XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta su sicurezza e degrado delle città

Resoconto stenografico



Seduta n. 23 di Martedì 3 ottobre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Causin Andrea , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti dell'associazione Retake:
Causin Andrea , Presidente ... 3 
Spitzmiller Rebecca , coordinatrice nazionale dell'associazione Retake ... 3 
Viscusi Elena , componente del direttivo dell'associazione Retake ... 5 
Spitzmiller Rebecca , coordinatrice nazionale dell'associazione Retake ... 9 
Morassut Roberto (PD)  ... 9 
Viscusi Elena , componente del direttivo dell'associazione Retake ... 9 
Morassut Roberto (PD)  ... 9 
Spitzmiller Rebecca , coordinatrice nazionale dell'associazione Retake ... 9 
Morassut Roberto (PD)  ... 10 
Viscusi Elena , componente del direttivo dell'associazione Retake ... 10 
Morassut Roberto (PD)  ... 11 
Piso Vincenzo (Misto-UDC-IDEA)  ... 11 
Spitzmiller Rebecca , coordinatrice nazionale dell'associazione Retake ... 11 
Piso Vincenzo (Misto-UDC-IDEA)  ... 11 
Viscusi Elena , componente del direttivo dell'associazione Retake ... 12 
Causin Andrea , Presidente ... 12 

Audizione del dottor Bruno Pulcinelli, presidente A.NA.CI.PE:
Causin Andrea , Presidente ... 13 
Pulcinelli Bruno , presidente A.NA.- CI.PE ... 13 
Piso Vincenzo (Misto-UDC-IDEA)  ... 13 
Pulcinelli Bruno , presidente A.NA.- CI.PE ... 13 
Piso Vincenzo (Misto-UDC-IDEA)  ... 14 
De Maria Andrea (PD)  ... 14 
Pulcinelli Bruno , presidente A.NA.- CI.PE ... 14 
De Carolis Andrea , A.NA.CI.PE ... 15 
Morassut Roberto (PD)  ... 16 
Pulcinelli Bruno , presidente A.NA.- CI.PE ... 17 
Piso Vincenzo (Misto-UDC-IDEA)  ... 17 
Pulcinelli Bruno , presidente A.NA.- CI.PE ... 17 
Morassut Roberto (PD)  ... 17 
De Maria Andrea (PD)  ... 17 
Pulcinelli Bruno , presidente A.NA.- CI.PE ... 17 
De Maria Andrea (PD)  ... 18 
Pulcinelli Bruno , presidente A.NA.- CI.PE ... 18 
De Maria Andrea (PD)  ... 18 
Pulcinelli Bruno , presidente A.NA.- CI.PE ... 18 
De Maria Andrea (PD)  ... 18 
Causin Andrea , Presidente ... 18 
Pulcinelli Bruno , presidente A.NA.- CI.PE ... 18 
Causin Andrea , Presidente ... 18 

Audizione di rappresentanti del Coordinamento periferie di Roma:
Causin Andrea , Presidente ... 18 
Galeota Pino , Coordinamento periferie di Roma ... 18 
De Crescenzo Eugenio , Coordinamento periferie di Roma ... 19 
Geusa Maurizio , Coordinamento periferie di Roma ... 21 
Danese Francesca , Coordinamento periferie di Roma ... 21 
Morassut Roberto (PD)  ... 23 
Galeota Pino , Coordinamento periferie di Roma ... 23 
Morassut Roberto (PD)  ... 23 
Piso Vincenzo (Misto-UDC-IDEA)  ... 24 
De Maria Andrea (PD)  ... 25 
Danese Francesca , Coordinamento periferie di Roma ... 25 
Galeota Pino , Coordinamento periferie di Roma ... 25 
Causin Andrea , Presidente ... 27 
Galeota Pino , Coordinamento periferie di Roma ... 27 
Causin Andrea , Presidente ... 27 

Comunicazioni del Presidente:
Causin Andrea , Presidente ... 27

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ANDREA CAUSIN

  La seduta comincia alle 10.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, in seguito, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti
dell'associazione Retake.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti dell'associazione Retake, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Sono presenti per l'associazione la coordinatrice nazionale, Rebecca Spitzmiller, il componente del direttivo, Elena Viscusi, e il segretario generale, Simona Frassone, che ringrazio per aver accordato una così numerosa presenza.
  Do la parola alla dottoressa Rebecca Spitzmiller, con riserva per me e per i colleghi, il collega Morassut in questo caso, vicepresidente della Commissione, di rivolgerle, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento.

  REBECCA SPITZMILLER, coordinatrice nazionale dell'associazione Retake. È veramente un onore essere qui, essere coinvolti nei lavori di questa Commissione. È significativo anche per due motivi. Il primo è che siamo impegnati sulla strada. Questo nostro impegno, quotidiano ormai, ci aiuta a sentirci parte della città. Riqualifichiamo dei nostri spazi nostri urbani e ricostruiamo il nostro senso civico, un vero senso di comunità intorno ai beni pubblici. Questo incontro costituisce per noi un'opportunità preziosa per ottenere la necessaria complementarità tra le nostre iniziative e quella della pubblica amministrazione. La nostra attività, infatti, si basa sul principio della sussidiarietà, e segue l'articolo 118 della Costituzione italiana.
  Il secondo motivo è rilevante perché per noi è ovvio, anzi è simbiotico, il rapporto tra il degrado della città e le condizioni di sicurezza. Per questo motivo il nostro intervento consisterà in tre parti: una presentazione di che cos'è Retake; poi passeremo al nesso tra sicurezza e degrado; infine, faremo approfondimenti in settori vari, segnalando possibili aree di intervento sia normativa che non, sperando che possa essere interessante anche per voi condividere con questa Commissione.
  L'approccio nazionale sarà quello che utilizziamo, anche se daremo – ci perdonerete – qualche particolare attenzione alla città di Roma. È proprio qui che nasce a Retake Roma. Siamo orgogliosi di aver potuto portare avanti quello che si è costituito ormai in un modello nazionale della cittadinanza, specialmente avendolo fatto in questi anni particolarmente complessi e forse difficile per l'immagine della nostra città a livello internazionale.
  Passiamo subito a che cos'è Retake. Nasce nel 2009 in seno alla comunità statunitense a Roma come iniziativa spontanea di cittadini, che infatti si attivarono per pulire l'ingresso di un'abitazione sfregiata da scritte vandaliche. Queste scritte sono sparite e nasce così Retake, cresciuta a Roma, ma manteniamo questo nome bilingue per due motivi: per fare omaggio alle Pag. 4sue origini; per sottolineare un modello ispiratore del movimento Retake e Keep America Beautiful, che è una rete di associazioni americana che da oltre sessant'anni coinvolge i cittadini americani nel prendersi cura degli spazi pubblici e impiega, come Retake, un mix di iniziative civiche, partnership pubblico- private e progetti educativi. Ormai Retake è cresciuta a macchia d'olio grazie al passaparola, ai social network e all'attenzione della stampa. È una rete di Onlus composte oggi di oltre 80 gruppi di quartiere solo a Roma e in 25 città italiane gemellate in tutta Italia – abbiamo la lista, se vi interessa – con nuove chiamate quasi ogni giorno da persone che vogliono partecipare. Sono 25 città in tutta Italia e tre nascenti, e ogni giorno arrivano richieste. Come coordinatrice, sono molto indaffarata. Ogni settimana solo a Roma ci sono in media quindici eventi di riqualificazione e mobilitazione civica, tutti autorganizzati dai cittadini tramite Facebook. Scendiamo in piazza per combattere fenomeni di degrado urbano, come mura vandalizzate, affissioni abusive e rifiuti abbandonati. Nella città e in tutta la penisola, da Milano a Palermo, da Bari a Napoli, Retake mira allo stesso obiettivo: restituire la bellezza al Bel Paese. Non so se alla nostra controparte americana piacerebbe lo slogan «Keep Italy Beautiful», ma credo di sì.
  L'obiettivo di Retake è fortemente pratico da un lato, ma dall'altro è ben più alto: coinvolgere tutte le fasce della cittadinanza e gli attori di una città, dalle scuole alle imprese, dai nostri pensionati ai nostri rifugiati, nella cura dei beni pubblici, nel diffondere il senso civico, nel promuovere la responsabilità di ciascun cittadino di difendere la dignità e la bellezza dello spazio dove vive. Retake ci tiene molto alla costruzione di un rapporto franco e proficuo con la pubblica amministrazione, ma non ha la minima pretesa di sostituirsi ai compiti di chi ci amministra. Vorremmo, invece, richiamare le istituzioni alle proprie responsabilità. I Retake vogliono essere la migliore opportunità o il peggior incubo per ogni amministrazione: la migliore opportunità, perché nessuna amministrazione può essere efficace senza la collaborazione dei cittadini; il peggior incubo, perché rifiutiamo la logica che i problemi sono altri, che ignora i corollari negativi del vandalismo urbano.
  Passiamo all'incidenza del degrado urbano sulla sicurezza. Per spiegare questo punto, forse potremmo rivolgerci alla teoria sociologica nata negli anni Ottanta, la finestra rotta di James Wilson e George Kelling, applicata a New York poi negli anni Novanta per la riqualificazione della metropolitana, ma preferiamo raccontarvi le storie delle nostre strade e delle città italiane, delle nostre finestre rotte. Retake vuole far crescere le prassi di contrasto al degrado, fino a farlo diventare metodo di buona amministrazione della comunità cittadina. Questo germe, che ha contagiato noi, deve contagiare tutti. La cura e la manutenzione costante degli spazi e dei beni pubblici rappresentano un vantaggio per l'intera collettività, specialmente le fasce socialmente ed economicamente più deboli, perché Retake fa bene, fa bene a tutti. Ci tiene ai valori importanti: orgoglio, passione, condivisione, partecipazione. La cura degli spazi pubblici contribuisce alla costruzione di un senso comune di appartenenza a una comunità sentita da tutti come propria e alla prevenzione dei fenomeni di esclusione sociale e della radicalizzazione politica. Retake riempie il vuoto con valori, ma non dovete credere a me. Lo dice anche il Capo della Polizia Franco Gabrielli, sottolineando l'incidenza sulla percezione di sicurezza e le modalità in cui i cittadini vivono il territorio. Mi permetto di leggere testualmente le sue parole. «In natura il vuoto non esiste. I cittadini che si ritraggono dal territorio, lasciano ampi spazi a tutto quello che in qualche modo può incidere pesantemente sulla percezione di sicurezza, come il degrado, le occupazioni abusive». Il prefetto Gabrielli ha sottolineato l'importanza di un'iniziativa apparentemente banale, come gli orti urbani, che invece hanno la funzione di permettere una riappropriazione anche fisica del territorio, eliminando spazi per forme di illegalità. Queste parole di Gabrielli colpiscono Retake, perché vengono subito in mente almeno Pag. 5 due istanze. Una è quella di piazza Conca d'Oro, linea metro B, stazione che Retake ha riqualificato ben ventotto volte, e ben ventotto volte tre, quattro, cinque vandali hanno voluto rivandalizzare e rovinare il nostro lavoro. C'è stata anche la partecipazione delle municipalizzate, quindi con dispendio di risorse pubbliche. Non so se avete visto piazza Conca d'Oro. Quale conseguenza può aver tratto secondo voi la cittadinanza rispetto al controllo sul territorio? Avete visto recentissimamente che è stato imbrattato il Monumento delle vittime dell'esplosione a via Ventotene? Nel 2001, morirono otto persone, tra cui quattro vigili del fuoco. Il monumento è stato imbrattato, e ripulito grazie ai nostri volontari e a Retake. Siamo d'accordo con il prefetto Gabrielli che auspica che ci sia un punto di svolta nella repressione dei fenomeni di vandalismo urbano da parte della polizia, ma facciamo un passo ulteriore. A nostro parere, il degrado urbano non ha ricadute negative soltanto sulla percezione, ma costituisce in sé un elemento di insicurezza e un terreno fertile all'azione criminale, che lo favorisce.
  Se il presidente è d'accordo, darei la parola alla collega di Retake, dottoressa Elena Viscusi.

