XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta su sicurezza e degrado delle città

Resoconto stenografico



Seduta n. 27 di Giovedì 16 novembre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Causin Andrea , Presidente ... 3 

Audizione del presidente dell'Anci, Antonio Decaro:
Causin Andrea , Presidente ... 3 
Decaro Antonio , presidente dell'Anci ... 3 
Gasparini Daniela Matilde Maria (PD)  ... 9 
Mannino Claudia (Misto)  ... 12 
Gandolfi Paolo (PD)  ... 13 
Decaro Antonio , presidente dell'Anci ... 14 
Gasparini Daniela Matilde Maria (PD)  ... 19 
Decaro Antonio , presidente dell'Anci ... 19 
Causin Andrea , Presidente ... 20

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ANDREA CAUSIN

  La seduta comincia alle 8.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, in seguito, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del presidente dell'Anci, Antonio Decaro.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente dell'Anci (Associazione nazionale dei comuni italiani), Antonio Decaro, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione e anche per fare questo secondo step, visto che ci siamo già incontrati a Bari e abbiamo avuto modo di confrontarci sui temi legati alla Commissione durante quella visita.
  Sono inoltre presenti la segretaria generale dell'ANCI, Veronica Nicotra, la portavoce del presidente, Adriana Logroscino, il responsabile dell'ufficio stampa, Emiliano Falconio, e il responsabile dell'area studi e ricerche dell'Anci, il dottor Paolo Testa. Ringrazio anche loro per aver accordato la presenza a questa Commissione.
  Do la parola al dottor Antonio Decaro per lo svolgimento della sua relazione.

  ANTONIO DECARO, presidente dell'Anci. Ringrazio il presidente e i componenti della Commissione per aver dato questa particolare attenzione alla problematica delle periferie, al centro del lavoro dei sindaci italiani e che merita una risposta istituzionale in relazione anche alla sua complessità. Il tema delle periferie, secondo noi, è oltre che vasto, anche multidimensionale e intercetta l'esigenza di un maggiore raccordo tra i diversi attori istituzionali, pubblici e privati. Innanzitutto, dall'analisi di quello che è accaduto in questi anni nei comuni, soprattutto in quelli più grandi, del nostro Paese, credo che non possiamo più qualificare il concetto di periferia solo come uno spazio fisico. Non è uno spazio urbano necessariamente distante dal centro di una città. Certamente la maggior parte delle periferie sono nate in questi anni come satelliti staccati dal centro cittadino per dare risposte immediate all'esigenza abitativa. Abbiamo costruito questi satelliti all'esterno del centro abitato, senza allargare la città a cerchi concentrici, perché le norme dell'epoca da un lato e forse tentativi di speculazione edilizia dall'altro ci hanno portato a utilizzare suoli con un costo più basso. Era proprio previsto dalla norma che i suoli non superassero un certo costo a metro quadro quando si realizzavano quei centri per l'edilizia popolare, che ancora oggi prendono il nome di CEP, che avete incontrato nei sopralluoghi che avete fatto in questi mesi.
  Oggi noi sindaci tendiamo a parlare, più che di periferie, di condizione generale di perifericità, che si avverte sempre di più nel nostro Paese presso i centri storici, i quartieri ex operai, le aree semicentrali interne, le aree portuali e costiere. Talvolta sono separate, non tanto fisicamente, ma socialmente e culturalmente dal resto della città. Intendiamo come area periferica un'area caratterizzata da scarsa qualità edilizia, debole connessione con le aree urbane principali, bassa qualità dello spazio pubblico, Pag. 4 povertà educativa, disoccupazione, debole istruzione, scarso sviluppo economico e commerciale, isolamento culturale, percezione di insicurezza, che è un altro tema molto di attualità. Se consideriamo anche l'origine mediterranea mista dell'impianto urbanistico e sociale delle nostre città – si pensi, per esempio, alla mia città, Bari, a Napoli, a Palermo, ma anche a città del nord come Genova – la condizione di perifericità è così stratificata che si nasconde in contesti apparentemente benestanti.
  Facciamo un esempio. Nella mia città si può considerare periferia, come avete potuto vedere, anche il centro storico, nel senso che a fianco a un condominio da un milione di euro ci sono condomini abitati da nuclei familiari in condizioni di disagio economico e sociale molto forte. A Napoli questi strati sono ancora più evidenti. Non si può parlare di centro storico di Napoli e di periferia all'esterno. Certamente Scampia è una periferia e ci sono periferie anche all'interno del centro storico. Convivono situazioni completamente diverse nello stesso condominio tra il terzo e il primo piano. Rispetto al centro storico della mia città, dove la differenza si percepisce passando da un condominio all'altro, lì accade all'interno dello stesso edificio. In queste aree si coltiva più facilmente la rassegnazione e si afferma l'egemonia di un modello criminale che spesso sostituisce lo Stato, proponendo modelli culturali alternativi alle famiglie. Mi riferisco alla protezione che viene fornita dal clan criminale, all'usura. Il clan si sostituisce alla famiglia: «Hai bisogno di soldi? Li mettiamo a disposizione noi. Hai bisogno di protezione? La mettiamo a disposizione noi». In particolare questa attività viene fatta nei confronti dei minori e dei giovani adulti. Mi è capitato da sindaco di incontrare trentenni che avevano avuto problemi con la giustizia più volte negli ultimi anni. Di quelle persone ti fai un'idea, però contemporaneamente, se incontri nello stesso quartiere periferico bambini di otto-nove anni, che sono costantemente bullizzati all'interno della scuola o nelle zone vicino alla parrocchia, che sono le zone di aggregazione, ti rendi conto che diventa facile per il clan criminale, quando quei bambini raggiungono l'età di quattordici-quindici anni avvicinarli all'organizzazione criminale. Il clan dice loro: «Non ti preoccupare, ti offriamo protezione. Oggi sei un ragazzo bullizzato, domani per il solo fatto che fai parte di una famiglia allargata riceverai protezione e non si avvicinerà nessuno, nessuno ti creerà più problemi». Se poi ti mettono a disposizione, anche a quindici-sedici anni, una pistola, ovviamente ti sentirai più sicuro e, in quanto legato al clan criminale, più protetto rispetto alle azioni negative che ti arrivano dal resto della società. Questo è un modo, soprattutto nelle zone più periferiche di alcune città del nostro Paese, per avvicinare alla criminalità organizzata minori e giovani adulti. C'è il tema legato all'immigrazione, soprattutto nelle periferie. È un tema che aumenta la percezione di insicurezza, però colora anche asili e scuole di alcune zone, che magari si stavano spopolando.
  Le periferie, però, come ho avuto modo di dire nei giorni in cui siete stati nella mia città, sono anche luoghi dove ci sono scintille, talenti, competenze, soprattutto di giovani, che andrebbero valorizzate. Utilizzo la mia città per raccontare alcuni esempi che valgono su scala nazionale. Il quartiere della mia città che abbiamo visitato, che è il quartiere Libertà, non è una periferia fisica, nel senso che è il quartiere più vicino al borgo ottocentesco, quindi alla parte della città più importante, dove vive la borghesia, una city dove ci sono i negozi e le attività professionali più importanti. Il quartiere Libertà è quello più vicino, fisicamente attaccato, però è quello che ha maggiori difficoltà dal punto di vista economico e sociale: c'è il maggior tasso di povertà, c'è il maggior numero di bambini affidati ai servizi sociali dal tribunale dei minori, c'è il maggior tasso di presenza di persone agli arresti domiciliari. Come dicevo prima, in questi quartieri – sto facendo l'esempio di un quartiere della mia città – ci sono scintille che fanno ben sperare per il futuro: c'è il maggior numero di giovani coppie, il maggior tasso di natalità, probabilmente perché i costi delle case Pag. 5sono più bassi e si insediano nuove famiglie. Nascono molti più figli rispetto ad altre parti delle città e, quindi, rispetto ad altre parti del Paese e contemporaneamente c'è il maggior numero di giovani coppie, perché sono più giovani le persone che tendono a insediarsi nei quartieri periferici.
  Vediamo le periferie come una sorta di prisma; non le possiamo guardare soltanto da un punto di vista, ma il tema va affrontato guardandolo da più lati, in una strategia che deve essere integrata e deve avere ovviamente una risposta pubblica.
