.

 

Il comma 1 ribadisce inoltre l’inalienabilità di tali beni precisando che su di essi grava un vincolo perpetuo di destinazione ad uso pubblico.

Si segnala che il richiamo fatto ai citati articoli del codice civile e quindi alla demanialità di tali beni già ne comporta, ai sensi dell’art. 823 c.c., l’inalienabilità nonché l’impossibilità che possano formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge. Va ricordato, inoltre, che la demanialità e l’inalienabilità degli acquedotti, delle fognature, degli impianti di depurazione e delle altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, è già prevista dall’art. 143 del cd. Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006).

 

Il comma 3 prevede che gli enti di diritto pubblico che gestiscono il SII sono esclusi:

- dal patto di stabilità interno relativo agli enti locali;

- e dalle limitazioni di carattere contrattuale od occupazionale stabilite per i lavoratori delle amministrazioni pubbliche.

 

In base al comma 4, le società quotate in mercati regolamentati che gestiscono, anche parzialmente, il SII sono escluse dall'applicazione delle disposizioni di cui alla legge 124/2015 e al D.Lgs. 175/2016 (adottato in attuazione della delega recata dall’art. 18 della citata legge) recante “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”.

 

Al riguardo, si valuti l’opportunità di inserire l’esclusione direttamente nel testo del D.Lgs. n. 175/2016 e, in particolare, nell’articolo 26, comma 2.

 

Lo stesso comma dispone altresì che la vendita delle quote azionarie di proprietà pubblica delle società di gestione del SII è vietata a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge.

 

In caso di mancata osservanza di quanto stabilito dall’articolo 10, il comma 9 del medesimo articolo prevede che il Governo eserciti i poteri sostitutivi stabiliti dalla legge.

Ripubblicizzazione della gestione del servizio idrico integrato (art. 10, commi 5-10, e art. 11, A.C. 52)

Fase transitoria per il passaggio alla gestione pubblica

I commi da 5 a 10 dell’art. 10 dell’A.C. 52 prevedono e disciplinano una fase transitoria per il passaggio al nuovo assetto di gestione esclusivamente pubblica, stabilendo in particolare:

·      la decadenza automatica di tutte le forme di gestione del SII affidate in concessione a terzi con scadenza posteriore al 31 dicembre 2020, se non decadute per contratto, con effetto dalla medesima data del 31 dicembre 2020  (comma 5); non è previsto, a favore dei terzi interessati dalla decadenza, il riconoscimento di un indennizzo a ristoro del pregiudizio economico subìto;

Si ricorda che ai sensi dell’art. 151 del D.Lgs. 152/2006, la gestione del servizio idrico è regolata da convenzioni tra gli EGATO e i soggetti gestori sulla base delle convenzioni tipo, con relativi disciplinari, adottate dall'autorità di settore (oggi ARERA). A tal fine, le convenzioni tipo devono prevedere, tra l’altro, le condizioni di risoluzione secondo i principi del codice civile.

Si valuti la compatibilità di tale previsione con i criteri generali ricavabili dall’articolo 176, comma 4, del Codice dei contratti pubblici e dall’articolo 21-quinquies, comma 1-bis, della legge 241/1990 e con il principio di rilievo costituzionale della tutela del legittimo affidamento.

Si valuti, inoltre, l’opportunità chiarire a quali forme di gestione del servizio idrico la norma si riferisce, posto che il termine “terzi” non appare sufficientemente esplicativo.

Si valuti, altresì, l’opportunità di precisare le modalità di cessazione dei rapporti di concessione attualmente in essere, per i quali la disposizione prevede la decadenza.

·      nel caso di gestioni affidate a società a capitale misto pubblico-privato (non decadute per contratto), l’avvio del processo di trasformazione (che deve concludersi entro un anno) in aziende speciali o società a capitale interamente pubblico partecipate dagli enti locali il cui territorio rientri nel bacino idrografico di riferimento (comma 6).

La norma precisa che la trasformazione deve avvenire previo recesso del settore dell'acqua e scorporo del ramo d'azienda relativo in caso di gestione di una pluralità di servizi.

 

Il comma 7 detta disposizioni volte a disciplinare gli obblighi in capo alle società risultanti dal processo di trasformazione citato, prevedendo che le stesse operino in conformità alle seguenti condizioni vincolanti:

a) divieto di cessione di quote di capitale a qualsiasi titolo;

b) esercizio della propria attività in via esclusiva nel servizio affidato;

c) obbligo di sottostare a controllo da parte degli enti affidanti analogo a quello dagli stessi esercitato sui servizi a gestione diretta;

d) obbligo di garantire agli enti partecipanti la massima trasparenza e l'accesso agli atti e ai documenti relativi all'amministrazione;

e) obbligo di trasformazione in azienda speciale o in ente di diritto pubblico entro sei mesi dalla data di costituzione della società medesima.

Si osserva che la disposizione dettata da tale ultima lettera e) appare in contrasto con quella prevista dal comma 6, in quanto prevede un termine diverso per la conclusione del processo di trasformazione.

·      nel caso di gestioni affidate a società a capitale interamente pubblico (non decadute per contratto), la trasformazione, entro un anno, in aziende speciali o enti di diritto pubblico (comma 8).

 

In caso di mancata osservanza di quanto stabilito dall’articolo 10, il comma 9 del medesimo articolo prevede che il Governo eserciti i poteri sostitutivi stabiliti dalla legge.

Disciplina della fase transitoria

Il comma 10 dell’art. 10 demanda ad un successivo decreto ministeriale:

- la definizione dei criteri e delle modalità ai quali le regioni e gli enti locali devono attenersi per garantire la continuità e la qualità del SII durante la fase transitoria illustrata in precedenza, assicurando la trasparenza e la partecipazione dei lavoratori e dei cittadini ai relativi controlli;

- la disciplina della fase transitoria, in coerenza con le disposizioni del comma 4 dell’art. 10.

 

Lo stesso comma disciplina le modalità e i termini di emanazione del decreto, stabilendo che lo stesso dovrà essere emanato dal Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, entro 6 mesi dall’entrata in vigore della presente legge, sentita la Conferenza unificata.

Fondo per il finanziamento della fase transitoria (art. 11, C. 52)

Al fine di attuare i processi di trasformazione societaria e aziendale previsti nella “fase transitoria”, l’art. 11 prevede l’istituzione, presso il Ministero dell'ambiente, di un Fondo nazionale per la ripubblicizzazione del SII, che sarà disciplinato con un apposito decreto del medesimo Ministero (che dovrà essere emanato entro novanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge).

Al riguardo, si osserva come la norma non provvede né alla quantificazione dell’onere da essa recato – atteso che si limita a disporre l’istituzione del Fondo, senza indicarne la relativa dotazione – né all’individuazione della relativa copertura finanziaria.

Finanziamento del servizio idrico integrato (artt. 12-14, A.C. 52; art. 6, A.C. 773)

Fonti di finanziamento

L’art. 12, comma 1, dell’A.C. 52 e l’art. 6, comma 1, dell’A.C. 773 individuano, in termini generali, le seguenti fonti di finanziamento del servizio idrico integrato:

·      la tariffa;

·      le risorse nazionali e dell’UE;

Nel comma 1 dell’art. 6 dell’A.C. 773, si precisa che le risorse a cui si fa riferimento sono quelle nazionali - comprese quelle del “Fondo destinato al finanziamento degli interventi relativi alle risorse idriche e alle bonifiche nei siti non oggetto della procedura di infrazione comunitaria n. 2003/2077” (c.d. fondo sblocca cantieri idrici, istituito dall’art. 7, comma 6, del D.L. 133/2014) - e quelle dell'Unione europea appositamente destinate agli enti di governo dell'ambito territoriale ottimale per la realizzazione delle opere necessarie ad assicurare i livelli essenziali del servizio idrico integrato su tutto il territorio nazionale.

La disposizione recata dall’A.C. 52 prevede altresì, quale fonte di finanziamento del SII:

·      la fiscalità generale e specifica.

Si segnala che non risulta chiaro il riferimento alla fiscalità specifica. Al riguardo, si valuti l’opportunità di un rinvio a quanto previsto dal successivo articolo 17 recante le norme di copertura finanziaria.

Destinazione prioritaria delle risorse

Il comma 2 di entrambi gli articoli considerati (art. 12, A.C. 52; art. 6, A.C. 773) disciplina la destinazione prioritaria delle risorse nazionali ed europee, stabilendo che le stesse siano destinate al finanziamento di nuove opere.

 

Nel dettaglio, l’A.C. 773 prevede che le nuove opere da finanziare prioritariamente siano quelle per l'adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione e delle reti idriche finalizzate al superamento del contenzioso (procedure di infrazione e provvedimenti di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea) in ordine all'applicazione delle direttive dell'UE sul trattamento delle acque reflue.

Si tratta sostanzialmente della stessa finalità a cui sono destinate le risorse del “fondo sblocca cantieri idrici”, contemplato dal comma 1 dell’art. 6 dell’A.C. 773.

Il comma 6 dell’art. 7 del D.L. 133/2014 ha previsto l’istituzione di un apposito fondo proprio “al fine di garantire l'adeguamento dell'ordinamento nazionale alla normativa europea in materia di gestione dei servizi idrici” e ne ha destinato le risorse “al finanziamento degli interventi relativi alle risorse idriche e alle bonifiche” mediante la revoca delle risorse già stanziate, ma non ancora spese, per interventi nel settore della depurazione delle acque e delle bonifiche.

 

Per l’A.C. 52, invece, le citate risorse (che comprendono quelle reperite attraverso il ricorso alla fiscalità generale), sono destinate a coprire, in particolare, i costi di investimento per tutte le nuove opere del servizio idrico integrato e per gli interventi di manutenzione delle reti nonché i costi di erogazione del quantitativo minimo vitale garantito (individuato in 50 litri giornalieri per persona, sia dall’art. 3, comma 4, che dall'art. 14, comma 1, lettera e), della pdl in esame).

Si fa notare che il comma 2 dell’art. 6 dell’A.C. 773 fa riferimento a tutte le fonti di finanziamento individuate (dal comma 1). Il comma 2 dell’art. 12 dell’A.C. invece non fa riferimento alla tariffa.

 

Ulteriori disposizioni previste dall’A.C. 773 sull’utilizzo di risorse nazionali

I commi 3-5 dell’art. 6 dell’A.C. 773 disciplinano l’utilizzo delle risorse del “fondo sblocca cantieri idrici” (istituito dall’art. 7, comma 6, del D.L. 133/2014) nonché dei finanziamenti a finalità ambientale della Cassa depositi e prestiti (previsti dall’art. 5, comma 7, lettera b), del D.L. 269/2003) e dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dalla disciplina delle risorse idriche di cui alla parte terza del Codice dell’ambiente

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Il comma 3 prevede che il “fondo sblocca cantieri idrici” concorre al finanziamento delle infrastrutture previste nel piano degli interventi elaborato dall'EGATO concedente il servizio, unitamente al Fondo di garanzia delle opere idriche istituito dall’art. 58, comma 1, della L. 221/2015.

Al fine di accelerare gli investimenti nel SII, la medesima disposizione dispone che il decreto per l’attivazione delle risorse del citato fondo di garanzia (previsto dal comma 2 dell’art. 58) stabilisce la dotazione del fondo e il periodo transitorio per il quale vi è la garanzia ultima dello Stato in funzione del valore atteso delle risorse finanziarie accumulate nel fondo stesso.

L’art. 58, comma 1, della legge n. 221/2015, ha istituito presso la Cassa conguaglio per il settore elettrico, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, un Fondo di garanzia per gli interventi finalizzati al potenziamento delle infrastrutture idriche, ivi comprese le reti di fognatura e depurazione, in tutto il territorio nazionale, e a garantire un'adeguata tutela della risorsa idrica e dell'ambiente secondo le prescrizioni dell'UE e contenendo gli oneri gravanti sulle tariffe.

La stessa disposizione specifica che:

- il fondo è alimentato tramite una specifica componente della tariffa del servizio idrico integrato, da indicare separatamente in bolletta, volta anche alla copertura dei costi di gestione del fondo medesimo, determinata dall'Autorità di settore (ora ARERA);

- gli interventi del fondo di garanzia sono assistiti dalla garanzia dello Stato, quale garanzia di ultima istanza, secondo criteri, condizioni e modalità stabiliti con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze.