  ELENA VISCUSI, componente del direttivo dell'associazione Retake. Proseguo il nostro intervento con due piccoli quadri su quelli che sono secondo noi il legame tra lo sviluppo economico e il degrado urbano e il rapporto tra lo sviluppo urbanistico di una città e la lotta al degrado.
  Quello che la nostra esperienza su strada ci ha insegnato è che il degrado visibile, facilmente percepibile da ogni cittadino, è spesso il punto di caduta di fenomeni economici distorti, quando non addirittura del tutto illegali. Pensiamo, ad esempio, alla gestione scorretta del riciclo dei rifiuti, che porta alla presenza, e quindi alla possibilità di rilevare da parte di qualunque cittadino, di discariche abusive nelle aree verdi, lungo le grandi arterie, in tutti gli interstizi della città poco controllati, di insediamenti abusivi. Anziché generarsi impatti economici e occupazionali positivi, come avviene dove la gestione del ciclo dei rifiuti è fatta secondo i princìpi di modernità, si generano diseconomie enormi, che hanno costi in termini sia di risorse economiche sia, ad esempio, di salute e di benessere delle persone. Analoghi discorsi possono essere proposti in altri campi, come quello del commercio ambulante. In alcuni casi, veramente non si presenta soluzione di continuità tra le situazioni legali e quelle illegali, arrivando a comprimere anche diritti fondamentali, quali quello dei cittadini di poter camminare sui marciapiedi. In alcune zone delle aree urbane questo comincia a diventare proprio un problema reale di libertà di circolazione.
  Pensiamo, ancora, alle affissioni abusive, che secondo noi sono proprio la spia di un'economia che fatica a crescere perché utilizza metodi di pubblicizzazione che veramente rifiutano l'innovazione anche dovuta alle nuove tecnologie della comunicazione.
  Questi tre esempi servono per dire che, a nostro avviso, bisogna uscire da questa visione miope di tutela di queste realtà, che vengono considerate degne di attenzione, poiché comunque rappresentano anche degli ambiti di produzione economica, e quindi di occupazione. In realtà, secondo noi nel medio periodo queste attività frenano lo sviluppo economico, abbassano proprio la qualità della produzione, e quindi la qualità dell'offerta di beni e dell'offerta di lavoro in un territorio. Frenano lo sviluppo. Per questo motivo abbiamo molto apprezzato il lancio del tavolo di lavoro proposto dal Ministero dello sviluppo economico Calenda, che ha auspicato una collaborazione tra la regione e la sindaca di Roma e le parti sociali, proprio perché riteniamo che il rilancio della città di Roma sia una questione nazionale, quindi abbia bisogno di una regia unica che metta insieme i piani industriali esistenti, sia quello della regione Lazio sia quello siglato dal comune con il nome di Fabrica di Roma. Pensiamo, cioè, che sia necessario coagulare tutti i capitali disponibili per Roma capitale, quindi i capitali sociali, economici, culturali e civili. Tra l'altro, auspichiamo che questo tavolo possa in futuro essere anche allargato alla partecipazione della Pag. 6società civile. Certamente, come associazione siamo pronti a contribuire con le nostre idee.
  Il secondo punto che vorrei portare all'attenzione per descrivere il quadro generale, in cui poi si inserisce la vita di tutti i cittadini nelle aree urbane, è quello del rapporto tra lotta al degrado e progettazione urbanistica. Riteniamo che ci sia un collegamento molto stretto e che, anche in un'epoca di crisi della finanza pubblica, si possa portare il decoro urbano, la manutenzione costante e la cura dell'ambiente urbano dentro le pratiche di riqualificazione urbana, rendendoli in un certo senso un valore di scambio all'interno dei partenariati pubblico-privati, che sono quelli su cui si possono basare le riqualificazioni urbane principali. Anche in questo caso, riteniamo che si debba sviluppare una sorta di sussidiarietà urbanistica, e quindi di promozione dei partenariati pubblico-privati. Per quanto riguarda la tutela ambientale delle città e delle aree urbane, sicuramente una linea di sviluppo dell'urbanistica dovrebbe essere quella di preservare le aree verdi e le aree agricole che si trovano appena al di fuori dei quadranti urbanizzati, quindi di privilegiare uno sviluppo verticale che porti al riempimento dei vuoti del tessuto urbano. Uno sviluppo disordinato in senso esclusivamente orizzontale crea molti sfilacciamenti proprio fisici, molte discontinuità nello sviluppo cittadino, dove il degrado si sviluppa molto facilmente sia perché ci sono tantissimi non luoghi, sia perché ci sono quartieri che non hanno delle vere e proprie funzioni sociali, sono per lo più quartieri dormitorio. Anche in questo caso, non essendo luoghi di vita reali, accolgono con più facilità le situazioni di degrado, quindi rendono più difficile l'immedesimazione delle persone con il loro territorio.
  L'ultimo punto, per quanto riguarda la parte urbanistica, è proprio quello forse di rivedere i meccanismi legislativi di partecipazione attiva della società civile, quindi di superare il mero livello del confronto con i comitati di quartiere o le piccole associazioni territoriali, ma prevedere dispositivi di consultazione anche normati legislativamente, che però possano essere molto più ampi e accogliere le osservazioni di tutti gli attori coinvolti, che hanno un'influenza sullo sviluppo cittadino.
  Questo il quadro in cui si inserisce la nostra azione e in cui, quindi, si possono inserire anche alcuni suggerimenti operativi che abbiamo elaborato e che derivano proprio dalla nostra esperienza.
  Per quanto riguarda, in particolar modo, la sicurezza urbana, abbiamo molto apprezzato la visione contenuta nel cosiddetto decreto Minniti e poi nella legge di conversione, perché si identifica proprio la sicurezza urbana come un bene comune composto non soltanto da aspetti di ordine pubblico, ma da tantissimi altri aspetti, come la riduzione della marginalità, le riqualificazioni urbanistiche, il recupero delle aree e dei siti degradati, che in realtà afferisce più al concetto di benessere delle persone. Possiamo dire che siamo molto soddisfatti del fatto che sia stato riconosciuta pienamente la multifattorialità delle cause del degrado. Non riteniamo siano necessari ulteriori interventi normativi. Chiediamo però che questa visione venga applicata a livello operativo, ad esempio che, laddove tralasciati, si riattivino i patti urbani di sicurezza locale, che rendono possibile una collaborazione proficua tra le forze di polizia (quelle locali, la Polizia di Stato e i Carabinieri) e i servizi sociali; che questi stessi patti siano messi in condizione di lavorare attraverso strumenti che sfruttino anche le tecnologie della comunicazione; che possano, attraverso queste tecnologie, anche attivare un collegamento stretto con i cittadini, quindi favorire la partecipazione dei cittadini anche nella gestione della sicurezza.
  Per fare un esempio, cito la piattaforma digitale «Io segnalo», del comune di Roma, che ha dato luogo a una rete locale formata da cittadini, identificati attraverso un processo detto di identificazione forte (strong identification), che possono segnalare on line illeciti e reati di cui vengono a conoscenza. Queste piattaforme hanno costi estremamente contenuti, possono essere situate nei server delle amministrazioni già esistenti anche come gemmazione di precedenti Pag. 7 banche-dati, quindi costituiscono uno strumento facilmente attuabile.
  Ci interessa, ugualmente, rafforzare la collaborazione della cittadinanza e delle associazioni civiche, di cui i sindaci possono avvalersi, in virtù della legge n. 94 del 2009, attraverso un'intesa con il prefetto. Auspichiamo che vengano identificati presso i commissariati o le stazioni dei Carabinieri punti di riferimento precisi a cui i cittadini accreditati, formati preventivamente, possano rivolgersi per segnalare singole situazioni, tra l'altro in questo modo alleggerendo il numero unico dell'emergenza, che come sappiamo soffre di superlavoro in questo periodo.
  Discorso analogo vale per la cura e la manutenzione delle aree verdi, un settore sentitissimo. Ne abbiamo proprio il polso concreto, perché dalla generalità della popolazione viene considerato un fattore essenziale di benessere psicofisico per gli anziani, per i bambini, per i giovani. È quindi proprio uno degli ambiti in cui le persone si impegnano maggiormente, senza contare che in moltissime città italiane, sia nei centri storici sia nelle periferie, sono presenti aree verdi di altissimo valore culturale e archeologico, fattori che potrebbero a loro volta costituire volani di sviluppo economico.
  Il recente codice del Terzo settore ha confermato l'obbligo delle associazioni di volontariato di assicurare i volontari di cui si avvalgono contro gli infortuni, le malattie e la responsabilità verso terzi. Ovviamente, questa è una tutela necessaria e lecita. Quello che chiediamo è che si possa espandere la previsione, che già il codice del Terzo settore prevede, di mettere a carico delle amministrazioni locali questi costi assicurativi, non solo laddove sia in atto una convenzione per la fornitura di servizi da parte delle associazioni a costi inferiori a quelli di mercato – al momento, c'è questa limitazione – ma in generale in tutti quei casi in cui i cittadini si rendano disponibili a prendersi cura di spazi pubblici, non necessariamente aree verdi, anche se sono quelle che vanno per la maggiore. L'imposizione di un obbligo, peraltro molto comprensibile, ma non accompagnato da misure di facilitazione all'accesso alla partecipazione spontanea, ha creato e sta creando un elemento di scoraggiamento, che invece è esattamente quello che noi cerchiamo di evitare ogni volta in tutte le nostre azioni.
  Ancora, per quanto riguarda l'aspetto dei costi della manutenzione del verde, quindi i limiti dovuti ai contenimenti dei costi, all'impossibilità di procedere ad assunzioni su vasta scala, riteniamo che siano già presenti, ad esempio a Roma, ma anche a Milano, esperienze molto interessanti di impiego, ovviamente su base volontaria, dei rifugiati e dei richiedenti asilo. Un'esperienza di questo tipo è portata avanti, nello specifico, anche dalla nostra associazione nella zona di Roma nord. Abbiamo visto, al di là degli effetti pratici di avere a disposizione persone che si dedicano insieme a noi a questa manutenzione, che ha un effetto anche di distensione sociale. La possibilità di frequentarsi in un'occasione «protetta», o comunque mediata da un'associazione, sia da parte di queste persone straniere, ma anche da parte degli italiani, accorcia molto le distanze, abbatte pregiudizi, crea una familiarità, una frequentazione che sicuramente depotenzia anche certe tendenze negative, che sono innegabili al momento.
  Abbiamo apprezzato anche l'annuncio fatto dal Ministro Delrio di prevedere nella legge di bilancio 2018 l'estensione della proroga della riqualificazione edilizia anche alle aree verdi o altre superfici pertinenti, come cortili, lastrici e solari di proprietà privata. Pur essendo proprietà private, comunque sono esposte alla vista, e in molti casi anche alla frequentazione pubblica. Anche in questo caso, apprezziamo il fatto che si utilizzi la leva fiscale, anche in condizioni di ristrettezza di risorse umane. Storicamente, si è visto che questo comporta non soltanto, ovviamente, un miglioramento delle proprietà private a cui viene applicata, ma complessivamente dell'ambiente urbano, quindi non solo del decoro inteso in senso prettamente estetico, ma proprio in senso di valorizzazione ambientale. In definitiva, migliora il benessere delle persone. Pag. 8
  Il penultimo aspetto che voglio toccare è quello delle scritte vandaliche.
  Quasi tutte le città sono ricoperte ormai da una seconda pelle, costituita dalle scritte vandaliche, che occupano ogni superficie: muri di edifici, arredi urbani, in moltissimi casi monumenti di grandissimo pregio. A Roma voglio citare soltanto le Mura Aureliane, devastate in più punti. Questi fenomeni avvengono, per la maggior parte dei casi, alla luce del giorno. Sono realizzati da ragazzi anche molto giovani, adolescenti. Sono noti i principali punti di approvvigionamento delle bombolette spray, questi negozi che diventano proprio luoghi di ritrovo e che addirittura organizzano eventi finalizzati alla realizzazione di interventi vandalici. Riteniamo che questo fenomeno sia stato molto sottovalutato, anche in presenza di una legge, la 94 del 2009, che vieta la vendita di bombolette spray ai minori di diciotto anni. Questo divieto è totalmente disatteso in maniera proprio completa. Credo che siano anche pochi quelli che sanno che esiste questo divieto, al di là del fatto che venga trasgredito. Non viene applicato, quindi, e men che meno viene sanzionato, nonostante sia prevista una sanzione nei confronti dei negozianti. Riteniamo che su questo, come nel caso generale della sicurezza, più che richiedere nuovi interventi normativi, che esistono, occorra agire sulle forze di polizia locali e nazionali perché prendano in considerazione questo fenomeno, che comporta un danno di centinaia di milioni di euro all'anno. Ci interessa segnalare l'esperienza di Milano, che invece ha affrontato questo tema in maniera strutturata. È stato creato un reparto apposito della polizia locale, che ha fatto un lavoro di indagine preventiva, censendo tutte le tag, le sigle degli imbrattatori seriali, facendo ricerche sui social, perché si usa esporre i propri «lavori» sui canali social, quindi è abbastanza facile per una forza di polizia risalire all'identità di queste persone; soprattutto, attivando una collaborazione molto stretta con la procura della Repubblica. A nostro avviso, bisogna rinforzare enormemente l'aspetto repressivo, di reale perseguimento di questi reati, affiancandolo a una riconsiderazione valoriale. È chiaro che questi fenomeni sono legati anche a una mancanza di sentimento di senso di appartenenza alla città. Abbiamo avuto esperienze anche come Retake proprio nel trattamento di alcuni adolescenti che erano stati denunciati per questo, e quello che è emerso è questo: non si riconoscono nella città, non riconoscono che la città è loro, è una loro eredità, anche di pregio in molti casi, e quindi si sentono autorizzati ad attaccarla, a non curarla. Un altro aspetto, e concludo, delle scritte vandaliche che bisogna considerare con particolare attenzione è la vandalizzazione dei treni, ferroviari e delle linee metropolitane, considerando in particolar modo che questi imbrattamenti avvengono quando il servizio ha chiuso, cioè quando i treni si trovano nelle stazioni o nei depositi. Questo pone seri interrogativi da un punto di vista del decoro e dell'utilizzabilità dei treni stessi. Nel momento in cui i finestrini vengono totalmente oscurati – sono una utente della metropolitana – è impossibile capire in quale fermata ci si trovi. Chiaramente, c'è però anche il profilo della sicurezza. Questo dimostra che le fermate della metropolitana e i depositi sono accessibili a ragazzi in qualsiasi momento, in qualsiasi modo. Esistono su Internet video realizzati dagli stessi ragazzi che li riprendono a forzare le entrate della metropolitana, in questo caso a Roma, della linea B, entrare nei pozzi, che dovrebbero essere accessibili soltanto alle squadre di lavoro. Si calano, con un'attività pericolosissima, perché assolutamente non in sicurezza, ed entrano nelle fermate quando il servizio è chiuso. Ritengo che questo debba essere portato all'attenzione delle forze di polizia, perché è un fenomeno molto grave, che ritengo sia arrivato a questo livello proprio perché non si è agito quando il fenomeno era ancora allo stato embrionale dell'imbrattamento del muro, della panchina. Si è arrivati all'imbrattamento dei treni, quindi a forzare i depositi dei treni. Questo ci dà l'aggancio per proseguire con l'ultimo punto, che è quello che ci sta moltissimo a cuore, quello dell'educazione e della comunicazione, per il quale però vorrei, se il Presidente concorda, Pag. 9 lasciare la parola alla dottoressa Spitzmiller.