  Crediamo sia necessario un programma di rigenerazione integrata sulle periferie, che deve far leva su alcuni temi. Il primo è la dimensione dello spazio pubblico e della qualità urbana. Abbiamo una fortissima tradizione di cultura di strada, di piazza, di giardino, di quartiere nelle nostre città che va valorizzata. Il bando sulle periferie è stato una leva straordinaria. Non credo sia mai successo che un Governo abbia finanziato 2,1 miliardi di euro per riqualificare gli spazi nelle periferie. È volto soprattutto alla riqualificazione di spazi pubblici e alla creazione di spazi per l'aggregazione, che non sono mai esistiti. Infatti, i quartieri periferici sono stati costruiti per dare una risposta alle esigenze abitative, ma contemporaneamente non sono stati realizzati gli spazi di aggregazione, che mancano. Realizzare un giardino, un'area pedonale, un playground negli spazi di proprietà pubblica che sono stati abbandonati o soprattutto negli spazi che appartengono alle agenzie regionali o comunali della casa, che sono proprietarie di tantissimi spazi abbandonati, permette di fare aggregazione. Ci sono quartieri in cui anche la realizzazione di un piccolo giardino ha permesso ad alcune persone di potersi conoscere. Anche se abitavano nello stesso palazzo, magari avendo orari diversi di lavoro, non si conoscevano; la possibilità di scendere in un posto vicino al proprio palazzo e accompagnare i bambini sulle pochissime giostrine presenti nel giardino ha permesso a nuclei familiari di integrarsi e di recuperare un po’ il senso di comunità. Noi crediamo che sia opportuno individuare, a fianco alla riqualificazione degli spazi e alla realizzazione di spazi per la socializzazione e per l'aggregazione, attività che permettano di vivere quegli spazi. Ci sono delle attività che devono essere sicuramente comunali, come l'approvazione di un regolamento sull'utilizzo dei beni comuni. Ci sono esperienze molto positive – credo che la migliore in assoluto sia quella del comune di Bologna – di affidamento di questi beni. Uno dei comuni che lo fanno spesso, per esempio, per parlare di una grande città, è il comune di Napoli. Vanno attivate esperienze sociali di gestione condivisa di un'area verde o di un chiosco in un parco.
  Provo a fare sempre un esempio relativo alla mia città. Nell'ambito della partecipazione sul piano urbanistico generale (PUG) abbiamo individuata un'area, che si chiama Gargasole, che abbiamo messo a disposizione di quattro associazioni, che hanno vinto un bando. Le associazioni non stanno partecipando nella progettazione del parco, ma stanno partecipando alla realizzazione del parco. Queste quattro associazioni, ognuna con una propria specializzazione di cittadini attivi e consapevoli, realizzano un pezzo del giardino. C'è un'associazione che si chiama Ortocircuito, che si occupa di realizzare un orto urbano all'interno di una zona periferica di questo giardino chiamato Gargasole, coinvolgendo le scuole e rendendo consapevoli i bambini. Coltivano e prendono dall'orto quello che mangiano a mensa e capiscono che dietro a quello che stanno mangiando c'è un'attività: bisogna aprire un solco sul terreno, piantare un seme, innaffiare, concimare le piante e dare la possibilità di crescere. Il frutto di quelle piante poi viene utilizzato all'interno della mensa di quel quartiere. Contemporaneamente, ci sono attività di laboratorio artigianale per costruire le panchine e i tavoli di legno da realizzare all'interno di quel giardino. L'idea è quella di costituire delle piccole cooperative di comunità nei quartieri periferici, dando loro uno strumento economico e finanziario per definire dal basso una programmazione sociale e culturale nel proprio quartiere. Mettiamo a disposizione dei fondi, ma non lo può fare Pag. 6soltanto il comune. Abbiamo bisogno di uno strumento finanziario che sia uniforme e che venga messo a disposizione dallo Stato per poter attivare questi percorsi.
  Da un lato c'è l'investimento opportuno che speriamo di ritrovare all'interno della legge di bilancio per la riqualificazione degli spazi periferici, il cosiddetto Bando per le periferie, non i 2,1 miliardi che abbiamo ricevuto l'anno scorso, ma i 500 milioni di euro messi a disposizione nella prima tranche di finanziamento di quel bando. L'auspicio è quello di ritrovarlo nuovamente. C'è un articolo che lo richiama, però non abbiamo capito qual è la posta dal punto di vista economico. Si tratta di investimenti, non stiamo chiedendo spesa corrente, quindi credo che anche all'interno del dibattito parlamentare si possa trovare uno spazio per poter finanziare nuovamente il Bando periferie e per finanziarlo annualmente, in modo che i grandi comuni, in particolare i capoluoghi di provincia e le città metropolitane, abbiano la possibilità di programmare attraverso una progettazione specifica la riqualificazione delle periferie.
  Abbiamo poi bisogno di un nuovo modello di welfare orientato all'autonomia: non più sostegno diretto alle famiglie, ma un mix, partendo innanzitutto dai servizi di prossimità, ovvero gli asili nido, i centri ludici, i centri famiglia, le scuole, le palestre, le biblioteche di quartiere, che sono dedicati all'ascolto dei bisogni e che devono operare una forte integrazione con i servizi sociali del territorio. L'intervento dei servizi sociali del comune deve essere residuale rispetto agli interventi che devono partire, sempre con una strategia pubblica, dalle scuole, dalle parrocchie e dal Terzo settore. Alcuni comuni capoluogo delle città metropolitane stanno utilizzando i fondi del PON (Programma operativo nazionale) Metro e del POC (Programma operativo complementare) Metro per attività di questo tipo. Ci sono stati anche i PAC (Piano di azione per la coesione), che hanno finanziato, per esempio, i centri ludici, che oggi però non sono stati rifinanziati.
  L'intervento di oggi dell'Anci è volto proprio a chiedere al Parlamento di individuare una strategia – poi farò un ragionamento conclusivo sull'Agenda urbana – che permetta ai capoluoghi, dove è più forte la difficoltà socioeconomica nelle periferie, di avere una strategia, che da un lato veda la partecipazione dello Stato con finanziamenti per investimenti di riqualificazione degli spazi urbani e dall'altro investimenti per le attività di carattere sociale e di carattere economico. In quest'ambito, ci sono già degli strumenti, quindi chiederemmo innanzitutto di metterli a sistema con una regia unica. Abbiamo il PON Metro e il POC Metro, che sono fondi importanti. Nelle città del sud parliamo di 90 milioni di euro in tre anni, mentre nelle città del nord, poiché manca una parte dell'FSC (Fondo per lo sviluppo e la coesione), che, come sapete, va all'80 per cento alle regioni a convergenza e al 20 per cento alle altre, credo che l'importo sia di circa 40-50 milioni di euro.
  Sono fondi che stiamo utilizzando per fare progetti di tipo sperimentale. Quando parliamo di una nuova tipologia di welfare, parliamo, come dicevo prima, non più di sostenere economicamente il nucleo familiare dal punto di vista economico, ma di attivare un percorso. Lo possiamo attivare utilizzando i fondi di PON e POC messi a disposizione dei capoluoghi dal Governo, ma contemporaneamente si possono usare strumenti che, per esempio, stanno per partire. Il reddito di inclusione, che sarà attivato all'inizio dell'anno, nasce dall'esperienza positiva di alcuni comuni, che non hanno fatto il reddito di cittadinanza, che prima esisteva, anche se non si chiamava così, ed era il fondo che veniva messo a disposizione dei nuclei familiari. Il REI parte da esperienze positive dei comuni di Livorno, di Napoli e di Bari.
  Io, per esempio, avevo fatto i cosiddetti «cantieri di cittadinanza», che sono percorsi di formazione, ma sono anche un'attività lavorativa, per persone che appartengono a nuclei familiari con meno di 3.000 euro di ISEE. Anziché dare un sostegno economico al nucleo familiare, le persone che appartengono a un nucleo familiare Pag. 7fanno domanda. Ci sono aziende che impiegano queste persone per fare un percorso di tirocinio formativo, che a un certo punto termina. Quando è terminato, però, il 20 per cento di loro ha trovato una risposta positiva, nel senso che sono stati assunti, mentre il restante 80 per cento ha almeno imparato un mestiere in quell'anno in cui ha svolto un'attività. Queste attività sperimentate in alcuni comuni hanno trovato una casa all'interno del REI, strumento che abbraccia il nucleo familiare, perché viene fatta la presa in carico da parte dei servizi sociali, esiste la tessera che permette di finanziare una parte delle attività della famiglia e all'interno del nucleo familiare si vede se ci sono minori che hanno bisogno di partecipare ad attività extrascolastiche. C'è un tema importante all'interno del REI che è il tirocinio formativo e l'attività professionalizzante, che permette a queste persone di imparare un mestiere. Credo che all'interno del REI ci sia la possibilità di inserire una serie di attività che possono aiutare soprattutto i nuclei familiari all'interno delle periferie.
  Un'altra esperienza che stanno facendo alcuni comuni è la dote educativa. Anche a questo proposito potremmo chiedere di modificare il bonus cultura che è stato messo a disposizione dal Governo, utilizzando, attraverso la dote educativa, una sorta di voucher per i ragazzi, che possono spenderli presso esercizi convenzionati. Se ci sono ragazzi che appartengono a nuclei familiari che hanno un disagio dal punto di vista socioeconomico, c'è la possibilità di permettere loro di acquistare uno strumento musicale, di partecipare a un corso per imparare a suonare quello strumento musicale, di comprare un computer o di fare un corso di alfabetizzazione di tipo informatico. Noi lo stiamo facendo oggi attraverso i fondi del PON e del POC, ma si potrebbe fare anche allargando le attività previste dal REI, che dovrebbe partire a gennaio.
