XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta su sicurezza e degrado delle città

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Martedì 14 marzo 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Causin Andrea , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti dell'Associazione controllo del vicinato e del consigliere delegato alla sicurezza partecipata del Comune di Venezia, Enrico Gavagnin:
Causin Andrea , Presidente ... 3 ,
Caccetta Francesco , vicepresidente dell'Associazione controllo del vicinato ... 3 ,
Gavagnin Enrico , consigliere delegato alla sicurezza partecipata del Comune di Venezia ... 9 ,
Causin Andrea , Presidente ... 12 ,
Caccetta Francesco , vicepresidente dell'Associazione controllo del vicinato ... 12 ,
Piso Vincenzo (Misto-USEI-IDEA)  ... 12 ,
Morassut Roberto (PD)  ... 13 ,
Caccetta Francesco , vicepresidente dell'Associazione controllo del vicinato ... 13 ,
Piso Vincenzo (Misto-USEI-IDEA)  ... 14 ,
Caccetta Francesco , vicepresidente dell'Associazione controllo del vicinato ... 14 ,
Piso Vincenzo (Misto-USEI-IDEA)  ... 14 ,
Caccetta Francesco , vicepresidente dell'Associazione controllo del vicinato ... 14 ,
Morassut Roberto (PD)  ... 14 ,
Caccetta Francesco , vicepresidente dell'Associazione controllo del vicinato ... 14 ,
Morassut Roberto (PD)  ... 14 ,
Caccetta Francesco , vicepresidente dell'Associazione controllo del vicinato ... 15 ,
Gavagnin Enrico , consigliere delegato alla sicurezza partecipata del Comune di Venezia ... 15 ,
Caccetta Francesco , vicepresidente dell'Associazione controllo del vicinato ... 15 ,
Morassut Roberto (PD)  ... 15 ,
Caccetta Francesco , vicepresidente dell'Associazione controllo del vicinato ... 15 ,
Causin Andrea , Presidente ... 16 

Audizione dell'architetto Matteo D'Ambros, ricercatore presso l'Università Iuav di Venezia:
Causin Andrea , Presidente ... 16 ,
D'Ambros Matteo , ricercatore presso l'Università Iuav di Venezia ... 16 ,
Mannino Claudia (M5S)  ... 21 ,
D'Ambros Matteo , ricercatore presso l'Università Iuav di Venezia ... 21 ,
Mannino Claudia (M5S)  ... 21 ,
Morassut Roberto (PD)  ... 21 ,
D'Ambros Matteo , ricercatore presso l'Università Iuav di Venezia ... 22 ,
Morassut Roberto (PD)  ... 23 ,
D'Ambros Matteo , ricercatore presso l'Università Iuav di Venezia ... 23 ,
Morassut Roberto (PD)  ... 23 ,
D'Ambros Matteo , ricercatore presso l'Università Iuav di Venezia ... 23 ,
Morassut Roberto (PD)  ... 23 ,
D'Ambros Matteo , ricercatore presso l'Università Iuav di Venezia ... 23 ,
Causin Andrea , Presidente ... 24 ,
Mannino Claudia (M5S)  ... 24 ,
Causin Andrea , Presidente ... 24

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ANDREA CAUSIN

  La seduta comincia alle 10.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, in seguito, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione controllo del vicinato e del consigliere delegato alla sicurezza partecipata del Comune di Venezia, Enrico Gavagnin.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti dell'Associazione controllo del vicinato, che ha delegato a rappresentarla il dottor Francesco Caccetta, e del consigliere delegato alla sicurezza partecipata del Comune di Venezia, Enrico Gavagnin, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Come convenuto nella riunione dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, gli interventi dei deputati componenti la Commissione dovranno essere contenuti entro i cinque minuti.
  Do la parola al comandante Caccetta e poi al dottor Gavagnin, con riserva per me e per i colleghi di rivolgere loro, al termine dei loro interventi, domande e richieste di chiarimento.

