XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate

Resoconto stenografico



Seduta n. 63 di Mercoledì 5 ottobre 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Gelli Federico , Presidente ... 3 

Proposta di relazione sul sistema di identificazione e di prima accoglienza nell'ambito dei centri «hotspot» (Relatore: on. Beni) (Esame e rinvio):
Gelli Federico , Presidente ... 3 ,
Beni Paolo (PD)  ... 3 ,
Gelli Federico , Presidente ... 6 ,
Carnevali Elena (PD)  ... 6 ,
Palazzotto Erasmo (SI-SEL)  ... 8 ,
Gelli Federico , Presidente ... 10 

ALLEGATO ... 11

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FEDERICO GELLI

  La seduta comincia alle 9.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, ove necessario, i lavori della Commissione potranno proseguire anche in seduta segreta.
  Se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Proposta di relazione sul sistema di identificazione e di prima accoglienza nell'ambito dei centri «hotspot» (Relatore: on. Beni) (Esame e rinvio).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la proposta di relazione, ai sensi dell'articolo 2, comma 5, ultimo periodo, della delibera istitutiva della Commissione d'inchiesta 17 novembre 2014, come modificato dalla deliberazione della Camera dei Deputati 23 marzo 2016, sul sistema di identificazione e di prima accoglienza nell'ambito dei centri «hotspot».
  Ricordo che l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentati dei Gruppi, nella riunione dello scorso 29 settembre ha stabilito di dedicare all'esame della relazione la seduta odierna, con eventuale prosecuzione nella seduta già prevista per domani, giovedì 6 ottobre 2016. In quella sede si era, altresì, fissato alle 17 di martedì 11 ottobre il termine per presentare eventuali modifiche o integrazioni al documento che è stato trasmesso a tutti i commissari.
  Prego l'onorevole Beni di illustrare la proposta di relazione, che è già stata trasmessa ai componenti della Commissione via e-mail all'atto della convocazione della presente riunione (vedi allegato).