  All'interno di queste periferie, che, come dicevo prima, non sono solo periferie fisiche, ci sono polarità di molti interessi che hanno segnato la storia di quartieri: tutte le ex manifatture di tabacchi, che nel frattempo hanno chiuso, le ex fabbriche, le ex scuole, le ex caserme, le ex palestre, gli ex ospedali. L'Italia è un Paese pieno di ex edifici, che hanno smesso di funzionare ormai da tanto tempo. Vanno individuate nuove funzioni, che possono partire dal basso. Ci sono edifici che, come dicevo prima, possono essere messi a disposizione, con il regolamento dei beni comuni, di associazioni che fanno delle attività che si aprono al quartiere e si aprono alla società. Svolgono attività interne come associazioni, ma quelle attività poi escono da quell'edificio e si aprono alle attività di carattere sociale e di carattere culturale che si fanno nei quartieri, in particolare nei quartieri periferici.
  C'è poi il tema della sicurezza urbana e del controllo del territorio, che crediamo sia trasversale. C'è sicuramente bisogno di maggiori forze dell'ordine e di maggiori controlli, ma c'è bisogno soprattutto, secondo la teoria delle finestre rotte, di far funzionare i servizi. I due servizi più importanti sono il servizio di raccolta, spazzamento e conferimento dei rifiuti e il servizio del trasporto pubblico urbano. Se questi due servizi funzionano, c'è sicuramente una maggiore percezione di sicurezza, così come c'è una maggiore percezione di sicurezza nel momento in cui le strade sono maggiormente illuminate e c'è una maggiore percezione di sicurezza se progettiamo, anche attraverso il Bando periferie, spazi nuovi all'interno delle zone periferiche che sono nate in maniera sbagliata. Se, anziché realizzare una fermata di un autobus in una traversa piccola, nascosta e con poca luce, la modifichiamo con una piazzola e la facciamo sulla strada principale, che dista magari venti metri dalla fermata attuale, ma è una strada trafficata dove passano pedoni, ciclisti e automobilisti ed è illuminata, con un piccolissimo investimento nell'ambito del Bando periferie, diamo la possibilità di avere una maggiore percezione di sicurezza.
  Contemporaneamente anche in questo settore ci sono attività che possiamo fare direttamente con lo Stato, che sono quelle legate, per esempio, alla videosorveglianza di cui i comuni si dotano. I comuni stanno Pag. 8aumentando notevolmente le telecamere a disposizione; c'è bisogno, però, di fare un accordo con il Viminale e con le prefetture. Io, per esempio, l'ho fatto una settimana fa. Ho messo a disposizione le telecamere del comune di Bari alle altre forze dell'ordine. Ho sottoscritto un accordo nell'ambito del comitato provinciale dell'ordine pubblico con il questore. Le immagini delle telecamere della città di Bari finiscono direttamente presso le centrali operative della questura e dei carabinieri e, viceversa, le immagini della questura e dei carabinieri finiscono direttamente nella centrale operativa del comune di Bari. Abbiamo fatto insieme la pianificazione delle telecamere, perché abbiamo deciso di fare un censimento e ci siamo accorti che a volte avevamo una telecamera della polizia municipale e una telecamera della questura a distanza di 2 metri l'una dall'altra. C'erano due telecamere che guardavano esattamente la stessa cosa e finivano in due centrali diverse, non si parlavano. Ne abbiamo tolta una e ne è rimasta una soltanto, e abbiamo montato quell'altra da un'altra parte. Oggi siamo in una situazione particolare: con la banda ultralarga, che sta arrivando nei comuni – oggi è in cinque comuni più importanti, ma sta arrivando un po’ dappertutto in questa competizione tra Enel e Telecom – avremo la possibilità di far parlare gli oggetti (internet delle cose). Per ora avremo la possibilità di collegare le telecamere direttamente con la superfibra, che è cento volte più veloce. Spero che tra qualche mese, attraverso la sperimentazione del 5G nelle nostre città, anch'essa già partita in cinque capoluoghi, potremo avere un collegamento diretto tra il 5G e, quindi, l'etere e la fibra. Questo significa che potremo avere immagini con una risoluzione elevatissima. Oggi con le immagini delle vecchie telecamere si può guardare una persona e capire se è un uomo, se è una donna, se ha i capelli scuri o se è biondo, ma non si riescono a vedere i connotati fisici. Con le nuove tecnologie delle telecamere e con la superfibra, in real time (non, come succedeva una volta, scaricando di sera i dati trasmessi attraverso la scheda del telefonino e guardandoli il giorno dopo), si può guardare anche la faccia delle persone in un determinato momento. Questo funge da deterrente e onestamente è servito in tutti questi anni nei comuni dotati di telecamere per scoprire reati che ci sono stati nelle nostre città.
  Vengo al rapporto con il Governo. Da un lato chiediamo di finanziare le telecamere pubbliche. Esistono fondi nazionali legati alla sicurezza, che sono nella disponibilità del Viminale e, quindi, delle prefetture. Contemporaneamente, chiediamo al Ministero dello Sviluppo economico di rifinanziare l'acquisto di telecamere per i privati, cioè di dare la possibilità ai comuni di fare bandi per acquistare le telecamere per i privati: una telecamera all'interno dell'attività commerciale e una telecamera all'esterno. In questa maniera, aumentano gli occhi sulla città e anche questa è un'azione di carattere fortemente deterrente. Ovviamente non bastano le forze dell'ordine, come ho detto prima, e non basta riempire la città di telecamere. Abbiamo bisogno di lavorare con le associazioni, le parrocchie e le scuole, per creare una sorta di rete antimafia sociale. Ci sono esperienze positive in alcuni comuni del nostro Paese.
  Concludo dicendo che sicuramente il Bando periferie ha rappresentato una straordinaria opportunità per noi, non soltanto in termini di investimento. Credo sia davvero il finanziamento più grande per le periferie nella storia del nostro Paese. Tuttavia, c'è un tema importante per i comuni, che è quello della formulazione – ne parlavamo prima mentre arrivavo qui – di un'agenda urbana nazionale, che deve avere un carattere strategico. Da un lato, consolidiamo questo finanziamento annuale, anche se – lo ripeto – non con l'importo dell'anno scorso. Capisco che 2,1 miliardi di euro non potranno capitare più, però, se individuiamo un importo e lo programmiamo per i prossimi anni, strategicamente stiamo dicendo ai comuni «Lavorate sulla riqualificazione degli spazi pubblici all'interno delle vostre periferie» e abbiamo la possibilità di fare una programmazione. Come dicevo, senza ulteriori particolari investimenti, abbiamo la possibilità di mettere a sistema, all'interno di questa Agenda Pag. 9urbana nazionale, dei fondi che già lo Stato mette a disposizione dei comuni. Ho fatto l'esempio delle telecamere pubbliche e delle telecamere private. C'è un altro esempio che posso fare, che è il bando MAP, un bando che annualmente fa il Ministero dello sviluppo economico, che finanzia attività di recupero di immobili e di acquisto di mobili per attività economiche. Potremmo specializzare quel MAP sulle periferie a dire ai comuni: «Io ti do questi soldi, ma l'attività economica deve essere in una zona degradata e periferica». Ci sono finanziamenti fino a 80.000 euro a fondo perduto per ristrutturare l'edificio, per acquistare mobili e dare la possibilità di aprire nuove attività economiche all'interno delle zone periferiche. Anche questo è un finanziamento che già esiste e che va messo a sistema, perché, se le articolazioni dello Stato ragionano in maniera autonoma, non abbiamo una strategia complessiva sulle periferie e dipende dall'abilità dell'amministrazione comunale riuscire, attraverso i bandi, a recuperare quanti più fondi possibili con una strategia comunale.
  Noi riteniamo necessaria oggi una strategia nazionale, un'agenda urbana nazionale di carattere strategico sul tema delle periferie e, possibilmente, superare la logica del bando come strumento privilegiato per l'intervento. Infatti, crediamo che dal punto di vista operativo ci sia la possibilità di fare accordi diretti con le autorità urbane locali, in un quadro di riferimento nazionale, supportati ovviamente da un fondo dotato di risorse certe.
  Da un lato occorrono risorse per gli investimenti nelle periferie, attraverso il finanziamento che è stato già messo a disposizione; dall'altro una strategia, con un fondo dotato anch'esso di risorse certe – in questo caso però parliamo di investimenti, ma anche di spesa corrente – che abbia una visione strategica sulle periferie. In tal modo, tutte le articolazioni dello Stato e del Governo fanno confluire le iniziative sui grandi comuni, in particolare sulle aree degradate, all'interno di un'unica strategia, in modo da avere un comportamento analogo all'interno dei comuni capoluogo. Ovviamente saranno i comuni a scegliere le iniziative più tarate sulle esigenze di quel territorio e di quella comunità, ma lo faranno all'interno di un'unica strategia e superando, dove sarà possibile, anche la logica del bando.
  Le città metropolitane, per esempio, sono già un organismo di secondo livello, che ha la possibilità di interloquire. Sto in una sede parlamentare e sto parlando fondamentalmente al Parlamento e al Governo, ma c'è poi tutto il tema delle regioni. C'è bisogno di una cabina di regia che ragioni con il Governo nazionale e con i governi regionali per individuare una strategia complessiva che superi la logica del bando e che dia la possibilità ai comuni di ottenere finanziamenti diretti sulla base di una progettualità che un comune presenta. Un comune ha bisogno di telecamere; ha bisogno di un investimento, che può essere il MAP, per finanziare attività economiche nelle zone periferiche; ha bisogno del fondo, che può essere il POC o il PON Metro, per attivare attività sociali che partono dal basso attraverso le associazioni o di finanziare le parrocchie.