  FRANCESCO CACCETTA, vicepresidente dell'Associazione controllo del vicinato. Ringrazio per averci chiamato a parlare di questo problema così importante, del quale ci stiamo occupando già da moltissimi anni. Personalmente sono almeno trent'anni che studio tutte le dinamiche della sicurezza urbana, per cercare di cogliere delle opportunità per i cittadini per migliorare la situazione che abbiamo in Italia ormai da molti anni, situazione che analizzandola non ci porta a pensare esclusivamente al crimine, quindi alla percezione del crimine da parte dei cittadini, ma anche a tutte le altre cose di contorno, che sono anche più fastidiose del crimine stesso. Parliamo degli atti di inciviltà, e questa è la Commissione adeguata perché, parlando di degrado, è la prima cosa della quale ci occupiamo, perché le situazioni di degrado sono segni di inciviltà, quelli che vengono percepiti dal cittadino più del crimine stesso e più della percezione dell'insicurezza, o meglio, come abbiamo potuto constatare, la percezione dell'insicurezza avviene soprattutto quando ci sono evidenti segni di degrado e di inciviltà all'interno dei territori. I segni di inciviltà nel territorio vengono percepiti dal cittadino come qualcosa di anomalo rispetto a com'era abituato a vivere nel proprio territorio, quindi diventa un fattore anche psicologico: vedere che il proprio territorio cambia, aumentano i segni inciviltà, aumenta il degrado, che siano l'immondizia lasciata in giro, le strade sporche, i graffiti sui muri o le finestre rotte, inciviltà infastidisce il cittadino. Questo disagio psicologico inizialmente viene vissuto in maniera personale dal cittadino, ma successivamente viene condiviso con le altre persone all'interno della comunità; quando questo avviene si mette a rischio la coesione sociale, con il conseguente ritiro dai luoghi pubblici. Nel momento in cui avviene il ritiro dai luoghi pubblici perché le Pag. 4persone non si sentono più sicure nell'ambiente in cui stanno vivendo, capiamo bene che questo stato d'animo sociale non favorisce il senso d'appartenenza, e quando viene meno il senso di appartenenza la gente inizia a vedere come ostili anche i propri territori, e questo diventa un grande problema. Quando viene meno il senso di comunità, inizia a venir meno anche la possibilità di garantire la sicurezza. Come sappiamo, la sicurezza avviene sia con il controllo formale che viene garantito dalle forze dell'ordine o dagli enti preposti a questo tipo di attività, quindi amministrazioni, forze dell'ordine, magistratura, sia con il controllo informale che avviene tramite la vita quotidiana dei cittadini che fra loro interagiscono e cercano di tutelarsi a vicenda anche solo con l'osservazione di quello che avviene nel territorio, cercando di rendersi meno vulnerabili.
  Per quanto riguarda il discorso della prevenzione in queste situazioni, i cittadini non hanno né il potere, né il dovere di provvedere alla sicurezza, al controllo formale, quindi con gli studi che abbiamo fatto durante tutti questi anni, ci basiamo su teorie criminologiche che esistono dagli anni ’70 (non abbiamo scoperto niente di nuovo, abbiamo soltanto messo insieme delle idee, cercando di portare un contributo concreto), che stanno funzionando, perché il controllo del vicinato è presente ormai in quasi 600 comuni italiani e che si fondano su elementi molto semplici. Si basano infatti sull'eliminazione delle opportunità per i delinquenti di delinquere in quel determinato territorio, visto che quanto chiedono i cittadini, ossia l'aumento delle forze dell'ordine e la certezza della pena, non sono argomenti attualmente effettuabili in Italia. Vorrei ricordare poi che, come ribadisco sempre quando vado nelle riunioni con i cittadini a parlare di controllo del vicinato, insieme a Gesù Cristo in croce c'erano due ladroni, quindi siamo consapevoli che già da 2017 anni esistono i ladri, forse anche prima. Questa è una constatazione che a volte non facciamo. Se in 2017 anni ancora abbiamo i ladri e ne abbiamo tanti, evidentemente non dico che sbagliamo qualcosa, ma forse ci focalizziamo troppo sul criminale e meno sul crimine.
  Vorrei dire anche che, con il passare dei secoli, dai primi anni dopo Cristo ad oggi si sono succedute molte tipologie di governo nei territori, siamo passati dalla crocifissione dei ladri al taglio delle mani al resto, quindi anche la certezza della pena sicuramente ci vuole e tutti la auspichiamo, però non è così scontato che diminuiscano i reati, ma diminuiscono i ladri. Secondo me questo non è avvenuto in tutti questi anni, quindi probabilmente non è questa la strada da seguire. Credo che sia importante non focalizzarci troppo sulla presenza dei ladri, di cui si occupano logicamente le forze dell'ordine e il controllo formale, ma su come fare per diminuire i furti: questa è l'attività sulla quale si è concentrato il controllo del vicinato. In questi anni abbiamo lavorato molto su questo aspetto e abbiamo cercato di insegnare ai cittadini le tecniche per diminuire la possibilità dei ladri di delinquere in un determinato territorio.
  Abbiamo creato questa associazione, vi dico velocemente com'è nata e quello che fa, perché oggi dobbiamo parlare non dell'associazione, ma del progetto. Questa associazione nasce dall'idea di tre persone che sono l'anima del progetto stesso, perché le tre persone sono un semplice cittadino, un consigliere comunale, quindi uno che fa parte dell'amministrazione comunale, e un componente delle forze dell'ordine. Questi tre personaggi hanno inventato il progetto del controllo di vicinato, mettendosi a tavolino e discutendo su alcune questioni che stavano portando avanti in maniera individuale, e hanno messo insieme le idee per fare un progetto unico.
  Gianfrancesco Caccia, che è il presidente dell'associazione ed è il cittadino, ha portato la sua esperienza dall'estero, perché andando negli Stati Uniti ha potuto conoscere i neighborhood watch presenti in quel territorio, ha vissuto positivamente una situazione di controllo da parte di questi gruppi e quando è tornato nel suo territorio in Italia ha parlato con il suo sindaco e ha avviato da subito questo tipo di partecipazione attiva dei cittadini insieme Pag. 5 alle forze dell'ordine e all'amministrazione, per dare un contributo di osservazione di episodi sul territorio che potevano essere prodromici di crimini, segnalandoli al 112, ai carabinieri o alla polizia. Ha inventato il famoso cartello per il controllo del vicinato, questo cartello giallo con all'interno una famiglia stilizzata e la scritta «zona controllo del vicinato». Si sono unite poi le altre due persone, io e Leonardo Campanale, che facevamo nei nostri territori analoghi studi su come diminuire i crimini all'interno dei propri territori. È stato portato quindi l'apporto di queste teorie criminologiche. Di fatto, quindi, l'Associazione controllo del vicinato, che nasce nel 2009 come progetto, nel 2013 nasce come controllo del vicinato, progetto amplificato con queste cose che ho detto adesso, e nel 2015 nasce l'associazione. Di fatto siamo presenti dal 2009 nel territorio italiano e cosa abbiamo scoperto che può servire ai cittadini per difendersi da questa attuale situazione di degrado sia delle periferie, sia dei piccoli centri urbani e dei paesi? Il controllo del vicinato riguarda infatti dal semplice condominio alla villetta, alla casa isolata e alla città. Il nostro progetto si basa su tre pilastri fondamentali, che ci hanno permesso di capire per quale motivo ci fossero tanti reati all'interno dei territori. Vi dico subito che i risultati dove questo progetto è stato applicato sono molto evidenti, nel senso che aumenta la possibilità da parte delle forze dell'ordine di captazione di persone di interesse operativo nei territori, con l'applicazione dei fogli di via, e aumenta la percezione della sicurezza da parte dei cittadini perché percepiscono questo circolo virtuoso tra amministrazioni cittadine e forze dell'ordine, che prima si era fatto un po’ lasco.
  Come dicevo, il nostro progetto si basa su tre pilastri fondamentali. Il primo è il recupero della coesione sociale, così come avevamo prima, perché qui abbiamo tutti superato i trenta anni e quindi ci ricordiamo benissimo che molti anni fa in Italia, nei quartieri e anche nelle periferie (sono nato a Primavalle, quindi sono romano nato in una periferia che, se parliamo di degrado, forse quando ero ragazzo era abbastanza degradata, e ci ho vissuto fino a che non sono partito) c'era una grandissima coesione sociale, una grande attenzione e un controllo informale da parte di tutti gli abitanti della zona, quindi, se si litigava fra ragazzi nel cortile, si affacciavano dieci mamme, eravamo tutti controllati, se succedeva qualcosa, tutti sapevano tutto, c'era il vicino che ti veniva a chiedere il sale o il bicchiere di latte, le porte erano di legno e non c'erano porte blindate. Abitavo a Primavalle dove c'erano le case popolari, ai cosiddetti «grattacieli», al lotto 19, sono vissuto lì perciò ho la percezione di questa vita, di questa coesione sociale che esisteva prima anche in quartieri degradati come i quartieri romani degli anni ’70, prima dell'arrivo della droga e anche subito dopo. Questa esperienza mi ha fatto capire che abbiamo già questo capitale sociale, così come diceva Robert Putnam quando ha studiato le regioni italiane negli anni ’70, quando sono nate. Abbiamo questo capitale sociale, abbiamo già questo sentimento di coesione, di partecipazione, di convivenza, ma bisogna risvegliarlo, perché è venuto meno per le cose che ho detto prima. Più aumentano gli atti di inciviltà, più aumenta il degrado, più la gente si distacca dalla vita sociale, dalla frequentazione dei luoghi pubblici, e più arriva il degrado e il distacco morale. Abbiamo questo capitale sociale e quindi dobbiamo reinsegnare, come stiamo facendo noi (questa sembra l'arma vincente, per questo lo dico con enfasi), a recuperare la coesione sociale, che può avvenire all'interno dei territori anche laddove, come ormai un po’ dappertutto, abbiamo una multiculturalità e una multi-etnia. Ormai non abbiamo più territori dove esistono soltanto gli stanziali, abbiamo anche tutta una serie di insediamenti di cittadini stranieri che stanno anche collaborando in questo senso, cioè si integrano facendoli sentire parte di una comunità, dare un senso di comunità anche a quelli che sono gli stranieri, che ormai nei territori sono numerosi. Coinvolgere anche gli stranieri aumenta il senso di appartenenza a un territorio. Il primo pilastro quindi è educare i cittadini a tornare Pag. 6al concetto di coesione sociale, alla vita di cortile, al recupero della coesione sociale di tutti gli abitanti di un territorio.
  La seconda cosa molto importante, che cerco sempre di far capire bene ai cittadini perché la ritengo la più importante – come ho scritto nel mio libro di cui avrò il piacere di donare una copia a ognuno di voi, intitolato L'occasione fa bene al ladro – perché in questi anni abbiamo valutato anche il fatto che spesso l'azione criminale dei delinquenti predatori, quindi dei ladri e dei truffatori, avviene non sempre per una serie di combinazioni favorevoli alla sua personalità o perché è tanto bravo, in quanto la maggior parte dei ladri non è costituita da professionisti, ma avviene perché la vita frenetica del cittadino medio italiano è fatta di tanti momenti veloci di distrazione, di scarsa attenzione alle proprie vulnerabilità ambientali e comportamentali. Vediamo quindi cittadini che scrivono su Facebook che stanno partendo per le vacanze e quindi offrono il fianco dicendo che staranno via 15 giorni, lasciando libere le proprie case; abbiamo cittadini che lasciano ancora la chiave attaccata alla porta oppure si mettono le inferriate al primo piano, al secondo no, e poi lasciano la scala sulla pianta in giardino; abbiamo quelli che lasciano il giardino picconi, asce, attrezzi facilmente utilizzabili dai ladri per compiere furti, perché sappiamo tutti che i ladri sono consapevoli del fatto che, se portassero attrezzi da scasso in macchina e venissero fermati dalle forze dell'ordine per un controllo, sarebbero soggetti a denunce per possesso ingiustificato di attrezzi da scasso, quindi nella maggior parte dei casi evitano di portarseli dietro perché sanno che tanto li trovano all'interno dei giardini e delle pertinenze delle abitazioni delle persone. È necessario quindi insegnare ai cittadini come eliminare le proprie vulnerabilità ambientali e comportamentali, per non offrire le occasioni ai ladri di turno. Questo è un compito molto arduo, che purtroppo ci costringe a fare una grande opera di persuasione, perché la pigrizia che deriva dalla vita frenetica di tutti i giorni non sempre permette di ottenere risultati, quindi il progetto funziona laddove le persone comprendono l'efficacia del progetto e si applicano per questo, altrimenti non funziona. Questo era il secondo pilastro.
  Il terzo pilastro, anche questo molto importante, necessita di una piccola premessa: abbiamo scoperto l'acqua calda, perché i cittadini che vogliono collaborare con le forze dell'ordine esistono da sempre, tanto che dico sempre che noi non rientriamo nella legge Maroni (spesso qualcuno ce lo chiede) per quanto riguarda i gruppi di osservatori civici, perché ognuno del controllo di vicinato lavora in maniera indipendente, non esistono passeggiate, non esistono ronde, siamo l'antitesi delle ronde. Questo ci dà la forza di non dover rientrare nelle categorie previste dal decreto che ho citato prima, in quanto ognuno fa le segnalazioni per proprio conto. Questa peculiarità dei cittadini italiani c'è sempre stata, molti cittadini fanno segnalazioni alle forze dell'ordine per dire che c'è un'anomalia, che c'è una persona o una macchina sospetta sotto casa loro. Il problema è che spesso, non essendo poliziotti o carabinieri, non sanno però che per fare una segnalazione occorre dare almeno il numero di targa per rendere la segnalazione qualificata e dare alle forze dell'ordine la possibilità di verificare se sia utile e attenzionabile, anche perché non esistono centinaia di macchine delle forze dell'ordine, in giro, in alcune località magari ce n'è una sola e, se arrivano tre o quattro segnalazioni di tipo non qualificato, è facile che la centrale operativa non sappia dove mandare la macchina, mentre la segnalazione qualificata potrebbe servire a indirizzare la macchina proprio in quel posto.
  Il terzo pilastro perciò è insegnare ai cittadini a fare segnalazioni qualificate alle forze dell'ordine. Riepilogando, il primo pilastro è il recupero della coesione sociale dei cittadini all'interno dei territori, il secondo insegnare a eliminare le vulnerabilità ambientali e comportamentale di ognuno per rendere meno agevole il compito al ladro, terzo pilastro quello di insegnare ai cittadini come fare segnalazioni qualificate alle forze dell'ordine.
  Come sono strutturati i gruppi di controllo del vicinato? Il controllo del vicinato Pag. 7viene effettuato dai cittadini in forma libera, quindi senza nessun tipo di aggregazione, se non quella di fare riunioni dove si parla, si condividono le esperienze, si promette mutua assistenza all'interno dei propri territori, ma non abbiamo né passeggiate, né ronde, quindi ognuno agisce in maniera individuale e indipendente. Il cittadino che nel proprio territorio individui una situazione anomala, una macchina sospetta con tre persone a bordo o situazioni analoghe, non fa altro che chiamare il 112 e fare una segnalazione qualificata. In seguito potrebbe condividere questa informazione su sistemi tecnologici, ad esempio le chat di whatsapp. Tengo però a precisare che non bisogna individuare il controllo di vicinato con le chat, le ronde su whatsapp, come spesso i giornali e i media dicono, perché non ha niente a che vedere. Non siamo whatsapp, ma lo utilizziamo quando la segnalazione è stata fatta per condividere l'informazione con gli altri cittadini che fanno parte dei gruppi, sempre dopo aver fatto la segnalazione alle forze dell'ordine, mai prima. Dato che non tutti hanno whatsapp (le persone anziane e quelle che non hanno smartphone non ce l'hanno) e che il controllo di vicinato è un progetto di inclusione, di collaborazione, di condivisione, è impensabile utilizzare solo le chat di whatsapp. Significa che la persona che fa parte del gruppo che viene a conoscenza di una segnalazione di una truffa in atto in quel territorio come ad esempio la truffa dello specchietto, oltre a segnalare alle forze dell'ordine, logicamente condivide la notizia sui gruppi di whatsapp e tutte le persone ne vengono a conoscenza. La truffa dello specchietto viene effettuata in questo modo: la macchina con l'anziano che sta percorrendo la strada all'improvviso sente un urto che potrebbe essere causato da un lancio di una noce o di un sasso sulla macchina del poveretto, che viene fermato di lì a poco e qualche personaggio poco perbene gli dice: «guarda, non te ne sei accorto, ma mi hai urtato, mi hai rotto lo specchietto» e quindi chiede di poter arrivare a una conclusione a breve, senza ricorrere all'assicurazione che farebbe aumentare il canone alla persona interessata, quindi propone un accordo per 100 o 50 euro, a volte anche quello che ha in tasca, per riparare la situazione. Questa è una vera e propria truffa molto in voga, ma in Italia ne abbiamo tantissime. Non tutti gli anziani sono però così sprovveduti da caderci, qualcuno ci cade perché la situazione contingente è imbarazzante, però a quello che non ci cade, avendo la consapevolezza di far parte di un gruppo di controllo del vicinato, non passerà mai per la mente di non avvisare subito gli altri, e avvisare gli altri significa mettere in condizioni centinaia di persone in quel territorio di non cadere nella stessa truffa. È necessario quindi avvisare subito le forze dell'ordine e poi condividere le informazioni sui gruppi di whatsapp, che spargono poi la voce anche a coloro che non hanno whatsapp, quindi andando a fare il solito lavoro che si faceva una volta, o si telefona alla persona che non ha whatsapp oppure si va a bussare alle porte. Questo sta avvenendo e abbiamo ottimi risultati in questo senso.
  Il controllo del vicinato è quindi strutturato, possono entrare all'interno dei gruppi di controllo del vicinato soltanto le persone che hanno fatto formazione, per evitare quei rischi che lo Stato e le istituzioni spesso temono, ossia che qualcuno possa improvvisarsi giustiziere di turno. Insegniamo con una formazione frontale, quindi con un incontro con coloro che vogliono iscriversi ai gruppi di controllo del vicinato, e insegniamo la filosofia del controllo di vicinato, insegniamo le modalità con le quali poter attuare il progetto e soprattutto insegniamo cosa non fare. I cittadini che fanno parte dei gruppi di controllo del vicinato sanno benissimo che non devono interagire con i ladri, non devono fare nessuna attività fisica a contrasto dei ladri, se non quella di osservare, ascoltare e chiamare il 112. Questa è l'unica attività che svolgono i gruppi di controllo del vicinato. I gruppi di controllo del vicinato vengono formati da un formatore, che viene mandato dall'associazione, che fa formazione ai componenti del gruppo. Dopodiché, i gruppi hanno nominato un coordinatore, che non è altro che un anello di congiunzione tra il Pag. 8gruppo di controllo del vicinato, quindi quelle 15-20 persone (dipende dai territori e dalle modalità con le quali vengono creati i gruppi), l'associazione e le istituzioni, quindi il coordinatore ad esempio va a trovare il comandante della stazione dei carabinieri o della polizia locale o il referente della polizia locale che è stato nominato quale referente del controllo di vicinato, come sta avvenendo in molte città d'Italia, e va a ricevere gli alert, per cui, se il comandante della stazione o il comandante della polizia municipale lo informa che nel territorio limitrofo stanno facendo truffe ad anziani, divulga la notizie ai gruppi di controllo del vicinato così non ci facciamo trovare impreparati. È un po’ la filosofia di Sun Tzu, che diceva che l'arte della guerra consiste non nel confidare che il nemico non arriverà mai, ma nel farsi trovare preparati quando il nemico arriverà, quindi cercare di creare una sorta di protezione dei cittadini, rendendoli consapevoli delle loro possibilità di mettersi in sicurezza con sistemi legali, senza correre nessun rischio e senza andare a contrasto e sostituirsi alle forze dell'ordine. Questa è la cosa più importante.
  Questi gruppi vengono creati dopo la formazione, il coordinatore è il punto di riferimento per notizie di ampio respiro, cioè, se in quel territorio ad esempio c'è una situazione di degrado portata da spacciatori all'interno di un parco, a parte le segnalazioni istantanee che possono fare i singoli abitanti se vedono situazioni contingenti di spaccio, il coordinatore può andare dalle forze dell'ordine, dal sindaco o dalla polizia locale a dire che quelli del suo gruppo gli hanno segnalato questa situazione, dettagliandola il più possibile, circostanziandola, in modo da portare una notizia qualificata alle forze dell'ordine. Altro non devo fare. Non c'è nessun coinvolgimento, come ho detto prima, non diventano agenti segreti delle forze dell'ordine, è soltanto una mera comunicazione e segnalazione di un fatto reato. Questo è quello che fa il coordinatore. A loro volta i coordinatori dei vari gruppi sono «gerarchicamente» (non c'è alcuna attività militare) dipendenti da un referente di zona, che parla a nome dell'associazione con i livelli più alti, le prefetture, i sindaci. Il referente fa capo all'associazione, è un socio dell'associazione, quindi parla a nome dell'associazione. Questo è il quadro generale dell'associazione controllo del vicinato.
  Attualmente siamo presenti in quasi 600 comuni italiani, dato che dovrebbe interessare perché la Commissione sta cercando di trovare soluzioni per il degrado delle periferie e quindi ai cittadini, potrebbe valutare l'idea di divulgare il progetto (sia ben chiaro, noi non vendiamo niente, nell'associazione è tutto assolutamente gratuito, anche la concessione del logo, quindi non c'è alcun interesse a divulgare l'associazione in se stessa). Quelli che aderiscono al controllo del vicinato non devono diventare soci dell'associazione, le famiglie non sono socie dell'associazione, i soci dell'associazione sono soltanto quelli che vogliono diventarci per motivi personali o coloro che intendono fare i formatori, ma è una questione di garanzia per noi, per sapere che chi va a parlare a nome dell'associazione conosca bene il progetto e sappia esattamente quello che deve dire. Per costoro l'associazione ha previsto una giornata formativa con il rilascio di un attestato di formatori della durata di 8 ore, che viene fornita dal «Centro studi per la sicurezza, la legalità e la giustizia» di Marco Strano, che è un criminologo conosciuto, formazione in cui vengono spiegate tutte le teorie, il funzionamento esatto dei gruppi e cosa dire quando si va a fare formazione per evitare di tralasciare qualcosa del progetto e di parlare di cose che non c'entrano niente. Questo è quello che ci tenevo a dire. Questa Commissione potrebbe quindi valutare questa opportunità. Abbiamo infatti una difficoltà: la diffidenza da parte di alcune istituzioni, una diffidenza scontata ed evidente perché non tutte le prefetture d'Italia o i sindaci possono conoscere il progetto. Abbiamo fatto un passaggio con Franco Gabrielli quando era prefetto di Roma, che chiamò me personalmente nel suo ufficio per discutere di questo argomento, era entusiasta del progetto, tanto che è venuto con me e con Marco Strano a fare due incontri a Roma nel IX Municipio, Pag. 9parlando anche lui del controllo di vicinato e invogliando i cittadini ad aderire, perché secondo lui era un progetto di risposta molto importante alle ronde, che sono la prima cosa che viene in mente ai cittadini. Un altro step lo abbiamo fatto con l'allora Ministro dell'interno Angelino Alfano, è avvenuto a novembre, poco prima che cadesse il Governo, io sono stato ricevuto dal Ministro Alfano e ho parlato con lui una quarantina di minuti di questo progetto e anche lui era entusiasta, tanto che avevamo fissato un ulteriore incontro nel Dipartimento di pubblica sicurezza insieme a Gabrielli, che purtroppo non è potuto avvenire per le note vicende. Stiamo aspettando che si creino i presupposti per poter ricominciare questo dialogo. Il progetto quindi è stato attenzionato dalle istituzioni, che lo hanno considerato un progetto valido. Ho chiesto all'onorevole Alfano quando siamo andati nel suo ufficio di non dirci quanto siamo bravi e belli, ma di far analizzare da un suo team del Ministero dell'interno il progetto soprattutto per riferirci eventuali criticità, perché a noi interessa camminare sul filo della giustizia e della legalità, non vogliamo assolutamente intaccare le politiche di sicurezza del Governo. Volevamo essere in linea con le politiche del Governo sulla sicurezza, cercare di essere utili con il nostro know how, con la nostra esperienza alle politiche di sicurezza che verranno via via dettate dal Governo. Il messaggio più importante che lanciamo è proprio questo: cercare di comprendere come i cittadini in questo momento siano spaventati più dall'inciviltà e dal degrado che dal crimine. Purtroppo l'abbandono del territorio, il mancato senso di appartenenza dei cittadini causa più danni del crimine stesso che comunque è sempre un grande problema.