Il comma 2 dell’art. 58 ha demandato ad un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, la definizione degli interventi prioritari, dei criteri e delle modalità di utilizzazione del fondo, “con priorità di utilizzo delle relative risorse per interventi già pianificati e immediatamente cantierabili, nonché gli idonei strumenti di monitoraggio e verifica del rispetto dei princìpi e dei criteri contenuti nel decreto. I criteri di cui al primo periodo sono definiti tenendo conto dei fabbisogni del settore individuati sulla base dei piani d'ambito di cui all'articolo 149 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e delle necessità di tutela dell'ambiente e dei corpi idrici e sono finalizzati a promuovere la coesione sociale e territoriale e a incentivare le regioni, gli enti locali e gli enti d'ambito a una programmazione efficiente e razionale delle opere idriche necessarie”.

 

Il comma 4 prevede invece che i finanziamenti a finalità ambientale concessi dalla Cassa depositi e prestiti (previsti dall’art. 5, comma 7, lettera b), del D.L. 269/2003) sono destinati in via prioritaria alle società affidatarie interamente pubbliche di cui all'articolo 149-bis, comma 1, secondo periodo, del Codice, per gli interventi sulla rete del SII.

Si ricorda che la norma richiamata di cui all’art. 149-bis del Codice, consente l'affidamento diretto del SII a favore di società interamente pubbliche, in possesso dei requisiti prescritti dall'ordinamento europeo per la gestione in house, comunque partecipate dagli enti locali ricadenti nell'ATO.

Ai sensi dell’art. 5, comma 7, lettera b), del D.L. 269/2003, la Cassa depositi e prestiti finanzia, sotto qualsiasi forma, tra l’altro, “le opere, gli impianti, le reti e le dotazioni destinati a iniziative di pubblica utilità nonché investimenti finalizzati a ricerca, sviluppo, innovazione, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, anche in funzione di promozione del turismo, ambiente e efficientamento energetico, anche con riferimento a quelle interessanti i territori montani e rurali per investimenti nel campo della green economy, in via preferenziale in cofinanziamento con enti creditizi e comunque, utilizzando fondi provenienti dall'emissione di titoli, dall'assunzione di finanziamenti e da altre operazioni finanziarie, senza garanzia dello Stato e con preclusione della raccolta di fondi a vista”.

 

Il comma 5 riscrive il testo dell’art. 136 del D.Lgs. 152/2006, che disciplina la destinazione dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dalla disciplina delle acque prevista dalla parte terza del Codice.

Mentre il testo vigente destina tali risorse ai bilanci regionali (per essere riassegnate alle unità previsionali di base destinate alle opere di risanamento e di riduzione dell'inquinamento dei corpi idrici), il nuovo testo previsto dal comma in esame prevede che tali risorse siano versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate al “fondo sblocca cantieri idrici” (istituito dall’art. 7, comma 6, del D.L. 133/2014).

Fondo investimenti (art. 13, A.C. 52)

L’articolo 13 della pdl A.C. 52 prevede l’istituzione di un fondo per investimenti nel servizio idrico integrato, al fine di accelerare gli investimenti nel SII, con particolare riferimento alla ristrutturazione della rete idrica.

La disciplina delle modalità di impiego del fondo è demandata ad un apposito decreto del Ministro dell'ambiente, che dovrà essere emanato entro novanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge.

Al riguardo, si osserva che la norma non quantifica la dotazione del fondo e, quindi, l’onere da essa recato, e non ne dispone la copertura finanziaria.

Criteri per la determinazione della tariffa (art. 14, comma 1 e comma 6, ultimo periodo, A.C. 52; art. 7, comma 1, terzo periodo, A.C. 773)

L’art. 14, comma 1, dell’A.C. 52, demanda ad un apposito decreto (da emanare entro 90 giorni dall’entrata in vigore della presente legge) del Ministro dell'ambiente, la definizione del metodo per la determinazione della tariffa del SII:

·      nel rispetto dell'articolo 9 della direttiva 2000/60/CE;

L’art. 9 della direttiva 2000/60/CE, in particolare, afferma il principio del recupero dei costi dei servizi idrici (full recovery cost), compresi i costi ambientali e relativi alle risorse, prendendo in considerazione l'analisi economica effettuata in base all'allegato III e, in particolare, secondo il principio "chi inquina paga".

Essa inoltre prevede che, entro il 2010, gli Stati membri provvedono:

-      a che le politiche dei prezzi dell'acqua incentivino adeguatamente gli utenti a usare le risorse idriche in modo efficiente e contribuiscano in tal modo agli obiettivi ambientali della direttiva,

-      a un adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici a carico dei vari settori di impiego dell'acqua, suddivisi almeno in industria, famiglie e agricoltura, sulla base dell'analisi economica effettuata secondo l'allegato III e tenendo conto del principio "chi inquina paga".

·      e in conformità ai seguenti principi di copertura dei costi:

a)   copertura integrale dei costi di gestione del servizio idrico integrato;

b)   copertura parziale dei costi di investimento, con specifico riferimento all'ammortamento e agli oneri finanziari derivanti dagli investimenti effettuati tramite il fondo per i nuovi investimenti istituito dall’art. 13;

c)   copertura dei costi attinenti alle attività di depurazione o di riqualificazione ambientale necessarie per compensare l'impatto delle attività per cui è concesso l'uso dell'acqua;

d)   copertura dei costi relativi alle attività di prevenzione e di controllo;

e)   articolazione tariffaria progressiva differenziata per fasce di consumo prevedendo che:

-      il consumo fino a 50 litri giornalieri per persona sia considerato quantitativo minimo vitale garantito, con costi a carico della fiscalità generale;

-      il consumo oltre i 300 litri giornalieri per persona sia equiparato all'uso commerciale.

 

L’art. 7, comma 1, terzo periodo, dell’A.C. 773, dispone che l'ARERA, nella predisposizione del metodo tariffario, assicura che la tariffa garantisca un adeguato recupero dei costi del servizio per mezzo dell'applicazione del criterio di progressività e dell'incentivazione al risparmio della risorsa idrica, a partire dal consumo eccedente il quantitativo minimo vitale giornaliero, nella determinazione del corrispettivo del medesimo.

 

Tariffe agevolate per utenti in condizioni economico-sociali disagiate

L’ultimo periodo del comma 6 dell’art. 14 dell’A.C. 52 stabilisce che, ai fini della determinazione della tariffa, gli enti competenti tengono conto delle utenze disagiate.

Si tratta di una finalità che è stata attuata dall’articolo 60 della legge n. 221/2015 che prevede che l'Autorità di settore, sentiti gli enti di ambito, assicuri agli utenti domestici del servizio idrico integrato in condizioni economico-sociali disagiate l'accesso a condizioni agevolate alla fornitura della quantità di acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni fondamentali. In attuazione di tale disposizione è stato emanato il D.P.C.M. 13 ottobre 2016 che stabilisce la tariffa sociale del servizio idrico integrato. Per un approfondimento si rinvia alla premessa al presente dossier.

Si valuti l’opportunità di collocare tale disposizione in un altro comma dell’articolo in esame, in quanto il comma 6 non fa alcun riferimento ai criteri di determinazione della tariffa.

 

Compiti di modulazione delle tariffe attribuiti al Consiglio di bacino (art. 14, commi 2 e 3, A.C. 52)

Il comma 2 dell’art. 14 dell’A.C. 52 prevede che il consiglio di bacino proceda, in funzione dei bilanci idrici, alla modulazione delle tariffe all'utenza sulla base del metodo definito dal Ministro dell'ambiente (con il decreto di cui al precedente comma 1) e del piano di bacino, tenendo conto della composizione del nucleo familiare, della quantità dell'acqua erogata e dell’esigenza di razionalizzazione dei consumi e di eliminazione degli sprechi in funzione dei bilanci idrici.

Il successivo comma 3 prevede che lo stesso consiglio proceda (sempre sulla base del metodo tariffario definito dal Ministro dell'ambiente) alla modulazione delle tariffe per usi produttivi differenziati per tipologie d'uso e per fasce di consumo, in conformità ai principi previsti dall'art. 154 del Codice e ai fini del raggiungimento e del mantenimento degli obiettivi di qualità ambientale previsti dalla direttiva 2000/60/CE.

Il riferimento all’art. 154 sembra essere finalizzato a richiamare il disposto dei commi 6 e 7. Il comma 6 dispone infatti che nella modulazione della tariffa sono assicurate, anche mediante compensazioni per altri tipi di consumi, agevolazioni per quelli domestici essenziali, nonché per i consumi di determinate categorie, secondo prefissati scaglioni di reddito, e che, per conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei costi, sono ammesse maggiorazioni di tariffa per le residenze secondarie, per gli impianti ricettivi stagionali, nonché per le aziende artigianali, commerciali e industriali. Ai sensi del comma 7, l'eventuale modulazione della tariffa tra i comuni tiene conto degli investimenti pro capite per residente effettuati dai comuni medesimi che risultino utili ai fini dell'organizzazione del servizio idrico integrato.


 

Quantitativo minimo vitale e casi di morosità (art. 14, commi 4-8, e art. 3, comma 4, A.C. 52; art. 7, commi 1 e 2, A.C. 773)

Definizione del quantitativo minimo vitale garantito

L’art. 3, comma 4, dell’A.C. 52 prevede che l'erogazione gratuita (in quanto il relativo costo è coperto dalla fiscalità generale) per l'alimentazione e l'igiene umana, considerata diritto umano universale e quantitativo minimo vitale garantito, è pari a 50 litri per persona al giorno.

L’art. 7, comma 1, dell’A.C. 773 demanda invece l’individuazione del quantitativo minimo vitale ad un apposito D.P.C.M., nel limite massimo di 50 litri giornalieri per persona.

Lo stesso comma da ultimo citato disciplina le modalità e i criteri da seguire per l’emanazione del citato decreto. Viene infatti previsto che lo stesso sia adottato, su proposta del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sentita l'ARERA, previa intesa in sede di Conferenza unificata e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia. L’individuazione del quantitativo minimo vitale dovrà tener conto dei valori storici di consumo e di dotazioni pro capite.

Si valuti l’opportunità di fissare un termine per l'adozione del citato D.P.C.M., al fine di garantire l'effettività della disposizione.

Lo stesso comma dispone che l'erogazione gratuita di tale quantitativo di acqua, necessario al soddisfacimento dei bisogni essenziali, è assicurata, quale diritto fondamentale di ciascun individuo, anche in caso di morosità.

Analogamente, il comma 4 dell’art. 14 dispone che l’erogazione di tale quantitativo non può essere sospesa (sottintendendo, per quanto disposto successivamente, nemmeno nei casi di morosità).

 

Si ricorda che nelle premesse del D.P.C.M. 29 agosto 2016 (che stabilisce i principi e i criteri per il contenimento della morosità degli utenti del servizio idrico, anche al fine di garantire il quantitativo minimo vitale di acqua) si legge che “il quantitativo minimo di acqua vitale necessario al soddisfacimento dei bisogni essenziali alimentari, igienico sanitari e di tutela della salute è stabilito in 50 litri per abitante al giorno, tenendo conto che l'Organizzazione mondiale della sanità ha fissato tale quantitativo minimo vitale in 40 litri a persona al giorno nel documento della Division for sustainable development «Rio 2012 issue briefs-water».

Si fa notare che l’art. 3 di tale decreto dispone che “in nessun caso è applicata la disalimentazione del servizio agli utenti domestici residenti che versano in condizioni di documentato stato di disagio economico-sociale” (come individuati dall'Autorità di settore, oggi ARERA, in coerenza con gli altri settori dalla stessa regolati), ai quali è in ogni caso garantito il quantitativo minimo vitale pari a 50 litri abitante giorno.

Per gli utenti domestici che non versano in tali condizioni disagiate non è invece prevista una tale norma di garanzia. Nelle premesse del decreto viene infatti sottolineato che “ai fini del contenimento della morosità, il quantitativo minimo vitale non può essere esteso alle utenze domestiche non in condizioni economiche disagiate in quanto verrebbe meno l'effetto incentivante della politica tariffaria a un uso razionale della risorsa e i costi conseguenti sarebbero eccessivamente onerosi e finirebbero per gravare sulla generalità degli utenti virtuosi ed anche sugli utenti in condizioni economiche disagiate.

Lo stesso articolo 3 però dispone che “a tutti gli utenti domestici residenti è garantito l'accesso al quantitativo minino vitale a tariffa agevolata”.

 

Il comma 2 dell’art. 7 dell’A.C. 773 precisa che, ferma restando l'erogazione gratuita del quantitativo minimo vitale ai sensi del comma 1, l'ARERA, nella definizione delle procedure per la gestione della morosità (previste dal comma 2 dell'articolo 61 della L. 221/2015), stabilisce i criteri e le modalità di individuazione dei soggetti a cui i gestori non possono sospendere l'erogazione dell'acqua per morosità, sulla base dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE).