  REBECCA SPITZMILLER, coordinatrice nazionale dell'associazione Retake. Dobbiamo usare, secondo me, un sano dosaggio di repressione di questi atti vandalici. È impossibile sentirsi sicuri in un treno imbrattato. È brutto. Incoraggiare atti buoni di arte, sì; vandalismo, no. La sicurezza è collegata, come ho detto, simbioticamente a questi atti vandalici. È chiaro che anche la presenza di telecamere rappresenta un deterrente molto utile e facile da utilizzare per prevenire e reprimere chi imbratta, chi distrugge per mero sport le stazioni, anche con lo strappo di pezzi della muratura.
  Passando alla nostra origine, dall'inizio abbiamo usato lo slogan, di nuovo in inglese, «speak up» e «clean up». Pulire, sì, dobbiamo cercare di riqualificare, ma far passare questo messaggio. La parte comunicativa e informativa è essenziale. Dall'inizio, siamo andati nelle scuole, in qualsiasi gruppo di aggregazione di persone per far passare il messaggio. Abbiamo consolidata esperienza nelle scuole, con gli scout, i giovani. Pensiamo che per la nuova generazione sia importante sentirsi partecipi nell'idea e nell'azione di difendere i loro diritti, ma anche assolvere ai loro doveri della democrazia, di vivere in una città dignitosa, pulita, bella e sicura. Loro sono prontissimi, amano fare Retake. Come prova ho portato con me questa cartolina che forse conoscete, coi cittadini «Svitati per l'ambiente», organizzati con Boeing, non altro che Boeing – vedete l'aereo – che insegnano ai ragazzi a prendersi cura degli spazi verdi intorno alle loro scuole. Credo che ogni scuola debba per forza obbligare gli studenti a curare i loro spazi, sia dentro l'aula sia fuori, nei giardini, anche a costo di insegnare loro ad amare la loro città. Questo è il risultato finale, ma non solo per i ragazzi, i piccoli. Dobbiamo attivare l'intera popolazione, secondo me, al pieno esercizio dei diritti e dei doveri della cittadinanza. Solo in questo modo potremo raggiungere il tipping point, che la massa critica cambi la cultura. Sì, parliamo di cosa enorme, lo sappiamo. È titanica questa nostra missione, fa paura, ma è anche molto bella. Chiediamo, quindi, una campagna informativa comunicativa che si estenda a tutta la Nazione, come ha fatto Keep America Beautiful, che faccia leva sull'orgoglio civico, una vera informazione sull'ABC primario delle necessità: la responsabilità, la bellezza di adottare comportamenti di buona educazione, che nelle grandi città tendono a perdersi. Come esempio ispiratore torniamo a Keep America Beautiful nata negli Stati Uniti per promuovere il senso civico nell'anno 1953, sessant'anni fa, invitando i cittadini americani a impegnarsi ogni giorno per migliorare i loro spazi pubblici, per renderli più belli, più sani e più sicuri.

  ROBERTO MORASSUT. Ringrazio per quest'esposizione. Spero che ci potrete lasciare anche un documento scritto.

  ELENA VISCUSI, componente del direttivo dell'associazione Retake. Ve lo trasmetteremo sicuramente, una volta che abbiamo apportato alcune integrazioni.

  ROBERTO MORASSUT. È molto importante. Poi naturalmente, la seduta è stenografata, quindi le vostre comunicazioni non andranno comunque perdute. Le esperienze concrete di cui qui avete accennato sono importantissime per il lavoro che stiamo concludendo di redazione della relazione finale, che avrà una parte proprio sul tema della rigenerazione urbana, ma anche sulla sicurezza.
  La vostra esperienza può essere utilizzata nella relazione sotto vari punti di vista. Credo che sia importantissimo. Abbiamo tutti presente, per chi vive nel territorio, quello che fate e l'apporto anche sostitutivo a volte dell'amministrazione che i vostri gruppi, i gruppi di cittadini conducono e svolgono. Non è questo il luogo del dibattito. L'unica cosa mi viene da dire è che è uno degli effetti positivi di un mondo più aperto. È un'esperienza che viene dagli Stati Uniti e che si sta radicando a Roma. Per fortuna, la «globalizzazione» ha anche i suoi effetti positivi sotto certi aspetti.

  REBECCA SPITZMILLER, coordinatrice nazionale dell'associazione Retake. È una Pag. 10delle cose buone che esportiamo. Non sono tutte buone.

  ROBERTO MORASSUT. Naturalmente, come in tutti i Paesi, ci sono cose buone, e che questa consideriamola una cosa estremamente buona.
  La mia domanda è proprio su questo, molto specifica. Molti di questi gruppi, di queste esperienze, pongono a chi ci parla, nel rapporto con il territorio – ne ho incontrati tanti – un tema che non credo sia ancora stato risolto, almeno a livello di comune di Roma, e non so se c'è una traccia di soluzione normativa nazionale: è il tema delle forme di convenzionamento, della regolazione di questi rapporti.
  Fare queste attività intanto ha dei costi, immagino. Sono costi vivi, di attrezzature. Poi c'è un tema di sicurezza per le persone che lo svolgono. Andare a riparare una panchina, utilizzare degli attrezzi, e quindi correre anche dei rischi da un punto di vista proprio di possibili infortuni, o anche svolgere funzioni di sostegno sociale, di sicurezza in rapporto con i cittadini, offrire un servizio, ha un costo ed espone le persone che lo fanno. La domanda è: c'è un lavoro, c'è qualche percorso che si sta sperimentando, è stato sperimentato, con le amministrazioni per dare un'organicità a questi interventi, quindi anche per renderli più espansivi? Un cittadino che magari vuol fare delle cose, se ha una sicurezza, se ha un'assicurazione, ad esempio... L'amministrazione, in questo rapporto sussidiario, che cosa mette? Accoglie soltanto il servizio di tanti cittadini che le risolvono un problema, le puliscono e sistemano un giardino, o le amministrazioni si stanno ponendo il problema di come proteggere questi cittadini che mettono in gioco sé stessi? Questo mi pare un punto abbastanza importante, a volte ostativo. Molte amministrazioni tendono addirittura a impedire questi interventi, perché si chiedono, se qualcuno va in un giardino pubblico, in un'area pubblica, a sistemare una banchina, e si fa male, chi lo ripaghi. Tanti amministratori si pongono questo problema. Questo mi pare un punto decisivo per dare a quest'esperienza non solo un consolidamento, ma anche una possibilità di espansione. Non so se la domanda è pertinente. Su questo ho ragionato.

  ELENA VISCUSI, componente del direttivo dell'associazione Retake. Ho accennato brevemente a quest'aspetto.
  Il codice sul Terzo settore, entrato in vigore quest'estate, regolamenta una parte, chiede l'obbligo di assicurazione per tutte le associazioni di volontariato per i propri volontari e pone a carico delle amministrazioni pubbliche il costo dell'assicurazione soltanto laddove vi sia una convenzione tra l'associazione di volontariato e l'amministrazione, a cui in realtà l'amministrazione ricorre perché l'associazione di volontariato fornisce, in questo caso proprio come un vero fornitore, un servizio, che è dimostrato con le stesse caratteristiche che potrebbe offrire un operatore privato tradizionale, ma a costi inferiori. Questa è una forma di ricorso al reperimento dei servizi previsto dalla legge, ma non è il tipo di volontariato che abbiamo in mente. È un'altra parte del mondo del volontariato. Per quanto, invece, riguarda la partecipazione che voglio chiamare spontaneistica delle persone, mosse non da una necessità di guadagno, ma proprio da una necessità di prendersi cura del proprio ambiente, certamente questo è un nodo. Possiamo ricordare tranquillamente la determina uscita quest'estate del comune di Roma, con cui peraltro è in atto un colloquio molto proficuo per cercare di snellire le procedure, ma che è uscita in un momento in cui la cura del verde a Roma è estremamente carente, presenta proprio problemi di criticità strutturali. È uscita un po’ a freddo, e che cosa ha fatto? In un certo senso, l'impressione che si è avuta è che abbia cercato di tagliare un po’ le gambe alla partecipazione dei volontari, che sono tantissimi e Roma, non solo dei gruppi Retake. Penso che la cura del verde sia l'ambito in cui sono più attivati anche piccoli gruppi che si prendono cura di un'aiuola, di un piccolissimo parco, proprio perché, come ho detto, sono cose molto sentite. Stiamo cercando di trovare sistemi, come prodotti assicurativi sul mercato che facilitino l'accesso di tutti i volontari. L'abbiamo anche trovato come Retake Roma. Il punto, secondo Pag. 11 noi, non è questo, ma quello di sperimentare nuove forme di amministrazione. Come ho detto, è necessario che non solo i cittadini recuperino i valori di cittadinanza attiva, quindi l'esercizio dei diritti e dei doveri. Anche le pubbliche amministrazioni devono avere molto chiaro che il motivo per cui esistono è il servizio alla collettività, non l'autotutela, che capisco da un punto di vista della posizione di un dirigente pubblico, perché hanno tante responsabilità. Tuttavia, l'autotutela non può essere il 90 per cento dell'attività di una pubblica amministrazione, perché questo certifica il fallimento. Deve essere la possibilità di sperimentare forme innovative, che esistono in altri Paesi, e che possono godere anche in Italia del supporto di importanti gruppi di studio. Voglio citare l'esperienza di Labsus, il laboratorio per la sussidiarietà, che ha elaborato un modello di regolamento dei rapporti tra i comuni, i municipi, e le associazioni di volontariato, modello che è stato già adattato, e quindi adottato in altre città italiane, per il quale è in uno stato piuttosto avanzato un lavoro di adattamento al comune di Roma partito alcuni anni fa, ma che non ha poi visto la luce per interruzione della precedente giunta comunale: un punto di partenza già molto avanzato, che auspichiamo venga ripreso, perché consente veramente l'innesto di elementi innovativi. L'amministrazione deve essere innovativa. L'innovazione non è solo nella scienza, nella tecnica, nei veicoli, nelle macchine. L'innovazione deve permeare anche la pubblica amministrazione proprio nelle sue prassi amministrative, altrimenti non se ne esce. Questa è la nostra posizione.
  Spero di aver risposto alla sua domanda.

  ROBERTO MORASSUT. Vorrei chiedervi, nel vostro contributo scritto, di accendere magari un punto. Nella relazione avremo anche una parte che tratterà le ricadute normative di alcune criticità che possiamo aver riscontrato, e quindi potremo offrire al Parlamento una griglia di terreni anche normativi sui quali lavorare. Questo mi pare particolarmente interessante.

  VINCENZO PISO. Vi ringrazio per la vostra, relazione, che è stata molto interessante. Peraltro, la domanda che volevo fare era essenzialmente uguale a quella del collega Morassut.
  Sarebbe interessante capire bene come questi rapporti possano essere regolati non provocando poi quello a cui ha fatto cenno poc'anzi lei, ovvero questi atteggiamenti di difesa da parte della pubblica amministrazione. Oggettivamente, oggi lavorare nella pubblica amministrazione per alcuni aspetti è complesso, è difficile. Firmare non è una cosa che si fa a cuor leggero. Non voglio difendere la burocrazia – anch'io sono nel pubblico impiego – ma indubbiamente è una situazione difficile. A me interesserebbero, a complemento di quello che ha chiesto il collega Morassut, informazioni su questa forma di collaborazione con cittadini stranieri, extracomunitari se ho capito bene.

  REBECCA SPITZMILLER, coordinatrice nazionale dell'associazione Retake. Richiedenti asilo.

  VINCENZO PISO. Perfetto. È un discorso che mi interessa. È chiaro che quella che state cercando di fare è una battaglia essenzialmente di carattere culturale, che richiede un approccio assolutamente innovativo, complesso. Avete parlato di identità, di orgoglio. Oggettivamente, questi sono valori che un po’ si sono sfarinati all'interno della nostra società. Facevate riferimento a questi ragazzi – io parlo di Roma – che non si sentono neanche più tanto romani, ma appartenenti a quel quartiere o a un altro nella migliore delle ipotesi. Questo una qualche difficoltà la crea. Inoltre, anche in relazione a questo discorso del vandalismo, certo, se si vive in un mondo nel quale ogni scarabocchio diventa forma d'arte, è chiaro ed evidente che qualcosa si perde. Credo che anche lì bisognerebbe cercare di distinguere quello che può essere il bel murales dallo scarabocchio fatto sul muro che diventa forma d'arte da tutelare. Operare in questi ambiti è estremamente difficile, perché si va, secondo me, in controtendenza rispetto a un approccio completamente diverso. Al di là di queste considerazioni, assolutamente personali, Pag. 12 mi interesserebbe comprendere come vi state muovendo sul tema che vi ho poc'anzi accennato.