  ENRICO GAVAGNIN, consigliere delegato alla sicurezza partecipata del Comune di Venezia. Onorevole presidente, onorevoli commissari, vorrei rivolgere un sentito ringraziamento per l'opportunità che mi viene offerta di svolgere un punto sullo stato della sicurezza partecipata nel Comune di Venezia (sono consigliere delegato alla sicurezza partecipata), partendo dai temi relativi al problema sicurezza del nostro territorio, all'incidenza e alla tipologia di reati commessi, compreso il tema delle occupazioni illegali di immobili pubblici e privati. Volevo anche dire che il mio intervento è esattamente complementare a quello del dottor Caccetta, uno dei tre responsabili nazionali dell'Associazione controllo del vicinato, perché tutto quello che avete sentito adesso dal dottor Caccetta lo stiamo sperimentando sul territorio come modello di sviluppo. Spero che diventi un modello di sviluppo dei gruppi di questo fenomeno sociale, perché a Venezia questo è diventato per noi un gigantesco termometro sociale sui servizi resi alla cittadinanza da parte dell'amministrazione comunale.
  Nasce infatti sicuramente con scopi sicuritari, quindi l'attenzione verso la proprietà del vicino l'attenzione e la propria proprietà, il contrasto alla criminalità diffusa, ma, quando andiamo ad esaminare le segnalazioni dei gruppi whatsapp e i messaggi del controllo di vicinato, (sono all'interno di tutti i gruppi del controllo del vicinato del comune di Venezia), emerge che, come diceva il dottor Caccetta, il punto diventa il degrado sociale, le inciviltà. Vediamo che la paura del crimine arriva al quinto o sesto posto. Il più delle volte, almeno nel nostro territorio, abbiamo rilievi dei cittadini per quanto riguarda l'illuminazione pubblica, l'abbandono di spazzatura, la buca sulla strada, la presenza di ratti. Poi c'è anche il fenomeno delle persone sospette su quella strada, la paura del furto dell'abitazione, ma prima di tutto c'è il degrado, perché il luogo che si percepisce come degradato si percepisce come insicuro, quindi su questo il singolo cittadino chiede l'intervento dell'amministrazione locale. Se prima del nostro intervento, della nostra sperimentazione di avvicinamento e di ausilio verso il controllo del vicinato, il cittadino si muoveva individualmente, ponendo all'attenzione del comune attraverso il sistema IRIS, un sistema telematico di segnalazione, o attraverso i comitati, adesso con questo avvicinamento al sistema di segnalazione del controllo del vicinato lo stiamo standardizzando, e questo credo sia eccezionale. Pag. 10
  Vi fornirò anche alcuni documenti che provengono direttamente dai coordinatori dei vari gruppi del controllo di vicinato, che inviano alla mia segreteria della sicurezza partecipata una serie di segnalazioni sul degrado, e mi chiedevano anche di fare i nomi. Abbiamo un coordinatore del controllo di vicinato di via Torre Belfredo, via centralissima di Mestre, della terraferma veneziana, con oltre 200 aderenti al gruppo, dottoressa Chiara Stella Berton, una psicologa, dalle cui mail risulta proprio questo, cioè l'inciviltà. Lei mi raccomanda sempre di stare attento perché le insicurezze dei cittadini si fondano proprio su questi personaggi che si gettano nel fiume, fanno il bagno all'interno della città, dall'abbandono dei rifiuti, dai topi che girano sul greto del fiume. Questi sono i punti fondamentali per quanto riguarda i coordinatori. Anche il dottor Lucchetta, nuovo aderente del controllo di vicinato, mi ha detto che vicino alla stazione, dove come forze dell'ordine si interviene quotidianamente (appartengo alla Polizia di Stato, faccio polizia scientifica da trent'anni, il dottor Caccetta è un appartenente ai carabinieri) il problema è sicuramente lo spaccio, ma c'è anche un grosso problema sanitario, che abbiamo segnalato ma non riusciamo a risolvere, ossia quell'ammasso di ragazzotti che si mettono in quella via nascosta, in via Col di Lana, dietro alla ferrovia, che è una latrina a cielo aperto. Il dottor Lucchetta è un medico in pensione e pone l'accento su queste cose. È questo il grande termometro sociale. Abbiamo fatto anche il passo successivo e un gruppo che si è formato da tre settimane al villaggio Sartori, il cui coordinatore è un polacco, (abbiamo molti stranieri all'interno dei gruppi del controllo di vicinato nel comune di Venezia e alcuni di questi si sono proposti anche come coordinatori) e ha fatto anche un passo in più assieme a sua moglie, Laura Besio, quindi abbiamo questa commistione tra stranieri, italiani e stranieri di seconda generazione che intervengono nei gruppi del controllo del vicinato. Da quando si sono posti come gruppo del controllo del vicinato del villaggio Sartori sul Terraglio, che è una grossa arteria comunicativa che porta verso Treviso, in questo primo mese hanno fatto una segnalazione al numero dedicato (poi vi spiegherò la struttura che abbiamo dato al sistema di coordinamento con il controllo del vicinato) su un tentativo di furto, ma tutte le altre segnalazioni che riguardano l'illuminazione, la spazzatura che viene portata da altre province, le buche; hanno lasciato questo messaggio sulla mia segreteria, abbiamo interagito con altri assessorati e fra pochi giorni faremo un sopralluogo con i tecnici degli assessorati competenti per cercare di modificare questi bisogni che emergono da quel piccolo nucleo di case popolari. Il villaggio Sartori è un ex villaggio industriale. Si sta quindi espandendo a vista d'occhio. La mia delega è del 2 agosto 2016 e al momento della mia nomina trovavo cinque gruppi di controllo del vicinato su tutto il territorio comunale per un totale di 850 aderenti, dopo cinque mesi siamo a 1.800 aderenti con 25 gruppi. I gruppi iniziali erano fermi a cinque gruppi da circa due anni e l'intervento dell'amministrazione comunale attraverso un'ampia campagna di promozione ha fatto in modo che esplodesse il fenomeno del controllo del vicinato, ed è stata una rivelazione. L'abbiamo strutturata e per questo spero che diventi un modello per Venezia. L'abbiamo strutturata su tre step fondamentali.
  Abbiamo costruito un primo gruppo di incontri informativi generali sul controllo di vicinato, dei quali abbiamo sempre avvisato la prefettura, c'è stata la firma di un protocollo d'intesa nel settembre 2016 tra la prefettura e i 18 comuni dell'area metropolitana di Venezia proprio sul controllo di vicinato. Abbiamo costruito questo primo step, l'incontro informativo generale sul controllo di vicinato, informata la prefettura con una settimana di anticipo la prefettura ci manda sempre tre funzionari delle forze di polizia, polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza, il comune pone a disposizione l'ufficiale della polizia municipale, intervengo io e soprattutto interviene il responsabile regionale del controllo di vicinato. Cosa succede dopo questo primo step? Immediatamente, come abbiamo visto fin da ottobre perché abbiamo iniziato questi incontri il 10 ottobre e li stiamo Pag. 11ancora continuando, dopo questo primo incontro si forma quasi da subito, in alcuni casi istantaneamente, sul posto il primo gruppo di vicinato, quindi abbiamo avuto bisogno di formare un secondo step, che abbiamo denominato «incontro informativo tecnico» sui gruppi whatsapp del controllo del vicinato, per radunare immediatamente i 20-30 aderenti al controllo di vicinato di quel gruppo, fare in modo che eleggano i loro coordinatori da uno a tre, e da quel momento ci siamo accorti dell'importanza del coordinatore, che fa lo screening di tutte le segnalazioni del suo gruppo, quindi è fondamentale per evitare l'effetto ridondanza verso la Centrale operativa telecomunicazioni, il COT, in questo caso della polizia municipale, quindi è stato necessario istituire un numero dedicato ai coordinatori del controllo del vicinato presso la centrale operativa, dove tutti i coordinatori potessero telefonare per inviare la loro segnalazione di prevenzione. A questo punto è emerso il bisogno di formare un terzo step, lo step dell'incontro formativo per i coordinatori del controllo di vicinato, dove noi come amministrazione locale non forniamo il coordinatore, ma lo poniamo in comunicazione con il responsabile della sala operativa del COT, la Centrale operativa telecomunicazioni. Quindi il pacchetto dati che deve avere un determinato standard viene spiegato attraverso questo incontro formativo tra il responsabile del COT e i vari coordinatori. Di questi incontri pubblici e tecnici e incontri formativi ne abbiamo fatti più di 30 da ottobre fino adesso, e ne stiamo continuando a fare. Questo è quello che stiamo facendo, che stiamo sperimentando sul territorio veneziano.
  Come diceva anche il dottor Gabrielli, si parte dalla considerazione che i reati complessivamente sono calati nel territorio veneziano almeno del 15 per cento, come diceva anche l'ex prefetto Cuttaia già nel dicembre del 2016, ma alcuni reati sono calati di più come appunto le rapine, gli omicidi, e gli stessi furti con destrezza sono passati da 5000 a 4000, i furti di autovetture da 254 a 17, le persone denunciate sono state più di 5.000, quindi le forze di polizia funzionano. I reati sono calati ma, come diceva il Capo della polizia, purtroppo questo incremento della sicurezza rilevata non è accompagnato dal parallelo innalzamento del livello della sicurezza percepita, e lo diceva proprio in questa sede a gennaio di quest'anno. Nelle periferie conosce punti di sofferenza non trascurate. Qui mi riallaccio a quello che diceva il dottor Caccetta prima, cioè il senso di insicurezza viene continuamente alimentato dal disagio, perché ci sono le buche e i ratti che invadono la zona, o questo sentimento di disagio sociale continuo che non fa altro che allontanare le persone da quel luogo, desertificando il luogo e facendo in modo che persone devianti raggiungano i luoghi abbandonati dalle persone che non sono solo devianti per non usare altre metafore. Noi ci stiamo provando ed è solo un primo step. Mi dispiace non aver portato dati statistici, sono presidente della Commissione sicurezza anche presso il Consiglio comunale di Venezia e amo avere i dati preventivamente, prima di andare in Commissione. Purtroppo è talmente nuovo questo fenomeno e l'approccio dell'amministrazione comunale verso l'associazione controllo del vicinato che potremo avere i dati statistici fra 9-10 mesi. Per adesso si evince è che i gruppi sono aumentati in maniera aritmetica, da cinque gruppi del 2 agosto fermi da un paio d'anni a 25 al 1 marzo, da 800 aderenti siamo passati a 1800 e ancora se ne stanno aggiungendo. Questo sistema credo che si auto-generi, è autopoietico ed è auto-generativo proprio perché bisogna entrare nella rete sociale, quindi se l'amministrazione comunale attraverso i suoi consiglieri, informando la prefettura e quindi riuscendo ad avere anche i funzionari delle forze di polizia, si riesce ad andare avanti e a sviluppare questo modello informativo e formativo verso le persone, credo che avrà uno sviluppo enorme quantomeno nel nostro territorio, e possa essere anche dal punto di vista tecnico per le forze di polizia un validissimo aiuto, perché si inverte uno dei concetti fondamentali dell'investigazione di polizia giudiziaria. Solitamente è l'investigatore di polizia giudiziaria va alla ricerca della fonte informativa, in questo Pag. 12caso è l'insieme dei dati e delle fonti confidenziali che arrivano all'investigatore se però c'è un monitoraggio costante dei gruppi whatsapp, perché questi sono dati che poi dal sistema SDI non è previsto vengano ritenuti. Il sistema SDI è il sistema di indagine utilizzato dalle forze dell'ordine, quelle che non vengono tenute all'interno del sistema SDI sono le segnalazioni sulla percezione di sicurezza naturalmente, vengono immessi soltanto i reati denunciati o le indagini che si stanno facendo. In questo modo, invece, con i sistemi a gruppi del controllo di vicinato abbiamo costantemente un circuito di informazioni su quello che sta succedendo in quella particolare zona. Vi faccio un esempio concreto: se ci sono due personaggi che per motivi di tempo e di luogo danno luogo a sospetti, all'interno del circuito whatsapp vengono segnalati dando anche una descrizione di questi personaggi, il fatto che ritornino in altre giornate è di notevole aiuto in un'investigazione per un caso di furto o una serie di furti in abitazione. Cosa succede ora? L'investigatore va a bussare alla porta di tutte le case che stanno attorno a quella dove è successo il furto, per ricevere informazioni. Se monitoro il sistema whatsapp, so esattamente quello che è successo nei giorni precedenti. Questo dal punto di vista investigativo per uno che sta sulla strada come me da tanti anni è eccezionale, cioè riesco ad avere la fonte informativa addirittura antecedente al reato.