In pratica il combinato disposto dei commi 1 e 2 sembra consentire la prosecuzione della fornitura, anche nei casi di morosità, solamente per i soggetti in condizioni disagiate, in linea con quanto previsto dal succitato D.P.C.M. 29 agosto 2016.

La differenza rispetto al citato D.P.C.M. - ove si prevede che le condizioni di documentato stato di disagio economico-sociale (ai fini di impedire in ogni caso la disalimentazione del servizio) siano individuate dall’autorità di settore (oggi ARERA) in coerenza con gli altri settori dalla stessa regolati - è che nel comma in esame si precisa che l’ARERA dovrà basarsi sull’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE).

Limitazioni in caso di morosità

Il comma 4 dell’art. 14 dell’A.C. 52, oltre ad impedire la sospensione dell’erogazione del quantitativo minimo vitale, prevede che in caso di morosità nel pagamento, si proceda all’installazione, da parte del gestore, di un apposito meccanismo limitatore dell'erogazione, idoneo a garantire esclusivamente la fornitura giornaliera essenziale di 50 litri giornalieri per persona.

Si valuti l’opportunità di chiarire il soggetto al quale compete il costo relativo all’installazione, non essendo precisato nella disposizione in commento.

 

La limitazione della fornitura idrica è possibile, in base al successivo comma 5, solo al verificarsi delle seguenti condizioni:

·      preavviso del gestore mediante comunicazione avente valore legale recante l'indicazione del giorno a partire dal quale procederà alla limitazione della fornitura;

·      la limitazione dovrà avvenire almeno 30 giorni dopo il ricevimento della citata comunicazione.

Il comma 6 dispone che nel caso di utenze domestiche e condominiali il soggetto gestore non può procedere alla limitazione della fornitura idrica, anche nelle forme della riduzione del flusso, se non previo accertamento giudiziale dell'inadempimento dell'utente, anche nelle forme di cui agli articoli 633 e seguenti del codice di procedura civile (procedimento d'ingiunzione). In particolare, il comma 6 stabilisce che, nelle utenze domestiche qualsiasi limitazione della fornitura di acqua da parte del gestore, ai sensi del precedente comma 5, potrà avvenire solo previo accertamento della morosità dell’utente, anche a seguito di ricorso al giudice per ottenere decreto ingiuntivo di pagamento (art. 633 e ss. del codice civile). Vien precisato che tale accertamento giudiziale è necessario anche in relazione alle utenze condominiali.

In relazione a tale ultima disposizione, si valuti l’opportunità di un coordinamento con il contenuto dell’art. 63, comma 3, disp. att c.c. che – a seguito della riforma del condominio di cui alla legge 220 del 2012 – consente all’amministratore "in caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre” di sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato, tra cui potrebbe essere compresa la fornitura idrica.

Il comma 7 stabilisce che se il gestore del servizio idrico non rispetta le condizioni previste dell’art. 14 per la limitazione della fornitura, il giudice, anche indipendentemente dalla morosità dell’utente, ordina l’allaccio immediato della fornitura di acqua e l’eventuale rimozione di dispositivi di riduzione del flusso idrico anche con provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c.

Viene sancita dallo stesso comma 7 la nullità di tutte le disposizioni contrattuali e regolamentari incompatibili con l’articolo 14 in esame.

Andrebbe valutata l’opportunità di specificare con maggiore precisione l’ambito di applicazione della nullità ex lege di cui all’articolo 7, con riguardo alla natura e alla tipologia delle disposizioni regolamentari incompatibili.

 

Il comma 7 dispone che, in caso di mancato rispetto delle condizioni previste dal presente articolo, l'autorità giudiziaria, indipendentemente dall'accertamento dell'inadempimento dell'utente, ordina al soggetto gestore, anche nelle forme di cui all'articolo 700 del codice di procedura civile (provvedimenti di urgenza), l'allaccio immediato della fornitura idrica e la rimozione di eventuali dispositivi di limitazione della fornitura. Sono nulle tutte le disposizioni contrattuali e regolamentari incompatibili con il presente articolo.

 

Il comma 8 dispone l’abrogazione dell’art. 61 della legge 221/2015 (c.d. collegato ambientale) che ha demandato all’autorità di settore (oggi ARERA) – sulla base dei princìpi e dei criteri individuati con apposito D.P.C.M. – l’adozione di direttive per il contenimento e la gestione della morosità degli utenti del SII anche al fine di garantire il “quantitativo minimo vitale di acqua necessario al soddisfacimento dei bisogni fondamentali di fornitura per gli utenti morosi”.

In attuazione dell'art. 61 è stato emanato il D.P.C.M. 29 agosto 2016, che stabilisce i principi e i criteri per il contenimento della morosità degli utenti del servizio idrico integrato, assicurando che sia salvaguardata, tenuto conto dell'equilibrio economico e finanziario dei gestori, la copertura dei costi efficienti di esercizio e investimento e garantendo il quantitativo minimo vitale di acqua (pari a 50 litri per abitante) necessario al soddisfacimento dei bisogni fondamentali di fornitura per gli utenti morosi.


 

Fondo nazionale di solidarietà internazionale (art. 16, C. 52; art. 12, C. 773)

Entrambe le proposte di legge prevedono l’istituzione del Fondo in titolo.

 

L’art. 16 della pdl C. 52, prevede, al comma 1, l’istituzione, presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, del Fondo nazionale di solidarietà internazionale, posto sotto la vigilanza dei Ministri dell'ambiente e degli Affari esteri e della cooperazione internazionale.

Le finalità del Fondo sono individuate nel favorire l'accesso all'acqua potabile per tutti gli abitanti del pianeta e contribuire alla costituzione di una fiscalità generale universale che garantisca tale accesso, da realizzare attraverso la destinazione delle sue risorse a progetti di sostegno all'accesso all'acqua e ai servizi igienico-sanitari, gestiti attraverso forme di cooperazione decentrata e partecipata dalle comunità locali dei Paesi di erogazione e dei Paesi di destinazione, con l'esclusione di qualsiasi profitto o interesse privatistico.

 

In base al comma 2, le risorse destinate ad alimentare il Fondo sono individuate - tra le altre - nelle seguenti:

a) prelievo in tariffa di 1 centesimo di euro per metro cubo di acqua erogata a cura del gestore del servizio idrico integrato. Il comma 3 precisa che tali introiti sono destinati esclusivamente alle finalità di cui al comma 1;

b) prelievo fiscale nazionale di 1 centesimo di euro per ogni bottiglia di acqua minerale posta in commercio.

 

Posto che la formulazione del comma 2 lascia intendere che le disponibilità indicate siano soltanto alcune delle risorse che afferiscono al Fondo, sarebbe opportuno precisare anche le ulteriori risorse del medesimo.

Occorrerebbe precisare, anche eventualmente mediante un rinvio a disposizioni di rango secondario, le modalità attuative del prelievo in commento.

 

Le risorse del Fondo, secondo il disposto del comma 4, saranno erogate tramite bandi emanati dai Ministri competenti (vale a dire i Ministri dell'ambiente e degli affari esteri), secondo criteri sono definiti in sede di Conferenza unificata.

 

Si ricorda che l’articolo 1, comma 1284, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), come sostituito dall’art. 2, comma 334, della legge n. 244/2007 (finanziaria 2008), ha istituito un fondo di solidarietà, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, finalizzato a promuovere il finanziamento esclusivo di progetti e interventi, in ambito nazionale e internazionale, atti a garantire il maggior accesso possibile alle risorse idriche secondo il principio della garanzia dell’accesso all’acqua a livello universale. Il fondo è alimentato dalle risorse di cui al comma 1284-ter, mentre l’individuazione delle modalità di funzionamento e di erogazione delle risorse del fondo viene demandata ad un apposito decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro degli affari esteri, sentito il parere delle competenti Commissioni parlamentari e della Conferenza unificata.

Il successivo comma 1284-ter ha istituito un contributo di 0,5 centesimi di euro per ogni bottiglia di acqua minerale o da tavola in materiale plastico venduta al pubblico, destinando un decimo delle entrate derivanti da tale contributo all’alimentazione del fondo di cui al comma 1284.

Si segnala altresì che la Corte con sentenza 19-23 maggio 2008, n. 168, ha dichiarato, tra l’altro, l'illegittimità dell'articolo 1, comma 1284, della richiamata legge n. 296/2006 (legge finanziaria 2007), nel testo sostituito dall'art. 2, comma 334, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nella parte in cui prevede che le modalità di funzionamento e di erogazione delle risorse del fondo siano indicate con decreto del Ministro dell'ambiente di concerto con il Ministro degli affari esteri, sentito il parere delle competenti Commissioni parlamentari e della Conferenza unificata anziché d'intesa con la Conferenza unificata. Secondo la Corte, le disposizioni censurate istituiscono un fondo di natura unitaria ed indivisa, la cui disciplina si pone all’incrocio di materie attribuite dalla Costituzione alla potestà legislativa statale e regionale, senza che nessuna di tali materie possa considerarsi nettamente prevalente sulle altre: in tale ipotesi la concorrenza di competenze giustifica l’applicazione del principio di leale collaborazione e richiede, pertanto, il ricorso all’istituto della citata “intesa” con la Conferenza unificata.

 

 

L’art. 12 della pdl C. 773, che contiene disposizioni finalizzate alla costituzione di una fiscalità generale universale che favorisca l’accesso all’acqua potabile da parte di tutti gli abitanti del pianeta, apporta una serie di novelle all'articolo 1 della legge finanziaria per il 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296). In particolare:

·       la lettera a) dell’articolo 12 in commento sostituisce interamente il  comma 1284 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2007 (che, come accennato, era stato a sua volta riscritto dal comma 334 dell'articolo 2 della legge finanziaria per il 2008, legge 24 dicembre 2007, n. 244), e  istituisce, nello stato di previsione del Ministro degli Affari Esteri e della cooperazione Internazionale, un Fondo nazionale di solidarietà internazionale da destinare a progetti di cooperazione in campo internazionale per l'accesso all'acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari, con particolare attenzione al coinvolgimento della cooperazione territoriale e delle comunità locali dei Paesi partner. Il nuovo fondo subentra al fondo di solidarietà esistente presso la Presidenza del Consiglio dei ministri di cui al vigente comma 1284, articolo 1, della legge finanziaria per il 2007 (così come modificato dalla legge finanziaria per il 2008), che ha la funzione di promuovere il finanziamento esclusivo di progetti e interventi, in ambito nazionale e internazionale, atti a garantire il maggior accesso possibile alle risorse idriche secondo il principio della garanzia dell'accesso all'acqua a livello universale.

 

·        La lettera b) dell'articolo 12 raddoppia l'importo del contributo per ogni bottiglia di acqua minerale o da tavola in materiale plastico venduta al pubblico previsto dal vigente comma 1284-ter dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2007 (così come successivamente modificata), elevandolo da 0,5 centesimi di euro a un centesimo;

 

·        la lettera c) aggiunge all'articolo 1 della menzionata legge finanziaria per il 2007 il nuovo comma 1284-quater, che istituisce un prelievo di 1 centesimo di euro per metro cubo di acqua erogata, a cura dell'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente, prevedendo che i relativi proventi siano versati al Fondo di nuova istituzione, entro il 31 dicembre di ogni anno. Il nuovo comma 1284-quater, inoltre, regola la gestione delle risorse del Fondo nazionale di solidarietà internazionale stabilendo che esse  siano gestite dall'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, secondo le procedure di erogazione ed assegnazione fissate dalla legge 11 agosto 2014, n. 125, recante la disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo, conformemente alle norme regolamentari che disciplinano i rapporti tra il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e l'Agenzia.

 

Si ricorda, al riguardo, che la legge n. 125/2014 sulla cooperazione internazionale allo sviluppo individua l'organo di gestione nell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, istituita dall'articolo 17 della legge medesima. L’Agenzia è sottoposta al potere di indirizzo e vigilanza del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) e ha personalità giuridica autonoma, un proprio bilancio e a una propria organizzazione. Essa attua gli interventi di cooperazione operando sulla base delle direttive emanate dal Ministro, in base agli indirizzi stabiliti dal Documento triennale di programmazione. Pertanto, l’Agenzia svolge attività di carattere tecnico-operativo connesse alle fasi di istruttoria, formulazione, finanziamento, gestione e controllo delle iniziative di cooperazione. Essa, inoltre, eroga servizi, assistenza e supporto tecnico alle altre amministrazioni pubbliche che operano nell'ambito della cooperazione allo sviluppo. Il direttore dell'Agenzia è nominato dal Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, a seguito di procedura di selezione con evidenza pubblica improntata a criteri di trasparenza, per un mandato della durata di quattro anni, rinnovabile una sola volta.