  ELENA VISCUSI, componente del direttivo dell'associazione Retake. Abbiamo realizzato, non io in prima persona, ma la responsabile di un gruppo della zona Aurelio, un progetto che è in partenza, ha già realizzato numerosi incontri. Nel territorio del quartiere esiste un centro di accoglienza per i richiedenti asilo, che, come sa, sono quasi sempre uomini giovani che non possono lavorare per legge e che rimangono ospiti di questi centri per un tempo abbastanza indeterminato. Questo è tutto un altro aspetto. Anche le procedure burocratiche legate alla richiesta di asilo sono molto lente. Anche quelle avrebbero bisogno di una bella rimodernizzazione, che tenga anche conto dell'entità di questi flussi.
  Comunque, tramite un contatto tra la cooperativa che gestisce il centro e il nostro gruppo Retake, si è pensato di coinvolgere queste persone nei nostri interventi, perché le strutture che le ospitano devono non solo fornire vitto e alloggio, ma anche occupare il loro tempo. È un aspetto che spesso non viene alla luce nel dibattito pubblico, che si estremizza anche, ma pensiamo a cosa vuol dire avere 20-25 anni, trovarsi in un Paese straniero completamente diverso, non capire la lingua e non avere niente da fare materialmente dalla mattina alla sera. Questa è una cosa che colpisce enormemente l'equilibrio psicofisico di queste persone, e quindi è potenzialmente anche un fattore di rischio da non sottovalutare. Oltretutto, queste sono, giustamente, persone libere, quindi devono essere inserite in qualche modo in un tessuto sociale. È chiaro che si tratta di un percorso lungo. Abbiamo voluto citare questo esperimento, perché recentemente ci è stato proprio chiesto da una rete locale dell'Aurelio, che si chiama «Aurelio in Comune», di parlare di questa esperienza, che adesso si consoliderà proprio attraverso una convenzione tra il gruppo Retake e la cooperativa che gestisce il centro, che permetterà un calendario più fitto di interventi. A questo punto, possiamo dire che il limite sarà il nostro. Essendo volontari, non saremo su strada tutti i giorni per otto ore, perché non è possibile, ma questo fa capire la potenzialità di questa misura. Ci è stato chiesto di parlarne – lo dico, anche se non dovrei – perché la nostra è stata definita la migliore esperienza realizzata negli ultimi anni in quel quartiere su questo tema. Ci è stato detto che siamo meglio della parrocchia e della Comunità di Sant'Egidio. Perché? Le persone partecipano a questi interventi, che sono anche molto umili – si tratta di spazzare strade, tagliare rami – ma in una condizione di parità rispetto a noi. Fanno esattamente quello che facciamo noi. Per loro, è importante avere un contatto con le persone ed è importante anche per le persone avvicinarsi. Abbiamo avuto un'esperienza simile, anche se diversa, partecipando a un percorso formativo molto complesso messo in piedi dal Vicariato di Roma, che invece aveva a oggetto sette ragazzi di etnia rom. Abbiamo partecipato a latere con un intervento a settimana, una mattina a settimana, portando sempre questi ragazzi su strada a lavorare per pulire arredi urbani. Il loro percorso formativo andava in questo senso. Devo dire che ho rilevato che il valore principale è l'avvicinamento tra gruppi che si guardano troppo spesso da lontano sebbene vivano nella stessa città. Ho visto anche persone di Retake, sempre molto critiche e molto lontane da un'idea di accoglienza di certi gruppi etnici, riconoscere il fatto che questi ragazzi erano seri, hanno lavorato con costanza, con serietà. Secondo noi, tutte le attività che consentono la coesistenza pacifica sono esse stesse una forma di lotta al degrado. Avvicinando le persone, le differenze ci sono senz'altro, ma possono essere gestite senza ricorrere a qualunquismi o populismi. Questo migliora sicuramente il benessere di tutti nelle città. Vi lasciamo una copia parziale della relazione che poi sarà integrata.

  PRESIDENTE. Le acquisiremo volentieri e saranno fondamentali per la parte della redazione del rapporto finale. Grazie mille e buon lavoro.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Pag. 13

Audizione del dottor Bruno Pulcinelli,
presidente A.NA.CI.PE.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Bruno Pulcinelli, presidente A.NA.CI.PE., che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Sono inoltre presenti Andrea De Carolis e Daniela Ferdinandi, che ringrazio per la loro presenza.
  Do la parola alla dottor Pulcinelli, presidente A.NA.CI.PE., con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento.

  BRUNO PULCINELLI, presidente A.NA.- CI.PE. Siamo felici di avere avuto questa opportunità, perché portare in questa sede i temi della periferia di Roma, che è meglio oramai chiamarla un dramma, ci fa piacere perché è un elemento di denuncia in più rispetto a tutte quelle che stiamo facendo giorno per giorno. Oltre che per il ringraziamento, sono qui anche a chiedervi un'audizione di circa 70 associazioni della periferia di Roma in periferia. Questo sarebbe un grande momento per la periferia di Roma e anche per le periferie dell'hinterland, dove i temi sono più o meno gli stessi abbiamo scelto quattro o cinque cose – è quella per la grave situazione igienico-sanitaria che si sta verificando da un po’ di tempo a questa parte per le strade, per i siti. In qualsiasi punto della città ci sono immondizia e topi. Questo è insostenibile. Sto a Roma da cinquant'anni, e non è mai capitata una cosa così grave. Denunciamo, si chiama l'Ama, si chiama tutti, ma non succede di solito quasi mai niente. Siamo preoccupati, perché la periferia della città è ricca di siti archeologici straordinari, Ostia, l'antica città di Gabii, la via Prenestina, la via Francigena. Ci teniamo alla tutela, al recupero e alla valorizzazione del bene ambientale e archeologico della nostra periferia, perché la vita si cambia anche stando in un posto bello, in un posto accogliente.

  VINCENZO PISO. Mi scusi, sta parlando delle periferie in generale, ma dove siete residenti?

  BRUNO PULCINELLI, presidente A.NA.- CI.PE. Sono residente a Prenestina, Castelverde, ma la nostra associazione è un coordinamento di associazioni. Abbiamo fatto l'ultima iniziativa ad Artena, con trenta sindaci della provincia. Abbiamo fatto iniziative a Gela, negli anni. I capelli lo dimostrano, qualche capello bianco c'è, qualche iniziativa l'abbiamo assunta anche da qualche altra parte. Ci teniamo tanto alla tutela e al recupero della valorizzazione dei beni ambientali e archeologici. Come dicevo, questa periferia è ricca di queste cose.
  C'è anche un altro grave problema. L'Agro romano è un bene ambientale irripetibile. Dobbiamo salvaguardarlo. Ancora l'abusivismo imperversa e nessuno ci mette mano. Questa periferia è abbandonava anche sotto il profilo urbanistico e della tutela e del controllo del territorio.
  Poi c'è un problema di sicurezza. Questo è un altro elemento importante che vogliamo mettere al centro del nostro ragionamento. Non si può più andare in un parco, su un sito, perché sono abbandonati, pieni di sterpaglie, pieni di animali. Non c'è più un parco in periferia, quei pochi che ci sono, in cui si possa andare con la famiglia, con i bambini. Non si può passare un'ora in un parco. Siamo abbandonati completamente. E non siamo abbandonati solo sotto il profilo della manutenzione, ma anche dalla non presenza di forze dell'ordine. In periferia non c'è un carabiniere, non c'è un poliziotto. Abbiamo anche mandato documenti in cui chiediamo una dislocazione di strutture in periferia con la presenza delle forze dell'ordine. Vi abbiamo mandato una nota, che giudico, rispetto al dramma, la più simpatica: si tratta della manutenzione dei corsi fluviali e del recupero dei bacini idrici. Ogni tanto, chi sta nelle associazioni è anche un po’ sognatore – se non si sogna un po’, sarebbe la fine del mondo – e, tra i nostri progetti, abbiamo sognato anche di ripristinare l'antico Lacus Gabinus. È un'estensione d'acqua di circa 40 ettari, bonificata a metà del secolo scorso, qualcuno dice per la malaria, mentre diciamo che i proprietari avevano paura che con l'Unità d'Italia diventasse demaniale e l'hanno chiuso. Lì ci sono le sorgenti. L'acqua di Pag. 14quelle sorgenti, attraverso una serie di canali, va in un fosso. Credo che a Roma avere una riserva idrica di 40-50 ettari, dove a 10 metri passa l'acquedotto dell'Acqua Marcia, non sia proprio un sogno di una notte d'estate quando uno non pensa a niente. All'Acea abbiamo mandato questa idea, questo progetto, e tanti anni fa il presidente Vento disse che era una cosa possibile. Credo che oggi, rispetto a dieci anni fa, sia ancora più interessante, più importante, più urgente, visto che cosa succede d'estate ormai con queste crisi di siccità.
  Vengo alle ultime due questioni, così siamo brevi e concisi.
  Il comune di Roma, se non sbaglio nel 1996-1997, ha fatto una variante, la famosa variante delle certezze, che ha stabilito una serie di perimetri da recuperare, che oggi si chiamano toponimi. Le associazioni della periferia hanno fatto un lavoro straordinario, irripetibile. Credo non si possa annoverare in nessuna parte di questo pianeta qualcosa del genere. Una volta individuati i perimetri da recuperare, si sono fatte decine e decine di assemblee con i cittadini, gli architetti, i professionisti, per disegnare il proprio quartiere, decidere insieme dove va la chiesa, dove va la scuola, dove va l'asilo nido, dove va il parco. È stata una cosa straordinaria. Che la giunta tenga ferme queste cose è insopportabile. Bisogna avere il coraggio di affrontare questo tema e portarlo a termine. Parlo del comune di Roma e della regione Lazio, che qualche volta ha anche lei qualche difettuccio. Questa è la storia dei toponimi e la finisco qui, perché potrei raccontare tante storie incredibili della progettazione di queste cose, decine di professionisti, cittadini, mamme. È stata un'esperienza stupenda. Che questa storia urbanistica originale venga...

  VINCENZO PISO. Veniamo tutti e due dal consiglio comunale di Roma, per cui è una storia che conosciamo abbastanza bene.

  ANDREA DE MARIA. Io vengo da Bologna.

  BRUNO PULCINELLI, presidente A.NA.- CI.PE. Viene da Bologna. Ha capito il senso delle cose che stiamo dicendo. Non credo ci sia un luogo in cui l'urbanistica si fa in assemblee pubbliche e la gente insieme decide come vorrà il quartiere del futuro. Oggi, ci sono i piani preordinati, col computer, tutto è fatto e finito. Tante volte escono fuori scemenze a non finire.
  L'altra questione, e ho finito, è quella delle opere a scomputo. Le opere a scomputo sono un'operazione pure questa straordinaria. Costituiamo a Roma intorno ai 120 consorzi, ogni quartiere, rispettando la delibera, apriva un conto vincolato in banca a favore del comune, raccoglieva i soldi, presentava un'ipotesi progettuale, il comune l'approvava, si faceva il lavoro, il SAL si pagava con la firma del comune e del consorzio. Nei primi 10-15 anni era un lavoro straordinario. Per chi non lo sa, a Roma si sono fatte 320 opere pubbliche. Se avesse dovuto farle il comune di Roma, neanche se si fosse ubriacato il sindaco dalla mattina alla sera, le avrebbe mai fatte. Anche qui c'è stata la partecipazione della gente. All'interno del consorzio insieme all'amministrazione pubblica si decideva insieme, si votava con tre assemblee pubbliche, quali opere si dovevano e si potevano realizzare.
  Il primo consorzio parte dal mio quartiere. All'epoca – sempre i soliti sogni, presidente – raccogliamo un miliardo, sennò il comune ci avrebbe guardato male. Il comune avrebbe potuto obiettare: fate un consorzio e poi non riuscite neanche a fare una fontanella. Allora, mettiamo un miliardo – sono stato in consiglio comunale – perché dava un po’ più di attenzione. Voglio raccontare a questa Commissione che abbiamo raccolto 35 miliardi delle vecchie lire. A fronte di un miliardo, che già era un sogno quello, abbiamo raccolto 35 miliardi delle vecchie lire. Abbiamo fatto asili nido, scuole, strade, centri sportivi, cose inenarrabili. Con gli anni quest'operazione si è un po’ opacizzata. Un signore che si chiamava Barca – credo sia stato un deputato – ha fatto un'analisi, una storia di questi consorzi e qualche volta ha messo il dito nella piaga. A questi consorzi occorre che la delibera ferma in consiglio comunale da un anno e mezzo venga approvata, ma restituendo Pag. 15 il progetto originale, la filosofia originale per cui sono nati questi consorzi. Il presidente è quello che raccoglie, organizza le assemblee, dà gli input, parla con la gente, fa le cose che deve fare un presidente di un consorzio, un padre di famiglia che sta lì rubando tempo al lavoro e alla propria famiglia. È un volontario. Un presidente non può essere la sede appaltante, sennò mandiamo in galera lui con tutti i vicini. Immaginate uno che in periferia ieri era presidente del comitato di quartiere e domani diventa stazione appaltante, una pazzia. Occorre che in questa delibera, di cui mi auguro il comune si stia occupando – la conosco per grandi linee, ma non bene – si torni ad avere i consorzi originari, dove le stazioni appaltanti siano altri siti, e soprattutto non si faccia la furbata, cari commissari, che alla fine della stazione appaltante il contratto lo firma il presidente del consorzio. Quello che vogliamo far uscire dalla porta ritornerebbe dalla finestra come grande responsabilità. Questo è quanto. Credo di avervi raccontato in questi dieci minuti un po’ che cosa succede in periferia, di che cosa le periferie hanno bisogno. Se vogliamo cambiare la loro vita, questa Commissione può forse denunciare insieme a noi, programmare, chiamare chi di dovere, darci una mano a centrare qualcuno di questi obiettivi.