  PRESIDENTE. Grazie. C'è un'integrazione del dottor Caccetta e poi lascerò spazio ai chiarimenti dei colleghi.

  FRANCESCO CACCETTA, vicepresidente dell'Associazione controllo del vicinato. Prendo spunto da quanto ha detto poco fa il consigliere Gavagnin per precisare la figura del coordinatore, perché volevo sgombrare il campo da ogni dubbio, perché spesso la figura del coordinatore viene confusa con quella di colui che filtra le informazioni che vengono date dai cittadini. In un certo senso, come ha detto Gavagnin poco fa, è vero per quanto riguarda le segnalazioni di ampio respiro, come quelle accennate prima (spaccio di droga all'interno di un parco, presenza di ubriaconi o vagabondi, scarsa illuminazione di una via), ma le segnalazioni contingenti di fatti di reato che stanno per avvenire o prodromici di reato, quindi presenza di persone sospette, vengono segnalate di volta in volta, indipendentemente dal coordinatore, dal cittadino che fa parte del gruppo di controllo di vicinato, che vede la cosa, anche perché sarebbe assurdo affidare tutto all'intervento del coordinatore, perché se il coordinatore sta facendo una doccia e non vede la segnalazione, un furto può avvenire dai tre ai cinque minuti e abbiamo perso ogni opportunità di difendere il cittadino! Un'altra cosa che voglio dire è che, come sicuramente sapete perché è recentissimo, il decreto-legge 20 febbraio 2017 n. 14, che riguarda le disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città, è un'altra opportunità che vede la possibilità di utilizzo da parte dello Stato e delle istituzioni del progetto del controllo del vicinato. Come ho detto prima, auspichiamo che qualcuno ci metta mano per fare in modo che non si arrivi ogni volta in un territorio (come ho detto prima siamo presenti in quasi 600 comuni) con la difficoltà di spiegare di sana pianta che non siamo ronde, per superare la diffidenza di alcune istituzioni. Se avessimo non dico il bollino delle istituzioni, ma qualcuno che dica che questo progetto è stato riconosciuto avulso da criticità e utile, sarebbe un vantaggio non per noi come associazione, ma per i cittadini che vogliono iniziare questo percorso.

  VINCENZO PISO. Proprio oggi inizia la discussione del decreto sulla sicurezza urbana qui alla Camera. Volevo capire alcune cose. I concetti che avete espresso sono chiari e in buona parte assolutamente condivisibili. Non ho capito bene questo utilizzo di whatsapp, perché i social hanno tutta una serie di controindicazioni. Vorrei capire bene anche il rapporto fra questo tipo di controllo e le forze dell'ordine, quando già all'interno delle forze dell'ordine talvolta abbiamo difficoltà di comunicazione, specie rispetto alla polizia locale, che è un altro dei problemi che dovremmo affrontare anche rispetto a questa norma Pag. 13che stiamo varando oggi in Parlamento, con i problemi oggi esistenti fra le diverse istituzioni e che sicuramente non aiutano un discorso di circolazione delle notizie. Su queste c'è la necessità di mettere tutta una serie di filtri, perché non possiamo mettere sullo stesso livello istituzioni diverse con competenze diverse e anche qualità diverse.
  Mi interessava un approfondimento su questi due aspetti l'utilizzo dei social, perché forse ho capito male, però iniziare a parlare di sospetti sui social può essere pericoloso, e poi il rapporto fra questi gruppi e le forze dell'ordine che dovrebbero eventualmente intervenire.

  ROBERTO MORASSUT. Volevo soltanto fare qualche domanda di chiarimento perché è la prima volta che conosco la vostra esperienza. È chiaro che le attività di sussidiarietà nei servizi, anche nella sicurezza sono oggi una frontiera nuova e importante nel rapporto con le istituzioni e come forma di mediazione con le esigenze più urgenti dei cittadini, però volevo capire una cosa. Poiché agite in un campo abbastanza delicato, avete riconoscimento formale dal Ministero degli interni o con le forze dell'ordine? Avete una convenzione, un protocollo, che regola la vostra attività di sussidiarietà a contatto con le forze dell'ordine e con gli organismi istituzionali e come si svolgono le attività di formazione? Queste attività di formazione che svolgete sono bollinate in qualche maniera dalle istituzioni pubbliche e dagli organi di sicurezza? Essendo questa una Commissione di inchiesta, già il fatto che siete qui a illustrarci è un fatto importante, ma quali sono le vostre forme di sostentamento?

