XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti dell'utilizzo dell'uranio impoverito

Resoconto stenografico



Seduta n. 19 di Giovedì 7 aprile 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Scanu Gian Piero , Presidente ... 2 

Audizione del Direttore dell'Osservatorio epidemiologico della Difesa, colonnello Claudio De Angelis:
Scanu Gian Piero , Presidente ... 2 ,
De Angelis Claudio , Direttore dell'Osservatorio epidemiologico della Difesa ... 2 ,
Scanu Gian Piero , Presidente ... 9 ,
De Angelis Claudio , Direttore dell'Osservatorio epidemiologico della Difesa ... 9 ,
Scanu Gian Piero , Presidente ... 10 ,
Amato Maria (PD)  ... 10 ,
Zardini Diego (PD)  ... 11 ,
Lacquaniti Luigi (PD)  ... 12 ,
Catalano Ivan (Misto)  ... 12 ,
Scanu Gian Piero , Presidente ... 13 ,
Catalano Ivan (Misto)  ... 13 ,
Scanu Gian Piero , Presidente ... 13 ,
Boldrini Paola (PD)  ... 13 ,
Rizzo Gianluca (M5S)  ... 13 ,
Capelli Roberto (DeS-CD)  ... 14 ,
Scanu Gian Piero , Presidente ... 14 ,
De Angelis Claudio , Direttore dell'Osservatorio epidemiologico della Difesa ... 15 ,
Scanu Gian Piero , Presidente ... 15 ,
De Angelis Claudio , Direttore dell'Osservatorio epidemiologico della Difesa ... 16 ,
Scanu Gian Piero , Presidente ... 16 ,
De Angelis Claudio , Direttore dell'Osservatorio epidemiologico della Difesa ... 16 ,
Scanu Gian Piero , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIAN PIERO SCANU

  La seduta comincia alle 8,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che se non vi sono obiezioni la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

Audizione del Direttore dell'Osservatorio epidemiologico della Difesa, colonnello Claudio De Angelis.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Direttore dell'Osservatorio epidemiologico della Difesa, colonnello Claudio De Angelis, che ringrazio per la sua presenza.
  Il colonnello De Angelis è accompagnato dal tenente colonnello Raffaele Vento e dalla dottoressa Anna Rocchetti. Do a tutti il benvenuto.
  Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera e che, ove necessario, i lavori potranno proseguire in forma segreta.
  Vi informo preliminarmente che, in vista della seduta odierna, è pervenuto nei giorni scorsi da parte di alcuni componenti della Commissione un sostanzioso numero di richieste informative, che, per la loro natura dettagliata e spiccatamente tecnica, mi riservo di valutare anche successivamente allo svolgimento dell'audizione, in modo da accertare se ed in quale misura gli elementi forniti oggi dal colonnello De Angelis possano soddisfare tali richieste.
  Eventualmente, così non fosse o nel caso in cui rilevassimo oggi in Commissione la necessità di acquisire dall'Osservatorio ulteriori elementi informativi più specifici e dettagliati, anche sulla scorta delle citate proposte pervenutemi, proporrò alla Commissione di inviare una richiesta di documentazione o, in alternativa, di convocare ancora una volta il colonnello De Angelis per dargli modo di predisporre gli eventuali elementi di conoscenza che ritenessimo ancora necessari.
  La mattinata, come vede, colonnello, si presenta bene. Abbiamo molto lavoro da fare. Ringraziandola ancora una volta a nome dei colleghi, le do subito la parola per lo svolgimento della sua relazione.