  Un altro strumento che viene utilizzato moltissimo nei nostri comuni è il piccolo finanziamento per le attività del doposcuola, che vengono fatte prevalentemente attraverso le parrocchie, un corpo intermedio che regge moltissimo e che aiuta, soprattutto nelle zone periferiche, a fare comunità. Occorre individuare una serie di strumenti finanziari in una logica complessiva, nell'ambito dell'agenda urbana del nostro Paese. Grazie per averci ascoltato.

  DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. È stato positivo che questa sia una delle ultime audizioni della Commissione d'inchiesta, perché il lavoro fatto in questi mesi è stato molto importante. Abbiamo incontrato i più grandi rappresentanti degli enti locali e delle grandi città metropolitane, ma anche centinaia di associazioni ed enti che operano sul territorio. La cosa che è emersa è la mancanza, come lei nelle sue conclusioni diceva, di un quadro di riferimento chiaro, di obiettivi strategici condivisi e soprattutto di una condivisione sulle azioni. Credo che il Parlamento e il Governo debbano dare strumenti innovativi e Pag. 10chiari a nuove politiche per le città, ma è altrettanto importante che i comuni facciano un passo avanti nella loro riorganizzazione. Nel vedere da vicino alcune situazioni – come lei sa, io sono di Milano e, quindi, conosco molto bene il tema dei progetti della città metropolitana di Milano, una realtà fortunata rispetto ad altre oltretutto – quello che emerge è che a oggi non esiste un modello di cooperazione fra i comuni che permetta di investire in maniera sistemica. Ci può essere una strategia nazionale, ma, se i comuni non riescono a operare insieme per definire politiche specifiche territoriali, anche dotandosi di figure necessarie per affrontare temi così complessi, credo che manterremo questo standard tutto italiano di politiche frammentate, non valutate nel tempo e non continuate nel tempo. Peraltro, per esperienza, quello che constato è che non è più così scontato che un sindaco al primo mandato sia riconfermato al secondo, quindi c'è una frantumazione tra i soggetti che avrebbero il compito, almeno in dieci anni, di portare avanti politiche complesse come queste, che sono cambiamenti prima di tutto culturali, con strumenti che affiancati.
  Ne approfitto per dirle un po’ di cose e per farle un po’ di domande, che possono essere utili per chiudere alcuni dossier. In particolar modo, io ne seguo uno da vicino, che è il tema dell'abitare e della casa. Nel concetto di abitare c'è anche il tema delle reti sociali. Quello che emerge e che vorrei condividere con lei è che, se questo è un percorso, mi sembra scontato – e noi lo chiederemo – che sia fatto un piano casa nazionale, con regole da rimettere insieme. C'è una mancanza di risorse e c'è stata una disattenzione dal 1998, finiti i fondi Gescal (Gestione case lavoratori). Su questo non c'è ombra di dubbio. Una prima domanda che porta a un ragionamento organizzativo è: come non ci si è accorti che da 200.000 persone che chiedevano normalmente o annualmente edilizia residenziale pubblica siamo passati a 650.000? Nel frattempo in questi anni tutte le regioni hanno cambiato le leggi regionali, dicendo che, se non si è residente da almeno tre o cinque anni, non si accede all'edilizia residenziale pubblica, quindi vuol dire che siamo di fronte a numeri emergenziali ben più alti di 650.000. Nessuno se ne è accorto, perché in realtà lo Stato centrale ha fatto un passo indietro e le regioni di fatto gestiscono, spesso anche male, il patrimonio pubblico. Occorre un piano nazionale casa che indichi criteri precisi sull'affitto minimo e su una serie di contenuti, perché c'è una disparità assurda. Chi stabilirà i criteri dovrà ovviamente tener conto delle differenze tra il Nord e il Sud nel Paese, ma non possono essere differenze inconcepibili e incoerenti. Detto questo, però, il tema che viene posto è che non è possibile gestire il patrimonio di edilizia residenziale pubblica un pezzo il comune e un pezzo le regioni. Tranne l'Emilia Romagna e la Toscana, di fatto, ci sono questi due patrimoni, con regole gestionali diverse, nella stessa città, un palazzo vicino all'altro.
  Si ipotizza la possibilità di sperimentare in alcune aree del Paese un nuovo modello di cooperazione e gestione, senza pensare di fare leggi che trasferiscano patrimoni, ma provando a sperimentare un nuovo soggetto, che possa mettere assieme patrimonio regionale, comunale, privati e cooperative. Infatti, c'è un problema di gestione degli abitanti che sono dentro le case popolari, nel senso che, nel momento in cui escono dal reddito, bisogna accompagnarli dentro un tema di edilizia sociale.
  Mi interessa avere una sua opinione, perché nel momento in cui la Commissione – questo è l'obiettivo – presenterà e approverà dei dossier, o sono carta straccia, perché siamo a fine legislatura e rimangono nel cassetto... sarebbe un peccato, perché il lavoro è molto complicato e anche molto interessante e mostra la quantità di cose che bisognerebbe fare per affrontare le periferie.
  A questo punto, almeno su alcuni temi sarebbe certamente interessante un'alleanza con l'Anci, un'alleanza con l'Upi (Unione province italiane) e un'alleanza con il Parlamento e le forze politiche. Lo sforzo che stiamo facendo è di arrivare a documenti condivisi da tutta la Commissione, proprio per dare continuità, anche Pag. 11nella prossima legislatura. Sulla casa c'è un focus particolare, perché è un'emergenza.
  Finora ho parlato di legge quadro nazionale, di riordino del modello di gestione e di superamento della separazione. L'altro tema sul quale stiamo ragionando è che entra in azione il reddito di inclusione, ma al suo interno non è previsto nulla per quanto riguarda l'abitare. Se una persona è in difficoltà, ha perso il lavoro o non ce l'ha mai avuto, non riesce a pagarsi l'affitto. A questo punto, inizia un percorso di sfratto nelle case private e di non pagamento dell'affitto nelle case pubbliche, con tutto il problema che ne consegue. Stiamo valutando se inserire nell'azione, oltre all'implementazione del fondo morosità incolpevole, che non è stato implementato, la sua assegnazione al REI come uno degli strumenti di presa in carico di un cittadino. In questa logica, il problema è professionale. Ho visto che ci sono emendamenti anche al Senato di richiesta di assumere nuovi assistenti sociali, proprio per gestire questa nuova sfida nazionale. Ritengo – e lo sottolineerò nella parte della relazione che mi compete – che non sia possibile cambiare i servizi con le stesse persone. So che a questo punto ci devono essere profili professionali formati ad hoc sul concetto di presa in carico, persone che già stanno lavorando e nuove. Tutte le aziende cambiano se rinnovano le persone, mentre la pubblica amministrazione italiana pensa di fare con le stesse persone servizi innovativi. Non è possibile. Occorre una figura professionale ad hoc.
  Lo stesso discorso vale anche per quanto riguarda la progettazione strategica. Parlo per esperienza, perché ho fatto un piano strategico per la città metropolitana e sono stata amministratore. Non è possibile fare un ragionamento che metta insieme opere pubbliche, realtà sociali e analisi sui problemi territoriali per definire un piano strategico in dimensioni di piccoli comuni e senza figure professionali ad hoc. Sarebbe molto interessante poter dire, nelle sperimentazioni di politiche innovative da tener sotto controllo e da verificare, se vengono date particolari risorse o attenzioni ai comuni che si aggregano in una dimensione corretta e coerente e che si dotano di strumenti. Ci sono possibilità da parte loro, se aggregati, di avere specialisti, ma anche in questo caso si tratta di capire come formare alcune figure che abbiano questa competenza di lettura.
  Lo dico anche perché Istat, come avrete sicuramente visto, ha presentato una mappatura delle città, che abbiamo condiviso sollecitandoci a vicenda. Purtroppo si è fermato alle città capoluogo. Come sempre, si pensa che la città metropolitana sia Milano o Bari. Spesso i sindaci – spero che non lo faccia anche lei, presidente, come sindaco della città metropolitana di Bari – ragionano soltanto entro i confini della città capoluogo. Questa cosa non è stata ancora assunta e anche Istat ha fatto un lavoro sulle città metropolitane considerando solo il capoluogo nella piantina. Tuttavia, è un lavoro che andrà implementato e che potrà essere utile anche per i comuni. Infatti, se lei lo guarderà o se l'ha già visto, si renderà conto – io ho fatto questa affermazione quando è stato presentato – che bisogna cambiare il sistema dei servizi territoriali. La popolazione è cambiata e noi continuiamo a ragionare su schemi e modelli di vent'anni fa. Da questo punto di vista, è uguale per tutta l'Italia.
  Sarebbe molto interessante se ANCI utilizzasse questa parte del lavoro della nostra Commissione per sollecitare i comuni alle analisi, altrimenti le analisi sono sempre uguali. Occorre cercare di capire in quei luoghi che cosa serve rispetto a quel livello di popolazione, all'età, alla componente sociale.