  FRANCESCO CACCETTA, vicepresidente dell'Associazione controllo del vicinato. Rispondo all'onorevole Piso per primo. Mi spiego meglio per quanto riguarda i social. I social non c'entrano niente con i gruppi di controllo del vicinato, se non come pagine di informazione dove assolutamente non vengono condivisi sospetti, né segnalazioni da parte dei cittadini. I social vengono utilizzati ad esempio per spiegare in maniera scientifica che cos'è la truffa dello specchietto, che cos'è la truffa agli anziani, quali sono i provvedimenti, ad esempio se esce una legge nuova la inseriamo là e la portiamo a conoscenza. Per quanto concerne tutto l'ambiente letterario che tratta la sicurezza sulle pagine Facebook vengono divulgate le notizie, in modo che gli altri possano condividere la crescita culturale sulla sicurezza partecipata. Assolutamente non vengono condivise segnalazioni, né sospetti, anche perché le pagine Facebook sono libere, quindi chiunque potrebbe intervenire e vedere queste cose, e, dato che nella formazione cerchiamo di far capire quello che si deve fare ma soprattutto quello che non si deve fare, teniamo molto a spiegare ai componenti dei gruppi del controllo del vicinato che i social non vanno assolutamente utilizzati per questo tipo di cose. È scontato quindi che sui social network non vengono messe notizie sui sospetti. Le uniche notizie condivise sui sospetti sono sui gruppi di Whatsapp, che sono gruppi chiusi, all'interno dei quali ci sono soltanto persone formate, che sanno esattamente quello che devono scrivere e quello che non devono scrivere, soprattutto le targhe o le foto di persone sospette, perché la violazione della privacy è la prima cosa che stiamo attenti ad evitare, anche perché il controllo del vicinato è proprio quello, cioè non invadere la privacy nemmeno del vicino, quindi non è il controllo del vicino, ma è il controllo del vicinato. Cerchiamo dunque di evitare qualsiasi tipo di pericolo per la privacy, perciò social no e whatsapp soltanto segnalazioni generiche, che vengono prima fatte alle forze dell'ordine, e dopo, se le forze dell'ordine danno l'okay, condivise sulle chat di whatsapp. A che serve? Se la macchina sospetta con tre persone a bordo è passata sotto casa mia e ho appena segnalato la targa alla centrale operativa dei Carabinieri o della Polizia – adesso c'è quasi sempre il numero unico – lo dico sulla chat del mio gruppo, perché il gruppo riguarda quella zona, quell'insieme di vie. Se i Carabinieri la stanno cercando, è bene che qualcun altro possa monitorare e riferire che la macchina è passata adesso in un punto. Pur non conoscendo la targa, Pag. 14logicamente, una macchina di un dato colore con determinate persone a bordo in quel momento, a parte combinazioni particolari, di fatto è impossibile che possa essere un doppione.

  VINCENZO PISO. Questo me l'ha chiarito in maniera molto netta. Mi preoccupa il ritorno d'informazione. Mi sta bene la direzione verso le forze dell'ordine, che sanno come gestire questo tipo di situazione. Sono un po’ più preoccupato rispetto all'utilizzo che può essere fatto all'interno di un mezzo quale whatsapp anche da persone più o meno formate. Peraltro, c'è la possibilità che queste informazioni non abbiano rilevanza e c'è il rischio magari di mettere qualcuno alla berlina. Questa situazione mi preoccupa. Capisco, invece, e può essere sicuramente utile la direzione che va verso le forze dell'ordine, che poi svolgono i loro accertamenti, vedono come intervenire e fanno quello per cui sono preparate ad agire.

  FRANCESCO CACCETTA, vicepresidente dell'Associazione controllo del vicinato. In effetti, le forze dell'ordine sono le uniche destinatarie delle segnalazioni uniche. Non necessariamente deve essere emessa la segnalazione anche sul gruppo di whatsapp. Viene emessa solo laddove magari le forze dell'ordine stesse stanno arrivando e invitano a cercare di capire dove vanno, o una cosa del genere. Non è uno standard. Viene messa quando c'è la necessità di metterla. Io dico sempre che non si gioca a guardie e ladri. Non è possibile. Le istituzioni rimangono istituzioni e le forze dell'ordine sono le uniche deputate alla ricerca dei ladri. Assolutamente nessuno si deve mettere a fare lo Sherlock Holmes della situazione, tant'è vero che lo slogan del controllo del vicinato è «Osserva, ascolta e chiama». Non c'è altra attività da fare, nessun'altra.

  VINCENZO PISO. Sono d'accordo, ma purtroppo lei sa meglio di me com'è la natura umana, talvolta. In Italia si dice che, quando si danno due galloni a qualcuno, immediatamente tutti pensano di essere diventati generali. Questo può diventare preoccupante.

  FRANCESCO CACCETTA, vicepresidente dell'Associazione controllo del vicinato. Facciamo molta attenzione a questo argomento, che lei giustamente e intelligentemente ha sollevato. È la nostra preoccupazione maggiore quella di far capire ai cittadini che questa non è un'attività, ma è soltanto un perfezionare quello che già avveniva prima, ossia guardare, osservare e chiamare. È tutto lì. Quanto alla condivisione, lei mi insegna che, se parliamo di coesione sociale, in qualche modo queste persone bisogna farle interagire fra di loro, altrimenti c'è il rischio che la coesione la perdiamo lo stesso, perché creiamo singole sentinelle e non il sentimento di coesione all'interno del quartiere. Per quanto riguarda i rapporti con le forze dell'ordine, come dicevo prima, abbiamo ottimi rapporti con le forze dell'ordine in tutta Italia. Rispondendo anche all'onorevole Morassut sul discorso del riconoscimento, il problema è proprio quello: abbiamo molti protocolli di intesa in Italia con il controllo del vicinato fatti dalle prefetture con i comuni, non con noi. Le prefetture fanno protocolli d'intesa con i comuni. So che la prefettura di Venezia ha fatto il protocollo d'intesa con 18 comuni. Ci sono Lucca, Piacenza e altre realtà dove le prefetture fanno questi accordi. Come ho detto prima, abbiamo questa difficoltà per cui si muovono in maniera indipendente. Non c'è una linea d'intesa fra le prefetture d'Italia. Ognuna analizza il progetto, decide se fare il protocollo d'intesa e poi fa il protocollo d'intesa con i comuni.

  ROBERTO MORASSUT. Ci sono protocolli d'intesa con i comuni che rientrano nella procedura di legge del Comitato dell'ordine e della sicurezza.

  FRANCESCO CACCETTA, vicepresidente dell'Associazione controllo del vicinato. Certo che sì. Sono i protocolli di intesa del Ministero dell'interno.

  ROBERTO MORASSUT. Quelle sono prassi procedurali. Domandavo un'altra Pag. 15cosa, ossia se l'attività dell'Associazione controllo del vicinato, attività chiaramente di sussidiarietà nel campo della sicurezza, che integra l'attività che direttamente le forze dell'ordine svolgono, sia in qualche maniera convenzionata o regolata dalle forze dell'ordine. Quest'attività che svolgete, che sicuramente è preziosa, deve avere da parte delle forze dell'ordine e soprattutto del Ministero dell'interno, che è l'autorità massima, non dico un'autorizzazione, ma una forma di convenzione...

  FRANCESCO CACCETTA, vicepresidente dell'Associazione controllo del vicinato. Era quello che cercavo di dire prima. La stiamo auspicando, ma nel frattempo le singole prefetture parlano di protocollo di intesa di controllo di vicinato nel protocollo d'intesa con i comuni. Parlano esplicitamente di controllo del vicinato con i gruppi di controllo del vicinato. Quindi, sono in qualche modo istituzionalizzati, riconosciuti.
  Non so se il collega Gavagnin intenda aggiungere qualcosa.

  ENRICO GAVAGNIN, consigliere delegato alla sicurezza partecipata del Comune di Venezia. Infatti, nel protocollo d'intesa della prefettura di Venezia, all'articolo 5, è proprio previsto che la prefettura organizzerà i corsi di informazione e formazione per gli aderenti al controllo del vicinato. È proprio centrato sul controllo del vicinato.

  FRANCESCO CACCETTA, vicepresidente dell'Associazione controllo del vicinato. Devo puntualizzare. Non aderenti all'associazione. L'associazione è soltanto l'organo che fornisce l'ausilio per formare i gruppi. I gruppi di controllo del vicinato non fanno parte dell'Associazione controllo del vicinato. Sono gruppi spontanei di cittadini che sposano il progetto e fanno quest'attività. Non fanno parte dell'Associazione controllo del vicinato. L'Associazione controllo del vicinato è il satellite che poi eroga i servizi in maniera gratuita. Rispondo anche all'altra domanda che aveva fatto lei sul sostentamento. Il sostentamento l'abbiamo per adesso solo ed esclusivamente dalle quote dei soci. Non ci servono soldi, in teoria. Quando andiamo a fare formazione nei comuni, sono i comuni che pagano il rimborso spese chilometrico al volontario. Essendo un'associazione OdV – stiamo formalizzando in questi giorni questa forma giuridica – pagano il rimborso spese ai relatori. Non abbiamo alcun tipo di introito, anche perché ognuno fa il suo lavoro. Questa è soltanto un'azione di volontariato. Logicamente, a chi, come me, percorre a volte mille chilometri per raggiungere, andata e ritorno, la destinazione per fare formazione, è normale che almeno l'usura della macchina venga pagata. Attualmente, però, non abbiamo alcun tipo di retribuzione. Il sostentamento avviene solo con le quote dei soci, che sono pochissimi, una settantina. Lei mi ha fatto un'altra domanda, onorevole, sulla formazione.

  ROBERTO MORASSUT. Vorrei sapere se quest'attività di formazione, che è anch'essa abbastanza importante e delicata – si tratta di formare le persone nel campo della sicurezza e del controllo del territorio – segue, in questo caso non un protocollo di convenzione, ma un modello che viene indicato dalle autorità di pubblica sicurezza. Come si formano le persone? Voi formate attraverso un vostro criterio autonomo, che sicuramente sarà perfetto, prezioso e socialmente utile – non lo metto in discussione – ma avete comunque una falsariga pubblica sulla quale esercitare quest'attività formativa, che è delicatissima?