  CLAUDIO DE ANGELIS, Direttore dell'Osservatorio epidemiologico della Difesa. Signor presidente, sono io che ringrazio voi della convocazione, che mi dà la possibilità di presentare, in una sede istituzionale così importante, i dati dell'Osservatorio epidemiologico della Difesa, che è frutto del lavoro dei presenti, ma anche di chi ci ha preceduto.
  L'Osservatorio epidemiologico della Difesa nasce infatti nel 2006, grazie alla decisione saggia e lungimirante della Difesa di dotarsi di una struttura permanente in grado di monitorare la situazione della patologia nel nostro settore. Riceve l'eredità di un gruppo che era di supporto alla Commissione Mandelli e che per un periodo di tempo ha seguito il «protocollo Mandelli» stesso.
  Noi abbiamo ereditato parte del lavoro del Gruppo operativo interforze (GOI) e quel lavoro abbiamo proseguito ed esteso, in base al mandato che abbiamo avuto, anche in altri settori. Molte delle informazioni di cui disponiamo le abbiamo ereditate da queste precedenti strutture. Attualmente Pag. 3 l'Osservatorio è incardinato nella struttura dell'Ispettorato generale della sanità militare (IGESAN).
  Noi lavoriamo con due modalità. La prima è una modalità cosiddetta «passiva», ovverosia raccogliamo informazioni dalla nostra periferia. Quelle che vedete nella diapositiva sono le prime tre schede e cioè: la scheda «Monitoraggio Mandelli», che è prevista per legge ed è sostanzialmente immodificabile, la scheda di segnalazione di neoplasia maligna e il database di tutto il personale militare inviato nelle missioni all'estero dal 1996. Tutte e tre provengono dal GOI, che era la vecchia struttura.
  A queste si sono aggiunte schede di segnalazione diverse e più ampie. Attualmente raccogliamo: schede di segnalazione di assenza per malattia superiore ai 45 giorni, nel tentativo di recuperare tutte le diagnosi di un certo rilievo clinico dei nostri militari e del personale della Difesa in generale; i decessi; la scheda di notifica di malattie infettive e diffusibili; la scheda di reazioni avverse a farmaci e vaccini, che inoltriamo all'AIFA; i suicidi; gli sgomberi dai teatri operativi; le schede di rapporto vaccinale; le schede di segnalazione di tossicodipendenze; e da ultimo, dal 2014, il disturbo post-traumatico da stress.
  A questa attività di ricerca passiva dei dati, abbiamo aggiunto una raccolta attiva. Andiamo, cioè, a cercare le malattie in giro per la nostra organizzazione. Questa raccolta attiva prevede il confronto, per esempio, con i dati in possesso dell'Ufficio contenzioso e fattori di rischio ambientale di IGESAN o con i dati ricavati da cause di servizio o contenzioso in generale. Ultimamente abbiamo raccolto anche diagnosi fatte dalle nostre commissioni medico-ospedaliere (CMO) del Dipartimento militare di medicina legale (DMML) e dal Policlinico militare «Celio».
  Queste diagnosi spesso sono ridondanti perché abbiamo già le segnalazioni ma, per evitare che nulla ci sfugga, abbiamo cercato di moltiplicare le fonti di alimentazione del nostro database. Stiamo parlando di patologie neoplastiche, il cui database è il più completo perché deriva dalla storia del GOI e del «protocollo Mandelli».
  Questa è la nostra situazione dal 1991 al 15 marzo 2016, anche se gli aggiornamenti del nostro database sono quotidiani. Abbiamo 5.318 casi di malattia neoplastica nel personale militare. Noi facciamo sempre la distinzione tra militari che hanno partecipato alle missioni fuori dai confini nazionali e quelli che non hanno mai partecipato perché il tema è soprattutto capire quanto le missioni fuori dai confini nazionali incidano sulla patologia del nostro personale. Nel primo gruppo i casi di malattia neoplastica sono 1.077, contro 4.241. Quanto ai decessi, abbiamo purtroppo 933 deceduti per malattia neoplastica, di cui 185 hanno partecipato alle missioni e 748 no.
  Tengo a precisare che questa non è statistica. È semplicemente l'aritmetica dei nostri malati e dei nostri deceduti. Quando citiamo dati di questo tipo, non facciamo alcun tipo di investigazione. Semplicemente contiamo. Per indagare meglio quello che sta succedendo, facciamo una elaborazione dei dati.
  Intanto restringiamo temporalmente i dati al periodo dal 1996 al 2013. Prima del 1996 il nostro database è piuttosto frammentario e non abbiamo una consistente quantità di dati ben definita. Ci fermiamo al 31 dicembre 2013 – lo facciamo sistematicamente, aggiungendo ogni anno un anno, e tra qualche tempo inizieremo l'analisi del 2014 – perché esiste un problema tecnico inevitabile di adeguamento della raccolta epidemiologica.
  Abbiamo, infatti, diagnosi che vengono fatte nell'anno successivo per un sospetto diagnostico dell'anno precedente. Abbiamo la revisione della diagnosi. Per i nostri denominatori, che sono l'elemento fondamentale dell'indagine statistica, dobbiamo attendere che gli elenchi vengano consolidati dagli Stati Maggiori e così via.
  È un lavoro che necessariamente richiede un certo lasso di tempo e quindi ci fermiamo a un anno e mezzo prima dell'inizio dell'analisi. Tanto per dare un'idea, lo stesso problema lo riscontra anche l'Associazione italiana dei registri tumori Pag. 4(AIRTUM). AIRTUM attualmente fornisce i dati stabilizzati al 2009 perché questa perdita di tempo è inevitabile.
  Questi sono i nostri dati dal 1996 al 2013, divisi per forza armata, con l'indicazione tra parentesi del numero dei decessi. Vi sono 4.269 casi di malattia. Vedremo in altre tabelle che in realtà il numero dei malati è inferiore perché oggi di tumore si guarisce e c'è la possibilità che qualcuno che è stato malato di tumore abbia nella sua vita un secondo tumore. Per questo i casi sono più delle persone. C'è di nuovo la distinzione tra chi ha partecipato alle missioni e chi non ha partecipato, tra cui i casi sono molti di più: 3.315.
  Molto importante è anche l'età perché i tumori non sono indipendenti dall'età di ciascuno di noi. Il giovane avrà meno tumori e l'anziano ne avrà di più. Il giovane avrà certi tipi di tumore, l'anziano certi altri. È importante capire anche la loro formazione. L'età non è stabile nelle forze armate. La componente più giovane, dai 20 ai 29 anni, si sta riducendo sempre più, mentre stanno aumentando le fasce di età più elevate. In base alle singole forze armate si evince che i dati più drammatici, da questo punto di vista, li hanno Esercito e Marina, mentre nei carabinieri e nell'Aeronautica, che partivano con una media di età più avanzata, il fenomeno è più attenuato, ma pur sempre evidente.
  Qui i nostri militari sono divisi in fasce di età e questa è la suddivisione complessiva. Il numero cambia perché è riferito alle persone e non più ai casi di malattia. Vi faccio notare che l'età più rappresentata nelle missioni è quella del gruppo tra i 30 e i 34 anni, con i due gruppi vicini più numerosi. Invece, passando al gruppo di quelli che non hanno mai partecipato alle missioni, ci spostiamo verso fasce di età maggiori e questo, in parte, modifica il quadro di patologia. Vi faccio anche notare che tra i 18 e i 19 anni abbiamo pochi casi, sia per l'età sia perché abbiamo pochi militari in quella fascia di età, così come sopra i 65 anni.
  Queste, invece, sono le malattie divise secondo l'ICD-10, cioè la Classificazione statistica internazionale delle malattie e dei problemi sanitari correlati (Decima revisione), redatta dall'Organizzazione mondiale della sanità. Parliamo di tutte le varie forme di neoplasia. Quest'altra diapositiva vi mostra le neoplasie più frequenti. Le più frequenti in assoluto sono quelle dell'apparato digerente, seguite da quelle del testicolo, dell'apparato urinario e della tiroide, dal linfoma non Hodgkin eccetera.
  Per raffronto vi mostro anche le incidenze più importanti sulla popolazione generale italiana. Non essendo questa divisa per età, troviamo il tumore alla prostata al primo posto. Noi non ne abbiamo molti casi perché l'età della prostata è ormai l'età del congedo. Il più frequente, tra gli altri, è sicuramente il tumore al polmone, che incide molto anche sulle cause di decesso perché è uno dei tumori più difficilmente trattabili.
  Il raffronto con la popolazione italiana in generale lo facciamo sulla base dei dati dell'AIRTUM. L'Associazione italiana dei registri tumori ha una discreta copertura in Italia. Le aree che vedete colorate di rosso sono le aree con registri accreditati, cioè certificati dall'Associazione. Le aree in blu sono quelle in via di accreditamento, mentre quelle in bianco sono le aree completamente scoperte. La copertura, attualmente, è più o meno il 51 per cento della popolazione italiana. Roma, solo per fare un esempio, non ha registri tumori funzionanti accreditati in questo momento.
  Noi prendiamo i numeri grezzi, li trasformiamo in tassi, cioè diamo un rapporto con la nostra popolazione, e li standardizziamo. Un tasso standardizzato è un rapporto che viene considerato per fascia di età e per sesso. Nei numeri che vedete abbiamo tolto le donne perché sono un campione ancora molto piccolo. Fortunatamente, le donne militari sono ancora abbastanza salvaguardate dai tumori perché sono giovani e pertanto non sono molte le neoplasie registrate.
  Il rapporto tra casi osservati e casi attesi costituisce il rapporto standardizzato di incidenza, il cosiddetto SIR (Standardized Incidence Ratio). Se il SIR è inferiore a 1, il numeratore è maggiore del denominatore e pertanto i casi osservati sono meno dei Pag. 5casi attesi. Se è uguale a 1, c'è una perfetta parità. Se è superiore a 1, i casi osservati sono maggiori dei casi attesi e la situazione è a nostro sfavore. C'è anche un intervallo di confidenza, che ci dice qual è la probabilità statisticamente significativa nella differenza tra i casi attesi e i casi osservati. Per noi è al di sotto del 5 per cento. Il nostro intervallo di confidenza è pertanto al 95 per cento.
  Quelli che vedete sono i nostri dati, per tutti gli anni e per tutti i tumori, esclusi i C44, cioè i carcinomi della cute, che escono da tutte le tabelle perché hanno uno scarso impatto clinico come tumori. I SIR sono tra 0,40 e 0,60. Questo significa che abbiamo circa il 60 per cento delle patologie neoplastiche della popolazione civile.
  In verde vedete le significatività statistiche. Per ogni anno troviamo un valore di casi osservati significativamente inferiore ai casi attesi. Nei missionari lo troviamo quasi sempre. Ciò che è in bianco non raggiunge la significatività statistica. Non possiamo dire che sia inferiore, ma forse è uguale al valore atteso.
  Facciamo poi un'analisi del rischio relativo, cioè del rapporto tra i tassi di incidenza nelle due popolazioni di militari, per vedere se avere partecipato a missioni possa costituire un rischio per i militari. Come vedete, c'è una grande quantità di caselle verdi, il che vuol dire che il valore relativo a chi partecipa alle missioni è ridotto. Le caselle gialle indicano, invece, un aumento di probabilità.
  Come tutti sappiamo, c'è un valore storicamente importante relativo al linfoma di Hodgkin e nel 2001, nel 2004 e nel 2006 risulta un rischio rilevante per i tumori della tiroide. Abbiamo indagato questi due tipi di patologie, entrando nello specifico, mentre complessivamente i tumori non costituiscono un campanello d'allarme per la popolazione militare, nel senso che i casi sono meno di quelli attesi in base all'incidenza sulla popolazione civile.
  Tutto nasce con la Commissione Mandelli, che osserva come tutte le neoplasie abbiano un valore SIR dello 0,48 ad eccezione del linfoma di Hodgkin, che presenta dodici casi contro cinque, una differenza significativa dal punto di vista statistico. La Commissione Mandelli compie anche un'altra operazione, cioè elimina il primo anno di latenza. È un ragionamento che dal punto di vista scientifico ha senso perché una malattia che insorge il giorno dopo una missione non è detto che dipenda dalla missione stessa. La carcinogenesi ha bisogno di un certo lasso di tempo e pertanto si sceglie di escludere ciò che succede nel primo anno. Questo ha indiscutibilmente senso sul piano biologico, tant'è che decide di farlo il professor Mandelli.
  Noi non abbiamo mai escluso nessuno. Una volta entrato nella nostra coorte del personale che partecipa alle missioni fuori area, il militare non ne esce più, proprio per evitare eventuali sottostime del fenomeno. La nostra storia dura quasi vent'anni. Dire che un tumore sia legato alla missione di tre mesi, compiuta vent'anni prima, dal punto di vista biologico è complicato. Tuttavia, noi non facciamo alcuna eliminazione e lasciamo la nostra coorte invariata dal primo giorno dopo la missione fino a che abbiamo informazioni.
  La stessa Commissione Mandelli valuta la concentrazione di uranio nelle urine. In realtà non trova differenze significative né tra i campioni di confronto né tra chi partecipa a più missioni né prima della partenza né dopo la partenza. Non c'è alcuna differenza nella concentrazione di uranio impoverito. È una diapositiva storica della Commissione Mandelli.
  Per quanto riguarda il linfoma di Hodgkin, vedete qui tutte e quattro le forze armate. Nel 2000 abbiamo una positività che riguarda sia il personale partito per le missioni sia quello che è rimasto a casa. Non c'è, quindi, una peculiarità relativa a chi è andato in missione. In verde sono indicate le positività in senso inverso, sono cioè con meno casi di quelli attesi.
  Considerando le singole forze armate, si scopre che l'Esercito, nel complesso, è il maggior contribuente in termini di casi di linfoma di Hodgkin sia tra chi partecipa alle missioni sia tra chi non partecipa. C'è una positività soltanto cumulativa tra tutti i casi nel 1999. La marina militare presenta positività, dovute soprattutto a chi è rimasto Pag. 6 a casa, nel 2001 e nel 2007. Diventa positivo anche il cumulo dei dati, ma la maggior componente è data da coloro che sono rimasti a casa. L'Aeronautica fortunatamente è tutta verde, il che vuol dire che abbiamo meno casi di quelli attesi. A parte il caso del 1996, anche i carabinieri non hanno grandi problemi.