  L'altro tema che emerge con forza e che non abbiamo ancora definito è quello delle occupazioni abusive. Con questa doppia situazione di case popolari regionali e comunali, ritengo che vada detto «no» alle occupazioni abusive, che vanno scovate nel giro di 48 ore, ma questo vuol dire controllo. Gran parte delle case popolari non hanno controllo, non sono gestite. Ci sono esperimenti molto interessanti, come il portiere sociale o altro, che dovrebbero diventare norma, perché non è pensabile sentirci dire che, ad esempio, Ater Roma non sa neanche capire qual è il suo patrimonio. Pag. 12Come faccio a dire che sto tentando di lavorare per evitare problemi di sicurezza, di criminalità e di cordate, se non so che occupano una casa o lo so dopo un mese e mezzo che sono dentro? Questo succede anche a Milano, così almeno non facciamo un discorso discriminante.
  Credo che su questo tema sia necessario indicare precisamente una cosa. Per quanto mi riguarda, dico che c'è l'obbligo del portiere sociale in ogni blocco di palazzi e oltretutto serve una mappatura. Bisogna che lo Stato dica qualcosa, perché altrimenti ci diciamo bugie. In quest'ottica, c'è un'altra cosa che mi sembra giusto sollecitare per un verso, ma anche chiedere per un altro. Il decreto Minniti introduce il Comitato metropolitano, che non è quello sull'ordine pubblico. Per quanto mi risulta, è partito solo a Roma, anche su nostra sollecitazione, perché c'era il problema dei roghi tossici. Ne parlai in Commissione con Minniti, perché il decreto fu esaminato nella mia Commissione permanente. Si tratta di una cosa interessante, ma è una scatola vuota, che potrebbe essere una scatola piena: cerca di affrontare il tema sicurezza, non con le armi, ma con le reti sociali e culturali. Come strutturarla? Anche questa potrebbe essere un'occasione interessante per cominciare quel lavoro di sistema tra comuni focalizzati su progetti in rete, ma a oggi è come se non ci fosse. Chiedo che cosa Anci pensa di fare su questo. Questo è un tema legato principalmente alle città metropolitane, ma, come lei ben sa, visto che è responsabile nazionale, stiamo parlando di 21 milioni di persone, quindi di una cosa non da poco.
  L'altra cosa che mi sembra interessante condividere con voi è che in realtà il tema di fondo che emerge è che occorre prevenire. Non c'è dubbio che il tema sono minori e scuola. C'è troppa dispersione scolastica e mal gestita. Ci sono cose che vanno inserite. Sono perfettamente d'accordo con lei e sposo quello che ha detto. È dall'inizio di questo lavoro che «rompo le scatole» sul Cipu (Comitato interministeriale per le politiche urbane). Non si può governare questa complessità senza una strategia complessiva, quindi l'agenda urbana tradotta, nostra, italiana, mi sembra essenziale. Ne parlavamo anche l'altro giorno. Sono dodici capitoli, che sono i temi che abbiamo visto noi, quindi potremmo sperare che il lavoro di questa Commissione sia utile per formulare un'agenda urbana nazionale e, quindi, una politica attenta sulle città. Questo sarebbe molto interessante, però sappiamo anche che lo faranno il nuovo Governo e il nuovo Parlamento, ovviamente non si farà adesso. Si tratta di capire, invece, in questo scorcio di legislatura, visto che c'è una legge di bilancio, quali leve e quali iniziative mettere al suo interno, potendolo, che siano coerenti con il lavoro fatto. Questo è l'obiettivo che ci poniamo. Quale priorità in questo momento possono essere evidenziate?
  Mentre scendevamo in ascensore lei mi ha detto una cosa che mi ha fatto pensare. Il sindaco Decaro mi diceva: «Il fatto che il demanio venga dato ai comuni è fantastico, peccato che i comuni poi hanno vincoli di spesa e non hanno soldi per fare investimenti». È una «volontà al 50 per cento» e questa è una priorità. Si tratta anche di capire, dentro una nostra teorica agenda urbana per le città, qual è il primo passaggio utile per dare continuità. Sarebbe giusto indirizzare già anche queste risorse che saranno inserite nel bilancio, perché uno dei temi di fondo del bando sulle periferie è che è fantastico e meraviglioso, però senza strategie. Ci sono progetti tirati fuori dal cassetto, alcuni molto interessanti, ma non sono buone pratiche, perché non sono vissute come tali, e alla fine forse sono dispersivi. È un fatto positivo, perché da troppi anni i comuni erano senza soldi e senza opportunità di fare le cose, ma proviamo a capire insieme se possiamo già indirizzare questi 500 milioni di euro del bilancio, da verificare, di cui lei ha parlato. Questo sarebbe fantastico e potrebbe essere un modo virtuoso di iniziare una collaborazione forte.

  CLAUDIA MANNINO. Ho una domanda netta rispetto alle conclusioni della collega. Vorrei capire il ruolo che l'Anci ha avuto, se l'ha avuto ovviamente, nella definizione o nella proposta dei bandi per le periferie. Pag. 13Infatti, come affermava la collega e come ci siamo detti più volte, è uscito fuori un quadro di programmi disorganici, che non necessariamente risolveranno o affronteranno qualche problema di degrado nelle periferie. Vorrei capire se il ruolo di Anci c'è stato e se l'Anci potrebbe dare un indirizzo. Lo dico perché si è discusso all'interno di questa Commissione anche di una possibilità nell'ambito delle città metropolitane. Anche in questo caso i progetti che sono stati presentati come città metropolitana non sempre hanno rappresentato la città metropolitana, ma hanno rappresentato molto il capoluogo di provincia e poco i comuni minori. Parlando di città metropolitana, la domanda che mi pongo è se è pensabile ragionare su caratteristiche minime che le città metropolitane devono avere su alcune sezioni, come la gestione dell'edilizia pubblica, un nuovo welfare dell'abitare oppure i servizi alle fasce più deboli.

  PAOLO GANDOLFI. Io non faccio una domanda, aggiungo solo una considerazione, che peraltro assomiglia molto a quelle fatte dalla collega Gasparini. Sono ossessionato – e la partecipazione all'attività di questa Commissione ha amplificato questa mia ossessione – dalla totale assenza – la definisco così, anche se non è totale, ma l'onorevole Gasparini ci ha dato i dettagli – di una politica nazionale delle aree urbane, dalla mancanza di una visione complessiva, che rende anche le risorse che pure esistono – probabilmente ne servirebbero altre – in parte inefficaci. Questa – lo ribadisco – è una valutazione mia, che in qualche misura esce rafforzata dall'esperienza in questa Commissione. Per me il contributo più importante che può dare il lavoro di questa Commissione, al di là delle interessantissime valutazioni che emergono grazie all'intenso lavoro di audizione e di sopralluogo, è forse quello di dare uno stimolo a mettere in piedi. La definizione che ne è emersa e che probabilmente sarà contenuta nella relazione è quella di agenda urbana, un concetto che, oltre a essere abbastanza moderno, risponde in parte a questa mia ossessione. Tuttavia, c'è un punto di debolezza che rimarrebbe, che è quello della materia urbanistica, perché, su moltissime difficoltà che abbiamo visto nelle città, l'assenza di un indirizzo nazionale e la vetustà della legislazione nazionale fanno sì che alcune azioni che si possono mettere in campo, seppur coordinate e strutturate da una maggiore capacità di visione, rischiano di essere in parte vanificate. Veniamo da nove anni di crisi del settore immobiliare e quindi di un rallentamento fisiologico del sistema. Tuttavia, pur essendo quello italiano un sistema, per quanto riguarda naturalmente le città, basato molto sull'autonoma iniziativa delle amministrazioni comunali, eventualmente in rapporto con le regioni, è evidente che quello dell'urbanistica è stato uno dei settori più trascurato: è come avere una serie di figli che quando trovano l'occasione bevono e tu non sai come dirgli... C'è una a volte involontaria e a volte consapevole, tendenza dei comuni a stare dentro un sistema dove la pianificazione territoriale e urbanistica è debole, per necessità, e a convivere con questo contesto facendosi del male. Infatti, dopo un arco di dieci anni di un'attività, per esempio, di sviluppo urbanistico della città non particolarmente gestita, con effetti di delocalizzazione, di decentramento, di parcellizzazione o di sprawl del tessuto urbanistico, è difficile, anche con politiche pubbliche belle, coordinate e con dei soldi, recuperare determinati problemi. Per esempio, alcune aree che abbiamo visitato soffrivano ancora, nonostante in alcuni casi fossero passati anche cinquant'anni dal tempo di insediamento, un problema di isolamento e di distanza, che è il più elementare e semplice dei problemi che si possono esaminare valutando le periferie, perché è quello più tecnicamente collegato anche al termine stesso dell'indagine. È paradossale che in altri casi, per esempio a Roma, dove abbiamo assistito ad alcuni sopralluoghi con i cittadini, questo elemento non sia più riferito esclusivamente ai quartieri pubblici, che magari per loro natura all'inizio erano collocati in luoghi distanti, ma che anche insediamenti recenti, di natura privata, teoricamente supportati da una forte attenzione al valore immobiliare, si ritrovino tutto sommato Pag. 14con dei problemi. Detto brutalmente, il fatto che questa Commissione si sia trovata a incontrare anche comitati cittadini fatti sostanzialmente – scusate il termine un po’ vecchio – di borghesi benestanti, che pongono problemi di degrado del loro recentissimo insediamento residenziale, magari pagato fior di quattrini, è un piccolo paradosso di questa città.
