XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Martedì 20 dicembre 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Coppola Paolo , Presidente ... 2 

Audizione del Managing Partner di EY per Italia, Spagna e Portogallo, Donato Iacovone:
Coppola Paolo , Presidente ... 2 ,
Iacovone Donato  ... 2 ,
D'Acunto Andrea  ... 5 ,
Bruno Bossio Vincenza (PD)  ... 5 ,
D'Acunto Andrea  ... 5 ,
Iacovone Donato  ... 5 ,
D'Acunto Andrea  ... 6 ,
Iacovone Donato  ... 7 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 7 ,
Iacovone Donato  ... 7 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 7 ,
Iacovone Donato  ... 7 ,
D'Incà Federico (M5S)  ... 7 ,
Iacovone Donato  ... 7 ,
D'Acunto Andrea , advisory leader ... 8 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 8

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PAOLO COPPOLA

  La seduta inizia alle 13.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

Audizione del Managing Partner di EY per Italia, Spagna e Portogallo, Donato Iacovone.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del managing partner di EY per Italia, Spagna e Portogallo, Donato Iacovone, accompagnato da Andrea D'Acunto, advisory leader per il settore pubblico, che ringrazio per la presenza.
  Avverto i nostri ospiti che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, facendone espressa e motivata richiesta, in particolare in presenza di fatti illeciti sui quali siano in corso indagini tuttora coperte da segreto, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
  Si tratta di un'audizione di natura prettamente conoscitiva, per la quale chiedo all'audito di fornire un quadro esplicativo quanto più ampio possibile dei compiti e della struttura della Ernest & Young, pur con la consapevolezza che, visto il cambio della programmazione dei lavori d'Aula, purtroppo non avremo molto tempo oggi.
  Cedo, dunque, immediatamente la parola al dottor Iacovone per lo svolgimento della relazione introduttiva, al termine della quale seguiranno eventuali domande o richieste di chiarimento da parte dei commissari.