  Siamo andati a vedere la suddivisione geografica dei casi di neoplasia notificati perché la distribuzione del nostro personale non è omogenea su tutto il territorio nazionale. Il centro-sud è rappresentato nel 72,46 per cento dei casi dei nostri malati. La stessa percentuale, 72,63 per cento, si riscontra per il linfoma di Hodgkin. In particolare, sud e isole rappresentano il 56,87 per cento per tutti i tumori e il 57,67 per cento solo per il linfoma di Hodgkin.
  Questo non è indifferente. La tabella dell'AIRTUM ci dice che la distribuzione dei tumori in Italia non è omogenea. È maggiormente rappresentata al nord, un po’ meno al centro e ancora meno al sud per tutti i tumori tranne due: il tumore della tiroide e il linfoma di Hodgkin. Questi dati, che sono dell'AIFA, dicono che, se diamo valore 100 al nord, abbiamo il 40 per cento in più di tumori della tiroide nel centro e il 9 per cento in più nel sud e nelle isole. Per il linfoma di Hodgkin parliamo di un più 31 per cento e di un più 6 per cento. Nessun altro tipo di tumore si comporta in questo modo. Sono quasi tutti negativi o quantomeno c'è una differenza tra nord e centro-sud. In questi casi abbiamo una rilevante maggiore entità.
  Abbiamo allora verificato se la distribuzione geografica della nostra popolazione, incrociata con la differente distribuzione dei tumori nella popolazione italiana, potesse avere qualche significato. In verde vedete i casi attesi e in rosso i casi osservati di tutta la popolazione, senza distinzioni. Più o meno le due linee coincidono. Ci sono alcuni picchi in alto e in basso, ma sostanzialmente non c'è differenza tra i nostri malati.
  Se consideriamo soltanto i nostri malati del sud e delle isole e li confrontiamo con i casi attesi nel sud e nelle isole, le linee diventano quasi parallele e i nostri casi osservati restano sempre al di sotto dei casi attesi. La distinzione è fatta in base al luogo di nascita. Può esserci un bias perché non è detto che il luogo di nascita sia il posto dove il soggetto ha risieduto per più tempo, ma, poiché il linfoma di Hodgkin è una malattia prevalentemente giovanile, probabilmente per la maggior parte dei soggetti il luogo di nascita corrisponde anche al luogo di prima residenza.
  Poiché la distribuzione per età dei nostri malati presenta un picco tra i 20 e i 29 anni, abbiamo confrontato la situazione della popolazione tra i 20 e i 29 anni nel sud e abbiamo riscontrato un forte picco nel 2007-2008. L'incrocio dei nostri dati con questi ci evidenzia due aspetti molto importanti. In primo luogo, come al solito, non ci sono grosse differenze rispetto alla popolazione generale. Sono il luogo di nascita o l'appartenenza regionale a determinare l'incidenza del linfoma di Hodgkin tra le persone. Questo picco così esplosivo nel 2007-2008 non si spiega altrimenti. È esattamente lo stesso picco che presenta la popolazione di origine. La partecipazione a missioni fuori area non determina alcun problema. Parliamo di soggetti italiani che vivono in Italia.
  Il secondo aspetto, secondo me, fondamentale è che un'esplosione di casi così significativa al sud – sono dati AIRTUM – si spiega soltanto in un modo e cioè con un processo di tipo infettivo. O è scoppiato un fattore ambientale rilevante ma momentaneo, che ha interessato solo due anni e poi è ritornato nella norma, o altrimenti non riesco a spiegarlo. C'è motivo di pensare che sia un processo infettivo perché abbiamo molte pubblicazioni sul ruolo dell'Epstein-Barr virus, dell'Herpes virus di tipo 6 e anche della tubercolosi. Qualcuno ha messo in mezzo persino il morbillo. Sul fatto che il linfoma di Hodgkin possa avere a che fare con le malattie infettive ci sono, quindi, ripetute osservazioni documentate.
  Abbiamo fatto anche un'altra analisi, ipotizzando che il problema fosse ambientale e legato alla partecipazione alle missioni fuori area. In questo caso, più si sta fuori area e più dovrebbe essere alta la probabilità di andare incontro ad una malattia. Pag. 7 Abbiamo fatto una sorta di curva dose-risposta, dividendo in quartili la nostra popolazione, come potete vedere nella diapositiva. Abbiamo tenuto separate le forze armate perché la partecipazione alle missioni è molto diversa dall'una all'altra. L'Esercito resta fuori molto più a lungo. Se le avessimo messe tutte insieme, probabilmente i carabinieri sarebbero stati tutti nel primo quartile e l'Esercito tutto nell'ultimo. Ne sarebbe uscito un pastrocchio. Le abbiamo tenute separate e abbiamo verificato l'incidenza del linfoma di Hodgkin nei diversi quartili.
  Come vedete, la più alta incidenza si ha nel primo quartile, quello la cui popolazione resta meno tempo fuori area. Questo ci dice che la condizione ambientale non è preponderante. Il fatto di stare molto tempo fuori area dice qualcosa anche sull'uso dei vaccini perché partire in tempi successivi significa ripetere le vaccinazioni. C'è anche questo aspetto, ma possiamo dire che l'incidenza della malattia è dissociata dalla partecipazione alle missioni fuori area.
  Ci siamo posti una domanda ulteriore e cioè cosa succeda nei Paesi dove l'impatto ambientale dovrebbe essere indicativo e se questo abbia determinato il linfoma di Hodgkin. Questi dati sono dell'International Agency for Research on Cancer dell'Organizzazione mondiale della sanità. L'Italia è al primo posto nel sud dell'Europa per linfoma di Hodgkin. Di seguito vedete i dati di Bosnia, Albania, Montenegro eccetera. È difficile pensare, dal punto di vista dell'impatto ambientale, che un cittadino italiano che soggiorni, ad esempio, in Bosnia per tre mesi venga colpito da una malattia rarissima lì e molto frequente in Italia, senza contare il fatto che le Nazioni Unite nel 2013 riferiscono che, sulla base dei dati disponibili, non è possibile associare l'esposizione a fonti radioattive e un eccesso di linfoma di Hodgkin. Anche questo fa parte del ragionamento.
  Complessivamente, la particolare distribuzione geografica del linfoma di Hodgkin nella popolazione italiana rende conto degli aspetti epidemiologici nella popolazione militare. I nostri dati e quelli della letteratura scientifica internazionale non autorizzano a ritenere rilevante il ruolo dei contaminanti attribuiti all'ambiente fuori area nella genesi della malattia. Lungi da me pensare che l'ambiente fuori area sia sano, ma non abbiamo evidenze di un impatto sulla patologia del nostro personale. Il messaggio è questo.
  Anche se i nostri dati non investigano direttamente l'eziopatogenesi della malattia perché non facciamo indagine scientifica sulla cancerogenesi dei nostri militari, l'età dei militari affetti dal linfoma di Hodgkin corrisponde al giovane adulto, il soggetto più frequentemente associato alle malattie infettive, mentre l'andamento epidemico del linfoma di Hodgkin osservato anche nella nostra popolazione militare suggerisce un aspetto attivo della malattia infettiva.
  Passiamo al tumore della tiroide. Cumulando tutti i dati, abbiamo un aumento soltanto nel 2007. Abbiamo però osservato un maggior numero di casi rispetto a quelli attesi negli anni 2001, 2004 e 2006 tra coloro che sono andati in missione e di nuovo nel 2007 tra coloro che non sono andati in missione. Come prima, distinguiamo le singole forze armate.
  Nel 2001 l'incidenza è prevalente in chi è andato in missione e faceva parte dell'Esercito; nel 2005 in tutta la forza armata dell'Esercito. La Marina militare è quasi sempre al di sotto dei casi attesi e lo stesso dicasi per l'Aeronautica, che presenta soltanto 4 casi nel 2004, poco rilevanti dal punto di vista statistico. Dal punto di vista del peso statistico, al di sotto dei 5 casi la statistica è sempre diversa. I carabinieri, infine, presentano dati problematici dal 2006 al 2011, anni in cui chi era andato fuori area presentava una maggiore incidenza, mentre nel 2007 è interessata la forza armata nel suo insieme.
  Come possiamo giustificare quello che osserviamo? Innanzitutto, abbiamo un aumento del tumore alla tiroide in tutta la popolazione mondiale. Quelli che vedete riprodotti sono alcuni lavori che riguardano la Francia, la situazione mondiale, gli Stati Uniti eccetera. La situazione italiana, analizzata dal professor Dal Maso, presenta un aumento dei tumori alla tiroide di Pag. 8circa il 10 per cento l'anno. È una vera epidemia. Vi mostro l'aumento dei tumori della tiroide nella popolazione tra i 20 e i 39 anni nel sud e nelle isole. I dati sono dell'AIRTUM. I dati successivi riguardano, invece, le fasce di età 20-39 anni e 40-59 anni, ma il trend è sempre in salita. C'è un aumento costante nella popolazione.
  Questo ha un impatto importante sui nostri dati. Come ho detto, i dati stabilizzati dell'AIRTUM si fermano al 2009 ed è con questi che eseguiamo i nostri confronti. Dal 2009 in avanti facciamo una proiezione, colmando il vuoto come se il tumore fosse stabile. In realtà così non è, perché aumenta del 10 per cento all'anno. Probabilmente una componente è legata anche a questo. Per quanto riguarda la distribuzione in età dei nostri soggetti, come vedete, l'aumento del tumore papillare, che abbiamo visto prima nel lavoro di Dal Maso, corrisponde esattamente alla fascia di età dei nostri soggetti.
  Tra i carabinieri si riscontrano più casi ed è un fatto noto. I carabinieri si sono impegnati fin da subito – questo lavoro è ormai del 2008 – a valutare tale aspetto perché furono riportati alcuni casi singoli. Sulla base di questi, hanno iniziato uno studio in collaborazione con l'Università di Pisa. Lo studio dimostra che non ci sono differenze tra chi ha partecipato e chi non ha partecipato a missioni fuori area e che probabilmente molto va attribuito alle capacità diagnostiche.
  A un certo punto, infatti, i carabinieri, proprio per il campanello d'allarme che li riguardava, chiedono e ottengono di fare un'ecografia tiroidea a tutti i militari, in particolare a quelli impegnati fuori area. Nel frattempo è partito il «protocollo Mandelli», che richiede il dosaggio fT3, fT4 e TSH. La combinazione delle due cose fa sì che i carabinieri trovino precocemente tumori, che si sarebbero sviluppati nel tempo, concentrati nel periodo dello screening. Se questo è vero, avendo fatto diagnosi precoci, ci aspettiamo un calo dei casi.
  Io ho chiesto che lo screening con ecografia tiroidea venga adottato da tutte le forze armate perché è arrivato il momento. L'aumento dei tumori della tiroide, a prescindere dalla partecipazione alle missioni, è una questione di medicina preventiva. Sapendo che un tumore sta aumentando in modo definitivo e così importante – 10 per cento all'anno è un numero mostruoso, che, proiettato su tutta la popolazione italiana, fa davvero impressione –, forse è il caso di fare qualcosa dal punto di vista della medicina preventiva.
  Non ho accennato alla suddivisione tra nord, centro e sud, ma avete visto prima che i tumori della tiroide sono del 40 per cento più frequenti nel centro e del 9 per cento nel sud rispetto al nord Italia. Sulla nostra popolazione, che è prevalentemente del centro-sud, questo ha un impatto notevole.
  Uno dei problemi che abbiamo da sempre è che non seguiamo i nostri militari una volta congedati. Si viene congedati per l'età, a 60 o 65 anni al massimo, o perché malati o per altri motivi. Qualcuno, per esempio, cambia lavoro o vuole andare altrove. Dopo il congedo non li seguiamo più perché la sanità militare non ha più competenza. Il fenomeno era più accentuato un tempo perché, con la leva, si veniva classificati militari per un anno e dopo si tornava nel servizio sanitario nazionale. Era una vasta popolazione di cui non sapevamo più nulla.
  Attualmente, invece, abbiamo personale in servizio permanente effettivo (SPE) che si lega alle forze armate e continua, per sé e per i propri familiari, ad essere seguito nelle strutture sanitarie. Siamo una struttura sanitaria di riferimento, per cui questo legame si è consolidato nel tempo. Abbiamo sempre avuto, però, il problema di perdere qualcuno.
  Abbiamo allora iniziato e concluso un lavoro, secondo me molto importante, sulla mortalità dei militari che hanno partecipato a missioni in Bosnia-Erzegovina e Kosovo. I risultati sono stati confrontati con i dati ISTAT sulla mortalità della popolazione italiana e con quelli relativi a un gruppo di carabinieri dell'organizzazione territoriale, mai allontanatisi dall'Italia. I dati sono ISTAT. Noi abbiamo fornito semplicemente l'elenco del personale che ha partecipato a missioni e nient'altro. Parliamo Pag. 9 di 70.806 militari che sono stati in missione e di 114.000 che non hanno partecipato a missioni. Trattandosi di coorti nel tempo, si sommano i soggetti.
  I morti che noi abbiamo avuto sono complessivamente 387, indipendentemente dalla causa. I decessi attesi rispetto alla popolazione generale erano 686. Il rapporto standardizzato di mortalità (SMR), che corrisponde al SIR, è 0,56. Nel nostro gruppo di controllo abbiamo 440 casi. Il militare che rimane in Italia è comparabile a 0,88. Significativamente, i militari andati fuori area muoiono meno del personale militare rimasto in Italia.
  Parlando di patologie neoplastiche, abbiamo esattamente la metà dei morti: 80 contro i 160 attesi nella popolazione generale e gli 84 del gruppo di controllo. Abbiamo, cioè, meno morti sia tra i militari nel complesso sia, in particolare, tra i militari che hanno partecipato a missioni fuori area rispetto a quelli che non hanno partecipato.
  L'articolo è stato pubblicato sullo European Journal of Public Health e ha superato tutte le prove.