  Almeno le città anglosassoni hanno una cosa chiara, ovvero – anche in questo caso uso un termine poco tecnico – che le «sfighe» sanno bene dove andare a colpire e almeno le parti nuove hanno generalmente risolti sin dalla partenza i loro problemi. Invece, da noi manca una gestione urbanistica coordinata e indirizzata bene da leggi nazionali e da leggi regionali un po’ più simili l'una all'altra e che abbiano almeno delle finalità di fondo condivise, tra cui quella di evitare forme di dispersione oppure meccanismi di realizzazione ante operam, prima delle opere di urbanizzazione, l'uso delle risorse e una serie di temi che sono emersi e che sarebbe opportuno venissero messi a regime.
  Immagino che la posizione di Anci da questo punto di vista sia chiara, almeno per quello che ho sentito in un paio di occasioni. Naturalmente ho sempre un piccolo dubbio, venendo anch'io da quell'esperienza, sul fatto che i comuni, che riescono a sintetizzare bene quando si trovano insieme, quando poi sono da soli a dover operare bene o male si attacchino volentieri a quella bottiglia. Questo era un po’ il concetto. Vorrei capire cosa si può fare.

  ANTONIO DECARO, presidente dell'Anci. Non ho inteso volontariamente affrontare il tema casa, perché vorremmo col tempo staccare l'idea dell'emergenza abitativa dalle periferie. Le periferie, soprattutto quelle fisiche, come dicevo nella prima parte del ragionamento, sono nate proprio per dare risposte all'emergenza abitativa. Non vogliamo più dare risposte all'emergenza abitativa attraverso le periferie, vogliamo che ci siano dal punto di vista urbanistico dei mix. Le cosiddette «case popolari», gli alloggi sociali, vanno realizzate all'interno di strumenti di pianificazione, per esempio le vecchie lottizzazioni, strumenti nuovi di rigenerazione e piani di riqualificazione, in maniera distribuita. Abbiamo dato risposte all'emergenza abitativa concentrando categorie di persone che, se stavano in emergenza abitativa, avevano problemi dal punto di vista sociale ed economico, tutte all'interno degli stessi quartieri. Il tema dell'emergenza abitativa è però il più forte oggi nei capoluoghi, soprattutto nei capoluoghi di provincia e di regione.
  Cosa è successo soprattutto nell'ultimo periodo? A fronte dell'avanzare della crisi, tante persone hanno perso la casa, perché non possono più pagare l'affitto o il mutuo. Lo Stato temporaneamente aveva bloccato gli sfratti con una legge, ma dopo due anni, giustamente, essendo proprietà private, ha dovuto fare la modifica e gli sfratti sono stati nuovamente liberalizzati. Contemporaneamente il Governo dice: «Ti metto a disposizione degli immobili pubblici». In che modo? La procedura è semplice da utilizzare: tramite l'articolo 26 dello Sblocca Italia e con l'Agenzia del demanio, gli ex edifici di cui parlavamo prima, di proprietà pubblica (regionale e statale) vengono messi a disposizione. L'immobile arriva direttamente al comune per l'emergenza abitativa, ma dove si prendono i soldi per fare la ristrutturazione? Attraverso il regolamento beni pubblici si può prendere un immobile e metterlo a disposizione di un'associazione; il dirigente del comune firma un verbale e dice: «Questo è l'immobile a tua disposizione, lo utilizzi e lo metti tu nelle condizioni di essere agibile». In questo caso, invece, non posso dire a un nucleo familiare in difficoltà socioeconomica: «Questo è il bene che ho ottenuto dallo Stato, te lo do». Il dirigente non può firmare il verbale e dire: «Lo rendi tu abitabile». Se uno non ha i soldi per pagare l'affitto e il mutuo, certamente non ha i soldi per ristrutturare un edificio. Peraltro, nella maggior parte dei casi sono ex ospedali o ex caserme, che vanno rifunzionalizzati per la finalità abitativa: quei soldi non ci sono.
  Come sempre, quando c'è un problema e, giustamente, ne viene amplificata l'evidenza sui media, ce ne occupiamo tutti. Qualche mese fa si è parlato delle occupazioni abusive a Roma: un problema che Pag. 15riguarda tutte le città e non è legato al fenomeno dell'immigrazione: gli immigrati sulla base di una convenzione europea, finiscono nei CAS (centri di accoglienza straordinaria), negli SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e negli ex CARA (centri di accoglienza per richiedenti asilo), che purtroppo sono ancora attivi e non sono stati ancora sostituiti dai CAS. Si tratta fondamentalmente di tre tipologie di persone. Credo di essere l'unico sindaco metropolitano a non aver partecipato al bando contemporaneamente come comune capoluogo e come area metropolitana. Proprio per evitare qualunque dubbio nei confronti degli altri quaranta sindaci dell'area metropolitana di Bari, abbiamo partecipato solo come area metropolitana. Siamo arrivati primi: non ero nemmeno presidente dell'Anci, ero solo sindaco di Bari all'epoca, quindi nessuno può pensare...Ho rinunciato a 18 milioni, perché chi ha partecipato in maniera doppia ha avuto il doppio finanziamento, però ho fatto una scelta che ho condiviso con i miei colleghi sindaci.
  Quali sono le tre tipologie di persone? C'è chi ha perso la casa; sono persone che avevano un lavoro e che oggi non ce l'hanno più, non possono pagare il mutuo, non possono pagare l'affitto e cercano un tetto. Ci sono poi i senza fissa dimora, che vanno nel capoluogo, non perché c'è il sindaco che è più simpatico, ma perché trovano una rete di protezione fatta di associazioni e di parrocchie, che offrono un pasto caldo la mattina e la sera. In tutti i comuni capoluogo c'è una rete di mense; a pranzo puoi andare da una parte e la sera da un'altra. C'è un'organizzazione, sostenuta anche delle amministrazioni. Quelle persone mangiano, però poi hanno bisogno di un tetto sulla testa. Infine, ci sono gli ex migranti; nel senso che, se stanno lì, hanno ottenuto il permesso di soggiorno. Sono stati due o tre anni in attesa del permesso di soggiorno e, una volta ottenuto, escono dal sistema di protezione del Viminale (CARA, CAS e SPRAR) e cercano un posto dove andare a dormire. Queste tre tipologie di persone normalmente si concentrano all'interno dei capoluoghi. Questo vale anche per la terza categoria, perché, mentre oggi col sistema SPRAR o con i CAS a gestione prefettizia stiamo cercando di distribuire il fenomeno del flusso migratorio su tutto il territorio nazionale, prima era concentrato nei grandi comuni, in quanto nei grandi comuni c'era il CARA. C'è il CARA a Bari, a Milano, vicino Roma (quelli venivano dal CARA vicino Roma), a Bologna. I CARA erano dappertutto, con numeri decisamente superiori a quelli autorizzati. Anche la terza categoria di persone in emergenza abitativa va quindi a finire nel capoluogo.
  Un tentativo di risposta è stato: «Utilizziamo i beni confiscati alla mafia». È una buona soluzione, però i beni confiscati alla mafia non ci sono in tutto il Paese (per fortuna, perché vuol dire che non c'è la mafia in tutto il Paese). Scherzando, in una riunione di sindaci metropolitani con il Ministro Minniti ho detto: «Scambierei volentieri i miei 72 immobili confiscati alla mafia con i 14 clan criminali che sono attivi nella città di Bari». Purtroppo, però, non lo posso fare e non troverei nemmeno qualcuno disponibile allo scambio. Questa soluzione va bene per i comuni dove ci sono. Nella mia città sono pochi immobili (72) e solo all'interno della graduatoria degli alloggi popolari ci sono 1.200 nuclei familiari che hanno diritto. Tuttavia c'è sempre il tema delle risorse, che addirittura in questo caso ci sono. Mentre per l'articolo 26 risorse non ci sono, per quanto riguarda gli immobili sequestrati alla criminalità organizzata ci sono e sono di due tipologie. Una tipologia è direttamente nelle mani dell'Agenzia beni confiscati e nessun comune è mai riuscito ad accedere. Ci ha provato il comune di Palermo e non ci è riuscito. Se non ci è riuscito Leoluca Orlando, la vedo difficile per gli altri sindaci. In secondo luogo, c'è il fondo PON legalità, che sono 55 milioni di euro messi a disposizione. Anche in questo caso parliamo delle cinque regioni. Anche quelli sono bloccati, nel senso che non sono messi a disposizione, ma potrebbero essere utilizzati per riqualificare questi edifici che ci vengono affidati. Pag. 16
  Sono d'accordo sulla questione legata alla distensione. C'è bisogno di un'attività di coordinamento, perché ci sono le agenzie regionali e ci sono gli immobili di proprietà comunale. Non dico che occorrerebbe il passaggio di proprietà, ma andrebbe almeno creata una sinergia. C'è una disparità, non solo di regole (perché le regioni hanno potestà legislativa e cambiano i regolamenti da regione a regione), ma soprattutto dal punto di vista finanziario. Mentre prima era lo Stato che dava alle regioni il fondo dedicato all'emergenza abitativa, adesso è indistinto e dipende dalla regione. Ci sono regioni dove si realizzano alloggi popolari nei comuni che ne hanno bisogno e regioni dove non si realizzano e non ci sono nemmeno le agenzie regionali. Questo è una disparità tra una regione e l'altra. Per esempio ho la fortuna di costruire in questo momento nella mia città 250 alloggi, perché ho ereditato il finanziamento di un piano casa comunale. La questione secondo noi si affronta anche con il contributo alloggiativo. Purtroppo anche quello prima proveniva dallo Stato, mentre adesso è stato schiacciato ed è competenza degli assessorati regionali all'Urbanistica.