  DONATO IACOVONE, managing partner di EY per Italia, Spagna e Portogallo. Proverò a essere molto veloce, sintetico, in modo da lasciare tempo per qualche domanda, visto che abbiamo pochissimo tempo.
  Ernest & Young, che abbiamo ribattezzato EY come brand ormai quattro anni fa, fattura nel mondo 31 billion. In Italia fatturiamo 620 milioni, ultimo fatturato al 30 giugno. Abbiamo circa 4.870 dipendenti e abbiamo assunto, nell'ultimo anno, 1.350 persone. Questi sono, più o meno, i numeri di EY. Facciamo quattro grandi mestieri in Italia. Uno è la revisione, mestiere storico, che oggi vale più di un terzo del business, quindi circa 200 milioni. Facciamo altri 200 milioni di fatturato di consulenza manageriale e organizzativa, ultimamente molto digitale, soprattutto nel settore privato. Il rimanente è tax, legal e transaction, cioè aiutiamo le aziende a fare operazioni di M&A, di acquisto e di vendita o di valutazioni. Questo è EY nell'anno in Italia.
  Abbiamo investito molto sulla formazione nel digitale, che oggi è un po’ il tema. Ci ha fatto piacere il riconoscimento, di una settimana fa, dalla Fondazione Adriano Olivetti per il master digitale riconosciuto che abbiamo lanciato per tutte le nostre persone. È un master molto innovativo, fatto molto sul campo, quindi con degli hackathon, delle start up, dei lab. In particolare, usiamo il Talent Garden, a Milano, ma abbiamo usato anche il Luiss Enlabs a Roma. È, quindi, molto open sull'ecosistema con cui lavoriamo, fornitori, partnerPag. 3tecnologici con cui abbiamo accordi, Microsoft, Google, SAP, tutta la filiera IBM, e ovviamente con i nostri clienti. Questo è il nostro patrimonio in Italia, i nostri 5.500 clienti.
  Qual è stato l'approccio nel privato e perché parto dal privato? In realtà, con l'eccezione del Regno Unito, partito un po’ prima – neanche gli Stati Uniti sono partiti – o di Paesi più piccoli, come l'Australia e la Nuova Zelanda, abbiamo maturato il nostro know how presso le aziende private. Nel settore privato noi stiamo svolgendo due grandi mestieri. Il primo è, lavorando sulla parte che si chiama di go to market, quindi sulla parte clienti del settore privato, aiutare le aziende a vendere su multi-channel, su più canali. Nel caso retail, come sapete tutti, si vende sul canale tradizionale, quindi su un negozio, ma ormai si vende molto e sempre di più su canali di e-commerce. Stiamo lavorando, quindi, molto su questo, sulla struttura del marketing legato alla vendita sul web. Stiamo lavorando anche molto su tutta la filiera comunicazione marketing e customer experience per il cliente. Su questo profilo stiamo lavorando per moltissime aziende private.
  Quando ci si mette nella logica di un cliente che non compra più da un negozio tradizionale, quindi non va più in una sorta di sportello – questo vale anche per le banche e le assicurazioni – ma opera tramite web, nel passaggio di un cittadino che compra, acquisisce o necessita di un servizio, il modo di accesso e l'esperienza che il cittadino cerca nell'usufruire di servizi pubblici non è molto distante, soprattutto nelle tecnologie che abilitano questo passaggio. Questo è il lato diciamo citizen, lato cittadino, lato cliente.
  L'altro grande lavoro – siamo partiti da un anno come volumi di fatturato – riguarda tutto il tema della supply chain, quello che va dall'acquisizione delle materie prime e semilavorati fino alla produzione, il tema che va sotto Industry 4.0, su cui il Governo, come tutti sapete meglio di me – c'è stato un provvedimento in materia – ha messo a disposizione delle risorse, che servono sostanzialmente a mettere sensori, a connettere la linea di produzione alla distribuzione e alla vendita. Stiamo lavorando molto, oggi, su questi due grandi filoni. Si tratta, quindi, di «asciugare» i costi, di rendere più efficiente la linea di produzione. Il caso delle assicurazioni e delle banche non è molto lontano da un processo che riguarda la pubblica amministrazione quando eroga un servizio al cittadino o dal caso di un'amministrazione verso un'altra amministrazione. Stiamo anche ragionando sulla pubblica amministrazione. Questi sono, appunto, i due grandi filoni.
  Che cosa succede in un'impresa quando si mette mano a tutto il go to market, cioè alla vendita e alla produzione? Si ha un impatto su quello che viene chiamato business model, cioè sul modello con cui si fa danaro, si fa business. Stiamo rivedendo, quindi, i modelli di business e il tema delle risorse umane. Con qualunque amministratore delegato parliate oggi, infatti, egli vi dirà che ha il 30 per cento di persone in più cui non sa che cosa far fare – che non sa se è in grado di recuperare, e pensa di no, o di trasformare sulla base dei bisogni: un 10 per cento di competenze che non ha in azienda e non sa neanche dove cercare e neanche come formare – e che l'altro 70 per cento va poi trasformato, portato verso un'esperienza digitale. Questo è il tema delle persone.