  FRANCESCO CACCETTA, vicepresidente dell'Associazione controllo del vicinato. Intanto l'attività formativa viene fatta, come le ho detto prima, da questo centro studi, che è formato per la maggior parte da persone delle forze dell'ordine. Le attività di formazione vengono studiate su attività ben conosciute. Vengono messe insieme parti teoriche ed esperienziali, che poi vengono trasmesse ai cittadini. Ricordo che i cittadini non devono sostituire le forze dell'ordine. Loro vengono formati per svolgere al meglio la loro attività di cittadini attenti. Non c'è alcuna attività che debba essere insegnata con protocolli che riguardano la sicurezza, perché insegniamo ai cittadini le Pag. 16teorie. Per esempio, insegniamo la prevenzione situazionale, cioè spieghiamo al cittadino che, affinché possa avvenire un reato, ci vogliono tre elementi concomitanti nello stesso spazio-tempo, ossia la presenza di un delinquente, di un ladro, l'appetibilità di un obiettivo e l'assenza di vigilanza. Queste sono le tre variabili che possono creare il triangolo del crimine. Dove interviene il cittadino? Quali sono le variabili in cui può intervenire il cittadino? Sicuramente non in quella della presenza del ladro, perché se ne occupano le forze dell'ordine. Tuttavia, il cittadino, sapendo che esiste questa teoria, può intervenire eliminando la vulnerabilità, ossia l'appetibilità dell'obiettivo, rendendo il proprio quartiere e la propria casa meno appetibile per il ladro ed eliminando l'assenza di vigilanza facendo un'attività di osservazione e segnalazione. Queste sono le cose che insegniamo. È per questo motivo che abbiamo chiesto al ministero di fornirci delle direttive su come aiutarlo meglio. Certo, non possiamo pretendere che il ministero ci dia l'investitura di formazione. Sarebbe assurdo: ci sono le istituzioni. Noi possiamo però mettere a disposizione dello Stato, del Governo e delle Commissioni il nostro know-how e le nostre competenze.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione dell'architetto Matteo D'Ambros, ricercatore presso l'Università Iuav di Venezia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dell'architetto Matteo D'Ambros, ricercatore presso l'Università IUAV di Venezia, che ha avuto un'esperienza e ha un'approfondita conoscenza del modello di riqualificazione delle periferie di Berlino. Lo ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  È altresì presente l'architetto Nicola Picco, dell'ordine degli architetti di Venezia, che ringrazio per la sua presenza.
  Come convenuto nella riunione dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei Gruppi, gli interventi dei deputati componenti la Commissione dovranno essere contenuti entro i cinque minuti.
  Do la parola all'architetto D'Ambros, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento.