 

Si osserva che sia per il contributo di cui alla lettera b), sia per il prelievo di cui alla lettera c) dell'articolo 12 in esame, non appaiono precisate le rispettive modalità attuative.


 

Governo partecipativo del servizio idrico integrato (art. 15, C. 52; art. 11, C. 773)

Democrazia partecipativa

Entrambe le pdl C. 52 e C. 773, ai commi 1 e 2 dei rispettivi articoli 15 e 11, al fine di favorire la partecipazione democratica, attribuiscono agli enti locali il compito di adottare (sulla base di norme regionali di indirizzo) forme di democrazia partecipativa, prevedendo, a tale fine, che lo Stato e gli enti locali applichino, nella redazione degli strumenti di pianificazione, il disposto dell'art. 14 della direttiva 2000/60/CE, in conformità a quanto previsto dalla Convenzione di Aarhus del 1998 sull'accesso alle informazioni e la partecipazione del pubblico ai processi decisionali in materia ambientale (comma 1).

Si segnala che l’articolo 14 della direttiva 2000/60/CE disciplina l’informazione e la consultazione pubblica, prevedendo che gli Stati membri promuovono la partecipazione attiva di tutte le parti interessate all'attuazione della direttiva, in particolare all'elaborazione, al riesame e all'aggiornamento dei piani di gestione dei bacini idrografici.

In tale ambito, l’articolo 66 del d.lgs. 152/2006 prevede, al comma 7, che le autorità di bacino promuovano la partecipazione attiva di tutte le parti interessate all'elaborazione, al riesame e all'aggiornamento dei piani di bacino, provvedendo affinché, per ciascun distretto idrografico, sia pubblicata e resa disponibile la documentazione prevista, per eventuali osservazioni del pubblico, inclusi gli utenti, concedendo un periodo minimo di sei mesi per la presentazione di osservazioni scritte. Disposizioni di contenuto analogo volte a garantire l’informazione e la consultazione pubblica con riferimento all’elaborazione, al riesame e all’aggiornamento dei Piani di tutela delle acque sono contenute nell’art. 122 del decreto n. 152/06. Anche l’art. 162 del citato decreto, che, con riferimento alla gestione del servizio idrico integrato, disciplina i compiti del gestore al fine di garantire l’informazione degli utenti, prevede forme di pubblicità dei progetti concernenti opere idrauliche che comportano o presuppongono grandi e piccole derivazioni, opere di sbarramento o di canalizzazione, nonché la perforazione di pozzi.

La presenza di tali disposizioni all’interno del cd. Codice dell’ambiente è motivata dal fatto che con tale provvedimento si è inteso operare, tra l’altro, anche il recepimento nell’ordinamento nazionale della direttiva 2003/35/CE, che rappresenta l’attuazione a livello europeo di uno dei tre pilastri della succitata Convenzione di Aarhus. L’Unione europea non si è infatti limitata a ratificare la Convenzione, ma si è impegnata ad adottare i provvedimenti necessari per assicurarne un'applicazione effettiva. In particolare il primo pilastro della convenzione, che fa riferimento all'accesso al pubblico delle informazioni, ha trovato attuazione nella direttiva 2003/4/CE relativa all'accesso del pubblico alle informazioni in materia ambientale (recepita con il D.Lgs. 195/2005), mentre il secondo pilastro, che riguarda la partecipazione del pubblico alle procedure ambientali, è stato recepito dalla direttiva 2003/35/CE.

La Convenzione di Aarhus è stata ratificata dall'Italia con la legge n. 108/2001.

 

La pdl C. 52 specifica, rispetto a quanto previsto dalla pdl. C. 773, che l’adozione da parte degli enti locali di forme di democrazia partecipativa in tale ambito è finalizzata a garantire ai lavoratori del servizio idrico integrato e agli abitanti del territorio la partecipazione attiva alle decisioni sugli atti fondamentali di pianificazione, programmazione e gestione (comma 2).

Si ricorda in proposito che il Testo unico degli enti locali (TUEL), adottato con il D.Lgs. 267/2000, introduce nell’ordinamento delle autonomie locali vari istituti di partecipazione dei cittadini all’attività amministrativa. In primo luogo la legge prevede, in linea di principio, che gli enti locali devono assumere una serie di iniziative che hanno lo scopo di rendere effettiva la partecipazione dei cittadini all’attività dell’amministrazione. La definizione in concreto delle iniziative è comunque rimessa alla autonoma determinazione dei singoli enti locali, i cui statuti devono anche stabilire quali rapporti i vari organismi associativi possono avere con l’amministrazione, ed in particolare a quali attività essi possono partecipare e quali effetti tale partecipazione esplica nei confronti dell’amministrazione.

La legge introduce poi alcuni istituti di democrazia diretta, vale a dire la consultazione popolare ed il referendum, che devono riguardare materie di esclusiva competenza locale. Un terzo gruppo di strumenti di partecipazione previsti dalla legge è rappresentato dalle istanze, petizioni e proposte che cittadini singoli o associati possono presentare allo scopo di promuovere interventi per la tutela di interessi collettivi. La legge ha introdotto anche nuovi strumenti di tutela degli interessi dei cittadini. Con la previsione dell’istituto dell’azione popolare è stato conferito ai cittadini il potere di sostituirsi all’amministrazione, in caso di inerzia della stessa, per tutelare una situazione giuridica di cui è titolare l’ente locale, e quindi la collettività. Negli ultimi anni si è moltiplicato il numero di enti locali che hanno attivato forme innovative di consultazione e partecipazione popolare: tra queste le consulte o forum, organismi prevalentemente consultivi composti da rappresentati delle istituzioni e delle associazioni della società civile.

Accanto alle forme di partecipazione che si riferiscono in generale al processo decisionale della pubblica amministrazione, il Testo unico enti locali e, principalmente, la L. 241/1990 sull’azione amministrativa definiscono le forme della partecipazione procedimentale. La normativa concernente la partecipazione dei cittadini ai procedimenti trova poi il suo corollario nelle disposizioni sulla pubblicità dell’attività dell’amministrazione e sul diritto di accesso agli atti amministrativi, introdotte, sia pure secondo procedure non interamente coincidenti, sia dal TUEL, sia dalla L. 241/1990.

Con l'entrata in vigore del codice della trasparenza (D.Lgs. 33/2013) è stata introdotta la nozione di accesso civico, quale diritto di chiunque di richiedere alle pubbliche amministrazioni i documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria, nei casi in cui questa sia stata omessa. A differenza del diritto di accesso agli atti di cui alla legge sull'azione amministrativa (L. 241/1990), la richiesta di accesso civico non è sottoposta ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente e non deve essere motivata. Successivamente, con le modifiche al Codice approvate nel 2017, è stata introdotta una ulteriore fattispecie di diritto di accesso ai documenti delle pubbliche amministrazioni - sul modello del Freedom of Information Act FOIA statunitense - basato sulla possibilità di chiunque di accedere alle informazioni detenute dalle autorità pubbliche, ad esclusione di un elenco tassativo di atti sottoposti a regime di riservatezza.

 

Entrambi le pdl pongono inoltre in capo alle regioni il compito di definire, attraverso normative di indirizzo, le forme e le modalità più idonee con cui organizzare la partecipazione e la discussione degli abitanti, dei lavoratori e delle loro forme associative e di rappresentanza, nelle sedi di pianificazione e programmazione degli orientamenti di fondo del servizio idrico integrato.

La pdl C. 52 estende la suddetta previsione anche nelle sedi degli organi di gestione degli enti di diritto pubblico preposti alla gestione del servizio idrico integrato.

Entrambe le pdl fissano inoltre il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge per gli adempimenti previsti dalle regioni (comma 2).

In proposito si richiama l’art. 123, comma primo, della Costituzione che riconosce, tra i contenuti necessari dello statuto regionale, i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento, nonché alcuni precisi istituti di partecipazione popolare, come l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti. Molti statuti disciplinano gli istituti e i diritti di partecipazione popolare che sembrerebbero poter rientrate tra i “principi fondamentali di organizzazione e funzionamento”. La Corte costituzionale ha ricordato in proposto che i “diritti di partecipazione” rappresentano un ambito di competenza regionale, che la Regione può esercitare “nell’ambito delle facoltà che le sono costituzionalmente riconosciute” (si cfr. Corte cost. n. 379 del 2004).

 

La pdl C. 52, all’art. 15, comma 3, rinvia agli statuti di province e comuni (ai sensi dell'articolo 8 del D.Lgs. 267/2000 – Testo unico sugli enti locali) la disciplina degli strumenti di democrazia partecipativa.

 

Pubblicità degli atti

La pdl. C. 52, all’art. 15, comma 5, introduce norme finalizzate a garantire la pubblicità:

·        delle sedute del consiglio di bacino e dei relativi atti deliberati (in proposito viene previsto che i verbali e le deliberazioni siano pubblicati sul sito web istituzionale del consiglio, in conformità al D.Lgs. 33/2013);

Si ricorda che tale decreto legislativo contiene le norme di riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, recentemente modificato dal D.Lgs. 97/16, in attuazione della delega contenuta nell’art. 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, con cui sono state introdotte alcune novità (in particolare sul diritto di accesso a dati e documenti, artt. 5-5-ter ), finalizzato inoltre alla soluzione di criticità emerse nella prima applicazione del codice. In conseguenza delle modifiche normative intervenute, è stata altresì adottata la Determinazione ANAC dell’8 novembre 2017, n. 1134, recante le nuove linee guida per l'attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici, che ha sostituito le precedenti Linee guida previste nella Determinazione 8/15 ANAC.

·        di tutti gli atti e i provvedimenti, adottati dai gestori del servizio idrico integrato, che prevedono impegni di spesa.

 

La pdl. C. 773, all’art. 11, comma 3, dispone la pubblicità:

·        delle sedute dell'ente di governo dell'ambito territoriale ottimale (EGATO), salvo quelle dell'organo esecutivo, con la massima diffusione della loro convocazione;

·        nel sito internet istituzionale dell'EGATO dei verbali delle sedute e delle deliberazioni assunte, con relativi allegati, in conformità a quanto disposto dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33.

·        di tutti gli atti e i provvedimenti, adottati dai gestori del servizio idrico integrato, che prevedono impegni di spesa (come previsto anche nella pdl. 52);

·        da parte dei soggetti gestori del servizio idrico integrato, delle informazioni e delle analisi relative alla qualità delle acque ad uso umano, al monitoraggio delle perdite delle infrastrutture idriche di competenza e alle performance di gestione aziendale raggiunte nell'anno solare. La pubblicazione dei dati deve avvenire con cadenza annuale, entro e non oltre il 30 marzo dell'anno successivo a quello di riferimento.

Carta nazionale del servizio idrico integrato

La pdl. C. 52, all’art. 15, comma 4, attribuisce al Governo il compito di definire – entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento – la Carta nazionale del servizio idrico integrato, finalizzata: al riconoscimento del diritto all’acqua, di cui all’art. 2, alla fissazione dei livelli e degli parametri minimi di qualità del servizio idrico integrato e alla disciplina delle modalità di vigilanza sulla sua corretta applicazione, definendo le eventuali sanzioni applicabili.

Si segnala che l’articolo 151 del d.lgs. 152/2006 disciplina il contenuto delle convenzioni tipo adottate dall’ex AEEGSI (ora ARERA ai sensi del comma 528 della legge 205/17 – legge di bilancio 2018), sulla base delle quali sono predisposte, da parte dell’ente di governo dell’ambito, le convenzioni dirette a regolare i rapporti tra l’ente ed il soggetto gestore del servizio idrico integrato, in cui tra l’altro è previsto l'obbligo di adottare la carta di servizio sulla base degli atti d'indirizzo vigenti (D. P.C.M. 27 gennaio 1994 ”Principi sull’erogazione dei servizi pubblici” e dal D.P.C.M. 29 aprile 1999 “Schema generale per la predisposizione delle carte dei servizi nel settore idrico”, nonché in osservanza delle disposizioni dettate in materia dalla ex AEEGSI con la deliberazione del 23 dicembre 2015 n. 655/2015/R/IDR).