  Quello che succede nel settore privato, ma anche nel settore pubblico, è che quando si approda a un nuovo modello operativo c'è immediatamente un'evoluzione delle tecnologie. Tutte quelle che, infatti, oggi abilitano i cambiamenti – big data analytics, cyber e temi della sicurezza, robotica, cioè RPA, robotic process automation, e tutto il tema dell’artificial intelligence, che cominciano a implementare, per non parlare di blockchain, e vedremo alcuni utilizzi che si possono fare nella pubblica amministrazione – hanno un'evoluzione costante e un abbassamento dei costi delle licenze concesse. Per citarvi un esempio, oggi una licenza Blueprism, una delle più utilizzate per la robotizzazione di un processo, che noi abbiamo implementato in Zurich e Axa Assicurazioni, consente di emettere un contratto per un cliente di assicurazione, una Pag. 4polizza, fino all'eventuale liquidazione di un sinistro denunciato, e tutto questo avviene con un'applicazione su mobile senza che dall'altra parte ci sia una persona. Fino all'indicazione del meccanico della carrozzeria convenzionata, da cui si può andare, passando per la foto inviata, quindi la stima del danno, o al pagamento del danno nel caso si preferisca un indennizzo, tutto questo oggi viene gestito da processi automatizzati, robotizzati, che noi abbiamo implementato. Tutto evolve. Questa licenza costava moltissimo e oggi costa meno di 6 mila dollari. Pensiamo che tra qualche tempo costerà ancora meno. Questo è tutto quello che stiamo facendo.
  Questa è la declinazione per il settore pubblico, quindi i servizi digitali, di cui peraltro parla l'AgID, parla Piacentini, parlano tutti quelli che si stanno occupando per voi dell'agenda digitale, o comunque della digitalizzazione. C'è il tema del coinvolgimento dei cittadini e delle imprese in questo processo. Si tratta poi, infatti, di portarsi le persone, di educazione delle persone, per far loro utilizzare questi servizi sui device, sui computer, su un televisore o su qualunque strumento che utilizzano, o andando presso uno sportello, come quello delle poste o dovunque vadano. Questo è un tema lato cliente.
  L'altro tema è che si recupera efficienza operativa. C'è un tema di alfabetizzazione dei cittadini, quindi di formazione. Sotto c'è il tema di generare innovazione.
  Io ho fatto parte di tre comitati sulla spending review, l'ultimo presso il Ministero dell'interno: ho ascoltato con grandissimo interesse sia le proposte che arrivavano dalle Armi, in particolare dai Carabinieri e dai Vigili del fuoco, sia da alcune prefetture.
  In realtà, dovremmo essere in grado di veicolare le capacità della pubblica amministrazione di innovare da sé, da chi conosce bene i processi, ma si è alfabetizzato sul digitale. Ci sono delle straordinarie opportunità che oggi non cogliamo. Neanche nelle aziende funziona tutto top down, cioè che da sopra arriva qualcuno e spiega come funziona il mondo, e poi funziona il mondo. Non funziona mai così, e neanche nelle aziende funziona così. Si va, si ascolta come fanno quello che fanno, si legge, così come sono scritti, i processi e come opera la governance che c'è sui processi, poi si comincia ad avvicinare, a inserire delle tecnologie che consentono di automatizzare alcuni processi, e quindi di risparmiare tempo, danaro e persone coinvolte.
  Questo è, più o meno, il modello. Come potete vedere – non mi voglio dilungare – purtroppo questo è il nostro posizionamento confrontati con il resto del mondo: nel confronto con l'Europa, come vedete, siamo sempre nelle ultime posizioni. Rileverei qui due aspetti. Anzitutto, effettivamente siamo indietro; in secondo luogo, non ci curiamo mai degli indicatori internazionali. Io insegno in due università, la LUISS e la Bocconi, che stanno risalendo nel ranking internazionale, perché sicuramente stanno facendo meglio, ma anche perché si sono occupate di come funziona quel ranking internazionale. Se non ci si occupa del modo in cui si viene misurati e non si migliorano gli indicatori, o comunque i dati che arrivano a chi li costruisce, non si salirà mai nel ranking. Secondo me, in alcuni casi questo è un mix. Noi siamo indietro, ma sicuramente non ci curiamo di questi rating, se non la stampa per dare un giudizio negativo del Paese.
  Abbiamo inserito questo indice, che è il nostro Smart City Index, fatto EY insieme ad altre istituzioni, ma principalmente da noi, creato da noi. Questo dà una misurazione dell'avanzamento dei livelli di digitalizzazione dei servizi, molto avanzati nelle città del centro-nord, in particolare in Lombardia, Emilia e, in parte, in Toscana; come poi vedete nel grafico, nel diagramma di ascisse e ordinate, sono molto indietro in Sicilia e all'estremo. Ovviamente, non dico cose nuove. Serve solo a dire che è misurato con una quantità di dati elaborati da noi, che ci danno, servizio per servizio, il livello di digitalizzazione. Credo sia il quinto anno che lo pubblichiamo. È molto apprezzato dalle città, perché dà una misurazione puntuale su dove intervenire. Non è, infatti, costruito macro, ma parte dal micro di ogni micro-servizio, e sale fino a dare una valutazione complessiva del servizio o di quella Pag. 5comunità, città o regione. Questa è una mappatura.