  ANDREA DE CAROLIS, A.NA.CI.PE. È la prima volta che partecipo a un incontro del genere e lo giudico molto importante, anche perché in questa sede rappresento il Comitato della via Francigena Prenestina, al VI municipio, che al suo interno ha raccolto adesioni di tutto il versante Prenestino dei comitati di quartiere, delle associazioni e dei consorzi. Di questo progetto, che non è nostro ma europeo, ci siamo fatti carico perché mancava un pezzo della Francigena, che arriva fino a Brindisi, che era Roma. Ci siamo accollati l'onere volontario. Ci sono ingegneri, archeologici e altri che stanno collaborando con il comitato. Calando dall'alto rispetto a quello che diceva prima il collega Bruno Pulcinelli – anch'io ho fatto parte di un consorzio – cominciamo a parlare della rivalutazione del territorio.
  Non è possibile che il comune di Roma in questo tratto, che parte da Roma, dal Campidoglio, fino a Gallicano, ancora non abbia attuato presso la regione Lazio, come siamo venuti a scoprire, tutta la formalizzazione del percorso nonostante la delibera n. 41 del comune di Roma del 27 febbraio 2015, ancora non comunicata alla regione Lazio. Ci sono tanti progetti – adesso è uscito fuori un progetto a livello regionale – per valorizzare i siti, ma questo tratto è escluso. Siamo preoccupati. Avevamo fatto una serie di commissioni e avevamo portato al comune di Roma il nostro progetto con la proposta, per il VI municipio – qui in Commissione non voglio usare parole molto dure – di ricollegare tutti i quartieri con piste ciclabili e/o pedonali. Questo è fattibile. C'è un esproprio che il comune di Roma e gli enti preposti non hanno mai acquisito del 1996. Vi lascio anche la copia: «Acquisito a patrimonio comunale aziendale dell'Acea per conto del comune di Roma con mandato all'esproprio della regione Lazio del 1992, attuato ed esecutivo nel 1996». Si parla di viabilità, di risolvere le rotatorie per quanto riguarda via Prenestina, di collegamenti tra i quartieri e così via. Abbiamo scoperto tutte queste cose facendo ricerche per poter collegare i quartieri perché diventassero un percorso della via Francigena, come poi approvato dal comune di Roma con la libera n. 41. Rispetto all'indicazione del comune di Roma, non abbiamo la presunzione, ma la volontà, la passione sul territorio di risolvere alcuni problemi e di dare forse un'immagine diversa al territorio, che non è solo quella della buca, dell'autobus, che sono cose importantissime. Qui si parla di rivalutare il territorio. Un'iniziativa del 13 maggio scorso è relativa alla via Gabina, passando per Tor Bella Monaca e arrivando fino al Ponte di Nona, attraversando tutto la campagna romana, veramente una cosa eccezionale, un risultato veramente inaspettato. Quelli di Tor Bella Monaca, alla domanda dove abitassero, hanno risposto: «A Tor Bella Monaca, sulla via Francigena». Cambia completamente il rapporto di immagine, e non è cosa da poco. Si consideri, tra le altre cose, che tra i quartieri, oltre al Pag. 16percorso della via Francigena, che arriva fino a Brindisi attraversando tutta la Francigena del Sud, la Prenestina e l'Appia, per poi ricongiungersi e arrivare appunto fino a Brindisi, stanno lottando – ho parlato col sindaco di Otranto quest'estate – per portarla a Otranto, e addirittura a Santa Maria di Leuca. Non riusciamo a chiudere questo pezzo. È vero ci sono delle difficoltà, non abbiamo la pretesa che non ci siano, ma documenti alla mano indichiamo delle soluzioni. Si passa all'interno di proprietà comunali, di cui il comune non ha ancora preso possesso. Scusate l'emozione. Quello che ci trascina nel territorio è la passione della gente che ci mette il proprio tempo, dall'ingegnere all'archeologa. Adesso stiamo chiedendo di ripulire, ad alcuni proprietari terrieri, a spese nostre, con i volontari nostri, dei siti archeologici, proprio perché sul territorio vorremmo che ci sia il prosieguo di un'appropriazione del territorio in maniera diversa da come è stato sempre stato. La gente deve uscire di casa, attraversare da un quartiere un altro e portare il bambino a scuola o con la bicicletta o a piedi. È veramente utile, necessario e straordinario, anche perché camminare fa bene alla salute, fa bene ai bambini, e probabilmente associa i quartieri. E questo è possibile. Qualcuno diceva che i consorzi possono fare qualcosa. Anch'io lo penso. Alcune tratte di questi percorsi sono già all'interno di piani particolareggiati ancora in parte non definiti. È possibile realizzare le opere anche da parte del consorzio su queste tratte. Concludo, anche se ci sarebbe da parlare. Abbiamo chiesto all'Associazione europea delle vie Francigene, al presidente Massimo Tedeschi, di porre cartelli lungo il percorso della via Francigena a nostre spese e cura. Lui ha detto sì, poi hanno verificato che lungo il percorso a Roma purtroppo ancora non c'è da parte della regione Lazio l'acquisizione degli atti. Da febbraio 2015, la regione Lazio ancora non ha gli atti. Abbiamo sospeso quest'iniziativa. Lo avremmo fatto a spese nostre. Il percorso passa per tutti i siti archeologici, per l'antico Ponte di Nona (200 anni prima di Cristo), ancora intatto. Credo che sulla Prenestina passino all'incirca 80-90.000 macchine al giorno, e nessuno sa che sta attraversando un ponte di due secoli prima di Cristo. Questo collega il percorso della via Francigena in questo tratto fino a Gabii.
  Ce la stiamo mettendo tutta. La passione unisce i quartieri di tutto il versante Prenestino in questo caso. Hanno sottoscritto verbali. Non abbiamo fatto una cosa campata per aria, nel senso che ci hanno detto vorrebbero. Sono consapevoli, e sono consapevoli di voler guardare il territorio con un occhio diverso, mentre nel nostro municipio purtroppo si scaricano tutte le altre problematiche del comune di Roma, dalla immondizia ai nomadi. L'integrazione sarebbe ottima, ma quando si parla di queste cose, nessuno le prende a cuore. Darebbero forse un senso di svolta all'amministrazione, alle amministrazioni, sia comunali sia municipali. Abbiamo fatto già tre commissioni al municipio e ancora non abbiamo risposta.
  Tutta questa documentazione che lasciamo a voi l'abbiamo lasciata a loro.

  ROBERTO MORASSUT. Naturalmente, questa nostra è un'attività che ha una lente su tutta l'Italia. Naturalmente, Roma è uno dei centri della nostra indagine. Cercheremo di raccogliere un po’ tutte le indicazioni che ci avete portato, anche nell'audizione che abbiamo fatto la scorsa volta. Quello che vorrei chiedervi, in particolare, è un dato. Rispetto al programma delle opere a scomputo, agite in una rete di consorzi, e quindi avete un quadro delle informazioni abbastanza aggiornato, penso. Teniamo conto che Roma è una città che soffre in questo momento di una difficoltà proprio nella produzione degli investimenti per le opere pubbliche. Abbiamo ascoltato la giunta in questa Commissione, che ci ha presentato i dati sul bilancio. Senza fare una critica – non è una critica politica, ma solo la registrazione di un dato – il bilancio del comune di Roma oggi ha un volume degli investimenti notevolmente più basso anche rispetto agli ultimi anni. C'è stato un calo della produzione di interventi sulla città. La mia domanda è questa: del volume delle opere a scomputo e delle risorse spendibili accumulate nei conti dei consorzi, Pag. 17registrate nei conti dei consorzi e che possono partire per riqualificare, ma anche per mettere in moto l'economia, avete un quadro per gran parte della quantità di risorse che potrebbero essere messe in gioco, quindi non direttamente dal comune, ma attraverso un'opera di sussidiarietà? Naturalmente, c'è un problema relativo a come si fanno questi appalti, che il comune deve registrare, che devono essere fatti sempre con mano pubblica, non c'è dubbio, ma c'è un quadro di quanto è congelato in termini di quantità di risorse spendibili?

  BRUNO PULCINELLI, presidente A.NA.- CI.PE. Credo che il monte che giace nelle banche possa aggirarsi tra i 50 e i 70 milioni di euro fermi, tra quelli definitivamente depositati e quelli che si stanno per depositare. Soffriamo su questo fronte di un'inadempienza da parte del comune di Roma. Sapete che all'inizio c'era una convenzione tra la Banca di Credito Cooperativo, il comune e i consorzi. Oggi, ci fanno pagare le fideiussioni 0,30, per i soldi depositati ci danno 0,25 meno il 27 per cento, per cui tra poco scoppierà la fine del mondo perché i presidenti dei consorzi si troveranno a pagare delle cifre di tasca loro, in quanto non possono certamente pagare le fideiussioni con i soldi dei depositi dei consorzi. Quelle sono spese separate. Il comune di Roma è inadempiente anche su questo. Non ha mai preso per un orecchio la Banca di Credito Cooperativo, che fa affari su Roma, per riaggiornare la convenzione firmata da Rutelli e dall'allora presidente della banca. Anche le associazioni della periferia firmarono questa convenzione importante, che ci ha permesso di avere una serie di agevolazioni. Comunque, ci sono circa 70 milioni di euro depositati.
  Abbiamo stimato per l'attuazione dei toponimi tra i 700 e i 900 milioni di euro. Si costruisce, si pagano gli oneri e nelle casse dei consorzi arriveranno, se i toponimi fossero approvati, queste cifre.

  VINCENZO PISO. L'amministrazione è completamente ferma? Non avete un minimo di interlocuzione? È completamente ferma.

  BRUNO PULCINELLI, presidente A.NA.- CI.PE. Ferma. Completamente ferma. L'altra sera si sono incontrati una trentina di comitati di quartiere e hanno deciso di fare la fiaccolata degli indignati. Non si sa più come avere un rapporto con questa amministrazione, una cosa incomprensibile. Non si riesce a comprendere i motivi. Abbiamo chiesto un incontro al sindaco in 70 associazioni: non ci ha neanche risposto. Abbiamo rinnovato l'incontro: non ci ha risposto. Andiamo in consiglio comunale in due-trecento persone, scende il capogruppo, ci garantisce che a settembre ci incontrerà: non ci risponde più neanche lui. È veramente una vergogna.

  ROBERTO MORASSUT. Possiamo chiedere la trasmissione di un dato su questa questione di consorzio, banche e questa difficoltà amministrativa? Ci potete mandare un appunto? Magari giriamo all'amministrazione comunale come informativa dell'audizione.

  ANDREA DE MARIA. Lei ha sollevato la questione della presenza delle forze dell'ordine in periferia, in particolare l'idea di poter spostare alcuni presìdi dal centro verso la periferia, tema a cui stiamo lavorando anche noi in vista anche della relazione della Commissione, ovviamente riferita all'insieme del Paese, ma chiaramente l'esempio di Roma può essere particolarmente interessante. Su questo avete fatto qualche approfondimento, avete dati, proposte, o è un tema, in questo caso pure giusto, ma denunciato in quanto tale? Se avete dati materiali e proposte sulla dislocazione delle forze dell'ordine ed eventualmente su come riorganizzare la presenza dei commissariati, delle stazioni dei Carabinieri con una maggiore presenza in periferia, se avete qualcosa di più approfondito della giusta enunciazione del tema, ci può servire.

  BRUNO PULCINELLI, presidente A.NA.- CI.PE. Stiamo lavorando su un settore della città dove ci sono intorno a 150-200.000 abitanti. Abbiamo indicato all'amministrazione un sito completo all'80 per Pag. 18cento di proprietà del comune di Roma, di un fallimento del signor Di Mario, a Roma più famoso del Papa. I fallimenti di Di Mario hanno lasciato strascichi nel mondo intero. Abbiamo detto: questo è il sito, questo è finito all'80 per cento, questo è l'ufficiale giudiziario, questo è un consorzio che mette a disposizione 700.000 euro per finire questa caserma per i Carabinieri. Non ci ha risposto nessuno. Abbiamo indicato il sito e i soldi. Questo è il punto, con le cose che lei raccontava. Per la caserma serve un luogo pubblico. Quella è un'opera a scomputo di una lottizzazione, credo che sia un articolo 2 di Borghesiana.

  ANDREA DE MARIA. Non ho particolare simpatia per l'attuale amministrazione del comune di Roma, per intenderci, ma questo è più un problema di rapporto tra voi e il comune. È interessante sentirlo magari più per chi è di Roma.
  A me interessa se avete lavorato, al netto di un aspetto più particolare, su cui se avete del materiale va benissimo, su questo tema. Al di là di un contenzioso con l'amministrazione, dove voi indicate un luogo e loro avranno le loro valutazioni, va benissimo avere anche questo materiale, ma vorrei sapere se avete fatto una valutazione più generale sul tema. Non è obbligatorio.

  BRUNO PULCINELLI, presidente A.NA.- CI.PE. Abbiamo una documentazione. Abbiamo fatto delle denunce di carattere generale, poi una proposta specifica.

  ANDREA DE MARIA. Siamo una Commissione nazionale, non credo che ci metteremo a dire nella relazione che il comune di Roma deve fare l'accordo con voi su quella caserma. È giusto che ce lo segnaliate, ma almeno dal mio punto di vista, per quanto riguarda la relazione, se avete su questo tema del materiale, è un tema che a noi interessa, compreso questo esempio particolare.

  BRUNO PULCINELLI, presidente A.NA.- CI.PE. Faremo una nota di carattere generale con un esempio specifico.