Pubblicità sul controllo e monitoraggio della qualità delle acque destinate al consumo umano (artt. 6 e 7 C. 52)

            L’art. 6 dell’A.C. 52 è volto ad introdurre un nuovo paramento di valutazione della qualità delle acque destinate al consumo umano e a definire specifici obblighi di comunicazione del gestore del servizio idrico in caso di degrado della qualità dell'acqua tra il punto di consegna e il rubinetto (comma 2). Viene inoltre stabilito il termine del 31 dicembre 2019, entro il quale deve essere disposta l’adozione di apposite linee guida per la realizzazione di piani per la valutazione degli effetti sinergici o sommatori delle varie sostanze (comma 3). Sono infine definite specifiche procedure di controllo dei valori e del loro aggiornamento in base all’evoluzione delle conoscenze tecnico-scientifiche e della normativa in materia.

Nuovo parametro per la valutazione di sostanze pericolose

L’art. 6, comma 1, introduce un nuovo parametro di valutazione volto a garantire il rispetto delle norme sulla qualità delle acque destinate al consumo umano, vale a dire l’effetto sommatorio o sinergico delle concentrazioni delle diverse sostanze che non devono costituire pericolo per la salute umana. Tale effetto deve essere utilizzato nel caso di presenza  concomitante delle medesime sostanze qualora, singolarmente considerate, rispettino i requisiti minimi prescritti dal D. Lgs. n. 31 del 2001 per assicurare la qualità di tali acque.

In base alla normativa vigente, (D.Lgs n. 31/2001, che ha attuato la direttiva 98/83/CE del Consiglio che concerne la qualità delle acque destinate al consumo umano), le acque destinate al consumo umano devono essere conformi a specifici parametri microbiologici (parte A, allegato I del decreto) e chimici dell'acqua (parte B del medesimo allegato), oltre che a parametri indicatori (parte C) non direttamente correlabili a rischi per la salute bensì a eventuali modifiche della qualità delle acque. In base alla normativa vigente, più in dettaglio, le acque destinate al consumo umano, salvo le deroghe e i casi eccezionali previsti, rispettivamente all’art. 13 e 16, non devono contenere microrganismi e parassiti, né altre sostanze, in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana, devono soddisfare i requisiti minimi indicati dell’Allegato I sopra indicate e devono essere conformi a quanto previsto nei provvedimenti adottati dall’autorità d’ambito, sentito il parere della ASL competente, in caso di non conformità ai valori di paramento o alle specifiche previste in Allegato.

 

Obblighi del gestore del servizio idrico

Il comma 2 definisce gli obblighi cui è tenuto il gestore, nel caso del verificarsi di condizioni riconducibili alla propria condotta. Esso è tenuto a comunicare con tempestività ai soggetti terzi interessati, oltre che alla ASL e all’ente di governo dell’ambito (EGATO) [12] tali condizioni che, anche solo potenzialmente e temporaneamente, siano suscettibili di determinare il degrado della qualità dell'acqua tra il punto di consegna e il rubinetto.

Si ricorda che la definizione di gestore è data alla lett. c), comma 1, dell’art. 2 del citato D. Lgs. 31/2001 come chiunque fornisca acqua a terzi attraverso impianti idrici autonomi o cisterne, fisse o mobili.

Procedura per il ripristino dei valori di parametro

Viene pertanto stabilita la procedura che prevede l’obbligo, in capo al gestore, sotto il controllo ed il monitoraggio della ASL competente e in collaborazione con l'ente di governo dell'ambito, della rimozione tempestiva delle cause che hanno determinato le predette condizioni. E’ compito della stessa ASL, in collaborazione con l'ente di governo dell'ambito, l’adozione di provvedimenti di propria competenza al fine del ripristino dei valori di parametro (comma 2).

A legislazione vigente (art. 14 del D. Lgs. n. 31/2001), in caso di non conformità dei valori di parametro o alle specifiche di cui alla parte C dell’Allegato 1 che definisce i parametri indicatori dell’acqua idro-potabile, ivi inclusi i livelli di radioattività, è previsto l’intervento dell’autorità d’ambito, la quale è chiamata a mettere in atto i necessari adempimenti e a disporre che vengano assunti i provvedimenti volti al ripristino della qualità delle acque.

In proposito, si valuti l’opportunità di un coordinamento normativo della procedura introdotta al comma 2 per il ripristino dei valori di parametro dell’acqua destinata al consumo umano con quella prevista all’articolo 14, comma 1, del D.Lgs. n. 31/2001.

 

Definizione di apposite linee guida

Il comma 3 stabilisce che, entro il termine del 31 dicembre 2019, il Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'ambiente, avvalendosi dell'Istituto superiore di sanità (ISS) e, per le attività istruttorie, dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), disponga l’adozione, con proprio decreto, di apposite linee guida per la realizzazione di piani per la valutazione degli effetti sinergici o sommatori delle varie sostanze.

La norma specifica che si deve tener conto delle linee guida per i piani di sicurezza e delle linee guida per le acque destinate al consumo umano emanate dall'Organizzazione mondiale della sanità.

In proposito si sottolinea che l’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato nel 2014 specifiche linee guida (qui il link al documento) per la valutazione e la gestione del rischio nella filiera delle acque destinate al consumo umano secondo il modello dei Water Safety Plans (Piani di Sicurezza dell’Acqua, PSA), proposti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Più di recente è stato peraltro emanato il DM 14 giugno 2017 finalizzato al recepimento della direttiva (UE) 2015/1787 che ha modificato gli allegati II e III della sopra richiamata direttiva 98/83/CE sulla qualità delle acque destinate al consumo umano, già a loro volta recepiti dagli allegati II e III del D. Lgs. n. 31/2001.

Le linee guida devono inoltre indicare i piani supplementari di monitoraggio sanitario e ambientale, realizzati di norma secondo programmi annuali, che tengano conto:

a)            delle pressioni ambientali, comprese le emissioni in atmosfera, nei corpi idrici superficiali e sotterranei e sul suolo, presenti intorno alle aree in cui insistono punti di captazione, comprese le zone di tutela assoluta, le zone di rispetto e le zone di protezione di cui all'articolo 94 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 [13] ;

b)            dello stato delle reti di adduzione e distribuzione, comprese la presenza di perdite e la composizione dei materiali costitutivi delle reti, nonché, ai fini della verifica di compatibilità sanitaria, dell'utilizzo delle adduttrici per l'installazione di impianti per la produzione energetica;

c)            dello stato di salute della popolazione interessata;

d)            della presenza di siti inquinati o potenzialmente inquinati e delle zone di cui agli articoli 92 e 93 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 [14] , nelle aree circostanti i punti di captazione o di approvvigionamento di qualsiasi tipologia e che possono direttamente o indirettamente influenzare la quantità e la qualità della risorsa idropotabile;

e)            delle sostanze pericolose e delle sostanze pericolose prioritarie, come definite dall'Unione europea, nonché di altre categorie di sostanze potenzialmente presenti e aventi effetti sulla salute;

In merito, si segnala che l’adozione del modello PSA (Piani di Sicurezza dell’Acqua) ha peraltro l’obiettivo di superare i limiti dell’attuale sistema di controllo sulle acque destinate al consumo umano, principalmente al fine di prevenire le emergenze idro-potabili mediante una estensione dei parametri di controllo attualmente non oggetto di ordinario monitoraggio in base alla legislazione vigente (ad esempio PFAS [15] e microcistine) ed una aggiornata identificazione delle filiere idro-potabili per ottimizzare i campionamenti/monitoraggi, anche al fine della realizzazione di banche dati condivise tra gestori, Agenzie regionali per l’ambiente e ASL finalizzate ad una rete di sorveglianza su base regionale e centrale.

f)             della disponibilità della risorsa idrica

Attuazione dei piani supplementari di monitoraggio

Il comma 4 dispone che regioni e province autonome devono sovrintendere all'immediata attuazione dei predetti piani supplementari di monitoraggio da parte delle ASL competenti, che sono chiamate ad avvalersi del sistema delle agenzie regionali per la protezione ambientale (SNPA) istituito dalla legge 28 giugno 2016, n. 132, in cui l’Ispra svolge tra l’altro funzioni di indirizzo e di coordinamento tecnico.

Si ricorda che il 4 aprile 2018 è stata pubblicata la delibera 33/18 approvata dal consiglio SNPA contenente il documento "Programma Triennale SNPA 2018-2020"  che presenta alcuni obiettivi per i quali il SNPA individua target cui ispirare la propria azione nel corso del triennio 2018 – 2020, tra cui il monitoraggio dei corpi idrici.

Per approfondire il tema del riordino delle agenzie ambientali si rinvia al dossier di inizio della XVIII legislatura.

Al riguardo, si segnala che l’art. 12, co. 1, del D. Lgs. n. 31/2001 già prevede, tra le competenze delle regioni e delle province autonome, l’esercizio di poteri sostitutivi in caso di inerzia delle autorità locali competenti per l’adozione dei provvedimenti necessari all’approvvigionamento idrico-potabile (lett. b)), gli adempimenti relativi all’inosservanza dei valori di parametro o delle specifiche contenute nell’allegato I, parte C, del D.Lgs 31/2001 (lett. d)) e l’adozione di piani di intervento per il miglioramento della qualità delle acque destinate al consumo umano.

Controlli della qualità delle acque destinate al consumo umano

Il comma 5 interviene estendendo gli obblighi previsti dalla normativa vigente del citato D. Lgs. n. 31/2001 con riferimento ai laboratori di analisi utilizzati dallo stesso gestore per i controlli interni (art. 7, co. 3) e dalla ASL territorialmente competente per i controlli esterni (art. 8, co. 7). In particolare i predetti laboratori devono essere in possesso dell'accreditamento per i diversi parametri da valutare ai sensi del D.M. (Sviluppo economico) del 22 dicembre 2009.

Attualmente, ai sensi dell’art. 6, co. 5, del decreto, i laboratori di analisi utilizzati per i controlli interni ed esterni devono seguire procedure di controllo analitico della qualità sottoposte periodicamente al controllo del Ministero della salute, in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità, finanziati da ordinari stanziamenti di bilancio.

 Nelle more dell'attuazione della precedente disposizione, il comma 6 stabilisce che almeno il 5% dei controlli effettuati dai laboratori privi di accreditamento deve avvenire in contraddittorio con i laboratori già accreditati.

Modifiche delle competenze statali in materia di qualità delle acque

Il comma 7 dispone infine una novella alle lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo 11 del D. Lgs. n. 31/2001, riguardante specifiche competenze statali per la tutela della salute umana in materia di qualità delle acque.

In particolare si prevede:

a)     l'aggiornamento almeno triennale (in luogo di semplici “modifiche”) degli Allegati I, II e III, del decreto, in relazione all'evoluzione delle conoscenze tecnico-scientifiche o in esecuzione di disposizioni adottate in materia in sede di Unione europea. Il primo aggiornamento deve comunque essere effettuato entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della presente  disposizione.

Rispetto alla legislazione vigente, questo aggiornamento - che può essere effettuato anche su segnalazione di comitati, associazioni scientifiche, associazioni dei consumatori e associazioni di protezione ambientale - deve essere quindi prodotto comunque almeno ogni tre anni, previa relazione da parte dell'Istituto Superiore di Sanità riguardante l'evoluzione della conoscenze scientifiche, i risultati dei controlli e dei monitoraggi ed i piani di sicurezza.

La novella, inoltre, detta la procedura di aggiornamento che comprende una fase pubblica per la raccolta di osservazioni della durata di almeno 30 giorni, comprensiva di audizioni del pubblico interessato, tranne i casi di modifiche urgenti connesse a situazioni di emergenza, definite secondo le disposizioni vigenti.

In attuazione del principio di precauzione, viene altresì previsto un meccanismo di adeguamento, se manca l’aggiornamento dei valori, in particolare dell'allegato I, parte B: essi sono automaticamente diminuiti del 20% e, in caso di mancato aggiornamento entro un anno, di un ulteriore 20%;

b)     la fissazione di valori per parametri aggiuntivi non riportati nell'allegato I, qualora ciò sia necessario per tutelare la salute umana in una parte o in tutto il territorio nazionale; i valori fissati devono soddisfare almeno i requisiti di cui all'articolo 4, co. 2, lett. a), relativi all’assenza di microrganismi e parassiti, o altre sostanze, in quantità o concentrazioni pericolose per la salute umana.

In proposito si segnala che, ai sensi dell’art. 8, co. 3, del decreto, la ASL competente deve assicurare una ricerca supplementare (con parametri la cui codifica è a cura dell’Istituto superiore di sanità), caso per caso, delle sostanze e dei microrganismi per i quali non sono stati fissati valori di parametro a norma dell'allegato I, qualora vi sia motivo di sospettare la presenza in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana.