  ANDREA D'ACUNTO, advisory leader per il settore pubblico di EY. Se posso integrare, gli indicatori che prendiamo in considerazione nello Smart City Index, uno dei due grandi indicatori che abbiamo, sono 440, di cui il 70 per cento proprietari. Solo il 30 per cento sono informazioni pubbliche, quindi svolte attraverso una «mistery shopping», una vita dei servizi e un'analisi su quattro livelli.
  Il primo è il livello delle infrastrutture. Vedete sulle ascisse di questo grafico un'analisi del livello di infrastrutture. Successivamente, se volete, declineremo che cosa intendiamo, che cosa misuriamo in termini di infrastrutture. C'è poi la parte di sensoristica, l'analisi della sensoristica a disposizione dei servizi, delle applicazioni e dei servizi erogati, in modo da analizzare sia quello che arriva al cittadino sia tutti i tipi di investimenti, infrastrutturali e di applicazioni. Sono sui primi 116 comuni italiani.
  Un ulteriore indicatore che non abbiamo inserito qui per brevità è quello della regionalizzazione del DESI (the Digital economy and society index), che conosciamo più o meno tutti, per quanto sia probabilmente un po’ manchevole in termini di capacità di focalizzazione del ritorno degli investimenti fatti, per una questione di lag temporale – ci sono due anni di tempo tra quando vengono misurate le informazioni del DESI e quando hanno visibilità all'interno dell'indicatore – e perché non focalizza, per come è costruito, i risultati sui servizi, tanti ambiti di servizi non vengono focalizzati, c'è un problema di non copertura e temporale.
  Lo abbiamo comunque regionalizzato – non lo abbiamo presentato oggi, per una questione di brevità – e rappresenta come le diverse regioni sono posizionate anche in quel termine. Chiaramente, una metà delle regioni italiane è sopra la media italiana, un'altra metà sotto.