  PRESIDENTE. Bisognerebbe istituire una Commissione d'inchiesta per tutelare coloro che non vanno in missione.
  Sono discriminati.

  CLAUDIO DE ANGELIS, Direttore dell'Osservatorio epidemiologico della Difesa. Ci sono ipotesi, di cui forse possiamo parlare.
  Ci sono l’«healthy soldier effect» e l’«healthy warrior effect». Il primo protegge il militare in generale. Il secondo protegge in particolare i militari che sono andati fuori area e che, prima di uscire dai confini nazionali, vengono ulteriormente visitati. Si compie, quindi, una scrematura.
  Tuttavia, secondo me, questo non tiene conto di tutto. La vera protezione del militare – lo dico da militare – è lo stile di vita. Noi subiamo controlli sanitari continui. Se abbiamo il colesterolo alto, ci viene corretto. Se la pressione non è regolare, viene corretta. Siamo sottoposti ad un controllo continuo che ci induce all'autocensura. Si evita di mangiare cose che fanno ingrassare sapendo di dover fare la visita per l'idoneità di sperimentatore di volo. Chi non fa vita militare non ha questi vincoli.
  Quando ero all'Istituto di medicina aerospaziale ho condotto uno studio sui fattori di rischio cardiovascolare. Si nota una graduatoria. Più la selezione del personale è severa, più i fattori di rischio sono sotto controllo. Il pilota militare è al primo posto, l'equipaggio militare al secondo, il pilota civile al terzo. Più si dà «fastidio» al personale, più il personale si controlla. Lo stile di vita, per altro, non protegge solo il cuore, protegge anche dall'insorgenza del cancro. Il sovrappeso è un fattore di rischio importante per il cancro, come lo è il sale. Tramutando l'effetto in numeri, più siamo controllati e meno tumori abbiamo.
  Qui vi riporto alcune pubblicazioni, qualcuna ormai storica. Questa di Kang e Bullman è del 1996. Il problema dell'uranio impoverito sorge con la Guerra del Golfo nel 1991 e subito l'argomento allarma gli Stati Uniti. Vi faccio notare i numeri: 695.516 persone contro 746.291. Probabilmente, vi rientrerebbero intere regioni italiane. Il rapporto di mortalità tra coorti di militari è di 0,83. Nella popolazione generale statunitense è di 0,32, un terzo. È un numero drammatico, su un numero esplosivo di casi. Lo stesso studio viene riconfermato nel 2001, ancora con numeri incredibili tra coorti di militari. Il numero è lo stesso: 0,83 contro 0,90. Non c'è alcuna evidenza di mortalità aumentata tra chi ha partecipato alle missioni.
  Questo, invece, è lo studio di Mcfarlane per la Gran Bretagna e compara la coorte che è stata nel Golfo alla coorte militare. Il rapporto è 1,11. In altri studi, Mandelli riporta 0,48 e ancora Mcfarlane riporta 0,98. Gustavsson, per la Svezia, riporta 1,20, ma la differenza non è significativa. Uno studio danese riferisce 0,90 e un altro degli Stati Uniti 0,99. Si tratta, però, di malattie e non più di mortalità. Bogers per i Paesi Bassi parla di un rapporto tra 0,83 e 0,85. Capocaccia, relativamente alla coorte che abbiamo visto poco fa, riporta 0,95 e 0,50 per quanto riguarda la popolazione generale. Uno studio più recente del 2015 Pag. 10parla di un rapporto di 1,2, per gli Stati Uniti si riporta un 1,12. Nessuno ha evidenziato una correlazione con le missioni. La Veterans Administration ha distinto chi ha partecipato alle missioni da chi non ha partecipato in base alla tipologia di tumore per verificare eventuali differenze, ma non ne ha riscontrate.
  Consegno alla Commissione un report che, essendo del 2016, è il più aggiornato. Si tratta dell’Update of Health Effects of Serving in the Gulf War, redatto dall'indipendente Institute of Medicine, braccio operativo della National Academies of Sciences degli Stati Uniti, che dal 1991 segue il problema della cosiddetta «sindrome del Golfo», mai ben definita da un punto di vista medico.
  Nelle oltre 300 pagine di questo decimo volume dello studio, l'Istituto valuta tutti gli aspetti medici collegati e, per quanto riguarda i tumori, conclude rilevando una insufficiente o inadeguata evidenza – il gradino più basso di evidenza – per determinare se esista un'associazione tra il dispiegamento nella Guerra del Golfo e ogni forma di cancro, inclusi il cancro del polmone e del cervello.
  Cito questi due tumori perché il tumore del polmone dovrebbe essere la prima barriera dell'uranio impoverito, che, se inalato, intacca soprattutto i polmoni. Per quanto riguarda il tumore del cervello, erano stati invece segnalati alcuni casi di cancro dell'encefalo.
  In conclusione, l'incidenza globale dei tumori maligni nella popolazione militare nel periodo 1996-2013, nelle classi di età considerate in questo studio, appare significativamente inferiore sulla base del confronto con la popolazione italiana (dati dei registri AIRTUM). Questo dato si riscontra sia se consideriamo la popolazione militare nel suo complesso, sia se consideriamo solo la coorte del personale impegnato fuori area, sia, infine, se ci riferiamo alla coorte del personale mai impegnato all'estero.
  La mortalità per patologie neoplastiche del personale militare è pari a circa la metà di quella riscontrata nella popolazione generale e non è stata osservata alcuna differenza tra le coorti del personale impiegato nei Balcani e di quello mai impiegato nelle operazioni fuori dai confini nazionali (OFCN).
  I dati di sorveglianza riportati non supportano l'ipotesi che esista un problema di maggiore incidenza di neoplasie tra il personale militare né che la partecipazione a missioni OFCN rappresenti un rischio specifico per l'insorgenza di neoplasie, confermando quanto già descritto in letteratura relativamente alle forze armate degli altri Paesi.
  A questo punto vorrei aggiungere semplicemente che per noi qualsiasi tumore è un problema. Siamo medici: per noi anche un solo caso è un problema. La questione non è archiviata, tant'è che siamo impegnati in un'opera di prevenzione. Ho già detto che vorremmo eseguire l'ecografia di massa sulla popolazione militare e sicuramente continueremo il nostro studio epidemiologico. Le evidenze, però, sono queste.
  La presenza di tumori nella nostra popolazione, così come nella popolazione italiana, è un problema, e a volte un dramma personale. Io sono medico. È il mio mestiere. Sono morti amici e sono morte persone che conoscevo. Vorrei chiudere citando una frase di Andrejs Dunkels, matematico e statistico svedese: «È facile mentire con le statistiche, ma è difficile dire la verità senza». Se non vengono portate statistiche che dimostrino un aumento di incidenza, non viene detta la verità perché manca l'osservazione.
  Vi ringrazio per l'ascolto.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, colonnello. La verità la stiamo cercando anche noi, statistica o non statistica.
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIA AMATO. Grazie infinite per l'esposizione e per i riferimenti. È una medicina basata sull'evidenza, che non può fare a meno né della statistica né della epidemiologia.
  Mi perdonerà l'osservazione da medico di campagna. Quando si dice che non c'è Pag. 11una significativa differenza nell'incidenza neoplastica tra i militari e la popolazione, a me inquieta perché significa che l'attività fisica, le osservazioni alimentari, i controlli, l'essere giovani non servono a niente. Quella è una popolazione omogenea e io mi aspetto che l'incidenza neoplastica sia ridotta rispetto a una popolazione che ha incidenza di malattie rare e problemi che portano a essere esclusi dalle selezioni per entrare nei corpi militari.
  Non dico che la selezione militare sia la selezione della perfezione, ma sicuramente è la selezione di chi sta meglio. In chi sta meglio, se è vero che ci sono fattori predisponenti legati alla cattiva alimentazione, all'essere in sovrappeso, alla presenza di malattie rare o al contrarre patologie infettive, si deve vedere una significativa differenza. I militari devono ammalarsi di meno.
  Lei citava la popolazione del sud come frequentemente viene citata negli studi di linfoma di Hodgkin. Vorrei chiederle se è stato fatto un confronto tra l'andamento negli anni dell'incidenza del linfoma di Hodgkin e del cancro della tiroide, che sono i tumori più sensibili al contributo di una esposizione alla radiazione ionizzante, oltre che alle malattie infettive. Vorrei anche sapere se, quanto ai linfomi di Hodgkin, c'è una differenza tra la mortalità dei militari e la mortalità di una popolazione confrontabile, omogenea per età, e quale grado di linfoma di Hodgkin è emerso tra i casi diagnosticati.
  Ritengo sia stata fatta – troppo belli gli studi per non essere presi in considerazione – una valutazione, per il picco del linfoma di Hodgkin negli anni 2006-2008, su eventuali disastri nucleari, come per esempio quello dell'Ucraina. Le chiedo, poi, se siano stati fatti confronti con la Grecia e con la Spagna – stesso sud – per verificare se l'incidenza di morbilità e mortalità sia simile.
  È vero che esiste un nesso tra linfoma di Hodgkin e malattia infettiva. Aver contratto l'Epstein-Barr è ormai considerato fattore predisponente. Visto che la mononucleosi è una delle patologie con obbligo di segnalazione, è presente nella storia di quei pazienti affetti da linfoma di Hodgkin e, se sì, con quale incidenza?
  Abbiamo visto che la patologia tumorale del testicolo è abbastanza incidente. Il testicolo è un organo bersaglio. Questo con la Commissione di inchiesta non c'entra niente, ma c'entra con la divagazione sulla prevenzione che ha fatto il colonnello. Ci sono studi sul rilevamento precoce del seminoma e quelli che si salvavano di più erano i militari perché la visita militare era accurata.
  Non è il caso di pensare, visto che avete questo slancio sul carcinoma tiroideo, di estendere le ecografie anche al testicolo, visto che l'ecografia è l'esame per la diagnosi precoce anche del testicolo?
  Infine, manca la parte dei vaccini. Non si è parlato del rilevamento di casi avversi ai vaccini e delle eventuali conseguenze o associazioni di casi avversi e patologia indotta.