 

Pubblicità dei controlli

L’art. 7 della pdl. C. 52 stabilisce le forme di pubblicità, sui risultati dei controlli relativi alla qualità delle acque destinate al consumo umano e la loro diffusione al pubblico, sulla procedura per la classificazione delle acque superficiali, ai fini della loro utilizzazione o destinazione alla produzione di acqua potabile, e prevede altresì l’individuazione del responsabile per l’informazione pubblica, ai fini dell’attuazione degli obblighi di informazione, partecipazione e trasparenza previsti dal presente provvedimento.

Si prevede la pubblicazione (comma 1):

·        dei risultati dei controlli interni ed esterni di cui agli articoli 6, 7 e 8 del D.Lgs. 31/2001, in forma integrale, entro ventiquattro ore dal ricevimento del referto nei siti internet del gestore, per quanto attiene ai controlli interni, e dell’autorità sanitaria locale, per quanto attiene ai controlli esterni;

In sintesi, ai sensi degli articoli 6, 7 e 8 del D.Lgs. 31/2001, i controlli interni sono effettuati dal gestore per la verifica della qualità dell'acqua, destinata al consumo umano, mentre i controlli esterni sono svolti dall'azienda unità sanitaria locale territorialmente competente, per verificare che le acque destinate al consumo umano soddisfino i requisiti previsti dal medesimo decreto. Tali controlli sono effettuati: a) ai punti di prelievo delle acque superficiali e sotterranee da destinare al consumo umano; b) agli impianti di adduzione, di accumulo e di potabilizzazione; c) alle reti di distribuzione; d) agli impianti di confezionamento di acqua in bottiglia o in contenitori; e) sulle acque confezionate; f) sulle acque utilizzate nelle imprese alimentari; g) sulle acque fornite mediante cisterna, fissa e mobile.

·        dei piani di controllo interno ed esterno e le eventuali esenzioni, con le relative motivazioni, rispetto ai parametri dell’allegato I annesso al medesimo D.Lgs. 31 del 2001, sulla base di quanto previsto dall’allegato II annesso al citato decreto legislativo.

Nell’allegato I del D.Lgs. 31/01 sono elencati,  per le acque destinate al consumo umano, i diversi parametri considerati, con i relativi valori fissati. L’allegato II descrive, nell’ambito della attività di controllo, gli obiettivi generali e i programmi di controllo, i parametri e frequenze, la valutazione del rischio e i metodi di campionamento e punti campionamento.

Sono poi previsti ulteriori obblighi a carico:

·        degli enti locali, partecipanti all’ente di governo dell’ambito, in merito all’inserimento nei propri siti internet istituzionali del collegamento al sito internet istituzionale dell’autorità sanitaria locale che riporta i referti;

·        dei gestori, che sono tenuti a fornire, su richiesta dell’ente, unitamente alla fattura, l’ultimo referto disponibile per l’area di residenza del richiedente.

 

Da ultimo, è prevista la divulgazione al pubblico dei risultati dei controlli e dei monitoraggi supplementari effettuati ai sensi dell’articolo 6, comma 3, entro quindici giorni dal ricevimento del referto tramite i siti internet del gestore, dell’ente di governo dell’ambito, dell’autorità sanitaria locale e dell’agenzia per la protezione ambientale competente per territorio (comma 2).

Pubblicazione dei dati sui siti internet degli enti locali

E’ previsto l’obbligo nella pagina iniziale dei siti internet istituzionali dei comuni della pubblicazione dei dati riferiti ai controlli interni, esterni, e supplementari, che devono altresì essere resi disponibili nel sito internet istituzionale di ciascun comune per un periodo di almeno cinque anni.

Tale disposizione risulta, come specificato dalla norma in esame, in applicazione degli obblighi di informazione e di trasparenza previsti dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, che attua la direttiva 2003/4/CE, sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale, e dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 sul diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni.

La norma prevede inoltre la pubblicazione di tali dati in formato di tipo aperto, ai sensi dell’articolo 68 del D.Lgs. 82/05 (codice dell’amministrazione digitale, che tra l’altro elenca le soluzioni disponibili sul mercato per l’acquisizione di programmi informatici da parte della PA).

Si prevede poi il riutilizzo di tali dati ai sensi del D.Lgs. 36/06, di attuazione della direttiva 2003/98/CE relativa al riutilizzo di documenti nel settore pubblico, del citato codice di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005, e del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (comma 3).

Si ricorda, in proposito che, in attuazione degli indirizzi comunitari, il D.Lgs. n. 36/2006 prevede un complesso minimo di norme al fine esplicito di agevolare il “riutilizzo dei documenti esistenti nel settore pubblico”. Con tale espressione s’intende l'uso dei documenti concernenti dati pubblici in possesso di pubbliche amministrazioni e organismi di diritto pubblico da parte di persone fisiche o giuridiche a fini commerciali o non commerciali diversi dall'adempimento dei fini istituzionali per i quali il documento è stato prodotto. Il Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82/2005) stabilisce che i dati delle pubbliche amministrazioni sono formati, raccolti, conservati, resi disponibili e accessibili con l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione che ne consentano la fruizione e riutilizzazione, alle condizioni fissate dall'ordinamento, da parte delle altre pubbliche amministrazioni e dai privati; restano salvi i limiti alla conoscibilità dei dati previsti dalle leggi e dai regolamenti, le norme in materia di protezione dei dati personali ed il rispetto della normativa comunitaria in materia di riutilizzo delle informazioni del settore pubblico.

Pubblicità sulla classificazione delle acque superficiali per la produzione di acqua potabile

Sull’avvio della procedura per la classificazione delle acque superficiali, per la produzione di acqua potabile, è prevista la pubblicizzazione presso la popolazione interessata, da parte delle regioni o dell’ente di governo dell’ambito (se proponente tale richiesta di classificazione), nel proprio sito internet istituzionale, e anche attraverso altre forme di diffusione (come comunicati stampa e incontri pubblici presso i principali luoghi interessati, pubblicizzati mediante affissione di manifesti).

La disposizione prevede altresì la tempestiva pubblicazione - durante le operazioni di classificazione -  dei referti dei controlli analitici mensili, necessari per la classificazione stessa, nei siti internet del gestore, dell’ente di governo dell’ambito, dell’azienda sanitaria locale e dell’agenzia per la protezione ambientale, entro cinque giorni lavorativi dalla loro acquisizione (comma 4).

L’art. 80 del Codice dell’ambiente, richiamato nella norma in esame, prevede, per la produzione di acqua potabile, la classificazione delle acque dolci superficiali dalle regioni nelle categorie A1, A2 e A3, secondo le caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche di cui alla Tabella 1/A dell'Allegato 2 alla parte terza del decreto legislativo. A seconda della categoria di appartenenza, le acque dolci superficiali di cui sopra sono sottoposte ai trattamenti seguenti:

a) Categoria A1: trattamento fisico semplice e disinfezione;

b) Categoria A2: trattamento fisico e chimico normale e disinfezione;

c) Categoria A3: trattamento fisico e chimico spinto, affinamento e disinfezione.

A tale fine, le regioni inviano i dati relativi al monitoraggio e alla classificazione delle acque al Ministero della salute, che provvede al successivo inoltro alla Commissione europea. Per le acque dolci superficiali che presentano caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche qualitativamente inferiori ai valori limite imperativi della categoria A3 è previsto l’utilizzo, in via eccezionale, solo qualora non sia possibile ricorrere ad altre fonti di approvvigionamento e a condizione che le acque siano sottoposte ad opportuno trattamento che consenta di rispettare le norme di qualità delle acque destinate al consumo umano.

Responsabile per l’informazione pubblica

E’ prevista l’individuazione di un responsabile per l’informazione pubblica, ai fini dell’attuazione degli obblighi di informazione, partecipazione e trasparenza previsti dal presente provvedimento, da parte del Ministero della salute, delle regioni e delle province autonome, dei gestori, delle agenzie per la protezione ambientale, delle autorità sanitarie locali e dell’ente di governo dell’ambito.

In caso di inadempimento di tali obblighi, si applicano le disposizioni e le sanzioni di cui agli articoli 43 e seguenti del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (comma 5).

Si ricorda che in merito alle attività di vigilanza sull'attuazione delle disposizioni e relative sanzioni, gli articoli 43-47 del citato D.Lgs. n. 33 del 2013 sul diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, prevedono una serie di obblighi e sanzioni anche di carattere pecuniario, nei confronti del personale della PA, la cui inadempienza costituisce, tra l’altro, elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, eventuale causa di responsabilità per danno all'immagine dell'amministrazione e sono comunque valutati ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili.

 


 

Contatori e trasparenza delle fatturazioni (artt. 7, comma 3, 8 e 10, C. 773)

Attuazione dell’obbligo di installazione dei contatori

In base al comma 3 dell’art. 7 dell’A.C. 773, si prevede un obbligo di rendicontazione in capo alle regioni, che, entro il 30 giugno di ciascun anno, inviano all'ARERA e al Ministero dell'ambiente una relazione sullo stato di attuazione dell'articolo 146, comma 1, lettera f), del Codice, in materia di attribuzione dell'obbligo di provvedere all'installazione di contatori per il consumo di acqua in ciascuna unità abitativa, nonché di contatori differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano.

Lo stesso comma prevede che, entro il 31 dicembre di ciascun anno, il Ministro dell'ambiente provvede alla trasmissione alle Camere di una relazione complessiva suddivisa per regioni sullo stato di attuazione del citato articolo.

Si ricorda che l’art. 146, comma 1, del Codice, prevede che spetti alle regioni, sentita l'autorità di settore e nel rispetto dei principi della legislazione statale, adottare norme e misure volte a razionalizzare i consumi e eliminare gli sprechi ed in particolare, tra l’altro, a installare contatori per il consumo dell'acqua in ogni singola unità abitativa nonché contatori differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano (lettera f)).

Si delinea dunque un doppio livello di verifica, sia con l'invio di una relazione da parte delle regioni nei confronti dell'autorità di settore e del Ministero, sia con altra relazione presentata da parte del Ministero al Parlamento.

In relazione al tema dell'installazione di contatori per il consumo di acqua in ciascuna unità abitativa, si rinvia agli aspetti della trattazione relativa al c.d. smart metering di cui all'articolo 8.

Si ricorda altresì quanto segnalato dall’autorità di settore (oggi ARERA) nel documento depositato nel corso dell’audizione del 28 giugno 2016. In tale documento si legge che «nell’ambito della consultazione avviata dall’Autorità per l’introduzione di una regolazione della misura del servizio idrico integrato (DCO 42/2016/R/idr), sono state segnalate numerose difficoltà operative con riferimento all’installazione dei contatori in ciascuna unità abitativa. Nello specifico, tale problematica riveste un particolare rilievo per le gestioni caratterizzate da un numero elevato di utenze condominiali la cui trasformazione in utenze divisionali con contatore accessibile implicherebbe, nella maggioranza dei casi, un sostanziale e oneroso intervento di modifica degli impianti interni delle abitazioni, intervento che esula dalle competenze del gestore, la cui capacità di azione è limitata al confine della proprietà privata. A tal proposito, si segnala che l’Autorità è in procinto di dare l’avvio ad alcuni progetti pilota per la sperimentazione di soluzioni volte a garantire il diritto alla disponibilità al dato di consumo per singola utenza nel caso di un’utenza aggregata, con la finalità di individuare e diffondere le best practice volte al superamento delle difficoltà tecniche sopra richiamate, come già evidenziato nell’ambito della recente delibera 5 maggio 2016, 218/2016/R/idr, recante “Disposizioni per l’erogazione del servizio di misura del servizio idrico integrato a livello nazionale”».

Nello stesso documento si sottolineava l’assenza in alcune realtà territoriali dei misuratori, o la vetustà degli stessi.

 

Misurazione e fatturazione dei consumi energetici, idrici e del gas

La pdl C. 773, all’articolo 8, detta norme in materia di misurazione e fatturazione dei consumi energetici, idrici e del gas. A tal fine, novella l’articolo 9 del D.Lgs. 4 luglio 2014, n. 102 (Attuazione della direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE), aggiungendovi un nuovo comma 3-bis.

Il nuovo comma 3-bis attribuisce all'ARERA il compito di individuare misure per favorire la diffusione della telelettura in modalità condivisa, mediante l'utilizzo delle migliori tecnologie disponibili.

La finalità è quella di favorire il controllo dei consumi e la verifica del diritto all'erogazione del quantitativo minimo vitale di acqua.

 

I sistemi che consentono la telelettura e telegestione dei contatori di energia elettrica, gas e acqua sono designati con il termine "smart metering".