  ANDREA DE MARIA. Così sarebbe perfetto.

  PRESIDENTE. Vi ringraziamo e rimaniamo a disposizione per acquisire eventuali altri elementi.

  BRUNO PULCINELLI, presidente A.NA.- CI.PE. Presidente, vorremmo chiederle, per questa vicenda, di tenere un'audizione con 65 associazioni in periferia sul posto. Abbiamo mandato una nota in cui chiediamo se è possibile, perché sarebbe straordinario che al teatro di Tor Bella Monaca venisse la Commissione. Sessanta associazioni chiedono quest'iniziativa, il centro antiviolenza delle donne, TorPiuBella.

  PRESIDENTE. La pongo all'attenzione dell'Ufficio di presidenza. Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti del
Coordinamento periferie di Roma.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti del Coordinamento periferie di Roma, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Sono inoltre presenti Pino Galeota, Maurizio Geusa, Francesca Danese ed Eugenio De Crescenzo, che ringrazio per la loro presenza.
  Do la parola al dottor Pino Galeota, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento.

  PINO GALEOTA, Coordinamento periferie di Roma. Innanzitutto, facciamo una precisazione: siamo anche il Coordinamento delle periferie di Roma, ma rappresentiamo un coordinamento che si chiama «La realtà si vede meglio dalle periferie», sviluppato nel corso del tempo partendo dalla lettura che abbiamo fatto sul bando del Governo nel 2015, su cui abbiamo scritto diverse cose, siamo intervenuti, abbiamo dato valutazioni. Questa esperienza ci ha fatto poi capire che dovevamo uscire assolutamente da Roma. Nel corso di quest'anno, Pag. 19 per pura casualità ci siamo incontrati con il presidente della Commissione affari costituzionali, perché avevamo dei dubbi, che volevamo manifestare, per dare un contributo per quanto riguarda l'efficacia amministrativa, uno dei temi centrali per cui non funzionano una serie di passaggi e di storie incompiute nelle periferie. Non riguarda solo la nostra città. Su questo abbiamo costruito un coordinamento nazionale e faremo un'iniziativa il 23 novembre alla Camera dei deputati per tutto il giorno, che riguarderà proprio una serie di temi che oggi affronteremo. Ci farà piacere la vostra presenza, il vostro contributo, ma ci farà soprattutto piacere il fatto che nelle vostre proposte ci riconosciamo molto. Tra le altre cose, quando è stata istituita la Commissione, ho pensato: ne hanno fatta un'altra, non giungeranno mai a dire nulla che possa avere positive ricadute sui cittadini. Ci siamo ricreduti, come abbiamo anche formalizzato per iscritto. Allo stesso tempo, condividiamo anche il concetto di periferia che avete messo nella vostra documentazione. Il 23 novembre è nato per caso. Abbiamo chiesto all'on. Mazziotti, essendo lui presidente della Commissione affari costituzionali. Abbiamo parlato coi giuristi del nostro gruppo. Il nostro presidente si chiama Pino Lo Mastro. Per chi non lo conosce, credo sia uno degli amministrativisti più bravi in Italia. Questo è l'altro gruppo di lavoro. Soprattutto, vogliamo continuare dopo il 23 novembre, proprio sull'indicazione che avete dato che non ci si può approcciare in termini da spot. Il piano Marshall, il piano decennale secondo me deve esistere e deve insistere sulle sperimentazioni che si possono fare nei territori che hanno progetti complessi e attuabili. Non abbiamo la bacchetta magica. Nel corso dei lavori che abbiamo fatto e degli incontri che abbiamo avuto, c'è stata sempre una sorta di ritrosia a intervenire sulle periferie. Per questo manca un intervento generale da diversi anni. Sono stati messi soldi e non spesi. Spesso è successo questo. La politica si è salvata un po’ l'anima mettendoci dei fondi, ma non costruendo un percorso che il progetto aveva individuato. Ci farà piacere confrontarci in questa discussione.
  Noi siamo partiti da un punto che giudichiamo, come voi, ineludibile, non negoziabile, che è la multidisciplinarità, senza la quale non si va da nessuna parte, perché ognuno sta nel proprio recinto, e quindi non si interviene nella rigenerazione urbana. Si fa, eventualmente, una manutenzione urbana, ma lasciando le cose come stanno, soprattutto a partire dalla sicurezza, il che significa che dopo un certo numero di anni si riproporrà pari pari il discorso che abbiamo vissuto. Una situazione inversamente proporzionale più al sud, sicuramente, ma nessuna realtà delle aree metropolitane ne è esente. Oggi, siamo in contatto – parto dal nord – con Torino, con Milano, con Bologna. Saluto l'on. De Maria. Scendendo, siamo a Roma, a Napoli, a Bari, a Palermo e a Catania. Siamo in contatto con i comitati e le associazioni delle diverse città menzionate. Partiamo dal punto di vista di quelli che vivono il problema. Abbiamo impostato la discussione come quelli che vivono il problema per dare un contributo. Avete pubblicato il discorso di Gabrielli, che è tifoso di quello che facciamo noi, e noi siamo tifosi di quello che fa lui, che ha un approccio a livello della sicurezza che non parte dalla cavalleria, ma da un percorso che giudichiamo molto interessante.
  C'è poi è l'ISTAT. Abbiamo avuto incontri con l'ISTAT e con il gruppo della demografia. Reputiamo che si debba conoscere quello su cui si interviene, dall'età alla produzione, alle attività produttive e commerciali, di cui parleranno i colleghi.
  Col permesso del presidente, darei la parola a Eugenio De Crescenzo, che affronta un primo tema.

  EUGENIO DE CRESCENZO, Coordinamento periferie di Roma. In questo percorso di approfondimento sulle periferie abbiamo notato che uno degli strumenti fondamentali che spesso viene dimenticato, che riteniamo invece sia essenziale, fondamentale, è l'animazione sociale. Intervenire su un complesso urbano in cui si sono sedimentati negli anni relazioni, rapporti, devianze, mancanze, spesso con un risultato Pag. 20 di perdita di un'identità e di appartenenza alla città, è il presupposto per avvalorare il senso di incertezza e di insicurezza che permane nei cittadini anche se vengono svolte alcune funzioni. Devo dire che alcune funzioni di sistemazione sono state svolte negli anni non in maniera diffusa, ma a macchia di leopardo. La conseguenza di quest'impegno, che in ogni caso la macchina pubblica ha svolto, è che sono in degrado nel giro di cinque anni. C'è un problema strutturale tra i soggetti e la comunità che vive uno spazio e la modalità con cui questo spazio che viene utilizzato. Che cos'è l'animazione sociale, come si propone? Intanto, si propone con un approccio di ascolto, di incontro attivo nei riguardi delle comunità locali. C'è poi un secondo step – sintetizzo, poi ci sarà un documento più articolato che presenteremo il 23 – un lavoro di ricerca delle motivazioni. Nelle comunità si costruiscono dei sottostrati, spesso interessati in maniera conflittuale a quello che può essere il cambiamento. Ascoltare le motivazioni è il primo passo per arrivare all'organizzazione del dibattito, altrimenti immediatamente la questione si ferma, ognuno resta sul sé. L'animazione sociale cerca di misurare lo spazio tendenziale di cambiamento che c'è in un contesto comunitario. Questo è molto importante, perché permette di misurare l'azione. Se queste azioni sono soggette a «delusione», ognuno si ritira nel suo privato, ognuno si ritira nel suo interesse, le azioni si elidono. L'emersione del proprio interesse non come mera affermazione corporativa, ma come punto di vista all'interno di un dibattito è fondamentale. Come vedete, non abbiamo ancora mosso un ciglio del marciapiede. Stiamo vivendo insieme con le persone un percorso. In questo percorso vanno finalizzati gli obiettivi. Quando l'animazione sociale entra in campo, lo fa perché è motivata da un piano generale, un documento pubblico che definisce linee guida, processi di pianificazione. Bisogna essere leali nei rapporti con i cittadini, precisare la finalizzazione degli obiettivi, che non è detto siano gli stessi che arriveranno poi nel progetto di rigenerazione, che non c'entra niente con la riqualificazione. Dobbiamo distinguere. Non è detto che gli obiettivi coincidano, ma intanto chi gestisce la partita con le comunità dichiara lealmente quali sono gli obiettivi, che possono subire parziali modifiche. C'è poi, all'interno di questo processo, la definizione delle priorità e, molto importante – qui avviene il nodo – l'identificazione dei ruoli che le singole comunità abitanti, che i cittadini attivi possono svolgere all'interno di un processo. Siccome questi sono processi complessi, che spesso sfuggono alla vita quotidiana dei soggetti per una serie di fattori (normativi, regolamentari, di analisi tecnica delle singole azioni, di gestione degli interventi), c'è un elemento di semplificazione e di chiarezza che fa sì che le persone pensino di poter avere un ruolo. Quando i soggetti pensano di poter avere un ruolo, cambia il clima, perché il loro farsi protagonisti modifica la possibilità del cambiamento effettivo generalizzato.
  Quali sono i temi fondamentali di progettazione attraverso il sistema dell'animazione sociale? Bisogna essere molto chiari sugli obiettivi, sui tempi dell'attuazione e non tradirli, per cui abbiamo bisogno di una macchina amministrativa credibile, di strumenti aggiuntivi, come la coprogettazione, cioè luoghi e spazi specifici dove le comunità possono trovare una loro identità.
  C'è un particolare che ho notato nell'intervista dell'onorevole Castelli, quando cita il fondo di solidarietà dei comuni e sottolinea che questa rigenerazione di fondi tra il MEF e gli enti locali è sottostante a parametri desueti. Il fondo è attivo. Basta andare sul sito del MEF per vedere le serie storiche del fondo e la loro distribuzione. Sarebbe molto importante che, di fronte a uno strumento attivo e presente, si possa ripensare e rivedere secondo una proiezione legata più ai bisogni dei cittadini, da cui la realtà si vede meglio dalle periferie. Questo sottotitolo che abbiamo scelto dopo un po’ di tempo, elaborandolo, è vero nel vero senso della parola. Spesso, nell'ambito periferico troviamo ricchezza, innovazione, cambiamento, qualche volta anche trasgressivo, una capacità di mettere in moto contro Pag. 21 tutto e contro tutti in territori complessi la possibilità di partecipare. Dovremmo dare un sistema. Ecco perché riteniamo che l'animazione sociale sia uno strumento che vada inserito nei bandi di riqualificazione, e deve essere organico all'attività svolta. Prima, si ascoltano i cittadini residenti e si chiamano a un appello per il loro protagonismo, poi si agisce.

  MAURIZIO GEUSA, Coordinamento periferie di Roma. Un altro elemento che sicuramente deve essere considerato nei bandi è quello dello sviluppo economico, inteso attraverso il coinvolgimento di iniziative e di carattere profit e non profit. È la numerosità e la qualità dei soggetti coinvolti che deve essere valutata in sede di assegnazione delle risorse. Intendo per non profit anche guardando a quello che, invece, il quadro sociale è capace di produrre in termini di valore sociale, cioè di erogazione di servizi nuovi e diversi da quelli che abitualmente vengono erogati attraverso il filone della pubblica amministrazione. Come qualificare lo sviluppo economico? Innanzitutto, attraverso la valorizzazione delle economie circolari. Grandi quartieri di edilizia economica e popolare costituiscono una massa critica in termini di abitanti, che può essere il presupposto per iniziative di riciclo dei rifiuti, di riciclo delle acque, di valorizzazione di quell'economia circolare di cui adesso diventa sempre più strategico parlare.
  Un elemento per defiscalizzare, come è stato già proposto e indicato, potrebbe essere quello della creazione delle cosiddette zone franche urbane, uno strumento già definito nella legislazione e che fa riferimento ad agglomerati di misura minima di 7.500 abitanti. È una dimensione che coincide proprio con quella dei grandi quartieri di edilizia residenziale pubblica.
  Infine, una citazione di Alejandro Aravena, quella per cui dalle partnership pubblico-privato siamo passati a una partnership pubblico-privato popolare, intendendo proprio la presenza di quell'animazione sociale che illustrava prima il collega De Crescenzo.