  PAOLO BENI. Grazie, presidente. La bozza di relazione l'avete ricevuta. Mi limito rapidamente a sintetizzare il contenuto e il lavoro svolto, soffermandomi magari su un paio di punti da sottolineare alla vostra attenzione.
  Come sapete, la relazione ha come oggetto il lavoro di ricognizione e le conseguenti valutazioni e proposte della Commissione in merito al cosiddetto «approccio hotspot», dopo i primi mesi di sperimentazione nelle quattro strutture finora individuate e allestite dal Governo italiano.
  La relazione si occupa, quindi, di un segmento molto specifico dell'intera filiera del sistema di accoglienza, che è però, come sappiamo, un segmento determinante, perché attiene alla primissima fase del percorso del migrante nel nostro Paese. Si tratta della fase in cui avvengono l'identificazione e la prima selezione dei migranti, una fase che poi inevitabilmente condiziona quelle successive.
  Il documento è composto sostanzialmente di tre parti: una prima parte descrittiva, che riassume il quadro normativo in materia, aggiornato anche alla luce dell'Agenda europea sulla migrazione; una seconda parte che dà conto delle missioni effettuate nei quattro hotspot attualmente in funzione; una terza parte che contiene una serie di valutazioni della Commissione sui risultati ottenuti in relazione agli obiettivi dichiarati dell'approccio hotspot e sulle Pag. 4criticità emerse, nonché alcune proposte su come superare queste criticità.
  La prima parte di inquadramento normativo riprende in larga misura analisi già contenute nella relazione presentata al Parlamento al termine del primo anno di attività, anche se questa parte è stata opportunamente integrata e aggiornata alla luce di recenti novità, mentre, ovviamente, la seconda e la terza parte sono state elaborate ex novo sulla base del lavoro istruttorio di questi mesi.
  Riassumendo rapidamente il contenuto, nella prima parte, che illustra il quadro normativo, c'è tutta una sezione dedicata al Regolamento di Dublino 3, all'individuazione dello Stato competente per l'esame della domanda di protezione internazionale, all'obbligo di identificazione e al sistema centrale Eurodac, alle novità introdotte nel corso del 2015 dall'Agenda europea sulla migrazione, al tema della relocation, all'introduzione della nozione di «approccio hotspot» da parte della Commissione europea.
  C'è poi un approfondimento sulla questione delle procedure di identificazione (l'intervista, l'identità anagrafica, l'identità dattiloscopica) e una parte che riguarda la risposta del nostro Paese nei riguardi di questa impostazione. Essa prevede l'attuazione della Roadmap, l'individuazione dei siti in Italia per attivare i primi hotspot e, quindi, i primi hotspot attivati e le innovazioni procedurali che questo modello ha comportato. Abbiamo analizzato tali innovazioni alla luce dei sopralluoghi che le delegazioni della Commissione hanno svolto.
  Nella seconda parte della relazione c'è il resoconto di queste missioni, che si sono svolte a Taranto, a Trapani, a Pozzallo e, in ultimo, a Lampedusa, tra maggio e luglio 2016.
  C'è poi la terza parte, che è quella su cui inviterei maggiormente i commissari a soffermarsi, perché contiene gli elementi di nuova elaborazione che la Commissione potrebbe produrre a disposizione del Parlamento e del Governo, la valutazione dei risultati ottenuti dall'approccio hotspot per quello che abbiamo potuto verificare in questi primi mesi, un approfondimento sui criteri di selezione che sono stati adottati per la distinzione dei migranti nelle tre categorie che ci sono state riferite, nonché tutto il tema dell'informativa legale e i risultati che ci sono stati e che le Istituzioni preposte ci hanno riferito rispetto alle identificazioni effettuate. Come sapete, sono cambiate notevolmente in percentuale da prima a dopo l'utilizzo delle nuove procedure.
  C'è anche un approfondimento sui nodi critici che, a mio e a nostro parere, emergono da questa osservazione. In particolare, ci sono tre problemi da sciogliere.
  Un primo problema è relativo a quali siano i parametri da seguire e i riferimenti anche giuridici a cui attenersi in caso di rifiuto della procedura di identificazione da parte del migrante, con la possibilità o meno di utilizzare forme di coercizione e l'esistenza o meno di copertura giuridica rispetto a questa eventualità.