  VINCENZA BRUNO BOSSIO. Ce lo potete mandare...?

  ANDREA D'ACUNTO, advisory leader per il settore pubblico di EY. Certamente.

  DONATO IACOVONE, managing partner di EY per Italia, Spagna e Portogallo. Ho un solo commento da fare in proposito.
  Come vedete, in Italia la strategia delle regioni è differente. La Toscana – essendo sulle ordinate più il tema delle applicazioni, quindi di servizi che trovate sulle applicazioni quando siete in Toscana – ha puntato, appunto, più sulle applicazioni, quindi sui servizi. La Lombardia, che vedete dall'altra parte del grafico, ha puntato più sulle infrastrutture, quindi sulla rete, sui sensori, dunque su tutto quello che abilita a costruire nuovi servizi. Si tratta di diversità di strategia. La Sicilia, come vedete, non ha puntato su nulla, quindi è più indietro.
  Questi sono i percorsi internazionali che ci sono in giro per l'Europa. Ci tenevo, perché secondo me possiamo imparare dalle esperienze degli altri. Un tema cruciale per costruire una digitalizzazione della pubblica amministrazione, credo di non dire una cosa nuova – ritengo che tutti coloro che sono venuti prima di noi l'abbiano detto, che quelli che verranno dopo di noi lo diranno, e che comunque lo sappiate già – è quello dell'interoperabilità. Se, in un'azienda, le vendite non parlano con gli acquisti, che, a loro volta, non parlano con l'amministrazione, non si può sviluppare alcuna piattaforma digitale. La prima cosa è l'interoperabilità, cioè i dati devono essere disponibili e tutti debbono poter accedere ai database. C'è già un progetto in piedi, quindi non siamo all'anno zero, fortunatamente, ma indubbiamente c'è un ritardo, soprattutto quando ci muoviamo tra centrale e locale e tra locale e locale. Purtroppo, ognuno ha rifatto un suo CED, un suo sistema, un suo database e via dicendo. Ovviamente, le governance devono essere a rete, la visione deve essere unica. Questo è il modello francese. Come vedete, gli inglesi non fanno più nulla da anni se non c'è il tema dell'interoperabilità.
  L'altro tema è che per ogni servizio si parte sempre dal cittadino, quindi dall'esperienza del cittadino. Questo sta cambiando completamente l'approccio della pubblica amministrazione nel Paese. Pag. 6
  Un altro tema ancora, cui tengo molto, è quello dell'agenda partecipata. Noi stiamo facendo un giro per l'Italia insieme a Il Sole 24 Ore e Confindustria, e incontriamo le imprese per capire lo stato di digitalizzazione, in particolare nella piccola e media impresa, e le istituzioni, quindi le regioni, i comuni e così via. Questo mettere insieme privato, istituzioni, ma anche pubblica amministrazione e, per esempio, terzo settore – mi riferisco a un caso di straordinario successo che abbiamo avuto a Bologna – è di un valore straordinario, che, se vogliamo accelerare, dobbiamo sfruttare. Se continuiamo a fare i piani e a calarli dall'alto, secondo me avremo una chiusura di tutti i soggetti e un ritardo che non riusciremo a colmare. Il dialogo deve essere, ovviamente, pragmatico, operativo. Non mi sto riferendo a convegni – se ne organizzano anche troppi in Italia – ma se non valorizziamo le risorse che ci sono, rispetto alle grandi capacità che comunque ci sono, secondo me non riusciremo a colmare il gap in tempi ragionevoli.
  Questa è l'ultima slide, ma per ribadire tutte cose che sapete già. Noi siamo in un osservatorio speciale, perché lavoriamo su AgID, stiamo lavorando con Consip, lavoriamo al MEF a due o tre progetti e stiamo lavorando con altre iniziative. Questo ci ha consentito di avere una visione dal punto di vista delle architetture, dei cambiamenti, dei processi che stanno cambiando, da tutti i punti di vista. Tocchiamo con mano quello che è stato fatto.
  L'attuazione di tutto quello che è stato messo in pista porterebbe – sono spunti per digitalizzare l'Italia – a una razionalizzazione, a un taglio dei costi, a un'evoluzione dei servizi, a una rivisitazione della governance. Abbiamo assolutamente bisogno di lanciare piattaforme tipo open innovation, che oggi stanno sperimentando molte aziende, inclusa la nostra, inclusa l'ENEL, che è una piattaforma che, per esempio, sfrutterei anche a beneficio della pubblica amministrazione, perché è un caso di successo a livello internazionale. Secondo me, per il tema della stabilizzazione digitale, questi sono i cinque grandi driver su cui bisogna lavorare se vogliamo accelerare.
  Quanto alla razionalizzazione dei costi, in particolare la spending review, non c'è più un Paese di quelli che si sono avviati, che abbiamo citato prima, che parta dalla spending review senza partire prima dal digitale. È più semplice tagliare i costi rivedendo i processi in chiave digitale che tagliando le macchine del 20 per cento. Rimaniamo a costi molto bassi, in Italia. È come se in un'azienda mi focalizzassi solo sugli acquisti piuttosto che sulla soluzione di fare a meno del 10 per cento del budget. Quando poi si digitalizza un processo, ovviamente si ottengono risultati molto maggiori, anche politicamente, nel senso dell'accettazione, della condivisione della scelta. È più semplice introdurre una nuova tecnologia e condividerla dall'inizio che andare a dire di tagliare il parco macchine del 20 per cento, i carburanti del 10, la manutenzione del 30 e via dicendo.
  È più semplice per una prefettura, ma anche per una procura, cambiare un processo e passarlo al digitale, eliminando la carta, che «tagliare» la carta per stampare del 20 per cento. È più semplice cambiare il processo – parlo in termini di accettazione – che decidere di tagliare. Ogni volta che si propone di «tagliare», la risposta è che non si può, altrimenti la pena è che quel servizio non viene erogato. Noi abbiamo fatto moltissima esperienza nel settore della sanità, nel quale se non si cambia il processo, ogni volta che si prova a dire che devono cambiare qualcosa, viene invocato il giuramento di Ippocrate, viene detto che, se così è, ci vuole qualcuno che si prende la responsabilità se poi qualcuno muore, se qualcuno si ammala, se qualcosa si infetta, e così via. Per quello bisogna partire coinvolgendo le strutture, le persone, e con loro portare a dei cambiamenti condivisi e accettati.