  FRANCESCA DANESE, Coordinamento periferie di Roma. Buongiorno e grazie per averci invitati, perché significa anche un'attenzione al fatto che i temi che trattiamo sono molto particolari. Aggiungerò alcune questioni che, secondo me, sono il nodo cruciale se vogliamo parlare di welfare di comunità, di welfare di periferia, ma di welfare in generale.
  In questo momento troviamo vivacità, da nord a sud, nel nostro Paese – abbiamo monitorato e verificato anche le città metropolitane – più all'interno delle periferie che nei centri storici, che nel frattempo sono stati svuotati, e quindi troviamo persone anziane che vivono il centro storico e nuclei familiari più numerosi che vivono intorno alle cinte murarie delle città, e non solo. Assistiamo a fenomeni molto gravi. La Commissione dovrebbe anche ascoltare con attenzione i dati che alcuni di voi so che già hanno.
  Un dato che ci preoccupa particolarmente è la dispersione scolastica. Assistiamo a fenomeni di giovani che non finiscono neanche la scuola media inferiore, per cui la possibilità di trovare lavoro è resa ancora più complessa, complicata. Pensiamo a quanto si vuole intervenire veramente, quando in questo momento abbiamo salutato con grande favore la presenza del BES all'interno della programmazione economica e finanziaria di questo Paese. Ci stiamo, ma poi dobbiamo fino in fondo andare a guardare quanto ci interessa il valore sociale, come lo misuriamo. Dobbiamo preoccuparci di questi giovani che non vanno più a scuola. Mi succede spesso di sentire – frequento abitualmente le periferie di questa meravigliosa città – da Bastogi: «andiamo a Roma». Questa la dice lunga anche sulla fruizione della città. Tra l'altro, stiamo facendo una battaglia, che abbiamo vinto anche contro la Corte dei conti. Abbiamo vinto 22 ricorsi. Non si può pensare che il Terzo settore, il volontariato tutto, intervenga ancora prima che succedano le questioni, continuiamo a svolgere un'azione che i cattolici definiscono profetica e anticipatrice, per poi vederci negati gli spazi, a canone concordato, dove poter far sì che la coesione sociale veramente Pag. 22 sia un valore. In tal senso, abbiamo vinto anche contro la politica degli sfratti.
  Siamo molto preoccupati anche di un'altra questione. Scusatemi se vado molto velocemente, ma vorrei riuscire a stare nei tempi e dirvi tutto. State verificando e monitorando le risorse delle città metropolitane, se i bilanci li stanno chiudendo in tempo utile? Sono molto preoccupata per la città metropolitana di Roma, perché rischiamo che tornino indietro soldi per scuole e strade. Forse servirebbe un'attenzione maggiore per verificare questa questione. Vi do un dato di certezza: a oggi, corriamo il rischio che, non avendo ancora chiuso il bilancio, non solo di Roma, ma so anche di altre – di Roma, però, lo dico con certezza – tornino indietro soldi per scuole e strade. Perché parliamo di periferia se sappiamo che, secondo quanto è illuminata una scuola, di quanto più o meno una strada è fruibile, possiamo fare un welfare di comunità. Andiamo a verificare anche queste questioni.
  Passo alle aree verdi e agricole nelle città metropolitane. Non abbiamo trovato nessuna azione di finanziamento specifica. Non esiste nessun riferimento legislativo normativo che possa aiutare a intervenire. Il comune di Roma, questa città, ha la più grossa presenza di aree verdi e agricole importanti. Non si trova nessuna possibilità di finanziamento specifica, perché nessuno se ne è mai preoccupato, mentre assistiamo, grazie al volontariato e al Terzo settore, a sperimentazioni interessanti e intelligenti, con terrazze – Roberto Morassut è stato qualche mese fa ospite di uno di questi terrazzi – dove diciamo che si coltiva benessere, dove i senza fissa dimora recuperano anche una dimensione di cura di sé attraverso la cura delle piante. Sembra di stare in un terrazzo di New York, e invece siamo in città. Pongo a voi questa questione delle aree verdi e agricole nelle città metropolitane. C'è poi una questione che pesa, appunto la questione casa e le politiche abitative tutte di questo Paese. Qui, nello specifico, bisognerebbe rifare un passaggio nella Conferenza Stato-Regioni. Sulla questione assegnazioni case sapete molto meglio di me che sono le regioni che danno i canoni di metri quadri di accesso. È assurdo che in questo momento chi non ha una famiglia numerosa, difficilmente acceda. I canoni e i metri quadri sono stabiliti dalle regioni, per cui abbiamo le metrature dell'edilizia residenziale pubblica di 30-40 anni, quando appunto c'era la presenza di famiglie numerose, ma in questo momento le famiglie numerose sono quelle di immigrati. Forse, potremmo risolvere anche questo problema se la ripartizione dei metri quadri fosse rivista dalle regioni.
  C'è un'altra questione. Parliamo di «Jobs Act», di politiche che consentano l'ingresso nel mondo del lavoro, seppur con una grandissima flessibilità. Per accedere però alla casa popolare – parlo del Lazio, nello specifico – bisogna avere il posto fisso e figli a carico. Se si è una persona con partita Iva e, casomai, in quell'anno si è lavorato un po’ di più, non si avrà mai diritto alla casa popolare. Non so se sono stata chiara in questo mio passaggio. Siccome gran parte dell'edilizia residenziale pubblica risiede nelle periferie delle città metropolitane, qui forse dovremmo anche ripensare, riguardare bene la demografia, l'espansione, nel momento in cui queste famiglie hanno sempre meno piazze e più supermercati e centri commerciali dove potersi riunire. Anche questo è un tema non di poco conto, rivedere l'accesso. Il comune di Bologna, ad esempio, ha fatto sì che la soglia di accesso fosse aumentata, perché chi ha partita Iva o chi ha lavori a volte importanti, ma che l'anno successivo non lo sono, non può assolutamente accedere. Il welfare e il welfare nelle periferie deve anche preoccuparsi e occuparsi di questo tema, che non è affatto banale. Tra l'altro, con l'OPA, con l'Osservatorio della pubblica amministrazione, stiamo facendo un lavoro straordinario e certosino, insieme al coordinamento, insieme al Forum del terzo Settore del Lazio. Anche oggi sui giornali abbiamo contestato alcune gare per l'assegnazione degli asili nido, ma non entro nello specifico. C'è un'alleanza che si sta costruendo anche da nord a sud. Esprimiamo anche una preoccupazione: nel momento in cui le risorse vengono destinate, Pag. 23abbiamo anche la riforma del Terzo settore in questo momento di cui preoccuparci, ma abbiamo una classe di funzionari e dirigenti all'interno delle amministrazioni un po’ ferma a un modello di vent'anni fa. L'innovazione passa anche attraverso la formazione anche di chi si deve preoccupare di fare bandi specifici. Se non si conosce e non si riconosce il valore sociale del nostro impianto, del nostro andare a chiedere conto, significa che, come al solito, come è accaduto l'altro anno, malgrado avessimo chiesto che il bando fosse slittato perché molte città andavano al voto, poi si tirano fuori i progetti fotocopia dai cassetti senza tener conto di... Significa anche saltare la democrazia, perché non risolve tutto parlando solo col Forum. Bisogna andare a parlare con le comunità che lì abitano, vivono e che in questo momento – vi assicuro – sono anche vivacissime. C'è un lavoro importante. Einstein diceva che ciò che conta spesso non si conta, e non entra dentro i bilanci. Speriamo nel BES nel DEF, ma questi indicatori comunque a noi non bastano, perché alla fine ne sono stati scelti, se non ricordo male, tre o quattro rispetto ai 120 proposti. È comunque un passo.
  Grazie. Spero di essere stata sintetica.

  ROBERTO MORASSUT. Avete della documentazione?

  PINO GALEOTA, Coordinamento periferie di Roma. Lasciamo un documento in cui elenchiamo le questioni. Vi faremo alla fine, in chiusura, le proposte con cui crediamo si possa lavorare, collaborare, che raffiniremo il 23 novembre. Ringrazio il presidente di aver dato l'adesione a nome della Commissione, a cui teniamo molto. Ribadisco che state facendo finalmente un buon lavoro. A noi fa molto piacere che le istituzioni facciano un buon lavoro. Vi lasciamo sicuramente una traccia delle linee guida.
  Sono il coordinatore del progetto del quadrante di Corviale, dove ci sono 30 milioni da spendere e non vengono spesi. Vi consegno la documentazione sul Forum del 2015, il terzo Forum nazionale che abbiamo organizzato, si chiama «Rigenerare Corviale: sistema produttivo sociale». Ci siamo posti il problema di come bisognasse sviluppare le economie sui territori. Abbiamo una capacità e una rete molto interessante – lo vedrete anche dalle adesioni – e molto volontaria. Crediamo di poter dare un contributo anche su questo. Faccio alcuni esempi sui consumi. Il Corviale (1.300-1.400 appartamenti) consuma 1 milione di litri di acqua al giorno: si può ridurre? Certo che si può. Potremmo farlo per l'energia: il risparmio energetico e l'uso oculato delle risorse ambientali creano consapevolezza comune tra i residenti. Se non si fanno gli interventi, tra dieci anni ci sarà un problema sociale, perché quel luogo cascherà a pezzi. Già c'è un problema nella gestione. Potremmo fare altri esempi. Alcuni sono nel report che abbiamo consegnato. Abbiamo anche due siti, un giornale on line. «La realtà si vede meglio dalle periferie» riceverà tutti i contributi a livello nazionale, dalle reti che stiamo costruendo.
  Se ci vuole fare qualche domanda, ci fa piacere.

  ROBERTO MORASSUT. Si trattava di una richiesta pratica, cioè quella di avere una documentazione formale, in maniera che possiamo inserirla nella relazione che stiamo concludendo, naturalmente con una premessa che va fatta.
  Una Commissione d'inchiesta sulle periferie abbraccia un campo talmente vasto che, sostanzialmente, è quasi una Commissione d'indagine o d'inchiesta sulle città, non cambia molto. Tratta materie e temi interconnessi, dalle questioni del welfare urbano a quelle urbanistiche, alla sicurezza. Il tempo che ci è stato concesso per fare questo lavoro è ridotto. La Commissione ha vissuto un anno e poco più di lavoro. Auspichiamo che nella prossima legislatura questa struttura, quest'organo parlamentare possa diventare stabile. C'è bisogno di un monitoraggio costante. Lo dico perché il nostro rapporto avrà il pregio della ampiezza dell'indagine, ma anche, secondo me, il fatto che dovrà per forza andare per sintesi su molte cose. Non possiamo abbracciare tutto e tener conto di Pag. 24tutto. Avremo un'appendice di materiali e di documentazione utilissima. Dovremo un po’ sintetizzare la vostra esperienza, composta da anni da professionalità sperimentate indiscutibili sul campo – alcune sono qui presenti, altre ce ne sono sulla rete nazionale – è importantissima, ma la raccomandazione pratica è di selezionare questo materiale e darci delle questioni, soprattutto per le ricadute normative delle vostre proposte. Questo è l'aspetto importante, conclusivo di questo lavoro, cioè individuare sui vari campi di indagine quali possono essere le uscite normative su cui il Parlamento potrà impegnarsi.

  VINCENZO PISO. Le mie sono considerazioni di carattere generale.
  Ho ascoltato con molto interesse le vostre relazioni. Sostanzialmente, si evidenzia un fermento dal basso che, partendo da una sorta di richiesta di costruire intorno a una possibilità di riforma il consenso, ho immaginato anche attraverso una legge per il pubblico dibattito, come quella francese, propone una rivitalizzazione dal punto di vista economico delle periferie, fino ad arrivare a una rivisitazione del welfare sociale per quanto riguarda sempre l'ambito periferico. Credo, però, che tutto questo abbia necessità di reincontrarsi con una capacità da parte di questa Commissione di dare un ordine. Quello che riscontro, e mi fa piacere confrontarmi con persone come voi, è un'incapacità, che in questa situazione diventa sempre più caotica, di dare una visione, di individuare priorità a fronte di una scarsità di risorse che oggettivamente sta sul campo. Questo contribuisce a rendere ancora più ipertrofico questo disordine. Va benissimo che il Governo abbia stanziato delle risorse, ma su come poi queste risorse sono state utilizzate c'è molto da dire, e non per colpa del Governo, fermo restando che forse si potevano dare parametri diversi, ma spesso per colpa delle amministrazioni locali. O qui capiamo che le nostre città, per alcuni versi, specialmente le grandi città, sono da rifondare dall'ABC perché mancano servizi essenziali o servizi essenziali stanno in una condizione ormai di declino irreversibile, o rischiamo veramente di parlare di un mondo che non esiste. Credo che questa Commissione abbia il dovere di porre l'accento anche su questi temi.
  Quella di Roma è una situazione che, chiaramente, mi interessa in maniera particolare, perché credo che, oltre a essere la capitale, sia anche il luogo nel quale abito e vivo, e penso che o ripartiamo dall'immaginare di nuovo questa città, che è enorme e può contare su strumenti amministrativi oramai inadeguati, con una riforma della sua macchina amministrativa, connettendola con il suo hinterland, ragionando per quadranti, in un discorso veramente complessivo d'assieme, o continueremo a inseguire singoli progetti che poi però non riusciranno mai a cambiare effettivamente in positivo il volto di questa città. C'è la necessità, da parte di tutti noi, di fare uno sforzo veramente a 360 gradi per immaginare di nuovo le città nel loro complesso. Quando parliamo di periferie, di che cosa stiamo parlando? Di una città che non comunica, che non è connessa, e oramai purtroppo questa è una realtà che incontriamo dovunque. Prima, raccontava del ragazzo che dice, da Bastogi, «vado a Roma». Peraltro, facevo un esempio del genere a chi stava prima di voi seduto da quella parte dei banchi. Questa è una perdita di identità, è quasi una più non coscienza di chi siamo, di dove abitiamo, di connessione con la storia complessiva della città, del luogo nel quale siamo inseriti, nel quale abitiamo. Su questo cerchiamo di connettere l'aspetto particolare, che è fondamentale – è chiaro che voglio sentire che cosa vogliono i cittadini, è giusto creare consenso intorno a delle riforme, ancora di più se grandi riforme strutturali – ma anche con una visione che sia capace di guardare dall'alto quello che vogliamo cercare di perseguire. Faccio un esempio banale, perché mi piace fare, come sempre, un po’ l'avvocato del diavolo. Se sulla strada di casa mia chiedo a tutti i cittadini dove vogliono la fermata dell'autobus, tutti mi diranno sotto casa loro, al loro civico. Questo non è possibile: c'è bisogno di un incontro tra queste due visioni. Credo che la Commissione debba indicare dei momenti di sintesi, «urlare» la necessità di immaginare Pag. 25 di nuovo veramente le nostre città, che corrono il rischio di essere complessivamente periferie. Oggi, la periferia non è soltanto un luogo geografico, ma è anche centrale, anzi sta diventando sempre di più centrale, per assurdo. Basta girare, peraltro, per Roma, e uno se ne rende conto.