  MATTEO D'AMBROS, ricercatore presso l'Università Iuav di Venezia. Buongiorno a tutti. Ringrazio il Presidente Causin per il piacevole invito.
  Parto subito, visto che i tempi sono contingentati, dicendo che nella comunicazione di oggi parlerò delle recenti esperienze di riqualificazione della città tedesca in generale, che vorrei delineare attraverso un breve racconto strutturato in tre parti.
  Nella prima illustrerò il contesto nel quale inserire gli argomenti della discussione odierna e specificherò alcune grandezze per chiarire le dimensioni dei fenomeni affrontati dal governo tedesco nell'adottare le politiche pubbliche di riqualificazione urbana in epoca recente. Nella seconda parte farò riferimento ai programmi e ai modi assunti dalla pubblica amministrazione per attuare le strategie di intervento avviate sin dal 1998, con particolare attenzione alla situazione dei Länder dell'ex Germania dell'Est. Infine, nella terza e ultima parte cercherò di sintetizzare che cosa sia possibile apprendere dall'esperienza tedesca, riferendomi ad alcuni casi esemplari di riqualificazione e al modo in cui essi possono costituire un orizzonte di senso nella costruzione di esempi notevoli, una sorta di possibile best practice – potremmo dire – dei modi di intervenire in riferimento alla questione periferia nel contesto italiano.
  Vista la brevità del tempo a disposizione, è chiaro che la mia trattazione sarà sommaria, almeno in alcuni passaggi. Me ne scuso in anticipo, offrendo la disponibilità ad approfondire in altri momenti.
  Osservando i territori dei Länder dell'ex Germania dell'Est, è possibile definire grandezze e dimensioni del problema. Molto brevemente, è importante fissare alcuni punti. Dobbiamo ricordare che nel dopoguerra, fino all'inizio del 1990, nei territori dell'ex Repubblica democratica tedesca vennero Pag. 17 costruiti 2,2 milioni di nuove abitazioni. Di questi più di 1,1 milioni furono realizzati secondo metodi di costruzione industrializzate in serie. Questi alloggi, distribuiti in circa 240 quartieri di grandi dimensioni, costituiscono un vasto patrimonio immobiliare perlopiù ancora di proprietà pubblica, dove vive ancora oggi quasi il 20 per cento della popolazione della ex Repubblica democratica tedesca. Più in dettaglio, circa 1.140.000 abitazioni vennero costruite nei vasti quartieri di edilizia pubblica che ospitano più di 2.500 abitazioni, cosiddette Grosssiedlungen. Altre 600.000 abitazioni fanno parte dei quartieri di dimensioni più ridotte, le cui condizioni raggiungono 500 e 2.500 abitazioni. Considerata l'assenza di standard relativi al comfort abitativo del periodo prebellico, le costruzioni degli alloggi all'interno di queste parti di città costituirono un importante miglioramento delle condizioni di benessere di circa 7 milioni di cittadini tedeschi orientali, che corrispondono a circa il 45 per cento della popolazione totale di allora.
  Questi primi dati restituiscono l'immagine di vaste parti di città e a volte di intere piccole città le cui caratteristiche sono omogenee e spesso disegnate a partire da una tabula rasa. L'idea comune a tutti questi nuovi quartieri era una chiara definizione dei limiti rispetto all'intorno e un progetto delle infrastrutture del verde, delle strade e dei parcheggi gestito da regole unitarie. Alla base vi era l'utilizzo di materie urbane elementari, come l'edificio in linea e la torre, concepiti a partire da un solo elemento standardizzato, prodotto industrialmente in serie. All'inizio degli anni Ottanta l'idea che tutto il Paese si presentasse come un grande cantiere potrebbe apparire un'immagine assai retorica, ma si dimostra reale. Per fare alcuni esempi di grandi quartieri di edilizia pubblica tra i più grandi possiamo ricordare Fritz Heckert a Chemnitz, di 95.000 abitanti, costruito tra il 1986 e il 1989, Leipzig-Grüunau, a Lipsia, con 100.000 abitanti, anche se costruito a cavallo degli anni Settanta, e i più famosi Berlin Marzahn e Berlin Hellersdorf, costruiti a Berlino Est, che superano i 120-135.000 abitanti, costruiti fino alla fine del 1980, all'indomani anche della caduta del muro. La progressiva urbanizzazione in serie perdurò anche dopo la caduta del muro.
  Tutti questi tipi di quartiere realizzati a partire dal dopoguerra si distinguono dal resto della città storica per dimensione, geometria, conformazione, tipi edilizi e densità. Essi esprimono in forma compiuta la ricerca di una definizione di possibili modi del vivere in forma comunitaria che progressivamente, nel corso dei decenni, hanno conosciuto momenti di crisi, fino a trovare una forte negazione anche delle forme legate alla dimensione architettonica e sociale a essa sottesa. Qui ci sono anche accenni che possiamo fare rispetto ad alcune situazioni italiane. La similitudine la vedremo alla fine della trattazione. Se osservassimo le dimensioni e le condizioni degli alloggi, sarebbe facile ricordare che esse rispondono a standard abitativi minimi, legati a forme rivedute e snaturate di princìpi riferibili alle teorie dell’existenzminimum, ossia propri degli studi e delle forme del progetto di una lunga tradizione novecentesca, che abbiamo anche in Italia, che in passato hanno costituito sì un importante passaggio logico della concezione moderna dell'abitare, ma che non è stato possibile declinare in senso positivo nel caso di progetti di parti di città a cui ci riferiamo oggi.
  Ciò che rimane oggi è perlopiù un'adeguatezza delle dimensioni delle abitazioni, cosa che spesso succede anche nei casi italiani. Esse presentano in media non più di 50-70 metri quadri di superficie abitabile, non sufficienti per famiglie che spesso non sono più solo mononucleari, costituite da un massimo di tre persone.
  Possiamo cominciare ad annotare alcuni di questi fattori. Essi, infatti, restituiscono una prima similitudine con le questioni che possiamo facilmente ritrovare oggi in altri contesti, non solo quello italiano. Basti pensare anche alle molte banlieue francesi e ai grand ensemble delle periferie parigine. Ripetitività fino alla monotonia delle forme architettoniche, mancanza di un chiaro progetto dello spazio aperto o sua deriva in forme più disparate di degrado, inadeguatezza delle dimensioni Pag. 18dell'oggi e loro bassissima qualità dei materiali da costruzione sono i caratteri fondamentali da ricordare. Le dimensioni di questi quartieri implicano e traducono una complessità che non è solo nella progettazione dell'origine di questi progetti. Si impone infatti una riflessione volta a interrogarsi sul futuro di queste vaste parti di città, in alcuni casi vere e proprie città che superano, come abbiamo visto, i 100.000 abitanti. Reputo questo passaggio logico importante, perché porta con sé alcune intenzioni, dalle quali il Governo tedesco ritengo abbia avviato un dibattito per affrontare la riqualificazione di queste parti di città.
  Vengo al cuore delle politiche del Governo federale.
  Per introdurre la seconda parte, che è la parte centrale del ragionamento, consideriamo ancora due grandezze assolute. Circa la metà dei più di 6 milioni di abitazioni presenti nell'ex Repubblica democratica si trovano solamente in 140 città con più di 15.000 abitanti. Dopo la caduta del muro di Berlino, nell'arco di dieci anni, tra il 1989 e la fine degli anni Novanta, poco più di 1,2 milioni di abitanti, pari all'8 per cento del totale della popolazione della ex Repubblica democratica tedesca, hanno lasciato le loro residenze per trasferirsi nei Länder occidentali. Questo mi preme precisarlo perché nella trattazione delle questioni riguardanti la riqualificazione urbana all'interno del contesto tedesco non vi sono programmi specifici che riguardano precipuamente le periferie urbane. A ragione oggi in Germania la questione periferie è considerata uno dei fattori di rischio da affrontare all'interno di una più complessa e articolata questione urbana. Dov'è intervenuto in tempi recenti il Governo tedesco? Quali strumenti sono stati messi in campo per attuare un'efficace politica urbana? Quali misure sono state adottate per dare vita alle parti più degradate delle città? In sintesi, cosa è stato fatto e come si è intervenuti all'interno di queste vaste porzioni di città, che metaforicamente potrebbero essere viste come estese e continue periferie? Se anche vedessimo le immagini che ho lasciato, soprattutto la serialità dei tessuti edilizi dà l'idea di questa omogeneità e di questa ripetitività, che sono una delle cause anche dell'abbandono di questi luoghi. La recente storia delle città tedesche dell'Est ha conosciuto ingenti investimenti ed è stata caratterizzata da due momenti importanti. Un primo lasso di tempo perdura durante tutto il decennio degli anni Novanta e si conclude sostanzialmente con l'Expo di Hannover nel 2000. In questi anni avvengono le prime trasformazioni, che sono perlopiù ordinaria manutenzione e riammodernamento delle parti più degradate delle città. Nel solo biennio 1993-94 vengono erogati finanziamenti pubblici per circa 400 milioni di euro a fronte di queste ristrutturazioni.
  L'avvio di una seconda fase di investimenti coincide con l'inizio del primo decennio del Duemila e si inserisce all'interno di un ciclo di azioni a partire dalla redazione dell'agenda governativa per la riqualificazione di vasti ambiti di edilizia residenziale pubblica quale impegno prioritario. È il 2002 l'anno in cui viene attuato il programma di riqualificazione urbana denominato Stadtumbau Ost, che risulta essere una delle più importanti e articolate azioni pubbliche degli ultimi decenni in Germania e fa parte dei provvedimenti per il riassetto urbano dei territori di nuovi Länder. Due anni dopo, nel 2004, viene avviato un programma «gemello» che riguarda tutti i territori occidentali. La denominazione in particolare di questo programma è Stadtumbau West. A questi possiamo associare anche la piattaforma nazionale Sozialstaat, che opera, invece, a livello di costruzione di progetti per l'integrazione a livello sociale, partendo da problematiche di natura urbana. Alla fine del 2000 una Commissione governativa rileva un milione di alloggi non abitati nei Länder dell'ex Repubblica democratica tedesca, somma calcolata complessivamente tra abitazioni costruite fino agli inizi del secolo XX, quindi storiche, se così possiamo dire, ed edifici prefabbricati realizzati dopo il 1950. Si tratta di edifici sia storici, sia moderni, come abbiamo detto. Le decisioni del Governo federale convergevano sulla necessità di realizzare una serie di provvedimenti Pag. 19 al fine di contenere e ridurre il riscontrato surplus di abitazioni vacanti; con l'obiettivo di migliorare le condizioni abitative delle aree interessate dallo spopolamento e di fornire uno sviluppo del mercato della casa veniva avviato il programma Stadtumbau Ost. All'interno di questo programma sono individuate diverse categorie di intervento rispetto ad aree urbane storiche e a quartieri moderni prefabbricati che specificano le modalità di intervento per la riqualificazione, per la demolizione degli immobili degradati, per l'ammodernamento delle parti da risanare e per le diverse forme di credito rivolte alle società pubbliche o private e ai proprietari singoli degli immobili.
  È a partire dal 2001 che il Governo federale tedesco avvia in maniera operativa il programma, che prevede notevoli investimenti finalizzati all'edificazione di grandi quartieri di edilizia residenziale pubblica anche attraverso importanti forme di demolizione. Nell'ambito di questi interventi trova impulso un'azione di demolizione mirata a ridurre gran parte degli edifici prefabbricati inabitati o in pessime condizioni. Pensando che un milione di tedeschi dell'Est si erano trasferiti all'Ovest o in altri Paesi, questo importante stock di abitazioni rimane chiaramente un problema concreto da risolvere. Il valore strategico di tale intervento si declina secondo diverse modalità. Si va dallo smantellamento di vaste porzioni di quartieri, la completa demolizione, alla cancellazione di singoli edifici isolati, fino a una parziale ridefinizione della volumetria di singoli edifici prefabbricati. È interessante assistere al modo in cui la morfologia degli edifici venga modificata. Data la serialità, gli elementi prefabbricati che venivano montati nella costruzione, possono essere demontati per costruire edifici più piccoli. Questo è uno degli slab, che diventa un sistema di ville urbane con altezze ridotte. Ogni azione di demolizione è associata a differenti gradi di qualificazione, quindi. A una totale cancellazione corrisponde una rinaturalizzazione del suolo – è importante questa componente – mentre nel caso di riduzione delle volumetrie dei singoli edifici viene di solito prevista anche una nuova definizione della forma degli edifici, con una rinnovata composizione planimetrica e dimensione degli alloggi. Infatti, nel momento in cui questi edifici vengono decostruiti, si implementano anche gli spazi interni, per esempio unendo alcuni alloggi, ottenendo dimensioni più ampie, o sommando, con dispositivi che possono essere serre solari o balconate, in aggiunta all'involucro esterno dell'edificio, per aumentarne anche le prestazioni di coibentazione termica e di qualità architettonica. Il risanamento del patrimonio storico, identificato nelle abitazioni costruite durante il periodo ottocentesco nei quartieri moderni nel periodo dell'ex Repubblica democratica tedesca, è quindi il tema centrale promosso dal Governo. È interessante notare che anche i quartieri moderni recenti, anche quelli costruiti dopo gli anni Settanta secondo sistemi prefabbricati, all'interno dei programmi di riqualificazione sono considerati dall'apparato istituzionale come un patrimonio storico da salvaguardare e sul quale investire. Attraverso l'attuazione di un articolato programma di investimenti nella prima decade del Duemila, tra il 2002 e 2009, il Governo federale stanzia 2,7 miliardi di euro principalmente per il finanziamento delle demolizioni di immobili vuoti e degradati e per il risanamento e l'ammodernamento degli immobili vetusti. Il decadimento fisico e l'erosione sociale rilevati in consistenti aree urbane, così come la necessità di elevati investimenti finanziari finalizzati al risanamento delle parti degradate dei centri storici, sono i temi del programma. Grande attenzione è posta anche al recupero dei centri urbani consolidati, ma con altri programmi di investimento. Si potenziano e rivitalizzano le infrastrutture esistenti e viene contrastata la localizzazione di nuove aree urbane nella campagna. Di fatto quella che riconosciamo essere la legge sul consumo di suolo uguale a zero in Germania arriva qualche anno prima, se vogliamo precisarlo. In misura più o meno evidente ciò ha dato luogo a trasformazioni sostanziali in ampie aree urbane. A essere investite non sono solo le principali città. Sotto forma soprattutto di Pag. 20concorsi pubblici sono state coinvolte tutte le municipalità capaci di presentare la propria candidatura per ricevere i finanziamenti governativi. Di fatto le audizioni, le call del Governo tedesco erano call pubbliche a cui le varie municipalità, grandi e piccole, si potevano candidare per ricevere finanziamenti a fronte di progetti e di concorsi pubblici. È un po’ come il bando delle periferie che abbiamo conosciuto negli ultimi due anni. La differenza sostanziale, però, riguarda un forte slancio da parte delle municipalità a proporre progetti inediti, che riflettessero non solo sul problema contingente, ma anche su un'idea nuova di città, non solamente su parti di territorio, come abbiamo visto anche nel bando delle periferie italiane, che a volte riproponevano progetti che le amministrazioni avevano nei cassetti. Di fatto, la prima fase del programma Stadtumbau Ost è stata portato a termine nell'arco di poco più di dieci anni. All'interno di questo periodo il comparto abitativo pubblico ha conosciuto un forte impulso attraverso un'importante riqualificazione, congiuntamente a una forte azione di demolizione. Questo mi preme sottolinearlo, perché complessivamente in dieci anni sono 310.000 le abitazioni che sono state demolite. È un dato importante. Il programma di demolizione finanziava società pubbliche e private proprietarie del patrimonio immobiliare che potevano ottenere contributi fino a 70 euro a metro quadro per la realizzazione dell'abbattimento degli edifici. Per demolire veniva investita una quantità di denaro, considerate le tipologie di demolizione, perché per la demolizione ci sono casistiche diverse di parziale demolizione che chiaramente influisce anche sulla trasformazione dello spazio pubblico urbano non costruito. Questa è una quantità chiaramente parametrica. Si tratta di 70 euro al metro quadro, sostanzialmente un costo demolizione. Per fissare l'ammontare degli investimenti annotiamo che nel decennio 2000-2010 ogni anno venne previsto lo stanziamento di circa 150 milioni di euro per la realizzazione degli interventi.
  Vado velocemente alla terza parte, per chiudere con alcuni scambi di opinioni, riflettendo sulla natura delle trasformazioni realizzate a partire dal 1990 fino a oggi. L'anno passato, il 2016, è stato un anno importante quale turning point – potremmo dire – di avvio di una nuova stagione da parte del Governo tedesco sulla riflessione del progetto urbano delle città. I due programmi di investimento, Stadtumbau Ost e West si sono sostanzialmente riallineati e sono diventati un unico programma di riqualificazione. Nel settembre 2016 vi è stato il X congresso per le politiche urbane del Governo tedesco, sovrinteso dal ministro Barbara Hendricks, il cui titolo sintomatico recitava: «Energie delle città: dare forma alla coesione e alla solidarietà». Questo è un passaggio importante, a mio avviso, perché riporta i temi che mi era stato proposto di discutere in riferimento alla situazione della possibile casistica italiana di raffronto agli exempla tedeschi. Di fatto il progetto di nuove centralità, con un aumento della densità di funzioni legate a pratiche dell'abitare quotidiano, una ridefinizione della scala urbana e della dimensione della densità e la riqualificazione dello spazio pubblico come bene condiviso, alla cui costituzione contribuiscono lo spazio pubblico e chi lo abita, sono tre fra i principali punti che ritornano nelle strategie adottate dal Governo tedesco.
  Ho preparato delle immagini che riguardano anche alcuni casi berlinesi e altre piccole città della Germania dell'Est. Sostanzialmente, si percorrono tre strategie.
  La prima è una riduzione della permeabilità dello spazio. Laddove la densità abitativa è molto alta ci sono spazi aperti molto dilatati che vengono ridotti attraverso una densificazione progressiva a quota zero del piano di calpestio. Viene assunta una strategia di ricompattazione di tutti gli spazi pubblici frammentati, dai parcheggi agli spazi di prossimità di pertinenza degli edifici, in un sistema più chiaro e più articolato, che permette anche un controllo e un decoro maggiore delle situazioni spaziali. Chiaramente, questo influisce su una ridefinizione della scala urbana, ossia le dimensioni di questi edifici sono proporzionali ai complessi abitativi. Pensiamo che Pag. 21Berlin Hellersdorf o Berlin Marzahn sono piccole città che diventano municipalità che si autogestiscono e che possono rientrare all'interno di un sistema metropolitano che, nella configurazione federale del Governo tedesco, diventa più agevole in quanto i Länder hanno un'autonomia maggiore. Ritengo anche rilevante sottolineare come il sistema di erogazione di tutti i fondi abbia un forte controllo fino a situazioni di spesa a livello del quartiere. Con riguardo alle importanti cifre spese in questi anni, se andiamo a rintracciare nei report del Governo e delle varie municipalità, vediamo che vi è una documentazione molto articolata di come anche piccole quantità di denaro vengano elargite a comitati di quartiere e associazioni di quartiere che presentano progetti di riqualificazione sostenibile, potremmo dire. Ci sono, se vogliamo, una gerarchizzazione e un controllo molto serrato nella spesa di tutti questi finanziamenti. Posso aggiungere che i primi tentativi di riqualificazione andavano inizialmente nell'idea di una proposta di progetto di spazio pubblico. L'articolazione dei volumi e l'intervento sull'edilizio implicavano, e implicano ancora oggi, una forte trattazione anche a livello dello spazio pubblico. La tradizione del paesaggio, che nasce in Italia in epoca rinascimentale, in Nord Europa trova poi un suo svolgimento e una sua declinazione in epoca moderna che oggi aiuta molto a conferire qualità a questo tipo di spazi, che soffrono di un'urbanistica «modernista» che in qualche modo ha fallito. Gli esempi che riporto, però, sono di notevole interesse soprattutto pensando che diventano esempi di sperimentazione essi stessi. Prima facevo riferimento alla sperimentazione sugli involucri, alla necessità di spostare l'attenzione anche su questioni legate al cambiamento climatico in parte e alla necessità di ospitare nuclei familiari sempre più diversi e articolati. Addirittura negli ultimi mesi la politica del Governo tedesco di accoglienza rispetto a importanti quote di migranti riflette anche sul progetto di ampi spazi di questo tipo.

  CLAUDIA MANNINO. Ringrazio per la relazione che, ancorché veloce, ci offre l'immagine di un Governo centrale che ha voluto affrontare il problema in maniera metodica, aggiungerei prendendo atto della situazione reale di un Paese che si unificava e che si assumeva la responsabilità di quello che stava succedendo a livello storico.
  La domanda che vorrei fare, ma sarei interessata anche a molti altri dettagli che hanno accompagnato l'iter di questi due decenni, è in sintesi una. Il Governo tedesco dal punto di vista del monitoraggio e dell'esecuzione dei lavori si è dotato di un ministero appositamente dedicato alle politiche urbane? Si è appositamente coordinato a livello territoriale con quello che noi a livello comunale chiamiamo l'assessore all'urbanistica o invece ha individuato puntualmente un assessore all'abitazione? Mi interesserebbe capire quali sono gli strumenti che, burocraticamente parlando, hanno permesso allo Stato tedesco di fare questo, al di là di una scelta politica – anche quella non è da sottovalutare – e del finanziamento. Contestualmente, chiedo se – non so se lei o quale altra figura – può relazionarci in termini di dimensione del finanziamento. Ovviamente, lo sappiamo, ci confrontiamo con una realtà di carenza finanziaria notevole, ragion per cui vengono sempre fissate altre priorità. Mi pare di capire che la cifra di 400 milioni in un decennio sia stata finanziata. Mi sembrano pochini.