  DIEGO ZARDINI. Anch'io sono persuaso che alla fine occorrerà un'analisi accurata di un lavoro ponderoso, che riconosciamo e valuteremo nel dettaglio e in maniera molto attenta, con l'aiuto di qualche nostro consulente epidemiologo, che ci aiuterà a leggere meglio le informazioni che ci sono state date questa mattina.
  Penso che sia corretta l'affermazione finale del colonnello, ma penso anche che sia importante arrivare al grado di dettaglio necessario per un'analisi seria. L'analisi troppo sgranata rischia di dare conclusioni fuorvianti. Mi riferisco in particolare al fatto che ci è stata presentata una suddivisione tra le varie forze armate e tra chi è stato o non è stato in missione.
  Questo grado di dettaglio, seppure importante, mi sembra insufficiente per una seria valutazione dell'incidenza, per esempio, del tipo di mansione che viene svolta dal militare che va in missione o piuttosto da coloro che si ammalano e rimangono in Italia. Allo stesso modo, mi sembra importante il dettaglio dei vari teatri. Posso presumere, infatti, che ci siano differenze tra teatro e teatro fuori area.
  Se vogliamo effettivamente comprendere l'incidenza dei fattori di rischio, occorre comprendere che tipo di attività viene Pag. 12svolta dal militare all'estero. Forse dati e informazioni ci sono già. Se non ci sono, andrebbero indagati. Il grado di rischio del singolo militare fuori area potrebbe essere diverso in base al fattore di rischio legato alla mansione o all'attività svolta. Rischiamo altrimenti di avere una visione sgranata, come in un PC con pochi pixel. Noi invece dobbiamo cercare di arrivare, se vogliamo davvero la verità, a quel grado di dettaglio che ci consenta di vedere bene.
  Altra cosa importante per l'analisi che è stata presentata oggi, e che forse non riguarda voi, è il metodo di calcolo dei casi attesi. Bisognerà approfondire, presidente Scanu, come viene calcolato il registro tumori della popolazione italiana e con quale qualità e dettaglio.
  Comprendere bene anche questo aspetto, visto che è uno dei due elementi del rapporto, diventa di fondamentale importanza.