  Un secondo problema è la questione della durata del trattenimento ai fini identificativi nei centri hotspot, durata che, come abbiamo verificato in più di un caso nelle quattro missioni, non corrisponde a quanto previsto e si protrae ulteriormente.
  Infine e soprattutto – i tre temi sono molto legati – c'è il nodo di una carenza (diciamo così) di adeguata configurazione giuridica di questo modello, che sottostà a questa contraddizione.
  In conclusione, proviamo a tracciare un primo bilancio e una prima valutazione complessiva. In sostanza, l'approccio hotspot può effettivamente assicurare, per quello che abbiamo potuto osservare, una gestione più razionale degli arrivi e delle procedure di identificazione, selezione e smistamento dei migranti nel circuito dell'accoglienza, garantendo – e qui c'è un punto cui non possiamo, ovviamente, non prestare molta attenzione – il necessario equilibrio fra il dovere di soccorso da parte dello Stato italiano, di accoglienza e di rispetto della dignità umana e del diritto di asilo, da un lato, e il dovere di controllo delle frontiere e di identificazione di chi entra nel territorio dello Stato, dall'altro. Pag. 5
  Queste due esigenze vanno rese compatibili e il modello hotspot può servire da questo punto di vista.
  Quest'affermazione, però, è valida in linea teorica, cioè sul presupposto che si verifichino tutte le condizioni necessarie affinché quell'equilibrio venga mantenuto. L'istruttoria svolta rileva, invece, che attualmente non tutte queste condizioni sono soddisfatte. In particolare, abbiamo evidenziato sei punti di criticità che possono inficiare il corretto funzionamento dell'approccio hotspot, vanificandone, quindi, gli obiettivi. Per ciascuno di questi punti proviamo a indicare anche degli interventi correttivi.
  Il primo è sicuramente l'insufficiente capacità di accoglienza dei quattro centri attivi ad oggi, per cui transita dagli hotspot il 40 per cento circa dei migranti provenienti dagli sbarchi. Del resto, non potrebbe essere diversamente, perché è praticamente impossibile convogliare tutti gli sbarchi nei quattro siti attualmente esistenti.
  Noi diciamo che, se deve essere quello il modello adottato – ammesso che funzioni correttamente sulla base di quell'equilibrio – l'approccio hotspot andrebbe esteso a tutti gli arrivi, incrementando quindi il numero delle strutture – se scegliamo quella strada, come ci dice l'Unione europea e come stiamo sperimentando.
  Come secondo punto resta irrisolto però il problema della configurazione giuridica degli hotspot, che, come sappiamo, non hanno un riscontro nella nostra legislazione. Il problema è risolvibile solo con l'adozione di una fonte normativa di rango primario che ne definisca il ruolo e che garantisca una solida base di legittimazione giuridica alle procedure che vengono adottate. Non pare sia possibile esimerci da un passaggio di questo tipo.
  Come terza questione, le strutture che abbiamo visitato sono in gran parte indecorose e inospitali. Hanno dei problemi strutturali notevoli e, quindi, vanno adeguate sulla base di un protocollo uniforme sui requisiti delle strutture e sulla tipologia dei servizi forniti.
  Abbiamo visitato quattro strutture e in quattro strutture ci sono quattro modelli di gestione diversi e quattro situazioni diverse. Questo non va bene. Occorre un protocollo uniforme tale da assicurare qualità del soccorso e dell'accoglienza per tutti, a prescindere dal fatto che poi i migranti che vi entrano ottengano o meno il riconoscimento della protezione. Chi transita di lì deve avere le stesse condizioni e opportunità.
  Come quarto punto, c'è il problema della mediazione linguistico-culturale e dell'informativa legale, che paiono insufficienti. Sono, quindi, servizi da rafforzare per garantire un'effettiva possibilità di accesso al diritto di protezione.
  Il quinto punto in realtà è legato al quarto: è necessaria una rivisitazione del cosiddetto «foglio notizie», sia per quanto riguarda il modello di compilazione, che, allo stato attuale, a nostro parere, può generare equivoci e ambiguità, sia per quanto riguarda la tempistica della sua compilazione. Spesso ciò avviene addirittura in una fase precedente a quella della mediazione linguistico-culturale e dell'informativa, con il migrante chiaramente impreparato ad affrontare il questionario.