  MATTEO D'AMBROS, ricercatore presso l'Università Iuav di Venezia. Solo per le demolizioni.

  CLAUDIA MANNINO. Solo per le demolizioni. Anche capire i meccanismi in rapporto ai soggetti privati sarebbe interessante.

  ROBERTO MORASSUT. Volevo chiedere un chiarimento su due aspetti, uno di carattere finanziario, sulle risorse utilizzate e sul rapporto soprattutto con i privati in questa operazione di rinnovo urbano, e un altro, più prettamente urbanistico, sul tema dei suoli e della loro proprietà. Pag. 22
  È evidente che parliamo della Germania dell'Est – lei l'ha sottolineato – in un regime di prevalente proprietà pubblica. Un'operazione di grande rinnovo urbano su quella scala si basa su una grande leva pubblica sia degli edifici degli immobili, sia dei suoli disponibili, con una, purtroppo tragica, premessa storica. Immagino che gran parte delle città tedesche uscissero da una situazione di distruzione – pensiamo a Dresda o ad altre città – con suoli prevalentemente pubblici, che tra l'altro si possono ancora apprezzare nella lettura aerea di questa città, dove ci sono grandi vuoti ancora disponibili. La domanda è questa: poiché l'arco temporale che ha descritto quello del grande boom immobiliare del mondo occidentale e dell'unificazione tedesca, come è stata risolta l'operazione di rinnovo urbano nella compenetrazione tra capitale pubblico, risorse immobiliari, beni, e capitale privato, che ha partecipato – immagino – a queste operazioni? Come in questa composizione tra pubblico e privato è stato poi risolto – lei l'ha accennato – il tema della rotazione delle abitazioni? Il modello è stato densificare i lotti, gli ambiti di trasformazione, attraverso l'uso delle aree pertinenziali, con una minore densità, ma un maggior consumo di suolo all'interno dei lotti? È stato risolto così il tema, sempre molto determinante, di trasferire le famiglie? Se si demoliscono i grandi complessi residenziali popolari, ci vorranno due o tre anni per trasferire queste famiglie. Se non lo si fa su nuovi suoli, senza espandere, lo si deve fare in loco su suoli pertinenziali, su aree pubbliche, magari destinate a permeabilità.
  Mi interessava capire questo aspetto urbanistico e quello finanziario del rapporto pubblico-privato.

  MATTEO D'AMBROS, ricercatore presso l'Università Iuav di Venezia. Sono state poste tre questioni, se non ho annotato male.
  La prima è la questione del ministero. Nell'arco di dieci anni ci sono stati due importanti slittamenti. All'inizio il ministero preposto alla riqualificazione fu il Ministero delle infrastrutture e della riqualificazione urbana, fino al 2008, se non erro. Dopodiché, come succede anche in altri Paesi, al cambio di Governo alcuni ministeri sono stati rimpastati. Per esempio, il Ministero delle infrastrutture non è stato più coinvolto ed è diventato Ministero delle infrastrutture e delle infrastrutture digitali. In Germania esiste un Ministero delle infrastrutture digitali all'interno del Ministero delle infrastrutture. Tutto il core del programma di riqualificazione è rimasto al Ministero della riqualificazione. È importante sottolineare che vi è stata una scelta di apparentamento con il Ministero dell'ambiente, all'interno del quale vi è anche il Ministero per la sicurezza nucleare, perché chiaramente esiste questo fattore in Germania. Di fatto c'è stata sempre una coerenza di competenze dall'inizio del programma fino alla fine. Con pochissimi scarti il programma è rimasto sempre nelle stesse mani, con i princìpi sottolineati e ribaditi di legislatura in legislatura. Questo per quanto riguarda le competenze. Non è stato adottato un ministero ad hoc perché il Ministero del Wohnungswesen era già presente storicamente all'interno del Governo federale tedesco, mentre, per quanto riguarda i finanziamenti, sono 2 miliardi di euro che vengono investiti per questo programma nell'arco di dieci anni. Tra il 2002 e il 2009 2,7 miliardi di euro vennero stanziati per il finanziamento di demolizioni di immobili vuoti e degradati e il risanamento e l'ammodernamento degli immobili vetusti. Quindi, le cifre sono di gran lunga più ampie. I 400 milioni di euro riguardano invece il biennio 1993-94, se non erro, in cui venne investita questa somma. Non so se le può bastare questa suddivisione. Sulle cifre posso essere più preciso e fare uno specchietto rispetto alle grandezze riferite anche ai singoli anni, perché la spesa è documentata anno per anno e chiaramente Land per Land.
  Per quanto riguarda la domanda relativa alla proprietà, allo statuto giuridico, è chiaro che siamo in uno stato di eccezione, per così dire, vale a dire che la proprietà dei suoli era proprietà pubblica. Le società di conduzione degli immobili erano cooperative, quelle che vengono definite Genossenschaften e Gesellschaften, ossia due forme giuridiche diverse, con una parte a partecipazione Pag. 23 privata, ma di fatto pubbliche. La proprietà rimane pubblica, rimane all'interno: questo è il principio ispiratore.

  ROBERTO MORASSUT. Era qui che volevo arrivare.

  MATTEO D'AMBROS, ricercatore presso l'Università Iuav di Venezia. Lei chiedeva come facciamo a spostare le persone. Di fatto anche questo è uno stato di eccezione, perché un milione di abitazioni vacanti presuppone che alcuni edifici abbiano avuto bisogno...

  ROBERTO MORASSUT. Uno spopolamento. Sono condizioni eccezionali.

  MATTEO D'AMBROS, ricercatore presso l'Università Iuav di Venezia. Assolutamente. Però, tanto eccezionale la situazione e tanto eccezionale è stato il patto che, a mio avviso, è stato assunto dall'ex Germania dell'Est con la Germania dell'Ovest, che ha sospeso il proprio stato giuridico e si è affidata ai territori della Repubblica federale per avviare un processo di integrazione. È quasi come se parti estese del territorio italiano identificabili come sofferenti sottoscrivessero un patto di riqualificazione condivisa, in progettazione integrata. Ampie parti del territorio italiano sono riconducibili a situazioni, sia dal punto di vista della qualità degli alloggi, sia dal punto di vista delle prestazioni, dati i materiali ormai vetusti, che potrebbero rifarsi ad alcune strategie. Nel nostro Paese abbiamo poche situazioni in cui è stato utilizzato il sistema di prefabbricazione. Come sappiamo, i nostri sistemi di prefabbricazione sono molto più rigidi e operazioni di demontaggio non è possibile effettuarne. Nella trattazione della letteratura si rilevano architetti di scuole nella Germania dell'Est che ospitavano volentieri gli architetti italiani e venivano in visita in Italia per vedere la qualità delle periferie italiane. Stiamo parlando degli anni Sessanta e Settanta. Questo avveniva in un sistema di governo del territorio completamente differente.
  Sulla questione della privatizzazione un altro fenomeno da rilevare abbastanza inedito è che, nonostante l'esodo, nonostante lo svuotamento di questi comparti di edilizia pubblica, durante il primo decennio, ossia la prima decade del Duemila, e già negli anni Novanta vi fu un aumento delle case unifamiliari e di uno sprawl urbano anche nella Germania dell'Est. Sostanzialmente, la necessità di migliorare le proprie condizioni di vita da parte di singoli abitanti crea una doppia migrazione. Gli ex tedeschi dell'Est emigravano all'Ovest, ma gli investimenti dell'Ovest arrivavano all'Est in una forma di speculazione, se vogliamo dire così, anche in termini di costi di servizi alla residenza, situazioni che all'interno dei grandi quartieri di edilizia prefabbricata erano molto limitate. Per un decennio la dimensione del commercio di interi quartieri fu molto ridotta. Nella riduzione di densità dei grandi quartieri di edilizia prefabbricata non dimentichiamo che in alcuni casi vi era anche la presenza di grandi comparti industriali molto ravvicinati a questi quartieri. Anche lì c'è stato uno smantellamento progressivo e immediato, con una forte politica di rinaturalizzazione anche del suolo. Ci furono bonifiche, ma anche la necessità di mantenere il suolo libero o di recuperare archeologie industriali non contaminate.

  ROBERTO MORASSUT. Lo sprawl urbano ha interessato i perimetri esterni?

  MATTEO D'AMBROS, ricercatore presso l'Università Iuav di Venezia. Sì, va di pari passo con l'infrastrutturazione del territorio, perché, oltre alla presenza di un comparto, di uno stock abitativo molto vecchio, coinvolge anche le infrastrutture, soprattutto le strade. Nei primi anni Novanta attraversare la Germania dell'Est e arrivare da Dresda a Berlino era molto difficile. Le autostrade erano in totale ricostruzione. Intorno a questo sistema di sviluppo della rete vi è stato anche un riassetto dei sistemi commerciali, come succede anche da noi. Da noi non è detto perché la conformazione morfologica e topografica del territorio italiano è molto diversa e presenta Pag. 24vincoli molto più alti. È più vulnerabile. Sicuramente la tradizione della costruzione degli studi territoriali italiani è diversa. Mi spiego meglio. Nella Germania dell'Est le città erano ben riconoscibili: il Wohnkomplex e il Kombinat, cioè il sistema di costruzione del quartiere stesso, erano regimentati, non davano spazio a uno sviluppo, se non a una pianificazione molto rigida. In Italia, a partire degli anni Sessanta e Settanta i PEEP hanno rotto gli argini della tradizione del centro storico italiano. Questo è un aspetto che richiederebbe forse un'altra audizione sui centri storici italiani. È forse dal 1970, per contro, che in Italia non ne discutiamo in modo articolato: credo che l'ultimo convegno sui centri storici italiani sia stato quando forse non ero ancora nato. C'è stato Gubbio nel 1992, ma rispetto a una dimensione morfologica dell'architettura ne ricordo solamente altri. Gubbio sicuramente era in una chiave completamente diversa. Non so se sono stato sufficientemente approfondito.

  PRESIDENTE. È stato assolutamente chiaro, anche perché abbiamo scoperto di recente che il calcestruzzo non ha una durata infinita: l'opinione pubblica lo scopre quando crolla un ponte o un edificio. La rigenerazione urbana attraverso anche la rottamazione degli edifici esistenti è sicuramente una delle priorità e deve diventare una misura strutturale. Mi ha colpito nell'esposizione questa impostazione di programmazione, che probabilmente è anche tipica della cultura tedesca. Qui in Italia forse, da quello che si può vedere, si è agito più a spot, lasciando magari anche molta autonomia, ma senza una visione complessiva. Speriamo che la Commissione, anche grazie a questi contributi, possa essere di aiuto. Avevo chiesto anche personalmente all'architetto che, qualora ci fosse la possibilità di fare una visita, come Commissione, a Berlino, viste anche le sue conoscenze, ci potesse fare da guida, per andare a vedere anche sul campo come si è operato.

  CLAUDIA MANNINO. Per vedere qualche situazione risolta!

  PRESIDENTE. Esatto: qualche best practice. Ringrazio l'architetto D'Ambros e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.20.