  LUIGI LACQUANITI. Ringrazio il direttore dell'Osservatorio epidemiologico della Difesa. Lo ringrazio non in maniera rituale perché l'esposizione è stata davvero interessante e approfondita. Abbiamo alle spalle ormai parecchie audizioni e in qualche caso abbiamo dovuto ascoltare affermazioni un poco grossolane, trasmesseci in maniera altrettanto grossolana. Non è il suo caso.
  Io non ho, al contrario della collega Amato che mi ha preceduto, una competenza in campo medico e quindi perdonerà il carattere molto elementare delle mie domande, che sono anche molto brevi.
  Nella sua esposizione ha distinto fra partecipazione a missioni e non partecipazione a missioni. Volevo capire in quale di queste due categorie vanno inserite le eventuali partecipazioni a esercitazioni in poligoni di tiro all'interno del nostro Paese.
  La seconda richiesta è innanzitutto una conferma. Quando lei parla di esposizione a varie fonti, anche in teatri di missione all'estero, comprende l'esposizione ravvicinata a nanoparticelle da uranio impoverito?
  Anch'io sono rimasto davvero colpito dai dati che ci ha comunicato riguardo all'incidenza all'estero di eventuali casi di neoplasie riconducibili, in qualche modo, all'uranio impoverito. Se ho ben capito, si tratta di dati relativi anche alla popolazione civile. Volevo capire come sono stati rilevati questi dati e quali sono le fonti e se si fa riferimento unicamente al personale militare all'estero.
  In sede di altre audizioni, invece, ci è stato detto che all'estero l'esposizione all'uranio impoverito ha causato danni rilevanti anche alla popolazione civile.