  In ultimo, resta – questo è il sesto punto, che direi essere il punto dirimente – il problema del tempestivo ed efficace smistamento delle tre categorie in cui vengono selezionati i migranti nei rispettivi canali di destinazione, ossia quelli destinati alla relocation, quelli destinati alla procedura di richiesta di protezione internazionale nel nostro Paese – e quindi al circuito della seconda accoglienza – e quelli che, invece, hanno il respingimento e sono destinati, quindi, al rimpatrio.
  Questa selezione ha un senso – dobbiamo essere molto chiari da questo punto di vista – solo se ci sono tre condizioni.
  La prima è se la relocation non è un'ipotesi teorica, ma funziona realmente. I dati che abbiamo ad oggi, nella relazione, parlano di circa 800 migranti rilocati (dall'Italia). Il dato va aggiornato, ma, se sono più 800, saranno mille e spiccioli. Cambia poco. Questo è un primo problema. Pag. 6
  Il secondo problema è quello dei rimpatri. Questa divisione in tre categorie ha senso se si è realmente in condizione di effettuare i rimpatri di chi è destinatario di un provvedimento di respingimento.
  La terza questione riguarda la condizione che il sistema italiano della seconda accoglienza sia in grado di assorbire tempestivamente i nuovi ingressi. Questo chiama in causa la fluidità del sistema, cioè le entrate e uscite, la lunghezza delle procedure dinanzi alle Commissioni, i ricorsi e tutto il problema che conosciamo e che è determinante, perché, a fronte di arrivi non incrementati dal 2015 al 2016, si sta incrementando, invece, notevolmente, come sappiamo, il numero delle persone presenti nei centri. Questo significa che il sistema non funziona in uscita.
  Quindi, il modello può funzionare. Il modello hotspot può essere utile e andrebbe esteso a tutti gli arrivi, ma questa valutazione positiva è legata al fatto che si verifichino le suddette condizioni, altrimenti finisce inevitabilmente per non funzionare e per prestarsi a pericolose ambiguità.
  In ultimo, introduciamo un elemento di riflessione. Se il modello hotspot funzionasse davvero secondo i criteri sopra esposti e, quindi, potesse essere il modello esteso alla procedura degli arrivi attraverso gli sbarchi nel nostro Paese, le strutture destinate alle funzioni hotspot – che sono quelle di soccorso, prima accoglienza, identificazione e tempestivo smistamento alla struttura appropriata – potrebbero più opportunamente essere esclusivamente affidate alla gestione diretta dello Stato attraverso le prefetture.
  Peraltro, le funzioni che vi si svolgono, laddove i migranti dovrebbero stare quarantott'ore e non di più – ma anche meno –, sono funzioni che vengono in larghissima parte svolte dalle forze dell'ordine, dalla Polizia di Stato e in particolare dall'Ufficio immigrazione delle varie questure. Possono essere svolte dalla Protezione civile, dalla Croce Rossa, dal Servizio sanitario nazionale.
  Pertanto, ci si potrebbe limitare a una gestione diretta delle prefetture, magari con – questo sì – la presenza dell'UNHCR e delle organizzazioni umanitarie a tutela dei migranti, ma evitando di appaltare la gestione ad altri soggetti.
  Questo riguarda gli hotspot. Venendo alle strutture operanti nella rete della seconda accoglienza, esse necessitano di una più articolata tipologia di servizi e figure professionali, perché la permanenza sarà di mesi. In questi mesi c'è bisogno di un sostegno diverso e della formazione. Tali strutture sarebbero più opportunamente gestite da enti di terzo settore, in collaborazione magari con gli enti locali, secondo un approccio coerente con il modello SPRAR, che tutti diciamo – e il Governo conferma – essere il modello di riferimento per la seconda accoglienza, e comunque sulla base di standard di servizi, di requisiti richiesti e di procedure di affidamento uniformi sul territorio nazionale. Questa è un'indicazione contenuta nel testo della relazione che potrebbe dar luogo a una rivisitazione del sistema nel suo complesso.
  Mi fermo qui perché mi sembra che il senso sia reso. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Beni. Ovviamente, ne approfitto per ringraziare anche i nostri consulenti che hanno fornito un importante contributo, a partire dalla dottoressa Grassi, che ha aiutato nella stesura, e dall'ex segretario della Commissione Adriano Picone, che ha lavorato su questa relazione. Il frutto di questo prodotto è dovuto anche a loro ed è stato, mi sembra, molto ben relazionato e rappresentato anche dal collega Beni, con il lavoro che ha portato avanti con il gruppo che si è dedicato a questa materia.
  A questo punto, c'è la possibilità di interventi da parte vostra.