  C'è l’housing sociale, che possiamo sperimentare. Non tutti i 1.200 nuclei familiari nella nostra graduatoria hanno bisogno dell'alloggio popolare. Molta di quella gente cerca una casa a 200-300 euro al mese, se lo può permettere; non può pagare 800-1.000 euro al mese, ma 200 ne può pagare. L’housing sociale ci può aiutare. C'è anche una struttura di Cassa depositi e prestiti, che mette a disposizione il fondo per poter realizzare, ma sono ancora piccole sperimentazioni. C'è una legge che ci permette di fare anche la variante: nel terziario direzionale, per esempio, si possono modificare le destinazioni d'uso degli immobili destinati a servizi, quindi uffici e negozi possono diventare residenze sotto forma di co-housing, con un importo che viene stabilito in una contrattazione con il comune.
  Ci sono poi due tipologie di attività, ma di questo dobbiamo parlare con le regioni: i dormitori e il portierato sociale. Ci sono regioni che chiedono ai servizi sociali dei comuni delle strutture, che sono i cosiddetti «centri-famiglia», che hanno costi incredibili, perché c'è bisogno dell'assistente sociale e dell'attività medica direttamente all'interno, che ovviamente i comuni non possono sopportare. Alcuni comuni stanno sperimentando soluzioni come il dormitorio sociale, piccoli alloggi per piccoli nuclei familiari, o il cosiddetto co-housing, ovvero la possibilità di più nuclei familiari di avere stanze a disposizione e di condividere i servizi, oppure famiglie che, ottenendo un piccolo importo da parte del comune, ne ospitano altre in difficoltà socioeconomiche. Abbiamo tuttavia bisogno che la regione regolarizzi con una norma queste attività, che altrimenti, finito il periodo di sperimentazione, risulterebbero abusive.
  Il Comitato metropolitano si sta riunendo. Non è successo solo a Roma, ma è successo anche a Catania e l'8 dicembre Minniti lo farà a Bari. Crediamo sia un segnale di autorevolezza nei confronti dei sindaci su temi che non riguardano l'ordine pubblico. Non diventiamo sceriffi e non ne abbiamo l'ambizione, però sulla sicurezza urbana, sul decoro e sulla casa non dobbiamo più alzare la mano e chiedere: «Prefetto, le chiedo una cortesia. Mi può invitare al comitato?» Oggi il sindaco ha la possibilità di partecipare al tavolo a pieno diritto e di coordinarlo insieme al prefetto, perché sono temi sui quali i cittadini chiedono risposte ai sindaci. Ho provato più volte – provate anche nei vostri comuni – a chiedere: «Come si chiama il questore? Come si chiama il prefetto?» Non lo sanno. I cittadini, anche nelle grandi città, vanno dal sindaco, non vanno dal questore o dal prefetto. Dunque, almeno sul piano della sicurezza urbana oggi il sindaco ha la possibilità di stare a quel tavolo e di affrontare con le forze dell'ordine, ma anche con le altre istituzioni presenti sul territorio, questi temi, compreso quello della casa, perché non può succedere quello che è accaduto a Roma. Non è possibile che si faccia lo sgombero e poi si dica: «È un problema del sindaco». Questo non può accadere, perché il sindaco non ha la bacchetta magica. Nel mio comune per spostare un gruppo di ex migranti da un'occupazione abusiva ci abbiamo Pag. 17 messo un anno e mezzo: abbiamo trovato una tendopoli e li abbiamo spostati, perché dovevano fare dei lavori ed era di proprietà della sovrintendenza. In seguito li abbiamo spostati in un'altra attività, che era il portierato sociale. Alcuni di loro hanno avuto fortuna, hanno trovato lavoro e si è ridotto il numero delle persone presenti, ma erano 120 persone. Se il prefetto avesse fatto un'ordinanza per allontanare 120 persone, dove avrei messo 120 persone? Diventa un problema di ordine pubblico. Ecco perché è importante il Comitato metropolitano per affrontare anche questi problemi.
  Per quanto concerne il ruolo dell'Anci sul Bando per le periferie, abbiamo fatto attività di divulgazione, provando a impartire linee guida ai comuni e alle città metropolitane che hanno partecipato e avevamo anche una persona all'interno della commissione.
  Vedete tipologie diverse perché è stato finanziato tutto il bando e quindi con i 2,1 miliardi sono stati finanziati anche quelli che in graduatoria erano all'ultimo posto. Se uno è arrivato all'ultimo posto, il progetto probabilmente non deve essere il migliore di tutti o quello più efficace. Tuttavia, è stata fatta una scelta: abbiamo questi fondi e li mettiamo a disposizione. Noi per primi chiediamo, come ho detto nell'introduzione, di evitare anche il bando. Scegliamo, insieme con il Governo e con il Parlamento, quali sono le linee di azione; poi ogni comune calerà la linea di azione all'interno del proprio territorio, che non deve essere solo un'azione infrastrutturale o solo una riqualificazione dello spazio pubblico. Contemporaneamente ci deve essere l'attivazione di un'attività economica, di un'attività artigianale, di un'associazione che svolga un'attività sociale e culturale e si apra al territorio, di un'associazione che prenda in carico un giardino o una scuola abbandonata e faccia attività di laboratorio o porti i ragazzini a imparare un mestiere. Credo che queste siano le due attività che devono andare in parallelo. Lo possiamo fare se abbiamo una strategia comune.
  Provo a leggervi solo una parte dei fondi che utilizziamo: PON, POC, MAP del Ministero dello sviluppo economico. Poi abbiamo il credito sportivo, il Coni e il Ministro per lo sport. Possiamo finanziare contemporaneamente lo stesso playground con il Bando periferie, con il Ministro per lo sport e il Coni attraverso il fondo «Sport e periferie» e contemporaneamente con il credito sportivo, che, non a fondo perduto ma a tasso zero, finanzia la riqualificazione di spazi per lo sport all'interno delle periferie. Facendo l'esempio di un impianto sportivo, quindi, lo possiamo finanziare in tre maniere. È chiaro che poi ognuno si muove in maniera disarticolata. Dipende molto dalle strutture tecniche dei comuni, che non possono assumere. Abbiamo avuto lo sblocco al 75 per cento e sembra che possiamo assumere. Continuo a spiegare, anche ai parlamentari che me lo chiedono, che il 75 per cento di sblocco del turnover significa che ne vanno in pensione 100 e ne mettiamo 75 anziché 25 come prima, ma sempre riduzione di personale è, non stiamo assumendo nuovo personale. Questo è un problema.
  Inoltre, ci sono i vincoli. Si possono assumere i vigili urbani all'80 per cento; poi c'è stato il periodo in cui si potevano assumere le maestre. Invece non si possono assumere gli ingegneri e i geometri se si vuol fare la riqualificazione, perché è un impegno che ho preso. Pertanto, vi chiediamo (adesso mi sto allargando, sto parlando della legge di bilancio): «Dateci un limite». Diteci: «Il limite della spesa corrente è questo e all'interno della spesa corrente il limite per il personale è questo», ma fateci assumere quel che vogliamo noi, perché un sindaco ha preso un impegno, ha fatto una campagna elettorale per la quale è stato eletto. Il sindaco viene eletto perché ha un programma. Se nel programma c'è scritto che devo fare le piazze nelle periferie e ho trovato anche lo strumento economico che me lo finanzia, che è il Bando periferie, ma poi non c'è il personale per fare la direzione lavori o per fare la progettazione, è un problema.