  ANDREA DE MARIA. Siccome stiamo un po’ stringendo sulla relazione della Commissione, dobbiamo fare la parte sulla sicurezza. Su alcuni temi su cui stiamo lavorando ci sono nel vostro lavoro particolari, ci potete mandare del materiale, oltre che ovviamente sul tema della Commissione in generale, anche sulla questione sicurezza in particolare? Una delle questioni che vorremmo sollevare è quella di una nuova legislazione sulle polizie locali, che in particolare favorisca il coordinamento con le forze dell'ordine. Questo è il primo punto.
  Il secondo punto su cui vorrei vorremmo lavorare è l'organizzazione delle forze dell'ordine sul territorio, in particolare le sedi, i comandi, che oggi in genere sono più concentrati nelle zone centrali. Vorremmo capire come si possano diffondere più sulle periferie. Poi, ovviamente, c'è tutto l'intreccio tra sicurezza, coesione sociale e presenza del volontariato e azione sul territorio, che credo sia il vostro. In particolare, su questo abbiamo fatto audizioni più sulla parte delle forze dell'ordine: se su questo avete materiale, ci può essere particolarmente utile. Più in generale, uno dei punti che abbiamo approfondito è come definire le periferie. Non necessariamente in tutte le città le periferie sono nelle aree urbane più esterne al centro storico. Le periferie potrebbero essere forse meglio definite con parametri che riguardano i tassi di disoccupazione, di insicurezza, la presenza della popolazione anziana e immigrata. Avete anche su questo del materiale? Se avete delle cose da dire, ascoltiamo molto volentieri, ma più che la risposta, vi vorrei segnalare questi temi su cui, se magari mandate del materiale alla nostra attenzione – De Maria e Piso – ci potrebbe essere particolarmente utile. Vi dico questo, perché magari avete un sacco di documentazione, ma se ci mandate quella concentrata, per la relazione abbiamo molta più facilità a usarla.

  FRANCESCA DANESE, Coordinamento periferie di Roma. Abbiamo dati molto significativi, importanti. Innanzitutto, la sperimentazione del SIA ci dice, relativamente alla demografia, chi ha avuto accesso. Abbiamo dei dati molto importanti, perché scopriamo, per esempio, anche dell'ingiustizia dei livelli essenziali di assistenza sociale e sanitaria. Si trovano cittadini che non si erano mai rivolti al servizio sociale. Inoltre, Roma è l'unica città che ha un protocollo d'intesa molto importante sui minori stranieri non accompagnati. È la città che ha fatto un protocollo d'intesa con i vigili. C'è la declinazione di un potenziale modello di sicurezza sociale davvero innovativo. Sarà nostra premura fornirvi tutti i dati. C'è anche la questione rom e il rapporto con la polizia locale. Ci sono diverse idee e progetti che avevamo pensato anche con una forma di nuova alleanza formativa tra chi sta da una parte e chi sta dall'altra. Sarà nostra premura darle anche altri lavori che abbiamo fatto.

  PINO GALEOTA, Coordinamento periferie di Roma. Vi mandiamo non solo l'invito, ma anche i report che stiamo facendo nelle varie realtà sociali. Prima cosa: ordine, visione e priorità. Ce lo siamo posti anche noi, se no non avremmo avuto in testa di allargare la discussione a livello nazionale. A Roma ci sono dentro tutte e cinque le università, per dire che c'è un'attenzione in città che secondo me deve essere riverberata e conosciuta.
  Sono d'accordo che dobbiamo essere orgogliosi di essere romani e che va costruita un'identità su questo. No, io sono nato a Napoli e vissuto un po’ per l'Italia, ma dovunque vado prendo il dialetto. A Napoli stanno facendo veramente un lavoro straordinario a Scampia, con cui siamo in linea. Abbiamo posto il tema delle polizie locali (coordinamento e riorganizzazione delle forze dell'ordine) quando Gabrielli era prefetto. I numeri sono impressionanti. Ce li avete anche voi, ve li ha sicuramente inviati. Abbiamo visto molte Pag. 26dirette che avete fatto in streaming, quindi sappiamo quello che avete fatto, per questo lo abbiamo apprezzato. È evidente che, se a Roma, per fare un esempio, nelle periferie c'è un 20 per cento delle forze dell'ordine e l'altro 80 è in giro per Roma, non funziona, non può funzionare. La misurazione del disagio deve essere uno dei temi che va messo lì. Senza sicurezza, rispetto delle regole e legalità, non si fa nessuna rigenerazione urbana. L'abbiamo scritto. È una precondizione. Ed è una precondizione, se si vuole avviare un percorso di rigenerazione. Fa da cornice al quadro. È una premessa. Adesso entreremo nel merito di alcune proposte che facciamo, che non sono esaustive, perché sarà un work in progress, ma ci siamo posti la questione di come diamo un contributo. L'obiettivo che abbiamo in testa è di portare nell'ambito delle proposte, ma anche nell'ambito della legge di stabilità o altro, i quattro o cinque punti che diano il senso del quadro su cui bisogna lavorare. Ci vuole una capacità politica di visione. In quel quadro va scritto un patto – ne sono stati fatti tanti, a Napoli e altrove – con le grandi rigenerazioni urbane di questo Paese. A Corviale ci sono oltre 40.000 abitanti; a Scampia, altrettanti; allo ZEN, siamo lì; Milano, Gallaratese e così via, siamo lì; a Bologna abbiamo dei contatti che poi passerò a De Maria. Ci siamo studiati tutte le analisi che hanno fatto i comuni nella scelta, aprendo i cassetti o chiudendo i cassetti, relativamente al bando delle periferie fatto dal Governo.
  Il confronto che abbiamo avuto con il Governo, si è basato su una scelta a-democratica. Le città che sono andate al voto sono state penalizzate. Doveva uscire una norma per il bando entro il 31 marzo, ed è uscita il 30 giugno. L'abbiamo anche impugnata con i nostri giuristi all'ANAC, ma abbiamo anche chiesto di dare due mesi di tempo alle città impegnate nelle elezioni amministrative per poter analizzare i progetti da consegnare, ma non è stato così. Vado a concludere.
  La riforma della macchina amministrativa è centrale. Allora, vi proponiamo alcune cose che adesso vi dico, che poi vi mandiamo e vi strutturiamo meglio per il 23, lavorando insieme.
  Parliamo di efficienza amministrativa. La prima è l'unificazione delle istruttorie tra ambientali e urbanistiche. È inimmaginabile che per lo stesso progetto uno faccia una cosa, uno ne faccia un'altra e non si vedano, non collaborino. Questa unificazione va fatta e messa per iscritto. In secondo luogo, per i progetti più complessi serve un ufficio di scopo. È norma in quasi tutta l'Europa. Non capisco perché dobbiamo sempre essere considerati il sud del sud. Questa è la seconda questione, che porta con sé la questione della conferenza dei servizi, che deve essere cogente e finalizzata alla sottoscrizione che espliciti il chi fa che cosa. Diversamente, se non c'è un responsabile del procedimento riconosciuto, che firma nel patto, in caso di inerzia ovviamente – qui c'è Maurizio, io, tutti – per spostare un tubo del gas ci si impiega sette mesi, otto mesi per una risposta. Non è possibile. Questa è un'offesa per la nostra comunità. Oltretutto, c'è pure una perdita di valore delle risorse. È una questione che ci dobbiamo porre. Questo è l'altro elemento che chiediamo che sia centrale: nell'ufficio di scopo inserire a monte una premessa cogente, perché per arrivare al bando ci vuole un percorso, una «prevenzione amministrativa» che deve tenere conto del quadro d'insieme.
  L'animazione sociale deve essere nel bando e a carico delle imprese. Noi l'abbiamo fatto per il bando per Corviale e l'ANAC ha validato. Per la prima volta, a Corviale l'impresa che vince il bando si fa carico di un pezzo di animazione sociale. Questo è un elemento che ci unisce immediatamente anche culturalmente, perché tutti devono capire, comprese le imprese, che non è che arrivano, buttano la chiave e se ne vanno. Non funziona così. Da qui nasce l'idea del ribasso d'asta con cui si costruisce la coprogettazione. Perché, se ci sono 7 milioni e abbiamo un ribasso d'asta di 1,5 milioni, quella somma va investita sul territorio per coprogettare lo sviluppo socio-economico, creando posti di lavoro, welfare e sicurezza. Perché deve essere messa da un'altra parte, dove probabilmente non produce Pag. 27 gli effetti che produrrebbe nel quadrante di Corviale? È chiaro che il progetto deve essere ben definito, strutturato e, per intenderci, che non è che arrivano i soldi à gogo e ognuno fa come gli pare.
  L'altra questione è quella di una revisione normativa dell'ATER. In questo momento sarebbero necessari un innesto intelligente e la modifica degli obiettivi. Nella discussione che abbiamo fatto con ATER, o ALER, loro non hanno un RUP, non è contemplato. Sono costruttori, o affittuari. Non è più così, non può essere così. La modifica di ATER e ALER deve essere uno dei temi che va scritto lì dentro. Sono tutte cose mirate e che hanno una visione generale. Consentiteci di dirvi una cosa: vi pare normale che la partita di giro sull'IMU tra regione e comune produca questa confusione? Possiamo chiedere la cancellazione dell'IMU, perché è una partita di giro? Si può trovare una soluzione? Tra le altre cose, l'esistente penalizza e riduce le risorse, perché mentre fanno avanti e indietro, ci vuole tempo, passano anni e perdono di valore. Il caso Roma lo conosciamo io, Piso e Morassut sicuramente dal 1995, vero? Parlo di 22 anni fa.
  Consentitemi ancora due cose.
  Noi lo abbiamo chiamato il «caso Mitreo». Uno spazio di 900 metri quadri in una periferia urbana è una risorsa, in quanto raccoglie su di sé una serie di attività. Al Mitreo ci sono ventisei associazioni che operano, si paga pochissimo per fare una serie di attività, si fanno iniziative pubbliche a costo zero. Benissimo, ma il Mitreo deve pagare i rifiuti come se fosse un centro commerciale, la luce e l'acqua come se fosse un'industria. Chiedere 8.000 euro l'anno a chi è presidio socio-culturale significa farli chiudere, fare un favore all'illegalità e fare danni concreti alla comunità e al territorio. Questa questione va posta. Da qui nasce il discorso del valore sociale. Dobbiamo inserire nel bilancio il valore sociale. È questa la partita che abbiamo aperto con il comune di Roma quando abbiamo vinto le ventidue cause, compreso l'appello sul danno erariale e sul totale mancato riconoscimento delle attività che migliaia di cittadini mettevano in campo ogni giorno.
  Qual è la questione? Se sulle attività socio-culturali-ambientali-educative riconosciute dalle amministrazioni comunali o regionali come portatrici di valore sociale non c'è «danno erariale», come è possibile trattarle come se fossero attività commerciali? Se l'amministrazione dice che si devono curare i malati mentali, la logica conseguenza è che valuti il valore sociale prodotto senza considerare tali attività come commerciali e produttive per realizzare profitto. Alcune volte ci sono piccoli finanziamenti ma insufficienti nel quadro descritto. Questione che vale per tutto il nostro Paese.
  Quanto alla defiscalizzazione, va resa potabile ergo non defiscalizzazione a pioggia. Siamo d'accordo se porrete al Governo il discorso dell'Unione europea sulla modalità con cui vengono riconosciute le zone franche. Qui parliamo di minicittà. Siamo d'accordo a che la Commissione sulle periferie sia costituita anche nella prossima legislatura. C'è bisogno di continuità politica e istituzionale. Occorre vi sia consapevolezza che la rigenerazione delle periferie è questione nazionale che interessa milioni di cittadini. La Commissione ha avuto questo pregio, che apprezziamo: finalmente, si vede un po’ lungo nel cercare l'attuazione di progetti e di iniziative, in modo che tra il dire e il fare, prevalga il fare.
  Vi ringrazio. Scusate la lunghezza. Vi manderemo il materiale.

  PRESIDENTE. Sì. Soprattutto la parte analitica delle proposte è molto interessante, perché ci risparmia anche un lavoro redazionale.

  PINO GALEOTA, Coordinamento periferie di Roma. A noi fa piacere.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti. Dichiaro conclusa l'audizione.

Comunicazioni del Presidente.

  PRESIDENTE. Comunico che l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti Pag. 28dei gruppi, nella seduta del 27 settembre 2017, al fine di coadiuvare la Commissione nell'approfondimento del settore sociale, ha convenuto di integrare gli incarichi delle collaborazioni esterne, avvalendosi della consulenza della professoressa Rossella Selmini, professore associato presso il Dipartimento di Sociologia, Università del Minnesota (USA). Ricordo che l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha convenuto che tutti gli incarichi indicati siano attribuiti per la durata dell'inchiesta e che si intendano a tempo parziale e non retribuito e che ciascun incarico sia riferito all'espletamento di compiti di volta in volta attribuiti con indicazioni singole e specifiche. Alla predetta consulente sarà riconosciuto l'eventuale rimborso delle spese debitamente documentate, sostenute in occasione dell'espletamento di tali specifici compiti.

(Se nessuno chiede di intervenire).

  Comunico che si intende che la Commissione abbia convenuto su quanto proposto. Avverto che la presidenza avvierà le procedure autorizzatorie, ove previste, per assicurare l'avvio delle collaborazioni sopraindicate.

  La seduta termina alle 13.30.