  ELENA CARNEVALI. Innanzitutto voglio davvero ringraziare moltissimo il collega Beni e i nostri consulenti per il lavoro fatto, perché credo che il quadro complessivo così di dettaglio e approfondimento che è stato fatto con questa relazione faccia anche un'operazione di chiarezza.
  Uno degli obiettivi che questa Commissione aveva era quello di trarre degli elementi Pag. 7 di sintesi non solo dai sopralluoghi che abbiamo fatto, ma anche dalla comparazione tra indirizzi sulla legislazione internazionale e contemporaneamente indirizzi politici che il Governo sta scegliendo, anche in relazione a quelli che possiamo definire gli obblighi che provengono dall'Unione europea.
  Credo davvero che siamo arrivati alla costruzione di un testo e di una relazione che hanno affrontato tutti i temi e soprattutto che hanno fatto emergere quali sono le criticità e quali possono essere gli indirizzi sui quali agire.
  Il collega Beni ha inteso sottolineare che il modello hotspot è un approccio. Oltre ai luoghi che sono stati attualmente identificati, con gli elementi di criticità che sono già stati espressi, l'idea è che gli sbarchi non possono essere concentrati, ovviamente, in un unico luogo. Il collega Beni ci ha già detto che il 40 per cento degli sbarchi avviene nei luoghi in cui si pratica il modello hotspot. Si tratta di capire in quale modo regolarli.
  Il presupposto è che comunque non abbiamo una legislazione giuridica. Credo che questo sia uno degli elementi più rilevanti ai quali porre a breve scadenza un rimedio. Mi sembra, però, che, avendo assunto anche degli obblighi a livello internazionale (ormai siamo arrivati al 100 per cento di identificazione e riconoscimento) ci sia tutta una fetta che sta oltre questi luoghi e che va capito come venga regolamentata. Vorrei sapere se magari fosse possibile dentro la relazione fare riferimento anche a questo o prendere in considerazione anche questa parte.
  L'altra questione è quella relativa agli elementi critici che sono stati identificati nella relazione. La parte sull'insufficiente capacità di capienza è contenuta in una parte della relazione quando si dice con chiarezza che la scelta delle tre possibilità – cioè la relocation, i rimpatri e il fatto che i migranti vengano, invece, introdotti nel sistema di accoglienza di secondo livello – non deve essere data da un prerequisito legato alle condizioni dei Paesi di origine.
  Nella relazione una parte è già stata identificata e anche qui va capito poi come si intenda agire. È chiaro che ci sono anche tutte le questioni di natura giuridica che evidentemente vanno prese in considerazione a tutela dei migranti.
  Sulla questione relativa alle strutture – credo che abbiamo già avuto occasione di parlarne ieri – mi sembra che non ci sia la possibilità. Abbiamo visto modelli che funzionano perfettamente, come quello di Trapani. Credo che un Paese debba assolutamente imporsi l'obbligo che tutte le strutture abbiano uno standard di riferimento. Non so se si possa pensare che il modello di Trapani venga preso come standard di riferimento. Uno degli obiettivi che la relazione pone è quello di identificare un modello su cui agire. Abbiamo visto che a Trapani c'è un sistema che tiene in assoluto equilibrio le due condizioni.
  Non avrei altro da aggiungere, se non il fatto che, a questo punto, una volta che abbiamo approvato questa relazione, si possono trarne delle nostre valutazioni, una volta portate qui, da rivolgere al Governo. A questo punto, è chiaro che il nostro interlocutore diventa soprattutto il Governo, per riuscire a capire come poter agire e soprattutto per cercare di colmare le lacune.
  Rimane la premessa delle premesse, ossia che, oltre al tema legato al riconoscimento giuridico della procedura di hotspot, non abbiamo ancora affrontato il tema di avere una legislazione italiana sul diritto di asilo. Credo che questa sia una premessa fondamentale e che, se agiamo anche su questo fronte, molto probabilmente un po’ di ordine in materia sia innanzitutto doveroso, visto il nostro ritardo come Paese, ma anche di chiarezza per tutto quello che ne consegue.
  L'ultimissima questione riguarda il fatto che il collega Beni dice che la procedura di hotspot alle precondizioni o all'obbligo delle condizioni che sono state espresse potrebbe essere affidata totalmente allo Stato, senza passare alla gestione di soggetti terzi. Questa mi sembra un'affermazione di particolare rilievo, con la sottolineatura personale che, ovviamente, ci siano anche tutti i rappresentanti dell'UNHCR e delle organizzazioni di tutela. Pag. 8
  Questo vorrebbe dire in qualche modo cambiare anche il modello attuale, perché abbiamo visto che esso non è sempre coerente nel rispetto dei diritti delle persone, come abbiamo potuto «denunciare» anche da parte della nostra Commissione.