  IVAN CATALANO. Devo ammettere che sono abbastanza perplesso. Non sono convinto a sufficienza dall'esposizione del direttore dell'Osservatorio.
  Mi ricollego a quello che diceva la collega Amato. L'aspettativa della popolazione militare dovrebbe essere quella di una popolazione più sana. Per quelli che sono i criteri di reclutamento, ci si aspetterebbe che la popolazione militare fosse composta da persone sane. I dati, quindi, dovrebbero essere al contrario. Dovrebbero rappresentarci una diminuzione dei casi di malattie.
  Ciò vuol dire che questo gap tra quello che ci si aspetterebbe e i dati che abbiamo è dovuto all'attività militare. L'attività militare compensa la mancata aspettativa di un dato ridotto rispetto alla popolazione totale. È una prima osservazione. Andrebbe capito, secondo me, se l'attività militare comporta un peggioramento della salute di una popolazione che ci aspettiamo essere più sana della popolazione totale, che è invece soggetta a normali abitudini e non al filtro della selezione.
  Non mi convince il modo in cui lei ha liquidato la questione dei vaccini. Ci ha detto che non c'è alcuna connessione tra l'andare in missione ed essere sottoposti a vaccini e le conseguenze neoplastiche o le patologie subite dalla popolazione militare. Non riesco a capire come lei faccia a dirlo, se prendo in considerazione la relazione della Commissione che ha preceduto questa, che invece ha accertato, grazie ai dati rilevati dal «progetto SIGNUM», che «non sembra appropriato l'uso di trial vaccinali con più di cinque diversi vaccini nei vari soggetti con genotipo di rischio OGG1 e GSTM1 e l'impiego di questi soggetti in Pag. 13attività di pattugliamento, che andrebbe sottoposta a particolare attenzione».
  La precedente Commissione ha rilevato che c'è un'incidenza tra la somministrazione di più vaccini e la possibilità di contrarre malattie. Non capisco come mai lei ci liquidi così, nonostante esistano accertamenti di segno contrario. Sembrerebbe, peraltro, che, in qualche caso, le stesse persone che hanno accertato queste risultanze le neghino in altre sedi. Vorrei capire se nelle sue osservazioni abbia tenuto conto delle risultanze del «progetto SIGNUM».
  Noi vorremmo approfondire e rielaborare i dati del «progetto SIGNUM» in relazione a questioni quali l'anamnesi vaccinale, i tipi di vaccinazione che i militari hanno fatto anche nella vita civile e altre che potrò consegnarle per iscritto. Vorremmo, quindi, una rielaborazione dei dati.
  Questo è, in breve, quello che non mi ha convinto. Vorrei anche chiederle di rispondere – non ora perché dovrà procurarsi le informazioni necessarie – ad alcune domande che riguardano la gestione della profilassi vaccinale. Ad esempio, vorrei sapere come viene individuato il fabbisogno vaccinale e così via.
  Al termine dell'audizione le darò una tabella da compilare.

  PRESIDENTE. Collega, vorrei che lei consegnasse questa tabella perché vorrei darne conto a tutti.

  IVAN CATALANO. La consegnerò prima del termine, presidente.
  Mi ero preparato diversamente, ma quello che ci ha esposto il colonnello mi ha lasciato perplesso e mi ha confuso.

  PRESIDENTE. Vorrei rassicurarla, collega. Il suo intervento non era confuso.

  PAOLA BOLDRINI. Ringrazio anch'io il colonnello per l'esposizione. Ci sono molti dati che devono essere osservati. Oggi li abbiamo visti così. Lei ci ha lasciato una memoria e la studieremo. Emerge subito, però, il fatto che non ci siano incidenze maggiori nella popolazione militare rispetto alla popolazione civile.
  Mi sorge una domanda. Lei ha detto che questi dati sono stati posti in relazione con i dati raccolti da AIRTUM. In Commissione sanità stiamo cercando di regolare il registro dei tumori e sappiamo che AIRTUM non possiede la totalità dei dati. È al 51 per cento, con la speranza di arrivare al 100 per cento entro breve tempo e con tutte le difficoltà della raccolta dati.
  Se il raffronto è stato fatto con i dati in possesso di AIRTUM, che non coprono il totale della popolazione, e con registri che non sono completi e che in una parte d'Italia non esistono – lei stesso ha detto che Roma non ha il registro dei tumori –, io non sono una statistica, ma mi sorge un dubbio. Se confrontiamo dati incompleti con dati completi, è ovvio che la percentuale di ciò che si evidenzia si abbassa. Le fonti sono la cosa primaria su cui ragionare, ma i dati devono esserci tutti.
  In secondo luogo, vorrei parlare anch'io delle mansioni. Chi va in missione è soggetto a una vaccinazione più intensa di chi non ci va. A questo punto, ho un altro dubbio. Perché tutti i casi a noi noti riguardano militari che sono andati in missione e soprattutto in un certo teatro di missione? Anche su questo credo ci sia da fare un raffronto perché i dati che abbiamo noi vanno in quella direzione. Andrebbero confrontati il registro delle missioni e l'attività svolta nei poligoni dai militari che non sono in missione e che hanno una prevenzione vaccinale diversa.
  Questi sono i miei dubbi, ai quali vorrei una risposta.

  GIANLUCA RIZZO. Anch'io ringrazio il colonnello De Angelis. La mole dei dati è importante e analizzarla in poco tempo non è plausibile. Avremo il tempo per studiarla, anche grazie ai consulenti.
  Vorrei farle qualche domanda sull'Osservatorio in quanto tale. Quante risorse sono state stanziate a favore dell'Osservatorio attingendo al fondo previsto dall'articolo 603 del codice di ordinamento militare (COM)? Chi sono i membri dell'Osservatorio? Vi sono membri che hanno fatto Pag. 14parte del Comitato di verifica per le cause di servizio della sanità militare?
  Alcuni colleghi mi hanno anticipato, ma vorrei fare anch'io una riflessione sul lavoro di confronto con i registri dei tumori. Credo che riferirsi ai dati AIRTUM, che coprono solo il 51 per cento del territorio italiano, non sia sufficiente. Lei parlava del centro, del sud e delle isole e abbiamo visto la Sicilia quasi del tutto colorata in rosso e la Sardegna colorata per metà. Vorrei riflettere proprio su quanto lei ha detto del centro-sud e delle isole.
  Mi interesserebbe anche approfondire il confronto con i dati della Bosnia. Non mi risulta che lì ci sia un ente con registri tumorali. Vorrei capire che tipo di confronto avete fatto e soprattutto se avete riflettuto sul fatto che, proprio a causa del conflitto bellico, la popolazione è migrata e quindi è diminuita.
  Mi associo, infine, a quanto già detto dai colleghi sui vaccini.

  ROBERTO CAPELLI. Ringrazio anch'io per l'esposizione molto interessante. Lascio le considerazioni ad altra sede. Mi interessa farle qualche domanda per comprendere meglio.
  Condivido in larga parte la premessa fatta dalla collega Amato sui campioni omogenei per avere rispondenza con la realtà tra popolazione civile e militare. Condivido tutte le sue osservazioni e ne aggiungerei un'altra per quanto riguarda il grado di incidenza al centro, al nord e al sud. Conosco già la risposta, ma le chiedo ugualmente quale sia la composizione del personale delle forze armate tra nord, centro e sud.
  Mi risulta che il sud sia molto più rappresentato rispetto alle altre aree del Paese e questo è un dato che andrebbe considerato. Conosco già la risposta perché l'abbiamo sentita, ma non se ne tiene conto nella statistica. Non lo interpreto a favore o contro. Ho cambiato l'impostazione del mio ruolo qui in Commissione dopo aver sentito un suo collega ricordare il rapporto tra il militare e lo Stato e gli impegni dello Stato nei confronti del militare, a cui è garantita la completa assistenza perché mette a disposizione dello Stato la sua vita. Ho ben presente quell'affermazione. Mi interessava sapere – come ripeto, le considerazioni le lascio ad altra sede – se ci sono studi simili di altre nazioni che abbiano partecipato alle missioni e quali sono i dati rilevati sul personale militare impegnato in missione.
  Sottoscrivo gli interventi dei colleghi sul personale militare che non partecipa a missioni e sollecito eventuali indicazioni e studi fatti sul personale che, partecipando o non partecipando a missioni, partecipa alle esercitazioni nei poligoni militari. Sarebbe interessante sapere perché alcuni militari abbiano riferito di non avere dotazioni di sicurezza sufficientemente idonee per operare in teatri di missione e vorrei capire se, invece, altre nazioni meglio dotate abbiano lo stesso grado di incidenza tumorale e quant'altro.
  Inoltre, vorrei capire se è una scelta statistica quella di esprimere i valori sempre in termini numerici e non in termini percentuali. C'è il numero dei casi, ma non la percentuale d'incidenza sulla popolazione militare. Leggo in gran parte dalle tabelle che c'è un'espressione numerica in termini assoluti, ma non c'è una espressione percentuale. Ho mal interpretato io nella lettura frettolosa delle tabelle?
  Da ultimo, concentrandoci sulla maggiore incidenza nel centro-sud e nelle isole, è disponibile un maggiore approfondimento sulle singole regioni?