I vantaggi dei sistemi di smart metering (cfr. sito istituzionale dell’ARERA) consistono nella riduzione di costi per le letture e per le operazioni di gestione del contratto (es., cambio fornitore, disattivazione etc.) che possono essere effettuate in modo automatico a distanza, e con maggiore frequenza, senza un intervento in loco, una migliore consapevolezza del cliente finale in relazione ai propri consumi e promozione dell'efficienza energetica e dell'uso razionale delle risorse; per tutti i settori – energia elettrica, gas, idrico, teleriscaldamento – una migliore gestione della rete e migliore individuazione delle perdite tecniche e commerciali.; per i settori liberalizzati (energia elettrica e gas): facilitazione della concorrenza per la possibilità di ottenere una lettura "spot" (al di fuori del ciclo di lettura) in occasione del cambio di fornitore.

Come ricorda sempre l’ARERA, l'Italia è stato il primo paese europeo a introdurre su larga scala gli smart meter elettrici per i clienti finali in bassa tensione ed è tuttora il primo paese al mondo per numero di smart meter di energia elettrica in servizio (oltre 35 milioni).

L’articolo 9 del D.Lgs. 102/2014 – relativamente ai sistemi di misurazione intelligenti per l’energia elettrica ed il gas - ha conferito all’ARERA stessa nuovi compiti in materia, da svolgere entro il 18 luglio 2016, prevedendo, nella prospettiva di un progressivo miglioramento delle prestazioni dei sistemi e dei contatori intelligenti, al fine di renderli sempre più aderenti alle esigenze del cliente finale, che l’Autorità definisca le specifiche abilitanti, cui le imprese distributrici in qualità di esercenti l'attività di misura sono tenute ad uniformarsi, affinché:

·        i clienti finali posseggano informazioni sulla fatturazione precise, basate sul consumo effettivo e sulle fasce temporali di utilizzo dell'energia

·        sia garantita la sicurezza dei contatori, la sicurezza nella comunicazione dei dati e la riservatezza dei dati misurati al momento della loro raccolta,

·        nel caso dell'energia elettrica e su richiesta del cliente finale, i contatori di fornitura siano in grado di tenere conto anche dell'energia elettrica immessa nella rete direttamente dal cliente finale

·        nel caso in cui il cliente finale lo richieda, i dati del contatore di fornitura relativi all'immissione e al prelievo di energia elettrica siano messi a sua disposizione o, su sua richiesta formale, a disposizione di un soggetto terzo univocamente designato che agisce a suo nome.

A seguito del D.Lgs. n. 102/2014, per quanto attiene all’energia elettrica, l'Autorità ha avviato processi di consultazione e definizione delle: disposizioni generali per i sistemi di smart metering 2G e riconoscimento dei relativi costi; specifiche funzionali dei misuratori e performance dei sistemi di smart metering di seconda generazione. Con la deliberazione 222/2017/R/eel, l'Autorità ha approvato, con condizioni, il programma di “Piano di Messa in Servizio del sistema di smart metering 2G (PMS2)”.

Per quanto attiene al gas, la sostituzione dei contatori gas tradizionali con smart meter è stata avviata per iniziativa dell'Autorità, partendo dai contatori di maggiore portata (classe G40 e superiore) ed è stata progressivamente estesa ai contatori di calibro dapprima intermedio e, dal 2013, ai contatori gas di minore portata per usi domestici (classe G4-G6). E’ previsto un target da raggiungere del 50% di smart meter gas di classe G4-G6 in servizio entro il 2018, avendo per quella data completato l'installazione degli smart meter gas delle classi superiori.

 

Per quanto attiene al servizio idrico, l'ARERA ha avviato una indagine conoscitiva sull'attività di misura nel servizio idrico integrato per individuare, tra l'altro, livelli minimi di efficienza e qualità del servizio, e l'eventuale presenza di elementi di criticità con particolare riferimento agli aspetti che possono incidere sulla determinazione dei consumi degli utenti finali, sulla possibilità di un comportamento consapevole dell'utilizzo della risorsa idrica e sulle perdite idriche.

Nel settore idrico sono presenti in molti casi contatori solo a livello di condominio e non ancora di singolo utente. Il passaggio alla misura individuale permetterebbe numerosi vantaggi anche in termini di migliore controllo delle perdite d'acqua a valle del contatore.

Anche allo scopo di valutare nel settore idrico l'utilizzo di sistemi di smart metering, l'Autorità ha promosso alcuni progetti di sperimentazione multiservizio. In tutti i progetti selezionati sono presenti i settori gas e idrico, oltre ad altri servizi di pubblica utilità diversi da progetto a progetto.

Nei progetti sperimentali multiservizio selezionati viene condivisa, tra gli esercenti dei diversi servizi coinvolti, l'infrastruttura di comunicazione necessaria per il trasferimento dei dati dai contatori (o sensori) agli esercenti. L'obiettivo è – secondo quanto indicato dall’ARERA - duplice: ridurre, rispetto alla gestione separata, i costi relativi alla gestione di tali infrastrutture necessarie per la rilevazione a distanza dei dati di consumo (smart metering) o di funzionamento dei servizi (sensori di monitoraggio e controllo, es. smart water grid) e rendere disponibili ai clienti finali informazioni sui consumi dei diversi servizi in modo integrato.

Sono stati selezionati diversi progetti che riguardano diverse città tra cui Torino, Reggio Emilia, Parma, Modena, Genova, Verona, Bari e Salerno, oltre ad alcuni Comuni di minore dimensione (Scandiano - RE e Isera - TN) per un totale di circa 60.000 clienti di servizi gas, acqua, teleriscaldamento.

 

Appare in questa sede utile ricordare che l’articolo 8 della proposta di legge in esame corrisponde all’articolo 8 del DDL A.S.2343 il cui esame in sede referente era iniziato al Senato in prima lettura in 13° Commissione, nella XVII legislatura.

Con riferimento a tale articolo 8, l’ARERA, audita in Commissione, avanzava talune osservazioni. In particolare, l’ARERA segnalava che “considerata l’assenza in alcune realtà territoriali dei misuratori, o la vetustà degli stessi (situazioni il cui superamento è incentivato dall’Autorità con varie misure, tra cui l’esclusione dall’aggiornamento tariffario per la fatturazione di consumo minimo impegnato alle utenze domestiche ovvero con  gli obblighi di misura introdotti dalla deliberazione 218/2016/R/idr), la prevista “diffusione della telelettura in modalità condivisa da effettuare attraverso la rete elettrica appare prematura”.

 

Trasparenza della bolletta del servizio idrico integrato

L'articolo 10 della pdl C. 773, al fine di assicurare la trasparenza della bolletta del servizio idrico integrato, ad integrazione delle informazioni già contenute nei documenti di fatturazione del servizio idrico integrato, obbliga, a decorrere dall’anno 2019, i gestori del servizio idrico integrato a comunicare a ciascun utente, nella prima bolletta utile: i dati relativi all'anno precedente risultanti dal bilancio consuntivo dei gestori stessi, concernenti gli investimenti realizzati sulle reti nei settori dell'acquedotto, della fognatura e della depurazione unitamente alle relative spese, nonché i dati relativi al livello di copertura dei citati settori (comma 1).

A decorrere dall'anno 2020, al fine di una migliore comparazione nel tempo, tali dati dovranno riguardare anche l'annualità anteriore a quella di riferimento.

E’ previsto inoltre che, con delibera dell'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (ARERA), siano determinate, le modalità di attuazione delle suddette previsioni, e le modalità affinché tutti i gestori evidenzino in bolletta le informazioni concernenti i parametri di qualità dell'acqua e la percentuale media complessiva delle perdite idriche nelle reti a cui fanno riferimento le gestioni. (commi 2 e 3).

Con la deliberazione 23 dicembre 2015 655/2015/r/idr è stato approvato il Testo integrato per la regolazione della qualità contrattuale del SII ovvero di ciascuno dei singoli servizi che lo compongono (RQSII). Il provvedimento definisce i livelli minimi e gli obiettivi di qualità contrattuale del SII, mediante l'individuazione di indicatori consistenti in tempi massimi e standard minimi di qualità, omogenei sul territorio nazionale, per le prestazioni da assicurare all'utenza, determinando anche le modalità di registrazione, comunicazione e verifica dei dati relativi alle prestazioni fornite dai gestori su richiesta degli utenti.

Con la deliberazione 218/2016/R/idr, l’Autorità ha definito una prima serie di disposizioni relative al servizio di misura d’utenza, approvando il Testo integrato per la regolazione del servizio di misura nel SII (TIMSII). Tali disposizioni si applicano a tutti i gestori del SII che, a qualunque titolo, anche per una pluralità di ATO, gestiscono l’attività di acquedotto e operano sul territorio nazionale, e che provvedono eventualmente a fatturare, per i medesimi livelli di consumo, anche i corrispettivi dei servizi di fognatura e depurazione.  In particolate, i gestori sono tenuti, tra l’altro, a garantire l'installazione, il buon funzionamento, la manutenzione e la verifica dei misuratori (anche qualora richiesta dall'utente finale), nonché al rispetto dei criteri per l'esecuzione dei controlli metrologici di legge e sono tenuti a mettere a disposizione degli utenti finali almeno tre modalità di autolettura (messaggio SMS, telefonata, sito internet), attive in ogni momento per 365 giorni all'anno.

Disposizioni finanziarie (art. 17 C. 52)

L’articolo 17 della pdl. 52 dispone che all’onere derivante dall’attuazione della presente legge, per quanto attiene al ricorso alla fiscalità generale di cui all’articolo 12 relativo al finanziamento del servizio idrico integrato, si provvede attraverso:

a)   le dotazioni finanziarie iscritte nello stato di previsione del Ministero della difesa a legislazione vigente, per competenza e per cassa, a partire dall’anno 2018, compresi i programmi di spesa relativi agli investimenti pluriennali per la difesa nazionale, le quali sono accantonate e rese indisponibili su indicazione del Ministro della difesa per un importo annuo non inferiore a 1 miliardo di euro, con riferimento al saldo netto da finanziare, per essere riassegnate all’entrata del bilancio dello Stato. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, i predetti fondi sono destinati al finanziamento degli oneri derivanti dall’attuazione del presente provvedimento;

b)   la destinazione di una quota parte, pari a 2 miliardi di euro annui, delle risorse derivanti dalla lotta all'evasione e all'elusione fiscali;

Si valuti l’opportunità di coordinare la disposizione in esame con le regole vigenti in ordine alla determinazione delle risorse derivanti dal contrasto all’evasione fiscale e alla finalizzazione delle stesse, che ai sensi della legge n. 147/2013 (articolo 1, commi 431-435) sono destinate al miglioramento dei saldi di finanza pubblica ed al Fondo per la riduzione della pressione fiscale.

c)   la destinazione delle risorse provenienti da una tassa di scopo pari a 1 centesimo di euro per ogni bottiglia in PoliEtilenTereftalato (PET) commercializzata;

Si ricorda che con il termine di “imposta di scopo” si intende una forma di imposizione che trova la sua giustificazione nel collegamento tra imposizione e destinazione del gettito. L’imposta di scopo costituisce quindi una deroga al principio dell’unità del bilancio, in base al quale, nel bilancio, la corrispondenza tra entrate e spese deve essere garantita a livello globale, non essendo possibile stabilire una specifica correlazione tra una singola entrata ed una singola spesa.

d)   la destinazione dei fondi derivanti dalle sanzioni irrogate per violazione delle disposizioni vigenti in materia di tutela del patrimonio idrico;

Si ricorda in particolare che la disciplina sanzionatoria per le violazione delle prescrizioni attinenti alla tutela delle acque dall’inquinamento (Sezione II della Parte Terza del c.d. Codice ambientale) è contenuta nel Titolo V e consiste in sanzioni amministrative (articoli 133-136) e sanzioni penali (articoli 137-140), che contemplano anche l’irrogazione di pene pecuniarie.

Si segnala che l’art. 136 del Codice dell’ambiente prevede il versamento delle somme derivanti dai proventi delle sanzioni amministrative previste dalla parte terza del provvedimento all'entrata del bilancio regionale e la successiva riassegnazione alle unità previsionali di base destinate alle opere di risanamento e di riduzione dell'inquinamento dei corpi idrici. Alle regioni viene attribuito il compito di provvedere alla ripartizione delle somme riscosse fra gli interventi di prevenzione e di risanamento.