  ERASMO PALAZZOTTO. Mi scuso per il ritardo. Come ho già avuto modo di accennare informalmente all'onorevole Beni, ho alcuni rilievi che riguardano diverse parti della relazione, su cui poi farò delle specifiche proposte, anche di modifica, per iscritto. Indubbiamente, secondo me, ci sono alcune cose che mancano, anche rispetto al lavoro di indagine che ha fatto la Commissione; ma andiamo per ordine.
  La prima parte è quella che riguarda l'identificazione. Nella relazione c'è una ricostruzione normativa che tende a dare legittimità a eventuali prelievi forzosi delle impronte digitali. Durante il nostro lavoro ispettivo non abbiamo avuto riscontri di quest'attività da parte delle nostre forze dell'ordine. È stato sempre negato, al di là di qualche voce, specificatamente relativa al centro di Pozzallo prima che diventasse hotspot.
  Tuttavia, penso sia utile ribadire che quella pratica è illegittima dal punto di vista dell'attuale normativa italiana. C'è una ricostruzione che tende a dire che l'obbligo di identificazione in qualche modo prevede questa possibilità, essendo il prelievo forzoso un'attività non invasiva e non lesiva dell'integrità fisica dell'individuo, non come, per esempio, gli esami del sangue e il prelievo di saliva.
  Credo che questa parte vada completamente tolta e che si debba specificare, invece, che non serve un adeguamento normativo per il prelievo forzoso, che sarebbe, tra l'altro, a mio avviso incostituzionale e quindi suscettibile di un'impugnativa.
  Al contrario, invece, specificherei che il prelievo forzoso è compito che Frontex, nella persona di Nunes, ci ha di fatto richiesto esplicitamente, ma che, in realtà, presenta implicazioni reali: i migranti non si vogliono fare identificare se questa circostanza li vincola al Paese di primo approccio. Al limite, si tratterebbe di rivedere il Regolamento di Dublino oppure semplicemente di mettere più in evidenza la relazione tra sistema hotspot e relocation, che erano due cose che camminavano assieme, e il fatto che, invece, la relocation non c'è.
  Per esempio, gli eritrei – anche qui c'è un caso segnalato – non si facevano identificare. Poi hanno preso a farsi identificare perché erano soggetti passibili di relocation. Adesso che la relocation si è bloccata e si è sparsa la voce che, in realtà, è una presa in giro, gli eritrei cominciano di nuovo a non farsi identificare.
  C'è una parte che è sbagliata. Nella parte iniziale si dice «prevenendo così la tendenza dei richiedenti asilo ad abusare del sistema con la presentazione di domande d'asilo in più Paesi». Questa è una pratica che non esiste più da molto tempo, anche perché da quando c'è Eurodac, si fa la richiesta d'asilo in un Paese e si è identificati in un Paese, non si può più chiedere asilo in un altro Paese e si è costretti a ritornare nel Paese di origine. Infatti, la mancata identificazione dipende proprio dal fatto che i migranti non vogliono fare la richiesta d'asilo in Italia. Questa parte andrebbe cassata.
  Un'altra parte riguarda i tempi di trattenimento – cito solo i temi più consistenti –, anche questi illegittimi sotto ogni profilo. In questo momento abbiamo trattenimenti fino a 15-20 giorni (e non sto parlando della situazione dei minori), che violano costantemente tutto il sistema legislativo italiano, tale da definire illegittimi gli hotspot e il sistema hotspot. Anche questo è un altro tema: ci sono centri adibiti all'approccio hotspot, ma in realtà possiamo parlare di approccio hotspot. Infatti questa pratica viene fatta, come abbiamo avuto modo di vedere, al porto di Catania. Poi i migranti sono smistati nei vari centri, dove chi non è identificato rimane sotto forma di trattenimento per troppo tempo rispetto a ciò che è consentito dalla legge.
  Oggettivamente, quello che è scritto in questa relazione è che i centri hotspot agiscono in un regime di illegalità per quanto riguarda il trattenimento dei migranti. C'è scritto. Non penso che il tema nostro sia dire che bisogna adeguare il Pag. 9sistema normativo ai tempi di trattenimento, sul modello greco, per intenderci, fino a 28 giorni. Penso che il nostro tema sia dire, invece, che bisogna interrompere ogni pratica illegale e che bisogna ricondurre gli hotspot sotto il regime di legalità. Come? Anche con procedure che riescano a essere espletate nell'arco di 24 ore, che è il tempo massimo cui si può arrivare (in realtà, dovrebbero essere 12).
  Aggiungo un'ultima osservazione, che riguarda proprio il lavoro ispettivo che ha fatto la Commissione.