  PRESIDENTE. È in corso di distribuzione un fitto elenco di domande, che sono convinto verrà ulteriormente implementato forse già in giornata, che i colleghi hanno predisposto per l'Osservatorio e che, al più tardi entro domani, vi sarà recapitato.
  Intanto, io ho preso visione del calendario della nostra Commissione. All'inizio della riunione odierna ho dovuto prendere atto che il presidente dell'Istituto superiore di sanità ha dichiarato di non poter più essere presente nella data che avevamo chiesto, cioè il 20 aprile. Se voi foste già nella condizione di assicurare la vostra presenza il 20 aprile, noi potremmo organizzarci di conseguenza, perché sarebbe meglio non far passare molto tempo da questo incontro. Pag. 15
  Oggi è il 7. Ci sono due settimane. Ce la fate senz'altro.

  CLAUDIO DE ANGELIS, Direttore dell'Osservatorio epidemiologico della Difesa. La prossima settimana sarò al congresso dell'AIRTUM per presentare il nostro lavoro. Non so se ci sono i tempi.
  Dipende dalle domande.

  PRESIDENTE. Vi chiediamo questo sacrificio. Eventualmente tornerete una terza volta. Vi chiediamo gentilmente la cortesia di venire il 20 aprile alle ore 8,30. Qualora non riuscissimo a parlare di tutto e ad avere la possibilità di indagare su tutto, tornerete una terza volta.
  In conclusione, e in maniera molto «delicata», vorrei fare una considerazione di carattere generale, che in verità non impatta sulle vostre persone. Tutti quanti noi doverosamente, ma convintamente, vi abbiamo ringraziato. Siete venuti qui con una documentazione molto fitta, messaci peraltro a disposizione prima dell'incontro, per cui vi ringraziamo davvero per aver creato le condizioni logistiche migliori. Non tutti in verità fanno così e quindi va a vostro merito aver consegnato alla nostra Commissione tutto questo materiale.
  Una cosa che stride e che ritengo non riguardi le vostre persone è ciò che emerge come atteggiamento dell'amministrazione della Difesa, un atteggiamento pregiudizialmente estraneo ad una logica laica. Non c'è laicità nell'atteggiamento. La sua relazione propone dichiarazioni apodittiche molto forti, che io francamente avrei evitato. Non so con quanta consapevolezza – non voglio mettere in dubbio alcunché – lei abbia potuto affermare che non esista relazione con l'attività svolta nei teatri operativi, con l'attività militare in genere e con i poligoni.
  Se c'è stato bisogno di costituire quattro Commissioni d'inchiesta, vorrà pur dire che nessuno è in grado di dimostrare una estraneità di tutto ciò che accade nell'ambito militare. Questo lo dice il Parlamento, non lo dice il presidente di turno o i commissari di turno. Al di là della grande cortesia che vi ha contraddistinto e della personale onestà intellettuale, di cui sono e siamo sicuri che siate titolari, di fatto questa mattina avete portato il riflesso di un atteggiamento che è da sempre quello dell'amministrazione della Difesa.
  Anziché assumere un atteggiamento laico, c'è questa volontà precostituita, granitica a livello dogmatico, di affermare che di sicuro responsabilità da parte del mondo della Difesa non ce ne sono. Poiché ne stiamo parlando pubblicamente in Commissione e quindi stiamo parlando al Parlamento o come un pezzo del Parlamento, se c'è la necessità di pervenire ad ulteriori approfondimenti è anche perché la giurisdizione domestica, che l'amministrazione della Difesa ha determinato in un ambito molto più avvolgente, che va ad impattare anche sul trattamento più o meno risarcitorio da riconoscere a coloro che hanno subito determinate malattie e in taluni casi la morte, non ha avuto la volontà di entrare in un rapporto più aperto, che comportasse, anche da un punto di vista culturale, l'esistenza della necessità di eventuali miglioramenti.
  Possibile che vada tutto bene, che sia tutto perfetto o che addirittura si possa affermare che, per vivere sani e campare cent'anni, un tempo bisognava bere una certa marca di birra e adesso invece bisognerebbe far parte di un determinato ambito della pubblica amministrazione? Permettetemi questa considerazione perché l'affermazione finale che lei ha letto, quasi a monito, a proposito del significato dei dati, delle indagini e delle statistiche cozza contro lo sforzo onesto di questa Commissione.
  Noi onestamente stiamo cercando di fare la nostra parte. Mi sarebbe piaciuto che l'Osservatorio epidemiologico avesse offerto qualche studio più specifico su coloro che sono deceduti. Non so se vi siete resi conto che lo studio che ci avete proposto è rivestito da questo bisogno di dimostrare che l'amministrazione della Difesa con determinate malattie non c'entra proprio niente. Mi pare che questo sia cosa diversa dall'atteggiamento laico che dovrebbe essere tenuto a livello scientifico.
  Per evitare che questo possa essere letto come un ulteriore attacco, visto che c'è Pag. 16anche una scuola colpevolista nei confronti di questa nostra Commissione – iniziamo a dirci pubblicamente queste cose –, vorrei tranquillizzare, anche a vostro nome, coloro i quali ritenessero che questa Commissione fosse titolare di un atteggiamento pregiudiziale che così non è.
  Stiamo cercando la verità. La verità non è una cosa facile da trovare. Cerchiamo di avvicinarci il più possibile, collaborando e facendo in modo che le cose che non vanno emergano. Il compito di questa Commissione non è quello di esprimere giudizi e tantomeno di formulare sentenze. È quello di pervenire ad una condizione di giustizia, esattamente quella che da molti anni il Parlamento invoca in nome e per conto del popolo italiano e in particolare per quelle migliaia di persone che sono morte o si sono ammalate e per i loro congiunti.
  Se potete – questo pistolotto finale è finalizzato anche a questo –, quando il 20 ci farete la cortesia di tornare, disponetevi a confrontarvi con la Commissione con questo atteggiamento laico. Noi non abbiamo pregiudizi nei confronti di nessuno.
  Vedo che lei ci vuole salutare.

  CLAUDIO DE ANGELIS, Direttore dell'Osservatorio epidemiologico della Difesa. Mi dispiace avervi dato questa impressione.
  Io sono laico. Ho fatto il ricercatore per molti anni e affronto sempre quello che faccio con il sufficiente distacco. Ho presentato i dati nella veste di epidemiologo. Le conclusioni che traggo non sono sui casi singoli, ma sono sull'osservazione epidemiologica. Io guardo i grandi numeri. Non ho le cartelle cliniche della singola persona.
  Così rispondo in parte a qualcuna delle osservazioni.

  PRESIDENTE. Non oggi, colonnello.

  CLAUDIO DE ANGELIS, Direttore dell'Osservatorio epidemiologico della Difesa. Volevo soltanto precisare questo aspetto.
  Io ho presentato i dati come osservazioni epidemiologiche sui grandi numeri, sulle popolazioni. Epidemiologia vuol dire studio delle popolazioni. Non mi permetto di entrare nel singolo caso perché non ne ho la competenza. Non posso e non so farlo. Questo è lo studio delle popolazioni e io ho presentato i dati delle popolazioni.
  Le considerazioni sui singoli casi e sulle singole responsabilità sono tutt'altra cosa.

  PRESIDENTE. Grazie. Riprenderemo l'incontro il giorno 20.
  Vi ringrazio per la vostra disponibilità e la vostra cortesia.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10,10.