  Rispondo a Paolo Gandolfi. Oltre a questi acronimi, ci sono anche i DUC (distretti urbani del commercio), che finanziano le regioni. Questi sono solo i finanziamenti, Pag. 18ma poi sulla pianificazione, alla quale facevi riferimento tu, Paolo, abbiamo: il piano urbanistico generale, il piano della mobilità sostenibile, il piano per la ciclabilità (Biciplan), il piano per il commercio, i distretti urbani del commercio, che sono delle sotto-pianificazioni, il piano strategico – se andiamo a scala metropolitana – il piano territoriale di coordinamento. Tuttavia, manca l'organizzazione. Questi piani non si parlano, perché manca forse una piccola cosa, che si chiama «masterplan» che noi abbiamo chiesto di finanziare. Adesso lo dico, anche se non l'ho mai detto pubblicamente: l'hanno fatto a Tirana, che è dall'altro lato della nostra costa. È un piano che prende tutte le pianificazioni, le mette insieme e dà loro un senso. Questo ci permette di ragionare se magari, evitando i bandi ma attraverso una contrattazione diretta con le regioni e con il Governo, si può finanziare quel masterplan. Si può fare come si fa col piano urbano della mobilità. Noi due abbiamo fatto entrambi l'assessore al traffico. C'è una legge che dice che, se un'infrastruttura trasportistica non è prevista nel piano urbano della mobilità, non la si finanzia. Ho ringraziato prima dell'inizio dei lavori il parlamentare Gandolfi per aver portato a compimento l'approvazione alla Camera della legge quadro sulla ciclabilità. Mi sembra giusto. L'hanno votata tutti, anche perché l'intergruppo parlamentare era composto da tutte le forze politiche presenti in Parlamento quando abbiamo iniziato (ci abbiamo messo quattro anni).
  Attraverso il masterplan delle città metropolitane, per esempio, dei comuni capoluogo – quando, invece, parliamo della città metropolitana, prendiamo tutti i comuni che fanno parte dell'area metropolitana – riusciranno con pochi soldi a mettere a sistema tutte queste pianificazioni. Altrimenti, continuiamo a fare quello che diceva prima l'onorevole Gandolfi e ci ritroveremo con comitati di residenti che vengono qui a lamentarsi di questioni legate ai propri quartieri, che non sono quartieri nati negli anni 1960 e 1970 con il CEP, con quella legge che permetteva di dare risposte alle esigenze abitative. Sono quartieri, anche di qualità, che sono nati oggi e che sono scollegati, perché arriviamo ad approvare vecchie lottizzazioni, perché non c'è più il piano quinquennale, saltato dappertutto quando c'erano i PRG (piani regolatori generali), perché facciamo degli accordi di programma.
  Nella mia città ho il problema di un quartiere bellissimo, con case bellissime, che si chiama «Bari domani». Quando vengono i residenti spiego loro che avrebbero dovuto costruire quel quartiere non domani, ma dopodomani, nel senso che è così lontano dalla città – è nato con un accordo di programma – che non vi si può portare il trasporto pubblico. Infatti, 10 milioni di chilometri di percorrenza, a un costo di 3 euro a chilometro, sono 30 milioni di euro (due terzi li finanzia la regione, l'altro terzo lo paga il comune) e ogni chilometro in più costa 3 euro, che non ci sono. Pertanto, in quel quartiere, nato bellissimo, ma come un isolotto molto lontano dal centro abitato, non si può finanziare il trasporto pubblico: non ci sono i soldi di spesa corrente. Certamente, fu autorizzato all'epoca, per questo ho detto che lo avrebbero dovuto autorizzare dopodomani questo quartiere che si chiama «Bari domani».
  Arriviamo alle infrastrutture, per parlare di un altro tema, perché tutto sta insieme se facciamo l'Agenda urbana. Il Ministero delle infrastrutture finanzia infrastrutture. Se finanzia un'infrastruttura di collegamento con un quartiere periferico, ha fatto una ricucitura, non solo urbanistica, ma anche sociale. Dico sempre, da ingegnere dei trasporti, che il mio orgoglio è stato inaugurare la metropolitana del San Paolo quando facevo l'assessore ai trasporti. Io, che avevo fatto solo opere infrastrutturali nella mia vita, amministrando mi sono reso conto che quell'opera infrastrutturale ha una valenza sociale. Il quartiere che abbiamo collegato è chiamato ancora «CEP», perché è nato così, anche se si chiama San Paolo. I residenti di quel quartiere, quando facevo l'assessore e li incontravo nel quartiere, mi dicevano «sto andando a Bari», come se il centro cittadino fosse un altro comune, e, quando Pag. 19li incontravo nel centro cittadino, mi dicevano «sto andando al quartiere», perché quel quartiere non aveva un'identità. È bastato collegarlo con una rete metropolitana e dare la possibilità di arrivare in soli dodici minuti nel centro abitato, senza fare altre operazioni – quello è uno dei quartieri che abbiamo finanziato col Bando periferie – è bastata quell'opera infrastrutturale per ricucire dal punto di vista sociale. Quella oggi non è più una periferia com'era una volta, solo perché l'abbiamo collegata in 12 minuti. L'autobus, che esiste ancora, il numero 53, ci mette 59 minuti ad arrivare nel centro, tant'è vero che all'azienda di trasporto ho detto: «Chiamatelo “59”, mettiamo il numero della linea uguale al tempo di percorrenza, così i residenti si accorgono di quanto tempo ci mettono».

  DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. Intervengo rispetto a quello che diceva Gandolfi prima: quali regole. Ovviamente conosco bene la regione Lombardia. A seguito della legge n. 56, la regione Lombardia fa il recepimento e fa una legge propria, in cui dice le cose che farà, tra cui rivedere la norma urbanistica regionale per riconoscere alla città metropolitana il ruolo decisionale per quanto riguarda progetti, centri commerciali, dimensioni urbanistiche di scala sovracomunale. Non ha mai fatto la legge. Non so come sia in altre regioni. Sarebbe molto interessante, a fronte di una legge, la n. 56, che dice che, qualora le regioni non intervengono, in pratica può intervenire lo Stato, dare un potere alle città metropolitane.
  Lei parlava di masterplan. Una volta fatta una fotografia, qualcuno deve poter decidere. Se è necessario superare questo ritardo di tre anni su questa legge n. 56 per le città metropolitane...

  ANTONIO DECARO, presidente dell'Anci. Sulla legge n. 56 abbiamo numerosi problemi. Abbiamo detto più volte, come sindaci metropolitani, che quella legge ha bisogno di un tagliando.
  Ha avuto sicuramente un merito straordinario: l'elezione di secondo livello ha tolto tutti i problemi legati alla contrapposizione politica. Le città metropolitane vengono gestite dappertutto. Ci sono sindaci che non hanno la maggioranza, quindi non potrebbero gestirle, invece va bene perché viene gestita come una sorta di consorzio. Ciò ha permesso di lavorare insieme, di co-progettare, di co-pianificare. Ci sono esempi nel bando periferie, ma ci sono esempi positivi anche, per esempio, nel patto delle città metropolitane. I comuni hanno ragionato tra di loro.
  Ho potuto scegliere in un comune vicino l'opera da realizzare, che non doveva avere una valenza solo per quel sindaco, ma doveva avere una valenza anche per noi. La stessa cosa è successa a me. Gli altri sindaci hanno detto: «Ti faccio fare all'interno di un'ex caserma l'Accademia delle belle arti, ma non serve a te per riqualificare un immobile, serve a noi per portare i ragazzi all'interno di uno spazio importante, in un ex caserma». Infatti, oggi fanno lezione in un ufficio al piano terra, con le automobili che parcheggiano davanti mentre loro stanno facendo lezione all'interno dell'accademia. Questo è stato un fatto positivo.
  A parte questo, abbiamo dei problemi enormi. Non stiamo ancora pensando a fare la pianificazione, perché non abbiamo i soldi per fare la manutenzione delle strade e delle scuole, che sono le due funzioni fondamentali di città metropolitane e province. Quando arriveremo a fare la pianificazione strategica territoriale, siamo convinti che quella stessa possibilità che viene data alle città metropolitane vada data anche alle province. Visto che il 4 dicembre si è deciso che le province esistono ancora, quella provincia deve fare un lavoro di area vasta, deve poter pianificare, altrimenti accade quello che è accaduto da noi.
  Sono abituato a fare sempre gli esempi. Nel mio comune si dice «basta ai centri commerciali», ma poi aprono un centro commerciale a Triggiano e uno a Modugno, che sono due comuni attaccati alla città di Bari. Lo fanno sul confine, ma sono due centri commerciali che stanno nella pancia della mia città. In questa maniera saltano i piccoli negozi, i negozi di vicinato, le attività economica più piccole. La legge ci dà la possibilità, solo che le regioni non ci aiutano. Pag. 20 Ci hanno lasciato addirittura le funzioni che prima erano loro e che creano solo problemi e non ci hanno nemmeno indennizzati. Hanno fatto leggi anticostituzionali, in cui scrivono: «La funzione ambiente resta alla provincia o alla città metropolitana», ma non l'hanno indennizzata. Col metodo dell'avvalimento, ci hanno lasciato la funzione, ma non ci hanno dato i soldi. Questo problema si sta risolvendo in questi giorni, perché avete approvato una legge che prevede il taglio del 20 per cento del TPL (trasporto pubblico locale) alle regioni che non trovano l'accordo sulle funzioni con le province e le città metropolitane. Adesso un po’ aspettiamo che si definisca la questione con le regioni, un po’ speriamo di trovare un finanziamento stabile per città metropolitane e province per tenere in piedi le due funzioni fondamentali e chiudere i bilanci. Ci dedicheremo sicuramente a questi temi legati alla pianificazione, che è l'attività più importante che hanno le città metropolitane, quella davvero strategica e più a lungo termine.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente dell'Anci e acquisiamo agli atti la sua relazione.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.05.