Le risorse verrebbero, pertanto, destinate ad una finalità diversa rispetto a quella contemplata per le somme derivanti dai proventi delle sanzioni amministrative dall’articolo 136 del cd. Codice ambientale (opere di risanamento e di riduzione dell'inquinamento dei corpi idrici).

e)   l'allocazione di una quota annuale delle risorse derivanti dall'introduzione di una tassa di scopo relativa al prelievo fiscale sulla produzione e sull'uso di sostanze chimiche inquinanti per l'ambiente idrico;

f)    la destinazione di una quota parte delle risorse aggiuntive provenienti da un aumento dell'importo dell'imposta sulle transazioni finanziarie.

La legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi da 491 a 500) ha introdotto un'imposta sulle transazioni finanziarie sulle seguenti operazioni:

·     trasferimento della proprietà di azioni ed altri strumenti partecipativi emessi da soggetti residenti nel territorio dello Stato nonché di titoli rappresentativi dei predetti strumenti indipendentemente dalla residenza del soggetto emittente, con un'aliquota pari allo 0,2 per cento del valore della transazione se le operazioni di acquisto sono effettuate fuori dai mercati regolamentati (over the counter); l'aliquota è dello 0,1 per cento per le operazioni concluse in mercati regolamentati o con sistemi multilaterali di negoziazione;

·     operazioni sui cosiddetti strumenti derivati, ad imposta in misura fissa, determinata con riferimento alla tipologia di strumento e al valore del contratto.

Si ricorda che a livello europeo è in corso di definizione una cooperazione rafforzata tra undici Stati membri per disciplinare un’imposta sulle transazioni finanziarie.

 

Si ricorda che l’articolo 17, comma 1, della legge n. 196/2009 prescrive che, in attuazione dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ciascuna legge che comporti nuovi o maggiori oneri debba indicare espressamente, per ciascun anno e per ogni intervento da essa previsto, la spesa autorizzata, che si intende come limite massimo di spesa, ovvero le relative previsioni di spesa. Si ricorda, inoltre, che il medesimo l’articolo 17, comma 1, della legge n. 196/2009, relativo alle modalità di copertura finanziaria delle leggi comportanti oneri, prescrive che essa possa essere determinata esclusivamente mediante riduzione di precedenti autorizzazioni legislative di spesa, mediante modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate, mediante utilizzo degli accantonamenti iscritti nei fondi speciali e mediante modifica o soppressione dei parametri che regolano l'evoluzione della spesa previsti dalla normativa vigente, dalle quali derivino risparmi di spesa.

 

Il comma 2 delega il Governo ad adottare, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento, un decreto legislativo per la definizione delle tasse di scopo di cui al comma 1, lettere c) ed e), in conformità ai principi e criteri direttivi desumibili dalla presente provvedimento.

In proposito si ricorda che secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, la determinazione dei "principi e criteri direttivi" non è finalizzata ad eliminare ogni discrezionalità nell'esercizio della delega, ma soltanto a circoscriverla; a tal fine, le norme deleganti debbono essere comunque idonee ad indirizzare concretamente ed efficacemente l'attività normativa del Governo, non potendo esaurirsi in mere enunciazioni di finalità né in disposizioni talmente generiche da essere riferibili a materie vastissime ed eterogenee (sentenza n. 156/1987). Nella sentenza n. 158 del 1985, la Corte rileva che il precetto costituzionale dell’art. 76 sui principi e criteri direttivi è da ritenersi soddisfatto allorché sono date al legislatore delegato delle direttive vincolanti, ragionevolmente limitatrici della sua discrezionalità e delle indicazioni che riguardino il contenuto della disciplina delegata, mentre, allo stesso legislatore delegato, è demandata la realizzazione, secondo modalità tecniche prestabilite, delle esigenze, delle finalità e degli interessi considerati dal legislatore delegante.

Allo stesso tempo la Corte ha da tempo riconosciuto che “la varietà delle materie riguardo alle quali si può ricorrere alla delega legislativa comporta che neppure è possibile enucleare una nozione rigida valevole per tutte le ipotesi di “principi e criteri direttivi”, quindi “il Parlamento, approvando una legge di delegazione, non è certo tenuto a rispettare regole metodologicamente rigorose” (sentenze nn. 98 del 2008, 340 del 2007; n. 250 del 1991). La considerazione per cui “il livello di specificazione dei principi e criteri direttivi può in concreto essere diverso da caso a caso, anche in relazione alle caratteristiche della materia e della disciplina su cui la legge delegata incide” (così ancora ordinanza n. 134 del 2003) non ha peraltro impedito alla Corte, in varie occasioni, di sollecitare una maggiore precisione da parte del legislatore delegante (ordinanza n. 134/2003, sentenza n. 53/1997, sentenza n. 49/1999).

Si richiama inoltre il paragrafo 2, lettera d) della circolare sulla formulazione tecnica dei testi legislativi del Presidente della Camera del 20 aprile 2001 che prescrive che "le disposizioni contenenti deleghe legislative, ai sensi dell'articolo 76 della Costituzione, recano i seguenti elementi: 1) il destinatario della delega (il Governo); 2) il termine per l'esercizio della delega e l'eventuale termine per l'emanazione di disposizioni integrative e correttive; 3) l'oggetto della delega; 4) i principi e criteri direttivi (che devono essere distinti dall'oggetto della delega).

 

Alla luce dell’art. 76 Cost. e della giurisprudenza costituzionale richiamata, si valuti l’opportunità di definire direttamente nella disposizione di delega i principi e criteri direttivi.

Clausola di salvaguardia (art. 13 C. 773)

L’art. 13 della pdl C.773 reca la clausola di salvaguardia, che prevede l’applicazione delle norme contenute nel presente provvedimento alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano, compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione.

 

 



[1]     COM (2014) 177 final.

[2]     Con la sentenza 12 marzo 2015, n. 32, la Corte costituzionale ha chiarito “che la disciplina tesa al superamento della frammentazione verticale della gestione delle risorse idriche, demandando ad un’unica Autorità preposta all’ambito le funzioni di organizzazione, affidamento e controllo della gestione del SII” è ascrivibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza, “essendo diretta ad assicurare la concorrenzialità nel conferimento della gestione e nella disciplina dei requisiti soggettivi del gestore, allo scopo di assicurare l’efficienza, l’efficacia e l’economicità del servizio”. La stessa Corte, rafforzando ulteriormente quanto già affermato, ha sottolineato, inoltre, come la disciplina relativa al servizio idrico integrato, alla sua gestione ed al suo affidamento rientri anche nella sfera di competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente, in quanto “l’allocazione all’Autorità d’ambito territoriale ottimale delle competenze sulla gestione serve a razionalizzare l’uso delle risorse idriche e le interazioni e gli equilibri fra le diverse componenti della “biosfera” intesa come “sistema nel suo aspetto dinamico”.

[3]     Inserito dall’art. 7 del D.L. 133/2014 e modificato dalla L. 221/2015 (c.d. collegato ambientale).

[4]     I commi 527-530 della legge di bilancio 2018 (L. 205/2017) hanno attribuito all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI), funzioni di regolazione e controllo del ciclo dei rifiuti, espressamente incluso tra i servizi a rete. In conseguenza dell'ampliamento delle competenze, l'Autorità ha assunto la denominazione di "Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente" (ARERA).

[5]     Dal 1° gennaio 2014 è entrato in vigore il nuovo metodo tariffario idrico approvato dall'Autorità di settore con la deliberazione 27 dicembre 2013, n. 643/2013/R/Idr, attuativa delle succitate previsioni dettate dal D.P.C.M. 20 luglio 2012. Le principali novità del nuovo metodo tariffario riguardano la soppressione della componente "remunerazione del capitale" (in linea con il risultato del referendum abrogativo del 2011) e l'inclusione dei costi ambientali tra le componenti di costo.

A partire dal 1° gennaio 2016 il metodo tariffario è invece disciplinato dalla delibera 28 dicembre 2015, n. 664/2015/R/idr. Come sottolineato nel comunicato stampa diramato dall'Autorità, il nuovo metodo tariffario (c.d. Metodo Tariffario Idrico 2, MTI 2) "poggia sui due principi guida del precedente metodo valido per il 2014/2015, con particolare riferimento alla selettività e alla responsabilizzazione, da attuare attraverso una regolazione asimmetrica, capace di adattarsi alle diverse esigenze di un settore molto differenziato a livello locale e nella governance. La regolazione tariffaria applicabile nel secondo periodo regolatorio è riconducibile quindi ad una matrice di schemi regolatori (rispetto al precedente metodo tariffario, si amplia la gamma dei diversi tipi di schemi tariffari, sei e non più quattro) nell'ambito della quale ciascun soggetto competente potrà individuare la soluzione più efficace in base alle proprie realtà".

In attuazione delle disposizioni dell'art. 1, comma 1, lettera d), del citato D.P.C.M. 20 luglio 2012, con il D.M. Ambiente 24 febbraio 2015, n. 39 è stato emanato il regolamento recante i criteri per la definizione del costo ambientale e del costo della risorsa per i vari settori d'impiego dell'acqua (pubblicato nella G.U. n. 81 dell'8 aprile 2015).

[6]     L'art. 170, comma 3, lettera l), del Codice dispone che - in via transitoria - fino all'emanazione del decreto di cui al comma 2 dell'art. 154, continua ad applicarsi il D.M. 1° agosto 1996 recante criteri di definizione delle componenti di costo e la determinazione della tariffa di riferimento del servizio idrico integrato costituenti un "metodo normalizzato".

[7]     Il “bonus acqua” è stato disciplinato dall’ARERA con la successiva delibera 897/2017/R/idr del 21 dicembre 2017.

[8]     Si veda, in proposito, il documento di consultazione dell’8 febbraio 2018 (80/2018/R/idr) relativo agli orientamenti finali sulle procedure per il contenimento della morosità nel servizio idrico integrato.

[9]     La documentazione consegnata dai soggetti auditi nel corso delle audizioni informali svolte dalla VIII Commissione Ambiente nell'ambito dell'esame della proposta di legge C. 2212/XVII è disponibile al link http://www.camera.it/temiap/t/news/post-OCD15-50104. La documentazione depositata al Senato, nell’ambito dell’esame del testo approvato dalla Camera, è invece disponibile al link http://www.camera.it/temiap/t/news/post-OCD15-51406.

[10]   Con la citata sentenza n. 325/2010, la Corte cost. ha altresì ricordato che “la determinazione delle condizioni di rilevanza economica è riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in tema di «tutela della concorrenza», ai sensi del secondo comma, lettera e), dell’art. 117”.

[11]   Si ricorda che una disciplina delle società in house è altresì recata dall’articolo 16 del D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica).

[12]   Si ricorda che l’EGATO, ai sensi delle norme in materia ambientale (vedi la scheda introduttiva al presente dossier), è l’organismo individuato dalla regione in ciascun ATO (Ambito Territoriale Ottimale) ai quali partecipano obbligatoriamente tutti i Comuni ricadenti nell’ambito ai quali sono trasferite le competenze dei Comuni stessi in materia di gestione delle risorse idriche, anche per la programmazione infrastrutturale.

[13]   Su proposta degli enti di governo dell'ambito, le regioni, per mantenere e migliorare le caratteristiche qualitative delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano, erogate a terzi mediante impianto di acquedotto che riveste carattere di pubblico interesse, nonché per la tutela dello stato delle risorse, individuano le aree di salvaguardia distinte in zone di tutela assoluta e zone di rispetto, nonché, all'interno dei bacini imbriferi e delle aree di ricarica della falda, le zone di protezione. La zona di tutela assoluta è costituita dall'area immediatamente circostante le captazioni o derivazioni; la zona di rispetto è costituita dalla porzione di territorio circostante la zona di tutela assoluta da sottoporre a vincoli e destinazioni d'uso; le zone di protezione devono essere delimitate secondo le indicazioni delle regioni o delle province autonome per assicurare la protezione del patrimonio idrico.

[14]   Gli artt. 92 e 93 disciplinano le azioni e le competenze delle regioni, per la tutela e il risanamento delle acque dall'inquinamento causato, rispettivamente, da nitrati di origine agricola e da prodotti fìtosanitari, per le zone vulnerabili individuate secondo determinati criteri. Le regioni e le Autorità di bacino verificano inoltre la presenza nel territorio di competenza di aree soggette o minacciate da fenomeni di siccità, degrado del suolo e processi di desertificazione e le designano quali aree vulnerabili alla desertificazione.

[15]   L’emergenza dell’inquinamento delle acque potabili da composti perfluoroalchilici (PFAS) si è verificata in particolar modo in Veneto, senza che sia stato possibile attivare adeguati meccanismi di prevenzione.