  ANDREA D'ACUNTO, advisory leader per il settore pubblico di EY. Vorrei dedicare il tempo rimanente a nostra disposizione alla parte della razionalizzazione dei costi, che abbiamo identificato, ma che qui per brevità non abbiamo declinato, in quattro driver di impatto. Partendo da quello di Pag. 7cui stavamo discutendo in precedenza, cioè la razionalizzazione dei CED – è presto detto, non è una novità – la chiave non è una razionalizzazione fisica, ma passare attraverso i servizi SAAS (software as a service), quindi l'offerta di servizi al posto della razionalizzazione CED, magari attraverso un'analisi di efficienza di fabbrica, fatta, per esempio, attraverso chi è deputato a farlo, come Consip, che può lavorarci.
  Il secondo ambito è quello dell'utilizzo delle piattaforme o banche dati nazionali. Per quanto perfettibili, già l’onboarding su quelle attività, migliorabili – tutto ciò è stato già realizzato, da sviluppare e così via – potrebbe portare un saving significativo. Già solo se parlassimo di fatturazioni, pagamenti, anagrafi da sviluppare, da migliorare, per quanto non oggetto di questa conversazione, ci sarebbero sicuramente dei benefìci che già in altri Paesi hanno portato a dei risparmi significativi.

  DONATO IACOVONE, managing partner di EY per Italia, Spagna e Portogallo. Dicevamo prima, presidente, che in nel Regno Unito, in due anni hanno portato a casa 4,4 miliardi di risparmio trasferendo i CED sul cloud, mettendoli in rete. È un dato a cui potete accedere sul web, disponibile. Noi abbiamo partecipato al progetto, ci abbiamo lavorato, lo conosciamo bene, ma è disponibile tutto quello che è stato fatto. Oggi si può fare, in relativamente breve tempo e con pochissime risorse, un saving significativo. Chiaramente, ogni volta che si fanno dei cambiamenti, le resistenze sono forti in tutto il mondo, e in questo Paese lo sono particolarmente.

  PRESIDENTE. Grazie per essere riusciti a comprimere in mezz'ora la vostra relazione.
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, per ricevere eventualmente una successiva risposta per iscritto.

  DONATO IACOVONE, managing partner di EY per Italia, Spagna e Portogallo. Vi faremo avere il documento che abbiamo scritto che approccia i percorsi per lo sviluppo del digital government, molto semplice, leggibile.

  PRESIDENTE. Io ho una domanda da porre. Lei, dottor Iacovone, ha detto all'inizio della Sua esposizione che nel privato accade ormai regolarmente che venga detto, relativamente alle risorse umane, che un 30 per cento è in eccesso – un 10 per cento manca – e un 70 per cento va portato ad altre competenze. Nella pubblica amministrazione, come può essere affrontato, secondo voi, quest'aspetto?

  DONATO IACOVONE, managing partner di EY per Italia, Spagna e Portogallo. Nelle aziende – poi passerò alla pubblica amministrazione – per quel 30 per cento oggi si cerca di trovare un accordo nel caso che siano vicini alla pensione, quindi si incentiva l'uscita, o si riconverte. Se le aziende crescono, gli spazi ci sono. Se un Paese cresce, trova spazio anche per quella parte di 3,5 milioni di occupati della pubblica amministrazione che non dovesse trovare lavoro. Il tema, però, è che a tenerli improduttivi non si fa il bene del Paese; a utilizzarli per fare qualcos'altro, accelerando processi e servizi, si fa il bene del Paese. Questo vale per le aziende e vale per le imprese. Se 1,5 milioni sono le persone in eccesso nella pubblica amministrazione confrontati con altre amministrazioni, bisogna capire cosa fare di quei 1,5 milioni. Far finta di nulla, secondo me, non ci aiuta.

  FEDERICO D'INCÀ. Ringraziando per la disponibilità, anche se il tempo è molto tiranno, intervengo solo per chiederle un approfondimento, dottor Iacovone, sui 4,4 miliardi di risparmi in due anni. Sono cifre astronomiche. Qualsiasi Governo, qualsiasi Parlamento, si leccherebbe le dita nel trovare queste risorse. Può darci qualche indicazione in più?

  DONATO IACOVONE, managing partner di EY per Italia, Spagna e Portogallo. Lo facciamo, non è un tema nuovo. In Italia se ne dibatte da un po’, ma prima si trattava di metterle insieme, mentre adesso si parla Pag. 8di clouding, di tecnologie completamente nuove e molto efficienti. Glielo facciamo assolutamente avere.

  ANDREA D'ACUNTO, advisory leaderper il settore pubblico di EY. Qualche dettaglio è già presente nell'analisi del benchmark, nel documento.

  PRESIDENTE. Ringraziamo i nostri ospiti. È già arrivata la comunicazione che iniziano i lavori d'Aula.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.