  Veniva ricordato adesso dalla collega Carnevali che abbiamo visitato un hotspot in cui, nonostante alcune procedure sui tempi di trattenimento sforassero i tempi legali, li sforavano dentro una ragionevolezza, dentro una dinamica organizzativa che ha funzionato. Credo che questa questione vada valorizzata. Allo stesso tempo, credo che vadano spese, invece, parole molto dure rispetto agli altri hotspot e, in particolar modo, rispetto all’hotspot di Lampedusa, cosa che nella relazione c'è solo in parte.
  Sto valutando – a prescindere dalla relazione – di presentare un esposto presso la procura di Agrigento per valutare se ci siano eventuali reati da parte dell'ente gestore, perché la vicenda del pocket money scritta dalla prefettura in una relazione è appropriazione indebita. Se devo erogare 2,50 euro e ne do 0,40 e il resto lo trattengo in maniera discrezionale... Questa circostanza è messa nero su bianco nell'attività ispettiva della nostra Commissione e di una Commissione della prefettura. Ci sono notizie di reato anche nei confronti della prefettura, perché evidentemente c'è un tema di omissione di controlli e di erogazione di sanzioni. La prefettura è soggetto attuatore e stazione appaltante e deve controllare quello che succede.
  Il prefetto Diomede in più occasioni ci ha detto che, alla fine, è tutto normale, ma io penso che questa cosa non solo vada scritta nella relazione, ma anche che si debba verificare se eventualmente ci siano delle responsabilità in altra sede, non solo in quella politica.
  Infine, passo all'ultima osservazione. Ho parlato dell'identificazione, dei tempi di trattenimento, delle condizioni dei centri... Vi chiedo scusa ma, essendo la relazione piuttosto corposa, ho preso appunti direttamente nel testo della relazione. Per il momento, mi limito a questo rispetto alle parti tecniche.
  Aggiungerei una valutazione in generale rispetto al sistema hotspot – poi, ripeto, proverò a mettere queste considerazioni per iscritto con proposte di modifica – una valutazione generale che faccia riferimento alla questione della relocation, che è centrale, perché il sistema hotspot, in un certo senso, è stato imposto, per così dire, all'Italia in cambio di un numero di relocation che oggi è ridicolo. Oggi siamo a 850 ricollocati in Europa!
  Dall'altra parte, c'è il fatto che evidentemente la procedura hotspot va rivista, perché i centri hotspot individuati non sono adeguati strutturalmente, cosa che abbiamo scritto in più relazioni. L'abbiamo visto visitando il centro di Lampedusa, l'abbiamo visto visitando gli altri centri e lo diciamo rispetto al prossimo hotspot che dovrebbe essere aperto, che è il CARA di Mineo. C'è un'inadeguatezza strutturale per questo tipo di attività. Inoltre, c'è un'ipocrisia di fondo nel dire che questo sistema può funzionare, perché evidentemente i centri identificati come hotspot non sono sufficienti a fare transitare un flusso di queste dimensioni.
  Infine, penso che riguardo a Lampedusa ci sia un'altra questione che vada affrontata, che è la forma di trattenimento surrettizia, se così vogliamo chiamarla. Si tratta del fatto che, come ci ha spiegato il direttore generale di Frontex, Lampedusa è un centro di trattenimento naturale. Posso anche mantenere un migrante in un regime di libertà sull'isola, cioè farlo uscire dal centro, ma lui non ha dove andare e, quindi, è confinato sull'isola.
  Questa cosa, al di là della possibile violazione anche in quel caso dei termini di legge, comporta anche un altro elemento, che, secondo me, è compito della Commissione trattare, cioè l'impatto rispetto al territorio: il centro di Lampedusa non può Pag. 10essere utilizzato come hotspot perché naturalmente crea un ingolfamento che ricade interamente sulla popolazione che vive su quell'isola.
  Penso che questo sia un tema palese, che va inserito. Il centro di Lampedusa può essere un centro di prima accoglienza e soccorso, può essere un centro in cui vengono convogliati i casi più gravi che hanno bisogno di cure mediche e i soggetti vulnerabili, ma non può essere l'imbuto da cui passa il grosso dei flussi dei salvataggi nel canale di Sicilia, perché questo automaticamente incide pesantemente sulla vita e sulle condizioni sociali ed anche economiche dell'isola.

  PRESIDENTE. Se nessun altro prende la parola, direi che possiamo aggiornarci con questo impegno per le 17 di martedì 11 ottobre, che è il termine ultimo per presentare eventuali integrazioni e modifiche. Evidentemente la seduta di domani mattina, a questo punto, non si terrà. L'avevamo prevista per la discussione generale, ma mi sembra che la discussione si sia esaurita oggi.
  Dichiaro conclusa la seduta.

  La seduta termina alle 9,40.

ALLEGATO

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